neXus Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Gruppo Interstizi & Intersezioni N Neew wssMMAAGGAAZZIINNEE IInntteerrssttiizzii & & IInntteerrsseezziioonnii nn.. 2233,, A Auuttuunnnnoo 22001111 In mezzo alla vita accade che la morte venga a prendere le misure dell’uomo. Quella visita si dimentica e la vita continua. Ma il vestito si cuce in silenzio. (Tomas Tranströmer, Premio Nobel 2011 per la Letteratura) Cari destinatari, ogni settimana, ogni giorno oramai ci accorgiamo sulla nostra pelle del mutamento sociale, di quel social change che mobilitò l’attenzione di coloro che fondarono più di un secolo fa la Sociologia. L’entità e l’accelerazione dei mutamenti a cui la nostra vita quotidiana va incontro nel contesto attuale, più o meno dalla svolta del nuovo millennio, è impressionante anche se paragonata a pochi decenni fa: basti citare le parole informatica-internet, biotecnologie, globalizzazione, crisi economicofinanziaria. In Italia poi si è vissuto per anni in una situazione di anomalia politica che non ha riscontro in altri paesi a noi vicini: il risultato più evidente è stato il disastro etico e insieme la perdita di fiducia nelle Istituzioni che pervade giovani e meno giovani, pregiudicando il futuro del nostro meraviglioso paese. In un articolo recente, scritto nell’acme della crisi finanziaria attuale, l’ex-presidente Ciampi ha richiamato l’importanza che i paesi europei riprendano coscienza della loro memoria e riacquistino fiducia nelle loro grandi potenzialità, nel contributo essenziale che possono dare ad un mondo globalizzato. E’ un messaggio positivo che vorremmo fare nostro, perché bene si accorda anche con una visione delle Scienze sociali umanistica e sensibile all’etica quale il nostro Newsmagazine e il nostro Gruppo con le sue modeste forze porta avanti da anni. Con i migliori saluti e auguri. Giovanni Gasparini SOMMARIO 1. Incontri Forum su “Scrivere a tutto campo” - a cura di Cristina Pasqualini (Cristina Pasqualini, Michela Bolis, Silvia Cortellazzi) Claudia Mazzucato, Ciclo seminariale “Giustizia e letteratura (Law and Literature)” Giusi Venuti, Farsi da parte per Essere Parte. Riflessioni sugli spazi della convivenza oggi OssCom (a cura di), Tracce Creative: otto conversazioni sui percorsi della creatività nell’industria culturale in Italia 2. Libri & Scritti - Vanni Codeluppi, Chi sta uccidendo la Tv? Alida Airaghi, Tempo di Natale di Gianni Gasparini Claudio Gambardella, Progettare [interni] come esperienza Alida Airaghi, Come il fuoco. Uomo e denaro di Franco Riva 3. Arte & Comunicazione - Giovanni Gasparini, Due film sulle migrazioni dall’Africa: “Terraferma” di E.Crialese (2011) e “Il villaggio di cartone” di E.Olmi (2011) Francesco Mazzucotelli, Silvio Wolf: sulla soglia 4. Vita quotidiana - Marco Ermentini, La casa interstizio Ivana Pais, Interstizi pendolari. Racconti di viaggio tra Brescia e Milano Rubrica “Le città interstiziali” - Lucia Gasparini, Vancouver, interstizio umano tra montagna e mare, tra oriente e occidente Francesco Mazzucotelli, Sarajevo, il fiore dei Balcani Pubblicazioni recenti 1. Incontri Forum su “Scrivere a tutto campo - Note a margine della presentazione del volume “Tous azimuts. Il senso della scrittura” di Gianni Gasparini (FrancoAngeli 2011) - a cura di Cristina Pasqualini poliscrittori? Pochi ma autorevoli – basti pensare a Edgar Morin e Marc Augé. Ci siamo divertiti a contarli. In Italia sono un numero esiguo e a livello internazionale una ventina circa, tra cui Gi(ov)anni Gasparini. Cristina Pasqualini, Università Cattolica del Sacro Cuore –Milano. Per una introduzione Vivere di scrittura. Un dialogo-intervista con Gi(ov)anni Gasparini Da tempo Gi(ov)anni Gasparini stava meditando di scrivere un‟autobiografia e, tra tanti, scelse me come interlocutrice a cui affidare i suoi ricordi, per ripercorrere assieme, nella forma del dialogointervista, i nodi e gli snodi più significativi della sua ampia produzione scientifica e letteraria. Presso la saletta docenti dell‟Università Cattolica, comodamente seduti su poltrone di pelle, nella calda estate 2010, in una atmosfera serena, quasi domestica, ci siamo dati appuntamento più volte. Le nostre lunghe conversazioni, interrotte esclusivamente dal piacevole suono delle campane della Basilica di Sant‟Ambrogio, sono oggi parte integrante del volume Tous azimuts e restituiscono l‟immagine di un uomo, oltre che di uno studioso, amante della vita, della natura, della cultura e, soprattutto, della scrittura. Per Gasparini la natura è costante fonte di ispirazione poetica oltre che elemento costitutivo della sua persona e del suo benessere psico-fisico. E la sua scrittura, come recita il titolo stesso del volume, è a tutto campo, contaminata e arricchita sì, ma non direi ibrida, perché i diversi registri di scrittura sono assolutamente riconoscibili e volutamente distinti Operazione, quest‟ultima, non facile, soprattutto nel nostro Paese, in cui le stesse discipline sono accuratamente tenute separate da steccati, che Gasparini ama ironicamente e più correttamente chiamare per quello che sono, ovvero “stecchini”. In Italia non esiste ancora una vera e propria cultura della scrittura a tutto campo. Quanti sono i Il 19 ottobre è stato presentato in Università Cattolica a Milano l‟ultimo libro di Gianni Gasparini, “Tous azimuts. Il senso della scrittura”, che ha dato vita a una vivace tavola rotonda sul tema “Scrivere a tutto campo”. L‟evento si è rivelato un‟occasione ricchissima di spunti, su cui si sono confrontati Piermarco Aroldi, Giampaolo Azzoni, Duccio Demetrio e Cesare Segre. Particolarmente suggestiva è stata la presenza del maestro Stefano Albarello, cultore di musica antica, che ha accompagnato l‟evento con il canto e il liuto. “Tous azimuts” costituisce una sorta di autobiografia intellettuale di Gianni Gasparini, presentata con uno stile che, come ha affermato Cesare Segre durante la presentazione di questo lavoro, anche Calvino avrebbe apprezzato per la leggerezza e la coerenza. Nel libro l‟autore riprende tutti i temi che hanno caratterizzato la sua ricchissima produzione che inizialmente presentava due anime, una sociologica e l‟altra poetica e, successivamente, si è arricchita di numerosi altri registri di scrittura (critica letteraria, prosa poetica, teatro, racconti, spiritualità, autobiografia). A questo proposito, Gasparini utilizza inizialmente l‟efficace metafora delle due mani e poi quella delle cinque dita di ciascuna mano per rappresentare la diversità e, insieme, l‟unitarietà, della sua produzione. In un‟epoca di iperspecializzazione del sapere, la scrittura a tutto campo di Gasparini costituisce un‟eccezione originale e creativa. La sua storia intellettuale all‟insegna dell‟eclettismo nasce dalla convinzione che la sociologia e le scienze sociali debbano essere aperte alle altre discipline, in nome dell‟innovazione e della creatività. Michela Bolis, Università Cattolica - Milano Una “scrittura a tutto campo”. Tra cultura e sociologia Uno degli