Regione Toscana
Diritti Valori Innovazione Sostenibilità
Ugo e
Lamberto
Pignotti
6 giugno - 6 settembre
Firenze, Museo Casa Siviero
Coordinamento generale
Regione Toscana, Settore
Musei, Aree Archeologiche,
Valorizzazione beni cutlturali,
Cultura della Memoria
Associazione Amici
dei Musei Fiorentini
Curatore della mostra
Attilio Tori, Regione Toscana
Organizzazione
Roberto Santini, Associazione
Amici dei Musei Fiorentini
Ricerca d’archivio
Angela Sanna
Testi
Ugo e Lamberto Pignotti
di Angela Sanna
Ugo e
Lamberto
Pignotti
6 giugno - 6 settembre 2009
Firenze, Museo Casa Siviero
Museo Casa Rodolfo Siviero
Ragionamenti con
Lungarno Serristori, 1 Lamberto
- Firenze Pignotti
www.museocasasiviero.it
di Attilio Tori
[email protected]
Prestatori delle opere
Adriano e Lamberto Pignotti
Grafica coordinata e stampa
Centro stampa
Giunta Regione Toscana
Immagine di copertina
Ugo Pignotti, Marina
di Calambrone, (particolare)
quarta di coperta Lamberto
Pignotti, La storia continua,
(particolare)
Stampa giugno 2009
Regione Toscana
Diritti Valori Innovazione Sostenibilità
RODOLFO SIVIERO E UGO PIGNOTTI
di Angela Sanna
Oreste Zuccoli,
Ritratto di Ugo Pignotti,
1939 c., olio su tela,
cm 90x75
Collezione Adriano Pignotti
La storia del sodalizio tra Rodolfo Siviero (1911-1983) e Ugo Pignotti (1899-1958) inizia a Firenze, intorno alla metà degli anni
Trenta. Siviero, allora giovane critico d’arte e aspirante poeta, ancora lontano dal ruolo ufficiale che lo avrebbe portato, nel secondo dopoguerra, al recupero delle opere d’arte trafugate1, si lascia
affascinare dalla pittura dell’esordiente Pignotti notandone la particolare attenzione rivolta alla natura e ai suoi paesaggi. In qualità
di critico sensibile all’aspetto umano, oltreché culturale, degli artisti, Rodolfo avrà notato anche il temperamento benevolo e l’impegno di Pignotti, giunto alla pittura da autodidatta alternando l’arte
con la sua professione di artigiano, e frequentando pittori, poeti,
scultori, narratori e critici che a Firenze transitavano tanto negli
studi di Via degli Artisti che in quelli del Conventino. Questo contesto, pullulante di iniziative, portò Pignotti a dialogare e a condividere attivamente le sue esperienze con un ambiente che, come
ricorderà più tardi lo stesso Siviero, contava artisti come Alberto
Caligiani, Giovanni Griselli, Mario Moschi, Giovanni Colacicchi,
Dino Bausi, Silvio Pucci, Emilio Pozzi, Ugo Capocchini2, e ancora
Oreste Zuccoli, Arnaldo Miniati, Mario Bucci, Ermanno Toschi,
Francesco Pagliazzi e molti altri. In parallelo con le vicende di
questi pittori e scultori si sviluppavano anche quelle, poetiche e
letterarie, di personalità come Eugenio Montale, Alfonso Gatto,
Alessandro Bonsanti, Romano Bilenchi, che circolavano nel milieu
dei caffè fiorentini, come le Giubbe Rosse, frequentati tanto da
Siviero quanto da Pignotti. È questo contesto ricco di sollecitazioni che permette all’artista di affacciarsi al mondo culturale della
città e di partecipare a numerose manifestazioni collettive e personali, locali e non, documentate da una serie di recensioni e segnalazioni siglate da firme allora consuete della critica d’arte locale, da
Aniceto Del Massa a Raffaello Franchi. In questa atmosfera, che
tra le due guerre, nel clima del ‘ritorno all’ordine’, vedeva profilarsi un indirizzo artistico toscano, anche Siviero tenta di affermare le
proprie scelte estetiche, sia come critico sia come collezionista
1 Per l’operato di Siviero in qualità di Ministro Plenipotenziario e capo della
Delegazione per la Restituzione delle Opere d’arte cfr. L’arte e il nazismo. Esodo e
ritorno delle opere d’arte italiane 1938-1963, a cura di M. Ursino, Firenze, Cantini
Edizioni d’Arte 1984.
2 Cfr. R. Siviero, datt. inedito datato <<Roma - sabato 19 ottobre 1964 ore 3,30 del
mattino>>, p. 11.
4
5
All’evento fa riferimento anche l’Inventario di casa Siviero che rimanda a un quadro con dedica, intitolato Paese, che, stando al
documento, sarebbe stato donato dall’autore a Siviero dopo una
sua conferenza sulla prima mostra di Pignotti “alla Società delle
Belle Arti di Firenze”6. A questa mostra è correlato altresì uno
scritto di Siviero dedicato alla pittura di Pignotti7, di cui non è
stata ancora ritrovata la potenziale versione a stampa, e che costituisce di sicuro il discorso pronunciato dal critico in occasione
dell’esposizione. Il testo, dove l’autore si cala nell’analisi poetica e
formale della pittura dell’amico, costituisce una delle pochissime
testimonianze scritte, e certo la più significativa, dei rapporti tra
Siviero e Pignotti. In questo foglio, dal quale si evince la vicinanza
umana e culturale tra il critico e il pittore, Siviero ammira in partiUgo Pignotti, Paese 1939
olio su tela, cm 91x118
Collezione Museo Casa
Siviero
esordiente3, privilegiando una produzione che elude i linguaggi
modernisti di rottura a vantaggio della figurazione e del riesame
della tradizione. Questo orientamento, esplicitato nella pur breve
attività critica di Siviero, rappresentata in quel periodo dalla collaborazione al giornale “Il Bargello”, fra altre testate locali, lo porta
a difendere, accanto ai nomi più assodati del panorama artistico,
quali Ardengo Soffici, Felice Carena, Giorgio De Chirico, giovani
creatori avulsi dagli ambienti ufficiali e per certi versi distanti dalle
correnti allora in voga del ‘novecentismo’. Primo fra tutti Pignotti,
che nel carnet di Siviero occupa fin dagli inizi un posto privilegiato. Tale interesse si concretizza specificamente nel 1936, in occasione di una mostra dell’artista alla Società delle Belle Arti di Firenze4, che Rodolfo presenta con una sostanziosa prolusione. Una
breve segnalazione dell’evento apparsa su “L’Avvenire d’Italia” il
31 marzo 1936, informa che la presentazione di Siviero aveva “rivelato un artista quasi del tutto nuovo al pubblico”, destando l’attenzione di alcuni fra i “più noti artisti fiorentini e italiani”5.
Ugo Pignotti, Paese 1936
olio su tela, cm 60x82
Collezione Museo Casa
Siviero
6 Mss. Inventario dei mobili e degli oggetti di casa, 1956, p. 35, n. 202. Il documento
è conservato presso l’archivio del Museo Casa Rodolfo Siviero di Firenze.
7 Il dattiloscritto, La mostra del pittore Ugo Pignotti alla Società di Belle Arti,
è conservato nell’archivio di Adriano e Lamberto Pignotti, figli del pittore. Tale
documento reca la dedica autografa “28 III 36 XIV all’amico Pignotti con cordialità
e tanti auguri”.
3 La collezione di Siviero, ubicata nel Museo Casa Rodolfo Siviero, a Firenze, è
raccolta e catalogata nei seguenti volumi: F. Paolucci, Catalogo del Museo Casa
Rodolfo Siviero. La raccolta archeologica, Firenze, Olschki 2003; A. Sanna,
Catalogo del Museo Casa Rodolfo Siviero di Firenze. La raccolta novecentesca,
Firenze, Olschki 2003; A. Sanna, Catalogo del Museo Casa Rodolfo Siviero. Pitture
e sculture dal Medioevo al Settecento, Firenze, Olschki 2006.
4 Mostra personale del pittore Ugo Pignotti, Società delle Belle Arti di Firenze, 28
marzo - 6 aprile 1936.
5 Adolfo (sic) Siviero alla Società di Belle Arti, “L’Avvenire d’Italia”, 31 marzo
1936, ritaglio, n.n.
