uso della lingua - calunnia

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"VELENO DI SERPENTI
È SOTTO LE LORO LABBRA"
Lettera pastorale n° 28
Diocesi di
ISERNIA-VENAFRO
Sal 140,4-Rm 3,13 Il peccato di calunnia
La calunnia non è il "venticello" di rossiniana memoria. E' bensì un
ciclone devastatore che abbatte ed uccide prima colui che ne è l'autore, poi i suoi
destinatari diretti o indiretti.
E' soprattutto -- la calunnia - un peccato così obbrobrioso che non ci sono parole per
definirlo ed esecrarlo a sufficienza.
E', inoltre, peccato così diffuso non solo nell'ambiente sociale ma anche in quello
ecclesiale, che rischia di perdere, data la sua sempre più allargata consistenza, quella
abominevole malizia che ne fa il peccato satanico per eccellenza, frutto, inoltre, dell'odio e
di una gratuita volontà distruttiva.
Per questo mi sono sentito in dovere di metterne in guardia i miei fedeli. Cosa che faccio
con questa lettera pastorale.
Certo è difficile pensare che quanto verrò scrivendo possa toccare cuori duri come
roccia e impedire a questi malefici devastatori di continuare a compiere i loro nefandi crimini,
ma almeno sapranno, una volta di più, quanto male fanno e a quale abisso di iniquità vanno
incontro, condannati se non da una coscienza cauteriata e corrotta, almeno dal giusto
giudizio di Dio...
Ripeto subito al loro indirizzo le severe parole del santo Libro: "Salvami Signore, dal
malvagio, proteggimi dall'uomo violento, da quelli che tramano sventure nel mare e ogni
giorno scatenano guerre. Aguzzano la lingua come serpenti, veleno d'aspide è sotto le loro
labbra (...) La malizia delle loro labbra li sommerge. Fa piovere su di loro carboni ardenti, gettali
nel baratro e più non si rialzino. Il maldicente non duri sulla terra, il male spinga il violento alla
rovina." Sal 140 (130).
I - Un calunniato di nome Gesù
Per capire la enorme malizia della calunnia e la malvagità di chi la mette in atto non c'è che
da considerare a quale abisso negativo siano giunti i calunniatori quando hanno preso di
mira per la loro bava velenosa, addirittura la adorabile persona del Maestro divino.
Apriamo il Vangelo: "Il discepolo si contenti di essere come il maestro e il servo di essere
come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebul (principe dei demoni) il padrone di casa,
quanto più chiameranno così i suoi familiari!" (Mt 10,25).
" E ' venuto Giovanni (Battista) che non mangia e non beve e si dice: - E ' indemoniato! - E'
venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve e si dice: - Ecco un mangione e un beone,
amico di pubblicani e peccatori" (Mt 12,18 ss).
"I farisei dissero: - Costui non scaccia i demoni se non per virtù di Beelzebul principe dei
demoni" (Mt 12,24).
"I1 sommo sacerdote si lacerò le vesti dicendo: - Ha bestemmiato! Che bisogno
abbiamo più di testimoni?" (Mt 26,65).
I capp. 7 e 8 di San Giovanni contengono la decisiva e drammatica discussione tra Gesù e i
suoi avversari, incalliti nel rifiuto di ogni evidenza e decisi a far fuori Gesù. Ecco le calunnie che
escono dalla loro bocca:
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"Altri dicevano: - No (non è buono), ma inganna la gente..." (7,12).
"Rispose la folla: - Tu hai un demonio!" (7,20).
"Gli risposero i Giudei: - Ma sappiamo che hai un demonio.." (8,48).
Il "peccato contro lo Spirito Santo" di cui parla Gesù (cf. Mc 3,30) è proprio la calunnia
rivolta contro di lui attribuendo al demonio l'opera salvifica di Gesù: "Gli scribi dicevano: Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni." Ma
egli, Gesù, chiamatili diceva loro in parabole: "In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati
ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno, ma chi avrà bestemmiato contro
lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno; sarà reo di colpa eterna."
Annota la BJ giustamente: "Attribuire al demonio ciò che è opera dello Spirito santo, significa
rifiutarsi alla luce della grazia divina e al perdono che ne proviene. Un simile atteggiamento
colloca per necessaria conseguenza al di fuori della salvezza.
A che cosa arrivano, mio Dio, i calunniatori!
I I - L'arma dei vigliacchi
La calunnia è l'arma dei vigliacchi e degli infami.
Lo si deduce anche dalla santa Scrittura.
Si legga il brano famoso che la Chiesa applica al giusto per eccellenza: 'Tendiamo insidia al
giusto perché ci è d'imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le
trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore.
E' diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la tua vita è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le tue strade (...)
Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e
saggiare la sua rassegnazione.
Condanniamolo ad una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli
verrà" (Sap 2,12 ss).
La santa Scrittura, tuttavia, aggiunge subito: "La pensano così i malvagi ma si sbagliano, la
loro malizia li ha accecati" (ib).
La bibbia inoltre riporta episodi di gravi calunnie, spesso con esiti letali proprio per farci
capire l'obbrobriosa malvagità della calunnia.
La perfida Gezabele, per accontentare il marito e fargli avere la vigna di Nabot, fece
calunniare costui e lo fece uccidere (cf 1 Re 1-16).
Ma Elia, a nome del Signore, disse al re Acab: "Hai assassinato e ora usurpi: per
questo dice il Signore: - Nel punto ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno il tuo
sangue." (ib 19).
Dio è vindice dei calunniati oppressi.
Un lungo capitolo a parte meriterebbero le calunnie contro i cristiani: A cominciare dagli
apostoli, come si legge nel libro degli Atti.
Essi, messi in prigione, come sobillatori e poi liberati e diffidati (cf At 4,1 ss)
pregano Dio, dopo aver espresso la loro volontà di non lasciarsi intimidire: "Signore, tu che
hai creato il cielo, la terra e il mare ... volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai
tuoi servi di annunziare con tutta franchezza la tua parola" (At 4, 29 ss).
Vennero poi le persecuzioni romane.
Roma, la patria del diritto, doveva trovare qualche motivazione alla sua ferocia e
allora ecco l'affastellarsi di calunniose insinuazioni su questa comunità rea soltanto di offrirsi
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come qualcosa di nuovo e di inusitato.
Non si dimentichi, l'imperatore Claudio espulse da Roma i Giudei "assidue
tumultuantes impulsore Chresto" (Svetonio), (fomentatori di tumulti per impulso di un certo
Cresto - sic!-). Domiziano colpì alcune famiglie senatorie e nobili imputando loro "costumi
giudaici"... In entrambi i casi si confondevano fra loro giudei e cristiani. Nel nuovo secolo
Plinio, governatore in Bitinia, sentì la necessità di interpellare l'imperatore Traiano circa il
comportamento da tenersi di fronte a una "superstizione" che si diffondeva per città e
campagne e interessava uomini e donne d'ogni condizione e ceto, provocando denunzie e
susci tando malcontenti in larghi strati della popolazione pagana. L'imperatore diede la
celebre risposta: "i cristiani non vengano ricercati, tuttavia se denunziati vengano puniti,
salvo che neghino d'essere cristiani e lo dimostrino, sacrificando agli dei dell'impero".
Tertulliano sarcasticamente commentò tale risposta: "Se li condanni perché non li fai
processare ricercandoli, e se non li processi perché non li assolvi?".
La risposta di Traiano, contrad dittoria e opportunistica, è segno di evidente
imbarazzo.
Si capisce allora la discussione sorta, non ancora giunta a piena chiarezza, circa il
fondamento giuridico delle persecuzioni.
Di quale delitto, praticamente, erano accusati i cristiani? Mo lte risposte sono state date,
nessuna pienamente soddisfacente.
Forse si può rispondere che si temeva per l'ordine pubblico, dato che si paventava quale
frutto della "superstizione" nuova, fanatismo ed insubordinazione.
Ma sappiamo dagli apologisti cristiani che si mettevano innanzi, contro i seguaci di
Cristo, gravissime e ridicole calunnie, quali "antropofagia" e cannibalismo (perché di cibavano
della carne del Signore nell'Eucaristia) e incesto (perché si consideravano tutti fratelli e
sorelle amandosi teneramente, ma in senso spirituale) e quella di insubordinazione e
disubbidienza civile, dato il rifiuto di impiegati statali o di militari che non si sottomettevano ai
prescritti atti di omaggio all'imperatore o agli dei.
A queste calunnie gli apologisti cristiani risposero colpo su colpo, spesso con ironia e
sarcasmo. Qualche esempio.