interrogativi più interessanti emersi dal convegno per la presentazione del libro di Gianni Gasparini “Tous azimuts” è la contaminazione che le scienze sociali potrebbero (dovrebbero) avere con altre discipline, in primis la letteratura. Le scienze sociali si alimentano di una serie di richiami letterari e nascono, comunque, all‟interno 2 di un filone, quello delle scienze umane, che della letteratura, dell‟umanesimo, della filosofia si nutre fin dalle origini. “Terza via” tra filosofia e letteratura, questo la sociologia potrebbe essere. E il libro di Gianni testimonia direttamente quanto questo sia possibile. I padri fondatori della disciplina sociologica sono scrittori di vaglia: pensiamo a Max Weber di Economia e società o alle scintillanti pagine di Karl Marx nel primo libro del Capitale. Ma la sociologia, questo sembra il senso della riflessione di Gianni Gasparini, non sembra tanto alimentarsi di questo nutrimento fondativo, quanto propendere per analisi finalizzate alla conoscenza ristretta e senza respiro richiesta da alcuni momenti critici e da alcune mode del momento. Questo potrebbe essere in parte causato dalla poca sensibilità dei sociologi ma, anche o soprattutto, dalla scarsa considerazione che analisi più approfondite (e sostenute da miglior scrittura) ricevono all‟interno della nostra società. La sociologia potrebbe aver smarrito il senso su cui aveva fondato il suo nascere ma, probabilmente con una spiegazione più semplice (e anche semplificatoria), l‟interesse per la conoscenza dei fondamenti della nostra società si è diradato. Per molti motivi: dalla politica, che ha perso ogni visione di Stato (e di società, che ne costituisce il fulcro), alla complessità macchinosa che la nostra società esibisce ogni giorno di più, alla scarsità delle risorse dedicate a ciò che ai sociologi sembrava importante un tempo e che ora non appare più così necessario. O per altri motivi meno evidenti, che vanno dalla strisciante ignoranza su alcuni capitoli considerati da sempre capisaldi imprescindibili di un‟umanità colta ma che oggi non hanno più alcun richiamo, all‟imperare della tecnologia, che diventa governo incolto di ciò che andrebbe invece coltivato con diversa attenzione. Da sempre, Gianni Gasparini è attento al tema del tempo. Ebbene, di quale tempo parliamo oggi? Il “tempo reale” della comunicazione istantanea, il tempo di lavoro (quando il lavoro è scarso anche il tempo che vi si dedica è di peso diverso e dunque non più “liberato”, ma desiderato), il “tempo umanistico” invocato dall‟Autore? Come viene riempito questo tempo, di quale cultura si sostanzia? Soprattutto nel nostro tempo, dire che cosa sia degno di attenzione è compito difficile da compiere. Come impieghiamo il tempo? Letteratura, poesia, bellezza sembrano appannaggio di pochi: dovrebbero essere di tutti, nella partecipazione agli spazi collettivi, nello sforzo comune di contribuire alla costruzione di qualcosa di stabile e di condivisibile, nel rispetto di (alla fine) poche regole. Il circuito virtuoso tra condizioni strutturali di benessere condiviso e di cultura che trascina a riflettere sul bene comune fonda le società degne di essere abitate. Lasciando sullo sfondo la struttura sociale, che costituisce parte a sé stante ancorché indisgiungibile, ci chiediamo che cosa sia cultura oggi. Che cosa dobbiamo insegnare, dalla scuola materna, nelle nostre istituzioni scolastiche e formative? Quale peso devono avere le diverse discipline? Uno degli sforzi possibili della sociologia potrebbe essere di comprendere che cosa alimenta davvero percorsi di vita soddisfacenti dal punto di vista culturale. Ma, anche, quanto debbono contare le materie pratiche nella formazione? I bambini australiani imparano in prima elementare a infilare un ago, attaccare un bottone, fare un rammendo, provvedere in qualche misura ai bisogni della vita pratica. Sono privi di cultura? Noi abbiamo dimenticato qualunque riferimento ai bisogni che collochiamo “in basso” (ma che della cultura sono la matrice e che richiedono “appagamento gerarchico”, se vogliamo arrivare alle più alte vette di quelli spirituali), rimandando a qualcun altro, a qualcos‟altro la loro soddisfazione. Abbiamo ribrezzo per le attività pratiche più semplici, nel vano tentativo di esorcizzare la nostra corporeità e, in definitiva, la morte, l‟ultimo tabù. Che cosa può nutrire le nostre menti e i nostri cuori (sociologici, anche)? Se società diverse ritengono necessarie discipline che altrove nel tempo e nello spazio sono considerate in altro modo, allora le risposte sono difficilissime. I programmi della scuola, ma soprattutto quelli universitari sono ridotti all‟osso in termini di cultura: ci si accontenta di raggiungere alcune mete di breve raggio, computate diligentemente in crediti formativi (dove saranno mai spese queste monete, nessuno lo sa). Le proposte di “pura cultura” (dove non sono rilasciate attestazioni di credito), che pure le università offrono, sono di solito disertate dagli studenti. Nessuno, o pochi (Gianni Gasparini tra questi), d‟altra parte, dice loro chiaramente che queste sono le occasioni dove un nutrimento vero e di qualità è a disposizione, per la vita e la professione e non solo per finire presto l‟iter degli studi. Dove acquisire la prima delle competenze, quella di sapere che non si sa, insieme al desiderio di sapere, perché sapere è bello? Probabilmente, laddove nella prima infanzia sia mancato un alimento di base composto di libri, parole dette, suggerimenti proposti; un clima dove abbia potuto germogliare il primo dei regali familiari, interesse e curiosità, il compito di rispondere a questa domanda è pressoché impossibile da compiere. E la catena di incultura si allunga velocemente. 3 L‟unica risposta è probabilmente di crederci sempre, di ripresentare sempre l‟argomento, di fendere le nebbie dell‟indifferenza con tenacia e coraggio. Credendo in tempi migliori. Silvia Cortellazzi, Università Cattolica - Milano Ciclo seminariale “Giustizia e letteratura (Law and Literature)” Per il terzo anno consecutivo, il Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale dell‟Università Cattolica organizza un ciclo seminariale dedicato al tema della giustizia nella letteratura e ispirato ai numerosi corsi di Law and Literature di molte università inglesi e americane. Un fil rouge tesse l‟intero ciclo seminariale, in linea con le edizioni precedenti: mettere a contatto i partecipanti, grazie alle testimonianze di eminenti scrittori e critici letterari, con le interpretazioni di significativi testi letterari pertinenti al tema della giustizia (specialmente penale), affinando così l‟apertura al dialogo interdisciplinare, la sensibilità culturale e il “senso di giustizia” degli appartenenti al mondo delle professioni, non solo giuridiche, e degli studenti. L‟edizione 2011-2012 disegna un itinerario che si dispiega in territori volutamente disparati quanto ai generi letterari, alle epoche e agli ambienti culturali considerati: dalla tragedia greca