Finanza aziendale per le PMI

a cura di Sebastiano Di Diego, Fabrizio Micozzi
Finanza aziendale per le PMI
Come affrontare le sfide del futuro
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ISBN 978-88-6279-100-7
Pubblicazione giugno 2014
 Indice
Prefazione
VII
Profilo autori
IX
1. Serve più cultura finanziaria nelle PMI
1.1 Premessa
1.2 I limiti allo sviluppo di una cultura finanziaria
1.3 Quali compiti
1.4 Quale organizzazione e quali competenze
1.5 Quali obiettivi
1.6 Uno sguardo alle diverse tipologie di PMI
1.6.1 Imprese marginali
1.6.2 PMI satelliti/terziste
1.6.3 PMI imitative
1.6.4 PMI a rapido sviluppo
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2. Capire le decisioni finanziarie fondamentali
2.1 Premessa
2.2 Il fabbisogno finanziario
2.3 Gli obiettivi finanziari da perseguire
2.4 La scelta della struttura finanziaria
2.4.1 I criteri per definire la struttura finanziaria target
2.4.2 Il confronto con il mercato finanziario
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3. Capire l’importanza del piano industriale
3.1 Perché è importante il piano industriale
3.2 Il contenuto del piano industriale
3.3 Tutte le imprese hanno bisogno di un piano industriale?
3.4 Quali sono le finalità per cui viene redatto un piano industriale?
3.4.1 Finalità esterne
3.4.2 Finalità interne
3.5 Quali sono i vantaggi che si ottengono dalla redazione di un piano industriale?
3.5.1 Aiuta a pensare in modo sistematico e a definire strategie intenzionali
3.5.2 Preparazione al confronto con il mercato finanziario
3.5.3 Individuazione degli obiettivi del sistema incentivazione
3.6 Chi lo elabora e chi partecipa?
3.7 A chi è rivolto/a chi serve?
3.8 Quali sono le fasi del processo di pianificazione?
3.8.1 Valutare la situazione
3.8.2 Sviluppare la mission
3.8.3 La preparazione del lavoro
3.8.4 La definizione degli obiettivi
3.8.5 Elaborazione del piano industriale
3.8.6 Fissare gli obiettivi delle risorse umane
3.8.7 Il monitoraggio del processo
3.9 I numeri sono il riflesso delle vostre decisioni
3.10 Le c.d. assumption
3.11 Il Conto Economico previsionale
3.12 Lo Stato Patrimoniale previsionale
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III
Indice
3.13 Il Rendiconto Finanziario previsionale
3.14 La predisposizione del conto economico e dello stato patrimoniale previsionale
3.14.1 Alcuni consigli pratici prima di iniziare il lavoro
3.15 Un esempio per capire meglio
3.15.1 Le assumption
3.15.2 La costruzione del conto economico previsionale fino al reddito operativo al netto
degli interessi sulle passività consolidate
3.15.3 La costruzione dello stato patrimoniale e determinazione del fabbisogno finanziario
aggiuntivo
3.15.4 La chiusura del Conto Economico
3.15.5 La chiusura dello Stato Patrimoniale
3.15.6 La costruzione del Rendiconto finanziario previsionale
3.16 Analisi di sensitività
3.17 Premessa
3.18 La convenienza economica
3.19 La sostenibilità finanziaria
3.20 La Coerenza
3.21 L’attendibilità
3.22 La valutazione del piano industriale nell’ambito di un’operazione di M&A
3.23 La valutazione del piano industriale nell’ambito di un’operazione di turnaround
4. Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
4.1 Premessa
4.2 Che cos’è l’analisi finanziaria
4.3 Bontà e qualità dei dati oggetto di analisi
4.4 Riclassificazione dello stato patrimoniale
4.4.1 Lo stato patrimoniale riclassificato: il criterio finanziario
4.4.2 Lo stato patrimoniale riclassificato: il criterio funzionale/gestionale
4.5 Riclassificazione del Conto economico
4.5.1 Lo schema al costo del venduto
4.5.2 Lo schema a valore aggiunto
4.5.3 Lo schema a costi fissi e variabili
4.6 L’analisi dei risultati aziendali
4.6.1 Analisi dei ricavi, dei margini e della produttività aziendale
4.6.2 Analisi del circolante e delle politiche di investimento
4.6.3 Analisi delle politiche di finanziamento e della liquidità
4.6.4 Analisi della redditività
4.7 Altman Z-score
4.8 Analisi dei flussi finanziari
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5. Capire i vincoli che hanno le banche
5.1 Premessa
5.2 Il rapporto banca – impresa
5.3 Gli accordi di Basilea
5.4 La misurazione del rischio di credito
5.5 La valutazione del merito creditizio
5.6 Le implicazioni nei rapporti tra la banca e le PMI
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6. Capire ciò che è importante per la banca
6.1 Premessa
6.2 Ricordarsi sempre quali sono gli obiettivi della banca e quali sono i suoi vincoli
6.3 Le valutazioni creditizie effettuate dalle banche
6.3.1 Prima fase: valutazione di un affidamento
6.3.2 Seconda fase: monitoraggio del rapporto fiduciario
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IV
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6.4 L’impatto delle regole di Basilea
6.5 I nuovi parametri per calcolare il fabbisogno di capitale nelle banche e i loro effetti sui rapporti
banca-impresa
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111
7. Chi sostiene l’accesso al credito
7.1 Il ruolo dei Confidi
7.2 L’evoluzione normativa
7.3 Il ruolo delle garanzie dei Confidi come strumento di abbattimento del rischio di credito per le
banche
7.4 Struttura del mercato
7.5 Il processo di concessione della garanzia
7.5.1 Ammissione a socio del Confidi
7.5.2 Richiesta di garanzia
7.5.3 Istruttoria
7.5.4 Delibera di concessione della garanzia
7.5.5 Delibera della banca
7.5.6 Pagamento delle commissioni di garanzia
7.5.7 Escussione della garanzia
7.6 Il pricing della garanzia
7.7 Il Fondo Centrale di Garanzia
7.7.1 Soggetti beneficiari
7.7.2 Operazioni finanziarie garantite
7.7.3 Importi garantiti e percentuali di copertura
7.7.4 Valutazione dei dati economico-finanziari dell’impresa
7.7.5 Microcredito
7.7.6 Procedura per richiedere la garanzia
7.7.7 Importo delle commissioni
7.7.8 Il valore della garanzia pubblica ai fini della normativa de minimis
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8. Valutare gli investimenti
8.1 Premessa
8.2 Il tempo di recupero (payback period)
8.3 Il tasso interno di rendimento
8.4 Il valore attuale netto
8.5 Confronto fra VAN e TIR
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9. Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
9.1 Premessa
9.2 La scelta delle fonti di finanziamento
9.2.1 Strumenti di finanziamento “tradizionali” a medio e lungo termine
9.2.2 Strumenti di finanziamento “tradizionali” a breve termine
9.2.3 Strumenti e tecniche di finanziamento “alternativi ed innovativi” per le PMI
9.2.4 Le forme “ibride”
9.3 Gli interventi sul capitale circolante
9.3.1 La redditività globale dell’investimento in crediti
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10. Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
10.1 Premessa
10.2 L’investimento istituzionale nel capitale di rischio
10.3 Private equity: un tentativo di sintesi
10.3.1 Uno sguardo sui trend mondiali ed europei del private equity
10.3.2 Uno sguardo sui trend attuali italiani del private equity
10.3.3 Fattori propedeutici ed ambiente aziendale
10.3.4 I fondi di turnaround
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V
Indice
10.3.5 Il venture capital
10.3.6 Il crowdfunding
10.4 La quotazione in borsa
10.5 I minibond ed il mercato del debito quotato
11. Affrontare la crisi d’impresa
11.1 La crisi finanziaria mondiale
11.2 Il contesto italiano oggi
11.3 Gli strumenti per riconoscere una crisi d’impresa
11.4 Il Turnaround
11.5 La normativa
11.6 Un caso pratico
11.6.1 Il piano di risanamento della società ALFA
VI
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Prefazione
 Prefazione
“L’ingegno è vedere possibilità dove gli altri non ne vedono”
Enrico Mattei
Quando Sebastiano Di Diego e Fabrizio Micozzi mi chiesero di poter scrivere una breve prefazione al presente
volume, mi domandai subito come fosse possibile sintetizzare una tematica così rilevante in poche parole, ma
forse proprio per questo motivo accettai di buon grado.
Il termine “finanza”, inteso come problematica od opportunità, riempie ormai da tempo le cronache economiche,
sociali e persino politiche del nostro Paese, partendo da quel delicato passaggio storico che ha dato luogo alla
lunga crisi finanziaria mondiale.
Se prima parlare di finanza per le PMI sembrava un tema confinato ai tecnici del settore, l’onda lunga della crisi
ha fatto scoprire, forzatamente, come in realtà si trattasse di una questione essenziale, strettamente aderente al
raggiungimento degli obiettivi aziendali e dunque vitale per tutti coloro che in qualche modo – dipendenti, fornitori di beni e servizi, istituzioni finanziarie, azionisti – dipendano dal successo degli obiettivi aziendali: in sostanza,
dai salotti riservati, il tema della finanza è ormai divenuto di comune dominio.
È proprio per questo che considero essenziale approfondire tematiche come quelle affrontate nel presente volume che, con taglio pratico e comprensibile, ci consente di avere un quadro tangibile di ciò che ruota intorno
alla finanza a supporto delle PMI italiane.
Considero vitale, certamente in questa fase storica e tuttavia anche a prescindere da essa, che tutti coloro che
orbitano intorno alle imprese, a partire dagli azionisti, si approccino in modo diverso, molto più approfondito ed
innovativo, alle importantissime tematiche della finanza aziendale: ad esempio, non basta più affermare che le
imprese stiano soffocando o soffrendo per crisi finanziarie o ricorrere ai soliti ben noti canali di finanziamento, ma
occorre provocarsi, partendo dal concetto di funzione e pianificazione finanziaria, qui validamente trattato e
spesso sconosciuto ai più.
Nella mia lunga carriera di imprenditore, per varie motivazioni, ho dovuto e voluto affrontare concretamente tutte
le tematiche affrontate in questo prezioso volume: nelle fasi di crescita aziendale impetuosa, così come in quelle
di contrazione, il concetto e le strumentazioni di finanza aziendale sono stati sempre una tessera essenziale della
gestione aziendale.
Il tessuto imprenditoriale italiano, nonostante la lunga crisi, serba ancora in sé i germi di un’imprenditoria sana,
caparbia e lungimirante, ma indubbiamente, per ciò che attiene la finanza aziendale, si può e si deve fare ancor
di più, anche perché le relazioni con le stesse istituzioni finanziarie sono ormai radicalmente trasformate e
l’auspicato superamento della crisi finanziaria non condurrà comunque ad un ritorno al passato.
Scorrendo i capitoli del volume, un lettore attento, al di là del ruolo e funzione rivestiti, potrà approfondire concetti decisivi, come la funzione e pianificazione finanziaria, gli strumenti di finanziamento tradizionali ed innovativi,
il business plan, l’analisi finanziaria aziendale e quella degli investimenti, il ruolo dei confidi, le ristrutturazioni finanziarie, la funzione del venture capital, del private equity e del mercato borsistico AIM, il tutto affrontato con
un taglio mirato per le PMI italiane.
Nella cultura anglosassone si è soliti sintetizzare in tre momenti cruciali le chiavi di successo di una qualsiasi iniziativa imprenditoriale e cioè: il prodotto/servizio offerto, la struttura di finanza aziendale e la gestione dal lato
marketing/commerciale; se un’impresa riesce ad ottenere buone performance in tutti e tre i contesti, probabilmente configurerà nel tempo un’impresa di successo.
Come potremmo altrimenti giustificare la crescita ed il successo planetario di imprese che, partendo da una dimensione medio/piccola, sono cresciute costantemente nei decenni, così come avvenuto per fenomeni come
quello della Ferrari, della Mapei o della Brembo?
Se poniamo dunque attenzione, le società vincenti nel tempo identificano aziende che offrono un prodotto/servizio superiore, gestiscono al meglio le leve della finanza aziendale e sanno vendere bene sui mercati
obiettivo: laddove uno di questi tre fattori venga meno nel tempo, probabilmente ciò prima o poi emergerà con
evidenza.
Le nostre PMI, storicamente, hanno trovato il loro punto di forza nella capacità di sviluppo del prodotto/servizio e sovente nella commercializzazione ma raramente nella robustezza dal lato finanziario e la crisi finanziaria ha mostrato
questa verità con forza inusitata.
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VII
Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
Se ciò è vero, è altrettanto corretto affermare che, con un’economia globalizzata e profili di concorrenzialità ormai di livello mondiale, occorre crescere in senso lato e per far ciò è impossibile rinunciare a strutturarsi dal lato
finanziario, individuando ciascuno la strada più consona ai propri obiettivi, pena la scomparsa precoce dal mercato.
Utilizzando una semplice metafora motoristica, potrei affermare che la finanza è come l’insieme dei liquidi che
consente ad un buon motore di funzionare e di sviluppare sempre maggiori perfomance: non basta dunque
progettare e creare un gioiello meccanico per aver successo, laddove i fluidi siano carenti o di bassa qualità.
Uno dei più grandi investitori ed esperti di finanza del mondo, Warren Buffet, afferma che – regola n. 1 – non bisogna mai perdere dei soldi in un investimento e che – regola n. 2 – non bisogna mai dimenticare la prima regola:
trovo questo concetto come un’autentica sfida per noi imprenditori e per tutti coloro che ruotano intorno alle imprese, poiché le nostre aziende sono un investimento, sia in senso fisico che morale, anche come sfida al cambiamento sociale ed allo sviluppo del nostro magnifico e sofferto Paese.
L’invito alla lettura di questo utile volume nasce da tutto ciò, affinché sia di concreto aiuto e di speranza per il
nostro mondo imprenditoriale e per chi crede nel futuro dell’Italia.
Fabrizio Sorbi
Proel Group CEO
VIII
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Profilo autori
 Profilo autori
Hanno inoltre collaborato:
Giovanni Marino, Manager di KPMG Advisory S.p.A., opera dal 2009 nella divisione “Transaction & Restructuring Services” maturando una significativa esperienza nell’ambito di operazioni di Merger & Acquisition e nei
processi di ristrutturazione del debito e di supporto nell’elaborazione di piani industriali e dei processi di gestione
della cassa e del capitale circolante.
Alberto Cascia, laurea in Politica Economica ed Industriale, ha svolto per oltre 20 anni attività nel settore bancario ricoprendo ruoli apicali. Competenze in pianificazione strategica ed operativa e programmazione finanziaria,
attualmente opera in campo finanziario e della gestione straordinaria dell’impresa.
Patrizia Camilletti, Senior Partner di Network Professionale e Partner di Hepta Consulenza S.r.l. svolge
un’intensa attività professionale nell’ambito della pianificazione industriale, controllo di gestione, finanza aziendale e corporate social responsibility. È cultrice di Programmazione e controllo presso l’Università degli Studi di
Macerata e coordinatrice del portale www.setupimpresa.it. Coautrice di alcune pubblicazioni e formatrice in materia di business plan, bilancio sociale e modelli organizzativi 231.
Giada Santoni, laurea in Economia Bancaria finanziaria ed assicurativa. Dottore commercialista e revisore legale
dei conti. È cultrice della materia nella cattedra di Tecnica delle operazioni straordinarie presso la Facoltà di
Economia di Macerata. Partner di DM Partners S.r.l., dove ha maturato un’esperienza professionale prevalentemente nell’ambito delle operazioni straordinarie, valutazioni aziendali, business plan, finanza d’azienda e ristrutturazioni industriali. Autrice di numerose pubblicazioni in materia societaria, finanziaria e di pianificazione industriale. Formatrice per enti, ordini professionali e primarie società di formazione.
Luca Capozucca, laurea con lode in Consulenza Finanziaria e Direzione Aziendale. Consultant in DM Partners
S.r.l. dove ha maturato un’esperienza professionale prevalentemente nell’ambito delle operazioni straordinarie,
dell’elaborazione di business plan e della finanza aziendale. È coautore di alcune pubblicazioni in materia aziendale e societaria. È formatore per vari enti specializzati.
Francesco Angeletti, è consulente in finanza d’impresa e lavora presso Confindustria Ancona. Dal 2007 si occupa, oltre che di consulenza alle PMI in materia di finanza ordinaria e agevolata, della gestione del Confidi Ancona, per quanto riguarda in particolare l’attività istruttoria di valutazione del merito creditizio e la funzione compliance.
Giovanna Ricci, è docente di Economia aziendale presso istituti tecnici superiori. Cultrice di Programmazione e
controllo presso l’Università degli Studi di Macerata. Relatrice a convegni, è stata autrice e/o coautrice di varie
pubblicazioni inerenti ai sistemi informativi contabili.
Ilaria Sdrubolini, laurea con lode in Consulenza Finanziaria e Direzione Aziendale. Assistant in DM Partners S.r.l.
dove si occupa prevalentemente dell’elaborazione di business plan e di finanza aziendale.
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IX
Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
 1.
Serve più cultura finanziaria nelle PMI
Sebastiano Di Diego e Patrizia Camilletti
L’egoismo non consiste nel vivere come ci pare
ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi.
Oscar Wilde
 1.1 Premessa
La crisi che ha colpito in maniera così forte la nostra economia ha anche prodotto un nuovo assetto nelle relazioni tra mondo finanziario e imprese.
A causa delle difficoltà che anche le banche stanno vivendo in questo periodo, ottenere finanza è sempre più
difficile.
I motivi che portano le banche a non concedere credito sono molteplici; tra questi sicuramente rivestono grande
importanza:

l’incapacità, in un contesto così incerto, di riuscire a comprendere le prospettive dell’impresa che chiede
di essere finanziata;

la non convenienza a finanziare imprese con rischio medio – alto, considerate le già elevate sofferenze in
essere;

l’impatto di Basilea 3 che richiede alle banche una maggiore patrimonializzazione oppure la riduzione dei
prestiti alle imprese;

la difficoltà di alcune banche a raccogliere denaro dai risparmiatori o dai mercati da destinare al finanziamento delle imprese.
In questa situazione così problematica, non sorprende come siano proprie le PMI a soffrire maggiormente.
La loro dipendenza dal credito bancario, infatti, è notevolmente superiore rispetto alle imprese di maggiori dimensioni; secondo l’analisi condotta dal Centro Studi di Confindustria, nel 2011 l’esposizione delle PMI nei
confronti delle banche è stata quasi doppia rispetto alle grandi imprese.
Tavola 1 – La capitalizzazione delle PMI
PMI meno capitalizzate delle grandi imprese
(Italia, manifatturiero, bilanci 2011, quote % sul passivo)
Debiti verso banche
Altri debiti finanziari(3)
Debiti commerciali
Altri debiti(4)
Totale debiti
Patrimonio
(1) Con 1-249 dipendenti;
(2) Con oltre 250 dipendenti.
(3) Incluse le obbligazioni.
(4) Infra-gruppo, tributari, previdenziali, altro.
Fonte: elaborazione CSC su dati AIDA
PMI (1)
22.3
3.0
23.9
10.0
59.2
40.8
Grandi imprese (2)
11.2
5.9
23.0
16.0
56.0
44.0
In questa condizione è evidente che le PMI sono più esposte delle grandi imprese alla crisi e per non trovarsi in
difficoltà sono chiamate ripensare profondamente il loro modello organizzativo.
Per superare la crisi di fiducia che le banche hanno sviluppato nei loro confronti, le PMI devono fare un salto culturale, che permetta loro di:

capire profondamente, e quindi gestire proattivamente, le logiche che oggi governano le decisioni delle
banche;

esplorare la fattibilità di forme alternative di finanziamento (es. private equity, quotazione in borsa, emissione di mini-bond).
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1
Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
Il salto culturale serve, inoltre, per improntare una volta per tutte la gestione finanziaria dell’impresa su criteri razionali e trasparenti, evitando alcuni degli errori tipici che l’imprenditore ha finora commesso e che tanto negativamente sono oggi visti dalle banche e dai finanziatori in generale:

fornire informazioni incomplete o scorrette;

porre in essere comportamenti che evidenziano il suo disimpegno dall’Impresa (mancata partecipazione
al rafforzamento patrimoniale dell’impresa, protezione del patrimonio personale, cessione asset aziendali
rilevanti ecc.);

distogliere risorse finanziarie dall’impresa (attività in nero, utilizzo personale dei beni aziendali, finanziamenti a consociate, restituzioni di finanziamenti soci, finanziamenti ad aziende terze ecc.).
Soltanto la presenza in azienda di persone dotate di una solida cultura finanziaria, può favorire il superamento di
queste criticità, migliorando l’autonomia dell’impresa nel reperimento delle risorse finanziarie e la relazione con i
soggetti che compongono il sistema finanziario.
Purtroppo, le regole che governano la finanza aziendale non dipendono dalla dimensione aziendale ma sono
uguali per tutte le imprese. Anzi, in questo campo le PMI non avendo “Santi in paradiso” sono chiamate ad essere più virtuose.
Ciononostante, la funzione finanziaria nelle PMI continua a presentare connotati di arretratezza rispetto alle
grandi aziende; e le cause sono essenzialmente da imputare ad un minor livello di cura dedicatole
dall’imprenditore.
Purtroppo, i motivi del suo “disinteresse” verso la gestione finanziaria nascono soprattutto dalla mancanza di
una consapevolezza adeguata circa la crucialità che la finanza, vista in senso ampio e non semplicemente
come rapporto personale con il direttore di banca, riveste nel perseguimento delle strategie aziendali.
 1.2 I limiti allo sviluppo di una cultura finanziaria
In molte PMI, come abbiamo appena detto, il riconoscimento della criticità della funzione finanziaria è condizionato soprattutto dalle caratteristiche dell’imprenditore. L'imprenditore italiano è caratterizzato soprattutto da
competenze produttive e commerciali; e ciò si traduce nei seguenti vantaggi:

immediata realizzazione di un’idea vincente relativa ad un prodotto;

facilità di comunicare con i propri dipendenti;

capacità di controllare in ogni istante gli andamenti tecno-produttivi.
Nello stesso tempo, però, tali spiccate competenze sono anche il presupposto della nascita, all’interno
dell’impresa, di una mentalità eccessivamente tecnicistica e commerciale, orientata quasi esclusivamente alla realizzazione del prodotto e alla sua commercializzazione. In una tale situazione viene a ridursi l’interesse verso funzioni come quella finanziaria, priva di un’immediata traducibilità in concreti andamenti produttivi. Il bagaglio culturale
dell’imprenditore, in molte PMI, conduce ad una sopravvalutazione degli aspetti tecnici − produttivi e commerciali
della gestione − e ad una sottovalutazione dei fondamentali equilibri economici ed in particolare finanziari. Le scelte
imprenditoriali di fondo inoltre − per l’oggettiva impossibilità di considerare tutti gli aspetti della gestione da parte di
un imprenditore generalmente poco propenso a delegare − tendono a limitare il numero delle variabili reali che
vengono tenute sotto controllo (prodotti, mercati di sbocco, mercati d’acquisto, risorse umane). La funzione finanziaria, invece, viene svolta secondo modalità non integrate e ponendo attenzione al breve termine, senza dotarsi di
risorse umane specializzate e senza ricorrere (se non in occasione di finanziamenti esterni a titolo di capitale di credito) a consulenti esterni. Questo stile direzionale obbliga però l’impresa a sfruttare la propria flessibilità operativa
per ottenere livelli di redditività tali da garantire la massima flessibilità finanziaria e, quindi, la sopravvivenza in condizioni di sufficiente liquidità e solvibilità. La carente consapevolezza circa l’importanza dell’attività finanziaria conduce, talvolta, l’imprenditore a porre in essere scelte poco oculate, quali:

l’aumento esclusivo dell’indebitamento a breve per fronteggiare l’incremento del volume di affari;

il finanziamento di investimenti in impianti ed attrezzature con il credito bancario;

la mortificazione dell’autofinanziamento per soddisfare le esigenze dell’azienda familiare di consumo.
Comportamenti come quelli sopra descritti sono particolarmente pericolosi in un contesto di crisi come quello
attuale, dove il rischio che la stabilità si spezzi per cause contingenti è elevatissimo (ad esempio: credit crunch,
aumento dei tassi di interesse ecc.), innescando un insieme di eventi negativi che rendono critica una funzione
finanziaria che, non essendo presidiata efficacemente, spesso non è in grado di assicurare la sopravvivenza
stessa dell’impresa.
2
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Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
 1.3 Quali compiti
Ma quali sono i compiti che la funzione finanziaria dovrebbe svolgere in una PMI, per far si che le decisioni finanziarie siano prese correttamente?
Diversamente da quello che credono molti imprenditori, il centro focale della funzione finanziaria non dovrebbe
essere rappresentato solamente dalla problematica inerente al reperimento dei finanziamenti sul mercato, bensì
da tutte le decisioni attinenti alla gestione delle risorse di capitale in senso lato, sotto il profilo sia
dell’acquisizione o della formazione interna, che dell’impiego.
Tavola 2 – I compiti della funzione finanziaria
Funzione finanziaria
Dovrebbe occuparsi di tutte le decisioni relative alla gestione
delle risorse di capitale
Acquisizione
Formazione interna
Impiego
In linea con questa logica, quindi, anche le decisioni d’investimento dovrebbero essere ricondotte alla funzione
in esame. La finanza aziendale, infatti, sulla base dei progetti elaborati in seno ai settori operativi e considerando
lo stato attuale e futuro della tecnologia, dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali, dovrebbe essere chiamata
a studiare la convenienza ad investire o meno e, se la risposta è positiva, a scegliere questa o quella iniziativa,
tenuto conto dell’autofinanziamento interno, dei mezzi finanziari acquisibili all’esterno, del loro costo, dei livelli di
redditività che occorre raggiungere per soddisfare le attese dei soci e del mercato finanziario. Infatti, la problematica finanziaria e, di conseguenza, il contenuto della funzione, trovano ragione d’essere nel tentativo di dare
soluzione ai seguenti interrogativi:

quale dimensione e quale tasso di sviluppo l’impresa deve raggiungere?

quali specifici investimenti l’impresa deve porre in essere?

quale deve essere la struttura finanziaria dell’impresa?
La risposta razionale a questi quesiti richiede però l’esistenza di alcuni fondamentali presupposti quali:

la fissazione di un obiettivo che guidi lo svolgimento della funzione finanziaria;

la predisposizione di un insieme di elementi organizzativi (procedure per l’elaborazione e la presentazione
dei progetti di investimento) e analitici (principi di metodo per la valutazione dei diversi progetti e per
l’espressione dei fenomeni influenti sulla decisione) che indirizzino il processo di impiego nel rispetto della
finalità di lungo termine dell’impresa;

l’elaborazione di un criterio accettabile per l’individuazione della struttura ottimale dei finanziamenti, tenuto conto del costo delle varie fonti e delle altre conseguenze prodotte dalle diverse alternative di scelta;

tra i compiti del management finanziario, oltre a quelli già evidenziati, vi dovrebbe essere, infine, anche la
gestione dei flussi informativi e l’attività di programmazione e controllo.
Le aree decisionali di competenza della funzione finanziaria dovrebbero essere quindi rappresentate:

dall’area degli investimenti/disinvestimenti in capitale fisso;

dall’area dei finanziamenti a titolo di capitale di credito e di capitale proprio;

dall’area della gestione corrente;

dalla gestione integrata dei movimenti finanziari d’impresa (programmazione a brevissimo tempo − cash
management − programmazione a breve, pianificazione finanziaria).
Il condizionale è però d’obbligo nel caso delle PMI. Lo studio della realtà, infatti, mette evidenza per molte di esse
l’esistenza di una funzione finanziaria scarsamente sviluppata, esercitata in modo premanageriale, che giustifica
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3
Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
l’esistenza di diseconomie finanziarie. Alcune delle aree decisionali di cui si è parlato sono parzialmente o del tutto
non presidiate, sotto il profilo finanziario, a motivo, a volte, della loro oggettiva scarsa criticità per il raggiungimento
di una positiva performance aziendale e, più spesso, per carenze delle risorse umane ad esse dedicate.
L’imprenditore, infatti, sovente non coglie la reale portata d’azione della funzione finanziaria, confondendo con essa
la gestione dei finanziamenti e, in particolare, la gestione in chiave esclusivamente personale e relazionale del
rapporto con le banche in termini di volume e di costo del denaro.
Pur consapevoli di operare una notevole semplificazione della realtà, possiamo identificare, in prima approssimazione, uno stereotipo di funzione finanziaria che presenta sinteticamente le seguenti caratteristiche:

scarsa cultura finanziaria dell’attore-chiave della PMI che si occupa delle decisioni strategiche ed anche
operative, inerenti alla funzione finanziaria, pur essendo più preparato in altre funzioni aziendali (produzione e vendita);

scarsa (o nulla) presenza di risorse manageriali specializzate nel presidio della funzione che è, nella maggior parte dei casi, associata a quella amministrativo-contabile (anch’essa svolta in modo approssimativo
e concentrata su aspetti civilistici e fiscali rispetto a quelli gestionali);

focalizzazione sul reperimento di risorse finanziarie esterne quasi del tutto a titolo di credito e prevalentemente a breve termine e, conseguentemente, massima attenzione ai rapporti con le aziende di credito;

residualità della politica dei dividendi, essendo l’autofinanziamento una necessità strutturale per garantire
la sopravvivenza della piccola impresa in condizioni di equilibrio economico-finanziario;

scarsa attenzione alla gestione del capitale circolante e alla programmazione e al controllo dei flussi di
cassa, nonostante la tendenza della piccola impresa a subire crisi di liquidità in ragione della bassa forza
contrattuale verso clienti, fornitori ed intermediari finanziari (banche in particolare).
 1.4 Quale organizzazione e quali competenze
Come dovrebbe essere organizzata la funzione finanziaria in una PMI?
La finanza aziendale è caratterizzata da due dimensioni fondamentali:

quella operativa, che permette all’impresa di operare nel quotidiano, occupandosi della gestione del
rapporto banca-impresa, del cash management e della gestione dei rischi finanziari: il referente di questa
area è il tesoriere;

quella strategica che si occupa, in un orizzonte di medio – lungo termine, di assicurare le risorse necessarie a supporto delle decisioni strategiche. Il suo referente è il Chief Financial Officer (CFO), che ha il
compito di definire l’allocazione degli investimenti, la politica finanziaria, le decisioni di finanziamento e le
scelte di struttura finanziaria.
Tavola 3 – La distinzione tra finanza operativa e strategica
Da un punto di vista organizzativo, la configurazione della finanza aziendale dipende da molteplici fattori, quali a
titolo esemplificativo:

la dimensione e la complessità organizzativa della società o del gruppo di cui è parte;

il posizionamento della società sui mercati finanziari (società quotata o meno)
4
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Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI

il settore industriale di appartenenza (industria, servizi).
Nelle realtà imprenditoriali più evolute la finanza viene considerata un processo soprattutto strategico; ne consegue che molteplici sono le aree che vengono ricondotte sotto la responsabilità del CFO.
Tali aree sono di norma:
 amministrazione e bilancio;
 pianificazione e controllo;
 finanza;
 fiscalità.
Tavola 4 – Le aree di responsabilità del CFO
Amministrazione
bilancio
Pianificazione
e controllo
Gestione transazioni
Descrizione fedele, corretta, tempestiva dei fatti
aziendali
Organizzazione dei processi
Contabilità e bilancio
Definizione obiettivi
Pianificazione mediolungo termine
Budgeting
Reporting
Misura delle performance
Controllo
Analisi e valutazioni di
business e del processo
d’investimento
Finanza
Tesoreria
Cash management
Operazioni di finanziamento e investimento
Copertura dei rischi finanziari
Relazioni con i mercati
finanziari
Finanza straordinaria
Fusioni e acquisizioni
(M&A)
Relazioni con gli investitori
Fiscalità
Ottimizzazione del carico
fiscale
Gestione dei rapporti con
il fisco
Adempimenti corretti
Una responsabilità così ampia richiede, da parte del CFO, il possesso di alcune caratteristiche fondamentali:

visione trasversale e interdisciplinare nella gestione;

capacità di tipo manageriale sui diversi contenuti tecnico-specialistici;

capacità di gestire al meglio il rapporto con i collaboratori e con i vertici aziendali.
Tavola 5 – La visione del CFO
L’informativa economicofinanziaria (bilancio, report previsionali, ecc.)
La tesoreria e il rapporto con le banche
Il Controllo di gestione e il budget
Gli adempimenti legali,
societari e governance
Visione trasversale e interdisciplinare
nella gestione finanziaria d’impresa
Valutazione e ottimizzazione delle scelte di finanziamento
(analisi finanziarie, giuridiche e fiscali)
La gestione dei rischi
e il risk
management
La valutazione degli aspetti
tecnologici per la scelta dei
tools di gestione
La gestione delle operazioni di finanza straordinaria per la crescita per linee interne o esterne (aspetti finanziari, contrattuali,
legali, fiscali)
Nelle PMI una tale visione della finanza è purtroppo ancora poco diffusa.
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5
Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
La funzione finanza in queste imprese è storicamente legata alla figura dell’imprenditore o a quella del tesoriere
(nelle imprese più strutturate).
Ciò che domina è la visione della finanza operativa, a scapito di quella strategica.
Ne deriva una gestione finanziaria coincidente con la gestione della tesoreria, in cui il focus è rappresentato dalle
attività di carattere operativo transazionale (legata cioè agli incassi e ai pagamenti) e dall’esercizio di un controllo
più contabile che finanziario in termini di riconciliazione.
Questo modello, molto diffuso tra le imprese italiane, è anche frutto di un mercato del credito che prima della
crisi era poco selettivo; investire nella funzione finanziaria non aveva molto senso in quanto, in definitiva, poco
premiante.
Oggi però la situazione è radicalmente cambiata: ottenere credito oltre che più costoso e anche molto più difficile.
E in questo contesto avere un’area della finanza che integri sia la visione operativa che quella strategica significa
avere un significativo vantaggio rispetto alle altre imprese.
Perché ciò possa avvenire, tuttavia, è necessario che l’imprenditore si decida ad investire in risorse umane e sistemi informatici specifici e renda la funzione finanza partecipe delle scelte di vertice.
Infatti, sempre più il ruolo della funzione finanza sarà quello di comprendere bene il business, in modo da poterlo
supportare.
 1.5 Quali obiettivi
Ma quali obiettivi deve perseguire la funzione finanziaria in una PMI?
L’obiettivo che viene tradizionalmente attribuito alla funzione finanziaria è quello della massimizzazione del valore
dell’impresa. Tale finalità − che non va intesa in senso matematico, ma come valore istituzionale e quindi come
strumento di legittimazione delle scelte − non è diversa da quella perseguita dall’intera gestione aziendale la
quale ricerca la massimizzazione del profitto. In effetti il valore del capitale dell’impresa non è altro che il valore
economico d’azienda: espressione della redditività capitalizzata. Nell’assolvere al suo compito, da un punto di
vista operativo, la funzione finanziaria dovrebbe operare nel rispetto dei tre principi individuati nella tavola seguente.
Tavola 6 – La finalità della funzione finanziaria
Massimizzare il valore dell’impresa
Principio 1
Politiche di investimento
Principio 2
Politiche di finanziamento
Principio 3
Politiche dei dividendi
Investire in progetti con rendimento
atteso superiore a quello richiesto dai
finanziatori
Scegliere una struttura che garantisca la
sopravvivenza dell’impresa e la creazione di valore
Ammontare di risorse finanziarie in
eccesso da restituire agli azionisti
Se da un punto di vista generale l’obiettivo della massimizzazione del valore dovrebbe essere perseguito da tutte le imprese, da un punto di vista del comportamento reale ci si pone l’importante interrogativo se esso sia perseguito anche dalle PMI.
Tre caratteristiche ci inducono ad una risposta non positiva:
- l’incapacità della PMI di controllare il suo ambiente economico;
- il forte investimento in capitale umano che la PMI impresa presenta, di norma, rispetto alla grande;
- la tendenzialmente scarsa possibilità di vendere sul mercato un’impresa fortemente legata all’imprenditore e
al gruppo parentale.
Esse infatti, alla luce anche delle discriminazioni subite dalle PMI nel mercato dei capitali, innalzano il rischio
dell’attività imprenditoriale, portando l’imprenditore a perseguire un obiettivo di reddito a breve. La riduzione
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Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
dell’orizzonte temporale di riferimento nella definizione degli obiettivi è infatti l’unica via praticabile dal proprietario-manager per diminuire il rischio in presenza di un gap informativo e manageriale. In effetti, nelle PMI, che non
hanno la possibilità di controllare l’ambiente esterno, la logica strategica sprigiona da un’inversione dell’ottica,
passando da un approccio che cerca di predeterminare la missione dell’impresa, ad un approccio adattivo di
breve periodo.
In pratica, l’imprenditore, pur non avendo la possibilità (per carenze di tipo manageriale) di costruirsi scenari
complessi e di dotarsi di sofisticati apparati informativi, è ugualmente in grado di fare strategia senza predeterminare obiettivi di lungo periodo, ma tramite l’istintiva applicazione della cosiddetta logica dell’incrementalismo.
Quest’ultima è il risultato di una concatenazione di tattiche di adattamento alle variabili condizioni ambientali: tattiche consentite dal carattere di flessibilità della piccola impresa. Questo adattamento organico nel “durante”, di
per sé proficuo nel momento in cui garantisce flessibilità strategica, porta, però, l’imprenditore a disinteressarsi
del valore finanziario nel tempo dell’impresa.
La massimizzazione del capitale non può essere perseguita con decisioni finanziarie che molto spesso devono
essere prese in una prospettiva di breve e senza, quindi, poterne valutare pienamente:

l’opportunità finanziaria;

la convenienza economica;

i riflessi sugli aspetti economico-finanziari e patrimoniali futuri.
Quanto affermato, comunque, non ha validità generale; basti pensare alle piccole imprese ad alta tecnologia,
sostenute da società di venture capital o da fondi di private equity dove l’interesse dell’intermediario è proprio
quello di realizzare plusvalenze mediante la cessione delle proprie partecipazioni. Queste imprese, tuttavia, rappresentano una realtà trascurabile nel contesto economico italiano.
 1.6 Uno sguardo alle diverse tipologie di PMI
 1.6.1 Imprese marginali
Questa categoria di imprese minori è definita marginale a motivo di taluni connotati di arretratezza ed inefficienza
in essa rilevabili. Si tratta di imprese che, pur collocandosi all’esterno dei limiti innovativi, riescono, talvolta, anche ad operare al riparo da forti pressioni concorrenziali.
Ciò può accadere per diverse ragioni:

si avvalgono di forme di evasione fiscale e di aspetti della legislazione del lavoro che consentono la produzione a costi particolarmente bassi;

sfruttano posizioni di rendita connesse alla localizzazione dell’impresa o ai rapporti esclusivi di natura
personale dell’imprenditore con la clientela locale;

possiedono particolari abilità artigianali.
Sinteticamente, questo tipo di impresa presenta le seguenti peculiarità strategico-organizzative:

imprenditore tradizionale vicino alla figura dell’artigiano;

stretto legame impresa-famiglia;

missione: indipendenza, sopravvivenza con scarsa propensione al rischio;

settore d’appartenenza frammentato;

localizzazione nei cosiddetti distretti industriali;

mercato locale;

tecnologia labour intensive e prodotto maturo;

obiettivo economico: stabilità del reddito a breve.
Il fabbisogno finanziario si mantiene molto basso lungo tutto il ciclo di vita dell’impresa, date la non elevata intensità di capitale e la limitatezza del fatturato che non richiede notevoli investimenti in circolante. Trovandosi in
una posizione competitiva molto debole, l’impresa marginale, che non sente l’esigenza di dotarsi di una funzione
finanziaria, dovrebbe porre particolare attenzione al controllo del circolante e dei saldi di cassa; dovrebbe, inoltre, operare una oculata negoziazione delle condizioni di affidamento da parte delle banche: soggetti verso i
quali, peraltro, la sua forza contrattuale è piuttosto limitata.
Di fatto la funzione finanziaria delle imprese marginali è limitata a seguenti minimi termini:

controllo degli estratti conto;

gestione del rapporto con più banche nella speranza di ottenere migliori condizioni di finanziamento.
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Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
La valutazione degli investimenti, per lo più di rinnovo, poggia sulla considerazione degli aspetti produttivi; tali
investimenti non sono programmati e, per la copertura del relativo fabbisogno finanziario, si fa ricorso ove esistente ai finanziamenti agevolati a medio termine, al leasing e al credito bancario. La funzione finanziaria viene
svolta in maniera episodica anche nell’area dei finanziamenti e, molto spesso, date la scarsa forza contrattuale e
la mancanza di competenze specifiche, risulta determinante l’appoggio di soluzioni cooperative e consortili di
garanzia (confidi). L’appartenenza dell’impresa a reti più o meno formalizzate (reti d’impresa, distretti, costellazioni) può diminuire il gap informativo sulle fonti esterne di finanziamento e aumentare la forza contrattuale nei
confronti del sistema bancario.
Tavola 7 – La funzione finanziaria nelle imprese marginali
Imprese marginali
Non sentono l’esigenza di dotarsi di una funzione finanziaria.
Dovrebbero porre particolare attenzione:
Controllo del circolante e dei saldi di cassa
(controllo estratti conto)
Gestione del rapporto con più banche
nella speranza di ottenere migliori
condizioni di finanziamento
 1.6.2 PMI satelliti/terziste
La caratteristica principale delle imprese appartenenti a questa seconda categoria è quella di produrre per conto
di aziende di grandi dimensioni alle quali sono legate da rapporti di committenza. I settori nei quali esse operano, ad esempio plastica e meccanica, essendo caratterizzati da elevate barriere all’entrata derivanti da fattori di
scala, subordinano la possibilità di ingresso delle imprese minori allo svolgimento di attività di sub-fornitura mediante l’attivazione di rapporti con le grandi imprese e l’inserimento in quelle fasi del ciclo produttivo, caratterizzate da una bassa intensità di capitale.
La categoria in esame può essere delineata come segue:

la sua sopravvivenza è legata al raggiungimento di economie di specializzazione;

l’attenzione è focalizzata sulle attività tecno-produttive;

l’obiettivo di solito è quello della sopravvivenza nel breve periodo. Ad esso può aggiungersi quello della
realizzazione di politiche volte all’acquisizione di una maggiore autonomia nei confronti delle imprese
committenti;

le sollecitazioni al miglioramento organizzativo hanno origine esterna; basti pensare ai rapporti di collaborazione che prevedono un’assistenza variamente articolata (finanziaria, tecnico-progettuale, organizzativa)
da parte della grande impresa committente a favore della piccola impresa.
Il raggiungimento dell’equilibrio finanziario è vincolato alle strategie che le imprese committenti intendono perseguire. L’attenzione della funzione finanziaria dovrebbe concentrarsi sulla gestione del capitale circolante e dei
flussi di cassa per mantenere la stabilità di breve periodo, giacché tali imprese soltanto poche volte si pongono
obiettivi di crescita sostanziale. Tuttavia la necessità di rafforzare le economie di specializzazione su cui si basa
la loro forza contrattuale può indurle ad intraprendere investimenti di razionalizzazione produttiva che tendono
ad aumentare bruscamente l’intensità di capitale. In tale situazione, dati i bassi livelli di autofinanziamento, possono essere indotte ad iniziare un processo di crescita basato su di un forte utilizzo della leva finanziaria. La funzione finanziaria, in questo caso, deve essere notevolmente potenziata, specie nell’area degli investimenti in capitale fisso e in quella della programmazione a breve (attraverso la redazione di un preventivo a breve) per guidare il sentiero strategico intrapreso.
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Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
Tavola 8 – La funzione finanziaria nelle imprese satellitari/terziarie
Imprese satellitari/terziarie
La funzione finanziaria deve essere
notevolmente potenziata
Negli investimenti in capitale fisso
Nella programmazione a breve
attraverso la redazione di un
preventivo a breve
 1.6.3 PMI imitative
Appartengono a questa categoria quelle piccole imprese che, attraverso comportamenti imitativi, perseguono
una strategia di nicchia all’interno di settori maturi. Tali aziende si segnalano per i seguenti elementi distintivi:

i principali fattori di successo sono rappresentati: dalla capacità di individuare e collocarsi all’interno di
nicchie di mercato, da vantaggi di costo, dalle elevate flessibilità e adattabilità;

presenza di livelli limitati di managerialità, anche se alle competenze tecniche si aggiungono spesso anche competenze funzionali necessarie per una gestione dell’impresa più equilibrata dal punto di vista organizzativo;

l’innovazione (di tipo imitativo), in mancanza di attività di ricerca, si basa su operazioni di adattamento
delle tecnologie introdotte da grandi imprese ai bisogni di una specifica clientela (cosiddette innovazioni
incrementali);

i principali canali di introduzione e di realizzazione delle innovazioni sono rappresentati dall’acquisto di
know-how e di brevetti;

il loro comportamento adattivo favorisce la diffusione dell’innovazione nel sistema economico, allargando
il gruppo dei possibili utilizzatori;

le strategie aziendali perseguono obiettivi di reddito e di sviluppo, riferiti ad ambiti temporali più estesi
(medio periodo) rispetto alle imprese analizzate in precedenza.
Le opportunità innovative di cui si è parlato permettono a queste imprese di intraprendere sentieri di crescita
dimensionale o, per lo meno, di sperimentare rapidi aumenti nelle vendite di singoli prodotti (grazie alla capacità
di differenziare continuamente l’offerta) privilegiando la permanenza nella piccola dimensione. In entrambi i casi è
necessario che l’equilibrio finanziario dinamico venga perseguito secondo linee maggiormente programmate,
migliorando la funzione finanziaria attraverso l’integrazione delle diverse aree decisionali (investimenti, finanziamenti, gestione corrente). Questa tipologia di impresa evidenzia la relazione diretta esistente tra il presentarsi di
opportunità di sviluppo ed il miglioramento della funzione finanziaria. Infatti il permanere di una funzione finanziaria non presidiata con adeguate competenze e strumenti, episodica e non programmata, può essere giustificato
in imprese come quelle marginali o satelliti che raramente emergono dallo stadio di introduzione/sopravvivenza,
ma non può essere accettato in imprese come quelle imitative desiderose di cogliere le opportunità di sviluppo.
Una funzione finanziaria “artigianale”, infatti, non permette di percepire la maggiore complessità del quadro di
coerenze tra profilo finanziario e sentiero strategico degli stadi successivi a quello di introduzione/sopravvivenza,
aumentando, così, fortemente il rischio di instabilità.
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9
Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI
Tavola 9 – La funzione finanziaria nelle PMI imitative
PMI imitative
La funzione finanziaria deve migliorare
Nella gestione
degli investimenti
Nella gestione
dei finanziamenti
Nella gestione
corrente
 1.6.4 PMI a rapido sviluppo
Queste imprese, definite anche technology-based, operano in settori in fase di rapida crescita, ove le opportunità tecnologiche sono molto elevate.
Il loro inserimento in tali settori è reso possibile, da un lato, dalla creatività e dallo sviluppo di elevate e specifiche
competenze tecniche all’interno dell’azienda, dall’altro lato, dallo scarso interesse che i prodotti con mercati altamente segmentati e tecnologie non ancora stabilizzate rivestono per le grandi imprese.
I principali obiettivi perseguiti sono lo sviluppo di competenze distintive con le quali creare barriere di tipo dinamico nei confronti della concorrenza e la realizzazione di rapporti di collaborazione extra-aziendale aventi come
oggetto la ricerca, la progettazione e l’informazione tecnologica.
La struttura organizzativa delle PMI technology-based è caratterizzata, a differenza delle altre imprese, da un
maggior equilibrio tra ruoli imprenditoriali e manageriali, oltre che dalla presenza di personale specializzato che
insieme all’imprenditore si occupa dell’attività di ricerca e sviluppo.
La delicatezza della valutazione degli investimenti connessi alla realizzazione dell’idea imprenditoriale e il loro
elevato rischio comportano lo sviluppo immediato di questa area decisionale della funzione finanziaria.
Fondamentale a riguardo può essere l’intervento di investitori esterni che, oltre agli apporti di capitale di rischio,
possono offrire la consulenza necessaria alla redazione dei piani industriali. Proprio perché caratterizzate da cicli
di sviluppo accelerato queste imprese, fin dalla loro creazione, sentono la necessità di creare nel proprio interno
una tecnostruttura tale da garantire una conduzione integrata della funzione finanziaria. Questo compito a volte
viene svolto da enti esterni, finanziatori e non, per evitare un appesantimento della struttura organizzativa e permettere la focalizzazione sulle funzioni di ricerca, sviluppo e produzione. Tale soluzione è molto gradita al fattore
imprenditoriale che soltanto in stadi successivi tende ad internalizzare la funzione medesima.
Le riflessioni sin qui svolte stanno a dimostrare che non è tanto lo stadio attuale del ciclo vitale ad influenzare lo
svolgimento della funzione finanziaria, quanto le attese circa il livello e la velocità di manifestazione del tasso di
sviluppo. Quanto più alto è questo tasso tanto più tende ad essere percepita la criticità della funzione finanziaria
all’interno della piccola impresa.
Tavola 10 – La funzione finanziaria nelle PMI a rapido sviluppo
PMI a rapido sviluppo
Funzione finanziaria deve essere
molto sviluppata, può essere svolta:
Da enti esterni (finanziatori e non)
per evitare un appesantimento
della struttura
10
Internamente
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
 2.
Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Sebastiano Di Diego
C’è qualcosa di più importante
della logica: è l’immaginazione
Alfred Hitchcock
 2.1 Premessa
Come tutte le imprese anche le PMI sono continuamente chiamate a prendere, nel corso della loro esistenza,
decisioni finanziarie sia strategiche che operative.
In prima approssimazione, sono definite strategiche (o di lungo periodo) le decisioni che esercitano la propria
influenza sul comportamento dell’impresa per tre-cinque anni; di breve, invece, quelle che, riguardando la gestione di tutti i giorni, influenzando la sua operatività per un periodo più contenuto. Nelle PMI la vera decisione
finanziaria strategica è quella relativa alla struttura finanziaria.
Tavola 1 – La decisione finanziaria strategica nelle PMI
È facile osservare come le decisioni strategiche abbiano, in definitiva, la finalità di creare le condizioni necessarie
per la realizzazione dei piani di investimento e di crescita aziendale e di attivare, in via permanente, determinati
canali di finanziamento. Un esempio che illustra efficacemente la natura delle decisioni strategiche, è rappresentato dalle scelte che riguardano i modelli di proprietà. La decisione di valutare l’allargamento della compagine
sociale a soggetti diversi dalla sfera familiare, ad esempio, pone le premesse per successive operazioni di accrescimento del capitale proprio. Che queste operazioni si verifichino effettivamente nel medio andare non è importante. Ciò che qualifica come strategica la decisione è infatti solo la volontà di mettere l’azienda in condizioni
di raccogliere all’occorrenza capitale di rischio. Le correlate decisioni operative riguardano invece:

la scelta degli strumenti di finanziamento nell’ambito delle categorie del capitale proprio e del capitale di
credito;

taluni interventi sul capitale circolante destinati al controllo dell’impiego finanziario collegato alle operazioni di gestione corrente.
Il tratto distintivo delle scelte operative è che esse sono strumentali a quelle strategiche, le quali, a loro volta, sono strumentali ai piani di investimento di lungo periodo dei vertici aziendali. La valutazione della maggior parte
delle scelte operative non pone generalmente seri problemi concettuali e può essere ricollegata alla logica generale delle valutazioni economiche. Le decisioni strategiche, invece, di norma richiedono una complessa analisi
dei costi e dei benefici che non sempre può essere adeguatamente formalizzata e tradotta in termini quantitativi.
Talune PMI, comunque, incontrano limiti notevoli non soltanto nella corretta valutazione delle scelte strategiche,
ma anche di quelle operative. Al loro interno, infatti, le decisioni, promanando da un unico centro decisore, risultano essere in molti casi di tipo intuitivo-istintivo, poco o nulla formalizzate, parziali e soggettive (cioè rivolte soltanto a quegli aspetti della gestione che l’imprenditore avverte come essenziali).
Questo comportamento è estremamente pericoloso. Le decisioni finanziarie, come tutte le scelte aziendali, non
possono essere arbitrarie ma improntate al rispetto di criteri di razionalità economica.
Un primo importante principio che dovrebbe essere rispettato è quello della minimizzazione del costo delle risorse. La traduzione, però, di questo obiettivo in concrete scelte operative, comporta molte difficoltà dal momento
che andrebbero misurati, oltre ai costi espliciti delle diverse forme di copertura finanziaria, anche quelli impliciti
che, come noto, fanno riferimento agli effetti della decisione finanziaria odierna sulla raccolta successiva di mezzi. Evidentemente quantificare questo secondo tipo di costo è estremamente complesso. Un secondo principio
riguarda, invece, la necessità di formulare le decisioni finanziarie in modo da favorire la stabilità dei risultati
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
dell’azienda e l’equilibrio dei flussi monetari. Gli obiettivi della limitazione del costo delle risorse di capitale e della
ricerca della sicurezza, pur essendo distinti, sono tra loro fortemente interrelati; basti pensare al fatto che il mercato finanziario esige rendimenti crescenti dalle passività finanziarie di un’azienda all’aumentare dell’incertezza.
Conviene perciò formulare un obiettivo avente carattere più generale di modo da considerare simultaneamente
le due finalità appena indicate. Tale obiettivo può essere individuato nella massimizzazione del valore economico
dell’azienda che è conseguibile tramite scelte che riguardano tanto gli impieghi (investimenti), quanto le operazioni di raccolta (finanziamenti).
Tavola 2 – L’obiettivo delle decisioni strategiche
Decisioni strategiche
Criterio
Massimizzazione del valore
economico
 2.2 Il fabbisogno finanziario
Le decisioni finanziarie scaturiscono dall’esigenza di dare conveniente copertura al fabbisogno finanziario
dell’impresa.
Il problema finanziario presenta caratteristiche uniformi nelle varie imprese, pur essendo i processi di approvvigionamento, di produzione e distribuzione svolti secondo modalità e contenuti diversi. Variano, invece, in base
alla dimensione aziendale, le soluzioni ad esso assegnate in quanto i canali finanziari sperimentabili non sono gli
stessi per le piccole, le medie e le grandi imprese. Tutte le aziende hanno bisogno di mezzi finanziari da investire
per mantenere la propria organizzazione e per fronteggiare il divario esistente sul piano temporale tra il momento
in cui vengono sostenuti i costi e quello in cui si conseguono i ricavi. Di qui il sorgere per l’impresa della necessità di capitale, ossia del fabbisogno finanziario. Questo può essere individuato nel volume delle operazioni in corso definito dal complesso degli investimenti in attesa di essere realizzati. In proposito conviene distinguere:

il fabbisogno per investimenti che, in senso ampio, riguardano la capacità produttiva dell’azienda (cosiddetto capitale fisso);

il fabbisogno netto originato dalla sequenza delle operazioni ripetitive di acquisto-produzione-vendita, denominato fabbisogno di capitale circolante netto (working capital); si tratta principalmente degli impieghi finanziari in rimanenze e crediti commerciali, al netto dei finanziamenti concessi dai fornitori.
Tavola 3 – Il fabbisogno finanziario
FABBISOGNO FINANZIARIO
CAPITALE FISSO
Acquisire le immobilizzazioni materiali e immateriali
CAPITALE CIRCOLANTE
Alimentare il ciclo acquisto - produzione - vendite
In un contesto di crisi come quello attuale, è soprattutto la gestione del capitale circolante netto che riveste
un’importanza fondamentale.
Tale gestione, infatti, ha impatti sostanziali sull’equilibrio finanziario dell’impresa e può talvolta comportare rilevanti assorbimenti di cassa, che possono anche esaurire il monte affidamenti complessivo della società.
La posizione finanziaria netta (PFN) di un’impresa è, infatti, largamente influenzata dalla dinamica del capitale
circolante:
 un allungamento dei pagamenti verso i fornitori ad esempio, libera liquidità e di conseguenza riduce i debiti
finanziari;
12
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali

il fenomeno contrario, ovvero un ritardo negli incassi da clienti, caratteristico dei periodi di crisi, peggiora
l’indebitamento finanziario.
L’impatto della variazione del capitale circolante netto sui cash flow e quindi sulla PFN dipende da molteplici fattori:

l’andamento del fatturato: un incremento delle vendite determina generalmente una crescita del CCN
(maggiori scorte, maggiori crediti), con conseguente maggior fabbisogno finanziario; di contro una contrazione delle vendite non comporta necessariamente una riduzione del CCN in quanto potrebbero sorgere problemi quali quello di gestire e smaltire scorte non più vendibili sul mercato;

il modello di business (ad esempio produzione in serie per il magazzino rispetto a produzione su commessa) e la stagionalità della domanda, ad esempio, sono variabili che impattano sul livello delle rimanenze;

le politiche di pagamento e incasso dei debiti/crediti e la tipologia dei clienti/fornitori (ad esempio Pubblica Amministrazione rispetto a piccole-medie imprese) rappresentano invece i principali driver
dell’evoluzione dei debiti/crediti commerciali e della qualità di questi ultimi;

scenario competitivo: per poter competere sul mercato l’azienda deve fare scelte che impattano anche
sul CCN (livello di scorte, condizioni di incasso, ecc.).
Tavola 4 – L’andamento del CCN
L’andamento del CCN ha un impatto diretto sulla dinamica finanziaria aziendale;
è fondamentale monitorare e prevedere il suo andamento
Fattori che influenzano la
dinamica del CCN
Stagionalità
del business
Caratteristiche
del settore
Scenario competitivo
Principali impatti sul CCN
Può determinare picchi di CCN in determinati periodi dell’anno, con la conseguente necessità di finanziarli
adeguatamente
La prassi tipica di un certo settore e/o paese può impattare sulle condizioni di incasso e di pagamento
determinando una certa rigidità
Per poter competere sul mercato l’azienda deve fare scelte che impattano anche sul CCN (livello di scorte,
condizioni di incasso, ecc.)
Può influenzare la decisione di investire o meno in capitale circolante
Costo del capitale
Andamento
del fatturato
Un incremento di fatturato determina generalmente una crescita del CCN (maggiori scorte, maggiori crediti), con conseguente maggior fabbisogno finanziario. Di contro una contrazione delle vendite non comporta
necessariamente una riduzione del CCN in quanto potrebbe sorgere problemi quali quello di gestire e
smaltire scorte non più variabili sul mercato
Secondo l’analisi dell’Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012, il capitale circolante commerciale delle imprese è aumentato tra 2012 e 2011, sia in rapporto al fatturato (dal 17,9% al 19,2%), sia in rapporto all’attivo
(dal 21,4% al 22,4%).
Per le società di minore dimensione (microimprese con ricavi inferiori a 2 milioni di euro e PMI con ricavi compresi tra 2 e 50 milioni di euro) il capitale circolante risulta superiore rispetto a quello del 2009, ad indicare che è
in aumento il fabbisogno finanziario netto che le aziende devono soddisfare nel breve termine per sostenere
l’attività commerciale. L’indice risulta, invece, in calo e si attesta su livelli più bassi per le società con ricavi oltre i
50 milioni di euro.
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Tavola 5 – Andamento del CCN su fatturato
Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012
I tempi di pagamento desumibili dai dati di bilancio indicano che le microimprese hanno dovuto concedere nel
2012 ai propri clienti 2,3 giorni in più rispetto all’anno precedente; le PMI hanno ottenuto pagamenti leggermente più rapidi, mentre le grandi imprese hanno guadagnato quasi un giorno. Tutte le fasce dimensionali hanno invece dovuto saldare più rapidamente le fatture verso i fornitori: le microimprese in media in 93 giorni (97 nel
2011), le PMI in 99 giorni (101) e le grandi in 71,5 giorni (73).
Tavola 6 – Andamento tempi di incasso
Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Tavola 7 – Andamento tempi di pagamento
Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012
I dati di cui sopra evidenziano come la gestione del Working Capital assuma un’importanza strategica per le
PMI.
Riuscire nella sua ottimizzazione rappresenta una delle poche leve a disposizione dell’imprenditore per “liberare”
liquidità in un periodo relativamente breve, senza un programma di ristrutturazione invasivo e strutturale
Nei meandri del Working Capital, infatti, giacciono risorse finanziarie potenziali significative, che l’imprenditore,
talvolta, nemmeno lontanamente percepisce.
Tanto minore è la durata del ciclo operativo, per esempio in conseguenza di una politica commerciale volta a
diminuire le scorte (materie prime, semilavorati o prodotti finiti) o a mantenere un livello di crediti commerciali più
basso (derivante a parità di fatturato da un minore tempo di incasso dei crediti) tanto minore è l’impiego di risorse finanziarie per lo svolgimento delle attività operative; al pari una maggiore dilazione dei pagamenti, sempre a
parità degli acquisti, permette un aumento dei debiti di fornitura e, di conseguenza, una minore dipendenza
dall’indebitamento bancario.
Tavola 8 – L’ottimizzazione del CCN
STATO PATRIMONIALE
Immobilizzazioni
Attivo circolante
Rimanenze
Crediti commerciali
Debiti
Debiti commerciali
(materie prime, prodotti
in corso di lavorazione e
finiti)
(liquidità derivante dalla
vendita di prodotti)
Capitale circolante netto
Altri crediti e debiti
Liquidità
Debiti finanziari
(liquidità impiegata per
l’acquisto di prodotti)
Patrimonio netto
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
L’ottimizzazione del capitale circolante è però un’attività molto complessa, che presuppone un assessment
quantitativo e qualitativo sulle tre aree fondamentali del working capital (crediti, debiti e magazzino) al fine di individuare, lungo tutta la supply chain (acquisti, produzione e vendite), le possibili leve di miglioramento.
Tavola 9 – Le aree fondamentali del working capital
Ciclo attivo
Gestione
anagrafica clienti
Key drives:
- Controllo del credito
Ordini di vendita
Analisi merito
creditizio
- Tempi di incasso
- Fatturazione
Invio fattura
Incasso crediti
- Processo di sollecito
Ciclo magazzino
Sviluppo prodotto
Previsione vendite
Key drives:
- Planning di vendite/produzione
- Servizio di consegna
Pianificazione
produzione
Gestione
rimanenze
Spedizione e
Customer service
- Tempi di approvvigionamento - Gestione magazzino
Ciclo passivo
Ordini materie
prime
Scelta fornitori,
negoziazione
contratti
Key drives:
- Termini di pagamento
- Sconti
Valutazione
performance
fornitori
Elaborazione
contabilità
fatture
Pagamento
fatture
- Procurement process - Processo di pagamento
Fonte: PwC dicembre 2010
Con riferimento ai crediti, ad esempio, azioni importanti potrebbero essere le seguenti:

identificare controversie e criticità negli incassi, intervenendo sulle fatture scadute e sollecitando in anticipo i pagamenti da parte dei clienti;

acquisire ordini esclusivamente da clienti sui quali è stata fatta una prima verifica di solvibilità;

segmentare la base clienti secondo una matrice che contenga le informazioni relative al rischio di credito
e alla profittabilità dei singoli clienti;

prevedere termini di pagamento per tutti i clienti basati sulla media del settore dal lato dell’offerta;

allineare e ottimizzare i termini di pagamento all’interno delle stesse aree geografiche e per gli stessi
clienti;

ottimizzare la struttura dei prezzi;

prevedere, in caso di situazioni di particolare tensione finanziaria, l’anticipo su prodotti e servizi venduti,
usando la leva degli sconti;

monitorare tutti i processi interni che incidono sui tempi di incasso;