Dall'Ottavio di Minucio Felice: "XXVIII. E quanto sia ingiusto giudicare senza conoscere
e senza esaminare, credetelo a noi, che ora ci pentiamo di averlo fatto, poiché noi pure
fummo della vostra setta; e un tempo noi ancora, ciechi ed ignoranti, avemmo le vostre
stesse opinioni, credendo che i Cristiani venerassero mostri, divorassero bambini,
celebrassero orgie incestuose. Non comprendevamo che erano i demoni che spargevano
queste fandonie, né ci davamo premura di esaminarle e verificarle. Non riflettevano
come, in tanto spazio di tempo, non sorse mai alcune che svelasse queste turpitudini, o per
ottenerne perdono se le avesse commesse, o per conseguire il premio di averle rivelate. Non
sognavamo che non era certamente un male ad esser cristiano, tanto che un cristiano,
accusato, non se ne vergognava, ne aveva paura, e si pentiva di una sola cosa: di non esserlo
stato prima. E noi, quando ci capitò qualche volta di difendere i Cristiani accusati come
sacrileghi, incestuosi ed anche omicidi, non credevamo nemmeno di ascoltarne le discolpe:
e qualche volta la pietà per essi ci rendeva anche più crudeli: perché, quando essi
confessavano la loro fede, noi li torturavamo per forzarli a negarla, credendo così di liberarli
dalla morte, servendoci di fronte a costoro di una procedura a rovescio, poiché essa non
doveva far risplendere la verità, ma costringere alla menzogna. E se qualcuno di loro, più
debole, pressato e vinto dal dolore, negava di essere cristiano, noi lo favorivamo quasi
che, abiurando quel nome, avesse giustificati tutti i suoi misfatti con questa negazione.
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Riconoscete ora che anche noi abbiamo avuti i medesimi sentimenti e ci siamo diportati
come fate voi? Infatti, se la ragione, e non l'istigazione del demonio, avesse presieduto ai
giudizi, bisognava piuttosto costringere i Cristiani non a sconfessare la loro fede religiosa, ma
a rilevare i ritrovi incestuosi, le cerimonie sacrileghe, i sacrifizi dei fanciulli. Ma di queste ed
altre simili favole gli stessi demoni hanno riempito le orecchie degli ignoranti per renderci oggetto
di esecrazione e di orrore. Né questo fa meraviglia, perché la fama pubblica, nutrita di
menzogne, e che si dissipa quando apparisce la verità, è ancora opera dei demoni: sono
infatti, loro che seminano e propagano le false dicerie.
Da essi proviene la favola, che dici di aver sentito raccontare, secondo la quale noi adoriamo
una testa d'asino. Ma chi è così pazzo da professare un simile culto? E’ vero che voi stessi
consacrate gli asini tutti interi nelle stalle con la vostra Epona e che li venerate insieme ad
Iside. Similmente voi immolate e venerate insieme teste di bovi e teste di becchi, e consacrate
degli dèi metà uomini e metà bovi; dèi con la faccia di leoni o di cani! E non adorate e nutrite
il bue Api come gli egiziani? Voi non condannate neppure le loro cerimonie in onore dei
serpenti, dei coccodrilli, di altre bestie selvagge, degli uccelli, dei pesci, che nessuno può
uccidere senza essere punito con la morte! Gli stessi Egiziani, con moltissimi di voi, non
temono più Iside che l'acido delle cipolle, né Serpide li fa tremare più di una scorreggia!
Quegli ancora che favoleggia su un culto infame (da noi) reso ai sacerdoti, tenta d'imputarci le
sue stesse infamie. Perché queste impudicizie sono forse il culto di coloro che prostituiscono
tutte le parti del loro corpo, che chiamano eleganza ogni specie d'impudicizia, che portano
invidia alla licenza dei cortigiani, che si abbandonano ad ogni disordine contro natura: uomini
la cui lingua è impura, anche se tacciono, che provano il disgusto della loro impudicizia prima
di sentirne la vergogna. O delitto orribile! Essi commettono tra loro tali infamie, che l'età più
corrotta non potrebbe sopportare, e che la schiavitù più dura non potrebbe imporre! XXIX.
Queste ed Atre simili turpitudini, non ci è permesso di ascoltarle, e sarebbe una vergogna per noi
scolparcene più lungamente. Infatti, voi immaginate sul conto di persone caste e virtuose, azioni
che noi crederemmo impossibili, se voi non ce ne provaste l'esistenza con la vostra condotta."
Altro capitolo della storia ingloriosa dei calunniatori è segnato nella vita dei santi, nella
agiografia cristiana.
Si potrebbe dire che ogni santo ha, al riguardo, la sua parte in questo teatro della
umana cattiveria.
Naturalmente ricorderò soltanto qualche esempio.
San Gerardo Maiella, fratello laico della congregazione del santissimo Redentore, fondata da
sant' Alfonso Maria dè Liguori, fu calunniato in maniera gravissima presso lo stesso santo
fondatore.
Una giovane di Lacedonia, Nerea Caggiano, dietro consiglio di Gerardo, era entrata nel
conservatorio di Foggia, fondato dalla m. Maria Celeste Crostarosa. Incostante com'era
decise di ritornarsene a casa: Sentendosi umiliata e cercando in Gerardo il capro espiatorio,
inventò una tresca amorosa tra lui e la figlia di un suo amico. Per far la cosa più credibile ne
parlò al proprio confessore e insieme scrissero a sant'Alfonso, denunciando il fatto.
Il fondatore chiamò a sé il "calunniato" gli diede la lettera accusatoria. Non ottenne altro che
silenzio. Ciò convinse sant'Alfonso della veridicità della calunniatrice. Proibì a Gerardo ogni
contatto con la gente di fuori e, angoscia infinita per il santo religioso, lo privò della
comunione eucaristica. Molto tempo dopo la calunniatrice ritrattò e così emerse ancor più
la virtù del santo fratello.
I1 beato Luigi Orione, mio fondatore, trovandosi a Messina dopo il gravissimo terremoto del
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dicembre 1908, e divenuto vicario generale per ordine diretto di san Pio X, fu oggetto di
persecuzione senza nome e fu calunniato in maniera diabolica. Un barbiere prezzolato da un
prete, tentò di inoculargli, col rasoio infetto, una malattia vergognosa.
Don Orione se ne accorse in tempo e riuscì ad evitare l'infezione. Ma l'onta subita
fu enorme.
E tuttavia a chi gli chiedeva, con finto interesse e per provocazione, come si sentisse, egli
si levò in tutta la sua fierezza ed esclamò: "Non sono mai stato tanto bene come in mezzo
a questa razza di vipere".
Più tardi, come appendice delle persecuzioni e delle calunnie messinesi, alcuni ecclesiastici
fecero circolare la voce su don Orione quasi fosse un corrotto e un corruttore.
Don Orione supplicò il suo vescovo di ottenergli una piena ritrattazione. Ecco le sue accorate
parole: "Da oltre quattro anni avevo atteso invano - in silentio, in oratione et in spe - che si
dicesse una parola a riparazione di un'orribile calunnia divulgata in diocesi e fuori, molto simile
a quella del cattivo prete Fiorenzo" (Lettera all'abate Caronti del 1 agosto 1936) (cf.
A.GEMMA, Un cuore senza confini, p. 302 ss)
Il suo vescovo non ricevette l'ultima toccante richiesta, perché morì prima. E così don
Orione non ebbe mai quella parola di giusta riparazione che gli si doveva.
Anche il papa Paolo VI subì l'onta di una pubblica ignominiosa calunnia. Fu nel 1976,
allorché un disgraziato, certo Roger Peyrefitte, sullo spunto di un documento vaticano in
materia sessuale (cf. "Persona humana" 29/12/1975), rilasciò un'intervista ad un settimanale
italiano che, vergognosamente, la pubblicò senza curarsi minimamente dell'attendibilità della
"bufala".
Quel tizio, dopo aver aspramente criticato il documento aggredì personalmente la persona del
Papa, parlando di sue antiche frequentazioni e, in sostanza, accusandolo di pratiche
omosessuali. La risonanza dell'incredibile calunnia fu enorme.
Il card. Poletti, vicario di Roma, propose: "Rispondiamo a tutto questo, pregando
per il Papa."
Paolo VI, tuttavia, reagì con queste parole, pronunziate all'angelus del 4 aprile: "Sappiamo che
il nostro cardinale vicario, e poi la Conferenza episcopale italiana, vi hanno invitato a
pregare per la nostra persona, fatta oggetto di scherno e di orribili e calunniose insinuazioni di
certa stampa, irriguardose dell'onestà e della verità Noi ringraziamo tutti di queste
dimostrazioni di filiale pietà e di morale sensibilità Così siamo riconoscenti a quanti hanno
corrisposto a queste esortazioni di spirituali solidarietà Grazie, grazie di tutto cuore!". E
poi passò alle esortazioni, segnalando il documento della Dottrina della fede sui costumi; se
ne augurava da tutti "una attenta considerazione e una virtuosa osservanza, tali da tonificare
uno spirito di purezza e di amore che faccia argine al licenzioso edonismo diffuso nel
costume del mondo odierno".