al grande cinema americano a cavallo tra i due millenni, passando per la fiaba e il romanzo ottocenteschi. Si comincia con Manzoni: non, come sarebbe stato più “scontato”, La storia della colonna infame, bensì I Promessi Sposi e, in particolare, l‟evoluzione della domanda di giustizia in Renzo, diviso tra istanze vendicative che “chiudono” ogni prospettiva di compimento – e ogni moto narrativo – e slanci verso una giustizia altra e “vera” che nel perdono troverà l‟apertura alla realizzazione di sé e rimetterà in modo la storia (“La via stretta: vendetta, giustizia, perdono nei Promessi sposi”, relatore Pierantonio Frare, discussant Luciano Eusebi, 10 novembre 2011). Sarà poi la volta del seminario intitolato “La legge in mare: Melville da Benito Cereno a Billy Budd” (relatore: Francesco Rognoni, discussant Arianna Visconti, 16 febbraio 2012): il mondo della legge è onnipresente nelle opere di Melville, nel registro documentario di White Jacket come in quello semicomico di Bartleby, nelle tonalità tragiche di Benito Cereno o quasi religiose di Billy Budd. Il seminario avrà ad oggetto queste ultime due opere, con frequenti riferimenti al capolavoro, sempre ricco di spunti, Moby Dick. Il Pinocchio di Collodi, capolavoro della letteratura mondiale, condurrà all‟esplorazione della devianza seguendo peripezie, bugie, inganni e incontri di cui è protagonista e vittima il notissimo burattino, per ritrovarsi infine al cospetto di una giustizia capace, con il per-dono, di generare trasformazione e compimento (“Il caso Pinokkio: tra menzogna, violenza e perdono”, relatori Giovanni Gasparini e Ruggero Eugeni, discussant Gabrio Forti, 15 marzo 2012). Il seminario di aprile, dal titolo “Limite, trasgressione e responsabilità: riscritture moderne della tragedia antica” (relatrice Anna Maria Cascetta, discussant Francesco D‟Alessandro, 19 aprile 2012), è interamente dedicato al genere letterario che, forte del carattere performativo del teatro, ha attraversato i secoli elaborando sempre nuove declinazioni, fino ad arrivare al nostro tempo con riscritture e revisioni profonde, cifra dell‟incessante ricerca di senso dell‟uomo in merito alla giustizia, alla libertà e alla responsabilità, alla punizione. Chiude il ciclo seminariale una tavola rotonda sulla cinematografia di Stanley Kubrick. L‟opera di Kubrick consegna allo spettatore un‟idea di giustizia ambivalente: alla giustizia degli uomini si contrappone una giustizia “superiore”, svincolata da logiche e regole comprensibili e dominata dal caso. L‟alternanza fra queste due facce della giustizia si ripercuote sui destini dei protagonisti, creando forme cinematografiche dagli sviluppi costantemente aperti (“La giustizia indifferente: etica e casualità nella cinematografia di Stanley Kubrick”, relatori Gian Battista Canova, Remo Danovi, Ruggero Eugeni, Carlo Enrico Paliero, 10 maggio 2012). Il ciclo seminariale 2011-2012 di “Giustizia e letteratura (Law and Literature)” si propone quindi come un viaggio del pensiero i cui “paesaggi” culturali e “climi” letterari svelano il senso profondo, unitario e comune, dell‟andare in cerca della giustizia attraverso la letteratura: un andare che, nell‟edizione di quest‟anno, pare più che mai condensarsi intorno all‟interrogativo difficile su violenza e male e intorno alla risposta difficile circa i modelli di giustizia che a quel male e a 4 quella violenza desiderano porre rimedio1. Claudia Mazzucato, Università Cattolica Milano Farsi da parte per Essere Parte. Riflessioni sugli spazi della convivenza oggi. (Resoconto ragionato della seconda edizione del corso residenziale di Alta Formazione in Umanesimo Cristiano tenutosi presso l‟Almo Collegio Borromeo di Pavia dal 29 agosto al 3 settembre 2011). Un‟isola felice. È questo il pensiero che mi ha accompagnato durante la permanenza al Collegio Borromeo. L‟eccellente ospitalità del Rettore don Ernesto Maggi, l‟alta preparazione dei relatori, la profonda umanità degli organizzatori2 e la piacevole disposizione al confronto dei partecipanti, ha confermato quello che già pensavo prima di arrivare e cioè che il problema del rilancio o della rinuncia di valori - nonostante la tristezza, l‟indifferenza e la liquidità che sembra segnare il nostro tempo - è una opzione profonda dell’anima propria di ogni tempo: sta a ciascuno di noi sapere se vogliamo tenerli e sostenerli o se, ignorandoli, cediamo sotto il peso di un compito che i più dicono essere, ormai, insostenibile. Utilizzando appieno quanto sostiene Simone Weil potremmo allora dire che, contro questa vittimistica perdita di realtà, è forse necessario imparare a discrearsi. E questo - rispetto ad un‟esperienza come il corso di Alta Formazione significa che dobbiamo, certamente, continuare a nutrirci di incontri culturalmente alti, lasciando, però, perdere l‟infantilistica pretesa di un immediato indottrinamento una volta fuori da questi luoghi. Dobbiamo cioè riscoprire la paziente arte della mediazione se vogliamo, davvero stare, nel mondo con la consapevolezza di non essere completamente del mondo. Potremmo dire che si tratta di imparare ad agire quasi non agendo, mettendoci da parte. Con questa rotazione interiore diveniamo, paradossalmente, parte viva del mondo. Attenzione, però, a non confondere questa operazione come un nuovo rifugio nell‟intellettualismo, nel misticismo o nella vita eremitica. Farsi da parte è un movimento attivo e passivo allo stesso tempo. È una scelta dettata dalla contingenza che, però, va 1 Per maggiori informazioni e per scaricare il programma dei seminari (sottoposti a condizioni di iscrizione e accesso): CSGP – CENTRO STUDI “FEDERICO STELLA”, Via Carducci 30 – 20123 Milano Tel. 02.7234.5175 – Fax. 02.7234.5179 Sito Web: csgp.unicatt.it 2 Prof. Giampaolo Azzoni, Università di Pavia; Prof. Stefano Semplici, Università Tor Vergata di Roma. oltre la contingenza stessa. È un fare posto ad altri, non uno svuotarsi di sé. C‟è, al fondo, un‟attività. Ci si rende disponibili e permeabili, orientati dall‟idea che il nostro lavoro, vista la nostra natura di esseri individuali di sostanza razionale, non possa essere determinato solo dall‟egoistico procacciamento del cibo, ma che abbia anche un radicale (ontologico) bisogno di essere scandito dal desiderio altruistico della costruzione del bene comune. La domanda potrebbe allora essere: come realizzare questa rotazione di pensiero? Con Giovanni Gasparini ritengo che si potrebbe cominciare imparando a risignificare il tempo nel quale siamo, facendolo transitare dalla ferrea logica dell‟efficienza a quella simbolica del tempo debito (Kairòs) in cui ciascuno di noi, in prima persona, si mette in gioco e si dona al mondo nel rispetto del vissuto e del luogo da cui proviene. Giusi Venuti, dottore di ricerca in Scienze Cognitive, Università degli Studi di Messina Tracce Creative: otto conversazioni sui percorsi della creatività nell’industria culturale in Italia OssCom – Centro di ricerca sui media e la comunicazione dell‟Università Cattolica di Milano