tre domande a

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domande a…
LUIGI ALICI
PROFESSORE ORDINARIO DI FILOSOFIA MORALE PRESSO L’UNIVERSITÀ DEGLI
STUDI DI
MACERATA, È STATO PRESIDENTE NAZIONALE DELL’AZIONE CATTOLICA
ITALIANA.
A cura di Adriano Lonza
[email protected]
IL RUOLO DELLA SCUOLA NELL’EDUCAZIONE: EDUCARE
ETICAMENTE E RESPONSABILMENTE
1. Nell'epoca del virtuale è ancora possibile educare a un autentico dialogo
interpersonale? In questa prospettiva, esiste un ruolo specifico della
scuola?
Il mondo dell’educazione e quello della comunicazione (più o meno virtuale) oggi appaiono
in concorrenza, perché comunicare ha assunto un carattere prevalentemente strumentale; per
un ragazzo è più facile pensare ad una tecnologia fatta di strumenti, reti, apparati tecnologici,
piuttosto che ad un amico! Eppure comunicare è essenzialmente uno scambio dialogico tra
esseri umani, che imparano, in questo modo, ad interagire, cioè a compiere “azioni in
comune”. In questo senso la comunicazione autentica è già di per sé un processo formativo,
attraverso il quale si cerca, insieme, di dare forma alla vita. Tale processo si può considerare
educativo in senso proprio, quando l’educando è accompagnato attivamente nel cammino che
lo conduce dalla dipendenza all’autonomia. Se, al contrario, comunicare significa moltiplicare
i contatti attraverso le più svariate “protesi” elettroniche, lasciando cadere la centralità dei
contenuti e, prima ancora, l’intento di promozione reciproca, allora la dimensione “virtuale”
diventa una forma di pericolosa evasione. E non c’è bisogno di tecnologie molto sofisticate:
quando due persone parlano al telefonino isolandosi completamente dagli altri non fanno altro
che abbandonare una porzione di vita reale, per rifugiarsi in una specie di bolla virtuale,
astratta e deresponsabilizzante. Oggi più che mai la scuola ha il compito di restituire ai
ragazzi il senso della realtà, aiutandoli a vivere il virtuale non come una fuga, ma come un
sussidio capace di arricchire (anziché impoverire) la comunicazione, e mettendo i loro
genitori in condizione di valutare più criticamente tali strumenti.
2. Qual è l'etica sottesa all'educare?
Certamente un’etica della responsabilità e del bene comune. Se educare significa impegnarsi
in prima persona in una relazione liberante, tale processo presuppone una distinzione dei
ruoli, ma non certo una separazione delle persone. La distinzione, che si riferisce alla diversità
e all’asimmetria delle funzioni, non deve impedire che tutti i soggetti coinvolti nel processo
educativo (quindi anche le istituzioni) si riconoscano accomunati da un medesimo orizzonte,
che assume un valore positivo solo se coincide con il bene di tutti e di ciascuno. Qui si può
misurare la distanza fra un modello contrattualistico di educazione, in cui ci sono clienti che
“comprano” delle prestazioni tecniche (illudendosi che possano essere neutre rispetto al bene
e al male), e un modello etico, in cui, pur nella differenza dei ruoli, ognuno è chiamato a
“rispondere” dinanzi a stesso, alla comunità, alle istituzioni (ecco la responsabilità). In questo
senso, al diritto di essere educato corrispondere il dovere di cor-rispondere (cioè rispondere
insieme) all’appello del bene. Disponibilità e competenza restano requisiti irrinunciabili, ma
dentro un’avventura comune, che consente di qualificare, proprio per questo, l’educazione
come un’arte e un compito, oltre che una vocazione.
3. Nell'educazione, la regola è una formula limitante o liberante?
Etimologicamente, la regola fa pensare ad una condotta ordinata, retta, anzi di-retta, in quanto
consente di raggiungere uno scopo attraverso la via più breve possibile. Solo da questo
discende quella “rettitudine”, in nome della quale si può “reggere” e “correggere”. Come si
vede, l’etimologia ci ricorda che la regola non è fine a se stessa, ma si mette sempre – quand’è
autentica – al servizio di qualcosa di più alto. Potremmo ricordare un esempio che ci è offerto
da Kant a proposito della libertà: quando l’uccello si alza in volo, può tracciare straordinarie
traiettorie nel cielo grazie alla resistenza dell’aria, non certo nonostante essa! Sarebbe
illusorio sognare una libertà di volo senza resistenza: vorrebbe dire sfracellarsi al suolo. La
resistenza non è un ostacolo, ma la condizione che consente di volare. Ed anche se l’allievo
soffre la regola (proprio come l’uccello che vola potrebbe soffrire il peso dell’aria), è proprio
tale sofferenza il segno di una resistenza da vincere, di uno scarto da superare: in questo senso
la regola è direzione, allenamento, disciplina. Può essere liberante solo se aiuta a volare; può
diventare limitante solo se mette sadicamente piombo inutile nelle nostre ali.
Luigi Alici è professore ordinario di Filosofia Morale presso l’Università degli studi di
Macerata, già Presidente Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana (2005-2008), direttore della
sezione di Filosofia della Collana “ SUB – strumenti universitari di base edizioni La Scuola
editrice, Brescia”, ha pubblicato vari libri di filosofia fin dal 1989. Testi interessanti,
soprattutto per i docenti, sono stati: “Forme della reciprocità. Comunità, istituzioni, ethos”
(ed. Il Mulino, 2004); “Forme del bene condiviso” (Ed. Il Mulino, 2007); La via della
speranza. Tracce di futuro possibile ( Ed.AVE, 2006). Di recente pubblicazione il libro “Cielo
di Plastica. L’eclisse dell’infinito nell’epoca delle idolatrie” (Edizioni San Paolo, 2009).
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