Qui potremmo aggiungere riferimenti a padre Pio (microfoni in confessionale!), a don
Mazzolari (le denunzie al Santo Uffizio!), al cardinale Bernardin, vicinissimo a noi...
Ah, che nefando crimine la calunnia!
E si dirige sempre verso chi più emerge per autorità, santità operosità.. Cosi
è!
Ma Gesù tutto aveva predetto: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e,
mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate,
perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,11).
A Gesù fa eco l'apostolo Pietro: "La vostra condotta fra pagani sia irreprensibile, perché
mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre opere buone, giungano a glorificare
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Dio nel giorno del giudizio" (1 Pt 2,12).
"Beati voi se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito
di Dio riposa su di voi" (1 Pt 4,14).
Anche l'apostolo Giacomo conferma: "Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite
ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la
pazienza completa l'opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare in nulla"
(Gc 1,20).
Il calunniato, dunque, è partecipe della beatitudine dei perseguitati, come Gesù. Perciò
san Pietro può dire:
"Anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non
commise peccato e non si trovò inganno nella sua bocca, oltraggiato non rispondeva con
oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che
giudica con giustizia." (1 Pt 2,21 ss).
Il calunniato è, come pochi, l'immagine di Cristo. Se ha fede , sa che Dio è, appunto,
vindice di ogni ingiustizia e penserà lui a far trionfare la giustizia.
Questa certezza, tuttavia, non impedisce all'innocente di rispondere adeguatamente ai colpi
dei calunniatori, con ogni mezzo lecito. Ciò specialmente è possibile, anzi necessario, quando
con la persona calunniata è coinvolta una categoria speciale, una comunità, un popolo.
I calunniatori, infatti, oltre a temere il giusto giudizio di Dio, debbono essere messi nella
impossibilità di continuare a delinquere e nuocere.
L'eroismo dei santi, che hanno accettato in silenzio il morso dei calunniatori, può essere
ammirato ed anche seguito, ma nessuna legge divina o umana assicura ai calunniatori, anche
quelli anonimi - i più vergognosi e vigliacchi - impunità e copertura.
Sarebbe troppo comodo per loro continuare nella loro ributtante malvagità confidando
nella pazienza dei buoni, nella omertà dei pavidi, nella protezione dell'ombra in cui fabbricano
le loro trame.
Passiamo perciò a considerare in tutta la sua malizia il peccato di calunnia.
III - Peccato obbrobrioso
"Chi odia il proprio fratello è omicida" - dice l'apostolo Giovanni nella sua prima lettera
(3,13).
Vengono subito in mente queste gravi parole dell'apostolo dell'amore allorché si tenta di
determinare la malizia del peccato di calunnia.
Se l'odio è equiparato all'omicidio e se la calunnia è uno dei modi più subdoli e
satanicamente efficaci per dimostrare il proprio odio verso qualcuno, dobbiamo dire che la
calunnia riveste la malizia dell'omicidio.
In realtà è un assassinio morale che spesso, come nel caso di Gesù, arriva all'assassinio
materiale.
Oserei dire che la calunnia, in certo senso, è addirittura più grave dell'assassinio materiale.
Questo, se è diretto contro un innocente, lo priva della vita fisica, ma lo innalza sul piano
morale e lo rende degno di un grandissimo premio da parte di Dio. Senza dire che l'assassinio
si consuma in pochi istanti, normalmente, e la vittima è così sottratta alla sofferenza.
La calunnia, invece, infligge una morte morale, lenta, lunga, lunghissima. Mette in croce la
vittima, non per un momento, ma per lungo tempo, spesso per una intera vita.
Chi calunnia il fratello, dunque, dà all'odio l'espressione più malvagia e
premeditatamente più nociva, perciò a lui si applicano bene le parole dell'apostolo: è
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omicida!
1 - La calunnia è contro la verità
Ha tutta la malizia della bugia, della falsa testimonianza, condannata dall'ottavo comandamento.
Di più fa servire la negazione e l'offesa della verità al danno del fratello innocente e indifeso.
Dio è la verità Gesù ha detto: "Io sono la verità..", la calunnia sconfessa miseramente
questa qualifica di Dio, è quindi negazione di Dio e del suo primo attributo.
Se poi la calunnia è subdola e anonima, tradisce la verità nascondendo l'identità del delinquente,
e quindi lo sottrae alla giusta condanna. La calunnia è il prodotto più ributtante di un ordine
sociale fondato sulla falsità l'insincerità la menzogna elevata a sistema.
La calunnia altera i rapporti sociali che devono naturalmente poggiare sulla verità e la
mutua fiducia.
La calunnia genera sfiducia vicendevole, fa in modo che si attui veramente l'antico detto:
"Homo homini lupus". Ognuno è costretto a vedere nell'altro un possibile nemico.
In tal modo si costringe a vivere nella circospezione, nella reticenza, nella paura, nella
diplomazia, in una parola: nella menzogna.
E quando l'uomo non è "vero" che uomo è? E' una marionetta, è un pupazzo...
Questa precauzione di vivere nella insincerità costringe ad alzare barriere, a mettersi delle
maschere per apparire quello che non si è, nel timore appunto di essere presi di mira da loschi
indivi dui, assassini della buona fama altrui.
I mezzi della comunicazione sociale hanno in questo una notevole colpa. Sono giornali e
radio e televisione che spesso creano i mostri da sbattere in prima pagina, quando, per questa
operazione, si dà corpo alle ombre, si ingrandiscono indizi, se ne amplia la risonanza e, a
suon di condizionali, si creano castelli di ... nulla, tali tuttavia da distruggere anche solo
ipoteticamente, una personalità
E' calunnia!
Tanto più grave in quanto è spiattellata ai quattro venti sotto la falsa scusa del diritto
all'informazione, che diventa il paravento di operazioni demolitrici della verità prima di tutto e
poi della persona che si pone sotto i riflettori impietosi del potentissimo strumento che,
s'è manovrato da disonesti, diventa un'arma micidiale che semina morte morale.
Ho sperimentato, sia pure nel mio piccolo, la subdola malvagità di un tal modo di
procedere.
Va stigmatizzato come peccaminoso, senza alcuna indulgenza.
Giovanni Papini, nella sua " Vita di Cristo" ha puntato lo sguardo sui nemici dichiarati di Gesù e
ha disegnato questo ritratto di quelli che egli chiama "i carnefici dei santi, i crocifissori dei
profeti". E continua: "Come a Caino Iddio ha stampato sui loro visi un segno - il misterioso
segno dell'immortalità - Non possono essere uccisi perché le loro mani devono uccidere. Il
fratricida fuggitivo fu salvo per quel segno attraverso i primi viventi e saranno salvi per tutti i
secoli i Farisei micidiali, perché Iddio vuol servirsi di loro per l'alte opere di quella sua
giustizia che sembra, agli occhi piccoli dei piccoli, stoltezza e pazzia. Un eterno decreto,
irrilevabile ai più, commina la morte, e la più atroce morte, agli imitatori d'Iddio. Ma non
potrebbe, l'uomo semplice, assassinare un Santo e neppure un peccatore, crisalide
miracolosa di possibile santità. E il Santo non sarebbe più Santo se troncasse la vita
dell'altro Santo, del solo fratello che gli abbia dato il Padre. Allora fu creata, per tutti i
secoli e tutti i popoli, la razza indistruttibile dei Farisei. Di coloro che non furono mai
semplici come il bambino ma non sanno la strada della salvezza; di coloro che non
sono peccatori agli occhi della carne, ma sono, da capo ai piedi, l'incarnazione del più
laido peccato; di coloro che vorrebbero parer santi ed odiano i santi veri. A costoro Dio ha
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delegato, appropriati strumenti d'una spaventevole e necessaria strage, la parte di boia dei
perfetti. Fedeli alla consegna, invulnerabili come gl'indigeni dell'inferno, segnati come Caino,
immortali come l'ipocrisia e la crudeltà, sono sopravvissuti a tutti gl'imperi e a tutte le
disgregazioni. Con visi diversi, con vestiti diversi, con regolamenti e pretesti diversi,
hanno ricoperto il mondo, prolifici e caparbi, fino a questo giorno presente. E quando non
hanno potuto ammazzare con i chiodi e col fuoco, colla scure e la coltella, hanno
adoperato, con ottimi risultati, la lingua e la penna.
Gesù, mentre a loro parla nella vasta luce del cortile stipato di testimoni, sa di parlare
ai su oi giudici e a coloro che saranno, per intermesse persone, i veri autori della sua
morte. Il suo silenzio dinanzi a Cajafa e a Pilato è giustificato fin da questo giorno. Li ha
condannati e lo condanneranno; li ha giudicati prima e non avrà più nulla da dire quando
vorranno giudicarlo.
