Modalità di accoglimento

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Vademecum per l'infermiere
Solo negli ultimi anni, con la Legge n. 42 del 26 febbraio 1999, l’attività di infermiere ha avuto,
finalmente, un suo pieno riconoscimento sul piano giuridico e formale; è stata fatta, inoltre,
definitivamente chiarezza sul ruolo di tale professionista e sulla sua autonomia, riconoscendone la
validità sul piano normativo e sociale.
Questa legge dal titolo “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” non riguarda solo gli
infermieri professionali: infatti, da una parte ha abolito il precedente D.P 225/74 che delineava la
predetta attività, dall’altra, cosa ancora più importante, ha abolito la superata denominazione di
professione sanitaria ausiliaria, che addirittura risaliva al T.U.LL.SS. del 1934, tanto che l’attuale
corretta definizione è: Professione Sanitaria di Infermiere.
Ora l’esercizio di questa professione risulta regolato, proprio in base alla Legge n. 42/99, da tre tipi
di norme regolamentari:
• Profilo professionale dell’infermiere
• Ordinamento didattico Universitario del Corso di Laurea
• Codice deontologico.
Viene in conclusione riconosciuta la piena responsabilità, nelle decisioni e nelle scelte
assistenziali, dell’infermiere, che non è più un semplice esecutore, ma è soggetto attivo nello
svolgimento del proprio lavoro, con responsabilità dirette ben precise.
Infatti, da una lettura combinata del Decreto Ministeriale 14.9.1994 n. 739 “Regolamento
concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere”, della
Legge n. 42/1999 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” e della Legge n. 251/2000
“Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della
prevenzione nonché della professione ostetrica”, l’attività dell’infermiere risulta compiutamente
delineata.
La nuova definizione della professione ha una valenza fondamentale, e non semplicemente
semantica: con l’articolo 1 della L. 42/99 si afferma che: “La denominazione “professione sanitaria
ausiliaria” nel testo unico delle leggi sanitarie, approvato con Regio Decreto 27 luglio 1934, n.
1265, e successive modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita
dalladenominazione “professione sanitaria”, cioè viene riconosciuta di fatto una attività sanitaria
propria e non solo semplicemente di supporto.
Un primo segnale in questo senso già risultava in qualche modo dal Regolamento del 1994 laddove
si segnalava, nell’individuazione del profilo professionale dell’infermiere, che: “...l’infermiere è
l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo
professionale è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”; la nuova norma ha, quindi,
esplicitato, ed ulteriormente rafforzato, in maniera chiara il concetto di “autonomia” e di
completezza della professione.
Come detto la complessità di questa professione viene determinata, proprio per volontà legislativa,
(art.1, comma 2 della L. 42/99) dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi
• dei relativi profili professionali
• degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base
• degli specifici codici deontologici
Sono fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del
ruolo sanitario, per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto
reciproco delle specifiche
competenze professionali.
Tutto ciò è stato, poi, ribadito dalla L. 251/2000 che proprio all’art.1 (Professioni sanitarie
infermieristiche e professione sanitaria ostetrica) riporta che, nel rispetto dei tre “istituti” cardine,
l’infermiere professionale svolge “...con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione,
alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva..”.
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L’attività dell’infermiere INAIL, che lavora nell’ambulatorio prime cure, non si differenzia molto
dall’attività svolta nei reparti ospedalieri di “soccorso”.
Anche l’infermiere INAIL deve perciò attenersi strettamente a quanto prevedono gli articoli 2 e 3
del Regolamento dell’attività infermieristica (all. 1): anche egli fornisce infatti specifiche
prestazioni nell’area della sanità pubblica in qualità di “infermiere di sanità pubblica” (art. 5 comma
a).Ugualmente, l’infermiere dell’INAIL si attiene, nello svolgimento della sua attività, ai principi
del “Codice deontologico” (all. 3).
A proposito di quest’ultimo giova ricordare che, nel tempo, ha avuto una sua logica ed “obbligata”
evoluzione, essendo cambiate nel corso degli anni le responsabilità.
L’ultima stesura del codice, dopo quelle del 1966 e del 1977, non poteva che essere nel 1999
approvato alla luce delle disposizioni che erano in via di emanazione e di cui si conoscevano
perfettamente i contenuti, tanto che proprio la legge n. 42/99 parla di “codice deontologico” come
perno insostituibile per lo svolgimento di tale attività.
Ovviamente però, come sempre accade oltre agli “onori”, sono aumentati gli “oneri”, in quanto
dietro al concetto di “autonomia” non vi può che essere ricollegato il concetto di “responsabilità
diretta” e l’infermiere è pertanto tenuto ad una diligenza fortemente caratterizzata dalla “qualifica
specialistica”acquisita dopo l’abrogazione del mansionario e con l’emanazione della legge n. 251
del 2000 sulla dirigenza.
Sul concetto di responsabilità professionale è quindi doveroso esprimere alcune considerazioni.
La responsabilità è strettamente collegata all’autonomia professionale.
La legislazione che regola la professione dell’infermiere prevede, infatti, la facoltà, ed in taluni casi
l’obbligo, di prendere iniziative e decisioni nel quadro della competenza specifica riconosciuta;
questa autonomia comporta che, in caso di violazione degli obblighi professionali, l’infermiere è
chiamato a rispondere del danno da lui prodotto con le sue azioni od omissioni.
La responsabilità professionale dell’infermiere, come di qualunque operatore nella sanità sia esso
medico, sia tecnico sanitario riguarda i tre ambiti: penale, civile e disciplinare.
In ambito penale il diritto elenca in modo tassativo quali comportamenti sono puniti con la sanzione
di una pena e questi comportamenti configurano il concetto di “reato”, cioè un “..comportamento
umano che si attua mediante una azione od omissione” per il quale la legge stabilisce una pena; ed è
importante la problematica relativa all’azione o omissione in quanto stabilisce di fatto chein alcuni
casi vi è l’obbligo di intervenire per scongiurare situazioni più gravi.
Nel comportamento umano vi può essere il “dolo” che si caratterizza per la volontarietà della
condotta offensiva e questa fattispecie, a rigore di logica dovrebbe poco interessare l’attività
professionale, mentre fattispecie più ricorrente è quella della “colpa” che invece si caratterizza per
la non volontà di compiere una determinata azione o non azione.
La stessa colpa, che come abbiamo segnalato sarà sicuramente più frequente
del dolo, ha diverse gradazioni:
• Negligenza: trascuratezza, mancanza di diligenza
• Imperizia: insufficiente preparazione e capacità professionale
• Imprudenza: comportamento avventato, cattiva valutazione delle possibi conseguenze
• Preterintenzione: quando il soggetto compie un’azione il cui “risultato” è oltre l’intenzione posta
in essere.
Non ci dilunghiamo sulle diverse fattispecie in quanto la loro gravità è direttamente proporzionale
all’ordine in cui sono riportate ed è facilmente evincibile dal concetto espresso.
In ambito civile, fermo restando che si risponde con le stesse caratteristiche dinanzi riportate,
riguardo al dolo ed alla colpa c’è da rilevare che siamo in un ambito di natura privatistica con
finalità di difesa degli interessi privati e la reintegrazione del diritto leso per cui bisogna far
riferimento all’art. 2043 c.c.:“...qualunque fatto doloso o colposo che causa ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno...”.
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Infine, in ambito disciplinare, possiamo far riferimento sia a responsabilità “amministrativo”
disciplinare per i professionisti dipendenti (contratto di lavoro), sia a quelli di tipo “ordinistico”
disciplinare per i liberi professionisti che nel caso di specie è il “Codice deontologico”.
In tema di responsabilità, quindi, la professione infermieristica rientra nel disposto dell’art. 2229 del
c.c. come professione intellettuale, cioè attività da esercitare solo dopo l’iscrizione in un apposito
albo professionale.
Non riteniamo di entrare nello specifico delle limitazioni delle responsabilità civili “soggettive” e
“oggettive” (art.2236 del c.c.): il Codice Civile stabilisce che “...se la prestazione implica la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se
non in caso di dolo o colpa grave...”.
Ci limitiamo a segnalare che vi è una graduazione delle sanzioni che vanno da quelle disciplinari
(D.Lgs. n. 29/93 e CCNL 1995), al rimprovero verbale, a quello scritto (censura), alla multa con
importo non superiore a 4 giornate lavorative, alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a
un massimo di 10 giorni, sino al licenziamento con preavviso, o addirittura allicenziamento senza
preavviso.
Ribadiamo, quindi, che l’autonomia decisionale è una conquista importante, che non può
ovviamente prescindere da una “responsabilità” personale che si traduce in un comportamento
corretto e coscienzioso nei confronti del paziente.
Il Codice deontologico degli infermieri
Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a:
PRESENTARMI al nostro primo incontro, spiegarti chi sono e cosa posso fare per te.
SAPERE chi sei, riconoscerti, chiamarti per nome e cognome.
FARMI RICONOSCERE attraverso la divisa e il cartellino di riconoscimento.
DARTI RISPOSTE chiare e comprensibili o indirizzarti alle persone e agli organi competenti.
FORNIRTI INFORMAZIONI utili a rendere più agevole il tuo contatto con l'insieme dei servizi
sanitari.
GARANTIRTI le migliori condizioni igieniche e ambientali.
FAVORIRTI nel mantenere le tue relazioni sociali e familiari.
RISPETTARE il tuo tempo e le tue abitudini.
AIUTARTI ad affrontare in modo equilibrato e dignitoso la tua giornata supportandoti nei gesti
quotidiani di mangiare, lavarsi, muoversi, dormire, quando non sei in grado di farlo da solo.
INDIVIDUARE i tuoi bisogni di assistenza, condividerli con te, proporti le possibili soluzioni,
operare insieme per risolvere i problemi.
INSEGNARTI quali sono i comportamenti più adeguati per ottimizzare il tuo stato di salute nel
rispetto delle tue scelte e stile di vita.
GARANTIRTI competenza, abilità e umanità nello svolgimento delle tue prestazioni assistenziali.
RISPETTARE la tua dignità, le tue insicurezze e garantirti la riservatezza.
ASCOLTARTI con attenzione e disponibilità quando hai bisogno.
STARTI VICINO quando soffri, quando hai paura, quando la medicina e la tecnica non bastano.
PROMUOVERE e partecipare ad iniziative atte a migliorare le risposte assistenziali
infermieristiche all'interno dell'organizzazione.
SEGNALARE agli organi e figure competenti le situazioni che ti possono causare danni e disagi.
IL CODICE DEONTOLOGICO (maggio 1999)
Articolo 1. Premessa
1.1. L'infermiere è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma abilitante e dell'iscrizione
all'Albo professionale, è responsabile dell'assistenza infermieristica.
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1.2. L'assistenza infermieristica è servizio alla persona e alla collettività. Si realizza attraverso
interventi specifici, autonomi e complementari, di natura tecnica, relazionale ed educativa.
1.3. La responsabilità dell'infermiere consiste nel curare e prendersi cura della persona, nel rispetto
della vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo.
1.4. Il Codice deontologico guida l'infermiere nello sviluppo della identità professionale e
nell'assunzione di un comportamento eticamente responsabile. E’ uno strumento che informa il
cittadino sui comportamenti che può attendersi dall'infermiere.
1.5. L'infermiere, con la partecipazione ai propri organismi di rappresentanza, manifesta la
appartenenza al gruppo professionale, l'accettazione dei valori contenuti nel Codice deontologico e
l'impegno a viverli nel quotidiano.
Articolo 2. Principi etici della professione
2.1. Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione è condizione
essenziale per l'assunzione della responsabilità delle cure infermieristiche.
2.2. L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale dell'individuo e interesse della
collettività e si impegna a tutelarlo con attività di prevenzione, cura e riabilitazione.
2.3. L'infermiere riconosce che tutte le persone hanno diritto ad uguale considerazione e le assiste
indipendentemente dall'età, dalla condizione sociale ed economica, dalle cause di malattia.
2.4. L'infermiere agisce tenendo conto dei valori religiosi, ideologici ed etici, nonché della cultura,
etnia e sesso dell'individuo.
2.5. Nel caso di conflitti determinati da profonde diversità etiche, l'infermiere si impegna a trovare
la soluzione attraverso il dialogo. In presenza di volontà profondamente in contrasto con i principi
etici della professione e con la coscienza personale, si avvale del diritto all'obiezione di coscienza.
2.6. Nell'agire professionale, l'infermiere si impegna a non nuocere, orienta la sua azione
all'autonomia e al bene dell'assistito, di cui attiva le risorse anche quando questi si trova in
condizioni di disabilità o svantaggio.
2.7. L'infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l'uso ottimale
delle risorse. In carenza delle stesse, individua le priorità sulla base di criteri condivisi dalla
comunità professionale.
Articolo 3. Norme generali
3.1. L'infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente, la riflessione
critica sull'esperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua competenza.
L'infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiornate, così da garantire alla
persona le cure e l'assistenza più efficaci.
L'infermiere partecipa alla formazione professionale, promuove ed attiva la ricerca, cura la
diffusione dei risultati, al fine di migliorare l'assistenza infermieristica.
3.2. L'infermiere assume responsabilità in base al livello di competenza raggiunto e ricorre, se
necessario, all'intervento o alla consulenza di esperti. Riconosce che l'integrazione è la migliore
possibilità per far fronte ai problemi dell'assistito; riconosce altresì l'importanza di prestare
consulenza, ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale.
3.3. L'infermiere riconosce i limiti delle proprie conoscenze e competenze e declina la
responsabilità quando ritenga di non poter agire con sicurezza. Ha il diritto ed il dovere di
richiedere formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza; si astiene
dal ricorrere a sperimentazioni prive di guida che possono costituire rischio per la persona.
3.4. L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività quotidiana e ricorre,
se necessario, alla consulenza professionale e istituzionale, contribuendo così al continuo divenire
della riflessione etica.
3.5. L'agire professionale non deve essere condizionato da pressioni o interessi personali
provenienti da persone assistite, altri operatori, imprese, associazioni, organismi. In caso di conflitto
devono prevalere gli interessi dell’assistito.
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L'infermiere non può avvalersi di cariche politiche o pubbliche per conseguire vantaggi per sé od
altri.
L'infermiere può svolgere forme di volontariato con modalità conformi alla normativa vigente: è
libero di prestare gratuitamente la sua opera, sempre che questa avvenga occasionalmente.
3.6. L'infermiere, in situazioni di emergenza, è tenuto a prestare soccorso e ad attivarsi
tempestivamente per garantire l'assistenza necessaria. In caso di calamità, si mette a disposizione
dell'autorità competente.
Articolo 4. Rapporti con la persona assistita
4.1. L'infermiere promuove, attraverso l'educazione, stili di vita sani e la diffusione di una cultura
della salute; a tal fine attiva e mantiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.
4.2. L'infermiere ascolta, informa, coinvolge la persona e valuta con la stessa i bisogni assistenziali,
anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e consentire all'assistito di esprimere le
proprie scelte.
4.3. L'infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall'assistito, ne facilita i rapporti con la
comunità e le persone per lui significative, che coinvolge nel piano di cura.
4.4. L'infermiere ha il dovere di essere informato sul progetto diagnostico terapeutico, per le
influenze che questo ha sul piano di assistenza e la relazione con la persona.
4.5. L'infermiere, nell'aiutare e sostenere la persona nelle scelte terapeutiche, garantisce le
informazioni relative al piano di assistenza ed adegua il livello di comunicazione alla capacità del
paziente di comprendere. Si adopera affinché la persona disponga di informazioni globali e non solo
cliniche e ne riconosce il diritto alla scelta di non essere informato.
4.6. L'infermiere assicura e tutela la riservatezza delle informazioni relative alla persona. Nella
raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è pertinente all'assistenza.
4.7. L'infermiere garantisce la continuità assistenziale anche attraverso l'efficace gestione degli
strumenti informativi.
4.8. L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima
convinzione e come risposta concreta alla fiducia che l'assistito ripone in lui.
4.9. L'infermiere promuove in ogni contesto assistenziale le migliori condizioni possibili di
sicurezza psicofisica dell'assistito e dei familiari.
4.10. L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione fisica e farmacologica sia evento
straordinario e motivato, e non metodica abituale di accudimento. Considera la contenzione una
scelta condivisibile quando vi si configuri l'interesse della persona e inaccettabile quando sia una
implicita risposta alle necessità istituzionali.
4.11. L'infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione del minore rispetto alle
scelte terapeutiche, in relazione all'età ed al suo grado di maturità.
4.12. L’infermiere si impegna a promuovere la tutela delle persone in condizioni che ne limitano lo
sviluppo o l'espressione di sé, quando la famiglia e il contesto non siano adeguati ai loro bisogni.
4.13. L’infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico della persona, deve mettere in
opera tutti i mezzi per proteggerla ed allertare, ove necessario, l'autorità competente.
4.14. L'infermiere si attiva per alleviare i sintomi, in particolare quelli prevenibili. Si impegna a
ricorrere all'uso di placebo solo per casi attentamente valutati e su specifica indicazione medica.
4.15. L'infermiere assiste la persona, qualunque sia la sua condizione clinica e fino al termine della
vita, riconoscendo l'importanza del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.
L'infermiere tutela il diritto a porre dei limiti ad eccessi diagnostici e terapeutici non coerenti con la
concezione di qualità della vita dell'assistito.
4.16. L'infermiere sostiene i familiari dell’assistito, in particolare nel momento della perdita e nella
elaborazione del lutto.
4.17. L'infermiere non partecipa a trattamenti finalizzati a provocare la morte dell'assistito, sia che
la richiesta provenga dall'interessato, dai familiari o da altri.
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4.18. L'infermiere considera la donazione di sangue, tessuti ed organi un'espressione di solidarietà.
Si adopera per favorire informazione e sostegno alle persone coinvolte nel donare e nel ricevere.
Articolo 5. Rapporti professionali con colleghi e altri operatori
5.1. L'infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori, di cui riconosce e rispetta lo specifico
apporto all'interno dell'équipe.
Nell’ambito delle proprie conoscenze, esperienze e ruolo professionale contribuisce allo sviluppo
delle competenze assistenziali.
5.2. L'infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti ispirati al rispetto
e alla solidarietà. Si adopera affinché la diversità di opinione non ostacoli il progetto di cura.
5.3. L'infermiere ha il dovere di autovalutarsi, e di sottoporre il proprio operato a verifica, anche ai
fini dello sviluppo professionale.
5.4. Nell'esercizio autonomo della professione l'infermiere si attiene alle norme di comportamento
emanate dai Collegi Ipasvi; nella definizione del proprio onorario rispetta il vigente Nomenclatore
tariffario
5.5. L'infermiere tutela il decoro del proprio nome e qualifica professionale anche attraverso il
rispetto delle norme che regolano la pubblicità sanitaria.
5.6. L'infermiere è tenuto a segnalare al Collegio ogni abuso o comportamento contrario alla
deontologia, attuato dai colleghi.
Articolo 6. Rapporti con le istituzioni
6.1. L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo
sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l'equo utilizzo
delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale.
6.2. L'infermiere compensa le carenze della struttura attraverso un comportamento ispirato alla
cooperazione, nell'interesse dei cittadini e dell'istituzione. L'infermiere ha il dovere di opporsi alla
compensazione quando vengano a mancare i caratteri della eccezionalità o venga pregiudicato il suo
prioritario mandato professionale.
6.3. L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi provvede a
darne comunicazione e per quanto possibile, a ricreare la situazione più favorevole.
6.4. L'infermiere riferisce a persona competente e all'autorità professionale qualsiasi circostanza che
possa pregiudicare l'assistenza infermieristica o la qualità delle cure, con particolare riguardo agli
effetti sulla persona.
6.5. L'infermiere ha il diritto e il dovere di segnalare al Collegio le situazioni in cui sussistono
circostanze o persistono condizioni che limitano la qualità delle cure o il decoro dell'esercizio
professionale.
Articolo 7. Disposizioni finali
7.1. Le norme deontologiche contenute nel presente codice sono vincolanti: la loro inosservanza è
punibile con sanzioni da parte del Collegio professionale.
7.2. I Collegi Ipasvi si rendono garanti, nei confronti della persona e della collettività, della
qualificazione dei singoli professionisti e della competenza acquisita e mantenuta.
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ARGOMENTI ESAME DI STATO
1.L’unità di degenza del malato e sua preparazione secondo varia e diversificata
complessità clinica ed assistenziale: responsabilità, competenze e delega.
L’unità di degenza rappresenta l’arredamento tipo di cui deve disporre il malato durante il periodo
di degenza in Ospedale.
Destinatario: paziente.
Obiettivo: fornire al malato un proprio spazio vitale che gli procuri comodità e un certo benessere
fisico e psichico.
Risorse umane: 2 infermieri professionali + 1 ausiliario.
L’unità di degenza è composta da:
Letto;
Comodino;
Poltrona, sedia;
Tavolo o piano;
Armadietto;
Sgabello;
Accessori ( luce individuale, pannello con prese).
Le pareti devono essere realizzate con materiali lavabili, disinfettabili e non usurabili. I pavimenti
dovrebbero essere di superficie liscia, antiscivolo e con angoli arrotondati per facilitare la pulizia.
Le finestre dovrebbero essere a doppio segmento, di facile apertura e chiusura.
Concetto di accoglimento: L’accoglimento è l’atto che porta ad accettare presso di sè una persona.
Accogliere un paziente significa riconoscere che la persona si trova in una condizione di bisogno. In
questo momento si instaura la relazione fra paziente ed infermiere che poi influenzerà tutto il
percorso di cura.
Modalità di accoglimento:
Variano da struttura a struttura ed addirittura nella stessa struttura le UO possono avere modalità
diverse. Inoltre anche la situazione sanitaria contingente del paziente può influire sulle modalità di
accoglimento (ricovero programmato, di routine o d’urgenza). Nelle strutture molto avanzate è
presente uno schema organizzativo programmato dell’accoglienza del paziente, l’obiettivo è quello
di creare un clima di tranquillità in grado di abbassare l’ansia e la paura del ricovero e di permettere
all’infermiere di lavorare con calma facendo ricorso alle sue competenze ed esperienze; in questo
modo quest’ultimo è in grado di cogliere informazioni significative osservando il paziente (
movimenti, postura, sguardo, tono di voce, silenzio, aspetto, etc).
ESEMPIO DI UN PROTOCOLLO PER L’ACCOGLIMENTO
Definizione: possibilità di standardizzare e programmare le azioni infermieristiche nel momento
dell’accoglimento del paziente nell’unità di cura.
Obiettivi: garantire la sicurezza al paziente attraverso l’individuazione delle azioni dell’infermiere
uniformandole per tutto il personale. Fornire tutte le informazioni al paziente attraverso una
comunicazione strutturata. Stabilire le priorità degli interventi in relazione alla situazione del
paziente e alla modalità di ricovero. Stabilire la natura dei dati da raccogliere e le informazioni da
dare.
Procedura:
Presentarsi al paziente (divisa pulita ed in ordine, cartellino di riconoscimento, etc).
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Valutare aspetto del paziente, mimica, condizioni fisiche, eventuale presenza di dolore, pianto,
…..(in caso emergenza adottare altro protocollo per accoglimento in situazione di emergenza).
Far accomodare il paziente nella stanza (stanza ad hoc, tranquilla, evitare le presenza di altre
persone, evitare gli stimoli rumorosi e luminosi).
Nella stanza illustrandogli l’arredamento con i relativi accessori (prese, luci etc.), tra cui il
campanello se ne avesse bisogno, in caso il paziente avesse necessità di utilizzarli e se necessario
adattarli alle sue esigenze.
Raccolta dati strutturata ( cartella clinica o infermieristica o integrata oppure fogli ad hoc,…)
Informare il paziente sul tipo di reparto, orari, abitudini etc, valutando se questi è in grado di
comprendere.
Chiedere se ha richieste particolari (servizio religioso, pasti, intolleranze, abitudini di vita,…)
Informare sui divieti (fumo, cibi da casa, uso del cellulare, …)
Presentare il reparto, camera, bagno, servizi, sale di soggiorno, etc)
Facilitare il riconoscimento delle varie professionalità.
Preparare il paziente per la visita medica o invitarlo a fare da solo (mettersi il pigiama, quale tipo
di pigiama,…)
Verifica: chiedere a distanza di tempo se ha capito e se ricorda quanto gli è stato detto. Eventuale
questionario sul momento dell’accoglimento (soddisfazione dell’utente).
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2.Igiene del paziente
competenze e delega.
secondo
diverse
complessità
assistenziali
responsabilità,
L’igiene personale è un bisogno fondamentale per l’uomo e pertanto deve essere inserita nel piano
di assistenza del paziente. Essa comprende:
la cura della pelle, dei capelli, delle unghie, dei denti, delle cavità orale e nasali, degli
occhi, delle orecchie e delle aree perineale e genitale.
È importante che gli infermieri conoscano esattamente il grado di dipendenza del paziente per
soddisfare al meglio il suo bisogno di igiene.
Per descrivere la tipologia di cure igieniche si parla di:
Assistenza infermieristica mattutina: prestata ai pazienti appena svegli. Consiste
nell’assistere il paziente allettato, provvedendo prima al bisogno di eliminazione, fornendo
al paziente un pappagallo o una padella, poi al bisogno dell’igiene del viso, della bocca e
delle mani.
Assistenza infermieristica quotidiana: effettuata di solito dopo che il paziente ha terminato
la colazione, ma molte volte viene pianificata anche prima della colazione. Viene dato un
pappagallo o una padella al paziente, vengono effettuate le cure igieniche totali o parziali
che prevedono il bagno o la doccia, l’igiene perineale, orale, delle unghie, l’igiene dei
capelli e il massaggio della schiena. Dopo aver eseguito le cure igieniche si provvede al
rifacimento del letto.
Assistenza infermieristica pomeridiana: fornire il pappagallo o la padella al paziente, nel
cambio di posizione, nell’igiene delle mani, del viso e della bocca.
Assistenza infermieristica serale: erogata prima che i pazienti si addormentino. Prevede
normalmente la risposta al bisogno di eliminazione, di mobilità (cambiare la posizione del
paziente) e di igiene delle mani, del viso e della bocca.
Assistenza infermieristica al bisogno: effettuata su richiesta del paziente. Ad esempio,
quando è in stato febbrile (con una forte sudorazione) e può avere bisogno di lavarsi e di
effettuare il cambio della biancheria e del vestiario in modo frequente.
Cure igieniche totali:
Bagno e cura della cute
Il bagno va ad eliminare sostenze oleose, cellule morte, sudore e alcuni batteri dalla pelle.
Bisogna sapere che un eccessivo lavaggio può ridurre l’effetto del sebo naturale provocando una
secchezza cutanea. Questo dato assume particolare importanza nelle persone anziane, che
producono una quantità limitata di sebo (secrezione delle ghiandole sebacee).
Oltre a pulire la cute, il bagno stimola anche la circolazione sanguigna. Un bagno caldo dilata le
arteriole superficiali aumentando la quantità di sangue che arriva a livello periferico e quindi il
nutrimento della cute. Lo “sfregamento” vigoroso ha lo stesso effetto. “Sfregare” le estremità dalla
parte distale a quella prossimale (dal punto più lontano del corpo al più vicino) migliora il flusso di
sangue venoso. Il bagno dà anche una sensazione di benessere: rinfresca, rilassa ed influisce sulle
condizioni psicologiche del paziente.
Bisogna sapere che un eccessivo lavaggio può ridurre l’effetto del sebo naturale provocando una
secchezza cutanea. Questo dato assume particolare importanza nelle persone anziane, che
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producono una quantità limitata di sebo (secrezione delle ghiandole sebacee). Nelle persone ansiane
bisogna limitare l'uso del borotalco.
Fare il bagno ad un paziente è un momento fondamentale per l’infermiere, per valutarne le
condizioni generali. L’infermiere può valutare le condizioni fisiche generali e della cute del
paziente per rilevare per es. la presenza di zone ischemiche sulle prominenze ossee.
Tipi di bagno:
Il bagno praticato al paziente può essere di due tipi: di pulizia e terapeutico.
Il bagno di pulizia si esegue soprattutto per scopi igienici e comprende:
-Bagno completo a letto: l’infermiere eroga le cure igieniche totali ad un paziente
completamente dipendente e allettato;
-Bagno parziale a letto: i pazienti allettati, ma solo parzialmente dipendenti, possono
necessitare dell’aiuto dell’infermiere solo per lavarsi la schiena e qualche volta per lavarsi i
piedi;
-Cure igieniche parziali: l’igiene viene effettuata solo nelle parti del corpo del paziente che,
se non lavate, possono causare disagio o cattivo odore: la faccia, le mani, le ascelle, l’area
perineale e la schiena. Non vengono comprese in questo caso le braccia, il petto, l’addome,
le gambe ed i piedi. L’infermiere eroga queste cure al paziente completamente dipendente
ed assiste il paziente parzialmente dipendente allettato a lavarsi la schiena. Alcuni pazienti
preferiscono praticare le cure igieniche parziali, in modo autonomo, vicino al lavandino.
L’infermiere in questo caso può effettuare l’igiene della schiena;
-Bagno con l’asciugamano: è un lavaggio a letto in cui viene utilizzata una soluzione
contenente un detergente e una soluzione emolliente mischiati con acqua;
-Bagno in vasca: preferito al bagno a letto perché è più facile lavarsi e sciacquarsi. Le
vasche sono usate anche per i bagni terapeutici. L’assistenza infermieristica necessaria
dipende dalle abilità del paziente. Esistono vasche speciali disegnate per pazienti dipendenti.
Questi bagni danno benefici maggiori di una spugnatura nel letto.
-Bagno a secco : non necessita di risciaquo.
-Doccia: molti pazienti ambulatoriali posso usare la doccia ed è richiesta solo una minima
assistenza da parte dell’infermiere. Pazienti lungodegenti necessitano spesso di doccia.
Viene utilizzata la comoda (sedia per doccia). Le ruote permettono ai pazienti di trasferirsi
dalla loro stanza alla doccia. Questa sedia ha anche un sedile aperto che facilita la pulizia
dell’area perineale durante la doccia.
I bagni terapeutici si eseguono per i loro effetti fisici, come per diminuire l’irritazione della cute o
per curare un’area (es. il perineo). Le medicazioni possono essere sciolte nell’acqua.
Processo di NURSING: Cure igieniche totali
Interventi :
 Provveder alla privacy;
 Provvedere alla sicurezza dell'ambiente: non ci devono essere passaggi di corrente nella
zona circostante;
 Lavarsi le mani prima del bagno;
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