e l‟agenzia di comunicazione TBWA\Italia sono promotori del progetto “Tracce Creative. Otto conversazioni sui percorsi della creatività nell‟industria culturale in Italia” (dal 12 ottobre al 30 novembre presso l‟Università Cattolica). Attraverso il confronto diretto con i protagonisti, “Tracce Creative” racconta le storie di persone e prodotti che hanno recentemente tracciato percorsi innovativi, attraverso esperienze originali capaci di rappresentare l‟energia diffusa nel contesto nazionale. Personalità del mondo del cinema, della televisione, dell‟editoria, della musica, dell‟arte, del teatro e dei media digitali che hanno rotto gli schemi e trovato vie nuove di espressione nel proprio mercato di riferimento. Innovatori che hanno avuto il coraggio di cambiare le regole e le prospettive. Il blog satirico collettivo Spinoza.it, la free press sull'intrattenimento urbano Zero Magazine, il gruppo di ricerca teatrale Babilonia Teatri, il regista cinematografico Michelangelo Frammartino, l'artista Marco Fantini, il magazine maschile del Sole24ore IL - Intelligence in Lifestyle, il portale di musica indipendente italiana Rockit e la fiction italiana Boris sono i protagonisti di questo ciclo di conversazioni. Ad essi si affiancano diversi interlocutori: giornalisti, teorici e docenti, professionisti del mercato, 5 personaggi del mondo della cultura. L‟obiettivo di “Tracce creative” è offrire un contributo per rianimare e approfondire un dibattito pubblico il cui interesse è nello stesso tempo culturale, istituzionale e produttivo. Ovvero per discutere, attraverso alcuni interpreti del cambiamento, sia dei possibili percorsi di emersione della creatività italiana in una fase di stagnazione, sia di un tema che non può più essere ridotto a pochi stereotipi. “Tracce Creative” è allora una piccola esplorazione a tappe, intorno alle circostanze che valorizzano la capacità dei soggetti di mettersi in connessione, creare nuovi legami, contaminare competenze diverse, far dialogare mercati e prodotti che in precedenza erano distinti e separati. Tutti i casi considerati infatti evidenziano l‟importanza di alcuni fattori che vanno aldilà del puro „genio ideativo‟, e mostrano il ruolo decisivo della spinta abilitante di fattori „esterni‟ o contestuali (la presenza di reti di relazioni, di ambienti informali o istituzionali, di condizioni nelle politiche pubbliche). Un percorso in cui emerge come la creatività non è solo questione di idee, ma di processi sociali (culturali e politici) che vedono al centro la possibilità e la capacità di „costruire ponti‟, „mettere in contatto‟ esperienze diverse, in partenza persino distanti. OssCom - Centro di Ricerca sui media e la comunicazione (a cura di), Università Cattolica - Milano 2. Libri & Scritti Chi sta uccidendo la Tv? Dopo la Paleotelevisione e la Neotelevisione teorizzate qualche anno fa da Umberto Eco, oggi stiamo cominciando ad entrare nell‟epoca della Transtelevisione», cioè di una televisione “aperta” e caratterizzata dalla mancanza di precisi confini. Nella Transtelevisione infatti cadono gli steccati interni tra i generi e ogni distanza rispetto alle persone che guardano, mentre il pubblico diventa il vero protagonista del flusso comunicativo. I reality show in programmazione da diversi anni hanno stancato gli spettatori, ma il loro modello rappresenta comunque quello verso cui si sta muovendo la televisione contemporanea. Nel mio recente volume Stanno uccidendo la tv (Bollati Boringhieri, Torino, 2011) ho cercato di dimostrare che molti ritengono che la televisione sia arrivata al termine del suo ciclo di vita, mentre in realtà possiede ancora delle notevoli possibilità. Va considerato, ad esempio, che Internet oggi sfrutta spesso i contenuti creati dalla televisione (non a caso rintracciabili in gran parte su YouTube). I due mezzi si stanno sempre più fondendo, ma i contenuti sembra che potranno rimanere in gran parte quelli televisivi. Inoltre, i più giovani si stanno spostando su social network come Facebook, ma spesso guardano la televisione e commentano simultaneamente in Rete i programmi che stanno vedendo. La televisione è un mezzo potente che possiede una notevole capacità d‟influenza sulle persone e la politica ha cercato perciò da tempo di controllarla per creare consenso. Il controllo eccessivo ha generato però progressivamente un effetto boomerang: la fine della competizione interna e l‟omogeneità dell‟offerta, che hanno indebolito il mezzo e fatto perdere interesse agli spettatori. È possibile pensare però a un modello differente di televisione, dove a prevalere sia principalmente la natura di strumento di acculturazione e di emancipazione di tale mezzo, nel solco di molti degli esempi che sono stati forniti in passato dalle televisioni pubbliche di vari Paesi, a cominciare dall‟Italia. Chi gestisce i network televisivi deve tenere conto di ciò e cercare di sviluppare dei linguaggi innovativi. La fiction di qualità, l‟informazione e i grandi eventi sono solo alcuni esempi delle aree verso cui la televisione può orientarsi. La Tv è in grado inoltre di aiutare chi guarda a comprendere meglio quello che accade ogni giorno. Può pertanto recuperare parte dello spirito pedagogico degli inizi, seppure comunicandolo attraverso un nuovo linguaggio. Vanni Codeluppi, Università di Modena e Reggio Emilia Gianni Gasparini, Tempo di Natale, Viator editore Gianni Gasparini, docente di Sociologia alla Cattolica di Milano, poeta e scrittore dai molteplici interessi, ha dedicato questi dieci racconti “diversissimi e convergenti” - come recita la quarta di copertina – alla festività del Natale. Racconti tenui e velatamente malinconici, tenuti insieme appunto dal filo rosso dell'occasione natalizia, ma ambientati in epoche e luoghi molto lontani tra di loro: dalla Val d‟Aosta alla Spagna, dalla Liguria alla Danimarca. E i protagonisti imprevedibili e originali si rincorrono nelle loro vicende accomunati da una sensibilità attenta e discreta nei riguardi dell'atmosfera delicata e struggente del 25 dicembre. Così un Garcia Lorca bambino vive la notte della vigilia con la sospesa premonizione del suo futuro destino di poeta, un anziano vedovo ritrova casualmente un suo antico amore, uno scrittore demotivato recupera l‟ispirazione per un racconto natalizio nella solitudine di un bosco. E ancora un 6 trovatore catalano di otto secoli fa tenta di sfuggire alla passione per la sua signora cercando scampo nei suoi versi e in un altrove nutrito di nostalgia, un incompreso liutista inglese del 1600 mette in musica il Salmo 100 proprio il mattino della natività, un aquilone sperso nel cielo invernale riesce a dare l'allarme di un glaciomoto e a portare soccorso ad alcuni sopravvissuti. Il Natale “è il presente di Dio”, “festa di una memoria che ritorna”, una giornata unica che mantiene la sua magia anche nell'epoca di internet, un momento particolare in cui piantare “il seme del dono, con la fiducia che il dare e il ricevere possano un giorno congiungersi”. La