Identificare le opportunità di factoring;

ottimizzare il timing di fatturazione rispetto alle dinamiche di pagamento IVA;

ottimizzare i tempi di recupero dell’IVA su crediti non recuperabili.
Nei confronti dei fornitori, invece, sarebbe fondamentale:

verificare il database dei pagamenti per identificare doppi pagamenti, errori di fatturazione;

attribuire la responsabilità dei pagamenti alle funzioni di business, rendendole responsabili della ottimizzazione degli stessi;

operare una distinzione tra fornitori strategici e non, definendo con i primi accordi di medio lungo periodo che permettano di abbassare i costi di fornitura e di avere la certezza di un adeguato approvvigionamento, con termini di pagamento standard per tipologia di spesa;

verificare se esistono margini di trattativa con i fornitori per poter ottenere sconti e dilazioni nei pagamenti;

eliminare o comunque ridurre i pagamenti anticipati, dovuti ad inefficienze interne, oppure al comportamento dei fornitori;
16
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali

nei momenti di difficoltà finanziaria, trovare, l’accordo con i fornitori per la rateizzazione del debito a fronte
di cash on delivery e attivare una gestione centralizzata dei pagamenti e della cassa.
Dal lato delle rimanenze, infine, le principali azioni per la sua gestione efficiente potrebbero essere:

ridefinire le strategie di riordino e i livelli di stock (safety stock, cycle stock, ecc.);

sviluppare un sistema previsionale del fabbisogno delle scorte, condiviso con clienti e fornitori chiave;

analizzare i livelli di sicurezza delle scorte e i punti di riordino stabiliti per i diversi prodotti e i diversi segmenti di clientela;

rivedere i processi di pianificazione e le relative responsabilità interne per migliorare la visibilità
sull’andamento della domanda e l’accuratezza delle previsioni;

analizzare le politiche delle scorte con scarsa movimentazione e predisporre dei programmi di smaltimento e cessione delle scorte obsolete;

ridurre la frammentazione dei propri magazzini;

misurare e migliorare le performance dei fornitori.
I punti chiave di cui sopra, evidenziano come il miglioramento del capitale circolante sia un’attività molto impegnativa, in quanto richiede il superamento di consuetudini radicate e il ripensamento del modello operativo in
essere.
Nell’ottimizzazione del capitale circolante, quindi, la funzione Finanza che ha sicuramente un ruolo importante
non può essere lasciata da sola.
Il miglioramento del modello operativo esistente, richiede il coinvolgimento di tutto il management, che dopo
un’attenta valutazione dovrà cercare modi alternativi di lavorare (es. valutazione delle opzioni make or buy).
Porre in essere queste attività, può rappresentare una vera rivoluzione copernicana per le PMI e una grande opportunità di valore per gli azionisti.
Significa passare da una logica focalizzata solo sulla crescita del fatturato, ad una vera e propria cultura del cash
management.
Tavola 10 – Il valore degli azionisti
Valore degli azionisti
Crescita dei ricavi
Immobilizzazioni (PP&E)
Crediti e debiti
Magazzino
Capitale circolante
Conto fornitori
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Efficienza delle
attività/passività
Margine operativo
Magazzino
Disponibilità liquide
Debiti v/banche
Cassa
Funding
Conto clienti
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
 2.3 Gli obiettivi finanziari da perseguire
L’obiettivo delle decisioni finanziarie, come abbiamo detto, è quello di dare conveniente copertura ai fabbisogni
di fondi in relazione:

agli investimenti in capitale fisso e circolante in essere;

agli investimenti previsti nei piani aziendali;

alle eventuali esigenze di impiego aventi carattere aleatorio di entità e manifestazione temporale non precisabili.
La politica finanziaria si esplica, quindi, in una duplice area di azione:

la gestione del presente, mediante l’individuazione delle forme tecniche più convenienti di copertura dei
fabbisogni in essere;

la predisposizione delle condizioni idonee a consentire la copertura dei fabbisogni previsti nei piani e dei
fabbisogni collegati al verificarsi di eventi aleatori.
Tavola 11 – Le azioni della politica finanziaria
Copertura fabbisogni attuali
Politica finanziaria
Copertura fabbisogni previsti nei piani
Dalla definizione di politica finanziaria qui accolta discendono due importanti considerazioni: innanzitutto la politica
finanziaria è funzionale alla strategia d’insieme dell’impresa e ai piani in cui essa prende forma. In secondo luogo, la
politica finanziaria assume diversa importanza in relazione alle situazioni d’impresa e al contesto competitivo in cui
si trovano ad operare i vertici aziendali. Sicuramente il rilievo della politica finanziaria è massimo nel caso delle
grandi imprese, costrette a confrontarsi in un contesto competitivo di dimensioni sovranazionali e soprattutto in
presenza di un mercato finanziario domestico che presenta una minore funzionalità rispetto ai mercati esteri. In
questo caso, la via obbligata da seguire per tenere il passo con i concorrenti, è molto spesso una politica finanziaria che si ponga l’obiettivo di neutralizzare i differenziali nazionali, a mezzo di interventi che abbiano la finalità di
estendere la raccolta di fondi su base internazionale e operare laddove le condizioni di mercato si mostrano di volta
in volta più favorevoli.
Anche all’interno dell’aggregato PMI, l’importanza della politica finanziaria assume, tuttavia, importanza ed intensità
diversa in relazione alle varie tipologie di impresa individuabili. Nelle aziende appartenenti a settori caratterizzati da
modesti fenomeni di cambiamento e da una certa cristallizzazione del quadro competitivo (piccole imprese marginali, imitative, satelliti), la formulazione delle decisioni finanziarie pone certamente minori problemi rispetto ai casi
(PMI a rapido sviluppo) in cui le innovazioni di prodotto e di processo possono avere pesanti conseguenze sulla
posizione competitiva di un’impresa.
Nel secondo caso, infatti, il modello competitivo prevalente del settore di appartenenza, imponendo ritmi serrati
d’innovazione, fa sì che soltanto le imprese con la possibilità di accedere a mercati finanziari caratterizzati da
buone condizioni di funzionalità possano godere di un’apprezzabile posizione di forza.
 2.4 La scelta della struttura finanziaria
La decisione strategica più importante riguarda la definizione della struttura finanziaria target. Il problema
dell’individuazione del punto di equilibrio tra costi e benefici in relazione alla scelta del rapporto PFN (posizione
finanziaria netta)/Patrimonio netto è, in condizioni statiche (ossia a parità di capitale investito), incentrato sul
meccanismo della leva finanziaria.
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Tavola 12 – La struttura finanziaria target
L’idea di riferimento alla base del meccanismo della leva è questa: se il rendimento lordo dell’attivo è maggiore
del costo del credito sarà conveniente per i proprietari dell’impresa aumentare la quota dei debiti che finanziano
l’attivo, poiché con essa aumenterà anche il rendimento del capitale netto. Tale operazione è definita leva finanziaria (leverage) ed è uno strumento che le imprese sane ed in crescita possono utilizzare per migliorare la redditività netta dei mezzi propri. Ovviamente il discorso non vale se il ricorso al debito è necessario per fare fronte
a periodi di crisi o se il debito raggiunge livelli pericolosamente elevati.
Un esempio molto semplice può essere utile per capire meglio il concetto1.
Si ipotizzi il caso di un’azienda senza debito con un capitale interamente versato dai soci pari a 100.000 euro e
con una redditività costante del capitale investito del 10%. Gli utili totali generati saranno quindi 10.000 euro che
verranno distribuiti interamente ai soci.
La stessa impresa ha la possibilità di realizzare un nuovo investimento da 10.000 euro che genererà nell’anno
successivo un ritorno sempre del 10% (1000 euro).
Tale investimento potrebbe essere finanziato con le seguenti modalità alternative:

Autofinanziamento. Tale operazione scontenterà i soci nell’immediato, dal momento che questi non otterranno i dividendi, anche se nel lungo termine l’operazione sarà premiante e l’anno successivo il rendimento di ogni titolo sarà di (10.000+1000): 1000 = 11 euro. La redditività per gli azionisti sarebbe zero il
primo anno, ma dell’11% nel secondo.

Aumento di capitale riservato ad altri soci. Anche in questo caso l’effetto a breve termine sarà negativo, dal momento che il valore della partecipazione calerà. Gli utili non verranno modificati nel breve termine, ma nel lungo termine i vecchi soci non riceveranno un aumento di utili come nel caso precedente
perché i profitti extra andranno divisi con i nuovi soci.

Ricorso al debito. In questo caso utili e numero di quote restano costanti e negli anni successivi i dividendi potranno essere un po’ più generosi (anche se non come nel primo caso perché ci saranno gli interessi sul debito da pagare). Ipotizziamo che ripagare il debito costi in totale il 5% annuo, come quota
interesse + quota rimborso del capitale. Nel secondo anno dei 1000 euro di profitto aggiuntivo 500 andrebbero per ripagare il mutuo e gli altri 500 in tasca ai soci: la redditività sarebbe del 10% il primo anno
e del 10,5% nel secondo.
------------------------------------------1
L’esempio è ripreso con alcune modifiche dal sito www.borsaitaliana.it.
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Tavola 13 – Il leverage, un esempio
Il meccanismo della leva da un punto di vista matematico è, di solito, illustrato tramite la seguente espressione:







ROE = ROCE + (ROCE-i) x PFN/PN
Dove:
ROE= Reddito netto/Patrimonio netto
ROCE = reddito operativo/Capitale investito
i = costo del debito finanziario
PFN= posizione finanziaria netta
PN= Patrimonio netto
Questa equazione mette in evidenza come la leva finanziaria sia in grado, a certe condizioni, di aumentare la
redditività del capitale proprio.
L’effetto leva è legato:

alla misura dello spread (ROCE-i);

alla struttura finanziaria adottata per finanziare il capitale investito, misurata dal rapporto PFN/PN.
In particolare, se la redditività del capitale impiegato si mantiene costantemente più elevata rispetto al costo del
debito, allora l’impresa avrà convenienza a far leva sul debito per finanziare le proprie attività operative, in quanto
questa decisione consente di accrescere il rendimento dei mezzi propri.
Al contrario, se lo spread non si mantiene positivo, l’aumento dell’indebitamento determina una riduzione della
redditività del patrimonio netto.
Quale che sia lo spread iniziale, tuttavia, bisogna tener sempre presente che al crescere dell’indebitamento cresce il rischio che l’impresa non riesca a soddisfare gli impegni derivanti dal proprio indebitamento (c.d. rischio di
credito).
In questa situazione, inoltre, i finanziatori saranno disposti a finanziare l’impresa a tassi d’interesse via via crescenti, fino al punto in cui il costo del debito risulterà addirittura superiore alla redditività del capitale investito.
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Nella pratica, infatti, il fattore di rischio che più preoccupa gli interlocutori finanziari è una leva finanziaria troppo
spinta.
Tavola 14 – La leva finanziaria
Attenzione però al
rischio di credito
ROCE-i  0
Conviene
indebitarsi
ROCE-i 0
Non conviene
indebitarsi
LEVA
FINANZIARIA
L’aumento dell’indebitamento, quindi, non dà luogo solamente ad un effetto moltiplicativo del rischio economico, misurato dalla variabilità dei risultati di gestione in corrispondenza delle varie ipotesi di scenario, ma influendo
sull’equilibrio dei flussi monetari, innalza anche un altro rischio che è quello di credito in senso stretto.
Quest’ultimo, che sta ad indicare l’eventualità dell’impresa di non essere in grado di soddisfare tempestivamente le attese dei terzi finanziatori (rimborso dei prestiti e pagamento delle remunerazioni fisse a determinate scadenze), può assumere diverse intensità e modulazione. In proposito si potrebbero verificare le seguenti situazioni:

una moderata tendenza all’aumento dell’indebitamento nell’impresa in presenza di scenari sfavorevoli;

il verificarsi di una situazione di tensione finanziaria che, a seconda della gravità, potrebbe comportare:
l’esigenza di limitare certe spese ad utilità ripetuta (spese di pubblicità, di R&S); la rinuncia ad opportunità
di investimento importanti;

lo stato di insolvenza.
Merita puntualizzare che in presenza di prolungate tensioni finanziarie i vertici aziendali sono portati a limitare e
rinviare le uscite monetarie che non hanno ritorno nel breve (spese per aggiornamento tecnologico e per lo sviluppo di nuovi prodotti), compromettendo spesso la posizione competitiva dell’impresa.
Tavola 15 – La leva finanziaria
Leva finanziaria troppo
spinta
Rischio di credito
Tensioni finanziarie
Impossibilità di
effettuare investimenti strategici
L’impostazione delle scelte di struttura finanziaria sulla base dell’analisi dei costi e dei benefici rappresenta un
metodo soddisfacente sul piano razionale. Molte PMI, però, non possiedono gli strumenti conoscitivi necessari
per adottare in modo sistematico un tale procedimento di decisione. Soltanto in presenza di particolari situazioni, queste imprese affrontano il problema delle scelte di struttura finanziaria in termini di analisi costi/benefici delle forme di copertura alternative. Ciò si verifica, ad un livello intuitivo più che formalizzato, in presenza di:

strutture finanziarie fortemente capitalizzate;

fabbisogni finanziari di considerevole entità relativa.
Nel primo caso, la convenienza a modificare la struttura finanziaria è avvertita dall’imprenditore nel momento in
cui percepisce il costo-opportunità del mancato risparmio fiscale, in relazione all’assenza di oneri finanziari deducibili. In tale situazione, inoltre, l’incremento dell’indebitamento viene spesso conseguito tramite finanziamenti
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
erogati dallo stesso imprenditore. Questa scelta consente, oltre che l’ottenimento di apprezzabili benefici fiscali
in considerazione della deducibilità degli interessi2, anche di drenare utili e di non intaccare la solidità
dell’impresa: il peggioramento del rapporto di indebitamento è infatti soltanto formale. Nel secondo caso, cioè in
presenza di notevoli fabbisogni e di vincoli all’accrescimento del capitale proprio, il problema del rapporto tra
capitale di credito e capitale proprio, viene affrontato tentando una stima della dimensione massima
dell’indebitamento tollerabile in relazione al profilo di rischio dell’impresa. Questa analisi non si propone di definire la struttura finanziaria che bilancia vantaggi e svantaggi delle forme di copertura, ma soltanto di individuare,
attraverso lo studio dell’andamento di alcuni indicatori (ad esempio, di solvibilità), una soglia di sicurezza oltre la
quale sarebbe pericoloso spingersi. Al di fuori di queste ipotesi, l’imprenditore, nella scelta della struttura finanziaria, tende a dare importanza più che all’analisi costi-benefici ad altri fattori, quali:

la volontà di limitare le proprie esposizioni finanziarie;

l’esigenza di tutelare certe posizioni di controllo;

l’avversione all’idea di dividere la gestione con altri soci.
Ciò comporta, però, il manifestarsi di comportamenti talvolta inconciliabili sul piano razionale.
Ad esempio: ad una spiccata tendenza nelle PMI a trattenere utili, se ne associa un’altra, altrettanto forte, ad
evitare operazioni di aumento di capitale.
Le PMI cercano, infatti, di finanziarsi, dapprima a mezzo dell’autofinanziamento; esaurita questa possibilità, ricorrono all’indebitamento e, soltanto in ultima istanza, ricorrono al capitale di rischio.
Proprio per questa riluttanza a realizzare aumenti di capitale a pagamento gli imprenditori tendono a considerare
il tasso di autofinanziamento quale principale vincolo alla crescita, nel rispetto di un predeterminato rapporto di
struttura finanziaria.
Non si può dire, però, che si tratti di un comportamento sistematico; molte volte i ritmi di investimento sono imposti dall’evoluzione del sistema competitivo e quindi risultano svincolati dalla capacità dell’impresa di autofinanziarsi.
In questi casi le scelte di struttura finanziaria diventano molto complesse: dovendo scaturire da un processo valutativo che sia in grado di trovare un giusto equilibrio tra il rischio di deterioramento della posizione competitiva
e il rischio di una struttura finanziaria squilibrata.
A tale proposito va detto che l’impresa che decide di finanziare un rilevante programma di investimento a mezzo
di capitale di credito, dovrebbe per lo meno prestare attenzione a due condizioni:

la situazione di squilibrio tra fonti ed impieghi dovrebbe tendere a risolversi in tempi limitati, il che significa
che il periodo di recupero degli investimenti dovrebbe essere breve;

la riserva di liquidità a disposizione dell’impresa non dovrebbe essere interamente prosciugata.
 2.4.1 I criteri per definire la struttura finanziaria target
In termini molto banali, possiamo dire che un’impresa è troppo indebitata quando il livello del debito è talmente
elevato da aumentare il rischio d’inadempimento e di conseguenza da pregiudicare l’accesso al credito.
Prima della crisi le PMI, pur presentando rapporti PFN/patrimonio netto superiori a 5 (valori oggi considerati molto alti) non incontravano particolari problemi ad indebitarsi.
La loro condizione, infatti, non era considerata anomala dalle banche, in quanto:

i casi d’inadempimento erano molto bassi;

la redditività operativa reale delle imprese era spesso migliore di quanto rappresentato nei bilanci;

l’imprenditore garantiva con le sue disponibilità personali il pagamento del debito.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata.
La crisi, infatti, ha in molte imprese praticamente azzerato la redditività lorda, riducendo drasticamente la possibilità per queste di garantire il rimborso del debito e il pagamento degli interessi alle banche.
Nel 2012, ad esempio, come evidenziato dall’Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012, l’aumento del costo del denaro e la contemporanea caduta della redditività ha comportato un forte aumento del numero di
aziende per cui i margini prodotti potrebbero non essere sufficienti per onorare gli impegni con le banche.
La ricerca ha messo in evidenza un dato estremamente preoccupante: la percentuale di società per cui gli oneri
finanziari erodono oltre la metà dei margini lordi (comprese le imprese per cui il Mol è addirittura negativo) ha
------------------------------------------2
Si ricorda comunque che limiti alla deducibilità degli interessi passivi sono oggi previsti dalla normativa fiscale.
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
toccato nel 2012 il 28,8%, ben 5,4 punti percentuali in più rispetto al 2011 e 3 punti in più rispetto al precedente
massimo, osservato nel 2009.
Tavola 16 – Andamento delle imprese con oneri finanziari elevati
Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012
L’unica nota positiva in una situazione così negativa è la tendenza delle imprese, nonostante le difficoltà congiunturali, a rafforzare la propria struttura finanziaria aumentando la patrimonializzazione: i dati indicano che il
capitale netto delle imprese è risultato in aumento del 3,7% tra 2012 e 2011.
Grazie a questa tendenza e alla contemporanea riduzione dei debiti, il rapporto tra debiti finanziari e capitale netto si è attestato al 70,1% nel 2012, sette punti percentuali in meno rispetto al 2011, con riduzione degli indici
che riguardano tutte le fasce dimensionali.
Tavola 17 – Andamento delle imprese nel rafforzamento della struttura finanziaria
Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
I miglioramenti però non hanno riguardato tutte le imprese: il 36,3 % di quelle analizzate è caratterizzato da debiti finanziari che sono oltre il doppio del capitale proprio.
Tavola 18 – Andamento delle imprese con debiti finanziari molto elevati
Inoltre, nonostante la stretta sul credito e la riduzione dei finanziamenti concessi dalle banche alle imprese, per
effetto della caduta dei margini è aumentato il peso dei debiti finanziari sul Mol; tale indice nel 2012 ha raggiunto
un massimo di 5,9 punti: 0,7 punti in più rispetto all’anno precedente e 1,5 in più rispetto al 2009.
Il forte peso dell’indebitamento bancario è estremamente preoccupante, in quanto mette in luce la maggiore
esposizione delle PMI alla crisi, che è prevalentemente una crisi bancaria.
In particolare, le difficoltà del credito bancario rendono problematico il finanziamento degli investimenti di cui il
nostro sistema produttivo necessita per recuperare competitività sui mercati.
Per questo motivo è di vitale importanza il potenziamento dei canali di finanziamento alternativi per le imprese,
quali a titolo d’esempio:

il private equity;

la Borsa ed in particolare il segmento AIM, dedicato specificatamente alle PMI ad alto potenziale di crescita;

il mercato obbligazionario.
Tutti questi argomenti, comunque, saranno affrontati ampiamente nei prossimi capitoli.
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Tavola 19 – Andamento delle imprese con debiti finanziari molto elevati
I dati analizzati sono molto interessati, ma non permettono di dare una risposta alla seguente domanda che interessa gli imprenditori: cosa bisogna fare per capire se la propria struttura finanziaria è adeguata?
Per rispondere a questa domanda non servono ragionamenti troppo complessi, ma bisogna concentrarsi su
due aspetti fondamentali:

evoluzione di alcuni ratios di bilancio significativi;

l’adeguatezza del proprio livello di flessibilità finanziaria.
Riguardo al primo punto, l’imprenditore dovrebbe porre particolare attenzione ai seguenti indicatori (sono gli
stessi presi in considerazione dal Cerved nella sua analisi):



PFN/margine operativo lordo
oneri finanziari /margine operativo netto
PFN/patrimonio netto
I primi due indicatori, sono particolarmente interessanti, in quanto possono essere utilizzati per definire il livello di
indebitamento target, attraverso la loro valutazione:

in termini relativi rispetto ad aziende comparabili dello stesso settore;

in termini di evoluzione storica (ultimi 3 anni) e prospettica (prossimi 3 anni).
Calcolando, ad esempio, il rapporto PFN/margine operativo lordo, che esprime la capacità di ripagare il debito
con la redditività operativa, e confrontandolo con quello medio di settore è possibile formulare in maniera molto
immediata un giudizio sulla propria struttura finanziaria.
È evidente, ad esempio, che se tale indicatore è significativamente peggiore della media del settore, la struttura
finanziaria dell’impresa è troppo rischiosa.
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Tavola 20 – Struttura finanziaria rischiosa
In sede di definizione della struttura finanziaria target l’imprenditore dovrebbe anche considerare l’adeguatezza
del proprio livello di flessibilità finanziaria.
La flessibilità finanziaria consiste nella differenza tra la capacità d’indebitamento e l’effettivo livello
d’indebitamento raggiunto.
La capacità d’indebitamento può essere calcolata in termini indicativi sempre sulla base degli indicatori sopra
descritti, considerando i valori soglia che secondo gli analisti definiscono una situazione di equilibrio finanziario:

PFN/margine operativo lordo  non superiore a 4;

PFN/patrimonio netto  non superiore a 2.
Sulla base di questa metodologia un’azienda con margine operativo lordo di 50 e posizione finanziaria netta di
150, avrebbe un’elasticità di ulteriori 50 (50 x 4 – 150) di debito, a cui poter ricorrere, senza pregiudicare il proprio equilibrio finanziario, in caso di particolari esigenze operative.
Tavola 21 – Struttura finanziaria rischiosa
 2.4.2 Il confronto con il mercato finanziario
Da quanto detto è evidente che la struttura finanziaria ottimale è solo quella considerata tale dal mercato finanziario; tale valutazione, tuttavia, non è univoca ma influenzata fortemente dal contesto economico di riferimento
e dal soggetto che effettua la valutazione.
In termini molto generali possiamo dire che nel definire la propria struttura finanziaria l’imprenditore dovrebbe tener conto di queste semplici regole basilari:

è possibile aumentare l’indebitamento fino a quando il merito di credito rimane entro una soglia di sicurezza; per capire il livello di questa soglia bisogna confrontarsi con la propria banca oppure, se da questa
non si riesce a cavare nulla, rivolgersi a società che offrono servizi di autovalutazione del rating;

se la soglia di sicurezza è superata, bisogna aumentare i mezzi propri per l’importo necessario a riportare
il rating ad un livello soddisfacente;

bisogna ricorrere al finanziamento a medio – lungo termine per un importo che sommato a mezzi propri
sia superiore agli investimenti fissi.
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Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali
Tavola 22 – Struttura finanziaria rischiosa
Aumentare l’indebitamento
Se il merito di credito rimane entro la soglia di
sicurezza, altrimenti
Aumentare il capitale proprio
Aumentare l’indebitamento oltre i limiti giudicati accettabili dal mercato finanziario comporta negative conseguenze sul costo e sulla capacità d’indebitamento dell’impresa. Di qui la necessità, da parte delle imprese, di
adeguarsi a quei modelli di riferimento che il mercato finanziario continuamente impone. È nota però la difformità
di valutazione tra operatori di impresa e operatori finanziari:

i vertici aziendali ragionano sulla base di un quadro di riferimento più ampio e articolato ai fini
dell’apprezzamento del rischio;

la propensione al rischio dei vertici aziendali si differenzia da quella degli operatori finanziari;

gli operatori finanziari, anche se a conoscenza dei piani aziendali, possono non condividere le analisi di
chi guida l’azienda.
Qualora il limite dell’indebitamento all’impresa accettato dal mercato apparisse inferiore a quello che i vertici
aziendali giudicano di poter tollerare, si potrebbero avere due tipi di comportamento:

adeguarsi passivamente alle istanze del mercato finanziario;

tentare di ottenere il consenso in relazione al desiderato rapporto di struttura.
La seconda strada si basa essenzialmente su un’efficace informazione, intesa a divulgare a mezzo di canali appropriati le motivazioni che giustificano le scelte dell’impresa. La possibilità di ottenere apprezzabili risultati con
un tale comportamento dipende, però, soprattutto da capacità di comprendere a fondo meccanismi di formazione del giudizio degli operatori del mercato.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
 3.
Capire l’importanza del piano industriale
Sebastiano Di Diego
Tutto è prevedibile, eccetto l’imprevisto
Giovanni Soriano
 3.1 Perché è importante il piano industriale
Il piano industriale è lo strumento fondamentale per guidare la strategia e le decisioni finanziarie di un’impresa.
La stragrande maggioranza delle PMI, tuttavia, anche quando persegue delle valide strategie competitive trascura l’importanza di formalizzare e comunicare all’esterno la propria strategia. Ciò ha pesanti ripercussioni negative nel rapporto con il sistema bancario e finanziario in generale. In assenza di tale documento, infatti, i finanziatori e gli investitori non riescono a comprendere le prospettive dell’impresa, e ciò rende problematico e faticoso il loro rapporto con l’impresa.
Nelle PMI il piano industriale viene trascurato in quanto vi è l’abitudine a pianificare facendo leva sulle performance passate e sull’intuito imprenditoriale, ne consegue l’incapacità, in contesti caratterizzati da notevole incertezza come quello attuale, di gestire in maniera coerente e completa, la comunicazione con gli interlocutori
finanziari.
Tipicamente il piano industriale è stato considerato uno strumento imprescindibile soltanto nell’ambito delle operazioni di M&A (si pensi all’ingresso nel capitale dei Fondi di Private equity) oppure nell’ambito di operazioni di
quotazione in borsa.
Negli ultimi anni, tuttavia, i processi di consolidamento del sistema bancario italiano ed il rilascio di grandi piattaforme normative e regolamentari (le regole di Basilea) hanno portato questo strumento ad essere centrale anche
nel rapporto tra banca ed impresa.
Si è, infatti, passati da logiche informali di relazione e di valutazione del rischio dell’ impresa, dove per ottenere nuove
linee di credito, non è più sufficiente il bilancio d’esercizio e la presentazione di garanzie, ma serve un approccio più
strutturato e formale.
Ciò che interessa principalmente alle banche è valutare la continuità aziendale, e ciò è possibile solo attraverso
un piano industriale ben fatto.
Su questo fronte le PMI hanno un grande lavoro da svolgere. Molte di loro, infatti, devono ancora imparare molto per gestire al meglio ed in modo proattivo questa richiesta informativa.
 3.2 Il contenuto del piano industriale
In maniera molto semplice possiamo dire che un piano industriale deve illustrare in maniera efficace:

le intenzioni del management relativamente alle strategie competitive dell’azienda, alle azioni che saranno
realizzate per il raggiungimento degli obiettivi strategici;

l’evoluzione dei key value driver e dei risultati economico-finanziari attesi, accompagnati dalle relative ipotesi.
Tavola 1 – Cosa deve illustrare un piano industriale efficace
Il piano industriale ha oggi un ruolo vitale nell’ambito dello sviluppo e della gestione delle imprese, in quanto è lo
strumento fondamentale a disposizione dell’imprenditore e del management per illustrare in maniera sistematica
la propria visione imprenditoriale.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 2 – Il contenuto del piano industriale
“Ieri-Oggi”
STRATEGIA REALIZZATA
Descrizione di:
‐ impostazione strategica
operante
‐ performance realizzate
in ogni ASA
‐ fabbisogno/opportunità
di rinnovamento strategico
ILLUSTRAZIONE
ORIGINI E
PRESUPPOSTI DELLE
INTENZIONI
STRATEGICHE
“Domani”
INTENZIONI
STRATEGICHE
Scelta del management
relativamente a:
‐ ruolo nell’arena competitiva
‐ value proposition
‐ creazione del vantaggio
competitivo
COME SI INTENDE
CREARE VALORE
ACTION
PLAN
Azioni che riducono il divario
tra strategia realizzata e intenzioni strategiche; in particolare:
‐ impatto economico/finanziario e tempistica
‐ investimenti da realizzare
‐ impatto organizzativo delle
singole azioni
‐ intervento su portafoglio
prodotti servizi /brand
‐ azioni che mutano target di
clientela
‐ manager responsabili
‐ condizioni e vincoli di realizzabilità
IPOTESI
Relative ai key value driver
e ai dati prospettici conferimenti a:
‐ grandezze macroeconomiche
‐ sviluppo ricavi
‐ costi diretti
‐ costi indiretti, oneri finanziari e fiscalità
‐ evoluzione capitale investito
‐ evoluzione struttura
finanziaria
DATI FINANZIARI
PROSPETICI
Coerenti con le intenzioni
strategiche e l’Action Plan
è riferito a:
‐ SBU
‐ canali distributivi
‐ aree geografiche
‐ tipologia di clienti
‐ prodotti/servizi/ brand
EVA
Il piano industriale, inoltre, grazie al suo contenuto informativo, consente all’impresa di ottenere anche la necessaria visibilità per attirare risorse finanziarie: è infatti, il documento chiave utilizzato dai finanziatori e dagli investitori per decidere se concedere finanziamenti o impiegare i loro capitali in un’azienda.
 3.3 Tutte le imprese hanno bisogno di un piano industriale?
Assolutamente sì. Ogni impresa ha bisogno di un piano industriale.
Lo sviluppo di un dettagliato piano industriale fornisce l’opportunità di plasmare un’efficace strategia di sviluppo
aziendale, favorendo il raggiungimento di obiettivi quali:

Ottenere finanza per iniziare o espandere un’attività imprenditoriale;

Migliorare l’ organizzazione aziendale, aumentando le probabilità di successo;

Misurare il valore d’impresa nell’ambito di operazioni di M&A o di quotazione in borsa;

Creare un piano di successione manageriale per facilitare il passaggio generazionale;

Rivitalizzare l’impresa, attraverso l’identificazione di nuovi mercati e nuove opportunità di business;

Allineare gli obiettivi e le strategie all’interno delle organizzazioni più complesse;

Migliorare la gestione delle operation.
 3.4 Quali sono le finalità per cui viene redatto un piano industriale?
Come anticipato, le finalità per cui si redige un piano industriale sono molteplici; in termini generali, però, possiamo dire che la sua redazione risponde a due ordini di obiettivi:

finalità esterne: presentare un progetto ai terzi, principalmente allo scopo di reperire mezzi finanziari da
banche, potenziali nuovi soci e altri finanziatori;

finalità interne: analizzare le conseguenze delle scelte strategiche imprenditoriali.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 3 – Le finalità del piano industriale
 3.4.1 Finalità esterne
Da un punto di vista esterno, il piano industriale rappresenta innanzitutto il principale strumento per reperire fonti
di finanziamento, sia a titolo di debito che di capitale di rischio.
Esso, inoltre, serve anche per “garantire” i rapporti esistenti o futuri tra l’impresa e i suoi stakeholder.
Tavola 4 – Analisi delle attese degli stakeholder
Stakeholder
Interesse principale
Azionista
Dividendi; aumento del valore di mercato degli investimenti in azioni; pagamenti dei dividendi; partnership
Management
Stabilità del ruolo; progressi di carriera; remunerazione; status; responsabilità dell’organizzazione
Altri collaboratori
Remunerazione; condizioni di lavoro; stabilità del posto di lavoro; job satisfaction
Consumatori
Qualità dei prodotti; prezzi convenienti; continuità nell’assistenza postvendita; innovazione di prodotto
Distributori
Consegne tempestive; affidabilità dei pagamenti; immagine di marca (del produttore)
Fornitori
Continuità degli ordini; pagamenti secondo i piani
Finanziatori
Restituzione del prestito; pagamento degli interessi
Governo
Pagamento delle imposte e delle tasse; contributi all’occupazione e alle esportazioni; difesa
dell’ambiente
Società in genere
Responsabilità nei confronti della società; gli obiettivi dell’impresa non dovrebbe essere in contrasto
con quelli della società in generale
A seconda del tipo di rapporto finanziario e delle relazioni con le parti interessate, i vari aspetti di un piano industriale devono essere pesati e trattati in modi diversi.
Le banche
In termini molto semplici, le banche sono interessate ad avere da un piano industriale le seguenti informazioni:

rassicurazioni sulla continuità aziendale;

l’importo e la tipologia del finanziamento che si desidera ottenere;

come il finanziamento verrà impiegato;

la capacità dell’impresa di rimborsare il finanziamento e di pagare gli interessi;

le garanzie collaterali che possono essere fornite a tutela per il finanziamento;

la capacità dell’impresa di sopravvivere ad una battuta d’arresto dei suoi piani.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 5 – Le informazioni richieste dalle banche
Investitori di capitale di rischio
Al giorno d’oggi gli investitori di capitale di rischio (venture capital e private equity) prendono in considerazione
solo casi aziendali descritti da un piano industriale.
Durante la lettura di questo documento, gli investitori sono interessati principalmente ad individuare le effettive
potenzialità di crescita del business aziendale.
Per garantirsi un alto ritorno sull’investimento, analizzano con attenzione i seguenti aspetti:

successo dell’azienda sul mercato;

prospettive di crescita sia dimensionale che reddituale;

vantaggi competitivi;

modello di business;

esistenza della c.d. “proposta unica di vendita” dei prodotti e servizi;

fattibilità del piano;

qualità e esperienza del management.
Di fondamentale importanza sono anche le informazioni su come e in quale periodo di tempo potrebbero realizzare il ritorno sui loro investimenti, ad esempio attraverso:

la quotazione in Borsa;

la vendita ad un’altra impresa industriale o ad un altro investitore;

il riacquisto della partecipazione da parte del gruppo imprenditoriale originario.
Tavola 6 – Le informazioni richieste dagli investitori
Quotazione in borsa
Il piano industriale risulta un documento essenziale anche per soddisfare le esigenze di comunicazione finanziaria in vista di un’IPO (Initial Public Offering, cioè l’offerta di titoli al mercato connessa con una nuova quotazione
in Borsa).
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
In questo ambito il piano industriale ha come obiettivo quello di comunicare il modo in cui l’azienda intende
creare valore per i futuri azionisti.
Tavola 7 – Piano industriale – Leve per la creazione di valore
Fino a qualche anno fa la quotazione in borsa rappresentava un miraggio per le PMI. Le cose stanno cambiando
radicalmente grazie all’AIM Italia, il mercato organizzato e gestito da Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie
imprese ad alto potenziale di crescita, che negli ultimi periodi sta riscuotendo un notevole successo.
Essendo un MTF (Multilateral Trading Facility o sistema multilaterale di negoziazione), AIM Italia non rientra nella
definizione di “mercato regolamentato” ai sensi della Direttiva MiFID: non è pertanto assoggettato alla relativa
disciplina, ma è sottoposto alla disciplina regolamentare definita da Borsa Italiana.
Tale disciplina, che si basa su due Regolamenti principali (Regolamento Emittenti e Regolamento Nominated
Advisers), conferisce ad AIM Italia grande flessibilità consentendo alle PMI di accedere al mercato dei capitali in
modo più semplice e a costi più contenuti rispetto al Mercato Telematico Azionario (di seguito “MTA”).
Il successo dell’AIM, oltre che ai costi contenuti, è dovuto soprattutto alla progressiva contrazione del credito
(Morgan Stanley stima il credit crunch in Italia in circa € 60bn/anno), che ha portato le imprese più dinamiche a
esplorare canali alternativi di finanziamento per sostenere i propri progetti di sviluppo.
In una situazione di credit crunch come quella attuale, l’alternativa potrebbe essere anche l’ingresso nella società di nuovi soci forti. Una soluzione questa non molto amata dagli imprenditori italiani, che con l’ingresso di un
azionista di peso, o un fondo di private equity, rischierebbero di perdere parte del loro potere decisionale. Con la
quotazione sull’AIM questo pericolo è pressoché inesistente: i capitali freschi arrivano da una pluralità investitori,
tipicamente poco ingombranti in quanto non interessati a chiedere significative correzioni di rotta, anche a livello
di governance.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 8 – I benefici della quotazione
Finanziare
la crescita
Aumentare
la capacità
competitiva
Valorizzare
l’impresa
 Risorse finanziarie da impiegare in piani di sviluppo dimensionale (acquisizioni, rafforzamento della struttura produttiva e/o commerciale ..)
 Diversificazione delle fonti di finanziamento, con conseguente diminuzione della dipendenza dal canale
bancario
 Risorse umane molto qualificate
 Grande ritorno mediatico
 Incentiva l’ingresso di figure manageriali in azienda che affiancano e supportano la famiglia nella gestione
 La visibilità e la trasparenza degli obiettivi e dei risultati possono contribuire ad una maggior credibilità e
forza contrattuale e competitiva
 Valore oggettivo e trasparente del capitale della società, anche al fine di utilizzo dello cambio di azioni
per acquisizioni e/o alleanze strategiche
 La liquidità delle azioni e la trasparenza di valore agevolano l’ingresso di nuovi azionisti e l’eventuale
uscita di azionisti non più interessati alla permanenza del capitale della società (passaggio generazionale)
Mini bond
In una situazione di significativa contrazione del credito bancario, in parte da considerarsi strutturale, le PMI, oltre alla quotazione in borsa, stanno guardando con molto interesse anche alle novità previste dal decreto legge
22 giugno 2012, n. 83 (convertito con legge 7 agosto 2012, n.134, e successivamente modificato dal decreto
legge 179/2012, Decreto Sviluppo bis).
Tale provvedimento ha introdotto l’opportunità per le PMI di finanziarsi direttamente sul mercato dei capitali mediante l’emissione di strumenti di debito a medio-lungo termine (cambiali finanziarie e obbligazioni).
Tavola 9 – Cambiali finanziarie e MiniBond a confronto
Cambiali finanziarie
Funding a breve termine (attivo circolante)
Obbligazioni (MiniBond)
Debito a medio termine (piani di sviluppo e/o investimenti
straordinari)
Durata tra 1 e 36 mesi
Durata non inferiore a 36 mesi
Ammontare emesso inferiore all’Attivo Corrente
Nessun limite di emissione (se quotate)
Riservate a investitori professionali di diritto o su richiesta (secondo definizione Mifid) non soci con più del 2% del capitale
Possibilità di dematerializzazione e quotazione su mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione
Per favorire il successo di questi strumenti il legislatore ha previsto significativi vantaggi sia per le aziende emittenti sia per gli investitori.
Tavola 10 – I vantaggi dell’emissione di strumenti di debito a medio-lungo termine
Vantaggi per l’Azienda emittente
Ambito civilistico
Eliminazione dei limiti previsti dall’articolo 2412 del codice civile (doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili)
alle emissioni obbligazionarie quotate
Trattamento fiscale
1. Deducibilità degli interessi passivi entro il 30% del ROL ◦titoli quotati e
negoziati su mercati regolamentati o piattaforme multilaterali di negoziazione titoli non quotati, a condizione che circolino tra investitori qualificati
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Vantaggi per gli investitori
In caso di titoli quotati:
 Esenzione dall’applicazione della ritenuta alla fonte
sugli interessi ed altri proventi per gli investitori
esteri residenti in Paesi white list.
 Erogazione dei proventi al lordo dell’imposta, per i
soggetti lordisti residenti in Italia.
 In caso di titoli non quotati:
˗ esenzione dall'applicazione della ritenuta in
caso di investitori qualificati.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
2. Deducibilità delle spese di emissione dei titoli, nell’esercizio in cui
sono sostenute
3. Esenzione dall’imposta di bollo per le cambiali finanziarie emesse in
forma dematerializzata.
Per convincere gli investitori, tuttavia, questi vantaggi non sono sufficienti: l’impresa emittente dovrà anche essere in grado di dimostrare attraverso il suo piano industriale:

la sostenibilità finanziaria dell’indebitamento e la sua solidità patrimoniale;

elevati tassi di crescita attesi;

la presenza di vantaggi competitivi relativamente al prodotto/mercato

l’esistenza di un management Team stabile e con una comprovata storia di successi;

l’utilizzo dei proventi coerente con il core business.
Di seguito, ad esempio, si riportano i criteri che il Fondo Minibond PMI Italia utilizza per selezionare le aziende
target su cui investire.
Tavola 11 – Criteri impiegati dal Fondo MiniBond PMI Italia per la selezione delle aziende target
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
 3.4.2 Finalità interne
Il piano industriale è uno strumento di gestione fondamentale, in quanto aiuta a pensare strategicamente.
Tavola 12 – Vantaggi del piano industriale
Molti piccoli imprenditori ritengono che la pianificazione strategica o di lungo periodo è qualcosa che interessa
soltanto le grandi imprese. Sbagliano.
Quale che sia la loro dimensione, le imprese che sopravvivono e prosperano sono solo quelle che soddisfano le
esigenze dei propri clienti, offrendo loro vantaggi a prezzi che permettono non solo la copertura dei costi ma
anche la generazione di un profitto. Per fare questo in modo efficace, facendo sì che le competenze di business
intercettino le opportunità create dal mercato, le imprese devono innanzitutto definire la propria missione e i
propri obiettivi.
Tutte le imprese, e non solo le grandi, devono avere uno scopo. Per alcune, è semplicemente fare soldi; per altre è raggiungere determinati livelli di attività o un certo numero di clienti.
Alcune, addirittura, incorporano anche una dichiarazione di valori: molte delle aziende di maggior successo sono
permeate da una vera e propria ideologia che fornisce l’ispirazione e la guida per la loro attività.
La definizione degli obiettivi è il pre-requisito di una efficace pianificazione: sono, infatti, gli obiettivi, o meglio la
“visione”, che indicano “dove l’impresa sta andando”.
Gli obiettivi possono essere definiti in vario modo, in termini di crescita, di confronto con i concorrenti, d’impatto
sociale ecc.
Gli obiettivi aziendali, inoltre, devono tipicamente soddisfare le esigenze di tre gruppi di persone: i proprietari
dell’impresa, il personale ed i clienti.
Ciascuno di essi ha specifiche aspettative:

i proprietari sono alla ricerca di un ritorno sul capitale investito in azienda;

il personale è alla ricerca di ricompense economiche per i sui sforzi, di opportunità di carriera e di un ambiente in cui sia bello lavorare;

i clienti sono alla ricerca di un prodotto o di un servizio che risponda ai propri bisogni e che presenti un
buon rapporto qualità/prezzo.
Per avere successo, un’impresa deve avere un’idea di come poter raggiungere i propri obiettivi. Tale idea può
essere formulata grazie all’elaborazione di un piano industriale.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
 3.5 Quali sono i vantaggi che si ottengono dalla redazione di un piano industriale?
 3.5.1 Aiuta a pensare in modo sistematico e a definire strategie intenzionali
Sicuramente il vantaggio più importante è che attraverso la preparazione del piano industriale si ottiene una visione integrata della propria azienda o del proprio progetto imprenditoriale.
In un unico documento, infatti, devono essere sintetizzate tutte le informazioni fondamentali di un’impresa o di
un progetto imprenditoriale: la strategia, i prodotti, la tecnologia, il mercato, i concorrenti, le risorse umane e gli
aspetti economico-finanziari.
Se correttamente concepito e predisposto, quindi, il piano industriale diventa il documento fondamentale per
valutare e gestire un’impresa o un progetto imprenditoriale, in quanto costringe a pensare in modo sistematico e a fornire una sintesi completa degli obiettivi fissati, delle azioni da intraprendere, degli aspetti economici e finanziari e delle risorse necessarie.
Il processo di pianificazione industriale, in altre parole, se gestito adeguatamente permette di: conoscere i punti
di forza e di debolezza di un’impresa (o di un progetto), individuare le decisioni necessarie e formulare una strategia mirata ed efficace.
Tavola 13 – Il piano industriale aiuta a formulare le strategie aziendali
Ciò è particolarmente importante nelle PMI, dove i manager e gli imprenditori sono troppo concentrati sui problemi operativi e amministrativi e pochissimo tempo viene dedicato all’analisi strategica:

delle dinamiche settoriali;

dei comportamenti dei competitor;

delle opportunità.
Le decisioni strategiche vengono messe in secondo piano rispetto alle decisioni operative perché apparentemente non sono “urgenti”.
L’elaborazione del piano industriale è l’occasione per superare questa logica negativa, facendo si che il vertice
aziendale si riappropri del suo ruolo fondamentale, che in definitiva è quello di:
Definire in che modo l’azienda intende creare, accrescere o mantenere il proprio vantaggio competitivo, generando valore per i soci.
In questo senso, quindi, il processo di pianificazione industriale può essere visto come uno strumento molto potente per la definizione di strategie intenzionali, volte garantire la sostenibilità del vantaggio competitivo.
 3.5.2 Preparazione al confronto con il mercato finanziario
La redazione del piano industriale, rappresenta una vera e propria palestra per allenarsi a spiegare e difendere
le proprie scelte strategiche nei confronti delle banche e del mercato finanziario.
Si riduce così il rischio che esse non siano adeguatamente comprese e, per questo solo fatto, non approvate.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 14 – Il piano industriale migliora la propria convinzione nei confronti del mercato finanziario
 3.5.3 Individuazione degli obiettivi del sistema incentivazione
Gli obiettivi economico-finanziari e competitivi indicati nel piano industriale, dovrebbero costituire anche la base
di riferimento per la definizione del piano degli incentivi (bonus e altre componenti variabili della remunerazione)
collegati all’andamento delle performance aziendali.
Il sistema d’incentivazione, infatti, mira ad incrementare la performance dell’impresa attraverso un allineamento
fra obiettivi personali dei dipendenti e obiettivi aziendali che, come detto, trovano naturale rappresentazione
proprio nel piano industriale.
L’introduzione di un sistema formale d’incentivazione può produrre ottimi risultati, in quanto le persone lavorano
meglio quando sanno che cosa ci si aspetta da loro e possono fissare i loro obiettivi personali in considerazione
degli obiettivi organizzativi.
Tavola 15 – Il piano industriale aiuta a ridefinire il piano degli incentivi
Affinché tale metodo attecchisca è però fondamentale:

il perseguimento di una chiara strategia di lungo periodo, che valorizzi al massimo potenzialità e risorse dell’organizzazione aziendale;

la crescita culturale, ad ogni livello, del management aziendale;

l’introduzione di sistemi di misurazione della performance.
 3.6 Chi lo elabora e chi partecipa?
La risposta a questa domanda dipende molto:

dal tipo di business;

dalla struttura e dalle dimensioni dell’impresa;

dagli obiettivi che vengono perseguiti.
In termini generali, possiamo dire che in una società molto piccola, il lavoro di pianificazione e la redazione del
piano industriale dovrebbero essere una prerogativa del vertice aziendale (i proprietari e, se esistono, i manager)
Nelle organizzazioni più grandi, invece, i contributi dovrebbero provenire da molte più persone.
Una regola generale che sarebbe utile seguire in tutte le situazioni, è la seguente: più persone vengono coinvolte
(ovviamente con intensità diversa a seconda delle responsabilità) nella preparazione del piano industriale, migliori
sono i risultati che si raggiungono.
Il processo di pianificazione dovrebbe rendere partecipi tutte le persone che hanno un ruolo chiave o delle responsabilità importanti in azienda (o relativamente allo specifico progetto).
Il loro coinvolgimento, soprattutto nella fase iniziale del processo, ha senso per motivi non solo tecnici ma anche
psicologici e di team-building.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Nessun piano può essere implementato con successo se le risorse umane chiave non si identificano con gli
obiettivi ed i mezzi impegnati; al contrario, l’approccio di mobilitare una parte consistente dell’organizzazione ha
il vantaggio di stimolare la consapevolezza e la motivazione della società nel suo complesso.
Tavola 16 – I soggetti che possono redigere il piano industriale
Chi redige il piano industriale? Imprenditore o promotore di una nuova idea È il fulcro del processo di Piano industriale Management Il suo coinvolgimento garantisce la migliore analisi dei dati e la partecipazione psicologica al progetto Consulenti Necessari per analisi e giudizi su aspetti specialistici Nelle realtà più piccole possono anche coordinare i processi di aggregazione dei dati
 3.7 A chi è rivolto/a chi serve?
Tra i lettori del vostro piano industriale ci saranno molto probabilmente, gli amministratori e i soci della società, i
dipendenti chiave, i partner commerciali, i finanziatori e gli investitori attuali o potenziali.
Quali parti del piano industriale distribuire e a quali persone dipende dal grado di riservatezza del documento e
dalla particolare responsabilità delle persone interessate.
Se il piano industriale include informazioni su decisioni strategiche confidenziali o riservate, la distribuzione delle
copie dovrebbe essere molto selettiva e riguardare solo i soggetti che si è sicuri non divulgheranno le informazioni senza il vostro consenso. In alcuni casi, si può richiedere al destinatario di firmare una dichiarazione di riservatezza.
Indicativamente possiamo dire che il piano industriale si rivolge tipicamente ai soggetti individuati nella tavola che
segue.
Tavola 17 – I destinatari del piano industriale
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
 3.8 Quali sono le fasi del processo di pianificazione?
Il piano industriale non è un documento da mettere su uno scaffale e dimenticare, una volta preparato.
La pianificazione dinamica, di cui il piano industriale è lo strumento principale, dovrebbe essere parte integrante
della gestione di qualsiasi azienda.
Le imprese di maggior successo preparano ogni anno il piano industriale, riferito ad un arco temporale di tre –
cinque anni.
Ciò comporta l’aggiornamento del piano industriale dell’anno precedente, mettendo a confronto i valori e gli
obiettivi previsti con i risultati raggiunti e tenendo conto dei cambiamenti, delle nuove informazioni, delle esperienze e delle nuove idee.
Le fasi di un processo di pianificazione industriale sono tipicamente le seguenti.
Tavola 18 – Le fasi del processo di pianificazione industriale
 3.8.1 Valutare la situazione
Questa fase richiede la valutazione di come i clienti, i partner, i concorrenti e i fornitori visualizzano la vostra
azienda. Questa fase dovrebbe dare risposta alla seguente domanda:
“DOVE SIAMO ADESSO?”
Dovrebbe anche essere un esercizio onesto e autocritico per rispondere alle altre fondamentali domande che
tutti gli uomini d’affari dovrebbero porsi regolarmente:
“Quali sono i nostri principali punti di forza e di debolezza?”
“Che cosa possiamo fare bene e cosa non dovremmo mai fare?”
“Quali sono i principali errori che abbiamo fatto in passato e che cosa possiamo imparare da loro?”
“Il numero dei nostri errori è ragionevole?”
 3.8.2 Sviluppare la mission
Prima di procedere oltre, sarebbe molto importante cercare di formulare una chiara dichiarazione di missione
della vostra azienda. Sviluppare la mission è spesso la parte più preziosa del processo di pianificazione industriale, dal momento che può cambiare o riconfermare la direzione di marcia della vostra azienda.
La mission è destinata a fornire un senso di scopo e agisce come strumento per comunicare dove l’impresa si
sta dirigendo. Gli azionisti, i dipendenti e i partner commerciali, tuttavia, saranno motivati a sostenerla soltanto
se ne conosceranno profondamente il contenuto.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
La vostra visione definisce come vi vedete nel futuro lontano. Esprime ciò che si desidera che l'azienda diventi. Una visione
condivisa da tutte le persone coinvolte in azienda è un fattore importante per il successo della vostra attività.
La vostra missione definisce la guida generale da seguire per realizzare la visione. Si focalizza sul presente e sull’immediato
futuro e sottolinea i benefici che la vostra azienda porterà ai clienti, ai dipendenti, agli azionisti e alla comunità intera.
La vostra filosofia esprime i valori e le credenze che compongono la vostra cultura aziendale.
 3.8.3 La preparazione del lavoro
Dopo aver definito la mission e la filosofia aziendale, il vero e proprio lavoro di preparazione del piano industriale
può prendere avvio.
Prima di iniziare, però, alcune questioni preliminari dovrebbero essere affrontare per porre le basi di un buon lavoro:

nomina di un coordinatore. Deve essere individuata la persona che avrà il compito di coordinare il processo di pianificazione e assicurare che la predisposizione del documento finale avvenga nei tempi prestabiliti.