Spiegare al paziente cosa si sta facendo;
Nel bagno totale bisogna prima effettuare la pulizia del peritoneo e dei genitali;
Iniziare il bagno dalla zona più pulita e proseguire verso quella più sporca, dall'alto verso il
basso ( dal viso ai piedi);
 Lavare in senso distale-prossimale con acqua tiepida, migliora la circolazione sanguigna e
stimola il ritorno venoso.
Valutare:
Le condizioni della cute (colore, trauma, turgore, la presenza di macchie pigmentate,
temperatura, lesioni, escoriazioni e abrasioni);
Fatica del paziente;
La presenza di dolore e necessità di terapie farmacologiche aggiuntive (es. analgesico)
prima del bagno;
La necessità di guanti monouso durante il bagno.
Delega:
L’infermiere può delegare le cure igieniche al personale di supporto, ma rimane comunque
responsabile della valutazione e dell’assistenza al paziente. L’infermiere deve:
Informane il personale di supporto sul tipo di bagno adatto per il paziente e le eventuali
precauzioni da prendere e specifiche per la sua necessità;
Istruire il personale di supporto a informare l’infermiere su ogni evidenza o variazione (es.
rossore, lesione della cute eruzione cutanee) in modo che possa valutare la necessità di
intervento e documentarla;
Istruire il personale di supporto a incoraggiare il paziente a compiere il più possibile
attività autonome appropriate per conseguire indipendenza e stima di sé;
Ottenere un rapporto completo dal personale assegnato al paziente.
Cure del perineo e dei genitali:
La cura del perineo e dei genitali è anche indicata come cura perineale. La cure perineale, come
parte del bagno a letto, è fonte di imbarazzo per molti pazienti ma anche per l’infermiere
inizialmente può essere fonte di imbarazzo, in particolare con i pazienti dell’altro sesso.
Molti pazienti, anche se necessitano del bagno a letto, possono pulire la loro area perineale con
un’assistenza minima. L’infermiere può fornire alcune pezze inumidite e sapone al paziente,
provvedere al risciacquo della parte e a dargli un asciugamano. Poiché alcuni pazienti non
conoscono bene la terminologia dei genitali e del peritoneo, può essere difficile per l’infermiere
spiegare che cosa si deve fare. Qualunque espressione usi l’infermiere, è necessario che sia
compresa dal paziente.
L’infermiere deve provvedere alla cura perineale in modo efficiente e pratico.
L’infermiere deve indossare i guanti mentre esegue l’igiene perineale per il benessere del
paziente e per proteggersi dalle infezioni.
Processo di NURSING: Igiene perineale e genitale
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Valutare la presenza di:
Irritazioni, escoriazioni, infiammazione, gonfiore;
Eccessiva escrezione;
Odore, dolore o disagio;
Incontinenza di feci o urine;
Recente chirurgia rettale o perineale;
Presenza di catetere a permanenza.
Determinare:
Le pratiche eseguite per la pulizia perineale;
Il grado di autosufficienza per eseguire l’igiene perineale e rettale.
Delega:
le cure igieniche del perineo e dei genitali possono essere delegate al personale di supporto previa
valutazione della loro conoscenza e abilità e del grado di complessità assistenziale. Se per esempio
un paziente ha subito una chirurgia perineale, rettale o genitale, l’infermiere deve valutare la
capacità del personale di supporto a eseguire le cure igieniche del perineo e dei genitali.
PROCEDURA INFERMIERISTICA: Igiene perineale
Materiale occorrente:
Cure perineali e genitali praticate durante le cure igieniche a letto
Asciugamano da bagno;
Telo da bagno;
Guanti;
Bacinella con acqua tiepida;
Sapone.
Igiene della zona perineale e genitale
Asciugamano da bagno;
Telo da bagno;
Guanti;
Contenitore di acqua tiepida o di soluzione prescritta;
Padella per raccogliere l’acqua di lavaggio.
Pianificazione assistenziale
Determinare se il paziente ha avuto disturbi dell’area genitale;
Preparare il materiale necessario;
Tecnica
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1.Spiegare al paziente che cosa si sta facendo e perché e come può collaborare, rispettando il
suo eventuale imbarazzo;
2.Lavare le mani e osservare le procedure per il controllo delle infezioni (es. uso dei guanti);
3.Provvedere alla riservatezza del paziente;
4.Preparare il paziente ( piegare le lenzuola ai piedi del letto e il camice in alto per scoprire
l’area genitale, mettere un asciugamano da bagno o traversa monouso sotto le anche del
paziente. L’asciugamano evita che il letto si sporchi);
5.Posizionare e coprire il paziente; coprire la parte alta delle cosce:
Donne
Posizionare la donna in posizione supina con le ginocchia flesse e aperte (abdotte);
Garantire la privacy;
Indossare i guanti;
Lavare e asciugare la parte alta delle cosce.
Uomini
Posizionare il paziente in posizione supina con le ginocchia flesse e con le anche ruotate
esternamente;
Indossare i guanti; lavare e asciugare la parte alta delle cosce.
6.Ispezionare l’area perineale
Osservare particolari aree di infiammazione, escoriazione, tumefazioni, specialmente tra le
labbra della vagina nella donna e tra le pieghe scrotali del maschio.
Osservare la presenza di eccessive escrezioni la presenza di odori.
6.Lavare e asciugare l’area perineale e genitale:
Donne
Pulire le grandi labbra. Quindi, aprirle per lavare le pieghe tra le grandi e le piccole labbra.
Le secrezioni che tendono a raccogliersi intorno alle piccole labbra facilitano la crescita
batterica.
Usare cotone idrofilo monouso, cambiarlo per ogni passaggio di pulizia procedendo dal
pube al retto. L’uso di cotone idrofilo pulito ad ogni passaggio previene la trasmissione di
microorganismi da una parte all’altra. Pulire l’area con minore contaminazione (di solito il
pube) a quella maggiormente contaminata (di solito il retto).
Lavare bene l’area. Mettere una padella sotto la paziente e usare una brocca per versare
l’acqua tiepida sull’area. Asciugare bene il perineo facendo particolare attenzione alle
pieghe delle labbra vaginali. L’umidità favorisce la crescita di molti microrganismi.
Uomini
Lavare e asciugare il pene strofinando efficacemente. Mantenere fermamente il pene per
prevenire l’erezione.
Se il paziente non è circonciso, ritrarre il prepuzio ed esporre il glande (punta del pene) per
pulirlo. Ricoprire il glande dopo averlo ripulito. La retrazione del prepuzio è necessario per
rimuovere lo smegma (secrezione biancastra) che si raccoglie nel solco del prepuzio e
facilita la crescita batterica. Ricoprire il glande previene la costrizione del pene, che può
causare edema.
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lavare e asciugare lo scroto. La piega posteriore dello scroto necessita di essere pulita
insieme ai glutei. Lo scroto tende ad essere più sporco del pene per la sua vicinanza al
retto, pertanto viene di solito pulito dopo il pene.
7.Ispezionare gli orifizi perineali per verificare la loro integrità:
Osservare attentamente intorno all’uretra per i pazienti con catetere a permanenza. Il
catetere può causare escoriazioni intorno all’uretra.
8.Pulire tra le natiche:
Aiutare il paziente a girarsi con la schiena di fronte a sé;
Porre particolare attenzione all’area anale e alla piega posteriore dello scroto negli uomini.
Se necessario pulire l’ano con fazzoletti di carta prima di lavarlo.
Asciugare l’area perineale.
Nelle donne con mestruazioni o dopo il parto, applicare un assorbente dalla zona vaginale a
quella anale. Questo previene la contaminazione della vagina e dell’uretra dall’area anale.
9.Documentare tutte le informazioni utili. Riportare tutti i dati sulla cartella infermieristica
del paziente e nel piano assistenziale. Annotare la presenza di lesioni e di zone con rossore,
escoriazioni ed edemi.
Azioni di nursing
Confrontare i dati attuali con quelli precedenti;
Condurre un appropriato controllo sulle medicazioni prescritte per le escoriazioni.
Riferire al medico tutte le alterazioni rispetto alla norma.
Igiene orale:
L’infermiere è spesso l’operatore più idoneo ad aiutare il paziente a mantenere l’igiene orale
fornendo aiuto o insegnando ai pazienti a pulire i loro denti e la cavità orale o provvedendo alle cure
della bocca dei pazienti dipendenti. Bisogna rimuovere la placca e pulire sotto i margini gengivali.
Importante è lo stimolo delle gengive per la circolazione sanguigna.La spazzolatura deve essere
meccanica per rimuovere i batteri.
Le dentiere artificiali, come i denti naturali, raccolgono microorganismi e cibo. Devono essere
pulite regolarmente, almeno una volta al giorno. Si possono rimuovere dalla bocca, spazzolare con
uno spazzolino da denti, sciacquare e reinserire, le gengive vanno stimolate prima dell'inserimento
della dentiera. Alcune persone usano un dentifricio (pasta o polvere) per pulire i denti, altri usano
prodotti commerciali per pulire le protesi.
Igiene orale speciale:
Nel paziente debilitato o incosciente o che abbia una eccessiva secchezza, dolore o irritazione della
bocca, può essere necessario, pulire la mucosa orale e la lingua oltre ai denti, il viso di lato e
bisogna far uscire la saliva dalla bocca. Ogni struttura ha un suo protocollo da seguire per le cure
speciali delle bocca e per quanto riguarda la frequenza con la quale devono essere prestate. A
seconda della bocca del paziente, le cure speciali possono essere necessarie ogni 2-8 ore.
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Le cure della bocca in pazienti non coscienti o debilitati sono importanti perché la loro bocca tende
a diventare asciutta e, di conseguenza, predisposta ad infezioni. La secchezza si verifica perché il
paziente non può assumere liquidi per bocca, respira spesso attraverso la bocca o riceve ossigeno
che tende ad asciugare le mucose.
L’infermiere può usare i tamponi di schiuma per pulire le mucose. L’uso continuo di tamponi al
limone e glicerina può favorire la secchezza delle mucose e qualche alterazione nello smalto dei
denti. L’olio minerale è controindicato perché la sua aspirazione può causare un’infezione
(polmonite da liquidi). Il perossido di idrogeno non è raccomandato per le cure orali perché esso
altera la mucosa orale sana e può alterare la microflora della bocca.
È raccomandata la normale
soluzione salina.
Processo di NURSING: Igiene orale
Raccolta dati
Determinare le capacità del paziente alle cure personali;
Determinare le abituali cure della bocca praticate dal paziente;
Ispezionare labbra, gengive, mucosa orale e lingua per eventuali anomalie;
Identificare la presenza di problemi orali come: carie dentali, alitosi, gengivite, perdita o
rottura dei denti;
Controllare se il paziente stia usando ponti, o dentiere. Se il paziente ha dentiere, chiedere
se sono presenti gonfiori o dolenzie e, in caso positivo, la loro ubicazione per le valutazioni
future.
Delega
L’igiene della bocca, la pulizia interdentale e dei denti e le cure delle dentiere possono essere
delegate al personale di supporto previa valutazione delle loro conoscenze e abilità e del grado di
complessità assistenziale. Dopo una dimostrazione della pratica da seguire per una corretta igiene
orale, l’infermiere deve istruire il personale di supporto sul tipo e sulla frequenza delle cure
necessarie al paziente. Il personale di supporto deve riferire all’infermiere lo stato della mucosa
orale del paziente.
Cura dei capelli:
L’aspetto dei capelli riflette spesso i sentimenti di autostima e di benessere di una persona. Una
persona malata non può più provvedere alla cura dei capelli come prima. Cuoio capelluto e capelli
sporchi provocano prurito, disagio ed emanano un cattivo odore. I capelli possono riflettere anche lo
stato di salute (es. eccessiva ruvidità e secchezza si possono associare con disturbi endocrini come
l’ipotiroidismo).
I problemi più comuni dei capelli sono:
Alopecia (perdita dei capelli): può essere causata da chemioterapia o radioterapia locale;
Forfora: desquamazione del cuoio capelluto. Accompagnata spesso a prurito. Può essere
trattata in modo efficace con uno shampoo commerciale.
Pediculosi - tra i più comuni:
Il pidocchio della testa: si trova sul cuoio capelluto e rimane nascosto tra i capelli.
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Il pidocchio del corpo: tende ad aderire all’abbigliamento; quando un paziente si spoglia, il
pidocchio non può essere visto sul corpo. Succhia il sangue della persona e depone le uova
nei vestiti.
Piattola: si trova nei peli del pube.
Ipertricosi: eccessiva crescita dei peli del corpo. La causa non è sempre conosciuta.
Lavare i capelli con uno shampoo. I capelli devono essere lavati ogni volta sia necessario. Ci sono
diversi modi di lavare i capelli dei pazienti, a seconda del loro stato di salute, forza e età. Il paziente
che sia abbastanza autosufficiente da eseguire una doccia può lavare i capelli con uno shampoo
mentre fa la doccia. Il paziente che non è in grado di lavarsi può fare uno shampoo seduto su una
sedia davanti ad un lavandino. Il paziente che deve rimanere a letto può fare uno shampoo con
l’acqua che defluisce a lato del letto.
L’acqua usata per lo shampoo deve essere confortevole e per non ferire il cuoio capelluto, sia per
adulto che per un bambino. Lo shampoo è liquido o in crema. Se il lavaggio dei capelli è fatto per
distruggere dei parassiti, si dovrebbe usare uno shampoo medicato. È anche disponibile uno
shampoo a secco, questo riesce a rimuovere parte della sporcizia, dell’odore e dell’unto. Lo
svantaggio principale è che provoca secchezza dei capelli e del cuoio capelluto.
La frequenza del lavaggio dei capelli di una persona è soggettiva e dipende in gran parte dalle
attività della persona e dalla quantità di sebo secreto dal cuoio capelluto. I capelli grassi tendono a
diventare fibrosi e sporchi, provocando un senso di sporco nella persona.
Cura della barba e dei baffi
Richiedono una cura quotidiana. L’aspetto più importante delle cure è il mantenerli puliti. Le
particelle di cibo tendono a raggrupparsi nella barba e nei baffi, che necessitano di periodici lavaggi
e pettinature. I pazienti possono desiderare anche una rasatura della barba o dei baffi per mantenere
un aspetto pulito. Barba o baffi non devono essere rasati senza l’autorizzazione del paziente.
Frequentemente, i pazienti hanno un proprio rasoio elettrico o rasoi di sicurezza.
Processo di NURSING: Cura dei capelli
Raccolta dati:
Determinare:
Anamnesi di condizioni o terapie: recente chemioterapia, ipotiroidismo, inspiegabile
perdita dei capelli ed eccessiva crescita dei peli del corpo;
Le abituali pratiche per la cura dei capelli ed i prodotti usati (es. lacca per capelli, balsamo,
brillantina, tintura per capelli, arricciatura o stiratura).
Se bagnare i capelli renderà più difficile pettinarli. I capelli crespi sono più facili da
pettinare quando sono bagnati e molto difficili da pettinare quando si asciugano.
Valutare
Le condizioni dei capelli e del cuoio capelluto. I capelli sono lisci, ricci o crespi? Sono
arruffati o aggrovigliati? Il cuoio capelluto è secco?
L’uniformità della crescita dei capelli sul cuoio capelluto e, in particolare, ogni zona di
perdita dei capelli; la trama dei capelli, l’untuosità, lo spessore o la sottigliezza; la presenza
di lesioni, infezioni o infestazioni del cuoio capelluto;
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L’autonomia delle cure (es: ogni problema sulla cura dei capelli).
Delega
La spazzolatura e pettinatura dei capelli, il lavaggio dei capelli e la rasatura del volto possono essere
delegati al personale di supporto se non sono presenti specifiche controindicazioni alla procedura
(ad es danno o trauma spinale cervicale) l’infermiere deve valutare le conoscenze e l’esperienza del
personale di supporto.
Igiene dei piedi:
Particolarmente importante nei pazienti che hanno infezioni o abrasioni. A causa della ridotta
circolazione periferica dei piedi, i pazienti con diabete, o malattie vascolari periferiche sono
particolarmente soggetti a infezioni se si verificano lesioni della cute. Molti problemi si possono
prevenire insegnando al paziente semplici istruzioni per la cura dei piedi.
Le cure dei piedi e delle unghie sono spesso eseguite durante il bagno del paziente ma, possono
essere prestate a qualunque ora del giorno a seconda delle preferenze del paziente e dell’orario.
Processo di NURSING: Cura dei piedi
Valutare
Anamnesi di ogni problema che può essere correlato con l’odore dei piedi; disagio ai piedi;
mobilità dei piedi; problemi circolatori (ad es. gonfiore, variazioni di temperatura e di colore
della pelle, e dolore); problemi strutturali (ad es. calli, dita sovrapposte)
Le abituali pratiche di cura dei piedi (ad es. la frequenza di lavaggio dei piedi e di taglio
delle unghie, prodotti utilizzati per l’igiene dei piedi, quanto spesso sono cambiate le scarpe
o se il paziente cammina sempre a piedi nudi)
La superficie cutanea per la pulizia, l’odore, la secchezza e l’integrità.
Ogni piede e dito del piede per forma, grandezza e presenza di lesioni (es. duroni, calli,
verruche o eruzioni) e le aree di gonfiore ed edema della caviglia.
La temperatura cutanea dei piedi per valutare le condizioni circolatorie e la pulsazione
dell’arteria dorsale del piede.
L’autonomia delle cure ( ad es. ogni problema sulla cura dei piedi)
Delega
Le cure dei piedi dei pazienti non diabetici possono essere delegate al personale di supporto, il
quale deve riferire all’infermiere tutti i dati rilevati. Visionare con il personale di supporto i
protocolli su taglio e limatura delle unghie.
Linee guida per l’igiene dei piedi:
Lavare i piedi quotidianamente e asciugarli bene, soprattutto negli spazi interdigitali.
Ispezionare lo stato della cute dei piedi durante il lavaggio per valutare la presenza di
escoriazioni. Se necessario utilizzare uno specchio per visualizzare tutte le zone dei piedi.
Prevenire le ustioni controllando la temperatura dell’acqua prima di immergere i piedi.
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Usare creme o lozioni per inumidire la cute o mettere a bagno i piedi nell’acqua con Sali
per evitare di essiccare in modo eccessivo la cute dei piedi. La lozione ammorbidisce anche
le zone callose. La lozione che riduce l’eccessiva aridità della cute è un composto di lanolina
e olio minerale.
Prevenire e/o controllare l’odore sgradevole dovuto alla perspirazione eccessiva del piede:
lavare i piedi frequentemente e cambiare spesso le scarpe. Se possibile, usare un deodorante
speciale spray o in polvere specifico per i piedi.
Limare le unghie del piede piuttosto che tagliarle, per evitare tagli cutanei. Limare le
unghie diritte nella parte finale delle dita del piede. Se le unghie sono troppo spesse o
deformi per essere limate, consultare un podologo.
Indossare calzini puliti e lavarli spesso. Evitare di utilizzare calzini con buchi o con
cuciture che possono causare zone di pressione sul piede.
Usare scarpe appropriate che non costringano il piede e non facciano pressione su nessuna
area: lo sfregamento della scarpa sul piede può causare abrasioni e calli. Controllare le
scarpe usate per le alterazioni del rivestimento interno. Indossare le calzature nuove per 3060 minuti ogni giorno per adattarle al piede.
Evitare di camminare a piedi nudi perché questo facilita l’insorgere di infezioni o traumi.
Indossare pantofole nei bagni pubblici e negli spogliatoi per evitare di contrarre il piede
d’atleta o altre infezioni.
Esercitare il movimento dei piedi durante il giorno per facilitare la circolazione. Muovere i
piedi verso l’alto, verso il basso, e in cerchio.
Evitare traumi dovuti ad indumenti troppo stretti, ad es. calze elastiche, ed evitare di
sedersi con le gambe accavallate per non ridurre la circolazione sanguigna.
Usare una coperta per coprire i piedi quando sono freddi ed evitare di usare borse di acqua
calda o altre modalità di riscaldamento per evitare ustioni. Controllare la temperatura
dell’acqua prima di usarla.
Lavare completamente le soluzioni di continuo presente sul piede, applicare un blando
antisettico e riferire al medico tutti i dati utili.
Evitare di curarsi da soli abrasioni e calli l’uso della pietra pomice e altri interventi sui calli
e sulle abrasioni possono essere dannosi per la cute. Consultare un podologo e/o un medico.
Riferire al medico i dati rilevati sulla lesioni, abrasioni, dolore, rossore o calore e la
sensibilità del piede.
Cura delle orecchie:
Normalmente le orecchie richiedo una minima igiene. Possono richiedere l’assistenza
dell’infermiere i pazienti che presentano cerume eccessivo e pazienti dipendenti che portano
apparecchi acustici.
-Pulire le orecchie:
I padiglioni auricolari si puliscono durante il bagno. L’infermiere o il paziente devono rimuovere il
cerume eccessivo visibile o che causa fastidio o difficoltà nell’udito. Il cerume visibile si può
liberare e rimuovere tirando il padiglione in alto e in dietro. Se questa misura è inefficace, è
necessaria l’irrigazione. Bisogna ricordare ai pazienti di non usare mai tamponi di cotone per
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rimuovere il cerume. Questi possono ferire il canale uditivo e rompere la membrana timpanica. I
tamponi di cotone (cotton-fioc) possono provocare un compattamento del cerume nel canale
uditivo.
-Gestione dell’apparecchio acustico:
Un apparecchio acustico è un amplificatore di suoni a batteria usato per aiutare le persone con udito
danneggiato. Questo consiste di un microfono che acquisisce i suoni e li converte in energia
elettrica, un amplificatore che amplifica elettronicamente l’energia elettrica, un ricevitore che
converte l’energia amplificata nuovamente in suoni e un auricolare che dirige il suono
nell’orecchio. Per un corretto funzionamento, gli apparecchi acustici richiedono un’appropriata
manipolazione durante l’introduzione e la rimozione, una pulizia regolare (non usare l'alcool) e la
sostituzione delle batterie esaurite. Prima di reitrudurlo nella cavità lavare il padiglione. Non
bisogna tenere il volume del'apparecchi alto perchè provoca angoscia al pazinete. Con una corretta
manutenzione, gli apparecchi acustici durano in media da 5 a 10 anni e hanno generalmente bisogno
di essere ritarati ogni 2-3 anni.
Processo di NURSING: Cura delle orecchie
Raccolta dati
Valutare se il paziente abbia avuto problemi con l’udito o con gli apparecchi acustici. Valutare la
presenza di infiammazioni, eccessivo cerume, secchezza o disturbi dell’orecchio esterno.
Delega
L’infermiere può delegare la gestione dell’apparecchio acustico al personale di supporto. È
comunque importante per l’infermiere conoscere la corretta procedura di manutenzione
dell’apparecchio acustico. Il personale di supporto comunque deve riferire tempestivamente
all’infermiere la presenza di infiammazione delle orecchie, disagio, eccessivo cerume o secrezioni e
relazionare sulla procedura effettuata.
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3.Assistenza al paziente durante l’espletamento delle sue funzioni fisiologiche:
responsabilità, competenze e delega.
L’assistenza di un paziente durante l’espletamento delle sue funzioni fisiologiche (minzione e
defecazione) necessita di un corretto utilizzo di padelle e della storta (pappagallo).
Per quanto concerne le padelle esistono due principali tipi: la standard, o padella a bordi alti, e la
padella da frattura, o padella a pantofola.
L’infermiere deve determinare i bisogni dell’individuo e provvedere poi a fornire un adeguata
assistenza.
Padella e Storta
La padella e la storta (pappagallo) sono appositi recipienti che permettono di far defecare e urinare
i pazienti allettati; ne esistono di diversi tipi.
La storta viene utilizzata per gli uomini; la padella per le donne. Le pazienti di sesso femminile
utilizzano la padella per urinare e per evacuare, mentre gli uomini generalmente utilizzano il
pappagallo per urinare e la padella per evacuare. Questi contenitori sono disponibili in acciaio
inossidabile o plastica.
Sono disponibili, inoltre, padelle e pappagalli in cartone impermeabilizzato, monouso, o apposite
foderine, anch’esse monouso, da applicare a tali recipienti.
Linee guida per l’utilizzo delle padelle e dei pappagalli
Il corretto utilizzo delle padelle e dei pappagalli è strettamente correlato alla prevenzione della
trasmissione dei microrganismi e all’impatto psicologico che le persone attribuiscono
all’eliminazione.
Per mantenere l’asepsi dovrebbe essere consegnato un dispositivo personale a ogni paziente
ospedalizzato.
I dispositivi vengono custoditi in luoghi appositi, fuori dalla vista.
Le unità del paziente sono disegnate e progettate con uno specifico comparto per collocare i
dispositivi, non visibile agli altri e separato dagli oggetti personali del paziente. Esso è di solito
separato anche dagli altri presidi usati per le cure igieniche. Le corrette norme igieniche proibiscono
il collocamento della padella sul pavimento, sotto il letto o sopra l’unità del paziente.
Un copri padella pulito viene posto sulla padella dopo l’uso per il trasporto dal o al letto.
Le padelle devono essere sempre afferrate dall’esterno. La padella da frattura (o pantofola) ha
manici che l’infermiere può usare per il trasporto. La padella standard ha bisogno di essere
sostenuta con entrambe le mani, alla base, per il trasporto.
Dopo l’utilizzo, questi presidi vanno detersi e asciugati attentamente. Dopo lo svuotamento il
materiale monouso viene eliminato a differenza dei dispositivi di plastica che vengono riconsegnati
al paziente. Apparecchiature per il lavaggio e soluzioni disinfettanti sono localizzate nei bagni o nei
locali addetti allo sporco. Le padelle e i pappagalli, per essere riutilizzati, hanno bisogno di un
periodico trattamento di sterilizzazione presso i servizi addetti allo sporco.
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Procedure infermieristiche per l’applicazione della padella e del pappagallo
Assistere il paziente che necessita della padella per evacuare
Materiale occorrente:
Padella pulita e copri padella;
Carta igienica;
Catino con acqua, sapone, panno e asciugamano;
Deodorante per ambienti (se disponibile);
Contenitore per il prelievo di campioni, se necessario.
Guanti monouso;
Traversa monouso.
Pianificazione assistenziale:
Riscaldare la padella, se è di metallo, lavandola con acqua calda (quanto basta in modo da non
provocare ustioni), asciugare l’esterno e posizionarla ai piedi del letto o su una sedia adiacente. Una
padella fredda, può determinare tensione, con successiva difficoltà nell’eliminazione.
Sistemare il letto all’altezza idonea per non affaticare la schiena durante la mobilizzazione del
paziente.
Sollevare la sponda del letto dal lato opposto per prevenire possibili cadute e per dare al paziente un
appiglio per la mano in caso di necessità.
Tecnica:
Spiegare al paziente che cosa si sta facendo e perché e come può collaborare.
Lavare le mani e osservare le procedure per il controllo delle infezioni.
Provvedere alla riservatezza del paziente.
Preparare il paziente.
Per i pazienti che possono collaborare sollevando il bacino, sistemare la biancheria del letto
in modo da esporre la zona da trattare e sollevare gli indumenti per non farli bagnare durante
la procedura. Piegare la biancheria da letto esponendo l’anca e sistemare il pigiama per
evitare cadute accidentali dentro la padelle.
Per i pazienti che non possono sollevare il bacino, piegare la biancheria e le coperte da letto
fino alle anche.
Posizionare la padella.
Per i pazienti che possono sollevare il bacino:
Chiedere al paziente di flettere le ginocchia, spingere con la schiena e i calcagni e sollevare
il bacino. Il paziente può utilizzare una capra, se presente, o afferrare la sponda di lato per
l’appoggio. Assistere il paziente nel sollevare il bacino, ponendo una mano sotto la testa e
una sul fondoschiena della persona, appoggiando il gomito sul materasso, e usando
l’avambraccio come una leva. L’uso corretto della macchina del corpo è indispensabile per
prevenire distorsioni e inutili sforzi muscolari, sia all’infermiere sia al paziente.
Predisporre la traversa monouso dove sarà collocata la padella. Posizionare una padella
standard sotto i glutei con la punta verso i piedi del letto, poggiando il bacino sull’orlo
arrotondato morbido. Disporre una padella a pantofola (da frattura) con la parte piatta sotto
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le natiche del paziente. Una collocazione impropria della padella può determinare
l’abrasione cutanea dell’area sacrale e il rovesciamento del contenuto della padella.
Per i pazienti che non possono sollevare il bacino:
Assistere il paziente nell’assumere la posizione laterale.
Posizionare la padella sul bacino del paziente.
Far girare delicatamente il paziente supino mantenendo la padella in posizione.
Sollevare il letto in posizione semiseduta. Questa posizione diminuisce lo sforzo prodotto
dalla schiena del paziente e facilita l’eliminazione.
Se la persona è impossibilitata ad assumere la posizione semiseduta, posizionare un piccolo
cuscino sotto la schiena, oppure aiutare il paziente ad assumere la posizione più
confortevole.
Mettere un lenzuolo sul paziente.
Fornire al paziente la carta igienica, abbassare l’altezza del letto, mettere una sponda e assicurarsi
che il campanello gli sia vicino. Chiedere al paziente di chiamare al termine dell’evacuazione.
Lasciare il paziente solo quando si è sicuri di aver eseguito tutte le fasi della procedura. Avere tutto
il materiale pronto aiuta a prevenire le cadute del paziente.
Rimozione della padella:
Riposizionare il letto e il paziente nella posizione iniziale.
Rimuovere la padella nello stesso modo in cui è stata posizionata, tenendola con una mano
per evitare di versare il contenuto.
Coprire la padella e posarla su una sedia adiacente. Coprire la padella diminuisce gli odori
sgradevoli e l’imbarazzo del paziente.
Assistere il paziente rispettando le norme igieniche.
Attorcigliare la carta igienica diverse volte intorno alla mano inguantata e pulire la persona
dal pube all’ano cambiando ogni volta frammento di carta igienica. Pulire dalla zona meno
sporca a quella più sporca aiuta a prevenire il diffondersi di microrganismi.
Gettare la carta igienica sporca nella padella.
Lavare la zona sporca con acqua e sapone e asciugare accuratamente. Il lavaggio accurato e
l’asciugatura adeguata prevengono le abrasioni cutanee e l’accumulo di microrganismi.
Rimuovere la traversa e cambiare il lenzuolo se necessario.
Porgere al paziente il materiale per lavarsi e asciugarsi le mani. Il lavaggio delle mani è
considerato necessario per evitare il diffondersi dei microrganismi.
Provvedere alla rimozione degli odori sgradevoli nella stanza.
Spruzzare del deodorante per ambienti, salvo controindicazioni per problemi respiratori o
allergie. Gli odori prodotti durante l’eliminazione possono essere imbarazzi sia per paziente
che per i visitatori.
Riordinare la padella utilizzata.
Svuotare e pulire la padella se non è monouso. Coprirla con un copri padella pulito prima di
restituirla al paziente.
Documentare sulla cartella infermieristica tutte le informazioni utili.
Assistere il paziente che necessita di padella o pappagallo per la minzione
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Materiale occorrente:
Pappagallo o padella puliti.
Carta igienica
Contenitore appropriato per prelievo di urine, se richiesto.
Pianificazione assistenziale:
Posizionare il paziente in un decubito adeguato.
Sia gli uomini che le donne non autosufficienti possono preferire una posizione di semiFlower, l’uomo può preferire una posizione in piedi al lato del letto se le sue condizioni di
salute lo permettono.
Tecnica:
Spiegare al paziente che cosa si sta facendo e perché e come può collaborare.
Lavare le mani e osservare le procedure per il controllo delle infezioni.
Provvedere alla riservatezza del paziente.
Assistere il paziente nell’uso della padella o del pappagallo.
Consegnare la padella o il pappagallo al paziente in modo che possa posizionarlo
autonomamente, oppure, posizionare il dispositivo tra le gambe del paziente in modo che
l’urina fluisca all’interno.
Assicurarsi che il campanello sia raggiungibile dal paziente, in caso di richiesta di
assistenza.
Allontanarsi per 2-3 minuti o fino alla chiamata del paziente, oppure, rimanere vicino al
paziente se necessita di supporto nel mantenimento della postura o altro tipo di assistenza.
Assistere il paziente durante la rimozione del dispositivo per urinare, se necessario.
Asciugare con un fazzolettino il meato urinario se bagnato.
Assicurarsi che il perineo si asciutto.
Fornire il materiale necessario per la pulizia delle mani.
Cambiare il lenzuolo o traversa se bagnati.
Controllare l’urina se richiesto.
Svuotare e sanificare il dispositivo e riporlo di lato al letto del paziente.
Lavare le mani.
Documentare tutte le informazioni utili sulla cartella infermieristica.
Delega
Il personale infermieristico può delegare al personale di supporto l’assistenza ai pazienti durante
l’espletamento delle funzioni fisiologiche, previa valutazione delle loro conoscenze e abilità e del
grado di complessità assistenziale. Il personale di supporto deve informarsi sulla necessità di
raccogliere eventuali campioni di urine e feci prima dello smaltimento. I segni patologici devono
essere interpretati dall’infermiere.
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4.Applicazione di un catetere vescicale a permanenza: cateterizzazione intermittente;
responsabilità, competenza assistenziali.
La caterizzazione vescicale deve essere eseguita da personale infermieristico addestrato.
Il cateterismo urinario rappresenta l’introduzione di un catetere nella vescica attraverso l’uretra.
Tele tecnica deve essere eseguita solo quando è assolutamente necessaria e in presenza di una
precisa indicazione clinica.Viene rimosso sempre sotto indicazione del MMG.
La tecnica utilizzata per la cateterizzazione deve essere sterile. È importante introdurre un catetere
lungo il normale decorso dell’uretra in quanto si possono creare danni all’uretra se il catetere viene
forzato attraverso stenosi o introdotto con un’angolazione non corretta.
I cateteri sono misurati in base alla misura del diametro del lume e sono graduati con la
numerazione francese, in French; più alto è il numero, maggiore è la larghezza del lume. Le misure
14,16,18 sono le più utilizzate negli adulti. Gli uomini richiedono una misura più grande delle
donne.
Categorie di cateteri vescicali: i cateteri temporanei/ad intermittenza e i cateteri a permanenza.
Il catetere temporaneo o catetere di Nelaton è costituito da un tubo a singolo lume con un piccolo
occhiello o apertura sulla punta di inserzione.Sono cateteri privi di palloncino, in PVC trasparente.
Usati solo per in cateterismo ad intermittenza.
Il catetere a permanenza o catetere Foley contiene un secondo piccolo canale all’interno per tutta la
sua lunghezza. Dopo l’inserimento del catetere il palloncino viene gonfiato per mantenerlo ancorato
all’interno della vescica.
A 2 vie: La punta esterna del catetere a permanenza presenta una biforcazione con due aperture, una
per drenare l’urina e l’altra per gonfiare il palloncino.
A 3 vie: presentano un canale per l'urina, uno per il gonfiaggio del palloncino e uno per l'irrigazione
vescicale. Usato per patologie urologiche (es. in presenza di coaguli, presenza di urine
corpuscolate), attraverso il quale del liquido sterile può fluire all’interno della vescica. Dalla vescica
il liquido fuoriesce dal canale principale fino al contenitore di raccolta.
Spesso in pazienti con problemi urologici il catetere utilizzato è in silicone, introdotto però dal
personale medico.
Il catetere di Coudè o Mercier ( a gomito), che possiede una punta curvata. Questo dispositivo viene
utilizzato a volte negli uomini più anziani che presentano ipertrofia prostatica, in quanto il suo
passaggio nel glande è meno traumatico rispetto ad un catetere diritto. È piuttosto rigido ma
permette un controllo maggiore durante l’inserzione.
I palloncini di ancoraggio dei cateteri a permanenza sono misurati in base al volume di liquido o
aria con il quale possono essere gonfiati. Le due misure più comuni sono da 5 mL e da 30 mL.
Spesso troviamo da 5ml a 15 ml, bisogna fare la media dei due valori, quindi introdurre 10 ml per il
gonfiaggio del palloncino.
La misura del palloncino è indicata sul catetere insieme al suo diametro ( ad esempio 18 Fr/5mL15mL).
I cateteri a permanenza sono di solito collegati a un sistema di drenaggio chiuso a gravità. Questo
sistema è composto da un catetere, un tubo di drenaggio/raccolta, un sacchetto di
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drenaggio/raccolta. Un sistema chiuso riduce il rischio di contaminazione microbica all’interno del
tratto urinario in quanto non comunica con l’esterno.Per il circuito chiuso utilizzare un contenitore
pulito (pappagallo o contenitori per la raccolta delle urine) per lo svuotamento della sacca, se no si
va a sostituire la sacca porecedente con una nuova monouso.Le urine andranno svuotate in bagno ad
eccezione di urine infette.Le sacche sono o da letto (più lunhe) o da gamba, tenerle sempre sotto il
livello delòla vescica.
Quando si verifica l'ostruzione del catetere è preferibile cambiare il catetere piuttosto che ricorrere a
irrigazioni.
Pianificazione assistenziale
Prendersi tutto il tempo necessario per effettuare un cateterismo. Anche se per l’intera procedura
sono necessari un minimo di 15 minuti, diverse difficoltà possono prolungare i tempi. Se possibile
non effettuare la procedura subito prima o dopo i pasti.
Inserire il catetere con tecniche asettiche ed atrezzatura sterile.
Delega
L’inserimento di un catetere vescicale NON PUO’ essere delegato al personale di supporto.
Assistenza infermieristica per il cateterismo vescicale a permanenza:
Definizione:
Si intende l’introduzione in vescica attraverso l’uretra di una sonda urinaria o catetere, allo scopo di
prelevare urina
A Intermittenza: La sonda urinaria o catetere resterà in vescica per il tempo necessario
Gestione del Catetere: Il catetere deve essere sostituito dopo un periodo di 15 – 20 giorni al max
Indicazioni: Patologie a carico del SNC – Ritenzione - Incontinenza associata ad altri parametri –
Neoplasie - Interventi chirurgici - Introduzione di farmaci (istillazioni), di soluzioni per lavaggi o di
sostanze radiopache
Ambiente: Tranquillo e sicuro dal punto di vista igienico
Materiale per le Cure igieniche: su un carrello a 2 piani
detergente
cotone o garze
pinza anatomica
bricco
padella
telo
Materiale per il Cateterismo:
guanti sterili e non sterili
telo
disinfettante
garze sterili
lubrificante anestetizzante
reniforme
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catino
cerotto
siringhe da 10 o 20 ml
sacca di raccolta
catetere Foley a 2 o 3 vie o altra tipologia
Operatori: 2 infermieri
Tecnica:
Spiegare al paziente che cosa si sta facendo, perché e come può collaborare e che
l’inserimento del catetere può provocare una sensazione di svuotamento e di bruciore.
Lavare le mani e osservare le procedure per il controllo delle infezioni.
Provvedere alla riservatezza del paziente.
Mettere il paziente in una posizione adeguata e coprire tutte le zone tranne il perineo.
Donna: supina con le ginocchia flesse e ruotate esternamente.
Uomo: supino con le gambe leggermente abdotte.
Provvedere ad una adeguata illuminazione. L’infermiere si deve posizionare a destra del
paziente se è destrimano, a sinistra se è mancino.
Indossare i guanti sterili.
Bagnare le garze con la soluzione antisettica.
Aprire il lubrificante.
Lubrificare il catetere (da 3 a 6 cm per la donna, da 15 a 18 per gli uomini) e collegarne la
parte terminale alla sacca di raccolta.
Detergere il meato. Nota: la mano non dominante è considerata contaminata nel momento
in cui si tocca la cute del paziente.
Donna: utilizzare la mano non dominante per divaricare le grandi labbra. Assumere una
posizione ferma ma delicata. L’antisettico può rendere i tessuti scivolosi ma non bisogna
consentire alle grandi labbra di ricoprire il meato urinario. Prendere le pinze anatomiche
con la mano dominante e afferrare una garza imbevuta di disinfettante per detergere un lato
delle grandi labbra dall’alto verso il basso. Fare attenzione a non contaminare la mano
sterile mentre si detergono i genitali della paziente. Usare una nuova garza per il lato
opposto. Ripetere la procedura per le piccole labbra. Usare l’ultima garza per detergere
direttamente il meato.
Uomo: utilizzare la mano non dominante per mantenere il pene appena sotto il glande. Se
necessario ritirare il prepuzio. Tenere il pene fermo e diritto, leggermente teso. Mantenendo
il peno diritto si allinea anche l’uretra. Prendere le pinze anatomiche con la mano
dominante, afferrare una garza imbevuta di disinfettante e detergere dal centro del meato
con un movimento circolare intorno al glande. Fare attenzione a non contaminare la mano
sterile mentre si detergono i genitali del paziente. Prendere una nuova garza e ripetere la
procedura per tre volte. L’antisettico può rendere i tessuti scivolosi, ma non bisogna
consentire che il prepuzio ricopra il meato deterso o che il pene cada sull’addome.
Introdurre il catetere.
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Afferrare il catetere con fermezza 5-8 cm dalla punta. Chiedere al paziente di inspirare
profondamente e lentamente e inserire il catetere mentre egli inspira. Una leggere resistenza
mentre il catetere attraversa gli sfinteri è normale. Se necessario, ruotare il catetere e/o
applicare una leggere pressione mentre lo sfintere si rilassa. Far avanzare il catetere per altri
5 cm quando l’urina inizia a defluire per essere sicuri che sia entrato tutto in vescica.
Utilizzare un nuovo catetere se si toccano le grandi o piccole labbra o scivola in vagina, in
quanto in tal caso, viene considerato contaminato.
Tenere il catetere con la mano non dominante. Nei maschi adagiare il pene sul telo,
facendo attenzione che il catetere non si sfili.
Gonfiare il palloncino contrassegnato, in caso di catetere a permanenza.
Senza lasciare il catetere, tenere la valvola di riempimento nelle due dita della mano non
dominante mentre si collega la siringa e si gonfia il palloncino con la mano dominante. Se il
paziente lamenta fastidio aspirare il liquido instillato, far avanzare il catetere in avanti e
gonfiare nuovamente il palloncino. Tirare delicatamente il catetere finché non si avverte una
resistenza, per assicurarsi che il palloncino sia gonfiato e sia posizionato adeguatamente.
Collegare la porzione terminale del catetere alla sacca di raccolta.
Nel cateterismo a permanenza assicurare il tubo all’interno della coscia nelle donne, o alla
parte superiore della coscia nell’uomo. Inoltre appendere la sacca sotto il livello della
vescica.
Detergere l’area perineale da qualsiasi residuo di antisettico o lubrificante. Riposizionare il
paziente in un decubito comodo.
Eliminare tutto il materiale utilizzato negli appropriati contenitori e lavare le mani.
Documentare tutte le informazioni utili. Riportare tutti i dati in cartella infermieristica.
Osservazioni: controllo continuo del paziente e del sistema, annotazioni sulla cartella infermieristica
(data del posizionamento, misura del catetere).
Riordino: paziente, ambiente e materiale.
Rimozione del catetere vescicale
Preparare materiale occorrente: guanti, siringa, asciugamano di carta.
Inserire il cono della siringa nella valvola di cuffiaggio del catetere.
Aspirare tutto il liquido dal palloncino per sgonfiarlo. Non tirare il catetere finché il
palloncino non sia totalmente sgonfio. Si potrebbe traumatizzare l’uretra.
Estrarre delicatamente il catetere, controllare se sia integro e riporlo nell’asciugamano di
carta. Se il catetere non è integro, alcune parti possono essere rimaste in vescica. Informare
immediatamente caposala o medico.
Lavare e asciugare la parte perineale.
Eliminare tutto il materiale utilizzato negli appositi contenitori, rimuovere i guanti e lavarsi
le mani.
Documentare tutte le informazioni utili.
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5.Sondino nasogastrico: terapeutico e alimentazione; responsabilità competenze.
Il sondino naso gastrico, può essere utilizzato per-obiettivi:
• Garantire lo svuotamento gastrico, svuotare lo stomaco da contenuti pericolosi (gastrolusi o
lavanda gastrica); aspirare il contenuto gastrico es. in caso di occlusione intestinale;
• Garantire un corretto apporto nutrizionale, somministrare nutrizione enterale;
• Somministrazione di farmaci
• Prevenire la distensione dello stomaco prima o dopo un intervento chirurgico (anche se non c’è
accordo in letteratura riguardo all’efficacia di questo utilizzo).
Nell’inserimento del sondino nasogastrico occorre fare particolare attenzione ai seguenti pazienti:
• non coscienti, se erroneamente si posiziona il sondino nelle vie aeree, il paziente potrebbe non
manifestare alcuna reazione;
• in stato confusionale o deliranti, per la maggior difficoltà della manovra e per il maggior rischio di
lesioni;
• con malformazioni o lesioni della cavità orale o dell’esofago, per la maggiore difficoltà nel
posizionamento;
• sottoposti a intervento chirurgico dell’esofago o dello stomaco, per il rischio di lesione delle
suture interne e per il pericolo di creare “false strade”;
• con varici esofagee in atto, per il rischio di creare lesioni della mucosa e di rimuovere gli eventuali
coaguli a parete appena formati.
Va fatta particolare attenzione quando si introduce un sondino nasogastrico nei pazienti con trauma
cranico, facciale o con rinorrea per il rischio di passaggio nello spazio endocranico.
Tipi di sondino nasogastrico
Il sondino utilizzato per l’alimentazione enterale può essere in silicone o poliuretano perché deve
essere morbido, flessibile in modo che la permanenza sia poco traumatica. Nei pazienti adulti si
utilizzano sonde con un diametro compreso fra gli 8 e 12 French (1 French equivale a 0,3 mm),
mentre nei bambini si usano sonde con diametro compreso tra i 6 e gli 8 French.L’avanzamento e il
posizionamento avvengono per peristalsi. Per l’alimentazione enterale possono essere utili i sondini
con la punta magnetica che oltrepassano facilmente il piloro. Il posizionamento di questi sondini
può essere controllato in modo semplice e sicuro senza bisogno della radiografia. In Italia però
questi sondini sono poco utilizzati.
I sondini per adulti possono variare per diametro e per lunghezza (90-145 cm).
Alcuni sondini Miller-Abott sono concepiti per poter raggiungere la posizione digiunale dopo il
legamento di Treitz (o muscolo sospensore del duodeno; in anatomia indica la struttura che fissa la
flessura duodeno-digiunale al diaframma. In senso lato, segna il punto in cui finisce la IV ed ultima
porzione duodenale e comincia il tratto digiunale dell'intestino tenue).
Il sondino utilizzato per la somministrazione di farmaci e per la decompressione gastrica è di
dimensioni maggiori (almeno 14 French) ed è solitamente meno flessibile. Non sembra ci siano
differenze significative nel rischio di polmonite da aspirazione con sondini di diversa misura.
Sondino di Levin, forato a punta chiusa.
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Il sondino di Salem , forato a punta aperta, sondini radiopachi e a doppio lume utilizzato per
l’aspirazione continua. Il secondo lume serve per mantenere costante la pressione all’interno dello
stomaco. Per impedire l’entrata di materiale gastrico nel lume le valvole sono unidirezionali.
Altro dispositivo a doppio lume, di calibro tra 12 e 18 French, è la sonda di Miller-Abbott che ha
all’estremità distale un palloncino che si gonfia attraverso un lume dedicato e viene utilizzato per
far progredire il sondino nelle prime anse digiunali.
Tecnica di posizionamento
Come per tutte le manovre invasive prima di inserire un sondino nasogastrico bisogna:
 informare il paziente e
 chiedergli il consenso.
Le narici:
 devono essere pervie e
 si deve verificare che non ci siano ulcerazioni o arrossamenti,
 eliminare eventuali protesi dentarie.
L’introduzione del sondino non è generalmente dolorosa, ma è può essere fastidiosa perché può
stimolare il riflesso del vomito.
Il paziente dovrebbe essere in posizione:
- semiseduta (posizione di Fowler) e
Per scegliere il sondino giusto :
-Misurare la lunghezza del sondino da inserire: misurare la distanza fra la punta del naso e l’apice
del lobo auricolare e il processo xifoideo(nox: naso-orecchio-xifoide) facendo riferimento alla tacca
segnata sul SNG.
La punta in genere deve essere posizionata nella porzione distale dello stomaco, ma la scelta della
sede di collocazione del sondino dipende anche dalle condizioni cliniche del paziente. Il sondino va
inserito per circa 75 cm, pari alla lunghezza del percorso dalla narice al cardias.Occorre notare che
in molti casi sono sufficienti 50 cm per superare il cardias.
In pazienti incoscienti o nei quali il riflesso della deglutizione è alterato è preferibile inserire il
sondino nel digiuno per ridurre il rischio di rigurgito e la possibile aspirazione tracheale. Non è
corretto posizionare la punta del sondino a livello del cardias per l’alto rischio di reflusso.
Per ridurre il disagio dell’inserimento del sondino può essere utilizzato un lubrificante per via
topica.
Prima di procedere con l’inserimento del sondino occorre ricoprire la punta con lubrificante
idrosolubile che, nel caso di posizionamento erroneo del sondino nelle vie aeree, viene riassorbito
facilmente senza il rischio di ostruzione.
Al paziente collaborante si chiede di inclinare leggermente la testa all’indietro mentre si inserisce il
sondino nelle narici. Una volta che il sondino ha raggiunto l’orofaringe, si deve far piegare la testa
del paziente in avanti chiedendogli di bere e di deglutire perché la deglutizione favorisce
l’abbassamento dell’epiglottide e la chiusura delle vie aeree.
Può rimanere in sede max per 3 mesi.
Rilievo dei sintomi respiratori:
La presenza di sintomi respiratori (tosse, cianosi, dispnea) o di disfonia può ragionevolmente
indicare un malposizionamento, soprattutto nei pazienti coscienti e collaboranti, ma nei pazienti
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incoscienti questi sintomi potrebbero non manifestarsi. In caso di tosse, cianosi o ipossia rimuovere
immediatamente il sondino.
Se il paziente ha conati di vomito si deve sospendere l’inserimento e bisogna dire al soggetto di fare
alcuni respiri profondi o di sorseggiare dell’acqua per calmare il riflesso del vomito.
Se il paziente continua ad avere conati di vomito durante la manovra e non si riesce a far avanzare il
sondino è probabile che questo possa essersi arrotolato in gola. In questo caso va ritirato indietro e
re-spinto avanti fino a che riesce a entrare in esofago. Se la manovra di riposizionamento non riesce
e il sondino rimane attorcigliato, lo si può recuperare attraverso la bocca con una pinza, tagliandolo
all’estremità arrotolata e quindi sfilandolo dal naso.
Quando si giunge in prossimità della carena, sperone cartilagineo posto in corrispondenza della
divisione della trachea nei due bronchi principali, (a circa 25 cm dal punto di ingresso), se il
sondino fosse stato posizionato per errore in trachea si può sentire la fuoriuscita di aria durante
l’espirazione.
Controllare il corretto posizionamento del SNG :
- Si deve aspirare il contenuto gastrico con una siringa da almeno 30 ml meglio quella da 60 ml(
cosidetto schizzettone). Controllo visivo del contenuto o controllo del ph. Se l’aspirazione non
riesce si può provare a modificare la posizione del paziente (se è possibile si può spostarlo prima sul
fianco sinistro, poi sull’altro fianco). Se non si riesce ad aspirare nulla si può far avanzare il sondino
di altri 5 cm e ripetere l’aspirazione. Osservazione delle secrezioni aspirate: l’osservazione delle
secrezioni è uno dei metodi più usati per controllare il posizionamento del sondino. Il secreto
gastrico è normalmente verdastro (per il reflusso biliare) con sedimenti di colore marroncino, se c’è
un po’ di sangue, oppure è incolore con filamenti biancastri e in rari casi è giallo paglierino.
Quando l’aspirato gastrico è giallastro o bianco può essere confuso con quello
tracheobronchiale.Misurazione del pH e della bilirubina: la misurazione del pH dell’aspirato è
ritenuta un buon indicatore di corretto posizionamento del sondino nasogastrico. Se il pH
dell’aspirato è acido, compreso tra 1 e 4, il sondino dovrebbe essere posizionato correttamente nello
stomaco, in quanto gli aspirati di secrezioni polmonari hanno un pH che può variare da 6,74 a 8,36.
Oltre al pH però occorre valutare anche il colore e la consistenza dell’aspirato.
Se il pH è maggiore o uguale a 6 e il colore dell’aspirato è giallo paglierino, eventualmente striato
di sangue e di consistenza acquosa con molto muco potrebbe trattarsi dell’aspirato delle vie
respiratorie.0
Se invece a un pH maggiore di 6 si associa un aspirato è di colore giallo oro o marrone verdastro,
striato di bile è molto probabile che il sondino sia nel duodeno.
Questo metodo, nonostante sia poco invasivo ed economico, non può essere usato di routine perché
non è sempre possibile ottenere del materiale gastrico dai sondini e perché in alcuni soggetti il pH
dell’aspirato può essere alterato per esempio in caso di terapia con antiacidi o nei soggetti in
nutrizione enterale cronica. Inoltre il secreto dei bambini è molto diverso da quello degli adulti e
cambia con l’età.
Recentemente si è notato che l’associazione della misura del pH con la determinazione della
quantità di bilirubina contenuta nell’aspirato può essere un sistema di verifica valido. La
concentrazione della bilirubina, rilevata mediante apposite strisce reattive, può fornire entro certi
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valori (5 mg/dl) una buona garanzia di corretto posizionamento intestinale. Negli studi che
riportano l’utilizzo di questa tecnica si è notato che l’associazione della rilevazione dei valori di pH
con la rilevazione della concentrazione della bilirubina rende affidabile la localizzazione del
sondino (nell’albero respiratorio non è possibile trovare valori di pH associati a quantità di
bilirubina superiori a 5 mg/dl).
Il secreto intestinale è generalmente più trasparente di quello gastrico e può apparire striato di bile
con colori variabili dal giallo oro al verde marrone.
L’esofago normalmente non ha secrezioni al suo interno, salvo i casi di reflusso gastrico o di grandi
quantità di saliva deglutita.
La letteratura su questo metodo è piuttosto scarsa e sono presenti opinioni discordanti. Si ricorda
comunque la tendenza dei sondini a collabire durante l’aspirazione e la conseguente difficoltà a
reperire materiale.
-Si insufflano 20 ml di H2 ( woosh test) mentre si asculta con il fonendoscopoio l'ipocondrio sx al
fine di percepire il tipico gorgogliamento. (funziona se c'è liquido nello stomaco).Rilevazione del
passaggio di aria in fase espiratoria: in linea teorica, se durante l’inserimento si percepisce la
fuoriuscita di aria dal sondino in corrispondenza degli atti espiratori è molto probabile che si trovi
nell’albero respiratorio. L’auscultazione del passaggio di aria in fase espiratoria, così come
l’introduzione dell’estremità del sondino in un bicchiere d’acqua per verificare la presenza di
eventuali bolle d’aria, non è raccomandata in quanto possono verificarsi casi di falsi positivi legati
alla presenza di aria nello stomaco o di falsi negativi per l’impossibilità del passaggio di aria per
ostruzione del sondino che tocca le pareti mucose delle vie respiratorie o che si riempie di muco. Un
altro aspetto negativo di questo metodo è che aumenta considerevolmente il rischio di inalazione di
acqua negli adulti e soprattutto nei bambini
-Misurazione della CO2: misurare la CO2 all’estremità prossimale del sondino (capnometria) può
essere un buon metodo per verificare se il sondino è posizionato nel tratto respiratorio. Attualmente
ci sono 2 sistemi per valutare la CO2: il primo, più accurato, prevede una lettura continua dei
cambiamenti di concentrazione, mentre il secondo si basa su un indicatore colorimetrico, la cui
efficacia negli adulti non è stata valutata in letteratura.
- Oppure mettere il sondino in H2O e osservare se ci sono bolle d'H2, se sono presenti rimuoverlo(
cmq il pz già dovrebbe avere segni da ipossia).
- Controllo radiografico dell'addome e del torace. La radiografia è il metodo da preferire per
controllare il posizionamento del sondino, ma è anche il metodo meno praticato per l’esposizione
alle radiazioni e per i costi economici e organizzativi. Oltretutto la necessità di eseguire una
radiografia ritarda il momento di inizio dell’uso del sondino. Il controllo radiografico è
raccomandato soprattutto quando vengono utilizzati sondini con un filo guida metallico e può essere
indicato nei pazienti incoscienti, sedati, intubati, confusi, debilitati o non collaboranti. La lastra
deve mostrare tutto il percorso del sondino e non solo la parte distale.
- Endoscopia: anche la diagnostica endoscopica permette di controllare il corretto posizionamento
del sondino, ma viene esclusa per il disagio che provoca al paziente, per la complessità di
esecuzione e per il ritardo che comporta nel momento di inizio dell’uso del sondino
-Valutazione mediante rivelazione magnetica: per controllare il posizionamento del sondino la
rivelazione magnetica sembra il metodo più valido ed efficace perché poco costoso, rapido, si può
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eseguire al letto del paziente ed è sicuro per il paziente (non ci sono rischi di esposizione a
radiazioni ionizzanti, né di polmonite ab ingestis).
Per utilizzare questo sistema di controllo è necessario aver inserito un sondino con un sensore
magnetico sull’estremità distale. Ci sono 2 metodi di valutazione ugualmente efficaci.
Il primo metodo consiste nel posizionamento di un rilevatore di campi magnetici sull’addome del
paziente che rileva la posizione del sensore e rimanda l’immagine su un monitor di un computer.
Il secondo, meno costoso, consiste nell’utilizzo di un sondino con un sensore magnetico
all’estremità distale e una piccola luce elettrica collegata all’estremità prossimale del sondino. Il
sondino viene introdotto con una guida magnetica esterna che lo aiuta a seguire il tubo digerente.
Una volta captato il campo magnetico si illumina la luce posta all’estremità prossimale.
Modalità di fissaggio
Il sondino va fissato al naso con un cerotto. Si può confezionare una sorta di “cravatta” con 2 strisce
sottili di cerotto che si incrociano sul sondino oppure può essere fissato sulla fronte fra 2 strati di
cerotto: uno inferiore, a contatto con la cute, e uno superiore, sovrapposto al cerotto inferiore,
evitando così che il sondino tocchi la cute. Esistono anche i sistemi di fissaggio già predisposti, che
bloccano il sondino e lo posizionano sul naso o sulla fronte con una striscia adesiva. Qualunque sia
la tecnica o la modalità del fissaggio deve sempre essere possibile rimuovere o riposizionare il
sondino facilmente.
Conclusione della procedura
Si consiglia di segnare sul sondino (con un pennarello) il punto di fuoriuscita dalla narice, in modo
da avere un riferimento in caso di eventuali dislocazioni. E’ preferibile riportare la lunghezza della
porzione esterna della sonda nasogastrica e confrontarla con la misurazione effettuata al momento
del posizionamento e annotata nella cartella clinica.
Lavare il sondino periodicamente con almeno 30 ml di acqua a temperatura ambiente per impedire
la cristallizzazione dei sali biliari, che otturerebbe il sondino. Il lavaggio interno della sonda può
essere fatto con siringa (circa 30 ml) e acqua potabile ma le linee guida raccomandano in alcuni casi
(per esempio nei pazienti a rischio infettivo) l’utilizzo di acqua bollita o sterile perché nell’acqua
potabile è possibile trovare microrganismi resistenti ai processi di trattamento delle acque,
compresa la disinfezione. Occorre tenere presente che la cristallizzazione dei sali biliari dipende
dalla densità del materiale, ma in genere è più frequente quando non si aspira perché il transito
attraverso il tubo è più lento.
In caso di rottura di varici esofagee :
Sng particolare a 3 vie, SONDA DI SENGSTAKEN-BLAKEMORE. Questo sondino si ancora, ha
due palloncini che vengono gonfiati con l'H2, uno si trova all'altezza del cardias (gastrico) e uno
dell'esofago. Ha lo scopo di esercitare una pressione sulle pareti dell'esofago a scopo emostatico.
Contiene 3 canali, uno per l'aspirazione del materiale gastrico e gli altri 2 sono per il riempimento
dei 2 palloncini.
Controllo e gestione del paziente
L’operatore sanitario deve controllare periodicamente il paziente verificando:
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• La tolleranza del paziente al sondino (chiedere se il paziente ha compreso i motivi per cui è stato
posizionato il sondino);
• All'inizio di ogni turno controllare il corretto posizionamento del sondino nel tubo digerentee
l'eventuale ristagno gastrico;
• Le caratteristiche dell’aspirato quantità, colore, qualità,
 Eseguire lavaggio mani e mettersi i guanti;
 Rimuovere il cerotto e pulire ogni 2-3 gg con H2O e detergente la zona, asciugare la
superficie cutanea;
 Controllare la presenza di eventuali arrossamenti sull'ala del naso( sotto il cerotto) e/o
piccole lesioni all'interno delle narici dove poggia il sondino
 Aplicare un nuovo cerotto facendolo aderire bene alla cute ed alla medicazione a base di
idroccoloidi.
Igiene del naso e del cavo orale
Le narici possono essere pulite con un bastoncino di cotone inumidito e possono essere mantenute
umide ed elastiche con un po’ di crema emolliente o con la stessa soluzione lubrificante utilizzata
per l’inserimento della sonda. Il cavo orale va tenuto umido e pulito, tenendo conto che il paziente
respirerà soprattutto con la bocca e che le mucose tenderanno quindi a seccarsi. Se il paziente le
accetta (e non vi sono controindicazioni cliniche) si può consigliare di prendere caramelle
balsamiche o gomme da masticare che stimolano la salivazione.
L’igiene del cavo orale, cioè il lavaggio di denti e labbra, andrebbe eseguita almeno 2 volte al
giorno.
Ogni 48-72 ore si deve cambiare il cerotto che fissa il catetere al naso e ispezionare la cute
sottostante.
Uso del sondino nasogastrico
-Aspirazione di materiale gastrico:
Per evitare traumi alla mucosa dello stomaco l’aspirazione di materiale gastrico andrebbe effettuata
a intermittenza e con basse pressioni (fino a 30-40 mmHg). L’aspirazione può essere effettuata con
un aspiratore a muro o con una siringa da 50 ml.
-Somministrazione di farmaci:
E’ possibile somministrare farmaci con un sondino nasogastrico, ma occorre seguire alcuni
accorgimenti per non alterare le caratteristiche del farmaco.
Prima di somministrare un farmaco con il sondino nasogastrico bisogna sospendere
momentaneamente l’alimentazione enterale anche se il farmaco è in forma liquida, per il rischio di
precipitazione degli alimenti o dei farmaci e ostruzione della sonda. Nei casi più gravi si può
formare un bezoari gastrico, concrezione che si deposita nello stomaco.
Se possibile è meglio preferire le forme farmaceutiche liquide, diluendo il preparato prima della
somministrazione in modo da ridurre l’osmolarità di alcuni eccipienti, come per esempio il
sorbitolo. Se non è possibile somministrare il farmaco in forma liquida, ma è necessario ricorrere
alle compresse, prima di somministrarle bisogna frantumarle finemente tranne nel caso di
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compresse a lento rilascio (formulazioni retard), per il rischio di picchi di concentrazione e di livelli
subterapeutici negli intervalli fra le dosi, e di compresse gastroresistenti. In questi 2 casi non è
possibile frantumare le compresse, ma è necessario studiare forme di somministrazione alternative
(per esempio capsule con granuli a lento rilascio, che potrebbero essere sospesi in un liquido,
compatibilmente con il calibro del sondino, cerotti transdermici eccetera). Bisogna precisare però
che i granuli a lento rilascio sono difficili da frantumare, tendono a depositarsi nel
fondo della siringa e possono facilitare l’ostruzione del sondino. In ogni caso il problema va sempre
segnalato al medico. Le capsule possono essere svuotate e messe in soluzione a eccezione di quelle
di gelatina molle, che potrebbero contenere liquidi non miscibili in acqua. Se non ci sono
alternative, il contenuto delle capsule molli può essere aspirato con una siringa, successivamente
diluito in olio alimentare e iniettato nel sondino come tale o dopo emulsione in soluzione acquosa
(tenendo conto della fotosensibilità e dell’adsorbimento alle pareti del sondino).
La sospensione o la soluzione da somministrare con il sondino può essere preparata con 10-15 ml di
acqua corrente o minerale non gasata (non è necessaria acqua sterile o soluzione fisiologica). Per i
bambini sono sufficienti 5-10 ml di acqua.
Tutto il materiale utilizzato per la preparazione va risciacquato con la stessa soluzione, in modo da
disperdere la minore quantità possibile di farmaco. La soluzione o la sospensione va aspirata con
una siringa e il sondino va irrigato con 20-30 ml di acqua prima e dopo la somministrazione.
E’ consigliabile somministrare un farmaco per volta, irrigando il sondino dopo ogni
somministrazione, per evitare rischi di incompatibilità fra i diversi preparati. Non è consigliabile
associare più farmaci per il rischio di interazioni chimiche e farmacologiche.
Se si utilizzano farmaci con un ristretto range terapeutico è opportuno assicurarsi che la
biodisponibilità del farmaco sia quella attesa, controllando la concentrazione ematica del farmaco e
ricorrendo a un’attenta consulenza farmacologica.
Complicanze
-Complicanze causate dalla permanenza del sondino:
La polmonite ab ingestis da vomito o reflusso gastroesofageo o con la N.E. è la complicanza più
temibile nei soggetti con sondino nasogastrico, con un’incidenza che va dall’1 al 4%.28 In
particolare i soggetti più a rischio di reflusso gastroesofageo e di conseguenza di polmonite sono
quelli in stato di incoscienza o con deficit neurologici. La nausea e il vomito invece si presentano
nel 20% dei casi.
Per ridurre il rischio di polmonite è necessario tenere il paziente in posizione semiseduta il più a
lungo possibile.
Il reflusso gastrico può provocare anche lesioni da decubito e ulcerazioni del cavo orale, delle alte
vie respiratorie e dell’esofago.
La diarrea non è una complicanza da imputare direttamente al sondino. E’ favorita però dalle
caratteristiche dell’alimentazione enterale e in particolare: la velocità troppo elevata di
somministrazione, la temperatura della soluzione introdotta (troppo alta o troppo bassa), la
contaminazione della soluzione, l’osmolarità troppo alta o la possibile intolleranza al lattosio del
paziente.
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La permanenza del sondino per un lungo periodo può causare lesioni da decubito a livello delle
narici, infiammazione del laringe posteriore, granulazioni, lesioni muscolari e lesioni delle corde
vocali.
Se il posizionamento del sondino è concomitante a una tracheotomia, la frizione con la cannula può
provocare lesioni del laringe posteriore, ritardandone la guarigione.
Sono stati descritti anche episodi di disidratazione in seguito a scarso controllo del liquido aspirato
dal sondino e delle perdite del paziente.
-Complicanze causate da posizionamento non corretto:
Durante l’introduzione, il sondino può essere posizionato erroneamente nell’albero bronchiale o in
casi più rari nello spazio pleurico o nel mediastino in seguito a perforazione dell’esofago. È stato
descritto anche un caso di pneumotorace.
Una volta inserito, il sondino può spostarsi dalla propria sede (deposizionamento da antiperistalsi)
anche se inserito correttamente. Il rischio più alto è per i pazienti confusi, agitati, con conati di
vomito, tosse o sottoposti a broncoaspirazione. La retrazione del sondino aumenta la probabilità di
polmonite ab ingestis. In caso di alimentazione enterale la progressione nel tratto intestinale può
provocare intolleranza alimentare se la formulazione della dieta non è appropriata per l’intestino
tenue.
Rimozione del sondino
Bisogna informare il paz che l'operazione sarà fastidiosa.Il pz deve avere una posizione semiseduta.
Bisogna chiudere il sondino e mettere un telino sul torace del pz per eventuali secrezioni che
possono fuoriuscire.Staccare il sondino dai punti di fissaggio. Rimuovere il sondino con un
movimento continuo ed uniforme partendo all'altezza della narice. Lavare il viso del pz e smaltire il
materiale. Registrare tutto in cartella.
Il tempo di permanenza del sondino varia in base al motivo per cui è stato inserito e al materiale del
sondino, si consiglia di controllare le indicazioni del produttore e le relative schede tecniche.
Due o 3 ore prima della rimozione del sondino occorre chiuderlo, soprattutto se in aspirazione, per0
verificare che il paziente non abbia nausea e vomito quando il sondino è chiuso.
Prima di rimuovere il sondino è utile introdurre circa 30 ml di aria per rimuovere eventuali
secrezioni gastriche che a contatto con tessuti diversi dalla mucosa gastrica potrebbero essere
irritanti.
Quando si sfila il sondino è utile consigliare al paziente di chiudere gli occhi perché la vista del
sondino che fuoriesce dalle narici, unita all’eventuale presenza di muco e secrezioni, può provocare
nausea e vomito. Si può anche chiudere il sondino con un morsetto o piegarlo fra le dita, impedendo
così l’eventuale aspirazione del contenuto del sondino durante la sua estrazione.
Se il paziente collabora, gli si può chiedere di fare una profonda inspirazione e trattenere l’aria
mentre si estrae il sondino per favorire la chiusura della glottide e ridurre il rischio di aspirazione di
materiale nelle vie aeree.
Responsabilità: per l'inserimento medica, per la gestione infermieristica. Se il pz si sfila il sondino
anche l'infermiere lo può rimettere se ha le capacità ma dipende dallo stato del pz
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6.Nutrizione artificiale: enterale e parenterale: responsabilità, competenze assistenziali.
La nutrizione rappresenta la somma di tutte le interazioni tra organismo e il cibo che esso consuma.
Ha tre funzioni pricipali insieme all'acqua:
-Energia
-Materiale strutturale e x i tessuti
-Regola l'omeostasi
Le condizioni che rendono necessario il ricorso ad una forma di nutrizione artificiale, sia essa
sostitutiva o di supporto sono sostanzialmente quattro:
1.Impossibilità di assumere cibo per bocca;
2.Un grave stato di malnutrizione legato alla patologia di base o a malattie concomitanti;
3.Ustioni gravi;
4.Fratture multiple;
5.Rischio di malnutrizione (stima di inadeguata nutrizione orale per almeno 7-10 giorni,
condizione di grave ipercatabolismo ecc);
6.Necessità di mettere a riposo l’intestino per favorire la guarigione di processi patologici a
carico dell’apparato digerente.
7.Pz malnutriti che devono eseere preparati per intervento chirurgico, radioterapia e
chemioterapia.
La scelta tra nutrizione parenterale (NPT) e nutrizione enterale (NE) rimane legata alla patologia di
base e alle condizioni generali del paziente e soprattutto al tempo per il quale si prevede sarà
necessario il ricorso ad una forma di nutrizione artificiale.
La nutrizione parenterale
La nutrizione parenterale (NP) viene realizzata somministrando le sostanze nutritive direttamente
per via endovenosa.
Con tale modalità è possibile integrare un’alimentazione per os non adeguata (nutrizione parenterale
di supporto) o sostituire completamente la nutrizione per os (nutrizione parenterale totale – NPT).
L’apporto calorico viene calcolato sulla base dell’età e delle condizioni generali del paziente, dei
suoi dati antropometrici (peso, altezza),dei valori ematochimici, dalla patologia e patologie
associate e dal tipo e durata della NPT. Necessario effettuare un’attenta valutazione nutrizionale per
determinare l’appropriato regime di NPT.
La nutrizione parenterale può essere : totale (NPT) e periferica (NPP).
La NPT, conosciuta anche come iperalimentazione, è l’infusione endovenosa attraverso una vena
centrale (vena giugulare interna, o meglio, vena succlavia), quindi somministrazione attraverso un
CVC di acqua, proteine, carboidrati, elettroliti, minerali e vitamine. La nutrizione sarrà costituita da
un minor apporto di lipidi ma da maggior concentrazione nutrizionale. É migliore per periodi
lunghi.In generale la NPT trova indicazione in tutti casi in cui si preveda un impossibilità alla
alimentazione per os per periodi di 7-30 giorni.
Il canale usato per la somministrazione della nutrizione non va usato per altre sostanze.
La NPP avviene attraverso le vene periferiche, quindi grazie ad un CVP e per questo non può
essere costituita da preparati concentrati come quelli delle vie centrali, è ad una bassa
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concentrazione nutrizionale energewico, anche se può contenere lipidi. É utilizzata quando la
durata di infusione è minore di 15 giorni.La NPP è considerata una modalità di nutrizione più sicura
e conveniente della NPT. Non dà problemi metabolici associati alla soluzione di destrosio altamente
concentrate e complicazioni settiche associate al CVC. Lo svantaggio principale è rappresentato
dalla frequente incidenza di flebite associata alla NPP. La NPP è somministrata a pazienti che
necessitano di nutrizione endovenosa per un breve periodo o quando il posizionamento di un CVC è
controindicato.
Destrosio, amminoacidi, elettroliti, vitamine, e minerali vengono mescolati in un unico contenitore
e infusi come soluzione primaria. Le emulsioni lipidiche contenenti acidi grassi essenziali e primari
vengono somministrate da un contenitore separato attraverso il connettore ad Y della linea
endovenosa e combinati insieme alla soluzione di NPT.
Le complicanze dell’NPT sono le stesse dell’uso del CVC; si possono inoltre presentare difficoltà
metaboliche. Variazioni significative si manifestano nei liquidi, elettroliti, glucosio, aminoacidi,
vitamine e livelli di minerali del paziente. Sono complicanze potenziali l’iperglicemia,
l’ipoglicemia, l’acidosi, i disordini elettrolitici come l’iperpotassiemia e l’ipocalcemia. Pertanto,
durante la terapia, è richiesto un attento monitoraggio dei valori ematochimici.Infatti il
monitoraggio è rapresentato, soprattuto nel primo periodo quotidianamente poi va a scemare,
controlli di :
Peso corporeo, Azotemia; Emogasanalisi, cute circostante il sito, glicemia, emocromo, bilancio di
urine nelle 24h.
Processo di Nursing: NP
Raccogliere le informazioni pertinenti. L’infermiere deve conoscere lo scopo della NPT;
 Confermare la prescrizione medica della NPT;
Controllare i segni vitali, inclusa la T° corporea, il peso del paziente, il bilancio idrico e la
presenza di qualsiasi allergia ai contenuti della soluzione NPT.
Gestione della sacca
-Non infondere sacche con osmolarità maggiore di 800-900 per via periferica
-Controllare integrità della confezione, data di scadenza
-Evitare di aggiungere farmaci
-Scrivere sulla sacca la data e l'orario di inizio dell'infusione
-Una volta disconessa la sacca non può essere riutilizzata
-Soluzioni con lipidi devono essere terminate o cambiate dopo 24h dalla manipolazione
-L'addizione di vitamine, oligoelementi e insulina deve avvenire poco prima dell'utilizzoe, una volta
aggiunte, -La sacca deve essere protetta dai raggi solari.
Gestione della nutri-pompa
-Non infondere la soluzione a caduta.Utilizzare le pompe messe a disposizione dal servizio di
nutrizione clinica
-Pulizia giornaliero della pompa, resudui si possono levare con h20 tiepida
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-Qualora si verificassero malfunzionamenti, riconsegnarla al servizio segnalando il codice errore
visualizzato sul dispay.
Gestione del deflussore
-Sostituire il deflussore dell NP ad ogni cambio
-Proteggere sempre la connesione deflussione-cvc con garze sterilizzantiriempire il deflussore con il
morzetto aperto prima di attaccarlo al cvc. (fare lavagetto al cvc)
Raccomandazioni
-Prevenire infezioni
-Utilizzare siringhe da almeno 10 ml, più piccole esercitano pressione elevate e possono dannegiare
il catetere
-Nell'acceso centrale è consigliabile il fissaggio senza sutura
-Evitare manovre di aspirazione( maggiori rischi di trombosi)
-In caso di cateteri centrali a più vie usare quella mediale per la NP e qll laterale x farmaci o prelievi
-In caso di sistemi totalmente impiantabili sostituire l'ago di Huber non oltre i 7gg eseguendone
l'estrazione in pressione positiva x evitare vuoti
-Eseguire lavaggi con solu.fisiologia mediante lavaggi pulsanti a press.positiva con vol.pari al
doppio del volume del catetere prima o dopo ogni somministrazione di nutrizione (o farmaci)
-Se l'accesso non è utilizzato:
ogni 7gg se non è dotato di valvola
ogni 15-20gg se tunnelizzato
ogni 20-30 x i sistemi mpiantabili
Metodi di infusione:
-Continuo, nelle 24h
-Ad intermittenza
-Ciclico in 12/24h
-In bolo,(con il siringone), fino a 200-300 ml a volta, ma non è consigliabile.
Delega
Vista la necessità di utilizzare una tecnica sterile e la complessità della procedura, la
somministrazione della NPT NON è delegabile al personale di supporto. L’infermiere deve
assicurarsi che il personale di supporto esegua correttamente l’igiene quotidiana di tali pazienti e
che conosca quali sono le complicanze, i segni e i sintomi che devono essere tempestivamente
riferiti all’infermiere.
La nutrizione enterale
La nutrizione enterale (NE) è una modalità di alimentazione artificiale tramite la quale i nutrienti
vengono introdotti direttamente nel tubo digerente di un paziente critico a cui è necessario fornire
per un periodo più o meno lungo di tempo un adeguato apporto calorico attraverso una via diversa
da quella orale.
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Si chiama artificiale perchè vengono utilizzate delle miscele nutritive preparate artificialmente con
quantità standardizzata di proteine, glucidi, lipidi, sali minerali, acqua, vitamine e oligoelementi.
Quando possibile dovrebbe rappresentare la via di prima scelta in quanto in grado di mantenere
attive le funzioni digestive e di assorbimento, stimolando e preservando l’attività cellulare e
prevenendo l’inevitabile atrofia intestinale che si verifica con la sola NTP.
Le vie d’accesso con cui è possibile effettuare la nutrizione enterale sono molteplici.
La NE può essere effettuata attraverso il sondino naso-gastrico (SNG), la digiuno stomia chirurgica
(sondino enterale), la gastrostomia endoscopica percutanea (PEG) o sondino faringostomico.
Sondino-nasogastrico (SNG):
Rappresenta, grazie alla sua semplicità d’attuazione, la via d’accesso più diffusa per la NE. Il SNG
è però scarsamente accettato dal paziente, gravato da frequenti complicanze talvolta sottostimate
(posizionamento accidentale, dislocamento nell’albero bronchiale, lesioni esofagee da decubito o
esofagiti, lesioni da decubito sul naso). Inoltre il SNG si presta poco ad un eventuale utilizzo in
ambito domiciliare a causa della sua visibilità che limita la vita di relazione del paziente.
Per questi motivi il ricorso alla nutrizione attraverso SNG viene indicato dalle Linee Guida solo per
un periodo di tempo inferiore ad un mese.
Gestione SNG
L’operatore sanitario deve controllare periodicamente il paziente verificando:
• La tolleranza del paziente al sondino (chiedere se il paziente ha compreso i motivi per cui è stato
posizionato il sondino);
• All'inizio di ogni turno controllare il corretto posizionamento del sondino nel tubo digerentee
l'eventuale ristagno gastrico, se risulta maggiore di 150-200 ml ritardare l'infusione;
• Le caratteristiche dell’aspirato quantità, colore, qualità,
 Eseguire lavaggio mani e mettersi i guanti per ogni intervento;
 Controllare la pesrizione medica;
 Non aggiungere farmaci alla dieta enterale;
 IL paziente deve assumere una posizione semiseduta, 45°;
 Alla fine di ogni infusione procedere al lavaggio del SNG x ridurre le ostruzioni;
 Rimuovere il cerotto e pulire con H2O e detergente la zona, asciugare la superficie cutanea;
 Aplicare un nuovo cerotto facendolo aderire bene alla cute ed alla medicazione a base di
idroccoloidi;
 Controllare la presenza di eventuali arrossamenti sull'ala del naso( sotto il cerotto) e/o
piccole lesioni all'interno delle narici dove poggia il sondino;
 Dopo della verifica del posizionamento coretto del SNG, iniziare preparazione,collegare il
deflussore al contenitore del preparato, riempire la via infusionale, levare l'aria dal
deflussore, ed inserire il sistema alla pompa infusionale, raccordare il sng aprendo il
morzetto (chiuso in precedenza), accendere la pompa e programmare la velocità e la quantità
di liquido da infondere.
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Delega
L’inserimento del sondino naso gastrico rappresenta una procedura invasiva che richiede una
approfondita conoscenza e abilità nelle procedure assistenziali. Questa procedura non può essere
delegata al personale di supporto, neanche la somministrazione, il quale può comunque assistere il
paziente portatore di SNG all’igiene orale.
Digiunostomia chirurgica (sondino enterale):
Consente di introdurre i nutrienti direttamente in un’ansa del digiuno prossimale.
Il posizionamento avviene in sala operatoria. Attraverso una piccola incisione chirurgica eseguita
sull’addome superiore possibile esteriorizzare l’ansa digiunale e, dopo averla incisa, introdurvi un
sondino in silicone del diametro di 12 French (4mm) che viene ancorato all’ansa, alla fascia della
dei muscoli ed alla cute con 3 suture chirurgiche. Il sondino trova indicazioni nei casi in cui è
previsto un periodo di alimentazione enterale di almeno un mese. È di semplice gestione anche al
domicilio del paziente, è ben accettato e può essere occultato dagli indumenti; inoltre riduce molto i
rischi legati al reflusso gastro-esofageo dei nutrienti introdotti , fenomeno che invece si può
presentar e nei pazienti alimentati attraverso la PEG.
Gastrostomia endoscopica percutanea (PEG):
Consiste nel posizionamento sotto guida endoscopica di un sondino attraverso la cute direttamente
nello stomaco del paziente. Il termine PEG indica sia la sonda che la tecnica utilizzata per il
posizionamento.
Attraverso la PEG è possibile:
garantire un adeguato apporto calorico nei pazienti con apparato gastroenterico funzionante
ma incapaci d’ assumere sostanze nutritive attraverso la bocca per un periodo che si prevede
superiore ad un mese;
ridurre l’aumentata pressione dovuta al contenuto ed ai gas che si accumulano a seguito di
un ostruzione a livello gastrico ed intestinale (azione de compressiva);
reintegrare la bile in pazienti con ostruzione delle vie biliari o con fistole;
somministrare ai bambini diete o medicamenti non graditi al palato.
Assistenza al pz
1. Preparazione degli alimenti: collegare la sacca alla pompa d'infusione, vedere se bisogna
aggiungere acqua o mescolare gli alimenti. Rispettare le norme igieniche (lavarsi le mani);
2. Posizionare il pz: posizione semi seduta, mantenerla fino a dopo 1 h dal pasto;
3. Controlli: esatta posizione della PEG, la quantità di residuo gastrico (se maggiore di 100
interrompere e avvisare il medico), segnalare simtomi come tosse-cianosi-dispnea-nauseavomito;
4. Gestire sonda: lavare la sonda prima e dopo la somministrazione;
5. Somministrare i farmaci: i farmaci non devono essere mescolati con gli alimenti;
6. Registrare: giornalmente la quantità somministrata e una volta alla settimana controllare
ilpeso corporeo;
7. Pulizia del cavo orale: al cavo orale viene a mancare la pulizia meccanica naturale, le labbra
devono essere ammorbidite spesso. La doccia dopo l'impianto la può fare dopo 7/8 gg;
8. Ossrvare la PEG: segnalare eventuali segni di infezione, arrossamento, gonfiore, pus;
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9. La medicazione dopo impianto: va cambiata una volta al giorno per la prima settimana,poi a
giorni alterni per gli 8-10 gg successivi, poi 1 volta a settimana. Lavare con acqua e sapone
e poi con iodiopovidone.
10. Non mettere garze tra la cute ed il fermo di ritenzione esterno.
Complicanze PEG:
-Allargamento ed arrossamento della stomia;
-Ostruzione della sonda;
-Rimozione accidentale della PEG.
Procedura di inserimento:
L'insermento viene attuata dal medico in sala chirurgica con assistenza infermieristica.
Prima si fa un'esame endoscopico del tratto superiore per verificare ed escludere patologie e/o
lesioni della parete gastrica.
Sotto giuda endoscopica viene insufflato lo stomaco x far aderire la parte anteriore dello stomaco
con la parete addominale.
Per mezzo della digito-pressione e della trans-illuminazione si sceglie e si verifica il punto per la
PEG.
Un'incisione permetterà l'inserimento di un' agocannula che dalla parete addominale si inserisce nel
lume gastrico.
La cannula permette l'inserimento di un filo che verrà portato nuovamente all'esterno attraverso il
tratto digestivo superiore giudato dal gastroscopio.
Con la tecnica pull il sondino viene trainato dal filo, precedentemente portato all'esterno con il
gastroscopio, nel tratto digestivo superiore fino alla parete addominalew che viene attraversata.
Con la tecnica push il sondino, che ha un dilatatore all'estremità, viene fatto scorrere sul filo giuda
successivamente spinto dall'interno della bocca tenendo il filo giuda teso finchè non spinge fuori la
cannula.Infine tutto viene bloccato da un bumper libero di ruotare.
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7.Lavanda gastrica: come e quando? Responsabilità, competenze.
La lavanda gastrica è una metodica terapeutica d’urgenza, che ha lo scopo di rimuovere in maniera
efficace e completa il contenuto dello stomaco, impedendo ogni ulteriore assorbimento
nell’organismo delle sostanze in esso presenti.
In caso di avvelenamento di farmaci, sostanze tossiche per ingestione.È indicata come metodica di
primo intervento in un gran numero di intossicazioni da sostanze ingerite accidentalmente o a scopo
suicida, soprattutto se non si riesce ad indurre il vomito o, se la natura della sostanza ingerita ne
controindica l’induzione.
Perché possa essere efficace, la lavanda gastrica deve essere assolutamente effettuata entro un
tempo molto breve (entro 60 minuti) dall’ingestione delle sostanze tossiche.La lavanda si può fare
entro le 4 ore.Più tardi grazie a capsule che bloccano la peristalsi (amanita muscaria, belladonna).
La lavanda dopo 6 ore non è più utile.Si usa un grosso tubo, sonda orograstrica diametro più grande
oppure swonda orogastrica di diamentro più piccolo. o naso gastrico es. per la rimozione di
pasticche. Salina o acuqa scaldata 250 ml a volta. Utile anche per la soministrazione di carbone
attivo che ha la funzione di adsorbente o di purganti. Il carbone attivo 50-100g sospeso in acqua,
ripetibili ogni 4 ore.
Il tempo di svuotamento gastrico infatti, pur variando notevolmente da individuo ad individuo e a
seconda di un gran numero di fattori, è sempre piuttosto breve. Maggiore è la permanenza della
sostanza in ambiente gastrico, maggiore è il suo assorbimento; inoltre molti tossici vengono
assorbiti in grandi quantitativi soprattutto a livello intestinale. In questi casi è importante rimuovere
il contenuto gastrico prima del definitivo passaggio dello sfintere pilorico dopo il quale
l’assorbimento non è più evitabile.
Inoltre la lavanda gastrica è controindicata o va eseguita con particolari precauzioni, intubazione cn
tubo endotracheale cuffiato, in alcuni casi:
-se il paziente ha perso conoscenza intubazione endotracheale
-se è affetto da epilessia;
-se l’avvelenamento è provocato da sostanze caustiche, da derivati del petrolio, da sostanze che
possono indurre convulsioni, o da tensioattivi che possono produrre grandi quantità di schiuma
-nei soggetti con problemi dell'apparato respiratorio, o con tendenza ad emorragie dell'apparato
gastrointestinale
-in caso di insufficienza cerebrale con depressione del gag reflex (stimolo al vomito)
La posizione: decubito laterale con la testa più bassa rispetto al torace.
La metodica di esecuzione della lavanda gastrica è piuttosto semplice. La cavità dello stomaco deve
essere raggiunta con una sonda (un tubo) di dimensioni diverse a seconda dei casi; se non è
disponibile la sonda apposita si può utilizzare un normale sondino naso-gastrico, anche se il suo
ridotto diametro può rendere lenta la manovra ed impedire l’asportazione di eventuali boli di grosse
dimensioni, non è indicato. La corretta posizione del tubo è verificata dalla reazione ad
insufflazione d'aria, o da un test di acidità del liquido asportato: il rischio è infatti che il tubo sia
stato inserito nella vie respiratorie. Introdotta la sonda, si inietta nella cavità gastrica un quantitativo
variabile di liquido (di solito soluzione fisiologica) che viene in seguito aspirato, determinando la
rimozione del contenuto gastrico e la diluizione delle sostanze in esso presenti.
La lavanda può essere ripetuta più volte; di solito si consiglia di proseguire la manovra fino a
quando il liquido che si aspira non sia limpido come quello che si inietta. É da evitare, nella
esecuzione della lavanda gastrica, l’uso di acqua semplice come liquido di irrigazione, in quanto
essa determina un notevole passaggio di sali dalla parete dello stomaco alla cavità; ripetendo la
manovra più volte si può provocare una pericolosa deplezione salina dell’organismo.
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La soluzione utilizzata dovrebbe essere riscaldata, prima di introdurla nello stomaco, fino ad una
temperatura prossima a quella corporea, per evitare fenomeni di congestione della parete gastrica da
freddo.
TECNICA
Prima della lavanda
• Protezione delle vie aeree nei casi in cui indicato (es. paziente incosciente)
• Raccolta anamnestica al fine di valutare indicazioni e controindicazioni (es. varici esofagee)
Esecuzione
Posizione del paziente. Il paziente cosciente deve essere posto in decubito laterale sinistro,
possibilmente su un lettino inclinato con il capo declive rispetto al corpo, la testa più bassa rispetto
al torace. Tale postura consente di pescare più facilmente, con la sonda, il contenuto gastrico che si
viene a raccogliere lungo la grande curvatura dello stomaco e riduce il passaggio del liquido di
lavanda attraverso il piloro durante l’esecuzione della lavanda. La posizione declive del capo riduce
inoltre i rischi di aspirazione del contenuto gastrico in caso di vomito. Se tale postura non è
possibile, la lavanda gastrica deve essere eseguita in posizione supina (es. paziente intubato).
Sonde. Le sonde da lavanda gastrica sono in materiale trasparente e possiedono alcuni orifizi
laterali di grandi dimensioni nella parte terminale. Per tutta la lunghezza si trovano indicatori per
valutare la profondità di inserimento. Nell’adulto sono indicate sonde con calibro da 30 a 50 French
(da 10 a 16 mm.) con lunghezza di circa 120 cm. Deve essere utilizzata la sonda con il calibro più
grosso possibile. Le sonde con diametro superiore a 1 cm. consentono di recuperare più facilmente
il materiale solido e hanno minor possibilità di inginocchiarsi.
Nota. Le sonde descritte sono quelle indicate per effettuare una lavanda gastrica ove occorra
rimuovere materiale solido. Qualora il contenuto gastrico da rimuovere sia liquido e non vi sia
presenza di cibo, è possibile utilizzare sonde o sondini di calibro inferiore (0,5 cm.).
Posizionamento della sonda. Le sonde possono essere introdotte sia per via oro-gastrica che nasogastrica. Le sonde di diametro maggiore di 36 French devono essere introdotte sempre per via orogastrica per evitare lesioni alla mucosa e ai turbinati e in casi di materiale solido. L’introduzione per
via oro-gastrica è generalmente meglio tollerata, ma il paziente non collaborante o soporoso può
mordere la sonda: in questi casi è indicato utilizzare un bloccamorso da endoscopia.
Aspirazione. Una volta verificata la corretta posizione dell’estremità del sondino nello stomaco, si
aspira il contenuto gastrico. L’aspirazione deve precedere l’immissione di liquido e deve proseguire
fino a quando lo stomaco è vuoto. A questo scopo è meglio ripeterla retraendo e spingendo di
qualche centimetro la sonda.
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Conservazione del campione. Se indicato, conservare un campione del contenuto gastrico aspirato
per eventuali successive analisi.
Lavaggio. Una volta completata l’aspirazione del contenuto gastrico, si inizia il lavaggio dello
stomaco. Devono essere introdotti e rimossi volumi fissi di liquido di circa 200 ml nell’adulto. Nel
bambino si consigliano volumi di 20-50 ml per bambini di età inferiore a 5 anni e di circa 100 ml
nei bambini di età compresa tra 5 e 12 anni. Una quantità maggiore di liquido stimolerebbe il
passaggio del contenuto gastrico attraverso il piloro, mentre una quantità minore non sarebbe
efficace. Si può utilizzare un raccordo a Y clampando alternativamente il ramo afferente e quello
efferente, oppure può essere spostata di volta in volta la sonda da una posizione superiore a una
inferiore al livello dello stomaco del paziente. I volumi di liquido immessi e drenati devono defluire
liberamente per gravità: se ciò non avviene, la sonda è malposizionata, piegata, o ostruita da
materiale solido. Il recupero del liquido immesso può essere facilitato esercitando un lieve
massaggio sullo stomaco, oppure aspirando attivamente con uno schizzettone se residui solidi
ostruiscono parzialmente il lume della sonda.
Quantificazione del lavaggio. La lavanda deve essere proseguita fino a quando fuoriesce liquido
chiaro e limpido, privo di residui solidi; a questo punto bisogna proseguire il lavaggio fino a
utilizzare ancora 1-2 litri di liquido. Non esiste una quantità definita di liquido che deve essere
utilizzata: in presenza di alimenti nello stomaco e comunque in caso di ingestione di sostanze solide
e/o molto pericolose si dovrebbero utilizzare non meno di 10 litri nell’adulto. Al termine della
lavanda gastrica la quantità di liquidi introdotti è, il più delle volte, superiore a quella rimossa. Per
questo motivo è necessario conteggiare il bilancio tra liquidi introdotti e rimossi al fine di calibrare
le successive terapie.
Tipo di liquido. Nell’adulto la lavanda gastrica può essere eseguita con acqua potabile a
temperatura ambiente. Nel bambino è indicato usare soluzione fisiologica (per i possibili rischi di
iponatriemia) che dovrebbe essere riscaldata a circa 35-40°C.
Addizione di antidoti. È possibile aggiungere al liquido di lavanda eventuali antidoti di volta in
volta indicati. Questi possono essere somministrati, secondo le specifiche indicazioni, prima, nelle
fasi iniziali, nelle fasi finali, o durante tutta la lavanda gastrica. Il carbone vegetale attivato deve
essere somministrato sempre alla fine, per poter controllare l’aspetto del liquido rimosso.
Rimozione della sonda. Al termine della lavanda, la sonda deve essere rimossa dopo essere stata
chiusa o pinzata, per evitare aspirazione di liquido. Se vi è indicazione diagnostico-terapeutica a
mantenere un sondaggio gastrico, è consigliabile sostituire la sonda (se è stata utilizzata una sonda
di grosso calibro) con un sondino più adeguato, per via naso-gastrica. Durante la lavanda, la sonda
deve essere rimossa in presenza di vomito per consentire al paziente di proteggere le vie aeree con i
normali meccanismi. Inoltre in caso di vomito è necessario raccogliere i liquidi perché non si
riversino nelle vie respiratorie. Per questi stessi motivi, se il paziente è in stato di incoscienza deve
essere intubato.
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8.Esecuzione di un clistere con e senza sonda rettale: responsabilità, competenze assistenziali.
Per clistere si intende l’introduzione di una soluzione nel retto e nel colon sigmoideo tramite sonda
inserita nell’ano. La sua funzione pricipale è quella di rimuovere le feci e/o i gas, ha funzione anche
terapeutica.
Tipi e Scopi di Clisteri:
Evacuativo: stimola la peristalsi irritando il colon e il retto e distendendo l’intestino con il
volume dei liquidi introdotti;
Carminativo: è somministrato principalmente per espellere i gas;
Di ritenzione: introduce olio nel retto e nel sigma in modo da ammorbidire le feci e
lubrificare il retto e il canale anale, facilitando il passaggio delle feci;
A flusso refluo o Irrigazione del colon: è utilizzato per espellere i gas;
Terapeutico: rilascia nutrienti o principi attivi;
Di pulizia: in preparazione a interventi chirurgici o esami diagnostici.
Ambiente:
Tranquillo, sicuro dal punto di vista igienico e garantisca la privacy
Operatori:
1 o 2 dopo valutazione
Pianificazione:
Valutare: il calibro e la misura della sonda rettale e lubrificare circa 5 cm.; la giusta temperatura (tra
40 e 43°C); la quantità di liquido da utilizzare (monouso o grandi quantità); la forza del flusso della
soluzione; il tempo di ritenzione del liquido (da 5 a 10 minuti - clistere depurativo - a 30 minuti
circa - per un clistere ritenzivo -)
Osservazioni:
controllo continuo del paziente durante e dopo la procedura, annotazioni sulla cartella
infermieristica.
Riordino: paziente, ambiente e materiale
Delega: può essere delegata al personale di supporto o ai suoi familiari previa valutazione delle loro
conoscenze e abilità e del grado di complessità assistenziale. L’infermiere deve assicurarsi che il
personale sia a conoscenza delle precauzioni standard da adottare. Inoltre l’infermiere deve essere
tempestivamente avvisato e deve intervenire per la determinazione delle risposte assistenziali più
idonee quando una delle fasi della procedura risulta difficoltosa, ad esempio in possibilità di inserire
la sonda rettale, la difficoltà del paziente di trattenere la soluzione.
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SOLUZIONI COMUNEMENTE USATE PER I CLISTERI
Soluzione
Costituenti
Azione
Ipertonica
Fosfato di sodio
(90-120 ml)
Richiama
colon
Ipotonica
Acqua di rubinetto
(500-1000 ml)
Distende
il
colon, 15-20 min.
stimola la peristalsi e squilibrio
idroelettrolitico,
ammorbidisce
intossicazione da acqua
Isotonica
Soluzione fisiologica
(500-1000 ml)
9 ml NaCl x 1000
Distende
il
colon, 15-20 min.
stimola la peristalsi e possibile ritenzione di sodio
ammorbidisce
Saponosa
Sapone di Marsiglia
Acqua
(500-1000 ml)
3-5 ml sap. X 1000
Oleosa
Minerali,
olio di oliva,
olio di semi
(90-120 ml)
acqua
Tempo/Effetti
collaterali
nel 5-10 min.
ritenzione di sodio
+ Irrita la mucosa, distende 10 - 15 min.
il colon
irrita e può danneggiare la
mucosa
Lubrifica le feci e la
mucosa del colon
30- 60 min.
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9.Mobilizzazione del paziente secondo varie complessità assistenziali: responsabilità,
competenze e delega ed utilizzo degli ausili di mobilizzazione.
Posizioni:

Eretta

Prona: a pancia in giù- fine: correzione contratturale, dopo biopsia renale, emorroidectomia,
x decompressione decubiti;cuscini sotto il diaframma x prevenire lordosi e sotto i piedi;

Supina: a pancia in sù- fine: traumi cranici, frattuta alla colonna o bacino, medicazione
addome; sostegni sotto la cervicale e laterali;

Ortopnoica-Fowler alta: seduta (testa e tronco)60°-90°-fine: per puntura lombare con il
corpo in avanti, x alimentarsi; meglio uno sgabello sotto i piedi;

Semiortopnoica: semiseduta- fine difficoltà respiratori, aereosol (i polmoni si espandono
meglio grazie alla forza di gravità che manda giù il diaframma), problemi cardiaci; Fowler
bassa: 15°-45°, Fowler : gambe dritte, Semi Fowler: gambe piegate;

Laterale: gamba sx flessa in avanti- fine: x eslorazioni rettali, clistere,colonscopia, piaghe,
I.M., interventi polmonari;

Trendelenburg: 20°-30° in giù rispetto al piano, in diagonale:declive-fine: anti-shock,
colassi circolatori, emorragie acute, raissorbimento edemi agli arti inferiori, aiuta il ritorno
venoso, dopo intervento alle vene varicose arti inferiri;

Antitrendelenburg:proclive-fine: distrurbi circolatori arteriosi, x cause di RGE, ernie iatale,
edemi celebrali;

Semiprona (nato)-fine: migliora il drenaggio della bocca, per piaghe riduce la compressione
del trocantere;

Ginecologica-fine: visite ginecologiche, raschiamento, catetere per donna, per fornire la
padella, x cure igieniche;

Alta delle gambe: tronco e gambe a 45°- fine: flebiti, x evitare emboli e trombi ai polmoni,
stimola il reflusso venoso;

Preghiera mussulmana: si sorregge con gomiti e gambe(ginocchia piegate) a 90°:
esplorazioni rettali.
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10.Igiene delle mani, varie modalità di applicazioni cliniche; modalità e differenze di
utilizzo dei guanti sterili e non.
L’igiene delle mani è una procedura sanitaria fondamentale principalmente per la trasmissione delle
infezioni; quindi viene utilizzata come procedura per la prevenzione delle infezioni, è importante sia
nei confronti dei pazienti sia nei confronti dell’operatore stesso.
Le nostre mani hanno due tipi di flora batterica:
La flora transitoria composta da germi che si depositano sulle mani a seguito di contatti con
oggetti e superfici. I germi transitori e occasionali non si moltiplicano, vivono al mx 24h e
sono facilmente rimovibili attraverso il lavaggio. Sono tali germi i principali responsabili
delle infezioni trasmesse.
La flora residente invece è composta da germi normalmente presenti sulla pelle e sono a
bassa virulenza infatti difficilmente causano infezioni.I germi resistenti si mltoplicano e
tendono a colonizzare.
Lo scopo del lavaggio delle mani è quello di eliminare la flora transitoria e di ridurre il più possibile
quella residente;
Le mani vanno lavate:
PRIMA di procedure invasive, assistenza al paziente, medicazione di ferite, mettere i guanti
DURANTE l’assistenza ad ogni singolo paziente
DOPO aver medicato ferite, toccato oggetti contaminati, rimosso i guanti
Tipi di lavaggio
LAVAGGIO SOCIALE: 15 secondi-1 minuto.
Deve essere effettuato per le procedure non invasive, in tutte le occasioni in cui le mani siano
sporche o potenzialmente sporche, o comunque prima di svolgere tutte quelle funzioni che
richiedono la garanzia di mani pulite. Effettuato tra le attività,ad inizio e fine turno tra un pz e
l'altro. Lo scopo è la rimozione di gran parte dei microrganismi transitori. Si usa il normale sapone
liquido seguito da un abbondante risciaquo e completa asciugatura.
LAVAGGIO ANTISETTICO: min. 2 minuti.
Il suo scopo è quello di eliminare tutta la flora transitoria e ridurre i germi resistenti dalle mani e di
ritardare la loro ricomparsa. Viene effettuato in tutte quelle procedure che devono essere eseguite in
maniera antisettica come medicazioni, cateterismo vescicale.
Si usa un sapone antisettico o disinfettante con la clorexidina associato a detergente seguito da
risciaquo e asciugatura.
LAVAGGIO CHIRURGICO: 3-6 minuti.
Scopo eliminare completamente i germi occasionali e resistenti.
Si usa prima di un intervento chirurgico o metodica invasiva. Previene la diffusione di germi dalle
mani dell’operatore al campo operatorio a causa della rottura dei guanti o della presenza di
microporosità nei guanti stessi.
Il lavaggio viene effettuato con preparati antisettici come nel lavaggio antisettico ma per un tempo
superiore e viene esteso agli avambracci e prevede anche la pulizia mediante uno spazzolino sterile
delle unghi, risciaquo e asciugatura con telini sterili.Bisogna tenere le mani più in alto rispetto ai
gomiti per andare da una zona meno contaminata a una più contaminata.
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TECNICA:
Lavare con forti movimenti circolatori per il palmo, dorso e polso.Intrecciare le dita e i pollici per
pulire gli spazi interdigitali strofinando forte, avanti e indietro.Strofinare la punta delle dita contro il
palmo delle mani.
CONTROLLARE MANI
Le Unghie senza smalto e corte: hanno meno probabilità di raccogliere microorganismi, graffiare un
pz o bucare i guanti.
Rimuovere i gioielli: i microorganismi possono alloggiare negli snodi dei gioielli e sotto gli anelli,
la coretta pulizia è facilitata senza di essi.
Tenere sotto controllo qls lesione: un infermiere con lesioni continue sulla cute ha maggior rischio
di trasmissione di microorganismi infetti.
I GUANTI
È un D.P.I. e vengono utilizzati dal personale sanitario per ridurre il rischio di trasmettere ai
pazienti o viceversa infezioni.
Essi sono generalmente utilizzati con una funzione di barriera durante le attività assistenziali che
possono portare a contatto la cute con il sangue e altri liquidi biologici contaminati.
I guanti non impediscono la contaminazione delle mani e per questo è importante lavarle prima e
dopo averli indossati.
Indossare i guanti monouso quando si svolgono attività a rischio di contaminazione delle
mani;
Evitare di toccare telefoni, rubinetti, interruttori o altro;
Sostituire i guanti tra un paziente e l’altro e dopo ogni procedura sullo stesso paziente che
implichi la loro contaminazione con materiale ad elevata carica batterica;
Sostituire i guanti se si lacerano o si contaminano visibilmente;
Lavare sempre le mani dopo la rimozione dei guanti;
evitare l’eccessivo stiramento tirandoli alla base delle dita per calzarli;
cercare di verificare che non siano troppo stretti o larghi.
GUANTI STERILI
Si possono indossare con il metodo aperto o con il metodo chiuso. Il metodo aperto è usato più
frequentemente fuori della sala operatoria, il metodo chiuso richiede che l’infermiere indossi un
camice sterile. I guanti sono indossati durante molte procedure per permettere all’infermiere di
maneggiare liberamente oggetti sterili e prevenire, nei pazienti a rischio (ad es. quelli con ferite
aperte), di essere infettati da microrganismi presenti sulle mani dell’infermiere.
I guanti sterili sono confezionati con il polsino girato e con i palmi diretti verso l’alto quando la
confezione sterile è aperta. La confezione, indica di solito, la taglia del guanto ( ad es. 7 e mezzo o
media grandezza).
Guanti in lattice e vinile sono disponibili per proteggere l’infermiere dal contatto con fluidi corporei
e sangue. Il lattice è più flessibile del vinile, si adatta alle mani di chi lo indossa, permette libertà di
movimento e ha la caratteristica di chiudere le piccole forature. I guanti in vinile devono essere
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scelti per svolgere compiti che non forzino il materiale del guanto, richiedano una minima
precisione e abbiano un rischio minore di esposizione ad agenti patogeni.
Indossare e rimuovere i guanti sterili (metodo aperto)
Materiale occorrente
confezione di guanti sterili
Tecnica
Spiegare al paziente cosa si sta facendo, perché e come può collaborare;
Lavare le mani e osservare le procedure per il controllo delle infezioni;
Provvedere alla riservatezza del paziente;
Aprire la confezione dei guanti sterili:
Mettere la confezione dei guanti su una superficie asciutta e pulita. L’umidità della
superficie può contaminare i guanti.
Alcuni guanti sono contenuti in un ulteriore confezione interna. Aprire la confezione esterna
senza contaminare i guanti o la confezione interna.
Rimuovere la confezione interna da quella esterna.
Alcuni produttori forniscono una sequenza numerata per aprire le falde e le pieghe da
afferrarle per aprirle. Se non ci sono indicazioni, afferrare la falda in modo che le dita non
tocchino la superficie interna. La superficie interna, accanto ai guanti sterili, rimarrà
sterile.
Indossare prima il guanto della mano dominante.
Se i guanti sono confezionati l’uno accanto all’altro, afferrare il guanto della mano
dominante all’orlo della piega del polso (sul lato palmare) con il pollice e l’indice della
mano non dominante. Toccare solo l’orlo del polsino. Le mani non sono sterili. Nel toccare
solo l’orlo interno del guanto, l’infermiere evita di contaminare l’esterno.
Se i guanti sono posti l’uno sopra l’altro, afferrare il polsino del guanto superiore come
descritto sopra, usando la mano opposta.
Inserire la mano dominante nel guanto e tirare su il guanto. Mantenere il pollice della mano
contro il palmo durante l’inserzione. Se il pollice è tenuto contro il palmo è meno probabile
contaminare l’esterno del guanto.
Lasciare il polsino girato verso il basso.
Mettere il secondo guanto sulla mano non dominante.
Prendere l’altro guanto con la mano inguantata sterile, inserendo le dita inguantate sotto il
polsino tenendo il pollice inguantato contro il palmo inguantato. Questo aiuta a prevenire la
contaminazione casuale del guanto con la mano nuda.
Indossare il secondo guanto con attenzione. Tenere il pollice del primo guanto per quanto
possibile vicino al palmo. In questa posizione è meno probabile che il pollice si contamini
toccando il braccio.
Sistemare ogni guanto e tirare con attenzione i polsini verso l’alto facendo scivolare le dita
sotto i polsini.
Rimuovere e gettare i guanti usati.
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Rimuoverli girandoli al rovescio (Rimuovere il primo guanto afferrando la superficie
palmare sotto il polsino, facendo attenzione a toccare solo il guanto. Mettere le prime due
dita della mano nuda dentro il secondo guanto senza toccare con la mano nuda l’esterno del
guanto sporco. Togliere il secondo guanto rovesciandolo; il secondo guanto contiene
all’interno il primo).
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11.Lesioni da pressione: prevenzione, strumenti utilizzabili, medicazioni avanzate, grado di
complessità delle lesioni, scala di valutazione. Responsabilità infermieristiche.
Sono aree di lesione della cute e dei tessuti circostanti causati da un interruzione totale o parziale
della circolazione capillare con conseguente ischemia tissutale la quale porta ad una diminuzione di
circolazione-apporto di sangue e di sostanze nutritive con successiva morte cellulare e necrosi.
È necessaria un pressione pari 32 mmHg per favorire un ischemia tissutale causata da una
compressione tra 2 piani rigidi,come tra prominenza ossaea e il letto o sedia.
Esistono varie classificazioni delle lesioni da pressione che possono essere:
I.Topografica delle sedi;
II.dello stadio;
III.dello stato;
1.Sedi:
95% prominenze ossee della metà inferiore del corpo:
65% sacro, coccige, trocantere
25-30% arti inferiori, talloni, e malleoli laterali
2.Stadio: NPUAP (National pressure ulcer advisory panel)
primo stadio: eritema fisso con cute integra, abrasione superficiale;
secondo stadio: perdita parziale di spessore cutaneo che coinvolge l’epidermide il derma o
entrambi;
terzo stadio: perdita totale di spessore cutaneo che comporta il danneggiamento,la necrosi
e l'infiammazione del tessuto sottocutaneo.
quarto stadio: perdita totale di spessore cutaneo con distruzione estesa necrosi del tessuto,
o danneggiamento alle strutture più profond :muscolo, osso o tendini.
3.Stato:
NECROTICA, presenza di tessuto non vitale per causa ischemica;
COLLIQUATA
INFETTA (osteomelite ), con segni clinici dell'infezione ed essudato purulento;
FIBRINOSA
FIBRO-MEMBRANOSA
DETERSA, il fondo della lesione è rosso, è presente tess. Tessuto di granulazione,
l'essudato è chiaro;
TESSUTO DI GRANULAZIONE
ASCIUTTE, il fondo è pallido, arancione, i tessuti circostanti sono secchi.La medicazione
aderisce al fondo e rimane asciutta;
UMIDE, il fondo è lucente di colore rosso vivo, la medicazione è umida nell'arco di 2h, è
la situazione ottimale per la lesione;
IPERSECERNENTI, il fondo è rosso lucente, i tessuti circostanti sono macerati.
Medicazione va cambiata spesso x la perdita di essudato
ODOROSE
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Prevenzione- responsabilità infermieristica:
ispezione giornaliera principalmente nei soggetti a rischio,es. obesi, tetra o para -plegici;
cura e igiene della cute, infatti lo sporco, il sudore ed i liquidi biologici, favoriscono la
macerazione e l’irritazione della cute;
mantenere le lenzuola e i vestiti puliti e tesi in quanto le pieghe irritano ed escoriano la
cute;
Adeguata mobilizzazione, ogni 2 h il pz deve cambiare posizione;
 manipolazioni-massaggi della zona con creme idratanti;
Istruire pz e familiari a prevenire;
Correzione dei fattori di rischio: malnutrizione, anemia, squilibrio idroelettrici,
ipoalbuminemia;
Terapia delle malattie associate: cardiovascolari, respiratorie, renali, neurologiche,
metaboliche;
Utilizzare i presidi sanitari: materassini antidecubito, trapezio e barre laterali in caso di pz
cosciente.
Utilizzare pomate spray gel.
Medicazioni:
In ferite che presentano più quadri clinici occorre trattare prima l'infezione, poi la necrosi ed infine
la detersione.È importante osservare la lesione per scegliere la medicazione e osservare la lesione
periodicamente x adeguare la medicazione in base all'evoluzione di questa.
Gli scopi della medicazione sono:
Proteggere la ferita;
Dare umidità;
Assorbire le secrezioni;
Eliminare l'infezione;
Ricostruire i tessuti in un' ambiente ottimale
Le medicazioni AVANZATE per le ulcere da pressione sono medicazioni costituite da materiale
biocompatibile il quale quando interagisce con il tessuto leso fornisce la reazione desiderata,
risposta specifica. Garantiscono il mantenimento di un ambiente adeguato favorendo una guarigione
più rapida.
La medicazione ideale garantisce:
Isolamento termico;
Assorbimento;
Permette intervalli di cambio lunghi;
Mantiene il microambiente umido
Favorisce la rimozione di essudati emateriale necrotico
Mantenere la T costante
Auitramaticità alla medicazione
Prevenire e trattare infezioni
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Preservare i margini
Manegevolezza
IDROCOLLOIDI:
Indicazioni: Assorbono l’essudato ed infatti sono utilizzati per le piaghe con essudanti medio-bassi.
ulcere a spessore parziale o totale.
Devono essere scaldati prima dell'uso per una perfetta adesività. Si trasformano in gel quando
vengono a contatto con il liquido (essudato).
Da evitare su lesioni molto essudative e con cute perilesionate e su ustioni a tutto spessore.
IDROGEL:
Sono medicazioni sottoforma di gel; promuovono un ambiente umido
Indicazioni: idoneo per ferite necrotiche con escara, con essudazione scarsa, lesioni infette..
È composto in gran % di acqua, alginato di calcio. Necessitano di una medicazione secondaria;
agisce in 48-72 ore e non prima.
ALGINATI:
Sono composti di Sali di Calcio e di Sodio dell'acido Alginico. Sono medicazioni con un potere
assorbente medio-alto, ma non influiscono sulla riparazione tissutale.
Indicazioni: si utilizzano su per ulcere essudative, cavitarie, sanguinanti. Favoriscono un
assorbimento anche in posizione verticale.
SCHIUME DI POLIURETANO:
Sono costituite da una schiuma poliuretanica, alto potere assorbente, e un film di copertura,
idrofilica. Trattengono grandi quantità di essudato.
Indicazioni: lesioni a spessore variabile, essudative,presenza di cute perilesionata deteriorabile.
MEDICAZIONE A BASE DI ARGENTO:
Risveglia il processo di riparazione tissutale in lesioni con blocco/ritardo della guarigione, usato
anche nelle ustioni.Es. Sofargen, Sulfamidico.
Combina in un’unica medicazione:
Effetto antibatterico degli ioni argento;
Gestione dell’essudato e creazione di un microambiente ottimale per accelerare il processo
di guarigione;
Effetto barriera verso batteri esogeni ed inquinanti esterni.
IDROFOBE
Indicazioni: lesioni a spessore parziale o totale, con essudazione media-intensa, infette o
contaminate, cavitarie.Es. Garze Idrofobe
Hanno una buona capacità assorbente e la medicazione si rimuove interamente.
COLLAGENE
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Disponibili in polvere, pasta, promuovendo la formazionee l'organizzazione di nuove fibre di
collagene, buon potere emostatico.Su lesioni secche il fondo va idratato con soluzione salina.
VAC TERAPY
Scala fornita dalla National Pressure Ulcer Advisory Panel, la quale prende in considerazione la
piaga nella sua:
Estensione in cm2
Quantità di essudato
Tipo di tessuto
Delega: La valutazione e l'osservazione delle piaghe NON PUO’ essere delegata al personale di
supporto. Il protocolla è di impostazione medica, lo svolgimento della medicazione medica e
infermieristica.
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12. Somministrazione dei farmaci, differenti vie di somministrazione: responsabilità,
competenze e delega.
In Italia i farmaci sono distribuiti dal farmacista su prescrizione medica e dell'odontoiatra.
L'indicazione scritta x la preparazione e la somministrazione di un farmaco è la prescrizione.
L'infermiere sotto prescrizione medica somministra il farmaco al pz.
Un farmaco può avere 4 nomi:
Nome Generico: viene attribuito prima di qll ufficiale
Nome Ufficiale: rappresenta il nominativo sotto il quale il farmaco viene iserito nella lista di una
delle pubblicazioni ufficiali (prontuario farmaceutico)
Nome Chimico: il termine è riconosciuto dal farmacista ed è qll del principio attivo
Nome Commerciale:è il termine attribuito dal produttore
Vie di somministrazione
La terapia farmacologica è l’introduzione di farmaci nell’organismo attraverso varie vie tra le quali:
Via orale: più comune, meno costosa e con meno effetti collaterali. È il metodo più sicuro.
Gli svantaggi sono rappresentati dal sapore sgradevole, dall’irritazione della mucosa
gastrica, assorbimento lento e danni ai denti. Sconsigliato in caso di nausea e vomito.
Via sublinguale: farmaco posizionato sotto la lingua dove si scioglie ed entra subito in
circolo per la presenza di molti vasi sanguigni. Es. Nitroglicerina.
Via-Da sciogliere in bocca: il farmaco viene trattenuto sulla guancia, può agire localmente
o x via sistemica qnd viene ingerito.
Via enterale: somministrazione di farmaci attraverso il tratto gastrointestinale, tramite
SNG o PEG. Si sceglie questa via in caso di impossibilità ad assumere per via orale.È
importante somministrare farmaci liquidi o comunque assicurarsi che le compresse possono
essere frantumate. Ad esempio le compresse gastro resistenti non possono essere diluite.
Importante non somministrare capsule intere, ma sempre diluite con almeno 10 ml di acqua.
Eseguire il lavaggio del sondino sempre prima e dopo la somministrazione. Se devono
essere soministrati farmaci differenti somministrarli separatamente.
Via parenterale, somministrazione di farmaci attraverso una via diversa da quella
gastrointestinale. In questa via entrano a far parte la via intradermica, sottocutanea,
intramuscolare ed endovenosa. È una via molto importante in quanto è una via di non
ritorno perché una volta somministrati i farmaci non possono essere più rimossi. Sono
assorbiti molto più velocemente.
Via topica: uso locale del prodotto.
Ricordati sempre:
-Controllare la prescrizione
-Conoscere l'azione del farmaco, gli effetti collaterali
-Verificare la via di adequata di somministrazione e la capacità del pz,es. x os.
VIA ORALE
Tecnica
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1. Lavare le mani
2. Aprire il carello dei farmaci
3. Prelevare il farmaco-prescrizione: confrontare etichetta sul contenitore del farmaco e
verificare la data di scadenza
4. Preparare il farmaco: calcolare il dosaggio-giusta quantità e mentre si prepara si ricontrolla(
le 6 g). Compresse: tagliare solo x arrivare alla giusta dose, eliminare il farmaco che non si
usa. Narcotici: verificare i parametri vitali, carico e scarico nel registro degli stupefacenti.
Tutti i farmaci: somministrazione in stanza e direttamente al pz al momento della
somministrazione con carello e scheda di terapia.Verificare etichetta, non lasciare incustoditi
i farmaci.
5. Privacy del pz
6. Preparare il pz: verificare l'identità, posizione ortopnoica, x i farmaci con digitale( i digitaliti
possono creare intossicazione,bradicardia, allungamento del tratto p-q, allargamento r-s,
inversione di t; si usano per lo scompenso cardiaco,vanno ad aumentare il battito) rivelare
polso apicale, x antiipertensivi misurare pressione, x i narcotici freguenza respiratoria
7. Spiegare lo scopo e i benefici del farmaco al pz con un linguaggio comprensibile
8. Orario corretto-dare acqua o polpa o tritare
9. Restare con il pz finchè tutti i farmaci sono stati assunti
10. Documentare in C.I.: registrare il farmaco, dosaggio, orario, firma; se il farmaco viene
rifiutato dal pz va registrato
11. X Neaonato: siringa somministrazione liquida lateralmente alla bocca o nella tettarella
12. X Bambino: nascondere il sapore con un dolce, usare il cucchiaino e frantumare le
compresse.
VIA ENTERALE
Linee guida:
 Somministrare i farmaci liquidi per non ostruire il sondino
 Se solido frantumarli o diluirli con acqua tiepida
 Se il sondino è collegato es. alla nutrizione staccarla e poi dare la terapia eseguendo il
lavaggio (30ml) prima e dopo
 Per itrodurre il farmaco usare siringhe da 60 ml monouso
VIA PARENTERALE
L'Infermiere somministra per via:
- Intradermica- ID
- Sottocutanea- SC
- Intramuscolare- IM
- Endovenosa- EV
VIA INTRADERMICA
Somministrazione di un farmaco nel derma con angolazione di 15 ( sotto l'epidermide)
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Zone:



parte interna dell'avambraccio
parte superiore del torace e la schiena
sotto le scapole
Tecnica:
1. verificare la scheda di terapia
2. lavare le manifestarsiIdentificare il pz, informarlo e garantire la privacy
3. Preparare il farmaco
4. Scegliere e disinfettare la zona
5. Mettere i guanti
6. Far fuoriuscire le bollicine dalla siringa , prendere nella mano dominante la siringa, tenere
l'ago quasi parallelo alla superficie della cute
7. Iniettare il liquido: con la mano non dominante tirare la cute; inserire la punta dell'ago, si va
a creare un piccolo ponfo
8. Ritirare l'ago velocemente, non massaggare
9. Ducumentare
VIA SOTTOCUTANEA
Somministrazione nel sottocute con ago ad angolo 45 se posso afferrare circa 2,5 cm e a 90 se posso
afferrare circa 5 cm, x: vaccini, insulina, eparina, narcotici.
Zone:
 parte superiore ed ex del braccio
 parte superiore della coscia
 addome
 area scapolare della schiena
VIA INTRAMUSCOLARE
Si inietta il farmaco nel muscolo da dove viene poi vene assorbito nel torrente ematico. Le sostanze
vengono assorbire più velocemente rispetto al SC e si può somministrare più liquido. È importante
adottare tecniche asettiche. Un comune effetto che possiamo riscontrare è la presenza di un pomfo,
un area indurita.
Sedi di iniezione:
Ventrogluteale: sede preferita in quanto non contiene nervi o vasi; è la parte più spessa del
muscolo; è lontana dalle ossa e contiene meno grasso. Questa sede è facilmente accessibile
ed è localizzabile ponendo il palmo della mano sopra il grande trocantere con le dita verso la
testa del pz,, angolando l’indice verso la spina iliaca antero superiore e il medio verso la
cresta iliaca, il medio si apre verso il gluteo: l’iniezione viene somministrata nel centro
dell’area triangolare che si forma tra indice, medio e cresta iliaca.. Anche se il sito
ventrogluteale è considerato la sede da preferire per le iniezioni intramuscolari, viene poco
utilizzata dagli infermieri;
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Deltoidea: muscolo deltoide, parte superiore dell’avambraccio, isolarlo e tenerlo fermo. La
sede di iniezione si definisce tracciando una linea immaginaria lunga 2,5-5 cm sotto il limite
inferiore del processo dell’acromion della scapola. Possibili complicanze sono la lesione
accidendale del nervo radiale brachiale o ulnare e dell’arteria brachiale;sconsigliata se il
muscolo e piccolo;
Sede dorsogluteale: Questa sede corrisponde al quadrante superiore esterno. L’indicazione
di dividere il gluteo in 4 quadranti e somministrare l’iniezione nella parte superiore del
quadrante esterno,posizione prona del pz con i piedi puntati internamente o lateralmente con
il ginocchio flesso, attenzione al nervo sciatico e ai vasi;
Sede del retto femorale: Il muscolo retto femorale è localizzato a metà fra la rotula e la
cresta iliaca superiore, nella zona medio anteriore della coscia (vedi figura 2), parte anteriore
della coscia.. In questa sede, l’assorbimento dei farmaci è più lento rispetto al deltoide, ma
più rapido rispetto al gluteo, e consente quindi di raggiungere più velocemente
concentrazioni plasmatiche di farmaco ottimali. Le iniezioni nel muscolo retto femorale si
eseguono quando le altre vie sono controindicate, o in caso di auto somministrazione del
farmaco perché è un muscolo facilmente accessibile in posizione seduta o supina;
Sede vasto laterale (o vasto femorale): Questo muscolo, come il retto femorale, fa parte del
gruppo di muscoli del quadricipite del femore. Il muscolo vasto femorale si trova nel terzo
medio della coscia, tra il condilo femorale laterale del ginocchio e il grande trocantere. Uno
dei vantaggi di questa sede è la facilità di accesso e soprattutto l’assenza di vasi o strutture
nervose. La velocità di assorbimento del farmaco nel muscolo vasto femorale e nel retto
femorale è simile. Per identificare la sede si può far emergere il muscolo immobilizzandolo
con la mano non dominante, quindi si inserisce l’ago lungo l’asse della gamba in modo da
iniettare il farmaco nel muscolo (tecnica americana) oppure con gli stessi punti di repere si
tende la cute tra indice e pollice e si inserisce l’ago a 90°. Posizione supina o orpnoica del
pz.
Tecnica:
7.Iniettare il farmaco con la tecnica Z:
 usare la mano non dominante x tenere la cute approssimativamente di 2,5cm al lato;
 tenendo la siringa tra pollice e indice spingere la cute velocemente e delicatamente con angolo
di 90
 tenere fermo il cilindro con la mano non dominante ed aspirare tirando indietro lo stantuffo con
la mano dominante
 TECNICA DI HASSEL: aspirare x 5-10 sec. Se compare sangue estrarre l'ago ed eliminare la
siringa e prepararne una nuova
 Se ok, iniettare il farmaco lentamente e in modo costante
 Aspettare 10 sec.
8. Estrarre l'ago delicatamente con lo stesso angolo di inserimento
- apliccare una presione delicata sulla zona
- non massaggiare
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Iniezioni intramuscolari nei bambini
Tradizionalmente le iniezioni intramuscolari in ambito pediatrico sono effettuate nel muscolo vasto
laterale o rettofemorale. Alcuni autori però sostengono che il muscolo ventrogluteale è la sede da
preferire nei bambini con più di 2 anni. L’American Academy of Pediatrics (AAP) ha raccomandato
di utilizzare il muscolo vasto laterale per le iniezioni intramuscolari per i neonati e nei lattanti fino a
7 mesi, mentre ha sconsigliato il sito dorsogluteale per le vaccinazioni. Il muscolo ventrogluteale
può essere usato anche nei lattanti al di sotto dei 7 mesi, ma si raccomanda di preferire il muscolo
vasto laterale. Le prove relative alla facile accessibilità della sede ventrogluteale in posizione
supina, prona o nel decubito laterale, e la facile identificazione dei punti di repere con la palpazione,
portano a ritenere che questa sede sia quella più sicura per la maggior parte delle iniezioni
intramuscolari negli adulti e nei bambini con più di 7 mesi.
Lo scopo di una procedura terapeutica è quello di portare all’interno dell’organismo una sostanza
curativa attraverso le diverse vie utilizzabili affinché possa agire e dare il risultato terapeutico
desiderato.
VIA ENDOVENOSA
Immissione diretta di liquidi, farmaci, sangue o emoderivati nel circolo venoso.Agisce velocemente,
la somministrazione in vena puo’ essere effettuata in bolo (farmaco non è diluito e viene iniettato
direttamente in vena tramite siringa) o in infusione (farmaci diluiti o liquidi iniettati tramite set
infusionale), infusionale può essere o di grandi volumi ( farmaci spesso sono diluiti in 500ml di
fisiologica) o infusione EV a intermittenza ( il farmaco viene diluito in piccole quantità di liquido,
125 ml, viene somministrato in intervalli regolari ed infuso per breve periodo in una linea
secondaria. La linea secondaria può essere o a tandem a piggyback).
Indicazioni
somministrazione di farmaci in situazioni nelle quali e’ necessario un effetto farmacologico
rapido;
quando la somministrazione di farmaci non e’ possibile per altre vie (pazienti ustionati,
comatosi);
mantenere o ripristinare volemia, equilibrio acido-base, equilibrio elettrolitico, stato
nutrizionale;
somministrazione sostitutiva di sostanze indipendentemente dall’interferenza dei
meccanismi d’assorbimento
ispezionare e palpare il sito di inserzione e tessuti circostanti ,e s. edema
ispezionare la cute, es. flebiti
rivelare i segni vitali
verificare allergie
controllare la compatibilità tra farmaco e liquido con cui si diluisce
verificare l'azione specifica del farmaco, effetti collaterali, orario e dosaggio
verificare la pervietà della linea EV
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Materiale occorrente
farmaci/soluzioni prescritte;
disinfettante (iodofori o clorexidina gluconata in soluzione alcolica);
garze sterili;
batuffoli;
siringhe varie;
set infusionali;
eventuali presidi per il controllo del flusso;
fiale di soluzione fisiologica;
soluzione eparinata allo o,1%;
guanti monouso;
cerotti;
reniforme;
dispositivi vari sterili per la chiusura degli accessi venosi;
presidi per lo smaltimento differenziato dei rifiuti (vetri, aghi);
Farmaci e preparazioni per uso parenterale
Normalmente sono soluzioni ma possono anche essere sospensioni o polveri che vengono sciolte in
adatto solvente al momento dell’uso.
I requisiti ritenuti indispensabili per un preparato iniettabile sono:
sterilità;
apirogenità;
limpidezza.
Il controllo di queste proprietà e’ riservato al personale infermieristico.
Prima di ogni somministrazione si dovrà sempre controllare che la soluzione oltre che limpida non
presenti corpuscoli estranei (difetti di produzione o provocati dalla perforazione del tappo) l’unico
caso in cui la soluzione può risultare non limpida e’ per le sospensioni.
L’infermiere deve inoltre garantire la corretta conservazione dei farmaci o soluzioni e controllare la
scadenza e l’approvvigionamento degli stessi.
La terapia farmacologia si basa sulla somministrazione di principi attivi che agiscono con diversi
meccanismi sul sintomo e/o sulla causa della malattia; tali principi attivi sono in genere addizionati
a eccipienti che ne modificano le caratteristiche organolettiche, rendendoli il più gradevoli possibili
alla persona e favorendone l’assorbimento e la distribuzione nell’organismo.
L’infermiere non deve stabilire il dosaggio dei farmaci per i pazienti, ma deve essere consapevole
delle dosi normali, nonché dei criteri per stabilirle.
Preparazione dei farmaci iniettabili
Fiala:

dare dei colpetti sulla punta della fiala per far scendere tutti il framco

posizionare una piccola garza tra il pollice e il collo della fiala e spezzare la parte superiore
pieghevole verso sé

aspirare il farmaco con ago a filtro, non toccare il bordo della fiala
63
64

mentre si aspira la fiala è inclinata a testa in giù
Flacone:

Rimuovere il tappo protettivo

aspirare con la siringa una quantità di H2 uguale al volume di farmaco

inserire l'H2 nel flacone

aspirare il framco invertendo il flacone e tenedo l'ago sotto il livello del liquido
Miscelare farmaci:
- 2 flaconi: aspirare H2 di a+b poi in a lasciare l'H2 di a e aspirare il famaco, in b lasciare l'H2
rimasta e aspirae il framaco.
 flacone e fiala: prima qll del flacone poi qll della fiala.
Siringhe
Composte:

punta con ago

cilindro con scala di misura

stantuffo nel cilindro
- Siringa con ago ipodermici: 2,2.5, 3 ml con scala ml e scala minima
- Siringa da insulina: scala di misura speciale e graduata a 40 unità.
- Siringa da tubercolina: stretta, graduata in decimi e centesimi di ml (fino a 1 ml)
- Altre siringhe di uso comune: da 5,10,20,50,60 ml.
 Singhe preriempite monouso: es. clexane (anticoagulante), l'ago (punta a becco di clarino,
lunghezza cannula)

L'ago si misura in Gauge: più grande il numero di G. minore è il diametro (G. più piccolo=
diametro più grande).
L'infermiere deve evitare di far venire a contatto qualsiasi cosa non sterile con l'ago.
Prevenzione delle puntute accidentali da ago:

Usare contenitori appopriati x eliminare aghi e taglienti

Il Box per Taglienti deve eseere sempre vicino all'infermiere nella pratica di utilizzo di
taglienti

Non spezzare aghi prima dell'eliminazione

Non incappucciare mai l'ago
VIA TOPICA
Farmaci Dermatologici :

Cerotti Trasdermici: selezionare un'area pulita, asciutta, libera da peli.Qnd si applica fare
pressione x 10 sec.

Creme, Unguenti,Paste: scaldare e ammorbidire la perparazione nella mano per facilitare
l'applicazione ed evitare il raffreddamento.

Lozioni a base di sospensione: agitare prima dell'uso, mettere su garza e applicare sulla cute

Spray Aereosol

Polvere: cute sciutta e tendenze ad eventuali pieghe
Farmaci Oftalmici:
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65
Somministrazione:

x istillazioni: liquidi o unguenti( piccoli tubi)

x irrigazione: x pulire la membrana congiuntivale
Come somministrare :

chiedere al pz di fissare il soffitto,

esporre il sacco congiuntivale inferiore ponendo il pollice sull'osso zigomatico appena sotto
l'occhio e

tirare la cute.
Farmaci Otologici:
Somministrazione:

Irrigazione o
istillazione del canale uditivo di solito vengono fatte x la pulizia.
Come somministrare:

tirare il padiglione in alto e indietro.

dopo qlc sec. premere sul trago dell'orecchio esterno
Farmaci Rinologici:
Istillazioni nasali (gocce per naso) vengono prescritte x:

x restringere mucose edematose

x liberare le secrezioni

x infezioni
Posizione per istillazioni in sede di seni etmoidali e sfenoidali: testa all'indietro, posizione di Proetz.
Posizione nei seni mascellari e frontali: testa all'indietro e girata, posizione di Parkinson. Rimanere
5 min. Fermi.
Farmaci Vaginali:
Somministrazione sotto forma di:

creme: introdotte con un dispositivo tubulare con stantuffo

schiume x infezioni o fasdidio vaginale

candelette: introdotte con l'indice con la mano guantata, si dissolvono con la T corporea

irrigazione: lavaggio a bassa pressione con un liquido
Farmaci Inalatori:

Nebulizzanti ad atomizzazione: un dispositivo chiamato atomizzatore produce goccie grandi
da inalare

Nebulizzanti ad aereosolizzazione: le gocce sono sospese in un gas come l'ossigeno
L'inalazione può avvenire sia per via nasale che orale.
Farmaci Rettali:
Via antipatica ma con dei Vantaggi:

Evitare l'irrigazione del tratto gastrointestinale superiore

Non dare farmaci al pz che possono essere sgradevoli per sapore o odore

Liberazione del farmaco in modo lento ma costante
65
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
Più concentrazione nel flusso sanguigno
La posizione da assumere è laterale sx.
Il ruolo dell’infermiere:
Il profilo professionale dell’infermiere, individuato dal D.M. 14 settembre 1994, n. 738 prevede, tra
le altre, che l’infermiere “garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico
terapeutiche” (cfr. art. 1, n. 3, lettera d), d.m. 739/94). E’ opportuno sottolineare come tale funzione
sia l’unica che non viene svolta in assoluta autonomia ma è riconducibile a prescrizione medica.
L’autonomia e la responsabilità dell’infermiere circa questa funzione consistono nello svolgimento
delle procedure e nelle valutazioni necessarie per garantire la correttezza dell’applicazione, laddove
l’abrogato mansionario in termini del tutto diversi attribuiva all’infermiere un ruolo
(apparentemente) esecutivo; si parlava infatti di “somministrazione dei medicinali prescritti ed
esecuzione dei seguenti trattamenti diagnostici e curativi ordinati dal medico”.
Sono indicati in letteratura infermieristica una serie di controlli generali da effettuarsi al fine di
eliminare o ridurre al minimo la possibilità di insorgenza di errori nel corso del processo di
somministrazione della terapia.
Questi controlli comprendono:
la registrazione della prescrizione;
la regola delle 6 G.
Per registrazione della prescrizione si intende la necessità di avere una prescrizione medica (scritta)
reperibile nella cartella clinica e/o nella cartella infermieristica. Nella prescrizione di un farmaco
devono comparire sette elementi che garantiscono un’adeguata completezza di informazioni rispetto
a ciò che si sta somministrando e alla persona a cui lo si somministra:
il nome della persona;
la data della prescrizione;
il nome del farmaco;
il dosaggio;
la via di somministrazione;
la frequenza di assunzione;
la firma di chi ha prescritto la terapia.
Tipi di prescrizione medica:
-Urgente: somministrazione immediata
-Singola: una sola volta ad un orario preciso
-Permanente: con data di sospensione
-Al Bisogno: valutazione infermieristica in base al bisogno del paziente.
La “regola delle 6 G” consiste in una serie di passi che l’infermiere deve percorrere ad ogni
somministrazione di una terapia a tutela della sua correttezza. Essi consistono che siano indicati:
66
67
1) il giusto farmaco: confrontare la prescrizione medica con la scheda della terapia, conoscere
l’azione del farmaco, il dosaggio e la via di somministrazione, gli effetti collaterali, eventuali
incompatibilità con altri farmaci;
2) la giusto paziente: controllare il nome della persona e il numero del letto con quello scritto sulla
scheda della terapia; se è possibile chiedere alla persona il proprio nome e cognome;
3) il giusto orario: questo fattore è controllabile nel momento in cui si decide la ripartizione della
dose terapeutica giornaliera. Spesso il medico prescrive quante volte al giorno somministrare il
farmaco; l’infermiera dovrà allora stabilire gli orari corretti al fine di mantenere un suo costante
livello ematico nelle 24 ore;
4) la giusta via di somministrazione: ogni farmaco può avere più vie di somministrazione che
occorre conoscere. Alcuni preparati possono essere somministrati per una sola via, ad esempio
quella endovenosa, per altri occorre cambiare il tipo di solvente a seconda della via di
somministrazione;
5) la giusta dose: è sempre opportuno verificare la correttezza del dosaggio;
6) la giusta registrazione: registrare l’avvenuta registrazione sulla scheda della terapia con la
firma dell’infermiere.
Delega: La somministrazione dei farmaci NON PUO’ essere delegata al personale di
supporto. L’infermiere PUO’ informare riguardo agli effetti desiderati e/o specificare gli
effetti collaterali.
Aspetti legali
 Gli infermieri devono:
 Sapere quali sono le loro competenze
 Riconoscere i limiti delle proprie conoscenze e abilità
 Operando oltre i propri limiti si mette a repentaglio la vita del pz esponendosi cosi a
prevvedimenti legali
 Davanti alla legge gli infermieri sono responsabili delle proprie azini anche davanti a
prescrizione medica: l'infermiere che somministra il dosaggio sbagliato è responsabile
dell'errore quanto il medico
 L'infermiere si può rifiutare di somministrare un farmaco se lo ritiene opportuno
PER GLI STUPEFACENTI:
 Gli stupefacenti in reparto sono sottochiave
 Per ogni turno bisogna controllare gli stupefacenti e firmare
 Per il carico e lo scarico deve essere compilata una modulistica speciale.Scrivere nel registro
degli stupefacenti nome e cognome del pz, data, ora, nome del farmaco, dosaggio, firma
dell'infermiere; bisogna lasciare scritto tutti i farmaci presenti con le rispettive quantità.
 Prima di prendere il farmaco verificare la quantità che c'è e controllare che rispetto alla
quantità lasciata scritta precedentemente non manchi nulla, preso il farmaco sottrarre alla
quantità precedente e riportare la quantità attuale di tutti i famaci presenti come stupefacenti
 Quando finisce tutto la sostanza ci deve essere un altro infermiere con il ruolo di testimone
che firmi insieme all'altro infermiere
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 Se il conteggio totale non corrisponde bisogna avvertire subito la caposala
Trasmissione scritta delle informazioni riguardanti la terapia – componenti esenziali
I moduli o schede di registrazione delle terapia possono variare indipendentemente dalle esigenze
dell’ambito operativo, dal tipo di terapia somministrata, dai controlli richiesti, dalla quantità e
qualità della terapia stessa, dalla frequenza di somministrazione.
Indipendentemente da questi fattori, ogni modulo o scheda deve riportare almeno i seguenti dati:
il nome e il cognome della persona;
il numero del letto;
la data e l’ora di somministrazione;
la via di somministrazione;
il tempo di somministrazione se occorre specificarlo;
dosaggio del farmaco
lo spazio per la registrazione dell’avvenuta somministrazione;
firma di chi prescrive;
la firma/sigla di chi ha somministrato il farmaco.
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13.Somministrazione dell’insulino-terapia ed educazione al diabetico.
Il termine diabete (dal greco passare attraverso, cioè indicava il passaggio di acqua attraverso il
rene-poliuria) mellito (dolce, cioè l'emissione dello zucchero glucosio con l'urina) comprende un
gruppo di patologie caratterizzate da iperglicemia persistente a digiuno 140 mg/ml(cioè aumento
della concentrazione amatica di glucosio),con alterazione del metabolismo dei carboidrati, dei
grassi e delle proteine conseguente ad anomalie della secrezione o dell’azione dell’insulina o di
entrambe. Si associa a poliuria (emissione di una maggior quantotà di urine) ed a glicosuria (
presenza di glucosi nelle urine) qnd la glicemia supera il valore di 180 mg/dl.
Il diabete mellito viene suddiviso in primario esecondario.
Quello primario comprende:

Il diabete mellito insulino dopendente,IDDM, detto anche diabete mellito di I tipo.Indicato
in passato come diabete giovanile per la precocità del suo esordio.

Il diabete mellito insulino indipendente,NIDDM, detto anche diabete mellito di II
tipo.Indicato in passato come diabete dell'adulto.
Il diabete secondario comprende diverse forme, che si manifestano in conseguenza di patologie
acquisite o ereditarie quali:

l'asportazione del pancreas (pancreasectomia)

pancreatiti

alcune disendocrinopatie (es. iperproduzione di GH o di catecolamine)

assenza su basi genetiche dei recettori per l'insulina, causata da mutazioni ereditariamente
trasmesse

modificazioni strutturali dell'insulina, da mutazioni ereditarie trasmesse

distruzione jatrogena (causata da farmaci) delle cellule B (producono l'ormone insulina)
delle isole di Langherans.
Valore della Glicemia di base: 70-100 mg/dl. Dopo i pasti c'è la cosidetta iperglicemia
postprandiale (80-120 mg/dl) che ritorna rapidamente al livello basale.
Il diabete di I tipo si manifesta quando il pancreas non produce insulina o ne produce in
concentrazione non sufficiente, c'è una progressiva perdita delle cellule B.
In genere la terapia per il diabete di tipo 1 prevede la somministrazione più o meno frequente di
insulina. Lo scopo del trattamento è quello di ottenere e mantenere il miglior controllo glicemico
possibile, evitando di condizionare in modo eccessivo lo stile di vita del paziente e di scatenare crisi
ipoglicemiche.
Occorre sottolineare che la farmacocinetica dell’insulina (cioè il tempo di assorbimento, di
eliminazione e la durata d’azione) può variare molto da soggetto a soggetto in funzione del tipo di
formulazione utilizzata, della dose e della sede di somministrazione. Secondo alcuni studi una
tecnica di somministrazione corretta è importante per la gestione della glicemia tanto quanto la
precisione del dosaggio e il tipo di insulina utilizzata.
Per raggiungere un buon controllo glicometabolico e ridurre il rischio di complicanze è importante
una collaborazione stretta tra il paziente e l’équipe medica. Il medico prescrive la terapia mentre
69
70
l’infermiere ha il compito di somministrarla e di spiegare al paziente come gestire la malattia e
come avviene l’autosomministrazione del farmaco.
Il biabete di II tipo di solito è legato all'obesità, all'iperalimentazione.Maggiore asunzione di
carboidrati porta ad una iperflicemia e ad una iperinsulinemia portando una down regulation (I
recettori si riducono).
L’insulina
L’insulina è un ormone prodotto dalle cellule B delle isole di Langerhans all’interno del pancreas
indispensabile per la regolazione del metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine. E’
inattivata a livello gastrointestinale da alcuni enzimi, per questo non può essere assunta per bocca
ma deve essere iniettata. Inoltre per garantire un assorbimento costante del farmaco l’iniezione deve
essere fatta per via sottocutanea.
Tipi di insulina
Attualmente nella pratica clinica vengono usate l’insulina umana o i suoi analoghi. In passato era
disponibile l’insulina animale ora abbandonata per la sua potenziale immunogenicità.
L’insulina umana è prodotta con un processo semisintetico a partire dall’insulina suina oppure con
un processo biosintetico, che si avvale della trascrizione di DNA ricombinante umano, inserito in
colture batteriche di Escherichia coli. Gli analoghi dell’insulina umana sono stati ottenuti
modificando la sequenza aminoacidica della molecola dell’insulina con tecniche di laboratorio
specifiche.
In particolare è stato sostituito l’aminoacido prolina con l’acido aspartico ed è stata invertita la
posizione degli aminoacidi lisina e prolina ottenendo rispettivamente l’insulina aspart e l’insulina
lispro, a breve durata d’azione. Gli analoghi a lunga durata d’azione glargine e detemir sono stati
ottenuti invece con sostituzioni e inserimenti nella catena aminoacidica che hanno riguardato la
glicina, l’asparagina, l’arginina, la treonina e l’acido miristico.
Le preparazioni in commercio sono principalmente di 3 tipi:
1.a breve durata d’azione (l’insulina solubile umana e gli analoghi dell’insulina umana
lispro e aspart);
2. a durata d’azione intermedia (l’insulina isofano umana NPH);
3.a lunga durata d’azione (l’insulina zinco cristallina e gli analoghi dell’insulina umana
glargine e detemir).
Possono essere associate preparazioni insuliniche diverse sulla base delle necessità del singolo
paziente.
L’insulina solubile umana e gli analoghi dell’insulina hanno una breve durata d’azione e svolgono
la loro attività in tempi rapidi. Entrambi i tipi di insulina vengono utilizzati nella terapia quotidiana
del diabete insulino dipendente e vengono assunti prima dei pasti. La differenza tra insulina solubile
umana e analoghi dell’insulina consiste in una cinetica di azione più fisiologica da parte degli
analoghi che, rispetto all’insulina solubile, hanno un inizio più veloce, una durata d’azione più
breve, migliorano il picco iperglicemico post prandiale e riducono gli episodi di ipoglicemia tardiva
(vedi tabella 1). L’insulina solubile umana è la forma indicata in caso di chetoacidosi diabetica e di
interventi chirurgici, può essere somministrata per via sottocutanea, endovenosa e intramuscolare.
L’emivita, quando viene iniettata per via endovenosa, è molto breve (circa 5 minuti) e il suo effetto
scompare entro 30 minuti.
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71
Le insuline a durata d’azione intermedia (insulina isofano NPH) hanno effetto dopo circa 2 ore, con
un picco tra le 4 e le 8 ore e una durata d’azione tra le 14 e le 16 ore. Di solito vengono
somministrate 2 volte al giorno. Per migliorarne l’efficacia spesso l’insulina isofano viene associata
a insulina solubile umana a breve durata d’azione.
Le insuline a lunga durata d’azione hanno la caratteristica di rimanere in circolo fino a 35 ore. Tra
le insuline a lunga durata d’azione ci sono l’insulina zinco cristallina e gli analoghi dell’insulina
umana (glargine e detemir). L’insulina zinco cristallina inizia l’effetto dopo 2-4 ore dalla
somministrazione sottocutanea e ha un picco d’azione dopo circa 6-10 ore esaurendosi dopo circa
16-30 ore. Queste insuline iniziano ad avere un effetto entro circa 2 d’ore dalla somministrazione e
lo mantengono in modo quasi costante mimando la cinetica fisiologica di secrezione dell’insulina.811 Gli analoghi dell’insulina umana a lunga durata d’azione sono somministrati per via sottocutanea
una o 2 volte al giorno e hanno il vantaggio di ridurre le escursioni in senso iper o ipoglicemico.
Le linee guida del National Institute for Clinical Excellence raccomandano di utilizzare l’insulina
glargine nei pazienti con diabete di tipo 1 e di non prescriverla come trattamento di routine nei
soggetti con diabete di tipo 2.
Lo schema terapeutico cambia in base a più fattori fra cui il tipo di insulina, la dieta, lo stile di vita
del paziente e il suo compenso glicometabolico. L’obiettivo principale della terapia è mantenere una
concentrazione insulinica costante che permetta di controllare la glicemia senza andare incontro a
momenti di iperglicemia e di ipoglicemia.
Somministrazione dell’insulina
L’iniezione di insulina va eseguita in zone del corpo sempre diverse, soprattutto quando si usano
terapie di tipo intensivo (3-4 iniezioni giornaliere), in modo da evitare complicanze lipoatrofiche o
lipoipertrofiche nella zona dell’iniezione. In genere l’insulina viene somministrata con la siringa o
con le penne.
Le siringhe da insulina (100 unità/ml) sono facilmente utilizzabili in ogni situazione. Sono chiuse in
confezioni sterili che garantiscono una buona sicurezza igienica e sono abbastanza precise
permettendo anche di frazionare le unità. Le penne sono i dispositivi più accettati dai bambini e dai
soggetti in trattamento intensivo perché l’ago è nascosto e piccolo per cui l’iniezione è meno
dolorosa. Sono dotate di una cartuccia contenente insulina e di una scala graduata per misurare la
dose da somministrare. Il funzionamento della penna cambia in funzione del produttore ma in
generale si può dire che la quantità da iniettare viene selezionata ruotando l’estremo della penna e
percependo uno scatto dopo ogni dose selezionata. Se viene selezionato un numero eccessivo di
unità è possibile correggere l’errore senza perdere il principio attivo.
In commercio ci sono 2 tipi di penne da insulina:
• le penne riutilizzabili;
• le penne pre riempite non riutilizzabili.
Le penne riutilizzabili sono dispositivi che devono essere caricati con una cartuccia di insulina.
Dopo la somministrazione della dose possono essere riutilizzate dopo aver sostituito l’ago.
Le penne pre riempite sono dispositivi d’iniezione pronti per essere usati. Questi strumenti evitano
di dover inserire la cartuccia nella penna al momento dell’iniezione, ma non possono essere
ricaricati e riutilizzati. Le penne possono essere particolarmente utili per la somministrazione di
insulina lontano da casa come a scuola o in vacanza. Sono utili nei bambini che praticano un regime
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insulinico a somministrazione multipla o con insuline premiscelate. Ogni penna ha un suo sistema
di funzionamento, è importante quindi attenersi sempre alle indicazioni del produttore.
Dal confronto tra somministrazione dell’insulina con siringa e con penna sono emerse alcune
differenze:
• le penne sono più accurate rispetto alle siringhe per la somministrazione di basse dosi di insulina
(<5 unità), mentre a dosaggi superiori alle 5 unità l’accuratezza è paragonabile;
• quando si somministrano dosaggi di insulina inferiori all’unità le siringhe e le penne sono poco
accurate, in questi casi possono essere utili le pompe infusive.
Miscelazione di diversi tipi di insulina
Quando si miscelano 2 insuline bisogna considerare le caratteristiche chimico fisiche delle diverse
soluzioni e bisogna tenere presente che la miscela finale avrà caratteristiche proprie diverse da
quelle delle 2 soluzioni di origine. Se un paziente ha un buon controllo glicemico con una miscela, è
preferibile non modificarne la procedura di preparazione.
E’ importante attenersi alle indicazioni e prima di fare una qualunque modifica alla prescrizione
bisogna parlarne con lo specialista. In ogni caso andrebbe tenuto in conto che:
• l’insulina glargine non dovrebbe essere miscelata con altre forme di insulina;
• la miscela insulina a breve durata d’azione e insulina isofano può essere conservata o utilizzata
subito;
• la miscela insulina a breve durata d’azione e insulina a lunga durata d’azione non è raccomandata
perché lo ione zinco dell’insulina a lunga durata d’azione può legarsi all’altra molecola di insulina
rallentandone l’assorbimento.
• l’insulina a durata d’azione intermedia non dovrebbe essere miscelata con l’insulina a lunga durata
d’azione perché potrebbe formarsi un precipitato di zinco fosfato e potrebbe cambiare la
farmacocinetica della molecola.
Tecnica di iniezione
In genere l’insulina viene somministrata nel sottocute. Prima di iniettarla occorre sempre:
• lavarsi le mani;
• controllare la data di scadenza della fiala;
• controllare il tipo di insulina che si sta per somministrare e verificare la corrispondenza con
quanto prescritto dal medico.
Prima di procedere alla somministrazione bisogna scegliere la sede dove iniettare il farmaco. Le
zone utilizzabili sono:
• l’addome, a una distanza di almeno 2-3 centimetri dall’ombelico: questa sede garantisce un rapido
assorbimento;
• il braccio, tra gomito e spalla, sul lato esterno: zona poco indicata per l’iniezione ai bambini per il
rischio di somministrazione intramuscolare;
• le cosce nella parte anteriore o laterale: sito utilizzato per la somministrazione insulina a lunga
durata d’azione per il più lento assorbimento del farmaco;
• i glutei (quadrante superiore): indicate soprattutto per i bambini perché ci sono poche terminazioni
nervose.
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Per eseguire l’iniezione si può seguire la tecnica della plica cutanea cioè si pizzica la cute con 2 dita
formando una plica e si fa penetrare l’ago con un angolo di 45-90°. Pizzicare la cute è utile per
allontanare le fasce muscolari sottostanti e assicurare che l’iniezione venga fatta nel sottocute
soprattutto se il paziente è un bambino o un adulto molto magro.
In alternativa si può introdurre l’ago nella cute inclinandolo a 45° senza formare la plica. Questa
modalità è indicata nei pazienti normopeso (o non eccessivamente magri).
Secondo gli studi la tecnica della plica cutanea sembra la più corretta per l’esecuzione dell’iniezione
sottocutanea. Nei bambini o negli adulti molto magri si possono usare aghi corti (8 mm) o ultracorti
(5 mm) per ridurre il rischio che l’ago penetri nel muscolo. In alcuni studi si è visto infatti che l’uso
di aghi più corti (8 mm) ha ridotto ma non eliminato il rischio di iniezione intramuscolare nei
bambini magri.
L’uso dell’ago ultracorto (5 mm) non causa differenze in termini di valori glicemici, è più accettato
dai bambini (più della metà dei bambini preferiva l’ago ultracorto) perché provoca meno il dolore in
sede di iniezione e meno casi di ipoglicemia.
Se il paziente è molto magro si può suggerire di utilizzare un ago da 8 mm e di somministrare il
farmaco seguendo la tecnica della plica cutanea, in questo caso la sede da preferire è il gluteo, la
zona con maggiore tessuto adiposo. Una volta inserito l’ago occorre aspirare leggermente con lo
stantuffo per verificarne il posizionamento corretto nel sottocute. Tuttavia uno studio condotto su
204 iniezioni sottocutanee ha trovato che questa manovra non è un indicatore affidabile.
Non è necessario pulire e disinfettare la cute prima dell’iniezione a meno che l’igiene sia davvero
scadente. Le infezioni del sito di iniezione sono molto rare.
Quando l’insulina viene somministrata con la penna è importante tenerla ferma nella mano, inserire
l’ago nella cute e premere il bottone di rilascio all’estremità della penna. Occorre mantenere la
penna inserita qualche secondo prima di estrarla per essere sicuri che tutta l’insulina sia stata
iniettata e per evitare di perdere il principio attivo.
Tempi della somministrazione
Nella pratica clinica viene raccomandata la somministrazione dell’insulina a breve durata d’azione
circa 20-30 minuti prima di mangiare in modo da mimare nel miglior modo possibile la cinetica di
secrezione dell’insulina.
E’ importante precisare che la durata d’azione di ogni tipo di insulina può variare da soggetto a
soggetto, per cui a risposta glicemica deve essere valutata sul singolo paziente.
Il fabbisogno di insulina può aumentare in corso di infezioni, stress, traumi o durante la pubertà e in
gravidanza. Può ridursi invece in soggetti con insufficienza renale o epatica o con malattie
metaboliche come per esempio la malattia di Addison o l’ipopituitarismo.
Inoltre va ricordato che il dosaggio dell’insulina va modificato in funzione dell’esercizio fisico o di
prestazioni sportive del soggetto diabetico.
In genere i trattamenti insulinici prevedono la somministrazione di 2-3 iniezioni al giorno. Nel
trattamento intensivo invece sono raccomandate 3-4 iniezioni al giorno o l’infusione con pompa.
Una revisione sistematica di studi condotti su adulti ha trovato che il trattamento intensivo aumenta
gli episodi di ipoglicemia, il rischio di chetoacidosi (se vengono usate pompe infusive) e la
mortalità da complicanze acute del trattamento ma non la mortalità per tutte le cause.
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Effetti negativi locali
In genere le iniezioni sottocute di insulina non hanno effetti negativi importanti. In alcuni casi può
verificarsi una lipodistrofia (condizione caratterizzata dalla riduzione del tessuto adiposo periferico
degli arti talora accompagnata da alterazioni del metabolismo lipidico) nella sede di iniezione.
Questa complicanza può essere ovviata alternando le aree cutanee in cui viene effettuata l’iniezione.
Con l’introduzione di insuline altamente purificate i fenomeni lipodistrofici sono diventati una
complicanza rara.
Nei bambini invece è abbastanza comune la lipoipertrofia, cioè l’accumulo nodulare di tessuto
adiposo sottocutaneo, fenomeno anch’esso favorito dalla scarsa rotazione delle sedi di iniezione. I
noduli lipoipertrofici sono poco innervati e quindi meno dolorosi e per questo a volte vengono scelti
erroneamente come sede di iniezione rischiando così una variazione dell’assorbimento del farmaco
a causa anche della scarsa vascolarizzazione.
Reazioni di ipersensibilità locale sono poco comuni, ma quando si verificano, potrebbero dipendere
dal tipo di insulina (o del conservante). Il problema può essere risolto cambiando la preparazione di
insulina. Si raccomanda di controllare regolarmente le sedi di iniezione.
Occorre precisare che il principale effetto negativo sistemico è l’ipoglicemia, problema cui possono
andare incontro tutti i soggetti trattati con insulina.
Conservazione dell’insulina
Per la corretta conservazione dell’insulina è importante attenersi sempre alle indicazioni del
produttore, in genere tuttavia l’insulina va conservata in frigorifero (2-8 °C), non deve essere
congelata, non va esposta a temperatura superiore ai 30 °C e deve essere conservata al riparo della
luce.
Se è previsto un consumo rapido (per esempio in ospedale, dove il flacone viene utilizzato su più
pazienti) il flacone può essere tenuto a temperatura ambiente, facendo però attenzione a evitare
l’esposizione a temperature estreme. Su ogni flaconcino è sempre riportata la data di scadenza ma i
flaconcini aperti vanno consumanti entro un mese dall’apertura indipendentemente dalla data
riportata sulla confezione.
Educazione del paziente
Per migliorare il controllo della glicemia e ridurre il rischio di effetti negativi è importante una
stretta collaborazione tra il paziente e l’équipe medica. E’ necessario che il personale medico
sanitario organizzi alcuni incontri per informare il paziente su come gestire la malattia.
L’educazione del paziente diabetico è un punto chiave che comprende molteplici aspetti (dieta,
attività fisica, terapia, complicanze della malattia eccetera); in questo dossier ci limitiamo a fornire
le indicazioni che dovrebbero essere date al paziente riguardo alla corretta autosomministrazione
dell’insulina.
Quando si spiega la tecnica di iniezione bisogna tenere presente che nella maggior parte dei casi il
paziente ha paura delle iniezioni. In questi casi occorre ascoltare la persona e rassicurarla cercando
di stabilire una buona relazione con il paziente.
Prima di procedere alla spiegazione della tecnica di iniezione è importante raccomandare al
paziente di controllare sempre la data di scadenza del flaconcino prima di effettuare l’iniezione
(ricordando che i flaconcini già aperti non possono essere usati dopo un mese) e di accertarsi che
l’aspetto della soluzione che sta per iniettarsi non sia alterato, cioè che il colore sia quello
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caratteristico e che non vi siano precipitati. Tali cambiamenti devono far sospettare un’alterazione
del principio attivo. In questi casi è necessario utilizzare un altro flaconcino.
Solo dopo aver effettuato queste verifiche il paziente può procedere all’iniezione sottocutanea Può
essere utile consegnare al paziente materiale scritto che fornisca indicazioni semplici su come
comportarsi e che ricordi di:
• somministrare l’insulina a temperatura ambiente per ridurre il rischio di irritazione e dolore;
• iniettare l’insulina nel sottocute, rispettando la tecnica corretta;
• conservare l’insulina seguendo le indicazioni del produttore;
• non riutilizzare l’ago dopo l’iniezione;
• alternare le sedi di iniezione per ridurre il rischio di complicanze (lipoipertrofie, lipoatrofie).
Inoltre occorre raccomandare al paziente di controllare la glicemia spiegando che le concentrazioni
di glucosio variano molto nel corso della giornata e che quindi non è possibile mantenere una
condizione di normoglicemia per tutte le 24 ore. La glicemia dovrebbe essere mantenuta tra 72 e
180 mg/dl, ma possono essere accettate variazioni per periodi limitati. Le linee guida dell’American
Diabetes Association raccomandano ai soggetti con diabete di tipo 1 di controllare la glicemia
almeno 3 volte al giorno.
Importante e che spesso il paziente non sa o fa finta di non sapere sono le conseguenze che porta
questa malattia, che se non curata bene può limitare lo svolgimento della vita quotidiana.
Complicanze:
 Aterosclerosi: si accumula colesterolo nei vasi con rischio trombotico elevato, elevati
trigliceridi
 Microangiopatia diabetica: mento della parete dei vasi del microcircolo con conseguente
ipossia e necrosi, es. presenza di ulcere e gangrena agli arti inferiori, amputati. Il deficit di
apporto di O2 ai tessuti può provocare danni al cervello, rene, occhi, cuore, arti inferiori.
 Apparato Oculare: i danni a qst apparato portano a cecità. Retinopatia biabetica: emorragia
dei vasi retinici/
Maculopatia diabetica: rigonfiamento della macula per inibizione
edematosa/ Cataratta precoce: opacizzazione del cristallino.
 Nefropatia diabetica: insufficienzarenale (albuminuria- proteinuria)
 Neuropatia diabetica: sintomatologia a carico del SNP (es.dolore)
 Infezioni ricorrenti: alterata risposta delle cellule della risposta immune
 Alterazioni dei processi riparativi: carente apporto di O2 e difficoltà di migrazione delle
cellule( coagulazione).Camera iperbarica con pz diabetici con ferite profonde.
Raccomandazioni
• Il dolore durante l’iniezione è un problema frequente nei bambini. Controllare l’angolo e la
profondità di iniezione per essere certi che l’iniezione non venga eseguita nel muscolo.
• Somministrare l’insulina a temperatura ambiente perché l’iniezione può essere dolorosa.
• La fuoriuscita di insulina quando si estrae l’ago è relativamente comune. Raccomandare di ritirare
l’ago lentamente e di premere con un dito sulla sede di iniezione senza massaggiare.
• Quando si inietta l’insulina con la siringa non è indicato creare la bolla d’aria (tecnica
raccomandata con le vecchie siringhe di vetro) perché le attuali siringhe di plastica consentono di
iniettare tutta la dose del farmaco.
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14.Prelievo dei campioni organici: responsabilità e competenze.
L’infermiere contribuisce all’accertamento delle condizioni generali di salute del paziente con la
raccolta dei campioni organici; infatti gli esami di laboratorio effettuati su campioni di urina,
sangue, feci, espettorato e liquidi dei drenaggi forniscono importanti informazioni per stabilire la
diagnosi e per valutare la risposta ad una terapia; è necessaria quindi una corretta procedura di
raccolta, che viene fatta prevalentemente dall’infermiere sotto sua stretta responsabilità e NON
PUÒ ESSERE DELEGATA al personale di supporto.
La raccolta può quindi prendere in esame:
Campione di feci:
Tale raccolta può dare informazioni sulla condizione di salute del paziente e per determinare la
presenza di sangue occulto come conseguenza di emorragie (ulcera, tumore); alcuni cibi possono
alterare tale esame come carne rossa, vegetali crudi, o frutta contenente vitamina c, o assunzione di
farmaci che possono provocare emorragie come ad esempio l’aspirina.
Inoltre la raccolta delle feci viene effettuata per individuare la presenza di batteri e/o virus o anche
uova o parassiti
.Gli esami sono 2:
 Sangue acculto nelle feci: per determinare patologie del tratto gastrointestinale. Dieta acarnea x
3 giorni prima dell'esame. Si effettua per 3 giorni con 3 campioni.
 Coprocoltura- Cultura delle feci: per individuare specifici agenti infettanti, x individuare i
microorganismi atipici nell'intestino
Importate è valutare per una corretta raccolta, se il paziente è cosciente o non cosciente.
Materiale occorrente:
padella pulita sterile;
guanti monouso;
contenitore con coperchio di raccolta;
contenitore sterile;
moduli per la richiesta per il laboratorio;
Tecnica:
spiegare al paziente cosa si sta facendo, perché e come può collaborare;
provvedere alla riservatezza del paziente;
lavare le mani e osservarla procedura per il controllo delle infezioni;
fare urinare prima della raccolta cosi le feci non vengono contaminate dall'urina
se il paziente è autosufficiente posizionare la padella e lasciare che il paziente abbia finito
di espellere, altrimenti aspettare che il paziente evacui nel pannolone;
mettere i guanti monouso;
mettere una quantità necessaria di feci nel contenitore;
pulire o aiutare il paziente;
assicurare il suo comfort;
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mettere l’etichetta sopra il barattolo con nome, cognome, data di nascita, stanza e numero
di letto;
riordino del materiale;
invio dell’esame in laboratorio.
Campione di urine:
Possono essere raccolte per esame di routine, urine delle 24 ore, e urinocoltura.
Esame standard- di routine
Contenitore: Non Sterile
Si raccoglie la prima urina del mattino. Qst esame analizza le caratteristiche chimiche fisiche
dell'urina.
Materiali: esame di routine
guanti monouso non sterili;
contenitore non sterile;
padella se il paziente è cosciente o si può effettuare anche un cateterismo se il pz non è
cosciente;
richiesta medica;
etichetta con nome, cognome, data di nascita data di prelievo, stanza e numero di letto;
Tecnica-sempre:
spiegare al paziente cosa si sta facendo, perché e come può collaborare;
provvedere alla riservatezza del paziente;
lavare le mani e osservarla procedura per il controllo delle infezioni;
Paziente autosufficiente:
fornire direttamente il contenitore di raccolta e spiegare come effettuare la raccolta nel
miglior modo;
 provvedere alla riservatezza del pz;
etichettare il contenitore;
riordino del materiale;
inviare in laboratorio.
Paziente non autosufficiente:
 scegliere il dispositivo più idoneo: padella sterile, condom, catetere temporareo o
permanente
 usare guanti non sterili
 etichettare il contenitore
 inviare a laboratorio
Paziente incosciente:
Utilizzare un cateterismo temporaneo, naturalmente in maniera sterile;
Raccolta urine nelle 24 h
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Per determinare quanto urina è stata prodotta nelle 24h. Di solito usato per vedere il peso specifico e
la clerance della creatinina.
Si raccolglie l'urina in un contenitore apposito con nome, cogone e stenza del pz.
Bilancio Idrico
Calcola le entrate e le uscite di liquidi del corpo.
Infermiere: prepara la scheda delle entrate ed uscite per il paz con nome, cognome, stanza, data. Si
registrano entrate quali : farmaci, alimenti, acqua, succhi.
Si registrano uscite come urine, sudore.
Si collabora con equipe, paziente e familiari informati di ciò che si sta facendo.
Se il pz è incosciente avrà il CV.
Se il pz va in bagno e si scorda di avvisare l'infermiere e di aver urinato nell'apposito contenitore:
Interrompere il bilancio idrico. Si ricomincia da capo.
Urinocoltura
Delega : NON può essere delegato al personale di supporto.
Contenitore: Sterile.
Esame colturale per rilevare la presenza di batteri come E.Coli.
Materiali
guanti monouso non sterili;
contenitore sterile;
soluzione antisettica e batuffoli di garza o cotone;
richiesta medica;
etichetta con nome, cognome, data di nascita data di prelievo, stanza e numero di letto;
materiale per le cure igieniche;
Tecnica:
spiegare al paziente cosa si sta facendo, perché e come può collaborare;
provvedere alla riservatezza del paziente;
lavare le mani e osservarla procedura per il controllo delle infezioni;
Paziente cosciente e collaborante:
istruire il paziente alla raccolta del campione delle urine ;
inviare o assistere il paziente in bagno;
chiedere al paziente di lavare, asciugare i genitali esterni e l’area perineale con acqua e
sapone;
istruire ad usare una soluzione antisettica;
Paziente non cosciente o non collaborante:
lavare l’area perineale e genitale;
assistere il pz durante la minzione;
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indossare guanti puliti;
pulire il meato urinario mediante una soluzione antisettica e batuffoli di cotone o garza;
per l'uomo sollevare il prepuzio e disinfettarlo
per la donna con garze sterili allargare le grandi e piccole labbra, disinfettare
buttare il primo getto di urina considerata contaminata;
mettere il contenitore sotto il getto di urina, non facendo toccare i bordi interni del
contenitore con i genitali;
raccogliere almeno 30-60 ml di urina;
chiudere il contenitore e pulirlo se necessario;
mettere l’etichetta;
inviare il campione in laboratorio.
Raccolta del campione (sterile) da CV a permanenza
Materiale:
 Guanti monouso e sterili
 pinza per clampare/ tappo
 salviettine monouso
 contenitore sterile
 richiesta medica
 porta provette
 antisettico
Tecnica: 1
 identificazione del pz
 informare il pz
 controllare la prescrizione
 garantire la privacy
 chiudere il catetere con pinza o usando il tappo almeno un'ora prima
 lavaggio mani e indossare guanti
 rimuovere il coperchio, deve essere appogiato sulla parte ex del tappo (capovolto in
superfice pulita)
 levare il tappo e prelevare l'urina
 sistemare il pz
 chiudere etichettare e mandare in laboratoro
 eliminare i rifiuti, sistemare il materiale
Tecnica: 2
 Disinfettare il sito di inserimento dell'ago
 Con siringa prelevare l'urina dal caterete e mettere nel campione
Esame di Esback
Analizza il contenuto di albumina. Contenitore: non sterile
Esame con strisce reattive
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Attraverso il mutamento del colore si valutano vari parametri,es. Il test di gravidanza, glucosio, ph
urinario, presenza di corpi chetonici.
Campioni di Espettorato
L’espettorato è il prodotto della secrezione delle vie respiratorie (polmoni, bronchi, trachea).
È importante differenziarlo dalla saliva; la richiesta per l’esame dell’espettorato è dovuta
principalmente all’esame colturale e all’antibiogramma.
Esame Colturale e antibiogramma
Se qll colturale è positivo si fa l'antibiogramma x la ricerca batterica.
Es.Citologico
x identificare cell.tumorali del polmone
Metodo alcool-acido per sospetto di TBC
Per l'esame citoloogico e per la TBC l?esame viene effettuato per 3 giorni con raccolta al mattino.
Esame dell'espettorato prodotto dalle mucose respiratorie:
Materiale:
contenitore sterile o non;
ganti monouso;
garze monouso;
moduli
disinfettante e tamponi;
Tecnica:
la raccolta deve essere fatto al mattino a digiuno
controllare lo stato di coscenza del pz
spiegare al paziente cosa si sta facendo, perché e come può collaborare;
provvedere alla riservatezza del paziente;
lavare le mani e osservarla procedura per il controllo delle infezioni;
adeguata pulizia del cavo orale + gargarismi effetuati con acqua,
provvedere all’assistenza necessaria per la raccolta facendo assumere una posiziona idonea
(seduta),
 chiedere di tossire, perchè l'escreto deve prevenire dalle basse vie-tracheo-bronchialiu,non
deve essere saliva.;
raccogliere 5-10 ml,
chiudere immediatamente il contenitore una volta che il paziente ha espettorato.
Etichettare il campione
Il campione va mandato in laboratorio entro 2 h.
Delega: NON può essere delegato
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Raccolta da pz tracheostomizzato:
Contenitore apposito formato da 2 tubi,2 vie, collegate con il contenitore da un tappo.Una via si
collega al catetere per aspirare, il quale verrà introdotto nella stomia. L'altra via si collega al tubo di
aspirazione collegato alla macchina di aspirazione.
Effettuato il prelievo, si leva il tappo con i fori, due tubi e si mette il tappo.Si etichetta e si manda in
laboratorio.
Campioni di sangue
Emocultura
È un prelievo di sangue venoso.
È la coltura dei germi patogeni presenti nel sangue, si fa x riconoscere i ceppi batterici.
Se l'emocoltura è positiva si fa l'antibiogramma x vedere la sensibilità dei germi agli antibiotici.
La tecnica di base è quella del prelievo di sangue, con qlc accortezza:
 pratica sterile
 i flaconi (provette) sono 2: uno x i batteri aerobi e uno per gli anaerobi
 disinfettare anche il gommino del flacone
 prelevare il sangue al picco febbrile, qnd è maggiore di 38
 3 prelievi in 24h (segnalati come S1-S2-S3)
 raccogliere 5-7 ml a flacone
 può essere considerata negativa dopo 7 gg di incubazione
 per refertare la positività 2-4 gg
 per i neonati: richiedere autorizzazione ai genitori, raccogliere 1-5ml.
Nel flacone ci sono alcune sostanze:

terreno di coltura liquido arricchito (per aerobi, anaerobi, miceti o per uso pediatrico)

composto che lisa i leucociti

anticoagulante

resina, lega e neutralizza antibiotici eventualmente presenti.
L'emocoltura è un'importante strumento per riconoscere: malattie infettive, febbre, tifoide, paratifo,
salmonellosi, mengite meningococcica, polmonite, sepsi ect.
Importante anche per un corretto trattamento antibiotico, dato che consente di valutare in vitro la
sensibilità dei germi isolati nei confronti dei vari farmaci, facendo l'antibiogramma.
Emogasanalisi Arteriosa EAB
Prelievo di sangue arterioso (EGA). Prelievo di un campione di sangue tramite puntura percutanea
di un'arteria.
Fornisce informazioni su:
 lo stato di equilibrio acido-base,
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

l'efficienza degli scambi gassosi a livello polmonare, infatti registra i gas disciolti nel
sangue,
l'adeguatezza del trasporto di O2 nei tessuti.
Questi valori alterati possono essere indice di alterazioni respiratorie e metaboliche.
Valori dell'EAB:
 Ph: 7,35 – 7,45 (concentrazione di ioni idrogeno)
 PO2: 100 mmHg
 SpO2: 98- 100 %
 PCO2: 35-45 mmHg ( informazioni sulla ventilazione alveolare)
 HCO3(-): 22-25 mmol/l
 BE: +3- -3
 Lattati: < 3
 Hb: 13-16 g/dl
 Ht: 35-45 % (ematocrito, parte corpuscolare)
Campioni organici- vari tamponi
Tampone vaginale ed endocervicale
Per la donna
Questi esami vengono detto anche esami batteriologici o colturali.
Tecnica:
Si eseguono prelevando del materiale dalla zona che si ritiene infetta. Si applica prima lo speculum.
E' un prelievo assolutamente indolore.
Il risultato si ottiene in tempi diversi a seconda della velocità di replicazione degli agenti infettivi
nei terreni di coltura.
Si possono eseguire contemporaneamente la conta delle colonie infettive.
Si può eseguire contemporaneamente l'antibiogramma
Indicazioni:
Possono avere una loro utilità in diverse indicazioni, come ad esempio infezioni vaginali recidivanti
o resistenti alle comuni terapie, in caso di atipici dolori addominali (soprattutto durante il rapporto
sessuale), di perdite genitali atipiche e, utilissimi, in caso di infertilità o in previsione di una
gravidanza (in quanto alcune infezioni sono causa di sterilità, talora irreversibili, o di abortività
nelle fasi precoci di una gravidanza).
Come prepararsi all'esame
per una migliore esecuzione di questo esame è utile:
- non effettuare irrigazioni vaginali nei 3-4 giorni precedenti
- non assumere antibiotici per via orale o per via vaginale nei 3 giorni precedenti nè antimicotici nei
5 giorni precedenti (a meno che non sia stato consigliato diversamente dal medico stesso)
- non avere rapporti sessuali nelle 24 ore precedenti
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Tampone uretrale
Per l'uomo e per la donna
E' un esame che evidenzia infezioni a carico dell'uretra. Si ricercano di solito germi comuni,
micoplasmi urogenitali e Chlamydia trachomatis, quest'ultima con varie tecniche, la più sofisticata
delle quali è senz'altro la tecnica PCR. Ogni tipologia di germi necessita di un tampone a sé, quindi
tipicamente si introducono nell'uretra due o tre diversi tamponi dando luogo a campioni distinti da
analizzare.
E' doloroso?
Può risultare leggermente fastidioso, soprattutto nel maschio.
Preparazione
- L'esame va eseguito dopo almeno 3 ore dall'ultima minzione.
E' sconsigliato applicarsi i tamponi da soli, meglio rivolgersi ad un laboratorio provvisto di
personale adibito al prelievo.
- Importante: è opportuno effettuare questo esame a distanza di almeno 3-5 giorni dall'ultima terapia
antibiotica o anticotica, rispettivamente.
Tampone Faringeo
Il tampone faringeo è un esame diagnostico finalizzato alla ricerca di microrganismi responsabili di
faringite, una malattia infiammatoria comunemente chiamata "mal di gola".
Tecnica
un sottile bastoncino cotonato, simile ad un cotton-fioc, viene inserito nella gola del paziente e
strofinato delicatamente - con movimenti orizzontali, verticali e circolari - prima sulle tonsille e
successivamente sulla mucosa della faringe posteriore (zone in cui si annidano generalmente i
microrganismi responsabili della faringite), avendo cura di evitare il contatto con le altre mucose
del cavo orale.
In questo modo il tampone faringeo rimane impregnato di cellule ed essudato, successivamente
analizzati in laboratorio o messi a contatto con appositi reagenti anticorpali per una diagnosi semiistantanea.
Nella procedura classica, che richiede due o tre giorni prima di fornire risultati, il tampone faringeo
viene inviato al laboratorio per l'esame colturale. In pratica le cellule raccolte vengono fatte
riprodurre in un terreno di coltura contenente gli elementi necessari alla crescita dei
microorganismi; una volta ottenuta una popolazione cellulare sufficientemente ampia, le colonie
vengono utilizzate a fini diagnostici e terapeutici, valutandone la sensibilità ai vari tipi di antibiotici
(antibiogramma). Grazie a queste informazioni il medico può scegliere il farmaco più efficace, che
assicuri l'eradicazione completa del patogeno evitando la selezione di microorganismi resistenti agli
antibiotici. Se ad esempio il tampone faringeo mostra che la faringite ha origini virali (come
succede nella maggior parte degli episodi acuti) è assolutamente inutile, e per molti aspetti dannoso,
assumere antibiotici.
Il tampone faringeo non è assolutamente doloroso o fastidioso, anche se durante l'esecuzione può
dar luogo a conati (sforzi) di vomito. Durante l'esame il paziente dovrà comunque sforzarsi di
tenere la bocca ben aperta e la lingua abbassata; a tale scopo viene generalmente chiesto di
pronunciare il classico "aaaa" per far risalire l'ugola e limitare il riflesso del vomito, mentre la
lingua viene tenuta il posizione con l'ausilio di un abbassalingua sterile. Nei giorni che precedono il
tampone faringeo, il paziente dovrà attenersi scrupolosamente a quanto chiesto dal medico; in
genere si consiglia caldamente di sospendere le terapie antibiotiche in atto per un certo periodo di
tempo e di evitare l'utilizzo di collutori o medicamenti ad uso locale nelle ore che lo precedono.
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Indicazioni
Il tampone faringeo viene eseguito in tutti i soggetti che presentano segni clinici sospetti;
l'applicazione più classica di questo esame è la diagnosi di infezioni da Streptococco Beta-emolitico
di gruppo A (o Streptococcus pyogenes), un batterio responsabile di faringotossiliti ma anche,
almeno potenzialmente, di gravi complicanze.
In caso di sospetta pertosse si utilizza un tampone faringeo con supporto in metallo flessibile,
inserito per via nasale e fatto scendere fino alla parte superiore della faringe; il tampone viene
lasciato in sede fino al sopraggiungere della tipica crisi di tosse spastica che accompagna questa
malattia. Il tampone faringeo può essere utilizzato anche per la diagnosi di difterite
(Corynebacterium diphtheriae), mughetto (candidosi orale - Candida albicans), gonorrea faringea
(Neisseria gonorrhoeae), scarlattina (Streptococco beta-emolitico di gruppo A), epiglottidite
(Haemophilus influenzae) e infezioni da Staphylococcus aureus.
I sintomi che giustificano il ricorso al tampone faringeo per la diagnosi di faringite streptococcica
includono: senso di malessere generale, febbre più o meno elevata, cefalea, dolori muscolari ed
articolari diffusi, sensazione di freddo, tachicardia e perdita di appetito dovuta anche al
caratteristico ed intenso dolore alla deglutizione, quasi sempre più marcato da un lato.
Tampone nasale
Cosa è:
esame che viene effettuato nel cavo nasale per verificare patologie come le riniti o per accertare la
presenza di batteri, fra cui il batterio della pertosse.
Tipo di esame da eseguire:
esame colturale (tampone).
Tempo di esecuzione dell’esame:
1 giorno.
Modalità di esecuzione l’esame:
il tampone viene inserito nella narice fino a raggiungere la parete posteriore rinofaringea, per
raccogliere il materiale organico. L’operazione viene ripetuta in seguito nell’altra narice.
Valori di riferimento (indicano l’intervallo entro il quale i valori sono considerati nella norma):
- Tampone nasale: negativo.
Diagnosi:
se il risultato del test è positivo, il naso può essere affetto dal batterio della pertosse, da S. Aureus,
da batteri o riniti
Tampone rettale
Il tampone rettale è un esame diagnostico finalizzato al prelievo di materiale fecale, da analizzare in
laboratorio per l'eventuale isolamento dei microrganismi responsabili di malattie intestinali (ad
esembio il batterio del colera, salmonella, shigella, campylobacter ecc.). Durante la gravidanza, il
tampone rettale è indicato per la ricerca dello Streptococcus agalactiae (o streptococco del gruppo
B).
L'esame si avvale di un tampone sterile, simile ad un cotton-fioc, inumidito con il terreno di
trasporto. Questo bastoncino contonato va inserito nel retto, attraverso l'ano, ad una profondità di
circa 2-4 centimetri, quindi strofinato per farvi aderire il materiale fecale. Il tampone va mentenuto
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nell'ampolla rettale per 30 secondi, continuando a muoverlo e a ruotarlo contro le pareti
dell'intestino; dopodiché viene estratto ed immerso nella provetta contenente il terreno di trasporto.
Prima di riporlo, occorre accertarsi che la punta del tampone mostri tracce significative di materiale
fecale. Preferibile il campione di feci.
Tampone su cute, ferite chirurgiche e non chirurgiche
Tampone decubito
Tampone orale
es. candida, mughetto
Tampone oculare
Tampone dell'orecchio
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15.Prelievo ematico: modalità, materiali, responsabilità e competenze assistenziali.
Def.: flebotomia di un vaso a scopo diagnostico.
Prelievo di sangue venoso.
Viene eseguito generalmente su una delle vene degli arti superiori prediligendo la vena cefalica,
vena basilica, vene mediane, dosali o anche metacarpali; le vene generalmente più visibili sono
quelle dell’arto dominante.
L’ infermiere sceglie la vena che risulta più osservabile e palpabile;
Per effettuare il prelievo vengono generalmente utilizzati due metodi:
siringa ed ago;
ago (butterfly) e vacutainer;
Materiale:
carrello con porta aghi;
siringhe o batterfly a seconda del metodo utilizzato;
soluzione antisettica;
batuffoli di cotone o garze;
guanti monouso;
laccio emostatico;
prescrizione medica;
provette;
cerotto;
reniforme;
Procedura:
1
Controllare l’esatta corrispondenza tra gli esami prescritti e l’identificazione del paziente.
2
Informare il paziente sulle modalità di esecuzione del prelievo e sugli eventuali disagi che
potrebbero verificarsi
Lavarsi le mani
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Scegliere il punto più adatto d’iniezione tenendo presente tipo e calibro dell’ago in rapporto
al calibro ed all’integrità dei vasi, non posizionare l’ago vicino alle articolazioni, se possibile
non utilizzare l’arto dominante,
Controllare l’integrità degli involucri
Lavarsi le mani
Mettere il laccio emostatico sopra il gomito, scegliere il punto d’inserzione (conservare il
patrimonio venoso) e disinfettare il punto prescelto con il tamponcino imbevuto di antisettico con
un movimento rotatorio dal centro verso la periferia. Lasciare asciugare la soluzione antisettica.
Favorire la congestione a valle del laccio emostatico (picchiettando il vaso dal basso verso la zona
da pungere, lasciando penzolare l’arto sotto il livello del letto, chiedendo di aprire e chiudere la
mano).
Con la mano non dominante esercitiamo una trazione sulla pelle verso il basso a circa 2-3 cm dal
sito scelto per l’inserzione, mentre con la mano dominante impugniamo l’ago dalle alette (se stiamo
usando un ago tipo Butterfly), oppure la campana dai lati e li inseriamo con un’angolazione di circa
45°.
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11
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Se stiamo lavorando con la siringa esercitiamo una aspirazione leggera (pericolo di emolisi), se
invece stiamo lavorando con il sistema Vacutainer inseriamo una ad una le provette nella campana
avendo cura di capovolgere lentamente le provette per favorire l’interazione con l’eventuale
anticoagulante.
Al termine con la mano non dominante togliamo il laccio emostatico schiacciamo a monte dell’ago
e lo estraiamo completamente.
Premere il sito di inserzione con un tamponcino ed applicare un cerotto
Riordinare il materiale usato e lavarsi le mani
Inviare le provette e i formulari in laboratorio il più presto possibile.
Attenzione:
 rispettare esattamente la prescrizione medicamenti
 preparare le provette giuste (tipo e numero etichettandole)
 apporre con la massima attenzione il nome , il cognome e controllare sempre a letto il pz
I prelievi vengono prescritti dal medico all'ingresso del pz in ospedale sia durante le degenza come
analisi di controllo. Il medico scrive in cartella clinica e l'infermiere lo riporta sul formulario.
La stesura del modulo per richiesta anlisi di laboratorio dovrebbe essere fatta direttamente dal
medico e poi consegnata all'infermiere per poi attuare il prelievo il giorno seguente, o in urgenza.
Nel formulario bisogna indicare:

Cognome,Nome

Sesso

Cartella clinica

Stanza

Data di nascita

Unità operativa

Quesito diagnostico

Num. e tipo dei campioni inviati
Il formulario è diviso in:

Analisi chimica clinica (elettroliti, sodio, VES, urine)

Analisi ematologiche e coagulazione (corpuscolare del sangue)(PTT,PT)

Analisi ormonali, markers tumorali,sierologia (tiroide,omocisteina, PSA, HIV)

Analisi di microbiologia e sierologia (feci,tamponi) (epatite)

Analisi di immunologia (proteinaC,S e LAC)
Provette divise per colore in base agli esami:
 Tappo giallo, chimica clinica come azotemia, colesterolo, glicemia,
 Tappo nero, VES
 Tappo ruggine, sierologia- markers tumorali
 Tappo lilla, ematocrito
 Tappo grigio, glicemia frazionata
 Tappo azzurro, fattori della coaguloazione
 Contenitore urine non sterile
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

Contenitore urine sterile
Contenitore feci
Prelievo di sangue da catetere venoso centrale
In linea generale è bene limitare i prelievi di sangue dal catetere venoso centrale ed eseguirli da una
vena periferica (in oncologia però questi cateteri vengono utilizzati di routine per i prelievi). Il
passaggio di sangue dal catetere lascia infatti residui che potrebbero non essere rimossi se il
lavaggio non viene eseguito correttamente.
Questi residui possono favorire la formazione di microcoaguli che potrebbero diventare veri e
propri trombi adesi alla parete del catetere fino a causarne l’occlusione.
Gli aggregati di fibrina sono anche un terreno idoneo allo sviluppo di germi patogeni e tale
situazione può favorire un’infezione.
I prelievi per i controlli della coagulazione devono essere eseguiti sempre in vena periferica e in
particolare nei pazienti con infusione continua di eparina. In questi casi si raccomanda il prelievo da
un accesso periferico per evitare alterazioni del risultato a causa di una diluizione errata o di una
procedura scorretta del lavaggio.
E’ possibile fare un prelievo di sangue dal catetere venoso centrale in caso di:
situazioni di emergenza perché il prelievo dal catetere centrale consente un rapido accesso
a una vena ad alto flusso;
 scarso patrimonio venoso del paziente.
Si devono evitare invece i prelievi per la glicemia quando si somministrano via catetere venoso
centrale soluzioni glucosate, o se il paziente è in nutrizione parenterale poiché la sacca nutrizionale
può influenzare i risultati di alcuni esami ematochimici. Infine bisogna evitare il prelievo dal
catetere venoso centrale quando si usano cateteri con lumi molto piccoli perché si può avere
un’emolisi.
Nei bambini il prelievo di sangue viene eseguito spesso dal catetere venoso centrale per evitare il
trauma della puntura della vena.
Procedura
Innanzitutto si devono lavare le mani e bisogna indossare i dispositivi di protezione individuale, in
particolare i guanti e gli occhiali.
Quando il catetere ha più lumi si utilizza quello di calibro maggiore per evitare l’emolisi e si
sospende l’infusione.
Se la via non è stata utilizzata si aspirano 5 ml di sangue utilizzando una siringa da 10 ml e si
scartano perché si considera sangue contaminato (sangue di spurgo).
Si inserisce quindi il sistema Vacutainer e si aspira nelle provette la quantità di sangue necessario.
Al termine va sempre eseguito un lavaggio con 10 ml di soluzione fisiologica con manovra pulsante
perché la via deve essere pulita e senza residui ematici che potrebbero portare all’occlusione del
lume.
Hgt
Prelievo di sangue capillare per determinare la glicemia, il glucosio presente nel sangue.
Materiali:

guanti monousi
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
garze

disinfettante

strisce reattive per glicemia

misuratore per glicemia

penna per pungere il dito

carello con box per taglienti
Tecnica:
Dopo essersi accertato dell’identità del paziente ed averlo informato della tecnica l’infermiere
procedecon i seguenti atti:
- far lavare le mani al paziente (o aiutare il paziente a lavarsi le mani)
- lavarsi le mani
- indossare i guanti
- accendere l’apparecchio per la determinazione della glicemia si accerta che sia tarato ,altrimenti
inserire la striscia reattiva, secondo le indicazioni della ditta fornitrice.
- Scegliere il dito che dovrà essere punto e massaggiarlo per aumentare l’afflusso di sangue
- Disinfettare l’area della puntura e asciugare il disinfettante con garza sterile
- Pungere il polpastrello lateralmente (perché in tale regione la puntura risulta meno
dolorosa e perché si evitano microlesioni e problemi al tatto).
- Asciugare la goccia iniziale di sangue
- Premere il polpastrello per ottenere un consistente goccia di sangue e posizionarla sulla
striscia reattiva (il sangue deve coprire tutta la parte assorbente)
- Tamponare l’area della puntura con la garza
- Attendere il risultato visibile sul display dell’apparecchio
- Smaltire il pungidito, la striscia reattiva e le garze utilizzate nel
contenitore rigido
- Tracrivere il dato in cartella , nei casi di ipo o iperglicemia intervenire come da protocollo e come
da parere medico (terapia del caso).
- Riordinare i materiali.
Delega:
In gravidanza:
- Test di Coombs indiretto: se la madre è Rh negativo, è necessario conoscere il gruppo sanguigno
del padre. Se questo é Rh positivo, il feto potrebbe essere a sua volta Rh positivo e quindi potrebbe
crearsi un'incompatibilità Rh tra madre e feto. In questo caso la madre produce anticorpi contro
l'antigene Rh che passano attraverso la placenta e distruggono i globuli rossi del feto, determinando
la malattia emolitica del neonato (MEN)
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16.Prelievo arterioso periferico (EGA), sedi del prelievo, modalità competenze e
responsabilità.
Prelievo di sangue arterioso (EGA). Prelievo di un campione di sangue tramite puntura percutanea
di un'arteria.
Fornisce informazioni su:
 lo stato di equilibrio acido-base,
 l'efficienza degli scambi gassosi a livello polmonare, infatti registra i gas disciolti nel
sangue,
 l'adeguatezza del trasporto di O2 nei tessuti.
Questi valori alterati possono essere indice di alterazioni respiratorie(es.per adeguare la O2 terapia,
variazione degli atti respiratori) e metaboliche (insufficienza renale,grave ipotensione, perdite
gastro-enteriche prolungate)
Valori dell'EAB:
 Ph: 7,35 – 7,45 (plasmatico indica la concentrazione degli ioni H+-idrogeno)
 PO2: 100 mmHg (pressione dell’O2 arterioso che indica il grado di ossigenazione del
sangue)
 SpO2: 98- 100 %
 PCO2: 35-45 mmHg ( pressione della CO2 che fornisce informazioni sull’adeguatezza
della ventilazione alveolare )
 HCO3(-): 22-25 mmol/l (bicarbonati plasmatici)
 BE: +3- -3
 Lattati: < 3
 Hb: 13-16 g/dl
 Ht: 35-45 % (ematocrito, parte corpuscolare)
L’emogasanalisi arteriosa (EGA) è il prelievo di sangue arterioso che viene utilizzato per conoscere
i valori dei gas disciolti nel sangue, per la determinazione del pH e per la concentrazione degli ioni
bicarbonato.
■
Sedi del prelievo:
■ arteria radiale, è la sede migliore perchè anche in caso di rottura il flusso ematico è garantito
dall'arteria ulnare,
■ a. brachiale,
■ a. femorale,
■ con il posizionamento di un catetere arterioso a permanenza.
Sedi di campione capillare:
 Lobo : nell'adulto con circolazione periferica ridotta
 Calcagno: neonato o bambini piccoli
91