6
7
Ugo Pignotti, Paesaggio
con cascata, 1937
olio su tela, cm 74x96
Collezione Museo
Casa Siviero
colare l’ispirazione sofferta e
malinconica che
sottende l’intera
poetica del compagno: “È l’uomo Pignotti, più
che il pittore,
chiuso in un intimo profondamente addolorato che si esprime in un tono grigio di razza fiorentina, pieno di
poesia, senza quel sorriso fatto per la gente che non ha mai chiesto
nulla alla vita”8. In questa sottile inquietudine, trasmessa al colore,
Siviero ritrova anche “un senso leopardiano che ci porta a considerare le sensibilità pure di quest’uomo [...] La stessa toscanità altrove rende la nota del colore in un inverno che soffre sensibilizzato
nello spasimo di un’anima”9. Parole, queste di Siviero, che trent’anni dopo sarebbero state rimembrate da Jolanda Pelagatti in un articolo in contrasto con l’opinione del critico, in cui si definisce la
‘tavolozza’ di Pignotti non “pessimistica, non è negazione di vita.
Se mai è il Leopardi del Sabato del villaggio”10. Un guizzo di gioia,
seppur diverso da quello evocato dalla Pelagatti, lo ritrova tuttavia
anche Siviero notando, nei paesaggi del pittore, la vibrazione di un
“verde freschissimo di campi di Toscana”, dove transitano, evocando “la vastità dell’anima”, dei “bianchi riottosi in cumuli di
terra o di schiuma”11. Tali caratteri, scaturiti dal rapporto tra l’artista e la sua terra, estremamente sentito anche da Rodolfo, riflettono quanto il critico amava ritrovare nei paesaggi di Ugo Pignotti:
la “tradizione nostra conservata più dall’istinto che da una scuola
vera e propria”12. Con queste parole Rodolfo ribadiva il sentimento profondo della pittura di Pignotti risolta in un naturalismo semplice ed essenziale volto alla salvaguardia delle risorse pittoriche
tradizionali. In questa riflessione si esplicita anche la sua predile8 Ivi, p. 1.
9 Ivi, pp. 2-3.
10 J. Pelagatti, Ugo Pignotti, in “Firme nostre”, dicembre 1966.
11 R. Siviero, datt. La mostra del pittore Ugo Pignotti, cit., pp. 1-2.
12 Ivi, p. 1.
8
zione per il genere preferito dallo stesso artista, il paesaggio, di cui
Rodolfo, proprio in quegli anni, andrà a fregiare anche il primo
nucleo della sua collezione novecentesca. La successione di acquisti di opere di Pignotti che contraddistingue questa parte della
raccolta è documentata nell’inventario della famiglia Siviero13. Qui
si legge che tra il 1936 e il 1937 Rodolfo ottiene in dono o acquista,
con cifre comprese tra le cento e le duecentocinquanta lire, Paesaggio con cascate, Via San Vito, un ‘paesaggio’ non specificato, due
Paesi, Villa la meridiana e infine la Selva oscura14, sulla quale torneremo più avanti. Tra il 1954 e il 1955 seguiranno altri acquisti di
opere di Pignotti, non segnalate nell’inventario, ancora incentrate
sulla campagna toscana e su Firenze. I paesaggi acquisiti da Siviero
racchiudono tutto il significato della pittura di Pignotti, realizzata
en plein air all’insegna di un rapporto diretto e vissuto con la natura. Nel Paesaggio del 1936, che inaugura il gruppo di sette dipinti
di Pignotti confluiti nella collezione, l’ampia veduta evidenzia una
tavolozza sobria ed essenziale, coerente con l’intonazione malinconica di certe opere “con ombre tristi di alberi: come spiriti malati”15,
cui allude Rodolfo nel citato dattiloscritto del 1936. Il Paesaggio
con cascata, del 1937, acquistato “dall’autore nel 1937 per lire
duecentocinquanta”16, riflette ancora l’incontro tra le ricerche di
Pignotti e le propensioni estetiche di Siviero. Questi, in quegli
anni, e anche successivamente, è attratto da un tipo di paesaggio
toscano vicino alla lezione dei macchiaioli e anche, talvolta, alle
soluzioni di artisti come Ottone Rosai e Ardengo Soffici. Tali suggestioni trovano un certo riscontro nella predetta opera di Pignotti, nella quale la rappresentazione della campagna toscana si vale
di motivi figurativi allora in auge come le colline, i sentieri e i caseggiati immersi nei cipressi. Sono questi gli elementi che Pignotti
13 Cfr. mss. Inventario, cit., p. 35, n. 202.
14 Le acquisizioni di cui sopra sono riportate nell’inventario rispettivamente ai
nn. 68, 70, 124, 202, 203, 204, 93. Nei documenti inventariali di Casa Siviero sono
registrati quattro dipinti di Pignotti, facenti parte un tempo della collezione, che
vennero poi dati via da Imelde Siviero, sorella di Rodolfo: i due precitati Via di San
Vito e Villa La Meridiana (o La Meridiana di Via Barbacane), Veduta di Scandicci
e un ‘paesaggio toscano con ulivi e cipressi’ (cfr. Verbale d’inventario dell’eredità
del Prof: Rodolfo Siviero, Pretura di Firenze n. 515/83, novembre 1983 - febbraio
1984. Copia di questo inventario è conservata presso il Settore Musei della Regione
Toscana).
15 R. Siviero, datt. La mostra del pittore Ugo Pignotti, cit., pp. 1-2.
16 Mss. Inventario, cit., p. 15, n. 68.
9
Ugo Pignotti, Il mulino alle
Sieci, 1941, olio su tavola
di compensato, cm 39x61
Collezione Adriano Pignotti
coniuga con le proprie costanti stilistiche, rivelando
anche una certa attenzione a
tendenze di più vasto raggio.
Siviero si sofferma su questa
apertura di Pignotti notando, in un dattiloscritto giovanile non datato, che nella sua opera tutto diviene “più accennato, più leggero rispetto alla pittura di Soffici”. E, avanzando una
analogia con l’amico e collega di Pignotti, Dino Bausi, egli soggiunge che nei lavori dell’uno e dell’altro “si ha un impressionismo
che ritrae contemporaneamente il corpo e la parte appariscente
delle cose, la pittura viene a sostenersi per una leggerezza di materia riproducendo una desolata tristezza della natura”17. A questi
anni risale ancora un altro paesaggio, e specificamente un Paese
del 1939, che Siviero acquistò dall’autore “nel 1939 per lire
trecento”18. Nell’opera, che perpetua la pittura ‘sul campo’ già
praticata dagli amati maestri della ‘macchia’, l’artista ci restituisce
la visione sommessa e solitaria di un borgo fiorentino, dominato da
caseggiati estremamente semplificati, e da una natura vegetale abitata da poche evanescenti presenze umane. Pignotti fonde armoniosamente tali elementi attraverso una luminosità chiara e serena
che si pone in lieve contrasto con quella, più malinconica e opaca,
di altri numerosi lavori compiuti in quel periodo. Caratteri, questi,
che possiamo certo ritrovare anche nei paesaggi degli anni trenta e
quaranta esposti in mostra e non appartenenti alla collezione di
Siviero, come Sull’Arno a Rovezzano (1931), Venezia (1935 c.), Paesaggio con un gruppo di case (1937), Il mulino alle Sieci (1941),
Giardino dello studio in Via degli Artisti (1941). Firenze e i suoi
dintorni, ma anche Venezia, che Pignotti dovette frequentare soprattutto attraverso la sua musa ispiratrice, appaiono tra tocchi
fugaci, tra forme accennate eppure intense che sfrondano l’immagine di ogni orpello decorativo e superfluo. Così anche le sue rare
nature morte, talora luminose, silenziose ed equilibrate nei pochi e
semplici elementi che le compongono. Proprio tra queste spicca
una natura morta atipica, conservata gelosamente da Siviero nella
Ugo Pignotti, Sull’Arno a Rovezzano, 1931, olio su tavola di compensato, cm 44x63 Collezione Adriano Pignotti
Ugo Pignotti, Venezia, 1935 c., olio su tavola di cartone, cm 32x42 Collezione Adriano Pignotti,