individuazione di un facilitatore. Nelle situazioni più complesse, può essere utile valutare il coinvolgimento di un facilitatore esterno che abbia esperienza di processi di pianificazione industriale.
Una persona esterna (ad es. un professionista di fiducia), neutrale e indipendente, può essere utile per
moderare riunioni in cui le posizioni e le opinioni dei partecipanti sono divergenti, favorendo l’approdo a
posizione condivise nonché la qualità dei processi di aggregazione e selezione dei dati.
Questa persona dovrebbe essere a conoscenza delle finalità del piano industriale e comprendere le esigenze dei lettori a cui è destinato.

individuazione dei membri del team. Di fondamentale importanza è l’individuazione delle persone che
saranno coinvolte nell’elaborazione del piano industriale, definendone i ruoli, le competenze, le responsabilità e soprattutto i contributi e risultati attesi.

definizione delle fasi. È molto importante, poi, definire con cura le fasi del processo, la loro tempistica ed
il calendario generale del lavoro.

raccolta delle informazioni. Vanno, infine, raccolte e opportunamente organizzate tutte le informazioni
disponibili (indagini di mercato, relazioni sulle concorrenza, nuovi sviluppi tecnologici, ecc.), interne o
esterne (associazioni di categoria, banche dati, consulenti specializzati ecc.), utili per alimentare il processo di pianificazione industriale.
 3.8.4 La definizione degli obiettivi
Stabilire, in via preliminare, gli obiettivi generali per il futuro sviluppo dell’azienda è un prerequisito per la preparazione di qualsiasi piano industriale. Sebbene siano destinati ad essere aggiornati durante processo iterativo di
pianificazione industriale, tali obiettivi hanno grande valore in quanto definiscono il “tono” e lo “spirito” del successivo lavoro, durante il quale gli assunti errati, le aree di debolezza e le incoerenze verranno corretti e il progetto strategico originale sarà integrato e migliorato.
Gli obiettivi dovrebbero essere realistici, misurabili e riferiti ad uno specifico orizzonte temporale.
Esempi di tali obiettivi potrebbero essere i seguenti:

nei prossimi tre anni, aumentare il volume delle vendite in media del 20 per cento l’anno, intensificando
lo sforzo di marketing e vendita nel paesi c.d. bric;

nel corso del prossimo anno, ridurre i costi di produzione del 10 per cento attraverso una maggiore automazione delle linee di produzione;

entro la fine del secondo anno di pianificazione lanciare tre nuovi prodotti sul mercato italiano.
 3.8.5 Elaborazione del piano industriale
L’elaborazione del piano industriale comporta sostanzialmente la sintesi e l’armonizzazione degli obiettivi particolari riferiti alle diverse funzioni aziendali (marketing, vendite, ricerca e sviluppo, produzione, operations e finanza).
Questo lavoro di “matching” si svolge generalmente all’interno di un processo che abbiamo definito iterativo, in
quanto deve condurre alla completa coerenza di tutti gli elementi del piano industriale.
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41
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Un piano industriale è coerente soltanto se esistono nessi causali tra tutte le informazioni e le proiezioni in esso
contenute (es. intenzioni strategiche, l’Action Plan, le ipotesi poste a fondamento delle proiezioni economicofinanziarie e i dati finanziari).
 3.8.6 Fissare gli obiettivi delle risorse umane
Una delle cose più intelligenti che potete fare dopo aver completato il vostro piano industriale, è usarlo come
base per la definizione degli obiettivi da assegnare alle risorse umane.
L’obiettivo del responsabile vendite, ad esempio, dovrebbe essere quello di raggiungere i volumi di vendita stabiliti nel piano industriale; quello del responsabile di produzione di soddisfare gli standard di qualità e la produttività previsti nello stesso documento e cosi via per gli altri responsabili.
Il percorso in concreto dovrebbe essere il seguente:
Definizione degli obiettivi strategici nel piano industriale
Traduzione in obiettivi operativi di settore
Traduzione in obiettivi individuali
 3.8.7 Il monitoraggio del processo
Il sistematico monitoraggio del grado di attuazione del piano industriale è un fattore molto importante per il successo della vostra azienda. I piani operativi, i sistemi di monitoraggio e il feedback costante dovrebbero essere
integrati tra di loro per garantire la corretta attuazione del piano e la realizzazione dei suoi obiettivi.
La partecipazione a questo processo può avere una profondo effetto sul modo in cui i membri del team vedono
il loro ruolo in azienda, e può avere un impatto immediato sulle loro prestazioni.
Se il piano industriale una volta predisposto viene riposto e dimenticato in un cassetto per un anno, è inevitabile
che i dipendenti non vi prenderanno più sul serio quando parlerete di nuovo dell’importanza della pianificazione
aziendale.
 3.9 I numeri sono il riflesso delle vostre decisioni
Un piano industriale senza proiezioni economiche finanziarie è come una macchina senza le ruote: non andrà da
nessuna parte.
La pianificazione economico-finanziaria è un elemento chiave del piano industriale; ed è importante tanto per voi
quanto per i finanziatori, gli investitori o i partner a cui vi rivolgete.
Gli imprenditori che si accingono a redigere o a partecipare alla redazione di un piano industriale di solito rientrano in due categorie: quelli che sono affascinati dai numeri e quelli che ne sono spaventati.
Se appartenete alla prima categoria, sarete probabilmente felici di aver raggiunto finalmente questo capitolo.
Se invece appartenete alla seconda, sarete probabilmente intimiditi dalla prospettiva di dover studiare e comprendere i prospetti contabili che presenteremo di seguito.
Fatevi coraggio: i numeri non sono né magici, né misteriosi né minacciosi; semplicemente, essi riflettono le altre
decisioni che avete preso nelle altre sezioni del piano industriale.
Se avete deciso di produrre un nuovo prodotto, di spostarvi in nuovi mercati, di sostituire i vostri macchinari, di
cambiare le vostre politiche di gestione del personale o di modificare il vostro investimento pubblicitario, dovete
sapere che ad ognuna di queste decisioni si ricollegano dei numeri.
In definitiva, le vostre decisioni e le vostre ipotesi si riflettono nelle proiezioni economico-finanziarie del piano industriale.
Ogni decisione aziendale è legata a dei numeri; mettendo opportunamente insieme tutti i numeri aziendali otterrete i prospetti economici, patrimoniali e finanziari del piano industriale.
Tali prospetti dovranno servire per valutare la bontà del vostro progetto, fornendo almeno le seguenti informazioni minime:

la redditività aziendale e la capacità di produrre flussi di cassa nel periodo di piano;

i possibili rischi finanziari connessi all’iniziativa;

le risorse finanziarie necessarie per sviluppare l’impresa, specificando, se a titolo di credito, quando ne
avrete bisogno e come le restituirete.
42
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
 3.10 Le c.d. assumption
Il piano economico-finanziario è una sezione molto critica del piano industriale, in quanto traduce tutte le informazioni quantitative e qualitative contenute nelle altre sezioni in risultati economici e finanziari di sintesi.
Il vostro piano industriale sarà valutato proprio sulla base delle ipotesi e dei prospetti economico-finanziari in esso contenuti, che devono essere redatti in coerenza con gli obiettivi strategici dichiarati.
Particolare importanza assume l’indicazione delle c.d. assumption (ipotesi relative ai Key piano industriale driver
e ai principali dati previsionali) sulla base dei quali vengono definiti gli obiettivi quantitativi da raggiungere negli
esercizi successivi.
Il piano industriale, in particolare, deve contenere l’indicazione delle:

ipotesi di fondo riguardanti grandezze macroeconomiche (tasso di inflazione, tassi di cambio, ecc.);

ipotesi alla base dello sviluppo dei ricavi;

ipotesi alla base dei costi diretti;

ipotesi alla base dei costi indiretti (ad esempio spese generali, costi di comunicazione, ammortamenti),
degli oneri finanziari e della fiscalità;

ipotesi alla base dell’evoluzione del capitale investito, sia fisso sia circolante;

ipotesi alla base dell’evoluzione della struttura finanziaria e della copertura dell’eventuale fabbisogno finanziario.
La definizione delle ipotesi costituisce uno dei momenti più importanti dell’intero processo di piano industriale:
dalla loro fondatezza, infatti, dipende la qualità delle stime che verranno elaborate successivamente.
Per formulare le ipotesi di piano, il punto di partenza di solito è l’analisi dei dati storici relativi agli ultimi tre esercizi, volta a verificare l’esistenza di:

valori percentuali relativamente costanti nel tempo (ad esempio l’incidenza dei costi operativi sul fatturato);

trend registrati negli ultimi esercizi che hanno valenza anche per il futuro;

azioni destinate ad avere degli effetti significativi sui valori prospettici, come, ad esempio, investimenti effettuati che non hanno ancora espresso i loro effetti, integrazioni di società acquisite, l’ingresso di nuove
risorse umane, ecc.
Le informazioni di cui sopra, ovviamente, devono essere aggiornate alla luce dei nuovi programmi aziendali e
delle mutate condizioni ambientali esterne (contesto macro-economico, contesto competitivo ecc.).
I destinatari del piano industriale sono molto interessati a queste informazioni: infatti, vogliono capire come siete
arrivati alle vostre proiezioni ed essere convinti che le ipotesi siano ragionevoli ed accurate.
Se, per esempio, avete indicato le vendite ad un certo livello, confronteranno questo dato con quelli che avete
ipotizzato per il mercato nel suo complesso e per la vostra quota.
Se queste previsioni sembreranno realistiche, aumenterete la vostra credibilità; se, invece, sembreranno non
accurate o troppo ottimistiche, il lettore sarà portato a valutare il vostro piano industriale con grande scetticismo.
In sede di formulazione delle ipotesi, quindi, la loro attendibilità va valutata molto criticamente, ad esempio tenendo conto della compatibilità con il contesto competitivo, con i risultati storici, e così via.
Un possibile approccio che potete utilizzare in sede di “selezione” delle assumption è riportato nella tavola seguente.
Tavola 19 – Metodo di selezione delle assumption
KBPD
Ipotesi principali
Vendite
Costi
CCN
Imposte
 prudente  realistica  aggressiva
Commenti
Qualità delle ipotesi



Individuate i c.d. Key Business Driver, ossia le macro voci che hanno un grande impatto sul vostro piano industriale, e con riferimento a ciascuno di essi formulare le principali assunzioni (es. il DSO scenderà da 160 a 150
giorni), accompagnandole con commenti qualitativi sulla loro attendibilità o rischiosità e da un indicatore di sintesi, la cui funzione è quella di segnalare al lettore il livello di criticità.
Una volta definite le assumptions, il successivo passo è la redazione dei prospetti previsionali relativi agli anni
compresi nel periodo di pianificazione.
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43
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Questa fase consiste nella traduzione in termini economici (costi e ricavi), patrimoniali (Investimenti e passività) e
finanziari (entrate e uscite di cassa) delle vostre scelte operative (obiettivi e azioni).
Il consolidamento di tutti questi valori avviene attraverso la formazione di tre documenti distinti ma fortemente
correlati:
Il Conto Economico previsionale
Lo Stato Patrimoniale previsionale
Il Rendiconto finanziario previsionale
 3.11 Il Conto Economico previsionale
Deriva dal consolidamento dei ricavi e dei costi previsti nei piani operativi (commerciale, produzione, acquisti,
investimenti, ecc.).
Si tratta di un conto economico gestionale, la cui struttura deve essere definita in base alle caratteristiche della
vostra impresa ed alle esigenze informative che volete soddisfare.
Dovrebbe essere redatto in forma scalare in modo da evidenziare risultati economici parziali di grande valenza
informativa, quali margine industriale, EBITDA, EBIT ecc.
Da questo prospetto risulterà la validità economica e reddituale delle scelte che la vostra azienda si appresta a
mettere in atto.
A che cosa serve:
Individuare come la l’impresa “performerà” dal punto di vista delle vendite e dei costi
Misurare i ritorni economici dell’impresa nel periodo di piano
Le tavole seguenti evidenziano due delle possibili articolazioni del conto economico previsionale; gli schemi proposti prevedono il confronto dei dati previsionali (E) con quelli storici (A) relativi agli ultimi tre esercizi.
Tavola 20 – Conto economico – configurazione a costo del venduto (valori in milioni di euro)
20X0A
20X1A
20X2A
20X3E
20X4E
20X5E
Ricavi totali
Costo materie prime
Costo di produzione
Costo del venduto
Margine industriale
% Ricavi totali
Costi commerciali
Spese generali e amministrative
EBITDA
% Ricavi totali
Ammortamenti
EBIT
% Ricavi totali
Oneri finanziari netti
Utile ante imposte
% Ricavi totali
Imposte
Utile netto
% Ricavi totali
44
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 21 – Conto economico – configurazione a valore aggiunto (valori in milioni di euro)
20X0A
20X1A
20X2A
20X3E
20X4E
20X5E
Ricavi totali
Variazione rimanenze prodotti finiti
Incremento immobilizzazioni
Valore della produzione
Acquisti di materie prime, sussidiarie e merci
Variazione materie prime, sussidiarie e merci
Spese per servizi e oneri diversi
Costi beni e servizi utilizzati
Valore aggiunto
% Ricavi totali
Costo del personale
Accantonamenti e svalutazioni
EBITDA
% Ricavi totali
Ammortamenti
EBIT
% Ricavi totali
Oneri finanziari netti
Utile ante imposte
% Ricavi totali
Imposte
Utile netto
% Ricavi totali
 3.12 Lo Stato Patrimoniale previsionale
Mostra l’evoluzione della composizione del capitale investito nell’attività d’impresa e le fonti di finanziamento a
cui si farà ricorso.
Dovrebbe essere redatto secondo il criterio funzionale (i valori vengono aggregati in base alle aree gestionali che
li hanno generati), in maniera che sia direttamente collegabile con il rendiconto finanziario.
A che cosa serve:
Descrivere l’andamento del capitale circolante e degli investimenti nel periodo di piano
Mostrare l’evoluzione della struttura finanziaria dell’azienda
Nella tavola seguente si propone un possibile schema di stato patrimoniale pro-forma.
Tavola 22 – Stato patrimoniale – configurazione secondo il criterio funzionale (valori in milioni di euro)
20X0A
20X1A
20X2A
20X3E
20X4E
20X5E
Rimanenze
Crediti commerciali
Debiti commerciali
Fondi e altro
Capitale circolante commerciale
Immobilizzazioni materiali nette
Immobilizzazioni immateriali nette
Immobilizzazioni finanziarie nette
Totale immobilizzazioni nette
Liquidità immediate gestione extracaratteristica
Immobilizzazioni gestione extracaratteristica
Passività gestione extracaratteristica
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45
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Capitale investito netto di gestione extracaratteristica
Capital employed
Posizione finanziaria netta (PFN)
Patrimonio netto
 3.13 Il Rendiconto Finanziario previsionale
Il vostro piano industriale sarà valutato dai finanziatori principalmente (anche se non esclusivamente) per la sua
capacità di generare flussi di cassa.
Quale principale garanzia per il rimborso del debito e per la remunerazione del capitale di rischio, il cash flow atteso (inteso come la somma di utile netto e ammortamenti) dovrebbe essere in grado di coprire nel periodo di
piano almeno gli assorbimenti di capitale circolante e gli investimenti netti di sostituzione/mantenimento; il ricorso ad ulteriore capitale di debito e/o di rischio dovrebbe avvenire, invece, soltanto per fronteggiare parzialmente
o totalmente gli investimenti finalizzati alla crescita.
Il documento che permette di monitorare la capacità prospettica dell’impresa di generare (distruggere) liquidità,
attraverso le sue diverse aree gestionali, è il rendiconto finanziario previsionale, di cui proponiamo di seguito un
possibile schema.
A che cosa serve:
a capire se l’azienda sarà in grado di generare cassa
Tavola 23 – Rendiconto finanziario – configurazione secondo il criterio funzionale (valori in milioni di euro)
20X0A
20X1A
20X2A
20X3E
20X4E
20X5E
Utile netto (perdita) dell’esercizio
Ammortamenti
Flusso operativo lordo
(Aumento)/diminuzione Rimanenze
(Aumento)/diminuzione Crediti commerciali
Aumento/(diminuzione) Debiti commerciali
Aumento/(diminuzione) Fondi e altro
Totale (aumento)/diminuzione capitale circolate
Flusso di cassa della gestione corrente
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni materiali
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni immateriali
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni finanziarie
Totale (Aumento)/Diminuzione capitale fisso
Flusso di cassa operativo
(Aumento)/diminuzione patrimonio – dividendi
(Aumento)/diminuzione debiti finanziari
 3.14 La predisposizione del conto economico e dello stato patrimoniale previsionale
La predisposizione dei prospetti sopra individuati richiede delle simulazioni economico-finanziarie, la cui funzione
è quella legare in maniera congruente i singoli dati previsionali. Tali simulazioni anche quando sono molto accurate non possono certo prevedere con certezza ciò che accadrà alla vostra azienda nei prossimi anni.
Ciononostante esse sono particolarmente utili, in quanto, richiedendo la formulazione di ipotesi sui volumi di
vendita, sulla dinamica dei prezzi, sui costi variabili e fissi, sugli investimenti, sui tempi di dilazione e pagamento
e così via, vi aiuteranno a comprendere molto più profondamente il vostro business.
46
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
 3.14.1 Alcuni consigli pratici prima di iniziare il lavoro
Se vi metterete al lavoro, senza aver prima letto questo capitolo, vi accorgerete che la redazione di un bilancio
previsionale (stato patrimoniale e conto economico previsionale) non è la cosa più semplice di questo mondo.
Chi vuole procedere alla redazione di questo documento deve risolvere, infatti, un problema di circolarità, che
può diventare molto complicato, se non si approccia il lavoro con il giusto metodo.
Supponiamo che partiate dalla redazione del conto economico: sarà tutto relativamente facile fino alla determinazione del reddito operativo.
Come farete però a continuare? Come farete a calcolare gli interessi passivi senza conoscere il fabbisogno finanziario che emerge dallo stato patrimoniale? Come farete a determinare le imposte senza conoscere gli interessi passivi? Come farete a completare lo stato patrimoniale senza conoscere gli oneri finanziari da capitalizzare, le imposte e l’utile netto?
Vi sta già facendo male la testa? Non vi preoccupate, la cosa diventerà molto semplice se seguirete i seguenti
passaggi logici:

iniziate con la redazione del conto economico fino all’individuazione del reddito operativo al netto degli
eventuali interessi passivi relativi ai passività finanziarie consolidate, quelle cioè di cui conoscete già il piano di accensione-rimborso e l’onerosità (es. mutuo ipotecario contratto dall’azienda in precedenza; prestito obbligazionario da emettere nel corso del prossimo esercizio, e così via ); chiameremo provvisoriamente questa grandezza “Risultato da dividere fra banche, Erario e soci”;
Tavola 24 – Redazione del conto economico
Ricavi totali
Costo materie prime
Costo di produzione
Driver di pianificazione
Portafoglio Ordini – Piano commerciale – politiche di prezzo interne
Distinta base – Giacenza media – Cicli produttivi – % sul fatturato
(se esiste in base alla media storica)
Distinta base – cicli produttivi – prezzi d’acquisto – produttività
manodopera diretta (quantità prodotta / n. diretti) – costo medio
procapite – n. addetti – contratti in essere /futuri
Costo del venduto
Margine industriale
Costi commerciali
Spese generali e amministrative
% sul fatturato (se esiste in base alla media storica)
% sul fatturato (se esiste in base alla media storica)
EBITDA
Ammortamenti
Piano degli investimenti
EBIT
Oneri finanziari su passività consolidate
Piano di rimborso e tasso d’interesse
Risultato da dividere fra banche, Erario e soci

passate quindi alla redazione dello stato patrimoniale, individuando: tutti gli impieghi di capitale (investimenti in essere e programmati, capitale circolante e così via); tutti gli elementi noti del patrimonio netto
(capitale netto, riserve, utili, al 31/12 dell’esercizio precedente) e delle passività (debiti v/fornitori, Tfr, passività consolidate ecc.); inserite, inoltre, la grandezza “Risultato da dividere fra banche, Erario e soci” in
precedenza calcolata.
Tavola 25 – Redazione dello stato patrimoniale
Rimanenze
Crediti commerciali
Debiti commerciali
Fondo Tfr
Driver di pianificazione
In proporzione al costo dei materiali o del costo diretto industriale
Ammontare delle vendite e tempi di pagamento
Ammontare degli acquisiti e tempi di pagamento
In proporzione al costo del lavoro
Capitale circolante commerciale
Immobilizzazioni materiali nette
Immobilizzazioni immateriali nette
Immobilizzazioni finanziarie nette
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Piano degli investimenti
Piano degli investimenti
Piano degli investimenti
47
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Totale immobilizzazioni nette
Capital employed
Passività finanziarie consolidate
Patrimonio netto
Risultato da dividere fra banche, Erario e soci

Contratti di finanziamento in essere o previsti di cui si conosce il
piano di rimborso e i costi
Patrimonio netto esercizio precedente – pay out previsto
giunti a questo punto calcolate la differenza tra le attività e le passività individuate (Capital employed –
passività finanziarie consolidate – patrimonio netto – risultato da dividere tra banche, erario e soci); questa
grandezza rappresenta il fabbisogno finanziario aggiuntivo che, per la parte non coperta da nuovo capitale di rischio, andrà a sommarsi alle passività finanziare consolidate, determinando la complessiva posizione finanziaria netta della vostra impresa1;
Tavola 26 – Calcolo della differenza tra le attività e le passività
Driver di pianificazione
Rimanenze
Crediti commerciali
Debiti commerciali
Fondo Tfr
Capitale circolante commerciale
Immobilizzazioni materiali nette
Immobilizzazioni immateriali nette
Immobilizzazioni finanziarie nette
Già fatto
Totale immobilizzazioni nette
Capital employed
Passività finanziarie consolidate
Patrimonio netto noto
Risultato da dividere fra banche, Erario e soci
Fabbisogno finanziario aggiuntivo

conoscendo il fabbisogno finanziario aggiuntivo, calcolate ora gli oneri finanziari relativi, inseriteli nel conto
economico e determinate il risultato ante imposte;
Tavola 27 – Calcolo degli oneri finanziari
Driver di pianificazione
Ricavi totali
Costo materie prime
Costo di produzione
Costo del venduto
Margine industriale
Costi commerciali
Spese generali e amministrative
Già fatto
EBITDA
Ammortamenti
EBIT
Oneri finanziari su passività consolidate
Oneri finanziari sul fabbisogno finanziario aggiuntivo
Risultato ante imposte
------------------------------------------1
Ovviamente la differenza potrebbe anche essere negativa, evidenziando l’esistenza di surplus finanziario che andrebbe, invece, a sommarsi nell’attivo alla liquidità.
48
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale

il conto economico è quasi completato: per determinare il risultato netto, infatti, non vi resta che calcolare
le imposte sul reddito: l’aliquota Ires è pari al 27,5%, l’aliquota Irap al 4,20%
Tavola 28 – Calcolo delle imposte sul reddito
Driver di pianificazione
Ricavi totali
Costo materie prime
Costo di produzione
Costo del venduto
Margine industriale
Costi commerciali
Spese generali e amministrative
Già fatto
EBITDA
Ammortamenti
EBIT
Oneri finanziari su passività consolidate
Oneri finanziari sul fabbisogno finanziario aggiuntivo
Risultato ante imposte
Imposte
Aliquota Ires 27,5% – Aliquota Irap 4,20%
Risultato netto
con la chiusura del conto economico avete a disposizione le informazioni che vi mancavano per completare lo
stato patrimoniale: gli interessi sul fabbisogno aggiuntivo, che capitalizzati vanno ad aggiungersi alla posizione
finanziaria netta; le imposte, che per pari importo determinano il debito verso l’erario; il risultato economico, che
deve aggiungersi alle altre voci del patrimonio netto. Ovviamente per far si che tutto bilanci dopo questi inserimenti, non bisogna dimenticare di eliminare la voce ”Risultato da dividere fra banche, Erario e soci”.
Tavola 29 – Chiudete lo stato patrimoniale
Rimanenze
Crediti commerciali
Debiti commerciali
Fondo Tfr
Debito per imposte
Capitale circolante commerciale
Immobilizzazioni materiali nette
Immobilizzazioni immateriali nette
Immobilizzazioni finanziarie nette
Totale immobilizzazioni nette
Capital employed
Passività finanziarie consolidate
Fabbisogno finanziario aggiuntivo
Debito per interessi da capitalizzare
Posizione finanziaria netta
Patrimonio netto noto
Risultato netto
Patrimonio netto
Risultato da dividere fra banche, Erario e
soci
 3.15 Un esempio per capire meglio
Arrivati a questo punto la cosa migliore per non perdere il filo del ragionamento è mettere in pratica quanto abbiamo imparato.
Il caso che vi presentiamo è quello di Hepta Spa, un’azienda commerciale del settore elettronico, alle prese con
la redazione del piano industriale per il periodo 20X4-20X6.
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
La società ha da poco chiuso il bilancio riferito all’anno 20X3, che presenta i seguenti risultati:
Tavola 30 – Stato patrimoniale (valori in milioni di euro)
ATTIVO
Liquidità di cassa
Crediti verso clienti
Merce in magazzino
Attività correnti
Immobilizzazioni
- Fondo amm.to
Attività immobilizzate
20X3
1
4.000
1.357
5.358
4.084
-2.383
1.701
%
0,01%
56,67%
19,22%
75,90%
57,86%
-33,76%
24,10%
Totale attivo
7.059
100%
PASSIVO
Passivo e netto
Capitale sociale
Riserve di utili
Reddito netto dell’esercizio
Patrimonio netto
Debiti verso fornitori
Debiti tributari
Debiti v/dipendenti
Fondo Tfr
Passivo corrente
Debiti verso banche (scoperto di c/c)
Mutui
Debiti
Totale passivo e netto
20X3
%
400
1.186
223
1.809
2.600
42
18
153
2.813
1.437
1.000
2.437
7.059
5,67%
16,80%
3,16%
25,63%
36,83%
0,59%
1,06%
2,17%
39,85%
20,36%
14,17%
34,52%
100%
Tavola 31 – Conto economico (valori in milioni di euro)
Conto economico
Fatturato netto
- Acquisti di merci
- Rimanenze iniziali
+ Rimanenze finali
- Spese per servizi e varie
- Salari stipendi e contributi
- Accantonamento al fondo Tfr
EBITDA
- Ammortamento delle immobilizzazioni
EBIT
- Oneri finanziari
Risultato ante imposte
- Imposte dell’esercizio
Reddito netto dell’esercizio
20X3
14.403
-12.725
-1.216
1.327
-784
-242
-18
745
-225
521
-130
390
168
223
%
100%
-88,35%
-8,44%
9,22%
-5,44%
-1,68%
-0,12%
5,18%
-1,56%
3,62%
-0,90%
2,71%
1,17%
1,55%
 3.15.1 Le assumption
Di seguito le ipotesi formulate dal vertice aziendale della società per lo sviluppo dei prospetti economicofinanziari del piano industriale.
Tavola 32 – Ipotesi formulato per lo sviluppo del piano industriale
20X4
Investimenti
Acquisto Fabbricato
CCN
Crediti commerciali
Rimanenze
Debiti verso fornitori
Finanziamenti
Tasso d’interesse debiti bancari
Tasso d’interesse mutui
Rimborso mutui
Patrimonio netto
50
20X5
20X6
100 gg
40 gg
70 gg
100 gg
40 gg
70 gg
100 gg
40 gg
70 gg
7%
6%
43
7%
6%
45
7%
6%
48
1.250
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
20X4
59
1.000
20% utile esercizio precedente
+ 3% rispetto anno precedente
88% Fatturato
5,5% Fatturato
+ 2,5% rispetto anno
precedente
+ 2,5% rispetto anno
precedente
250
43%
100% imposta esercizio
precedente
21%
21%
Interessi mutui
Aumento capitale sociale
Pay out
Fatturato
Consumi di materie
Spese per servizi
Salari e stipendi
Accantonamento Tfr
Ammortamenti previsti
Aliquota media imposta
Acconto imposte
Aliquota Iva vendite
Aliquota Iva acquisti
20X5
57
20X6
54
53% utile esercizio precedente
+ 3% rispetto anno
precedente
88% Fatturato
5,5% Fatturato
+ 2,5% rispetto anno
precedente
+ 2,5% rispetto anno
precedente
250
43%
100% imposta esercizio
precedente
21%
21%
57% utile esercizio precedente
+ 3% rispetto anno precedente
88% Fatturato
5,5% Fatturato
+ 2,5% rispetto anno precedente
+ 2,5% rispetto anno precedente
250
43%
100% imposta esercizio precedente
21%
21%
 3.15.2 La costruzione del conto economico previsionale fino al reddito operativo al netto degli interessi sulle passività consolidate
Procediamo alla determinazione delle singole voci del conto economico sulla base delle assumption formulate.

Fatturato netto
Si prevede una crescita del 3% rispetto all’anno precedente; quindi:
Fatturato
20X4
14.835
20X5
15.280
20X6
15.739

Consumi di materie prime
L’incidenza dei consumi di materie sul fatturato è stimata nella misura dell’88% ; pertanto:
Consumi di materie
20X4
13.055
20X5
13.446
20X6
13.850
Conoscendo i consumi di materie, i giorni medi di giacenza e le rimanenze iniziali (pari alle finali dell’anno precedente) possiamo calcolare gli acquisti e le rimanenze finali per ciascun anno del piano, risolvendo delle semplici
equazioni matematiche:
acquisti = consumi – rimanenze iniziali + rimanenze finali
sostituendo nell’equazione:
rimanenze finali = (acquisti/360) x gg medi di giacenza
otteniamo che:
acquisti = consumi – rimanenze iniziali + (acquisti/360) x gg medi di giacenza
e risolvendo rispetto agli acquisiti:
acquisti = (consumi – rimanenze iniziali) /( 1-gg medi di giacenza/360)
pertanto:
nel 2013, gli acquisti sono pari a = (13.055 – 1327)/(1-40/360)= 13.194 e le rimanenze finali sono pari a = (13.620/360)*40 =
1.466
nel 2014, gli acquisti sono pari a = (13.446 – 1466)/(1-40/360)= 13.478 e le rimanenze finali sono pari a = (13.478/360)*40 =
1.498
nel 2015, gli acquisti sono pari a = (13.850 – 1498)/(1-40/360)= 13.896 e le rimanenze finali sono pari a = (13.896/360)*40 =
1.544
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51
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Acquisti
Rimanenze finali
20X4
13.194
1.466
20X5
13.478
1.498
20X6
13.896
1.544

Spese per servizi
Per questi costi, negli anni di piano, si prevede un’ incidenza sul fatturato del 5,5%; pertanto:
Spese per servizi
20X4
816
20X5
840
20X6
866

Salari, stipendi e contributi e Accantonamento Tfr
L’ipotesi è che questi costi aumentino del 2,5% rispetto all’anno precedente; pertanto:
Salari e stipendi e contributi
Accantonamento Tfr
20X4
248
18
20X5
254
19
20X6
261
19

Ammortamenti
Con l’acquisto del fabbricato, nel triennio gli ammortamenti, che nel 2012 erano pari a 225, passano a 250:
20X4
20X5
20X6
Ammortamenti
250
250
250

Interessi sul mutuo
Dal piano di ammortamento del mutuo estrapoliamo i seguenti dati relativi agli oneri finanziari:
Interessi passivi mutuo
20X4
59
20X5
57
20X6
54

Il conto economico previsionale parziale
Arrivati a questo punto abbiamo tutte le informazioni per costruire il conto economico previsionale fino al reddito
operativo al netto degli interessi sulle passività consolidate.
Fatturato netto
- Acquisti di merce
- Rimanenze iniziali
+ Rimanenze finali
- Spese per servizi e varie
- Salari, stipendi e contributi
- Accantonamento al fondo Tfr
EBITDA
- Ammortamento delle immobilizzazioni
EBITDA
– Interessi passivi su mutui
Risultato da dividere fra soci, banche e Stato
20X4
14.835
-13.194
-1.327
1.466
-816
-248
-18
698
-250
448
-59
389
20X5
15.280
-13.478
-1.466
1.498
-840
-254
-19
721
-250
471
-57
414
20X6
15.739
-13.896
-1.498
1.544
-866
-261
-19
743
-250
493
-54
439
Arrivati a questo punto non possiamo più andare avanti; dobbiamo quindi passare allo stato patrimoniale, per
stimare il fabbisogno finanziario e calcolare i relativi oneri finanziari.
52
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
 3.15.3 La costruzione dello stato patrimoniale e determinazione del fabbisogno finanziario aggiuntivo
Procediamo alla stima delle voci dello stato patrimoniale sulla base delle assumption.

Crediti verso clienti
Conoscendo i tempi di dilazione media e i fatturati, i crediti commerciali possono essere calcolati utilizzando la
seguente formula:
Crediti v/clienti = (vendite+iva)/360 x gg di durata media incassi
pertanto

20X4, i crediti commerciali sono pari a: (14835 + 14835*0,21)/360*100=4986

20X5, i crediti commerciali sono pari a: (15.280+15280*0,21)/360*100=5136

20X6, i crediti commerciali sono pari a: (15.739+15.739*0,21)/360*100=5290
Crediti commerciali
20X4
4.986
20X5
5.136
20X6
5.290

Magazzino merci
Abbiamo già calcolato le rimanenze finali in sede di costruzione del conto economico; quindi non dobbiamo fare
altro che riprendere quei valori:
Magazzino merci
20X4
1.466
20X5
1.498
20X6
1.544

Credito per acconto sulle imposte dei redditi
L’acconto per Ires e Irap calcolato con il metodo storico è pari al 100% delle imposte liquidate nell’esercizio
precedente.
Per l’anno 20X4 l’importo da iscrivere come credito è 390, pari al 100% delle imposte stanziate nel bilancio
20X3; per gli anni 20X5 e 20X6, la stima non è ancora possibile in questa fase, in quanto dobbiamo prima chiudere, rispettivamente, il conto economico 20X4 e il conto economico 20X5.
Immaginiamo, per velocizzare il nostro lavoro, di averlo già fatto: i valori che emergerebbero sono i seguenti:
20X4
390
Acconto imposte sul reddito
20X5
92
20X6
77

Immobilizzazioni
Considerando l’investimento previsto nel 20X4 e il nuovo piano degli ammortamenti la situazione è la seguente:
20X4
5.334
-2.633
2.701
Immobilizzazioni
- Fondo ammortamento
Attività immobilizzate
20X5
5.334
-2.883
2.451
20X6
5.334
-3.133
2.201

Patrimonio netto
Il capitale sociale, a seguito dell’aumento previsto nel 20X4, sarà il seguente nei tre anni:
Capitale sociale
20X4
1.400
20X5
1.400
20X6
1.400
Le riserve di utili, invece, vengono incrementate ogni anno dalla quota di utile netto non distribuito ai soci come
dividendo. Per il 20X4 l’aumento è pari a 178, considerato che l’utile netto del 20X3 è 223, di cui viene distribuito solo il 20%.
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53
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
L’incremento delle riserve 20X5 è pari al 50% dell’utile 20X4 e quello del 20X6 pari al 50% dell’utile 20X7: ci troviamo nella stessa situazione vista per l’acconto delle imposte. Per effettuare la stima dobbiamo prima completare: il 20X4 per avere tutte le informazioni necessarie per chiudere 20X5; il 20X5 per avere tutte le informazioni
necessarie per chiudere il 20X6.
Per andare veloci, supponiamo di aver già seguito questo Iter, i valori che emergerebbero sono i seguenti:
Riserve di utili
20X4
178
20X5
239
20X6
290

Fondo Tfr
Il Fondo Tfr è incrementato ogni anno dell’accantonamento; considerate le assumption, i valori nel triennio sono
i seguenti:
Fondo Tfr
20X4
171
20X5
190
20X6
209

Debiti verso dipendenti
I debiti v/dipendenti, considerando la tredicesima, corrispondono alla fine di ogni anno a circa due mensilità;
semplificando li determiniamo in misura pari ai 2/13 del costo per salari, stipendi e contributi
Debiti v/dipendenti e istituti di previdenza
20X4
38
20X5
39
20X6
40

Debiti verso fornitori
I debiti verso fornitori possono essere determinati utilizzando la seguente formula:
Debiti v/fornitori = debiti commerciali = (acquisti di merce + Iva + spese per servizi + iva)/360 x gg di durata media delle dilazioni concesse
Gli importi riferiti al triennio sono pertanto i seguenti:
Debiti v/fornitori
20X4
3.296
20X5
3.369
20X6
3.473

Debito/credito per Iva
Può essere calcolato utilizzando la seguente formula:
= Riporto Credito Iva + Fatturato *0,21 – Acquisti di merci *0,21 – Spese per servizi e varie *0,21 – acquisto Immobilizzazioni *0,21.
La posizione Iva nel triennio è pertanto la seguente:
20X4
Debiti Iva
Credito Iva
20X5
113
20X6
205
89

Mutuo passivo
Considerato il rimborso delle quote capitale nel corso del triennio, la situazione è la seguente:
20X4
20X5
20X6
Mutui passivi
957
912
864

Lo stato patrimoniale previsionale parziale e la determinazione del fabbisogno finanziario aggiuntivo
Riclassificando tutti gli elementi dell’attivo e del passivo individuati è possibile determinare il fabbisogno finanziario aggiuntivo:
54
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Attivo
Crediti v/clienti
Merce in magazzino
Credito Iva
Acconto imposte sul reddito
Attività correnti
Immobilizzazioni
-fondo ammortamento
Attività immobilizzate
20X4
4.986
1.466
89
390
6.931
5.334
-2.633
2.701
20X5
5.136
1.498
20X6
5.290
1.544
92
6.726
5.334
-2.883
2.451
77
6.911
5.334
-3.133
2.201
Totale attivo
Passivo
9.632
20X4
9.177
20X5
9.112
20X6
Passivo e netto
Capitale sociale
Riserve di utili
Reddito netto dell’esercizio
Patrimonio netto
Fondo Tfr
Debito v/dipendenti
Debiti verso fornitori
Debito Iva
Debiti tributari
Passività correnti
Debiti verso banche
Mutui
Debiti
“Utile da dividere” fra i soci, Banche e Stato
Totale passivo e netto
Fabbisogno finanziario (differenza tra totale attivo e totale
passivo e netto)
2013
1.400
178
?
1.578
171
38
3.296
?
3.505
?
957
957
389
6.040
2014
1.400
239
?
1.639
190
39
3.369
113
?
3.711
?
912
912
414
6.262
2015
1.400
290
?
1.690
209
40
3.473
205
?
3.927
?
864
864
439
6.481
3.592
2.915
2.631
Una volta determinato il fabbisogno finanziario aggiuntivo, devono essere individuate le soluzioni di copertura
attivabili; nel nostro caso ipotizziamo che la copertura avvenga con indebitamento bancario:
Fabbisogno finanziario individuato
Soluzioni di copertura attivabili
Aumento di capitale sociale
Debiti bancari
20X4
3.203
20X5
2.503
20X6
2.193
0
3.203
0
2.503
2.193

Il calcolo degli oneri finanziari sul fabbisogno finanziario aggiuntivo
Conoscendo l’entità dell’indebitamento bancario e la misura del tasso d’interesse, possiamo procedere al calcolo degli oneri finanziari. Tale calcolo di solito viene effettuato sul saldo medio bancario:
20X4
20X5
20X6
Saldo banche a inizio anno
1.437
3.365
2.708
Importo del fabbisogno a fine anno soddisfatto con il
ricorso a debiti bancari
Saldo medio bancario previsto (a+b) /2
Tasso d’interesse previsto
3.203
2.503
2.193
2.320
7%
2.934
7%
2.450
7%
Stima degli interessi bancari (cxd)
162
205
172
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55
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
 3.15.4 La chiusura del Conto Economico
Una volta determinati gli interessi bancari è possibile terminare la costruzione del conto economico, calcolando
le imposte (pari al 43% del reddito lordo) e determinando il risultato d’esercizio.
20X4
14.835
-13.194
-1.327
1.466
-816
-248
-18
698
-250
448
-59
-162
227
-97
129
Fatturato netto
- Acquisti di merce
- Rimanenze iniziali
+ Rimanenze finali
- Spese per servizi e varie
- Salari, stipendi e contributi
- Accantonamento al fondo Tfr
EBITDA
- Ammortamento
EBIT
– Interessi passivi su mutui
- Interessi bancari
Reddito lordo
- Imposte dell’esercizio
Reddito netto dell’esercizio
20X5
15.280
-13.478
-1.466
1.498
-840
-254
-19
721
-250
471
-57
-205
209
-90
119
20X6
15.739
-13.896
-1.498
1.544
-866
-261
-19
743
-250
493
-54
-172
267
-115
152
 3.15.5 La chiusura dello Stato Patrimoniale
Con la determinazione degli oneri finanziari, dell’imposte e del risultato dell’esercizio, abbiamo tutte le informazioni che ci servono per chiudere lo stato patrimoniale.
Non dobbiamo fare altro che eliminare la grandezza “Utile da dividere” fra i soci, Banche e Stato” ed inserire in
sostituzione:

il debito per interessi (da aggiungere all’indebitamento bancario);

il debito per imposte (da compensare con l’acconto per imposte sul reddito);

il risultato economico (da inserire nel patrimonio netto).
Attivo
Crediti v/clienti
Merce in magazzino
Credito Iva
Crediti per imposte sul reddito
Attività correnti
Immobilizzazioni
-fondo ammortamento
Attività immobilizzate
Totale attivo
20X4
4.986
1.466
89
293
6.834
5.334
-2.633
2.701
9.535
Passivo e netto
Capitale sociale
Riserve di utili
Reddito netto dell’esercizio
Patrimonio netto
Fondo Tfr
Debito v/dipendenti
Debiti verso fornitori
Debito Iva
Debiti tributari
Passività correnti
Debiti verso banche
Mutui
20X4
1.400
178
129
1.707
171
38
3.296
20X5
1.400
239
119
1.758
190
39
3.369
113
3.505
3.365
957
3.711
2.706
912
56
20X5
5.136
1.498
20X6
5.290
1.544
2
6.636
5.334
-2.883
2.451
9.087
6.834
5.334
-3.133
2.201
9.035
20X6
1.400
290
152
1.842
209
40
3.473
205
38
3.965
2.363
864
© Cesi Multimedia
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Attivo
Debiti
Totale passivo e netto
20X4
4.322
9.535
20X5
3.618
9.087
20X6
3.227
9.035
 3.15.6 La costruzione del Rendiconto finanziario previsionale
Il Rendiconto è un documento obbligatorio solo per le società che hanno adottato gli IAS, un numero limitato di
realtà rispetto al totale delle imprese.
Per tale motivo, questo strumento è ancora oggi un oggetto oscuro per molte imprese, che non ne comprendono appieno le potenzialità informative.
La scarsa diffusione è, inoltre, dovuta alla mancanza di un contributo teorico ben strutturato sul meccanismo di
costruzione, che appare spesso confuso o troppo complesso.
In realtà il processo di costruzione è indicato dalla definizione stessa di rendiconto: un prospetto che contiene
flussi finanziari; e i flussi finanziari non sono altro che differenze di fondi.
Ma vediamo quali sono i passaggi logici che dovete seguire per predisporre velocemente il vostro rendiconto
finanziario previsionale.
La costruzione passa attraverso lo “sfruttamento informativo” del bilancio previsionale che avete già redatto.
In concreto dovrete effettuare le seguenti attività:

determinare le variazioni di tutti i conti dello stato patrimoniale, intervenute tra due esercizi;

inserimento delle stesse all’interno dello schema di rendiconto prescelto;

effettuazione delle rettifiche al risultato economico, per eliminare l’effetto delle componenti non monetarie.
La prima fase vi permetterà di trasformare dei fondi in flussi. Facendo, infatti, le differenze tra i valori che le singole voci dello stato patrimoniale assumono in due esercizi differenti, si ottengono per ciascuna di esse i relativi
flussi.
Un consiglio di ordine pratico, la successione più opportuna dei termini delle differenze è la seguente:

per l’attivo, fare il vecchio esercizio meno il nuovo (una diminuzione di attività avrà segno positivo e rappresenterà un afflusso di liquidità);

per il passivo, il nuovo meno il vecchio (un aumento di debiti avrà segno positivo e rappresenterà un afflusso di liquidità).
Prendiamo ad esempio gli anni 2013 e 2014 del piano industriale della società Hepta; applicando queste regole
avremo la seguente situazione:
Attivo
Crediti v/clienti
Merce in magazzino
Credito Iva
Crediti per imposte sul reddito
Attività correnti
Immobilizzazioni
-fondo ammortamento
Attività immobilizzate
Totale attivo
20X4
4.986
1.466
89
293
6.834
5.334
-2.633
2.701
9.535
Passivo e netto
Capitale sociale
Riserve di utili
Reddito netto dell’esercizio 2013
Reddito netto dell’esercizio 2014
Patrimonio netto
Fondo Tfr
2013
1.400
178
129
© Cesi Multimedia
1.707
171
20X5
5.136
1.498
2
6.636
5.334
-2.883
2.451
9.087
2014
1.400
239
119
1.758
190
Differenze
-150
-32
89
291
198
0
250
250
448
Differenze
0
61
-129
119
51
19
57
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Passivo e netto
Debito v/dipendenti
Debiti verso fornitori
Debito Iva
Debiti tributari
Passività correnti
Debiti verso banche
Mutui
Debiti
Totale passivo e netto
2013
38
3.296
2014
39
3.369
113
3.505
3.365
957
4.322
9.535
3.711
2.706
912
3.618
9.087
Differenze
1
73
113
0
206
-659
-45
-704
-448
Il controllo che dovrete effettuare al termine di questa fase è che la variazione intervenuta complessivamente in
tutte le voci dell’attivo patrimoniale sia uguale ma di segno contrario alla variazione complessiva delle voci del
passivo patrimoniale.
Effettuata questa verifica, la fase successiva è l’inserimento delle differenze che avete calcolato all’interno dello
schema di rendiconto che avete scelto.
Nel nostro caso è lo schema che abbiamo proposto nel capitolo 11.5.
Tavola 33 – Rendiconto finanziario – configurazione secondo il criterio funzionale (valori in milioni di euro)
Utile netto (perdita) dell’esercizio
Flusso operativo lordo
(Aumento)/diminuzione Rimanenze
(Aumento)/diminuzione Crediti commerciali
Aumento/(diminuzione) Debiti commerciali
Aumento/(diminuzione) Fondi e altro
Totale (Aumento)/Diminuzione Capitale circolante
Flusso di cassa della gestione corrente
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni materiali
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni immateriali
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni finanziarie
Totale (Aumento)/Diminuzione Capitale fisso
Flusso di cassa operativo
(Aumento)/diminuzione patrimonio – dividendi
(Aumento)/diminuzione debiti finanziari
119
119
-32
230
187
19
404
523
250
250
773
-68
704
Inserite nelle variazioni nello schema, non vi resta che rettificare il risultato economico da quelle componenti che
non hanno caratteristiche monetarie, come ad esempio gli ammortamenti.
Dovrete operare secondo la seguente successione:

rettificare il risultato economico dell’influsso di ciascuna di esse (se si tratta di costi li dovrete aggiungere,
se si tratta di ricavi li dovrete sottrarre)

rettificare per lo stesso importo ma con segno contrario il flusso patrimoniale a cui questi si riferiscono.
Nel nostro caso dobbiamo aggiungere gli ammortamenti al risultato economico e toglierli dalla variazione delle
immobilizzazioni materiali.
58
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 34 – Rendiconto finanziario – configurazione secondo il criterio funzionale (valori in milioni di euro)
Utile netto (perdita) dell’esercizio
Ammortamenti
Flusso operativo lordo
(Aumento)/diminuzione Rimanenze
(Aumento)/diminuzione Crediti commerciali
Aumento/(diminuzione) Debiti commerciali
Aumento/(diminuzione) Fondi e altro
Totale (Aumento)/Diminuzione Capitale circolante
Flusso di cassa della gestione corrente
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni materiali
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni immateriali
Aumento)/diminuzione immobilizzazioni finanziarie
Totale (Aumento)/Diminuzione Capitale fisso
Flusso di cassa operativo
(Aumento)/diminuzione patrimonio – dividendi
(Aumento)/diminuzione debiti finanziari
119
250
369
-32
230
187
19
404
773
0
773
-68
704
Dopo questa semplice operazione il rendiconto finanziario è pronto.
 3.16 Analisi di sensitività
Il processo di pianificazione che porta alla costruzione del vostro piano industriale si basa, come abbiamo visto,
su una serie di assunzioni e quindi per sua natura si svolge in condizioni di incertezza.
Per questo motivo è particolarmente importante, per rafforzare la credibilità complessiva del documento, presentare un’analisi di sensitività rispetto alle principali variabili qualitative e quantitative.
L’analisi di sensitività deve essere condotta ipotizzando scenari diversi (più ottimistici e più pessimisti) ai quali
associare uno specifico tasso di probabilità.
In concreto, l’analisi di sensitività dovrebbe essere effettuata considerando l’effetto sui principali dati economici,
patrimoniali e finanziari (ad esempio fatturato, margine operativo, utile netto, posizione finanziaria netta, investimenti) della variazione dei seguenti elementi:
Principali key value driver
Principali variabili esterne di settore
Azioni realizzative maggiormente rilevanti
La tavola seguente mostra, a titolo esemplificativo, la variazione dell’EBITDA al variare del numero di clienti.
 3.17 Premessa
Il vostro piano industriale finirà nelle mani di lettori molto attenti. È importante, quindi, che comprendiate profondamente i criteri che essi utilizzeranno per esprime il proprio giudizio di valutazione.
Tipicamente le analisi che vengono effettuate riguardano i seguenti profili:

la convenienza economica;

la sostenibilità finanziaria;

la coerenza;

l’attendibilità.
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59
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 35 – Profili di analisi del piano industriale
 3.18 La convenienza economica
La valutazione di un piano industriale sotto il profilo economico si basa sul calcolo di alcuni indicatori molto significativi.
Per gli analisti, ad esempio, ha grande importanza la misura dell’EBITDA (Earning Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortisation) nei diversi anni di piano, che può essere desunta direttamente dagli schemi di conto
economico che vi abbiamo presentato nel capitolo precedente.
L’EBITDA è un risultato economico intermedio (in pratica è il reddito operativo al lordo degli ammortamenti), diffusamente utilizzato nella pratica per misurare la redditività generata dalle operations e allo stesso tempo esprime la capacità di autofinanziamento dell’azienda.
Tale indicatore viene anche utilizzato come elemento determinante nelle valutazioni dell’“Enterprise Value” (Metodo del Multiplo di Mercato), che consente di determinare il valore economico dell’azienda moltiplicando un parametro di redditività (EBITDA in questo caso) per un multiplo determinato dal raffronto con imprese appartenenti ad un campione significativo; per giungere al valore del patrimonio bisogna rettificare l’importo così determinato con il valore di mercato del debito finanziario esistente. Le aziende inserite nel campione devono possedere
caratteristiche di uniformità con l’azienda da valutare.
L’EBITDA risulta essere una grandezza di riferimento non influenzata né da politiche di bilancio (ammortamenti,
imposte ecc.) né dalla situazione finanziaria.
Gli analisti danno grande importanza anche al c.d. l’EBITDA margin, un indice di bilancio ottenuto dal rapporto
tra l’EBITDA e i ricavi; più questo indice è elevato, più l’azienda ha una redditività operativa elevata ed è in grado
di produrre utili in proporzione alle proprie vendite.
Altro osservato speciale è l’EBIT (Earning Before Interest and Taxes), anch’esso desumibile direttamente dai nostri schemi di conto economico previsionale, che esprime la capacità dell’impresa di generare reddito attraverso
la propria attività caratteristica.
Fornisce informazioni simili all’EBITDA, rispetto al quale però è un indicatore della ricchezza operativa più volatile
e meno oggettivo, in quanto considera gli ammortamenti che possono essere oggetto di politiche di bilancio (si
pensi ad esempio agli ammortamenti dei beni immateriali).
Il rapporto tra l’EBIT e i ricavi restituisce l’indice di redditività operativa, meglio noto come ROS (Return on Sales), che esprime la percentuale di ricavi che residua dopo la copertura dei costi della gestione operativa.
L’analisi della redditività, infine, non può prescindere dal calcolo di due importantissimi indici: il ROCE e il ROE.
Il ROCE (Return on Capital Employed), dato dal rapporto tra EBIT e capitale investito, fornisce un’indicazione
sintetica della capacità dell’azienda di generare una redditività operativa adeguata alle esigenze di remunerazione dei finanziatori.
60
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Il ROE (Return on Equity), invece, calcolato facendo il rapporto tra il reddito netto e patrimonio netto, esprime
sostanzialmente il rendimento annuo per gli azionisti.
Tavola 36 – Valutazione della convenienza economica
 3.19 La sostenibilità finanziaria
La sostenibilità finanziaria del vostro piano industriale verrà valutata verificando, innanzitutto, che flussi di cassa
che avete ipotizzato nel periodo di piano siano adeguati e correttamente stimati; l’obiettivo è quello di verificare
che, nel loro complesso, le dinamiche finanziarie siano in grado di supportare il raggiungimento dei vostri obiettivi.
Se il lettore del vostro piano industriale è una banca, essa sarà particolarmente interessata a verificare che la
vostra azienda sia in grado di generare flussi di cassa sufficienti a garantire senza particolari problemi il regolare
rimborso del debito.
Al riguardo un indicatore molto significativo, desumibile dal rendiconto finanziario, è il flusso di cassa della gestione corrente, che dipende sostanzialmente dalla capacità di autofinanziamento (EBITDA) e dalla sua capacità
di ottimizzare la gestione del capitale circolante netto commerciale.
Ad esempio, rapportando questo indicatore alla somma degli oneri finanziari e della quota capitale del debito, si
ottiene il c.d. Debt Service Coverage Ratio (DSCR), un indice molto efficace per capire se l’azienda è in grado di
sostenere il debito attraverso i flussi di cassa operativi.
Se la vostra azienda presenta un’elevata capacità di generare flussi di cassa operativi, la valutazione non può
che essere positiva, in quanto significa che siete in grado di far fronte a vostri investimenti e a sostenere elevati
livelli d’indebitamento.
In questo senso, è molto significativo il c.d. Free cash flow, calcolato come differenza tra il flusso di cassa operativo e il flusso di cassa della gestione investimenti; questo valore esprime i flussi di cassa di cui l’azienda può
“liberamente” disporre per: pagare gli oneri finanziari, rimborsare il debito in essere, distribuire dividendi ai soci.
Nella stima del Free cash flow, assumono rilevanza sia i flussi di cassa generati dalle operation sia quelli assorbiti
dagli investimenti.
Riguardo ai primi, è opportuno che valutiate attentamente, anche attraverso un’analisi di sensitività, l’evoluzione
dei fabbisogni di capitale circolante rispetto alle previsioni di vendita, alle condizioni riservate ai clienti e ottenute
dai fornitori, ai cambiamenti dell’assetto logistico e alle variazioni del mix di canali di vendita e del portafoglio
prodotti/servizi.
Riguardo agli investimenti, invece, dovrete fare attenzione agli importi stanziati, alla manifestazione temporale dei
flussi finanziari e all’eventuale impatto di agevolazioni.
Un metodo che utilizza i flussi di cassa è l’UNDCF (Unlevered Discounted Cash Flow) che stima il valore di
un’azienda sulla base dei flussi di cassa prima delle componenti finanziarie (Free cash flows).
Il valore dell’azienda nel suo complesso, è determinato sommando i Free Cash Flows attualizzati ad un tasso
che riflette il costo medio ponderato del capitale:
W = Sommatoria FCF/(1+i)t + TV/(1+i)t
dove FCF = FREE CASH FLOWS
i=Kc=WACC=(D/D+E ) x Kd + (E/D+E) x Ke = costo medio ponderato del capitale della società target e/o da acquisire
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61
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Ke = costo dell’equity = rendimento attività prive di rischio + premio al rischio
Kd = costo del debito
TV = terminal value
Oltre ai flussi di cassa, la valutazione del vostro piano industriale riguarderà anche la verifica:

dell’esistenza di un equilibrio tra tipologia di fonti ed impieghi;

dell’effettiva reperibilità delle fonti di finanziamento previste nel piano industriale.
Pertanto, nel caso in cui il vostro piano industriale contempli un notevole utilizzo del credito bancario, sarà importante che abbiate valutato preventivamente la vostra capacità di indebitamento e il vostro “merito creditizio”.
Un metodo sintetico ed efficace per valutare la capacità di indebitamento dell’azienda è dato dal raffronto tra
l’EBITDA e la Posizione Finanziaria Netta (PFN = Sommatoria di tutti i debiti finanziari al netto delle disponibilità
di cassa e altre attività finanziarie prontamente liquidabili).
Valori della PFN inferiori od uguali a 3 o 4 volte il valore dell’EBITDA, rappresenta il limite estremo che caratterizza un’impresa con una buona capacità di indebitamento; valori superiori evidenziano criticità via via crescenti.
In pratica se l’azienda non riesce ad generare al proprio interno redditività e quindi cassa tale da sostenere
l’indebitamento contratto, perché troppo elevato in confronto, risulta evidente il giudizio negativo dei potenziali
finanziatori.
Tavola 37 – Valutazione della sostenibilità finanziaria
 3.20 La Coerenza
La coerenza è un requisito imprescindibile per il vostro piano industriale; è quindi fondamentale che verifichiate,
prima di diffonderlo, che tutti i suoi elementi siano tra di loro allineati e concordanti.
Problemi di coerenza, ad esempio, potrebbero verificarsi qualora i piani operativi (investimenti, reperimento di
risorse, modifiche organizzative, ecc.) risultino del tutto disallineati rispetto agli obiettivi strategici dichiarati nel
piano industriale.
Problematica è anche la situazione in cui le intenzioni strategiche e le azioni ipotizzate non trovino adeguato riflesso nelle proiezioni economiche finanziarie: si pensi al caso in cui un’azienda che preveda una forte crescita
del fatturato grazie al potenziamento delle attività promozionali e pubblicitarie, senza però mostrare nel proprio
bilancio previsionale un’adeguata crescita delle spese di marketing.
Un altro aspetto, che viene di solito valutato, è l’effettiva realizzabilità dei piani operativi in relazione alle risorse
attuali e prospettiche di cui l’azienda dispone, alla tempistica proposta, alla capacità del management e così via.
Di norma un “valutatore” del piano industriale è particolarmente attento al vostro track record nell’elaborazione
di piani/budget: vi richiederà presumibilmente che gli vengano sottoposti anche budget precedentemente elabo62
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
rati, che provvederà a raffrontare con i relativi consuntivi verificandone quindi il livello di scostamento. Risulta ovvio che elevati scostamenti negativi tra consuntivi e budget evidenzino una “scarsa” capacità di fondo
nell’elaborare budget attendibili.
Tavola 38 – Valutazione della coerenza
Allineamento
tra piani operativi e intenzioni strategiche
Misure per la
valutazione della
COERENZA
Realizzabilità
in relazione a risorse disponibili, tempistica, capacità manageriale,
ecc.
Capacità di elaborare piani/budget
Analisi scostamenti tra budget precedentemente elaborati e consuntivi
 3.21 L’attendibilità
Del vostro piano industriale, infine, verrà valutata l’attendibilità rispetto ad una serie di dimensioni, quali il contesto competitivo, i risultati storici, la visibilità e l’analisi di sensitività.
Situazioni critiche possono manifestarsi, ad esempio, nel caso in cui sia evidente che la vostra azienda abbia:

sovrastimato la domanda di mercato individuando in maniera non corretta il mercato di riferimento; evitate
di “costruire” delle rette lineari tendenti verso l’alto, che rappresentano trend a tassi esponenziali crescenti.