Alluce: bambini minori di 6 mesi
Complicanze della puntura arteriosa:
Ematoma in sede di puntura, che può esser facilmente evitato usando un ago di piccolo
calibro e dalla compressione per almeno 5-10 minuti;
Spasmo arterioso;
Embolia gassosa;
Trasmissione di infezione a/da paziente;
Dolore.
Il prelievo generalmente viene effettuato mediante l’utilizzo di siringhe preparate con eparina
sodica, ma in mancanza si può usare una siringa da 2,5 ml in cui si aspirano 0,5 ml di eparina, che
deve essere espulsa e deve rimanere solo nell’ago e nel cono della siringa.Oppure siringa prepararta
con insulina liofilizzata.
Campioni da prelievo arterioso con siringa:
Materiale:
Siringa a riempimento automatico per prelievo arterioso con eparina liofilizzata;
Ago;
Guanti;
Batuffolo con disinfettante;
Garze;
Dispositivo di sicurezza per aghi;
Etichetta del paziente;
Contenitore aghi;
Acqua e ghiaccio o borsa con gel refrigerante (se la conservazione del campione è
indispensabile).
La scelta del sito di prelievo con siringa:
Circolazione del sangue collaterale , eseguire il Test di Allen x valutare il circolo
collaterale,
Accessibilità dei vasi e dimensioni dell’arteria
Rischio di complicazioni (per il rischio di infezioni evitare zone che mostrino traumi
evidenti dovuti a prelievi ripetuti con siringa)
Edema
Siti del prelievo con siringa
Verificare l’esistenza di una circolazione sanguigna collaterale;
Attenzione a non colpire accidentalmente il periostio osseo;
Arteria radiale: superficiale e con circolazione collaterale ottima apportata dall’arteria
ulnare
Nell’1,6% dei malati le arterie ulnari hanno dei deficit quindi: TEST DI ALLEN
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Per confermare la perfusione ulnare:
TEST DI ALLEN
Il paziente chiude con forza la mano per far defluire il sangue dal pugno
Si esercita una pressione sul polso per arrestare il flusso delle arterie ulnare e radiale
 Quando la mano diventa bianca si rilascia la pressione sull’arteria ulnare
Si osserva il palmo e le dita: se la mano ritorna colorita-rossa in 10sec. Vuol dire che il
circolo dell'arteria ulnare è funzionante e quindi non è pericoloso eseguire il prelievo dalla
radiale.
Tecnica:
E’ preferibile non eseguire prelievi nelle arterie femorali in bambini al di sotto dei 4 anni a causa
del rischio di infezioni e di danneggiamento delle strutture adiacenti. L’arteria del dorso del piede è
l’ultima alternativa.
Osservare che il sito prescelto non presenti:
Infezioni, Ematomi, esantemi cutanei che ne pregiudichino l’idoneità
Prima del prelievo:
regolare il volume desiderato nella siringa a riempimento automatico
Disinfettare il sito
Individuare l’arteria e sostenerla con due dita durante il prelievo
Il braccio va tenuto su una superficie stabile
Orientare l’ago verso la corrente sanguigna, parallelo all’arteria e con il taglio obliquo
rivolto verso l’alto
Inserire l’ago a 45° rispetto alla cute
In femorale l’inserimento deve essere perpendicolare all’arteria
Trovata l’arteria la siringa si riempie rapidamente
Evitare che l’ago attraversi l’arteria
Se non si riempie:
Arteria non reperita
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Presenza di coagulo quindi RIPETERE da capo
Se si aspira sangue venoso: RIPETERE
NON ASPIRARE IL CAMPIONE per rischio di lesioni vascolari interne
Subito dopo il campionamento:
Esercitare una compressione del sito
5-10 minuti per brachiali e/o femorali più a lungo se il malato presenta di deficit
coagulativi
Applicare una piccola medicazione compressiva
Per richiudere la siringa usare i sistemi di sicurezza in uso.
Se presenti bolle d’aria:
Coprire il puntale della siringa con le garze
Tenerla in verticale e picchiettarla per espellere le bolle d’aria
Chiudere il campione con l’apposito cappuccio
Miscelare il campione capovolgendolo verticalmente e facendolo ruotare nel palmo delle mani per
disciogliere l’eparina contenuta nella siringa
Questa operazione evita la formazione di coaguli che possono influenzare i risultati e danneggiare
l’EGA depositandosi sugli elettrodi.
Responsabilità: medica o infermiere specializzato
Alterazioni dell'equilibrio acido-base:
Alterazione primitiva
Valore del Ph
Compenso
Acidosi metabolica
- HCO3(-)
- Ph
- PCO2
Alcalosi metabolica
+ HCO3(-)
+ Ph
+ PCO2
Acidosi respiratoria
+ PCO2
- Ph
+ HCO3(-)
Alcalosi respiratoria
- PCO2
+ Ph
- HCO3(-)
In generale:
Acidosi = + H+ e - bicarbonati
Alcalosi = -H+ e + bicarbonati
94
17.Medicazione delle ferite semplici e complesse: materiali, responsabilità, competenze.
Con ferita si intende un’interruzione a tutto spessore della continuità della cute che può interessare
anche i piani sottocutanei e profondi. Quando la cute perde la sua continuità, si verifica una risposta
infiammatoria: il sistema immunitario tenta di eliminare il materiale estraneo e prepara la zona
danneggiata del corpo alla guarigione.
Nel trattamento delle ferite bisogna innanzitutto procedere ad una attenta anamnesi allo scopo di
risalire alle cause che hanno prodotto la lesione; l'anamnesi verrà condotta direttamente sul paziente
qualora questo sia cosciente, o attraverso terze persone qualora invece il paziente presenti un severo
trauma o ancora il medico dovrà intuire da sé la dinamica che ha prodotto la lesione qualora nè il
paziente nè altri possano riferire riguardo alla dinamica dell'incidente.
Dopo aver condotto un'attenta anamnesi si procederà alla protezione della ferita per mezzo di una
medicazione e si provvederà ad arrestare, laddove sia presente, la fuoriuscita di sangue. Se si è in
presenza di una ferita di una certa gravità o di una ferita profonda sarà utile inoltre condurre un
esame radiologico al fine di ricercare lesioni di organi o tessuti più profondi; è inoltre utile condurre
esami di laboratorio per valutare il risentimento del paziente in conseguenza allo stress subito.
Le ferite possono andare incontro a complicanze di tipo immediato o a distanza.
Le complicanze di tipo immediato:
 necrosi del tessuto interessato dal trauma
 deposito sieroso-ematico (bolle da scarpe strette)
 infezioni secondarie laddove la lesione non sia stata disinfettata.
Le complicanze a distanza:
 formazione di cicatrici retraenti che danno luogo a deformazioni cutanee (es. le cicatrici da
ustione)
 neuromi da amputazione (proliferazione iperplastica di fibre nervose).
Le ferite possono essere classificate in semplici e complesse.
Per ferite semplici si intendono quelle ferite caratterizzate da un'effrazione dei soli tessuti di
rivestimento; un esempio di ferita semplice può essere un taglio. I bordi della ferita semplice sono
generalmente abbastanza lineari.
Per ferite complesse si intendono invece quelle ferite che interessano non solo sezioni cutanee
superficiali ma in cui vi è anche un coinvolgimento dei tessuti sottocutanei e profondi; un esempio
di ferita complessa può essere una ferita da arma da fuoco o una ferita chirurgica quale ad esempio
può essere una resezione epatica che si riflette su tutto il parenchima dell'organo.
Tipi di ferite:
 F. Intenzionali: si verificano durante la terapia, es. int.chirurgico x tumore
 F.Non Intenzionali: sono accidentali
 F.Chiusa: i tessuti traumatizzati senza soluzione di continuo della cute
 F. Aperta: quando la cute presenta una soluzione di continuo e sono interotte
 F. Pulite: non infetta, non penetrano negli apparati respiratori, urinari,ect.
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F. Pulite Containate: ferita chirurgica dove è stato penetrato l'apparato gastrointestinale,
genitale, respiratorio. Non c'è segno di infiammazione.
 F. Contaminate: ferite aperte, accidentali e chirurgiche, perdita di setrilità. Evidente
infiammazione
 F. Sporche e infette: ferite con tess. Necrotico o secrezioni che indicano un processo
infettivo in atto.
Lo scopo della medicazione della ferita deve essere stabilito prima di scegliere il tipo di
medicazione da applicare. Le medicazioni possono essere utilizzate per proteggere la ferita, per dare
umidità alla zona interessata, per assorbire le secrezioni, per prevenire il sanguinamento.
La medicazione viene scelta in base al tipo, alla localizzazione e alla misura.
Prima di medicare:
- controllare la documentazione
- allergie
- dolore
- segni di infezione
 cercare di programmare il cambio di medicazione nell'orario più comodo per il pz


Medicazioni ferite semplici occorre:
Lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di procedere con la medicazione.
 Per evitare la propagazione di germi è necessario innanzitutto sciacquare subito la parte
interessata sotto acqua corrente, al fine di rimuovere eventuali detriti o corpi estranei. Una corretta
detersione costituisce la migliore strategia di prevenzione nei confronti di possibili infezioni locali e
soprattutto consente di evitare, almeno temporaneamente, l'impiego di preparati antibiotici. Questi
vanno impiegati nei casi più complessi (difficoltà di cicatrizzazione, formazione di pus,
modificazioni dell'aspetto della ferita e così via), da sottoporre alla valutazione del medico.
Occorre particolare cautela qualora possano essere penetrate nella cute particelle estranee, che è
opportuno rimuovere con attenzione.
Applicare un disinfettante, quale per esempio acqua ossigenata, lasciando possibilmente asciugare
la ferita all'aria.
Ricoprire la ferita ponendo a diretto contatto con essa una o più garze sterili. Porre del cotone
idrofilo al di sopra di esse. Fissare la medicazione con una fascia di tela o rete elastica oppure con
dei cerotti. In caso di tagli non particolarmente profondi, si possono applicare cerotti appositi
utilizzabili in sostituzione dei punti chirurgici e/o una speciale colla che riattacca i due lembi. Solo
un medico o un infermiere competente può stabilire se è possibile evitare la sutura tradizionale.
Bisogna sempre considerar infatti l’orientamento del taglio rispetto alle linee di tensione della cute e
l’esito estetico ottenibile con le diverse metodiche di medicazione.
Se la ferita sanguina abbondantemente, è necessario applicare un bendaggio compressivo.
Soprattutto in caso di lesioni agli arti, è di fondamentale importanza sollevare la parte interessata ad
un livello superiore rispetto a quello del cuore, in modo da facilitare l’arresto dell’emorragia.
Il medico deve essere consultato qualora il taglio procuri un'emorragia rilevante, a seguito per
esempio della lesione di un vaso sanguigno, oppure se esso è stato causato da un oggetto
potenzialmente contaminato da polvere di strada o rimasto a contatto con il terreno. In questo caso,
96
infatti, è opportuno verificare il proprio stato di regolarità nei confronti della vaccinazione
antitetanica e, se ritenuto necessario, ripristinare la copertura vaccinale.
Cosa non fare
Non usare alcol o disinfettanti colorati. La tintura di iodio va eventualmente applicata intorno alla
ferita ma mai direttamente su questa. Non sottovalutare mai le ferite da taglio discretamente
profonde a livello di mani e/o polsi. In caso di lesione tendinea, non tempestivamente suturata, si
possono avere infatti conseguenze funzionali importanti.
Responsabilità: medica e infermiere specializzato
Medicazioni Ferita chirurgica
Scopo:
 proteggere la ferita da microorganismi e da traumi che possono rallentare la guarigione
 assorbire eventuali essudati
 contribuire a mantenere i margini della ferita asciutti
 essere permeabile all'aria cosi che l'O2 possa raggiungere la ferita e peremettere la
granulazione
 non aderire alla ferita per non provocare la riapertura al momento del cambio della
medicazione.
Tipi di ferite.
 I intenzione: ferite i cui lembi sono accostati l'uno all'altro, non sono presenti secrezioni, no
drenaggi. Guariscono facilmente lasciando una cocatrice lineare. Spesso poco visibile. Si
praticano medicazioni semplici.
 II intenzione: ferite i cui lembi non sono ben accostati tra loro a causa di perdita di sostanza
spesso dovuta ad infezioni.La guuarigione è lenta e lascia cicatrici. Si praticano
medicazioni complesse più volte al gg.
 Ascesso: raccolta localizzata di pus in un'unica cavità neoformata risultante dalla
colliquazione dei tessuti colpiti.Causata di solito da microorganismi piogeni. Il trattamento
consiste nel drenaggio o escissione chirurgica e nell'assunzione di antibiotici
 Deiscenza: cedimento dei margini di una sutura x infezione o forte tensione
 Ematoma: nel corso delle prime 24h dopo l'intervento può verificarsi sanguinamento sotto la
cute, piccoli si riassorbono da soli, + grandi può dare infezione.
 Eviscerazione: esposizione degli organi interni attraverso la ferita
 Drenaggio: si tratta di un dispositivo atto a permettere la fuoriuscita di liquidi o gas da una
cavità neoformata o preesistente. Di solito di materiale plastico vengono introdotti nella
cavità da drenare commessi a sistemi di raccolta.
Procedura- medicazione su f. di II intenzione
 informare il pz- privacy
 posizionare il pz in odo di esporre al meglio la ferita
 lavare mani- guanti
 togliere i cerotti delicatamente- rimuovere medicazione sporca se aderente alla ferita
bagnarla con fisiologica
97
osservare la ferita e valutare il suo stato
 se richiesto eseguire un tampone colturale
 prima di eseguire il tampone rimuovere le secrezioni con garza asciutta e sterile
 aprire il campetto sterile e porgerli al secondo operatore
 prendere uno gnocchetto (garza ripiegata già preparata) con pinza e bagnarlo con etere (
rimuove la colla del cerotto) e passarlo sulla zona circostante la ferita.
 Prendere una garza, bagnarla con fisiologica e passarla sulla ferita iniziando dal margine
esterno verso l'interno
 prendere una nuova garza con antisettico (iodiopovidove-betadine)
 con movimenti circolari da ex ad interno (se ferita circolare) se no dall'alto in basso
internamenteun passaggio ogni garza.
 Se prescrtto applicare garze particolari (iodioformiche, conettivina) o creme
 posizionare garze sterili
 fissare la medicazione con certotto
 far sistemare il pz
 riporre i ferri utilizzati nel contenitore x la pulizia
 sistemare il materiale
 levarsi i guanti-lavarsi le mani
 registrare in C.I.
N.B. 2 operatori, uno sterile e uno non.

Medicazioni avanzate-ulcere da pressione: vedi sopra alla domanda n.11.
Medicazione su drenaggio
Drenaggio aperto:
Il punto di fuoriuscita del drenaggio deve essere medicato con tecnica asettica, separatsmente dalla
ferita e se necessario più freguentemente.
Drenaggio chiuso:
il raccoglitore delle secrezioni drenate deve essere sterile, ben chiuso tenuto al di stto del livello
della ferita.
Procedura:
da 1 a 8 idem sopra
9) prendere una garza, bagnarla con soluzione fisiologica e passarlasulla ferita iniziando dalla sutura
e proseguendo verso l'esterno, senza mai tornare verso la sutura stessa.
10) prendere altra garza con antisettico e passarla dalla sutura verso l'esterno
11) durante qst procedura il chirurgo può accorciare, sostituire o levare il drenaggio
12) se il drenaggio è stato accorciato e/o ritratto , richiedere un punto di sutura dal chirurgo
13) tagliare a Y una o più garze e posizionarle intorno al drenaggio
14) fissare la medicazione con cerotto TNT
15) fissare il drenaggio con cerotto a cravatta (rinforza l'ancoraggio)
16)sistemare tutto
17) registrare su C:I.
98
Asettico: privo di germi, sterile.
La medicazione asettica si usa per es. dopo intervento chirurgico, si copre la ferita con garze steril,
si usano manovre sterili.
La tecnica asettica "no-touch" è una tecnica asettica che si basa su evidenze scientifiche
sviluppatasi in ambito pediatrico per fornire agli operatori sanitari una guida pratica per una tecnica
asettica sicura. I principi della tecnica "no-touch" possono essere applicati a tutte le procedure come
le medicazioni, la cateterizzazione vescicale e la terapia endovenosa. Soprattutto quest'ultima è di
particolare rilievo in quanto è la procedura più comunemente svolta in asepsi in ambito ospedaliero
e perché spesso porta al maggior rischio diretto di infezione per il paziente.
- Che cos'è la tecnica asettica "no-touch"? La tecnica "no-touch" previene la contaminazione diretta
ed indiretta delle componenti essenziali di ciascuna procedura per mezzo di un metodo consistente
nel non toccare (no touch) tali parti, associato ad altre precauzioni appropriate.
 La sterilità non esiste: la parola sterile significa "privo di microrganismi" quindi data la naturale
moltitudine di microrganismi nell'atmosfera non è possibile ottenere una tecnica veramente
sterile per procedure svolte in reparto o a domicilio.
- Esistono invece le tecniche asettiche: affinché si sviluppino delle sepsi (terapia EV) o delle
infezioni a livello locale (medicazioni), le componenti essenziali o i siti devono essere
contaminati da un numero sufficiente di organismi patogeni virulenti. Quindi, una tecnica che
previene una contaminazione a questo livello è una tecnica sicura. Una tecnica di questo tipo
viene definita tecnica asettica dato che la parola asepsi significa
"senza infezione" o materiale infetto (patogeno).
- Le tecniche no-touch sono di fondamentale importanza! I patogeni non sempre possono essere
rimossi tramite un accurata igiene delle mani. Inoltre, il lavaggio delle mani non sempre è
efficace. Quindi, la tecnica no-touch è forse la componente più importante di una procedura
svolta in asepsi.

99
18. Esame clinico infermieristico del paziente e raccolta dati: diagnosi infermieristica.
Prestare assistenza infermieristica attraverso la formulazione di piani di assistenza individualizzati e
personalizzati, è un metodo utile che permette di programmare organizzare le cure ad ogni tipo di
paziente, ricoverato in una qualsiasi unità operativa.
Il processo di nursing è un modello logico basato su metodologia scientifica del problem-solving.
Lo scopo principale è curare ogni persona nella sua globalità e mantenere all’interno dell’equipe
assistenziale lo stesso stile di lavoro, con il fine ultimo di garantire continuità. Ogni piano di
assistenza si compone di vari momenti. Varie fasi pianificate ed di azioni svolte a soddisfare i
bisogni e risolvere i problemi deo pz, dei familiari, di una comunità individualizzando le cure.
L’infermiere dispone il piano assistenziale suddiviso in cinque momenti fondamentali:
ACCERTAMENTO, DIAGNOSI, PIANIFICAZIONE, ATTUAZIONE e VALUTAZIONE.
Accertamento:
Conoscenza del paziente, informazioni sul pz e sulle persone significative;
Raccolta dei dati, oggettivi e soggettivi
L’accertamento è la conoscenza del paziente e la raccolta dei dati che avviene attraverso l’intervista
(al paziente o ai suoi familiari, essa deve essere fatta nel rispetto della privacy, in caso nella camera
di degenza dovesse esserci un altro paziente questa intervista va svolta in altro luogo) per
evidenziare interventi medici o infermieristici. E’ buona norma acquisire queste informazioni su
appositi modelli preordinati (cartella infermieristica) in modo tale da poter registrare i dati in modo
più veloce, più chiaro, con una conseguente migliore elaborazione di essi.
Si definisce la situazione attuale del pz oltre all'intervista i metodi utilizzati sono:

osservazione

esame fisico infermieristico: ispezione, auscultazione, percussione, palpazione

intervista su anamnesi familiare, domande aperte o chiuse-intervista diretta o indiretta
Diagnosi:
(NANDA)
Individuazione dei problemi e dei bisogni umani
In autonomia;
In equipe
La diagnosi infermieristica, a differenza di quella medica che tende ad individuare la malattia, serve
ad individuare i problemi e i bisogni umani in quel particolare momento di malattia del paziente.
L’infermiere ha la possibilità di agire in autonomia se le sue capacità tecniche gli permettono di
risolvere il problema, oppure in equipe se necessitano di altre figure professionali quali il tecnico
della riabilitazione, la dietista, l’assistente sociale.
La diagnosi inf. È un giudizio clinico riguardante le risposte della persona, della famiglia o della
comunità a problemi di salute, processo vitali attuali o potenziali.
Costituisce la base sulla quale scegliere gli interventi.
100
Obiettivi
Definire gli obiettivi:

generale

specifici

a breve termine

a lungo termine
Pianificare:
(NIC)
Programmare gli interventi adeguati alla condizione del paziente
La pianificazione dei programmi d’intervento adeguati alla condizione del paziente ha due momenti
importanti, il primo è che il programma che deve avvalersi di presupposti scientifici (protocolli o
linee guida) precisi già provati e collaudati che abbiano dato esito positivo, bisogna individuare gli
interventi inf assistenziali, costruire azioni per raggiungere gli obiettivi prefissati; il secondo invece
è che il programma deve essere attuabile, nel senso che deve essere elaborato con evidenze
scientifiche, presidi, risorse umane, materiali e finanziarie e soprattutto in base alle risorse del
paziente.
Attuare:
Mettere in atto, realizzare il piano assistenziale attraverso specifici interventi;
Utilizzo di protocolli e procedure
È questo il momento in cui l’infermiere deve mettere in atto le sue conoscenze avvalendosi di
protocolli e procedure. È importante che il piano assistenziale adottato venga applicato fino in
fondo, a meno che non sopraggiungano condizioni diverse. Alla fine di ogni procedura, sulla
cartella infermieristica, devono essere riportati data, ora, tipo di intervento effettuato e firma di chi
lo ha effettuato.
Valutazione:
(NOC)
Valutare il raggiungimento dei risultati ottenuti negativi o positivi
Sia durante il percorso assistenziale, che al termine di esso, l’infermiere deve valutare il
raggiungimento degli obiettivi prefissati avvalendosi delle risposte date dal paziente. Nel caso
queste ultime non siano soddisfacenti, è compito dell’infermiere individuare il momento in cui è
stato commesso l’errore.
Il giudizio sulla valutazione finale può essere soggettivo per questo si usano scale, indicatori e
standard.
N.B
Tutto viene registrato sulla cartella infermieristica. Strumento per rendere visibile, osservabile,
misurabile ed evidente il processo di assistenza infermieristica e l'applicazione del contenuto del
profilo professionale. Consente di documentare le diverse fasi del processo, trasmettendo
informazioni fra i vari operatori.
101
19. Rilevazione dei parametri vitali: responsabilità, competenza e delega.
I quattro parametri che vengono rilevati sono 4:
Temperatura corporea;
Frequenza del Polso;
Freguenza Respiratoria;
Pressione sanguigna;
Questi parametri sono indicatori indispensabili e vengono comunemente utilizzati dagli infermieri
per valutare lo stato di salute dell’individuo e per monitorare le funzioni corporee.
I p.v. si rilevano durante la fase di accettazione del paziente per avere i valori di base; in caso di
modificazioni dello stato di salute, su indicazione del medico, prima e dopo un intervento
chirurgico, prima e dopo alcuni interventi infermieristici.
Variazioni dei parametri in base all'età:
ETÀ
T. °C orale
POLSO batt/min
FR atti/min
PA mmHg
Neonato
36,8 (ascellare)
130
35
73/55
1 anno
36,8 (ascellare)
120
30
90/55
5-8 anni
37,0
100
20
95/57
10 anni
37,0
70
20
102/62
Adolescente
37,0
75
18
120/80
Adulto
37,0
80
16
120/80
Ansiano (> 70 anni) 36,0
70
16
120/90
Temperatura corporea:
E’ l’equilibrio tra calore prodotto del corpo e il calore esterno.
Esistono due tipi di temperatura:
Esterna/cutanea e sottocutanea ( aumenta o diminuisce in risposta alle variazioni
ambientali);
Interna è la temperatura dei tessuti profondi del corpo ( 36,7 < T > 37 C )
102
Fattori che alterano la T:
 Esercizio fisico
 Stress
 Età (minore nell'ansiano)
 Febbre ( piressia o ipertermia-segni: tachicardia, brividi, vampate, cute calda)
 Ipotermia (minore di 36 C, dopo i 34 si muore)- segni: brividi severi, cute pallida e fredda,
diminuizione diuresi, disorientamento, non c'è la coordinazione muscolare, sonnolenza,
coma.
Sedi di rilevazione- posizionamento termometro:
Bocca-Orale: bisogna posizionare il termometro nel cavo orale ( in questo caso solo se la
persona è cosciente e solo se sa quello che ha in bocca- attenzione con i bambini– non si può
rilevare la temperatura alle persone che abbiano conati di vomito, colpi di tosse o che
abbiano bevuto bevande o troppo fredde o troppo calde). Bisogna posizionare il buolbo in
uno dei lati del frenulo sottolinguale. Non usare se il pz fa l'ossigenoterapia;
Rettale: si introduce il termometro nella parte distale dell’ ano ( tecnica da preferire nei
bambini piccoli e previa lubrificazione dell’ apparecchio) questa misurazione è quella che da
maggiore attendibilità; non si usa in caso di IMA in quanto può stimolare il nervo bago e
peggiorare in danno miocardico. Il pz deve ispirare, infilare nell'adulto 3-5 cm, se c'è
resistenza non forzare;
Timpanica: termometri non invasivi a raggi infrarossi o elettronici. Tirare il padiglione
auricolare un po' verso l'alto e posteriormente, inserire sonda verso il timpano in modo
circolatorio fino alla mucosa dell'orecchio;
Ascellare: asciugare l'ascella prima dell'uso. Il bulbo va al centro della sede. Soprattutto
usata per pz chirurgici e/o infiammatorie del cavo orale e pz incoscienti.
Segni clinici della febbre:
 maggior polso
 maggiore frequenza respiratoria
 brividi
 cute pallida e fredda
 vampate, cute calda
 sensazione di freddo
Delega: La Rilevazione della temperatura corporea PUO’ essere delegata al personale di supporto.
Frequenza del Polso o frequenza cardiaca:
Descrive la frequenza, il ritmo e la forza del battito rilevabile in zone centrali o peroferiche.
Def: È l'espressione di un'onda sanguigna, sfigmica, creata dalla contrazione del ventricolo sx del
cuore.
103
E’ la rilevazione di battiti cardiaci nell’ arco di tempo di 1 minuto, la sede più usata per misurare il
polso attraverso la palpazione sono l’ Arteria Radiale oppure di quella carotidea.
Il valore normale della frequenza cardiaca in un soggetto adulto sano a riposo è di 60 a 100 battiti al
minuto.( unità= batt/ min)
Le caratteristiche del polso sono:
Carattere: rappresentato dalla forza o ampiezza del polso.
Polso pieno- pulsazioni forti al di sotto dei polpastrelli di chi rileva il polso.
Polso debole- pulsazioni deboli al di sotto dei polpastrelli di chi rileva il polso
Ritmo: Esprime il rapporto esistente tra i singoli battiti.
Regolare - si chiama ritmo sinusale perché il tempo intercorso tra i battiti è sempre lo stesso
Irregolare - quando l’ intervallo di tempo intercorso tra le singole pulsazioni non è costante.
Si esprime in battiti per minuto.
Siti di rilevazione del polso periferico:
Temporale: tra occhio e capelli( arteria temporale)
Carotideo: sul collo a lato della laringe (arteria carotidea)
Brachiale: lato interno della piega del gomito (arteria brachiale) (arresto cardiaco nei
neonati)
Radiale:lato internodel polso in prossimità del pollice (arteria radiale)
Femorale: zona inguine (arteria femorale)
Popliteo: nella fossa poplitea,dietro il ginocchio
Tibiale: interno alla caviglia
Pedidio: sull'arteria dorsale del piede
Sito polso centrale:
 Apicale: a livello dell'apice cardiaco di nel 4- 5 spazio intercostale sull'emiclave sx, ( per i
neonati e i bambini o adulti con battito aritmico).
Fattori che modificano il polso:

Età, diminuisce con l'aumentare dell'età;

Sesso, dopo la pubertà i maschi poco più bassa;

Esercizio fisico;

Febbre

Farmaci;

Ipovolemia /disidratazione;

Stress;

Posizioni (es. da seduti diminuisce).
Delega: La rilevazione del polso PUO’ essere delegata al personale di supporto.
Frequenza respiratoria:
Si rilevano gli atti respiratori valutandone-Misurazione
 La frequenza respiratoria in un soggetto adulto sano è di 16-20 atti respiratori al minuto.
104


Profondità- vedendo il torace può essere: Profonda :grande volume di H2 inalato ed esalato;
Superficiale: scambio con uso minimo di tessuto polmonare; Normale: adulto inala 500 ml
di H2.
Ritmo- può essre: Regolare:silenzioso; Irregolare: polso aritmico. Un particolare ritmo è il
Respiro di Cheyne-Stokes: ciclo dove la respirazione aumenta gradualmente di freguenza e
profondità per poi ridursi a apnea temporanea.
Frequenza:

Eupnea: respiro normale quieto, ritmico e senza sforzo,16-20 atti respiratori al minuto;

Tachipnea: respiro rapido caratterizzato da atti respiratori veloci e superficiali, superiore ai
20 atti respiratori al minuto;

Bradipnea: respirazione anormale lenta, 10-12 atti respiratori al minuto;

Apnea: cessazione della respirazione.
Respiro agevole o faticoso:
 Dispnea: respiro difficoltoso, affannoso, penoso, l'individuo riferisce sensazione di fame
d'aria, appare ansioso ed angosciato;
 Ortopnea: capacità di respirare solamente in posizione seduta dritta o in piedi.
Respiro con secrezioni e tosse:
 Emottisi: presenza di sangue nell'espettorato;
 Tosse produttiva: tosse accompagnata da espettorazione di secrezioni;
 Tosse non produttiva: tosse secca, aspra senza secrezioni.
Volume:

inalazioneo inspirazione: ingresso

Esalazione o espirazione: uscita

Ventilazione: movimento in entrata e uscita dai polmoni

Iperventilazione: respiri molto profondi e prolungati

Ipoventilazione: respiri poco profondi e superficiali
L'atto di respirare comprende l'assunzione di O2 e eliminazione di CO2.
Si osserva la respirazione costale ( toracica) e diaframmatica (addominale).
Misurare SaO2: valore normale 95-100 %, minore di 70% pericolo di vita. Si misura grazie ad uno
strumento, sensore applicato di solito all'estremità di un dito.
L’ ossigeno nel sangue viene misurato tramite l’ OSSIMETRO (saturimetro) , ed è un esame che
permette di evidenziare la percentuale di ossigeno che c’e nel sangue (SPO2), sul mercato ci sono
diversi tipi di ossimetri transcutanei e talvolta misurano anche la frequenza cardiaca .
Fattori che modificano la respirazione:
-Ètà : con l'aumento dell'età diminuisce la FR
-Esercizio fisico: aumenta la FR
-Febbre: aumenta la FR insieme alla T.C
105
-Farmaci
-Stress
Delega: La misurazione degli atti respiratori PUO’ essere delegata al personale di supporto.
Pressione arteriosa
Def: Può essere definita come la forza esercitata dal sangue contro le pareti elastiche dei vasi
arteriosi
Il sangue si muove per onde sitolica e diastolica:
Pressione Sistolica: è la pressione che si crea nelle arterie nel momento in cui il sangue
viene espulso dal Cuore, dopo la concrazione del ventricolo.
Pressione diastolica:è la pressione presente nel circolo arterioso durante la fase
rilassamento del muscolo Cardiaco, i ventricoli sono in condizione di riposo..
La loro differenza è detta pressione del polso.
I valori normali della PA: In un soggetto adulto sano ed espressi in mmHg (millimetri di mercurio)
sono:
SISTOLICA: (massima) 100mmHg più l’ età della persona
Esemp. Soggetto di 40 anni 100 mmHg+40 anni = 140 mmHg
Sono considerati valori patologici sopra i 180 mmHg e sotto i 90 mmHg
DIASTOLICA.- (minima) valori compressi tra 60-90 mmHg.
È considerato valore patogico quelli inferiori a 50 mmHg
IPERTENSIONE: è l’ eccessivo aumento della PA (sopra i 180mmHg)
IPOTENSIONE: è la eccessiva diminuzione della PA (sotto 90mmHg)
Fattori che influenzano la PA:
 Ètà(maggiore fino alla maturità, mag. Negli ansiani)
 Sesso (minore nelle donne)
 Esercizio fisico (aumenta)
 Stress( aumenta la GC e di conseguenza la PA)
 Razza (neri maschi hanno la P maggiore rispetto ai maschi bianchi)
 Obesità (di solito associata ad ipertensione)
 Variazioni circadiane (minore il mattino)
 Frebbe (aumenta)
 Calore (diminuisce)
 Freddo (aumenta)
I punti di repere per la misurazione della PA :
 arti superiori tramite l’ Arteria Brachiale, più il fonendoscopio
 arti inferiori tramite l'arteria poplitea quando: non si può misurare sulle braccia-es.ustionatitraumi; x confrontare i valori; cuffia dello sfigmanometro è troppo grande per gli arti
superiori.
Non si misura nel lato dove:
 ha avuto interventi chirurgici all'ascella, mammella o anca
 in corso di infusione ev.
106

in presenza fistola arterovenosa-es.dialisi renale
Lo strumento da utilizzare si chiama sfigmomanometro: è costituito da un bracciale che viene
avvolto attorno al braccio del soggetto e mantenuto all'altezza del cuore.
Tecnica:
Il bracciale deve essere avvolto tra l’ascella e la piega del gomito; in corrispondenza di quest’ultima
va appoggiato il fonendoscopio, nel punto in cui appoggiando le dita si sente pulsare l’arteria del
braccio (arteria omerale). Contemporaneamente si palpa il polso radiale, cioè la pulsazione
dell'arteria che passa a livello del polso, dallo stesso lato in cui si trova il pollice. Si sente il polso
dato che aiuta in caso non si senta il primo battito auscultando, si può sempre sentire la polso
radiale.
A questo punto il bracciale viene gonfiato sino alla scomparsa sia dei rumori provenienti dal
fonendoscopio che del polso radiale: in questo momento la pressione del bracciale è superiore alla
pressione arteriosa.
Successivamente si riduce lentamente la pressione del bracciale, facendo uscire l'aria in esso
contenuta, azionando l’apposita valvola. Quando la pressione sarà uguale a quella arteriosa, un pò
di sangue riuscirà a passare nell'arteria producendo un rumore: il primo rumore udito chiaramente
corrisponderà alla PRESSIONE SISTOLICA (detta anche MASSIMA ). Riducendo ulteriormente
la pressione i rumori diventeranno inizialmente più intensi, quindi via via più deboli: la completa
scomparsa dei rumori corrisponderà alla PRESSIONE DIASTOLICA (detta anche MINIMA). La
pressione viene quindi indicata con due valori, ad esempio 120/80: il primo valore è la sistolica, il
secondo la diastolica.
Le 5 fasi di Korotkoff:
 I: sistolica, 1° battito
 II-III: i battiti successivi aumentano di intensità
 IV-V: i battiti diventano più dolci e inizia la P. diastolica, c'è la ruduzione dei toni fino alla
scomparsa.
Delega La rilevazione della pressione PUO’ essere delegata al personale di supporto.
107
20.Drenaggi chirurgici e terapeutici: materiali, responsabilità e competenze.
Per drenaggio in chirurgia si intende un apparecchio o un sistema che consente la fuoriuscita di
liquidi contenuti all'interno dei tessuti, delle strutture e della cavità naturali o neoformate
dell'organismo.permettono la fuoriuscita di liquidi che si accumulano nella sede dell'intervento.
Consentono la sorveglianza del focolaio chirurgico stesso, quando vi sia la possibilità di emorragie,
deiscenza di suture, comparsa di materiale purulento, di materiale biliare, enterico o di urina.
Il drenaggio in questo caso permette di evidenziare in modo tempestivo il verificarsi di eventuali
complicanze e nello stesso tempo permette la fuoriuscita del materiale che, in conseguenza della
complicanza, verrebbe ad accumularsi in cavità interne dell'organismo (drenaggio profilattico).
Il drenaggio può essere anche impiegato x introdurre liquidi all'interno dell'organismo a scopo
medicamentoso o detergente,drenaggio terapeutico, si possono usare drenagi in entrata e in uscita
opportunatamente collocati
Tipi di drenaggi in base alle caratteristiche
/ meccanismi di azione:
drenaggi in garza
/ capillarità
drenaggi tubulari a caduta o a sifone / gravità
drenaggi muniti di sistema aspirante;
drenaggi a valvola d'acqua.
- sisitema aperto
- sistema chiuso
A parte il primo che si pone al di sotto della medicazione e va cambiato ogni volta che si impregna
di materiale, gli altri tipi di drenaggio vanno collegati ad un opportuno sistema di raccolta (a caduta,
a depressione, a valvola ad acqua).
Il tutto dovrà costituire un sistema chiuso e unidirezionale, in modo da evitare il ritorno di
materiale drenato all'interno della cavità chirurgica con una conseguente possibilità di infezione
provocata da microorganismi provenienti dall'esterno.
E' necessario controllare ad intervalli regolari e riportare in grafica sia la quantità sia la qualità del
materiale drenato. Eventuali variazioni dovranno essere tempestivamente accertati e segnalati.
La medicazione del punto di inserzione del drenaggio:
Va effettuata con cadenza giornaliera o eventualmente anche con maggior frequenza nei casi in cui
si abbia una perdita di siero dai margini della ferita, tale da impregnare abbondantemente la
medicazione stessa.
Viene eliminata se presente, la medicazione precedente;
Si disinfetta con iodo povidone (Betadine) e batuffoli di garza (gnocchetti);
Nel caso in cui si desideri coprire il punto di inserzione del drenaggio ( perché prevedibile
una leggera secrezione locale ) medicazione dovrà essere rifatta.
Azioni diverse
Azione Fognante: quando si desidera veicolare al'esterno sostenze fisiologiche o patologiche
 Drenaggio Gastrico : si ottiene con il posizionamento di un piccolo tubo che, passando
attraverso il naso, la faringe e l'esofago arriva allo stomaco. Il SNG x svuotare lo stomaco
108




dai succhi gastrici. Utile x es. per l'ulcera peptica emorragica, va a limitare l'azione irritante
dell'acido cloridrico sulla lesione ulcerativa permettendo una rapida cicatrizzazione.
Impiegato anche nel post-operatorio x le quali si prevede una lunga fase di ileo paralitico.
Drenaggio Toracico: inseriti nella cavità pleurica attraverso uno spazio intercostale. Sono
utili dopo interventi chirurgici sul torace, traumi toracici, pneumotorace o emotorace. Il
drenaggio serve a svuotare la cavità da versamenti di liquido o gas che con la pressione
hanno determinato il collasso polmonare. Pneumotorace: raccolta di H2 e gas nello spazio
pleurico che provoca il collasso polmonare. Emotorace: accuymulo di sangue e liquido nella
cavità pleurica che si verifica di solito dopo un trauma o intervento chirurgico.
Drenaggio Endoaddominale:serve allo svuotamento della cavità peritoneale di: sostanze
previste nel decorso post-operatorio come sierosità,modesti sanguinamenti; sostenze residue
non asportate completamente durante l'intervento come sangue, bile, pus, frustoli necrotici;
sostenze secondarie a complicazioni infettive o emorragiche comparse nel post-operatorio.
Drenaggio dei Siti Infetti: come nel caso delle ferite purulente e degli ascessi.
Drenaggio Rettale: per favorire lo svuotamento del retto.
Azione Decompressiva : quando si vuole evitare l'accumulo di liquido e il loro ristagno che
comporta distenzione dell'organo. In qst senso sonomolto impegnati i drenaggi gastrici e rettali
dopo interventi sll'esofago, stomaco, duodeno, sul colon in quanto proteggono la tenuta dei punti di
sutura dalle sollecitazioni dovute alla dilatazine del viscere.
Azione Spia: quando è necessario monitorare liquidi che normalmente vengono prodotti dopo
intervento x notare eventuali variazioni della loro natura e quantità, segno precoce di complicazioni
spesso gravi.
A seconda del tipo di sostanza:

sangue: la presenza modesta è da considerare normale nell'immediato post-operatorio.Ma se
la comparsa è tardiva o eccessiva può essere segno di emorragia interna.

Pus: tardivo e eccessivo infezione non domata.

bile, urine, materiale fecale: grave significato di perforazione di organi delle vie biliari,
urinarie e digestive.
Anomalo è:

L'abbondante e rapida fuoriuscita di materiale ematico da qualsiasi drenaggio.

La comparsa di materiale enterico, biliare, fecale, urinoso, come pure di materiale purulento
da un drenaggio addominale.

La persistente o abbondante fuoriuscita d'aria da un drenaggio toracico.

La comparsa di sangue nel materiale drenato dalla via urinaria o da quella biliare.

La brusca riduzione di materiale urinario proveniente da un drenaggio della via urinaria
escretrice.
Materiale occorrente
Guanti sterili monouso;
Garze sterili;
Soluzione antisettica e tamponcini;
Forbici;
109
Reniforme;
Contenitore per soluzione sterile;
Pinze sterili;
Contenitore per rifiuti speciali.
Gestione
 È necessario mantenere una unidirezionalità del materiale drenato dall'interno verso l'ex;
 Controllo e trascrizione quantità/ qualità e tempo del materiale;
 Medicazione
 Gestione della funzionalità del sistema
 Misure di prevenzione delle infezioni
 Cambio dei contenitori di raccolta, ogni 24 h, o qnd sono pieni;
 Rimozione (levi i punti di sutura,clampi il catetere, sfili velocemente, pz trattiene il respiro)
 Controllare ogni ora nelle prime 12/24h post-operatorio
 Controllare il calore del materiale
 Esaminare il pz: parametri viatali, suoni respiratori, movementi del torace
 Mantenere sempre il drenaggio dritto e sotto il livello del torace
Procedura medicazione:
1. informare il pz- privacy
2. posizionare il pz in odo di esporre al meglio la ferita
3. lavare mani- guanti
4. togliere i cerotti delicatamente- rimuovere medicazione sporca se aderente alla ferita
bagnarla con fisiologica
5. osservare la ferita e valutare il suo stato
6. se richiesto eseguire un tampone colturale
7. prima di eseguire il tampone rimuovere le secrezioni con garza asciutta e sterile
8. aprire il campetto sterile e porgerli al secondo operatore
9) prendere una garza, bagnarla con soluzione fisiologica e passarlasulla ferita iniziando dalla sutura
e proseguendo verso l'esterno, senza mai tornare verso la sutura stessa.
10) prendere altra garza con antisettico e passarla dalla sutura verso l'esterno
11) durante qst procedura il chirurgo può accorciare, sostituire o levare il drenaggio
12) se il drenaggio è stato accorciato e/o ritratto , richiedere un punto di sutura dal chirurgo
13) tagliare a Y una o più garze e posizionarle intorno al drenaggio
14) fissare la medicazione con cerotto TNT
15) fissare il drenaggio con cerotto a cravatta (rinforza l'ancoraggio)
16)sistemare tutto
17) registrare su C:I.
-Se si stacca accidentalmente? Clamparlo subito, si chiude.
110
21.Drenaggio toracico: modalità, materiali, responsabilità e competenze.
Il drenaggio toracico è un dispositivo atto a favorire la fuoriuscita di liquidi, secrezioni o gas dallo
spazio pleurico per permettere la riespansione polmonare. I drenaggi toracici sono inseriti nella
cavità pleurica attraverso uno spazio intercostale. Sono utilizzati dopo interventi chirurgici sul
torace, traumi toracici, pneumotorace o emotorace.
Di solito si usa in un:

Pneumotorace: raccolta di aria o gas che provoca il collasso del polmone (2° o 3° spazio
nella linea emiclaveale).

Emotorace: accumulo di sangue dopo trauma o intervento chirurgico (6° e 8° spazio).
Spazi di inserimento e prima incisione:
 Per gas: 3°-5° spazion intercostale, linea ascellare media posteriore.
 Per i liquidi: 5°-6° spazio intercostale, linea ascellare
L’Unità di Drenaggio Toracica (UDT) è costituita: da un catetere di drenaggio toracico unito
mediante un raccordo a un tubo collettore collegato ad un sistema di evacuazione, dotato di un
meccanismo anti-reflusso e connesso il più delle volte ad una fonte di vuoto.
Dalla qualità del drenaggio toracico dipende in larga misura la riespansione polmonare.
La portata attraverso il sistema di drenaggio deve essere dunque sufficiente per permettere
permanentemente l’evacuazione completa dell’aria e dei liquidi (sangue, linfa, pus, essudato,
trasudato) riversate nella cavità pleurica.
Caratteristiche dei cateteri di drenaggio toracico
Devono essere sufficientemente morbidi per non ledere i tessuti vicini e sufficientemente rigidi per
non piegarsi a gomito, in particolare all’uscita dal torace.
Sono in PVC o in silicone (questi sarebbero meglio tollerati e meno adatti a coagulare),
generalmente trasparenti e multiperforati. I cateteri di drenaggio comportano che due orifizi
terminali, possono essere mobilitati in postoperatorio. Dovranno obbligatoriamente essere muniti di
un bordino radiopaco. Esiste un largo ventaglio di misure, i più usati in particolare in traumatologia
sono i cateteri da 16 French a 36 french. Infine esistono drenaggi toracici a doppia corrente,
permettendo un’irrigazione locale (antibiotici, fibrinolitici).
Materiale di raccordo
I tubi di raccordo devono essere trasparenti e con un calibro adatto a drenare i liquidi densi; Il tubo
collettore raggiunge dal catetere di drenaggio le differenti unità di drenaggio; deve essere rigido al
punto di non piegarsi a gomito e sufficientemente morbido per poter essere tirato. Il raccordo (tra
catetere di drenaggio e tubo collettore) è zigrinato per assicurare il suo mantenimento in situ.
Sistemi di drenaggio toracico
La cavità pleurica presenta normalmente una pressione negativa per permettere l’espansione
polmonare; pertanto, qualsiasi drenaggio in questa cavità deve essere chiuso in modo che non
possano entrare nè aria nè liquidi (unidirezionale, a valvola).
111
L’UDT deve, non solo essere efficace, ma ugualmente irreversibile, cioè deve impedire qualsiasi
entrata intempestiva dell’aria o di liquido nella pleura. Il funzionamento deve essere in un solo
senso, cioè a valvola; un drenaggio aperto, durante ogni ispirazione lascerebbe penetrare dell’aria
nel torace con conseguente pneumotorace (pnx). Numerose UDT sono disponibili, la più semplice e
usata è quella detta “a boccale” o sistema di Bùleau, che può avere tre varianti:
SISTEMA DI BULAU:
• UDT ad un boccale/bottiglia
Il tubo di drenaggio toracico è unito ad un boccale sterile contenente liquido sterile di cui il tappo
porta due tubature rigide. La prima, corta, assicura la comunicazione con l’atmosfera; l’altra, lunga,
raccordata al malato, è immersa per 2 cm nel liquido in fondo al boccale. Questo boccale unico è
chiamato camera di sigillo sotto acqua.
Funzionamento: all’espirazione quando la pressione della pleura è positiva, la pressione del tubo
immerso diventa positiva e se la pressione all’interno di questo tubo è superiore all’altezza
dell’immersione del tubo, l’aria o i liquidi penetrano nella bottiglia. All’inspirazione, quando la
pressione della pleura è negativa, il liquido risale nel tubo immerso senza che possa avervi il
minimo rientro di aria nella pleura. All’inspirazione, l’altezza della salita del liquido nel tubo indica
la depressione inspiratoria endotoracica del momento, questa UDT può essere collegata a una
aspirazione dolce, regolare tra i 20 e 40 cm d’acqua.
Il sitema funziona grazie alla forza di gravità e alla pressione spiratoria positiva.
• UDT a due boccali
Il sistema a due boccali ha anch’esso una camera a guardia idraulica, in più ha una bottiglia di
raccolta del liquido; simile al precedente, ma quando il liquido pleurico drena, il sistema subacqueo
di tenuta non è influenzato dal volume drenato.
Il drenaggio effettivo dipende dalla gravità o dall’aspirazione aggiunta al sistema; in quest’ultimo
caso l’aspirazione viene collegata al cannello di sfiato della bottiglia a tenuta subacquea, la quantità
di aspirazione applicata al sistema è regolata dal misuratore a parete.
• UDT a tre boccali
Il sistema a tre bottiglie è del tutto simile a quello due, con l’aggiunta di una terza bottiglia per
controllare la quantità di aspirazione applicata; quest’ultima è determinata dalla profondità di
immersione dell’estremità dello sfiato di vetro (es. un’immersione di 10 cm, equivarrà a 10cm di
aspirazione idrica applicata al paziente). Nel sistema a tre bottiglie come in quello a due, il
drenaggio dipende dalla gravità e dalla quantità di aspirazione applicata; in questo sistema la
quantità di aspirazione è controllata dalla bottiglia del manometro. Il motore dell’aspirazione
meccanica o a parete crea e mantiene una pressione negativa in tutto il sistema di drenaggio chiuso.
La terza bottiglia regola la quantità di vuoto nel sistema ; ciò dipende dall’immersione del tubo,
usualmente è di 20 cm. Quando all’interno il vuoto diventa maggiore della profondità di
immersione del tubo, vi è un risucchio di aria esterna entro il sistema; ciò produce un costante
gorgogliamento nella bottiglia del manometro (o regolatore di pressione) e indica che il sistema sta
funzionando regolarmente. Questo sistema a tre bottiglie è un montaggio “teorico” perché è
ingombrante, non maneggevole, difficile da gestire; i sistemi attualmente in commercio sono più
112
sicuri in quanto sono autonomi, infrangibili e monouso, inoltre non hanno collegamenti (tranne il
tubo toracico) che possono allentarsi. Con tali sistemi l’assistenza infermieristica diventa più facile
con una risultante di maggiore qualità e per il paziente il recupero della mobilità è più rapido e più
semplice, nonostante i vantaggi, il costo limita ancora la loro diffusione.
Sistema a gravità: l’aria e i liquidi si muovono da un’area di maggior pressione a una di pressione
minore. La pressione nella pleura è maggiore del sistema di drenaggio, per questo motivo i liquidi e
l’aria vengono spinti nel contenitore di raccolta.
Sistema in aspirazione: aggiungendo l’aspirazione, la pressione fra spazio pleurico e drenaggio
aumenta. La pressione di aspirazione è data dalla profondità di immersione del tubo nell’acqua.
Questo sistema mantiene una pressione negativa costante e non consente l’entrata di aria nel sistema
chiuso.
Gestione del drenaggio toracico
Gli obiettivi che l’infermiere deve raggiungere nella gestione di una UDT sono:
Il mantenimento della sterilità;
Il mantenimento della pervietà;
La quantificazione del liquido drenato.
Il mantenimento della sterilità necessita l’uso di materiale sterile monouso (guanti, telini, siringhe
ecc.) ogni volta che si procede alla manipolazione della UDT.
La pulizia attorno al punto di inserzione del catetere va fatta utilizzando etere per rimuovere
eventuale collante, e una garza imbevuta di soluzione disinfettante a base di iodopovidone al 10%
iniziando dal punto più vicino al catetere ed allontanandosi all’esterno con movimenti circolari (3-5
volte); disinfettare la parte prossimale del catetere. Al termine della procedura il catetere nel punto
di uscita dal torace va protetto con una pomata a base di iodio e il posizionamento di garza sterile
tagliata su un lato; coprire con cerotto TNT, ancorando il drenaggio alla cute senza angolature.
Se il tubo accidentalmente si stacca, tagliare le estremità contaminate sia del catetere toracico sia
del tubo di aggancio, inserire un connettore sterile in entrambi i tubi e ricollegare al sistema di
drenaggio.
Il mantenimento della pervietà viene garantito da un costante controllo della UDT in quanto i tubi
collegati al drenaggio possono rimanere occlusi da coauguli. Questo controllo deve essere fatto tutte
le ore per le prime 48 ore, cioè fino a quando non è sicura l’emostasi endotoracica.
Sistemato il tubo toracico, bisogna assicurarsi regolarmente del suo buon funzionamento:
staccare l’eventuale aspirazione applicata e lasciare il tubo di drenaggio a caduta con l’estremità
immersa per 2 cm nel liquido in fondo al boccale; controllare le oscillazioni nella colonna d’acqua
nella camera sotto acqua, durante i movimenti respiratori.
Queste oscillazioni permettono di misurare le variazioni di pressione intrapleurale; testimoniano la
buona permeabilità del tubo di drenaggio e del buon funzionamento della UDT.
Tuttavia c’è da rilevare che queste oscillazioni possono essere completamente nascoste quando il
tubo collettore si è riempito di sangue, in particolare nel sistema a un boccale. In questo caso, è
necessario pinzare il tubo toracico svuotare bene il tubo collettore prima di ricercare le oscillazioni
113
della colonna d’acqua. Smuovere delicatamente il tubo in direzione della camera di drenaggio ogni
2 ore o quando necessario; ciò elimina il pericolo che esso si intasi per via di coaguli e fibrina.
Assicurarsi che vi sia fluttuazione (effetto marea) del livello del liquido nella camera a guardia
idraulica, ciò indica un’effettiva comunicazione tra la cavità pleurica e boccale; è un valido indizio
della pervietà del drenaggio, è un misuratore della pressione intrapleurica.
Le fluttuazioni nel tubo si interrompono quando:
il polmone si è riespanso;
il tubo si è ostruito da coaguli, fibrina, oppure si è attorcigliato;
si crea un’ansa indipendente;
 l’aspirazione esterna non funziona correttamente.
La quantità di liquido drenato è monitorata calcolando esattamente la differenza tra la quantità
totale di liquido drenata e la quantità di liquido introdotta nell’UDT ad un boccale; a tal fine per non
commettere errori è utile la monitorizzazione del drenaggio giornalmente preferibilmente allo stesso
orario.
All’esterno del dispositivo di drenaggio segnare con adesivo il livello di partenza del liquido;
segnare ogni ora gli incrementi del livello del drenaggio (informare il chirurgo se il liquido di
drenaggio è di 150 ml/h o più). Nell’immediato post-operatorio comparirà, nella bottiglia, un
drenaggio grossolanamente ematico, che gradualmente diventerà sieroso; di solito il drenaggio
diminuisce progressivamente nel corso delle prime 24 ore.
Nelle prime 24-48 ore viene prescritto un controllo radiografico del torace 1-2 volte al giorno, il
drenaggio è efficace quando la radiografia del torace è soddisfacente con un tubo di drenaggio
permeabile e correttamente posizionato in sede intrapleurica, con progressiva diminuzione del
versamento. L’importanza della quantificazione del liquido drenato è evidente sia per stabilire se il
paziente necessita della reintegrazione di liquidi (infusione, sangue, albumina ecc.) sia per valutare
l’efficacia del drenaggio stesso. La quantità di liquido drenato è inoltre uno dei parametri utilizzati
per stabilire se il drenaggio può essere rimosso; un drenaggio correttamente posizionato, che non
drena da almeno due giorni in paziente obiettivamente migliorato, può ragionevolmente essere
rimosso. Per queste ragioni, la quantità di liquido drenato calcolata esattamente va riportata
giornalmente sulla diaria della cartella clinica.
Procedure infermieristiche
-Riempire la camera a guardia idraulica con acqua sterile fino a un livello equivalente a 2 cm H2O,
per garantire la tenuta del vuoto.
-Se viene utilizzata l’aspirazione, riempire la sua camera di controllo con acqua sterile fino al livello
di 20 cm, per determinare il grado di aspirazione applicata.
-Collegare il catetere uscente dallo spazio pleurico, al tubo proveniente dalla camera di raccolta del
sistema a guardia idraulica; fissare con cura.
-Se viene utilizzata l’aspirazione, collegare il tubo della sua camera di controllo al dispositivo
aspirante; accendere il dispositivo e aumentare la pressione fino alla comparsa di un lento ma
costante gorgogliamento nella camera di controllo dell’aspirazione.
-Assicurarsi che il tubo non sia attorcigliato (provocherebbe contropressione) e che non ostacoli i
movimenti del paziente.
114
-Incoraggiare il paziente ad assumere una posizione confortevole e a mantenere un buon
allineamento del corpo; quando egli è coricato sul fianco, assicurarsi che i tubi non siano compressi
dal peso del suo corpo. Sollecitare il paziente a cambiare spesso posizione, per favorire la
respirazione e migliorare gli scambi d’aria, se necessario somministrare un farmaco analgesico.
-Al braccio e alla spalla del lato leso far eseguire, più volte al giorno, gli esercizi di movimento
completo, ciò contribuisce a prevenire l’anchilosi della spalla e a ridurre il malessere e il dolore
postoperatorio.
-Tenere il paziente sotto controllo per rilevare eventuali perdite d’aria nell’UDT, indicate da un
costante gorgogliamento nella camera a guardia idraulica; nel sostituire il boccale di drenaggio
clampare il tubo collettore con due pinze Klemmer posizionate una in senso contrario all’altra.
-Notare e segnalare immediatamente segni di respirazione rapida e superficiale, cianosi,
oppressione toracica, enfisema sottocutaneo, sintomi di emorragia, significativi cambiamenti nel
colorito e nei parametri vitali.
-Incoraggiare il paziente a respirare profondamente e a tossire ad intervalli frequenti, ciò
contribuisce ad elevare la pressione intrapleurica in modo che il polmone si espanda e non si
verifichino atelettasie. Se opportuno richiedere la prescrizione di una pompa PCA (Patient
Controlled Analgesia); istruire il paziente all’uso della spirometria incentiva.
-Istruire il paziente a tenere il drenaggio collocato sempre più basso rispetto al torace, per impedire
il reflusso di liquido ed aria entro lo spazio pleurico; fissare al letto con una spille di sicurezza il
tubo collettore, lasciando al malato, una certa possibilità di movimento.
Rimozione del drenaggio
La rimozione del drenaggio avviene dopo che il polmone si è riespanso (dopo un periodo che varia
da 24 ore a parecchi giorni), deve essere eseguita con molta cautela, evitando la penetrazione di aria
nel cavo pleurico, sia attraverso il drenaggio sia attraverso la breccia toracica, il drenaggio viene
rimosso quando:
non è più funzionale (niente oscillazioni);
quando non c’è più indicazione (pus di breccia pleurico-parenchimale);
 versamento liquido minimo;
polmone a parete.
Nell’aiutare il chirurgo a rimuovere il catetere l’infermiere deve stringere il catetere e rimuoverlo
rapidamente; durante questa azione, il paziente deve inspirare profondamente e trattenere il respiro
(farlo esercitare in precedenza). Chiudere subito il foro con una piccola medicazione sterile e
simultaneamente renderla ermetica con una garza impregnata di petrolato, coprire e fissare con
cura.
115
22.BLS; BLSD; emergenze ospedaliere.
Emergenze mediche di varia natura si verificano spesso in pazienti ricoverati in ospedale, in
pazienti ambulatoriali e le più gravi tra queste sono l’ arresto cardiaco e l’arresto cardiopolmonare.
In tali casi è necessario che l’infermiere mantenga la lucidità per attivare tempestivamente tutte le
procedure da seguire.
Per BLS si intende BASIC LIFE SUPPORT quindi supporto delle funzioni vitali e consiste nelle
procedure di rianimazione cardiopolmonari necessaria per soccorrere un paziente che:
Ha perso conoscenza;
Ha un’ostruzione delle vie aeree;
Ha un arresto cardiaco;
L’obiettivo del BLS è quello di prevenzione ad eventuali danni cerebrali (che possono verificarsi
all’incirca dopo 3-6 minuti dall’assenza del circolo) che possono essere causati da una diminuzione
di apporto di sangue in conseguenza ad una diminuzione delle circolazione sanguigna ( x
ostruzione) o ad arresto cardiocircolatorio.
Quando una parte del muscolo cardiaco non riceve un adeguato apporto di O2 , avviene una
condizione clinica chiamata attacco cardiaco che può portare in alcuni casi ad infarto cardiaco e
quindi a morte di un certo numero di cellule cardiache, in tal caso sarà necessario attivare le
tecniche di BLS.
I sintomi in tal caso sono:
Dolore;
Senso di oppressione al centro del torace;
Sudorazione;
Nausea;
Tali sintomi possono insorgere improvvisamente.
Importante è applicare in modo tempestivo e rapido la catena della sopravvivenza:
accesso precoce al sistema di emergenza;
inizio precoce di BLS;
defibrillazione precoce;
inizio precoce del trattamento intensivo;
Sequenze procedure BLS:
A-B-C
OGNI PROCEDURA è PRECEDUTA DA UNA VALUTAZIONE!!!!
A) Controllare lo stato di coscienza- controllare le vie aeree- chiamre aiuto
Valutazione dello stato di coscienza

Chiamare a voce alta il paziente scuotendolo delicatamente.

Se non è cosciente posizionarlo su un piano rigido allineando capo e arti.

Chiamare il 118 e dire chiaramente ciò che abbiamo di fronte a noi.
Apertura delle vie aeree

Iperestendi il capo

solleva il mento

se sospetti un trauma del rachide cervicale: solleva la mandibola
116
Potremmo trovarci di fronte ad ostruzione delle vie aeree come conseguenza a:
aspirazione di alimenti, tappo di muco, corpi estranei (frammenti di denti);
perdita di coscienza o crisi epilettica che causano la caduta all’indietro della lingua;
trauma grave al naso, alla bocca, al collo che può produrre coaguli;
edema acuto della trachea dovuto all’inalazione di fumo, ustione del viso e del collo. In
questi casi è indicata una tracheotomia.
Per liberare le vie aeree ostruite da un corpo estraneo utilizzare la MANOVRA DI HEMLICH, su
persona cosciente:
posizionarsi dietro il paziente e avvolgerlo con la braccia alla vita;
chiudere una mano a pugno, posizionare appena sopra l’ombelico e sotto il processo
xifoideo del paziente;
con l’altra mano afferrare il pugno e spingerlo nell’addome del paziente verso l’alto
eseguendo una compressione veloce e forte;
se il paziente diventa incosciente,posizionarlo delicatamente a terra;
B-Controllare il respiro
Valutazione del respiro: valuta per 10 sec. Prima di confermare l'essenza del respiro
GAS:
Guarda l'espanzione del torece
Ascolta i rumori respiratori dalla bocca e dal naso
Senti il flusso respiratorio
Se respira :

mettere la persona in posizione di sicurezza

telefona ai soccorsi

rivaluta la vittima ad intervalli.
Se non respira:
Ventilazione di soccorso (bocca a bocca)

se presenti rimuovere corpi estranei dal cavo orale con le dita

chiudi il naso della vittima

mantieni il capo iperesteso

effettua una profonda inspirazione

grantisci una buona tenuta bocca-bocca

espira lentamente x 2 sec nella bocca della vittima

osserva il sollevamento del torace

mantieni il capo iperesteso e allontanati dalla bocca

ossserva l'abbassamento del torace

fare 5 insufflazioni
C- Controllare il polso
Valutazione del circolo
117

Guarda, ascolta, e senti la presenza di attività respiratoria, tosse o eventuali movimenti della
vittima

controlla il polso carotideo

impiega non più di 10 secondarie
Se il circolo non è presente:

inizia le compressioni toraciche

prosegui con le ventilazioni di soccorso
Compressioni addominale di un paziente incosciente:
individua il margine costale;
ricercare il punto posizionando le mani sullo sterno, ricercare il processo xifoideo;
due dita più sotto poggiare la mano destra e successivamente la sinistra parallelamente;
2 dita sopra inserzione 2 arcate corsali
identifica la posizione della mano sullo sterno
30 compressioni ogni 2 ventilazioni
comprimere per 4-5 cm;
continuare finchè non arrivano i soccorsi
Pocedura per BLSD
Infine se necessario verrà installato un defibrillatore:
applicare gli elettrodi su cute asciutta;
posizione: una pistra sotto la clavicola dx sul lato dx dello sterno; l'altra al V spazio
intercostale sx sulla linea ascellare anteriore
prima di praticare lo shock elettrico chiamare a voce alta LIBERO e assicurarsi che
nessuno sia a contatto con il paziente;
premere il pulsante di shock;
controllare se il polso carotideo è presente;
in caso affermativo eseguire la respirazione artificiale se non affermativo eseguire cpr per
un minuto e poi rivalutare il polso;
poi effettuare nuovamente la defibrillazione affinché la macchina non indica shock elettrico
sconsigliato.
Ritmi per defibbrillare:
I ritmi dell’arresto
A. Defibrillabili
1. Fibrillazione Ventricolare (FV)
2. Tachicardia Ventricolare (TV) senza
polso
B. NON Defibrillabili
3) Asistolia
4) Attività Elettrica Senza Polso ( PEA )
Defibrillatore automatico
118




applica elettrodi autoadesivi
segui le istruzioni verbali e/o scritte del monitoraggioallontanarsi all'analisi del ritmo
carica autonomamnente se il ritmo è defibrillabile
verifica sicurezza
Efficacia della defibrillazione:
il successo dipende dalla quantità di energia che attraversa il miocardio.
Tlale quantità è influenzata dalla impedenza transtoracica e dalla posizione delle piastre.
Infatti solo il 4% della corrente erogata raggiunge il cuore.
La quantità di corrente che arriva al cuore dipende da:
 posizione degli elettrodi
 impedenza transtoracica
 energia somministrata
 conformazione toracica (resistenza del torace)
Impedenza transtoracica dipende da:
 dimensioni della piastra-13 cm
 presenza del GEL
 pressione esercitata sulle piatre-10kg
 numero degli shock in sequenza-3
 fase della respirazione
 distanza tra le due piastre
Da cosa è composto un defibrillatore:
 Sorgente di Energia: in grado di erogare una corrente continuare
 Un Condensatore: che può essere caricato ad un livello di energia prestabilita
 Due Piastre: che devono essere applicatee sul torace del paziente prima dello shock
Defribrillatore manuale- richiedere

il riconoscimento del ritmo da parte dell'operatore

l'operatore carica la macchina e decide di erogare lo shock

confermare arresto cardiaco,verificare il polso

confermare la presenza di FV e TV sul monitoraggioapplicare il gel sul torace

selezionare il livello d'energia corretto

caricare le piastre

veroficare sicurezza

verificare sul monitor FV-TV

erogare lo shock (200 J)

mantenere le piastre sul torace
Sicurezza

non tenere mai le piastre con una sola mano

caricare solo quando le pioastre sono sul torace

evitare contatti diretti o indiretti
119


rimuovere i residui di acqua dal torace del paziente
allontanare alti flussi di ossigeno dalla zona defibrillabile
Competenze: il defibrilatore lo può usare solo il personale appositamente preparato.
ALS: Advanced Life Support
A-Airway - Vie aeree e protezione della colonna cervicale
B-Breathing - Respiro-Ventilazione
C-Circulation - Circolazione sanguigna
D-Disability - Stato Neurologico
E-Exposure and Environment - Esposizione e controllo dell'Ambiente
120
23.Tracheotomia: responsabilità, competenze e delega. Educazione del paziente e dei
care givers.
Def: La tracheotomia è un intervento che permette di mettere in comunicazione diretta il lume
tracheale con l’ambente esterno.La tracheotomia che crea una quindi una tracheostomia.La
tracheostomia per il pz che necessitano di via aerea artificiale per un lungo periodo di tempo è
indispensabile eseguire una incisione chirurgica, detta tracheostomia, nella trachea appena sotto la
laringe.Una cannula viene inserita nella trachea attraverso lo stoma.
Le indicazioni a questo intervento sono:
patologia ostruttiva delle vie respiratorie ( neoplasie,edemi, paralisi, corpi estranei);
aiuto alle gravi insufficienze respiratorie.
È una tecnica che spesso viene eseguita in urgenza e molto spesso si tramuta in tracheotomia per
terapia di supporto a lungo termine.
Il tubo tracheostomico è costituito da :
cannula esterna inserita nella trachea con una flangia che appoggia sul collo e permette la
fissazione tramite nastrini;
Tipi ci cannule:
Senza cuffia: permette all'H2 di fluire intorno al tubo, x posizione permanente e per i bambini;
Con cuffia: la cuffia determina una chiusura tra cannula e trachea che perviene l'aspirazione di
secrezione nei polmoni.Essenziale se si utilizza un ventilatore meccanico.
Frenestrata: presenza di fori sulla cannula esterna. È formata da una cannula interna usata x la
ventilazione meccanica.Il pz con la cannula interna levata, la cuffia sgonfiata e l'apertura ex della
cannula chiusa può respirare e parlare.
Aspirazione delle vie aeree superiori
Uno dei compiti infermieristici su un pz tracheostomizzato è l'aspirazione.
Segni più comuni per aspirare:

dispnea

cianosi cutanea

scesa della SaO2

rumori respiratori di gorgoglio

mancanza di riflesso della tosse con presenza di espettorato

agitazione
Componenti per aspirare:

camera di raccolta munita di manometro, collegata a parete

tubo di aspirazione

catetere per aspirare, a punta di flauto o punta aperta ( migliore per il muco più denso)

guanti sterili

fisiologia per pulire il tubo

contenitore per rifiuti
Tecnica
È una tecnica asettica.
121








Informare il pz, privacy, lavare mani;
Preparare il pz: posizionare il pz semi-seduto se cosciente o non cosciente con il riflesso di
soffocamento, il pz non cosciente senza riflesso di soffocamento si posiziona in decubito
laterale con la testa verso l'infermiere;
Preparare il materiale
Indossare i guanti sterili e collegare l'unità di aspirazione
Effettuare l'aspirazione: inserire il catetere senza accendere, accendere quando c'è il riflesso
poiché si arriva alla biforcazione della trachea, c'è il riflesso, applicare il dito sul foro per
aspirare (5-10 sec) ruotando il catetere;
Pulire il catetere e ripetere l'aspirazione
Sistemare il materiale
Documentare in C.I.
Medicazione tracheotomia
La medicazione e i nastri di fissazione devono essere sostituiti ogni volta che si sporcano,
provocano escoriazioni della pelle, lesioni o infezioni.
I detergenti ed i disinfettanti usati a questo scopo sono solitamente:
Clorexidina alcoolica;
Iodopovidone
Se il paziente e’ in grado di collaborare, spiegare la procedura;
Predisporre il materiale:
materiale sterile di aspirazione;
acqua ossigenata e soluzione fisiologica sterile;
guanti sterili e non sterili;
busta per rifiuti;
garze sterili 10x10;
forbici pulite;
Spiegare al paziente cosa si strafacendo, perché e come può collaborare;
Lavarsi le mani;
Provvedere alla riservatezza del paziente;
Provvedere all’aspirazione se necessario e poi sostituire la medicazione:
far assumere al paziente una posizione seduta o semiseduta;
aprire il materiale in un campetto sterile, compreso quello per il rinnovo della medicazione;
indossare un guato pulito sulla mano non dominante e un guanto sterile sulla mano
dominante se la tecnica viene effettuata ad un operatore;
aspirare la cannula per la sua intera lunghezza per rimuovere le secrezioni e assicurare la
pervietà delle vie aeree;
posizionare la cannula interna nella soluzione con acqua ossigenata e se necessario
spazzolare con uno spazzolino sterile idoneo o anche con garze per eliminare eventuali
residui di muco;
sostituire la medicazione sporca e sfilare il guanto in modo da portare la medicazione al
suo interno;
122
cercare di mantenere la mano dominante sterile o ricambiare i guanti;
detergere la zona di incisione mediante l’uso di un tampone sterile imbevuto con SF;
sciacquare la cannula interna con soluzione fisiologica sterile e asciugarla accuratamente
per evitare che goccioline rimanenti vengano inalate accidentalmente;
inserire la cannula interna nell’apposito spazio, afferrandola per la flangia e seguendo la
curvatura
sistemare la cannula int. In posizione attivando il sistema di bloccaggio tra qll interna e qll
ex;
aprire le garze e posizionarle a forma di V evitando di tagliarle e posizionarla sotto la
flangia;
per sostituire le fascette richiedere l’aiuto di un secondo operatore, per la probabilità che il
paziente possa accidentalmente rimuovere la cannula anche con un semplice colpo di tosse.
documentare il tutto sulla CI.
Delega: E’ una tecnica che NON PUO’ essere delegata al personale di supporto.
In tale situazione le diagnosi infermieristiche che possono emergere sono:
ANSIA correlata a mancanza di conoscenza relativa alla tracheotomia.
Obiettivi: il paziente sarà consapevole dello scopo della tracheotomia;
Interventi: dare spiegazioni relative alla tracheotomia, eventualmente fornire materiale informativo,
istruire su eventuali strumenti di comunicazione alternativi.
RISCHIO DI COMPLICANZE. (ipossia, ostruzione per aumento di secrezioni)
Obiettivi: l’infermiere gestirà e ridurrà al minimo le complicanze della tracheotomia.
Interventi: monitorare per rilevare eventuali alterazioni del respiro; incoraggiare il paziente, ad
effettuare respiri profondi e di tossire con regolarità , controllare e pulire correttamente il tubo
interno.
RISCHIO DI INFEZIONI.
Obiettivo: evitare l’instaurarsi di infezioni.
Interventi: mantenere tecniche sterili, esaminare i bordi della stomia, cambiare la medicazione
periodicamente, in relazione a prescrizione medica;
COMPROMISSIONE DELLA VOCE E COMUNICAZIONE.
RISCHIO DI NUTRIZIONE ALTERATA.
Educazione sanitaria
L'educazione sanitaria dei familiari e dei pazienti tracheostomizzati deve tener conto di molteplici
aspetti, per questo vengono coinvolte più figure professionali: infermieri, medici,fisioterapisti,
dietologi, logopedisti e assistenti sociali.
Prima della dimissione, un paziente con tracheostomia va informato sui seguenti aspetti:
cura della stomia e della cannula;
tecnica di aspirazione;
alterazioni fisiologiche collegate alla tracheostomia;
segni e sintomi da riportare al medico;
123
segni che richiedono attenzione immediata;
apparecchiature per l’aspirazione e presidi utili per migliorare la comunicazione.
E’ importante spiegare ai pazienti come proteggere la cannula durante l’igiene personale per evitare
che sapone e acqua entrino nella cannula e nello stoma. Bisogna porre particolare attenzione
durante la doccia a non indirizzare il getto verso la stomia.
In generale si deve proteggere la cannula durante le manovre che vengono condotte in prossimità
del collo e del viso, quando si utilizzano prodotti spray (per esempio lacche per capelli), prodotti
contenenti polvere, profumi, schiuma da barba.
Si consiglia di indossare indumenti che non ostacolino o blocchino il passaggio d’aria attraverso la
stomia, per esempio sono sconsigliati i maglioni a girocollo e a collo alto, come anche gli indumenti
con peli o che perdono fili.
I soggetti con tracheostomia devono prevenire situazioni che possono favorire l’insorgere di
malattie, evitando ambienti chiusi e affollati o il contatto con persone raffreddate. Inoltre bisogna
evitare di toccare la tracheostomia senza aver lavato le mani e occorre seguire una dieta adeguata
che garantisca una buona reidratazione. Se il paziente vomita, bisogna consigliare di coprire la
cannula.
L’aria inspirata non passa attraverso la bocca e il naso, per questo motivo non è filtrata, umidificata
né riscaldata. Si consiglia quindi ai pazienti di tenere coperta la stomia con un foulard di seta o
cotone. Proteggere la cannula da pulviscolo, ceneri, polveri, tramite fazzoletti o garze. Nelle
giornate fredde e nebbiose, l’aria inspirata può irritare trachea e polmoni.
La tracheostomia può causare importanti conseguenze psicologiche. Può essere utile consigliare ai
pazienti e alle famiglie di contattare le associazioni di pazienti tracheostomizzati che possono
fornire aiuto e indicazioni anche alle famiglie per affrontare i problemi legati a tale condizione.
124
24.Colonstomia e Ileostomia: materiali, metodologie, responsabilità, competenze e
delega. Educazione del paziente e dei care givers.
Il termine “stomia” indica l'abboccamento chirurgico da un tratto di intestino o delle vie urinarie
alla cute consentendo la fuoriuscita all'esterno di materiale organico (feci e urine)Il termine deriva
dal greco ed indica “apertura” o “bocca”.
Definizione di Ileostomia
Si intende la creazione di un’anastomosi chirurgica tra parete addominale e ileo.
La consistenza delle feci è liquida e gli odori sono pochi in quanto la presenza di batteri è minima
Definizione di Colostomia
Si intende l’apertura chirurgica praticata sulla superficie addominale a un segmento del colon. Si
realizza come conseguenza di tumori, malattie infiammatorie o per altre condizioni patologiche
(perforazione di diverticolo con peritonite)
La consistenza delle feci è più o meno solida a seconda dello abboccamento, così come gli odori.
125
126
Tipi di stomie:
ileostomie: produce feci liquide e continue, che non possono essere controllate. Gli odori
sono pochi in quanto la presenza di batteri è minima;
colostomia ascendente: simile all’ileo; l’odore è un fattore controllabile con un deodorante;
colostomia trasversa: produce cattivo odore e il materiale drenato è viscoso in quanto parte
del liquido è riassorbito;
colostomia discendente: fuoriescono feci solide. Le feci sono normali e consistenti.
Terminale: il viscere viene direttamente abbocato all'ex interrompendo qls continuità con
la porzione del viscere a valle;
laterale o a canna di fucile: sia il moncone afferente che l'efferente vengono abbocati alla
cute mentre le pareti posteriori delle anse interessate vengono fissate insieme per mantenere
le due anse parallele e fisse.
Durata:
 Temporanea: quando la stomia è solo di protezione ed il transito verrà ripristinato una volta
risolta laa causa che l'ha imposta,es. quando occorre proteggere anastomosi ileoanali o
ileorettali;
 Definitiva: quando il tratto a valle non è più riutilizzabile.
Scopo:
 Palliativo: ad es. nei tumori inoperabili
 Di Necessità: in alcuni tipi di intervento dove bisogna asportare la parte finale dell'intstino;
 Di Protezione: tiene “a riposo” il tratto di intestino a valle della stomia favorendo cosi i
processi di guarigione e di cicatrizzazione
La gestione delle stomie richiede personale qualificato e formato.
Presidi per la cura della stomia:
barriera per la cute: è una placca adesiva, composta da una sostanza sintetica, che protegge la cute
intorno alla stomia;
flangia;
sacca di raccolta, possono essere monouso ad 1 pezzo (sono a fondo chiuso per cui non devono
essere svuotate ed hanno una misura uguale alla stomia; riutilizzabili (hanno un apertura sul fondo
per permettere lo svuotamento).
- Processo nursing
Raccolta dati:

Tipo di stomia e posizione

Tipo e misura del presidio

Eventuali allergie
Valutare:

Colore dello stoma: normale è rosso
127

Misura e forma dello stoma: gli stoma sporgono un po' dall'addome.Dopo l'operazione c'è
l'edema, se dopo 6 settimane non se ne è andato potrebbe esserci un'oclusione

Sanguinamentidello stoma: una leggera emorragia iniziale è normale, di più no

Stato della cute peristomale: qls irritazione della cute intorno va segnalata

Disturbi:es. Sensazione di bruciore sotto la placca

Valutare lo stato emozianale e le conoscenze nel gestre la stomia
Nel sistema ad un pezzo sacca e barriera sono unite; a due pezzi si collegano mediante un anello ad
incastro.
Sostituzione dei presidi per stomie intestinali
Materiale:
guanti monouso;
padella;
materiale per l’igiene del corpo (acqua calda, e sapone neutro)
tamponi di garza;
barriera per la pelle
misuratore dello stoma;
penna e forbici;
materiale per pulizia della stomia;
morsetto di chiusura finale,
deodorante per i sacchetti;
sacche;
contenitore rifiuti.
Tecnica:
Informare il pz, consenso, lavare mani, privacy;
posizione supina o seduta;
eseguire tricotomia elettrica nella parte circostante nei pz con stomie consolidate;
 controllare il presidio come il volume in quanto il sacchetto deve essere cambiato quando
è pieno per un terzo o metà,controllare se sono presenti arrossamenti e se il paziente riferisce
dolore bruciore.
svuotare il contenuto della sacca dentro la padella attraverso il foro sul fondo, controllare la
consistenza, la quantità e la quantità del materiale fecale;
se il presidio è monouso buttarlo in una busta antitraspirante;
usare la carta igienica per rimuovere le feci in eccesso, usare sapone neutro acqua calda;
ispezionare la cute peristomale;
applicare la protezione per la pelle, lasciare asciugare il composto per 1-2 minuti;
utilizzare il misuratore idoneo per determinare le misure dello stoma;
tagliare dove è segnalato in base alla grandezza della stomia;(non deve essere più grande se
no si irrita la cute venendo a contatto con le feci);
rimuovere lo strato posteriore adesivo;
centrare la placca sopra lo stoma e con delicatezza premere sulla cute;
agganciare la sacca di raccolta;
128
togliere l’aria nella sacca e mettere dentro un deodorante;
chiudere la sacca, assicure se c'è morsetto o rubinetto (soprattutto usate per ileostomia e
urinostomie);
sistemare pz e materiale.
Delega: LA CURA DELLA STOMIA NON Può ESSERE DELEGATA AL PERSONALE DI
SUPPORTO.
Gestione della urostomia:
Materiale:
sacchetto di raccolta a uno o due pezzi;
morsetto di chiusura;
guanti puliti;
materiale per l’igiene;
protezione per la pelle;
guida per misurazione dello stoma;
penna e forbici;
deodorante;
padella;
Tecnica:
far assumere al paziente una posizione comoda seduta o sdraiata;
svuotare e rimuovere il dispositivo per urostomia prendendo in considerazione che l’urina
fuoriesce continuamente rilevare la misura della placca prima di rimuoverla;
indossare i guanti;
svuotare il sacchetto nella padella tramite l’apertura inferiore;
rimuovere delicatamente il sacchetto mentre si tiene tesa la pelle per diminuire il fastidio e
per prevenire le abrasioni;
posizionare dei fazzolettini o delle garze sopra lo stoma;
pulire ed asciugare la cute peristomale usando acqua calda, sapone neutro e un asciugMno
per pulire lo stoma;
asciugare con un telino senza strofinare;
ispezionare lo stoma per colore misura, e forma;
misurare lo stoma e tagliare l’anello adesivo 5 cm più grande;
rimuovere la parte posteriore adesiva;
applicare la protezione per la cute;
applicare la placca sopra lo stoma e premere delicatamente;
eliminare l’aria nel sacchetto;
mettere il deodorante e chiudere con il morsetto.
129
LA SOSTITUZIONE DEL DISPOSITIVO PER UROSTOMIA NON Può ESSERE DELEGATA
AL PERSONALE DI SUPPORTO
L’educazione del paziente e dei care giver riguardo alle colon e uro stomie è prevalentemente
legata:
alla sostituzione del presidio;
alla diminuzione degli odori;
al riconoscimento e all’ispezione dello stoma per colore, forma e dimensione;
aiutare ad accettare il nuovo corpo;
Nel processo di nursing si deve saper rispondere ai bisogni di un portatore di stomia, bisogna
creare un piano assistenziale.
Quando si è portatori di una stomia bisogna considerarla come un nuovo organo che fa parte del
nostro corpo e come tale deve essere gestita e curata, senza traumi.
Quando la gestione è ottimale la stomia consente una vita sociale e di relazione del tutto normale e
spesso consente una riacquistare la salute.
- Bisogni e Obiettivi Riabilitativi
-Sul piano Emozionale:
 alterazione dello stato di salute sfera-psichica
 informazione iatrogenesi(eziologica)
 sicurezza cambiamento corporeo
 conoscenza modificazione di evacuazione
-Sul piano Fisico:
 accettazione della stomia
 gestione della stomia con tecniche corette
 corretto utilizzo di presidi
 capacità di riconoscere le complicanze
-Sul piano Sociale:
 reinserimento del pz alla vita familiare, sociale, lavorativa
 chiarezza ai propri diritti sul lavoro ed eventuali agevolazioni
 informazione sui presidi
Irrigazione di una colonstomia (in breve)
Con il lubrificante si allarga lo stoma con il dito migniolo,massaggiando, di seguito si introduce il
cono x stoma (beccuccio) o il catetere per il colon. Questi si collegano al tubo di conessione della
sacca x irrigazione.
Inserire il liquido (c'è il regolatore di flusso) poi o lasci il becciccio per 10 min o levi tutto e rimetti
la sacca e fai svuotare.
130
25.Biopsie: responsabilità, competenze.
Def: La Biopsia è un esame medico che consiste nel prelievo di una porzione o un frammento di
tessuto, chiamato FRUSTOLO, da un organismo vivente.
Sono esami invasivi caratterizzati dall’asportazione di una piccola parte di tessuto dell'organo
interessato, successivamente questo tessuto viene inviato al laboratorio istologico per l’esame
microscopico. Possono essere effettuate in corso di esami endoscopici oppure vengono fatte
attraverso la cute con l’inserzione di grossi aghi. Naturalmente sono esami cruenti e come tali
rappresentano un notevole fonte di stress per il paziente (preparazione psicologica).
Come nel caso delle punture esplorative l’infermiere ha la responsabilità della preparazione del
materiale occorrente e del paziente; collabora con il medico durante l’esecuzione di tale procedura
specialmente per quanto riguarda il posizionamento del paziente e la successiva medicazione del
punto d’inserzione dell’ago per la puntura esplorativa ed inoltre deve porre particolare attenzione
all’osservazione post-esame per cogliere tempestivamente i segni di possibili complicanze.
Scopo: Viene eseguita al fine di escludere o confermare un sospetto di malattia, può essere fatto in
tessuti duri (es. osso) o molli (es. mucosa).
È la diagnosi bioptica che guida il clinico e in particolare il chirurgo nella scelta della terapia a cui
sottoporre il pz. In molte malattie, soprattutto qll tumorali, la biopsia oltre a fornire la diagnosi, può
offrire informazioni sulla prognosi (sul prevedibile percorso della malattia).
131
L’atto del prelievo rappresenta una competenza esclusiva del medico e può essere eseguito anche in
maniera “estemporanea” nel corso di intervento chirurgico.
L’infermiere collabora prima, durante e dopo l’esecuzione.
Relativamente alle biopsie le attività infermieristiche sono legate a:
preparazione del malato;
preparazione dell’ambiente;
preparazione del materiale;
assistenza al malato nel corso dell’esecuzione;
assistenza al malato nell’immediato post-biopsia-medicazione;
conservazione e invio al laboratorio dei prelievi bioptici;
riordino, bonifica e ricondizionamento dei materiali e strumenti utilizzati.
Compiti specifici dell'infermiere
 Procurare lo strumentario e i materiali necessari;
 Informare e rassicurare il malato;
 Controllare che il consenso informato sia compilato e firmato;
 Preparare l’ambiente (stanza di degenza);
 Assicurare l’illuminazione adeguata;
 Rilevare i parametri vitali prima, durante e dopo e annotarli nella cartella clinica;
 Porre il paziente nella posizione più idonea e aiutarlo a mantenerla;
 Collaborare col medico nell’esecuzione;
 Preparare le richieste da inviare ai laboratori;
 Etichettare i campioni ed inviarli al servizio istologico (o altro su indicazione);
 Riordinare il materiale;
 Assicurare la pulizia, la disinfezione e la sterilizzazione laddove richiesto secondo precisi
protocolli e procedure operative;
 Controllare ad intervalli regolari per 24 ore il malato e segnalare tempestivamente qualsiasi
anomalia
Tipi di Biopsie
- Da Raschiamento (collo utero)
- Da Aspirazione mediante puntura ed aspirazione CON AGO, agobiopsia:
“Mallarmè” (midollare)
“Menghini” (epatica)
“Silvermann (renale)
“Yashimidi” (ossea)
- Durante Endoscopia: (tramite endoscopio attrezzato)
- Durante Intervento Chirurgico (invio campioni istologici per esami diagnostici in tempi lunghi)
- “Estemporanea” durante intervento chirurgico
(invio campioni in tempi brevissimi e risposta immediata per determinare la terapia chirurgica)
BIOPSIA POLMONARE
132
Def: È l’escissione di una piccola quantità di tessuto a scopo diagnostico. La biopsia dell’apparato
respiratorio può riguardare le pleure (attraverso la toracoscoscopia), il parenchima polmonare
(attraverso la broncoscopia oppure per via cutanea) oppure i linfonodi mediastinici (con una
mediastinoscopia: inserzione di un endoscopio inserito attraverso un’incisione soprasternale nello
spazio mediastinico).
La biopsia pleurica consiste nel prelievo di un frammento di pleura per mezzo di un broncoscopio
inserito nello spazio pleurico.
La biopsia polmonare può avvenire in diversi modi:
Spazzolamento bronchiale transcatetere con l’uso di un broncoscopio inserito in un bronco.
Attraverso il broncoscopio viene inserita una spazzolina che spostata avanti e indietro
raccoglie alcune cellule; queste cellule vengono poi mandate all’esame istologico. Questa
tecnica è utile in caso di necessità di valutazioni citologiche di lesioni polmonari e per
identificazione di organismi patogeni.
Prelievo bioptico transbronchiale con l’uso di un broncoscopio inserito in un bronco .
Attraverso il broncoscopio viene inserita una pinza da biopsia che viene manovrata dal
medico per prelevare una frammento di tessuto nel sito prescelto.
Agobiopsia percutanea viene eseguita inserendo una ago di grosso calibro e di lunghezza
variabile attraverso la cute nel sito scelto dal medico (RX torace, TC torace, etc) previa
disinfezione e anestetico. Il medico sotto floroscopio arriva nella sede di lesione ed aspira
con una siringa un frustolo di tessuto da esaminare.
Preparazione del materiale occorrente:
servitore con telino sterile come base;
capsula sterile con disinfettante;
disinfettante
anestetico;
siringhe ed aghi di vario calibro;
sistema di drenaggio con busta;
guanti sterili e garze sterili;
carrello con materiale per medicazione;
provette e buoni;
sfigmomanometro e fonendoscopio;
calice graduato e contenitori per rifiuti speciali e per aghi,
box taglienti e rifiuti
Procedura:
 Rassicurare il paziente prima e durante la procedura (preparare il paz alla sensazione di
freddo causata dall’anestetico locale e alla sensazione di pressione al momento della
puntura, incoraggiare il paziente a trattenersi dal tossire)
 esami ematici
 RX torace

controllo allergie
133
digiuno e sedativo(prescritto)
 preparare il materiale
 Scoprire il torace, porre il servitore ed il carrello vicino al malato
 assistere il medico nella pratica della biopsia

Una volta tolto l’ago deve essere eseguita una medicazione sterile
 Rx di controllo
 Consigliare al paziente di rimanere a letto per almeno due ore
 registrare l’avvenuta procedura (data e ora, quantità di liquido drenato, aspetto e colore)

Monitorare i parametri vitali e mantenere il paziente in osservazione per vertigini, tosse,
presenza di muco schiumoso e tinto di sangue e segni di ipossia.
Complicanze: Pneumotorace, infezioni
La biopsia dei linfonodi è indicata x accertare la diffusione di un patologia polmonare es .LH, TBC,
K, infezioni del sangue.

BIOPSIA EPATICA - (Ago di Menghini- Orlando)
Def: Viene eseguita mediante agoaspirazione di una piccola quantità di tessuto epatico (frustolo o
carota).
Scopi: Serve per valutare patologie diffuse del parenchima epatico e per la diagnosi di masse non
identificate, il grado di infiammazione del fegato, fibrosi del fegato, per discriminare tra epatite e
cirrosi epatica, permettendo di escludere la conferma di neoplasie nei noduli.
E’ un esame cruento e le possibili complicanze sono il sanguinamento e la peritonite.
Prima della procedura
Accertarsi che i parametri della coagulazione (TAP,PTT e piastrine) siano stati richiesti–
completati e registrati e che sia disponibile sangue di donatore compatibile;
Verificare che in cartella ci sia il consenso informato;
Rilevare i parametri vitali;
Descrivere in anticipo al paziente: fasi dell’intervento; probabili sensazioni; probabili
effetti collaterali; limitazioni di attività e procedure di monitoraggio successive;
Preparare il materiale occorrente: servitore con disinfettante, anestetico, aghi di vario
calibro (ago di Menghini), siringhe, materiale da medicazione, pinze, contenitore per esami
bioptici.
-Gli accertamenti ematici relativi ai parametri della coagulazione sono indispensabili poiché molti
paz. con malattie epatiche hanno difetti di coagulazione e sono soggetti ad eccessiva emorragia;
-I parametri vitali rilevati prima della biopsia costituiscono la base su cui confrontare lo stato
clinico generale dopo l’esecuzione della biopsia
-Le spiegazioni fornite dall’Infermiere servono a tranquillizzare il malato e ad assicurarsi la sua
cooperazione.
134
Durante la procedura
Dare sostegno al malato durante l’intervento;
Posizionare il paziente sul lettino e sostenerlo psicologicamente
Esporre il lato destro dell’addome superiore (ipocondrio destro)
Eseguire una disinfezione della cute e preparare una siringa con anestetico locale che il
medico infiltrerà nella zona di iniezione
Istruire il soggetto a inspirare ed espirare profondamente molte volte, quindi a espirare e
trattenere il respiro alla fine dell’espirazione;
Far respirare profondamente, quindi espirare e trattenere il respiro (evita la perforazione del
diaframma e la lacerazione del fegato).
Alla fine dell’espirazione il medico introduce velocemente l’ago (via transcostale o
sottocostale), penetra il fegato, aspira ed esegue il prelievo.
Far riprendere la respirazione normale.
- La presenza di un Infermiere aumenta il conforto e promuove un senso di sicurezza;
- La cute del sito di penetrazione sarà lavata e trattata con anestetico locale;
- Il trattenimento del respiro permette l’immobilizzazione della parete del torace e del diaframma; la
penetrazione del diaframma viene così evitata ed il rischio di lacerazione epatica minimizzato
Dopo la procedura
 Medicazione a compressione
Immediatamente dopo la biopsia, assistere il paziente a girarsi sul lato destro con un
cuscino sotto le coste ed informarlo di evitare di tossire e di fare sforzi per molte ore;
Monitorare i parametri vitali (ogni 20 minuti per le prime due ore, ogni ora per le prime 12
ore, o fino a che i loro valori siano stabili e le condizioni del paziente soddisfacenti);
Essere attenti a riportare prontamente ogni variazione dei parametri rilevati ogni lamento di
dolore o manifestazione di apprensione;
Se il paziente esegue la procedura in regime di day-hospital informarlo che non deve fare
sforzi per circa una settimana.
Complicanze: emorragia, trascinamento di cell.tumorali, infezioni, perotonite biliare( x puntura
della colecisti, la bile va nell'addome), puntura del fegato
BIOPSIA RENALE – (Ago di Silverman)Def: tecnica che consentedi prelevare frustoli di tessuto renale x esaminarli al microscopio ottico o
elettronico e all'immunofluorescenza.Si realizza per via per cutanea.
Indicazioni: viene effettuata per conoscere l’estensione della malattia renale in caso di
IRA(insufficienza renale acuta) inspiegabile, proteinuria ed ematuria persistenti, rigetto da
trapianto e glomerulopatie.
Controindicazioni:alterazioni degli esami della coagulazione, ipertensione arteriosa non controllata,
la presenza di un rene unico, malformazioni, tumori o ascessi renali.
Prima della procedura
135

controllare la coagulazione per scongiurare una emorragia postoperatoria e si deve

controllare se il paziente ha dato il consenso.

Informare il paz sulla procedura.

Il paziente deve essere mantenuto digiuno da 8 ore, si applica un ago in vena e

si raccoglie un campione di urina per confrontarlo con quella post esame.

Posizionare il paziente in posizione prona con un sacchetto di sabbia sotto l’addome.

Effettuare una lieve sedazione.

Preparare un servitore sterile con anestetico, disinfettante,ago di Silverman, aghi di vario
calibro, siringhe, materiale da medicazione, contenitore per esame istologico.

Viene esposta la parte, posizione prona con un sacchetto di sabbia sotto l'addomec
Durante
 disinfettata ed infiltrato l’anestetico.
 Per via percutanea con l'ago si utilizza la tecnica ecoguidata, si arriva alla capsula renale, si
mette nel contenitore
 Il paz non deve respirare durante l’introduzione dell’ago,
 si aspira il frustolo
 si mette nel contenitore e
 si manda al laboratorio istologico.
Dopo

si tiene premuto

si medicazioneil pz deve rimanere a letto x 8h

controllare i paramentri vitali

indagare se il pz lamenta dolore in sede lombare e alle splalle

infondere 3000 cc di liq.

Dopo 8 h si esegue emocromo ed esame urine

il pz non deve fare sforzi per 2 settimane (attenzione ad emorragie tardive)
La biopsia è un esame cruento a cui possono seguire molte complicazioni quali fistole, aneurismi,
lacerazioni di organi e vasi del rene e degli organi vicini , ipotensione, macroematuria, fistola
intrarenale artero-venosa.
Complicanze: emorragia (ematoma, ematuria)
BIOPSIA CERVICALE
Def: Consiste nell’asportazione di campioni di tessuto dalla cervice uterina durante una
COLPOSCOPIA (visualizzazione diretta con microscopio dopo applicazione di speculum).
Esame: Di solito si fa dopo paptest se quest’ultimo è positivo.
La cervice viene “colorata” con agenti chimici e il medico a seconda di come si colora decide la
zona di prelievo.
L’infermiere prepara la paziente (informazione e posizionamento), il materiale (carrello con
speculum, agenti chimici, spatole, spazzoline, vetrini, materiale da medicazione) e mantiene
efficiente il colposcopio. Durante l’esame garantisce la privacy e invia i campioni in laboratorio
istologico.
Complicanze: infezioni.
136
BIOPSIA OSSEA - (Ago di Yashmidi)
Def: Consiste nel prelievo di un frammento di tessuto osseo che contiene il midollo.
Permette di valutare: densità cellulare, l'insieme del tessuto omopoietico ed il rapposrto delle cellule
con lo stroma e l'eventuale presenza di infiltrazioni di cell. Estranee( tumori).
Procedura: Il prelievo si esegue sulla cresta iliaca dopo avere anestetizzato la zona. Si inserisce un
ago di maggior calibro- di Yasmidi- nella profondità dell'osso per un paiodi cm e si ritira lo
strumento all'interno del quale rimane un piccolo frammento cilindrico di tessuto.
Complicanzioni: ematomi nella sede del prelievo, rare lesioni ossee, infezioni nella sede.
BIOPSIA MIDOLLARE - (Ago di Mallarmè)
Def: Viene effettuato il prelievo di una piccola quantità di midollo emopoietico che è contenuto
nella parte centrale (spugnosa) di molte ossa.
È un esame che serve per la diagnosi di diverse malattie del sangue. Con esso viene valutata la
maturazione delle cell. del sangue, conteggiato il numero dei diversi tipi e valutata la presenza nel
midollo di cell.estranee.
Procedura: con un grosso ago, Ago di Mallarmè, viene effettuato il prelievo di una piccola quantità
di midollo emopoietico che è contenuto nella parte centrale (spugnosa) di molte ossa.
Si disinfetta la cute e la si anestetizza localmente assieme con la parte più esterna dell'osso
prescelto.Con un bisturi, x agevolare la penetrazione dell'ago si pratica una piccolissima incisione di
pochi mm.L'ago si inserisce nella profondità dell'osso per un paio di cm, esi estrae.
In esso è rimasto un frustolo di midollo: questo è immerso in un liquido x conservarlo.
Si fa la sutura della ferita e si attua la medicazione.
Segue l'analisi in laboratorio in anatomia patologica.
Il prelievo dura poco, non è molto doloroso. Complicanze: Ematomi, infezioni
26. Emotrasfusione: responsabilità competenze e delega.
Def: L'emotrasfusione è la trasfusione di sangue da un donatore ad un soggetto ricevente.
Tipi di emotrasfusione:
Standard(Eterolog: quando donatore e ricevente sono due persone diverse, donatore
casuale.
Autologa, se il donatore dà sangue a se stesso (questa modalità è detta anche
"autotrasfusione"), è usata soprattutto in interventi chirurgici elettivi.Viene fatta 4-5 sett.
Prima dell'intervento.Il vantaggio maggiore è qll di prevenire infezioni virali, rigetto,ect.In
questo caso il sangue non può esseere donato ad altre persone resta al CT per 10 anni.
Recupero intraoperatorio: il sangue perso in una cavità sterile viene prelevato fino a 2
sacche di sangue intero che viene “addizionato” con soluzioni adeguate e reimesso
nell'organismo durante l'intervento. Non viene usato in pz con rischio di danno miocardico.
Diretta, da un famigliare o un amico.
137
Il sangue è una sostanza complessa in cui ogni elemento ha una sua specifica funzione,la trasfusione
può riguardare il sangue intero o solo alcuni suoi componenti (plasma, globuli rossi, globuli
bianchi, piastrine, fattori della coagulazione, ecc.).
A volte la trasfusione di sangue non può essere praticata a causa di controindicazioni o
semplicemente per la difficoltà a reperire la quantità necessaria o il gruppo richiesto. In questi casi,
per ripristinare il livello di liquido nel sangue si può fare ricorso al plasma sintetico e a soluzioni
saline.
Un unità (una sacca) di sangue contiene 500 ml di cui:
450 ml di sangue;
50ml di anticoagulante;
Il sangue prelevato deve essere sottoposto sempre a esami come:
ricerca anticorpi contro il virus dell' AIDS;
epatite B e C;
sistema ABO; il sistema identifica gli antigeni sulla membrana degli eritrociti: A,B,AB,O.
fattore Rh; l'antigene Rh è presente sulla superficie degli eritrociti dell'85% della popolazione
(Rh+), i soggetti a cui manca sono Rh-.
Emocromo;
ricerca anticorpi contro il virus linfotropico dei linfociti T e contro la sifilide.
Sia chi dona che chi riceve deve avere delle caratteristiche:
CHI DONA deve essere intervistato per escludere:
storia di epatite virale;
storia di emotrasfusione;
malattie trasmissibili per sangue (malaria);
abuso di droghe assunte x ev;
tatuaggi e percing nell’ultimo periodo,pericolo infettivo;
cura di denti dell’ultimo periodo;
gravidanza;
esposizione all’AIDS (cambio frequente di patener, omosessualità)
assunzione di aspirina, interferisce con la funzione delle piastrine
per le donne: non si può donare sotto ciclo, maa a metà;
rapporti sessuali occasionali a rischio.
CHI dona caratteristiche:
 Peso corporeo sopra i 50 Kg;
 T.corporea max 37,5 °C;
 FC 50-100 bat/min;
 PA max 90-180, min 50-100;
 Hb minimo x donne 12,5
 Hb minimo per uomini 13,5;
 18 anni compiuti.
138
CHI RICEVE deve avere una condizione clinica tra cui:
sanguinamento massivo,es, protesi d'anca,vascolare;
emorragia acuta (prima si corregge l'ipovolemia)
anemia sintomatica;
ustioni;
leucemia, quindi reintegro dei composti del sangue persi durante la chemioterapia
emofilia.
L’assistenza infermieristica si svolge nel pre intra e post.
Prima della trasfusione avremo:
anamnesi: trasfusioni pregresse, eventuali reazioni
Esame fisico: rilevazione pv;
Prelievo per la prova crociata (pre compatibilità);
ispezione cutanea;
verifica della prescrizione medica;
controllare se il sangue è stato sottoposto a tipizzazione;
spiegare la procedura al paziente ed informarlo sui sintomi che devono essere segnalati es.
brividi,diff,respiratorie;
lavare le mani ed indossare i guanti;
valutare se è presente l’apposito filtro che trattiene i coaguli;
far arrivare a temperatura ambiente;
controllare l’etichetta posta sulla sacca;
Durante la trasfusione:
porre la sacca su superficie piana e aspettare che arrivi a T. ambiente (se CVC la T. deve
essere di 20-24°C)
controllare l'etichetta,
far iniziare la trasfusione per i primi 15 minuti infondere lentamente a 5 ml/h e controllare
il paziente;
dopo i 15 minuti aumentare la velocità a 80-100 ml/h;
monitorare ogni mezz’ora i pv;
assicurarsi che la trasfusione duri circa 4 h,
se più sacche cambiare sempre il deflussore,
al termire smaltire il materiale in modo appropriato nel ROT;
Dopo la trasfusione:
informare il paziente di mangiare per almeno 2 ore dopo;
effettuare un emocromo di controllo per vedere se la trasfusione ha avuto effetto;
documentare la procedura
La conservazione nel Centro Trasfusionale dura:

Per i GR fino a 42gg a 4°C

Per le Piastrine 5gg a T.ambiente
139

per il Plasma 1 anno congelato a 0°C

Per il Sangue Intero va usato nelle 24h.
Complicanze:
Reazioni febbre- sospendere subito la trasfusione!
È una delle più freguenti, causata di solito dagli anticorpi contro gli antigeni dei linfociti del
donatore.La reazione (non emolitica) inizia con brividi seguiti da febre (2h dopo) con rialzo termico
superiore ad 1°C.Nei casi più gravi si interrompe la trsfusione e si invia al SIMT-Servizio di
Immunoematologia e Medicina Trasfusionale con la sacca, il modulo di segnalazione delle reazioni
trsfusionali e i campioni di sangue del pz per l'esecuzione delle indagini.
Reazioni emolitiche- sospendere subito la trasfusione potrebbe essere letale!!
Reazioni che possono essere letali. Si verificano di solito x errore umano, c'è compatibilità tra
donatore e ricevente. Gli anticorpi presenti nel sangue del ricevente si legano ai gr del donatore che
emolizzano in circolo ( si tratta di emolisi intravascolare acuta). Inizia con brividi e febbre (anche
dopo sali 10 ml di sangue), seguono dolori lombari, nausea, sensazione di oppressione toracica,
dispnea e ansia. Diagnostica viene data dall'emoglobinemia ed emoglobinuria. Dopo l'interruzione
si mantiene l'accesso venoso con fisiologica, avvisare il SIMT, inviare unità di sangue e i campioni
del pz x opportuni controlli e x i primi provvedimenti terapeutici.
Reazioni allergiche
Compare orticaria o prurito generalizzato.Sono dovute a ipersensibilità del ricevente alle proteine
del sangue del donatore. I sintomi regrediscono di solito con un ntistaminico.In casi gravi c'è
broncospamo, edema laringeo e shock anafilattico. Se è lieve si può portare a termine la trasfusione.
Sovraccarico circolatorio- si sospende la trasfusione
Causata da un infusione troppo rapida.I sintomi sono dispnea, tachicardiaed ansia improvvisa, le
vene del collo sono turgiche e aumenta. Il pz viene messo semiseduto con la parte inferiore declive,
somministrati diuretici, sedativi ed 02.
Contaminazione Batterica
È rara, è la contaminazione della sacca da gram negativi, caratterizzata da febbre, shock,
emoglobinuria, insuff.renale con diarrea, vomito, dolori muscolari. Terapia antibiotica ev o
trattamento dello shock tempestivo, si infondono liquidi. Sacca inviata al CT, prelevare emocoltura
con antibiogramma.
Sovraccarico di Ferro (Fe)
un unità di sangue contiene 250 mg di Fe. I pz che necessitano cronicamente di trasfusioni hanno
depositi a livello epatico, cardiaco, testicolare e pancreatico. In qst caso la terapia chelante x
prevenire danni all'organo.
Danno polmonare acuto
È raro, il danno si manifesta circa 4h dopo la trasfusione con edema polmonare, febbre, e vbrividi.
Anticorpi presenti nel plasma del donatore stimolano i leucociti del ricevente che si aggregano e
precipitano a livello dei microvasi polmonari.
GRUPPO sanguigno
DONA
RICEVE
0
Universale (a tutti)
Solo a 0
140
A
A e
AB
A e
0
B
B e AB
B e
0
AB
AB
Universale (da tutti)
Se hai il fattore Rhesus negativo,Rh- allora puoi ricevere solo da Rh-.
27.La salma: responsabilità, competenze, delega, preparazione e gestione della
comunicazione del lutto.
Una volta avvenuto il decesso, se non è presente il medico in reparto e se l’evento non si è
verificato in una situazione di emergenza l’infermiere deve fare prima la constatazione del decesso.
L’infermiere valuta
 La cessazione del respiro
 Attività cardiaca (polso carotideo) e
 Attività neuromuscolare (riflesso pupillare mediante stimolazione luminosa) e riflesso
corneale (se l’occhio si chiude con la stimolazione tattile)
 e fa un ECG per 20min.
L’infermiere successivamente deve chiamare immediatamente il medico per una constatazione
legale in quanto quella infermieristica non lo è.
Nell’attesa che arrivi il medico l’infermiere dovrà aver cura di:
Isolare la salma mediante paraventi o tendine se la stanza in cui si è verificato il decesso è a
più letti;
Preparare la cartella clinica e la modulistica ( cartellino identificazione, modulo avviso
morte, modulo denuncia di causa di morte, modulo ISTAT);
Il medico accerta la morte del paziente, registra la constatazione del decesso sulla c/c e
firma la modulistica.
Dopo la costatazione della morte l'infermiere:

Avvisare i parenti;
 Nel frattempo che arrivino rovvede a togliere eventuali drenaggi, flebo, cateteri, sondini ma
ancora con il pigiama, con le palpebre abbassate e un lenzuolo a coprire il volto.
141
Successivamente l’arrivo dei familiari in reparto, si provvede alla sistemazione della salma
salma spogliandola degli indumenti indossati nel momento del decesso, rinnovare le
medicazioni, disinfettare ed asciugare rapidamente il corpo; cambiare il lenzuolo di sotto,
stendere un lenzuolo pulito sotto la salma, coprire con una falda di cotone o con un
pannolone l’ano e il meato urinario, chiudere bene le palpebre,applicare i cartellini utili per
un facile riconoscimento in camera mortuaria, riordinare il materiale utilizzato e attendere il
trasporto in camera mortuaria.
 Nel rispetto della libertà religiosa, occorre informarsi verificando sulla cartella clinica e
infermieristica la religione di appartenenza della persona deceduta.
Se è di religione cattolica si può provvedere a chiamare il sacerdote per somministrare il
sacramento dell’unzione degli infermi.
 Attendere il trasporto in camera mortuaria

Inoltre l’infermiere deve ricordarsi di:
togliere la C/I dopo aver effettuato le registrazioni di competenza;
togliere tutta la documentazione clinica del paziente;
cancellare la terapia o togliere il foglio dal registro;
cancellare il nome dall’elenco;
verificare che sia stata gettata la terapia eventualmente già predisposta per il paziente;
inviare in direzione sanitaria la comunicazione di avvenuta morte nel rispetto della legge
sugli espianti.
Il periodo di osservazione della salma dura di norma 24 ore e durante tale periodo il corpo deve
essere posto in condizioni tali che non ostacolino eventuali manifestazioni di vita.
Familiari
Se i parenti sono presenti in reparto occorre assisterli e fornire loro tutte le informazioni necessarie
sulle procedure da seguire successivamente al decesso (dove verrà trasportata la salma, orari della
camera mortuaria).
Se i parenti non sono presenti sarà l’infermiere ad avvisarli utilizzando un recapito telefonico
precedentemente comunicato.
Nel comunicare il lutto ai familiari occorre usare attenzione e delicatezza per evitare di
traumatizzarli.
Tutti gli oggetti personali ed i valori devono essere consegnati ai parenti: qualora non siano presenti
occorre redigere un verbale con l’elenco e la descrizione degli oggetti di valore che deve essere
sottoscritto dagli infermieri di turno e consegnarlo in copia, unitamente agli oggetti, al personale
incaricato alla custodia dei valori presente in ogni ospedale.
In caso di presenza di somme ingenti di denaro o di oggetti di grande valore che potrebbero dar
luogo a contenziosi relativi all’eredità del defunto, è buona norma non consegnare al momento del
decesso anche se presenti ai parenti.
Prima di provvedere alla sistemazione della salma occorre attendere che i familiare se non presenti
arrivino in ospedale.
Infatti si da così loro la possibilità di rimanere un po’ di tempo accanto al deceduto prima di
procedere alla sistemazione.
142
28.Prelievo di organi, gestione del paziente espiantabile: assistenza responsabilità,
competenze.
29.Gestione del paziente sottoposto a trapianto d’organi: assistenze, competenze,
responsabilità.
TRAPIANTI D’ORGANO
Per “trapianto” si intende la trasposizione di un organo o un tessuto prelevato da un “donatore”,
cadavere o vivente, a beneficio di un ricevente. La concezione di trapianto è una pratica in continuo
divenire ed evoluzione, per questo è da considerare sempre sperimentale, ed esclusivamente a scopo
terapeutico.
Il trapianto di organi è un intervento di microchirurgia mediante il quale un organo compromesso
nelle sue funzioni viene sostituito con un altro. Si possono trapiantare sia interi organi (cuore, rene,
fegato, pancreas, intestino, polmoni), sia tessuti particolari dell'organismo (cornee, midollo osseo,
pelle).
Ovviamente, alcuni trapianti si possono realizzare attraverso espianti che avvengono soltanto in
persone già morte (ex cadavere), come ad es. il trapianto di cuore, dell'intero fegato, del pancreas,
delle cornee; mentre altri trapianti si effettuano da persone vive (ex vivo) asportando uno degli
organi pari, quali il rene, o prelevando tessuti rigenerabili come il midollo osseo e la pelle. Inoltre, è
oggi possibile trapiantare organi e tessuti di altri animali non umani (xenotrapianti) che, grazie
all'ingegneria genetica, vengono resi sempre più geneticamente compatibili con l'uomo. Infine,
esiste la possibilità di trapiantare in un organismo umano parte di organi e valvole artificiali.
Il trapianto può essere:
autologo, da una sede all’altra dello stesso individuo;
omologo, fra soggetti della stessa specie ma emerge il problema dell’istocompatibilità e del rigetto;
eterologo, fra soggetti di specie diversa.
143
CONSENSO SUI TRAPIANTI
Per espletare una qualsiasi pratica su una persona bisogna ottenere la sua adesione tramite consenso
informato. In Italia non esisteva nessuna disposizione normativa sul consenso informato fino al
1978 con la Legge n.833 “Istituzione del Sistema Sanitario Nazionale”, che afferma che non è
possibile esperire dei trattamenti medici senza avere la disponibilità e volontà del paziente.
Il consenso non deve essere viziato, per esempio da violenza, ma deve essere liberamente espresso
ed in maniera consapevole da un soggetto maggiorenne.
Legge 1° aprile 1999, n. 91 "Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di
tessuti"
Obiettivi:
1.Migliorare l’informazione: su cosa è un trapianto, la morte cerebrale e la prevenzione sugli
stili di vita da seguire non solo attraverso i media ma anche attraverso tutti i luoghi pubblici
(scuola, USL);
2.Migliorare il consenso: si parla di “silenzio assenso” (si è automaticamente donatori se
non si esprime la propria volontà: non è stato applicato)
3.Migliorare l’organizzazione: istituzione del Centro Nazionale dei Trapianti che gestisce
tutti i donatori.
Art. 18. (Obblighi del personale impegnato in attività di prelievo e di trapianto)
1. I medici che effettuano i prelievi e i medici che effettuano i trapianti devono essere diversi da
quelli che accertano la morte.
2. Il personale sanitario ed amministrativo impegnato nelle attività di prelievo e di trapianto è tenuto
a garantire l'anonimato dei dati relativi al donatore ed al ricevente.
LE PRINCIPALI FASI DELL’INTERO PROCESSO.
L’ordine con cui vengono riportate le fasi, pur avendo una sua logica sequenziale, non rappresenta
un riferimento assoluto essendo alcune di queste eseguibili in contemporanea o invertite. Tuttavia
volendo sintetizzare l’intero processo possiamo scomporlo in questo modo:
1. Individuazione del potenziale donatore (Coordinatore locale, Rianimatore);
2. Diagnosi, accertamento e certificazione della morte (Rianimatore e/o coordinatore locale,
commissione);
3. Segnalazione del potenziale donatore al CRT/CIR di afferenza (Rianimatore e/o coordinatore
locale);
4. Prima valutazione di idoneità (Rianimatore e/o CL, Coordinamenti, second opinion);
5. Mantenimento (Rianimatore);
6. Colloquio con i familiari (Rianimatore e/o CL);
144
7. Prelievo linfonodi e sangue periferico per caratterizzazione immunologica (CL, Chirurgo locale,
personale di T.I.);
8. Consultazione delle liste e allocazione (Coordinamenti CIR/CRT, Centri di trapianto);
9. Approfondimenti diagnostico-strumentali (es. arteriografia, angio-tac, coronarografia)
(rianimatore, CL, Sevizi di diagnostica, personale sanitario);
10. Prelievo di organi e tessuti e seconda valutazione di idoneità (Chirurghi prelevatori, second
opinion);
11. Chirurgia di banco e terza valutazione di idoneità (Chirurghi trapiantatori, Anatomia
patologica);
12. Trapianto (Chirurghi trapiantatori, Servizi di diagnostica);
13. Follow-up (Centri trapianto e/o unità specialistiche di provenienza del paziente);
14. Aspetti logistici relativi ai trasporti di equipe e materiali biologici (Centri di coordinamento,
centri di trapianto, servizi di trasporto);
1. Individuazione del potenziale donatore
Per migliorare la ricerca di tutti i potenziali donatori, è necessario individuare e monitorare i
percorsi interni alla struttura, dove solitamente transitano i neurolesi nel loro primo soccorso
all’interno dell’Ospedale. Ciò permette di avere in tempo reale sia la conoscenza dei soggetti che
potenzialmente potrebbero diventare donatori, sia la loro esatta collocazione all’interno
dell’Ospedale. Le strategie di monitoraggio del neuroleso prevedono l’assiduo controllo del decorso
clinico. A tale fine, la collaborazione con la Direzione Sanitaria e i Servizi di diagnostica
strumentale (neuroradiologia, TAC) è indispensabile per istituire un registro di neurolesi dei quali
quotidianamente seguirne l’evoluzione clinica. Altrettanto utile è la possibilità di accedere al
controllo dei decessi verificatisi nei vari reparti durante le 24 ore precedenti, al fine di individuare
tutti i potenziali donatori di soli tessuti (donatori a cuore fermo).
2. Accertamento della morte
Dopo la diagnosi di morte clinica, formulata dai medici curanti, è obbligatoria un’osservazione
clinica e strumentale, inoltre i sanitari che effettuano i trapianti devono essere diversi da quelli che
accertano la morte e tutti sono tenuti a garantire l’anonimato dei dati relativi al donatore ed al
ricevente.
Il corpo è mantenuto a temperatura costante e una volta accertata la morte si può procedere
all’espianto. La situazione ottimale per trapiantare è il paziente sottoposto a tecniche rianimatorie.
Le tecniche rianimatorie, infatti, permettono di ritardare l’evoluzione del processo di morte,
mantenendo gli organi vitali per un certo tempo.
Legge 29 dicembre 1993, n. 578
Articolo 1 – (Definizione di morte)
1. La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
Articolo 2 – (Accertamento di morte)
1. La morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono
cessate per un intervallo di tempo tale da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni
dell’encefalo e può essere accertata con le modalità definite con decreto emanato dal ministro della
Sanità.
145
5. L'accertamento della morte dei soggetti affetti da lesioni encefaliche e sottoposti a misure
rianimatorie è effettuato da un collegio medico nominato dalla direzione sanitaria, composto da un
medico legale o, in mancanza, da un medico di direzione sanitaria o da un anatomopatologo, da un
medico specialista in anestesia e rianimazione e da un medico neurofisiopatologo o, in mancanza,
da un neurologo o da un neurochirurgo esperti in elettroencefalografia. I componenti del collegio
medico sono dipendenti di strutture sanitarie pubbliche.
Articolo 4 – (Periodo di osservazione dei cadaveri)
1. Nei casi in cui l’accertamento di morte non viene effettuato secondo le procedure di cui
all’articolo 2, nessun cadavere può essere chiuso in cassa, né essere sottoposto ad autopsia, a
trattamenti conservativi, a conservazione in celle frigorifere, né essere inumato, tumulato, cremato
prima che siano trascorse ventiquattro ore dal momento del decesso, salvi i casi di decapitazione e
maciullamento.
Morte cerebrale: cessazione irreversibile (e non permanente) di tutte le funzioni (tronco e corteccia)
dell’encefalo. Non vi è possibilità di ripresa.
I parametri per accertare la morte cerebrale, come già detto, sono molteplici ma il primo è
rappresentato dall’EEG piatto (6 ore) in mancanza di ipotermia indotta, oppure dopo
somministrazione di farmaci.
Avviene un tempo di osservazione che rappresenta il periodo di garanzia per accertare il sussistere
di tutti i parametri. In questo periodo non si accerta la morte ma si valuta se persistono i parametri. I
bambini vengono osservati più a lungo perché non hanno sviluppato tute le funzioni neuronali.
Bambini fino a 1 anno: 24 ore.
Bambini da 1 anno a 5 anni: 12 ore.
Bambini da 5 anni in su: 6 ore.
La morte non si fa risalire alla 6 ora; la morte è alla prima.
Osservazione:
-EEG della durata di 30 minuti, con constatazione di silenzio elettrico cerebrale;
-Esame neurologico:
a)Stato di incoscienza ;
b)Assenza riflesso corneale, riflesso fotomotore, riflesso oculocefalico, oculovestibolare,reazione a
stimoli dolorifici portati nel territorio del trigemino, riflesso carenale e respirazione spontanea con
sospensione della ventilazione artificiale fino al raggiungimento di ipercapnia accertata da 60 mm
Hg con pH < 7.40
3. Segnalazione del potenziale donatore al CRT/CIR di afferenza
Al momento della segnalazione del potenziale donatore, il rianimatore e/o il Cl della struttura che
ha in carico il soggetto, trasmette al CRT/CIR la scheda di segnalazione con tutte le informazioni
disponibili al momento. E’ indispensabile avere già disponibili, all’atto della segnalazione, la causa
di morte, l’età, l’anamnesi, il gruppo sanguigno del donatore (referto originale) e i principali dati di
laboratorio compresa la sierologia (quest’ultima con referto originale) nonché i dati antropometrici
e emodinamici.
4. Prima valutazione di idoneità
146
Le attuali procedure di valutazione dei potenziali donatori prevedono i seguenti step:
-anamnesi da raccogliere tramite i familiari e relativa i seguenti aspetti: abitudini sessuali, uso di
sostanze stupefacenti, malattie preesistenti quali malattie autoimmuni, infettive, neoplastiche,
malattie ad eziologia completamente o parzialmente sconosciuta. L'anamnesi indaga anche la
possibile presenza di malattie infettive diffusive in atto in altri membri della famiglia (es: malattie
esantematiche in fratelli di donatore pediatrico). In assenza di un famigliare i dati anamnestici
vengono cercati anche presso conviventi, conoscenti, medico curante.
-esame obiettivo: ha lo scopo di evidenziare segni riferibili a malattie trasmissibili, di tipo infettivo
o neoplastico. L’ esame obiettivo esterno deve riguardare quantomeno i punti elencati di seguito:
cicatrici cutanee; ittero; tatuaggi (possibile rischio di infezione); esantemi (particolarmente in
soggetti pediatrici); segni palesi di uso di stupefacenti; palpazione della tiroide, della mammella, dei
testicoli, di linfoadenopatie superficiali; esplorazione rettale in caso di donatore maschio di oltre 50
anni.
-Esami strumentali: Rx torace; ecografia addominale superiore ed inferiore (pelvica); ECG;
ecocardiografia nei potenziali donatori di cuore; Indagini aggiuntive quali: visita urologia, ecografia
prostatica transrettale; ecografia tiroide, mammella, testicolo; TC toraco-addominale e visita
senologica su indicazione clinica.
.Esami colturali: sangue, urine, escreato (refertabili dopo il trapianto se il donatore non ha evidenti
segni di infezione in atto.
-Valutazione biochimica: Emocromo con formula; Piastrine; Creatininemia; Azotemia; Elettroliti
serici; Protidemia totale; Albuminemia; Amilasi; CPK – CPK-MB; Troponina; Glicemia; LDH;
GOT; GPT; Bilirubina totale e diretta; Fosfatasi alcalina; GammaGT; PT PTT fibrinogeno; Es.
urine completo; Emogasanalisi di base. Nonché i seguenti esami da eseguire su richiesta:
Trigliceridi; Ac. Urico; Colesterolo; Tracciato elettroforetico delle proteine (per donatore >50 anni);
Lipasi; AT III FDP; D-Dimero; Emogasanalisi al 100% di ossigeno nei potenziale donatore di
polmone; PSA (total/free) nei maschi di età > 50 anni; BetaHCG ( ogni volta che la causa di una
emorragia cerebrale spontanea non è certa); Esame tossicologico su sangue e urine.
-Valutazione sierologica: HIV (anticorpi); HCV (anticorpi); HBV (antigeni, anticorpi, anti-core su
prelievo di sangue possibilmente pre-trasfusione); HDV (indispensabile nei pazienti già HbsAg
positivi); Lue (TPHA/VRDL) nonche i seguenti ulteriori accertamenti eseguibili anche dopo
trapianto CMV (anticorpi IgG e e IgM; HSV-1 e 2 (anticorpi IgG); EBV (anticorpi VCA-IgG e
EBNA; VZV (anticorpi IgG); Toxoplasma (anticorpi).
-Indagini biomolecolari supplementari: HIV-RNA; HCV-RNA; HBV-DNA da effettuare a
donatori per i quali l’anamnesi, l’esame obiettivo o i risultati di esami di laboratorio facciano
emergere dubbi.
5. Mantenimento
Il cadavere a cuore battente presenta una situazione fortemente instabile per la perdita definitiva
delle capacità di autoregolazione e automodulazione. Il Rianimatore quindi dovrà attuare una serie
di misure di monitoraggio che, pur essendo routinarie nel soggetto clinicamente impegnato, è
tuttavia utile ricordare:
- Il monitoraggio emodinamico; che comprende il controllo continuo della pressione arteriosa
sistemica; il controllo della pressione venosa centrale (CVP) e quando necessario le pressioni
147
polmonari (PAP); la pressione di incuneamento (PAWP) e, attraverso il posizionamento del catetere
di Swan Ganz, la gittata cardiaca (CO). Se disponibile è consigliabile effettuare anche il
monitoraggio volumetrico (COLD/PiCCO) che consente una misurazione attendibile della quota di
acqua polmonare extravascolare.
- Il monitoraggio della funzione respiratoria che, attraverso l’esecuzione di ripetute emogasanalisi
(EGA) e valutazioni dell’equilibrio acido-base (EAB), consentono di osservare ed eventualmente
correggere i parametri ventilatori ed ossigenativi.
- Il monitoraggio della diuresi che è necessario per trattare eventuali alterazioni del bilancio idrico
(oliguria, diabete insipido, anuria).
- Il monitoraggio della temperatura corporea interna che viene generalmente effettuata tramite
sonde termometriche poste in faringe o nel retto, o attraverso un catetere in arteria polmonare per la
rilevazione della temperatura centrale.
- Il monitoraggio metabolico attraverso la ripetizione di esami ematochimici (test coagulativi,
emocromo, elettroliti, glicemia, etc.)
Non bisogna dimenticare che nel soggetto in morte cerebrale possono verificarsi alterazioni
dell’omeostasi
(ipotensione
arteriosa,
ipossiemia,
aritmie
cardiache,
alterazioni
endocrinometaboliche etc.) che devono assolutamente essere contrastate, al fine di garantire la
buona funzionalità degli organi da prelevare. Tra esse, particolarmente frequenti sono gli episodi di
instabilità emodinamica (ipotensione), la cui gravità dipende sia dal meccanismo di morte cerebrale,
sia dai trattamenti terapeutici praticati.
L’ipotensione arteriosa è spesso dovuta alla perdita di tono vasomotorio e all’ipovolemia.
Quest’ultima si instaura perché nei soggetti in morte cerebrale, nel tentativo di contrastare l’edema
cerebrale della fase iniziale, viene praticata terapia antiedemigena con diuretici osmotici o dell’ansa.
E’, quindi, indispensabile il rimpiazzo volemico con infusioni di emazie concentrate, plasma,
albumina umana, cristalloidi etc.
Per finire, è buona regola incannulare sempre almeno due vene periferiche di grosso calibro,
proteggere sistematicamente i bulbi oculari e provvedere alla manutenzione asettica sia del tubo
orotracheale, sia del catetere vescicale al fine di prevenire eventuali infezioni.
6. Colloquio con i familiari
Gli aspetti di comunicazione e di relazione con i familiari del potenziale donatore rappresentano
uno dei passaggi più critici dell’intero processo. La relazione con la famiglia inizia sin dal momento
dell’entrata del paziente in rianimazione e prescinde dal destino che avrà quel soggetto. E’ quindi
importante instaurare sin dall’inizio un rapporto di fiducia tra i curanti e i familiari. Chiarezza,
trasparenza e coerenza sono approcci imprescindibili nella comunicazione con essi, soprattutto
quando la gravità del quadro clinico può evolvere nella morte del soggetto. La comunicazione della
morte deve sempre precedere la proposta di donazione, anzi ai due eventi dovrebbero essere
riservati due momenti diversi. Generalmente la proposta di donazione si apre con la richiesta ai
familiari se sono a conoscenza di eventuale espressione di volontà manifestata in vita dal soggetto.
In assenza di tale manifestazione è compito di chi propone la donazione sostenere i famigliari nel
percorso decisionale anche con l’aiuto di un supporto psicologico. Ma per quante strategie
148
comunicative si possono attuare rimane sempre un momento difficile perché risente dell’ambiente,
è differente di volta in volta, ha una forte componente emotiva ed è un momento che non si
esaurisce con il colloquio.
7. Prelievo linfonodi e sangue periferico per caratterizzazione immunologia
Il prelievo dei linfonodi per la caratterizzazione immunologica del soggetto è una di quelle indagini
finalizzate esclusivamente al trapianto. E’ quindi opportuno procedere a tale prelievo solo dopo che
i familiari abbiano manifestato la loro volontà non contraria al prelievo di organi e tessuti. Tale
aspetto per quanto possa sembrare banale o marginale a fronte della complessità di tutto il processo,
rappresenta tuttavia la sua importanza. Deve essere comunque eseguito da personale qualificato
(non è infrequente l’invio di un pacchetto di grasso con la convinzione che contenga linfonodi che
invece non contiene!); oppure la conservazione degli stessi in soluzioni non sempre adeguate
(ghiaccio secco!). Per ovviare a tali aspetti la tipizzazione oggi viene effettuata su prelievo di
sangue periferico rimandando il prelievo dei linfonodi (o di un cuneo della milza) al momento del
prelievo degli organi.
9. Approfondimenti diagnostico-strumentali
In generale le equipe di prelievo al momento della segnalazione del donatore hanno gran parte degli
elementi per una corretta valutazione dello stesso. Tuttavia non è affatto raro che, in casi particolari,
vengano richiesti esami specifici aggiuntivi. È il caso delle equipe cardiochirugiche che non sono
propense ad accettare l’offerta di un cuore se le notizie cliniche e i dati relativi agli esami
strumentali del donatore sono incompleti. Spesso tali equipe rifiutano anche la possibilità di rinviare
la valutazione definitiva al momento dell’ispezione macroscopica dell’organo in sede di prelievo.
E’ il caso per esempio di donatori ultra sessantenni per i quali è spesso indispensabile avere una
coronarografia prima del prelievo. Oppure per i chirurghi polmonari avere una broncoscopia o
esami microbiologici dell’escreato. Inoltre in aggiunta a tali esami strumentali che vertono ad una
precisa valutazione del grado di idoneità/qualità di questi organi, ci sono casi in cui
l’approfondimento diagnostico-strumentale è indispensabile per la certezza della diagnosi di morte
(angiografia), per l’idoneità del donatore (TAC, ecografie, etc.) o dei singoli organi (biopsia,
istologia etc.).
10. Prelievo di organi e tessuti
Il prelievo di organi e tessuti rappresenta un passaggio fondamentale ai fini della riuscita del
trapianto; insulti ischemici o lesioni iatrogene provocate durante le procedure di prelievo, possono
condizionare non poco la ripresa funzionale degli organi dopo trapianto o essere responsabili di un
aumento delle complicanze tecniche al momento del reimpianto.
Ciascuna equipe coinvolta per il prelievo dei vari organi, può provenire da centri differenti. Le
equipe sono tenute ad accertarsi di tutti i sospetti, o elevati rischi, di malattie trasmissibili rilevati
nelle fasi precedenti di valutazione. Procedono all’ispezione e palpazione degli organi toracici
(compresa l’esplorazione e la palpazione delle principali stazioni linfonodali profonde);
all’ispezione e palpazione degli organi addominali (compresa quella dei reni, previa apertura e
149
rimozione della capsula dei Gerota e del grasso pararenale, ed ispezione della superficie convessa
del rene sino al grasso ilare).
Condizione importante è la stabilità emodinamica del donatore a cuore battente che consente la
precisa dissezione delle strutture anatomiche principali. Nei casi di instabilità emodinamica e di
pericolo di arresto cardiocircolatorio le manovre iniziali saranno indirizzate ad un rapido
incannulamento aortico e clampaggio dell’aorta sottodiaframmatica per permettere la perfusione
ipotermica in situ, rimandando ad un secondo tempo l’isolamento degli elementi anatomici.
Il fegato, il pancreas, l’intestino e i reni vengono perfusi con la stessa soluzione, attraverso
l’introduzione di una cannula nell’aorta distale. La perfusione ipotermica (~4 °C) costituisce il
principio base della conservazione degli organi in quanto riduce il fabbisogno di ossigeno delle
cellule e adatta il loro metabolismo alla situazione di anossia in cui avviene il prelievo. Attraverso
la loro azione meccanica queste soluzioni ipotermiche lavano i vasi dagli elementi figurati che
contengono, e raffreddano in modo omogeneo i tessuti che perfondono. La presenza di uno
strumentista al tavolo operatorio è fondamentale come lo è l’organizzazione della sala operatoria.
Il tavolo deve essere provvisto sempre di ferri per una laparotomia, clamp vascolari e materiale per
la sternotomia. Ciascuna equipe verifica la presenza degli strumenti specifici necessari e in
particolar modo il sistema di cannulazione e perfusione, la disponibilità di ghiaccio sterile tritato,
nonché il materiale per la conservazione e il trasporto degli organi a cui comunque generalmente
ogni equipe provvede in maniera autonoma. Tecnicamente l’incisione di scelta è quella giugulopubica, quindi la posizione del donatore sul tavolo operatorio è in decubito supino, con le braccia in
abduzione totale. Il campo operatorio deve essere ampio e viene preparato appunto dal giugulo fino
al pube e lateralmente fino alle linee ascellari. I tempi principali dell’intervento sono tre:
preparazione a cuore battente; perfusione in situ; prelievo degli organi. Di regola conviene
procedere alla sternotomia mediana indipendentemente dall’effettuazione del prelievo di cuore o dei
polmoni. Questo approccio permette anche una migliore esposizione del fegato e della vena cava
inferiore al suo sbocco nell’atrio destro.
Nella prima fase dell’intervento, in cui viene effettuata un’iniziale valutazione macroscopica degli
organi finalizzata alla valutazione di idoneità, possono coesistere al tavolo più operatori. Il
cardiochirurgo, dopo aver inciso longitudinalmente il pericardio, esegue la sua valutazione (volume
cardiaco, cinetica dei ventricoli, assenza di lesioni aterosomatiche delle coronarie). Contestualmente
può operare il chirurgo prelevatore dei polmoni attraverso una visione diretta dell’albero bronchiale
(broncoscopia). Effettua quindi l’apertura delle pleure mediastiniche e procede alla visione diretta
del parenchima polmonare. A questo punto il chirurgo prelevatore del fegato e degli organi
addominali procede ad un’accurata esplorazione manuale dei visceri splancnici al fine di escludere
la presenza di neoformazioni. Se gli organi sono ritenuti idonei si procede con l’incisione del
peritoneo parietale posteriore per visualizzare l’aorta e la vena cava inferiore per le successive
manovre di cannulazione.
Prima della fase di incannulazione e della perfusione rientra al tavolo operatorio l’equipe
cardiochirurgica per la cannulazione dell’aorta ascendente tramite la quale procede all'infusione
della soluzione cardioplegica. Il tempo della dissezione a cuore battente termina qui, viene
realizzata un’eparinizzazione sistemica e si procede al prelievo degli organi. Il cuore viene
150
prelevato per primo, quindi il prelievo del blocco bipolmonare e in contemporanea il prelievo di
fegato e pancreas e di seguito il prelievo dei reni. Tali tempi chirurgici possono essere modificati se
si effettua il prelievo del fegato con tecnica split (divisione in due parti per due differenti riceventi)
o se c’è da prelevare l’intestino. Comunque tutti gli organi prelevati vengono poi preparati con la
chirurgia di banco prima del trapianto. Al termine del prelievo degli organi, il coordinatore locale
organizza le fasi dedicate al prelievo dei tessuti sulla base degli accordi precedentemente pianificati
con le varie equipe di prelievo e con le banche dei tessuti interessate.
Legge 1° aprile 1999, n. 91
"Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti"
Art. 13. (Strutture per i prelievi)
1. Il prelievo di organi è effettuato presso le strutture sanitarie accreditate dotate di reparti di
rianimazione. L'attività di prelievo di tessuti da soggetto di cui sia stata accertata la morte ai sensi
della legge 29 dicembre 1993, n. 578, e del decreto del Ministro della sanità 22 agosto 1994, n. 582,
può essere svolta anche nelle strutture sanitarie accreditate non dotate di reparti di rianimazione.
2. Le regioni, nell'esercizio dei propri poteri di programmazione sanitaria e nell'ambito della
riorganizzazione della rete ospedaliera di cui all'articolo 2 della legge 28 dicembre 1995, n. 549,
come modificato dall'articolo 1 del decreto-legge 17 maggio 1996, n. 280, convertito, con
modificazioni, dalla legge 18 luglio 1996, n. 382, provvedono, ove necessario, all'attivazione o al
potenziamento dei dipartimenti di urgenza e di emergenza sul territorio ed al potenziamento dei
centri di rianimazione e di neurorianimazione, con particolare riguardo a quelli presso strutture
pubbliche accreditate ove, accanto alla rianimazione, sia presente anche un reparto neurochirurgico.
3. I prelievi possono altresì essere eseguiti, su richiesta, presso strutture diverse da quelle di
appartenenza del sanitario chiamato ad effettuarli, nel rispetto delle vigenti disposizioni sulla
incompatibilità dell'esercizio dell'attività libero-professionale, a condizione che tali strutture siano
idonee ad effettuare l'accertamento della morte, ai sensi della legge 29 dicembre 1993, n. 578, e del
decreto del Ministro della sanità 22 agosto 1994, n. 582.
Art. 14. (Prelievi)
1. Il collegio medico di cui all'articolo 2, comma 5, della legge 29 dicembre 1993, n. 578, nei casi in
cui si possa procedere al prelievo di organi, è tenuto alla redazione di un verbale relativo
all'accertamento della morte. I sanitari che procedono al prelievo sono tenuti alla redazione di un
verbale relativo alle modalità di accertamento della volontà espressa in vita dal soggetto in ordine al
prelievo di organi nonché alle modalità di svolgimento del prelievo.
2. I verbali di cui al comma 1 sono trasmessi in copia, a cura del direttore sanitario, entro le
settantadue ore successive alle operazioni di prelievo, alla regione nella quale ha avuto luogo il
prelievo ed agli osservatori epidemiologici regionali, a fini statistici ed epidemiologici.
3. Gli originali dei verbali di cui al comma 1, con la relativa documentazione clinica, sono custoditi
nella struttura sanitaria ove è stato eseguito il prelievo.
4. Il prelievo è effettuato in modo tale da evitare mutilazioni o dissezioni non necessarie. Dopo il
prelievo il cadavere è ricomposto con la massima cura.
5. Il Ministro della sanità, sentita la Consulta di cui all'articolo 9, definisce, con proprio decreto, da
emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri e le
151
modalità per la certificazione dell'idoneità dell'organo prelevato al trapianto.
Art. 15. (Strutture per la conservazione dei tessuti prelevati)
1. Le regioni, sentito il centro regionale o interregionale, individuano le strutture sanitarie pubbliche
aventi il compito di conservare e distribuire i tessuti prelevati, certificandone la idoneità e la
sicurezza.
2. Le strutture di cui al comma 1 sono tenute a registrare i movimenti in entrata ed in uscita dei
tessuti prelevati, inclusa l'importazione, secondo le modalità definite dalle regioni.
Limiti temporali per il prelievo
Il prelievo dei tessuti deve essere eseguito il più presto possibile dopo la morte (o arresto
circolatorio se si tratta di donatore multiorgano). Per tessuto muscoloscheletrico, cute, vasi e
valvole il prelievo deve essere effettuato entro 12 ore dal decesso. Se il corpo viene refrigerato nelle
prime 6 ore dalla morte, il prelievo può essere effettuato entro 24 ore dalla morte, prolungabili a 30
ore per il tessuto muscoloscheletrico. Per i tessuti oculari il limite massimo per il prelievo è posto a
24 ore dal decesso.
Conservazione dei tessuti immediatamente dopo il prelievo
Immediatamente dopo il prelievo, l’operatore posiziona in condizioni di asepsi il tessuto prelevato
all’interno di una confezione internamente sterile, di misure adeguate, contenente l’idonea
soluzione di conservazione. Una volta chiusa, la confezione non sarà riaperta né il tessuto in esso
contenuto verrà rimosso se non a cura del personale della Banca.
La confezione viene conservata alla temperatura di +2°C/+10°C fino al momento del trasporto.
I tessuti che non devono subire ulteriore lavorazione devono essere confezionati in triplo sacchetto
di materiale crioresistente chiuso in modo di assicurare l’integrità della confezione. Il sacchetto più
esterno può, in alcuni casi , essere sostituito da contenitore rigido.
Etichettatura dei contenitori
Ogni contenitore di tessuti deve recare un’etichetta con:
− nome o codice di identificazione del donatore
− tipo di tessuto
− area del prelievo,se pertinente
− data di prelievo
− nel caso di donatori autologhi è aggiunta la seguente dicitura: ”esclusivamente per uso autologo”
− indicazione della soluzione utilizzata per la conservazione durante il trasporto
I contenitori esterni per il trasporto devono recare un’etichetta che specifichi
− origine umana del tessuto destinato al trapianto
− identificazione del Centro di approvvigionamento (indirizzo, telefono)
− identificazione della Banca dei tessuti di destinazione (indirizzo, telefono)
− descrizione delle condizioni di trasporto e di conservazione da osservare
− per le donazioni autologhe riportare la dicitura “solo per uso autologo”
− codifica secondo Circolare Ministeriale n°3, 8 maggio 2003
152
Documentazione di accompagnamento:
I tessuti devono essere inviati alla Banca con la seguente documentazione:
- Verbale di prelievo
- dati identificativi del donatore con indicazione di chi ha identificato il soggetto
- descrizione tessuti inviati
- per il donatore a cuore fermo: data e ora di morte, modalità di conservazione del cadavere
(refrigerato, sì/no, ora eventuale refrigerazione)
- lotto/identificazione soluzione di conservazione dei tessuti
- dichiarazione sottoscritta dal medico responsabile della valutazione dell’idoneità del donatore
secondo le presenti linee guida che indichi l’assenza di criteri di esclusione dalla donazione, sulla
base dell’indagine anamnestica e dell’esame obiettivo
- risultati dei test sierologici se disponibili
- consenso alla donazione per le cornee e per i donatori viventi
Trasporto
Il trasporto deve avvenire in modo che siano assicurati sia l’integrità del contenitore, sia il
mantenimento di una temperatura di +2°C/+10°C, finché non vengono effettuate in Banca tutte le
procedure previste.
11. Chirurgia di banco e terza valutazione di idoneità
Il momento della chirurgia di banco è l’ultimo passaggio utile ai fini della sicurezza prima del
trapianto. Ogni chirurgo, prima di iniziare il trapianto, attua questa fase. Essa consente, soprattutto
nel caso di organi provenienti da altri centri di prelievo, di effettuare non solo la valutazione di
idoneità definitiva ma anche la correzione di eventuali anomalie anatomiche e/o ricostruzioni utili e
necessarie alla buona riuscita del trapianto stesso. Qualora il chirurgo responsabile del trapianto
avesse, in questa fase, dubbi sulla qualità dell’organo o peggio ancora dubbi sul rischio di
trasmissione di patologie dell’organo non riscontrate nelle fasi precedenti (neoformazioni sospette)
tali da mettere in discussione l’idoneità del donatore, il processo andrebbe sicuramente in crisi. Per
tale motivo è stata più volte richiamata l’utilità di procedere alla chirurgia di banco contestualmente
al prelievo o al massimo appena rientrati nella sede del trapianto.
12. Il trapianto
Il trapianto rimane ancora oggi una procedura chirurgica particolarmente impegnativa e complessa
che consiste generalmente nella rimozione di un organo irreversibilmente ammalato e la sua
sostituzione con un organo sano. Diciamo generalmente perché è quello che succede nella maggior
parte dei trapianti, ma non è infrequente l’impianto del nuovo organo come ausiliario a quello
nativo o come nel caso del trapianto del rene l’impianto dello stesso in sede diversa (eterotopica) da
quella naturale (il rene viene impiantato in fossa iliaca lasciando gli organi nativi del paziente nella
loro sede naturale).
Comunque ancora oggi viene considerato l’atto estremo della chirurgia sia da un punto di vista
tecnico, per l’elevata complessità della prestazione, sia da un punto di vista organizzativo, per la
necessità di disporre di numerose competenze specialistiche data la natura multifattoriale delle
patologie che con esso vengono trattate. E’ comunque il coronamento di un lungo percorso che ha
153
visto impegnate diverse figure professionali che si sono alternate nel processo di cura del paziente e
nell’assistenza del donatore. Rappresenta quindi un momento di grande responsabilità non solo del
chirurgo trapiantatore ma di tutto il sistema trapianti.
La durata chirurgica dell’intervento è diversa da trapianto a trapianto e varia dalle 2 alle 15 ore.
Vede impegnata non solo l’equipe di trapianto ma l’intera struttura dove essa ha sede. La fase che
precede il trapianto prevede la convocazione del o dei potenziali riceventi; la loro accoglienza; gli
approfondimenti clinici e diagnostici richiesti dall’intervento e la preparazione specifica per
l’intervento stesso. E’ quindi fondamentale avere la collaborazione di tutti i servizi interni alla
struttura (laboratori, servizi di diagnostica, consulenze specialistiche etc.). L’esigenza di adottare e
rispettare procedure organizzative codificate ed efficienti che ne possano assicurare un normale e
produttivo svolgimento risponde, quindi, ad una reale necessità.
Per quanto riguarda i trapianti d’organo abbiamo diverse leggi che regolano questo argomento.
La prima legge ad hoc, n. 235 del 3 aprile 1957, “Trapianti con l’uso di parti di cadavere”
consentiva solamente riscontri diagnostici ed autopsie e il prelievo di cornee e bulbo oculare.
In seguito, negli anni ’60, vari DPR hanno esteso l’elenco delle parti prelevabili da cadavere quali
ossa, cute, muscoli, tendini e vasi sanguigni.
La Legge n.644 del 2 dicembre 1975, è importante perché ha disciplinato la possibilità di
trapiantare quasi tutte le parti del corpo, compreso il cuore, escludendo dal prelievo l’encefalo e le
gonadi.
Il prelievo degli organi non è possibile nel caso in cui vi fosse un dissenso espresso in vita dal
defunto o espresso in forma scritta dai parenti fino al secondo grado.
In Italia la prima Legge per trapianti:
da vivente nel 1968 (trapianto di rene)
da cadavere nel 1975.
a) Trapianto da vivente
Barnad iniziò una sperimentazione di trapianto d’organo e fu lui che effettuò il primo trapianto di
cuore. Fu necessario, a questo punto, regolamentare il discorso trapianto.
La concezione di trapianto è qualcosa in evoluzione; il trapianto stesso è una tecnica in evoluzione,
una sperimentazione in atto e non può essere definito come una routine. Ogni trapianto è sempre in
evoluzione.
Il trapianto da vivente presuppone una menomazione di una persona che dona il suo organo o parti
di organo ad un’altra persona vivente. Questo era considerato reato perché non può esserci
menomazione senza ridurre parte dell'organismo. Quindi fu introdotto un concetto importante: solo
in certi casi e solo in certe condizioni può esserci menomazione.
Per qualsiasi tipo di trapianto l’équipe medica deve ottenere il consenso esplicito e formalizzato del
donatore, e ha il dovere di comunicare al potenziale soggetto tutte le informazioni esatte e complete
necessarie per ottenere un consenso adeguatamente informato; fornire al potenziale soggetto piena
opportunità e incoraggiamento a fare delle domande; richiedere il consenso solo dopo che il
potenziale soggetto abbia acquisito un’adeguata conoscenza dei rischi e delle difficoltà al quale può
154
andare incontro con il dono di un organo doppio, di parte del proprio fegato o tessuto; ottenere dal
donatore, come norma generale, un modulo firmato che attesti il suo consenso informato.
Per assicurare un esito favorevole al trapianto e per rispettare la libertà del ricevente è necessario
avere il consenso esplicito e formalizzato; dare il tempo necessario per maturare il consenso; tenere
conto del periodo di incertezze post-trapianto di natura psico-fisica.
Il soggetto che dona deve essere:
• Maggiorenne, capace di intendere e volere;
• Integro, sano;
• Consapevole delle conseguenze del donare un organo.
L’etica che è alla base di questo concetto è la scelta del donare per far vivere un'altra persona.
Il valore che deve essere sottinteso deve essere talmente elevato da giustificare la donazione
(gratuita); è il concetto della vita, il sacrificio del donatore nei confronti di un’altra persona. Deve
essere un dono gratuito. Deve essere un dono gratuito e non è accettabile alcuna compravendita (è
reato).
La Legge dice che in realtà la manipolazione del corpo è reato ma per fini specifici quali salvare la
vita a qualcuno è fattibile.
b) Trapianto da cadavere
Il discorso è diverso. Si pongono due condizioni fondamentali per avvenire il prelievo dell’organo:
1.l’accertamento della morte cerebrale;
2.il donatore abbia dichiarato il consenso durante la vita, o la famiglia post mortem.
Esistono diversi motivi fondamentali però che comportano interrogativi etici:
Carenza nella locazione degli organi;
Consenso (diminuzione permanente di un cadavere, do un consenso per ignoti, per una
persona che non conosco. Consento ad avere successivamente alla morte l’espianto di un
organo);
Morte (accertare la morte per poter proseguire all’espianto, accertare la morte cerebrale).
(Per quanto riguarda un minore, se c'è disaccordo tra i genitori non si procede all’espianto).
30.Punture esplorative: materiali, modalità, responsabilità, competenze.
Vengono effettuate per drenare all’esterno liquidi o aria presenti nelle cavità naturali. Posso essere
effettuate a scopo diagnostico o terapeutico. Sono procedure cruente e rappresentano un notevole
stress fisico e psichico per il paziente.
L’infermiere ha la responsabilità della preparazione del materiale occorrente e del paziente;
collabora con il medico durante l’esecuzione di tale procedura specialmente per quanto riguarda il
posizionamento del paziente e la successiva medicazione del punto d’inserzione dell’ago per la
puntura esplorativa ed inoltre deve porre particolare attenzione all’osservazione post esame per
cogliere tempestivamente i segni di possibili complicanze.
155
COMPITI SPECIFICI DELL’INFERMIERE
 Procurare il materiale necessario;
 Preparare il malato (preparazione fisica, psicologica e medico-legale);
 Preparare l’ambiente (stanza di degenza);
 Rilevare i parametri vitali prima, durante e dopo e annotarli nella cartella clinica;
 Porre il paziente nella posizione più idonea e aiutarlo a mantenerla;
 Collaborare col medico durante e dopo la procedura;
 Conservazione invio campioni in laboratorio;
 Riordinare il materiale;
 Controllare ad intervalli regolari per 24 ore il malato e segnalare tempestivamente qualsiasi
anomalia registrandola sulla c.c..
Apparato respiratorio
TORACENTESI: consiste nell’aspirazione di liquido pleurico nella cavità pleurica.
Scopi:

Diagnostico-esplorativo (coltura del liquido pleurico, esame istologico delle cellule presenti
ed esame del liquido:Ph, densità e proteine totali)

terapeutico-evacuativo (rimozione di liquido e istillazione di farmaci). Il liquido si può
creare per cause infettive, infiammatorie o neoplastiche.

Medicamentoso: istillazione farmaci come antibiotici o cortisonici.
La preparazione del paziente-prima consiste:
 Accertamento della presenza degli esami ematici, della radiografia del torace e del consenso
informato;

Indagare se il paziente riferisce allergie a farmaci ed anestetici.

Mantenere il paziente digiuno
 Somministrare un sedativo se prescritto.

Informare il pz sulla natura della procedura e sull’importanza di rimanere immobile, sulla
sensazione di pressione al torace che sentirà all’inizio della procedura

Posizione che dovrà assumere (seduto sul bordo del letto e le braccia e la testa appoggiati su
un cuscino posto su un tavolino, seduto inversamente su una sedia e con le braccia e la testa
appoggiate su un cuscino posto sullo schienale oppure sdraiato sul letto sul lato sano).
Preparazione del materiale occorrente:
servitore con telino sterile come base;
capsula sterile con disinfettante;
anestetico;
siringhe ed aghi di vario calibro;
sistema di drenaggio con busta;
156
guanti sterili e garze sterili;
carrello con materiale per medicazione;
provette e buoni;
sfigmomanometro e fonendoscopio;
calice graduato e contenitori per rifiuti speciali e per aghi.
Procedura :
 Rassicurare il paziente prima e durante la procedura (preparare il paz alla sensazione di
freddo causata dall’anestetico locale e alla sensazione di pressione al momento della
puntura, incoraggiare il paziente a trattenersi dal tossire).
 Scoprire il torace, porre il servitore ed il carrello vicino al malato.
 Disinfezione e anestetico topico e locale
 Il medico pungerà una zona messa in evidenza dalla radiografia del torace e dalla
percussione (zona di ottusità)
 Una volta inserito l’ago da toracentesi si applica un set da toracentesi (derivazione con
rubinetto a tre vie e sacca di drenaggio) oppure una siringa da 50 ml cono luer-lock oppure
un rubinetto connesso ad un deflussore che viene posto in basso nel cilindro graduato a
seconda delle indicazioni del medico che esegue la procedura.