Immagini di morte gli vengono ai labbri parlando a loro di loro. Vipere e sepolcri. I
neri serpi traditori che, appena t'accosti, vuotano nel tuo sangue tutto il veleno che
tenevano nascosto nei denti. I bianchi sepolcri, belli di fuori, che dentro sono pieni di
marciume pestilenzioso.
I Farisei, quelli che stavano davanti a Gesù e tutti quelli che da loro discendono per
legittima filiazione, si nascondono volentieri nell'ombra dei morti per allestire i loro
venefici. Gelidi come la pelle dei serpi e la pietra delle tombe, né il fuoco del sole né il
fuoco dell'amore né il fuoco dell'inferno potranno mai scaldarli, Tutte le parole le sanno:
meno la parola della vita.
"Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, perché siete come i sepolcri che non si vedono
e chi cammina su non ne sa nulla". L'unico che lo sapesse era Gesù - ed è per questo che non
rimarrà più di due giorni nel sepolcro che gli stanno scavando."
Parole forti indubbiamente. Valeva la pena tuttavia riferirle per bollare a sangue
ancora una volta questi velenosi portatori di morte, come sono tutti i calunniatori, ipocriti
tutori, ma falsi, del bene comune.
2 - La calunnia è contro la carità
E' diametralmente opposta a quell'amore cristiano che non solo spinge ad evitare
di nuocere a chicchessia, ma anche obbliga positivamente a fare del bene, a perdonare
anche il malvagio, anche il nemico.
L a calunnia non solo non fa del bene al nemico, ma tratta da nemico la sua vittima, lo
costruisce per riversargli addosso i l suo veleno, il suo astio, il gusto satanico di vedere
l'uomo vilipeso e conculcato.
Siamo veramente agli antipodi del vangelo, agli antipodi della professione cristiana. Il
calunniatore non solo non è cristiano - e se tale si professa usurpa quanto non gli appartiene -ma non è nemmeno uomo.
Il calu nniatore, poi, in quanto nuoce anche a se stesso e con le sue mani si estromette
dal regno di Dio, manca alla carità verso se stesso, si rende necessariamente ripugnante e come
tale, da fuggire e da emarginare.
Niente quanto la calunnia, o semplice insin uazione calunniosa, è atto a
distruggere ogni convivenza, ogni comunione.
La calunnia e i suoi sottoprodotti sono la distruzione della comunione, la
distruzione della carità, quindi della Chiesa.
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3- La calunnia è contro la giustizia
Ognuno, secondo giustizia, ha diritto alla sua buona fama, al suo buon nome, per cui anche
le sue colpe occulte debbono essere tenute nascoste, a meno che non ci sia giusta causa per
rivelarle.
La calunnia lede la fama di chi non ha commesso colpa: è quindi doppiamente infame.
La giustizia ordina di dare a ciascuno quanto gli spetta, non solo in denaro, ma anche quanto
all'onore, alla buona fama., all'onorabilità pubblica. La calunnia sovverte questo ordine,
conculca la giustizia, getta ombre e fango su tutto e su tutti.
E' contro la giustizia soprattutto quando per le sue conseguenze, la calunnia
emargina, degrada, distrugge...
Quale iniquità!
Tante ingiuste sentenze della giustizia umana hanno avuto origine da macchinazioni
calunniose ai danni dell'innocente indifeso e calunniato.
Spesso, per questa macabra operazione, il calunniatore si ripara dietro giuramento e
così diventa anche spergiuro, peccato aggiunto a peccato. Mancano le parole per condannare
senza appello tutto ciò.
4 - Motivi abbietti
Tanto più emerge la malizia del peccato di calunnia, quanto più si esaminano i
motivi che ne sono alla base.
Il primo di questi è l'odio, sentimento abbietto ed opposto all'amore. Se questo odio è
motivato da qualche torto subito, allora la calunnia diventa l'arma della ritorsione e della
vendetta. La vendetta - condannata senza appello dal Vangelo - è conseguenza dell'odio e
origine della calunnia.
Se l'odio è senza ragione allora non ci sono parole per stigmatizzarlo insieme alla
calunnia c he da esso proviene. Quest'odio è più vicino a quello satanico: il demonio,
infatti, al dire di Gesù, " fu omicida fin dall'inizio" (Gv 8,44).
Sotto certi aspetti, c'è un motivo ancor più nefando all'origine della calunnia: è la
gelosia. Si prende atto della prosperità dell'altro, del suo benessere e anziché goderne
fraternamente, se ne soffre fino a star male e allora si pensa di nuocere alla prosperità
dell'altro, che causa gelosi a e invidia, inventando, di lui, ogni sorta di nequizia. Spesso
in questa operazione si ricorre a metodi raffinati e diabolici, si inventa l'occasione che,
almeno esteriormente, offra appigli alla calunnia.
Di qui si configura un altro motivo che sospinge il calunniatore al suo laido
mestiere: la consapevolezza della propria nullità, per cui al fine di emergere non gli resta
altra strada che annientare l'altro. In tal modo il calunniatore si distrugge da se stesso, con le
proprie mani, dice a tutti di non valere niente.
Per questo, distantissima dall'invidia e dalla gelosia, è la sana emulazione che
prende incentivo dal successo altrui, non per negarlo ma per incitare se stesso a fare
altrettanto.
Odio, vendetta, gelosia, altrettante piaghe di una personalità scomposta e insignificante
che pensa di innalzare la sua pochezza e miseria sulla distruzione degli altri.
Spesso l'operazione riesce.
Talvolta, tuttavia, il tentativo si ritorce miseramente contro chi lo mette in essere: allora si
vede pienamente e palesemente a quali bassezze può arrivare un animo umano che di
9
SERPENTI È SOTTO LE LORO LABBRA
umano ha solo la parvenza.
Come si vede, la calunnia, quale prodotto dei motivi elencati, quando non è una
manifestazione di diabolica cattiveria, è pazzia, è irrazionalità è sovvertimento totale...
Grida perciò vendetta al cospetto di Dio.
5 - Calunnia e gelosia
Mi fermo ulteriormente sul rapporto, già evidenziato, che lega la calunnia alla gelosia o
invidia come effetto alla causa.
Basterà aprire il libro sacro per ascoltare la condanna senza appello d'ogni invidia
e gelosia.
"Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te
stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del
tutto, gli uni gli altri. ( ...) Le opere della carne (= malvagie) sono ben note: fornicazione,
impurità, libertinaggio, idolatria. Stregonerie. Inimicizie. Discordia, gelosia, dissensi,
divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi
preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello
Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio
di sé..." (Gal 5,14 ss).
"...Poiché (i pagani) hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in
balia di una coscienza depravata, sicché commettono ciò ch'è indegno, colmi come sono di
ogni sorta di ingiustizia, di malvagità di cupidigia, di malizia; pieni di invidia, di omicidio,
di rivalità di frodi, di malignità diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi,
fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza
misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la
morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa" (Rm 1,28 ss).
"Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e
ubriachezza, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore
Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Rm 13,13).
"Non fate nulla per spinto di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi con tutta umiltà
consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli
altri" (Fil 2,3).
"Se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite
contro la verità Non è questa la sapienza che viene dall'alto: è terrena, carnale, diabolica;
poiché dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni (...)
da dove derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre
passioni che combattono nelle vostre membra?
Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere;
combattete e fate guerra" (Gc 3,14 - 4,7).
"Un cuore tranquillo è la vita di tutto il corpo, l'invidia è la carie delle ossa" (Prov 14,30).
"Gelosia e ira scorciano i giorni" (Sir 30,24).
"La collera è crudele, l'ira è impetuosa, ma chi può resistere alla gelosia?" (Prov
27,4).
"Ho osservato anche che ogni fatica e tutta l'abilità messe in un lavoro non sono che
invidia dell'uno verso l'altro" (Qoe 4,4).
Concludo questo rapido excursus accennando alla vicenda di Paolo il quale, come pochi,
ebbe a subire gli effetti devastanti della gelosia da cui dovette difendersi e lo fece con toni
vibranti, spesso graffianti.
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SERPENTI È SOTTO LE LORO LABBRA
Trascrivo al riguardo una pagina tratta da una simpatico libro di P. Luz i, "Quest'uomo è
una peste" (LDC 1993): " Gli avversari veri e propri, (...) l'apostolo chiama più volte "falsi
fratelli" e "falsi apostoli" (Gal 2,4; 2Cor 11,26; 11,13). Verso costoro la polemica si fa acre
e sferzante. La loro subdola intenzione di contestare l'insegnamento di Paolo è evidente
già per il fatto che si intromettono nel lavoro altrui non per incrementare le premesse
battesimali, ma per introdurre insinuazioni e provocare perplessità; contro costoro argomenta:
"Non sono apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel
Signore? Anche se per gli altri non sono apostolo, per voi almeno lo sono; voi siete il
sigillo del mio apostolato nel Signore. Questa è la mia difesa contro quelli che mi accusano"
(1 Cor 9,1-3).