17 R. Siviero, datt. “A”, s.d., p. 66.
18 Mss. Inventario, cit., p. 24, n. 124.
10
11
Ugo Pignotti, La selva oscura
1937 olio su tela,
cm 62x47
Collezione Museo
Casa Siviero
propria collezione, che riconduce a un evento
molto importante della giovinezza di quest’ultimo: la pubblicazione, nel 1936, della sua
raccolta di poesie La selva oscura19. La realizzazione del volume rappresentò per l’autore
un momento tormentato sia per la lunga elaborazione dei versi, improntati a un forte
pessimismo giovanile, sia per la travagliata
ricerca di un editore20; e proprio l’importanza
che Siviero attribuiva a questo libro dà la misura dell’affetto da lui nutrito nei confronti
dell’amico Pignotti. Al pittore, infatti, fu affidata la realizzazione del dipinto intitolato La
selva oscura, nel quale si raffigura, su uno
sfondo laconico di paesaggio, il volume di
Rodolfo21. Nel quadro, il libro si colloca accanto a una pianta spoglia, sul davanzale di
una finestra, e si staglia su uno sfondo dominato dal portale di un
cimitero. L’atmosfera sottilmente mesta di questo scenario evidenzia un versante inedito dei paesaggi di Pignotti, suggerendo una
trasposizione pittorica di alcune poesie di Siviero, talora di ambientazione notturna, nelle quali si diffonde un senso di morte e di
tormentata solitudine: Cade la notte alla mia vita e via/ s’attorce il
cuore sopra a un fil di suono/ che mi tormenta; o, ancora: Muore la
calma atroce d’una sera/ come il pensiero e come muore l’uomo 22. Se
la temperie dei versi si ricollega solo ipoteticamente a quella del
quadro, la folta vegetazione e l’attiguo cimitero dipinti da Pignotti
sembrano una plausibile interpretazione della selva oscura e del
regno dell’oltretomba evocati da Siviero nel ricordo della Commedia dantesca. Rodolfo fonde questi soggetti con immagini spesso
legate alla natura, avvicinandosi a temi amati dallo stesso Pignotti
19 R. Siviero, La selva oscura, Firenze, Le Monnier Editore 1936.
20 Sulla questione cfr. A. Sanna, Giovanni Papini e Rodolfo Siviero: un sodalizio,
“Nuova Antologia”, Fondazione Giovanni Spadolini, gennaio-marzo 2008, n. 143,
Felice Le Monnier Editore, Firenze 2008, pp. 5- 19.
21 L’opera è citata da Siviero nell’inventario di famiglia, dove si riporta che gli fu
venduta da Pignotti “per lire cento nel 1936” (mss. Inventario, cit., p. 19, n. 93).
A dispetto di quanto scritto nel documento, crediamo che l’opera risalga al 1937,
riferendoci alla data, più attendibile, indicata sul dipinto dall’autore.
22 R. Siviero, La selva oscura, cit., pp. 7, 17.
12
come i tramonti, la malinconia, l’aurora, l’Arno, presenti in lavori
come Alba, Argine d’Arno, Sera d’inverno, Triste sera. La calibrata
misura di questi paesaggi non condivide, certo, la tensione formale
delle poesie di Siviero, ma proprio per questo dovette incontrare i
gusti del giovane poeta, tanto articolato nei componimenti poetici
quanto proteso verso la chiarezza in pittura. Sono plausibilmente
queste affinità che inducono Siviero a regalare il suo prezioso volume a Pignotti, consegnandoglielo a mano, come si legge in un
documento del suo archivio23, e siglandolo con una dedica assai
eloquente: “Al mio amico Pignotti, una di quelle poche persone
per cui è stato scritto questo libro”24.
Negli anni successivi a questi scambi le tracce documentarie
dell’amicizia tra Pignotti e Siviero si diradano notevolmente. Poco
prima degli eventi bellici, che si scatenano di lì a breve, Rodolfo,
allora uno dei numerosissimi sostenitori di Mussolini, seppure sinceramente avverso al nazismo, si allontana momentaneamente da
Firenze, alla volta della Germania, nella veste di agente segreto
del SIM, il Servizio Informazioni Militari. Successivamente al rientro in città, una svolta ideologica lo porta ad allontanarsi vieppiù
dall’iniziale simpatia verso il fascismo e, dopo l’otto settembre, a
collaborare con l’Intelligence alleata. Su queste basi viene a cooperare, in casa dello storico dell’arte Giorgio Castelfranco, che
diventerà poi la sua dimora25, alla salvaguardia clandestina delle
opere d’arte italiane richieste illecitamente dai tedeschi. Pignotti,
dal canto suo, fu richiamato alle armi e “inquadrato nella Croce
Rossa, dove visse il passaggio del fronte e la battaglia di Firenze”26,
per poi far parte come partigiano, dal primo agosto al sette settembre 1944, della Divisione Giustizia e Libertà. Nonostante i rispettivi impegni e il precipitare dei fatti bellici, le vite di Siviero e
di Pignotti continuano a incrociarsi. Uno dei compiti di Rodolfo
come collaboratore dei servizi segreti alleati era infatti quello di
tenere i contatti tra gli anglo-americani e i partigiani. In questo
contesto viene dunque a situarsi un emblematico gesto d’amicizia
23 In questo documento dell’archivio Siviero, che elenca i numerosi destinatari del
volume, Pignotti figura con la nota: “Copia a mano il 27.11. 37”.
24 Il libro è conservato nell’archivio di Lamberto Pignotti, a Roma.
25 Nel 1944 Siviero acquisterà uno degli appartamenti dei Castelfranco situati sul
Lungarno Serristori, a Firenze. Nel 1962 Rodolfo sarà compratore di altri quartieri
dei Castelfranco, collocati nel medesimo edificio.
26 Intervista dell’autrice a Lamberto Pignotti, aprile 2009.
13
Ugo Pignotti, Lungarno
Serristori, Maggio 1954,
olio su tela, cm 28x72
Collezione Museo
Casa Siviero
Ugo Pignotti, Giardino
dello studio in Via degli
Artisti, 1941, olio su
cartone, cm 24x30
Collezione Adriano Pignotti
di Pignotti nei confronti di Siviero il quale, ricercato dai fascisti,
da cui fu poi imprigionato a Villa Triste nella primavera del 194427,
ottenne dal pittore la possibilità di nascondersi in un suo studio28.
Se, peraltro, come detto poc’anzi, i giovanili entusiasmi di Siviero
furono momentaneamente indirizzati verso il Duce29, è pur vero
che l’esaurirsi di questa infatuazione lo porterà a condividere le
stesse posizioni antifasciste di Pignotti. Per dirla con Lamberto
Pignotti, “da un punto di vista politico e ideologico potrei parlare
di una certa sintonia tra mio padre e Siviero: anche lui ha partecipato alla resistenza contro i fascisti sul fronte fiorentino, avendo
sopportato gli anni del fascismo come un insulto alla ragione, alla
fantasia, alla concezione stessa dell’esistenza quotidiana”.30
All’indomani della guerra l’amicizia tra Pignotti e Siviero procede
su binari diversi. Il primo prosegue sulla strada dell’arte e del lavoro che gli è ormai consueta; il secondo, assoldato nel Ministero
degli Affari Esteri a capo della Delegazione per la restituzione delle opere d’arte, vive a Roma alternando la sua permanenza nella
capitale con brevi soggiorni a Firenze. Sebbene i numerosi quanto
Ugo Pignotti, Lungarno
Serristori, 1954, olio su
tavola, cm 28x70
Collezione Museo
Casa Siviero
gravosi impegni ne avessero rallentato le frequentazioni amichevoli, Siviero continua a coltivare i sodalizi con le persone care e a
ricevere ospiti graditi nella sua dimora. Così l’amico Pignotti, che
trova accoglienza nella casa di Lungarno Serristori, divenuta ormai
proprietà di Siviero dopo essere stata sede dell’attività clandestina
contro il trafugamento delle opere d’arte. Due quadretti compiuti
nel 1954, conservati nella raccolta di Rodolfo, perpetuano l’affettuoso ricordo di Pignotti della casa di Siviero. Il primo, Paesaggio
con Lungarno, mostra una veduta dell’Oltrarno fiorentino nel quale si staglia la Piazza Giuseppe Poggi, riconoscibile dalla Torre di
San Niccolò, e il Lungarno Serristori. Nel piccolo bozzetto, ripreso
in versione definitiva nel secondo dipinto con Lungarno, Pignotti
impiega le risorse pittoriche di sempre, impreziosendo lo scenario
con i giochi di luce, i riflessi d’acqua, le sinfonie cromatiche della
vegetazione, la delicata fusione di verismo e poesia. Nella versione
definitiva del dipinto, che avvolge la veduta fiorentina in un velo
di foschia mattutina, viene anche sancita, con una dedica, l’amicizia tra i due, ancora viva in quegli anni: “Ugo Pignotti/all’amico
Rodolfo Siviero in ricordo della sua casa di Firenze! 30 maggio
954”. A riprova di questo prezioso sodalizio, Siviero acquisterà
in quel periodo un altro Paesaggio, del 1955, compiuto dall’artista pochi anni prima della prematura scomparsa. Rodolfo, sempre
27 Cfr. L’arte e il nazismo. Esodo e ritorno delle opere d’arte italiane 1938-1963,
cit., pp. 39-41, 59.