Secondo indicazione medica alcuni campioni di liquido pleurico vengono inviati per gli
esami richiesti.
 Una volta tolto l’ago deve essere eseguita una medicazione sterile.

Predisporre per eseguire una radiografia del torace di controllo per valutare l’eventuale
miglioramento del versamento pleurico e l’assenza di pneumotorace.
 Consigliare il paziente a rimanere a letto per almeno 2 ore dopo la varietà, registrare
l’avvenuta procedura (data e ora, quantità di liquido drenato, aspetto e colore).
 Monitorare i parametri vitali e mantenere il paziente in osservazione per vertigini, tosse,
presenza di muco schiumoso e tinto di sangue e segni di ipossia.
Se il liquidio è Trasudato le pleure sono sane le cause possono essere: scompenso cardiaco,cirrosi
epatica, sondrome nefrosica.
Se è Essudato vuol dire che ci può essere un'infezione,embolia o infarto polmonare,ascesso
superficiale,ect. Con sintomi come febbre,dolore,dispnea,tosse
Toracentesi terapeutica:
Scopo: rimozione
di una grossa quantità di liquido che può ostacolare la funzione
respiratoria del polmone (la quantità massima per ogni toracentesi è di 2 litri).
Materiale occorrente:
Guanti sterili, disinfettante (iodiopovidone), anestetico locale (etil cloruro e xilocaina al 2%),
arcella reniforme, tamponi sterili, forbici, cerotto (tipo fix), pinze sterili, provette e contenitori
sterili, brodi di coltura (per eventuali esami di laboratorio), fonendoscopio, sfigmomanometro,
traverse, incerate, set per toracentesi (aghi di vario calibro 14, 16, 18, 19, per una lunghezza di
80mm, busta di raccolta, tubo di drenaggio e rubinetto a tre vie con sistema di innesto Luer Lock
M/F, siringa
157
da 60ml). Per la preparazione della premedicazione al paziente atropina: 1⁄2 fiala im,
diazepam: 1⁄2 fiala im.
Condotta dell’infermiere:
• Si assicura che in cartella sia già presente il consenso informato alla procedura, in
caso contrario fà in modo di acquisirlo;
• spiega al paziente il tipo di esame che verrà eseguito, quali sono i benefici che né
potrà ricevere e quali le complicanze, ma soprattutto quali sono i vari momenti della
procedura. Un paziente informato delle varie fasi dell’esame è sicuramente un
paziente maggiormente predisposto alla collaborazione;
• informa il paziente sulla durata dell’esame;
• verifica che abbia effettuato esami emato-chimici e che i referti siano in cartella,
controlla eventuali valori anomali del tempo di coagulazione o piastrinopenia (P.T.
inferiore al 40%, piastrine inferiori a 40.000 mm3);
• controlla i parametri vitali e li annota in cartella (pressione arteriosa e frequenza cardiaca);
• esegue la premedicazione circa 30 minuti prima dell’esame;
• posiziona il paziente in modo adeguato (viene messo seduto con le gambe fuori dal letto
penzoloni, viene fatto abbracciare ad un cuscino ed abbassare il capo, per favorire
l’allargamento
dello spazio intercostale);
• scopre il paziente il minimo indispensabile;
• posiziona traverse monouso o incerate per evitare di sporcare più del necessario
sia il paziente che il letto;
• dopo l’individuazione del punto di introduzione dell’ago si passa alla disinfezione
del punto di iniezione (la disinfezione va fatta abbastanza ampia, questo per evitare che in
caso
di stillicidio dal punto di iniezione vi possa essere una infezione);
• prepara l’anestetico locale;
• il drenaggio del liquido viene eseguito con la siringa e tramite il rubinetto a tre vie
viene poi espulso nella busta di raccolta. Nel momento in cui l’ago viene introdotto il
rubinetto deve essere nella posizione da porre l’ago direttamente in comunicazione
con la sacca di raccolta (in caso che all’interno del cavo pleurico vi fosse una pressione
positiva, normalmente è negativa). Alla fine dell’esame, nel momento in cui l’ago viene
estratto, la siringa deve essere in aspirazione in modo da evitare una eventuale
penetrazione di aria e favorire quindi un pneumotorace.
• dopo che il liquido è stato prelevato, viene effettuata una medicazione compressiva
con tampone sterile e cerotto (tipo fix);
• il liquido prelevato per eventuali esami di laboratorio è quello contenuto nella prima
siringa, viene introdotto nei vari contenitori e provette, evitando troppe manovre, per
ridurre sia la contaminazioni dei campioni sia il pericolo di punture accidentali;
• vengono redatte le varie richieste di esame, sulle quali è opportuno far porre da
parte del medico il quesito diagnostico ed eventuali indicazioni e parametri
(temperatura, antibiotico terapia, alterazione di alcuni esami emato-chimici, ecc.);
158
• smaltisce correttamente il materiale utilizzato;
• il paziente va ricontrollato a distanza (se non insorgono complicanze nell’immediato o nel
post) monitorando ciclicamente la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la
eventuale comparsa di dolore, l’insorgenza di dispnea, affanno ecc.
Complicanze toracentesi:
■ ematoma locale,
■ pneumotorace,
■ lacerazione polmonare
Apparato cardiovascolare
PERICARDIOCENTESI:
Def: aspirazione di liquido dal sacco pericardio per evitare il tamponamento cardiaco
(dispnea,tosse,dolore).
E’ una procedura che viene solitamente svolta in condizioni di estrema urgenza.
Infermiere: assistenza prima, durante e dopo.La preparazione del paziente riguarda solamente le
manovre necessarie-prima:
■
posizionamento -seduto con un angolo di 45-60 gradi,
■
posizionare la linea venosa o accertarsi che sia pervia
■
applicare monitoraggio ecg e PA,
■
portatare vicino al letto del paziente tutto l’occorrente per la rianimazione
cardiopolmonare.
Materiale
Preparare un servitore sterile con capsula con disinfettate e capsula con sf,
siringhe ed aghi sterili,
ago da pericardiocentesi e sistema di raccolta (oppure rubinetto a tre vie e siringhe da 50
ml cono luer-lock da svuotare in un calice graduato),
garze sterili,
medicazioni sterili e guanti sterili.
Procedura
Il medico pungerà la zona interessata, di solito sotto controllo ecocardiografico o
elettrocardiografico previa disinfezione e somministrazione di anestetico. All’ago deve essere
raccordato il sistema di raccolta oppure il rubinetto a tra vie con la siringa da 50 ml, di solito la
sintomatologia del tamponamento (dispnea, dolore, ansia, tosse, distensione delle vene del collo e
sensazione di perdita di coscienza) regredisce velocemente mentre si esegue la procedura. Se la
quantità di liquido è notevole si può lasciare in cateterino per drenare il liquido residuo.
Il liquido poi può essere mandato in laboratorio per gli esami del caso (ricerca cellule tumorali,
coltura, analisi chimiche, conta differenziale).
Infermiere dopo: Poiché le complicanze possono essere gravi è necessario una attenta assistenza
post procedura e rilevare ritmo, pressione arteriosa,saturazione di O2 e TC.
Le possibili complicanze della pericardiocentesi sono
■
la puntura ventricolare o di una arteria coronaria,
159
■
■
■
aritmie anche mortali, lacerazioni pericardiche e pleuriche,
punture gastriche e
shock ipovolemico.
Apparato gastrointestinale
PARACENTESI:
Def: consiste nella rimozione di liquido ascitico dalla cavità peritoneale per mezzo di una
puntura praticata attraverso la parete addominale.
Ascite: l'ascite è la raccolta di liquido nella cavità peritoneale.
Liquido può essere:
 L'essudato è un liquido infiammatorio extravascolare con elevata concentrazione proteica (peso
specifico> 1,02) che si raccoglie nei tessuti del corpo sottoposti a un processo d'infiammazione.
 Il trasudato è una sostanza liquida derivata dal plasma per ultrafiltrazione; in sostanza si tratta di una
parte liquida del plasma che ha attraversato l'endotelio capillare di vasi normali o una membrana
semi-permeabile; in genere è caratterizzato da un'altra fluidità e da un basso contenuto di proteine,
cellule e detriti cellulari.
Prova di RIVALTA:
Quest'esame si usava per vedere se il liquido è di tipo essudato o trasudato.Si mettono 3 goccie di
acido acetico sul liquido, se si forma una nuvola di vapore significa che c'è presenza di proteinee
quindi è essudato.
Cause dei trasudati
 Cirrosi epatica -81%
 Epatopatia alcoolica - 65%
 Epatite virale- 10%
 criptogeniche - 6%
 Infarto - 3%
 Insufficienza Renale
 Ipertensione portale in corso di schistosomiasi epato-splenica
 Sindrome si Budd-Chiari o malfunzionamento veno-occlusivo
 Pericardite Costrittiva
 Malnutrizione
Cause degli essudati
 Cancro 10%
 Tubercolisi - 2%
 Pancreatite - 1%
La paracentesi un tempo usata frequentemente, oggi viene principalmente usata per l’esame
chimico fisico e colturale dello stesso.
Quando la quantità di liquido è imponente (4-6 lt) la paracentesi è la procedura più veloce ed
economica per drenarlo e viene di solito associata all’infusione endovenosa di albumina (favorisce
la risoluzione dell’edema inducendo il richiamo in circolo del liquido ascitico e di conseguenza la
sua eliminazione a livello renale).
Scopo: Diagnostico (eslorativo) e Terapeutico (evacuativo)
Prima
-Verificare che in cartella ci sia il consenso informato
-Rilevare i parametri vitali e la circonferenza addominale
160
-Descrivere la procedura, le eventuali sensazioni e i probabili effetti collaterali, informare sulla
limitazione delle attività.
-Invitare il paziente a svuotare la vescica.
-Preparare il materiale occorrente:
centimetro per misurare l'addome
servitore con disinfettante,
anestetico,
aghi di vario calibro,(ago di Verres)
siringhe,
rubinetto e deflussore,
recipiente di raccolta o sistema di raccordo con contenitore graduato,
provette sterili,
materiale per medicazione ed eventuale fascia per laparotomia,
contenitore per rifiuti taglienti, speciali ed urbani.
-Posizionare il paziente: se questi è in grado di stare seduto è opportuno fornire un appoggio per i
piedi altrimenti deve essere messo in decubito laterale leggermente spostato verso il bordo del letto
per facilitare al medico l’accesso alla sede della puntura.
-Misurare i parametri vitali e lasciare il manicotto della PA.
Durante
Disinfezione del punto di repere e infiltrazione di anestetico locale
Puntura per mezzo dell’ago a cui è stato raccordato il sistema di drenaggio (rubinetto e
deflussore o sistema di raccolta) e evacuazione del liquido. A seconda dello stato del
paziente il liquido viene drenato parzialmente o completamente.
Dopo aver tolto l’ago la zona viene protetta con una medicazione sterile e con l’eventuale
applicazione di una fascia da laparotomia da applicare quando è stata estratta una notevole
quantità di liquido per evitare lo shock.
Il liquido apparirà torbido.
Misurare e registrare il volume di liquido raccolto, descriverne l’aspetto, raccogliere i
campioni da inviare al laboratorio, misurare i parametri vitali e la circonferenza
addominale.
Dopo
Monitorare i parametri vitali
Controllare la medicazione (stillicidio o emorragia)
Rilevare precocemente segni di alterazioni dello stato mentale.
Misurare l'addome, per vedere la differenza tra prima e dopo
Le Complicanze sono rare: infezione,emorragia, shock ipovolemico, perforazioni
Sistema nervoso
PUNTURA LOMBARE o RACHICENTESI – (Ago di Laborde)
161
Def: Viene eseguita inserendo un ago nello spazio lombare subaracnoideo per estrarre liquido
cerebrospinale.
Lo scopo può essere diagnostico o terapeutico (ridurre la pressione del liquido cefalorachidiano o
introdurre farmaci). L’ago viene introdotto nello spazio tra la 3° e la 4° o tra la 4° e la 5° vertebra
lombare (il midollo spinale termina in genere all’altezza di L2, della 2°/3° vertebra lombare).
Prima della procedura
- Il paziente deve essere digiuno, svuotare la vescica.
- Controllo della documentazione clinica (consenso ed esami).
- Informazioni al paziente (sensazioni, complicanze).
Preparazione del materiale:
disinfettante,
anestetico locale,
aghi e siringhe di vario calibro,
provette o contenitori per il liquido,
sistema di drenaggio con rubinetto a tre vie,
materiale per medicazione.
Durante
 Posizionare il paziente in decubito laterale sul bordo del letto con la schiena rivolta al
medico e le gambe flesse al petto (tanto più si riesce a flettere le gambe, tanto più si mettono
in evidenza gli spazi per permettere una agevole entrata dell’ago) con un cuscino sotto la
testa e uno tra le gambe.
 L’infermiere aiuta il paziente a mantenere la posizione durante l’esame e lo invita a
rimanere fermo (puntura traumatica con sangue), a rilassarsi e lo informa di cosa sta facendo
il medico.
 Linfermiere ossereva il pz, la cute, prende i pararmtri vitali
 Il medico disinfetta il sito, mette un telino pretagliato ed inietta l’anestetico locale. Introduce
l’ago spinale raccordato alla siringa o al sistema di drenaggio nello spazio prescelto. Preleva
un campione di LCR o permette la fuoriuscita di una quantità di liquido o esegue una lettura
della pressione (test di Queckenstedt: comprimendo le giugulari su entrambi i lati del collo
la pressione dovrebbe aumentare, questo avviene molto rapidamente; un lento aumento o
una lenta diminuzione della pressione indica una compressione dei percorsi subaracnoidei
spinali).
 Con il Manometro di Cloude (provedura arcaica) si misura la pressione del liquido celebro
spinale.
 Al termine l’infermiere esegue una medicazione sterile a piatto ed invia le provette in
laboratorio.
Il LCR dovrebbe essere trasparente ed incolore, quando si presenta rosato indica la presenza di
lesioni traumatiche; talvolta in caso di PL particolarmente difficile il LCR può presentare
inizialmente tracce di sangue ma poi dovrebbe tornare trasparente. I campioni vengono inviati in
laboratorio per conta delle cellule, coltura e per la ricerca di glucosio e proteine.
Dopo
162



Il paziente deve rimanere a riposo prono per 3 ore,
monitorare i parametri vitali ed osservare il paziente.
Posizione supina senza cuscini.
L’emicrania è la complicazione più frequente (10-25%) e varia da una leggera ad una grave
emicrania può essere pulsante, bifrontale, occipitale, sorda e profonda, particolarmente
dolorosa con la stazione eretta; può insorgere subito o dopo alcuni giorni. La causa è dovuta
alla perdita di LCR sia immediata con la puntura, sia successiva (il LCR continua a defluire
verso i tessuti lungo il tragitto lasciato dall’ago per questo il paz deve stare prono dopo la
puntura); l’emicrania si attenua quando si riforma il LCR, ma è possibile combatterla con il
riposo a letto, la somministrazione di analgesici e liquidi. Dopo la PL i paz possono
mostrare rialzo della TC, mal di schiena o spasmi e rigidità nucale. Altre complicanze della
PL sono l’erniazione del contenuto spinale, ascessi, ematomi e meningiti.
Apparato muscolo-scheletrico
ARTROCENTESI:
consiste nell’aspirazione a livello di una articolazione di liquido a scopi diagnostici e terapeutici.
Spesso è associata ad artoscopia.
PUNTATO MIDOLLARE
Prelievo di una modesta quantità di midollo osseo, si osservano le cellule presenti, soprattutto
quelle produttrici dei componenti del sangue. Si introduce uno specifico ago nel canale midollare
osseo.
Le sedi più frequenti sono:
ADULTO
sterno, cresta iliaca
BAMBINO
cresta iliaca
LATTANTE
tibia
Apparato riproduttivo
AMNIOCENTESI
È una procedura che consente il prelievo transaddominale di liquido amniotico dalla cavità uterina,
x fare diagnosi prenatale. Soprattutto x diagnosticare la sindrome di Down, la fibrosicistica, il
ritardo mentale, distrofia muscolare di Ducheme,ect.
Si fa tra la 16-17 serttimana di gravidanza.
La gestante dovrà portare una copia del gruppo sanguigno. Dopo l'esame rimanere 30 min. Ferma e
informarla che x una settimana non deve fare sforzi perche la membrana si deve richiudere.
Villocentesi: prelievo di villi coriali x ottenere una mappa cromosomica del feto.
Funicolocentsi: prelievo di sangue fetale dal cordone ombelicale del feto in utero.
163
31.Gestione del paziente chirurgico: pre, intra e post.
Obiettivo: far raggiungere l'operando in sala op. nelle migliori condizioni generali possibili e
adeguatamente informato dall'equipe sull'atto chirurgico, sull'anestesia e sull'assistenza
infermieristica.
Le fasi sono 3: pre-intra e post-operatoria.
La fase pre operatoria è la fase di preparazione del paziente all’intervento chirurgico, ha lo scopo
di far arrivare il paziente all’intervento nelle migliori condizioni possibili.
Obiettivi pre:
164
ridurre al minimo i rischi di incidenti, infezioni e complicanze sia intra che post-operatorie;
 Favorire il massimo recupero dell'integrità psico-fisica dell'operato nel più breve possibile, col
minimo dispendio di risorse umane e tecniche e utilizzando la collaborazione del malato e dei
suoi familiari al piano di cure e assistenza.
Preparazione pre-operatoria,avremo quindi:
preparazione psicologica,es.riduzione dell’ansia;
preparazione farmacologica: Antibiotici(prevenire infezioni), Anticoagulanti(prevenire
tromboembolie(l'ansiano è a rischio di embolia polmonare)),Sedativi e Vagoliti(ridurre
stress pre-operatorio e prevenire crisi vagali);
prima di salire in camera op.somministrazione pre- anestesia sublinguale;
tricotomia: ridurre il rischio di infezioni
bagno di pulizia da effettuare la mattina stessa dell’intervento: x ridurre la carica
microbica;
controllo del consenso informato;
controllo della corretta sospensione della terapia farmacologica come anticoagulanti orali;
controllo di un adeguata e tempestiva sospensione dell’alimentazione, per impedire
es.inalazione di materiale;
lassativi x os. E enteroclismi la sera prima;
svuotamento intestinale;
far togliere eventuali protesi mobili, oro e smalto;
inserire catetere vescicale se necessario;
compilazione cartella pre-operatoria;
educazione sanitaria: esercizi x il respiro,es.per gli arti inferiori x la circolazione,controllo
cognitivo (immaginazione);
preparazione documentazione clinica.
Consenso Informato: è responsabilità dell'infermiere assicurasi che il “consenso informato”
all'intervento, all'anestesia, cosi come a tutte le procedure diagnostico-terapeutiche cruente, invasive
e rischiose per l'organismo, sia stato fornito per iscritto, spontaneamente dall'operando
maggiorenne, cosciente e in grado di comprendere.
Prima che venga firmato l'equipe deve comunicare in termini chiari e comprensibili informazioni
circa il contenuto e le implicazioni dell'intervento, complicanze possibili ed eventuali rischi
specifici, tutte le possibili alternative. Sempre l'equipe deve altresì informare su deturpazioni,
invalidità, e asportazioni di parti del corpo e anche sulle caratteristiche del decorso post-operatorio.

La fase intra operatoria è la fase che avviene in sala operatoria, dove viene somministrata
l’anestesia ed avremo l’esecuzione dell’intervento chirurgico.
L’assistenza infermieristica inizia nel momento in cui il pz entra in sala e termina nella zona
risveglio.
Nella sala sono presenti 2 o 3 infermieri:
1.infermiere di sala;
2.strumentista;
3.infermiere di anestesia;
165
Non tutte le sale operatorie però hanno questa terza figura che molto spesso è assolta
dall’infermiere di sala.
L’infermiere di sala:
1.organizza e prepara la sala prima dell’operazione controllando tutta l’attrezzatura e se questa
funziona ad esempio il defibrillatore;
2.controllo della cartella clinica e del consenso informato firmato;
3.aiutare il paziente posizionarsi sul tavolo operatorio e far assume nere la posizione idonea
all’intervento;
4.aiutare l’anestesista;
La fase post operatoria inizia con il trasferimento del paziente dalla sala operatoria al reparto di
appartenenza.
In tal caso il compito dell’infermiere:
 controllare la pervietà o comunque la presenza di un accesso venoso altrimenti prepararsi a
reperirne uno nuovo,
 somministrare liquidi e farmaci tra cui analgesici sotto prescrizione medica,

controllare se la ferita chirurgica è ben coperta
 controllare drenaggi;
 misurare i parametri vitali ogni 15 20 minuti
 mantenimento posizione adeguata,
 controllo diuresi,
 Riposo del pz.
Complicanze post:
 Shock: ipotensione,tachipnea, pallore,emorragia, minorHb;
 Emorragia
 Trombosi venosa profonda
 Embolia polmonare( il trombosi stacca, l'embolo dalla vena femorale va alla vena cava inf.
Arriva al cuore e va nei polmoni)
 Complicanze respiratorie: Atelettasia (occlusione di un ramo bronchiale), Bronchite,
Polmonite lobare, Pleurite;
 Ritenzione Urinaria: soprattutto x chi a subito int. Al colon, retto,ano,basso addome.
Complicanze Gastrointestinali: Occlusione Intestinale nel 3-4 gg dall'int. (ostruzione del
flusso enterico per attorcigliamento di un ansa), Ileo Paralitico (blocco della peristalsi per
infiammazione), Ileo Meccanico(chiusura di un ansa,non c'è passaggio di gas e feci,vomito
fecaloide)
Gli interventi chirurgici possono essere:

Facoltativo: è scelto dal pz, la scelta dei tempi sono del pz;

Elezione: il pz deve essere operato, sta in lista d'attesa;

Necessità: l'intervento è necessario, entro qlc settimana;

Urgenza: attenzione va operato entro 24-48 h;
166

Emergenza (rischio di vita immediato): sollecita attenzione, operazione immediata.
Interventi chirurgici, dipende dalla zona:

Puliti, es. tiroide;sono interventi elettivi (chiusi in prima istanza),int. Non traumatici,senza
infiammazione;

Sporchi, es. ano; int.secondari a traumi in presenza di tessuto devitalizzato, corpi estranei,
perforazioni di visceri, processo infiammatorio acuto purulento.

Puliti-contaminatio;interventi a carico dell'app.respiratorio,gastroenterico e genito-urinario
con presenza di drenaggio meccanico;

Contaminati, es. duodeno; int. Secondari a ferite aperte, int. Sul tratto genito-urinario o
biliare in presenza di urine o bile, processso infiammatorio acuto.
Tipi di ricovero:
 Ordinario
 Urgente
 In Day Hospital
 Ambulatorio ospedaliero
 Ambulatorio Chirirgico territoriale
Fattori di rischio per qls intervento:
 Fattori sistemici: ipovolemia, disidratazione, età, peso corporeo,infezioni;
 Patologie polmonari, Renali e Epatiche;
 Gravidanza: riduzione delle riserve fisiologiche materne;
 Patologie Cardiovascolari: coronaropatia,aritmie,insufficienza cardiaca, ipertensione;
 Disfunzioni Endocrine: diabete mellito, patologie surrenaliche, disfunzioni tiroide.
Documentazione clinica in chirurgia:
 ECG
 Rx toracentesiEs. Emocromocitometrico con formula leucocitaria
 Es. chimico del sangue (glicemia,azotemia,elettroliti)
 Es chimico delle urine
 Colinesterasi, assenza di qst enzima rende i muscoli più sensibili all'anestesia e cosi può
portare paralisi (es.infarto miocardico o paralisi dell'app.respiratorio che porta alla
ventilazione meccanica)
 Gruppo sanguigno
 Prove coagulabilità(tap)
 Anamnesi ed esame obiettivo
 Test microbiologici(epatite)
 Consensi informati all'anestesia e all'intervento.
167
32.Gestione del paziente terminale nella struttura istituzionale e a domicilio.
Def. Un paziente si considera in fase terminale quando affetto da una patologia oncologica o non, in
fase evolutiva e irreversibile definita dai seguenti criteri contemporaneamente presenti:
criterio terapeutico: assenza o esaurimento dei possibili trattamenti specifici
criterio sintomatico: presenza di sintomi invalidanti
criterio evolutivo o temporale: rapida evolutività della malattia che porti a morte in genere entro
tre mesi.
Pazienti terminali:
pz oncologico;
malattie neurodegenerative;
168
AIDS;
SLA;
stato vegetativo;
cardiopatie;
pneumopatie.
Le Cure Palliative sono la cura attiva, globale e multidisciplinare dei pazienti affetti da malattia che
non risponde più a trattamenti specifici e di cui la morte è diretta conseguenza. Il controllo del
dolore, degli altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e spirituali è di fondamentale
importanza.
Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per i
pazienti e le loro famiglie.
Insieme alle cure palliative si attua la Terapia del Dolore poiché il dolore fisico è quasi sempre il
più presente in questa fase.
Nella definizione delle Cure Palliative dell’OMS vengono indicati alcuni principi generali di grande
rilevanza:
DEFINIZIONE DI CURE PALLIATIVE
Affermano la vita e considerano il morire come un evento naturale
Non accelerano nè ritardano la morte
Provvedono al sollievo del dolore e degli altri sintomi
Integrano gli aspetti psicologi, sociali e spirituali dell’assistenza
Offrono un sistema di supporto per aiutare i pazienti a vivere il più attivamente possibile fino alla
morte
Offrono un sistema di supporto per aiutare la famiglia durante la malattia e il lutto
La complessità delle richieste terapeutiche fatte dal malato terminale, rende evidente che nessuna
professione è in grado da sola di dare risposte adeguate; infatti sarà necessario un contributo olistico
di varie professioni per garantire un assistenza adeguata e personalizzata.
Un ruolo sicuramente fondamentale è dato dai familiari , il quale diventa insostituibile
nell’accompagnamento del morente lungo l’ultimo tratto delle sua esistenza. In questo caso è
necessaria da parte dell’infermiere un adeguata comunicazione e un adeguato supporto psicologico.
Le cure palliative servono per migliorare gli ultimi istanti di vita del paziente, e si estende così un
infinità di trattamenti che vanno dal supporto psicologico, supporto nutrizionale, terapia del dolore
che è fondamentale, l’assistenza alla persona con le cure igieniche la prevenzione di decubiti….etc.
I luoghi per fronteggiare tale assistenza possono essere principalmente di due tipi:
istituzionale (ospedale o hospice);
domiciliare;
L’ospedale è tendenzialmente orientato verso la lotta ad oltranza verso la malattia un alternativa
extraospedaliera che offre soluzioni di assistenza continuativa è sicuramente l’hospice il quale offre
la necessità di conciliare un ottima assistenza infermieristica e medica, le tecnologie con il confort
di un ambiente con caratteristiche simili a quelle di una casa, il quale offre ai familiari di rimanere
vicini ai loro malati.
169
La propria casa rappresenta il luogo, ovviamente, più gradito dal malato, però non sempre è
possibile garantire cure adeguate, e infatti per questo si preferisce il ricovero presso un istituzione
sanitaria come l'hospice (ostello).
La scelta relativa al luogo è frutto di una serie complessa di valutazioni di natura clinica,
organizzativa ed economica, che hanno come presupposto la volontà dell’assistito e dei suoi
familiari.
Assistenza infermieristica spazia molto tra competenze relazionali come la comunicazione del pz e
con la famiglia e qll tecniche come trasfusioni di sangue,parametri vitali ,somministrazione
farmaci,ect.
L'infermiere opera o in strutture apposite come l'hospice dove interviene in equipe in una struttura
organizzata oppure a domicilio.L'infermiere interviene da solo a casa della persona malata.Ogni pz
ha un suo programma individulae o nella struttura o a domicilio.
Interventi Psicologici:
 Depressione
La maggior parte dei pazienti terminali presenta alcuni sintomi depressivi. Un paziente può avere
molti rimpianti sulla propria vita, mentre un altro può essere preoccupato per problemi legali,
sociali o finanziari. L'approccio migliore e più semplice è garantire un supporto psicologico e
permettere al paziente di esprimere le preoccupazioni e i sentimenti.
Aiutare il paziente e la famiglia a sistemare ogni problema non risolto può ridurre l'ansia.
L'infermiere puo aiutare a far superare i conflitti che allontanano il paziente dai membri della
famiglia.
Gli antidepressivi devono essere provati nei pazienti che hanno una depressione persistente,
clinicamente significativa.
Stress
L'avvicinarsi della morte è molto angosciante quando essa è inaspettata o quando i conflitti
interpersonali impediscono al paziente e alla famiglia di condividere insieme i loro ultimi momenti.
Tali conflitti possono portare a un eccessivo incolparsi o a un'incapacità di rattristarsi tra i
sopravvissuti e possono angosciare il paziente. Costui può avere un'immagine alterata del corpo e
una perdita di autostima, timori di abbandono e di separazione, ansie e sentimenti di disperazione.
Un membro della famiglia che sta assistendo un paziente terminale a casa può anche presentare
stress fisico e psichico. Solitamente, lo stress nei pazienti e nelle famiglie è meglio trattato con la
compassione, le informazioni, i consigli e anche con una breve psicoterapia. I sedativi devono
essere utilizzati limitatamente e brevemente.
Quando un coniuge muore, il sopravvissuto può essere oppresso dal prendere decisioni sui problemi
legali o finanziari o dal gestire la famiglia. In una coppia di anziani, la morte di un coniuge può
svelare una compromissione cognitiva nel sopravvissuto che il coniuge deceduto aveva
compensato. Lo stress è maggiore se gli amici o gli altri membri della famiglia non forniscono
alcun supporto. I medici devono identificare tali situazioni ad alto rischio in modo tale che essi
possano mobilitare le risorse necessarie per prevenire sofferenze e disfunzioni eccessive.
I pazienti terminali spesso hanno bisogni spirituali che devono essere identificati, riconosciuti e
indirizzati.
Gli infermieri che lavorano in un reparto di lungodegenza non sembrano avvertire lo stesso grado
di esasperazione di quelli che lavorano in reparti come l'oncologia o l'ICU. Tuttavia, i membri dello
staff possono diventare così coinvolti con il paziente o la famiglia da rattristarsi con loro. Questo
coinvolgimento stressante può essere mitigato da un ambiente di lavoro addestrato o da un gruppo

170
di supporto allo staff che si incontra regolarmente per condividere le risposte da dare ai pazienti
terminali e alle loro famiglie. I medici e il personale che lavorano in ambienti meno di supporto
possono aver bisogno di costituire gruppi di supporto simili e di trovare fonti di informazione.
 Afflizione
L'afflizione è un normale processo che solitamente inizia prima di una morte anticipata. Per il
paziente, essa spesso inizia con il rifiuto provocato dai timori della perdita di controllo, della
separazione, della sofferenza, del futuro incerto e della perdita di sé.
Lo staff può aiutare i pazienti ad accettare la loro prognosi ascoltando le loro preoccupazioni,
aiutandoli a capire che essi possono mantenere il controllo, spiegando come peggiorerà la malattia e
come sopraggiungerà la morte e assicurandoli sul fatto che i loro sintomi fisici saranno controllati.
La famiglia può anche aver bisogno di supporto nell'esprimere il cordoglio. Ciascun membro
dell'equipe di assistenza sanitaria che sia venuto a conoscenza del paziente e della famiglia può
aiutare loro attraverso questo processo e indirizzarli ai servizi professionali se necessario. I medici e
le altre figure professionali devono sviluppare procedure regolari che assicurino il prosieguo ai
familiari sofferenti.
I Sintomi Principali e come intervenire
La sofferenza fisica e mentale è frequente nei malati terminali. I pazienti comunemente temono che
la loro sofferenza sarà prolungata e che nessuno la controllerà. Il sollievo dal disagio permette al
paziente di vivere il più pienamente possibile e di mettere a fuoco gli aspetti unici presentati
dall'avvento della morte.
Il controllo dei sintomi è migliore se basato sull'eziologia. Per esempio, il vomito dovuto
all'ipercalcemia viene trattato differentemente da quello dovuto all'aumento della pressione
endocranica. Tuttavia, diagnosticare la causa di un sintomo dipende dal peso e dall'utilità di un test.
Talvolta è preferibile un trattamento non specifico o un tentativo di più trattamenti in
sequenza.Poiché un sintomo può avere molte cause e può rispondere differentemente alla terapia nel
momento in cui le condizioni del paziente si deteriorano, i trattamenti devono essere strettamente
monitorati e ripetutamente rivalutati. Deve essere evitato il sovradosaggio o il sottodosaggio dei
farmaci, soprattutto quando le disposizioni farmacologiche cambiano a causa della malattia.
Quando la sopravvivenza attesa è breve, la gravità dei sintomi detta frequentemente il trattamento
iniziale. Talvolta, il timore che un sintomo peggiori può essere più disabilitante del sintomo stesso e
la rassicurazione sulla disponibilità del trattamento efficace può rappresentare tutto ciò di cui il
paziente ha bisogno. Altre volte, un sintomo è così grave e le alternative diagnostiche sono così
aspecifiche, che è indicata l'immediata soppressione del sintomo.
Per il paziente moribondo, le misure di conforto, compresi brevi tentativi empirici di trattamento,
sono spesso migliori di un programma diagnostico esauriente.
Dolore
Un dolore grave colpisce circa la metà dei pazienti con cancro in fase terminale, la metà dei quali
non raggiunge mai un sollievo adeguato. Un dolore grave è anche comune nei pazienti che muoiono
per scompenso a carico di un sistema e per demenza. Solitamente il dolore persiste non perché non
può essere ben controllato, ma perché i pazienti, le famiglie e i medici hanno idee sbagliate sul
dolore e sui farmaci, soprattutto sugli oppiacei, che possono controllarlo.
I pazienti avvertono il dolore differentemente, in base a certi fattori quali l'affaticamento, l'insonnia,
l'ansia, la depressione e la nausea. L'individuazione di questi fattori unitamente a un ambiente di
supporto può aiutare a controllare il dolore.
Farmaci frequentemente utilizzati sono l'aspirina, l'acetaminofene o i FANS per il dolore lieve; la
codeina o l'ossicodone per il dolore moderato e l'idromorfone o la morfina per il dolore grave. .
171
Analgesici oppiacei: nelle malattie terminali, la somministrazione orale di oppiacei è la via più
comoda e con il miglior rapporto costo-efficacia. La somministrazione rettale determina un
assorbimento più lento, ma con un effetto molto piccolo di primo passaggio; le supposte o le pillole
di morfina possono essere date per via rettale alla stessa dose di quelle usate per via orale e dosate
come necessario. La somministrazione di oppiacei EV o SC viene preferita alle iniezioni IM, che
sono dolorose e presentano un assorbimento variabile. L'intervallo tra i dosaggi che solitamente si
dimostra efficace per gli analgesici oppiacei è di 3-4 h, a eccezione che per le preparazioni a lunga
azione. È opportuno somministrare gli oppiacei a tutte le ore per evitare l'insorgenza del dolore.
Quando gli oppiacei sono indicati, il medico deve prescriverli con fiducia, alle giuste dosi e su una
base di continuità per prevenire il dolore.
La morfina è l'oppiaceo più frequentemente utilizzato nelle malattie terminali. I possibili effetti
collaterali comprendono la nausea, la sedazione e la confusione. La stipsi deve essere trattata in
maniera profilattica
L'idromorfone è circa cinque volte più potente della morfina e può essere somministrato in una
soluzione più concentrata (fino a 100mg/ml), permettendo dosaggi più opportuni in un paziente che
riceve un'infusione SC continua.
Il fentanile è l'unico oppiaceo somministrato per via topica attraverso un cerotto che rilascia
l'oppiaceo in maniera costante per circa 72 h e poi viene sostituito. Sono necessarie almeno 24h per
raggiungere l'analgesia massimale e la dose non deve essere incrementata per almeno 3giorni.
La meperidina non è raccomandata per la gestione del dolore persistente, poiché è a breve azione,
non fornisce livelli costanti di analgesia e produce un metabolita tossico che causa psicosi e
ipereccitabilità del SNC a dosi relativamente basse.
Analgesici adiuvanti: l'uso di farmaci aggiuntivi per il controllo del dolore spesso permette la
riduzione del dosaggio dell'oppiaceo. I corticosteroidi sono ampiamente utilizzati nelle malattie in
fase terminale per ridurre il dolore dell'infiammazione e degli edemi. Gli antidepressivi triciclici
come l'amitriptilina, la nortriptilina e la doxepina aiutano a gestire il dolore. Gli anticonvulsivanti
come il valproato, la carbamazepina e, recentemente, la gabapentina si sono dimostrati utili
complementi, soprattutto per la gestione del dolore da neuropatie. Le benzodiazepine sono utili per i
pazienti il cui dolore viene aggravato dalla loro ansia.
Anestetici: per il dolore grave in regioni localizzate del corpo, un anestesista esperto nella terapia
del dolore può fornire sollievo con pochi effetti avversi. I cateteri epidurali o intratecali a
permanenza possono essere collocati per garantire una infusione continua di analgesici, spesso
frammisti ai farmaci anestetici.
Trattamenti non farmacologici: le tecniche per la modificazione del dolore, come l'immaginazione
mentale guidata, l'ipnosi e il rilassamento, sono utili per alcuni pazienti. Consigli per lo stress e
l'ansia o il supporto spirituale di un cappellano possono essere utili.
Dispnea
Uno dei sintomi più temuti, e probabilmente il più angosciante per un paziente moribondo, la
dispnea presenta diverse cause che possono essere trattate. Per esempio, gli antibiotici per le
polmoniti o la toracentesi per un versamento pleurico possono essere appropriati. Tali misure non
sono necessarie, tuttavia, per il benessere di un paziente in procinto di morte. Indipendentemente
dalla causa della dispnea, il paziente può essere messo a proprio agio senza misure invasive o
aggressive.
L'ossigeno è inizialmente utile per correggere l'ipossiemia ed è solitamente più confortevole quando
ricevuto mediante cannula nasale. Anche quando non sia più di beneficio certo, l'ossigeno può
continuare a essere psicologicamente confortante per il paziente e la famiglia.
172
Anoressia
L'anoressia e la perdita di peso marcata sono frequenti nei pazienti terminali.
La famiglia spesso ha difficoltà ad accettare lo scarso introito orale del paziente, poiché accettare il
rifiuto di mangiare da parte di una persona amata equivale ad accettare la sua morte. Devono essere
individuate le condizioni facilmente trattabili che potrebbero essere causa di scarso introito-gastrite,
stipsi, candidosi orale, dolore e nausea. Alcuni pazienti beneficiano di agenti stimolanti l'appetito,
come i corticosteroidi (desametasone 2mg o prednisone 10mg tid) o di megestrol. Tuttavia, se un
paziente è prossimo alla morte, la famiglia deve essere informata che né il cibo né l'idratazione sono
necessarie per mantenere il benessere del paziente.
Alla famiglia deve essere detto con molto tatto che il paziente sta morendo e che il cibo non può
incrementare la sua forza o ritardare la morte. Alle famiglie devono essere date raccomandazioni
concrete, come l'uso di cibi preferiti, di piccole porzioni e di cibi facili da deglutire. La famiglia
deve anche essere aiutata a utilizzare altre vie per dimostrare la loro cura e il loro amore e deve
essere rassicurata sul fatto che il paziente non soffrirà se avrà un introito alimentare modesto o
nullo.
Anche i pazienti debilitati e cachettici possono vivere per diverse settimane dopo la sospensione di
tutti i cibi e dell'idratazione. Le famiglie devono essere avvertite del fatto che l'interruzione dei
liquidi non determinerà l'immediato decesso del paziente. L'assistenza di supporto è obbligatoria per
il benessere del paziente durante questo periodo. Tale assistenza comprende una buona igiene orale
(spazzolare i denti, tamponare la cavità orale, applicare protezioni per le labbra e fornire pezzetti di
ghiaccio per la bocca secca). Garantire l'igiene orale può anche dare ai membri della famiglia un
ruolo prezioso nell'assistenza del paziente terminale.
Nausea e Vomito
Molti pazienti gravemente malati avvertono nausea, frequentemente senza vomito. I fattori che
contribuiscono alla nausea comprendono i problemi gastrointestinali come la stipsi e la gastrite; le
anomalie metaboliche tipo l'ipercalcemia e l'uremia; gli effetti collaterali dei farmaci; l'aumento
della pressione endocranica secondaria a neoplasie cerebrali e lo stress psicosociale. Il trattamento
deve essere guidato dall'eziologia probabile, come l'interruzione dei FANS e la somministrazione di
antagonistiH2 in un paziente con gastrite. Viceversa, un paziente con metastasi cerebrale nota o
sospetta può avere nausea dovuta all'aumento della pressione endocranica ed è meglio trattata
mediante un tentativo con corticosteroidi. La metoclopramide, PO o SC, è utile per la nausea
causata da distensione e reflusso gastrico, dal momento che essa incrementa il tono e le contrazioni
gastriche mentre rilassa lo sfintere pilorico.
La nausea e il dolore da occlusione intestinale maligna sono frequenti nei pazienti con estensione
addominale del cancro. Per il trattamento in lungodegenza generalmente si evita l'uso di liquidi EV
e di suzione nasogastrica.
Stipsi
La stipsi è frequente nei pazienti terminali a causa dell'inattività, dei farmaci oppiacei e
anticolinergici e del ridotto introito di liquidi e di fibre nella dieta. I lassativi aiutano a prevenire il
fecaloma, soprattutto in coloro che ricevono oppiacei e tutti i pazienti devono essere interrogati
sulle loro abitudini intestinali.
Piaghe da Decubito
Molti pazienti terminali sono immobilizzati, scarsamente nutriti e cachettici e pertanto ad alto
rischio di sviluppare piaghe da decubito. La prevenzione richiede l'alleggerimento della pressione
facendo girare nel letto il paziente ogni h, utilizzando materassi particolari o un letto a sospensione
d'aria gonfiato continuamente. Un catetere urinario deve essere utilizzato come ultima risorsa;
173
solitamente, esso è giustificato solo quando il dolore si verifica con i cambi del letto o quando il
paziente o la famiglia esprimono una forte preferenza.
Confusione
Le modificazioni mentali che possono accompagnare lo stadio terminale della malattia possono
preoccupare sia il paziente che la famiglia, sebbene molti pazienti non siano consapevoli di esse. La
confusione è frequente e riconosce diverse cause, che includono farmaci, ipossia, disturbi
metabolici e patologie intrinseche del SNC. Se può essere determinata la causa, è indicato il
semplice trattamento, purché esso permetta al paziente di comunicare in maniera più significativa
con la famiglia e gli amici. Altrimenti, può essere meglio non trattare un paziente tranquillo e poco
consapevole delle circostanze. Quando possibile, il medico deve conoscere le preferenze del
paziente e della famiglia per condurre il trattamento.
HOSPICE
Stiamo parlando dell’hospice il modello più antico del mondo finalizzato all’assistenza del malato
terminale, quello per cui la medicina ufficiale “ha alzato le braccia” perché la terapia su di lui non
ha più efficacia.
Il nome trae origine dagli hospices (ostelli) che nel Medioevo erano usati come stazioni di
passaggio per i pellegrini diretti in lontani luoghi di culto religioso. I trasferimenti, che potevano
essere molto lunghi e impegnativi, risultavano faticosi soprattutto per le persone malate, la cui
morte, non improbabile durante il viaggio, avveniva proprio in questi ricoveri.
In Italia il riconoscimento ufficiale in materia di cure palliative è stato sancito con la legge 39 del
26 febbraio 1999 “Disposizioni per assicurare interventi urgenti di attivazione del Piano Sanitario
Nazionale 1998-2000” e con i decreti collegati: D.M. 28 settembre 1999 “Programma Nazionale per
la realizzazione di strutture per le cure palliative” e il DPCM del 20 gennaio 2000 “Atto di indirizzo
e coordinamento recante i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per i centri
residenziali di cure palliative”.
Le esperienze assistenziali, fondate sul modello dell’hospice inglese, hanno come propria filosofia
la sostituzione del principio della “cura come guarigione” con quello del “prendersi cura”
attraverso una relazione empatica e profonda, dove il malato possa trovare, unitamente alle cure
palliative, calore, sincerità e competenza per vivere al meglio l’ultimo tratto della sua storia.
Sono i pazienti affetti da patologie inguaribili nella fase terminale della malattia (principalmente
oncologici) che diventano utenti di questo servizio. La loro sofferenza parte da una malattia
organica, ma non manca di esprimersi a un livello che coinvolge tutta la persona, nelle sue
dimensioni fisiche, psicologiche, sociali, spirituali.
Spesso si evidenzia come i bisogni e il numero crescente delle persone in condizione di fragilità
abbiano comportato negli ultimi anni una costante revisione delle strategie di cura e assistenza: cure
domiciliari, ospedalizzazione domiciliare, centri residenziali e semiresidenziali.
L’hospice si inserisce come ulteriore anello complementare nella rete dei servizi quando le cure
all’interno dell’abitazione non rispondono più ai bisogni del malato, quando la medicina
tradizionale non riesce più a offrire terapie adatte ad alleviare le sofferenze del paziente, quando la
famiglia che assiste ha bisogno di sostegno, ecco che l’hospice diventa il luogo più simile
all’ambiente domestico per accogliere il malato che, insieme al trattamento del dolore, necessita
soprattutto umanità, ascolto e presa in carico della complessità della pena.
I servizi forniti da un’assistenza hospice possono essere riassunti nel modo seguente: ricovero, cure
sanitarie prevalentemente palliative, assistenza psicologica, sociale, spirituale, accompagnamento
174
del familiare nella rielaborazione del lutto, presenza di volontari, supporto domiciliare quando il
malato viene accolto per brevi periodi e poi dimesso.
Il numero dei pazienti è intorno alla decina. L’organizzazione del lavoro è in équipe e tutto il
personale ha una preparazione tecnica specializzata, nonché etica e psicologica. Il gruppo operante
è composto da medici palliatori, infermieri, operatori socio-sanitari, psicologo, assistente spirituale.
Esiste inoltre una particolare cura ambientale orientata a dare al paziente il massimo comfort:
camere singole con bagno dotate dei necessari impianti medicali e una poltrona-letto per il familiare
che desidera fermarsi durante la notte; mancanza di limitazione di orari alle visite; possibilità di
personalizzare la propria stanza. Gli spazi comuni comprendono una cucinetta/tisaneria, una sala
soggiorno/pranzo, un locale con bagno assistito, lo studio medico ambulatoriale, l’infermeria.
Il servizio è gratuito in quanto sostenuto dal sistema sanitario regionale.
Migliorare la qualità della vita che rimane è dunque la funzione principale dell’hospice. Il
riconoscimento della centralità del malato e il rispetto della sua autonomia decisionale sono anche i
principi fondanti della Carta dei diritti del morente redatta nel 1997 dallaFondazione Floriani, in
cui, fra gli altri, si fa specifico riferimento a non morire nell’isolamento e nella solitudine.
E’ quest’ultimo un rischio non infondato: in una società sempre più disarmata nei confronti della
morte e privata dall’appoggio delle tradizioni che un tempo sostenevano le tappe fondamentali
dell’esistenza, diventa difficile affrontare e condividere con il paziente il suo desiderio di sapere e le
sue angosce di morte.
Si arriva spesso a ignorare che il morente è soprattutto una persona ancora viva, una persona che
cerca di dare un senso alla propria esperienza e che può, se gliene viene offerta l’opportunità,
trasformare l’ultimo passo in un sigillo della vita stessa.
Occorre consentire al malato di esprimere i propri vissuti, le sue percezioni interiori, le sue
preoccupazioni, i suoi rimpianti, il suo desiderio di prendere commiato da ciò che ama.
Non è sicuramente un compito semplice, soprattutto per i famigliari, che nella maggior parte dei
casi si trovano impreparati a comprendere e affrontare il passaggio finale. Eppure il rapporto con i
propri cari ha un’influenza molto rilevante sullo stato del malato. Il tempo ultimo per il familiare
dovrebbe essere quindi quello dell’intimità, del ringraziamento, della condivisione,
dell’accettazione della presenza del limite: dove c’è il tempo per creare questo equilibrio, la fase
terminale diventa il “tempo del congedo” che dà forza sia al malato sia al congiunto.
Centralità del malato e, pertanto, centralità della sua famiglia. Anche su questo versante l’hospice
interviene: offre il sostegno al parente che deve svolgere la difficile prova di continuare a vivere
mentre il proprio caro lo sta lasciando per sempre e risponde alle sue domande.
Domande che sono bisogni: ricevere rassicurazioni sul fatto che il malato non stia soffrendo, essere
informato sulle sue reali condizioni, trovare il giusto modo di comunicare le proprie emozioni,
capire che non è importante quanto, ma come vivere questo immisurabile tempo insieme al proprio
caro.
Forse questo è poco di fronte alla disperazione del distacco ma, come scrive Marie De Hennezel nel
suo libro La morte amica:“Per quanto si voglia bene a qualcuno, non si può impedirgli di morire,
se tale è il suo destino. E nemmeno si può evitargli una certa sofferenza affettiva e spirituale, che fa
parte del morire di ogni persona. Si può soltanto impedire che questo tipo di sofferenza venga
vissuta nella solitudine e nell’abbandono, si può circondarla di umanità”.
175
Nel tempo che rimane breve, non è un risultato trascurabile.
ASSISTENZA DOMICILARE
L'assistenza domicilare è nei LEA pei il DPCM del 2001
Competenze infermieristiche
L'assistenza infermieristica che viene offerta a domicilio si rivolge sia al paziente sia a chi
quotidianamente lo assiste (badante - familiari). Il suo fine è di migliorare le condizioni di vita del
paziente assicurando nel contenpo una continua interazione con l'ambiente familiare. Questo tipo di
assistenza si basa sull'approccio cognitivo completo delle necessità non solo sanitarie dell'utente
associate a valutazioni dell'ambiente domiciliare, tenendo conto i limiti e opportunità che può
offrire l'entourage casalingo. L’infermiere domiciliare agisce non diversamente dai colleghi presenti
nei presidi sanitari e ha la responsabilità generale dell’Assistenza Infermieristica (pianificazione,
gestione, e valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico). Per le attività comprese nella
sfera di azione specifica ha piena autonomia tecnico funzionale. Le aree di intervento sono:
prevenzione, cura, riabilitazione ed educazione. Gli aspetti peculiari e la natura degli interventi
infermieristici sono: tecnici, relazioni ed educativi. L'infermiere a domicilio inoltre assicura la
corretta applicazione delle prescrizioni diagnostiche e terapeutiche.
Principali interventi infermieristici:
Valutazione tecnico professionale dei bisogni di assistenza infermieristica della persona in funzione
della gestione dell'utente a domicilio.
Pianificazione dell'assistenza infermieristica con definizione quantitativa, qualitativa e frequenza
degli interventi infermieristici.
Esecuzione e valutazione degl'interventi infermieristici domiciliari sia diretti ( assistenza,
educazione, relazione), che indiretti ( gestione organizzativa).
Le cure infermieristiche vengono svolte dal personale infermieristico dei Centri di Salute (CdS). Tra
i servizi infermieristici rientrano:







terapie parenterali
medicazioni;
prelievi per analisi di laboratorio
gestione dei cateteri vescicali e delle stomie;
gestione per la nutrizione artificiale;
clistere, svuotamenti rettali;
addestramento, educazione e supporto alla famiglia.
L'assistenza infermieristica domiciliare viene erogata tutti i giorni dell'anno in orario diurno,
mattina e pomeriggio, secondo il piano assistenziale concordato.
I principali problemi di competenza infermieristica in ambito domiciliare sono:
- interventi terapeutici complessi: terapia infusiva, terapia antalgica, nutrizione, artificiale, terapia
iniettiva.
- Situazioni assistenziali connessi alla gestione di stomie: urostomie, sondino naso gastrico, P.E.G.,
tracheostomie, stomie del tratto digerente.
- Situazioni di rischio di infezioni: presenza di presidi intravascolari (cateteri venosi centrali e
periferici), cateteri vescicali a permanenza, lesioni cutanee (ferite chirurgiche, lesioni vascolari e
neuropatiche, ustioni, lesioni da decubito).
176
- Situazioni di incontinenza (urinaria e/o fecale) e irregolarità dell'alvo.
- Situazioni di medio e alto rischio per l'insorgenza delle lesioni da decubito. Situazioni di rischio di
sindrome da immobilizzazione.
- Situazioni di carenza di informazione dell'utente e della sua famiglia.
- interventi educativi: educazione per la gestione buracratica delle pratiche assistenziali affidate alla
famiglia; educazione all'uso di presidi, ausili, e altri dispositivi in dotazione alla famiglia;
educazione alla corretta applicazione delle indicazioni terapeutiche e/o farmacologiche affidate alla
famiglia.
Accordo di competenze infermieristiche – normativa di riferimento
Dec: n. 739/1994 “ Profilo Professionale;
D.M.. U.R.S.T. 24/07/96 “Approvazione della tabella XVIII-ter recante gli ordinamenti didattici
universitari dei corsi di diploma universitario dell’area sanitaria..”;
Legge 42/99 “ Disposizioni in materia di professioni sanitarie”;
Codice Deontologico – febb. 1999;
Legge 251/2000 “ Disciplina delle professioni sanitarie Infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica";
Il punto di vista del sanitario
Mentre in ambito ospedaliero vi è una stratificazione netta delle mansioni del personale, ciò non
avviene in ambito domiciliare dove, data la complessità del lavoro, i confini di chi opera appaiono
sfumati. Al capezzale dell’assistito l’operatore sanitario si trova da solo, si espone in prima persona
affidandosi al proprio bagaglio tecnico,a volte con la consapevolezza di contare solo su sé stesso per
ciò che riguarda le proprie azioni e le relative responsabilità. Un ambiente, quello domiciliare, in cui
conta non solo la professionalità di chi opera, ma anche il rapporto che si instaura tra operatore
sanitario e paziente/nucleo familiare. Si devono non solo individuare i bisogni sanitari, ma anche
cogliere quei segnali, spesso celati, di malessere sociale, di conflittualità legate alla difficoltà di
relazione, nonché sforzarsi di interpretare le situazioni di ansietà. La difficoltà di chi lavora in
quest'area è anche di trovare una risoluzione immediata ed appropriatamente efficace a situazioni
che sovente lo coinvolgono e che compaiono senza un grado di prevedibilità; problemi, che data la
loro imprevedibilità, non possono essere regolamentati o codificati in anticipo.
Dopo la morte
Un medico, un infermiere o un'altra persona autorizzata devono eseguire la constatazione ufficiale
di morte il più rapidamente possibile per ridurre l'ansia e l'incertezza della famiglia. Le famiglie o
chi conduce i servizi funebri dovrebbero essere forniti di un certificato di morte appropriatamente
completato il più rapidamente possibile.
I medici, gli infermieri e gli altri operatori di assistenza sanitaria devono occuparsi dei bisogni
psicologici della famiglia e fornire consigli appropriati, un ambiente confortevole dove i membri
della famiglia possano rattristarsi insieme e un periodo adeguato perché essi stiano con il corpo. Gli
amici, i vicini e i preti possono essere disponibili per sostenere la famiglia. Gli operatori di
assistenza sanitaria devono essere consapevoli delle differenze culturali di comportamento al
momento della morte.
Il sistema di assistenza sanitaria deve assicurare il fatto che la morte non è derivata da un peccato.
Anche quando la morte è stata prevista, i medici possono avere la responsabilità di riferire il
177
decesso alle autorità o alla polizia.
Una discussione sull'autopsia può verificarsi sia prima che subito dopo il decesso. Le famiglie
possono avere forti sentimenti, sia a favore che contro di essa. La discussione sull'autopsia non deve
essere lasciata a un medico assistente o a un funzionario che non abbia avuto un precedente contatto
con la famiglia. Le discussioni sulla donazione degli organi, se appropriate, devono essere
intraprese prima del decesso o immediatamente dopo il decesso.
Il corpo non deve rappresentare un rischio per la salute pubblica, il che significa che se ne devono
occupare prontamente le persone autorizzate a fare ciò. Spesso, i comportamenti da adottare in caso
di morte consistono anche nel garantire la presenza di qualcuno (es., un infermiere o un volontario),
nel momento in cui la famiglia visita la salma per la prima volta, che offra aiuto nel reperire un
sacerdote o un servizio di pompe funebri e che rassicuri i congiunti del defunto circa il conforto
prestato al paziente negli ultimi momenti di vita. Questa persona cercherà di far capire alla famiglia
e a chi ha prestato assistenza al paziente che non avrebbero potuto fare nulla di più per lui e
programmerà degli incontri successivi nell'arco di alcune settimane con il parente più direttamente
colpito dalla morte del paziente, per rispondere a eventuali domande e per assicurarsi che si stia
verificando un corretto processo di accettazione della morte del congiunto. Le pratiche religiose
possono influenzare il modo con cui il corpo è curato e devono generalmente essere discusse con il
paziente o la famiglia o entrambi prima della morte.
33.Gestione del paziente sottoposto a ventilazione assistita: responsabilità, competenze
trattamenti
La ventilazione artificiale sostituisce o integra l'attività dei muscoli inspiratori fornendo l'energia
necessaria ad assicurare un adeguato volume di gas ai polmoni.
Nota anche come ventilazione meccanica, si divide in ventilazione assistita permamente e
ventilazione assistita temporanea. La prima viene generalmente realizzata mediante un sistema a
ventilazione negativa, grazie ad una camera d'aria che circonda il torace, come il cosiddetto
polmone d'acciaio e che viene ritmicamente resa a pressione negativa per permettere l'aspirazione
dell'aria nelle vie aree e nei polmoni.
La ventilazione artificiale temporanea si fonda sull'impiego di sistemi a pressione positiva come un
ventilatore oppure la ritmica compressione manuale di un serbatorio di aria arricchita in O2 come il
pallone di Ambu o un cosiddetto va e vieni collegati alle vie aeree del paziente.
Vista l'anatomia delle vie aeree che condividono il primo tratto con l'apparato digerente e le
circostanze nelle quali la ventilazione assistita viene impiegata (il paziente presenta solitamente una
178
diminuzione della vigilanza o del grado di coscienza), sono necessarie ulteriori misure per
assicurare l'agevole passaggio dell'aria nelle vie aeree ed evitare l'insufflazione di gas nello stomaco
ed il conseguente riflesso del vomito, che ha come temibile complicanza l'inalazione di materiale
solido o liquido nelle vie aeree e una sindrome da distress respiratorio ab ingestis.Tale tipo di
Ventilazione viene definita invasiva.
Di norma, l'isolamento delle vie aeree ed il collegamento diretto alla sorgente di pressione positiva
avviene mediante l'inserimento di una cannula nella laringe attraverso il naso o la bocca, oppure
attraverso una tracheostomia.
In altri casi è possibile ricorrere a semplici manovre sulle vie aeree oppure alla maschera laringea
che é un sostituto del tubo endotracheale. Se il paziente non necessita di protezione delle vie aeree e
non vi sono ostacoli al passaggio dell'aria è possibile la ventilazione artificiale non invasiva
La ventilazione artificiale è spesso un intervento salva-vita, ma non è privo di complicanze anche
gravi come lo pneumotorace, la lesione delle vie aeree o degli alveoli, e le polmonite infettiva.
Essendo il caposaldo della terapia intensiva, la ventilazione artificiale nel paziente critico e
totalmente dipendente dal supporto ventilatorio, pone notevoli problemi etici sull'opportunità di
ricorrervi in pazienti molto anziani, con malattie terminali o talmente gravi da configurare una
forma di accanimento terapeutico.
Macchine a pressione negativa
Il polmone d'acciaio,una sorta di cisterna, nella quale il paziente
è letteralmente rinchiuso fino al collo, laddove attraverso una
guaina di gomma, la testa sporge e le vie aeree vengono messe in
diretto contatto con l'aria dell'ambiente.
Mediante un mantice viene generata una depressione all'interno
della cisterna, la cassa toracica si espande e si determina una
depressione all'interno delle vie aeree del paziente e l'aria
ambiente, per differenza di pressione, entra nelle vie aeree e nei
polmoni. L'interruzione della funzione del mantice con il ritorno alla posizione di partenza permette
lo svuotamento passivo del polmone. Il polmone d'acciaio, quindi, non fa altro che riprodurre la
meccanica respiratoria, che si osserva in condizioni normali e che una miopatia ,una neuropatia un
rendono impossibile per l'insufficiente funzione dei muscoli della gabbia toracica. Uno dei grossi
problemi e rappresentato dal fatto che anche l'addome si trova nella cisterna e che di conseguenza
anch'esso si espande durante l'azione del mantice e raccoglie sangue, riducendo il riempimento
cardiaco. Nei pazienti in ipovolemia la pressione arteriosa.
Al giorno d'oggi, i sistemi a pressione negativa sono ancora in uso, e per lo più su pazienti con
insufficienza della muscolatura della gabbia toracica, come nella poliomelite. La macchina in uso è
più piccola ed è nota come corazza. La corazza è una vera e propria conchiglia, in grado di generare
una pressione negativa soltanto nella cassa toracica, grazie alla combinazione di una conchiglia, che
si adatta alla gabbia toracica, e di una camera d'aria. Visto il contatto con la cute e la tendenza e
deteriorarsi, sono stati osservati casi di lesioni cutanee. Negli ultimi anni è stato approntato un
rivestimento in policarbonato ed il dispositivo è stato inoltre dotato di una pompa che è in grado di
distendere e comprimere la gabbia toracica, generando, in questo modo, la cosiddettaventilazione
bifasica mediante corazza.
Macchine a pressione positiva
179
I moderni ventilatori a pressione positiva derivano dai dispositivi utilizzati nella seconda guerra
mondiale per assistere la ventilazione in quota dei piloti di aerei militari. Il ventilatore lavora
insufflando aria a pressione positiva nelle vie aeree del paziente. L'espirazione è permessa dal
ritorno della pressione del ventilatore al livello della pressione atmosferica e dal ritorno elastico dei
polmoni e della gabbia toracica.
Indicazioni all'utilizzo della ventilazione artificiale
La ventilazione artificiale è indicata negli interventi chirurgici che prevedano la curarizzazione del
paziente con conseguente paralisi muscolare e nel momento in cui la respirazione spontanea del
paziente non è in grado di mantenere le funzioni vitali.
Le patologie che vengono trattate con la ventilazione artificiale sono:
danno polmonare acuto (inclusa la ARDS, ed il trauma)
Apnea da arresto respiratorio, compresi i casi da intossicazione
malattie polmonari croniche riacutizzate
acidosi respiratoria acuta con pressione parziale di anidride carbonica (pCO2) > 50 mmHg
e pH < 7.25,
paralisi del diaframma da sindrome di Guillain-Barré, Miastenia Gravis, crisi acute di
distrofia muscolare o sclerosi laterale amiotrofica, lesione del midollo spinale, oppure
effetto di anestetici o farmaci miorilassanti
aumento del lavoro dei muscoli respiratori, evidenziata da eccessiva tachipnea,
rientramenti sovraclaveari e intercostali ed ampi movimenti della parete addominale
ipossia con pressione parziale aretriosa di ossigeno (PaO2) < 55 mm Hg nonostante
supplementazione di ossigeno (elevata FiO2 nell'aria insufflata)
ipotensione e shock, come nello scompenso cardiaco congestizio on in corso di sepsi.
Sistemi di ventilazione
La ventilazione può essere effettuata manualmente:
Pallone autoespandibile (AMBU)
pallone va e vieni (o dispositivo a T)
o mediante un ventilatore meccanico. I ventilatori meccanici vengono classificati in:
ventilatori trasportabili, che sono piccoli, rudimentali ed alimentati penumaticamente
oppure mediante corrente elettrica dalla rete oppure da batterie.
ventilatori da terapia intensiva. Questi ventilatori sono di maggiori dimensioni e richiedono
solitamente l'alimentazione diretta dalla rete elettrica (malgrado tutti abbiano una batteria
per permettere il trasporto del paziente all'interno dell'ospedale oppure l'alimentazione
temporanea in caso di black out). Questi dispositivi sono anche più complessi e permettono
il controllo di più parametri della ventilazione. Inoltre, negli ultimi modelli sono presenti
grafici in tempo reale per valutare visivamente l'effetto dei ventilatore sui flussi e le
pressioni delle vie aeree.
ventilatori per terapia intensiva neonatale. Sono progettati per la ventilazione dei neonati
pre-termine e presentano una risoluzione maggiore del controllo dei parametri della
ventilazione.
ventilatori a pressione positiva. Questi strumenti sono concepiti per la ventilazione non
invasiva, anche a domicilio come per il trattamento delle apnee ostruttive.
180
Modalità di ventilazione
Le modalità di ventilazione si classificano in base al controllo dell'atto respiratorio e
tradizionalmente in base al modo con il quale viene stabilito quando interrompere l'insufflazione di
aria. Questo viene stabilito in funzione della pressione o del volume impostati.
ventilazione a volume controllato - Un predeterminato volume, viene programmato ed
erogato dal respiratore ad ogni atto. Il valore di pressione necessaria per tale atto varia negli
atti respiratori ed è determinata dalla resistenza idraulica e dalla compliance del circuito e
delle vie aeree del paziente. Se ad esempio il volume corrente viene programmato a 500ml,
il ventilatore continuerà ad insufflare aria fino al raggiungimento di tale valore. Al
raggiungimento di tale volume d'aria, il ventilatore interromperà l'insufflazione ed aprirà la
valvola per consentire la fuoriuscita dell'aria (espirazione).
ventilazione a pressione controllata - Una predeterminata pressione di picco inspiratorio,
viene programmata. Il ventilatore insufflerà aria fino al raggiungimento del valore di
pressione impostato. In corrispondenza di tale limiti, il ventilatore interromperà
l'insufflazione ed aprirà la valvola per consentire la fuoriuscita dell'aria (espirazione). Con
questa modalità sono possibili casi di ipoventilazione e di iperventilazione poiché il volume
corrente varia negli atti respiratori.
In diversi modelli sono state combinate le caratteristiche di entrambe le modalità nel tentativo di
soddisfare al meglio le esigenze del paziente.
Queste modalità sono a flusso variabile, volume programmato, pressione regolata, a tempo limitato
(per esempio, ventilazione a volume controllato con pressione regolata - PRVC). Questo implica
che invece di erogare un esatto volume corrente ad ogni atto respiratorio, viene impostato un
volume target ed il ventilatore varierà il flusso inspiratorio ad ogni atto per raggiungere il volume
target alla pressione di picco più bassa possibile. Il tempo inspiratorio (Ti) limita la durata del ciclo
inspiratorio e pertanto il valore del rapporto fra tempo inspiratorio e tempo espiratorio ( rapporto
I/E). La modalità a pressione regolata come la PRVC oppure l' Auto-flusso (Draeger) possono
essere immaginati come il passaggio da una modalità a volume controllato in una a pressione
controllata con il vantaggio di mantenere un maggiore controllo sul volume corrente rispetto ad una
modalità puramente a pressione controllata.
L'altro modo di classificare la ventilazione artificiale meccanica è basata sul modo di stabilire
l'inizio dell'insufflazione dell'aria. Ogni modalità di inizio dell'atto respiratorio può essere
combinata con uno qualsiasi dei modi di interromperlo.
Assist Control (AC). In questa modalità il ventilatore fornisce un atto respiratorio ogni
volta che il paziente inizia a respirare. Un allarme può essere impostato per segnalare se il
paziente diviene tachipnoico o apnoico.
Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation (SIMV). In questa modalità il ventilatore
fornisce una ventilazione mista spontanea in AC o ad atti ventilatori programmati. Se il
paziente non da inizio ad un atto respiratorio spontaneo il ventilatore eroga un atto
respiratorio.
La SIMV è frequentemente utilizzata come modalità di ventilazione di passaggio da una totale
dipendenza dal ventilatore fino alla rimozione dell'assistenza ventilatoria. Nella modalità SIMV la
ventilazione minuto del paziente di divide in respiro spontaneo e respiro controllato.
181
Controlled Mechanical Ventilation (CMV) o ventilazione meccanica controllata. In questa
modalità il paziente non presenta atti respiratori spontanei, come nei pazienti sottoposti a
curarizzazione.
Pressure Support Ventilation (PSV). Quando un paziente tenta di respirare spontaneamente
all'interno di un tubo endotracheale, il circuito fra ventilatore e trachea costituisce un
elemento resistivo che impegna la muscolatura respiratoria, ed un lavora muscolare
supplementare. La modalità PSV è stata concepita per ridurre il lavoro dei muscoli
respiratori.
Competenze e responsabilità
La qualità, la complessità e l’intensità dell’assistenza infermieristica rappresentano alcuni tra gli
elementi più importanti per il successo della ventilazione meccanica.
È fondamentale che l’infermiere conosca il funzionamento e le caratteristiche del ventilatore: le
modalità di settaggio, la monitorizzazione dei parametri, l’utilizzo degli allarmi. È indispensabile
che l’infermiere rimanga accanto al paziente per instaurare un rapporto di fiducia e disponibilità,
dimostrando competenze e professionalità.
34.Gestione del paziente oncologico sottoposto a trattamento chemio e radio terapico:
responsabilità, competenze, trattamenti e gestione delle complicanze.
Chemioterapia: composti chimici che hanno la funzione di bloccare/distruggere la replicazione
delle cellule maligne.
I farmaci utilizzati per la chemioterapia costituiscono un'ampia classe eterogena di sostanze in
grado di inibire la proliferazione delle cellule dei tumori con vari meccanismi, di solito genotossici
non risparmiando i tessuti normali.L'azione principale è quella di arrestare la profressione del
tumore ma sono scarsamente selettivi.
La chemio può essere:
citostatica: blocca la replicazione ma non distrugge le cellule maligne;
citotossica: porta a morte cellulare;
I trattamenti chemioterapici possono essere di tre tipi:
Adiuvante: è la somministrazione di chemioterapici come trattamento medico applicato
dopo che la chirurgia o la radioterapia hanno conseguito un obiettivo di radicalità sul tumore
primitivo.
182
Molti dei tumori solidi anche se asportati totalmente, hanno un alta percentuale di ricaduta.
Lo scopo del trattamento adiuvante è distruggere le micro metastasi distanti dal focolaio tumorale
primitivo o distruggere un eventuale parte di malattia rimasta, cercando di aumentare la percentuale
di guarigione e riducendo così il rischio di ricaduta della malattia aumentando così la
sopravvivenza;
Neoadiuvante: è il trattamento farmacologico, che viene somministrato prima della terapia
chirurgica/radiante infatti viene anche chiamata pre-chirurgica. Tale terapia ha lo scopo di
ridurre il tumore e facilitarne la rimozione, nel caso in cui questo sia troppo voluminoso,
oppure troppo saldamente adeso al tessuto sano circostante da non permettere un atto
chirurgico in sicurezza; la terapia neoadiuvante, viene inoltre somministrata nel momento in
cui il paziente è in grado di tollerare bene gli effetti collaterali .
La chemioterapia neoadiuvante si usa quindi per neoplasie localmente avanzate (tumore in sede),
ma circoscritte ad una sola sede, la finalità è quella di ridurre al minimo la massa per facilitare il
lavoro del chirurgo. È un “test in vivo” di efficacia del trattamento.
Palliativa: é un tipo di terapia effettuata nell´ultima fase della malattia, quando sono
presenti anche le metastasi a distanza, ed è utile per ridurre eventuali sintomi (quali il
dolore).
Lo scopo principale é quello di migliorare la qualità di vita piuttosto che la sopravvivenza.
Il trattamento chemioterapico può essere:
Monochemioterapia, con l´utilizzo di un solo farmaco;
Polichemioterapia, con l´associazione di più farmaci;
Le vie di somministrazione possono essere:
EV;
Intraperitoneale;
Topica;
Orale;
IM;
E’ fondamentale che l’infermiere segua le regole delle 6G per la somministrazione dei farmaci.
Gli effetti collaterali possono essere:
 Immediati: entro 24-48 h (vomito, nausea, stravaso)
 Precoci: entro qlc gg o settimana ( leucopiastrinopenia, alopecia, diarrea, mucosite)
 Ritardandi: dopo sett. o mesi ( tossicità neurologica, cardiaca)
 Tardivi: dopo molti mesi o anni ( fibrosi polmonare, sterilità, 2°tumore)
Il ruolo dell’ infermiere nel caso della somministrazione della chemioterapia è essenzialmente
quello della preparazione del preparato (diluire la CT …non produrla) e somministrazione.
Gli effetti collaterali maggiormente rilevati durante il trattamento sono:
Nausea;
Vomito;
Diarrea o stipsi;
Calo o acquisto di peso;
Stravaso;
Alopecia
183
L’infermiere deve essere in grado di prevenire o comunque saper agire tempestivamente a queste,
per evitare danni maggiori.
Lo Stravaso è la diffusione, nella zona circostante il vaso scelto per l´infusione per rottura del vaso
stesso. Questo può causare danni di entità varia ai tessuti interessati ed è direttamente correlata al
tipo di farmaco somministrato, alla sua concentrazione, alla quantità assorbita dai tessuti, alla durata
dell´esposizione e al tempo di segnalazione da parte del paziente.
Se ciò accade, è importante che l´infermiere intervenga in tempi molto brevi; deve immediatamente
sospendere l´infusione al primo dubbio di stravaso, tentare di aspirare, se si riesce, qualche ml di
sangue per cercare di prelevare più farmaco possibile, approntare un kit per lo stravaso, ciò a
seconda del farmaco utilizzato, segnare quantità e tempo di somministrazione, rimuovere l´ago
cannula, riferire al medico ed infine tenere l´arto interessato in scarico.
Esistono vari metodi per il trattamento dello stravaso e si suddividono a seconda del chemioterapico
utilizzato.
Inoltre in ambito oncologico deve essere predisposta una corretta educazione al paziente e ai care
giver anche come riconoscere tempestivamente gli effetti collaterali.
Gestione infermieristica del pz chemioterapico:
1. Chiarimenti del protocollo CHT
2. Supporto al pz in caso di insorgenza di effetti collaterali
3. Supporto spicologico al pz, far accettare il trattamento
4. Chiarimenti sulle attività quotidiane
5. Istruire pz e familiari sul programma terapeutico
6. Attenzione al peso corporeo ( il farmaco è in base al peso corporeo)
7. Informarli dei possibili effetti collaterali e come riconoscerli, es. fatigue: stanchezza,
debolezza, mancanza di energia
Bisogni Prioritari
 Stima e autostima
 Alimentazione
 Dolore
 Eliminazione
 Sicurezza e protezione
 Paura e stress
 Informazione sugli aspetti inerenti alla vita quotidiana
Pericolo per gli operatori
Una delle competenze degli infermieri e la somministrazione dei farmaci, che ha accurate fasi e
attenzioni da seguire.
Effeti di tali farmaci sull'organismo di operatori, evidenza scientifica documentata, possono essere
nella manipolazione di antiblastici: induzione di mutazioni e azione cancerogena; effetti tossici
locali e sistemici, potere irritante a carico della cute e delle mucose.
Le vie di esposizione sono: inalazione; assorbimento attraverso la cute, iniezione accidentale,
ingestione accidentale.
Durante la manipolazione: nell'immagazzinamento; nella preparazione; nella somministrazione;
nello smaltimento.
Prevenzione: centralizzare le attività e le strutture; progranmmazione di comportamenti preventivi;
184
predisporre locali adeguati; adozione di idiìonei dispositivi di prevenzione individuale.Es. Utilizzo
di cappe, mascherine, soluzione compatibile nel deflussore
Gestione dei farmaci chemioterapici
Obiettivo: fornire le modalità corrette di somministrazione delle terapia antiblastiche per ridurre
il rischio di contaminazione ambientale che può determinare l'esposizione a sostanze tossiche di
personale, pazienti e visitatori.
Responsabilità: infermieristiche.
Tipologie di terapia:
• Terapia endovenosa,
• Terapia intramuscolare,
• Terapia orale.
Terapia endovenosa
Nei reparti dove i farmaci chemioterapici sono occasionalmente somministrati
d.p.i. necessari:
• Camice t.n.t
• Guanti senza polvere per chemioterapia o doppio paio di guanti in latice senza polvere
• Occhiali
Materiale occorrente:
• Deflussori luer-lock
• Telini assorbenti impermeabili
• Bidoni per rifiuti tossici/contaminati
• kit di emergenza
Catteristiche sito di infusione idoneo:
Vena di grosso calibro in zona lontana da plessi nervosi, tendini o grosse arterie
Siti di elezione:
1) vene mediane dell’avambraccio
2) vena cefalica e basilica
3) vene dorsali della mano