Costoro maneggiavano dunque il nome dei capi della comunità di Gerusalemme: in tal modo
a Corinto, dopo la parten za di Paolo, là dove sarebbe dovuta crescere la fede nel nome
di Gesù entrava invece il nome d'un uomo, d'un apostolo, d'un capo, ragguardevole quanto
si voglia, per sbandierarlo come emblema di fazione, allo scopo di disorientare una comunità
appena nata e stravolgerne la fiducia riposta in chi l'aveva generata al Vangelo (...)".
Paolo raccomandava a Timoteo di guardarsi da chi "non segue le sane parole del Signore
nost ro Gesù Cristo e la dottrina secondo la pietà (perché) costui è accecato dall'orgoglio,
non comprende nulla ed è preso dalla febbre di cavilli e di questioni oziose. Da ciò nascono
le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, i conflitti di uomini corrotti nella mente e privi
della verità, che considerano la pietà come fonte di guadagno (1 Tm 6,3 ss).
Contro questa specie di falsi fratelli, Paolo ha le sue parole più dure: "Questi tali - egli
scrive - sono falsi apostoli e operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo.
Ciò non fa meraviglia perché anche Satana si maschera da angelo di luce. Non è perciò
gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia, ma la loro fine
sarà secondo le loro opere" (2Cor 11, 13-15).
E in altra parte, non trattenendo il suo sdegno contro questi seminatori di zizzania arriva al
dileggio sferzante: "Dovrebbero farsi castrare coloro che vi turbano" (Gal 5,12).
Sottolineo l'accenno alla capacità dei malvagi, calunniatori, invidiosi, gelosi di travestirsi
da "angeli di luce". Voi vi imbatterete in questa razza di serpenti che sanno imbastire a se stessi e
davanti agli altri, specie davanti si superiori, per demolire dei concorrenti, una valanga di
motivazioni alte, plausibili.
Avranno talvolta l'aria di salvatori della patria, di fervidi tutori dell'onore di Dio e della
Chiesa. Vi faranno credere di essere supremamente ispirati e, quindi, di svolgere un compito
"profetico" (virgolette obbligate!) imprevedibile e sono così impudenti e sfacciati da
passare per santi sinceramente interessati della gloria di Dio e del bene dei fratelli.
I superiori debbono stare al riguardo molto attenti - e chi vi parla ha in materia una
lunghissima esperienza - : non debbono lasciarsi incantare da questi abili parlatori, interessati
all'apparenza del bene altrui, della comunità del superiore stesso, ma in realtà, interessati solo a
se stessi, a mettersi avanti e in mostra, pensando di aggraziarsi le simpatie del superiore,
che lodano sperticatamente per essere credibili (per me è vero perfettamente il
contrario), e pronti a demolire bugiardamente quanti vedono come concorrenti, in quanto
più dotati di loro, più in alto di loro.
Sono, costoro, dominati, oltre che dalla brama di mettersi in mostra e farsi valere,
dalla più divorante invidia che li mette contro tutti coloro che ritengono superiori a sé. Perciò - si
noti bene - la loro stessa intraprendenza nel demolire questo e quest'altro, testimonia
irrefragabilmente della bontà delle loro vittime. Ne tenga conto il superiore!
Ho in materia ineccepibile documentazione.
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SERPENTI È SOTTO LE LORO LABBRA
L'invidia - vizio capitale - è dunque una delle più ributtanti malattie dello spirito; causa di infiniti
mali e nella società e nella stessa Chiesa. L'invidia consiste nel sentire come danno proprio il
valore, il bene, la riuscita degli altri. L'invidia, mentre rende l'invidioso tutto ripiegato sulla sua
rabbiosa reazione interiore di fronte al successo altrui, non solo lo rende per questo inattivo
(cosa che, invece, la sana emulazione non conosce, anzi dal bene altrui trae stimolo per il
proprio progresso... ) ma lo rende agguerrito per demolire l'oggetto della propria invidia e per
porre gli ostacoli più impensati contro il progresso dell'altro... Tutte queste arti
vergognose hanno un solo risultato: corrodere il fegato dell'invidioso - e la sua malattia
traspare dal suo volto - ed aumentare l'ardore dell'invidiato. Senza dire che, se l'invidia
genera, come spesso è, calunnia e bugie, la verità viene presto a galla. E così l'invidioso viene
doppiamente sconfitto.
Coglie nel segno questa descrizione dell'invidioso: " La persona invidiosa è una persona
aggressiva anche se, a volte, in modo inconsapevole. Cerca di diminuire l'altro, di
danneggiarlo. E, in genere, questo altro, è una persona che la società accetta, valorizza.
Ecco perché la personalità invidiosa è condannata socialmente.
Il soggetto invidioso, inoltre, colpisce chi non gli ha fatto nulla. Ebbene, in fondo,
l'invidia è un processo interiore basato sulla propria insicurezza, sulla sfiducia nelle proprie
possibilità L'invidioso è colui che, confrontandosi con gli altri, ha scoperto di essere
inferiore e, sentendosene umiliato e avvilito, scarica la sua frustrazione, la sua impotenza
sull'altro, senza alcuna ragione.
Molte volte l'invidia diviene un'ossessione. Non è più un attimo subito superato in cui
ci si sente falliti di fronte a una persona che riesce vincitrice. E' un modo di vivere, un
continuo accanirsi, una costante opera di demolizione nei confronti della persona invidiata.
L'invidia è un sentimento malvagio e meschino, non fa crescere, paralizza ogni possibilità di
comprensione intelligente del reale. Essa prende piacere non dal proprio successo, ma dal
fallimento altrui . Per queste ragioni l'invidia è un sentimento vergognoso, che non
confes siamo ad alcuno, che facciamo fatica ad ammettere con noi stessi. D'altra parte
l'invidia è dolorosa per chi la prova. Si soffre per il senso di colpa e per l'assoggettamento
emotivo che essa produce. Nessuno è volontariamente invidioso.
La personalità invidiosa, come abbiamo visto, si fonda, fin dall'infanzia, su una identità
personale non ben adeguata al reale.
Bisogna anche dire che, in parte, tutti siamo invidiosi o lo siamo stati nel corso della nostra vita.
In qualche momento di più, in altri meno, in altri ancora, poi, non lo siamo stati per niente.
Ma la personalità invidiosa non è episodica, è uno stile di vita. L'invidioso non si limita, per
esempio, a porsi in competizione nascosta con il collega di successo, ma guarda, nello stesso
sordo modo, il partner, i figli, i vicini di casa, i parenti, il tal imprenditore, il tal artista, ecc...
Diviene dunque, quello dell'invidioso, un modo di pensare, un modo d'essere che coinvolge
tutta l'esistenza.
Infatti, le personalità invidiose devono svalutare qualsiasi cosa o persona che incontrano o
conoscono. Vanno subito ad analizzare le parti deboli, i difetti, i limiti degli altri.
Gli invidiosi sono sempre dei personaggi negativi, non parlano bene di alcuno. Sono chiusi,
non si mettono in discussione, credono di aver sempre ragione e non potrebbe essere
altrimenti perché, se si aprissero, se ammettessero le loro colpe o se smettessero di guardare
i difetti degli altri, si accorgerebbero immediatamente di chi sono in realtà e andrebbero in crisi
di identità
Se una persona che ha preso l'invidia come modello di rapporto con gli altri per una vita
intera, dovesse voler modificare il suo comportamento, cadrebbe in una crisi profonda di
personalità ( ... )
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SERPENTI È SOTTO LE LORO LABBRA
Inoltre gli invidiosi si muovono, in genere, di nascosto. Difficilmente mostrano
apertamente la loro invidia.
Iniziano con le maldicenze, le calunnie, a volte con una semplice battuta, poi aggiungono una
critica, un'osservazione pungente e, di reazione in reazione, costruiscono una catena psicologica
tale che la vittima difficilmente non viene ferita, fatta a pezzi, distrutta. Ma solo un osservatore
attento, esperto, si accorge che è stata la tal persona invidiosa a mettere in moto questo
processo di denigrazione, a dirigerlo e a farlo andare nel senso voluto.
La gente, quella non invidiosa o poco invidiosa, normalmente non si accorge di essere
manipolata, diretta, plagiata dagli invidiosi. Questi ultimi sono abilissimi nel seminar zizzania.
Limitano i loro interventi, sol itamente, a poche battute, e si muovono in maniera decisa e
radicale solo quando la vittima prescelta è assente.
Oppure, a volte, ne prendono le difese, ma in un modo tale da distruggerla ancora
di più.