28 Testimonianza di Adriano e Lamberto Pignotti.
29 Su questo argomento cfr. il volume A. Sanna, Catalogo del Museo Casa Rodolfo
Siviero di Firenze. La raccolta novecentesca, cit., capitolo L’idea critica di Siviero
nell’età giovanile.
30 Intervista dell’autrice a Lamberto Pignotti, cit.
14
15
Ugo Pignotti, Paesaggio
con strada e alberi, 1950
c. olio su tavoletta
di legno, cm 19x27
Collezione Adriano Pignotti
più assorbito da impegni professionali metropolitani, avrà apprezzato il dipinto per quel casolare di
campagna toscana illuminato da una luce chiara e
diffusa, e, forse, per quello stile quasi “arruffato”
che si distingue dal consueto universo naturalistico di Pignotti.
Uno stile che richiama quanto avrebbe scritto nel 1960 il pittore
Giovanni Colacicchi, in occasione di una mostra su Pignotti tenutasi all’Accademia delle Arti del Disegno due anni dopo la morte
dell’artista: “certi suoi quadri danno quasi l’impressione d’un frettoloso diverbio. La sua mano ha appena formato la chioma d’un
albero, che subito la scarruffa o la strappa; appena arrotondato il
dorso d’una collina, e subito ne spezza il profilo, lo rompe quasi
in precipiti frane”31. Nella mostra che celebrava l’amico Pignotti
Siviero avrà di certo rivisitato i momenti d’amicizia, di scambio e
d’affetto, e ricordato il temperamento “umanamente vivo e sincero” di Pignotti, come descritto da Colacicchi.
Negli anni che seguono la scomparsa del pittore Siviero non scorderà mai l’amico Pignotti. Il suo nome, infatti, ritornerà a più riprese nei suoi scritti e memorie, spesso segnati da una profonda
nostalgia per i tempi andati. In un suo dattiloscritto datato “Roma
- sabato 19 ottobre 1964 ore 3,30 del mattino”, in particolare, Siviero ne rammenta accoratamente la presenza durante una serata
svoltasi a Firenze in onore di Giorgio De Chirico: “Castelfranco
(...) organizzò la rentrée del grande pittore, con un pranzo a tutti
gli artisti alla buca Mario in piazza Ottaviani. C’erano tutti, Rosai, Caligiani, Capocchini, Pignotti, Romanelli, Bonsanti, Moravia,
Montale, Bausi, Pucci, Romoli, Gallo, Timpanaro, Pierucci, circa quaranta persone. La serata fu magnifica”32. In un altro passo
Rodolfo sottolinea il carattere simpatico e ironico, da buon fiorentino, di Pignotti, ricordandolo durante una sua presentazione
critica all’opera di Rosai nel Palagio di parte guelfa: nel “meraviglioso salone del Brunelleschi (...) affollatissimo di intellettuali e
di popolo”, dove “io parlavo con convinzione”, il critico Aniceto
del Massa - già avvezzo alla pittura di Pignotti - “fece un discorso
esoterico, piuttosto lungo e minaccioso, avvertendo di non aver
31 G. Colacicchi, Mostra retrospettiva di Ugo Pignotti (1899-1958), Firenze,
Accademia delle Arti del Disegno 1960.
32 R. Siviero, datt. inedito datato “Roma - sabato 19 ottobre 1964 ore 3,30 del
mattino”, cit., p. 23.
16
Ugo Pignotti, Paesaggio
con un gruppo di case,
1937, olio su tela,
cm 39x26
Collezione Lamberto
Pignotti
paura, anche se riceveva dalle trenta alle
quaranta lettere anonime al giorno. A
questa dichiarazione il pittore Ugo Pignotti, con voce bonaria, commentò in
un magnifico toscano: “E ti faranno un attentato!”33.
Lunghi anni dopo queste calorose rimembranze, Siviero, divenuto Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno, nell’ambito della quale lo stesso Pignotti, nel 1952, fu eletto Accademico
Aggregato, volle commemorare il suo compagno in una mostra
nella prestigiosa istituzione. L’idea prende corpo grazie, anche,
all’amicizia che si era instaurata negli anni fra Rodolfo e il figlio di
Pignotti, Lamberto, che incoraggiò vivamente l’iniziativa. Di questo rende testimonianza una lettera del 16 settembre 1976 inviata
da Lamberto a Siviero: “Caro Siviero, queste due righe per dirti
che parallelamente ho inviato a Colacicchi, come da te affettuosamente consigliato, la richiesta per la mostra del babbo. Con i miei
ringraziamenti abbiti i più cari saluti”34. Con questo progetto ci si
accingeva a commemorare la figura di Pignotti molti anni dopo la
citata mostra che Colacicchi aveva dedicato all’artista nel 1960.
Tuttavia, malgrado l’impegno dei suoi promotori, l’iniziativa non
ebbe seguito, come ci ha confermato di recente lo stesso Lamberto
Pignotti: “pur essendo mio padre accademico di tale istituzione,
a quella realizzazione furono posti così tanti rimandi e ostacoli,
ad opera di una qualche conventicola locale, che alla fine essa si
arenò nell’irritata delusione e il palese disappunto di Siviero”35. Si
può facilmente immaginare la reazione di Siviero, in quegli anni
sempre più deluso dalle istituzioni - tra tutte anche l’Accademia da
lui presieduta - dalla politica, dalla cultura e dall’umanità. In quei
momenti di acceso pessimismo Rodolfo si immergeva nella scrittura del suo diario al quale negli ultimi anni, prima che la morte lo
cogliesse nel 1983, confidava i propri pungenti ricordi e stati d’animo. Così, nel suo ultimo diario, Rodolfo si perde nell’ennesima rimembranza della giovinezza, ricordando, sulla scia della morte recente del suo amico Piero Bargellini, coloro insieme ai quali aveva
33 Ivi, pp. 31-32.
34 Lettera inedita di Lamberto Pignotti a Rodolfo Siviero datata 16 settembre 1976.
Il documento è conservato nell’archivio dell’Accademia delle Arti del Disegno di
Firenze.
35 Intervista dell’autrice a Lamberto Pignotti, cit.
17
La mostra del Pittore Ugo Pignotti
alla Società di Belle Arti1
Ugo Pignotti, Stradina
di campagna, 1957,
olio su tavoletta di legno,
cm 10x15
Collezione Adriano Pignotti
frequentato il suo compagno Pignotti: “La morte di Bargellini è un
po’ la fine del mondo letterario nel quale sono cresciuto a Firenze
dove tutta le sere, o quasi, ci si briacava nel caffè delle Giubbe
Rosse. Bargellini era l’unico superstite di quel caffè di letterati con
cui avevo ancora contatti; gli altri, Bonsanti, Luzi, Moravia, Palazzeschi, da tempo non li vedevo quasi più, ma del gruppo di Soffici,
Papini, Cecchi, Rosai, Timpanaro, Pignotti, l’ultimo superstite con
cui ho avuto spesso rapporti era Piero Bargellini”36.