Siti da evitare:
fossa anticubitale (grossi vasi un danno da stravaso può essere gravissimo)
flessione del polso e della mano (rapporto diretto con nervi e tendini per una scarsa copertura
cutanea)
vasi di piccolo calibro e fragili
vene infiammate o sclerotiche
vene arti inferiori (transito sanguineo rallentato con rischio di tromboflebiti)
zone con circolazione sanguinea e linfatica compromessa (arti immobilizzati, circolazione
compromessa
dal tumore, flebiti, ecc.)
zone che drenano in distretti precedentemente irradiati
zone dove sono state praticate iniezioni sottocutanee
Tecnica:
• Indossare dpi
• Posizionare telino assorbente sotto l’arto del paziente (se si effettua infusione con accesso
venoso in arto superiore)
• Reperire accesso venoso idoneo
185
•
•
Collegare la 1° flebo (antiemetico o lavaggio) con deflussore luer-lock
Sostituire le flebo, quando il gocciolatore del deflussore è vuoto onde evitare il più possibile
fuoriuscita del farmaco dallo spike, avvolgendo una garza attorno allo spike
• Infondere i vari farmaci chemioterapici intervallati, salvo diverse indicazioni terapeutiche, da
una flebo di lavaggio di almeno 100cc
•
finito il primo chemioterapico chiudere quella via, aprire il lavaggio ed una volta finito
questo,chiudere e avviare il secondo chemioterapico
•
continuare così fino a terminare tutti i chemioterapici e completare il tutto con un lavaggio
finale
• Finita l’infusione togliere l’accesso venoso se temporaneo o sraccordare deflussore
dall’accesso venoso se a breve o lungo termine
• Eliminare il tutto nel contenitore apposito posto nell’immediata vicinanza.
La terapia intramuscolare
- Indossare guanti in latice senza polvere
- Tutto il materiale utilizzato (guanti ,garze, siringhe, aghi, ecc.) deve essere riposto in contenitori
rigidi contrassegnati come R.S.P. (rifiuti sanitari pericolosi)
La terapia orale
- Indossare guanti in latice senza polvere
- Per estrarre una compressa da un flacone contenente più dosi di farmaco, far scivolare il farmaco
nel coperchio della confezione e, da questo, nel contenitore del paziente
- Per estrarre farmaci confezionati in blister, la manovra di decompressione per estrarre la capsula
dell’involucro deve essere fatta direttamente nel contenitore del paziente.
- Tutto il materiale utilizzato (guanti ,garze ecc.) deve essere riposto in contenitori rigidi
contrassegnati come R.S.P. (rifiuti sanitari pericolosi)
La radioterapia è una terapia consistente nell'utilizzo di radiazioni ionizzanti per scopi medici.
La radioterapia può essere classificata come:
Trattamento curativo, trattamento volto alla eradicazione del tumore, con obiettivo la
guarigione del paziente
Trattamento esclusivo, viene utilizzata solo la radioterapia per eliminare il tumore; eseguita
per patologie virtualmente localizzate e radioresponsive, come ad es. in alcune casistiche di
tumori prostatici, tumori del distretto ORL-cervicofacciale, tumori ginecologici, linfoma
non aggressivo e a basso stadio
Trattamento alternativo, alla chirurgia (se la chirurgia sarebbe preferibile, ma non fattibile
per motivi medici/chirurgici)
Trattamento adiuvante, quando è in relazione ad altri trattamenti:
Trattamento neoadiuvante, quando questa terapia verrà poi seguita da altri trattamenti
(operazione chirurgica), e viene effettuata per poter facilitare l'operazione e ridurre i rischi al
paziente
Trattamento intradiuvante (IORT), quando viene eseguita durante altri trattamenti
(operazione chirurgica), per poter avere un'azione più diretta e localizzata della radioterapia
186
Trattamento postadiuvante, quando viene eseguita a seguito di altri trattamenti (operazione
chirurgica), assumendo una funzione integrata e complementare per la risoluzione locale
della malattia
Trattamento precauzionale, viene eseguito quando si è stati già curati da un tumore che
tuttavia ha un'alta probabilità di ricaduta loco-regionale.
Trattamento palliativo; trattamento sintomatico e trattamento antalgico.
Le complicanze sono più acute nei bambini e negli anziani rispetto agli adulti.
Effetti collaterali
La radioterapia è un metodo di cura praticamente indolore di per sé. Nei casi in cui vengano
utilizzati trattamenti palliativi risulta inoltre avere anche effetti collaterali minimi (ad esempio,
modeste irritazioni cutanee della zona 'bombardata').
Nei casi in cui invece vengano utilizzati trattamenti radicali si possono indurre vari tipi di effetti
collaterali che si manifestano durante o nelle settimane successive il trattamento stesso (effetti
collaterali di tipo precoce) oppure nei mesi o anni direttamente successivi al trattamento (effetti
collaterali di tipo tardivo). Uno di questi effetti collaterali è la fibrosi, un indurimento dei tessuti e
delle ghiandole linfatiche nella zona sottoposta a trattamento radiante.
La natura degli effetti collaterali dipende dall'organo trattato, da frazionamento, tasso di dose,
tempo totale di trattamento, intervalli nel trattamento, volume irradiato, tipo di tecnica utilizzata.
Ogni individuo può presentare delle reazioni proprie, rispetto alla quantità di dose assorbita; inoltre
trattamenti successivi su stessi siti trattati in precedenza possono causare particolari problemi: ogni
tessuto presenta una tolleranza massima alla radiazione, quindi trattare in periodi diversi dei tessuti,
organi o apparati che hanno ricevuto la massima dose anche anni prima può causare vari problemi
come effetti collaterali a lungo termine anche a distanza di diversi anni.
Principali effetti collaterali acuti
 Leucopenia; danneggiamento dei tessuti epiteliali (radiodermiti e mucositi precoci)
 Infiammazione ed edema della zona irradiata
 Affaticamento
Principali effetti collaterali cronici
Questi effetti possono risultare anche minimi, e dipendono dal tessuto che riceve il trattamento:
 Radiodermiti tardive e fibrosi
 Perdita dei peli o capelli nelle aree irradiate
 Secchezza delle fauci
 Secondi tumori radioindotti o chemioradioindotti
 Lesioni del midollo spinale (rare, e solitamente a livello cervicale e toracico)
 Infertilità

Radionecrosi
Complicanze neurologiche
Le complicanze neurologiche della radioterapia interessano il sistema nervoso centrale e periferico.
Sono classificate in funzione della loro presentazione clinica e del loro tempo di comparsa dopo
l'irradiazione. Si descrivono così delle complicanze acute, semi-ritardate e tardive, che dipendono
da meccanismi fisiopatogenetici differenti. Il carattere ritardato della maggior parte dei disturbi
neurologici si basa probabilmente sul fatto che il sistema nervoso è un tessuto costituito da cellule
che non si rinnovano per niente o, comunque, molto lentamente e la latenza d'esordio delle lesioni
radio-indotte è direttamente correlata al ciclo cellulare. Nello sviluppo delle complicanze
187
neurologiche diversi fattori giocano un ruolo capitale: la dose totale somministrata, il suo
frazionamento, il volume di irradiazione, la combinazione di una chemioterapia neurotossica, l'età e
lo stato vascolare del paziente. La terapia di tali complicanze, temibili per la qualità di vita dei
pazienti, rimane prima di tutto preventiva.
35.Triage: percorsi, responsabilità, competenze e delega.
Def: Triage: “Strumento organizzativo rivolto al governo degli accessi non programmati di un
servizio per acuti, con l’obiettivo di definire la priorità con cui il paziente accederà alla visita
medica”.
È il processo decisionale che permette di definire i bisogni di salute dell’utente classificandoli
secondo precise priorità, sulla base di protocolli prestabiliti, che diversificheranno l’accesso alla
valutazione medica, tempi e modi di assistenza.
Dalla G.U. n.114 del 17 maggio 1996:
“All’interno del DEA deve essere prevista la funzione di triage come primo momento di
accoglienza e valutazione dei pazienti, in base a criteri definiti che consentano di stabilire le
priorità di intervento...”
D.M. Sanità 17/05/96
188
“...la funzione di triage...è svolta da personale infermieristico adeguatamente formato che opera
secondo protocolli prestabiliti da dirigente del servizio.”
Caratteristiche necessarie dell'infermiere
Assegnazione stabile in Pronto Soccorso
Formazione dedicata
Training in B.L.S. ( Rianimazione cardio-polmonare di base )
Assunzione di responsabilità decisionale
Competenze dell'infermiere al triage
Il processo di triage non si propone in alcun modo la riduzione dell’ammontare totale del carico di
lavoro del Pronto Soccorso (riduzione che richiederebbe l’attribuzione al personale di triage di
compiti e responsabilità - prescrizione di diagnostica strumentale, smistamento dei pazienti ai
diversi specialisti, iniziale trattamento del quadro clinico - che chiaramente eccedono i limiti delle
competenze infermieristiche) ma tende piuttosto a modificare l’ordine in cui tale carico di lavoro
viene assolto affinché ogni utente riceva adeguata attenzione secondo il diverso grado di urgenza
Obiettivi
L’obiettivo principale del Triage è quello di stabilire la priorità di accesso alla visita medica in
Pronto Soccorso per garantire tempestiva assistenza a pazienti emergenti/urgenti e porre in essere
manovre salva-vita.
In particolare gli obiettivi sono:
definire in modo rapido e preciso lo stato clinico del paziente;
classificare i pazienti con protocolli condivisi definiti, universalmente riconosciuti ed attendibili,
attribuendo un codice di riconoscimento;
stabilizzare rapidamente le condizioni cliniche per consentire di iniziare gli interventi diagnostico
terapeutici risolutivi della condizione di emergenza-urgenza;
monitorizzare l'evoluzione a breve termine e l'eventuale modificazione di attribuzione del codice;
ridurre i tempi di attesa dei pazienti urgenti-emergenti;
migliorare le prestazioni sanitarie;
rendere efficace ed efficiente la risposta del sistema in emergenza
razionalizzare l'uso delle risorse.
Per raggiungere questi obiettivi il triage si avvale di specifici protocolli che devono essere di facile
applicazione, di immediata comprensione, adeguati al personale che li applica, soprattutto perché il
triage viene effettuato in diversi ambiti, oltre che da diverso personale.
Il Triage è un processo decisionale complesso e dinamico che necessita di più strumenti, tutti
concorrenti all’attribuzione del codice colore: sintomi riferiti dal paziente, anamnesi infermieristica
mirata, valutazione dei parametri di vitali, intuito ed esperienza/formazione in area critica, utilizzo
di protocolli.
Triage italiano GFT
CATEGORIA
COLORE
TEMPI DI ATTESA
Emergenza
Rosso
immediato
189
Urgenza
Giallo
15 min
Semi-urgenza
Verde
30 min
Non-urgenza
Bianco
60 min
Il colore indica il criterio di scelta di gravità del pz!
Concetto di emergenza - urgenza
Emergenza: pazienti che hanno bisogno di trattamento immediato in quanto in pericolo di vita (1%
degli accessi)
Urgenza: pazienti che hanno bisogno di essere visitati al più presto ( 16-18% )
Attività generali dell’infermiere di triage
Accogliere il paziente ed i familiari
Effettuare una rapida valutazione dell’aspetto generale del paziente (“valutazione sulla porta”)
Registrare i dati rilevati
Assegnare il codice colore seguendo i protocolli
Applicare i protocolli previsti (percorsi) per la gestione dei pazienti in base al codice colore o al
sintomo principale
Informare i pazienti/parenti del codice colore attribuito, delle procedure attivate e delle eventuali
attese.
Rivalutare i pazienti in attesa
Istruire il paziente e/o i parenti a comunicare all’infermiere di Triage ogni variazione dello stato
clinico.
Scegliere in caso di arrivo contemporaneo di più urgenze chi abbia priorità di accesso.
Il processo di triage (o valutazione di triage)
Nel pronto soccorso con accessi numerosi la valutazione di triage richiede:
Velocità
Abilità
Attenzione !!! Mai dare un giudizio di priorità minore basandosi soltanto sulla prima valutazione.
FASI DEL TRIAGE
a)
Valutazione sulla porta
b)
Anamnesi mirata
c)
Rilevazione dei parametri vitali e breve esame mirato
d)
Attribuzione del codice colore
e)
Rivalutazione
a) VALUTAZIONE SULLA PORTA
Il triage inizia osservando il paziente all’ingresso del P.S.! Tale fase anche chiamata “colpo
d’occhio” (block-get) deve essere eseguita rapidamente, in quanto l’ infermiere deve identificare i
pazienti le cui condizioni richiedono interventi immediati.
Aspetto generale
A = pervietà delle vie aeree;
190
B = respiro;
C = circolo;
D = deficit neurologici o alterazioni dello stato di coscienza
A→ rumori respiratori, difficoltà a parlare;
B → cianosi, pallore, tachipnea, bradipnea, apnea, utilizzo muscoli accessori, sibili e rantoli;
C → pallore, rossore, evidente emorragia;
D → alterazione della coscienza, incapacità a riconoscere i familiari, ridotta interazione con
l’ambiente, tono muscolare flaccido o iperreattivo etc.
b) ANAMNESI MIRATA
Consiste in una breve raccolta di informazioni sul motivo dell’accesso in PS attraverso una breve
intervista rivolta al paziente, ai familiari o agli accompagnatori.
E’ necessario individuare il sintomo/problema principale, la presenza di sintomi associati, patologie
concomitanti e/o pregresse, allergie, vaccinazioni, farmaci assunti, etc.
Consigli per l’intervista
Raccogliere informazioni circa:
circostanze dell’evento e inizio insorgenza sintomi
descrizione del problema e localizzazione dinamica del trauma
progressione dei sintomi dall’insorgenza fino all’arrivo in p.s.
trattamento effettuato prima dell’arrivo al p.s. ed esito
- VALUTAZIONE DEL DOLORE
Motivo più comune degli accessi in P.S. Per effettuare una valutazione veloce può essere utilizzata
la scala “ P – Q – R – S –T ”
P : provocato / alleviato
-Cosa ha scatenato il dolore?
-Cosa lo fa migliorare o peggiorare?
-Cosa stava facendo quando è iniziato?
Q: qualità
-Che tipo di dolore avverte?
R: irradiazione / regione interessata
-Mi indica la zona dove ha dolore?
-Quanto è grande l’ area interessata?
-Il dolore si estende in qualche altra parte?
S: gravità
-Quanto è intenso il dolore?
-In una scala da 0 a 10 , dove 0 è assenza di dolore e 10 è il massimo dolore, dove si colloca il suo?
-Come definisce il suo dolore? (Utilizzare scala verbale: nessuno,tollerabile, moderato,
insopportabile , grave.)
191
T: tempo
-Quando è iniziato?
-E’ costante o intermittente?
c) RILEVAZIONE PARAMETRI VITALI ED ESAME FISICO MIRATO
Esame fisici mirato:
 Pressione arteriosa
PA
 Frequenza cardiaca
FC
 Frequenza respiratoria
FR
 Temperatura corporea
TC
 Saturazione in ossigeno
Sat O2
 Glasgow Coma Scale
GCS
- PARAMETRI VITALI
Sono l’espressione oggettiva delle principali funzioni dell’organismo: respiratoria, circolatoria e
neurologica.
La fase di valutazione obiettiva del triage deve tuttavia essere integrata dalla rilevazione di altri
parametri semi-quantitativi e/o qualitativi come ad esempio: lo stato di coscienza, il colorito della
cute, la glicemia rilevata mediante emoglucotest ed il grado di sofferenza del paziente
- VALUTAZIONE della FUNZIONE RESPIRATORIA-BRumori respiratori udibili (stridore, respiro sibilante, rantoli)
Colorito della cute cianosi, pallore, marezzata)
Frequenza respiratoria (F.R.)
Saturazione periferica di ossigeno (SpO2)
- VALUTAZIONE della FUNZIONE CIRCOLATORIA-CCute (colorito, sudorazione algida)
Pressione Arteriosa Sistolica (P.A.S.)
Pressione Arteriosa Diastolica (P.A.D.)
Frequenza Cardiaca (F.C.)
VALUTAZIONE della FUNZIONE NEUROLOGICA-DDue metodi di valutazione mneminica dello stato di coscienza
 AVPU (Alert, Verbal, Pain, Unresponsive)
A: Alert, Sveglio
V: Vocal, Risponde a stimoli Verbali
P: Pain, Risponde al Dolore
U: Unresponsive, Non risponde
 G.C.S. (Glasgow Coma Scale)
Il punteggio che che ha come risultato la GCS da 3 a 14 è basata su punti dati su: Apertuta degli
occhi, Migliore Risposta Motoria, Risposta Verbale.
192
- VALUTAZIONE Revised Trauma Score R.T.S.
L’ R.T.S. (che ha un punteggio massimo di 12) è uno score utilizzato nella valutazione del paziente
traumatizzato, esso correla:
•
La frequenza respiratoria ( F.R.)
•
La pressione arteriosa ( P.A.)
•
Il Glasgow Coma Scale ( G.C.S. )
Un R.T.S. < a 11 identifica un trauma maggiore
L'identificazione del trauma maggiore è importante ai fini dell’attribuzione dei codici colore, infatti
in tale caso il codice colore deve essere elevato a quello di grado superiore rispetto a quello che si
sarebbe attribuito.
GCS
PA sistolica
FR
PUNTEGGIO
13-14
> 89
10-29
4
9-12
76-89
> 29
3
6-8
50-75
6-9
2
4-5
1-49
1-5
1
3
0
0
0
d) ATTRIBUZIONE DEL CODICE COLORE
Attribuire il colore in base alla valutazione precedente sulle funzioni vitali.
Codice Rosso:
accesso immediato
Codice Giallo:
accesso entro 10-15 min
Codice Verde:
accesso entro 30-60 min
Codice Bianco:
accesso entro 60-120 min
PRIORITA’ PSICOSOCIALE (Sottocodifica che indica un accesso preferenziale a parità di codice)
Bambini < 10 anni
Utenti anziani > 80 anni
Donne in gravidanza
Soggetti “ disturbanti “ l’area triage
Persone che hanno subito violenza
CODICE ROSSO (= pericolo di vita !!!)
Compromissione in atto di almeno una delle 3 funzioni vitali:
193
Coscienza
Respiro
Circolo
-Valutazione sulla porta: in caso di assenza di coscienza e/o respiro e/o circolo (A - B – C), si avrà
l'accesso immediato in sala emergenza.
SEGNALI di ALLARME di sospetto CODICE ROSSO
Rumori respiratori udibili
Alterazione della cute (cianosi, pallore, sudorazione algida, marezzatura)
Incapacità a mantenere la stazione eretta
Si procede con la valutazione dei parametri vitali.
Valutazione oggettiva
L’alterazione di uno dei PARAMETRI
inserito in un contesto di segni e sintomi:
Circolo
P.A.S
P.A.D
F.C.
Indice di shock (F.C./P.A.S.)
Respiro
SpO2
F.R.
Coscienza
G.C.S.
T.C.
R.T.S.
VITALI potrebbe identificare il CODICE ROSSO se
<80 o ≥ 230 mmHg
≥ 130 mmHg
≤40 o ≥ 140 b/m
>1
<86%
< 10 o > 30 /min
<12
<35° O >41°
<11
CODICE GIALLO (potenziale pericolo di vita)
SEGNALI d’ALLARME
Rumori respiratori udibili
Alterazioni della cute (pallore, sudorazione)
Incapacità alla stazione eretta
Difficoltà nell’eloquio e/o comprensione
Evidente stato di sofferenza
Tali segni devono indurre alla determinazione immediata dei parametri vitali, il cui valore
permetterà di inquadrare correttamente i pazienti in cui l’intuito e l’esperienza dell’infermiere di
triage induce al sospetto di situazioni di emergenza/urgenza.
Circolo
P.A.S
>180 <130 mmHg
194
P.A.D
F.C.
Respiro
SpO2
F.R.
Coscienza
G.C.S.
T.C.
R.T.S.
>110 <130 mmHg
≤40 o ≥ 60 b/m
<86% ≤ 90%
≥24 ≤ 30 /min
12-14
≥ 40° O <41°
9-11
RIVALUTAZIONE
deve essere effettuata ogni 10 min.
CODICE VERDE
pazienti che non presentano compromissione dei parametri vitali, che non appaiono particolarmente
sofferenti e per i quali è improbabile un peggioramento del quadro clinico.
Caratteristiche codice verde
Vigile
Eupnoico
Normale colorito cutaneo
CODICE BIANCO
Prestazioni sanitarie che non rivestono alcun carattere di urgenza e per le quali sono possibili altri
percorsi di diagnosi e cura.
Caratteristiche codice bianco
Apparenti buone condizioni
e) RIVALUTAZIONE
Il triage NON è un processo statico per cui è importante ricordare sempre che le condizioni cliniche
dei pazienti in attesa possono variare (migliorare o peggiorare); pertanto la rivalutazione è parte
integrante del processo di triage la cui tempistica è in funzione del codice colore assegnato.
Codice rosso:assistenza continua
Codice giallo: ogni 15 mi
Codice verde: ogni 30 mi
Codice bianco: ogni 60 mi (a richiesta)
L’INFERMIERE NON DEVE EFFETTUARE UNA DIAGNOSI MEDICA
Ma stabilire una PRIORITA’ di accesso alle cure attraverso un processo decisionale che tenga conto
delle condizioni del paziente che accede in pronto soccorso, senza mai lasciarsi influenzare da
pregiudizi verso i pazienti basati sulla loro apparenza e/o atteggiamento.
195
36.Gestione dell’accesso venoso: CVP,CVC: responsabilità, competenze, trattamenti.
I Cateteri venosi periferici (CVP) sono i dispositivi più usati per l’accesso vascolare. L’accesso
venoso periferico (AVP) permette il collegamento tra la superficie cutanea e una vena del circolo
periferico:
1.basilica,
2.cefalica
3.giugulare esterna.
Sono indicati per terapie a breve termine o per terapie intermittenti.
Una buona gestione del catetere può aiutare a prevenire infezioni sia locali sia sistemiche.
I cateteri venosi periferici devono garantire la stabilità dell’accesso venoso, la massima
biocompatibilità e la protezione da complicanze infettive e trombotiche. Inoltre deve essere
possibile l’uso discontinuo.
La misura del diametro esterno di un catetere è espressa in french (1 french corrisponde a 3 mm), la
misura del diametro interno è indicata in gauge (corrisponde al numero di cateteri che entrano in un
cm2), mentre la lunghezza del catetere è espressa in centimetri.
I cateteri si possono classificare in relazione al tempo di pemanenza:
• a breve termine (per esempio Abbocath® e Angioset®) sono i cateteri usati in ambito ospedaliero
con tempo di permanenza di 3 o 4 giorni, sono cateteri a punta aperta, di teflon con un diametro
compreso tra 14 e 24 gauge;
• a medio termine (per esempio Mid Line®), sono cateteri usati in ambito ospedaliero
edextraospedaliero con un tempo di permanenza di 4 settimane, possono essere a punta aperta
oppure valvolati, di solito sono di silicone o poliuretano, sono lunghi da 20 a 30 cm (la punta può
arrivare in vena ascellare) e il diametro va da 2 a 6 french.
196
È lungo 20-30 cm, arriva in succlavia o in vena ascellare. Si medica inizialmente con garze sterili e
certotto; dopo le 24 h medicazione deve essere trasparente; dopo 7gg si rinnova. Viene mantenuto
in loco per 20-30 gg.
Modalità di accesso
Le modalità di accesso a una via periferica vanno dalla puntura venosa estemporanea con ago a
farfalla (butterfly) fino all’incannulamento.
L’ago a farfalla può essere usato per terapie infusive sporadiche o di breve durata. Inoltre può
essere usato per il prelievo del sangue in pediatria.
L’incannulamento invece viene usato di solito per terapie infusive continue o ripetute più volte
nell’arco della giornata.
Scopi CVP per terapia infusionale parenterale
Somministrazione di liquidi endovena per:

fornire liquidi ed elettroliti,

fornire sostanze nutritive,

somministazione di farmaci

emotrasfusione e somministrazione di derivati
Liquidi:

soluzioni isotoniche: per idratare, es.fisiologica, ringer lattato

soluzione ipotonica: per il ripristino dei liquidi, delle cellule,es. fisiologica al 0,45%

soluzione ipertonica: per ridurre gli edemi, es.glicerolo, mannitolo
Le soluzioni dovrebbero essere intorno ad un ph di 7,35-7,45 vicino a qll del sangue per evitare
complicazioni.
N.B. L' acqua pure non può essere somministrata se no darebbe emolisi.
Gestione del catetere venoso periferico
Prima e dopo qualsiasi procedura clinica, come per esempio l’inserimento del catetere, il cambio
della medicazione e la palpazione è fondamentale lavarsi le mani.
E’ necessario rispettare la tecnica asettica per l’inserimento e la gestione del catetere venoso
periferico.
Per l’inserimento di un catetere venoso periferico si raccomanda di utilizzare come antisettico la
clorexidina al 2% in alcol (livello IA), in alternativa si può usare lo iodiopovidone al 10% o alcol al
70% purché vengano rispettati i tempi di efficacia del prodotto secondo le indicazioni dell’azienda
produttrice. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta raccomandano di
lasciare l’antisettico sul sito di inserimento e di farlo asciugare all’aria, lo iodiopovidone dovrebbe
rimanere sulla cute per almeno 2 minuti o più se non ancora asciutto.
Riposizionare ogni 72-96h dopo 3-4 gg di uso continuo del CVP, se il patrimonio venoso è molto
povero e non ci sono segni di flrbite o altro si pouò tenere più a lungo.
Quando non c'è infusione continuo fare un lavaggio con fisiologica di 1-3 ml x garantire la pervietà
del CVP.
Indicazione al posizionamento
197






Situazione clinica: masntenere o ricostituire il patrimonio dell'organismo di H2O, elettroliti,
proteine, calorie,ect.; ricostruire l'equilibrio acido-base; somministrazioni di liquidi in
emergenza (shock ipovolemico x emorragia); riportare i valori normali del volume ematico
e/o emoederivati
Uso di farmaci ben tollerati da una vena periferica a basso flusso ematico
Utilizzo a breve tempo
Presenza di alto rischio di posizionamento di un CVC
Presenza di un valido patrimonio venoso
Collaborazione con il pz.
Prima del posizionamento del catetere
Ogni volta che si procede all’incannulamento di una vena periferica bisogna verificare che le vene:
• siano superficiali, palpabili e sufficientemente sviluppate;
• non siano dolenti, non presentino ematomi, e non siano sclerosate.
E’ preferibile non usare le vene di un braccio edematoso o ipofunzionante (ovvero braccia con
problemi neurologici, plegici, o che abbiano subito uno svuotamento ascellare in seguito a
mastectomia).
E’ bene scegliere il braccio non dominante per evitare di rendere il paziente dipendente od
ostacolarne i movimenti così come è meglio non utilizzare vene vicine alle articolazioni mobili, per
ridurre il rischio di fuoriuscita del catetere dalla vena.
Negli adulti è meglio posizionare il catetere negli arti superiori. Nel caso sia stato necessario
metterlo in un arto inferiore occorre riposizionarlo appena possibile.
Nei bambini piccoli invece le sedi migliori per il posizionamento del catetere sono le mani, il dorso
del piede e il cuoio capelluto.
Posizionamento-Tecnica
1. Informare il pz
2. Invitare il pz ad assumere una posizione comoda in base alle sue condizioni cliniche
3. Vicino all'infermiere ci deve essere il carello con i presidi utili e il box per taglienti
4. Non radere il sito, se la zona è molpo pelosa usare forbici o rasoi elettrici
5. Eseguire il lavaggio delle mani con antiosettico, indossare i guanti monouso
6. Appendere il flacone o la sacca e sistemare l'estremità del set di infusione coperta e
facilmente raggiungibile.
7. Inserire il deflussore scelto e riempirlo
8. Scegliere la vena dopo aver osservato palpato tutti e 2 gli arti superiori
9. Scegliere il catetere con calibro di misura giusta
10. Disinfettare la zona da pungere
11. Mettre il laccio emostatico
12. Se le vene non sono palpabili favorire la congestione: invitare il pz a chiudere ed aprire il
pugno; abbassare il braccio al di sotto del letto
13. Se la zona viene toccata, ridisinfettare
14. Reperire la vena: rimuovere la protezione dell'ago; girare verso l'alto la punta smussa,
inserire l'ago e il catetere insieme; inserire il catetre per circa una metà finchè non sia
refluito il sangue, estrarre il mandrino lentamente mentre si fa avanzare il catetere; porre
198
una piccola garza sotto la parte centrale x evitare decubito, sciogliere il laccio emostatico,
estrarre dolcemnete il mandrino con una mano mentre con l'altra si esercita uina pressione
sulla cute al di sopra della punta del catetere x impedire il reflusso di sangue; in mandrino
estratto va nel box
15. Collegare il set di infusione alla cannula
16. Aprire il morsetto del set e osservare l gocciolamento
17. Osservare se il CVP funzioni o abbia gonfiori,ect.
18. Fissare la cannula con il cerotto: 2 parti una da una parte una dall'altra o medicazione
trasparente cehe tiene fermo il cvp e consente l'osservazione del siti do invserimento
19. Registrare in C.I.
Complicanze legate all’uso del catetere venoso periferico
 Flebite
La flebite è l’infiammazione di una vena e in particolare dello strato più interno, la tonaca intima.
Esistono 3 tipi di flebite:
• meccanica, da instabilità dell’accesso venoso;
• chimica, da farmaci, per esempio ferro, cloruro di potassio e farmaci citostatici;
• infettiva, da contaminazione batterica, per esempio per scorretta gestione dell’accesso venoso,
inadeguato lavaggio delle mani, contaminazione della cute circostante.
Spesso la flebite si accompagna a un processo trombotico (tromboflebite o flebotrombosi).
I sintomi di flebite sono: dolore lungo il decorso della vena, eritema, arrossamento persistente nel
punto di inserimento del catetere, edema che può coinvolgere tutto l’arto e ipertermia locale.
La presenza di uno solo di questi sintomi deve fare pensare all’inizio di un processo infiammatorio.
Anche il rallentamento del flusso di infusione è un possibile segno di infiammazione.
In caso di flebite è necessario interrompere la terapia infusionale, rimuovere l’agocannula e
posizionarla in un altro accesso venoso.
La flebite si risolve spontaneamente nel giro di qualche giorno ma può esitare in una trombosi con
successive sclerosi che rende inutilizzabile la vena.
 Infezione del sito di inserimento
Per infezione del sito di inserimento si intende la penetrazione di germi patogeni.
I segni e i sintomi dell’infezione sono: dolore, eritema, gonfiore nel punto di inserimento e
secrezione maleodorante.
Gli interventi da attuare sono analoghi a quelli che si mettono in atto in caso flebite. Inoltre si deve
fare un esame batteriologico della punta dell’agocannula e ricoprire il punto di accesso con garze
sterili dopo aver disinfettato con un antisettico, per esempio iodiopovidone o clorexidina.
 Infiltrazione
L'infiltrazione è l'involontaria somministrazione sottocute di un farmaco.
I sintomi che si presentano dono: dolore, edema dell'arto, cute fredda, gonfiore, pallore sul sito,
assenza di reflusso ematico.Interrompere l'infusione.
 Stravaso
È la fuoriuscita involontaria di un farmaco o di un liquido da una vena nel tessuto sottocutaneo.
I sintomi che si presentano sono: arrossamento e calore intorno,edema, possibile dolore.Bisogna
interrompere l'infusione e informare il medico. Non bisogna levare l'accesso venoso prima di aver
aspirato la maggior parte del farmaco.
199
Si tratta con impacchi o con iniezioni sottocute di cortisone o creme cortisoniche.
 Embolo
Si presentano sintomi quali: dispnea grave, abbassamento della PA. Posizionare il pz sul fianco sx,
il capo del lettoabbassato, somministrare O2 e informare il medico.
 Reazione allegica
Dà prurito e dispnea, in situazione gravi si può arivare allo shock anafilattico.
Il catetere venoso centrale (CVC) è un tubicino di materiale biocompatibile (silicone o
poliuretano) che permette l’infusione intermittente o continua di farmaci, terapie nutrizionali
eccetera e l’accesso al sistema venoso. Va inserito in una vena centrale in modo che la punta si trovi
nel terzo inferiore della vena cava superiore.
Il catetere ha l’obiettivo di garantire rispetto a un accesso venoso periferico:
• la stabilità dell’accesso venoso;
• la riduzione dalle complicanze infettive e trombotiche.
Il catetere venoso centrale ha il vantaggio di poter essere usato per trattamenti sia continui sia
intermittenti.
Le misure del diametro esterno del catetere sono espresse in French (1 French=0,3 mm).
Il diametro interno del catetere invece è espresso in Gauge. Nel caso di cateteri a più lumi il Gauge
si riferisce a ogni singolo lume.La lunghezza è espressa in centimetri.
Per adultoi da 6 a 9 Fr, x un bambino da 2,7 e 5,5 Fr.
Indicazioni per il posizionamento
 Somministrazione di farmaci irritanti
 Infusione di terapia nutrizionale (NPT)
 Non è possibile accede a una partimonio venoso periferico
 Situazioni di emergenza con accesso rapido e sicuro.
Classificazione
I cateteri venosi centrali possono essere classificati in:
• esterni tunnellizzati e non tunnellizzati;
• impiantati.
I cateteri tunnellizzati
compiono un tragitto sottocute prima di entrare in vena succlavia o giugulare interna o femorale,
possono essere a punta chiusa (per esempio il Groshong®) o a punta aperta (come l’Hickman® e il
Broviac®).
Presnza di una cuffia che inibisce la migrazione dei microorganismi nel tratto del catetere.La cuffia
è distante di 5 cm dal sito d'uscita, il tessuto si granula intorno ad essa, il tunnel lascia distanza tra
sit di entrata e uscita (meno infezioni), dà stabilità al presidio..La cuffia previene le infezioni
batteriche e lo spostamento del catetere. I lumi sono multipli, consigliati per terapie a lungo
termine.

200
Questi cateteri devono essere posizionati dal medico; durante la procedura occorre la sterilità
assoluta. Sono raccomandati in caso di accessi frequenti o continui e sono consigliati per pazienti
con terapie a lungo termine.
Vantaggi
Tali cateteri possono essere mantenuti in sede per oltre 6 mesi. I cateteri tunnellizzati hanno un
rischio di infezione inferiore rispetto ai cateteri venosi non tunellizzati.
Svantaggi
Possono verificarsi complicanze causate dalla puntura della vena.
Cateteri venosi centrali impiantabili
Tra i cateteri non tunnellizzati
sono per esempio l’Hohn®, punta aperta non valvolato o il e i PICC, punta chiusa.(Percutaneous
Introduction Central Catheter).
L'inserimento è periferico.Vengono inseriti per via percutanea in una vena centrale-succlavia,
giugulare interna o femorale.Maggior rischio di infezione.I lumi sono multipli,fino a 5.
La permanenza è a medio termine tra 1-6 mesi oppure a 3-4 settimane a lungo termine.

Vantaggi
Possono essere inseriti al letto del paziente o in radiologia. Inoltre hanno un basso rischio di
infezione. Si raccomanda il controllo radiografico per la localizzazione della punta.
Svantaggi
Problemi vascolari o muscolo-scheletrici possono impedire il successo dell’impianto.
Catetere impiantabile
il Port-a-cath è un catetere venoso centrale totalmente impiantabile, che può essere a punta aperta
o chiusa e può avere uno o più reservoir.
Sono tunnellizzati sooto la cute e hanno un accesso sottocutaneo per aghi-ago non corotante: DI
HUBER-, che va cambiato ogni 7 giorni,la camera serbatoio.La sede della vena è succlavia o
giugulare interna.
Il manteniemnto è a lungo termine, quando vengono lasciati oltre i 6 mesi (per esempio Port-aCath®, Groshong®).
Questi cateteri devono essere posizionati dal medico e durante la procedura occorre utilizzare la
sterilità assoluta. Sono indicati per soggetti in terapia a lungo termine continua o intermittente Sono
raccomandati nei pazienti con un accesso vascolare a lungo termine.
I farmaci sono infusi tramite un reservoir con ago esterno e tubo di raccordo, che si raggiunge con
la puntura della cute. Il reservoir generalmente è posizionato nel torace o nel braccio collegato al
catetere con la punta posizionata in sede centrale.

Vantaggi
201
Questi cateteri hanno il vantaggio di richiedere una minore manutenzione rispetto ad altri accessi
venosi e di essere meno visibili.
Svantaggi
Possono verificarsi complicanze causate dalla puntura della vena. PICC (Percoutaneous
Introduction Central Catheter)
Responsabilità: L’inserimento di un catetere venoso centrale tunnellizzato o non tunnellizzato deve
essere eseguito da un medico impiantatore (un medico opportunamente formato per tale tecnica) e
in un ambiente adeguato (non necessariamente sala operatoria ma anche in un ambulatorio
dedicato).
Alcuni cateteri venosi centrali (per esempio i cateteri PICC) possono essere inseriti da un infermiere
formato; non è necessario eseguire la manovra in un ambiente dedicato, deve essere però un luogo
pulito. E’ possibile inserire un catetere PICC anche al letto del paziente.
Occorre sempre chiedere il consenso del paziente alla manovra.
La tecnica raccomandata è la venipuntura percutanea che viene eseguita con l’aiuto di un ecografo.
Il catetere viene inserito in una vena di grosso calibro come la giugulare interna, la succlavia, la
femorale o in una delle vene dell’avambraccio (brachiale, basilica o cefalica).
In pediatria si usa la giugulare esterna, la piccola safena o la vena temporale.
E’ importante saper valutare vantaggi e svantaggi per ogni sede di impianto e tipo di catetere (si
parla cioè di venolisi chirurgica).
Vene:
Giugulare Interna: vena facilmente reperibile, inserimento lineare con sbocco diretto in vena cava
superiore, buona tollerabilità.
Svantaggi: rischio puntura arteriosa
Vena Succlavia: facile reperibilità, consigliata x breve termine, buona tollerabilità.
Svantaggi: alto rischio di pneumotorace e pinch off, emotorace, embolia gassosa
Vena Femorale: facile reperibilità, valida alternativa alle altre 2.
Svantaggi: infezioni, trombosi, mal tolleranza.
Medicazioni
Le medicazioni cambiano secondo il tipo di catetere e le condizioni del paziente.
Subito dopo l’impianto del catetere va eseguita una medicazione con garza e cerotto, da rinnovare
dopo 24-48 ore (medicazione precoce).
In genere per le medicazioni successive bisogna preferire la medicazione semipermeabile
trasparente, da rinnovare ogni 7 giorni.
Se però ci sono problemi come sanguinamento del sito di inserimento o fuoriuscita di siero la
medicazione va fatta con garza e cerotto (da rinnovare ogni 24-48 ore o quando è umida, sporca o
non è più aderente).
Gestione del CVC
202
Il catetere deve seesre irrigato a interevalli stabili. Effettuare prima e dopo qls somministrazione o
prelievi lavaggi con fisiologica.
Il cvc non in uso valavato con anticoagulante (punta chiusa con valvola antireflusso) preceduta da
fisiologica e stto indicazione medivca.
Evitare di miscelare farmaci tranne sotto prescrizione medica.
Usare per la NPT solo un lume che rimane in uso solo per quello scopo.
Prelievo del sangue da catetere venoso centrale
In linea generale è bene limitare i prelievi di sangue dal catetere venoso centrale ed eseguirli da una
vena periferica (in oncologia però questi cateteri vengono utilizzati di routine per i prelievi). Il
passaggio di sangue dal catetere lascia infatti residui che potrebbero non essere rimossi se il
lavaggio non viene eseguito correttamente.
Questi residui possono favorire la formazione di microcoaguli che potrebbero diventare veri e
propri trombi adesi alla parete del catetere fino a causarne l’occlusione.
E’ possibile fare un prelievo di sangue dal catetere venoso centrale in caso di:
• situazioni di emergenza perché il prelievo dal catetere centrale consente un rapido accesso a
una vena ad alto flusso;
• scarso patrimonio venoso del paziente.
Si devono evitare invece i prelievi per la glicemia quando si somministrano via catetere venoso
centrale soluzioni glucosate, o se il paziente è in nutrizione parenterale poiché la sacca nutrizionale
può influenzare i risultati di alcuni esami ematochimici. Infine bisogna evitare il prelievo dal
catetere venoso centrale quando si usano cateteri con lumi molto piccoli perché si può avere
un’emolisi.
Tecnica
Si apirano 5 ml di sanhue con siringa che vanno eliminati, poi con il vacutainer e provetta si
prelkeva.Usare il lume di calibro maggiore x evitare emolisi.
Al termine va sempre eseguito un lavaggio con 10 ml di soluzione fisiologica con manovra pulsante
perché la via deve essere pulita e senza residui ematici che potrebbero portare all’occlusione del
lume.
Emocultura: eseguito sia da vena periferica sia da cvc.Si disinfetta il sito si aspira il sangue da tutti i
lumi e non si elimina niente. Si preleva prima il campione aerobio e poi qll anaerobio, cambiando
l'ago tra un flacone e l'altro.Al termine lavare i lumi.
Di solito si fanno 3 emoculture a distnza di 20 minuti. Se la febbre persiste ogni 72 h fino a
scomparsa di fennre.
Complicanze
Le complicanze secondarie al posizionamento e alla presenza di un catetere venoso centrale
possono essere classificate secondo il tempo di insorgenza in:
• immediate, sono legate all’impianto del catetere (si manifestano entro 48 ore);
• precoci, sono legate all’impianto del catetere e insorgono entro una settimana dal posizionamento;
203
• tardive, possono insorgere dopo una settimana o al momento della rimozione del catetere e sono
legate alla gestione del catetere. Per evitare queste complicanze è necessario che paziente e
operatori sanitari siano formati per gestire correttamente sia il catetere sia il sistema infusionale.
Complicanze immediate e precoci
La manovra di inserimento del catetere può provocare:
• pneumotorace;
• emotorace, quando il catetere è inserito dalla succlavia;
• puntura arteriosa della carotide;
• ematoma, in seguito a ripetuti tentativi di inserimento;
• embolia gassosa, causata dalla rottura e conseguente migrazione della punta nel piccolo circolo;
• aritmie, per stimolazione del filo guida sul nodo del seno.
Il malposizionamento primario (posizionamento della punta in una sede diversa dal terzo
inferiore della vena cava superiore) comporta la ridotta o nulla funzionalità del catetere venoso
centrale con sintomatologia differente a seconda dei casi. Per esempio si può osservare un aumento
del volume della ghiandola mammaria in seguito al posizionamento della punta in vena mammaria.
Le complicanze precoci sono simili a quelle immediate.
Entro una settimana possono comparire i seguenti sintomi:
• pneumotorace tardivo;
• ematomi;
• emorragie locali;
• dolore, puntura dei plessi nervosi, compressione per emorragia arteriosa;
• infezioni con presenza di secrezioni a livello del foro di ingresso del catetere.
Qualunque segnale di malfunzionamento del catetere va considerato indice di una possibile
complicanza.
Complicanze tardive
Le complicanze tardive possono essere provocate da un mal posizionamento del catetere, che può
avere conseguenze meccaniche:
• compressione cronica del tratto di catetere che passa tra la clavicola e la prima costa, se
posizionato per via succlavia (pinch off);conseguente occlusione meccanica ed eventuale
embolizzazione.
• inginocchiamento di un tratto del catetere (kinking);
• rottura del catetere;
• ribaltamento della camera del port;
• dislocazione della punta.
Inoltre il catetere si può occludere a causa di:
• coaguli o trombi;
• precipitati di farmaci o aggregati lipidici;
Una delle complicanze più temibili è l’infezione che può portare a rimuovere il catetere per evitare
una setticemia.
204
37.Trattamento Sanitario Obbligatorio: obblighi e responsabilità infermieristiche.
“La materia è regolamentata dalla legge 13 maggio 1978, n. 180, che ha previsto uno specifico
procedimento per il ricovero coercitivo del paziente psichiatrico, pur nel rispetto dei diritti
costituzionali della persona.
Si può ricorrere al TSO solo se esistono particolari presupposti:
devono esserci alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
la non accettazione da parte del paziente degli stessi interventi terapeutici;
impossibilità di porre in essere tempestive idonee misure extraospedaliere.
Inoltre, una volta identificata la necessità di ricorrere a questa tipologia di trattamento, per la sua
attivazione sono necessarie:
la richiesta di un medico;
la convalida di uno specialista dell'Azienda sanitaria locale;
la convalida del Sindaco con provvedimento formale di disposizione al ricovero.
Sin dalla sua approvazione, l'ordinanza di TSO ha creato problemi in merito alla competenza di
esecuzione. Nei primi anni ottanta fu affidata alla Polizia municipale, poiché specifico compito di
tale corpo è l'esecuzione delle ordinanze del Sindaco.
Tuttavia questa modalità di applicazione non rispecchiava lo spirito della riforma psichiatrica
operata dalla legge 180/1978 che si era caratterizzata principalmente per la negazione di idea di
disturbo mentale quale forma di devianza sociale. Inoltre, l'atto materiale di cattura del paziente,
205
trattandosi appunto di un malato particolare, richiede particolare accortezza e cognizioni tecnicoscientifiche, e può essere compiuto solo da personale sanitario, con l'ausilio dell'intervento della
pubblica sicurezza al verificarsi di circostanze tali da compromettere l'ordine pubblico.
A porre fine a questa situazione contraddittoria è intervenuto il ministero della Sanità (ora della
Salute) nel 1992 con la circolare prot. n. 900.3/SM-EI/869, in cui si specifica che l'esecuzione del
trattamento sanitario obbligatorio è un atto complesso in cui devono intervenire più competenze, in
quanto detto provvedimento obbliga un cittadino ad adeguarsi a una decisione, prescindendo dal
consenso a essa, in virtù di un superiore interesse della collettività, che colloca in secondo piano il
diritto all'autodeterminazione del singolo. Il ministero precisa che compete al personale sanitario il
compito di porre in essere gli «atti tecnici ritenuti più opportuni», ma non compete a tale personale
«l'adozione di mezzi coercitivi».
Non vi è, quindi, contrapposizione tra l'intervento del personale sanitario e quello della forza
pubblica. Si tratta, infatti, di un'operazione congiunta, laddove il personale sanitario continua a
essere titolare di un ruolo tecnico mirato alla salute del paziente, al rispetto e alla cura della persona,
nonché al recupero di un suo consenso.”
Art. 33 - Norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari ed obbligatori
Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari.
Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono
essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo
l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici,
compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.
Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del sindaco
nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico.
Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici
territoriali e, ove, necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate.
Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono essere
accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è
obbligato. L'unità sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari
obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici
tra servizi e comunità.
Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l'infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga
opportuno.
Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale
è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio.
Sulle richieste di revoca o di modifica il sindaco decide entro dieci giorni. I provvedimenti di
revoca o di modifica sono adottati con lo stesso procedimento del provvedimento revocato o
modificato.
Art. 34 - Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori per malattia mentale
La legge regionale, nell'ambito della unità sanitaria locale e nel complesso dei servizi generali per la
tutela della salute, disciplina l'istituzione di servizi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni
preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale.
206
Le misure di cui al secondo comma dell'articolo precedente possono essere disposte nei confronti di
persone affette da malattia mentale.
Gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di
norma dai servizi e presidi territoriali extraospedalieri di cui al primo comma.
Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano
prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere
urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall'infermo e se non vi siano le
condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie
extraospedaliere.
Il provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza
ospedaliera deve essere preceduto dalla convalida della proposta di cui al terzo comma dell'articolo
33 da parte di un medico della unità sanitaria locale e deve essere motivato in relazione a quanto
previsto nel presente comma.
Nei casi di cui al precedente comma il ricovero deve essere attuato presso gli ospedali generali, in
specifici servizi psichiatrici di diagnosi e cura all'interno delle strutture dipartimentali per la salute
mentale comprendenti anche i presidi e i servizi extraospedalieri, al fine di garantire la continuità
terapeutica. I servizi ospedalieri di cui al presente comma sono dotati di posti letto nel numero
fissato dal piano sanitario regionale.
Art. 35 - Procedimento relativo agli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di
degenza ospedaliera per malattia mentale e tutela giurisdizionale
Il provvedimento con il quale il sindaco dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni
di degenza ospedaliera, da emanarsi entro 48 ore dalla convalida di cui all'articolo 34, quarto
comma, corredato dalla proposta medica motivata di cui all'articolo 33, terzo comma, e dalla
suddetta convalida deve essere notificato, entro 48 ore dal ricovero, tramite messo comunale, al
giudice tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune.
Il giudice tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali
accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne
dà comunicazione al sindaco. In caso di mancata convalida il sindaco dispone la cessazione del
trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera.
Se il provvedimento di cui al primo comma del presente articolo è disposto dal sindaco di un
comune diverso da quello di residenza dell'infermo, ne va data comunicazione al sindaco di questo
ultimo comune, nonché al giudice tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune di residenza. Se
il provvedimento di cui al primo comma del presente articolo è adottato nei confronti di cittadini
stranieri o di apolidi, ne va data comunicazione al Ministero dell'interno, e al consolato competente,
tramite il prefetto.
Nei casi in cui il trattamento sanitario obbligatorio debba protrarsi oltre il settimo giorno, ed in
quelli di ulteriore prolungamento, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico della unità
sanitaria locale è tenuto a formulare, in tempo utile, una proposta motivata al sindaco che ha
disposto il ricovero, il quale ne dà comunicazione al giudice tutelare, con le modalità e per gli
adempimenti di cui al primo e secondo comma del presente articolo, indicando la ulteriore durata
presumibile del trattamento stesso.
207
Il sanitario di cui al comma precedente è tenuto a comunicare al sindaco, sia in caso di dimissione
del ricoverato che in continuità di degenza, la cessazione delle condizioni che richiedono l'obbligo
del trattamento sanitario; comunica altresì la eventuale sopravvenuta impossibilità a proseguire il
trattamento stesso. Il sindaco, entro 48 ore dal ricevimento della comunicazione del sanitario, ne dà
notizia al giudice tutelare.
Qualora ne sussista la necessità il giudice tutelare adotta i provvedimenti urgenti che possono
occorrere per conservare e per amministrare il patrimonio dell'infermo.
La omissione delle comunicazioni di cui al primo, quarto e quinto comma del presente articolo
determina la cessazione di ogni effetto del provvedimento e configura, salvo che non sussistano gli
estremi di un delitto più grave, il reato di omissione di atti di ufficio.
Chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, e chiunque vi abbia interesse, può proporre al
tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare.
Entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla scadenza del termine di cui al secondo comma del
presente articolo, il sindaco può proporre analogo ricorso avverso la mancata convalida del
provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio.
Nel processo davanti al tribunale le parti possono stare in giudizio senza ministero di difensore e
farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce al ricorso o in atto separato. Il
ricorso può essere presentato al tribunale mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
Il presidente del tribunale fissa l'udienza di comparizione delle parti con decreto in calce al ricorso
che, a cura del cancelliere, è notificato alle parti nonché al pubblico ministero.
Il presidente del tribunale, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario
obbligatorio e sentito il pubblico ministero, può sospendere il trattamento medesimo anche prima
che sia tenuta l'udienza di comparizione.
Sulla richiesta di sospensiva il presidente del tribunale provvede entro dieci giorni.
Il tribunale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, dopo avere assunto le
informazioni e raccolto le prove disposte di ufficio o richieste dalle parti.
I ricorsi ed i successivi provvedimenti sono esenti da imposta di bollo. La decisione del processo
non è soggetta a registrazione.
Se una persona delira x attivare il TSO:
 chiamare il 118 e spiegargli la situazione
arriverrà insieme all'ambulanza una pattuglia della municipale , x garantire i diritti al
cittadino e se c'è bisogno di un'azione di forza
Il medico in seguito dovrà rivelare che il pz :
 ha un disagio mentale

non è cosciente di essere malato

rifiuta la terapia
 ha bisogno di un ricoero ad un SPDC
Il TSO si può revocare di 10 giorni ma cmq il medico deve confermare i tre punti sovrastanti per far
rimanere altri 10gg il pz. Spesso il pz capisce che basta prendere la terapia per riuscire ad andare via
e cosi non rifiuta la terapia.
208
Le nuove proposte di Legge (Burani-Procaccini)
Il D.S.M. (che può essere a gestione sia pubblica sia privata e può essere anche a gestione
universitaria) si articola in:
Servizio territoriale, a cui fanno capo il Centro di salute mentale (CSM) e la struttura
Residenziale ad Assistenza prolungata e continuata (SRA);
Servizio Ospedaliero, a cui fanno capo la Divisione di Psichiatria o Unità Operativa
Ospedaliera di Psichiatria ed i servizi ospedalieri di Pronto Soccorso Psichiatrico.
Istituisce:
il T.S.O.U (d’urgenza) che ha durata di 72 ore e deve essere effettuato presso la struttura
ospedaliera
Il T.S.O. che può durare fino a due mesi, può essere rinnovabile e può essere effettuato anche
presso struttura convenzionata compresa la SRA
Istituisce presso ogni sede di Giudice Tutelare una Commissione per i diritti della persona affetta da
disturbi mentali con funzioni ispettive e di controllo:
valutazione e convalida di ASO; TSOU e di TSO;
ricorsi contro ASO, TSOU e TSO presentati da persone affette da malattie mentali o da
chiunque ne abbia interesse;
reclami o segnalazioni da parte dei cittadini sul funzionamento delle strutture che
effettuano ASO, TSOU e TSO al fine di promuovere gli occorrenti procedimenti di carattere
amministrativo, civile o penale
PROCEDURA TSO: 2 medici + sindaco + convalida giudice tutelare
DURATA TSO: 7 giorni prolungabili
PERICOLOSITA' PAZIENTE: No
STRUTTURE RESIDENZIALI: Standard non indicato
(nel P.O. T. S. M. 1998-2000, 20 p.l. ciascuna, tot. 11.000 posti letto)
MODELLO ORGANIZZATIVO: Dipartimento di Salute mentale (nel P.O. T. S. M. 1998-2000
possibilità di gestione privata di strutture residenziali e centri diurni)
CULTURA: Biopsicosociale pluriprofessionale
CENTRALITA' INTERVENTI: Di prevenzione, cura e riabilitazione nella comunità
209
38.Prevenzione delle cadute ed uso dei sistemi di controllo nei pazienti geriatrici,
traumatizzati, etc:
normative sulla contenzione;
ausili, strumenti.
Le cadute
Considerata la costante crescita della popolazione anziana, la prevenzione delle cadute diventa
sempre più importante. Bisogna identificare i possibili fattori di rischio e attivare programmi di
prevenzione per ridurre la frequenza.
Negli USA le cadute sono la prima causa di morte accidentale e la settima cause di morte nelle
persone di 65+ anni. È un importante problema medico ed eeconomico nella sanità pubblica.
Spesso le cadute non vengono individuate dal medico perchè non vi è una specifica anamnesi ed
esame obiettivo.Molti pz sono restiii a richiedere assistenza dopo una caduta.
Inoltre le cadute sono responsabili di numerose fratture (spesso qll del femore) principalmente
nell’anziano e un paziente su 40 tra coloro che sono caduti è ospedalizzato, solo la metà sopravvive.
Le cadute accadono sia nell'ambiente ex che a domicilio.
Le cause possono essere per fattori estrinseci ( ambientali), intrinseci ( malattia) o sutuazionali ( es.
andare in bagno la notte.
Cause multifattoriali di Cadute
Incidenti
incidenti veri (inciampare, scivolare ecc.)
interazione tra rischi ambientali e fattori che aumentano la suscettibilità alle cadute
Modificazioni del controllo posturale
rallentamento dei riflessi
aumento delle oscillazioni posturali
210
ipotensione ortostatica
modificazioni della marcia
trascinamento dei piedi
ipovolemia o bassa gittata cardiaca
allettamento prolungato
ipotensione da farmaci: diuretici ; antipertensivi
Fattori di rischio ambientali
Ambiente domestico: superfici irregolari, scarsa aderenza tra piede e terreno; calzature
poco adatte; ingombri ed ostacoli
Negli incidenti domestici le cadute avvengono prevalentemente:
pavimento 24,6%
scale
17,9%
cucina
11,8%
Valutazione del rischio:
I fattori di rischio per le cadute sono classificati in intrinseci (legati alle caratteristiche della
persona), ed estrinseci, cioè legati a fattori esterni.
Tra gli anziani ricoverati in strutture sanitarie sono fattori di rischio intrinseci:
precedenti cadute;
deficit dell’udito e della vista;
deambulazione instabile;
problemi muscoli-scheletrici (atrofia muscolare, calcificazioni tendinee, osteoporosi , ecc)
deficit cognitivi;
stato confusionale, disorientamento, deficit della memoria, delirio;
precedenti ictus;
patologie acute (in particolare con sintomi quali ipotensione orto-statica e febbre);
patologie croniche (quali artrite, cataratta, demenza, diabete).
Artrosi
malattie cardiovascolari
Sono considerati fattori di rischio estrinseci:
caratteristiche dell’ambiente (struttura fisica del bagno, caratteristiche del mobilio, cattive
condizioni del pavimento, scarsa illuminazione);
calzature;
ricorso ad ausili per la contenzione ;
cattivo utilizzo di ausili per la deambulazione;
uso di tranquillanti ed effetti collaterali da farmaci.
Lo screening del rischio consente l’ identificazione delle persone a rischio di caduta, gli strumenti
adottati devono però essere adeguati al contesto e alla popolazione.
Complicanze delle Cadute negli Anziani:
211






Lesioni
lesioni dolorose dei tessuti molli
fratture
- femore
- omero
- polso
- coste
Ospedalizzazione : sindrome da immobilizzazione; rischio di patologia iatrogena
Disabilità: diminuzione della motilità conseguente a lesioni fisiche; diminuzione della
mobilità conseguente a paura, perdita di sicurezza e diminuzione della deambulazione
Rischio di istituzionalizzazione
Morte
"Long Lie" lunga permanenza a terra. ipotermia, broncopolmonite, disidratazione. La metà
muore entro sei mesi, anche in assenza di danni fisici correlabili alla caduta
Post Fall Syndrome: paura di cadere di nuovo, isolamento sociale, limitazione della vita,
sindrome da immobilizzazione
- Prevenzione delle Cadute:
Interventi di carattere medico
trattamento patologie (cardiopatie, diabete ecc.)
regolazione PA
 correzione deficit visivi (occhiali, interventi cataratta ecc.)
 correzione chirurgica alterazioni dei piedi
supporti per la deambulazione appropriati
razionalizzazione terapia farmacologica
Interventi sull’ambiente esterno
marciapiedi
illuminazione stradale
tempi di attraversamento ai semafori
scale, sedili
superfici sdrucciolevoli
irregolarità del tappeto erboso
Interventi sull’ambiente domestico
Usare calzature appropriate, chiuse sul tallone
eliminare o fissare i tappeti
eliminare i cavi volanti
lasciare liberi i percorsi abituali
inserire corrimano lungo corridoi e scale
illuminazioni adeguate
inserire strumenti di sostegno nel bagno
212
prevedere sistemi di allarme
Interventi nelle istituzioni
letti ad altezza modificabile
sedie geriatriche
corrimano lungo scale e corridoi
La contenzione
Per contenzione si intende l’uso di mezzi
fisici
farmacologici
 ambientali
che limitano la capacità di movimento volontario della persona assistita.
L’argomento della contenzione delle persone assistite soprattutto in ambito geriatrico e psichiatrico
è argomento assai dibattuto e di non semplice soluzione.
La contenzione fisica della persona assistita, che si configura come atto coercitivo e quindi in
contrasto con la libertà della persona, è ammessa solo nei casi nei quali essa possa configurarsi
come provvedimento di vigilanza, di custodia, di prevenzione o di cura, quindi solamente allo scopo
di tutelare la vita o la salute della persona a fronte di una condizione di incapacità di intendere e di
volere che renda di fatto inattendibile ogni scelta o manifestazione di volontà del soggetto. Il Codice
Penale, infatti, prevede situazioni nelle quali la contenzione è giustificata.
Qualora la contenzione fosse ingiustificata perché sostenuta da motivazioni di carattere disciplinare
o per sopperire a carenze organizzative o, ancora, per convenienza del personale sanitario, si
possono configurare i reati di sequestro di persona (art. 605 c.p.), violenza privata (art. 610) e
maltrattamenti (art. 572).
In ambito professionale, si possono ritrovare specifiche indicazioni di natura deontologica relative
alla contenzione, a cominciare da quanto previsto dal nuovo Codice deontologico degli infermieri,
promulgato nel maggio 1999. L’art. 4.11 recita, infatti: “L’infermiere si adopera affinché il ricorso
alla contenzione fisica e farmacologica sia evento straordinario e motivato, e non metodica abituale
di accudimento.
Tuttavia, riferimenti giuridici di portata più generale, e riguardanti l’insieme dei trattamenti sanitari,
sono contenuti nell’articolo 32 della Costituzione, che recita: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli
indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana”.
Presidi di contenzione fisica
213
Spondine da letto: Ne esistono di vari tipi, possono essere a scatto e già applicate al letto di
degenza o essere asportabili dal personale; Non vanno mai utilizzate se esiste la possibilità,
da parte
del paziente, di scavalcarle
Bracciali di immobilizzazione: Sono solitamente in gomma schiuma o in poliuretano,
rivestiti in materiali morbidi e traspiranti come il vello. Possono essere regolati tramite
chiusure in velcro e robuste cinghie i fissaggio con fibbie. Possono essere anche utilizzati in
situazioni di emergenza nel caso di auto-eterolesionismo.
Fascia per carrozzina: E’ costituita da un cuscinetto morbido comunemente rivestito di
materiale
traspirante; è dotato di cinghie d’ancoraggio che ne permettono il fissaggio alla poltrona e
alla carrozzina. Per questione di sicurezza è da evitare l’uso sulle normali sedie, data la loro
leggerezza, non impediscono alla persona di alzarsi e trascinare con sé la sedia.
Fascia pelvica: E’ costituta da una mutandina in cotone o in materiale sintetico con cinghie
di ancoraggio e fibbie di chiusura per applicazione a sedie o carrozzine. La fascia previene
anche la postura scorretta, evitando lo scivolamento in avanti del bacino. Le varianti alla
fascia pelvica possono essere costituite da: divaricatore inguinale, fasce antiscivolamento,
corsetto con bretelle,
corsetto con cintura pelvica.
Tavolino per carrozzina: E’ di facile applicazione e fissaggio tramite rotaia scorrevole e viti
poste sotto i braccioli della carrozzina. Impedisce di sporgersi davanti e permette l’utilizzo
del piano d’appoggio per eventuali attività.
Fasce di sicurezza per il letto: Sono solitamente costituite da una fascia imbottita applicata
alla vita del paziente e fissata al letto mediante cinghie di ancoraggio. Consentono libertà di
movimento permettendo la postura laterale e seduta.
La contenzione può portare a danni sia meccanici come ad esempio
Strangolamento
Asfissia da compressione delle gabbia toracica
Lesione dei tessuti molli superficiali
Incontinenza
Lesioni da decubito
Infezioni
Diminuzione della massa, tono e forza muscolare
214
39.Paziente infettivo: responsabilità, competenze e normativa nazionale sui malati con
HIV positivo. Utilizzo dei Disposizione di Protezione Individuale.
Il rischio di infezione da patogeni a trasmissione ematica in ambiente sanitario è un fenomeno ben
riconosciuto ed è riconducibile a tre modalità:
nosocomiale propriamente detta (dall’ambiente ai pazienti oppure crociata tra pazienti);

occupazionale (da paziente infetto ad operatore);

da operatore infetto a paziente.
Con il termine rischio biologico si intende la possibilità che, in seguito ad esposizione o a contatto
con materiali vari infetti, costituiti per lo più da sangue o fluidi, un soggetto posso infettarsi e poi
ammalarsi. L'infermiere come categoria professionale è quella più a rischio tra gli altri,
medici,ausiliari, ostetriche.
Il rischio biologico è rappresentato da: virus B dell'epatite, virus dell'epatite delta, virus C
dell'aepatite; virus dell'immunodeficienza acquisita (AIDS); altre malattie infettive- diffuse virali e
batteriche.
L'infezione trasmessa direttamente o indirettamente accade tramite liquidi biologici e tessuti.
Pricipali tessuti e liquidi biologici potenzialmete infetti:
 Sangue intero o frazionato
 liq. Peritoneale
 liq. Pleurico
 liq. Pericardiaco
 liq. Sinoviale
 liq. Amniotico
 Sperma
215



Secrezioni vaginali
Latte materno
Tessuti solidi prelevati durante l'attività chirurgica o a scopo di biopsia.
Componenti dell'agente infettivo:

la patogenicità;

la virulenza;

la invasività;

la dose;

la fonte;

il serbatoio.
Quelle dell'ospite sono rappresentate dai:

meccanismi di defesa (aspecifici);

dall'immunità umorale;

dall'immunità acquisita.
La pericolosità dell'agente biologico:

infettività: capacità di un microrganismo di penetrare e moltiplicarsi nell'ospite;

patogenicità: capacità di produrre malattia a seguito di infezione;

trasmissibilità: capacità di un micorganismo di venire trasmesso da un soggetto infetto ad
uno suscettibile;

neutralizzabilità: disponibilità di efficaci misure profilattiche pre prevenire la malattia o
terapeutiche per la sua cura.
La diffusione dell’HIV a livello mondiale ha reso necessario la codifica di alcune norme atte a
prevenire l’esposizione del virus da parte del personale sanitario addetto all’assistenza.
Il virus HIV responsabile della sindrome dell'immunodeficienza acquisita è un virus a RNA, in
genere poco resistente all'ambiente esterno.Tale virus è presente nelle secrezioni e nei
liquidicorporei; infatti l sangue, il liq. seminale e le secrezioni vaginali sono fondamentali per la
trasmissione di questo virus, ricordando tuttavia che teoricamente da tutti i liquidi contenenti
linfociti infetti può derivare un potenziale contagio.
Le più importanti vie di trasmissione sono:
 parenterale
 percutanea
 sessuale
 materno-infantile
 perinatale.
Varie norme hanno descritto tale problema:
Norme per la protezione del personale sanitario: Legge 135/90 e Dm 09/90
Legge 135/90
Tutti gli operatori devono adottare misure di barriera idonee e prevenire l’esposizione di cute e
mucose nei casi in cui sia prevedibile il contatto anche accidentale con sangue e altri liquidi
biologici.
Si consiglia l’uso di DPI tra cui camice, guanti in lattice, sovra scarpe, mascherine,etc.
216
Sono considerati liquidi virali: sangue, liquido seminale, secrezioni vaginali, liquor.
Dm settembre 1990
L’eliminazione di aghi, lame,bisturi ed altri oggetti taglienti o appuntiti deve avvenire con le
opportune cautele onde evitare punture accidentali.
Infatti la maggior parte degli incidenti accidentali sono avvenuti in risposta alla manipolazione di
taglienti.
Per i presidi medici chirurgici è prevista l’immediata disinfezione con sostanze di provata efficacia
sul virus HIV prima di procedere alla sterilizzazione. Il virus HIV è molto sensibile alla
disinfezione e alla sterilizzazione.
Tutela dei diritti del paziente affetto da infezione da HIV/AIDS
Diritto all’assistenza sanitaria: il rischio personale di contagio non esclude e non pregiudicare il
diritto del cittadino ad un’assistenza medica ed infermieristica.
Diritto alla riservatezza: articolo 5 legge 135 del 1990
Gli operatori sanitari che vengono a conoscenza di un infezione da HIV ad adottare tutte le misure
per garantire il diritto alla riservatezza del paziente, sia per la notificazione della sieropositività
(quindi la comunicazione dei risultati deve avvenire direttamente all’interessato) che per
l’esecuzione del test dell’HIV (infatti nessuno può essere sottoposto a tale test senza
autorizzazione).
Esistono comunque delle eccezioni:
1.la rilevazione è imposta dalla legge;
2.rivelazione autorizzata dal pz;
3.rilevazione che trova il fondamento in una giusta causa.
Norme di protezione del contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali
pubbliche e private
D.M. 28 settembre 1990
Articolo1: precauzioni generali: adottare misure di barriera idonee a prevenire l’esposizione della
cute e delle mucose nel caso in cui sia prevedibile il contagio accidentale con il sangue o altri
liquidi biologici.
Articolo 2: eliminazione di aghi e di altri oggetti taglienti: aghi bisturi o comunque o taglienti non
devono essere mai rimossi dalle siringhe o da altri supporti ne in alcun modo riincappucciati o
manipolati.
Articolo 3: precauzioni per i reparti di malattie infettive: devono essere adottate misure di igiene
individuale e generale.
Articolo 7: precauzioni per il personale sanitario addetto alle manovre di primo soccorso: il
personale sanitario che effettua operazioni di primo soccorso, deve utilizzare, oltre alle precauzioni
di carattere generale, sistemi meccanici di respirazione che evitano il contagio mediante l contatto
diretto con le mucose dell’infermo.
Normativa sui dispositivi di protezione individuali (DPI)
D.Lgs 626/1994 nel titolo IV.
Obbliga il datore di lavoro a fornire al alvoratore attrezzature e disposotivi di protezione appropriati
ai tipi di rischio ai quale è esposto.
Guati usate sempre, camici, occhiali, mascherina.
Normativa dei rifiuti per la gestione dei rifiuti sanitari
217
D. M. n.219/ 2000
Secondo la normativa vengono clasificati i rifiuti sanitari in:
 Non pericolositàAssimilati ai rifiuti urbani
 Pericolosi non a rischio infettivo
 Pericolosi a rischio infettivo
 Richiedono particolari modalità di smaltimento.
Per i rifiuti a rischio infettivo lo stoccaggio, la raccolta e il trasporto bisogna usare appositi
imballaggi recante scritta “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo” e il simbolo del rischio
biologico. Se si tratta di materiali che può causare tagli o punture è necessario imballaggio con
contenitore rigido con scritta “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e pungenti”.
Sorveglianza sanitaria e giudizio di idoneità per gli opertaori: art.16 della 626/94
Art. 16. - Contenuto della sorveglianza sanitaria.
1. La sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente.
2. La sorveglianza di cui al comma 1 è effettuata dal medico competente e comprende:
a) accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui i
lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica;
b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di
idoneità alla mansione specifica.
3. Gli accertamenti di cui al comma 2 comprendono esami clinici e biologici e indagini
diagnostiche mirate al rischio, ritenute necessarie dal medico competente.
Si controllano:
• Visita medica
• Profilo ematochimico
• Mosaico epatite virale
• Titolo anti-BS
• Test Mantoux
• Esami allergologici.
Il personale che non si vuole vaccinare (es. epatiteB, tubercolosi) non è idoneo a mansioni
specifiche per procedure invasive, poiché potrebbe mettere in rischio il paziente.
Definizione di procedura invasiva e di procedura invasiva che determina un rischio di esposizione
per il paziente
1. Vengono definite procedure invasive:
a. la penetrazione chirurgica in tessuti, cavità o organi, o la sutura di ferite traumatiche maggiori
effettuate in sala operatoria o sala parto, pronto soccorso o ambulatorio sia medico che chirurgico;
b. cateterizzazione cardiaca e procedure angiografiche;
c. parto naturale o cesareo o altre operazioni ostetriche durante le quali possano verificarsi
sanguinamenti ;
d. la manipolazione, la sutura o la rimozione di ogni tessuto orale o periorale, inclusi i denti,
manovre durante le quali si verifica il sanguinamento o esiste il rischio che il sanguinamento
avvenga.
2. Vengono definite procedure invasive che determinano un rischio di esposizione per il paziente
218
quelle in cui vi è una reale possibilità che si verifichi accidentalmente una ferita dell’operatore
sanitario e che, in tal caso, il sangue dell’operatore venga a contatto con le cavità corporee del
paziente, con i tessuti sottocutanei e/o con le mucose. Le procedure che determinano un rischio
di esposizione sono pertanto quelle in cui:
a. si effettua il controllo digitale della punta di un ago nelle cavità corporee;
b. c’è una presenza simultanea di dita ed aghi o altri taglienti in un campo anatomico scarsamente
visibile o molto ristretto.
40.La Valutazione assistenziale multidimensionale nel paziente geriatrico: competenze
e responsabilità.
Il paziente geriatrico è una particolare categoria di malato in quanto è particolarmente complesso
per l’esistenza di varie patologie, spesso associate a perdita di autosufficienza e problemi di ordine
funzionale, psicologico, cognitivo e sociale.
Le caratteristiche del paziente geriatrico sono:
presenza di patologie a carattere cronico;
comorbità (presenza contemporanea di varie patologie);
problemi cognitivi;
precarie condizioni socio-ambientali.
In un paziente così complesso, nel quale le varie componenti dello stato di benessere interagiscono
e si influenzano tra loro, la tradizionale valutazione clinica non è sufficiente ai fini di una completa
definizione del quadro.La peculiarità della VMD è che a differenza di un classica diagnosi clinica,
qui oltre alla patologia si vedono gli aspetti anche affettivi, sociali, spicologici ed economici.
Infatti la corretta modalità di approccio è rappresentato dalla valutazione multidimensionale
geriatrica (VMD), che si può definire come un procedimento diagnostico multidisciplinare
finalizzato alla valutazione globale dell’anziano. Biosgna distinguere le problematiche legate alla
patologia e quelle legate all'età.
In particolar modo devono essere valutate- Aree della VMD:
 Salute fisica,condizioni cliniche;
 Stato Cognitivo( imp. Per la terapia);
 Stato Psico-affettivo (es. la famiglia);
 Stato Funzionale(es. possono o non salire le scale);
 Condizione Socio-economica (es. se ho una casa);
 Condizione ambientale;
219
Sebbene la VMD includa molte componenti della diagnostica medica standard, ma ha delle novità:
Particolare attenzione allo Stato Funzionale e alla qualità della vita;
Globalità- lo scopo è quello di ottenere una visione globale del pz al fine di formulare un piano per
la prevenzione, la cura e la riabilitazione;
Team Multidisciplinare- l'unità di valutazione geritrica(uvg) è composta da:Medico geristra, Case
Manager (capo sala), Infermiere Professionale, Assistente Sociale, Fisioterapista;questa si può
espandere;
Uso di strumenti di misura standardizzati (scale).
La VMD consiste in una valutazione multidisciplinare dell'ansiano con la quale è possibile:

identificare, descrivere e spiegare i suoi molteplici problemi

definire le sue capacità funzionalità

stabilire la sua necessità di servizi assistenziali

elaborare il piano di trattamento e di assistenza
Quando eseguire la Valutazione:
- Durante la prima visita:

valutazione dello status funzionale (capacità di risolvere i compiti della vita quotidiana);

valutazione dei bisogni

preparare il piano di trattamento
- A metà del piano di trattamento (ogni nuovo evento):

rivalutare il piano

verificare il raggiungimento degli obiettivi
- Alla fine del trattamento:

valutare lo status funzionale

verificare il raggiungimento degli obiettivi.
Gli strumenti della VMD
Si fa uso di scale note e standardizzate.
N.B. Le scale non fanno diagnosi ma servono ad arricchire le informazioni per la diagnosi.
 Scala di Tinetti per la valutazione della mobilità, dell'equilibrio e dell'andatura
 ADL activity of daily living (primo livello) per valutare l'abilità funzionale, le attività
quotodiane (alimentazione,pulizia,ect.)
 Instrumental Activity of Daily Living (secondo livello) per valutare l'autosufficienza nella
società, attività quotidiane avanzate come l'uso del telefono;
 Barthel Index per l'attività quotidiana , igiene personale, camminare, salire le scale (qui non
si può valutare l'incontinenza urinaria)
 Mini Mental State Examination per valutare la capacità cognitiva, sei campi: memoria di
fissazione,linguaggio, capacità di concentrarsi,memoria a breve termine, orientamento
spazio-tempo,abilità prassico-costruttiva (manca la voce della mobilità),scala x valutare il
campo psicologico screning per la demenza. 27-30: bassa probabilità di compromissione
cognitiva; 21-26: border-line; 0-19: elevata popabilità di cpmpromissione.
220
Geriatric Depression Scale, scala di Yesavage, per valutare le funzioni emotive, 30
domande ripetute e in contraddizione.
Altro strumento usato è il Get Up and Go Test: il soggetto viene invitato ad alzarsi da una sedia,
camminare per tre metri, girarsi e ritornare nella posizione di partenza e sedersi. Il punteggio valuta
l'esecuzione,1: normale; 2: alterazione lievissima; 3: lieve; 4: moderata; 5: severa.