ipotizzato strategie di crescita che non trovano conferma con le tendenze in atto nei bisogni dei consumatori.

ipotizzato di accrescere la propria quota di mercato senza tener conto delle possibili reazioni dei competitor;

sottostimato il potere contrattuale dei fornitori e dei distributori, con l’effetto di produrre delle stime di
margini di contribuzione e di capitale circolante non attendibili.
Nella valutazione dell’attendibilità, un peso rilevante hanno anche i risultati che la vostra azienda ha conseguito
nel passato; situazioni critiche potrebbero manifestarsi, qualora senza un’adeguata giustificazione, il vostro piano industriale evidenzi:

tassi di crescita del fatturato sensibilmente più alto di quello realizzato negli ultimi anni;

ipotesi di crescita fatturato in nuove aree geografiche non supportate da casi di ingresso con successo in
nuove aree geografiche nei precedenti esercizi;

ipotesi di crescita del fatturato più che proporzionale rispetto alla crescita prevista della domanda, laddove
la società non abbia mai ottenuto tale risultato nei precedenti esercizi;

prospettive di forte miglioramento dell’efficienza e/o di razionalizzazione delle strutture centrali non supportate da analoghi risultati ottenuti in passato o da un convincente progetto di ristrutturazione;

forte riduzione prospettica del capitale circolante netto non avvalorata da un analogo trend storico.
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63
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 39 – Valutazione dell’attendibilità
Contesto competitivo
Risultati storici
Dimensioni per la
valutazione della
ATTENDIBILITÀ
Visibilità
Analisi sensitività
Risultati conseguiti in passato
Tavola 40 - Principali caratteristiche delle valutazioni
Sostenibilità finanziaria
Coerenza
Attendibilità







Equilibrio tra cash flow, Δ
working capitale e capex di
mantenimento e di sostituzione
Ricorso al capitale proprio (IPO
e /o aumento di capitale) e al
debito solo per finanziare investimenti finalizzati alla crescita
Ricorso al capitale di debito vs
capacità di indebitamento e
solvibilità aziendale
Prudenza nel considerare i
proventi dell’IPO 

Requisito endogeno
Coerenza tra strategia e Action
Plan
Coerenza tra strategia, Action
Plan, ipotesi e proiezioni economico-finanziarie
Realizzabilità dell’Action Plan
rispetto alle risorse e alla tempistica


Compatibilità con le dinamiche
competitive
Confrontabilità con trend storici
Visibilità previsioni rispetto ai
dati consuntivi dell’esercizio in
corso e al portafoglio ordini
 3.22 La valutazione del piano industriale nell’ambito di un’operazione di M&A2
Il caso di seguito illustrato è relativo all’acquisizione di una società industriale europea, di seguito denominata
TARGET.EU, da parte di un gruppo industriale Italiano, di seguito STAR.IT.
STAR.IT attraverso l’acquisizione di TARGET.EU mirava a raggiungere una posizione di leadership nel mercato
europeo.
I soci industriali di STAR.IT avevano coinvolto nel progetto di acquisizione anche investitori finanziari attraverso
un aumento di capitale riservato: i soci industriali che dopo il suddetto aumento avrebbero continuato a detenere la maggioranza della società, sarebbero stati affiancati da investitori finanziari rappresentati da:

due istituti di credito internazionali,

due istituti di credito nazionali,

un fondo di private equity.
------------------------------------------2
Paragrafo curato dal dott. Claudio Gigli.
64
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Al fine di sostenere l’acquisizione di TARGET.EU, gli azionisti Industriali erano ricorsi anche a strutture di debito
concordate con altri istituti di credito, facendo scattare automaticamente in capo alla società (STAR.IT) la clausola di “Non diluizione nel capitale” volta tutelare gli azionisti finanziari attraverso la costituzione di pegno sulle
azioni di STAR.IT detenute dai partner industriali.
Il piano industriale di TARGET.EU era stato elaborato dal management, in collaborazione con una primaria società internazionale di advisoring, e successivamente sottoposto alla valutazione dei manager di STAR.IT e dei
suoi consulenti, che a tal fine avevano anche predisposto un Piano Industriale “Integrato”.
Il piano industriale di TARGET.EU rappresentava il consolidato industriale di gruppo di 7 società dislocate in diversi Stati, che costituivano il perimetro dell’acquisizione.
TARGET.EU operava nello stesso settore industriale di STAR.IT, con prodotti raggruppabili in cinque differenti
famiglie prodotto/AREE STRATEGICHE DI AFFARI (ASA), denominabili K,J,W,X,Z.
Delle suddette ASA, “W” era nella fase di Start up, ed era impegnata nello sviluppo di una serie di prodotti destinati ai mercati Asiatici.
Un’offerta “binding” per l’acquisto dell’intero gruppo TARGET.EU era stata effettuata nell’anno 20X2 sulla basse
del bilancio consuntivo del primo trimestre 20X2 e del forecast 20X2 sui restanti 9 mesi.
I risultati di TARGET.EU consuntivi nell’esercizio 20X1 erano stati significativamente inferiori al budget elaborato
per il periodo; parimenti i risultati nel primo trimestre 20X2 erano inferiori al budget di periodo.
Tavola 41 -Trend trimestrale risultati 20X1 VS budget 20X2 (valori in milioni di euro)
FATTURATO
EBITDA
1° TRIM
20X1
155
5
2° TRIM
20X2 bdgt 20X1
152
156
3,2
4
3° TRIM
20X2 bdgt 20X1
165
185
7,1
13
4° TRIM
20X2 bdgt 20X1
196
188
21,1
5,7
20X2 bdgt
205
19,2
La tabella sopra riportata sintetizza i risultati delle 7 società individuate come perimetro dell’operazione.
Di seguito, invece, viene fornito il raffronto dei risultati consuntivi dei mesi gennaio e febbraio 20X2 con il budget.
Tavola 42 -Raffronto dati consuntivi (valori in milioni di euro)
FATTURATO
EBITDA
GEN-FEB
20X2 ACT
97
-0,2
GEN-FEB
20X2 BDGT
108
1,9
DELTA
-11
-2,1

La valutazione del piano industriale
Dalla valutazione del piano industriale del gruppo TARGET.EU emergevano i seguenti punti di forza e di debolezza.
Tavola 43 – Punti di forza e di debolezza emersi nel piano industriale
PUNTI DI FORZA
A. Ampia gamma prodotti con significativa e rilevante quote del
mercato europeo in 3 delle 5 ASA individuate.
B. Significativa presenza in 5 importanti paesi europei esclusa
Italia.
C. Brand Consolidati
D. Elevata capacità di ricerca e sviluppo prodotto
E. Service post vendita in 2 importanti paesi europei
PUNTI DI DEBOLEZZA
A. Bassa profittabilità, al di sotto della media del settore
B. Crisi economica in un paese dove erano “pesantemente”
presenti
C. Una delle sette società appartenenti al gruppo, PAC.EU, e
rientranti nel perimetro era in fase di turnaround e non ancora
“out of tunnel”
Considerati i punti di debolezza, il piano industriale elaborato dal management di TARGET.EU veniva modificato
in maniera sostanziale, soprattutto per effetto della revisione delle previsioni relative ad una delle partecipate localizzata nel paese in forte crisi economica.
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65
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
L’EBITDA stimato nel piano per il 20X2 veniva ridotto di oltre il 65% (primo esercizio del piano triennale elaborato), considerato che la crisi in atto e la conseguente svalutazione monetaria, nel breve periodo, avrebbero avuto
un “drammatico” impatto sul business; il recupero veniva previsto per la prima metà del 20X3.
Per il resto, a parte una revisione di circa il 15% su di un’altra partecipata, venivano confermati gli output del
piano stand alone.
La valutazione, inoltre, veniva sviluppata attraverso l’individuazione dei seguenti scenari UPSIDE e DOWNSIDE.
Tavola 44 – Gli scenari upside e downside emersi nel piano industriale
UPSIDE CASE
A. Lo scenario UPSIDE coincide con il piano industriale revisionato
B. Lo scenario è ritenuto ambizioso ma fattibile alle seguenti
condizioni: il nuovo prodotto dell’ASA “W” sostiene l’export verso i paesi asiatici; il paese in crisi economica migliora la propria condizione velocemente
DOWNSIDE CASE
A. La società in Turnaround, (PAC.EU), non riesce ad uscire dal
tunnel.
B. Riduzione delle vendite seguendo il trend di decremento attuale, in termini di quote di mercato e di prezzi unitari di vendita.
C. Più problemi del previsto nella gestione della riduzione del
personale: + 25% di maggiori costi dei tagli.
D. Obiettivo della riduzione del capitale circolante di 10 milioni
di euro non raggiungibile.
Di seguito la sintesi del piano Stand Alone revisionato dal Management di TARGET.EU e successivamente rivisto da STAR.IT e il confronto tra i due scenari.
Tavola 45 – Piano industriale stand alone TARGET.EU (upside case) con revisione STAR.IT (base case ) (valori in milioni di euro)
BDGT
20X1
CONS
20X1
745
684
46
6,2%
27,7
4%
MANAGEMENT REV
TARGET.EU
Piano industriale
(upside case)
20X2
20X3
20X4
665
697
730
-2,8% 4,8%
4,7%
34
43
63
5,1%
6,2%
8,6%
CAPITALE CIRCOLANTE
NETTO
% Fatturato
145
19,5%
186
27,2%
185
27,8%
190
27,3%
194
26,6%
171
27,0%
176
26,6%
INVESTIMENTI (CAPEX)
18
16
30
20
22
25
16
FATTURATO
(%Y/Y)
EBITDA adjusted
% Fatturato
STAR.IT REV
Piano industriale
(base case)
20X2
20X3
633
661
-7,5% 4,4%
24
34
3,8%
5,1%
20X4
690
4,4%
51
7,4%
delta delta delta
20X2 20X3 20X4
-32 -36 -40
-10
-9
-12
181
26,2%
-14
-14
-13
16
-5
-4
-6
Tavola 46 – Piano industriale stand alone TARGET.EU con revisione STAR.IT – Base case vs Downside ca-
se (valori in milioni di euro)
STAR.IT REV
Piano industriale
(base case)
STAR.IT REV
Piano industriale
(downside case)
FATTURATO
BDGT
20X1
745
CONS
20X1
684
20X2
663
20X3
661
20X4
690
(%Y/Y)
EBITDA adjusted
% Fatturato
46
6,2%
27,7
4,0%
-7,5% 4,4%
24
34
3,8% 5,1%
4,4%
51
7,4%
66
20X2
595
13,0%
18
2,8%
20X3
605
20X4
620
1,6%
22
3,3%
2,3%
48
7,0%
delta
20X
2
-38
delta
20X
3
-56
delta
20X
4
-70
-6
-12
-3
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
CAPITALE CIRCOLANTE
NETTO
145
186
% Fatturato
19,5%
INVESTIMENTI (CAPEX)
18
176
26,6
%
181
26,2
%
175
27,2%
171
27,0
%
182
29,4
%
4
2
1
29,4%
178
29,4
%
16
25
16
16
29,2
18,1
17,1
4,2
2,1
1,1

Sinergie integrazione
Dopo aver analizzato attentamente il piano industriale stand alone, venivano considerate dall’acquirente le sinergie derivanti dall’acquisizione.
Il Rationale strategico dell’Acquisizione veniva sintetizzato nei seguenti punti:
a)
complementarietà di prodotto e mercato;
b)
forte presenza e marchi consolidati in almeno 3 paesi europei;
c)
miglioramento della profittabilità prospettica anche attraverso expertise/competencies di STAR.IT;
d)
economie di scala;
e)
unico servizio assistenza e gestione ricambi in almeno due paesi europei.
La forte complementarietà di prodotto e di mercato veniva valutata attraverso le seguenti tabelle di sintesi.
Tavola 47 – Complementarità del prodotto
FAMIGLIE PRODOTTO/ASA
K
J
W
X
Z
TARGET.EU
5
2
3
1
5
STAR.IT
2
5
1
5
1
TARGET.EU
5
5
1
3
5
3
5
3
1
1
STAR.IT
1
1
5
3
3
1
1
3
5
5
1 = Presenza debole
2 = Presenza forte
Tavola 48 – Complementarità del mercato
EUROPA 1
EUROPA 2
EUROPA 3
EUROPA 4
EUROPA 5
EUROPA 6
EUROPA 7
EUROPA 8
EASTERN EUROPE
FAR EAST-CHINA
L’integrazione avrebbe consentito potenzialmente a STAR.IT di superare il 12% del mercato europeo, incrementando di circa 8 punti percentuali la propria quota di mercato sul mercato europeo.
La valutazione dell’impatto delle Sinergie sull’EBITDA veniva, invece, così riassunta.
Tavola 49 – Breakdown Sinergie su EBITDA ipotesi 20x4 (valori in milioni di euro)
Incremento vendite
Produzione
Acquisti
Costi commerciali
Ricerca e sviluppo
Costi di struttura
Totale
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base case
TARGET.EU
1,6
3
0,6
7,4
0
0
12,6
base case
STAR.IT
4,5
6
5,3
8,2
1
2,2
27,2
base case
COMBINATE
6,1
9
5,9
15,6
1
2,2
39,8
67
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Oltre alle Sinergie descritte venivano rilevate altre potenziali sinergie non considerate nel piano industriale combinato dei due gruppi:
a)
recupero delle apparecchiature di produzione dismesse che potevano essere alienate o riutilizzate negli
impianti dell’acquirente;
b)
risparmi fiscali a seguito write off di alcuni asset e ottimizzazione delle “legal entities”.
L’impatto positivo delle sinergie poteva però essere messo in discussione dai seguenti fattori:
a)
integrazione di differenti culture e resistenza al cambiamento;
b)
difficoltà nella ristrutturazione;
c)
uscita di alcune figure chiave del management di TARGET.EU .
Peraltro, non venivano prese in alcuna considerazione le sinergie con altre business unit/legal entities appartenenti a STAR.IT, e le ipotesi relative agli acquisti di materie erano senz’altro molto prudenziali.
Il Piano industriale integrato delle due entità, infine, prendeva in considerazione i così detti “one-off cost”, ovvero
i costi una tantum legati all’acquisizione, come i transaction cost, e costi connessi con integrazione
dell’Information Technology (IT), l’interruzione dei rapporti con parte del management, il trasferimento di produzioni, ecc.

Sintesi Piano Industriale “Integrazione”: Valutazione partner finanziari
Tavola 50 – Piano industriale STAR.IT + TARGET.EU – Base case (valori in milioni di euro)
TARGET.EU revised
Piano industriale
(base case)
STAR.IT
Piano industriale
(base case)
SINERGIE
Piano industriale
(base case)
20X
20X4
20X2
3 20X4
705
2
8
6,1
20X2
663
20X3
661
20X4
690
20X2
659
20X3
648
34
5,1%
-5,5
51
7,4%
-0,8
77
11,7%
-1,9
82
93
12,7% 13,2%
One off Costs
24
3,8%
-6,2
CAPITALE CIRCOLANTE
NETTO
% Fatturato
171
27,0%
176
26,6%
181
26,2%
110
16,7%
105
101 0,6
16,2% 14,3%
FREE CASH FLOW PRE
TAX
INVESTIMENTI (CAPEX)
17,9
25
20
16
28
16
45
28
FATTURATO
(%Y/Y)
EBITDA adjusted
% Fatturato
66
19,6
65
16,4
1
22
-13
-14,3
-8,2
-0,9
STAR.IT + TARGET.EU
Piano industriale
(base case)
20X2 20X3 20X4
1.294 1.317 1.404,1
1,8% 6,4%
39,8 102
138 183,8
7,9% 10,5% 13,1%
-0,2 -21,1 -19,8
-1
0,5
1,9
9
-3
31
-3,2
281,6 281,5 283,9
21,8% 21,4% 20,3%
54,7
52,1
95
32,6
124
29,2
L’operazione veniva valutata positivamente anche dai partner finanziari, che davano così il loro assenso alla sua
realizzazione.
L’elemento fondamentale nella valutazione degli investitori finanziari risultava il track record del top management
di STAR.IT, che aveva dato ripetute prove della capacità di condurre a termine operazioni di successo.
La valutazione dei piani di fattibilità, come è normale per gli operatori finanziari, veniva effettuata considerando la
capacità di generare cassa (Free Cash Flow pre tax).
TARGET.EU, essendo estremamente liquida, avrebbe valorizzato ulteriormente il gruppo industriale in un ottica
finanziaria: la potenziale quotazione in borsa, avrebbe consentito il realizzo di plusvalenze da parte del Fondo
Private Equity e degli altri investitori finanziari.
Questi ultimi a fronte dell’aumento di capitale loro richiesto, avevano però la sottoscrizione di patti parasociali
disciplinanti i seguenti obblighi/impegni:
a)
obbligo alla quotazione entro 3 anni dall’acquisizione; in mancanza possibilità degli azionisti finanziari di
attivare la vendita del 100% della società conferendo apposito mandato ad una primaria banca di affari;
b)
piano di incentivazione azionaria a favore di dipendenti e del management di STAR.IT;
c)
impegno dei partner finanziari e dei partner Industriali a costituire pegno sulle azioni di Star.it a garanzia
della strutturazione dei finanziamenti necessari a sostenere l’acquisizione;
68
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
d)
diritto di nomina da parte degli azionisti finanziari di: almeno 3 consiglieri di amministrazione nella capogruppo su di un totale di 7 consiglieri; di almeno un consigliere nelle singole partecipate/controllate; di un sindaco
effettivo e di uno supplente.

Il prezzo dell’acquisizione
Il prezzo dell’acquisizione veniva fissato in 140 milioni di euro, considerando un multiplo sul EBITDA a consuntivo 20X1 pari ad 8 volte l’EBITDA adusted e un enterprise Value (incluso il debito finanziario) pari a circa 220 milioni di euro.
Tale valutazione rifletteva i multipli di società quotate omogenee a TARGET.EU, con l’applicazione di uno sconto
pari al 20% considerato che quest’ultima società non era quotata. Peraltro tale sconto veniva di fatto più che
assorbito dalla previsione di un premio di maggioranza pari al 25%.
 3.23 La valutazione del piano industriale nell’ambito di un’operazione di turnaround 3
Nel 20X1 il gruppo industriale ABC S.p.A. svolgeva la propria attività attraverso le seguenti aree strategiche di
affari (ASA):
a)
BRAND, largo consumo e professional;
b)
INDUSTRIAL, trasformazione di materiali per il settore alimentare;
c)
PRODOTTI SPECIALI INDUSTRIALI.
I risultati economici dell’esercizio erano molto negativi: i ricavi consolidati pari a 400 milioni di euro avevano subito un decremento del 20% rispetto all’anno precedente e l’EBITDA era passato dai 21 mil a 10 mil.
Il bilancio evidenziava una perdita di 5 milioni di euro, contro una perdita di 2,5 milioni realizzata nell’esercizio
precedente. Le cause di tale peggioramento erano da imputare principalmente all’ASA INDUSTRIAL, il cui o del
mercato di riferimento.
Tavola 51 – ABC SpA – Risultati economici
ABC SpA
(valori in milioni di euro)
FATTURATO
(%Y/Y)
EBITDA adjusted
% Fatturato
Dati consuntivi
20X0
500
20X1
400
21
4,2%
10
2,5%
RISULTATO NETTO
-18
-61
CAPITALE CIRCOLANTE NETTO
% Fatturato
EQUITY
POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN)
120
24,0%
26
230
81
20,3%
35
250
Le perdite subite erano così elevate da rendere l’equity addirittura negativo per 35 milioni di euro.
Anche il rapporto PFN/EBITDA aveva subito un forte peggioramento, passando da un valore di 10, già molto
negativo, ad un valore di 25. Ciò era indice di una situazione estremamente “pesante” sotto il profilo finanziario,
che pregiudicava fortemente la capacità di ricorso al credito bancario (il rapporto per risultare equilibrato dovrebbe non essere superiore a 3 massimo 4 ).
Ciò considerato gli azionisti avevano avviato trattative con due fondi di Private Equity per la risoluzione della “crisi
aziendale”, anche attraverso la cessione totale dell’azienda.
A tal fine, veniva elaborato un piano industriale di ristrutturazione da parte dei due Fondi di Private Equity, anche
con la collaborazione di due manager dell’azienda caratterizzati da un track record significativo nel settore.
Il piano prevedeva un deciso ridimensionamento dell’ASA INDUSTRIAL e la concentrazione degli investimenti
nell’area BRAND.
------------------------------------------3
Paragrafo curato dal dott. Claudio Gigli.
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69
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Il team di lavoro attivato era composto dagli Investment Manager dei due Fondi e dai due Manager sopra citati, i
quali si erano resi disponibili anche ad acquisire una piccola quota della società.
Il team, inoltre, era anche affiancato dai due proprietari originari che avevano gestito direttamente l’azienda.
Le linee strategiche essenziali del piano industriale di turnaround prevedevano:

ASA BRAND  consolidamento della posizione di leadership nei settori largo consumo e professional
con ulteriori relativi investimenti;

ASA INDUSTRIAL  drastico ridimensionamento;

ASA PRODOTTI SPECIALI  recupero di efficienza, contenimento costi di gestione e valutazione d cessione asset.
Le assunzione sulla base del quale il piano veniva sviluppato erano le seguenti:
a)
contrazione dei ricavi da i 400 milioni del 20X1 a 360 milioni nel 20X5 a seguito del ridimensionamento
dell’ASA Industrial, in parte attenuata dalla crescita della divisione prodotti;
b)
crescita dell’EBITDA da 10 milioni di euro del 20X1 ai 46 milioni del 20X5, grazie ad efficentamenti produttivi e al rafforzamento dell’ASA BRAND che garantiva maggiore redditività;
c)
ottimizzazione del Capitale Circolante Netto, da 81 milioni del 20X1 a 78 milioni di euro nel 20X5;
d)
riduzione della forza lavoro di circa il 25% (ridimensionamento area INDUSTRIAL);
e)
cessione di due immobili industriali ritenuti non più funzionali al business aziendale.
Tavola 52 – ABC SpA – Piano industriale CONSOLIDATO (valori in milioni di euro)
FATTURATO
20X1
400
20X2
340
20X3
245
20X4
351
20X5
360
EBITDA adjusted
% Fatturato
10
2,5%
12,6
3,7%
34
13,9%
43
12,3%
46,5
12,9%
RISULTATO NETTO
-61
-8
3
11,6
17
CAPITALE CIRCOLANTE NETTO
% Fatturato
POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN)
81
20,3%
-35
250
FREE CASH FLOW
PFN/EBITDA
76
22,4%
57
155
95
73,6
30%
60
135
20
73
20,8%
72
112
23
74,4
20,7%
89
93,5
18,5
25
12
4
3
2
EQUITY
Il valore dell’equity nel piano (20x2) reperisce l’ipotesi di proposta di ristrutturazione del debito, assumendo come equity anche gli strumenti
finanziari partecipativi dopo la trasformazione di parte del debito.
La tabella sopra riportata evidenzia gli obiettivi di miglioramento del rapporto PFN/EBITDA, considerato estremamente importante, in quanto espressione della capacità di indebitamento: in base al piano nel 20X5 sarebbe
stato raggiunto un valore di 2, da considerarsi molto positivo.

Analisi delle tre Asa
Le linee strategiche dell’ASA BRAND che comprendeva le famiglie di prodotto, A,B,C., venivano così delineate:
Tavola 53 – Le linee strategiche dell’ASA BRAND
FAMIGLIA PRODOTTO A)
FAMIGLIA PRODOTTO B)
FAMIGLIA PRODOTTO C) PROFESSIONAL







70
Contenimento del trend di scoutistica, finalizzato al consolidamento
della marginalità nel canale GDO
Razionalizzazione gamma prodotto e
lancio nuovi prodotti
Specializzazione marchi
Maggiori investimenti pubblicitari e
rinnovamento del packaging
Maggiore Selezione Clientela
Ampliamento del mercato geografico di riferimento e del portafoglio
prodotti


Crescita volumi dovuta ad espansione Far East, marchi privati, lancio
nuovi prodotti
Cost saving approvvigionamenti
(nuove materie prime e verticalizzazioni)
Rinnovo del packaging e del design
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 54 – ABC SpA – Piano industriale ASA BRAND (valori in milioni di euro)
FATTURATO
20X1
220
20X2
212
20X3
226
20X4
245
20X5
251
EBITDA adjusted
% Fatturato
16
7,3%
16,6
7,8%
30
13,3%
36
14,7%
38
15,1%
RISULTATO NETTO
5
7
10
14
16
CAPITALE CIRCOLANTE NETTO
% Fatturato
30
13,6%
65
8
36
17%
72
4
38,6
17,1%
82
-4
43
17,6%
96
-11
43,4
17,3%
112
-17,5
4
8
7
6,5
EQUITY
POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN)
FREE CASH FLOW
La suddetta area caratterizzata storicamente da risultati positivi, avrebbe contribuito fortemente al recupero di
redditività aziendale.
Per l’ASA INDUSTRIAL veniva invece ipotizzato un forte ridimensionamento e il perseguimento dei seguenti
obiettivi:

incremento efficienza produttiva attraverso trasferimento in un sito più efficiente e ottimizzazione dei consumi materie prime e riduzione degli scarti;

ampliamento del mercato verso i paesi dell’Est Europa;

nuovi sviluppi sul prodotto;

tentativi di cessione business unit.
Tavola 55 – ABC SpA – Piano industriale ASA INDUSTRIAL (valori in milioni di euro)
FATTURATO
20X1
170
20X2
119
20X3
100
20X4
100
20X5
102
EBITDA adjusted
% Fatturato
-8
-4,7%
-4
-3,4%
3
3%
6
6,0%
7,5
7,4%
RISULTATO NETTO
-61
-18
-7
-2
1
CAPITALE CIRCOLANTE NETTO
% Fatturato
45
26,5%
-30
234
35
29,4%
60
152
29
29%
53
146
24
24%
51
138
24
23,5%
52
132
82
6
8
6
EQUITY
POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN)
FREE CASH FLOW
Infine, con riferimento all’ASA PRODOTTI SPECIALI il piano presentava i seguenti obiettivi:

incremento efficienza produttiva attraverso trasferimento in un sito più efficiente;

ottimizzazione dei consumi materie prime e riduzione degli scarti;

ampliamento del mercato verso i paesi dell’Est Europa;

nuovi sviluppi sul prodotto;

tentativi di cessione business unit.
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71
Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Tavola 56 – ABC SpA – Piano industriale ASA PRODOTTI SPECIALI (valori in milioni di euro)
FATTURATO
20X1
10
20X2
9
20X3
10
20X4
11
20X5
12
EBITDA adjusted
% Fatturato
0
0%
0
0%
1
10%
1
9,1%
1
8,3%
RISULTATO NETTO
-5
3
-
-
-
CAPITALE CIRCOLANTE NETTO
% Fatturato
4
40%
2
8
5
56%
5
-1
6
60%
5
-7
6
54,5%
5
-15
7
58,3%
5
-21
9
6
8
6
EQUITY
POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN)
FREE CASH FLOW
L’operazione di turnaround si concretizzava con l’ingresso nel capitale dei due Fondi di Private Equity, che sottoscrivevano e versavano complessivamente a titolo di aumento di capitale il 90% di 20 milioni di euro. Il restante 10% del capitale sociale veniva sottoscritto e versato dai due manager che così diventavano i partner operativi.
Le perdite eccedenti il patrimonio netto venivano coperte con la trasformazione di parte del debito consolidato
in strumenti finanziari partecipativi (prestiti partecipativi).
E, contestualmente alla operazione di aumento capitale sociale, veniva negoziata la seguente struttura finanziaria:
1)
conversione, come sopra riportato, da parte degli istituti di credito finanziatori di 80 milioni di euro di debito consolidato in strumenti partecipativi;
2)
riscadenziamento del residuo Debito Consolidato di 110 milioni di euro in 18 rate semestrali a partire
dall’esercizio 20X3;
3)
rinuncia da parte degli Istituti finanziatori agli interessi per il biennio 20X1,20X2, 20X3 sul residuo debito
consolidato;
4)
mantenimento da parte degli istituti finanziatori degli affidamenti di breve termine (smobilizzo, “nuova finanza” e factoring) e lettere di credito fino al 20X5;
5)
disponibilità della società a destinare il 60% dei proventi rinvenienti dall’eventuale alienazione degli asset
non strumentali per rimborsare anticipatamente i debiti riscadenzati, a valere sulla prima rata.

Diritti degli Strumenti Finanziari Partecipativi
Ai titolari di strumenti finanziari partecipativi, venivano riconosciuti i seguenti diritti:

adeguata rappresentanza negli organi sociali;

in caso di cessione della società a terzi, obbligo di trasferimento congiunto degli strumenti finanziari e delle azioni, e ripartizione del prezzo ricevuto complessivamente per entrambe le categorie come segue:
a)
una somma pari all’ammontare di capitale sottoscritto a titolo di aumento di capitale è destinata agli
azionisti
b)
l’eccedenza è destinata quanto al 70% ai titolari di strumenti finanziari partecipativi e quanto al residuo 30% agli azionisti.

Patti parasociali
Tra i nuovi azionisti (finanziatori ed operativi) venivano, inoltre, siglati patti parasociali disciplinanti i seguenti
aspetti:

accordi di Governance;

clausole Good e Bad leaver con i partner operativi;

patti di non concorrenza per tre anni dall’eventuale uscita degli operativi;

accordi di co-vendita azioni (Tag e drag along);

incentivazioni a fronte di raggiungimento risultati da riconoscere ai partner operativi.
72
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Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale
Con gli azionisti originari venivano, invece, formalizzato:

un accordo per la loro uscita dal capitale, che prevedeva in sintesi un earn out da pagare agli stessi,
commisurato su un’aliquota della sommatoria dei NOPAT (Net Operating Profit after taxes) degli esercizi
20X2 e 20X3, più il 20% prezzo di alienazione degli asset non più strumentali;

un patto di non concorrenza per tre anni a far data dall’operazione sul capitale.

Considerazioni conclusive valutative
In sintesi l’operazione di turnaround venne valutata considerando i seguenti aspetti positivi e negativi:
Opportunità

grande notorietà marchi del gruppo;

elevate quote di mercato nel settore BRAND – Largo consumo;

“unicum” nel settore in termini di massa critica, riconoscibilità ed esperienza nel mercato;

margini di miglioramento della profittabilità aziendale, attraverso efficentamenti produttivi e maggiore incisività commerciale;

nuovo management con track record di successo in imprese del settore.
Minacce (Aree di attenzione)

ristrutturazione ASA INDUSTRIAL: incertezza circa la ripresa del mercato, diffusa sovracapacità produttiva
e compressione dei margini;

dismissione degli asset non ritenuti strategici: difficoltà di dismissione considerata la crisi del settore immobiliare.
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73
Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
 4.
Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Luca Capozucca
Domandare non costa che un istante di imbarazzo,
non domandare è essere imbarazzati per tutta la vita.
Proverbio giapponese
 4.1 Premessa
Per gli imprenditori è importante comprendere quali sono gli indicatori che secondo le Banche e gli altri finanziatori, a cui si trovano a chiedere soldi, misurano le performances e il valore della propria impresa.
Spesso si trovano a parlare con questi soggetti di indicatori quali PFN, PFN/EBITDA, PFN/PN ecc., ma si
sentono a disagio perché non ne comprendono a fondo il significato.
Per questo motivo riteniamo estremamente utile fornire un percorso logico di analisi finanziaria, semplice ma
allo stesso tempo efficace, per valutare sulla base alcuni semplici indicatori i risultati attuali e prospettici della
propria azienda.
 4.2 Che cos’è l’analisi finanziaria
L’analisi di tipo finanziaria viene tipicamente realizzata attraverso l’analisi di bilancio. Tale strumento risulta di
fondamentale importanza per valutare lo status dell’impresa, poiché rappresenta un punto di partenza per varie decisioni di carattere strategico, operativo e finanziario.
Nella prassi, l’analisi di bilancio, viene considerata come un’analisi di tipo statico, atta cioè a fotografare la situazione dell’impresa in un determinato istante: diviene importante poter collegare a tale analisi delle valutazioni strategiche, che manifestino in pieno la reale dinamicità dell’impresa.
I documenti preliminari, necessari per l’analisi di bilancio, risultano essere tipicamente:

stato patrimoniale;

conto economico;

nota integrativa.
Attraverso tali prospetti è possibile anzitutto tradurre in termini numerici le scelte strategiche dell’impresa; nello specifico è possibile accertare:

la situazione finanziaria di un’impresa, ovvero la capacità di far fronte in maniera efficiente agli impegni
finanziari, sia in tempi brevi (liquidità) che in tempi medio-lunghi (solidità patrimoniale);

la situazione economica di un’impresa, cioè valutare la sua capacità di creare valore.
Concretamente, tale strumento viene utilizzato per:

valutare le principali performance economiche, patrimoniali e finanziarie dell’impresa;

comparare i risultati storici dell’impresa in un orizzonte temporale definito (di norma compreso tra i 3 ed
i 5 anni);

controllare la gestione aziendale attraverso dei dati che possano essere di supporto per l’elaborazione
dei budget annuali;

prendere decisioni di tipo finanziario, relativamente alla necessità/opportunità di forme di finanziamento
ulteriori ed aggiuntive;

valutare l’esistenza di situazioni di crisi d’impresa, prima che esse diventino patologiche;

prendere decisioni di tipo strategico ed operativo, di supporto al management aziendale.
 4.3 Bontà e qualità dei dati oggetto di analisi
I prospetti di stato patrimoniale e conto economico, così come previsti dalle leggi vigenti, non permettono sovente un’analisi coerente e veritiera della realtà aziendale.
Risulta determinante riaggregare i dati di bilancio, esprimibili dai prospetti di legge, per ottenere dei risultati
fruibili applicabili alla concreta realtà aziendale.
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75
Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Il processo di analisi viene articolato nelle seguenti fasi:
1)
verificare i criteri di valutazione – mediante l’analisi della nota integrativa – utilizzati per la redazione dei
prospetti di stato patrimoniale e di conto economico;
2)
riclassificare lo stato patrimoniale ed il conto economico, nelle forme che analizzeremo successivamente;
3)
redigere il prospetto di rendiconto finanziario, per procedere coerentemente nell’analisi dei flussi finanziari;
4)
costruire gli indici di bilancio;
5)
interpretare gli indici di bilancio, precedentemente elaborati.
È importante puntualizzare che l’analisi di bilancio, anche se considerata come un’analisi di tipo statico, può
senza dubbio essere resa dinamica mediante l’analisi della variazione dei dati nel corso dell’intervallo di tempo considerato (è importante dunque procedere in modo dinamico, attraverso l’analisi degli scostamenti temporali fra i diversi dati espressi dai prospetti di riclassificazione).
Attraverso la riclassificazione dei prospetti di stato patrimoniale e di conto economico è possibile accertare, in
sintesi, importanti indicatori aziendali quali:

solidità;

redditività;

liquidità;

produttività.
 4.4 Riclassificazione dello stato patrimoniale
Lo Stato patrimoniale, nella sua rappresentazione civilistica, ha la funzione di riprodurre il valore del patrimonio aziendale, identificando chiaramente:

la classificazione degli impieghi: destinazione dei mezzi monetari;

la classificazione delle fonti: provenienza delle risorse.
Gli schemi di riclassificazione hanno diverse forme a seconda della natura dell’azienda e degli obiettivi che si
pone l’analista di riferimento.
Il prospetto di stato patrimoniale, di norma, viene riclassificato mediante due differenti tipologie di analisi:

riclassificazione finanziaria: basata sul criterio di liquidità/esigibilità;

riclassificazione gestionale: basata sul ciclo caratteristico d’impresa acquisto-trasformazione-vendita.
 4.4.1 Lo stato patrimoniale riclassificato: il criterio finanziario
Mediante il criterio di riclassificazione di tipo finanziario, vengono riordinate le principali voci patrimoniali, secondo un parametro di tipo temporale:

la rapidità di trasformazione in liquidità dell’attivo;

la velocità di estinzione da parte del passivo.
In merito a tale schema di riclassificazione, l’elemento fondamentale è la temporalità, individuata in 12 mesi:
ogni attività o passività che si trasforma o estingue entro 12 mesi, viene definita a “breve”, mentre al contrario,
qualora la trasformazione o l’estinzione si protrae per oltre 12 mesi, le attività e le passività verranno definite
“differite” o “consolidate”.
Attraverso tale schema di riclassificazione è possibile rappresentare il grado di equilibrio finanziario aziendale
sia nel breve termine che nel medio lungo termine. E’ uno schema snello che, vista la semplicità di riclassificazione dei valori, risulta maggiormente d’aiuto nel caso in cui l’impresa ricorra ad un analista esterno (invece
di procedere con un’analisi dei risultati aziendali dall’interno). Inoltre, permette il confronto dei relativi indicatori
(di sintesi) in maniera facilitata rispetto ad altre forme particolari di riclassificazione dello stato patrimoniale.
76
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Tavola 1- Stato Patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario
STATO PATRIMONIALE
(criterio finanziario)
ATTIVITÀ
PASSIVITÀ
ATTIVITÀ CORRENTI
Liquidità immediate (cassa, banca, titoli negoziabili);
Liquidità differite (crediti, cambiali)
Magazzino (scorte, anticipi a fornitori)
(fondi di pertinenza)
PASSIVITÀ CORRENTI
Debiti v/banche a breve
Debiti v/fornitori
Debiti tributari
Quote TFR da liquidare
ATTIVITÀ IMMOBILIZZATE
Immobilizzazioni materiali;
Immobilizzazioni immateriali;
Immobilizzazioni finanziarie
(fondi di pertinenza)
PASSIVITÀ CONSOLIDATE
Mutui
Debiti consolidati
Prestiti obbligazionari
Fondo TFR
CAPITALE NETTO
Capitale sociale
Utili (perdite)
Riserve
CAPITALE INVESTITO
MEZZI DI FINANZIAMENTO
 4.4.2 Lo stato patrimoniale riclassificato: il criterio funzionale/gestionale
Attraverso il criterio di riclassificazione funzionale/gestionale, viene prestata particolare attenzione al ciclo caratteristico dell’impresa individuato nelle fasi di acquisto-trasformazione-vendita.
Le poste contabili, verranno riclassificate per aree funzionali, distinguendo i valori concernenti la gestione caratteristica dai valori riconducibili alle altre aree gestionali d’impresa.
Tavola 2 – Ciclo caratteristico dell’impresa
Gli impieghi verranno riclassificati tenendo in considerazione il loro utilizzo: se utilizzati nell’attività principale,
verranno considerati come investimenti caratteristici, se utilizzati nelle attività secondarie/ausiliarie verranno
considerati come investimenti extra-caratteristici.
Risulterà possibile classificare gli impieghi nei seguenti termini:

attività correnti operative: rimanenze di magazzino, crediti v/clienti, anticipi a fornitori, altre attività correnti operative;

attività non correnti operative: immobilizzazioni materiali ed immateriali, utilizzate nella gestione operativa dell’impresa;

attività non operative: tutte le poste non attinenti l’attività operativa aziendale quali titoli negoziabili, titoli
a reddito fisso, immobilizzazioni non operative, conti correnti bancari e postali non operativi.
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77
Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Le fonti di finanziamento, nello schema di riclassificazione funzionale/gestionale, verranno rappresentate in
relazione al tipo di investimento per le quali sono state utilizzate (caratteristico o extra-caratteristico). Le fonti
di finanziamento vengono distinte considerando e distinguendo:

i debiti contratti per supportare il normale ciclo di attività operativo aziendale;

i debiti contratti per supportare attività differenti da quelle di tipo operativo;

i debiti verso la proprietà, che rappresentano il patrimonio netto aziendale.
Le tre differenti configurazioni degli elementi del passivo aziendale sono:

passività correnti operative: debiti v/fornitori, debiti TFR, debiti tributari;

passività non correnti (o finanziarie): debiti v/banche, mutui, obbligazioni;

patrimonio netto: capitale sociale, utili accantonati, riserve.
Da tale riclassificazione è possibile dedurre alcuni importanti indicatori, utilizzati nella prassi aziendale con
scopo di analisi e valutazione, come ad esempio:

il capitale circolante netto operativo, calcolato come differenza tra le attività correnti operative e le passività correnti di tipo operativo (supporto operativo concesso dai fornitori aziendali). Esso è in grado di
esprimere la bontà del ciclo monetario della gestione caratteristica aziendale: tale indicatore va considerato, caso per caso, in base alla realtà aziendale oggetto di analisi. Nel caso, ad esempio, di aziende
della GDO (tali per cui i giorni credito ai clienti< giorni di credito ai fornitori), l’analisi del circolante diviene fondamentale, poiché si potrà generare una riduzione massima dell’assorbimento di liquidità
nell’attività caratteristica (esse incassano infatti quotidianamente dai propri clienti e pagano in maniera
dilazionata i propri fornitori), evitando di ricorrere alla liquidità presso terzi soggetti (banche), con un costo di mantenimento che, nella maggior parte dei casi, risulta essere particolarmente elevato;

capitale investito netto operativo, calcolato come sommatoria tra le attività non correnti operative e il
capitale circolante netto operativo: esso è in grado di isolare tutti gli impieghi legati alla gestione caratteristica d’impresa, escludendo tutto ciò che risulta essere extra-caratteristico;

capitale investito netto, calcolato come sommatoria tra le attività correnti e non correnti operative e le attività non operative: rappresenta sostanzialmente il totale degli impieghi e cioè il fabbisogno finanziario richiesto dall’attività d’impresa, che dovrà essere ricoperto attraverso fonti finanziarie (passività correnti e
non correnti) o apporto dei soci (patrimonio netto).
Tavola 3 – Stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio di pertinenza gestionale
STATO PATRIMONIALE
(criterio di pertinenza gestionale)
ATTIVITÀ
PASSIVITÀ
ATTIVITÀ CORRENTI OPERATIVE
Rimanenze di magazzino
Crediti v/clienti
Anticipi a fornitori
Altre attività correnti
C/c bancario e postale operativo
(fondi di pertinenza)
PASSIVITÀ CORRENTI OPERATIVE
Debiti v/fornitori
Debiti tributari
Fondo TFR
Anticipi da clienti
ATTIVITÀ NON CORRENTI OPERATIVE
Macchinari
Attrezzature
Brevetti
Partecipazioni operative
(fondi di pertinenza)
PASSIVITÀ NON CORRENTI
Debiti v banche
Mutui
Altri debiti finanziari
Prestiti da soci
Obbligazioni
ATTIVITÀ NON OPERATIVE
Titoli negoziabili
Immobili non operativi
C/c bancario e postale non operativo
CAPITALE NETTO
Capitale sociale
Utili (perdite)
Riserve
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
 4.5 Riclassificazione del Conto economico
La struttura di conto economico, proposta dal codice civile, come detto pone dei grossi limiti per
l’interpretazione della gestione aziendale: nella prassi, infatti, vengono utilizzate alcune modalità di riclassificazione del conto economico, definite specificatamente considerando ogni singola realtà aziendale.
Le tre tipologie di riclassificazione del conto economico maggiormente utilizzate sono:

riclassificazione al costo del venduto;

riclassificazione a valore aggiunto;

riclassificazione a costi fissi e variabili.
La riclassificazione del conto economico rappresenta una fase decisiva dell’intero processo di analisi dei risultati aziendali: il conto economico viene infatti considerato come una fonte assoluta di informazioni aziendali.
Nello specifico, tale riclassificazione:

permette la costruzione e l’evidenziazione di parametri e grandezze più espressive della gestione (valore aggiunto, reddito operativo, reddito netto ecc.);

rende omogenei i dati per consentire il loro confronto nel tempo e nello spazio, ossia per più esercizi
successivi per la stessa azienda (dimensione temporale) e con aziende dello stesso settore o di settori
diversi (dimensione spaziale);

separa nettamente gli elementi attinenti la gestione caratteristica dell’impresa da quelli che si riferiscono
alle gestioni cosiddette accessorie o extra-caratteristiche (finanziaria, straordinaria fiscale, ecc.), al fine
di facilitare la comprensione delle principali problematiche gestionali.
 4.5.1 Lo schema al costo del venduto.
Lo schema di riclassificazione al costo del venduto evidenzia il contributo delle differenti aree gestionali alla formazione del risultato economico aziendale.
Tale prospetto di sintesi, basato sulla riclassificazione dei costi per destinazione, viene utilizzato soprattutto dalle
imprese di trasformazione industriale, essendo scarsamente indicato per le imprese di servizi.
Attraverso tale schema sarà possibile analizzare, in maniera del tutto agevole, il margine economico dell’attività
industriale, elemento interessante per le imprese che trasformano materie prime; lo schema risulterà fuorviante
per quelle imprese che si limitano a distribuire e commercializzare i prodotti.
Le principali condizioni negative collegate a tale schema di riclassificazione sono:

difficoltà nella fase di reperimento dei dati, nel caso di analista esterno, incaricato di esaminare i dati
aziendali;

difficile identificazione della sommatoria delle quote di ammortamento imputabili all’esercizio, poiché le
stesse vengono calcolate, in maniera separata, all’interno di ogni singola area aziendale.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Tavola 4 – Conto economico riclassificato al costo del venduto
Mediante tale schema di riclassificazione, diviene possibile analizzare alcuni macro risultati intermedi aziendale,
quali:

risultato lordo industriale (gross profit): rappresenta una valida manifestazione del margine economico
dell’attività industriale poiché, al proprio interno, vengono considerate oltre al fatturato aziendale, le principali voci di costo relative alla produzione industriale dell’impresa;

reddito operativo (EBIT): viene dedotto sottraendo, al risultato lordo industriale, i costi amministrativi e
commerciali propri dell’impresa. E’ un indicatore che rappresenta la misura di efficacia dell’impresa in merito alla redditività della sua gestione caratteristica. Inoltre, è in grado di evidenziare la parte dei ricavi disponibili, a seguito della copertura dei costi caratteristici dell’impresa, utilizzabili per remunerare il capitale
investito, sia da parte della proprietà (utile) sia da parte di soggetti esterni all’impresa (oneri finanziari).
Un valore positivo del reddito operativo, individua un quadro apprezzabile dell’impresa. Tale indicatore
dovrà essere in grado di ricoprire, almeno adeguatamente, i costi relativi alle successive gestioni
d’impresa (finanziaria, fiscale e tributaria). Può infatti accadere in alcuni casi che la redditività operativa sia
completamente assorbita dagli oneri finanziari, dagli oneri straordinari e dalla fiscalità corrente.
Un reddito operativo con segno negativo rappresenta una situazione aziendale squilibrata in cui la gestione caratteristica dell’impresa assorbe risorse anziché generarle;

risultato di competenza: viene calcolato sommando algebricamente al reddito operativo il risultato della
gestione finanziaria e di quella accessoria d’impresa. Permette già di valutare l’impresa in maniera tendenzialmente più complessiva rispetto al precedente indicatore;