Oggi, a oltre venticinque anni dalla scomparsa di Siviero, le opere
della sua collezione e i pur radi documenti restano a testimonianza dell’amicizia tra i due uomini, trovando anche un’importante
conferma nelle parole sentite e pregnanti del figlio dell’artista:
“Personaggi come il “ministro” Rodolfo Siviero e il “pittore” Ugo
Pignotti - mettendo appositamente queste due attività fra virgolette - non hanno voluto stare quietamente al loro posto, sono
stati diversamente imprevedibili… E come ci si comporta in un
ambiente propenso all’automatica identificazione e al pronto reperimento con personalità come queste? Si tende a voltarsi dall’altra parte, a relegarle ai margini… Fortuna vuole che un simile
comportamento, oltre ad avere la vista corta, abbia in molti casi
anche il respiro breve… Come testimone ho a suo tempo rilevato
in mio padre, ma anche in Siviero,
un analogo sentimento reattivo nei
confronti di quanti erano dediti a
esercitare una resistenza passiva o
anche un veto contro ogni idea propensa all’avventura culturale. E qui
a parer mio è da ricercare proprio
il filo conduttore e il comune denominatore di due esperienze di vita
apparentemente così differenti”37.
36 Ottavo diario di Rodolfo Siviero, pagina datata “Roma Domenica 23 III 80 ore
22”. I diari di Siviero sono conservati nell’archivio dell’Accademia delle Arti del
Disegno di Firenze.
37 Intervista dell’autrice a Lamberto Pignotti, cit.
18
28/4/36 XIV All’amico Pignotti con cordialità e tanti auguri / Siviero
Poche tele e male incorniciate in un momento in cui l’Europa è lontana
dall’arte stanno qui ad attestare ancora la vita in silenzio dei fiorentini
sul serio. È l’uomo Pignotti, più che il pittore, chiuso in un intimo profondamente addolorato che si esprime in un tono grigio di razza fiorentina, pieno di poesia, senza quel sorriso fatto per la gente che non ha mai
chiesto nulla alla vita. Volendo inquadrare Pignotti nella nostra tradizione
bisogna, a priori, uscire da quella che è la più grande e l’ultima realizzazione pittorica sull’orizzonte dell’ottocento europeo: da Manet a Picasso
non riguarda la produzione di quest’artista e, purtroppo, fino a poco fa
l’Italia. Ma poiché ho accennato a questa epoca francese è bene subito
chiarire che la tradizione dell’ultimo tempo in Francia ha contatti diretti
con i nostri classici, mentre la produzione italiana si può dire che nella
massa copia, per eredità ottocentesca, da quella francese: ad eccezione dei
migliori, s’intende, e di quelli che si riattaccano ad una tradizione nostra
conservata più dall’istinto che da una scuola vera e propria.
Questa di Pignotti è un’arte uscita dall’istinto che ha creato note sue dal
dolore attenuate quasi in un senso di bontà.
Il colore terroso della tecnica moderna qui ha vibrato nei toni sensibilizzati,
in una uniformità apparente, fino ai sensi più profondi. I bianchi appaiono
come colpi di luce in un mondo agitato che non raggiunge mai il rosso.
La vivacità di questo mondo grigio è un verde freschissimo di campi di
Toscana che poi si riperde negli sfondi con ombre tristi di alberi: come
spiriti malati. Tra i quadri della mostra, accennando a quello di una colonica, il grigio, di cui ho parlato, ci appare diverso da quello tradizionale
fiorentino: è come sperduto in un dolore che gli dà un senso di universalità moderna differente da quella antica. Così questo suo mondo ci trasporta a considerare la pittura in un altro piano: dalla tradizione allo spirito dei
tempi nostri. Ed eccoci con Pignotti e con l’argomento nel mare magnum
della modernità che trascuro nel panorama per continuare su quest’artista. Qui l’atmosfera, e chiamiamola così, s’è un po’ sbandata, è uscito nel
colore un senso leopardiano che ci porta a considerare le sensibilità pure
di quest’uomo. Non è una questione cerebrale sull’argomento dire che
Pignotti è un artista in lotta col dolore, un soffrire intimo che elude dalla
pittura mestiere con sorrisi di bianchi settecenteschi sperduti in pianure
di dolore in cui passa un panorama d’Arno in piena che diventa orizzonte
di uno spirito sconvolto: questi bianchi riottosi in cumuli di terra o di
schiuma sono le note esacerbate in lontananza che riecheggiano la vastità
dell’anima. Riallacciando Pignotti al nostro tempo si può ben dire che
Il presente testo costituisce la prolusione di Rodolfo Siviero alla mostra di Ugo Pignotti tenutasi alla Società
delle Belle Arti di Firenze dal 28 marzo al 6 aprile 1936. Il documento, finora inedito, è conservato nell’archivio
di Lamberto Pignotti.
1
19
RAGIONAMENTI CON LAMBERTO PIGNOTTI
di Attilio Tori
Ugo Pignotti, Marina di
Calambrone, 1949, olio
su tavola di compensato,
cm 30x40
Collezione Adriano Pignotti
Ugo Pignotti, Cassetta
di pittura con dipinto una
marina all’Isola d’Elba,
1950 c, cm 45x35
Collezione Adriano Pignotti
20
tutta la produzione intellettuale moderna italiana nella vastità: letteratura,
poesia, pittura, etc. è un po’ qualcosa - parlo di una produzione in cui non
tratto l’originalità delle figure di primo piano, ma della massa - è un po’
qualcosa, da un certo punto di vista, di stordito, quasi di assente dalla vita,
che non ci dà l’impressione di grandezza ma di crepuscolo: che non so
quanto appartenga al tramonto o all’aurora. Pignotti da questa massa esce
esprimendo veramente una nota più forte di questa gente, forse trattenuto o acuito da questa nota
esasperata della vita.
La Società di Belle Arti
presentando nel maggio scorso al pubblico
quest’artista ci ha fatto ritrovare dopo lungo
tempo di fronte a quella
toscanità più segreta custodita ancora nel sangue
dei fiorentini e di cui non
mancano, anche qui, segni
per augurarsi di vederla
tra breve riapparire in un
piano degno della sua tradizione.
Rodolfo Siviero
Via Fiesolana 40
In questa mostra le sue poesie visive sono esposte insieme ai paesaggi di suo padre. L’attività di suo padre come pittore ha avuto
una influenza sulla sua scelta di abbandonare i codici esclusivamente verbali della poesia, a favore di una forma espressiva in cui
si combinano parole e immagini, letteratura e pittura ?
È una domanda che racchiude diversi temi e che meriterebbe una
risposta molto articolata. Prima di tutto mi esalta il fatto singolare e
direi eccezionale che le mie poesie visive siano esposte per la prima
volta in un museo pubblico con i dipinti di mio padre Ugo, e che questo museo sia anche la casa di Rodolfo Siviero, un amico, estimatore
e collezionista, appunto, delle opere di mio padre, e voglio aggiungere, tenuto conto della diversa età e del ruolo, anche mio amico. In
secondo luogo, è innegabile l’influenza che mio padre come pittore e
uomo di cultura ha avuto sulla mia attività verbo-visiva, specialmente di quella che poggia sui versanti dell’immagine. Ho cominciato a
disegnare da ragazzino, e certi disegni che ancora conservo era lui a
metterli da parte, ho proseguito a schizzare paesaggi alla sua maniera
su dei foglietti, ho continuato, senza mai fare il pittore, per altre vie,
a pervenire all’immagine aiutandomi con la parola.
Una terza considerazione mi viene stimolata dalla sua domanda
che, partendo dai paesaggi di mio padre, investe il rapporto tra
parole e immagini, tra letteratura e pittura. Ora se ci sono svariati
modi per un poeta di evocare aspetti visivi, ci sono anche svariati
modi per un pittore di far parlare un suo quadro. Siamo all’”Ut
pictura poesis”… Eccoci allora al punto: nei paesaggi di mio padre, come in certe foto digitali di oggi, si potrebbe leggere l’ora e il
giorno in cui sono stati dipinti. Simili paesaggi, in cui spesso il cielo
è il vero protagonista, fanno sentire il tempo che fa: l’afa, l’umidità,
il gelo, il preavviso della primavera, il sentore dell’autunno… In tal
senso parlerei di mio padre come di un pittore incline a forzare il
versante narrativo e poetico. Che sia un vizio di famiglia quello di
tendere a sconfinare dai codici artistici assegnati?