Il risultato è che l'invidioso viene vissuto come una persona brillante, di spirito, e la vittima
come un soggetto permaloso, fragile psichicamente, che se la prende per un nonnulla.
E nessuno si accorge che, con questa tecnica, l'invidioso difficilmente viene scoperto, ma,
soprattutto, riesce a far svalutare, a far deridere chiunque gli faccia ombra o chiunque
emerga sopra di lui.
La personalità invidiosa, per definizione, è distruttiva. Il drammatico è che distrugge sempre
c iò che vale, ciò che emerge, che è buono, ciò che è sano" (V. Albisetti, Schizza veleno
come un cobra, in "Madre", marzo 1993 p. 44 ss).
6 - Il "pettegolezzo di sacrestia"
Così lo chiama il mio fondatore, il beato Luigi Orione (cf. Scr. 59,133; A. GEMMA, Un
cuore senza confini, Barbati-Orione 1990, p. 302) ad indicare quella piaga - ahimè, niente affatto
infrequente - che corrompe e avvelena i rapporti in seno ad un presbiterio, che dovrebbe
essere, invece, il luogo dell'amore, della comprensione, del perdono, della gioia condivisa,
della sofferenza vicendevolmente lenita, della mutua, costante, disinteressata collaborazione,
della stima indiscussa.
Il beato don Orione fu fondatore a vent'anni con ampia benedizione del suo vescovo che
lo comprese immediatamente e lo incoraggiò in quell'opera che doveva manifestarsi come
opera di Dio, dandogli persino in uso il giardino del proprio episcopio, ove raccoglierci i
ragazzi del suo primo oratorio.
Ebbene, questo seminarista un po' pazzerello, come lo dicevano i più benevoli, passò tutta
la vita, prima di subire l 'atroce calunnia di cui sappiamo e che, guarda caso, veniva da
membri del presbiterio prima di Messina, poi di Tortona, a subire le recriminazioni, i
dileggi, i sarcasmi, le larvate persecuzioni da parte di membri del presbiterio in cui era inserito.
Prima fu oggetto di ironiche considerazioni che prevedevano un imminente... ritorno alla
ragione del seminarista irrequieto. Constatati, poi, oltre l'approvazione del vescovo, i mirabili
successi da cui la giovane istituzione fu segnata, allora si dettero con zelo, degno di
miglior causa, ad ostacolarla in ogni modo, lecito ed illecito, sempre con la farisaica
copertura dello zelo per la causa di Dio, e per... salvare la Chiesa.
Se si volesse sapere fino a che punto il "pettegolezzo di sacristia" si accanisse contro
quest'uomo, reo solamente di essere bruciato dalla fiamma della carità, e lo perseguitasse,
persino quando, negli anni 1934-37, don Orione si trovava in sud America a consolidarvi
13
SERPENTI È SOTTO LE LORO LABBRA
le sue opere, circondato da una stima e venerazione, non solo da parte di vescovi, ma del
popolo semplice e... saggio, rilegga questo stralcio di lettera che don Orione scrisse
dall'Argentina al suo vicario generale don Carlo Sterpi:
"Se per Tortona si fosse diffusa la voce che sono in prigione, io farò fare una
dichiarazione sia dall'autorità civile che da quella ecclesiastica di qui (Argentina); ma bisognerà
chi mi scriveste che tale voce è diffusa da persone malevoli e può recare danno alla
Congregazione" (Scr 19,182; cf. A. GEMMA o.c. p. 303). Capito?! Si blaterava che fosse
in prigione!
E pen sare che don Orione, oltre che benedetto dal suo vescovo e dal successore, fu
confidente di quattro papi, in particolare di san Pio X al quali aveva accesso immediato
ogniqualvolta lo volessi.
I suoi "confratelli" (ahi, contraddizione di certe parole abusate!...) si divertivano a farne
addirittura un galeotto...
Incredibile ma vero!
Solo il rispetto per l'ordine sacro, mi impedisce di addurre altri documentatissime malefatte
del "pettegolezzo di sacristia" ai danni di don Orione, del quale tuttavia non solo non
hanno scalfito la grandezza ma, in certo senso, l'hanno aureolata di eroismo.
Io mi domando perc hé, in un sito di uomini consacrati, stretti in comunione ontologica
dal sa cramento dell'ordine e dall'appartenenza ad un unico presbiterio debba crescere e
prosperare questa mala pianta, che avvelena i rapporti, innalza barriere, sconfessa il
vangelo, distrugge e semina morti.
Fratelli miei presbiteri, vi supplico: estirpatela finalmente e definitivamente... Ricordate il
proposito che facemmo insieme anni or sono, proprio su questo punto, e ci impegnammo a
"spegnere l'incendio"?
Avevamo letto insieme il passo di s an Giacomo, che ora ripropongo a me e a voi: "Se
qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua
religione è vana" (Gc 1,26).
" La lingua è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo
fuoco quale grande foresta può incendiare. Anche la lingua è un fuoco, è il mondo
dell'iniquità, vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il
corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna. (...) La lingua nessun uomo la può domare;
è un male ribelle, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa
malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. E' dalla stessa bocca che esce
bened izione e maledizione. Non dev'esse re così, fratelli miei!" (Gc 3,5 ss).
No, fratelli miei presbiteri, non deve essere più così !
Se Gesù ha detto che "gli uomini renderanno conto anche di una sola parola oziosa" (Mt
12,36 ), quali sarà io dico, il severo giudizio di Dio sulle parole malevole, cattive,
calunniose, specie quelle riferite a quanti ci sono doppiamente fratelli? Pensiamoci, vi
prego! E convertiamoci!
Che non si debba più dire, magari con compiaciuta leggerezza, che gli incontri
presbiterali sono luoghi di pettegolezzi malevoli, di cattiverie gratuite, di chiacchiere sciocche, di
insinuazioni calunniose, di taglieggiamento dei panni altrui, senza il minimo ritegno e senza
nessun timor di Dio!
Bando dunque al "pettegolezzo da sacristia"!
"Bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo, perché siamo
membra gli uni degli altri" (Ef 4,25).
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SERPENTI È SOTTO LE LORO LABBRA
Vogliamoci bene davvero, come discepoli di Gesù, come chiesa, come
compartecip i della stessa chiamata e della stess a missione. Diamo, soprattutto in questo,
buon esempio a tutti, e non sconfessiamo con la nostra condotta, le parole che dobbiamo dire
quando svolgiamo il nostro ministero.
E ricordiamoci: " Non fare agli altri ciò che n on vorresti fosse fatto a te". E' parola
evangelica.
7 - La maldicenza
E' raro che il pettegolezzo, compreso quello di sacristia, non sia maldicenza.
Maldicenza significa "dire male", è il discorso malevolo, ossia derivante dal volere il male, e
tendente a recare danno alla fama del prossimo.
E' dunque molto affine alla calunnia.
Mentre ques t'ultima può essere un fatto sporadico e mirat o, di per sé la maldicenza indica
un'abitudine, una tendenza non controllata, quasi un'attività abituale. Ripugnante!
Mentre la calunnia è sempre mirata e ben indirizzata con abilità, la maldicenza è una
caratteristica abituale di persone portate fortemente a veder nero e a dire male di tutto, di tutti, e
sempre, per un istinto quasi connaturale.
Qui mi viene in mente un'espressione di Quintiliano (De ist. Orat XII, 9,ss): " Malidicus
et malefico non distat misi occasione" ; è solo l'occasione che differenzia il maldicente dal
malvagio. Come a dire: maldicenza e cattiveria sono un tutt'uno. Sì, il maldicente, come il
calunniatore, è un malvagio che trova sollievo solamente nel dire male e, se fosse possibile,
nel fare il male, specie a coloro di cui è inconfessatamente invidioso.
La maldicenza, perciò, merita la stessa valutazione che abbiamo fatto per la calunnia,
senza bisogno di aggiungere altro.
Tanto il maldicente mi è risultato sempre odioso e insopportabile, che trovo tra le mie
composizioni poetiche, recentemente raccolte in un libro, anche la seguente:
II mettimale
Hai bocca orrenda e denti acuminati
e dall'interno erutti puzzolenti miasmi
che son peggio di fendenti. Miseri, ne
rimangono atterrati i tuoi nemici, quelli
designati
per tua vendetta, o a te da committenti
offerti dietro lauti emolumenti.
I colpiti così son rovinati
senza saper con chi... Tu sai benissimo
nasconderti di dietro alla facciata d'una
camera nobile e onorata. Tu riesci persino
amabilissimo quando, accostando le tue
vittime, hai certezza dei delitti che tu fai.