risultato di esercizio: rappresenta il valore finale di ogni conto economico (utile/perdita d’esercizio) e viene determinato sommando algebricamente al risultato di competenza gli oneri/proventi straordinari e gli
oneri fiscali in capo all’impresa. E’ il valore finale preso in considerazione dagli stakeholder aziendali per
valutare il rendimento del capitale investito nell’impresa.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
 4.5.2 Lo schema a valore aggiunto
Lo schema di riclassificazione del conto economico a valore aggiunto, viene utilizzato soprattutto nel caso di
analisi compiute da soggetti esterni all’impresa.
In tale schema di sintesi, i costi, vengono riclassificati per natura e suddivisi tra costi interni e costi esterni
all’impresa inoltre, permette di evidenziare, quanto valore l’azienda è stata in grado di aggiungere alle materie prime ed agli altri acquisti esterni, determinando il cosiddetto valore aggiunto. E’ uno schema che, nel suo utilizzo,
può adattarsi in maniera abbastanza agevole a tutte le realtà aziendali oggetto di valutazione.
Tavola 5 – Conto economico riclassificato al valore aggiunto
CONTO ECONOMICO
(valore aggiunto)
Ricavi vendite e prestazioni
+/- variazione delle scorte di prodotti finiti e semilav.
+ lavori in economia
RICAVI DI VENDITA
- COSTI DELLA PRODUZIONE
acquisti di materie prime e semilav.
costi per servizi
costi per godimento beni di terzi
+/- variazione delle scorte di materie prime
altri costi di gestione
= VALORE AGGIUNTO
- Costo del personale
= MARGINE OPERATIVO LORDO (EBITDA) - ammortamenti e accantonamenti
- canoni di leasing
= RISULTATO OPERATIVO (EBIT)
- oneri finanziari
+ proventi finanziari
+ proventi della gestione accessoria
- costi della gestione accessoria
= RISULTATO DI COMPETENZA
+/- componenti straordinari di reddito
= RISULTATO ANTE IMPOSTE
- imposte di esercizio
= RISULTATO D’ESERCIZIO
Mediante tale schema è possibile analizzare i seguenti macro risultati aziendali di riferimento:

ricavi di vendita: determina tutto ciò che è stato prodotto nell’esercizio oggetto di osservazione. E’ un
indicatore completo poiché considera oltre al fatturato prodotto anche la variazione delle rimanenze di
prodotti finiti e dei lavori in economia. Può accadere, in molte realtà, che vi sia una differenza tra il valore del fatturato ed il valore della produzione dell’esercizio, legata alternativamente o ad una sovrapproduzione che l’azienda dovrà assorbire negli esercizi successivi o una contestuale sopravvalutazione
delle rimanenze di prodotti finiti e semilavorati;

valore aggiunto: viene calcolato sottraendo dalla produzione dell’esercizio tutti i costi relativi a beni e
servizi della gestione caratteristica e considerando inoltre, le variazioni delle rimanenze di materie prime
e di semilavorati. Tale macro grandezza sta ad indicare, sostanzialmente, quanta parte dell’intera produzione è imputabile all’attività svolta internamente.
Sarà alquanto agevole determinare quanto valore l’impresa aggiunge alle materie prime, ai semilavorati
ed alle altre condizioni produttive esterne, mediante il suo operato;

margine operativo lordo (EBITDA): risulta essere una delle macro grandezze aziendali per eccellenza.
Rappresenta in pieno lo stato di salute di un impresa e la sua capacità di produrre flussi finanziari ( non
è in alcun modo influenzato dalle politiche di ammortamento ed accantonamento realizzate dall’impresa
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
nel corso dell’esercizio), poiché viene calcolato come differenza tra ricavi monetari e costi monetari della gestione.
Un margine operativo lordo (MOL) di per sé negativo può rappresentare, indubbiamente, una situazione
aziendale di particolare squilibrio ed un forte sintomo di instabilità economica e finanziaria.
Viene calcolato sottraendo dal valore aggiunto tutti i costi riconducibili alla sfera del personale dipendente
aziendale (costo del lavoro, oneri sociali, accantonamento TFR).
 4.5.3 Lo schema a costi fissi e variabili.
Tale schema di riclassificazione permette agevolmente di valutare il grado di redditività aziendale, inoltre, mediante un importante indicatore, il margine di contribuzione, si possono ottenere informazioni utilizzabili per pianificare e programmare la gestione aziendale.
Tale riclassificazione viene utilizzata soprattutto nelle aziende che distribuiscono e commercializzano prodotti
(aziende cd. commerciali).
Lo schema di riclassificazione viene costruito prendendo come base la distinzione dei costi tra:

costi variabili: parte dei costi che varia direttamente al variare dei volumi di vendita;

costi fissi: costi caratterizzati dalla sostanziale stabilità rispetto alla variazione dei volumi di vendita.
Il limite principale di tale prospetto risiede nella difficoltà di riclassificazione dei costi fissi e dei costi variabili
aziendali.
Tavola 6 – Conto economico riclassificato a costi fissi e variabili
Il margine di contribuzione, come già definito in precedenza, è un ottimo indicatore per valutare la redditività operativa aziendale. Nella sua espressione determina il margine esistente tra ricavi di vendita e consumi:
ad esempio, nelle aziende commerciali che distribuiscono prodotti, esso permette di osservare, in maniera
abbastanza evidente, il margine effettivo che l’impresa possiede tra acquisto del prodotto e la successiva
vendita o distribuzione. Tale margine dovrà essere in grado di assorbire tutti i costi fissi aziendali e tutti gli
oneri generati dalle aree finanziaria, straordinaria e fiscale.
Il margine di contribuzione risulta essere un ottimo indicatore a sostegno della programmazione aziendale
poiché permette, abbastanza agevolmente, di prevedere le quantità obiettivo necessarie per raggiungere il
punto di pareggio nell’esercizio.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
 4.6 L’analisi dei risultati aziendali
Una volta conclusa la fase di riclassificazione dei prospetti di stato patrimoniale e di conto economico, si prosegue con l’elaborazione e l’analisi dei principali indicatori aziendali.
Come già richiamato in precedenza, l’analisi di bilancio permette di controllare l’andamento complessivo aziendale, evidenziandone potenziali criticità e difficoltà.
E’ molto importante, per il management aziendale, avere dei report periodici sui principali indicatori aziendali,
con lo scopo di monitorare le performance aziendali ed eventualmente pianificare, con congruo anticipo, interventi mirati prima del concreto manifestarsi di potenziali situazioni di difficoltà.
In questa sede non verranno richiamati tutti gli indicatori aziendali, ma semmai verrà posto l’accento soltanto su
quelli che consentono mediamente ad un analista aziendale (interno o esterno) di comprendere le dinamiche
complessive dell’impresa.
A tale riguardo, si nota come si dovrebbe evitare di elaborare una serie infinita di indicatori di sintesi che, al contrario, invece di facilitare l’interpretazione della situazione aziendale, possono talora determinare confusione di
lettura e maggiore instabilità di analisi, a meno che si sia in grado di sintetizzare, con professionalità e coerenza,
i trend più importanti emergenti dall’analisi.
 4.6.1 Analisi dei ricavi, dei margini e della produttività aziendale
L’analisi dei margini e dei ricavi aziendali risulta essere il punto di partenza per la rappresentazione dei risultati
aziendali.
L’obiettivo di tale tipologia di indicatori è quello di identificare la variazione assoluta e percentuale delle principali
voci che concorrono a formare il reddito operativo, con focus specifico sulla produttività aziendale.
Tali indicatori, vengono costruiti considerando alcune macro grandezze aziendali quali: trend dei ricavi, margine
operativo lordo, costo del lavoro, reddito operativo ecc.
Di seguito una rappresentazione dei principali indicatori.
Tavola 7 – Indicatori economici
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Un costo che l’impresa non può certamente permettersi di trascurare è il costo del lavoro: è importante analizzarlo come indicatore di efficienza aziendale poiché, infatti, sarà possibile comprendere l’abilità di utilizzo della
forza lavoro, da parte della stessa impresa. Il fattore lavoro va così analizzato in termini di produttività, costo e
tasso di crescita.
Di seguito i principali indicatori di sintesi, in merito al costo del lavoro dipendente.
Tavola 8 – Indici di produttività
 4.6.2 Analisi del circolante e delle politiche di investimento
Tali indicatori permettono di analizzare il circolante commerciale e le politiche di investimento aziendale.
Il capitale circolante commerciale rappresenta egregiamente lo stato di salute di un impresa. Tale valore viene
determinato attraverso la seguente sommatoria: crediti commerciali + magazzino – debiti commerciali. E’ in grado di esprimere il fabbisogno finanziario lordo derivante dall’attività tipica d’impresa.
Dalla precedente sommatoria, possiamo sostanzialmente determinare 2 differenti risultati:

capitale circolante commerciale netto > 0 (crediti + magazzino > debiti). In questo caso, che potremmo definire in prima battuta fisiologico, una parte degli investimenti della gestione caratteristica a breve termine è finanziata da finanziamenti attinenti alla medesima gestione. Bisogna fare attenzione affinché
tale valore non sia eccessivamente rilevante, poiché altrimenti si tradurrebbe in una potenziale situazione
di instabilità per l’impresa, con ripercussioni in termini di liquidità (riferibili ad esempio alla difficoltà di incassare i crediti verso i clienti od all’eccessivo livello di scorte presenti in magazzino, non più facilmente liquidabili nel breve periodo);

capitale circolante commerciale < 0 (crediti + magazzino < debiti). Tale circostanza si verifica,
usualmente, in quelle imprese che non concedono pagamenti dilazionati ai propri clienti, sia per il settore in cui operano sia per scelte di tipo strategico. Tale prospettiva, dal lato della liquidità aziendale, risulta essere la più rassicurante, poiché l’impresa riesce a generare flussi di cassa positivi più velocemente dei tempi richiesti per liquidare i debiti commerciali (un chiaro esempio, di tale prospettiva, può
essere rappresentata dalle imprese al dettaglio o della GDO, che incassano in contanti, eliminando totalmente l’esistenza dei crediti v/clienti e pagano i fornitori in forma dilazionata), permettendo
all’impresa di utilizzare il debito commerciale anche per finanziare i propri investimenti in attività immobilizzate o per ridurre la propria esposizione finanziaria.
Ogni impresa avrà un proprio grado di volatilità del capitale circolante, causato da vari fattori: ad esempio, il fattore stagionalità in moltissime imprese incide profondamente poiché, in tali situazioni, gli acquisti, la produzione
e le vendite non avverranno in maniera uniforme nel corso dell’esercizio. In tale casistica, il valore del capitale
circolante varierà fortemente nel corso dell’anno, alternando fasi di espansione a fasi di contrazione.
Risulta fondamentale porre in essere un’adeguata analisi delle componenti che influenzano il capitale circolante
commerciale, che può essere riassunta negli indicatori che andremo di seguito a rappresentare.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Tavola 9 – Indici finanziari a breve termine
L’analisi del circolante, in sintesi, viene dichiarata nell’indicatore che esprime il ciclo del circolante, il quale sarà
pari a: tempo medio di incasso + tempo medio giacenza delle scorte – tempo medio di pagamento.
Tale sommatoria rappresenta il numero di giorni che intercorrono – in media – tra il momento in cui vengono pagati i fornitori e quello in cui vengono incassati i crediti dai clienti per la vendita di prodotti.
Relativamente alle politiche di investimento, occorre anzitutto considerare il livello di obsolescenza tecnologica
delle immobilizzazioni utilizzate da parte dell’azienda. Solo prendendo coscienza della situazione attuale, si potranno porre le basi per pianificare eventuali nuovi investimenti. L’analisi viene fatta attraverso l’indicatore denominato CAPEX, che contrappone le immobilizzazioni tecniche nette (al numeratore) e le immobilizzazioni tecniche lorde (al denominatore).
Il risultato del precedente indicatore può essere altresì utilizzato contrapponendolo al valore annuo degli ammortamenti dell’impresa, al fine di ottenere importanti informazioni circa la natura degli investimenti attualmente in
essere.
Si possono dunque avere 3 differenti risultati:

CAPEX – ammortamenti > 0: indica la capacità dell’impresa di ampliare la propria base produttiva rispetto a quella in essere (investimenti per lo sviluppo);

CAPEX – ammortamenti = 0 : indica la capacità dell’impresa di mantenere stabile la propria base produttiva (investimenti di mantenimento);

CAPEX – ammortamenti < 0: l’impresa si trova in una situazione in cui la politica di investimento denota
un deficit strutturale (“dismissione” delle immobilizzazioni).
Ogni politica di investimento dovrà essere posta in essere con lo scopo di generare maggiori flussi di cassa operativi.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
 4.6.3 Analisi delle politiche di finanziamento e della liquidità
Per poter generare ricchezza l’azienda deve realizzare investimenti che dovrà necessariamente finanziare e che
devono essere in grado di garantire un livello di redditività adeguato al rischio sostenuto dagli investitori.
In merito a ciò, risulta fondamentale poter analizzare le politiche di finanziamento dell’impresa oggetto di approfondimento. Per procedere in tal senso, diventa necessario suddividere le modalità di analisi in:

analisi dinamica delle politiche di finanziamento: essa consente di verificare la capacità dell’impresa di
rimborsare il proprio debito, facendo leva sui flussi di cassa generati dall’attività operativa;

analisi statica delle politiche di finanziamento: essa prende in considerazione alcuni importanti indicatori
aziendali, concernenti ad esempio sia il livello di indebitamento aziendale sia la gestione della liquidità.
Il flusso di cassa della gestione corrente, alla base dell’analisi dinamica delle politiche di finanziamento, risulta
essere funzione principale di tre fattori:

tasso di crescita del settore di appartenenza dell’impresa;

redditività operativa;

capacità di ottimizzazione del capitale circolante netto commerciale.
Esso viene determinato mediante la seguente sommatoria:
Tale valore può essere utilizzato per determinare un indicatore necessario per valutare la sostenibilità del debito
dell’impresa, attraverso i flussi di cassa correnti (il cosiddetto “Debt service coverage ratio”):
Tanto più tale indicatore sarà elevato e positivo, tanto più avremo un’impresa con elevata capacità di far fronte
ai propri debiti in maniera del tutto soddisfacente.
Successivamente, sottraendo dal flusso di cassa della gestione corrente il flusso di cassa della gestione degli
investimenti (generato da eventuali investimenti o disinvestimenti posti in essere dall’impresa), troviamo il cosiddetto “free cash flow”.
Questo flusso può essere utilizzato dall’azienda per:

pagare gli oneri finanziari;

rimborsare il debito finanziario in essere;

distribuire dividendi agli azionisti.
Nel caso in cui il “free cash flow” assuma valori negativi, l’impresa dovrà ricorrere a risorse finanziarie di tipo
esterno.
L’approccio statico di analisi delle politiche di finanziamento si fonda sull’interpretazione di alcuni indicatori
utili ad individuare situazioni di instabilità aziendale.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Tavola 10 – Indici di stabilità aziendale
L’approccio statico di analisi delle politiche di finanziamento considera anche l’analisi dei principali indicatori riguardanti la liquidità aziendale. Un’azienda può considerarsi liquida quando è in grado di far fronte, con regolarità, agli impegni contrattuali sottoscritti con i propri finanziatori. Al contrario può generarsi, in capo all’impresa,
una situazione di illiquidità, quando la durata media delle proprie attività è maggiore rispetto alle proprie passività.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
I principali indicatori concernenti lo stato di liquidità dell’impresa sono:
Tavola 11 – Indici di liquidità
 4.6.4 Analisi della redditività
L’analisi della redditività aziendale permette di confrontare i risultati economici dell’impresa con le sue configurazioni di capitale.
Essa si concentra sostanzialmente nell’analisi di pochi indicatori, i quali esprimono in maniera del tutto sintetica:

la redditività del capitale investito;

la redditività del capitale proprio.
Nell’analisi della redditività aziendale, non possiamo trascurare l’effetto della leva finanziaria e della leva operativa, le quali esprimono dei risultati particolarmente significativi per il complesso aziendale.
Procediamo nell’esprimere in sintesi i principali indicatori concernenti la redditività aziendale:
ROI
Risultato operativo
capitale investito
Il ROI o “Return on Investment” è un indicatore di redditività e di efficienza degli investimenti in contrapposizione
all’operatività aziendale caratteristica. Permette di valutare l’effetto della sola gestione caratteristica, tralasciando
la gestione finanziaria, le poste straordinarie e la pressione fiscale.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Per ottenere informazioni circa lo stato di salute di un’impresa, sarebbe opportuno poterlo analizzare storicamente e confrontarlo con altre realtà similari dello stesso settore.
Tavola 12 – Analisi significatività del ROI
Analisi dei valori del ROI
ROI < 0,5
Non soddisfacente
ROI tra 0,5 e 1
Poco soddisfacente
ROI tra 1 e 2
Abbastanza soddisfacente
ROI > 2
Molto soddisfacente
Il ROE o “Return on Equity”, rappresenta la redditività del capitale proprio e fornisce un’informazione sintetica sul
risultato complessivo della gestione, permettendo di esprimere il rendimento percentuale annuo per gli azionisti.
Più precisamente consente, a chi ha fornito il capitale (soci, azionisti, finanziatori esterni ecc.), di valutare
l’economicità del proprio investimento ed eventualmente confrontarlo con investimenti alternativi. Per il soggetto
deputato all’analisi dei valori aziendali, esso rappresenta un indicatore immediato della redditività aziendale.
ROE
Reddito netto
capitale netto
Nella sua determinazione, il ROE dipenderà direttamente:

dal rendimento del capitale investito nella gestione operativa, individuato dall’indice ROI;

dal rapporto di indebitamento, dato dal quoziente tra il totale dei finanziamenti attinti dall’impresa e la parte di essi costituita dal capitale proprio;

dall’incidenza del reddito netto sul reddito operativo, che evidenzia il peso esercitato dai risultati delle gestioni non caratteristiche, finanziarie, straordinarie e fiscali sulla redditività netta.
Tavola 13 – Analisi significatività del ROE
INTERPRETAZIONE E VALUTAZIONE DEL ROE
Valore minimo del ROE
Il ROE deve almeno corrispondere al tasso per depositi bancari o per titoli di Stato.
Valore inferiore del ROE rispetto al
valore minimo
Il rischio aziendale non ha trovato alcun riconoscimento rispetto ad altri investimenti alternativi più sicuri.
Valore superiore del ROE rispetto al
valore minimo
Il capitale conferito dai soci viene remunerato in misura maggiore rispetto ad altri investimenti a rischio nullo e pertanto anche il rischio aziendale trova il suo riconoscimento.
Infine, un’altra categoria di indicatori, utile per determinare l’efficienza dell’impresa, viene rappresentata dalle leve aziendali sia di tipo operativo che di tipo finanziario: entrambe le leve rappresentano fattori che tendono ad
amplificare le conseguenze prodotte dalle oscillazioni dei ricavi aziendali sul reddito operativo e sul risultato netto. A seguire, si esplicitano le formule relative:
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Tavola 14 – Leva operativa e leva finanziaria
Tavola 15 – Intervallo valori equazione della leva finanziaria
INDICE DI LEVA FINANZIARIA (PFN/PN)
Leva fino al 30%
Buona struttura finanziaria
Leva tra il 30 ed il 50%
Sufficiente struttura finanziaria
Leva tra il 51% ed il 66%
Struttura finanziaria tendenzialmente squilibrata, a causa dell’eccessivo utilizzo dei mezzi di
terzi
Leva oltre il 66%
Struttura finanziaria decisamente squilibrata, poiché il capitale investito è quasi completamente finanziato dai mezzi di terzi.
 4.7 Altman Z-score1
Lo Z-Score è un indice utilizzato nell’analisi fondamentale per stimare la probabilità di fallimento di un’impresa.
E’ stato elaborato con tecniche di regressione statistica nel 1968 dal Prof. Edward Altman della New York University. Da semplice modello accademico è stato nel tempo sempre più utilizzato dai mercati finanziari, fino ad
ottenere il rango di indice istituzionalmente accettato, soprattutto grazie agli accordi di Basilea 2.
Ne esistono varie versioni, a seconda che l’impresa sia quotata o meno in borsa, e in questa sede ne proponiamo la versione più semplice rimandando alla letteratura specifica per gli approfondimenti.
Per la sua costruzione sono necessari alcuni aggregati di bilancio:

totale attività correnti (AC)

totale impieghi (I)

risultato d’esercizio (R)

reddito Operativo (RO)

patrimonio Netto (PN)

totale Passività Correnti e Consolidate (P)

fatturato (F)
------------------------------------------1
Paragrafo curato da Michele Cruciano
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
A partire da questi aggregati vengono costruiti i seguenti indici:

indice di flessibilità (AC/I)

indice di autofinanziamento (R/I)

redditività degli investimenti (RO/I)

indice di indipendenza patrimoniale (PN/P)

indice di rotazione dell’attivo (F/I)
I cinque indici così ottenuti vengono moltiplicati per 100 (per esprimerli in forma percentuale) e giudicati secondo una scala predefinita che prevede, per ciascuno di essi, un valore medio atteso. La seguente tabella esprime
sinteticamente le modalità di giudizio:
Tavola 16 – Indicatori di giudizio degli indici
Giudizio
Indice
Valore medio
Molto
negativo
Negativo
Positivo
Molto
positivo
5%
3%
15%
100%
150%
meno di 3,75%
meno di 2,25%
meno di 11,25%
meno di 75%
meno di 112,5%
fino a 5%
fino a 3%
fino a 15%
fino a 100%
fino a 150%
fino a 6,25%
fino a 3,75%
fino a 18,75%
fino a 125%
fino a 187,5%
oltre a 6,25%
oltre a 3,75%
oltre a 18,75%
oltre a 125%
oltre a 187,5%
Flessibilità
Autofinanziamento
Redditività degli investimenti
Indipendenza patrimoniale
Rotazione dell’attivo
Esiste anche la possibilità di dare un giudizio complessivo dell’azienda, effettuando una media ponderata dei
precedenti cinque indici e utilizzando dei fattori di ponderazione costanti, ottenendo più propriamente lo Zscore:
che restituisce i seguenti giudizi:

se Z è minore di 1.8 la probabilità di fallimento è alta

se Z è compreso fra 1.8 e 2.7 vi è una consistente probabilità di fallimento entro due anni

se Z è compreso fra 2.7 e 3.0 vi è una probabilità di fallimento media che richiede cautela nella gestione

se Z è maggiore o uguale a 3.0 la probabilità di fallimento è bassa in quanto l’impresa è finanziariamente
solida
Essendo basati su un ristretto numero di indicatori questi giudizi così perentori possono sembrare affrettati, ma
nel lavoro originale di Altman hanno avuto ragione nel 95% dei casi. Anche se oggi il giudizio di una impresa viene formulato basandosi anche su altri fattori, la validità dello Z-score è ancora integra, e può fornire
all’imprenditore importanti informazioni su come soggetti esterni come banche e altri finanziatori valutano
l’impresa.
 4.8 Analisi dei flussi finanziari
L’analisi dei flussi finanziari è caratterizzata tipicamente dalla redazione del rendiconto finanziario, un prospetto
essenziale che permette di analizzare e di comunicare le cause delle variazioni che date grandezze finanziarie e
monetarie, critiche per l’economicità aziendale, hanno avuto in un determinato periodo di tempo.
Il rendiconto finanziario ha lo scopo di riassumere:

la capacità dell’azienda di generare liquidità;

l’attività di finanziamento dell’impresa durante l’esercizio;

le variazioni delle risorse finanziarie durante l’esercizio;

l’attività di investimento dell’impresa durante l’esercizio;

le variazioni nella situazione patrimoniale-finanziaria dell’impresa avvenute nell’esercizio;

le correlazioni che esistono tra le fonti di finanziamento e gli investimenti effettuati.
Tale schema può essere utilizzato sia dal management interno, il quale potrà così anche ragionare sui fabbisogni
finanziari passati, presenti e futuri dell’impresa, sia dai soggetti finanziatori interessati a verificare la capacità
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
dell’impresa di far fronte al pagamento – nelle scadenze previste – di somme e disponibilità a vario titolo erogate
ed erogabili nonché dei relativi compensi (interessi passivi, commissioni, quote capitali relativi ai mutui, rientri da
affidamenti, ecc.).
Il rendiconto finanziario viene redatto seguendo 2 differenti metodologie:

metodo diretto: il flusso di cassa netto viene calcolato partendo dalle principali categorie di incassi e pagamenti, i quali vengono classificati in base alla loro natura;

metodo indiretto: il flusso di cassa netto viene calcolato partendo dal risultato economico, rettificato dei
ricavi e costi non monetari ed integrato dai flussi finanziari: quest’ultima indubbiamente risulta la modalità
maggiormente diffusa, poiché permette di rimuovere gli effetti relativi all’applicazione del principio di competenza economica.
In questa sede analizzeremo unicamente il rendiconto finanziario redatto secondo il metodo di tipo indiretto.
Tale prospetto rappresenta i flussi delle seguenti aree gestionali:

area corrente: vengono rappresentate tutte le entrate e le uscite di tipo corrente (manifestatesi nel corso
dell’esercizio);

area investimenti: vengono rappresentati tutti gli acquisti e tutte le vendite relative alle immobilizzazioni
aziendali;

area finanziaria: vengono rappresentate tutte le movimentazioni relative all’accensione ed al rimborso di
finanziamenti o all’accensione ed al rimborso di capitale da parte dei soci.
Tavola 17 – Il rendiconto finanziario con il metodo indiretto
RENDICONTO FINANZIARIO
(metodo indiretto)
Utile d’esercizio
+ ammortamenti
+ accantonamenti a fondi svalutazione
+ TFR accantonato nell’esercizio
- TFR pagamenti effettuati
= Saldo monetario primario (A)
+/- Variazione CCN (B)
+/- aumento o diminuzione debiti tributari
+/- diminuzione o aumento dei crediti tributari
+/- decrementi o incrementi dei crediti commerciali e rimanenze
+/- decrementi o incrementi dei debiti commerciali
+/- decrementi o incrementi altri debiti e crediti
= Flusso di cassa della gestione corrente (C=A+ B)
+/- minusvalenze o plusvalenze realizzate sui beni immobilizzati
- acquisto di immobilizzazioni
= Flusso di cassa per investimenti (D)
FLUSSO DI CASSA OPERATIVO (E=C+D)
+ finanziamenti bancari, prestiti obbligazionari
- distribuzione dividendi, rimborso azioni
+ aumento capitale sociale
=Flusso di cassa finanziario (F)
FLUSSO DI CASSA NETTO (E+F)
Il flusso di cassa della gestione corrente viene determinato rettificando il valore dell’utile d’esercizio, per definire
l’ammontare reale di tutte le entrate e di tutte le uscite riconducibili al ciclo caratteristico aziendale di “ acquistotrasformazione-vendita”.
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Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria
Le principali rettifiche sono riconducibili a:

ammortamenti, accantonamenti ed altri costi non monetari: occorre depurare il risultato d’esercizio da tutte quelle componenti che non caratterizzano un esborso di natura finanziaria per l’impresa (ammortamenti, accantonamenti, svalutazioni crediti, ecc.);

capitale circolante netto commerciale (CCN): come già analizzato nei precedenti paragrafi, tale componente esprime egregiamente il grado di salute di un’impresa dal lato del core business, in quanto misura
la capacità dell’impresa di far fronte alle passività correnti con le proprie attività correnti. Nel presente
schema di rendiconto occorre valutare tutti i cambiamenti che avvengono nelle voci che costituiscono il
capitale circolante netto (cassa, rimanenze, crediti commerciali, debiti commerciali, ecc.). In sintesi, al variare del capitale circolante netto si otterranno i seguenti risultati:

CCN invariato: il flusso di cassa della gestione corrente, quanto a valore assoluto, sarà indifferente
all’aggregato CCN stesso;

CCN in diminuzione: il flusso di cassa della gestione corrente, quanto a valore assoluto, sarà aumentato della diminuzione del CCN stesso (maggiore liquidità);

CCN in aumento: il flusso di cassa della gestione corrente, quanto a valore assoluto, sarà diminuito
dell’aumento del CCN stesso (maggiore liquidità).
Il flusso di cassa relativo agli investimenti, invece, analizza tutte le operazioni che coinvolgo i beni immobilizzati: in tale area dovremo considerare tutte le movimentazioni, in entrata (acquisto) ed in uscita (vendita), che
coinvolgono le immobilizzazioni aziendali.
Infine, il flusso di cassa finanziario rappresenta tutti i flussi monetari (entrate ed uscite) relativi ai debiti di finanziamento a breve ed a lungo termine, alle distribuzioni di dividendi ed agli apporti di capitale sociale effettuati
da parte dei soci.
Tavola 18 – La costruzione del rendiconto finanziario in sintesi
STEP PER LA COSTRUZIONE DEL RENDICONTO FINANZIARIO
Confronto tra due stati patrimoniali consecutivi e calcolo delle variazioni “grezze”.
Individuare dal conto economico riclassificato il valore dell’utile d’esercizio.
Effettuare le variazioni per far emergere gli incassi ed i pagamenti dell’esercizio secondo il principio di cassa e non di competenza.
Costruire lo schema di rendiconto finanziario indiretto (come sopra riportato) individuando i 3 differenti flussi di cassa, al fine di
pervenire al flusso di cassa netto: flusso di cassa della gestione corrente, flusso di cassa relativo agli investimenti, flusso di cassa
finanziario.
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
 5.
Capire i vincoli che hanno le banche
Giovanna Ricci
Niente è più pericoloso di un’idea
quando è l’unica che si ha.
Emile Chartier
 5.1 Premessa
La finanza d’impresa non può assolutamente prescindere dalla gestione dei rapporti con i principali partner
esterni di finanziamento e in particolare con le banche che sono inquadrate in sempre più rigide norme gestionali di erogazione del credito. Tali norme di fatto, limitano la possibilità di accesso al credito bancario e/o lo rendono più oneroso alle imprese che non ottengono giudizi di merito creditizio (rating) adeguati.
 5.2 Il rapporto banca – impresa
Interlocutore privilegiato nell’erogazione di finanziamenti alle PMI è il sistema bancario che storicamente rappresenta il principale fornitore di capitali di debito sotto scadenze e forme tecniche diverse quali, operazioni di smobilizzo crediti, oppure concessione di finanziamenti veri e propri, come per esempio i tradizionali mutui.
Tavola 1 – L’erogazione del capitale di debito
Principale finanziatore delle PMI
BANCA
Eroga capitale di debito alle imprese
che ritiene “meritevoli”
istruttoria di fido
Dalla situazione finanziaria e patrimoniale attuale e prospettica si può evincere con
ragionevole certezza che l’impresa sarà in grado di rimborsare il prestito
e pagare gli interessi
Indipendentemente dalle forme e dal tipo di rimborso (breve, medio o lungo), la decisione di concedere prestiti
alle imprese è preceduta dall’istruttoria di fido1 con la quale la banca verifica se l’impresa è meritevole di credito,
cioè se la situazione finanziaria e patrimoniale (attuale e prospettica) della stessa è tale da garantire con ragionevole sicurezza il rimborso del prestito e il pagamento degli interessi nella misura e nelle modalità stabilite. Per fare questo la banca deve comprendere il business dell’impresa, il settore di attività in cui opera, le dinamiche
economiche che possono incidere sui costi e sui ricavi, i possibili mutamenti del mercato e, in generale,
l’andamento del contesto economico nazionale e internazionale.
L’istruttoria di fido è svolta con regole differenti a seconda della tipologia d’impresa richiedente il prestito (imprese corporate, PMI, small business).
------------------------------------------1
Il fido, tecnicamente, è l’importo massimo di credito che una banca concede, sotto qualsiasi forma, a un cliente che ne ha fatto richiesta,
dopo averne accertato le capacità reddituali, la consistenza patrimoniale e le doti morali.
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
Tavola 2 – Le indagini nell’istruttoria di fido
Oltre alle informazioni generali riguardanti l’impresa richiedente il prestito (denominazione o ragione sociale, ubicazione, oggetto dell’attività produttiva, generalità dei soci, ecc.), la banca richiede informazioni relative alle caratteristiche dell’affidamento concesso (la forma tecnica prescelta per il finanziamento, la destinazione, la durata). Per circoscrivere il più possibile i rischi, vengono altresì analizzate e verificate le qualità personali del richiedente il finanziamento (quali le doti morali dell’imprenditore e/o dei soci), gli aspetti formali della documentazione
fornita e le eventuali garanzie reali e personali offerte.
Le banche svolgono, in sostanza, una serie articolata di indagini interne ed esterne per valutare la solvibilità
dell’impresa richiedente il fido2; tale solvibilità, almeno in linea teorica, dovrebbe essere basata sulla capacità
dell’impresa di produrre cash flow (flusso di cassa), perché tanto più la gestione reddituale è in grado di generare disponibilità liquide, tanto maggiore è la capacità di rimborsare i debiti contratti. Tuttavia, per prassi consolidata, la valutazione circa il merito creditizio dell’impresa è svolta anche attraverso l’analisi per indici condotta sui
bilanci d’esercizio dell’impresa richiedente.
Tale tipologia di analisi richiede la costruzione di indici idonei a valutare la redditività dell’impresa, quali il ROE, il
ROI, il ROS, l’EVA, di indici finanziari con i quali la banca, correlando fonti a impieghi, valuta la solidità patrimoniale dell’impresa richiedente il fido, nonché il suo grado di liquidità.
Tavola 3 – Il risultato dell’istruttoria di fido
L’istruttoria di fido si conclude
con una relazione di sintesi
RATING
giudizio sull’affidabilità
dell’impresa
Il processo di affidamento si conclude con una relazione di sintesi che contiene un giudizio sull’affidabilità
dell’impresa cliente (rating). Tale giudizio deve tener conto anche del rating di legalità, istituito per premiare le
imprese che si attengono a comportamenti eticamente corretti3. Si tratta di un giudizio sintetico attribuito
------------------------------------------2
Le indagini interne consistono principalmente nelle analisi di bilancio per indici e per flussi effettuate solitamente comparando i dati di un
triennio. Le indagini esterne sono condotte allo scopo di accertare la correttezza professionale del richiedente il fido e sono svolte presso
enti quali le Camere di commercio, la questura, gli uffici del catasto e ipotecari, ecc. Rivolgendosi alla Centrale dei rischi, un sistema informativo operante presso la Banca d’Italia, la banca ha la possibilità di verificare se l’impresa ha in essere fidi presso altre banche (fenomeno dei
fidi multipli)
3
L’Art. 5-ter del DL n. 1/2012, come modificato dal DL n. 29/2012, convertito con modificazioni dalla Legge 62/2012, così recita: “Al fine di
promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato è attribuito il
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), che concorre a stabilire il merito creditizio di
un’impresa e del quale si tiene conto sia per la concessione di finanziamenti pubblici, sia per l’accesso al credito
bancario. In sostanza il rating di legalità mette in luce le imprese virtuose dal punto di vista morale ed etico, consentendo di ottenere un trattamento agevolato nell’attribuzione del merito creditizio.
Tuttavia, a prescindere dall’istruttoria di fido, occorre precisare che le banche non sono totalmente libere
nell’erogare crediti, ma sono sottoposte ai vincoli degli accordi di Basilea4 che correlano l’entità degli affidamenti
concessi al rispetto di particolari regole di adeguatezza patrimoniale della banca stessa. La conoscenza, sia pure superficiale di tali norme, aiuta a comprendere come le imprese debbano comportarsi per accedere con più
facilità al credito bancario.
 5.3 Gli accordi di Basilea
Con gli accordi di Basilea 1 nel 1988 e, successivamente con Basilea 2 (2004) e Basilea 3 (2010) l’erogazione
del credito bancario è stato sottoposto a vincoli tecnici che lo limitano sia quantitativamente, sia qualitativamente.
Le banche operano con denaro “altrui”; è facilmente immaginabile che una gestione nell’erogazione del credito
non oculata si riverbera sull’intero sistema economico e, in particolare sulle famiglie, tradizionalmente soggetti
risparmiatori che depositano i propri capitali presso le banche.
È con questa chiave di lettura che vanno interpretati gli accordi di Basilea, fondati su una regola molto semplice:
le banche, a fronte di un affidamento che comporta un elevato rischio di credito legato all’insolvenza del debitore, devono avere un patrimonio adeguato, in modo da coprire eventuali perdite.
Tavola 4 – La base su cui poggiano gli accordi di Basilea
Strumento a tutela del rischio di
credito delle banche legato
all’insolvenza del debitore
IL PATRIMONIO DI VIGILANZA
Il patrimonio rappresenta la difesa fondamentale per fronteggiare i rischi connessi all’attività che una banca svolge. Un adeguato livello di patrimonializzazione consente alla banca di esercitare con i necessari margini di autonomia la sua complessa gestione d’impresa mantenendosi in condizioni di stabilità.5
Già l’accordo di Basilea 1 aveva imposto alle banche un coefficiente minimo di patrimonializzazione che tuttavia
fu da più parti ampiamente criticato sia perché non considerava tipologie di rischio tipiche dell’attività bancaria,
------------------------------------------compito (…) di procedere, in raccordo con i Ministeri della giustizia e dell’interno, alla elaborazione ed all’attribuzione, su istanza di parte, di
un rating di legalità per le imprese operanti nel territorio nazionale che raggiungano un fatturato minimo di due milioni di euro, riferito alla singola impresa o al gruppo di appartenenza, secondo i criteri e le modalità stabilite da un regolamento dell’Autorità garante della concorrenza
e del mercato da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Al fine dell’attribuzione del rating,
possono essere chieste informazioni a tutte le pubbliche amministrazioni. Del rating attribuito si tiene conto in sede di concessione di
finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché in sede di accesso al credito bancario, secondo le modalità stabilite
con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente disposizione. Gli istituti di credito che omettono di tener conto del rating attribuito in sede di concessione dei
finanziamenti alle imprese sono tenuti a trasmettere alla Banca d’Italia una dettagliata relazione sulle ragioni della decisione assunta”.
4
Si tratta di linee guida emanate dal comitato di Basilea (il nome deriva dalla città svizzera dove ha sede) costituito per iniziativa delle banche
centrali nazionali del gruppo dei dieci principali Paesi industrializzati (G10).
5
Nelle sedi internazionali è consolidata la consapevolezza del ruolo centrale che la disciplina sul patrimonio delle banche riveste nella normativa di vigilanza. In particolare, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha indicato da tempo l’opportunità che le autorità di vigilanza
operanti nei diversi Paesi rafforzino la stabilità e la solidità delle banche introducendo coefficienti minimi di patrimonializzazione , correlati al
rischio, e rendano uniformi i criteri per stabilire il patrimonio di vigilanza in modo da ridurre le disparità competitive tra le banche di diversa
nazionalità.
La Banca d’Italia, adeguandosi agli accordi di Basilea, fonda principalmente le sue valutazioni sulle banche basandosi sul loro patrimonio,
che ai fini della vigilanza prudenziale è suddiviso in tier, parola inglese che indica “livelli” o “scaglioni”. E’ dunque riferendosi al volume del
patrimonio utile ai fini di vigilanza, e alla sua stratificazione, che la nostra banca centrale stabilisce la solvibilità delle banche, la loro dimensione e la loro capacità di assumere rischi.
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
sia perché i requisiti patrimoniali introdotti non tenevano adeguatamente conto di fattori che pure incidono notevolmente sulla rischiosità dell’esposizione creditizia, quali le differenze del merito creditizio tra le diverse imprese,
le diverse scadenze dei prestiti (che erano poste nello stesso piano), la diversificazione geografica e merceologica degli impieghi effettuati dalla banca6.
Successivamente, fu emanato l’accordo di Basilea 2 che mirando a rafforzare la stabilità del sistema bancario
ha, tra l’altro, imposto a ciascuna banca di detenere un patrimonio netto di vigilanza almeno pari all’8% degli
impieghi (i finanziamenti concessi alla clientela) ponderati per i diversi fattori di rischio7.
In conseguenza della grave crisi finanziaria che ha colpito l’economia mondiale a partire dal 2007, il Comitato di
Basilea è intervenuto nuovamente per riformare la regolamentazione finanziaria internazionale. Le nuove regole,
note con la denominazione di Basilea 3 sono entrate in vigore nel 2013, ma andranno completamente a regime
nel 2019.
L’Accordo di Basilea 3 ha rafforzato le regole precedentemente introdotte affrontando principalmente tre aspetti:

il potenziamento del grado di patrimonializzazione delle banche, così da mantenere la stabilità e gli equilibri patrimoniali anche in periodi di crisi economica – finanziaria, come quello attuale;

la creazione di strumenti anticiclici, da attuare nei periodi di maggiore crescita economica e da utilizzare
per fronteggiare le fasi recessive del ciclo economico;

la gestione del rischio di liquidità, per evitare pericolose insolvenze delle banche.
Per quanto riguarda il grado di patrimonializzazione, che più interessa la concessione dei fidi alle imprese, il
coefficiente di solvibilità è rimasto invariato, ma è mutata la composizione del patrimonio di vigilanza (numeratore
del rapporto), ora prevalentemente costituito da vere e proprie poste di patrimonio netto8.
 5.4 La misurazione del rischio di credito
Come già evidenziato in seguito agli accordi di Basilea, le banche devono detenere un patrimonio netto di vigilanza almeno pari all’8% dei finanziamenti erogati alla clientela, ponderati in relazione ai diversi fattori di rischio9.
------------------------------------------6
L’esposizione al rischio è inevitabile per qualsiasi impresa, tuttavia essa trova la massima espressione nell’esercizio del credito tipico
dell’attività bancaria e assicurativa. La gestione delle banche comporta rischi particolari, quali:

rischi derivanti dall’attività di intermediazione creditizia (rischi di credito)

rischi relativi all’instabilità dei mercati dei capitali (rischi di mercato)

rischi relativi all’operatività della banca (rischi operativi)

altri rischi relativi alle scelte strategiche
7
L’accordo di Basilea 2 puntava a rafforzare la stabilità delle banche mediante l’adozione congiunta di tre pilastri: l’imposizione di requisiti
patrimoniali minimi (patrimonio di vigilanza minimo che le banche devono detenere a fronte degli affidamenti concessi); il controllo prudenziale esercitato principalmente dalla Banca d’Italia; la disciplina del mercato che richiede una serie di informazioni da fornire alle autorità e al
pubblico sul livello patrimoniale, sui rischi e sulla gestione cui l’attività della banca stessa va incontro.
8
Il patrimonio di vigilanza non coincide esattamente con il concetto di patrimonio netto (capitale sociale + riserve), ma è un aggregato risultante dalla somma del patrimonio di base (tier 1) e del patrimonio supplementare (tier 2).
Il tier 1 è il patrimonio di qualità primaria (core capital) formato dal totale del capitale versato e dalle riserve di utili, del fondo per rischi bancari generali e degli strumenti innovativi di capitale (quali le preference shares che sono titoli emessi da controllate estere incluse nel gruppo
bancario), al netto delle deduzioni costituite dalle azioni proprie in portafoglio, dalle immobilizzazioni immateriali e dalle eventuali perdite di
esercizio. Al suo interno viene distinto il common equity (Core tier 1), costituito soltanto dal patrimonio di primissima qualità formato dal
capitale sociale versato per le azioni ordinarie e dalle riserve di utili.
Il tier 2 è il patrimonio di qualità secondaria (supplementary capital) formato dal totale delle riserve di rivalutazione, del fondo rischi su crediti
, delle passività subordinate e degli strumenti ibridi di patrimonializzazione. Le passività subordinate sono obbligazioni che in caso di liquidazione vengono rimborsate solo dopo aver estinto tutti gli altri debiti; gli strumenti ibridi di patrimonializzazione sono passività perpetue e altre
passività rimborsabili su richiesta dell’emittente col preventivo consenso della Banca d’Italia.
I nuovi accordi di Basilea 3 prevedono che il common equity dovrà progressivamente salire dall’attuale 2% al 4,5%), mentre il tier 1 dovrà
salire dall’attuale 4% al 6%.
Per ridurre le divergenze regolamentari tra i vari Paesi, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha anche aggiunto un ulteriore aggregato (tier 3) utilizzabile ai soli fini della copertura dei rischi di mercato (su portafoglio titoli, contratti in cambi e posizioni su commodities eventualmente assunte dalla banca). Questo terzo aggregato comprende i prestiti subordinati a breve e media scadenza privi di garanzie e con la
clausola lock in secondo la quale la banca emittente sospende il pagamento degli interessi e il rimborso del capitale nel caso in cui il patrimonio della banca stessa scenda sotto il livello minimo previsto dalla normativa.
9
La dotazione patrimoniale della banca deve essere tale da soddisfare la seguente disequazione:
P  P (r m ) + P (r 0 ) + 8% x APR
Dove:
P = patrimonio di vigilanza
P (r m ) = patrimonio a fronte dei rischi di mercato
P (r 0 ) = patrimonio a fronte del rischio operativo
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
La formula, semplificata, prescindendo dalla composizione specifica del patrimonio di vigilanza posto al numeratore del rapporto è la seguente:
La dotazione patrimoniale costituisce un vincolo quantitativo per l’erogazione dei fidi che obbliga le banche a ricapitalizzarsi, oppure a limitare l’entità dei finanziamenti concessi.
Per quanto riguarda i rischi da prendere in considerazione per determinare il denominatore del rapporto, occorre
tener conto del:

rischio operativo, cioè il rischio comune a ciascun soggetto economico che si verifica in seguito a circostanze esterne sfavorevoli, a processi aziendali, oppure per cause legali, ad atteggiamenti del personale
(quali errori derivanti da difetti delle procedure informatiche, procedure di contenziosi in corso, sanzioni
subite, ecc.);

rischio di mercato, è legato a operazioni di investimento finanziario e riguarda le possibili variazioni di valore nei portafogli titoli e valute posseduti dalle banche o nei tassi d’interesse;

rischio di credito, tipico dell’attività bancaria, è conseguente alla concessione di finanziamenti a terzi. A
loro volta i rischi di mercato si distinguono in rischi finanziari e rischi economici. I primi riguardano gli andamenti finanziari delle entrate e delle uscite di denaro, i secondi (rischi economici) gravano sulla redditività della banca e sono rappresentati principalmente dal rischio d’insolvenza dell’impresa cliente cui è stato
concesso il fido10.
Il rischio di credito limita e condiziona la possibilità di erogare finanziamenti ai soggetti richiedenti ed è
quindi quello che ha un impatto maggiore sul rapporto banca – impresa. La richiesta di finanziamento da
parte di un’impresa che presenta un elevato rischio di credito determina un moltiplicatore superiore rispetto al caso di un’impresa con un basso rischio. Nel caso di rischio elevato, il finanziamento ponderato per il
moltiplicatore (denominatore del rapporto) tende a innalzarsi e, conseguentemente, per rispettare il vincolo
dell’8%, la banca deve aumentare l’importo del patrimonio di vigilanza. All’opposto, se al denominatore del
rapporto vi sono finanziamenti con un grado di rischio minimo e/o comunque molto basso, a parità di patrimonio di vigilanza e stante il limite dell’8%, la stessa banca ha la possibilità di effettuare un maggior volume di impieghi. E’ quindi chiaro che, stante il limite del coefficiente, ciascuna banca tende a implementare strategie di
massimizzazione della propria redditività, preferendo nella concessione di fidi le imprese meno rischiose.
 5.5 La valutazione del merito creditizio
Per quanto riguarda i singoli rapporti di credito con le imprese, si richiede alle banche di applicare metodologie
“oggettive” riguardanti la valutazione delle controparti e delle garanzie che esse offrono come mitigazione del ri-
------------------------------------------APR = attivo patrimoniale ponderato per il rischio di credito
10
I rischi di credito possono essere classificati in rischi finanziari e rischi economici.
I rischi finanziari a loro volta si suddividono in due categorie: la prima è legata all’immobilizzo, cioè al mancato rispetto delle scadenze da
parte della clientela che restituisce in ritardo i prestiti ottenuti; la seconda è dovuta all’anelasticità finanziaria, cioè all’impossibilità di smobilizzare i crediti prima della loro scadenza.
I rischi economici sono costituiti dall’inadempienza delle imprese clienti a cui le banche accordano il fido e dalle operazioni fuori bilancio, ossia dalle operazioni con le quali la banca sottoscrive obbligazioni di clienti (concessione di avalli, fidejussioni), oppure ha stipulato contratti a
termine (per esempio option su valute o contratti a termine di borsa). Sono considerati rischi economici anche quelli derivanti dall’anelasticità
che si verificano quando cambiano le condizioni di mercato senza che la banca possa intervenire sulle operazioni già compiute con la clientela.
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
schio. Sono così stati stabiliti, in modo univoco a livello internazionale, il concetto di rischio di credito e le modalità per misurarlo, nonché i criteri di controllo da parte delle autorità di vigilanza.
Per misurare il rischio di credito sono possibili due metodologie:
a)
il metodo standard11, applicato per la valutazione delle imprese di grandi dimensioni il cui giudizio finale
(rating) deve essere espresso da agenzie specializzate (Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch);
b)
il metodo basato sul sistema dei rating interni (IRB) che riguarda le piccole – medie imprese. La valutazione del rischio deve essere elaborata dalla banca stessa alla quale compete il rilascio del rating.
Tavola 5 – Metodi per la misurazione del rischio
Misurazione del rischio
Grandi impresa
PMI
Metodo standard
Il giudizio finale viene espresso da
agenzie specializzate
Metodo sul sistema
dei rating interni
Il giudizio finale viene elaborato dalla banca stessa
Attualmente le banche utilizzano sistemi di valutazione del merito creditizio che prendono in considerazione le
quattro componenti elementari che seguono:
1)
probability of default (PD) che esprime la possibilità che un’impresa cliente, su un orizzonte temporale di
un anno, risulti insolvente, cioè incapace di onorare i propri impegni. Stimata la probabilità che l’impresa
richiedente il finanziamento si trovi in una situazione di inadempienza, si definisce il grado di rischio (a PD
elevate corrispondono rischi elevati);
2)
loss given default (LGD) che indica in percentuale la quota di credito che la banca può perdere in caso di
insolvenza dell’impresa cliente. Il suo calcolo risente:

dalle garanzie reali e personali fornite dall’impresa cliente;

dal costo finanziario del tempo di recupero, variabile in funzione del tempo e del tasso di rendimento di mercato offerto da impieghi alternativi i altre attività finanziarie;

dal costo delle procedure concorsuali e di recupero crediti interne alla banca;
3)
exposure at default (EAD) che indica l’importo del credito della banca al momento dell’insolvenza
dell’impresa cliente;
4)
maturity (M) che esprime la durata dell’esposizione creditizia della banca. Può rappresentare un fattore
critico per la banca nel momento in cui vi sia un livellamento tra le scadenze dei crediti e dei debiti assunti
dalla banca stessa.
Nel determinare l’IRB le banche possono utilizzare due diverse versioni: una versione based e una versione advanced.
Nella versione based la banca deve stimare soltanto la probability of default e, previa autorizzazione dell’autorità
di vigilanza, il fattore maturity.
Nella versione advanced invece la banca deve determinare tutti i fattori di rischio (componenti elementari).
------------------------------------------11
La metodologia standard utilizza valutazioni esterne di merito creditizio al fine di rafforzare la sensibilità del rischio e del conseguente assorbimento patrimoniale. La misurazione del rischio di credito è svolta attraverso ponderazioni fisse di rischio per ciascuna categoria di debitore e tiene conto di una articolata gamma di garanzie che le banche hanno facoltà di riconoscere. E’ la stessa normativa che definisce i
fattori di ponderazione relativi alla probability of default, alla loss given default e alla maturity sulla base della categoria giuridica dell’impresa,
delle sue dimensioni aziendali e delle caratteristiche del finanziamento richiesto. In pratica per determinare il patrimonio assorbito a fronte di
ogni finanziamento concesso deve essere utilizzato un coefficiente di ponderazione commisurato al rischio che è determinato da agenzie di
rating esterne.
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
Il sistema dei rating interni deve prevedere un numero di classi non inferiore a 8 (7 per i clienti adempienti +1 per
i clienti inadempienti); a ogni classe di rating viene associato un grado di affidabilità finanziaria decrescente al
crescere del livello di rating.
Tale sistema deve anche essere in grado di assegnare in modo univoco a ogni cliente una classe, deve associare a ogni classe una soglia minima e una soglia massima di probabilità di inadempienza (PD) e deve essere attendibile, cioè il risultato deve rientrare nei parametri statisticamente ammessi sulla base delle soglie di probabilità previste per la classe stessa.
Nel determinare il rating la banca ha una certa discrezionalità, per cui una stessa impresa potrebbe ottenere
valutazioni diverse a seconda della logica di valutazione seguita dalla banca.
Infatti l’assegnazione interna del rating a ogni impresa cliente si avvale di programmi automatizzati, ma prevede
adeguamenti finali di carattere discrezionale effettuati dal funzionario a cui è affidata la responsabilità del finanziamento. Tali adeguamenti sono frutto di un processo complesso che tiene conto di un gran numero di informazioni e si basa su elementi oggettivi e su giudizi soggettivi.
Tra le informazioni richieste per la formulazione dei rating interni, il Comitato di Basilea indica quelle attinenti alle
seguenti classi:

caratteristiche proprie dell’azienda cliente, quali la sua capacità storica e prospettica di generare liquidità, flessibilità finanziaria, qualità dei ricavi, qualità del management e posizionamento dell’azienda nel settore in cui opera;

caratteristiche e andamento del settore in cui l’azienda opera; si tratta di informazioni legate al mercato internazionale e a quello locale in termini di andamento storico, evoluzione prevedibile della domanda e
dell’offerta, tasso di inflazione e tasso di disoccupazione;