Uno dei temi su cui verte la sua ricerca artistica è l’assunzione di
nuovi significati da parte di immagini e parole ritagliate dal loro
contesto e ricombinate fra loro. In questa mostra le sue opere si
combinano con gli arredi della casa di Rodolfo Siviero. Il collage
Pignotti è tutto nuovo che sta nella prima stanza può essere una
chiave di lettura della mostra, un invito al visitatore a cercare nei
21
suoi lavori qui esposti relazioni, messaggi, emozioni anche nuovi
rispetto a quelli originari.
Una chiave di lettura di questa mostra la indicherei in una parola, suggestiva e classica a un tempo: “Wunderkammer”, il luogo,
la stanza delle meraviglie. È una parola e un’idea riconducibile a
un’estetica di genere manieristico e barocco, e più precisamente
ad Athanasius Kircher, secondo la quale un’identità stilistica va
ricercata proprio in una accorta mescolanza degli stili, tale da generare inaspettatezza e meraviglia. A costo di semplificare troppo
c’è da dire che un simile atteggiamento estetico è stato assunto più
o meno marcatamente dalle avanguardie artistiche del Novecento
ed è tuttora portato avanti sul piano sperimentale.
Casa Siviero, per naturale predisposizione agli accostamenti inusuali del suo proprietario, e il museo che porta il suo nome, fin
dall’inizio ha teso a offrire in ogni sua “stanza delle meraviglie” la
possibilità allo spettatore di diventare anche attore, ed è auspicabile che con questa mostra una tale “poetica” e una tale “singolarità”
diventi più esplicita.
Il collage Pignotti è tutto nuovo presenta subito al visitatore il suo
tipico modo di usare i linguaggi della comunicazione di massa
contemporanea per comunicare “altri” messaggi, intellettualmente molto più complessi. In questo caso il suo collage propone
una specie di ironico slogan auto-pubblicitario; allo stesso tempo
sembra affermare la sua esigenza di non fermarsi mai nella ricerca
e nella sperimentazione di novità poetico-artistiche.
Il nocciolo della domanda lo percepisco nell’ironia, o meglio
nell’autoironia. Qui dovrebbe secondo me risiedere il massimo
della consapevolezza di un artista e di uno scrittore. Mi viene spesso da rappresentarmi Dante che di fronte alla sua Commedia non
pensa di aver fatto il meglio, ma il meno peggio che poteva… Solo
quando non ci si contenta di un risultato si può proseguire
A Casa Siviero il collage Pignotti è tutto nuovo è stato collocato
vicino alla scatola dei colori di suo padre. L’accostamento, sottolineando la completa novità dell’arte di Lamberto rispetto a quella
di Ugo Pignotti, ci ricorda che la nascita della poesia visiva fu un
evento rivoluzionario nel panorama culturale fiorentino degli
anni Sessanta.
22
Lamberto Pignotti, Pignotti
è tutto nuovo, 1995,
collage cm 50x70
La poesia visiva fu senza dubbio un evento rivoluzionario a Firenze negli anni Sessanta. Purtroppo “Nemo propheta in patria”…: la
reazione del pubblico ma anche quella dei quotidiani non fu allora
proprio tra le più positive; ma era scontato. Quello che dovrebbe
essere meno scontato è il prevalente disinteresse da parte dell’ambiente culturale fiorentino odierno, verso esperienze come quelle
della poesia visiva nate a Firenze.
Le opere di Ugo e Lamberto Pignotti sono completamente diverse fin dal loro concepimento. I paesaggi di suo padre nascevano
come dipinti, il cui fine naturale era di soddisfare il piacere di
collezionisti come Siviero di circondarsi di belle opere d’arte. I
suoi lavori al contrario nascono come poesie da leggere e, almeno
negli anni Sessanta, in un clima generale di contestazione verso
il mercato dell’arte. Però sono lo stesso entrate nel sistema del
mercato e del collezionismo privato e possono essere ricercate
anche per il loro mero piacere estetico.
Si può dire che ogni pittore è propenso e interessato a vendere un
proprio quadro, ma non si può dire che ogni opera d’arte nasca
per compiacere il mercato dell’arte. La poesia visiva è sorta, sì,
come arte di contestazione e dissenso ma non ha mai escluso di
entrare in un salotto buono, magari fungendo da Cavallo di Troia,
cosa che ho scritto introducendo la mia prima antologia di poesie
visive nel 1965. Può succedere che qualcuno acquisti le mie opere
23
Lamberto Pignotti,
Ed è l’imprevisto, 2004,
intervento su fotografia
cm 87x120
perché attratto dalle belle ragazze della pubblicità che invece rappresentano la pochezza spirituale degli odierni mass-media. Invito
anche i visitatori di questa mostra a non fermarsi alle “figurine”, a
leggere quello che c’è scritto, a considerare come i vari interventi modificano le immagini. Vorrei anche aggiungere che cerco un
rapporto con le opere d’arte simile a quello che anticamente si poteva avere con un libro miniato. Un rapporto intimo, con l’occhio
che si sofferma sulle parole e sulle figure da vicino. Per questo non
lavoro nei grandi formati, che spesso caratterizzano l’arte contemporanea.
Sicuramente Lei non aveva previsto che il suo intervento su fotografia Ed è l’imprevisto sarebbe stato esposto un giorno accanto ad una robbiana raffigurante la Maddalena con il vaso degli
unguenti. Nella letteratura cristiana Maddalena è una affascinante peccatrice che unge i piedi di Gesù con un prezioso olio
profumato il cui ricavato invece avrebbe potuto essere usato per
alleviare le sofferenze dei poveri. Gesù però accetta il dono, si
pone in rapporto con lei e da ciò scaturisce la redenzione della
donna. Escludendo la tematica religioso-penitenziale, si potrebbe dire che le donne delle sue opere sono come delle moderne
Maddalene. Sono donne sensuali, eleganti, profumate il cui corpo
viene venduto alla frivolezza consumistica del messaggio pubblicitario, alla banale convenzionalità dei mass-media. Gli interventi
24
Lamberto Pignotti, Sono
molto raffreddata, 1998,
intervento su fotografia
cm 49x34
di Lamberto Pignotti però redimono queste immagini femminili
trasportandole nel mondo originale, complesso e colto della ispirazione poetica e del gioco artistico-letterario.
Rimaniamo nell’ottica di una “Wunderkammer”: non sono il primo e solo artista a compiacermi del rapporto dissacratorio e tendenzialmente incestuoso tra sacro e profano. Quante Eve, quante
Susanne, quante Maddalene, con più o meno malcelate nudità provocanti, hanno “alleviato” il grave sguardo di devoti e penitenti,
magari momentaneamente dirottandolo? Per altro l’accostamento
a questa Maddalena di Siviero col suo profumo viene incontro alla
mia poetica pluri-sensoriale e sinestetica: arte non solo per la vista, ma anche per il tatto, per il gusto, per l’olfatto… Negli anni
Sessanta alcune mie poesie visive avevano come supporto pagine
tratte dai calendarietti profumati dei parrucchieri…
Qui a Casa Siviero l’intervento su foto di rivista Sono molto raffreddata è stato collocato fra una
bagnante di De Chirico ed una
di Soffici. Ciò rafforza il carattere ironico del suo lavoro. E’
come se la ragazza della fotografia commentasse in modo
spiritoso la proliferazione di
nudi femminili nell’immaginario visivo moderno, notando
che, se ciò accadesse nella vita
reale, ci sarebbero conseguenze
negative per la salute delle donne. Questo ci porta al tema delle
relazioni tra poesia e vita. Non
solo il messaggio pubblicitario,
ma spesso anche l’arte e la poesia colta hanno una funziona
consolatoria fornendoci immagini idealizzate che ci fanno dimenticare le difficoltà e le bruttezze della vita. Le avanguardie
degli anni Sessanta al contrario
proponevano un’arte fortemen25
te impegnata sui temi sociali e politici, sulla realtà delle ingiustizie e delle sofferenze umane. Il gruppo fiorentino della Poesia
visiva sembra aver tenuto una posizione di mezzo. Pur esprimendo un forte impegno politico-sociale, sembra talvolta sostenere
l’idea che l’illusione poetica e la menzogna della bellezza artistica
abbiano comunque un ruolo positivo nella vita umana.