Della mia personale avversione ai maldicenti pettegoli si son dovuti accorgere ben presto, sin
dagli inizi del mio ministero episcopale, coloro che pensavano - ahi, quanto scioccamente e
imprudentemente! - di ingraziarsi il nuovo vescovo, inondandolo, con inopportuno zelo e
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SERPENTI È SOTTO LE LORO LABBRA
somma tempestività, di vere e proprie requisitorie contro altri. Ovviamente, e forse se ne
saranno accorti, hanno ottenuto l'effetto esattamente contrario a quello da essi ipotizzato,
sia sul loro conto, sia sul conto degli accusati...
Cose che capitano ai malevoli. Oltre tutto sono anche stupidi.
IV - IL CALUNNIATO
Credo di aver sottolineato a sufficienza la malvagità del peccato di calunnia e dei suoi
derivati.
Ora penso al calunniato.
Ho già detto che egli riproduce meglio di ogni altro l'immagine del Signore Gesù, il
primo e più grande calunniato del mondo.
Ora vorrei tratteggiare l'immagine dolorosa di vittima innocente ricavandola dal grido del
salmista, il quale, anche lui, si è trovato a far fronte a questo assalto dei malevoli.
"...Se odo la calunnia di molti, il terrore mi circonda; quando insieme contro di me
congiurano, tramano di togliermi la vita. Ma io confido in te, Signore, dico: -Tu sei il mio Dio,
nelle tue mani sono i miei giorni" (Sal 31(30), 14-16).
"... Es si godono della mia caduta, si radunano, si radunano contro di me per colpirmi
all'improvviso. Mi dilaniano senza posa, mi mettono alla prova, scherno su scherno, contro
di me digrignano i denti. Fino a quando, Signore, starai a guardare?" (Sal 36 (35), 15-17).
"Contro di me sussurrano insieme i miei nemici, contro di me pensano il male (...). Ma tu,
Signore, abbi pietà e sollevami, che io li possa ripagare" (Sal 41 (40), 811).
"Più untuosa del burro è la bocca del malvagio, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell'olio le
sue parole, ma sono spade sguainate (...). Tu, Dio, li sprofonderai nella tomba gli uomini
sanguinari e fraudolenti" (Sal 55 (54), 8-9).
"Ecco, vomitano ingiurie, le loro labbra sono spade... Ma tu, Signore, ti ridi di loro.
Ti burli di tutte le genti" (Sal 59 (58), 8-9).
"Proteggimi dalla congiura degli empi, dal tumulto dei malvagi. Affilano la loro lingua
come spada e scagliano come frecce parole amare, per colpire di nascosto l'innocente, lo
colpiscono di sorpresa e non hanno timore. Si ostinano nel fare il male, si accordano per
nascondere tranelli; dicono: - Chi li potrà vedere? - . Meditano iniquità, attuano le loro trame:
un baratro è l'uomo e il suo cuore un abisso. Ma Dio li colpisce con le sue frecce..." (Sa] 64
(63), 3-8).
"Siano confusi e arrossiscano quanti attentano alla mia vita. Retrocedano e siano
svergognati quanti vogliono la mia rovina. Per la vergogna si volgano indietro quelli che mi
deridono. Gioia e allegrezza grande per quelli che ti cercano; dicano sempre: - Dio è grande! -"
(Sal 70 (69), 3-5).
"Contro di me si sono aperte la bocca dell'empio e dell'uomo di frode; parlano di me con
lingua di menzogna. Mi investono con parole di odio, mi combattono senza motivo" (Sal 109
(108), 2-3).
"Pietà di noi, Signore, pietà di noi, già troppo ci hanno colmato di schemi, noi siamo
troppo sazi degli schemi dei gaudenti, del disprezzo dei superbi" (Sal 123 (122), 3-4).
Il calunniato, se è credente e discepolo di Gesù, non può certo attendersi né invocare
la punizione divina del delinquente.
Può, sì, invocare il trionfo della verità e sforzarsi di ottenerlo con tutti i mezzi consentiti, anche
trascinando in tribunale il calunniatore e costringendolo, con mezzi legali, a ritrattare le sue
infamie ed, eventualmente, può richiedere il risarcimento del danno morale consentitogli dal
giudice umano.
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SERPENTI È SOTTO LE LORO LABBRA
Ma, soprattutto, il calunniato può e deve attendersi una grande ricompensa divina,
non sempre in questa vita, certamente nell'altra.
Spesso è la storia stessa che si incarica, magari dopo molti anni, di ristabilire la verità
e di attribuire giusto onore a chi ne fu ingiustamente privato mentre viveva.
Per il calunniato l e parole di Gesù, che abbiamo più sopra riportato, sono balsamo
spirituale e sicura medicina: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi..." (Mt 5,11).
V - Una parola ai calunniatori
Sarà ben difficile che le pagine di questo documento capitino fra le mani e sotto gli occhi di
questi sciagurati fratelli che hanno fatto la scelta di macchiarsi di questa colpa tanto deprecabile.
Non voglio tuttavia rinunciare alla speranza che il Signore, attraverso il suo Spirito, faccia
arrivare anche a questi fratelli traviati un richiamo salutare. Vorrei pertanto esserne
umile tramite senz'altra pretesa che quella di compiere un mio inalienabile dovere di
pastore della Chiesa di Dio.
Mi rivolgo dunque a te, fratello, che non temi di macchiarti del peccato di calunnia del quale,
forse, finora non hai appurato la gravità Mi rivolgo a te, al singolare, perché tu senta più
accorata e vicina una voce di rimprovero, certo, e di severo richiamo, ma pur sempre una
voce di fratello, seriamente preoccupato del vero bene dell'anima tua.
La prima cosa che desidero tu sappia è proprio questa: ti voglio bene, nel nome di quel Gesù
che tu hai offeso e offendi col tuo losco mestiere. Ti voglio bene e per questo vorrei vederti
fuori da questo baratro dove stavi precipitando col tuo peccato, meglio, con la tua
abitudine al peccato, a questo peccato (ci sono peccati, diremo così, effetto di fragilità, e
ci sono peccati prodotti da una fredda e calcolata cattiveria: la calunnia è di quest'ultima
specie...).
Ti voglio bene e perciò mi preoccupo della tua eterna salvezza che dal tuo peccato è
gravemente minacciata. L'abbiamo detto, infatti, il calunniatore fa prima di tutto un grave
danno a se stesso, si autocondanna alla stessa pena che i demònì, suoi suggeritori,
subiranno per l'eternità Non è il caso, al riguardo, di scomodare il nostro sommo poeta...
Ti v oglio bene, fratello: non sopporto che tu possa con le tue stesse mani
rovinarti così, per sempre.
Intanto dimmi: perché ti sei dato a questo triste mestiere? Che altro ne ricavi se non un disagio
interiore spaventoso, una rovina spirituale che non può essere compensata da un
momento di sadica compiacenza nel vedere il tuo nemico colpito e abbattuto?
Che cosa pensi di raggiungere con questa rovinosa mania di colpire gratuitamente gli altri?
Pensi di elevarti sulla loro polvere, dato che implicitamente tu ammetti di valere assai meno di
coloro che colpisci?
No, fratello, non è mai successo: nessuno ha costruito la sua grandezza sulla distruzione
degli altri. Nessuno ha ricavato il bene suo dall'abilità nel fare il male agli altri.
1 - Conversione o dannazione
Ragiona: il tuo è un mestiere diabolico. Produce, o tenta di produrre il danno delle vittime
designate, ma a te non reca che accrescimento di pena, un accumulo di veleno che nuoce
soprattutto a te stesso; all'anima tua, alla tua pace.
Ragiona: anche se la calunnia potrà con effetto immediato, raggiungere il suo scopo, il tuo
scopo malvagio, presto o tardi, la verità si farà strada e tu sarai smascherato, con
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immenso disdoro, che ti causerà ulteriore danno interiore, ti renderà non solo nemico di Dio
che tu offendi nei suoi figli, ma ti renderà inviso e scostante: sarai segnato a dito come
malvagio, come artefice d'inganni, come persona da fuggire e da smascherare. Sarai
evitato come un appestato, come un serpente velenoso che schizza veleno su chi gli si
accosta.
Ragiona: quale risultato potrà venire dalle tue macchinazioni odiose? L'eliminazione di qualche
concorrente? Potrebbe anche essere, ma la cosa du rerà solo per poco e la tua condizione,
u na volta appurata la verità sarà compromessa per sempre, irrimediabilmente!
E poi, come potrai a lungo sopportare l'urlo lacerante della tua coscienza che ti rimprovera
implacabilmente dei tuoi crimini gratuiti e costituisce il tuo vero nemico da cui non potrai
liberarti nemmeno nel luogo del supplizio eterno a cui, se non ti converti, sei inesorabilmente
incamminato...?
Abbi pietà di te, fratello mio: convertiti. Lascia la strada scivolosa in cui ti sei messo che
porta infallibilmente all'abisso. Convertiti!
Abbi pietà di te, come l'avrà Iddio se a lui ti rivolgerai umiliato e pentito e pronto a riparare il
malfatto...