natura partecipa silenziosa e buona alla commozione delle persone:“ su tutto aleggiava come un manto la profonda concentrazione dell'inverno”. Dieci racconti poetici, in cui non appare il male, che sembra sconfitto almeno per ventiquattro ore, perché – come dice un personaggio- “nel Natale del nostro Signore bambino dobbiamo avere nel cuore allegrezza e gratitudine, qualunque sia la sofferenza che ci affligge”. Alida Airaghi, scrittrice Claudio Gambardella, Progettare [interni] come esperienza, Aracne Editrice, Roma 2010. Che spazio viene riservato dalla cultura del progetto al mondo interiore delle persone, in primis dei progettisti stessi e degli studenti universitari, degli abitanti di una casa, dei lavoratori di un ufficio, dei fedeli di una chiesa, dei pazienti di un ospedale? È la domanda implicita con cui Claudio Gambardella affronta nel libro Progettare [interni] come esperienza alcuni temi sensibili della disciplina dell‟Interno Architettonico. L‟architettura di questi anni di «dittatura dei mercati finanziari», per dirla con Latouche, prestandosi ad essere l‟arma mediatica di «una globalizzazione trionfante e arrogante (seppure in crisi)», si manifesta attraverso splendide carrozzerie ipertecnologiche e stupefacenti epidermidi comunicative; quest‟architettura, innamorata narcisisticamente della sua immagine e sempre più autoreferenziale, preferisce stupire con “oggetti abitabili” che aggravano la progressiva frammentazione dei paesaggi, urbani e naturali, tipica della modernità, anziché misurarsi nell‟antico magistero del dialogo paziente con i luoghi. L‟architettura diventa design, lo spazio interno un calco di gusci vuoti, l‟abitare una simulazione, un esercizio in 3D. All‟affermarsi di società nuove dovrà corrispondere un‟architettura liberata dalla sottomissione nei confronti della «tecnoeconomia», che plachi la sua ossessiva frenesia di apparire a tutti i costi, che si preoccupi di farsi “rete” riannodando i rapporti recisi tra uomo, città e natura e che rivaluti l‟interno architettonico – “architettura invisibile” dell‟era della globalizzazione - come spazio dell‟uomo, delle sue esperienze interiori e dell‟ascolto di sé, spazio dei sentimenti, della vita, delle relazioni, spazio conviviale, per propagarsi all‟esterno e dare forma all‟architettura nella sua unità e interezza. Attraverso la raccolta di elaborati di esami e tesi di laurea degli studenti della Facoltà di Architettura della Seconda Università di Napoli, viene illustrato un metodo progettuale sperimentato nel corso dell‟attività didattica. Nonostante la diversità dei temi affrontati (l‟attesa, le case per immigrati, gli arredi per la cura di sé), un unico fil rouge li lega facendo entrare in gioco l‟esperienza interiore nelle fasi preliminari del progetto. In particolare, quello dei luoghi dell‟attesa negli ospedali è stato un tema sviluppato attraverso una straordinaria esperienza, umana e scientifica, ispirata alle precedenti ricerche sugli “interstizi” del professore Giovanni Gasparini, che l‟autore del libro ha condotto nel corso di un forum con pazienti e familiari, medici e infermieri, tenutosi anni fa presso l‟Istituto di Psicologia Oncologica del Pascale di Napoli. Claudio Gambardella, Seconda Università degli Studi di Napoli Franco Riva, Come il fuoco. Uomo e denaro, Cittadella ed., Assisi 2011. Quando si parla del denaro, ci si scontra con la sua ambivalenza strutturale. San Francesco lo chiamava “sterco del demonio”, per Calvino esso esprimeva la benevolenza di Dio, per Sartre aveva un carattere “magico”. Il filosofo Franco Riva gli dedica uno stimolante studio, in cui afferma che ormai il denaro è diventato un feticcio universale, una sorta di religione globale, con “i suoi sacerdoti, il suo popolo, i suoi templi, le sue liturgie, i suoi riti”. Una nuova divinità, quindi, che permea e invade la nostra quotidianità, si insinua negli ambienti domestici e lavorativi, prolifera e domina qualsiasi attività del nostro tempo libero: dallo sport al turismo, dalla contemplazione di opere d'arte all'utilizzo dei servizi igienici nelle stazioni. Ormai paghiamo un ticket per qualsiasi espressione della nostra volontà: “La contraddizione totalitaria della liberissima società dei consumi non consiste nel ridurre tutto a consumo, ma nell'imporre senza che nessuno protesti sul serio...dei ticket per accedere al diritto stesso di consumare”. 7 È proprio tutto così sconfortante? L'homo oeconomicus ha quindi assorbito totalmente ogni altra caratteristica dell' essere umano? Quali valori si sottraggono al nuovo credo del denaro? La verità, la fede, i diritti umani, la giustizia, la difesa dell'ambiente, la gratuità del dono, la solidarietà...Ma ne siamo certi, o fingiamo un candore da anime belle che preferiscono la cecità all'efferatezza del realismo? Cosa ci può salvare, a questo punto? Franco Riva richiama tutti a una “resistenza silenziosa ed eroica”, a un ripensamento dei propri valori, a una dignità dell'impegno nella vita comune: allora anche il denaro può essere d'aiuto nel soccorrere chi si trova in difficoltà, nel diffondere cultura, nel riequilibrare la giustizia attraverso il risarcimento piuttosto che con la vendetta, nel recuperare l'idea della propria professione non solo come ricerca del profitto ma anche come pienezza e soddisfazione di vita. Alida Airaghi 3. Arte & Comunicazione Due film sulle migrazioni dall’Africa: “Terraferma” di E.Crialese (2011) e “Il villaggio di cartone” di E.Olmi (2011) Il tema scottante delle migrazioni dall‟Africa in Italia, con l‟arrivo dei barconi di clandestini, è affrontato da due film usciti quasi contemporaneamente ad opera rispettivamente di Emanuele Crialese e di Ermanno Olmi. In entrambi abbiamo a che fare con sbarchi che costano la vita in mare ad una parte dei clandestini che tenta di raggiungere le coste italiane, con una donna che partorisce un bambino appena arrivata, con l‟accoglienza riservata a questi migranti. In generale, il tema è quello del confronto tra culture diverse e distanti ma oggi destinate ad avvicinarsi e a incontrarsi a motivo della facilità dei collegamenti e della stessa posizione geografica del nostro paese. I due film sviluppano in modo ben diverso la tematica: Crialese aveva firmato nel 2002 un film singolare ed efficace (Respiro) raccontato su una Lampedusa che non conosceva ancora il drammatico problema degli sbarchi, mentre quella di oggi (anche se le riprese sono state effettuate nella vicina Linosa) ne è profondamente coinvolta e traumatizzata, pur non rinunciando ad una vocazione turistica. Nel film si assiste all‟arrivo di un gruppo di disperati che viene avvistato e soccorso dalla barca su cui stanno pescando l‟anziano Ernesto, uno degli ultimi tenaci pescatori dell‟isola, e il ventenne nipote Filippo. Quest‟ultimo appare disorientato tra la “legge del mare” che il nonno gli testimonia quando accoglie immediatamente i naufraghi e si tuffa in mare per salvare una donna e il suo bambino, e un atteggiamento di rifiuto dei