Il tema della donna, relativamente all’immagine femminile fortemente forviante dei media e in particolare della pubblicità, è ricorrente nelle mie poesie visive. L’ironia di certe scritte è diretta
ovviamente contro l’uso che ne fanno giornali e riviste e che ho
denunciato in Marchio & Femmina. La donna inventata dalla pubblicità, pubblicato da Vallecchi a Firenze nel 1978. E’ un libro di
saggi impostato su modelli verbo-visivi che reputo ancora molto
attuale. L’impegno politico e sociale può benissimo accordarsi con
finalità poetiche e artistiche.
I ritagli dell’Ultima Cena di Leonardo e del banchetto ducale miniato dai fratelli De Limbourg nel collage Strane combinazioni da
fuoriclasse stabiliscono una relazione con la funzione della sala da
pranzo di Casa Siviero, dove questo suo lavoro è esposto. L’unione tra la semplicità spirituale dell’Ultima Cena e la opulenza mondana del banchetto del Duca di Berry è sicuramente strana, ma
ancora più sorprendente è l’accostamento di capolavori dell’arte
antica ad immagini molto volgari della pubblicità moderna, come
la bocca rossa e il piatto con la torta che compaiono sul lato sinistro del collage. Spesso, nelle sue opere, frammenti di capolavori
antichi sono giustapposti a immagini della cultura/incultura di
massa contemporanea. Ciò enfatizza la bassezza del linguaggio
dei moderni mass-media e stabilisce invece un legame tra l’arte
colta contemporanea e quella del passato, un concetto che sarebbe piaciuto molto a Siviero.
Sacro e profano, aristocratico e volgare, antico e moderno: Strane combinazioni, appunto, che possono diventare da fuoriclasse.
Quando funzionano, e sperando che queste esposte nella sala da
pranzo di Casa Siviero funzionino, si può tentare di suggerire - visivamente, vistosamente – la differenza di sapori che separa, relazionandoli, un’Ultima Cena da un banchetto mondano. “De gustibus
est,… sì, disputandum”, insomma. Sulla differenza che passa tra
“Gusto” (con la “G” maiuscola: Gusto artistico) e “gusto” (con la
“g” minuscola: gusto alimentare) ne ho scritto nel contesto di un
26
altro mio libro di saggi, I sensi delle arti, pubblicato dall’editore
Dedalo di Bari nel 1993 e dedicato alle sinestesie artistiche e alle
interazioni estetiche.
Definendo le sue strane combinazioni “da fuoriclasse” Lamberto
Pignotti fa della auto-ironia. Sembra che un tratto distintivo della
sua personalità sia quello di voler prendere le distanze dalla estrema complessità della elaborazione linguistica e dei riferimenti
culturali delle sue opere, come se vi avvertisse il pericolo di un
eccessivo intellettualismo.
Come dicevo prima, anche in queste Combinazioni da fuoriclasse
non manca l’autoironia; essa serve proprio a mettere le mani avanti contro l’eccessivo intellettualismo che spesso denuncia proprio
una penuria di intelletto
Lamberto Pignotti,
Strane combinazioni
da fuoriclasse, 1997,
collage
cm 50x70
Passiamo nello studio-biblioteca di Casa Siviero dove si trova il
suo collage Il nuovo gioco dell’arte di comunicare. In questo caso
è il ritaglio in alto a destra del collage, quello con gli scaffali pie-
27
Lamberto Pignotti,
Il nuovo gioco dell’arte
di comunicare, 1997,
collage
cm 70x50
Proseguendo la visita alla mostra si incontra il suo intervento
su fotografia Prego si serva pure. Esso è stato collocato davanti
ad un ritratto femminile del pittore americano Charles Webster
Hawthorne, databile agli inizi del Novecento. Il confronto con il
dipinto della collezione Siviero sottolinea quanto sia cambiata,
nel corso degli ultimi cento anni, la figura femminile nell’immaginario collettivo. Non più un essere romantico, un po’ misterioso
e spirituale; ma una bellezza aggressiva che invita lo spettatore a
servirsi del suo corpo come se fosse un qualsiasi prodotto commerciale. Lei non propone un anacronistico ritorno al passato.
Accetta, enfatizzandolo con la sua scritta, il dato di fatto della
contemporanea mercificazione della bellezza femminile, ma poi
con segni e cancellature modifica in modo originale l’immagine,
28
cambiandone il significato. In particolare il segno che copre il volto della ragazza, sembra voler dire che lo svilimento commerciale
dell’erotismo ne cancella l’umanità. La doppia scritta in italiano e
in inglese che si tratta di un fenomeno globalizzato.
Anche qui la sua interpretazione mi sembra sostanzialmente corretta. Potrei per completezza ancora rimandare a quel mio libro già
citato, Marchio & Femmina. Devo confessarle in proposito una curiosità di genere biografico: Prego si serva pure mi ha seguito in due
traslochi, ma lo ho sempre attaccato alla parete vicino al mio letto:
accattivante ironia propiziatoria, sì, ma fino a un certo punto…
ni di libri, a dialogare con il
luogo dove l’opera è esposta.
Il collage presenta, sopra la
scritta centrale, una immagine
con carte da gioco. Intorno ci
sono ritagli con figure di forme di comunicazione tradizionali e simboli della cultura del
passato: i libri, la conversazione sull’erba, le lettere scritte
a mano. Esse sono mischiate
a immagini di mezzi comunicativi contemporanei come il
computer e i consueti ritagli
da riviste femminili e pubblicità. Con questa sua opera
vuole dire che il suo modo di
comunicare è un gioco in cui
vecchi e nuovi mezzi espressivi interagiscono come in una
partita a carte ?
Sì, a me piace giocare. Per altro
questa sua domanda accarezza le mie orecchie come un apprezzamento critico. Ma non so se faccio bene del tutto a sopprimere
l’interrogativo…
Lamberto Pignotti,
Prego si serva pure!, 1996,
intervento su fotografia
cm 27x20
Il collage Red-Art è collocato, con una relazione puramente visuale, accatto alla giubba rossa da torero dell’autoritratto di De
Chirico della raccolta Siviero. Red-art è un opera del 1991, cioè di
poco successiva alla caduta del muro di Berlino. L’opera sembra
dire che del rapporto tra arte e marxismo, così forte negli anni
Sessanta-Settanta, rimane oggi solo un superficiale ricordo coloristico. I brillantini stesi a formare delle macchie luccicanti sopra la
superficie del quadro sembrano anche alludere all’effimero luccichio dei valori proposti dal
trionfante capitalismo.
Red Art è un collage che
evoca un’”Arte rossa” contrapposta a ogni idea di,
che so?,
“realismo socialista”, “arte
impegnata” e simili… Da
diversi decenni assistiamo
a un rosso che è diventato
sempre più rosa, sempre
più evanescente, sempre più
brillante… I miei brillantini
cosparsi in quella serie alludono appunto allo specchietto per le allodole del
consumismo, della moda,
alle vetrine di Via Condotti,
di Via Montenapoleone, di
Via Tornabuoni.
29
Lamberto Pignotti,
Fai da te il linguaggio
libero, 1997, collage
cm 70x50
Lamberto Pignotti, Red-art,
1991, collage,
cm 50x70
Nella stanza successiva si trova un collage del 1997 con il ritaglio di un puttino che stabilisce un legame visivo con un cupido
bronzeo della collezione Siviero. Fai da te il linguaggio libero è un
esplicito invito a uscire dalle convenzioni della società di massa
e a riappropriarsi della libertà espressiva individuale. Il ritaglio
con il putto, urinando sopra la scritta capovolta con frasi genericamente romantiche, fa un atto fortemente contestativo verso
le forme comuni di linguaggio. Mi sembra che in Lei rimanga
ancora oggi un forte spirito dissacratorio che si ricollega alla contestazione giovanile degli anni Sessanta ?
Il getto del classico puttino, l’orinatoio-fontana di Duchamp,
l’invito nel mio collage a farsi da soli un linguaggio che non sia
prefabbricato, a respingere insomma il “discorso confezionato”…
costituiscono momenti diversamente dissacratori che si possono
reperire in varie epoche culturali e artistiche. E’ sempre l’ora della
dissacrazione e del dissenso: anzi è bene non aspettare che qualche
direttore alzi la bacchetta per iniziare la musica. Quasi sempre si
tratta della solita musica.