andamento del rapporto sistema bancario – impresa, desumibile dalle informazioni che la banca può,
tra le altre fonti, assumere attingendo direttamente ai dati della Centrale dei rischi.
In modo da formulare rating ponderati, le informazioni devono consentire alla banca di effettuare analisi qualitative che integrano quelle tradizionalmente condotte sui dati contabili (analisi quantitative).
L’analisi qualitativa riguarda le informazioni di tipo ambientale, circa il core business dell’impresa, i suoi principali concorrenti, le strategie utilizzate e la tipologia di vantaggio competitivo ricercato. Tali analisi devono essere
condotte sia in una prospettiva temporale, sia in una prospettiva spaziale; possono pertanto riguardare tanto il
comportamento che l’impresa ha tenuto in passato, quanto il suo profilo etico e l’attenzione alle tematiche sociali e ambientali.
Il bagaglio informativo richiede un continuo aggiornamento; pertanto non serve solo nelle fasi di istruttoria della
richiesta di fido e di prima erogazione del finanziamento, ma anche nella periodica attività di monitoraggio della
posizione. Quest’ultima è rivolta a verificare se perdurano i presupposti per il mantenimento dell’esposizione
creditizia o se è opportuna una revisione dell’affidamento che si risolva in un intervento per diminuire
l’esposizione della banca e aumentare le possibilità di recupero delle somme prestate.
Tavola 6 – La comparazione dei rating espressi da due banche diverse
Banca X
Classi di
rating
AAA
AA
A
BBB
BB
B
CCC
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Banca Y
Intervalli
di PD
0%-0,25%
0,25%-0,5%
0,5% -1%
1% -2%
2%-4%
4%-10%
Maggiore 10%
Classi di rating
1
2
3
4
5+
5-
Confronto
Intervalli
di PD
0%-0,5%
0,5%-2%
2% -4%
4% -8%
8%-10%
Maggiore 10%
Classi di rating X
Classi di rating Y
AAA, AA
A, BBB
BB
B
CCC
1
2
3
4, 5+
5-
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
 5.6 Le implicazioni nei rapporti tra la banca e le PMI
Mentre in passato le banche potevano finanziare le imprese prendendo in considerazione soltanto i risultati
dell’istruttoria di fido, con le regole imposte dagli accordi di Basilea, complice la crisi economica che ancora
perdura e la conseguente restrizione del credito, esse sono costrette a effettuare una vera e propria graduatoria
per scegliere l’impresa più meritevole.
Il requisito minimo di patrimonializzazione a fronte degli affidamenti concessi e il sistema di valutazione dei rischi
di credito implicano che a un rating di basso livello corrisponda un forte rischio di credito per la banca, che deve
pertanto accantonare importi maggiori nel patrimonio di vigilanza e di conseguenza applicare tassi più elevati
per coprire il costo che deriva dall’immobilizzo di capitale.
Pertanto, per le imprese clienti, ottenere un buon rating rappresenta un obiettivo strategico perché consente di
ricevere credito bancario a condizioni convenienti. Questa connessione tra rischi e tassi di interesse spinge le
imprese a cambiare le proprie strategie, sia dal punto di vista economico – finanziario, sia dal punto di vista comunicativo.
Circa l’aspetto economico – finanziario è chiaro che le PMI dovrebbero essere orientate a migliorare il proprio
merito creditizio, utilizzando tutte le leve a disposizione per ottimizzare la struttura patrimoniale e aumentare le
proprie capacità reddituali, come sinteticamente indicate nella tavola n. 1 che segue. Ciò implica il miglioramento degli indicatori di redditività, di solidità e di solvibilità che comportano l’attribuzione di un rating migliore.
Tavola 7- Leve strategiche per migliorare il rating
LEVE
DETTAGLIO
Struttura finanziaria
Leve finanziarie
Costo del debito
Gestione della tesoreria
Leva economico – patrimoniale
Aumento della redditività
Leve gestionali
Fattori qualitativi
OBIETTIVI
Riduzione della leva finanziaria (miglioramento del rapporto tra totale impieghi e capitale proprio) mediante l’ aumento dei mezzi propri.
Allungamento delle scadenze dei debiti: da breve a medio e lungo
termine
Creazione di una riserva di liquidità
Riduzione del capitale circolante netto rispetto al fatturato
Cessione di crediti pro – soluto
Riduzione degli oneri finanziari mediante la gestione del rischio di
tasso di interesse
Riduzione degli oneri finanziari mediante l’ottimizzazione della liquidità (saldi attivi dei c/c bancari e postali)
Eliminazione degli scoperti di c/c
Riduzione degli insoluti su portafoglio di effetti commerciali allo
sconto o anticipi su fatture
Riduzione /movimentazione del rapporto tra somme utilizzate e fidi
accordati
Riduzione dei costi attraverso il miglioramento dell’efficienza dei
processi produttivi; aumento dei ricavi anche attraverso processi di
internazionalizzazione. Monitoraggio costante sulla redditività degli
investimenti
Governante aziendale
Modello organizzativo
Prodotti e strutture distributive
Concentrazione per fasce di clientela
Selezione e concentrazione dei fornitori
Monitoraggio costante dei rischi operativi
Fonte: estratto da Maurizio Belli, Emanuele Facile “La nuova finanza di impresa” – Guida pratica a Basilea 2 – Il Sole 24 ore
La riduzione dell’indebitamento e/o la ricapitalizzazione appare la soluzione a prima vista migliore (se un’impresa
può attingere al capitale proprio, per esempio attraverso nuovi conferimenti dei soci, il problema dei rapporti con
la banca viene, almeno in parte, a cadere in quanto viene meno la necessità di ricorrere al capitale di debito); è
però vero che le imprese italiane hanno una certa ritrosia a far entrare capitali di nuovi soci esterni all’assetto
proprietario, tradizionalmente composto dai membri di una stessa famiglia (capitalismo finanziario). Tuttavia questa, unita ad altre, potrebbe essere una soluzione che, consentirebbe alle PMI di superare i problemi finanziari
che storicamente le affliggono. Sotto questo aspetto potrebbe essere presa in considerazione anche l’ipotesi di
102
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Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche
far entrare in società le banche stesse in modo da coinvolgerle maggiormente negli aspetti operativi e nei processi aziendali.
Considerando la necessità delle banche di raccogliere le molteplici informazioni utili ai fini della definizione del
rating interno, le imprese devono adottare modalità e strumenti comunicativi diversi, maggiormente orientati a
fornire valutazioni prospettiche circa le performance aziendali, quali i business plan, i rendiconti finanziari e i
budget.
Esse inoltre dovranno imparare ad autovalutarsi, esprimendo un giudizio su sé stesse come lo esprimerebbe
la banca. Poiché la banca deve effettuare proiezioni, è infatti probabile che richieda alla stessa azienda un autoprofilo delle proprie capacità reddituali e di solvibilità.
A tali fini diventa importante implementare un sistema informativo completo, in grado di produrre tanto le “tradizionali” informazioni contabili, quanto le informazioni proprie del controllo di gestione, in modo da monitorare
costantemente l’evoluzione delle operazioni e il grado di raggiungimento degli obiettivi predefiniti. È infatti attraverso gli strumenti propri del controllo di gestione che le imprese riescono a definire i propri punti di forza e le
proprie debolezze e scoprire su quali leve agire per migliorare la propria posizione.
Il Comitato di Basilea ha peraltro indicato, quali informazioni indispensabili per la formulazione dei rating interni
sottostanti alla concessione di fido, la valutazione attuale e prospettica della redditività e della struttura finanziaria dell’impresa; sono altresì informazioni fondamentali quelle inerenti alla gestione dell’attivo circolante, alla gestione della tesoreria, alla posizione competitiva sul mercato e ai fattori comportamentali.
Circa il miglioramento del rapporto con le banche, diventa importante anche abbandonare la logica della “burocratica” richiesta di fido per abbracciare quella della collaborazione sotto molteplici forme, quali la consulenza
offerta dallo stesso addetto all’ufficio fidi che potrebbe orientare l’impresa cliente verso forme di finanziamento
“personalizzate” quali quelle di finanza strutturata12.
Le PMI possono inoltre sfruttare i Confidi (consorzi di garanzia collettiva fidi) che sotto molteplici aspetti rappresentano un’ulteriore leva strategica che consente loro di acquisire maggiore forza contrattuale nei confronti del
sistema bancario13. In periodi particolari di credit crunch, quali quello attuale, in cui le banche restringono il credito, le PMI possono incontrare maggiori difficoltà rispetto alle grandi imprese nell’ottenere finanziamenti, magari
perché non dispongono di garanzie adeguate. Tali difficoltà possono essere superate aderendo a un Confidi che
non solo supporta l’impresa offrendo garanzie alle banche convenzionate, ma sfruttando il suo potere contrattuale, potrebbe anche essere in grado di stringere accordi con una o più banche per ottenere credito alle migliori condizioni.
------------------------------------------12
La finanza strutturata risponde alle specifiche esigenze dei soggetti richiedenti il finanziamento personalizzandone le forme.
Sono per esempio operazioni di finanza strutturata: la finanza di progetto (project finance); il finanziamento di immobili da investimento (income production real estate); i finanziamenti per acquisizione (acquisition finance); i finanziamenti di attività reali
a destinazione specifica (object finance o, più comunemente, asset finance); i finanziamenti per crediti all’esportazione (export finance), ecc.
13
I Confidi sono unioni associative presenti sul territorio nazionale che supportano le PMI sia sotto l’aspetto finanziario, sia
sotto l’aspetto economico – produttivo. Tali associazioni che possono essere costituite da artigiani, da commercianti, da industriali delle varie zone territoriali, sono senza fini di speculazione privata e hanno come valori fondanti la solidarietà e il principio della mutualità.
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
 6.
Capire ciò che è importante per la banca
Alberto Cascia
La cosa più importante è non smettere
mai di domandare.
Albert Einstein
 6.1 Premessa
Per le PMI è di fondamentale importanza comprendere le logiche sottese al processo di valutazione di una richiesta di finanziamento o semplicemente al mantenimento del rapporto fiduciario con la banca.
Molto spesso, purtroppo, l’imprenditore si dimostra incapace di comunicare con la banca e di fornire informazioni utili a far capire la reale situazione aziendale (attuale e prospettica), gli obiettivi di breve e medio periodo in
relazione al mercato e al controllo dei rischi aziendali.
Il mancato trasferimento del quadro aziendale è molto spesso alla base della chiusura dei rapporti fiduciari tra
banca e impresa.
Riteniamo, quindi, estremamente utile fornire all’imprenditore ed a coloro che sono a lui vicino alcuni consigli
pratici per gestire in maniera corretta i rapporti con la banca.
 6.2 Ricordarsi sempre quali sono gli obiettivi della banca e quali sono i suoi vincoli
Non bisogna mai dimenticarsi, che la banca è un’impresa che da un ventennio opera in regime di libera concorrenza e come tale ha come obiettivo generale il perseguimento del profitto.
Opera, inoltre, e l’abbiamo visto nel capitolo precedente, in un mercato rigidamente regolamentato; il recente
quadro normativo definisce nuovi criteri per la determinazione del fabbisogno di capitale interno delle banche e
dei margini di sviluppo degli attivi di bilancio.
Le innovazioni normative hanno necessariamente influenzato le politiche di allocazione del capitale a discapito
del comparto imprese e, all’interno di esso, di quelle meno virtuose perché più onerose in termini di costo del
credito delle banche.
 6.3 Le valutazioni creditizie effettuate dalle banche
Quali sono gli aspetti più importanti del processo di valutazione di una richiesta di finanziamento?
Per rispondere a questa domanda è utile sviluppare il ragionamento con riferimento a due momenti distinti:

quello del primo affidamento o della revisione degli affidamenti,

quello relativo alla fase di monitoraggio e di controllo del rapporto fiduciario.
 6.3.1 Prima fase: valutazione di un affidamento
In caso di richiesta di un affidamento o della sua periodica revisione, la banca valuta l’operazione di finanziamento e il cliente che ne fa richiesta.
Analisi dell’operazione
L’operazione aziendale finanziata costituisce per la banca fonte di rimborso primaria del prestito concesso. Analizzare questa operazione, per verificarne la valenza in termini di fonte di rimborso del fido, significa valutare la
congruità della destinazione e della modalità di rimborso del fido stesso.
La destinazione del fido è congrua se lo stesso è destinato al finanziamento di operazioni direttamente connesse
all’attività economica dell’impresa che potenzialmente contribuiscono a generare ricchezza per l’azienda e conseguentemente contribuiscono a generare nel tempo un flusso di cassa disponibile per il servizio del debito.
Affinché la banca possa verificare la finanziabilità dell’investimento, l’impresa deve essere in grado di fornire un
piano industriale che illustri la bontà dell’operazione, i costi, i benefici e i rischi connessi all’investimento e le modalità di copertura del fabbisogno finanziario.
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
Per quanto riguarda, invece, le operazioni di finanziamento del circolante, l’attitudine delle stesse a generare
flussi di cassa viene ricondotta all’analisi previsionale complessiva dell’impresa (flussi di cassa previsionali).
Le tavole successive rappresentano alcuni esempi schematici del processo di valutazione, adottato dalla banca,
della congruità e adeguatezza della destinazione del fido in due casi particolari:

affidamenti destinati al finanziamento del circolante;

affidamenti destinati al finanziamento di investimenti nel fisso.
Tavola 1 – Fidi destinati al finanziamento del capitale circolante
Congruità
destinazione
del fido
Aumento crediti
commerciali
Dilatazione termini di incasso (debolezza
commerciale)
NO
Dilatazione termini di incasso (strategia aziendale)
SI
Aumento del fatturato
Aumento acquisti
DESTINAZIONE DEL
FIDO: FINANZIARE
IL CAPITALE
CIRCOLANTE
Aumento
rimanenze
Riduzione debiti
commerciali
SI
SI
Stagionalità
SI
Prodotti Obsoleti
NO
Riduzione termini pagamento (debolezza
v/fornitori)
NO
Riduzione termini di pagamento (politiche
d’acquisto)
SI
Riduzione fatturato
NO
Dallo schema che segue si rileva, ad esempio, che la destinazione del fido per l’acquisto di impianti e macchinari è congrua se l’investimento è finalizzato alla razionalizzazione del processo produttivo (sempre che, ovviamente, l’azienda dimostri di aver pianificato il suo ritorno in termini di costi/benefici ed individuato adeguati e positivi
flussi di cassa previsionali).
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
Tavola 2 – Fidi destinati al finanziamento di investimenti nel fisso
Congruità
destinazione
del fido
NON FUNZIONALI
ALL’ATTIVITÀ
AZIENDALE
NO
Adeguamento normative di
Legge
SI
DESTINAZIONE
DELL’AFFIDAMENTO
=
ACQUISTO BENI IMMOBILI,
IMPIANTI E MACCHINARI
Pianificazione
costi/benefici
e flussi di cassa
Razionalizzazione
dei processi e/o
allocazione logistica (riduzione
dei costi)
FUNZIONALI
ALL’ATTIVITA’
AZIENDALE
Non vi è
pianificazione
SI
NO
Esiste un piano
ind.le/fin.rio
SI
Non esiste
……..
NO
Vi sono delle
prospettive/certezze di sviluppo
Incremento del
fatturato
Non vi sono
……….
NO
La valutazione della congruità della modalità di rimborso viene effettuata dalla banca mettendo in relazione le
seguenti variabili:

qualità del portafoglio crediti dell’impresa affidata, distinguendo tra:

vendite aziendali concentrate in pochi clienti;

vendite aziendali frazionate su molti clienti.

canalizzazione di adeguati flussi di lavoro che consentono una adeguata rotazione di utilizzo (per rotazione
di utilizzo s’intende il rapporto tra il movimento ed il complesso degli utilizzi medi dei fidi di tesoreria). Il livello di indice di rotazione di utilizzo deve tenere conto dalle caratteristiche del ciclo economico, produttivo e commerciale dell’impresa in esame (aziende a commessa pluriennale, aziende operanti in settori con
ciclo economico lungo ecc.).

grado di tutela giuridica presente nelle operazioni di incasso crediti assegnate e/o anticipate.
Nel caso d’impresa affidata le cui vendite sono concentrate su poche contropartite, per la banca risulta discriminante la qualità/solvibilità dei singoli clienti dell’affidato.
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
Tavola 3 – La qualità dei crediti
Qualità crediti
BUONA
Modalità di rimborso congrua se il cliente canalizza presso la banca adeguato movimento mercantile
Qualità crediti
MEDIA
Modalità di rimborso congrua se il cliente canalizza presso la banca adeguato movimento mercantile ed utilizza linee di credito con tutela giuridica (cessione prosolvendo, sconto carta commerciale accettata ecc.)
Qualità crediti
BASSA
La modalità di rimborso non è comunque congrua
Tavola 4 – Vendite aziendali frazionate su molti clienti
QUALITA’ DEL PORTAFOGLIO CREDITI
DELL’IMPRESA
SODDISFACENTE
(di massima se vi è % di insoluti <25%
e regolare rotazione degli anticipi per fidi
connessi alle vendite) **
BASSA
(di massima se vi è % di insoluti >25%
e/o irregolare rotazione degli anticipi per
fidi connessi alle vendite) **
CANALIZZAZIONE INADEGUATA
DI FLUSSI DI LAVORO
CANALIZZAZIONE ADEGUATA
DI FLUSSI DI LAVORO
NON CONGRUA
CONGRUA
NON CONGRUA
NON CONGRUA
** Nella valutazione della qualità del portafoglio crediti dell’impresa e della % insoluti la banca dovrà comunque tenere conto delle caratteristiche del settore economico di appartenenza (consuetudini nei comportamenti commerciali, evoluzione congiunturale, ecc).
Nello schema sopra riportato è rappresentata l’ipotesi dell’impresa il cui portafoglio clienti è frazionato.
In questo caso, per la banca, la discriminante per l’individuazione della modalità di rimborso è rappresentata
dalla qualità del portafoglio crediti dell’affidato, da verificare con i definiti criteri (monitoraggio delle operazioni
canalizzate, percentuali insoluti, ecc).
Tavola 5 – Qualità dei crediti nel caso di nuovi clienti
Qualità crediti
SODDISFACENTE
Qualità crediti
BASSA
Modalità di rimborso congrua se il cliente ha canalizzato adeguato movimento
La modalità di rimborso non è comunque congrua
In caso di nuovi clienti affidati la modalità di rimborso è congrua per la banca se:

vi è l’impegno da parte del cliente alla canalizzazione di movimento adeguato ( che verrà dalla banca verificato al primo rinnovo degli affidamenti ossia entro i successivi 12 mesi) ;

la banca ha ottenuto laddove possibile informazioni positive sul portafoglio crediti del cliente.
Analisi del cliente
Il cliente affidato o da affidare costituisce per la banca l’ulteriore fonte di rimborso primaria del fido concesso. In
questo caso la banca verifica la capacità dell’impresa di generare nel tempo flussi di cassa adeguati a remunerare il servizio del debito (e del capitale di rischio), mantenendo un’equilibrata struttura patrimoniale, finanziaria e
reddituale.
La banca deve convincersi attraverso queste analisi della capacità dell’imprenditore e del management di guidare l’impresa adottando scelte e strategie coerenti con il mercato ed il settore di riferimento.
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
Per l’impresa diventa quindi fondamentale dimostrare alla banca la propria capacità di pianificare lo sviluppo
aziendale sotto ogni aspetto e di verificare tempo per tempo gli esiti delle azioni intraprese per agire prontamente sulle anomalie riscontrate.
Dalle informazioni fornite alla banca che riguardano le previsioni aziendali, deve emergere la credibilità e la coerenza delle stesse rispetto alle risultanze dell’analisi di settore e dell’analisi manageriale.
Per chiarire meglio questo aspetto si pensi ai seguenti esempi:

azienda che opera in un settore in forte crisi ma che formula previsioni di espansione molto rilevanti
(incremento notevole delle vendite, incremento dei margini ecc.). In un caso del genere, aldilà della coerenza numerica delle cifre contenute nei piani finanziari rassegnati dall’impresa alla banca, la raggiungibilità
di tali obiettivi più che mai dipende dalla capacità dell’imprenditore e/o del management di guidare
l’azienda in un contesto di mercato difficile, dalla sua capacità di intravedere nuove nicchie di mercato
ecc.

azienda che opera in un settore caratterizzato dall’innovazione tecnologica come fattore critico di
successo e che non presenta traccia di investimenti materiali e/o immateriali, né a livello di dati storici
né a livello di previsioni, con un rischio quindi di obsolescenza degli impianti e/o del prodotto.

azienda operante in un settore all’interno del quale risulta fattore critico di successo la leva pubblicitaria a sostegno delle vendite e/o come leva di innovazione di marca e non si abbia alcuna notizia (storica o
previsionale) di programmi di investimenti a ciò finalizzati.
In situazioni incoerenti come quelle descritte, il dubbio della banca circa la reale sostenibilità delle previsioni
aziendali, può essere fugato soltanto a fronte di spiegazioni/approfondimenti riguardanti la specifica realtà e la
specifica strategia dell’impresa che rendano credibili le ipotesi di sviluppo (altrimenti incoerenti).
La banca focalizza la sua attenzione sulla capacità dei vertici aziendali (proprietà e management) di garantire lo
sviluppo futuro dell’azienda. Come già detto, valutare positivamente questo aspetto dell’impresa da parte della
banca significa consolidare la convinzione sulla capacità imprenditoriale/manageriale di guidare l’impresa adottando scelte e strategie coerenti con il mercato ed il settore di riferimento.
Nella tabella che segue sono riportati alcuni aspetti dell’analisi condotta dalla banca, a puro titolo di esempio.
Tavola 6 – Esempi di alcune analisi condotte dalla banca
L’ASSETTO SOCIETARIO (CONDUZIONE E CONTROLLO)
È il primo e forse il più importante degli elementi che viene considerato dalla banca e riguarda l’analisi imprenditoriale e manageriale. Basti pensare, solo per fare un esempio alla minaccia per la continuità e la sopravvivenza stessa dell’azienda insito in una
situazione di frammentazione degli assetti proprietari, magari accompagnato da contrasti più o meno palesi tra soci azionisti. Ovvero si pensi all’azienda a proprietà monofamiliare sulla quale si intravedono problemi di continuità di conduzione (età avanzata
del/degli esponenti privi di successori in famiglia ovvero al contrario con vari eredi alla conduzione aziendale in contrasto tra loro
ecc.)
LA CAPACITÀ PROFESSIONALE DEI SOCI/AZIONISTI/MANAGEMENT
È un altro aspetto cruciale dell’analisi. Specie nelle situazioni in cui si abbia a che fare con imprese che operano in mercati caratterizzati da crisi o anche solo in situazione di semplice turbolenza o con un grado di innovazione molto elevato e/o molto veloce, la
capacità di conduzione aziendale risulta decisiva per la stessa sopravvivenza dell’azienda. In simili situazioni, infatti, risulta fondamentale che il management sappia effettuare scelte tempestive e coerenti in rapporto al mercato di riferimento, con approccio,
se necessario, altamente innovativo in termini di tecnologia, di prodotto, di marketing e promozione, di organizzazione della distribuzione e della vendita. In altre situazioni di mercato, per esempio quelle caratterizzate da maggiore stabilità, fa premio, invece,
l’esperienza, la specializzazione ecc.
STRUTTURA/ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
La presenza di una organizzazione ben strutturata (per funzioni, per linee di prodotto/business o altro) è spesso accompagnata da
diffuse competenze specialistiche (di funzione o riguardanti un’area di business) all’interno dell’impresa e soprattutto da competenze diffuse di qualità più elevata rispetto alle realtà aziendali nelle quali vige una maggiore destrutturazione dell’organizzazione
e dei processi (per esempio tutti fanno tutto). In questa seconda situazione, proprio perché tendenzialmente caratterizzata da una
minor “qualità” delle competenze diffuse all’interno dell’impresa, vi può essere una maggiore dipendenza dai vertici aziendali.
Infine si può aggiungere che normalmente soltanto all’interno delle imprese strutturate, è presente un presidio dedicato alla funzione finanza con tutte le implicazioni che ciò comporta per la strategia commerciale e creditizia della banca.
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
Altri elementi di valutazione
Oltre alle analisi effettuate sull’operazione, sul cliente ed in via secondaria sulle garanzie a presidio
dell’affidamento, la banca effettua l’esame di altri indicatori quali : l’indicatore di rischiosità settoriale, le risultanze
della Centrale dei Rischi, la contribuzione economica della posizione affidata.
Tutti questi indicatori hanno la loro rilevanza in sede di decisione finale della pratica di affidamento, ma la contribuzione economica del cliente, ossia quanto la banca margina dalla relazione affidata, costituisce la discriminante per la concessione o il mantenimento del fido, in quanto correlata al livello di rischio assunto dalla banca e
quindi alla quota di capitale assorbita. Se la contribuzione economica non è coerente con il livello di rischiosità vi
sono molte probabilità che la richiesta di finanziamento venga declinata o in presenza di revisione la posizione
venga posta a rientro.
 6.3.2 Seconda fase: monitoraggio del rapporto fiduciario
La Banca, relazionandosi quotidianamente con l’impresa, ottiene ed archivia un’innumerevole quantità di dati e
di informazioni e quindi ha la possibilità di svolgere una costante azione di monitoraggio del rischio.
L’attività di controllo posta in essere dalla banca ha lo scopo di focalizzare l’attenzione sulle relazioni che presentano indicatori di rischiosità significativi.
La banca in altre parole mette in atto un sistema standardizzato di controllo che ha lo scopo di rilevare sintomi,
individuare cause, definire diagnosi e decidere sulle azioni da intraprendere.
In particolare l’analisi effettuata dalla banca si sofferma sui comportamenti bancari (sintomi di deterioramento)
come ad esempio aumento % insoluti – diminuzione rotazione di utilizzo etc.; per poi passare alla formulazione
di una o più ipotesi di causa di degrado (es. difficoltà negli incassi) che avvalora anche tramite fonti esterne (indagine informativa), ed infine giungere alla verifica dell’ipotesi di degrado, chiarendo direttamente con il cliente.
L’analisi in argomento ha l’obiettivo d’individuare la causa di degrado/sintomi di difficoltà finanziaria del cliente.
La causa di degrado innesca un circolo vizioso che, in ogni sua fase, ha le manifestazioni specifiche (comportamenti bancari). L’intensità ed il riproporsi delle stesse, opportunamente misurata, porta alla definizione di cliente “cattivo”.
Il cliente “cattivo” è il cliente per cui, in assenza di interventi da parte della banca, vi è un’alta probabilità che il
credito sia integralmente o parzialmente irrecuperabile nei 12 mesi successivi.
Di seguito vengono riportati alcuni esempi del comportamento della banca al verificarsi di situazioni specifiche.
Esempio 1
Nel caso un cui l’impresa presenti una diminuzione dei volumi di vendita difficoltà negli incassi commerciali, la
banca rileverà il fenomeno registrando una modifica dei comportamenti bancari (interni alla banca e presso la
centrale rischi) attraverso il verificarsi di sconfinamenti persistenti (sintomo del degrado). La banca indagherà da
subito senza attendere i tempi della revisione degli affidamenti per capire le cause del sintomo. A seconda delle
ragioni, che potrebbero essere, ad esempio, l’obsolescenza del prodotto, la rete di vendita inadeguata, la perdita di un cliente primario, le carenze della struttura produttiva, i dissidi nella compagine sociale, la perdita di concessioni, nuovi concorrenti ecc., la banca farà la sua valutazione circa il livello di gravità della situazione. È fondamentale in questo momento essere in grado di fornire informazioni complete, coerenti e trasparenti poiché è
in questa fase che vengono decise le sorti aziendali.
Se il fenomeno di business è l’obsolescenza del prodotto, l’ipotesi che la banca andrà a verificare è la diminuzione di fatturato che ha ingenerato una diminuzione di risorse finanziarie. Se il cliente riferisce che non sta effettuando nessun intervento correttivo, la gravità della situazione è alta. Nel caso, invece, in cui il cliente abbia già
posto in essere interventi per ridurre i costi o per diversificare la produzione, la gravità della situazione può essere considerata media.
La banca verificherà anche altre situazioni come, ad esempio, saturazione del fido per elasticità di cassa, minori
presentazioni di rimesse di riba al salvo buon fine o fatture, aumento della percentuale insoluti su riba o fatture
(comportamenti bancari), riduzione degli orari di lavoro, aumento del magazzino ecc.
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
Esempio 2
Nel caso in cui vi sia a una riduzione delle vendite in alcune aree geografiche del mercato domestico per
l’ingresso di nuovi concorrenti , è importante che l’impresa presenti alla banca le azioni correttive che intende
adottare.
A seconda della qualità di tali strategie la banca potrà formarsi o meno un giudizio positivo sull’impresa.
Nel caso di giudizio negativo, la banca adotterà uno dei seguenti comportamenti: riduzione dell’esposizione;
modifica delle forme tecniche, inducendo l’azienda a trasferire gli utilizzi nelle forme tecniche a maggiore contenuto di difficoltà presso altre banche; assumere nuove presentazioni di portafoglio crediti con cessione del credito; richiedere ulteriori garanzie a presidio del rischio anche in forma reale.
La banca, inoltre, valuterà se:

contenere eventuali agevolazioni e riconsiderare l’importo della facilitazione fronteggiata da assegni accreditati al sbf;

valutare l’opportunità di chiedere la revoca di parte degli ordini permanenti impartiti e degli addebiti preautorizzati;

esigere l’immediata copertura di eventuali sconfinamenti;

privilegiare, fra i pagamenti canalizzati, le domiciliazione degli F24 per controllare il corretto e puntuale pagamento delle imposte;

verificare a campione gli effetti domiciliati sulle proprie casse e le disposizioni di bonifico impartite per monitorare i termini di pagamento ai fornitori (tempi e modalità), al fine di cogliere eventuali significative variazioni

verificare se avvengono ritiri insoliti di effetti domiciliati c/o altre banche affidanti;

monitorare le emissioni di assegni bancari ed i versamenti in assegni al fine di cogliere eventuali anomalie,
quali ad esempio:

incrocio di assegni;

estinzione di assegni bancari con numerazione appartenente a carnets rilasciati in tempi lontani;

insolito aumento nell’emissione di A/B emessi correlato ad una diminuzione degli appunti/effetti
domiciliati presso le proprie casse;

verificare il motivo di richieste di assegni circolari/contanti di importo rotondo.
 6.4 L’impatto delle regole di Basilea
Bisognerebbe dire molte cose ancora per far capire il perché le banche prediligono una forma tecnica di finanziamento piuttosto che un’altra. O perché un’azienda operante in un settore beneficerebbe di adeguato
sostegno finanziario dalla banca mentre la medesima azienda, se cambiasse settore di attività, non godrebbe
più della stessa fiducia creditizia.
Bisognerebbe anche spiegare il perché un’azienda “buona” potrebbe vedersi ridurre il fido da una banca
mentre un’altra banca potrebbe incrementarle il livello di affidamento.
Si dovrebbe parlare, inoltre, degli effetti del declassamento del Paese Italia da parte delle società di rating sulle
politiche di erogazione del credito e di come lo spread tra il BTP ed il Bund influenza nel medesimo modo il livello di erogazione del credito in Italia.
Per parlare di questi fenomeni però occorrerebbe scendere troppo nel tecnico, parlando di Basilea2 (B2) e dei
suoi riflessi sul bilancio delle banche. E questi aspetti esulano dalla presente trattazione.
Cercheremo, tuttavia, di soddisfare l’interesse del lettore con alcuni semplici ragionamenti.
 6.5 I nuovi parametri per calcolare il fabbisogno di capitale nelle banche e i loro effetti sui rapporti banca-impresa
Utilizzeremo degli esempi per rappresentare le attuali modalità di calcolo degli assorbimenti di capitale delle
banche.
Partiamo dall’ipotesi di una impresa richiedente un affidamento di 100 mila euro utilizzabile per elasticità di cassa, finalizzato a sostenere il capitale circolante dell’impresa.
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
La tabella che segue evidenzia quale sarebbe il costo di capitale per una banca secondo i parametri di Basilea2
e secondo i precedenti parametri di Basilea1 limitatamente al costo del credito.
Tavola 7 – Costo del credito per le aziende secondo i parametri di Basilea1 e Basilea2
Regole di Capitale
Segmento
di mercato
Ammontare Utilizzo
Fido senza
garanzie reali
a revoca
Costo del Capitale
€ 100.000,00
Basilea1
retail/corporate
€ 8.000,00
Basilea2
Metodo Standardizzato
retail
€ 6.000,00
corporate
€ 8.000,00
Basilea2
Metodo con il miglior Rating interni
retail/corporate
€ 1.600,00
Dalla tabella si evince che con il precedente metodo di calcolo, per la banca è indifferente la dimensione aziendale e l’identificazione della qualità del cliente che scaturisce dal calcolo del rating: il costo del capitale è sempre
di 8 mila euro.
Con l’introduzione delle regole di Basilea 2, invece, c’è differenza se l’azienda appartiene al segmento Retail o
Corporate e se la banca adotta sistemi di rilevazione standardizzati (di regola banche di piccole e medie dimensioni) o sistemi interni di classificazione omologati dall’Organo di vigilanza (di regola adottati da banche di grandi
dimensioni).
L’azienda appartiene al segmento retail se il suo fatturato non è superiore a 5 milioni di euro e se l’ammontare
complessivo degli utilizzi ponderati concesso dalla banca all’azienda è inferiore al 2% dell’esposizione complessiva della Banca verso il medesimo segmento retail. Al comparto retail appartengono anche le famiglie consumatrici.
Tavola 8 – Costo del credito secondo i parametri di Basilea1 e Basilea2 in caso di garanzia reale
Regole di Capitale
Segmento di mercato
Ammontare Utilizzo
Basilea2
M. con il miglior Rating interni
Costo del Capitale
€ 100.000,00
Basilea1
Basilea2
M. Standardizzato
Fido con garanzie reali
€ 4.000,00
civile abitazione
€ 2.800,00
opificio industriale e altro
€ 4.000,00
civile abitazione
€ 1.600,00
opificio industriale e altro
€ 1.600,00
Nella tavola 8, invece, gli effetti di Basilea 2 sul costo del capitale vengono rappresentati per un finanziamento
a vista o a medio lungo termine assistito da una garanzia reale, nella fattispecie un’ipoteca. Tale garanzia per
poter essere valorizzata e quindi dare i benefici rappresentati in tabella deve essere iscritta su beni immobili di
civile abitazione a condizione che il finanziamento non superi l’80% del valore immobiliare (al netto di altri pesi)
o su altri immobili a condizione che il debito non sia superiore al 50% del valore del bene (al netto di altri pesi).
È evidente che le attuali regole sul capitale hanno portato dei benefici alle banche in termini di ponderazione,
tanto più elevati quanto più l’azienda è di piccole dimensioni e/o di buona qualità, in presenza o meno di sistemi di calcolo standardizzati. Tali benefici poi migliorano ulteriormente se viene rilasciata una garanzia reale
su beni di civile abitazione.
Purtroppo, però, Basilea2 ha introdotto nuovi assorbimenti derivati da altri rischi tangibili che Basilea1 non
considerava.
È stato introdotto il Rischio operativo che di regola viene calcolato con metodo standardizzato e che prescinde dalla concessione del credito. Pertanto non deve essere preso in considerazione in questo contesto.
Per quanto riguarda la concessione di un finanziamento, ulteriori costi di capitale sono determinati dal Rischio
di concentrazione e dal Rischio di tasso, che con Basilea1 non venivano presi in considerazione.
112
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
Il rischio di concentrazione comprende il rischio geo-settoriale e il rischio singular name, ovvero tiene conto
dell’attività svolta dalla controparte affidata e della sua collocazione geografica nonché dell’ammontare complessivo dei suoi utilizzi in rapporto agli attivi della banca specifici al comparto a cui appartiene l’azienda affidata ed all’ammontare del capitale complessivo in dotazione alla banca.
Quando appena descritto, rappresenta una situazione statica, che nella realtà difficilmente si configura considerata la possibile dinamicità del costo di capitale per l’azienda di credito.
Facciamo l’esempio di una banca che utilizza il metodo standardizzato. Un rapporto fiduciario classificato retail potrebbe nel corso del tempo essere classificato corporate a causa della crescita del fatturato
dell’azienda o perché è stata superata la soglia del 2% dell’ammontare complessivo degli utilizzi. L’aggravio
del costo del capitale potrebbe indurre la banca a ridurre l’esposizione o ad incrementare il costo del finanziamento per l’impresa.
La medesima posizione di rischio potrebbe invece essere trasferita nel comparto dei clienti “cattivi” a causa
dell’andamento del rapporto, ad esempio, caratterizzato da perduranti sconfinamenti e/o da rate di finanziamento non in regola con il piano di rimborso. Potrebbe essere classificato anomalo anche per evidenze negative in centrale dei rischi o per bilanci ufficiali in peggioramento o semplicemente per un peggioramento della
qualità dei crediti commerciali dell’impresa affidata, o in ultimo per una cattiva gestione della relazione con la
banca. In questi casi il “danno” per la banca diventerebbe rilevante. Il costo del capitale passerebbe da 6 mila
euro della tabella 1 a 12 mila euro. È chiaro, in questa eventualità, quale potrebbe essere la reazione della
banca che improvvisamente si trova con un costo del capitale raddoppiato e nell’impossibilità, almeno
nell’immediato, di incrementare adeguatamente i tassi di remunerazione del credito concesso.
Nel periodo precedente l’introduzione delle regole di Basilea2, le banche avevano perseguito politiche espansive con particolare riguardo al settore edilizio (e quelli ad esso collegato) e al comparto dei finanziamenti a
lungo termine concessi alle famiglie consumatrici.
Le regole di Basilea2 non hanno portato alle banche benefici connessi alle ponderazioni del rischio di credito
(come evidenziato dalla Tavola 7) nel caso di finanziamenti concessi ad imprese edili o immobiliari. In questa
fattispecie la fonte di rimborso del finanziamento deriva prevalentemente dall’operazione finanziata e per questo presenta maggiori rischi venendo meno l’analisi del cliente. Se è neutrale per il rischio di credito, Basilea2
ha quindi prodotto un maggior onere di capitale per banca che finanzia queste tipologie di imprese, a causa
dell’elevato rischio di concentrazione settoriale e di singular name, nonché per l’elevato rischio tasso derivante dalla durata delle operazioni.
Gli stessi effetti si sono avuti con i finanziamenti a lungo termine rivolti alle famiglie consumatrici. Se in termini
di rischio di credito, si sono registrati risparmi di capitale per le operazioni di mutui fondiari (assorbimenti passati dal 50% al 35%), le banche si sono trovate penalizzate per il costo del rischio di tasso e per il rischio liquidità, dato il forte squilibrio derivante dal processo di trasformazione delle scadenze degli attivi e dei passivi
di bilancio.
Il rischio di liquidità è da considerare rilevante sia a causa della crisi finanziaria prima che della crisi del debito
sovrano poi.
Se agli inizi della crisi finanziaria mondiale non si sono registrate importanti problematiche per le banche nostrane, forti della peculiarità del mercato domestico, la crisi del debito pubblico ha reso via via sempre difficile
alle banche italiane l’accesso alla provvista a tassi normali oltre frontiera. La crisi del debito non solo ha creato problemi di liquidità ma ha determinato maggiori fabbisogni patrimoniali. In effetti il declassamento dell’Italia
effettuato dalle società di rating internazionali ha incrementato il capitale interno delle banche, per maggiori
assorbimenti patrimoniali derivante dagli utilizzi degli Enti territoriali e fra gli stessi Intermediari vigilati. Anche il
minor valore di mercato dei titoli pubblici registrato alla fine del 2011, titoli presenti massicciamente nei bilanci
delle banche, hanno ridotto sensibilmente il capitale netto in quel periodo. Tutti questi fenomeni vengono registrati dallo spread tra il Bund ed il Btp. Quando lo spread aumenta ci verificano ripercussioni nel medio periodo sulle politiche di erogazione del credito delle banche per gli effetti sulla loro liquidità, sul loro costo del
denaro e sul loro capitale interno.
Il Decreto “Monti” del 6 dicembre 2011 ha facilitato, tra l’altro, il finanziamento a medio termine delle banche
da parte della BCE a prezzi in linea con quelli degli altri Paesi europei riuscendo a ridurre con tempestività lo
spread, il rischio tasso e il rischio liquidità e ad impedire il credit crunch.
Dopo aver fornito informazioni sui meccanismi di ragionamento degli Intermediari finanziari, possiamo rispondere ai quesiti posti all’inizio del paragrafo.
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Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca
Le banche non prediligono più i finanziamenti a lungo termine come i mutui ipotecari perché il costo
dell’operazione in termini di capitale (rischio di credito e di tasso) e di liquidità non permette un adeguato ritorno economico, dati i vincoli normativi del livello del tasso di remunerazione. L’operazione non presenta
quindi vantaggi economici per la banca.
La banca, tuttavia, potrebbe comunque decidere di adottare una politica commerciale espansiva sul mercato
retail, e quindi orientare una quota di capitale disponibile in favore di questa forma tecnica di finanziamento,
per perseguire un determinato obiettivo, come ad esempio acquisire quota di mercato in una determinata
area geografica per deconcentrare il rischio geo-settoriale.
I mutui ipotecari, inoltre, permettono e l’acquisizione di clientela appartenente al comparto famiglie consumatrici che potrebbe fornire alla banca una raccolta di provvista stabile a basso costo, contribuendo altresì ad
attività di cross selling e alla riduzione del rischio di concentrazione dal lato del passivo di bilancio.
La forte concentrazione degli attivi bancari nel settore edilizio ed immobiliare ha determinato un improvviso
credit crunch settoriale per le ragioni tecniche sopra esposte. Cosicché il settore è andato in crisi e le imprese
a forte leva finanziaria non sono state in grado di rispettare gli impegni con il sistema bancario. Il fenomeno ha
condotto ad un peggioramento dei margini di capitale disponibile per lo sviluppo del credito da parte degli intermediari finanziari.
Per qualche banca ci potrebbe essere lo stesso problema di concentrazione settoriale in altri settori di attività
economica, ci riferiamo a quelle banche che operano all’interno di distretti industriali che giocoforza hanno gli
attivi concentrati in determinati settori come quello delle calzature, dei mobili o della meccanica etc. In questi
casi, se la banca non ha importanti margini di sicurezza di capitale potrebbe decidere di ridurre il livello di
concentrazione settoriale. Per ottenere risultati immediati andrebbe ad agire verso clientela in grado di restituire il finanziamento in tempi ragionevoli e senza rilevanti ripercussioni di stabilità aziendale. Una strategia
opposta potrebbe essere, invece, perseguita da un’altra banca che non avesse le stesse esigenze di deconcentrazione settoriale.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
 7.
Chi sostiene l’accesso al credito
Francesco Angeletti
La verità è che la verità cambia
Friedrich Nietzsche
 7.1 Il ruolo dei Confidi
Mentre fino a qualche anno fa l’accesso al credito bancario era relativamente semplice, l’avvento di Basilea 2, la
crisi finanziaria globale e la prolungata situazione recessiva hanno notevolmente accresciuto la complessità di
questo aspetto. Di fronte quindi ad una maggiore difficoltà nel rapporto con la banca, un’arma a disposizione
dell’imprenditore è rappresentata dal ricorso ad una garanzia di un Confidi a parziale copertura del rischio assunto dalla banca nel concedere un nuovo finanziamento.
I Confidi (noti anche come consorzi fidi o organismi di garanzia collettiva fidi), sono organismi aventi struttura
cooperativa o consortile che esercitano l’attività di concessione di garanzie su finanziamenti bancari allo scopo
di facilitare l’accesso al credito delle imprese socie o consorziate.
La loro attività garantisce notevoli benefici alle imprese, soprattutto a quelle che hanno una ridotta capacità contrattuale con le banche. Essi possono essere sintetizzati come segue:

possibilità di ottenere nuova finanza per le aziende che senza la garanzia del Confidi non hanno accesso
al credito;

aumento della capacità di credito in termini di importo massimo ottenibile. Grazie alla garanzia del Confidi
infatti l’azienda può ottenere un prestito o un fido di importo superiore a quanto avrebbe potuto ottenere
senza l’intervento del Confidi;

riduzione degli oneri finanziari pagati dall’impresa. I tassi di interesse applicati dagli istituti bancari convenzionati alle operazioni garantite sono generalmente inferiori rispetto alle normali condizioni di mercato.
Contestualmente sono ridotti anche gli oneri accessori (ad esempio spese di istruttoria);

certezza e trasparenza delle condizioni applicate delle banche e verifica delle stesse da parte dei Confidi
stessi per conto delle imprese;

consulenza e orientamento nella scelta degli strumenti di finanziamento che più si adattano alle esigenze
delle imprese.
Tavola 1 – Confidi: i benefici delle imprese
Il motivo per cui le aziende godono di tali benefici è determinato dal fatto che il Confidi detiene delle somme di denaro a garanzia delle situazioni debitorie e che, in caso di insolvenza da parte dell’impresa, la banca chiede al Con-
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
fidi di utilizzare tali somme per far fronte alla perdita subita dalla banca in base alla percentuale della garanzia concessa.
Il beneficio per la banca nell’operare con i Confidi, oltre alla riduzione del rischio di credito, è anche quello di
contribuire alla riduzione dell’asimmetria informativa nel rapporto banca-impresa. Si assiste infatti nella generalità
dei casi ad una difficoltà di dialogo tra banche e aziende, particolarmente rilevante in caso di imprese di minori
dimensioni e/o più giovani, a causa della scarsa trasparenza delle informazioni contabili ed extra-contabili e anche a causa del veloce turnover dei gestori e dei direttori di filiali delle banche che non consentono una conoscenza approfondita dell’azienda e soprattutto della sua storia.
I Confidi in questo senso, essendo quasi sempre caratterizzati da un forte radicamento territoriale ed essendo
spesso legati ad Associazioni di rappresentanza delle imprese, possono essere in possesso di informazioni qualitative non ricavabili dai dati di bilancio.
Il vantaggio informativo di cui gode un Confidi può però rischiare di affievolirsi al crescere della sua dimensione.
Quanto più il numero delle imprese associate aumenta infatti, tanto più il Confidi è indotto a far ricorso, nelle
istruttorie di fido, a procedure standardizzate.
Nell’attuale fase di trasformazione dei Confidi emerge quindi un trade-off tra la necessità per il Confidi di crescere dimensionalmente, di aggregarsi per raggiungere una massa critica che consenta livelli soddisfacenti di redditività e assetti organizzativi tali da corrisponde alle più pressanti richieste della vigilanza bancaria e dall’altro lato,
il rischio che, con il crescere della dimensione, si affievolisca la “ricchezza” propria del Confidi, rappresentata dal
patrimonio di conoscenza diretta delle imprese socie.
Tavola 2 – Il trade-off dei Confidi
 7.2 L’evoluzione normativa
Una rappresentazione efficace dell’operatività dei Confidi non può prescindere dall’analisi del quadro normativo
vigente.
Sebbene i primi Confidi nascano alla fine degli anni Cinquanta su base meramente volontaria da parte di piccoli
imprenditori, solo da pochi anni è stato emanato un provvedimento volto a disciplinare in modo completo e articolato l’intera materia, ovvero l’emanazione della legge quadro sui Confidi (art. 13 del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003).
In base a tale normativa si intende per Confidi i “consorzi con attività esterna, le società consortili per azioni, a
responsabilità limitata o cooperative, che svolgono l’attività di garanzia collettiva dei fidi”. Viene quindi data una
definizione esaustiva dell’attività di garanzia collettiva dei fidi quale “utilizzazione di risorse provenienti in tutto o in
parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie, volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario”.
La stessa legge disciplina poi i Confidi di secondo grado, aventi analoga struttura giuridica, costituiti dai Confidi
ed eventualmente da imprese socie o consorziate di questi ultimi o da altre imprese. I Confidi di secondo grado
svolgono l’attività di garanzia collettiva dei fidi a favore dei Confidi di primo grado (controgaranzia).
Nell’ambito di tale legge quadro, sono state inoltre introdotte tre diverse forme organizzative nell’attività dei Confidi:

intermediario non vigilato, iscritto all’elenco generale di cui all’art.106 TUB;

intermediario vigilato, iscritto all’elenco speciale di cui all’art.107 TUB;