migranti che si verifica in un episodio successivo quando Filippo respinge le mani di coloro che vorrebbero attaccarsi alla sua imbarcazione per salvarsi. Il nonno e la nuora (vedova di suo figlio e madre di Filippo) accolgono in casa la donna salvata con il figlio, proprio mentre questa sta per partorire un altro bambino, e la aiutano a proprio rischio, opponendosi alle leggi che impongono la denuncia dei clandestini; alla fine sarà proprio Filippo a condurre alla salvezza verso il continente la donna con il neonato e l‟altro bambino. Al realismo equilibrato e problematico di Crialese fa da contrappunto una narrazione decontestualizzata e quasi simbolica di Olmi, dove il confronto tra culture e tra persone diverse si incarna soprattutto nella figura del vecchio prete che accoglie nella chiesa appena dismessa e privata dei suoi arredi un gruppo di clandestini africani, i quali costruiscono al suo interno un precario “villaggio di cartone”. La narrazione di Olmi, che si avvale di immagini suggestive, trova il punto centrale nella contrapposizione tra fede e carità di cui si fa interprete il prete, già in crisi sul senso della propria opera svolta in tanti anni per i parrocchiani: il bene supera ogni altro obiettivo, aiutare gli altri è la priorità assoluta, anche se entra in rotta di collisione con le leggi degli uomini. La sensibilità di un regista come Olmi è ovviamente fuori discussione, ma la sua proposta filmica rischia di cadere qui in una retorica stucchevole: come nella discussione sulla violenza che avviene tra i membri del gruppo di clandestini, o nella scena improbabile del prete che dà un‟ombrellata in testa al capo dei tutori dell‟ordine entrato in chiesa per arrestarne gli occupanti e in tal modo lo fa desistere; o come, per finire, nella sovrimpressione che conclude il film, in cui gli spettatori vengono avvertiti che la storia ci sta cambiando se non la cambiamo noi. Il messaggio di Olmi è evidente, ma sorge il dubbio che per trasmetterlo sarebbe stato meglio lasciar parlare le immagini, le musiche e le vicende raccontate; e che i dialoghi, anche se firmati da persone di valore come Magris e Ravasi, abbiano reso intellettualistico l‟approccio a un tema che in Crialese acquista invece vivezza ed efficacia di racconto. Giovanni Gasparini, Università Cattolica Milano 8 Silvio Wolf: sulla soglia Il titolo della mostra è quasi un manifesto programmatico. La personale di Silvio Wolf, allestita al PAC di via Palestro dal 6 Ottobre al 6 Novembre scorso, è stata impostata tutta intorno al tema della soglia. Non solo per le fotografie di portali arabeggianti che si aprono su squarci di palmeti e di deserti, in un gioco di luci e di ombre, di pieni e di vuoti. Non solo per le immagini fortemente simboliche, le architetture, i rimandi a un Altrove lasciato all‟immaginazione di chi osserva. Ma perché tutta la tematica quasi trentennale dell‟artista milanese lavora, come egli stesso afferma, sul “rapporto fra reale visibile, superficie e soggetto”. Si potrebbe dire che alcune delle opere esposte sperimentino la possibilità che non possa nemmeno darsi un reale visibile senza l‟interazione con un soggetto. Giochi di luce, apparizioni e scomparse, superfici riflettenti e specchi nascosti da drappeggi: l‟artista vuole mostrare come sia l‟atto stesso dell‟osservare a mutare la natura di ciò che viene osservato. In un certo senso, è l‟osservatore stesso a entrare dentro l‟opera e a doversi porre degli interrogativi. La mostra di Wolf si svolge attorno al tema della soglia e del passaggio anche nel modo di affrontare il rapporto tra luci e oscurità, tra l‟assenza di dati e immagini e il loro eccesso. L‟artista dichiara che, in un mondo ormai saturo di immagini di ogni tipo, l‟unica operazione d‟avanguardia sia quella di lavorare per sottrazione e di investigare le possibilità dell‟assenza. La serie “Orizzonti” è quella che forse maggiormente colpisce l‟immaginario di chi visita la mostra: una selezione di frammenti di scarto del processo fotografico, spezzoni di pellicola che rimane impressionata durante il caricamento, prima che il fotografo componga la sua immagine. Forme e colori allo stato liquido, una fotografia prima della fotografia, una immagine che si scrive nella breve soglia prima che il fotografo decida cosa farle scrivere. Con le sue sperimentazioni, mai comunque così tanto “sperimentali” da risultare illeggibili al resto del mondo, le opere di Silvio Wolf offrono stimoli e prospettive interessanti di riflessione anche teorica sul “quasi” e sul “non ancora”. Francesco Mazzucotelli, Università Cattolica – Milano 4. Vita quotidiana La casa interstizio Che strana costruzione, non ne esiste una simile. Nei miei lungi viaggi non ho visto mai qualcosa come la casa interstizio. Si trova in un quartiere di ville suburbane, nella zona Occidentale della citta`. Ad un certo punto, dove la strada curva improvvisamente, te la trovi proprio di fronte. La casa si presenta differente da tutte le villette circostanti. Si vede un gran tetto con spioventi e abbaini come appoggiato al terreno. Ad una prima occhiata sembra che ci sia stato un terremoto e conseguentemente la copertura sia crollata a terra. Poi, avvicinandosi un poco, si capisce che non si tratta di un crollo, ma la cosa e` voluta. Si sa che il proprietario, il professor Gianni, e‟ un tipo molto strano. Dopo una brillante carriera scientifica, si e´ fatto costruire una ben curiosa casa. Un giorno sono riuscito a farmi invitare. Il prof. Gianni mi ha accolto con simpatia e mi ha accompagnato nella visita. Il grande tetto ha spioventi come le case svizzere con abbaini luminosi, il sottotetto custodisce una bellissima soffitta con tanti mobili, armadi, contenitori, oggetti dappertutto; insomma proprio come la soffitta dei sogni dove ritroviamo le vecchie cose dei nonni e i giochi della nostra infanzia. Poi c‟è una ripida scala che porta al piano interrato con una grande cantina dove trovano spazio i salami, le provviste, i vini, i formaggi e le biciclette. Tutt‟intorno corrono una serie di intercapedini e di corridoi stretti. Alla fine della visita perplesso chiedo al mio interlocutore perché ha rinunciato ai locali veri e propri, perché non ha un soggiorno, una cucina e una camera da letto come tutte le case, perché non esiste il piano terreno? Mi ha risposto così: “ Ho capito che nella casa interstizio si può salire verso l‟astrazione della soffitta e allo stesso modo discendere nella cantina sognando di trovare un tesoro sepolto. Ho evitato quindi il piano terra della pura razionalità, così posso finalmente abitare poeticamente”. Marco Ermentini, Shy Architecture Association Interstizi pendolari. Racconti di viaggio tra Brescia e Milano Giovedì 15 settembre 2011, ore 7:27, stazione di Brescia. Sul treno regionale per Milano sale un 9 passeggero d'eccezione: il Vescovo Luciano Monari. Vuole conoscere da vicino l'esperienza dei pendolari. Per un'ora e otto minuti, mentre il treno copre lo spazio interstiziale tra Brescia e