Abbi pietà di te, non come la ebbe Giuda di sé, quando, pur avendo riconosciuta la sua
colpa, la ritenne imperdonabile e pose fine, con l'orribile suicidio, ai suoi giorni tristi.
2 - Riparazione
Tu lo sai: segno di questa conversione che ti sto chiedendo è la chiara comprensione
della gravità del tuo peccato e la volontà di porre in atto quella necessaria riparazione che il
peccato di calunnia richiede imprescindibilmente.
Nessuno, nemmeno Dio, se così posso dire, potrà perdonarti se tu, qualora Dio ti toccasse il
cuore, ti facesse capire il male compiuto, e ti desse la forza di una totale conversione, non ti
impegnerai con tutte le tue forze, con tutti i mezzi, con tutto l'impegno a ritrattare quanto
di calunnioso hai gettato addosso ai tuoi fratelli.
Devi ammettere chiaramente, dinanzi a tutti - dico tutti - quelli che hai ingannato, di aver
sbagliato nei confronti della persona calunniata. E perciò, a questa e a tutti, specie quelli che
dalla tua calunnia avessero tratto motivo per commettere errori, devi chiedere sincero
perdono nelle stesse sedi, con gli stessi modi, la stessa evidenza con cui hai divulgato le tue
insinuazioni calunniose.
Questa conversione e questi atti che ne conseguono serviranno, almeno in parte, a
restituirti dignità e pace. Non sperarla altrimenti.
Che se questa conversione tu ostinatamente rifiutassi di operare, allora non mi resterebbe
che minacciarti, con rammarico, i divini castighi, certamente il castigo eterno, ma, Dio non
voglia, anche sciagure più immediate. La Bibbia n'è piena!
Se potesse servirti all'auspicato cambiamento, anche questo aggiungerò: sarà lo stesso
calunniato, come dice in molti luoghi il libro dei Salmi, a costatare, voglio credere senza
goderne, la giusta punizione della tua cattiveria.
VI - Ancora una parola ai calunniati
Sarà innanzitutto quella di Gesù che non mi stanco di ripetere: "Beati voi quando vi
perseguiteranno e, men tendo, diranno di voi ogni sorta di male per causa mia; godete ed
esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,11).
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Se è vero che Dio è vindice degli innocenti oppressi, la tua causa è nelle sue mani, fratello che
soffri dell'altrui cattiveria; sarà sua cura renderti bene per male; liberarti dalle trame degli empi e
far trionfare la giustizia violata.
Se così è - e ce lo insegna oltre che la fede anche la storia - non vale la pena che tu pensi a
una qualsiasi vendetta. Non sarebbe cristiano e perderesti il diritto a quella difesa divina che è
assicurata nelle sante Scritture.
Lascia a Dio, solo a lui, il compito di difenderti e di far trionfare pienamente la verità
Potrai, se vuoi, ricorrere a tutti gli onesti mezzi umani, come ho già detto, per tutelare la tua fama
e il tuo onore, ciò specialmente se hai compiti rilevanti nella società, ma sappi che se lasci
completamente a Dio questo compito, esso sarà assolto nella maniera migliore e tu godrai di
una immensa pace che ti ripagherà d'ogni amarezza a te procurata dalla cattiveria degli uomini.
Ripeti perciò con san Paolo: "Chi mi giudica è il Signore!" (1 Cor 4,4) e prosegui
sereno il tuo cammino, anzi moltiplica le tue energie nel fare il bene. Saranno i risultati del tuo
impegno e della tua operosa serenità a smascherare le trame dei malevoli, i cui strali spesso si
ritorceranno a loro danno.
Si deve ripetere per chiunque è fatto oggetto di ingiusta persecuzione, quanto è detto dagli
apostoli nel libro degli Atti: "Essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per
amore del nome di Gesù" (5,41).
VII - Conclusione
Fratelli miei, posso avviarmi alla conclusione.
Anche stavolta, m'accorgo, la materia mi è venuta crescendo sotto la penna. Non me ne
dispiace. Una volta tanto le dotte trattazioni dogmatiche hanno ceduto il passo ad un severo
richiamo morale contro un peccato assai grave, eppure tanto diffuso, contro una piaga che
rovina la nostra convivenza e contraddice alla radice il nostro "essere chiesa".
Se non ci si deciderà a riflettere seriamente sui danni che la calunnia, ed anche la semplice
insinuazione calunniosa, fatta di mezze frasi, di accenni, di puntini di s ospensione, di punti
interrogativi, produce nelle nostre comunità e se non ci si deciderà tutti insieme a
smascherare la mala pianta e ad estirparla di mezzo al campo di Dio, non potrà crescervi il
buon grano, non potranno maturare frutti di bene. La conseguenza allora sarà la sterilità
assoluta. Dove non c'è amore, infatti, non ci può essere Dio. E dove non c'è Dio non ci può
essere niente di buono.
E' ora di ripulire le nostre anime, le nostre comunità, i nostri vicendevoli rapporti da
questa erbaccia velenosa che assorbe energie e genera sterilità
Non ci si dovrà meravigliare se, affacciandoci sul terreno dei nostri sforzi apostolici, del nostro
impegno missionario, vi constatiamo aridità e sterpaglia, assenza di freschezza e di
fruttificazione: il soffio velenoso delle vicendevoli incomprensioni, delle malevole insinuazioni,
delle larvate gelosie, delle bieche ricriminazioni, delle palesi cattiverie, delle puerili ripicche, dei
mutui scambi d'accuse e di attribuzione di colpe, delle coltivate antipatie costituiscono un
vento gelido, un uragano che distruggono tutto e si lasciano dietro desolazione e morte.
Convertiamoci tutti, fratelli!
E' un modo di vivere e di rapportarsi che deve assolutamente cambiare. E' una pervicace e
quasi incorreggibile mania di seminare discordie, di trinciare giudizi negativi, di ergersi a
giudici acidi e superficiali di tutto e di tutti che deve cedere assolutamente ed
urge ntemente il p osto ad una autodisciplina di silenzio, di amorevole comprensione, di
p erdono, di misericordia, di amore vicendevole e generoso se vogliamo non distruggere
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con le nostre stesse mani quanto tentiamo di costruire nel campo di Dio.
Che servono le nostre chiese, le nostre solenni celebrazioni, gli apparati sontuosi e
costosi, le nostre feste rumorose, se manca il fondamento, ossia la carità vera che non
tollera divisioni, dissensi plateali, incomprensioni, invidie, gelosie, calunnie,
sospetti,
maldicenze, pettegolezzi da perdigiorno, curiosità preconcettamente malevole sull'operato degli
altri, per demolirli appena se ne vede la possibilità?
Diciamo, diciamo anche noi con san Paolo: "... Se non avessi la carità niente mi
giova!" (1Cor 13,3).
Ora non si può parlare di carità dove c'è anche solo un poco di quanto in queste pagine mi
s on sforzato di mettere a fuoco e di deprecare. E se non c'è la carità che cosa ci può
essere di buono? Le nostre belle costruzioni? Le nostre solenni adunanze? Le nostre forbite
parole?
No, no: tutto sarebbe apparenza e inganno se non ci fosse la carità la carità feriale, quella
di tutti i giorni, quella che impedisce e condanna ogni giudizio temerario, ogni parola offensiva,
ogni insinuazione astiosa, ogni accenno calunnioso, ogni epiteto ingiurioso, ogni
atteggiamento scostante, ogni riferimento ingeneroso, ogni freddezza rancorosa, ogni
benché minima rottura di comunione...
Nulla di tutto ciò la carità vera conosce!
U na chiesa che lascia crescere nel suo seno qualcuna di queste piaghe purulente non ha
futuro: si autodistrugge. Non si spiegherebbero altrimenti i moniti severi di cui ogni lettera
apostolica fa uso abbondante per deprecare tutto quanto minaccia ed offende la carità la
comunione vera, la fraternità evangelica.
Scriveva Paolo ai Corinzi: "Temo infatti che, venendo non vi trovi come desidero (...) che per
caso non vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie,
disordini..." (2Cor 12,20).
E' lo stesso timore del vostro vescovo, fratelli.
E' per questo che vi ho scritto, con accorata franchezza. Anche per non sentirmi
colpevole di non avervi ammonito tempestivamente nel nome del Signore che mi ha mandato
in mezzo a voi "per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e
piantare" (cf. Ger 1,10).
Contro il male non ci può essere tolleranza e copertura: sradicare, demolire,
distruggere e abbattere bisogna!
Soltanto dopo si potrà effettuare la buona piantagione del Signore!
Egli stesso, l'agricoltore divino, venga a compiere l'opera sua, di cui noi vogliamo
essere poveri, umili ma docili strumenti.
Vi benedico.
ISERNIA, festa di Santa Maria degli Angeli, 2-8-1998.
+ Andrea Gemma
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