banca di garanzia.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Tavola 3 – Le forme organizzative nell’attività di Confidi previste dalla legge quadro 326/2003
Il passaggio ad una delle due modalità “superiori” soggette ai controlli prudenziali e ispettivi della Banca
d’Italia (Intermediario 107 e Banca di garanzia) non veniva configurato come possibilità, ma come preciso
obbligo al superamento di un dato livello di attività.
La norma è rimasta per lunghi anni sulla carta, in attesa dei necessari regolamenti attuativi arrivati solo nel
2007 e nel 2008. Attraverso tali regolamenti della Banca d’Italia è stata precisata la soglia che fa scattare
l’obbligo di trasformazione in intermediario vigilato e cioè il raggiungimento di un’attività finanziaria superiore a 75 milioni di euro.
Tralasciando le banche di garanzia collettiva fidi in quanto non ve ne sono di operative in Italia, a partire dal
2009 è iniziato quindi il processo di trasformazione dei Confidi le cui attività superavano la soglia dei 75 milioni di euro in intermediari vigilati da parte della Banca d’Italia (Confidi ex art. 107).
I Confidi ex art.107 sono i Confidi di maggiori dimensioni e maggiormente strutturati dal punto di vista organizzativo; possono svolgere alcune ulteriori attività negate ai Confidi non vigilati quali, ad esempio, prestare garanzie a favore dell’amministrazione finanziaria dello Stato, gestire fondi pubblici di agevolazione e
stipulare contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le
imprese consorziate o socie.
I Confidi ex art. 106 invece, sono i più numerosi e su tali operatori la Banca d’Italia svolge la sola attività di
censimento e di riscontro, nella fase di accesso, dei requisiti previsti dalla legge; essi sono espressamente
sottratti all’applicazione delle disposizioni del Titolo V del TUB relative agli intermediari finanziari e la loro
operatività non è sottoposta al regime di vigilanza prudenziale della Banca d’Italia.
I Confidi ex art. 106, la cui lista è consultabile sul sito della Banca d’Italia (www.bancaditalia.it/vigilanza/regolamentati/albi-elenchi/Confidi/consultazione elenco) non sono tenuti ad accantonare risorse patrimoniali commisurate alle obbligazioni contratte, con i conseguenti rischi per i beneficiari delle garanzie
eventualmente rilasciate.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Tavola 4 – La struttura dei Confidi ( ex art. 107, ex art. 106 e Banche di garanzia)
La situazione è mutata ulteriormente con la riforma del TUB, definita con il Decreto legislativo n. 141/2010.
In base a tale riforma, non del tutto ancora attuata a causa della mancata pubblicazione da parte del Ministero
dell’Economia e delle Finanze dei decreti di attuazione, viene eliminata la precedente differenziazione tra Confidi
iscritti nell’elenco generale e speciale di cui agli articoli 106 e 107 del TUB. Il nuovo articolo 106 delinea un Albo
unico degli intermediari finanziari non bancari, per la cui iscrizione vengono richiesti determinanti requisiti organizzativi e patrimoniali.
I Confidi che non saranno in possesso dei requisiti previsti dal nuovo art. 106 saranno disciplinati dall’art.112 del
nuovo TUB, il quale prevede l’istituzione di un organismo deputato alla vigilanza di tali strutture. Anche tali Confidi saranno quindi soggetti ad un regime di controllo decisamente rafforzato che con il tempo condurrà ad una
razionalizzazione del settore, processi di fusione e cercherà di contrastare fenomeni di irregolarità ancora diffusi.
 7.3 Il ruolo delle garanzie dei Confidi come strumento di abbattimento del rischio di credito per le
banche
Ogni finanziamento concesso ad un’impresa da una banca comporta l’assunzione di un rischio che deve essere
quantificato e supportato, a copertura, da un adeguato patrimonio di vigilanza da parte della banca stessa.
A inizio 2007 sono entrate in vigore le norme previste da “Basilea 2”, il nuovo accordo internazionale sui requisiti
patrimoniali delle banche. Le nuove disposizioni hanno modificato notevolmente le modalità di concessione del
credito, incidendo in profondità sui rapporti fra banche e imprese, soprattutto quelle piccole e medie ed hanno
altresì modificato il ruolo dei Confidi.
Mentre gli accordi di Basilea 1 imponevano l’applicazione di un coefficiente di adeguatezza patrimoniale pari
all’8% degli impieghi delle banche, indipendentemente dalla tipologia di rischio assunto, le nuove norme impongono invece lo stesso un coefficiente di adeguatezza patrimoniale pari all’8% degli impieghi delle banche, ma in
funzione della rischiosità assunta.
In pratica, con Basilea 1 la quantità di capitale assorbito al momento della concessione di un nuovo finanziamento era poco sensibile al rischio assunto. Si è passati quindi a Basilea 2, con l’intento di valutare in modo più
puntuale le qualità dei singoli imprenditori, vale a dire il rischio insito in ogni operazione di credito posta in essere
dalla banca.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Imprese con un rating buono possono quindi far accantonare meno risorse alla Banca. La minore entità di capitale di vigilanza richiesto dall’operazione dovrebbe tradursi in un miglioramento delle condizioni economiche praticate dalla Banca.
Mentre con Basilea 1 l’intervento dei Confidi non rivestiva alcun valore ai fini della riduzione del rischio di credito
delle banche finanziatrici, con Basilea 2, le garanzie dei Confidi, purché con determinate caratteristiche, sono
teoricamente in grado di far ottenere all’istituto di credito un risparmio concreto in termini di patrimonio di vigilanza da accantonare, producendo in questo caso effetti positivi sulle condizioni praticate alle imprese prenditrici.
Tavola 5 – I criteri di ammissibilità delle garanzie secondo Basilea 2
Basilea 2 prevede però criteri diversi per la valutazione delle garanzie a seconda dell’approccio adottato dalle
banche per la valutazione del rischio di credito.
Per quanto concerne infatti il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito, Basilea 2 prevede infatti tre metodologie differenti:
1.
metodologia standardizzata;
2.
IRB di base;
3.
IRB avanzato.
Tavola 6 – I criteri di valutazione delle garanzia applicati da Basilea2
Criteri di valutazione
Metodologia standardizzata
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Descrizione
Si tratta di una evoluzione del modello previsto da Basilea 1. Il patrimonio da accantonare viene
calcolato ponderando ciascuna esposizione per coefficienti determinati sulla base di regole stabilite per ogni singola classe di esposizione.
Ad esempio le esposizioni verso le amministrazioni centrali e le banche centrali di Stati membri
dell’Unione Europea sono ponderate a zero e quindi non la banca non deve accantonare capitale; le esposizioni verso persone fisiche e piccole e medie imprese che rispettano specifici requisiti sono ponderate al 75%, senza necessità di calcolare il merito di credito della singola azienda.
Si ipotizzi ad esempio che una banca conceda un finanziamento di 100 ad una PMI. La banca
deve accantonare per questo finanziamento una quota di patrimonio di vigilanza pari a 100 x
75% x 8% = 6.
119
Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
IRB di base
IRB avanzato
Per il calcolo del requisito patrimoniale nell’ambito del metodo standardizzato, la normativa prevede anche la possibilità di determinare i coefficienti di ponderazione sulla base del rating rilasciato da agenzie esterne riconosciute da Banca d’Italia. Le PMI però non dispongono di tali rating.
Secondo questa metodologia le banche possono calcolare il patrimonio da accantonare sulla
base di una stima interna della rischiosità o meglio della probabilità di default. La PD associata
a ciascuna impresa è ciò che poi determina il rating dell’impresa e in base ad esso viene calcolato l’accantonamento di capitale.
Si tratta di una evoluzione del metodo IRB di base che prevede che la banca sia in grado di stimare non solo la PD, ma anche gli altri parametri di rischio, ovvero la perdita in caso di default
(LGD), la durata (Maturity) e l’esposizione al momento del default (EAD).
In base a tutti questi fattori viene quindi calcolato l’accantonamento di capitale.
Prima di entrare nel merito dell’effetto che le garanzie hanno come strumento di abbattimento del rischio di credito in capo alla banca erogante il finanziamento, occorre analizzare le diverse tipologie di garanzie che possono
rilasciare i Confidi.
Le garanzie tradizionali dei Confidi sono quelle a valere su fondi monetari non segregati. Esse funzionano sulla base di una convenzione tra banca e Confidi, la quale prevede che vengano depositati fondi vincolati che verranno utilizzati per coprire le insolvenze dei soggetti garantiti. L’ammontare massimo di prestiti garantiti a fronte
dei fondi depositati è funzione di un moltiplicatore definito nella convenzione. Un moltiplicatore 20 ad esempio
significa che per ogni 1000 euro di fondi depositati il Confidi può garantire prestiti fino a 20.000 euro. I prestiti
garantiti a fronte del deposito non sono specificatamente individuati e perciò si parla di fondi non segregati.
Dal momento che il Confidi è tenuto a intervenire entro il limite massimo dei fondi depositati, maggiore è il moltiplicatore, maggiore è la probabilità che possano verificarsi insolvenze in eccesso rispetto ai fondi disponibili per
la loro copertura.
Esistono poi le garanzie su fondi monetari segregati. In questo caso il Confidi deposita fondi vincolati che vanno a copertura delle eventuali perdite su un insieme di crediti specificati (tranched cover).
Infine esistono le garanzie a valere sul patrimonio del Confidi. In questo caso non vengono vincolati fondi del
Confidi presso la banca e il Confidi risponde dei propri impegni con tutto il suo patrimonio.
Tavola 7 – Le diverse tipologie di garanzia rilasciate dai Confidi
Dal punto di vista della normativa di vigilanza prudenziale, le garanzie su fondi monetari non segregati non sono
in alcun modo riconosciute e non generano un abbattimento del capitale da accantonare in capo alla banca finanziatrice.
Le garanzie su fondi monetari segregati possono essere offerte sia dai Confidi ex art. 106 che ex art. 107, ma la
loro efficacia dipende da un insieme di requisiti previsto dalla banca d’Italia e non sono ancora molto diffuse.
Infine, per quanto riguarda le garanzie a valere sul patrimonio dei Confidi, occorre distinguere tra banche che
adottano il metodo standardizzato e quelle che utilizzano il metodo IRB base o avanzato.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Per le banche che adottano il metodo standardizzato, in teoria, il peso di ponderazione applicabile alla quota di
esposizione garantita da un Confidi ex art. 107 è pari al 20%. Se però, come spesso succede, le esposizioni
appartenenti al portafoglio PMI sono trattate in blocco allora non è possibile beneficiare dell’abbattimento patrimoniale.
Nel caso contrario in cui le PMI non siano gestite in blocco, i Confidi vigilati danno un vantaggio all’erogante, che
ne acquisisce la garanzia, in termini di minore ponderazione del rischio negli assorbimenti patrimoniali (cioè il
20% dell’8% per la parte garantita). Il beneficio della minore ponderazione su credito garantito da Confidi ex art.
107 segue cioè la classe di rischio della categoria “Banche”. Detta classe di rischio è collegata al rating sovrano
del paese in cui ha sede la banca, ed è un gradino sotto la classe di rischio sovrano. Con rating dello Stato AA,
il rischio sovrano si pondera 0% e quello delle banche italiane e dei Confidi ex art. 107 al 20%. Con rating A, il
sovrano sale a 20% e il bancario al 50%. Con rating BBB, il sovrano passa a 50% e il bancario al 100%. Finché
quindi i rating dell’Italia sono tutti con outlook negativo, si assiste a una ponderazione del 100% per le esposizioni garantite da Confidi ex art. 107 e quindi c’è la perdita del beneficio dell’abbattimento patrimoniale.
Per le banche che adottano il sistema IRB invece, il peso di ponderazione dovrebbe essere funzione del rating
assegnato al Confidi. Il problema è che per assegnare tale rating occorre sviluppare e validare presso la Banca
d’Italia un apposito modello di rating.
Rimane la possibilità per le banche che adottano il metodo IRB avanzato, di considerare la garanzia Confidi quale fattore atto a diminuire la loss given default (LGD) del prestito.
In conclusione, le condizioni piuttosto restrittive previste dalla normativa, unitamente alla gestione delle posizioni
delle PMI in blocco e non per singola esposizione da parte delle banche e, al momento, al rating negativo
assegnato all’italia, rendono l’intervento dei Confidi inefficace dal punto di vista dei requisiti patrimoniali delle
banche. Sono sorti per tale motivo molti dubbi sull’effettivo vantaggio di trasformarsi in Confidi ex art.107, poiché per essi sono previsti maggiori costi, maggiori carichi gestionali, maggiori adempimenti di legge e di vigilanza, i quali sono stati scaricati sulle imprese richiedenti la garanzia con un aumento delle commissioni per la garanzia. Allo stesso tempo però non bisogna dimenticare i vantaggi di tale trasformazione. La crescita dimensionale ha infatti portato ad un’organizzazione più adeguata e ad una più corretta gestione dei rischi.
 7.4 Struttura del mercato
I Confidi in Italia sono numerosi e presentano volumi di attività nel complesso non elevati. Operano infatti circa
650 Confidi, di cui poco meno di 60 iscritti all’elenco speciale ex art. 107 TUB. La loro operatività è concentrata
in capo ad alcuni intermediari molto grandi, attivi prevalentemente nel centro-nord. Ai 23 soggetti di più grandi
dimensioni fa capo il 78% delle garanzie rilasciate nel complesso dal sistema dei Confidi. Al 31 dicembre 2012 i
Confidi vigilati rilasciavano garanzie per circa 16 miliardi di euro, pari al 73% del complesso delle garanzie rilasciate1.
Tavola 8 – Le dimensioni del mercato dei Confidi
La funzione di raccordo tra banche e piccole imprese propria del sistema dei Confidi è stata particolarmente importante durante la lunga recessione avviatasi nell’autunno del 2008. Durante la crisi l’importanza dei Confidi è
cresciuta notevolmente, tanto che nell’arco di due anni, fra il dicembre 2008 e lo stesso mese del 2010, il numero di imprese censite dalla Centrale dei rischi garantite da un Confidi è salito di circa 25.000 unità, fino a raggiungere il numero di circa 165.000 imprese.
------------------------------------------1
Fonte: Banca d’Italia
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
L’aumento del peso nell’intermediazione del credito alle PMI è avvenuto in una fase di profonda trasformazione
del settore. Nel complesso l’intera categoria dei Confidi sta infatti vivendo una fase di notevole riassetto organizzativo, caratterizzata da importanti investimenti per l’adeguamento delle strutture e allo stesso tempo è impegnata a salvaguardare soddisfacenti livelli patrimoniali, intaccati dall’aumento delle sofferenze del credito concesso alle PMI.
Numerose sono state infatti le fusioni tra Confidi negli anni passati, soprattutto a livello regionale ma probabilmente ne saranno necessarie altre. Le situazioni di instabilità dei Confidi sono state finora fronteggiate grazie a
contributi di natura pubblica, specie da parte delle Regioni e Camere di Commercio, che hanno permesso il rafforzamento patrimoniale dei Confidi.
Oltre che intermediari finanziari, i Confidi sono infatti considerati un tassello di rilievo del sistema di supporto
pubblico del credito alle piccole e medie imprese.
Il riconoscimento della funzione economica e sociale di interesse generale dei Confidi trova espressione nella
legislazione statale e regionale che assegna a questi enti un ruolo rilevante nel sistema di agevolazione pubblica
del credito.
In relazione alla “duplice natura” dei Confidi, da un lato intermediari finanziari operanti in regime di concorrenza e
in alcuni casi vigilati dalla Banca d’Italia, dall’altro strumento delle politiche economiche pubbliche, si determinano peculiari tensioni nello svolgimento della loro attività.
 7.5 Il processo di concessione della garanzia
La procedura per ottenere una garanzia varia a seconda del Confidi al quale ci si rivolge ma in genere essa si
svolge secondo step successivi simili.
Tavola 9 – Le 7 fasi del processo di concessione della garanzia di Confidi
 7.5.1 Ammissione a socio del Confidi
Per ottenere la garanzia Confidi, l’impresa anzitutto deve acquisire la qualità di Socio del Confidi stesso.
Possono essere ammessi come soci, le PMI industriali, commerciali, turistiche e di servizi, artigiane, agricole e i
professionisti anche in forma associata purché con sede in Italia. Possono essere poste limitazioni sulle tipologie
di aziende ammesse dagli statuti dei Confidi stessi.
122
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Si considerano piccole e medie le imprese che soddisfano i requisiti previsti dalla disciplina comunitaria2. Al
Confidi possono partecipare anche imprese di maggiori dimensioni rientranti nei limiti dimensionali indicati
dall’Unione Europea ai fini degli interventi della Banca Europea degli Investimenti (BEI) a favore delle piccole e
medie imprese, purché complessivamente non rappresentino più di un sesto della totalità delle imprese socie.
Per diventare soci viene richiesto un costo di ammissione, vale a dire la sottoscrizione di quote di capitale
sociale o di Fondo Consortile, variabile da Confidi a Confidi. Le quote sociali, sono restituibili solo in caso di
recesso dal Confidi, ammesso alle condizioni e nei limiti previsti dai rispettivi Statuti, qualora tutti gli impegni
siano stati onorati, inclusa la regolare estinzione del finanziamento garantito.
Tavola 10 – Chi può ottenere la garanzia Confidi
Soci Confidi
PMI
industriali
PMI
commerciali
PMI
turistiche
PMI
di
servizi
PMI
agricole
Professionisti
Possono partecipare anche le imprese di più grandi dimensioni, purché complessivamente
non rappresentino più di 1/6 del totale delle imprese socie
 7.5.2 Richiesta di garanzia
Il Confidi al quale ci si rivolge chiede al richiedente di compilare un apposito modulo di domanda di concessione
della garanzia, nel quale devono essere indicati alcuni dati specifici sull’azienda e sul finanziamento richiesto alla
banca e contestualmente all’azienda viene richiesto di fornire la documentazione necessaria all’espletamento
dell’attività istruttoria (bilanci, situazione contabile infrannuale, business plan, ecc.).
Il processo parte quindi in genere dalla richiesta di garanzia dell’impresa al Confidi, tuttavia spesso si realizza un
processo diverso in cui il Confidi viene coinvolto in un momento successivo, su indicazione della banca, che
rifiutando il credito all’impresa, per l’eccessivo rischio, consiglia alla stessa di rivolgersi al Confidi per ottenere
garanzia ed accedere così al finanziamento.
Importo massimo richiedibile
In merito all’importo massimo di garanzia che un Confidi può prestare a ciascuna impresa, ciascun Confidi può
liberamente scegliere, tenendo in considerazione che più i Confidi sono piccoli, meno possono accentrare i
rischi su singole aziende. L’importo generalmente aumenta per i Confidi 107.
Convenzioni con le banche
Il rapporto tra Confidi e banche è regolato da apposite convenzioni, le quali precisano tutti gli elementi tecnici
inerenti la garanzia e i reciproci diritti e doveri, nonché tutti i finanziamenti secondo le differenti forme tecniche
che possono essere assistiti dalla garanzia del Confidi.
Ciascun Confidi sceglie le banche con cui convenzionarsi e quante stipularne. Maggiore è il numero di banche
convenzionate, più attraente è il Confidi per le imprese socie.
Per quanto riguarda invece i prodotti di finanziamento sui quali è possibile richiedere la garanzia è ciascuna
banca che decide in base al proprio portafoglio prodotti quali inserire in convenzione. Si tratta comunque in
genere di prestiti chirografari o ipotecari, linee di smobilizzo crediti commerciali, scoperti di conto corrente, linee
export e in alcuni casi leasing.
------------------------------------------2
Raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003 recepita con Decreto del Ministero delle Attività produttive del 18 aprile 2005, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Ciascuna convenzione con la singola banca elenca quindi i diversi prodotti e, per ciascuno di essi fissa
condizioni privilegiate in termini di tasso e spese accessorie a favore delle imprese. Per quanto riguarda il tasso,
vengono riportati differenti spread in base alle fasce di rating previste dalla banca stessa.
Altro elemento definito nelle convenzioni è il moltiplicatore, il quale indica quante volte può essere moltiplicato il
Fondo di Garanzia del Confidi per pervenire all’ammontare massimo dei finanziamenti erogabili dalla banca
convenzionata. Esso in genere può variare da 20 a 50.
 7.5.3 Istruttoria
Il Confidi svolge una valutazione di merito di credito dell’impresa simile a quella bancaria.
L’entrata in vigore di Basilea 2, con l’introduzione da parte delle banche di adeguate tecniche di rating al fine di
quantificare in maniera oggettiva il rischio, hanno reso auspicabile, anche per i Confidi, l’adozione di un
approccio alla valutazione del merito di credito graduata su diverse fasce in base a criteri di valutazione stabiliti
dallo stesso Confidi consentendo la diversificazione del rischio e delle commissioni di garanzia applicate. Ogni
Confidi può adottare un proprio metodo di valutazione che quindi può risultare differente dal metodo adottato
dalla banca finanziatrice.
La quasi totalità dei Confidi applica delle spese di istruttoria relative alla richiesta di garanzia, prevalentemente
calcolate in misura variabile sull’importo del finanziamento.
 7.5.4 Delibera di concessione della garanzia
Le informazioni acquisite, integrate con quelle bancarie, vengono poi portate all’esame del consiglio di
amministrazione del Confidi affinchè si dia parere positivo o negativo sulla concessione della garanzia.
In alcuni casi il consiglio di amministrazione del Confidi incarica un comitato tecnico (o comitato esecutivo) di
deliberare sulla concessione della garanzia. Il comitato tecnico può essere composto da rappresentanti delle
forze imprenditoriali, rappresentanti della Camera di Commercio, rappresentanti di altri enti promotori o della
banca convenzionata.
In caso di delibera negativa o difforme alla richiesta, questa viene motivata all’azienda per valutare eventuali
alternative.
Se la domanda di concessione della garanzia viene accettata, il Confidi lo comunica all’istituto bancario scelto
dall’azienda tra quelli convenzionati con il Confidi, per far sì che il socio perfezioni il finanziamento richiesto.
La delibera viene comunicata per iscritto attraverso una “lettera di garanzia” o fideiussione, in cui viene
specificata, tra le altra cose, la percentualmente di garanzia che di norma è nella misura del 25-50%, ma non
sono escluse percentuali inferiori o superiori.
Questa percentuale rappresenta la quota del debito residuo che il Confidi deve alla banca, qualora il Socio
divenga inadempiente.
 7.5.5 Delibera della banca
La garanzia viene attivata solo a seguito della positiva delibera da parte dell’istituto di credito se non già
avvenuta precedentemente.
Il finanziamento richiesto dal Cliente configura l’obbligazione principale, di cui il Confidi garantisce
l’adempimento e pertanto, se tale obbligazione principale non sorge o si estingue, anche il rapporto accessorio
di garanzia perde efficacia.
 7.5.6 Pagamento delle commissioni di garanzia
Successivamente alla delibera positiva della banca, il Confidi richiede all’azienda il versamento delle commissioni
per la garanzia prestata.
L’importo delle commissioni è influenzato da diversi fattori fra cui i principali sono la forma tecnica, la durata del
finanziamento e la rischiosità dell’impresa ed inoltre esistono notevoli differenze tra un Confidi e l’altro
nell’importo richiesto.
Al Socio può essere inoltre richiesto di versare al momento dell’erogazione del finanziamento un deposito
cauzionale proporzionale all’ammontare della garanzia rilasciata.
Le somme versate a titolo di deposito cauzionale restano vincolate fino alla liberazione totale di ogni
obbligazione, in essere o eventuale, che potrebbe sorgere in capo al Confidi, in dipendenza della garanzia
prestata.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Altro onere che alcuni Confidi richiedono è il contributo a Fondo Rischi. Tecnicamente non si tratta di un vero
costo perché viene restituito al momento dell’estinzione della garanzia. Può però trasformarsi in un onere se si
verificano perdite su un portafoglio di finanziamenti individuato dallo stesso Confidi.
 7.5.7 Escussione della garanzia
Nel caso in cui il finanziamento garantito sia regolarmente estinto, la garanzia si chiude contestualmente al
finanziamento. Nel caso invece in cui il soggetto garantito non onori i propri debiti, la banca può rivalersi sul
Confidi, il quale, a sua volta, può intraprendere azioni di recupero nei confronti dell’obbligato principale.
L’escussione da parte delle banche può avvenire con modalità differenti a seconda della tipologia di garanzie
emesse dal Confidi a loro favore; i Confidi infatti possono emettere garanzie che prevedono due diverse
modalità di escussione da parte delle banche:

garanzie sussidiarie;

garanzie a prima richiesta.
Tavola 11 – Chi può ottenere la garanzia Confidi
Tipo di garanzia
Garanzie sussidiarie
Garanzie
a prima richiesta
Descrizione
In caso di mancato rimborso da parte dell’impresa garantita, la banca provvede ad inviare all’impresa
l’intimazione al pagamento dell’ammontare dell’esposizione per rate insolute, capitale residuo e
interessi di mora ed esperisce tutte le azioni legali necessarie al recupero del credito. Al termine delle
procedure stragiudiziali e giudiziali di recupero intraprese dalla banca, in mancanza di rimborso
integrale degli importi dovuti da parte dell’impresa, la banca, può richiedere l’attivazione della
garanzia prestata dal Confidi, nei limiti della percentuale deliberata, a copertura della perdita definitiva
subita. Il Confidi remunera la perdita definitiva nei limiti della capienza dei Fondi Rischi monetari
convenzionalmente vincolati a favore della banca.
Nella prassi molte convenzioni banca-Confidi prevedono che il Confidi, già al momento del default,
effettui un pagamento, a titolo provvisorio, corrispondente ad una stima attendibile dell’importo delle
perdite, in proporzione alla garanzia concessa, con successivo conguaglio a fine procedura.
Il Confidi risponde delle garanzie rilasciate al momento del verificarsi del default dell’azienda, e viene
escusso a semplice richiesta della Banca garantita. Le azioni di recupero sull’obbligato principale e sui
controgaranti sono poi a carico del Confidi stesso.
Se tali garanzie rispettano i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla normativa bancaria rientrano
tra le tecniche di mitigazione del rischio di credito, con relativo risparmio di accantonamenti a capitale
di rischio per le banche. Di conseguenza molti Confidi negli ultimi anni sono passati dalla forma delle
garanzie sussidiaria a quella della prima richiesta a valere sul patrimonio.
 7.6 Il pricing della garanzia
Gli importanti cambiamenti intervenuti nel quadro normativo di riferimento ha obbligato molti Confidi a
trasformarsi in intermediario vigilato non senza aver sostenuto ingenti costi. La trasformazione ha comportato un
notevole incremento dei costi fissi, stimati in circa 800 mila euro per la trasformazione e 400 mila euro l’anno per
il mantenimento dello status di intermediario vigilato. Nello stesso periodo è aumentato lo stock di garanzie in
sofferenza e conseguentemente sono aumentate anche le escussioni delle garanzie da parte delle banche.
A questo aumento dei costi i Confidi hanno fatto fronte con un deciso aumento delle commissioni per la
garanzia richieste alle aziende, le quali hanno quindi subito un incremento del costo complessivo del credito. A
causa dei problemi descritti in precedenza infatti, non si è ancora assisitito ad una riduzione degli spread sui
finanziamenti da parte delle banche che beneficiano di garanzie da parte di Confidi ex art. 107, soprattutto per
quanto riguarda le PMI.
Entrando nell’esame delle commissioni per la garanzia medie richieste dai Confidi in Italia, occorre anzitutto
rilevare che esiste una enorme eterogeneità tra Confidi sia negli importi che nelle modalità con cui esse vengono
calcolate.
Anzitutto alcuni calcolano le commissioni sull’importo del finanziamento, altri sull’importo della garanzia. Per
quanto riguarda l’importo poi, alcuni lo determinano solo in misura percentuale dell’importo (del finanziamento o
della garanzia), altri prevedono anche delle quote fisse espresse in valore assoluto.
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125
Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Per quanto riguarda le modalità di pagamento, certi Confidi prevedono un pagamento una tantum all’inizio, altri
una rateizzazione delle commissioni trimestrale o annuale.
Il pricing delle commissioni è inoltre variabile in funzione della durata della garanzia rilasciata. Di norma la
percentuale tende a crescere con l’aumentare della durata.
Bisogna poi distinguere la tipologia del finanziamento garantito: le garanzie su linee autoliquidanti a revoca
presentano in genere commissioni più elevate rispetto alle garanzie su prestiti a medio-lungo termine.
Alcuni Confidi prevedono poi una modulazione delle commissioni in funzione dell’importo della garanzia e altri in
funzione del rating assegnato al cliente: commissioni crescenti al crescere del rischio del cliente garantito.
La presenza di tutte queste variabili rende quindi molto difficile definire un pricing medio della garanzia dei
Confidi e si assiste alla presenza di Confidi (ex art. 106) che riescono ancora a mantenere le commissioni a livelli
molto bassi (1% circa) e Confidi ex art. 107 che raggiungono livelli pari anche al 10%.
 7.7 Il Fondo Centrale di Garanzia
L’impresa che ha bisogno di un finanziamento finalizzato all’attività di impresa può chiedere alla banca di
garantire l’operazione mediante la garanzia pubblica del Fondo Centrale di Garanzia gestito dal MedioCredito
Centrale (legge 662/1996, art. 2, comma 100, lettera a).
Con l’intervento del Fondo il finanziamento, in relazione alla quota garantita, è a rischio zero per la Banca che, in
caso di insolvenza dell’impresa, viene risarcita dal Fondo Centrale di Garanzia e in caso di eventuale
esaurimento di fondi di quest’ultimo, direttamente dallo Stato.
In alternativa, l’impresa può attivare la cosiddetta “Controgaranzia” rivolgendosi ad un Confidi che provvede ad
inviare la domanda di controgaranzia al Fondo. In sostanza è il Confidi a garantire il finanziamento concesso
dall’Istituto di Credito e a garantirsi a sua volta grazie all’intervento del Fondo.
Rivolgendosi al Fondo di Garanzia l’impresa quindi ha la concreta possibilità di ottenere attraverso banche o
Confidi, un vantaggio che si può concretizzare in condizioni economiche migliori riguardo tassi e commissioni e
nell’erogazione di maggior credito.
L’intervento del Fondo di Garanzia consente inoltre di azzerare l’assorbimento di capitale per i soggetti
finanziatori sulla quota di prestito coperta dal Fondo (“ponderazione zero”).
Il Fondo di Garanzia, comunque, non interviene direttamente nel rapporto Banca/Impresa e quindi tassi di
interesse, condizioni di rimborso, eventuale richiesta di garanzie aggiuntive, sono stabiliti attraverso la libera
contrattazione tra banche e imprese.
 7.7.1 Soggetti beneficiari
Possono accedere alla garanzia del Fondo di Garanzia le PMI in base ai parametri dimensionali stabiliti dalla
disciplina comunitaria in vigore, comprese quelle artigiane, ubicate sul territorio nazionale, economicamente e
finanziariamente sane come stabilito dalle disposizioni operative.
Sono ammissibili le PMI appartenenti a qualsiasi settore ad eccezione dell’agricoltura, della pesca, dell’industria
automobilistica, della costruzione navale, delle fibre sintetiche, dell’industria carboniera, della siderurgia (i
cosiddetti settori “sensibili” esclusi dall’Unione Europea) e delle attività finanziarie. Per quanto riguarda il settore
dei trasporti sono ammissibili solo le imprese che esercitano l’attività di trasporto merci su strada (codice 60.24
ATECO 2002). Le imprese agricole possono avvalersi della controgaranzia rivolgendosi ad un Confidi che opera
nei settori agricolo, agroalimentare e della pesca.
 7.7.2 Operazioni finanziarie garantite
Può essere garantita qualsiasi tipologia di operazione, purché direttamente finalizzata all’attività d’impresa, sia a
breve sia a medio-lungo termine, con pochissime eccezioni. Sono garantibili, a titolo indicativo, finanziamenti a
fronte di investimenti materiali e immateriali, leasing finanziario e immobiliare, liquidità (pagamento fornitori, spese
per il personale ecc.), anticipazione dei crediti verso la pubblica amministrazione, consolidamento delle passività
a breve, rinegoziazione dei debiti a medio-lungo termine, operazioni sul capitale di rischio, presiti partecipativi,
fideiussioni (solo se relative ad un obbligo di pagamento).
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
 7.7.3 Importi garantiti e percentuali di copertura
Ciascuna impresa può beneficiare complessivamente di un importo massimo garantito pari a 2,5 milioni, da
utilizzare eventualmente attraverso più operazioni fino a concorrenza del tetto stabilito (non esiste un limite
massimo di operazioni effettuabili). Queste cifre si riferiscono all’esposizione in essere alla data di presentazione
della domanda, tenuto conto delle quote di capitale già rimborsate.
Con le nuove disposizioni operative in vigore dal 7 dicembre 2012 la garanzia può coprire fino all’80% dei
finanziamenti in base alla localizzazione e alla tipologia dell’impresa e alle caratteristiche dell’operazione
finanziaria. Percentuali di garanzia maggiori sono riservate alle imprese femminili e alle imprese ubicate nelle
regioni del mezzogiorno.
 7.7.4 Valutazione dei dati economico finanziari dell’impresa
Il Fondo di Garanzia per le PMI è destinato alle imprese valutate “economicamente e finanziariamente sane”
sulla base di criteri di valutazione che variano a seconda del settore di attività e del regime contabile dell’impresa
beneficiaria. La valutazione del merito di credito ha ad oggetto i dati di bilancio (o delle dichiarazioni fiscali) degli
ultimi due esercizi, tranne che per le start up che possono essere valutate sulla base di bilanci previsionali.
Questi dati vengono inseriti in modelli standardizzati di calcolo (scoring) che permettono di misurare 4 indicatori
economico-finanziari e il relativo scostamento dai “valori ottimali”.
Tavola 12 – Gli indicatori per l’industria manifatturiera, edilizia ed alberghi
L’impresa beneficiaria può verificare preliminarmente l’appartenenza alla fascia di merito utilizzando i modelli di
scoring presenti sul sito www.fondidigaranzia.it.
In base ai risultati l’impresa è inserita in una delle tre fasce di valutazione:

Fascia 1: proposta positiva al Comitato (previa valutazione istruttoria del rapporto tra ammontare del
finanziamento e cash flow dell’impresa);

Fascia 2: la fascia due prevede sempre la necessità di valutare l’ammissione caso per caso sulla base, ad
esempio, oltre che del cash flow dell’impresa, di una situazione di bilancio aggiornata, di un bilancio
previsionale redatto secondo un modello specifico, di eventuali progetti di investimento, delle prospettive
di mercato e di crescita dell’impresa, ecc.;

Fascia 3: proposta negativa al Comitato.
L’operazione è inserita in fascia 3, a prescindere dal livello di scoring conseguito, nel caso in cui il rapporto tra
Mezzi propri e Totale passivo sia inferiore al 5% e in caso di finanziamenti di durata non superiore a 36 mesi il
cui importo, sommato ad altri eventuali finanziamenti già garantiti dal Fondo, superi il 25% del fatturato relativo
all’ultimo bilancio.
Le nuove imprese (costituite o in attività da meno di tre anni), non utilmente valutabili sulla base degli ultimi due
bilanci approvati, sono automaticamente collocate in fascia 2 e valutate sulla base di un bilancio previsionale
triennale e di un business plan.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
 7.7.5 Microcredito
La procedura più semplice per accedere al Fondo è quella prevista per il cosiddetto microcredito che non
richiede la valutazione sulla base dei modelli di scoring e che permette di garantire finanziamenti fino a 100 mila
euro.
Per accedere al microcredito è sufficiente che l’impresa presenti un utile d’esercizio in almeno uno degli ultimi
due bilanci approvati (o in almeno una delle ultime due dichiarazioni fiscali) e che l’eventuale perdita registrata
nell’ultimo bilancio approvato (o dichiarazione fiscale) non sia superiore al 10% del fatturato. L’operazione,
inoltre, non deve essere assistita da garanzie reali, assicurative e da garanzie prestate dalle banche.
Se si soddisfano questi criteri, l’impresa può beneficiare di un finanziamento (garantito in base alle aliquote
previste per i singoli casi) di importo base non superiore a 20.000 euro, sommato agli altri eventuali affidamenti
già garantiti dal Fondo e non ancora rimborsati.
L’importo base può essere incrementato fino a 100 mila euro (sommato agli altri eventuali affidamenti già
garantiti dal Fondo e non ancora rimborsati) tenendo conto dei seguenti elementi: anzianità dell’impresa,
numero addetti dell’impresa, eventuali investimenti finanziati, crescita del fatturato, immobile aziendale (di
proprietà, in leasing o affittato), automezzo di proprietà.
 7.7.6 Procedura per richiedere la garanzia
Per accedere alla garanzia del Fondo bisogna compiere i seguenti passi:
1)
l’impresa deve andare in banca e richiedere che sul finanziamento sia acquisita la garanzia del Fondo,
oppure, in alternativa l’impresa si può rivolgere a un Confidi convenzionato che garantisce l’operazione e
che potrà a sua volta rivolgersi al Fondo di Garanzia per ottenere la controgaranzia;
2)
ricevuta la richiesta di finanziamento, la banca svolge la propria istruttoria per la concessione dell’importo
richiesto;
3)
acquisiti i dati richiesti, la banca predispone la domanda di ammissione alla garanzia e la invia al Gestore
del Fondo entro 6 mesi dalla sua delibera o prima della delibera stessa (in quest’ultimo caso la delibera
bancaria deve essere adottata e comunicata al Gestore entro tre mesi dalla data di delibera del Comitato
di Gestione del Fondo). Alla domanda di ammissione viene assegnato un numero di posizione, nel rispetto
dell’ordine cronologico di presentazione;
4)
in tempi rapidi il Gestore esamina la richiesta e procede alla verifica della sussistenza dei requisiti previsti
dalla normativa vigente. Il Gestore può richiedere alla banca eventuali informazioni integrative ritenute
necessarie per il completamento dell’esame. Nella maggior parte dei casi, si tratta di integrazioni
documentali utili per supportare eventuali richieste di approfondimenti da parte del Comitato;
5)
conclusa l’istruttoria, il Gestore sottopone l’operazione all’approvazione del Comitato e comunica al
soggetto richiedente (banca o Confidi) e all’impresa beneficiaria tramite posta elettronica la delibera del
Comitato (concessione o rigetto della garanzia), indicando l’importo del finanziamento garantito, la relativa
intensità agevolativa – ESL – che l’impresa dovrà dichiarare in occasione di successive richieste di
agevolazioni pubbliche e l’eventuale commissione una tantum che il soggetto richiedente (banca o
Confidi) dovrà versare a fronte della concessione della garanzia del Fondo;
6)
una volta ottenuto l’esito positivo del Comitato del Fondo centrale di Garanzia, il finanziamento è assistito
dalla garanzia pubblica.
 7.7.7 Importo delle commissioni
Per accedere alla garanzia del Fondo è previsto il pagamento di una commissione in termini di percentuale
dell’importo garantito dal Fondo entro 3 mesi dalla delibera positiva di concessione della Garanzia Diretta o della
Controgaranzia.
La misura della commissione una tantum è variabile tra lo 0,25% e l’1% in funzione della dimensione d’impresa.
Sono previsti alcuni casi di esenzione al pagamento, ovvero operazioni di anticipazione dei crediti verso la P.A.,
operazioni finanziarie diverse dalle operazioni di consolidamento su stessa banca o gruppo bancario, riferite a
soggetti beneficiari finali ubicati nelle regioni del Mezzogiorno, ad imprese femminili, a piccole imprese
dell’indotto di imprese in amministrazione straordinaria, imprese che hanno sottoscritto un Contratto di rete,
imprese sociali, imprese di autotrasporto, imprese colpite dagli eventi sismici del maggio 2012. È prevista una
commissione del 3% per operazioni di consolidamento di passività a breve termine su stessa banca o gruppo
bancario.
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Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
Tavola 13 – Le fasi del processo di richiesta della garanzia al Fondo Centrale di Garanzia
 7.7.8 Il valore della garanzia pubblica ai fini della normativa de minimis
La garanzia offerta dal Fondo rappresenta una agevolazione pubblica che come tale è sottoposta ai limiti della
normativa comunitaria. In particolare il Fondo di Garanzia si appoggia su due regolamenti europei distinti: il
regolamento 800/2008 e il regolamento de minimis (Reg. n. 1998/2006)3.
Sotto il Regime de minimis rientrano tutte le operazioni ad eccezione dei Prestiti partecipativi e dei Finanziamenti
di durata compresa tra 18 mesi e 10 anni concessi a fronte di investimenti materiali ed immateriali da effettuare
nel territorio nazionale successivamente alla data di presentazione della richiesta di finanziamento al soggetto
finanziatore. Tutti i finanziamenti a fronte di investimenti di durata diversa da quella indicata o già iniziati al
momento della domanda di finanziamento sono comunque ammissibili all’intervento del Fondo, ma rientrano nel
regime de minimis.
Nel caso si ricada nel regolamento 800/2008 bisogna verificare se il beneficio della garanzia sommato ad altri
eventuali incentivi sullo stesso investimento superi i limiti consentiti dalla normativa europea. Si precisa che si
deve controllare sempre se l’altra agevolazione preveda o meno la cumulabilità.
Nel caso invece si ricada nel regime de minimis bisogna capire se la garanzia in questione rispetta i limiti
quantitativi stabiliti dalla normativa. Ai fini del calcolo, il valore della garanzia pubblica deve essere sommato ad
altri eventuali aiuti ricevuti attraverso il medesimo regolamento nell’esercizio fiscale in corso e nei due
precedenti. Bisogna tenere presente che non esiste un registro nazionale degli aiuti de minimis e che il Gestore
del Fondo può conoscere esclusivamente l’ammontare delle agevolazioni che ha direttamente concesso. Di
conseguenza è responsabilità dell’impresa attestare l’ammontare degli aiuti “di importo minore” ricevuti nel
------------------------------------------3
Il regime de minimis può essere definito come una modalità semplificata attraverso la quale la Commissione Europea autorizza l’istituzione
da parte degli stati Membri di alcuni tipi di regimi di aiuto per le imprese (qualsiasi agevolazione pubblica deve infatti passare il vaglio delle
istituzioni europee). Tale facilitazione si basa sul presupposto che gli aiuti di Stato, se inferiori ad una certa soglia, non violano la concorrenza
tra imprese. In pratica un’apposita normativa, il regolamento (CE) N. 1998/2006, stabilisce una serie di condizioni che devono essere
rispettate affinché un aiuto possa essere considerato "di importo minore". Se lo Stato membro rispetta questi limiti nell’istituire un regime di
aiuto lo può considerare automaticamente approvato dalla Commissione. In compenso le imprese non possono ricevere più di 200 mila
euro in tre anni attraverso questa tipologia di strumenti agevolativi. Quando un contributo viene concesso attraverso il regolamento
1998/2006 questa caratteristica deve essere esplicitamente richiamata nella normativa di riferimento (disposizioni operative, schede tecniche
ecc.).
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129
Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito
triennio attraverso una dichiarazione di atto notorio da compilare secondo un modello fornito dal Fondo di
garanzia.
Nel caso della garanzia il valore da utilizzare per il calcolo dell’importo rilevante ai fini de minimis non è l’importo
del finanziamento ma è una percentuale variabile dell’importo garantito. Quantitativamente il suo valore dipende
da una serie di variabili ma, senza addentrarsi nella formula che lo genera, per facilitare gli operatori, è a
disposizione una tabella nelle Disposizioni Operative del Fondo. In ogni caso l’importo da considerare in caso di
garanzia concessa ai sensi del de minimis viene riportato nella delibera di concessione inviata al soggetto
richiedente (banca o Confidi).
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Capitolo 8 – Valutare gli investimenti
 8.
Valutare gli investimenti
Luca Capozucca e Ilaria Sdrubolini
Mai ti è concesso un desiderio senza
che ti sia dato anche il potere di farlo avverare.
Può darsi che tu debba faticare per questo, tuttavia.
Richard Bach
 8.1 Premessa
Secondo Confindustria, per tornare a crescere le imprese devono far ripartire gli investimenti: ipotizzando per
cinque anni una crescita degli investimenti in linea con quella del decennio pre-crisi (+5,2% all’anno a prezzi correnti nel 1998-2007), servirebbero 90 miliardi di finanziamenti addizionali in cinque anni.
Servono investimenti: in tecnologia, per ridurre i costi e incrementare l’efficienza; per espandersi sui mercati internazionali; per aumentare la gamma dei prodotti.
Tuttavia, perché gli investimenti producano i risultati sperati in termini di recupero della competitività, essi vanno
attentamente valutati per verificarne la bontà.
Per valutare e prendere decisioni circa gli investimenti futuri, è di fondamentale importanza prevedere nella maniera più attenta e puntuale possibile le reali entrate e uscite monetarie relative ad una nuova iniziativa. Il primo
aspetto da individuare è quello della determinazione dei flussi di cassa previsionali, in quanto esprimono le grandezze reali di quanto l’azienda, nell’arco di ogni anno, può incassare e pagare. Nella prassi, esistono vari metodi
di valutazione, finalizzati ad analizzare i risultati economici o finanziari attesi:

metodi aritmetici: considerati estremamente semplici, ma con il difetto di non considerare la variabile
“tempo”, ovvero il diverso valore dei flussi finanziari nel tempo;

metodi finanziari: più complessi, poiché basati su calcoli di attualizzazione dei flussi finanziari.
Indubbiamente i metodi finanziari sono ritenuti più affidabili di quelli aritmetici, in quanto basati
sull’attualizzazione dei flussi finanziari. Essi consentono una migliore comprensione, sulla resa al tempo “t+n”,
di un dato investimento.
In questa sede analizzeremo unicamente alcuni tra i metodi di tipo finanziario:

tempo di recupero dell’investimento (payback period – PBP);

tasso interno di rendimento (TIR);

valore attuale netto (VAN).
 8.2 Il tempo di recupero (payback period)
Tale metodo, normalmente, viene considerato come il più semplice e di più facile applicazione. È alternativo rispetto al VAN ed al TIR (che analizzeremo successivamente).
Esso valuta la capacità di un investimento di “autopagarsi”, determinando cioè il numero di anni necessari per
recuperare l’investimento iniziale.
Il tempo di recupero dell’investimento è rappresentato dal numero di periodi necessari affinché i flussi di cassa
cumulati previsti eguaglino l’esborso iniziale.
Più sarà breve tale periodo di tempo, migliore sarà l’investimento. Nella prassi, tale metodo può essere utilizzato
sia come principale criterio per assumere delle decisioni sia come criterio secondario da porre a confronto con
quello principale:

nel primo caso, il management si limiterà a scegliere l’investimento che porterà un payback inferiore a
quello massimo accettabile;

nel secondo caso, definito il criterio principale, si andrà ad effettuare un’ulteriore selezione fra tutti quegli
investimenti che risultano essere più redditizi e che, al tempo stesso, soddisfano il criterio principale.
Nella sua versione semplificata, la formula risulta essere piuttosto semplice e consiste nel calcolare i flussi di
cassa cumulati fino a verificare in quale anno si raggiunge il valore pari all’investimento iniziale.
Supponiamo un costo dell’investimento pari a 5.000:
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Capitolo 8 – Valutare gli investimenti
Tavola 1 – Esempio calcolo del payback period semplificato
Anno
0
1
2
3
4
Flusso di cassa annuo
- 3.000
+ 500
+ 1.200
+ 3.000
+ 3.000
Flusso di cassa cumulato
- 3.000
- 2.500
- 1.300
+ 2.700
+ 5.700
Calcolando il flusso di cassa cumulato, si comprende che nel quarto anno il costo iniziale viene completamente
recuperato. Un limite di tale metodo è quello di non considerare il valore del tempo e quindi di non discriminare i
flussi sulla base della loro successione temporale: pertanto, ciò equivale ad ipotizzare un tasso opportunità costante. Inoltre, con tale procedimento di calcolo non vengono considerati i flussi di cassa che si generano oltre
l’anno di recupero, con il rischio che non verranno considerati eventuali costi a più lunga produttività (es. costi di
ricerca e sviluppo).
Tavola 2 – Vantaggi e svantaggi nell’applicazione del metodo del PBP semplificato
Vantaggi
Buon indicatore per valutare la liquidità aziendale
Semplicità nel calcolo e nella rappresentazione
Svantaggi
Non considera i valori generati dopo il PBP
Non considera il valore finanziario del tempo
Non differenzia i progetti in base al capitale investito
Non considera il costo del finanziamento
È un indicatore di rischio e non di rendimento
Nella versione complessa, il pay back period attualizzato è un indicatore che esprime il numero dei periodi necessari per ripagare l’investimento iniziale dei portatori di capitale, introducendo un fattore di attualizzazione dei
flussi di cassa rispetto alla formulazione originaria dello stesso metodo.
L’introduzione di un fattore di attualizzazione dei flussi di cassa, rende questo metodo sicuramente migliore della
sua versione semplificata:

la nuova interpretazione del suo valore è ora il numero di periodi necessari per ripagare l’investimento iniziale, compresa la remunerazione del capitale.
Tavola 3 – Esempio metodo PBP complesso
Anni
Flussi di cassa
0
- 1.500
1
1119
2
1119
3
1682
4
1682
5
1682
Tasso di sconto 10%
Cumulati
-1500
-381
738
2420
4102
5783
Attualizzati
-1500
1017
925
1264
1149
1044
Attualizzati cumulati
-1500
-483
442
1706
2854
3899
 8.3 Il tasso interno di rendimento
Quando il management si trova di fronte a più tipologie di investimento e pertanto deve fare una scelta su quello
che risulta essere il migliore, utilizzerà come metodo di valutazione quello del Tasso Interno di Rendimento (TIR).
Tale indicatore permette di individuare quale sia l’investimento che produce una maggiore redditività e, se utilizzato insieme al VAN, risulta essere sicuramente un metodo estremamente valido per fare scelte di convenienza.
Occorre comunque fare attenzione anche ad alcune criticità che tale metodo possiede.
Infatti, esso:
- tiene conto solo della variabile tasso e non anche di altre variabili, privilegiando quella che ha un più veloce
ritorno in flussi di cassa;
- inoltre, ipotizza che i flussi intermedi siano reinvestiti sempre allo stesso tasso.
132
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Capitolo 8 – Valutare gli investimenti
Tale tipologia di approccio va a determinare quel tasso in corrispondenza del quale il valore attuale netto dei
flussi monetari (VAN) risulta pari a zero: tenendo presente la distribuzione temporale dei flussi di cassa, le entrate
devono quindi essere uguali alle uscite. Esso mostra il tasso di sconto al di sotto del quale un investimento causa un valore attuale netto positivo ed al di sopra del quale un investimento causa un valore attuale netto negativo (e quindi non conveniente).
Il VAN è espresso in unità monetarie (euro, dollari, ecc.) mentre il TIR è il vero interesse di rendimento atteso. La
formula per il calcolo è la stessa del VAN ma, ponendo il valore del VAN pari a zero e risolvendo l’equazione rispetto al tasso “i”:
Secondo tale criterio, un progetto di investimento risulta economicamente valido qualora il TIR risultante sia
maggiore del costo opportunità del capitale.
Tavola 4 – Vantaggi e svantaggi nell’applicazione del metodo del TIR
Vantaggi
Prende in considerazioni le variabili finanziarie
È un metodo oggettivo
È un metodo induttivo
Svantaggi
Ipotizza che i flussi intermedi siano reinvestiti sempre allo stesso tasso
Nel confronto tra due alternative, privilegia quella che si ripaga
più velocemente, non considerando gli altri fattori
Produce tanti TIR quanti sono i cambiamenti di segno
 8.4 Il valore attuale netto
Valutare la bontà di un investimento significa calcolare se la remunerazione del capitale investito risulterà superiore, al termine di un dato periodo, a quanto sarebbe possibile ricavare vincolando il pari importo a un tasso di
interesse bancario. Tra le metodologie finanziarie più comunemente utilizzate, occorre indubbiamente considerare il Valore Attuale Netto (VAN):

tale metodo considera i flussi di cassa attesi (in entrata e in uscita) che avranno luogo, in futuro, per
l’intera durata della vita economica del progetto, attualizzati al tempo zero e ad un tasso che rappresenta
il costo opportunità del capitale finanziario, assumendo come tale, il costo medio ponderato del capitale
WACC (Weighted average cost of capital) ovvero la media ponderata del costo del capitale proprio e del
costo del capitale di debito.
Il calcolo del VAN consente di stabilire la convenienza di un investimento verificando se la ricchezza finale risulta
maggiore della ricchezza che si raggiungerebbe senza fare l’investimento stesso:

in altre parole, se il VAN è positivo si genera valore, pertanto è conveniente da un punto di vista economico e finanziario.
Il VAN riconduce il valore generato ad un orizzonte temporale preciso, considerando le variabili finanziarie ed il
costo del capitale ed è quindi utilizzabile anche per confrontare proposte di investimento alternative che generino flussi di cassa.
La formula è la seguente:
Consideriamo: K0 = capitale iniziale; Kn = capitale finale; C0 = uscita di cassa iniziale a seguito
dell’investimento; FC1 = flusso di cassa in entrata al tempo; 1FCn = flusso di cassa in entrata al tempo; ni =
tasso di interesse corrente; n = orizzonte temporale.
A) Se l’imprenditore decidesse di non effettuare alcun investimento, si avrebbe: Kn= K0 (1+i)n ovvero si otterrebbe il capitale iniziale, incrementato del tasso di interesse.
B) Se l’imprenditore operasse l’investimento, invece, otterrà una ricchezza pari al capitale iniziale, decurtato
dell’uscita di cassa per l’investimento iniziale, incrementato dei guadagni che incasserà dai flussi di cassa an-
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Capitolo 8 – Valutare gli investimenti
nuali investiti al tasso di interesse corrente: Kn= (K0 – C0) x (1+i)n + FC1 x (1+i)n-1 + FC2 x (1+i)n-2 + … + FCn
x (1+i)n
Per calcolare il Valore Attuale Netto, occorre sommare i flussi di cassa futuri attualizzati e sottrarre l’uscita di
cassa iniziale:
Un progetto è valutabile come conveniente nel caso di risultato di VAN positivo:

attraverso l’attualizzazione dei flussi di cassa e quindi dei costi e dei ricavi, in uno stesso orizzonte temporale, è possibile paragonare due o più progetti di investimento e valutare il più redditizio;

è importante confrontare due progetti solo se si attualizzano i flussi di cassa per lo stesso periodo di anni;

confrontando il VAN di più investimenti alternativi, è facilmente deducibile che quello più conveniente risulterà essere quello con un risultato maggiore.
Tavola 5 – Vantaggi e svantaggi nell’applicazione del metodo del VAN
Vantaggi
Prende in considerazione le variabili finanziarie
È un metodo oggettivo (van>0)
Considera il costo del capitale
Consente di valutare i progetti alternativi in modo corretto
Svantaggi
I flussi generati dall’investimento vengono reinvestiti al rendimento
del capitale e non al costo del capitale
Se gli investimenti confrontati hanno durata o esborso iniziale differenti, occorre effettuare modifiche e correzioni al valore attuale
netto
Non considera la dimensione del progetto
Non consente la valutazione di progetti alternativi con medesimo
van
 8.5 Confronto fra VAN e TIR
L’analisi di questi due indicatori, molte volte, potrebbe portare a delle situazioni in cui è difficile definire quale sia
la scelta più conveniente. Infatti, potrebbe accadere che un investimento risulti più conveniente applicando il
TIR, ma da un punto di vista del VAN non si avrebbe il medesimo risultato:
- si verrebbe perciò a creare una sorta di incoerenza, dovuta dal fatto che il TIR tiene conto della dimensione
del progetto mentre ciò non avviene nel VAN;
- infatti, all’aumentare della dimensione del progetto, il VAN aumenta e viceversa, mentre il TIR, rappresentando il rendimento medio in percentuale, non è influenzato dalla scala dell’investimento.
Fatta questa considerazione, si può dire che esiste un’ulteriore ipotesi in cui tale manifestata incoerenza possa
essere colmata, applicando il cosiddetto “metodo dell’Investimento Incrementale”.
In particolare, dati due tipologie di investimento A e B,
 si vanno a considerare i cash flow netti anno per anno dei due investimenti;
 ed in sostanza si applica la differenza fra il flusso di cassa netto dell’investimento A ed il flusso di cassa netto dell’investimento B.
Come ogni metodo, anche quest’ultimo non è scevro di limiti.
A bene vedere, in effetti, il metodo degli investimenti incrementali non è applicabile quando:
- vi è difficoltà a trovare il TIR riferito ad uno degli investimenti alternativi ottenuto dai cash flow netti;
- dalle singole differenze dei cash flow si ottiene più di un TIR;
- i singoli investimenti risultano di differente grado di rischiosità e, pertanto, è azzardato prendere in considerazione l’indicatore TIR: in quest’ultima ipotesi, è sicuramente consigliabile optare per l’indicatore del VAN.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
 9.
Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Giada Santoni
“Se vuoi renderti conto del valore del denaro,
prova a chiedere un prestito”
Benjamin Franklin,
Almanacco del povero Riccardo, 1732/58
 9.1 Premessa
Le decisioni operative riguardano:

la scelta degli strumenti di finanziamento nell’ambito delle categorie del capitale proprio e del capitale di
terzi;

gli interventi sul capitale circolante destinati al controllo dell’impiego finanziario collegato alle operazioni di
gestione corrente.
Tra i vari compiti attribuiti alla funzione finanza c’è proprio quello di individuare le modalità e gli strumenti più appropriati attraverso cui finanziare le imprese, al fine di intervenire concretamente nel circuito finanziario aziendale
e permettendo al tempo stesso il conseguimento degli obiettivi aziendali in un’ottica di continuità.
L’area finanza deve avere come obiettivo primario il perseguimento di due equilibri finanziari:

uno statico (legato alla struttura dell’indebitamento);

uno dinamico (legato alla capacità prospettica di generare flussi di cassa che consentano di onorare gli
impegni assunti e di sostenere la crescita e lo sviluppo dell’impresa).
L’attuale contesto economico-finanziario è caratterizzato da una forte carenza di liquidità per le imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni e da un repentino mutamento nell’accesso al credito, rispetto ai decenni precedenti.
In tale contesto, la funzione finanza assume quindi un ruolo fondamentale e strategico, richiedendo da un lato
una grande professionalità e conoscenza dei tecnicismi del mercato finanziario e dall’altro una conoscenza approfondita dell’impresa per guidarla in una efficiente allocazione delle risorse finanziarie.
Invece in Italia, soprattutto nelle piccole e medie imprese, ha sempre avuto un ruolo predominante l’area amministrativa, molto più incentrata sulle imposizioni di legge che l’attività comporta e sui riflessi fiscali che ne derivano, sotto cui si possono individuare solo piccole e sporadiche appendici riconducibili alla finanza o meglio alla
tesoreria. Inoltre, la funzione tesoreria/finanza è legata solitamente alla figura dell’imprenditore, che la gestisce
spesso in termini operativi e non strategici.
Sarebbe invece opportuno che gli imprenditori e spesso anche i consulenti aziendali prendessero coscienza
dell’importanza strategica dell’area finanza.
L’attività di finanza strategica deve incentrarsi su tre fasi fondamentali:

analisi (della dinamica finanziaria; della struttura finanziaria e dei vincoli strutturali);

programmazione (capital budgeting e piano finanziario);

controllo (verifica dei risultati nel conseguimento della corretta struttura finanziaria e focus sulla qualità del
debito).
Infatti, solamente con una visione completa della finanza, l’imprenditore e/o il management aziendale sono in
grado di individuare il corretto livello di indebitamento, la composizione delle fonti a breve e lungo termine, le
eventuali criticità a cui porre rimedio, gli interventi di riequilibrio del capitale rispetto al debito, il consolidamento
dei debiti a breve, la pianificazione del fabbisogno finanziario e la scelta degli strumenti finanziari più adeguati alla
realtà aziendale.
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135
Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
 9.2 La scelta delle fonti di finanziamento
Alla base delle scelte effettuate dalle piccole e medie imprese in merito alla scelta delle fonti di finanziamento
vi è sempre l’individuazione dell’ammontare del fabbisogno finanziario, ovvero un saldo negativo tra entrate
ed uscite.
In primis, l’imprenditore e/o chi si occupa della finanza aziendale all’interno dell’impresa dovrebbe porsi i seguenti quesiti in merito all’approvvigionamento finanziario:

Che tipo di fonti di finanziamento dobbiamo utilizzare per finanziare le necessità generate dalla gestione
corrente e dagli investimenti in capitale fisso?