Milano, studenti e lavoratori raccontano storie di vita quotidiana. Il tragitto è uno solo, ma ognuno lo percorre a modo suo. Studenti universitari che prendono il treno locale, più lento ma meno affollato, per poter leggere con tranquillità; professionisti che preferiscono l‟eurocity, per raggiungere prima il luogo di lavoro. Se c‟è una cosa che li accomuna è il “kit del pendolare”: maglione anche d'estate, per difendersi dall'aria condizionata oppure lo scotch per coprire i bocchettoni dell'aria; cuscini da viaggio per stare più comodi o un semplice telo per evitare il contatto diretto con tessuti spesso sporchi. E tutti parlano la “microlingua” delle Ferrovie: chiamano i treni per numero e sono gli unici in grado di decifrare gli annunci in caso di ritardo.Durante il viaggio, il treno diventa sala di lettura per chi deve studiare, cabina telefonica per chi inizia in viaggio la propria giornata lavorativa, bar per chi scambia qualche opinione leggendo il giornale. Esigenze spesso incompatibili tra loro, ma le divergenze emergono solo nei momenti di tensione, quando ci sono guasti o ritardi. Perché la carrozza di un treno, per i pendolari, è un luogo sociale: uno spazio di relazione, dove si fa comunità. Una comunità che ora è anche digitale: grazie ai messaggi istantanei, i pendolari sono informati dei ritardi da chi prende il treno nelle stazioni precedenti; nei gruppi di discussione, condividono informazioni e scambiano opinioni, esprimono il loro dissenso e organizzano le proteste. Il Vescovo ascolta, fa domande, poi racconta i suoi viaggi da studente-pendolare. E ci si accorge che, nei ricordi, i viaggi sono meno faticosi. Stazione centrale di Milano. Prima che il treno riparta per Brescia, c'è giusto il tempo per una visita a quello che è diventato un vero e proprio centro commerciale. I pendolari fanno le scale, per non perdere tempo con i lunghi percorsi obbligati dei tapis roulant. Capita anche che facciano acquisti, ma poi rimpiangono le sale d‟attesa. Perché nelle stazioni di nuova generazione anche gli spazi interstiziali sono a pagamento. Ivana Pais, Università Cattolica - Milano Rubrica “Le città interstiziali” Vancouver, interstizio umano tra montagna e mare, tra oriente e occidente Ho sempre sentito parlare in termini molto elogiativi di questa città sulla costa occidentale del Canada, vicinissima agli Stati Uniti eppure così diversa dall‟atmosfera che si respira in tante metropoli americane, ma non ho mai capito esattamente chi mi decantava Vancouver da cosa fosse motivato: non mi si raccontava infatti nulla di particolare, nessun monumento o museo prestigioso (anche se il MOA smentisce ciò in parte), nessuna architettura mozzafiato, nessun piano urbanistico originale, insomma nulla di caratterizzante. La mia curiosità si è acuita quando questa estate, in occasione di un viaggio in Canada, ho chiesto un consiglio ad un amico canadese – della costa Est, quindi non imputabile di campanilismo- riguardo all‟organizzazione del viaggio e mi ha suggerito caldamente di stare almeno quattro giorni a Vancouver. Mi sembrava esagerato, per una città bella sì ma che non pareva aver nulla di particolare e caratterizzante. Così, sulla fiducia, abbandonata la natura grandiosa dei parchi canadesi dell‟Ovest, mi sono messa gli abiti cittadini per visitare Vancouver. E‟ stata una vera e propria scoperta: è una città straordinaria nel suo essere assolutamente normale, dove però in questa normalità rientra uno degli standard di qualità della vita più alti al mondo. Non so esattamente cosa concorra a determinare questo livello, ma senz‟altro da fruitrice di questo ambiente urbano e naturale (poiché le due componenti non si possono assolutamente scindere a Vancouver) posso indicare il panorama delle montagne innevate visibile da ogni punto della città, i chilometri di spiaggia bianca su cui si gioca a beach-volley, si prende il sole e si fa picnic che potrebbero farti pensare di essere in Florida (anche se poi non lo pensi perché sullo sfondo ci sono i ghiacci), un‟estensione enorme di giardini e parchi che sarebbe meglio chiamare boschi o foreste in cui quando entri un cartello ti avverte di fare attenzione perché potresti incontrare il coyote, un parco in particolare – lo Stanley Park- che sembra una via di mezzo tra una foresta tropicale e una foresta selvaggia di conifere, il “Pacific spirit” - ovvero lo spirito dei nativi - che è presente e si sente, un mix equilibrato, elegante e particolare tra elementi culturali ed estetici orientali ed occidentali, una qualità particolare della luce, quella dell‟oceano. Girare a piedi e in bicicletta questa città è forse il modo migliore per vivere una continua scoperta di forme, colori, ambienti, gente, in particolare molti giovani, completamente diversi tra loro e che eppure sembrano essersi armonizzati. Certo è una città che ho vissuto per poco e in tempo di vacanza, ma non tutte le città che si visitano in vacanza lasciano questo senso di bellezza e serenità. Per rimanere in tema interstiziale potrei 10 dire che davvero Vancouver è città interstiziale per eccellenza: dislocata su vari isolotti all‟interno di una foce, si trova tra mari e monti, e culturalmente è intersezione visiva e palpabile di occidente - americano ed europeo –, oriente – Cina, Giappone ma anche India - e la comunità nativa locale. L‟interstizio in questa città è esperienza vissuta nel quotidiano: nell‟attraversare i ponti che collegano le varie isole dal carattere differente tra loro; nella sospensione tra oriente e occidente che viene messa in mostra nella cura dei giardini pubblici e privati o nelle architetture delle case; nelle passeggiate per strada dove incroci gente di ogni provenienza; nell‟alternanza continua tra mare, collina, montagna, foresta, lago. Lucia Gasparini, dottoranda, Università Cattolica - Milano Sarajevo, il fiore dei Balcani Verrebbe da dire: Istanbul e Vienna, il Tirolo e la Turchia condensati nello stesso posto; ma sarebbe una banalizzazione di una città troppo affascinante e ricolma, forse suo malgrado, di storia. Già arrivando lungo la strada che sale dall‟Adriatico si avvertono eco di avvenimenti non lontani nel tempo: milizie asserragliate sulle montagne; mani che scavano il terreno gelato sotto la pista dell‟aeroporto per creare un tunnel di fortuna e tentare di sfuggire a un assedio infame e senza fine. Il boulevard di ingresso alla città, praticamente l‟unica grande arteria in questa valle allungata e stretta, con i monti tutti attorno, scorre accanto ai palazzoni socialisti della città nuova e agli impianti realizzati per le olimpiadi invernali del 1984, che invece appaiono vestigia di un‟epoca assai remota. Si passa accanto all‟Holiday Inn e al palazzo del parlamento. Anche se ricostruiti e oggi scintillanti, tornano alla memoria fotogrammi di edifici in fiamme. La via Ferhadija, nel centro della città, è una lezione di storia e geografia dell‟Europa orientale. Partendo dal monumento in onore dei partigiani che combatterono contro il