Nell’opera Aspettava forse un segnale si nota la tecnica della cancellazione di parti della fotografia. E’ una tecnica di cui Lei si
serve spesso. In questa mostra la vediamo anche nei due pannelli
La storia continua..., Ed è l’imprevisto, ma è stata soprattutto usata nelle serie Visibile invisibile e De composizione. È giusto interpretarla come un modo per rappresentare il destino della cultura
dell’apparenza del nostro tempo ? Di questa nostra civiltà, esemplificata dalle immagini delle riviste di moda su carta patinata,
30
cioè, non rimarrà niente nel futuro e perciò queste foto cominciano a scolorirsi, a dissolversi, a diventare invisibili.
De composizione e Visibile Invisibile sono due serie ottenute con
dei solventi che abradono parti di immagini e frasi dai media
patinati, tendendo a suggerire
il deperimento cui vanno incontro simili messaggi. Il confronto e il riferimento va stabilito con i palinsesti raschiati e
con gli affreschi deturpati dal
tempo. È quindi giusta la sua
interpretazione.
L’intervento su fotografia
Aspettava forse un segnale è
collocato accanto al letto a baldacchino seicentesco sul quale
si trovano due cuscini dove
Lamberto Pignotti, ha ricamato, attribuendoseli in modo
auto ironico, celebri versi poetici. In questa installazione
a Casa Siviero l’ammiccante
messaggio erotico della ragazza si trasforma in un invito a
gettarsi nel godimento dei piaceri immortali della poesia.
Devo precisare che i cuscini qui
presenti, come le pagine di certi
miei libri di stoffa, o meglio le
loro parole, sono stati fatti ricamare a mano nel suo stabilimento di
Gallarate, su tessuti speciali, da Giovanni Orsini, un mio caro amico
collezionista. Da tener presente il rapporto tattile e sensuale che essi
intendono già in partenza intrattenere con l’eventuale fruitore, rapporto eroticamente qui accentuato dalla loro sagace sistemazione
sul letto a baldacchino di Siviero e dall’aspettativa di una ragazza:
viene per l’occasione accentuata la mia naturale predisposizione alla
pluri-sensorialità e alla sinestesia.
31
I cuscini qui ricamati trascrivono alla lettera dei
versi di poeti classici e moderni, in ciò riprendendo certe mie performances intitolate conseguentemente Lamberto Pignotti scrive versi
immortali. In genere traccio con gli spray i versi
più conosciuti fin dai tempi della scuola e divulgati dai mass media
Lamberto Pignotti,
Aspettava forse un
segnale, 1996,
intervento su fotografia
cm 38x26
Lamberto Pignotti, scrive
versi immortali, 2006,
ricamo su stoffa
cm 47x49
32
Nell’ultima sala si trovano due opere del periodo “storico” degli inizi della Poesia Visiva nella
prima metà degli anni Sessanta. Anche in questo
caso i due collages Il potere economico smantella
i 10 comandamenti e Molte discussioni in poltrona
stabiliscono relazioni con gli arredi di Casa Siviero: le tre Madonne col Bambino e le poltrone
conservate in questa stanza. Con il suo forte impegno politico e morale, la sua laica religiosità Il
potere economico smantella i 10 comandamenti è
un messaggio tipico degli anni Sessanta, ma che
ancora oggi può avere una sua validità. In fin dei
conti la banalità del linguaggio di massa odierno può essere vista
come una conseguenza dello smantellamento spirituale portato
dal materialismo consumista.
Ancora una interrelazione tra classico e moderno, ma fin dal titolo
questa poesia visiva degli anni Sessanta sembra vaticinare qualcosa che sta avvenendo oggi in modo più precisato e che è stato
manifestamente denunciato perfino dagli ultimi due pontefici. Chi
pensava di giovarsi dello smantellamento del muro berlinese si è
trovato a fronteggiare ben altri e più insidiosi smantellamenti
Terminiamo questi ragionamenti sopra la mostra tornando ai rapporti tra padre e figlio. Al di là dell’evento culturale, la possibilità
di esporre le sue opere insieme a quelle di suo padre nella casa di
un caro amico di famiglia dovrebbe avere per Lei un valore soprattutto sentimentale. Quali emozioni, quali ricordi suscita
in Lamberto Pignotti questa esposizione a Casa Siviero ?
Già, i rapporti tra padre e figlio, rapporti saldi di continuità e
contiguità, anche se trasversali. In fondo io sono figlio d’arte,
e non mi dispiace affatto. È lui che fin da piccolo mi portava
nelle campagne toscane che dipingeva non disdegnando magari un mio giudizio, è lui che mi portava alle “Giubbe rosse”
tra artisti e scrittori, è lui che mi ha insegnato ad accostare in
armonia l’antico e il moderno, è lui che a debita distanza teneva d’occhio certi miei “disegnini” fatti con carboncini e gessetti
Lamberto Pignotti, Il potere
economico smantella i
10 comandamenti, 1964,
collage.
cm 35x50
colorati del suo studio che al momento non gli servivano. Ora un
incontro tangibile tra padre e figlio con le rispettive opere avviene
nella casa di un caro amico di famiglia da loro frequentata e che
nel frattempo è diventata a pieno titolo un museo, un museo particolare. È ovvio che se l’avvenimento avesse per me un valore “soprattutto sentimentale” esso potrebbe apparire riduttivo e perfino
banalmente celebrativo. No, io che ho frequentato Rodolfo Siviero
in Via degli Astalli a Roma, nell’ufficio di Palazzo Venezia in cui
da ministro plenipotenziario, ma in realtà come uno 007 dell’arte, predisponeva avventurosamente il recupero delle nostre opere
trafugate dai nazisti, posso dire che questa mostra delinea ai miei
occhi un valore aggiunto, un tangibile valore aggiunto. Succede,
come in certe congiunzioni di astri, che una apparente casualità e
concomitanza di fatti sia atta a mettere in luce aspetti fino ad allora
rimasti in ombra.
Una risposta esauriente e articolata in proposito mi porterebbe
lontano, ma dato che stiamo parlando di Siviero in casa Siviero,
sono propenso spontaneamente a coniugare la sua multiforme
personalità e la sua composita casa con una esposizione come questa . Nel suo ufficio in Via degli Astalli , Siviero aveva appeso dei
quadri di mio padre e insieme stavamo progettando una sua mostra di paesaggi all’Accademia , delle Arti del Disegno di Firenze.
Il progetto assai composito, aperto, e per certi versi innovativo
naufragò ad opera di resistenze tradizionaliste e poi in seguito alla
morte di Siviero.
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Lamberto Pignotti, Molte
discussioni in poltrona,
collage, 1965, cm 21x25
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Per concludere vorrei aggiungere qualcosa, magari rimasto implicito o latente, proprio sulla figura di Siviero. Lei prima ha accennato giustamente all’amore per la cultura del passato che lui anteponeva alle concezioni tipiche delle avanguardie. Eppure… eppure
c’era in lui l’interesse manifesto per un certo Picasso e per un certo
De Chirico, eppure c’era a proposito di un certo sperimentalismo
una sorta di odio-amore che traspariva talora affiorando nelle sue
parole o trasformandosi nell’azione. Mi piace ricordare che Rodolfo Siviero aveva scritto e pubblicato nel 1936 un libro di versi, La selva oscura – “Al mio amico Pignotti, una di quelle poche
persone per cui è stato scritto questo libro”, si legge nella dedica
che conservo gelosamente – e che quel libro di versi si presentava
così: “Questo non è un libro di versi ma la mia introduzione nel
mondo dell’arte. Un mondo nuovo nel quale non soddisfacevano
più i versi, i colori e le note…”. A leggerle oggi parole come queste
– entrata in scena, apertura e dichiarazione di poetica… - potrebbero essere attribuite a un poeta, a un artista o a un compositore
in procinto di avventurarsi nella terra di nessuno…
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Regione Toscana
Diritti Valori Innovazione Sostenibilità
Museo Casa Rodolfo Siviero
Lungarno Serristori, 1 - Firenze
www.museocasasiviero.it
[email protected]
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