I Vantaggi del VMD
 Sistemazione assistenziale ottimale: riduzione dell'utilizzazione dei servizi ospedalieri;
maggior utilizzo di servizi di assitenza domiciliare; minor numero di istituzionalizzazione;
 Riduzione della durata della degenza ospedalier:a riduzione dei costi sanitari;
 Ottimizzazione della terapia farmacologica: riduzione del numero;
 Maggior accuratezza diagnostica: identificazione di nuovi problemi trattabili rimasti
precedentemente occulti;
 Modificazione delle abitudini di vita di importanza medico-sanitaria;
 Riduzione della mortalità a medio termine con alta qualità di vita;
 Miglioramento delle condizioni funzionali, cognotive e neuropsicologiche
 Riduzione dei costi.
41.Ossigeno terapia: materiali, modalità, responsabilità, competenze.
L’ossigenoterapia è indicata per pazienti che presentano una ipossemia ovvero bassa pressione
parziale di ossigeno o anche bassa saturazione di ossiemoglobina nel sangue arterioso.
Il medico prescrive:

Concentrazione

Metodo di somministrazione

Flusso in litri x min (L/min)
Quando la somministrazione di ossigeno rappresenta un intervento di emergenza,
l’infermiere può iniziare subito la terapia.
L’ossigeno viene somministrato nelle strutture sanitarie in due modi:
sistemi portatili (bombole);formate da manometro,flussometro
rete centralizzata con dispositivi a muro, formato da flussometro che indica il flusso
gassoso in L/min.
Dispositivo composto di base da:

Manometro

Flussometro

Umidificatore
L’ossigeno somministrato da una bombola o da un dispositivo a muro è secco. I gas secchi
disidratano le mucose respiratorie. Dispositivi di umidificazione che aggiungono vapore acqueo
all’ossigeno da inspirare sono essenziali nella ossigenazione.
L’umidificatore viene avvitato sotto il il flussometro in modo che l’ossigeno attraversa l’acqua.
L'O2 è un farmaco, come gas è : incolore,inodore,insapore:Per questo molto pericoloso, non
bisogna fumare nei paragi e non usare materiali di lana.
221
Le precauzioni di sicurezza sono essenziali durante la somministrazione di ossigeno; l’ossigeno
facilita la combustione, anche se non brucia o esplode da solo.
Più grande è la concentrazione di O2 e più facilmente si innesca il fuoco.
Somministrazione di O2 a basso flusso:
Nei sistemi a basso flusso, l’ossigeno viene somministrato con un tubo di piccolo calibro.
Gli strumenti per la somministrazione di O2 a basso flusso includono la maschera facciale e la
tenda a ossigeno.
Insieme all’O2 viene inalata anche l’aria circostante e in tal caso la frazione di ossigeno inspirato
(FiO2) varierà in base alla frequenza respiratoria e al flusso.
I sistemi a basso flusso sono generalmente usati per pazienti che hanno una frequenza respiratoria
inferiore a 25 atti respiratori al minuto ed una respirazione regolare; sono controindicati per pazienti
che necessitano di concentrazioni di O2 precise e controllate.
Nei sistemi ad alto flusso forniscono tutti il gas richiesto durante la ventilazione in quantità precise,
senza tener conto dello stato respiratorio del pz.
L’ossigeno viene somministrato tramite il sistema venturi e tubi di grosso calibro.
Strumenti:
CANNULA NASALE (occhialini)
È lo strumento più comunemente usato e meno costoso per la somministrazione di ossigeno a basso
flusso.
È composto da un tubo che si estende intorno al viso, con due tubicini curvati che entrano nelle
narici. Una parte della cannula si collega al tubo proveniente dall’erogaore. Fornisce una
concentrazione di O2 relativamente bassa 24-44% con frequenza di flusso da 2 a 6 L/min.
MASCHRA FACCIALE
Le maschere facciali coprono il naso e la bocca del paziente.
Alcune maschere hanno un sacchetto di riserva che fornisce una maggiore concentrazione di O2 al
pz.
Esistono diverse maschere per O2:
la maschera facciale semplice con concentrazione di O2 dal 40 al 60% con un flusso di 5-8
l/minuto.
maschera con sacchetto o serbatoio o palloncino di riserva parziale che fornisce una
concentrazione di O2 a 40-60% con un flusso di 6-10 l/min. la riserva permette al paziente
di respirare più volte il primo terzo dell’aria espirata insieme all’O2.
la maschera con riserva parziale a flusso unidirezionale fornisce la massima concentrazione
di ossigeno in alternativa all’intubazione e alla ventilazione meccanica. Il paziente respira
solo il gas fornito dal sacchetto grazie a delle valvole poste sulla maschera e tra il sacchetto
di riserva e la maschera stessa.
la maschera di Venturi eroga precise concentrazioni di ossigeno che variano dal 24 al 50%
e sono fornite da tubi di grosso calibro e da adattatori calibrati (misure e colori diversi).
TENDA FACCIALE
222
Le tende facciali possono sostituire le maschere per ossigeno quando i pazienti non riescono a
tollerarle, di solito integrata con sistema Venturi.
TUBO ENDOTRACHEALE
È un tubo inserito direttamente in trachea mediante un incisione chirurgica nella parte bassa del
collo.
Delega.L’OSSIGENOTERAPIA NON è UN ATTIVITA’ DELEGABILE AL PERSONALE DI
SUPPORTO.
Tecnica:
1. Determinare il bisogno e vedere la prescrizione
2. Posizionare il pz in semi-flower
3. Informare il pz, privacy
4. Lavarsi le mani
5. Preparare apparecchi e umidificatore: collegare il flussimetro al dispositivo a mano (off);
riempire l'umifificatore,collegarlo al flussimetro; collegare il tubo
6. Aprire il flusso alla velocità e verifica l'erogazione
7. Controllare il pz regolarmente: rilevare pv, ansia, colore della cute, facilità di respirazione,
controllare ipossia, tachicardia, cianosi
8. Controllare gli strumenti
9. Documentare in C.I:
223
42.Allattamento materno ed artificiale: educazione sanitaria, modalità, responsabilità,
competenze.
ALLATTAMENTO MATERNO
.Indubbiamente il latte ed in particolare quello materno rappresenta un alimento essenziale
nell’alimentazione del bambino sin dai suoi primi istanti di vita.
Ricco infatti di sostanze preziose per il nutrimento e l’adeguata crescita del neonato, contiene
inoltre fattori in grado di proteggerlo ad esempio da infezioni (si formano le difese immunitarie) e
comunque capaci di salvaguardare la sua salute in senso più ampio.
Proprio per svolgere al meglio questa importante funzione, il latte materno muta la propria
composizione in virtù delle tappe di vita del nascituro, passando dal colostro delle primissime
poppate (in genere secreto nei tre giorni seguenti la nascita), che si contraddistingue da quello
successivo per un colorito giallastro ed una consistenza più fluida che liquida.
Il latte di transizione, simile a quello che tutti conosciamo è immediatamente successivo ed
acquisirà la sostanza e le caratteristiche definitive nell’arco di poche settimane, modificandosi
grazie al rilascio dell’ormone prolattina stimolato dalla suzione del bambino.
Il latte materno è ricco di anticorpi sia IgG ma anche IgA (specie nel colostro) utili al bambino per
la propria copertura immunologica, secondo quanto riportato dal Ministero del Lavoro, della Salute
e Politiche Sociali, vi è protezione dalle allergie ed affezioni respiratorie, miglioramento della
funzionalità del tratto gastro-intestinale, riduzione al minimo di rischi d’occlusione ed un corretto
sviluppo psicomotorio favorito.
Pediatri, nutrizionisti ed ostetriche sono tutti concordi : non c’è alimento migliore del latte materno,
non solo perché apporta tutte le sostanze essenziali che gli assicurano un’ottima crescita del
bambino, ma anche perché garantisce importanti fattori protettivi in grado di influenzare
positivamente sulla sua salute futura.
224
L'infermiere in questo caso è una figura educativa, dovrà trasferire tutte le informazioni utili alla
mamma sul come preparare il latte formulato e come affrontare l'alattamento. Si rassicura la
mamma (soprattuto se primipara), cercando di rispondere a tutte le domande che ci possono
rivolgere le neo mamme
EDUCAZIONE SANITARIA
È fondamentale un adeguata educazione sanitaria per le neo mamme che implica anche le posizioni
più corrette per allattare:
Posizione seduta (più comune )
mamma eretta e bambino appoggiato al corpo. La mamma per stare più comoda può aiutarsi
appoggiando i piedi su di uno sgabello.
Posizione sdraiata mamma e bimbo posti sul fianco quest'ultimo con la testa all'altezza del
seno ed in asse col corpo.
La posizione del bambino:
Il bambino deve essere rivolto con tutto il corpo verso quello della mamma (e
generalmente sul fianco)
Il volto verso il seno, il naso in direzione del seno e la testa in asse col corpo, per evitare
che sia costretto a ruotare il capo per afferrare il capezzolo
Il corpo del bambino deve essere aderente a quello della mamma.
Come attaccare il bambino al seno:
Avvicinare il capezzolo alle labbra del piccolo che da solo aprirà la bocca di riflesso
Con una leggera manovra avvicinare il corpo del bambino al seno
Il bambino è attaccato bene se la sua bocca è bene aperta ed afferra gran parte dell'areola, il
suo mento è attaccato al seno ed il labbro inferiore completamente estroflesso così non darà
dolore alla mamma.
Consigli utili:
ALCUNE RACCOMANDAZIONI ed indicazioni:
Il benessere del bambino è il più importante modo di valutare il successo
dell'alimentazione che si può fare con il controllo settimanale del peso; la mamma potrà
valutare se il suo latte è sufficiente, se il piccolo crescerà meno di 125 grammi alla settimana
o se non farà sufficiente pipì (meno di 6 pannoloni bagnati al giorno, con urina di odore
forte), dovrà consultare il Pediatra. Si pesa prima e dopo la poppata per capire quanti gr ha
preso.
Inoltre un bambino che mangia adeguatamente è tranquillo tra una poppata e l’altra,
dorme alcune ore (quanto è molto variabile in quanto ci sono dei bambini che sembrano dei
ghiri: “mangiano e dormono” e bambini già con il ritmo frenetico della vita moderna o che
sembrano delle batterie di una nota produttrice di batterie che “non si scaricano mai”). La
mamma deve continuare la sua dieta abituale, adeguarsi solo alle maggiori richieste di
liquidi e di calorie (circa 500 calorie in più, delle quali almeno 60 fornite dalle proteine);
assumere una alimentazione varia eliminando solo in un secondo tempo i cibi che sembrano
disturbare il bambino.
 La mamma dovrebbe allattare il neonato quando lo richiede e, generalmente, dalle 5-6
alle otto o più volte al giorno, al fine di mettere in atto una adeguata lattazione (ma anche
qui esistono grosse variabilità individuali, alcuni bambini, da subito o quasi fanno 5-6 pasti
al dì, altri superano le 10). E’ possibile che all’inizio il piccolo voglia attaccarsi una volta
ogni due ore: lo assecondi; ciò stimola una buona montata lattea e aiuta a prevenire
225
l’ingorgo al seno. Col tempo le poppate si distanzieranno! Per assicurare un adeguato
svuotamento e una stimolazione di entrambe le mammelle, la mamma dovrebbe alternare il
seno con il quale inizia ogni volta l’allattamento.
Sapere che la maggior parte dei neonati può svuotare un seno per lo più in 7 minuti;
pertanto suzioni addizionali, piacevoli per il bambino, ma a volte non per la madre in caso
di ragadi, non sono nutritive e possono provocare dolore ai capezzoli.
Allattare il bambino “a richiesta”, senza seguire orari rigidi; Soprattutto quando il bambino
è abituato a essere nutrito “a richiesta”, senza orari prestabiliti, o quando ti trovi fuori casa
con lui all'ora della poppata, è utile conoscere alcuni punti di riferimento, luoghi in cui puoi
allattarlo senza problemi. Stanno aumentando, infatti, le iniziative per favorire le mamme
che allattano e che si
trovano in giro quando il neonato ha bisogno di essere nutrito.
In alcuni negozi, ad esempio, sono messi a disposizione appositi spazi nei quali poter nutrire
il proprio bambino, in modo che le mamme si possano sentire a proprio agio in questo gesto
naturale. Allattare, infatti, fa parte della vita; agendo sempre con discrezione, ogni luogo
potrebbe essere adatto a farlo e verrebbe così anche incentivato l'allattamento al seno.
Nel caso in cui il bambino non si attacca al seno: con un dito solleticare sotto l'orecchio
Controllare la posizione e l’attacco al seno del bambino, evitando di staccarlo prima che
abbia finito;
Non dare al bambino altri liquidi diversi dal latte materno prima della prima poppata, così
come evitare il latte o altri cibi artificiali, acqua, zucchero o acqua zuccherata tra una
poppata e l’altra (nei primi sei mesi, infatti, quando il bambino ha sete prende quello che
viene definito il “primo latte”, meno grasso e più ricco di acqua e zuccheri, mentre quando
ha fame rimane attaccato più a lungo, fino a prendere anche “l’ultimo latte”, molto più ricco
di grassi. Per questa ragione, spesso nei mesi caldi i bambini fanno poppate più brevi e
frequenti);
Evitare l’uso di tettarelle artificiali, biberon e ciucci, soprattutto nei primi mesi di vita;
Non lavare il seno dopo ogni poppata ed evitare l’uso di creme o unguenti durante
l’allattamento; la normale igiene della mamma è sufficiente e il seno è provvisto di
ghiandole che provvedono ad una naturale disinfezione dell’areola;Nell’allattamento
naturale non è necessaria una particolare igiene del seno, invece specifica in caso di
applicazioni di creme in presenza di ragadi.
La composizione del Latte materno cambia man mano che il bimbo cresce, adattandosi alle
esigenze del bambino.
È opportuno un abbigliamento comodo e pratico durante l’allattamento, quindi con
allacciatura facilitata (anteriore) e reggiseno idoneo all’allattamento (con apertura).
Per non far stancare le braccia alla mamma e farla stare più comoda nell'allattamento c'è un
nuovo presidio , labanana , un cuscino che si mette intorno ala mamma dove si poggia il
mimbo, diventa un tuttuno.
Per evitare l’ingorgo allattare il bambino alternando i due seni tenendolo attaccato ad
esempio dieci minuti a mammella ed avendo l’accortezza nella successiva poppata di
iniziarla con il seno con cui si è terminato l’allattamento precedente.
Per fare il bilancio idrico della mamma, oltre tutti gli elementi standar di entrata ed uscita,
nelle uscite conti il latte, grazie al peso del neonato (vedi sopra) o in base al tira latte.
226
CONTROINDICAZIONI ALLATTAMENTO NATURALE
Alla luce delle conoscenze attuali, le condizioni in cui l’allattamento al seno è sconsigliato sono
piuttosto limitate. L’allattamento non dovrebbe avvenire quando nella madre è presente almeno una
delle seguenti condizioni:
Sieropositività e trattamento con farmaci antiretrovirali per la terapia dell’Aids;
Psicofarmaci;
Uso di tabacco e alcool;naturalmente non fumare, il fumo può provocare al piccino
tachicardia, anorerssia, vomito e diarrea..
Alcuni chemioterapici;
Tubercolosi attiva e non curata;
 Uso di sostanze stupefacenti;
Contrariamente ad alcune credenze si può allattare anche in caso di ragadi (fessurazioni del
capezzolo), o mastiti trattate con terapia antibiotica specifica tale da non passare nel latte
materno.
E’ preferibile che la mamma eviti alcuni alimenti come: thè, caffè, cioccolata (caffeina),
uova fresche o dolci alla crema,formaggi possibili veicoli per la salmonellosi, mentre
soprattutto in estate si possono però mangiare gelati alla frutta.
Per prudenza sarebbe meglio evitare funghi, frutti di mare, limitare il caffè al massimo a
due tazzine al giorno, preferibilmente decaffeinato, tè preferibilmente deteinato; non più di
due bicchieri di vinoal giorno e, di birra, non più di una lattina al giorno, ai pasti.
E’ consigliabile inoltre rinunciare alle tinture e alle permanenti (le sostanze possono
essere assorbite ed eliminate nel latte): può concedersi mèches e colpi di luce.
Molti farmaci passano nel latte, sia pure in quantità diversa; solo alcuni hanno conseguenze
per il lattante. Nella maggior parte dei casi la mamma può continuare ad allatere. La nutrice
dovrebbe assumere solo farmaci indispensabili e prescritti dal medico: avvisare il Pediatra
qualora notasse disturbi nel bambino. Nel dubbio chiedete sempre un consiglio al vostro
pediatra.
Il Tiralatte
Il tiralatte può essere utilizzato qualora la mamma sia impossibilitata all’allattamento, laddove ad
esempio il bambino sia prematuro, in caso di ingorgo o quando deve per riprendere a lavorare o Se
il bambino non riesce ad attaccarsi al seno..
Esistono in commercio modelli a pompa manuale o elettrici, che a seconda delle esigenze della
donna (come la durata del periodo in cui dovrà procedere all’aspirazione), possono adattarsi al caso.
Prima di usare il tiralatte è bene seguire delle norme igieniche basilari:
Lavarsi le mani accuratamente
Riporre il latte in frigorifero tappando il contenitore, questo per evitare che altri cibi entrino
in contatto con il latte del bambino
Assicurarsi che le parti del tiralatte siano ben deterse e pulite.
ALLATTAMENTO ARTIFICIALE
227
L’allattamento artificiale si intende l’alimentazione con il latte diverso da quello materno e di
norma è utilizzato in sostituzione di quello naturale e dietro prescrizione medica.
In genere il surrogato è costituito da latte vaccino pastorizzato, disidratato ed opportunamente
trattato, non si può, infatti, somministrare latte vaccino per le caratteristiche della sua composizione
al bambino così com’è e la ricerca già da diversi anni continua ad elaborare miscele in grado di
sostituire il latte materno.
Tra i vari tipi di latte artificiale attualmente commercializzati troviamo:
il latte adattato che è quello che ha una formulazione più simile al latte materno;
il latte di proseguimento che generalmente si utilizza nello svezzamento più ricco di
sostanze preziose al fabbisogno del bambino che cresce;
il latte di soia utilizzato nei lattanti intolleranti al latte adattato in quanto privo di lattosio.
L'infermiere in questo caso è una figura educativa, dovrà trasferire tutte le informazioni utili alla
mamma sul come preparare il latte formulato e come affrontare l'alattamento. Si rassicura la
mamma (soprattuto se primipara), cercando di rispondere a tutte le domande che ci possono
rivolgere le neo mamme
Il latte materno è il latte migliore per un bambino nel primo anno di vita. Quale latte in
alternativa a quello materno?
I latti formulati (in polvere o liquidi) sono concepiti per integrare il latte materno se non è
disponibile o se è insufficiente, o per sostituirlo se la mamma non è in grado di non allattare. Sono
prodotti dalle industrie dietetiche a partire dal latte vaccino o dalla soia, che poi vengono modificati.
La loro composizione si avvicina il più possibile a quella del latte materno, che è il latte di
riferimento, e tutti i nutrienti essenziali sono presenti in quantità appropriate.
I latti formulati non hanno fattori di difesa contro le infezioni, e pertanto i bambini allattati
artificialmente risultano meno protetti.
Il latte vaccino intero (latte intero "di latteria"), sia fresco che a lunga conservazione, non dovrebbe
essere somministrato a bambini di età inferiore ai 12 mesi perché non fornisce tutti i nutrienti
essenziali nelle giuste quantità, e può causare disturbi nutrizionali (ad esempio è carente di ferro,
con il rischio di favorire l'insorgere di un'anemia).
Il latte vaccino scremato (latte scremato o parzialmente scremato "di latteria") non dovrebbe essere
invece somministrato prima dei 24 mesi d'età in quanto il grasso presente nel latte favorisce un
corretto sviluppo del bambino nei primi anni di vita.
Il latte formulato
Prima di iniziare con un latte formulato bisogna sapere che:




se alla nascita una mamma decide di non allattare, è molto difficile che in seguito riesca a
farlo (se il bambino non si attacca al seno dai primi giorni, la produzione di latte viene
irrimediabilmente compromessa)
le aggiunte di latte formulato, se non necessarie, sono da evitare (nelle prime 4-6 settimane,
in particolare, la produzione di latte materno non si è ancora ben stabilizzata, e cala
irrimediabilmente se si riduce il tempo in cui il seno viene stimolato)
la composizione in proteine, grassi, zuccheri, vitamine e sali minerali soddisfa le esigenze
nutrizionali e di crescita del lattante, per cui non è necessaria alcuna integrazione (ad
esclusione della vitamina D e del fluoro)
in commercio si trovano diversi tipi di latte formulato, differenti per composizione (latte
adattato, HA, idrolisato, di soia, latte di proseguimento, ecc.).
228
Solo il pediatra che ha in cura il bambino può stabilire qual è il latte più idoneo. Ad esempio
nei primi 4-5 mesi sono indicati i latti "adattati", in seguito i latti di "proseguimento" per le diverse
esigenze nutrizionali del lattante.


il latte deve essere sempre preparato secondo le indicazioni: concentrare il latte aggiungendo
altra polvere, o diluirlo aggiungendo più acqua di quella indicata può essere dannoso per la
salute del bambino
i latti formulati sono disponibili in polvere o liquidi, già pronti per l'uso. Possono essere
usati indifferentemente. I latti liquidi sono in genere più costosi.
Come preparare il latte formulato
E' molto importante preparare il biberon con cura e attenzione.
Alcuni consigli:


lavarsi le mani
utilizzare biberon e tettarelle sterilizzati o solo accuratamente lavati se il bambino ha più di 5
mesi.
Per preparare il latte in polvere:





versare la giusta quantità di acqua tiepida (oligominerale naturale in bottiglia di vetro: Stella
Alpina, Amorosa, Fiuggi, ecc. o "di rubinetto" bollita per 5 minuti, poi lasciata intiepidire)
aggiungere la quantità prescritta di polvere (i misurini devono essere pieni ma rasi, la
polvere non va compressa, l'eccedenza va allontanata con il manico di un altro misurino o
con la lama di un coltello. Di solito ogni 30 gr. di acqua va aggiunto un misurino di polvere)
tappare il biberon, agitarlo per 10-15 secondi affinché tutta la polvere sia sciolta e non ci
siano grumi
scaldare il biberon a bagnomaria, o nello scalda-biberon, o nel forno a microonde
controllare la temperatura del latte lasciando cadere qualche goccia sul dorso della mano per
accertarsi che non sia né troppo caldo né troppo freddo (d'estate molti bambini preferiscono
il latte appena tiepido o freddo, d'inverno la maggior parte preferisce un latte caldo).
Per quanto riguarda il riscaldamento del latte con il forno a microonde, occorre sapere che si
ottiene una temperatura due volte più elevata nella parte superiore del biberon, rispetto alla base.
Pertanto si consiglia di:



mettere nel forno la bottiglia diritta, senza tappo per permettere al calore di uscire
estrarla dal forno a temperatura raggiunta
chiuderla e capovolgerla una decina di volte prima di somministrarla al bambino
Controllare che il latte fuoriesca della tettarella correttamente, goccia dopo goccia (se fuoriesce a
getto, il buco della tettarella è troppo grosso e il bambino potrà ingozzarsi, se fuoriesce troppo
lentamente, il buco della tettarella è troppo piccolo o è ostruito, e il bambino potrà trovare
difficoltà).
Frequenza e quantità dei pasti
La quantità di latte necessaria per un bambino è variabile, quindi il numero e la quantità delle
poppate non devono essere rigidamente prestabilite, ma si deve cercare di soddisfare le singole
richieste.
I componenti del latte formulato però, a differenza di quelli del latte materno, restano ostanti
229
nell'arco della poppata e quindi il lattante può non essere in grado di autoregolarsi come
nell'allattamento al seno, con il rischio di essere alimentato in eccesso.
Per questo motivo è necessario, nei primi mesi, verificare che l'incremento del peso sia regolare
(all'incirca 150 - 200 gr. ogni settimana nei primi 3 mesi, 100-150 ogni settimana nei 4 mesi
successivi).
La tabella sottoriportata fornisce solo le dosi medie indicative, e non le quantità che un bambino
deve necessariamente assumere, essendo possibili notevoli differenze anche tra lattanti della stessa
età e/o dello stesso peso.
15 giorni
80-90 gr x 6 pasti
20 giorni
90-100 gr x 6 pasti
25 giorni
100-110 gr x 6 pasti
1 mese
110-120 gr x 6 pasti
45 giorni
120-130 gr x 6 pasti
2 mesi
140-150 gr x 5 pasti
2 mesi e mezzo
150-160 gr x 5 pasti
3 mesi
160-180 gr x 5 pasti
4-5 mesi
200-230 gr x 4 pasti
Conservazione del latte
Alcuni consigli:





è preferibile preparare il latte di volta in volta. Qualora non venga consumato subito, può
eventualmente essere conservato in frigorifero, comunque va utilizzato nelle 24 ore
successive
se il bambino non completa il pasto, non è consigliabile conservare il latte avanzato per il
pasto successivo perché possono non essere più presenti le condizioni igieniche ottimali
durante i viaggi è bene preparare il latte solo al momento di offrirlo al bambino (è
sconsigliato prepararlo anticipatamente)
la bottiglia del latte liquido, una volta aperta, deve essere conservata in frigorifero e il latte
deve essere utilizzato entro 48 ore
il latte in polvere invece, dopo l'apertura della scatola, deve essere consumato entro 10-15
giorni.
Il pasto
Il pasto dovrebbe essere un momento piacevole in cui il bambino riceve cibo e "coccole". E''
importante mettersi comodi, e assicurarsi che anche il piccolo sia in una posizione confortevole.
230
La poppata dovrebbe durare circa 20 minuti.
Dopo il pasto di solito i lattanti emettono qualche "ruttino", ossia l'aria che si trova nello stomaco. Il
ruttino non è obbligatorio, e anche in sua assenza il latte viene comunque digerito e non si avverte
dolore. Il suo unico vantaggio è quello di ridurre i rigurgiti (quindi va favorito nei lattanti che
rigurgitano parecchio).
Alcuni consigli:





sostenere con un cuscino il braccio su cui poggia il bambino
porre il bambino in posizione semiseduta, sostenuto nell'incavo del braccio
offrire al bambino il biberon tenendolo inclinato in modo che tettarella e collo della bottiglia
siano sempre pieni di latte (ciò impedisce che il bambino succhi troppa aria)
aspettare il momento in cui il bambino fa spontaneamente una pausa, porre il bambino in
posizione verticale, con il capo appoggiato sulla spalla del genitore, e battere qualche
delicato colpetto sulla sua schiena per favorire il "ruttino" (ripetete questa operazione 2 volte
a pasto, per circa 1 minuto, soprattutto se il bambino rigurgita parecchio)
gettare il latte avanzato, lavare subito dopo ogni poppata biberon e tettarella, e sterilizzarli
(se il bambino ha più di 5 mesi è sufficiente lavarli accuratamente).
Lavaggio




sciacquare con acqua corrente fredda
lavare con acqua tiepida e detersivo, rivoltare le tettarelle, aiutarsi con un apposito
spazzolino (scovolino) per rimuovere gli avanzi di latte
risciacquare nuovamente con abbondante acqua corrente
disinfettare gli spazzolini con ipoclorito di sodio dopo averli utilizzati, e lasciarli asciugare
Sterilizzazione



a caldo: fare bollire biberon e tettarella per almeno 20 minuti in una pentola piena d'acqua o
negli appositi contenitori. Al termine, utilizzare una pinza igienica ed evitare di toccare gli
oggetti con le mani.
a freddo: immergere biberon e tettarella per almeno 1 ora e mezza nell'apposita vaschetta
contenente liquido sterilizzante. La soluzione deve essere rinnovata ogni 24 ore.
Gli oggetti sterilizzati vanno estratti con mani accuratamente lavate o con pinze igieniche,
non vanno sciacquati ma solo scolati.
231
43.Bambino assistito con
responsabilità, competenze.
ittero
neonatale;
fototerapia:
materiali,
modalità,
Si definisce ittero (dal greco icter giallo) la colorazione che assumono la pelle, le mucose e le
sclere, per l’accumulo nel sangue della bilirubina.
La bilirubina è una sostanza che viene naturalmente prodotta dall’organismo come conseguenza
della distruzione dei globuli rossi invecchiati, che vengono continuamente rinnovati con altri,
prodotti dal midollo osseo. La bilirubina così formatasi, viene definita “indiretta”o “non coniugata”.
Essa viene successivamente trasformata, dal fegato, in bilirubina “diretta” o “coniugata”, che viene
eliminata con le feci.
L’ittero fisiologico o neonatale, chiamato anche ittero semplice del neonato, rappresenta uno degli
eventi parafisiologici più frequenti in età neonatale. La bilirubina prodotta in eccesso, per la
distruzione dei globuli rossi fetali, sovraccarica il fegato che di per sé non è ancora efficiente. Si
colorano per prima le sclere, poi il viso, il tronco e per ultimi, se i valori della bilirubina dovessero
salire, gli arti.
L’'ittero del neonato rappresenta uno degli eventi fisiologici più frequenti in età neonatale, e’
presente nel 60% dei neonati a termine ed in oltre l’80% nei neonati pre termine.
La caratteristica colorazione gialla della cute e delle mucose, e’ dovuta all’accumulo nel plasma e
nei tessuti della bilirubina, pigmento prodotto dalla degradazione dell’eme che rappresenta la parte
centrale dell’emoglobina. Se al momento del parto si verifica uno stato anemico (distacco di
placenta, trasfusione feto placentare, ecc.) il colorito giallo-arancio del comune ittero si trasforma
invece in color giallo-limone.
Così se il neonato itterico non deve essere considerato "malato", essendo l’ittero una affezione
parafisiologica, vi e’ tuttavia una serie di patologie congenite ed acquisite che possono manifestarsi
precocemente alla nascita solo con una sintomatologia itterica.
Di fronte ad ogni neonato itterico si pongono con molta delicatezza alcuni problemi che sono
rappresentati da:
limiti dell'ittero fisiologici;
identificazione precoce e trattamento tempestivo dei soggetti "a rischio" per ittero
patologico;
diagnosi differenziale degli itteri patologici.
232
Cause dell'ittero neonatale
A- da Bilirubina non coniugata (indiretta)
aumentata produzione
Transitoria fisiologica :
1.aumentata produzione,
2.esaltato riassorbimento enterico(stenosi intestinale o ritardato transito),
3.ridotta eliminazione (farmaci, ipoglicemia, ipotiroidismo)
4.latte materno
5.medicamenti
B - Da bilirubina coniugata (diretta)
medicamenti (rifampicina, derivati dal testosterone, cloropromazina)
Nel neonato normale, di bilirubina che va dai 6 agli 8 mg/Kg di peso nelle 24 ore e che si traduce
praticamente in un graduale aumento del tasso serico di bilirubina nei primi 4 giorni dalla
dimissione se questa, nei casi di parti fisiologici, avviene nelle prime 48 ore dal parto.
Nella grande maggioranza dei casi l’ittero comincia ad essere percettibile nel corso della seconda
giornata di vita quando i valori della bilirubina raggiungono i 5-6 mg%, raggiunge il massimo di
intensita’ intorno alle 72 ore di vita con un valore medio di 8 mg%, quindi tende gradualmente a
decrescere e nella seconda settimana di vita non dovrebbe essere piu’ apprezzabile.
L'ittero fisiologico solitamente non è clinicamente significativo e si risolve entro 1 sett.
Tra i più comuni fattori di rischio per l'ittero neonatale ricordiamo: prematurità, diabete gestazionale,
asfissia durante il parto, ipossia, ipoglicemia, acidosi, policitemia, altitudine, disidratazione, grossi
ematomi e familiarità per l'ittero (genitori, fratelli o sorelle del bambino che hanno avuto in passato
livelli di bilirubina elevati, tali da richiedere il trattamento con fototerapia).
L’ittero, quando raggiunge il valore di 3 mg %, si rende evidente con la digitopressione eseguita alla
luce naturale.
Secondo alcuni autori colpisce il 60 % dei neonati nati a termine e oltre l’80 % dei nati prematuri.
Perchè l’ittero sia definito fisiologico, e quindi si possa stare sicuri della sua benignità, occorre
verificare alcune caratteristiche:




non deve insorgere nel primo giorno di vita
non deve crescere eccessivamente ( il valore della bilirubina non deve salire più di 5 mg%/dl
nelle 24 ore)
non deve raggiungere livelli eccessivi (non oltre 12 mg %/dl nel nato a termine, non oltre il
15 mg %/ dl nel prematuro)
non deve durare troppo a lungo (10 giorni nel nato a termine, 15 giorni nel prematuro).
L’ittero fisiologico si manifesta di solito dopo due tre giorni di vita, dura circa 7-10 giorni nella
quasi totalità dei casi regredisce spontaneamente. Tuttavia, se anche i valori della bilirubina
dovessero salire più del previsto e dovesse essere necessario, per evitarne gli effetti tossici,
sottoporre il neonato alla fototerapia, non c’è motivo di preoccuparsi.
233
Conseguenze
DANNI NEURONALI
I sintomi delle alterazioni provocate a livello del SNC sono rappresentati da ipotonia muscolare e
indebolimento della suzione, ai quali seguono successivamente spasticita’ muscolare con
atteggiamento in opistotono, sopore marcato e a volte convulsioni tonico-cloniche; l’esito e’ la
paralisi spastica con deficit psichico piu’ o meno marcato.
Quand’e’ che l’ittero non e’ fisiologico?
Non sempre la distinzione tra "ittero fisiologico" e quello patologico a bilirubina non coniugata puo’
essere agevole; cio’ nonostante vi sono dei criteri elaborati in questi ultimi quindici-venti anni che
ci consentano di escludere l’ittero fisiologico.
L’ittero non e’ fisiologico se:
1) si evidenzia clinicamente nelle prime 24 h di vita;
2) l’incremento dei livelli di bilirubina e’ > 5 mg/die;
3) i valori della bilirubina totale sono > di 12 mg/dl nel nato a termine, > di 15 mg/dl nel
pretermine;
4) la concentrazione di pigmento a reazione diretta e’ > di 1,5-2 mg/dl;
5) permane evidente oltre la prima settimana di vita nel nato a termine, oltre la seconda nel
pretermine.
L’assenza di questi parametri non ci permette, per esclusione, di affermare che l’ittero e’
"fisiologico", ma anzi, la presenza di ognuno di essi, anche singolarmente, impone una precisazione
diagnostica. Tra le cause dell’ittero "non fisiologico" ricordiamo per sommi capi quelle da:
1) Aumentata produzione della bilirubina non coniugata
a) malattia emolitica del neonato (MEN) da alloimmunizzazione feto-materna nel sistema Rh, ABO
anche se l’introduzione dell’immunoprofilassi anti D e la riduzione del numeo di gravidanze hanno
notevolmente ridimensionato il problema.
b) difetti ereditari degli enzimi, fra i quali nel nostro Paese il più frequente e’ il deficit di glucosio 6-fosfato deidrogenasi (G6PD);
c) sferocitosi ereditaria, una delle anomalie della membrana dei Globuli Rossi che si manifesta con
maggior frequenza;
d) emolisi con elevata bilirubinemia possono essere presenti nelle forme di alfa-thalassemia;
e) iperbilirubinemia precoce, anche se poco frequente, nei processi infettivi da virus (rosolia, CMV,
Herpes simplex), infezione luetica, toxoplasmosi, mentre le iperbilirubine associate a sepsi sono in
genere più tardive.
Metodi:
Al di sotto dei valori di bilirubina, poco prima accennati, puo’ essere sperimentata con discreto
successo la fototerapia che agisce con un meccanismo di fotodecomposizione sulla frazione
indiretta della bilirubina che verrebbe trasformata in metaboliti idrosolubili eliminabili attraverso le
vie biliari.
Altro presidio terapeutico puo’ essere la trasfusione di albumina umana (4ml/Kg) allo scopo di
legare la bilirubina indiretta in eccesso nel sangue. I cortisonici, che secondo alcuni studiosi,
attiverebbero gli enzimi epatici e i barbiturici che attiverebbero la glicuronil-transferasi, sono stati
abbandonati in quanto il loro effetto pratico non e’ stato confermato.
Ma il rimedio piu’ efficace e’ rappresentato dall’exanguino-trasfusione che e’ il solo mezzo
efficace per ridurre, in breve, il tasso elevato della bilirubina e prevenire l’ittero nucleare.
Fino a 18-20 anni fa tale pratica era poco agevolata per la mancanza di materiale atto allo scopo (si
usavano siringhe di vetro, recipienti per contenere il sangue da infondere e quello da scartare a cielo
234
aperto, sondini di gomma ecc.).Attualmente l’uso di moderni set costituiti da materiale di plastica a
perdere, monouso, che permettono il ricambio della quantita’ di sangue desiderato, a circuito chiuso
e nella completa asepsi, consentono di guardare alla encefalopatia bilirubinica come ad un lontano
ricordo.
Fototerapia
La fototerapia si è dimostrata finora sicura ed efficace nel trattamento dell'iperbilirubinemia.
L'effetto maggiore viene ottenuto esponendo il neonato a una luce visibile nell'intervallo del blu.
Tuttavia, la luce blu non permette di evidenziare la cianosi e così spesso si preferisce in fototerapia
l'uso di luce bianca ad ampio spettro. Poiché l'esposizione alla luce fredda può indurre molti effetti
biologici, la fototerapia deve essere usata solo quando viene specificamente indicata.
La fototerapia induce, a livello della cute e del sottocutaneo, la formazione di fotoisomeri dalla
bilirubina; questi sono maggiormente idrosolubili e possono essere rapidamente escreti dal fegato
senza glicuronoconiugazione.
La fototerapia è controindicata in caso di ostruzione delle vie biliari o ostruzione intestinale, poiché
non possono essere escreti i fotoisomeri. A volte si può avere una colorazione bronzina del siero e
della cute (sindrome del bambino bronzino), ma non si sa se tale manifestazione sia dannosa per il
neonato.
La fototerapia può aver inizio quando la bilirubina sierica raggiunge valori vicini di 3 o 4 mg/dl
(circa 55-65 mmol/l) a quelli in cui deve essere praticata un'exsanguinotrasfusione . Deve essere
posta tra la lampada della fototerapia e il neonato una lamina protettiva di plexiglas trasparente per
proteggerlo dalle radiazioni ultraviolette e inoltre il neonato deve essere bendato per prevenire il
danno oculare (stando attenti a non provocare un'ostruzione nasale).
Durante i pasti si deve interrompere la fototerapia e togliere la benda sugli occhi.
La valutazione del colore della cute non può più essere utilizzata per stabilire la gravità dell'ittero,
in quanto l'ittero visibile può scomparire durante la fototerapia ma la bilirubinemia rimanere
elevata. Il sangue prelevato per le determinazioni della bilirubinemia deve essere protetto dalla luce,
in quanto la bilirubina nei capillari può fotossidarsi rapidamente.
Fototerapia: da 40 anni rimane il trattamento standard nella cura dell’iperbilirubinemia del neonato.
Essa riduce rapidamente la concentrazione di bilirubina nel siero, con la formazione di lumirbina,
un composto idrosolubile, meno tossico e di facile smaltimento.
Due fattori determinano la velocità di formazione della lumirubina:
1. Lo spettro della luce
2. La dose totale di luce somministrata.
Poiché la bilirubina è un pigmento giallo, essa assorbe facilmente la luce Blu (con una lunghezza
d’onda di circa 450 nm.). Fra le critiche mosse a questa luce vi è in primo luogo quella dei possibili
danni oculari e delle difficoltà che a volte determina nella valutazione della cianosi. D’altra parte
l’uso di una luce di lunghezza d’onda superiore (luce verde) penetra più profondamente nella cute e
interagisce più efficacemente con la bilirubina legata all’albumina. La luce BIANCA fluorescente
rimane nel mondo il tipo di luce più usato in fototerapia.
La dose irradiata, dipende dal potere della luce e dalla sua distanza dal bambino.
Un intensa fototerapia può eliminare la necessità di una exsanguino-trasfusione.
Un neonato in fototerapia viene esposto nudo in un vero e proprio bagno di luce: i suoi occhi sono
coperti, con apposite bende. Vanno monitorate sia la temperatura dell’ambiente che l’idratazione del
piccolo. Il trattamento fototerapico può essere sospeso 1-2 ore per l’alimentazione o per la visita dei
genitori.
I neonati a termine, senza segni di emolisi, vanno trattati secondo le linee guida dell’Accademia
Americana di Pediatria (AAP,1994). Non esistono linee guida per i nati da parto prematuro, ma
235
l’uso della fototerapia in questi neonati deve basarsi sull’età gestazionale, sul peso alla nascita e
sulle condizioni generali.
La fototerapia può essere sospesa quando la bilirubina è stata ridotta a 4-5 mg/dl. Inoltre è da
ricordare che questo trattamento può non ridurre la bilirubina negli allattati al seno così
velocemente come negli allattati artificialmente. Si ritiene comunemente che dopo la sospensione
della fototerapia ci possa essere un aumento della bilirubina: questo fenomeno è raro.
L'infermiere deve osservare con attenzione il neonato sottoposto alla fototerapia, soprattutto se si
tratta di un neonato pretermine o affetto da altre patologie, poiché la fototerapia non permette di
osservare il colorito cutaneo del paziente. È quindi opportuno sospendere ogni tanto questa terapia
per valutare le condizione cliniche del neonato.
L' infermiere deve controllare frequentemente la temperatura corporea del neonato e la temperatura
dell' incubatrice per evitare fenomeni di surriscaldamento.Ogni inizio turno controllare la
funzionalità delle culle termiche , controllo i tempi, la freguenza, i posti che ci sono x un possibile
“ricovero”.(terapia intensia neonatale)
Il personale infermieristico deve assicurare un adeguata educazione e sostegno psicologico ai
genitori che si ritrovano a vivere tale situazione.Deve far sì che i genitori si sentano partecipi per
tutto il tempo della fototerapia. Il piccolo sarà sorvegliato continuamente, idratato, verrà cambiata la
postura, asciugato se sudato. Bisognerà sorvegliare costantemente che la benda sugli occhi sia
sempre ben posizionata e tranquillizzare sempre i genitori su questo aspetto. Ad intervalli il piccolo
potrà essere ridato alla madre, che ne approfitterà per dargli latte e…coccole.
Care del neonato
Ad ogni singolo problema, l’infermiere è chiamato a intervenire secondo un
ordine di priorità, stabilizzando ogni singola variabile, senza dimenticare aspetti importanti quale la
“care” al neonato. Il termine “care” si riferisce all’insieme delle cure, delle premure, delle
sollecitudini che si possono attuare al prematuro per farlo stare bene e per ridurre al massimo
i numerosi svantaggi legati alla dell'ittero.. Le “care” si basano sulla riduzione di tutti quei fattori
che possono creare stress al neonato quali, luci rumori e tutte quelle accortezze che vengono messe
in atto in ogni singola manovra. Lo scopo primario delle “care” è la promozione del sonno, indice di
una buona organizzazione del sonno e a suavolta indice di benessere. Il sonno puòessere favorito
con il “gentle handling” o “assistenza coccolata” e la “care posturale”.
“Gentle handling” o “assistenza coccolata”ha per obiettivo non tanto la riduzione delle
manipolazioni quanto il raggiungimento di manipolazioni più delicate, per
cui sia gli interventi terapeutici, sia gli atti di cura routinaria vengono eseguiti nel modo piùdelicato
possibile e sono accompagnati da gesti e voci delicate, contatto dolce, carezze, durante e dopo le
singole manovre.
Le manovre della terapia intensiva sono quasi sempre invasive e dolorose per ilneonato. Ogni
singola manovra può essere dolore per il neonato, il dolore è fonte di stress, nei suoi vari aspetti. Il
dolore del neonato deve essere valutato e affrontato in tutti i suoi
aspetti.
Il neonato e la famiglia
236
Il neonato prematuro non è un’entità individuale, ma è parte di una famiglia ed il suo benessere è
strettamente legato al benessere dei genitori. I genitori hanno un ruolo importante, così come la
mamma. Seppur ancora fisicamente e moralmente provata dalle vicende che hanno portato alla
nascita pretermine, titubante e incerta di fronte alla realtà sconosciuta della TIN, turbata dalla
fragilità del suo piccolo bambino, la madre può trovare sollievo alle sue ansie e preoccupazioni
se viene coinvolta immediatamente nelle cure del neonato.
Il compito dell’infermiere è coinvolgere la madre perché la sua sola presenza, il calore della sua
mano, le carezze, le coccole e l’affetto che ella è in grado di trasmettere al figlio fin dai primi istanti di vita, hanno un effetto benefico e rassicurante sul suo piccolo. Il metodo Canguro o la
marsupioterapia, viene proposta ai genitori una volta stabilizzato il neonato, è un metodo dove il
neonato viene appoggiato con il solo pannolino in posizione verticale, a contatto pelle a pelle con
la mamma o anche con il papà.
Altri itteri patologici
Una piccola nota a parte merita l’ittero da latte materno. Compare più tardivamente, dopo la prima
settimana di vita, e può durare fino a 3-10 settimane. E’ dovuto ad una sostanza il pregnandiolo
contenuta nel latte materno, che rallenta l’eliminazione della bilirubina. Si riscontra nel 2/3 % dei
bambini allattati al seno e può essere posto in analogia con l’ittero fisiologico in quanto regredisce
spontaneamente, non necessita di terapie, né tanto meno della sospensione dell’allattamento
materno.
Quadro a parte è invece rappresentato dall’Ittero da incompatibilità ABO e da fattore Rh.Nel 1900
Landsteiner dimostrò che i globuli rossi umani presentano sulla loro superficie due antigeni che
indicò con A e B che determinano l’appartenenza di ognuno di noi ad un gruppo sanguigno:




Antigene A gruppo A
Antigene B gruppo B
Entrambi gli antigeni gruppo AB
Nessun antigene gruppo O
Ed inoltre individuarono nel plasma degli individui di:




Gruppo A l’agglutinina beta (anti-B) capace di distruggere i globuli rossi del sangue dei
gruppi B e AB.
Gruppo B l’agglutinina alfa (anti-A) capace di distruggere i globuli rossi del sangue dei
gruppi A e AB.
Gruppo Oentrambe le agglutinine.
Gruppo AB nessuna.
L’incompatibilità tra madre e feto si può verificare più comunemente se la madre è di gruppo O e il
feto di gruppo A o B, oppure se la madre è di gruppo A e il feto di gruppo B e viceversa la madre
produce anticorpi immuni di classe IgG, in grado di oltrepassare la placenta, entrare nel circolo
sanguigno del feto e provocare emolisi, con conseguente anemizzazione ed ittero.
L’incompatibilità ABO non comporta compromissione fetale né importante anemizzazione; si
manifesta di solito esclusivamente con un ittero che raramente supera i valori di 20 mg/ml e di
solito viene ben contrastato con la fototerapia.
Dopo 2-4 settimane l’emolisi può provocare una diminuzione dell’emoglobina detta “Anemia
tardiva del neonato”o anemia di Ecklin, malattia che si risolve poi spontaneamente con la
scomparsa degli anticorpi materni.
237
Come per gli antigeni del sistema ABO, la presenza od assenza del fattore Rh è ereditaria ed in base
ad essa la popolazione viene suddivisa in due gruppi: RH+ in cui è presente e Rh- in cui manca.
Un eventuale feto Rh+ avente madre RH- e padre Rh+, provoca nel sangue della madre la comparsa
di anticorpi contro l’antigene Rh che passano attraverso la placenta e distruggono i globuli rossi del
feto, determinando la Malattia Emolitica del neonato (MEN) .
La MEN è un quadro di anemia del feto o del neonato di varia gravità, dovuta , al passaggio nel
circolo sanguigno della madre Rh negativa, durante il parto o durante la gravidanza, di globuli rossi
del neonato aventi fattore Rh positivo; il contatto di questi globuli rossi “estranei” con il sistema
immunitario della madre determina la produzione di anticorpi specifici contro il fattore Rh.(
avviene, in pratica, una vaccinazione). Qualora vi sia un secondo contatto con il fattore Rh ( in
pratica un richiamo del vaccino), la madre produrrà una grande quantità di anticorpi che passano la
barriera rappresentata dalla placenta e cercheranno di distruggere il fattore Rh presente sui globuli
rossi del feto o del neonato. In questo caso occorre togliere i globuli rossi del neonato sostituendoli
con globuli rossi negativi attraverso un’ Exsanguinotrasfusione; tale procedura si può attuare sia
prima della nascita (exsanguinotrasfusione intrauterina) che dopo. E’ stato questo il primo modo
efficace di combattere l’iperbilirubinemia neonatale grave, oggi, l’exsanguinotrasfusione viene
riservata ai lattanti con emolisi nei quali la fototerapia non abbia avuto successo o nei quali la
velocità di crescita della concentrazione di bilirubina suggerisce che questa raggiungerà i 25 mg/dl
entro 24 ore, per cui sussiste il rischio di encefalopatia. Dapprima l’eccesso di bilirubina viene
smaltito dalla placenta; ma quando la concentrazione nel sangue raggiunge il 20 mg % risulta
tossica al cervello, causando l’Encefalopatia Bilirubinica.
E’ la patologia più pericolosa che può produrre un ittero patologico. La mancanza di legame con
albumina plasmatica, permette alla bilirubina libera di penetrare nei tessuti, in special modo in
quelli più ricchi di lipidi, come il tessuto celebrale. Certe zone dell’encefalo sono più sensibili di
altre all’azione tossica della bilirubina: gangli della base, cervelletto, midollo allungato, ippocampo.
Fortunatamente, l’incompatibilità Rh non si verifica quasi mai durante la prima gravidanza e
attualmente, se una donna Rh- partorisce un bambino Rh+ , per prevenzione le vengono
somministrate Immunoglobuline specifiche. Questo previene l’immunizzazione e quindi la
comparsa la comparsa dell’incompatibilità nelle gravidanze successive.
E’ consigliabile eseguire questo trattamento anche nel caso di: minacce d’aborto con perdite
ematiche, aborto spontaneo o volontario (IVG), traumi addominali, villocentesi, amniocentesi e
cordocentesi. Comunque, per controllare che durante la gravidanza non si verifichi l’incompatibilità
Rh, se la mamma è Rh- e il papà Rh+, bisogna ripetere tutti i mesi un esame: il Test di Coombs
indiretto
238
44.Paziente assistito in riabilitazione: percorso assistenziale ed educazione ai care
givers.
Cos'è la riabilitazione?
Il termine riabilitazione significa “ri-rendere-abile” .In ambito socio-sanitario la riabilitazione è
stata definita come il processo di solizione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta
una persona disabile a raggiungere il migliore livello di vita possibile sul piano fisico,funzionale,
sociale ed emozionale.
La riabilitazione è un processo di sviluppo di una persona disabile finalizzato alla realizzazione
dell'intero potenziale fisico-psicologico-sociale-professionale-occupazionale ed educativo
compatibile con le menomazioni fisiche o psicologiche e le limitazioni ambientali.
I 4 nodi della riabilitazione:
1. Centralità della persona disabile il pz e la famiglia partecipano e fanno parte del team come
componenti attivi
2. Il pz è una Unità-Bio-Psico-Sociale e dunque l'intervento riabilitativo è inteso come
processo di soluzione dei problemi
3. Riabilitazione basata su obiettivi più che erogare prestazioni e dunque focalizzare
l'attenzione su la qualità e la quantità di tecniche, si considera utile porsi un “obiettivo
funzionale” di autonomia nelle diverse attività della vita quotidiana.
4. Team riabilitativo ovvero di frinte al moltiplicarsi delle conoscenze ed ai progressi
scientifici la maggiorparte dei processi di cura richiede l'intervento coordinato e integrato di
diverse tipologie di operatori.
Essendo il trattamento riabilitativo un processo educativo, gli obiettivi andrebbero fissati e condivisi
con l'utente ed il care giver.
Fin dai primi giorni di ricovero vanno identificate le persone più vicine all'utente, proprio in vista
di una loro responsabilizzazione e coinvolgimento nel progetto riabilitativo individuale.
L'utente, i suoi familiari o le persone che si occupano di lui devono essere informate
sull'organizzazione del reparto e delle palestre e sulle finalità del trattamento, obiettivo è aiutare il
pz e i suoi familiari ad acettare e gestire la disabilità..
239
All'utente verrà spiegato sin dall'inizio il pregetto terapeutico-riabilitativo,i suoi abiettivi per
arrivare al massimo dell'autonomia in base alle sue abilità e capacità.
Riabilitazione motoria
Dopo l'accoglimento in reparto, si procede alla visita di team, dove medico fisiatra, fisioterapista e
infermiere hanno modo di individuare, ciascuno dalla propria prospettiva professionale, i problemi
più significativi da affrontare.
Responsabilità del fisiatra sarà quello di stendere, nei primi giorni, con la collaborazione degli altri
operatori e del paziente, un progetto riabilitativo, che potrà essere modificato in corso di
trattamento. Qualora le disabilità non siano particolarmente gravi e l'età non avanzata, l'obiettivo a
lungo termine sarà il reinserimento della persona assistita in famiglia e nella vita lavorativa.
Un'informazione accurata e il coinvolgimento di paziente e familiari nel processo di cura, già nei
primi giorni di degenza, promuove la fiducia, la motivazione al trattamento, il senso di controllo
sulla propria vita, e fa diminuire l'ansia.
Periodicamente, perciò, l'utente e i familiari partecipano a riunioni durante le quali si fa il punto
della situazione e si aggiornano gli obiettivi, fissati nel progetto ovvero nel programma riabilitativo.
Alle riunioni familiari, l'infermiere partecipa come parte integrante del team riabilitativo
interprofessionale.
Se le condizioni psicofisiche dell'assistito lo consentono, egli inizierà da subito l'apprendimento di
nuove abilità motorie o linguistiche o psichiche.
In reparto, gli infermieri, se necessario con la consulenza del terapista occupazionale, lo
addestreranno ad essere sempre più autonomo nelle attività della vita quotidiana (ADL).
Le attività stabilite per un recupero ottimale sono in relazione allo stato sia fisico che psichico del
paziente che man mano da non autonomo diventerà gradualmente semiautonomo fino ad arrivare ad
una piena autonomia.
L’infermiere è il principale protagonista di questa fase insieme al paziente così:
Pianifica e dove necessario effettua le cure igieniche;
Predispone e compie interventi specifici per mantenere l’integrità della cute;
È responsabile dei programmi per raggiungere l’autonomia vescicale, rettale ed alimentare;
Interviene sui fattori ambientali come la temperatura degli ambienti, la sanificazione, il
controllo delle infezioni e sicurezza ambientale;
Adotta specifiche azione preventive per minimizzare gli effetti dell’immobilità;
Si occupa di una corretta somministrazione dei farmaci;
posiziona e mobilizzail pz;
In previsione di soggiorni al domicilio durante il fine settimana, ritenuti importanti ai fini del
trattamento e di un graduale reinserimento del paziente nel contesto familiare, anche i parenti
verranno addestrati, in palestra e in reparto alla corretta esecuzione di alcune tecniche assistenziali.
Al momento della dimissione definitiva dal reparto di riabilitazione, uno dei pericoli cui va incontro
la persona trattata è quello di perdere le abilità apprese, compromettendo il livello di autonomia
raggiunto.
Non sempre la dimissione dal reparto di riabilitazione comporta il ritorno a casa. Spesso il paziente
che non può godere del necessario supporto familiare e con disabilità gravi, sarà trasferito in
un'altra struttura assistenziale.
240
Qualora faccia rientro al domicilio sarà compito dell'infermiere fornire i necessari suggerimenti di
propria competenza, relativi alle principali attività della vita quotidiana, che sarebbe utile il paziente
emiplegico dimesso e chi, eventualmente, se ne occupa, seguissero al rientro in famiglia:
RESPIRAZIONE-TEMPERATURA: al fine di evitare possibili recidive, grande attenzione verrà
posta nel controllo dei fattori di rischio: la PA (pressione arteriosa) andrà misurata periodicamente,
assicurandosi che non oltrepassi i valori considerati normali (140/90); in caso di diabete, la glicemia
andrà monitorata e mantenuta entro range accettabili; la persona con emiplegia dovrà guardarsi dal
fumo e da un eccessivo consumo di alcool. Dovrà altresì seguire la terapia prescritta nel caso di
eventuali problemi cardiaci o di stenosi carotidea.
MOBILIZZAZIONE: è necessario prevenire l'instaurarsi della sindrome da immobilità, evitando
prolungate permanenze a letto. La persona emiplegica dovrà continuare a muoversi, utilizzando la
carrozzina o deambulando. Se possibile dovrebbe continuare a praticare le tecniche di
mobilizzazione apprese.
Quando è a letto, in posizione supina, la persona con emiplegia deve essere posizionata con un
cuscino sotto l'arto superiore plegico, così da mantenerlo in scarico; un cuscino va messo sotto
l'anca ad evitarne l'extra rotazione, mentre i piedi vanno sostenuti con un altro cuscino a prevenire
l'equinismo. A questo scopo sarà inoltre utile posizionare un archetto sollevacoperte.
Quando la persona è sui fianchi, un cuscino sarà messo dietro la schiena a sostenere la colonna e un
altro a sostenere l'arto inferiore.
La mobilizzazione permette di mantenere integre le funzioni muscolare e articolare, previene il
formarsi di deformità, mantiene efficiente la circolazione.
Riguardo le tecniche relative agli spostamenti e ai trasferimenti le raccomandazioni per la persona
emiplegica e per chi lo assiste sono:
non esercitare trazioni sull'arto plegico;
mettere uno spessore sotto la spalla plegica o il classico bendaggio a 8, per mantenere
l'articolazione della spalla in posizione fisiologica;
quando la persona è seduta in carrozzina, assicurare un piano d'appoggio per gli arti
superiori (tavola);
quando deambula, mettersi dalla parte plegica, perché è da questa parte che la persona con
emiplegia può più facilmente cadere;
gli ausili, come il tripode e il bastone, vanno impugnati dall'arto superiore sano, per
aumentare la superficie di appoggio e facilitare il cammino,
modificare l'arredamento e l'assetto della casa, in modo da evitare ostacoli alla marcia (es.:
rimuovere i tappeti) e facilitare gli spostamenti;
durante i trasferimenti letto-sedia-WC chi assiste dovrà mantenere la colonna vertebrale
eretta, piegare le ginocchia e non la schiena, tenere i propri piedi leggermente allargati e la
persona assistita vicina al proprio corpo, afferrandola a livello della cintura.
Questo per impedire che l'assistente si leda la schiena e per facilitare i passaggi.
IGIENE E VESTIZIONE: è importante mantenere il livello di autonomia raggiunto nel lavarsi e nel
vestirsi. È controproducente sostituirsi alla persona nelle attività che riesce a svolgere da sola.
È probabile si rendano necessarie alcune modificazioni alla stanza da bagno della persona con
emiplegia: si dovranno fornire dei saldi punti di appoggio, la vasca da bagno dovrà probabilmente
241
essere modificata; si dovranno montare delle mensole con i prodotti per l'igiene facilmente
accessibili; una sedia verrà posizionata vicino al lavandino. Ciò garantirà la sicurezza e agevolerà le
azioni necessarie alla persona per provvedere alla propria igiene personale.
Per il vestirsi è da ricordare:
usare indumenti ampi e facilmente indossabili. Usare chiusure di velcro in luogo di bottoni,
lacci e cerniere;
vestirsi/svestirsi è un'attività particolarmente faticosa per chi ha un'emiplegia; saranno
perciò previste delle pause;
l'attività risulterà più facile se la persona la compie da seduta, oppure da sdraiata nel letto;
prevenire il rischio di cadute.
ELIMINAZIONE: bere almeno 1,5 litri di acqua al giorno (salvo in caso di scompenso cardiaco),
per mantenere una diuresi adeguata, prevenire le infezioni urinarie e favorire normali evacuazioni.
Per prevenire la stitichezza, a volte favorita anche dallo scarso movimento, è utile adottare una dieta
ricca di fibre.
L'uso del catetere vescicale a permanenza è da evitare, qualora persistessero problemi di
incontinenza.
Sarà meglio invece attuare un programma di condizionamento alla continenza, accompagnando la
persona in bagno tutte le volte che segnali il proprio bisogno di mingere, o fornendole storta o
padella. In caso di insuccesso si preferirà ricorrere all'utilizzo di altri ausili urologici: condom per
gli uomini, tamponi e pannoloni per le donne.
ALIMENTAZIONE: dare indicazioni nel caso la persona necessiti di una dieta speciale, legata ad
una patologia associata (ipertensione, diabete, ecc.). Nel caso di disfagia, seguire anche al domicilio
gli opportuni accorgimenti per scongiurare inalazione di cibo, infezioni respiratorie, malnutrizione.
SVAGO: è bene che la persona conservi i propri interessi e possa coltivarli. Ciò favorisce il
mantenimento di un soddisfacente equilibrio psicofisico, spesso intaccato dalla malattia.
Riabilitazione mentale
Si basa sempre su un progetto terapeutico-riabilitativo individuale acettato dal pz e dai care givers.
È molto importante la collaborazione del pz alla stesura del progetto, poiché è in base ai suoi
bisogni e ai suoi desideri che si andrà ad attuare ,se non collabora c'è il rischio elevato della non
collaborazione e firma del progetto.
Anche la famiglia svolge un ruolo fondamentale, accettare la disabilità mentale del proprio figlio è
il primo gradino, aiutarlo e sostenerlo nella riabilitazione e continuare la riabilitazione anche nei
momenti casalinghi è importante,
Il team è composto da psichiatra, psicologo, infermiere, educatore sociale. Si attuano varie attività
di reiserimento sociale e lavorativo.
L'infermiere collabora al progetto nelle attività di:
 Cura del sé, alimentazione, vestirsi, igiene,ect.
 Comunicazione, relazioni personali e sociali con il personale e gli altri pz e il mondo
 Migliorare e scoprire le abilità del pz
 Sostenerlo sempre dandogli dei consigli
 Istaurare un rapporto di fiducia con il pz
 Insegnarli un mestiere per un futuro inserimento lavorativo
242
Ci sono varie strutture sanitarie che accompagnano il percorso del pz, il dipartimento, il centro,
strutture residenziali e semi-residenziali di salute mentale.
45.La sterilizzazione dei materiali, procedure e protocolli: materiali, metodi,
competenze e responsabilità infermieristiche.
La sterilizzazione è la pratica rivolta alla eliminazione di ogni forma vivente, patogena e non, da un
substrato; essa include anche l’eliminazione delle forme microbiche più resistenti, come le spore
batteriche.
I processi di sterilizzazione sono di fondamentale importanza in ambito ospedaliero, dove i rischi di
contaminazione e, quindi di infezione sono elevati, per i degenti, gli operatori che vi lavorano e
quelli che vi soggiornano.
Proprietà ideali di un processo di sterilizzazione
Il metodo deve essere sicuro ed efficace
I cicli devono essere brevi
La penetrazione nelle confezioni deve essere ottimale
I residui devono essere tutti rimovibili con la semplice aerazione
Il monitoraggio del processo deve essere facile ed accurato
Il metodo deve essere adattabile a tutte le condizioni prevedibili, sia di installazione che di
uso
Il metodo deve essere di facile manutenzione
Il metodo non deve essere dannoso per i materiali da sterilizzare, anche dopo cicli ripetuti
Personale addetto alla sterilizzazione
Il responsabile del processo di sterilizzazione è un infermiere (ai sensi del D.P.R. n. 37 del
14 gennaio 1997), compito dell'infermiere scegliere la soluzione più indicata al fine di
ottimizzare la gestione complessiva della sterilizzazione in ospedale.
E’ necessaria una formazione periodica del personale addetto, effettuata con procedure
documentate, conservando le registrazioni delle qualifiche della formazione e
dell’esperienza del personale tecnico.
L’operatore può entrare in contatto con materiale biologico il quale, rappresentando una
potenziale fonte infettiva, rende indispensabile l’utilizzo di idonei mezzi di protezione
(guanti di gomma, mascherine con visiera, occhiali protettivi, camici idrorepellenti, ecc.)
243
FASI DEL PROCESSO DI STERILIZZAZIONE
Raccolta
Decontaminazione con soluzione disinfettante x prevenire il contagio
Lavaggio -manuale con spazzolino, ad ultrasuoni o con macchina lavaferri, con
detergente,il personale deve utilizzare mezzi protettivi: camice, guanti di tipo
casalinga,mascherina monouso, occhiali;
Risciacquo -per eliminare ogni taccia residua di detergente;
Asciugatura -se non correttamente eseguita può compromettere il processo di
sterilizzazione;
Controllo del materiale riguardo integrità e funzionalità
Manutenzione (se necessaria)
Selezione -suddivisione del materiale secondo il processo di sterilizzazione da utilizzare
Confezionamento-in rapporto alla metodologia di sterilizzazione: etichetta con reparto
,data, firma dell'operatore, indicatore di sterilità che vira(cambia colore);
Sterilizzazione
Rintracciabilità -per risalire al carico di materiale sottoposto ad un preciso processo di
sterilizzazione;
Conservazione del materiale sterilizzato in ambiente ad atmosfera controllata;
Registrare tutti i movimenti nell'apposito registro: autoclave usata, il ciclo scelto,
l'operatore di servizio, data, strumenti sterilizzati
SISTEMI DI STERILIZZAZIONE
Mezzi fisici :
calore umido
calore secco
radiazioni gamma
UV
filtrazione
Mezzi chimici:
autoclave ad Eto (oddiso di etilene?)
Gassosi:
autoclave a gas plasma
a temperature < 100°C
glutaraldeide
Mezzi chimici Liquidi:
acido peracetico allo 0.2%
perossido di idrogeno al 6%
aldeide glutarica al 2%
STERILIZZAZIONE MEDIANTE MEZZI FISICI
Calore secco
Stufa a secco (di Pasteur)
244
Diffusione del calore per conduzione e per irraggiamento
Penetrazione lenta (temperature elevate e cicli prolungati)
Ossidazione dei costituenti cellulari
Fattori condizionanti: tempo e temperatura
Per garantire sterilità: x 30 min a 180°C, 1 h a 160°C
Sterilizzazione di soli oggetti termoresistenti
Vantaggi
Buona penetrazione del calore nei materiali, indicato x taglienti (non corrode)
Assenza di effetti dannosi sui materiali
Facilità di installazione e funzionamento dell’attrezzatura
Svantaggi
Lentezza della fase penetrativa
Lentezza di inattivazione dei microrganismi
Bassa affidabilità dei controlli
Facilità di errore sulle procedure
Calore umido
Autoclave a vapore, (il più usato nei reparti)
Notevole potere di penetrazione e maggiore conducibilità termica
Distruzione di tutti i microrganismi, comprese le spore, a tempi e temperature inferiori
rispetto alla stufa a secco
Fattori condizionanti: temperatura, tempo, pressione, umidità
Due tipi di ciclo: 15 min a 121°C a +1 atm e 7 min a 134°C a +2 atm
Sterilizzazione di soli oggetti termoresistenti
Ciclo di sterilizzazione- indicazioni:

Predisporre l'autoclave per il ciclo seguendo le indicazioni della ditta in base al amteriale

Controllareil grafico di registrazione, controllare il monitoraggioAl termine lasciare qlc
minuto aperto uno spiraglio x facilitare l'eliminazione dell'umidità

scaricare i materiali senza maneggiarli per 10 min

verificare il viraggio degli indicatori

controllare che buste e pacchi sono integri e asciutti

conservarli correttamente
Vantaggi
Rapidità ed efficacia del processo
Facilità ed efficacia dei controlli
Economicità e non tossicità
Svantaggi
Impossibilità di sterilizzare materiale non resistente a 121°C o circuiti elettrici
Alterazione con il tempo delle caratteristiche iniziali del materiale
Impossibilità di sterilizzare grassi e polveri
245
Raggi UV
Nella lunghezza d'onda di 2.500 A possiedono la maggiore attività microbicida. Essi agiscono
danneggiando il DNA e la loro azione antimicrobica è molto rapida. Nel luogo di utilizzo usare
schermatura poiché dannegiano mucose e cute.
Filtrazione
Oggi usata per la produzione farmaceutica per liquidi biologici sterili.
STERILIZZAZIONE MEDIANTE MEZZI CHIMICI LIQUIDI
Sono composti registrati dall’ EPA (Environmental Protection Agency) come sterilizzanti /
disinfettanti, cioè capaci di distruggere tutte le forme microbiche viventi, comprese le spore
batteriche, se utilizzati con un adeguato tempo di contatto :
Aldeide glutarica al 2%
Acido peracetico allo 0.2%
Perossido di idrogeno stabilizzato al 6%
STERILIZZAZIONE MEDIANTE MEZZI CHIMICI GASSOSI
Autoclave ad Ossido di etilene
Agisce per alchilazione, alterando i processi di ionizzazione delle proteine e le attività
enzimatiche delle cellule microbiche
E’ esplosivo ed infiammabile allo stato puro
E’ tossico e cancerogeno (personale munito di indicatori)
Fattori condizionanti sull'effeto di sterilizzazione:
-concentrazione del gas (700-800 mg/l) pressione,
-temperatura (tra i 37°C e 87 °C)
-umidità (40%-60%), tempo di contatto (tra 1,5 e 12 h)
- tempo di contatto
Di solito usato a c. tra 500-1000 mg/L per 3-6 h a T° di 50-60.
Ciclo a freddo a 30°C e Ciclo a caldo a 60°C
Vantaggi
Possibilità di sterilizzare materiale termolabile
Svantaggi
Composti tossici che possono formarsi
Pericolosità (infiammabilità e esplosività)
Lunghezza del ciclo di sterilizzazione
Indebolimento/danni a carico di prodotti di materiale plastico
Possibilità di residui tossici del gas o suoi derivati sul materiale sterilizzato
Autoclave a gas plasma
246
Il gas plasma è un gas contenente una nube di elettroliti, ioni, radicali liberi e atomi e molecole
dissociate prodotte dall'azione di un campo elettrico e da un'irradiazione ionizzante, principalmente
ultravioletta. A parte gli elettroni tutto il resto ha un'azione antimicrobica.
Si utilizza gas plasma di perossido di idrogeno a bassa temperatura (45°C), a basso grado
di umidità e con durata di 72 minuti (ciclo esteso) o 54 minuti (ciclo breve)
Impiega perossido di idrogeno prima in fase di vapore e poi di gas plasma come substrato
allo stato gassoso, ed emissioni di radiofrequenze per generare il campo elettrico che
trasforma il perossido di idrogeno in acqua ossigenata. Quando la radiofrequenza è applicata
alla soluzione di perossido di idrogeno al 58% si formano le molecole reattive responsabili
della sterilizzazione
Vantaggi
Bassa temperatura di esercizio
Brevità del ciclo senza necessità di aerazione
Facilità d’uso
Controllo completo del ciclo da parte di un software
Affidabilità del processo grazie alla sensibilità del sistema di intercettare anomalie
Basso rischio di esposizione al gas
non lasciano alcune sostamze residue aul materiale
Svantaggi
Impossibilità di sterilizzazione per:
Materiali non del tutto decontaminati (con accurata disinfezione preliminare)
Dispositivi monouso
Strumenti che non resistono al vuoto (cateteri per misure urodinamiche)
Presidi particolarmente lunghi e con lumi ristretti
Per il controllo dei processi di sterilizzazione si usano indicatori biologici cioè preparazioni di
microorganismi. Servonoo per controllare o confermare l'efficacia della sterilizzazione.
Trasporto del materiale: il ritiro del materiale in ogni unità operativa, viene effettuato dal personale
della centrale di sterilizzazione quando la sterilizzazione non si fa direttamente in reparto con una
piccola autoclave. Vengono usati carelli inox dove trovano posto contenitori variper i presidi. Il
materiale è stato perparato o non in reparto per la fase di sterilizzazione. Il percorso di passaggio e
prestabilito di osolito si usa un mntacariche e si cerca di avere un orario prestabilito. Nelle prime
ore del pomeriggio si riportano in reparto.
EMORRAGIE ESTERNE
 Arteriosa
247
Venosa
 Capillare
 Miste (arteriosa e venosa)
Emorragie sx Arteriosa

Il sangue esce a fiotti in modo zampillare

Il ritmo di fuoriuscita è sincrono a quello del battito cardiaco

Il colore del sangue è rosso vivo
N:B: l'emorragia arteriosa minaccia sempre e subito la vita del paziente
Emorragie ex Venose:

L'uscita del sangue avviene in modo lento e continuo
Emorragia ex Capillare
Il flusso è:

lento quasi trasudante

di piccola entità

di colore rosso vivo (meno di qll arterioso)
Si può presentare con:

Ematoma: raccolta di sangue tra i tessuti dovuta alla rottura di un capillare profondo

Ecchimosi: l'espressione esterna visibile di un ematoma superficiale (livido)

EMORAGGIE INTERNE
Nelle emorragie interne il sangue si riversa all'interno dell'organismo raccogliendosi in una cavità
non raggiungibile direttamente dall'esterno. Es. aneurismi
Emorragie int esteriorizzate
Il sangue proviene da una lacerazione vasale profonda, si raccoglie in una cavità interna
comunicante con l'esterno e successivamente fuoriesce da questa attraverso un orofizio naturale (
naso-bocca-orecchio-retto)Es.rettiragia,epistassi, varici esofagee.
Complicanze dell'emorragia
Dipendono da:
 Quantità di sangue persa: un organismo adulto posside 5-6,5 L di sangue.Può morire se ne
perde 2; l'adolescente posside mediamente 3,5-5 L.Può morire se ne perde 1; il bambino 1,52L.Può morire ½; il neonato ne ha 300ml. Può morire senza 30-50 ml.
 Velocità della perdita: nell'adulto la perdita rapida è pericolosa; nel bambino rapida di ½ L;
nel neonato rapida di 25ml.
 Sede dell'emoraggia: è più facile intervenire su un'emoraggia ex che interna.
 Tipo di vaso leso: la lesione arteriosa è più grave.
 Condizioni del pz.: un pz in buone condizioni ha una prognosi migliore, con inadeguatezza
perfusionale si può arrivare a shock.
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