nazifascismo, si entra in una strada di aspetto viennese, con i caffè, le banche (turche), i negozi delle grandi firme (globali) e la cattedrale cattolica. Una grande piazza dove i vecchi giocano con gli scacchi giganti, anche sotto la neve, e la cattedrale serboortodossa “nuova” (cioè dell‟Ottocento), perché quella “vecchia”, con le sue preziose icone, è più su, vicina alla sinagoga vecchia. La sinagoga nuova, in stile moresco, invece è dall‟altra parte del fiume. Entrambe, insieme a un museo e all‟associazione caritatevole “La Benevolencija”, testimoniano di quattrocento anni di storia ebraica sefardita: i giudei scacciati dai re cattolici della penisola iberica e venuti a prosperare qui, in mezzo ai Balcani ottomani, conservando il loro idioma castigliano medievale. Si giunge infine nella Bašcaršija, il “mercato principale” di chiarissima impronta turca, coi bedesten (mercati coperti), le madrase (scuole coraniche) e le splendide moschee in stile ottomano, frequentatissime dai fedeli musulmani. Fra negozi e ristoranti tipici si arriva alla biblioteca nazionale, anch‟essa in fiamme nelle guerre etniche degli anni Novanta. Altre immagini troppo in fretta rimosse dalla memoria dall‟altra parte dell‟Adriatico. Si gira verso il fiume per tornare indietro e si arriva a un ponte. Qui, un giorno del 1914, un certo Gavrilo Princip sparò a un arciduca della casa d‟Asburgo, con le conseguenze che tutti conoscono. La grande storia, a Sarajevo, è sempre dietro l‟angolo. Non è un peso facile da sopportare, e spesso si ha l‟impressione di avvertire per strada una cupa rassegnazione e il desiderio di lasciar cadere nell‟oblio ricordi troppo ingombranti e dolorosi. Grbavica è il quartiere che sta sull‟altra sponda del fiume Miljacka rispetto al centro storico. È anche il nome di un film di Jasmila Žbanic, il film che più amaramente affronta il tema della memoria, dell‟amnesia e della difficoltà di fare i conti con il passato. Il rapporto conflittuale tra una madre e una figlia, un padre morto da eroe che poi si scoprirà mai esistito, la rivelazione agghiacciante delle violenze atroci inferte sul corpo delle donne. Ci vogliono determinazione e delicatezza per porsi in relazione con questo muro di amnesie, diffidenze e dolore irrisolto. Nel tinello della loro villetta di periferia, I. e L., una coppia “mista” di settantenni vissuti con l‟utopia di edificare la società socialista, tra buone letture e vacanze estive in Italia, scuotono la testa. La “loro” Sarajevo, dicono, non esiste più. I quartieri sono di fatto segregati su base etnica e la politica locale continua a essere intrisa di discorsi nazionalisti. I. e L. ancora non si capacitano. Si chiedono cosa è andato storto, dove hanno sbagliato. La vita riprende a fluire in questa città; ma sarebbe salutare ricordarsi ogni tanto che in questa città così europea, così vicina a Trieste e Ancona, in giorni neanche troppo lontani sono iniziate a succedere alcune cose terribili. Francesco Mazzucotelli Pubblicazioni recenti Marc Augé, Straniero a me stesso. Tutte le mie vite di etnologo, Bollati Boringhieri, Milano 2011. 11 Marc Augé, Diario di un senza fissa dimora, Cortina, Milano 2011. Jacques Derrida, Gli occhi della lingua, Mimesis, 2011. Mario Aldo Toscano, Altre sociologie. Dodici lezioni sulla vita e la convivenza, FrancoAngeli, Milano 2011. Rivista “Culture della sostenibilità”, n. 8, 2011, fascicolo monografico a cura di Enrico M. Tacchi e Mario Salomone, dedicato all’VIII Convegno dei Sociologi dell’ambiente, svoltosi a Brescia il 23-24 settembre. I nostri recapiti: Giovanni Gasparini (Il coordinatore) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] Tel. 02.7234.2547 Cristina Pasqualini (La segreteria) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] Tel. 02.7234.3976 Redazione: Piermarco Aroldi, Giampaolo Azzoni, Giovanni Gasparini, Ivana Pais, Cristina Pasqualini I corrispondenti: Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano (Relazioni interculturali); Marc Augé, École des Hautes Études en Sciences Sociales – Parigi (Antropologia); Maurice Aymard, Maison des Sciences de l‟Homme – Parigi (Storia europea); Giampaolo Azzoni, Università di Pavia (Filosofia del Diritto); Laura Balbo, Università di Ferrara (Women studies); Enzo Balboni, Università Cattolica – Milano (Diritto e Istituzioni); Claudio Bernardi, Università Cattolica – Milano (Teatro); Gianantonio Borgonovo, Facoltà Teologica dell‟Italia Settentrionale – Milano (Bibbia); Laura Bosio, scrittrice (Fiction); Enrico Camanni, Torino (Montagna); François Cheng, Académie Française – Parigi; Giacomo Corna Pellegrini, Università degli Studi di Milano (Geografia); Cecilia De Carli, Università Cattolica – Milano (Arte); Roberto Diodato, Università Cattolica – Milano (Estetica); Duccio Demetrio, Università degli Studi – Bicocca, Milano (Educazione e formazione); Ugo Fabietti, Università di Milano-Bicocca (Antropologia); Maurizio Ferraris, Università di Torino (Ontologia); Gabrio Forti, Università Cattolica – Milano (Diritto penale e Criminologia); Enrica Galazzi, Università Cattolica – Milano (Linguistica); Hans Hoeger, Università Libera di Bolzano (Design); Philippe Jaccottet, Grignan (Poesia); Cesare Kaneklin, Università Cattolica – Milano (Psicologia); David Le Breton, Université de Strasbourg (Socio-Antropologia); Frédéric Lesemann, Université du Québec – Montréal (Culture delle Americhe); Francesca Marzotto Caotorta, Milano (Paesaggio); Elisabetta Matelli, Università Cattolica – Milano (Letterature antiche); Francesca Melzi d’Eril, Università di Bergamo (Letterature straniere); Giuseppe A. Micheli, Università di Milano-Bicocca (Demografia); Margherita Pieracci Harwell, University of Illinois – Chicago (Italian Studies); Edgar Morin, Cnrs – Parigi (Pensiero complesso); Salvatore Natoli, Università di Milano-Bicocca (Etica); Luigi L. Pasinetti, Accademia dei Lincei – Roma; Alberto Ricciuti, Milano (Medicina); Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana – Lugano (Filosofia); Detlev Schild, University of Göttingen (Biologia); Cesare Segre, Accademia dei Lincei – Roma; Dan Vittorio Segre, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Politologia); Pierangelo Sequeri, Facoltà Teologica dell‟Italia settentrionale – Milano (Religione); Antonio Strati, Università di Trento (Teoria dell’organizzazione); Pierpaolo Varri, Università Cattolica – Milano (Economia); Claudio Visentin, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Viaggio); Serena Vitale (Letteratura russa). Le Newsletters precedenti sono consultabili sul sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (www.aissociologia.it) e sul sito del Dipartimento di Sociologia dell‟Università Cattolica di Milano (http://www3.unicatt.it/pls/unicatt/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=15524). Il contenuto degli articoli è liberamente riproducibile citando la fonte. Il NewsMagazine è anche su Facebook. Ci trovi alla pagina "Interstizi e intersezioni" Numero chiuso il: 23 novembre 2011 12