Dove è possibile reperire i fondi necessari al fine di fronteggiare il proprio fabbisogno finanziario?
In estrema sintesi, la scelta della forma di copertura di un fabbisogno finanziario nasce da due considerazioni
principali:

il periodo di tempo entro il quale si protrarrà il fabbisogno (far coincidere le scadenze delle forme di finanziamento con quelle degli impieghi che hanno originato il fabbisogno);

il vincolo del rapporto tra il capitale di terzi e il capitale proprio (è necessario che il capitale proprio mantenga una rilevante incidenza sul totale, per evitare che la gestione aziendale possa venire condizionata
da decisioni esterne).
Le maggiori difficoltà che spesso le piccole e medie imprese incontrano nel reperimento dei fondi finanziari
necessari, sia nella fase iniziale sia successivamente nella fase di sviluppo dimensionale e strategico del core
business aziendale, sono quasi sempre riconducibili alla ridotta dimensione aziendale, alla capacità di espansione circoscritta, alla limitata innovazione, alla sottocapitalizzazione nonché all’approccio con il mondo finanziario.
Nel proseguo del presente capitolo verranno analizzati, seppur in maniera non esaustiva, alcuni dei principali
strumenti di finanziamento a breve e a medio/lungo termine a disposizione delle piccole e medie imprese, distinguendoli tra strumenti tradizionali, alternativi/innovativi ed ibridi (Tavola 1).
Verranno invece tralasciati in tale sede gli strumenti di finanziamento interno (autofinanziamento)1.
------------------------------------------1
In questo capitolo vengono tralasciate le forme di autofinanziamento interno, ossia la capacità dell’impresa di provvedere autonomamente alla
copertura, totale o parziale, del proprio fabbisogno finanziario, evitando o quanto meno contenendo la necessità di ricorrere a fonti esterne. Il
finanziamento interno della gestione proviene dall’area economica ed è il risultato di disinvestimenti di tipo reddituale. Nell’economia d’azienda si
definisce:

autofinanziamento in senso stretto, il complesso degli utili non distribuiti. Ad esso non è associata direttamente la formazione di cash
flow;

autofinanziamento in senso ampio la somma dell’autofinanziamento in senso stretto e degli accantonamenti effettuati. Rappresenta
un aggregato di tipo finanziario la cui entità dipende dal modo in cui si è formato il risultato economico, soprattutto per quanto concerne le componenti stimate. Anch’esso non necessariamente si traduce in nuova liquidità spendibile: costituisce un flusso di capitale generico che solo in parte si manifesta monetariamente, determinando per la differenza variazioni nel capitale fisso o in quello circolante.
Dal punto di vista finanziario si ha dunque autofinanziamento quando la gestione corrente esprime un risultato di cassa positivo che, al netto
delle variazioni intervenute nell’ammontare del capitale circolante, è destinabile all’effettuazione di nuovi investimenti, alla distribuzione in varie forme alla proprietà, al rimborso dei prestiti in precedenza contratti.
136
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Tavola 1 – Gli investimenti a breve e medio/lungo termine
Nella Tavola 2 vengono illustrate sinteticamente alcune caratteristiche dei diversi strumenti di finanziamento con
scadenza a medio e lungo termine.
Tavola 2 – Gli elementi distintivi dei diversi strumenti di finanziamento a m/l termine
CAPITALE DI RISCHIO



Autofinanziamento
Azioni ordinarie
Prestito dei soci
Caratteristiche:

Discrezionalità nella remunerazione

Rimborso residuale

Presenza del diritto del voto
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CAPITALE DI DEBITO





Mutui
Obbligazioni
Linee di credito stand-by
Evergreen
Bid line e di gruppo
Caratteristiche:

Diritto di remunerazione periodica

Priorità di rimborso

Mancanza del diritto di voto
137
Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
 9.2.1 Strumenti di finanziamento “tradizionali” a medio e lungo termine
I principali strumenti di finanziamento “tradizionali” a lungo termine sono:

mutuo ipotecario;

leasing;

leasing operativo.
Mutuo ipotecario
I mutui ipotecari sono finanziamenti “tradizionali” a medio e lungo termine, solitamente ottenuti per finanziare investimenti in capitale fisso.
La definizione offerta dal codice civile per il contratto di mutuo (art. 1813 c.c.) è piuttosto generica mentre nella
prassi bancaria essa individua in maniera univoca uno strumento di consolidata applicazione. Trattasi infatti di
una forma di prestito monetario a scadenza protratta erogata dalla banca in un’unica o in più soluzioni, con la
quale il beneficiario si obbliga al pagamento degli interessi ed alla graduale restituzione del capitale mutuato secondo un piano di rimborso contrattualmente stabilito.
Questo tipo di finanziamento è assistito da garanzia ipotecaria su beni immobili, il cui valore peritale determina il
massimo importo concedibile.
Le banche solitamente privilegiano la concessione di mutui di tipo fondiario che limitano la finanziabilità all’80%
circa del valore del cespite in garanzia e permettono il consolidamento dell’ipoteca in dieci giorni.
La durata massima del prestito dipende invece dalle normative interne di ciascun istituto ed è spesso condizionata dalla finalità dell’operazione.
La concessione di tali finanziamenti è sempre preceduta da una istruttoria molto più complessa ed analitica di
quella svolta per la concessione di finanziamenti a breve termine, stante l’impossibilità da parte degli istituti di
credito di interrompere, in caso di insolvenza del mutuatario, l’utilizzazione del finanziamento. Si rende così necessario procedere ad un’adeguata analisi che prenda in considerazione molteplici aspetti. In pratica l’istruttoria
assume la fisionomia di una vera e propria revisione aziendale effettuata da esperti analisti, tendente a verificare
la situazione patrimoniale economica e finanziaria dell’azienda ante-finanziamento e quindi a finanziare un adeguato piano economico-finanziario post-finanziamento con l’obiettivo di individuare i volumi di autofinanziamento
retraibili in relazione al nuovo cash flow emergente dall’erogazione del mutuo e dagli investimenti programmati.
Appare quindi evidente il rilevante coinvolgimento dell’istituto di credito e i vincoli posti alle aziende mutuatarie
sia nell’attuazione del piano, sia nella gestione del prestito2. Il regolare pagamento delle rate del mutuo, solitamente costanti, trimestrali o semestrali e comprensive di interessi e quota capitale, costituisce, infatti, per
l’istituto di credito, il presupposto prioritario per la concessione del finanziamento, stante le difficoltà di integrale
recupero delle somme erogate in caso di esecuzione coattiva in relazione al deterioramento dei beni e al loro
particolare utilizzo. Spesso alle garanzie reali, di cui sopra, tipiche di queste operazioni, si affiancano, non di rado, garanzie di terzi o di esponenti della società mutuataria anch’esse di natura reale o personale.
------------------------------------------2
G. Ferrero, Finanza aziendale, Milano, Giuffrè, 1981, pagg. 123-125.
138
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
L’offerta delle banche in questo segmento presenta elementi di differenziazione nei profili contrattuali relativamente:

ai meccanismi di fissazione del tasso di ammortamento;

alla valuta di denominazione del prestito;

alla tipologia di piano di rimborso adottata;

alla dilazione massima consentita;

all’importo massimo concedibile.
Sintetizzando, le caratteristiche fondamentali di questo tipo di finanziamento sono le seguenti:

viene perfezionato mediante atto notarile (in presenza di garanzie reali) o per scrittura privata (se garantito
da fondi o consorzi di garanzia) e può prevedere l’erogazione:

in unica soluzione, dopo l’espletamento delle formalità post-contrattuali;

a stato avanzamento lavori, se l’immobile, concesso in garanzia, è in fase di edificazione;

il rimborso avviene in rate normalmente mensili/trimestrali/semestrali, precedute a volte da un periodo di
pre-ammortamento che solitamente non va oltre i 24 mesi;

il tasso può essere fisso o variabile.
Il finanziamento a medio-lungo termine è finalizzato di norma, come sopra accennato, alla copertura di impegnativi programmi di investimento, ma il suo utilizzo va sempre più diffondendosi anche per i seguenti fini:

consolidare una quota di indebitamento a breve in una fase di crescita aziendale;

finanziare investimenti molto frazionati e/o immateriali non agevolabili con altre forme quale leasing, ecc.;

coprire investimenti già effettuati e finanziati con fondi a breve, e riequilibrando il margine di struttura di bilancio.
Le voci di costo che gravano su tali operazioni comprendono:

il tasso di ammortamento;

le spese di istruttoria pratica;

le spese di perizia tecnica;

la parcella notarile e l’imposta sostitutiva;

i premi pagati per assicurare i beni offerti in garanzia;

eventuali oneri accessori connessi alla copertura di altri rischi.
È altresì necessario che il richiedente sfrutti le forme di garanzia meno onerose eventualmente attivabili (i consorzi di garanzia collettiva fidi – confidi)3, al fine di aumentare il potenziale di accesso al credito a medio e lungo
termine. Occorre analizzare di volta in volta, nell’ambito dei prodotti offerti dall’istituto a medio termine, tutte
quelle componenti che consentano di rendere il più possibile elastico lo strumento. Si sfrutterà così la peculiarità
del debito a medio e lungo termine (potenziamento e certezza nel tempo delle fonti), abbinandole ad alcuni requisiti di elasticità (propri delle forme a breve).
Inoltre, è opportuno valutare:

le penalità in caso di eventuale estinzione anticipata, riducendole al massimo;

l’eventuale possibilità di uscita senza penali a scadenze programmate (es. ogni 18 mesi) presente in alcune forme di finanziamento;

la disponibilità di strumenti che consentano di trasformare il tasso da variabile in fisso o viceversa, sulla
base di parametri predeterminati;

nel caso di quotazioni del tasso fisso, confrontare l’offerta della banca con i tassi vigenti di interest rate
swap di pari durata (tenuto anche conto del piano di ammortamento del finanziamento), al fine di calcolare lo “spread implicito” praticato;

valutare, in alternativa al tasso fisso quotato dalla banca, l’operazione a tasso variabile, trasformato in fisso mediante interest rate swap a cura dell’azienda anche con una banca diversa dalla finanziatrice.
------------------------------------------3
I consorzi di garanzia collettiva fidi (confidi) sono consorzi costituiti da piccole e medie imprese, la cui funzione prevalente è la prestazione
di garanzie per gli affidamenti richiesti dai propri associati alle banche convenzionate. Esercitano quindi un’attività mutualistica a favore delle
imprese partecipanti, condividendo di fatto le perdite aziendali. I confidi da un lato svolgono nei confronti dei finanziatori, una funzione di
supplenza, in termini di garanzia, dei singoli patrimoni aziendali, prevenendo possibili fenomeni di razionamento; dall’altro esprimono una
forza contrattuale collettiva nel negoziare condizioni economiche di favore per i propri associati, facendo leva sulla capacità di aggregazione
a livello locale.
L’operatività di questi soggetti è regolamentata dall’art. 13 della legge 326/03 “(legge quadro” sui confidi) e dalle successive modifiche ed
integrazioni.
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139
Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
In alcuni casi, anche se piuttosto rari, il prestito assume la forma di sovvenzione cambiaria che viene stipulata
per una durata che varia dai cinque anni ai dieci anni, in cui l’azienda finanziata rilascia all’istituto di credito cambiali con scadenze scaglionate a seconda del piano di ammortamento finanziario del prestito: detta forma di finanziamento differisce dalle sovvenzioni cambiarie a breve termine in quanto non rinnovabile rispetto a queste
ultime4. In alcuni casi di mutuo a medio e lungo termine è possibile contrarre prestiti per un periodo di preammortamento (da uno a tre anni), durante il quale l’azienda mutuataria corrisponde all’istituto di credito esclusivamente gli interessi al tasso concordato senza procedere a rimborsi in conto capitale, agevolando così
l’impresa sotto il profilo finanziario nel corso del primo periodo, corrispondente all’avvio del processo produttivo
attuato in funzione del finanziamento ottenuto5.
Credito fondiario edilizio
Sempre a proposito di mutui occorre analizzare il credito fondiario ed edilizio che presenta alcune specifiche caratteristiche. La peculiarità del ciclo produttivo e la sua ampia proiezione temporale evidenziano caratteri particolari del fabbisogno finanziario per questo tipo di imprese rispetto a quelle manifatturiere in quanto, mentre per
queste ultime il fabbisogno finanziario corrente è di natura elastica, per quelle edilizie invece è di tipo consolidato.
Occorre inoltre considerare la duplice funzione svolta dal credito edilizio il quale, da un lato, finanzia la vendita
del prodotto ottenuto mediante l’accollo da parte dell’acquirente della quota di mutuo gravante sulla singola unità immobiliare e, dall’altro, provvede al finanziamento del processo produttivo.
I mutui fondiari ed edilizi, concessi solitamente per durate da dieci a venti anni, sono sempre assistiti da ipoteche di primo grado e sono frazionabili in quanto consentono il predetto accollo da parte dell’acquirente.
Si riscontra, conseguentemente, sotto il profilo finanziario, una contestuale eliminazione di una passività consolidata al momento della vendita delle unità immobiliari, per cui, in una prima fase, la procedura di ammortamento
del prestito viene monetariamente ed economicamente sopportata dall’impresa e ciò fino alla cessione delle
predette unità. Il mutuo a medio-lungo termine è un contratto di durata compresa solitamente tra i 18 mesi e i
10/15 anni, per acquisire capitale occorrente per gli investimenti in beni strumentali e che consente di programmare l’esborso attraverso rate, normalmente semestrali. L’innovazione finanziaria, presente nello scenario
economico degli anni settanta, ha generato, tra i suoi primi prodotti, il leasing o locazione finanziaria.
Leasing
Il leasing è un contratto in forza del quale una società di leasing (locatore o concedente) concede ad un altro
(utilizzatore) il diritto di utilizzare un determinato bene a fronte del pagamento di un canone periodico. Alla scadenza del contratto è prevista per l’utilizzatore la facoltà di acquistare il bene stesso, previo l’esercizio
dell’opzione di acquisto (comunemente chiamato riscatto) con il pagamento di un prezzo di riscatto, di norma
relativamente basso. Questa forma di finanziamento comporta numerosi vantaggi per le aziende in quanto consente loro di coprire i fabbisogni consolidati con maggiore elasticità e snellezza nell’ottenimento del finanziamento rispetto ai mutui a medio e lungo termine. Tali vantaggi scaturiscono dal fatto che non viene trasferita
dall’inizio la proprietà del bene che costituisce la garanzia per il locatore-finanziatore, permettendo a
quest’ultimo soggetto, in caso di mancato pagamento dei canoni, di ritornare in possesso del bene in tempi rapidi.
Questa possibilità, peraltro teorica, ha generato un dibattito sull’effettivo interesse del locatore-finanziatore che
non può, in genere, trovare il proprio soddisfacimento nella restituzione del bene (specie se di uso non comune
e quindi difficilmente rivendibile), ma al contrario nell’incasso dei canoni insoluti. In relazione a tale problematica,
le istruttorie effettuate preliminarmente dalle società di leasing hanno spesso denotato una maggiore complessità, allineandosi sempre più alle istruttorie svolte dagli istituti di credito per la concessione di mutui. In tal modo,
in parte, il leasing ha perso la sua originaria snellezza procedurale, almeno per determinate categorie di beni. In
sostanza, il contratto di leasing6 (Tavola 3) rappresenta un’alternativa al finanziamento tradizionale consolidato e,
come noto, può assumere due diverse configurazioni: leasing finanziario e leasing operativo (Tavola 4).
------------------------------------------4
R. Ruozi, Le operazioni bancarie, Milano, Egea, 1989, pag. 118.
A. Bertoni, Avviamento dell’impresa - Enciclopedia della banca e della borsa, Milano, Cei, 1971, pagg. 656- 657.
6
G. De Marchi - L. Camoirano, Nuove forme di finanziamento aziendale, Milano, Pirola, 1988, pagg. 86 e segg.
5
140
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Tavola 3 – Il leasing finanziario e il leasing operativo
Fornitore
Bene
Locatore
Bene
Canoni + Riscatto
Operativo
Locatario
Finanziario
Tavola 4 – Elementi distintivi del leasing finanziario e leasing operativo
Leasing finanziario
Leasing operativo
Nessun interesse operativo del locatario
per il bene
No cessione del bene locato a fine periodo
Il locatario è un intermediario finanziario
Società di leasing è spesso anche la società
produttrice del bene
Manutenzione ed assistenza a carico del
locatario
Manutenzione ed assistenza a carico della
società di leasing
Leasing operativo
Il leasing operativo è di scarsa rilevanza applicativa ed è praticamente assimilabile al noleggio, differenziandosene per la possibilità da parte del locatario di riscattare il bene alla scadenza del contratto. Questo tipo di locazione, solitamente concessa dall’impresa produttrice del bene locato, si estrinseca in un’ampia dilazione di pagamento garantita dalla conservazione della proprietà del bene oggetto di leasing: in relazione a ciò la durata della
locazione, generalmente inferiore alla vita economica del bene strumentale, è circoscritta a due o tre anni, stante
la limitata potenzialità finanziaria del produttore.
Nel leasing operativo intervengono solo due soggetti: il locatore-produttore e l’azienda utilizzatrice. L’obiettivo
principale di chi ricorre a tale forma di leasing è quello di ottenere temporaneamente il possesso del bene strumentale evitando di accollarsi i rischi inerenti alla proprietà (obsolescenza, svalutazione, ecc.) ed i canoni corrisposti sono comprensivi della manutenzione, effettuabile agevolmente dal locatore-proprietario al fine di consentire la buona conservazione del bene, particolarmente importante in relazione all’eventualità del mancato riscatto.
Leasing finanziario
Di più rilevante applicazione appare invece il leasing finanziario ove, di norma, il finanziatore-locatore non è il costruttore del bene bensì un terzo finanziatore (solitamente una società finanziaria) che acquista il bene da locare
dal produttore, su indicazione del locatario, e lo concede in locazione a quest’ultimo. Il locatario assume tutti i
rischi e le responsabilità per l’uso del bene (ma ci sono delle limitazioni, specie in campo antinfortunistico).Il primo canone corrisposto dall’utilizzatore è sempre di solito di entità maggiore rispetto ai successivi e per questo
viene chiamato maxicanone iniziale. Il suo scopo è quello di ridurre i rischi di perdita del finanziatore-locatore in
caso di insolvenza del locatario: infatti, nel caso in cui in un determinato momento il locatario dovesse smettere
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
di pagare i canoni, il locatore si riapproprierebbe del bene, il cui valore di mercato sommato al maxicanone e ai
canoni già corrisposti si presume superiore ai costi sostenuti dal locatore.
I principali elementi base per calcolo del leasing sono:

il costo del bene;

la durata;

il tasso di interesse (fisso o variabile);

l’anticipo (maxicanone);

il riscatto.
Altri aspetti che bisogna considerare ai fini del costo del leasing sono i costi accessori come assicurazione, assistenza, manutenzione, consulenza e spese di istruttoria. Per quanto concerne il finanziatore-locatore è della
massima importanza valutare il “rischio-bene” dell’operazione, considerando la congruità di prezzo del bene, le
sue caratteristiche di utilizzo e di profitto produttivo, la sua recuperabilità, la sua ricollocabilità sul mercato, il suo
valore in caso di rientro anticipato dovuto ad insolvenza dell’utilizzatore e la sua rispondenza alle normative antinfortunistiche. La valutazione del “rischio-bene” è un’operazione complessa e specializzata, in quanto si articola sulla base di moltissimi parametri, che fornisce indicazioni indispensabili per una valutazione realistica del rischio complessivo dell’operazione, anche a tutela dello stesso utilizzatore.
Mentre la valutazione che l’utilizzatore deve effettuare nella scelta del leasing deve tener conto di due ulteriori
aspetti:

il costo del bene è soggetto ad IVA;

il bene rimane di proprietà della società di leasing fino al riscatto, quindi non compare in bilancio tra le
immobilizzazioni, con eccezione delle società che compilano il bilancio in base ai principi contabili internazionali, in base al quale il bene va inserito fra le immobilizzazioni e il debito residuo nel passivo.
Nel leasing finanziario non sono compresi, normalmente, i costi di manutenzione né i costi di assicurazione. Tali
incombenze, solitamente, vengono poste a carico del locatario in sede di contratto e, pertanto, rappresentano
per quest’ultimo un onere aggiuntivo rispetto ai canoni. Da quanto detto si desume che l’onerosità del contratto
di leasing finanziario appare piuttosto elevata e, comunque, maggiore di quella di un mutuo a medio termine.
Quindi, sotto questo profilo sembrerebbe che il leasing finanziario non sia concorrenziale rispetto al mutuo, mentre – anche se non sempre – la maggiore elasticità e speditezza nella fase di istruttoria e concessione del finanziamento ne consigliano, invece, in molti casi la scelta. In particolare, la maggiore elasticità, definita anche migliore operatività, comporta un più rapido espletamento delle procedure che precedono la concessione del finanziamento e quindi l’effettiva acquisizione del bene da parte del locatario. L’istruttoria svolta dalla società di
leasing tiene conto, infatti, della diversa tutela giuridica del locatore in caso di insolvenza nel pagamento dei canoni; lo status di proprietario del bene locato può permettere di esperire azioni legali, precluse invece al creditore, quali, ad esempio, l’azione esecutiva a mezzo di un decreto ingiuntivo tendente ad ottenere la restituzione
del bene e il pagamento dei canoni, nonché, in caso di apertura di una procedura concorsuale, all’ottenimento
della separazione dei beni e quindi alla restituzione degli stessi. La migliore operatività scaturisce anche, come è
stato in precedenza chiarito, dalla snellezza del contratto di leasing rispetto al contratto di mutuo: quest’ultimo,
infatti, richiede la forma di atto pubblico in relazione all’acquisizione, da parte dell’istituto mutuante, di garanzie
reali. Inoltre, con il leasing è possibile modellare il finanziamento al fabbisogno connesso all’acquisizione del bene ottimizzando, in tal modo, la struttura finanziaria dell’impresa7. Infine con tale forma di finanziamento si contiene maggiormente il rischio di obsolescenza delle immobilizzazioni tecniche e dei beni strumentali in genere: i
canoni leasing, pur rientrando tra i costi d’esercizio al pari dell’ammortamento, permettono una reintegrazione
economica più rapida in quanto la deducibilità, sotto il profilo fiscale, risulta sovente attuata in un periodo temporale inferiore rispetto agli ammortamenti che investono periodi di tempo più lunghi. Con l’introduzione dell’Irap
è venuta meno la possibilità di dedurre gli oneri finanziari ai fini dell’imposta in esame; si è quindi parzialmente
ridotta la convenienza fiscale in quanto nella determinazione dell’imponibile Irap il soggetto passivo di imposta è
obbligato a scorporare dai canoni di locazione la quota inerente agli oneri finanziari; si tenga altresì conto delle
modifiche ulteriori attuate negli ultimi anni, al fine di ridurre i profili di convenienza fiscale nell’utilizzo del leasing.
Concludendo, la convenienza del leasing rispetto all’acquisizione del bene va ricercata anche nella possibilità di
dedurre interamente le spese di ordinaria manutenzione relative al bene oggetto della locazione e di dilazionare
l’Iva. Per quanto concerne l’Iva, in particolare, l’impresa, nel caso di acquisto del bene, deve sostenere il relativo
------------------------------------------7
D. Velo, Il leasing, Roma, Buffetti, 1987, pagg. 4-5.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
esborso monetario, mentre nella locazione l’imposta viene pagata sul canone: l’esborso viene dunque diluito nel
tempo. Nell’ambito del leasing finanziario la pratica operativa ha permesso l’affinamento delle tecniche volte
all’adozione di particolari contratti di locazione finanziaria.
I principali sono i seguenti:

lease back: prevede la vendita di cespiti dall’azienda, che presenta un fabbisogno di natura monetaria,
alla società di leasing, e la contemporanea stipula di un contratto di leasing finanziario tra l’acquirente, che
in questa seconda fase riassume la sua veste tradizionale, e l’azienda, precedentemente proprietaria del
cespite, che ne diviene il locatario;

il leveraged leasing: risulta particolarmente utilizzato per operazioni di rilevante entità che richiedono ingenti capitali di cui il locatore non è in grado di disporre. I mezzi necessari per l’acquisto dei beni viene,
quindi, in parte messo a disposizione da altri finanziatori. Il locatore usufruirà, sotto il profilo fiscale, degli
ammortamenti sui beni locati e incasserà i canoni per il loro ammontare integrale; dovrà, altresì, corrispondere gli interessi sul finanziamento ottenuto e rimborsare il capitale in corrispondenza dei canoni riscossi. Per i finanziamenti ottenuti, solitamente, vengono prestate garanzie reali da parte del locatore;

il lease purchase: rappresenta una variante del leveraged leasing con l’interposizione di un intermediario
(trustee) che raccoglie finanziamenti per l’acquisto del bene emettendo certificati di partecipazione;

la dummy corporation: in questa casistica la funzione svolta dal trustee nel lease purchase viene espletata
da una società di comodo, appositamente costituita, che emette obbligazioni e certificati sottoscritti dal
trustee di investitori. La dummy corporation controllata dai finanziatori effettua l’acquisizione in proprietà
del bene e riscuote i canoni sui beni locati estinguendo gradatamente le obbligazioni emesse. Si ricorre
solitamente a tale complessa operazione per affari di rilevante entità finanziaria;

il leasing azionario: rappresenta una forma di finanziamento simile al lease back con la differenza che in tal
caso oggetto del contratto non è un’immobilizzazione, bensì un pacchetto azionario. Più precisamente,
con il leasing azionario un’impresa colloca presso una società finanziaria determinati valori mobiliari (generalmente azioni di nuova emissione) mantenendone il possesso mediante il pagamento dei canoni periodici e con la possibilità di riscattarli alla scadenza dietro il pagamento di un prezzo prestabilito. Ricorrono,
solitamente, a questo tipo di contratto imprenditori che desiderano reperire risorse finanziarie a rischio
pieno, per fronteggiare investimenti a medio e lungo termine, senza allargare la compagine societaria;

il leasing adossé: è una particolare tipologia di finanziamento molto diffusa negli Stati Uniti. Trattasi, in sostanza, di una doppia locazione che vede protagonisti tre soggetti: un’impresa, una società di leasing e il
sublocatore. L’impresa vende uno stock di beni strumentali ad una società di leasing ricevendoli successivamente in locazione, dietro il pagamento di canoni periodici, e con la facoltà di sublocarli successivamente ad un’altra azienda. Alla scadenza del contratto, l’impresa venditrice-locatrice dei beni può decidere di riscattarli oppure cederli all’azienda sub-locatrice: appare evidente in questo contratto la possibilità
per l’impresa venditrice – che generalmente è un produttore o un distributore – di smobilizzare il proprio
magazzino. In questo modo, infatti, il produttore-distributore, pur incassando il corrispettivo in contanti
derivante dalla vendita, offre alla propria clientela il vantaggio del pagamento dilazionato.
 9.2.2 Strumenti di finanziamento “tradizionali” a breve termine
Nel presente paragrafo vengono analizzati i principali strumenti di finanziamento “tradizionali” a breve, nello specifico:

apertura di credito in c/c e apertura di credito ipotecaria;

sconto di pagherò diretti o sovvenzione cambiaria;

effetti con accredito s.b.f.;

sconto di effetti commerciali;

prestiti di durata inferiore a 18 mesi;

anticipi su fatture, su pagamenti a stato di avanzamento lavori e cessioni del credito;

anticipazioni su pegno di merci e/o titoli rappresentativi di merci o su pegno di titoli.
Apertura di credito in c/c
L’apertura di credito in c/c: è un contratto con il quale l’istituto di credito mette a disposizione dell’impresa un
credito utilizzabile in funzione delle proprie esigenze, a fronte dell’impegno dell’azienda di ripristinare l’originaria
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disponibilità per mezzo di rimborsi parziali o totali con la corresponsione dei relativi interessi. Il credito può essere o meno assistito da garanzie di tipo personali o reali.
L’apertura di credito in c/c può essere:

a scadenza indeterminata: possibilità dell’istituto bancario di recedere dal contratto con un preavviso di
15 giorni – (art. 1845 c.c.);

scadenza fissa (salvo revoca): l’impresa si obbliga, alla scadenza contrattata, a restituire quanto dovuto
(capitale, interessi ed altre spese) – (artt. 1843 e 1852 c.c.).
Gli oneri sono commisurati all’effettivo utilizzo e sono addebitati, di solito, trimestralmente.
È necessario contrattare con i vari istituti di credito sulle condizioni applicate, mettendoli in competizione al fine
di ottenere tassi e condizioni più vantaggiose.
Dal lato delle garanzie richieste, queste possono essere di tipo:

personali (avallo, fideiussione, mandato di credito, cessione di polizza assicurativa);

reali (pignoratizie su titoli, merci, valori e ipotecarie su beni immobili).
In sintesi, le principali caratteristiche dell’apertura di credito in c/c sono le seguenti:

è una forma di finanziamento elastica, poiché utilizzabile a totale discrezione del cliente in base alle proprie
esigenze operative, entro il limite dell’affidamento accordato per importo e durata;

dal punto di vista finanziario, almeno in linea generale, serve a coprire gli scompensi temporanei di liquidità
generati dalla gestione del capitale circolante. In sostanza costituisce una sorta di “margine di liquidità”
supplementare rispetto a quello creato dalla gestione corrente;

l’onerosità della forma tecnica è duplice. Da un lato il cliente sostiene un costo variabile in termini di interessi passivi, proporzionale all’entità ed alla durata degli utilizzi; dall’altro incorre comunque in un costo
fisso, indipendente dall’effettiva fruizione della facilitazione, rappresentato da una commissione percentuale applicata su base annua all’importo accordato (“commissione di messa a disposizione dei fondi” o
“commissione sull’accordato”)8;

non stimola le imprese a porre in essere adeguati interventi di programmazione finanziaria ma a gestire
day by day la propria liquidità.
Apertura di credito ipotecaria
L’apertura di credito ipotecaria è una particolare forma di apertura di credito assistita da garanzia ipotecaria su
beni immobili. Permette la copertura di temporanei fabbisogni di cassa, rendendo liquido il valore delle immobilizzazioni materiali senza perderne la proprietà. L’entità del finanziamento è commisurata al valore del bene ipotecato o allo “standing” reddituale del cliente, con una durata soggetta solitamente a revisione annuale da parte
dell’istituto di credito.
Gli oneri addizionali, rispetto alle aperture di credito in c/c, sono le spese peritali, notarili oltre alla polizza assicurativa di integrità del bene concesso a garanzia.
Smobilizzo dei crediti commerciali
Lo smobilizzo dei crediti commerciali in tale ambito rientrano tutte le forme tecniche attraverso le quali l’impresa
si priva temporaneamente o definitivamente di parte del proprio attivo circolante al fine di ottenere immediate
disponibilità liquide in c/c. L’obiettivo dell’impresa è quello di abbreviare il divario temporale che intercorre tra la
data di fatturazione e quella di riscossione.
Il credito accordato dall’istituto di credito in queste fattispecie viene definito autoliquidante poiché, nell’ottica del
soggetto erogante, il rientro delle somme anticipate dipende principalmente dal buon esito della sottostante negoziazione commerciale e solo in via subordinata dalla situazione economico-finanziaria del soggetto finanziato
(per la copertura di eventuali insoluti).
Tralasciando le situazioni di carattere estemporaneo, il ricorso continuativo a queste forme tecniche richiede un
affidamento di tipo rotativo (c.d. “castelletto commerciale”).
------------------------------------------8
L’origine della sua applicazione è da rintracciarsi nel quadro degli interventi (d.l. 185/2008), in cui il legislatore si è occupato di intervenire
esplicitamente su alcuni costi sopportati dal cliente in sede di concessione creditizia, normando in senso restrittivo le condizioni di applicabilità della commissione sul massimo scoperto (commissione percentuale applicata al massimo saldo debitore registrato dal c/c durante il trimestre).
Il ridimensionamento di quest’importante fonte di entrata, peraltro in una fase congiunturale altamente problematica, ha spinto gli istituti di
credito ad adottare nuove strutture di prezzo al fine di attenuare gli effetti derivanti da questi provvedimenti.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Sostanzialmente l’anticipo del credito presenta una struttura comune alle diverse operazioni, che si differenziano
molto poco l’una dall’altra, ad eccezione dello sconto cambiario, peraltro una modalità desueta e dunque residuale.
Attualmente, nelle operazioni di smobilizzo crediti le cambiali sono state sostituite da ricevute bancarie (ri.ba.) e
fatture commerciali.
Per entrambe le fattispecie la banca provvede ad accreditare al cliente salvo buon fine (sbf) gli importi delle presentazioni effettuate, ma mentre le ricevute possono essere anticipate in diverse forme (cartacea, supporto magnetico, flusso telematico), per le fatture è prevista, per ovvi motivi, la sola modalità cartacea, spesso “accettata”
dal cliente per conferma della veridicità dei dati in essa contenuti.
A tutela del proprio credito, la banca richiede che l’incasso del credito avvenga mediante:

canalizzazione del pagamento (indicando sul documento il c/c sul quale il debitore deve effettuare il pagamento. Ovviamente non è vincolante ma consente alla banca di monitorare la qualità del portafoglio
clienti dell’affidato. In realtà la banca può anticipare anche crediti con pagamento non canalizzato, di
norma applicando condizioni più onerose per lo smobilizzo e ricorrendo a linee di credito di rischiosità superiore);

mandato irrevocabile all’incasso (o in rem propriam, cioè nell’interesse dello stesso mandatario/banca);

cessione del credito pro-solvendo, ai sensi dell’art. 1260 c.c..
Tuttavia è prevista un’attività di screening da parte del finanziatore al fine di accertare la conformità dei documenti presentati ai requisiti richiesti dalle normative interne in materia di qualità del debitore, scadenza degli effetti, concentrazioni di rischio su nominativi facenti o meno parte del gruppo finanziario del presentatore.
In merito all’anticipo ri.ba. sono previste due diverse modalità tecniche di “trattamento”:

l’utilizzo di un c/c anticipi fruttifero sul quale vengono accreditate, con valuta pari alla scadenza, il totale
degli appunti presentati. Da tale rapporto l’intestatario provvede a “girare” sul c/c ordinario le somme secondo necessità e con valuta pari al giorno dell’operazione, generando scoperti per valuta su cui maturano interessi al tasso concordato;

l’utilizzo del solo c/c ordinario sul quale le singole partite vengono immediatamente accreditate con valuta
il giorno di scadenza così da essere utilizzate con priorità rispetto allo scoperto di c/c.
Il pricing di queste operazioni, oltre al tasso d’interesse, prevede anche l’applicazione di spese di lavorazione,
spese di incasso, spese di insoluto/richiamo e qualora necessarie di modifica piazzatura/proroga, calcolate su
ogni effetto. L’incidenza sull’onerosità complessiva di questa forma tecnica è ovviamente proporzionale alla numerosità del foglio.
Per quanto concerne l’anticipo su fatture valgono molte delle considerazioni già espresse relativamente
all’anticipo sbf su ricevute bancarie.
Dal punto di vista del funzionamento è previsto che:

all’atto della presentazione la banca accrediti il cliente per un importo di norma compreso tra l’80% ed il
100% della fattura, addebitando contemporaneamente un c/c anticipi transitorio fruttifero sul quale maturano interessi a debito del cliente per la durata dell’operazione, al tasso concordato;

al pagamento della fattura la banca provvede ad accreditare il c/c anticipi, annullando di fatto la posizione
aperta in precedenza.
Anche in questo caso è prevista la tariffazione delle spese per la lavorazione degli effetti e per insoluti/richiami/proroghe.
Sconto di effetti commerciali
Lo sconto di effetti commerciali è un contratto con il quale la banca (scontante), previa deduzione dell’interesse,
anticipa all’impresa (scontatario) l’importo di effetti cambiari di natura commerciale non ancora scaduti, mediante la cessione salvo buon fine degli effetti stessi.
Esistono due tipi di sconti cambiari a seconda della tipologia dell’effetto scontato:

cambiale tratta: dove il titolo di credito contiene l’ordine di pagamento da parte del traente (creditore che
emette la cambiale) al trattario (il destinatario dell’ordine, debitore nei confronti del traente), a favore del
prenditore (beneficiario spesso il traente stesso);

pagherò cambiario: dove il titolo di credito contiene una promessa di pagamento, a una certa scadenza,
da parte dell’emittente (debitore) a favore del prenditore (creditore).
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
La concessione di questa forma di finanziamento avviene tramite l’utilizzo di un “castelletto di sconto” che viene
determinato in seguito alla valutazione dell’impresa affidata. Il risultato di questa valutazione rappresenta il credito massimo concedibile entro il quale può essere effettuato lo sconto di effetti commerciali.
A seconda della scadenza concordata le cambiali si distinguono:

a vista: pagabili alla presentazione;

a certo tempo vista: pagabili dopo un termine previsto sul titolo;

a certo tempo data: pagabili entro un certo tempo dalla data di emissione;

a giorno fisso: pagabili nel giorno di scadenza riportato sul titolo.
Per quanto concerne il pricing di questa operazione, si elencano:

tasso di sconto: applicato sul valore nominale della cambiale;

giorni di sconto: indicano il periodo che intercorre tra il giorno in cui prende il via lo sconto e quello della
scadenza nominale, più dei giorni aggiuntivi in funzione della piazza di pagamento;

imposta di bollo, come da normativa fiscale vigente in materia.
Finanziamento di durata inferiore ai 18 mesi
Il finanziamento di durata inferiore ai 18 mesi è un prestito monetario a breve scadenza con il quale il beneficiario si obbliga alla restituzione periodica di quote capitale ed interessi può o in una unica soluzione.
Tali tipologie di finanziamenti possono essere soggetti ad un tasso variabile o fisso, sono di semplice gestione,
sono solitamente meno onerosi rispetto alle aperture di credito in c/c.
Anticipi su pagamenti a stato di avanzamenti lavori e cessioni del credito
Gli anticipi su pagamenti a stato di avanzamenti lavori e cessioni del credito sono operazioni attraverso le
quali la clientela che vanta crediti verso terzi a fronte della propria attività produttiva, può anticiparne la riscossione mediante un finanziamento la cui estinzione avviene di norma con l’incasso del credito stesso tramite banca o altri intermediari finanziari. Simile all’anticipazione su fatture è il finanziamento contro cessione del credito.
Il contratto di cessione del credito si perfeziona con il semplice consenso tra cliente cedente ed il cessionario
banca. La cessione del credito va notificata al debitore. Tale fonte di finanziamento permette di rendere disponibili immediatamente, per le esigenze aziendali, i ricavi provenienti dalla commercializzazione dei prodotti/servizi
generati dall’attività d’impresa: ciò permette di alimentare l’attività tipica d’impresa e di praticare politiche commerciali con pagamenti differiti.
L’entità del finanziamento non supera solitamente l’80% del valore del credito vantato. La durata è commisurata
alla scadenza dei pagamenti (solitamente entro e non oltre i 6 mesi). L’utilizzo delle somme corrisposte avviene generalmente sotto forma di scoperto in c/c, con prelievi totali o parziali fino al concorso della somma. L’onere è
commisurato alla forma tecnica di utilizzo (se scoperto di c/c si applicherà l’onere finanziario relativo).
Anticipazioni su pegno di merci e/o titoli rappresentativi di merci o su pegno di titoli
Le anticipazioni su pegno di merci e/o titoli rappresentativi di merci o su pegno di titoli sono operazioni di
finanziamento nelle quali la banca eroga all’impresa un prestito a breve termine, ottenendo come garanzia la costituzione di un pegno su merci, e/o su documenti rappresentativi di queste o su titoli.
La prima rappresenta uno smobilizzo temporaneo di parte dell’attivo (magazzino), solitamente da parte di imprese che hanno fatto ingenti provviste di magazzino in previsione di aumenti previsti nei costi di approvvigionamento o sul cambio della valuta di acquisto delle merci, ovvero, di aziende caratterizzate da forte stagionalità
delle vendite.
È opportuno precisare, che data la difficoltà tecnica dell’operazione non tutte le banche sono disposte ad effettuarla.
In primis, le merci costituite in pegno devono avere determinati requisiti, al fine di contenere il rischio per il creditore
e garantire un sufficiente grado di liquidabilità e negoziabilità.
Il pegno su titoli si distingue tra:

titoli azionari;

titoli obbligazionari.
In entrambi i casi i titoli vengono trasferiti in:

deposito: in questo caso è l’istituto di credito a prendersi cura della loro custodia;

sub-deposito: si provvede al deposito presso il Monte Titoli su un apposito registro vincoli.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Una volta perfezionata la costituzione in pegno, la successiva erogazione dell’anticipazione può essere:

a scadenza fissa: dove il rimborso avviene in una o più soluzioni prestabilite (gli interessi vengono conteggiati in via anticipata);

in conto corrente: la quale è assimilabile a un’apertura di credito in c/c garantita (gli interessi vengono
addebitati periodicamente).
La banca nell’erogare il finanziamento trattiene uno scarto prudenziale che può variare tra il 10% e il 60% del
valore delle merci o dei titoli, per far fronte ad eventuali errori nella valutazione o ad oscillazioni dei prezzi dei
mercato.
Per quanto concerne l’aspetto economico, il costo dell’operazione è rappresentato da:

interessi;

commissioni di massimo scoperto (che possono anche non essere applicate);

imposte e spese varie.
Factoring
Accanto al finanziamento bancario, soprattutto negli ultimi decenni, si è avuta una notevole crescita dell’utilizzo
di forme di finanziamento non bancario quali ad esempio il factoring ed il credito commerciale, sebbene anche
queste forme di finanziamento dipendano ancora principalmente dalle banche.
Il factoring (Tavola 5) è un contratto di natura anglosassone mediante il quale un soggetto (cedente) si impegna
a cedere tutti o parte dei suoi crediti commerciali presenti e futuri scaturiti dalla propria attività imprenditoriale ad
un altro soggetto (il factor)9 il quale, dietro un corrispettivo, si impegna a sua volta a fornire una serie di servizi
che vanno dalla contabilizzazione, alla gestione, alla riscossione dei crediti ceduti fino alla garanzia dell’eventuale
inadempimento dei debitori, ovvero al finanziamento dell’imprenditore cedente sia attraverso la concessione di
prestiti, sia attraverso il pagamento anticipato dei crediti ceduti.
Tavola 5 – Il contratto di factoring
Factor
Servizi e
anticipazione
debiti
cessionario
Crediti
Notifica cessioni
Pagamento del
debito
Impresa cedente
Debitore ceduto
Rapporto di fornitura
Quindi, si differenzia dalle operazioni bancarie di smobilizzo poiché rappresenta un servizio completo che permette di realizzare congiuntamente:

la gestione dei crediti, che consiste nella produzione di informazioni sul debitore ceduto (screening e monitoring), nell’amministrazione del portafoglio (contabilizzazione, riscossione, recupero, contenzioso), nel
servizio consulenziale (informazioni su nuovi mercati/clienti);

il finanziamento del cedente, attraverso lo smobilizzo dei crediti ceduti;

la garanzia dai rischi di inadempimento, nella forma pro-soluto.
Pertanto questo strumento risulta particolarmente utile in tutte le situazioni caratterizzate da squilibri finanziari di
breve periodo, da gestione inefficiente della politica commerciale e creditizia.
I crediti affidati in amministrazione al factor non devono di norma essere ceduti allo stesso; tuttavia nella maggior
parte dei casi, dietro il contratto di factoring, si cela un’operazione di finanziamento dell’impresa cliente. Infatti, è
prassi ormai consolidata che il factor conceda all’impresa cliente anticipazioni sull’ammontare dei crediti gestiti.
La cessione può avvenire in due modi differenti:

pro solvendo: lasciando al cliente il rischio dell’eventuale insolvenza dei crediti ceduti;
------------------------------------------9
Può essere una banca o un operatore specializzato.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento

pro soluto: il factor si assume il rischio di insolvenza dei crediti ceduti ed in caso di inadempimento di
questi ultimi non potrà richiedere la restituzione degli anticipi versati al cliente.
Esistono diverse tipologie di factoring:

full factoring: vengono acquistati, continuativamente, i crediti commerciali dei clienti man mano che essi
sorgono;

maturity factoring: vengono mantenuti uguali le componenti gestionali e assicurative. Il factor si astiene dal
fornire supporto finanziario al cliente;

international factoring: rivolto a clienti e debitori di paesi differenti.
La legge n. 52 del 1991 ha previsto l’istituzione di un albo delle imprese che praticano la cessione dei crediti
d’impresa (albo tenuto a cura dalla Banca d’Italia). Tale legge non ha introdotto nell’ordinamento italiano la disciplina giuridica del factoring, che perciò continua ad essere considerato un contratto atipico, ma si è limitata a
modificare la disciplina tradizionale della cessione dei crediti. Le norme della legge n. 52 del 1991 si applicano
alle cessioni verso corrispettivo di soli crediti pecuniari e quando sussistano le seguenti condizioni:

che il cedente sia un imprenditore;

che i crediti ceduti siano imputabili a contratti stipulati dal cedente nel corso della sua attività imprenditoriale;

che il cessionario sia una società o un ente avente personalità giuridica.
I contratti stipulati dalle società di factoring sono assoggettati alla disciplina sulla trasparenza delle operazioni
bancarie e finanziarie prevista dal decreto legislativo n. 385 del 1993, in quanto dette società sono comprese tra
i soggetti che esercitano professionalmente attività di prestito e finanziamento.
 9.2.3 Strumenti e tecniche di finanziamento “alternativi ed innovativi” per le PMI
Spesso l’accesso al mercato del credito è per le PMI, ma soprattutto per le microimprese, che rappresentano
circa il 99,9% delle imprese italiane10, è notevolmente difficoltoso e dispendioso.
Ai fini della determinazione dell’effettivo costo per l’impresa di un finanziamento, occorre tener conto, oltre che
dell’interesse pattuito, anche di una serie di costi collaterali. Infatti, le PMI spesso incontrano notevoli difficoltà
nel finanziare i propri investimenti sia a causa delle garanzie richieste dalle banche, ma anche l’entità, eccessivamente elevata per molti imprenditori, di tassi e costi in generale dei vari finanziamenti.
Tale situazione riduce notevolmente il numero di imprese in condizione di ottenere un finanziamento, nonché la
redditività attesa dell’investimento finanziato. L’elevata soglia di costo del capitale penalizza in larga misura imprese di dimensioni medio-piccole o molto piccole, le quali, seppur spesso in possesso del know-how necessario e di innovative intuizioni commerciali e/o produttive, non riescono ad ottenere, quanto meno in tempo utile, i
capitali necessari a finanziare investimenti diretti per consolidare e/o sviluppare la presenza sul mercato, sviluppare mercati internazionali, inserirsi in nicchie di mercato caratterizzate da elevata tecnologia o specializzazione
oppure ampliare la nicchia di mercato già occupata mediante l’offerta di nuovi beni e/o servizi.
Date queste difficoltà di accesso al mercato dei capitali per le PMI e le microimprese, occorre valutare se, mediante l’ausilio di strumenti finanziari alternativi rispetto a quelli usualmente utilizzati dalle imprese e di tecniche di
finanziamento innovative rispetto a quelle praticate tradizionalmente dal sistema creditizio italiano, sia in realtà
possibile ridurre, sia in termini monetari in senso stretto, che temporali e contrattuali, il costo del capitale di finanziamento.
Nel delineare ed attuare le proprie politiche di erogazione di finanziamenti, gli operatori del sistema creditizio
tendono, in quanto razionali operatori economici, a massimizzare il proprio profitto.
Gli operatori del mercato creditizio e/o finanziario, inoltre, solitamente richiedono alle imprese finanziate la prestazione di garanzie reali e/o personali, al fine di ridurre il rischio connesso all’erogazione mediante la costituzione di diritti di prelazione su immobili o, solitamente, titoli oppure affiancando all’obbligazione del debitore principale obbligazioni di altri soggetti, per lo più fideiussori. Si determina quindi un ulteriore aggravio del costo del
capitale per l’impresa finanziata, la quale si trova costretta a vincolare uno o più beni, dei quali perde, sostanzialmente, il potere di disporre proficuamente, o a rendere garante dell’adempimento della prestazione restitutoria uno o più soggetti terzi, ai quali dovrà, presumibilmente, offrire un conveniente corrispettivo.
-------------------------------------------
10
Imprese e industria, Scheda informativa SBA 2012 Italia (I dati si riferiscono alla “economia aziendale” comprendente industria, costruzioni, commercio e servizi)
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Quindi, le tecniche di finanziamento tradizionalmente praticate dal sistema creditizio, spesso non appaiono più in
grado di soddisfare le esigenze di acquisizione di capitale manifestata tanto dalle PMI che dalle microimprese, in
quanto presentano un elevato grado di rischio per la banca erogante, che si riflette in uno spread elevato, ed in
un costo, in termini monetari, temporali e contrattuali, eccessivamente oneroso per le poche imprese finanziate.
Occorre, quindi, individuare strumenti finanziari e/o tecniche di finanziamento alternativi, i quali permettano di ridurre il rischio per il finanziatore ed i costi per le imprese finanziate. La caratteristica fondamentale delle fonti di
finanziamento alternative ed innovative è rappresentata, sotto il profilo della durata dei finanziamenti,
dall’estrema elasticità nel rimodellarsi alle mutevoli esigenze finanziarie dell’impresa e dalla flessibilità nel passare
da capitali di debito a capitali a pieno rischio e viceversa.
La rapidità con cui si modifica lo scenario competitivo dei vari business aziendali esige altrettanta rapidità
nell’adeguarsi delle fonti di finanziamento ed una estrema flessibilità della durata degli stessi.
Per analizzare come la finanza possa assecondare la crescita dimensionale delle PMI e delle microimprese, occorre comprendere se ed in quale misura tipologie di finanziamento innovative rispetto alle tradizionali forme di
prestito bancario possano essere di supporto a programmi di “crescita equilibrata”.
In primis, occorre valutare se il ricorso a tipologie contrattuali innovative possa consentire di assecondare i processi di cambiamento, mantenendo allo stesso tempo immutata l’esposizione al rischio sistemico delle imprese
di piccola dimensione. Sono in tal senso rilevanti soprattutto quei prodotti finanziari che possono essere potenzialmente fruibili da un ampio numero di operatori, piuttosto che quelli specificatamente indirizzati alle imprese di
nuova o recente costituzione, ovvero a quelle caratterizzate dall’appartenenza a settori ad alta tecnologia.
Di seguito vengono descritti, seppur in maniera non esaustiva, alcuni strumenti finanziari alternativi ed innovativi che potrebbero essere utilizzati accanto alle tradizionali forme di finanziamento.
I prestiti sindacati
I prestiti sindacati (Tavola 6) non costituiscono una particolare tecnica di prestito bensì una modalità organizzativa11 che consente a più istituti di credito consorziati di soddisfare esigenze di finanziamento complesse, attraverso facilitazioni che eccedono il potenziale creditizio dell’istituto singolarmente considerato.
Infatti, l’importo del prestito nonché il rischio d’insolvenza del mutuatario vengono quindi frazionati tra più istituti
di credito nell’ambito di un’operazione unitaria sia dal punto di vista economico che organizzativo.
Dal punto di vista operativo, i finanziamenti possono essere erogati ricorrendo a tipologie tra loro differenti in
termini di modalità di utilizzo e di rimborso.
Quelle maggiormente in uso risultano essere le seguenti tipologie:

Stand-by

Evergreen

Step-up

Linea di credito di gruppo
Lo stand-by12: è un’operazione a breve/medio termine con la quale un’azienda ottiene una linea di credito di
importo e durata prestabiliti. Tale somma può essere utilizzata ripetutamente e anche per importi parziali salvo
un preavviso generalmente di dieci o quindici giorni.
In merito al suo funzionamento, con il prestito “Stand-by” o “Stand-by loan” un pool di banche organizzate da
una banca capofila (banca leader) oppure da una società finanziaria specializzata (lead manager) mette a disposizione di un’impresa una linea di credito di un certo importo per un periodo di tempo prestabilito. Ogni banca
partecipa all’operazione con una propria quota.
La linea di credito stand-by garantisce al cliente l’utilizzo in forma fissa di una certa somma per un periodo convenzionale definito fixture period che corrisponde ad un arco di tempo (da 1 a 6 mesi)13.
Al termine di tale periodo avviene il rimborso del prestito o alternativamente il rinnovo entro il limite massimo di
preavviso contrattualmente previsto.
Il cliente ha la possibilità di utilizzare ripetutamente la linea di credito per un importo prefissato con preavviso di
10/15 giorni alla banca capofila.
------------------------------------------11
E. Monti, Manuale di finanza per l’impresa, cit., pp.114 - 116.
G. De Marchi - L. Caimorano, Nuove forme di finanziamento aziendale, Milano, Pirola Editore, 1998, pagg. 86 e segg.
13
La durata del contratto non eccede solitamente i 18 mesi.
12
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Una caratteristica del prestito stand-by è l’impegno da parte del cliente di non utilizzare il credito per un determinato periodo di tempo pari solitamente a 45 giorni consecutivi in ciascun anno solare o alternativamente
l’assunzione dell’impegno a non usare il fido oltre un limite prestabilito del 70-80% del massimo concesso. Il rispetto di tali clausole viene interpretato dalla capofila come indice di capacità del cliente di far fronte ai propri
impegni. Tali limiti possono variare a seconda degli istituti di credito.
Gli interessi posticipati vengono conteggiati trimestralmente e sono calcolati in base a un tasso variabile in funzione di un parametro universalmente conosciuto in ambito finanziario (ad esempio l’euribor). Al tasso così calcolato si aggiunge uno spread fisso stabilito sullo standing e il merito di credito dell’azienda.
Agli interessi vanno poi aggiunti altri costi come le management fees, le agency fees e le commitment fees.
Esistono alcune varianti del prestito stand-by, tipo l’umbrella facility, linea di credito utilizzabile da tutte le imprese di un determinato gruppo e lo stand-by a utilizzo misto che permette di utilizzare la linea di credito in differenti modi (titoli a breve garantiti dal pool, prelievi o emissioni di cambiali).
Tra i vantaggi per il cliente va annoverata la possibilità di accesso ad uno strumento flessibile di raccolta a costi
concorrenziali, mentre per le banche l’accesso ad uno strumento che permette una migliore e più prevedibile
gestione del credito e del rischio.
L’evergreen: è un’operazione simile allo stand-by, mediante il quale un pool di banche mette a disposizione di
un’impresa una linea di credito per cassa d’importo prefissato con la facoltà di utilizzo ripetuto nel tempo, anche
per cifre parziali, e con validità fino a revoca. La caratteristica principale di tale tipologia di contratto, che non
prevede né piani di ammortamento né di rimborso, risiede nella possibilità di ricorrere continuamente al credito
anche dopo periodi di mancato utilizzo. Gli importi vengono messi a disposizione sul conto corrente ordinario.
Per la grande elasticità operativa e di adattamento del prestito alle specifiche esigenze finanziarie dell’impresa,
esso risulta particolarmente adatto per progetti di investimento caratterizzati da un presumibile rapido ritorno del
capitale con flussi di reddito variabili nel tempo14.
Mentre, lo svantaggio principale è costituito dalla necessità di rimborso in un’unica soluzione al momento della
revoca, senza la possibilità di diluire gli esborsi nel tempo.
Lo step-up: è anch’esso simile allo stand-by ma, si differenzia dallo stesso per il fatto che l’importo messo a disposizione dell’impresa per un determinato periodo dal pool delle banche è suddiviso in due tranches distinte:

la prima parte viene erogata in un’unica soluzione mediante accredito sul conto dell’azienda, ed è ad utilizzo fisso e rimane immodificabile per tutta la durata del contratto e la società finanziata pagherà interessi
posticipati;

la seconda parte è, invece, ad utilizzo variabile per uno o tre mesi. In questa seconda parte gli interessi
saranno pagati sulla parte utilizzata mentre su quella residua sarà corrisposta la commissione di mancato
utilizzo.
Tale forma di finanziamento è notevolmente elastica per il cliente e allo stesso tempo garantisce una discreta
sicurezza d’impiego dei fondi delle banche.
La linea di credito di gruppo è una linea di credito concessa ad una società capogruppo con la possibilità di
utilizzo da parte di tutte le società facenti parte del gruppo.
I vantaggi di tale strumento finanziario sono:
1)
elasticità: utilizzazione da parte delle consociate a seconda delle esigenze che queste possono avere nel
corso del tempo;
2)
economie di scala: il gruppo può finanziarsi per importi più rilevanti e a migliori condizioni di tasso;
3)
sicurezza: il gruppo sa di poter contare sul finanziamento per un certo periodo di tempo;
4)
garanzie richieste: non sono necessarie garanzie reali o personali, almeno in teoria.
------------------------------------------14
A.M. Bruno Biancone, L’innovazione finanziaria, Torino, Giappichelli, 1987.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Tavola 6 – I vantaggi dei prestiti sindacati per aziende e finanziatori
Cambiale finanziaria
La cambiale finanziaria è un titolo di credito con caratteristiche simili alle cambiali (r.d. n. 1669 del 1933) e che,
come strumento finanziario che può essere emesso in serie per raccogliere sul mercato capitale di debito a breve termine, è disciplinato dalla legge n. 43/1994 (nonché, fino al 2005, dal d.m. 7 ottobre 1994).
Le cambiali finanziarie hanno avuto scarsa diffusione nella prassi operativa a causa delle limitazioni previste dalla
normativa citata e, in considerazione della stessa, dal CICR (con le deliberazioni del 3 marzo 1994, del 19 luglio
2005 e del 22 febbraio 2006) e dalla Banca d’Italia.
Segnatamente, l’articolo 1, comma 2, della citata legge n. 43 stabilisce che le cambiali finanziarie sono assimilate, ad ogni effetto di legge alle cambiali ordinarie e costituiscono titolo esecutivo.
Il successivo art. 4 prevede che «le cambiali finanziarie sono considerate valori mobiliari per qualsiasi finalità prevista dall’ordinamento».
Le principali criticità erano ravvisabili nella anelasticità della durata (compresa tra 3 e 12 mesi), nella modalità
della circolazione (solo mediante girata, seppure senza garanzia, che le rendeva titoli “individuali”), nei limiti
quantitativi all’emissione (che erano ricompresi in quelli per l’emissione di obbligazioni) e nelle preclusioni soggettive all’acquisto da parte del “pubblico” (salvo che per gli intermediari sottoposti a vigilanza prudenziale se
l’emittente non è quotato).
L’art. 32 del decreto “Crescita” – nell’intento di mediare la volontà di ampliare l’accesso al pubblico risparmio
per le PMI con le esigenze di tutela dei risparmiatori stessi, ha modificato le disposizioni precedenti rendendolo
uno strumento di raccolta a breve termine più simile alle commercial paper (dette anche “polizze di credito
commerciale”) diffuse all’estero.15
Secondo quanto previsto nei commi 5 e 5-bis, le cambiali finanziarie possono ora avere una scadenza compresa tra 1 e 36 mesi; essere emesse da tutte le società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici, ad
eccezione delle banche e delle microimprese, pur sempre nel rispetto di taluni vincoli normativi volti a tutelare gli
-------------------------------------------
15
Le commercial paper, come le cambiali finanziarie, recano la promessa incondizionata di pagare alla scadenza, al portatore delle stesse,
l’importo indicato sul titolo. Se emesse in serie o in massa, le c.p. sono titoli similari alle obbligazioni, essendo venuto meno, fin dal 1996
(art. 7 del d.l. n. 323/1996, modificativo dell’art. 41, comma 2, lett. c) del TUIR), il requisito della durata non inferiore a 18 mesi, in difetto del
quale sarebbero state considerate come “titoli atipici” (cfr. il d.l. n. 512/1983). Le commercial paper possono essere emesse in forma di titolo “individuale”, nel qual caso il regime impositivo è quello indicato dall’ultimo comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
investitori retail; circolare senza la “girata” se “dematerializzate” (senza con ciò perdere la natura di titolo esecutivo); essere emesse “tenendo conto” del limite quantitativo degli “attivi correnti” del debitore fermo restando che
dovrebbero applicarsi i limiti previsti dall’art. 2412 c.c., ove non derogati da norme speciali.
Quindi, le società e gli enti non quotati possono avvalersi di queste facoltà a condizione che l’emissione sia «assistita, in qualità di sponsor, da una banca o da un’impresa di investimento, da una società di gestione del risparmio (SGR), da una società di gestione armonizzata, da una società di investimento a capitale variabile
(SICAV), purché con succursale costituita nel territorio della Repubblica» (comma 5).
L’assistenza dello sponsor non è, tuttavia, richiesta per gli emittenti non quotati che, sulla base di specifici parametri dimensionali, non siano classificabili tra le imprese medie o piccole.
In ogni caso, per gli emittenti non quotati è richiesto che l’ultimo bilancio sia stato certificato da un revisore contabile o da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili.
In via transitoria, per un periodo di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (cioè
fino al 12 febbraio 2014), la certificazione del bilancio non è richiesta qualora l’emissione sia assistita, in misura
non inferiore al 50% del valore nominale delle cambiali, da garanzie prestate da una banca o da un’impresa di
investimento, ovvero da un consorzio di garanzia collettiva dei fidi per le cambiali emesse da società aderenti al
consorzio ma, in tali casi, la cambiale non può avere durata superiore a diciotto mesi.
La società finanziaria che sponsorizza l’operazione assiste l’emittente nella creazione e nel collocamento dei titoli
e deve altresì ritenere una quota dell’emissione stessa, decrescente con l’aumentare dell’ammontare della stessa.
In virtù del nuovo art. 1-bis della legge n. 43/1994, introdotto dal comma 7 dell’art. 32, le cambiali finanziarie
destinate alla quotazione potranno essere emesse anche in forma dematerializzata sulla base di una specifica
procedura in base alla quale l’emittente deve rivolgersi a una società autorizzata alla prestazione del servizio di
gestione accentrata di strumenti finanziari.
Quanto alla circolazione tra gli investitori, prenditori o giratari delle cambiali finanziarie emesse da emittenti non
quotati possono essere soltanto «investitori professionali che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società emittente; il collocamento presso investitori professionali in rapporto di controllo con il soggetto che
assume il ruolo di sponsor è disciplinato dalle norme vigenti in materia di conflitti di interesse».
Il regime fiscale delle cambiali finanziarie ai fini della imposizione indiretta è principalmente contenuto negli artt.
1-bis, introdotto dall’art. 32 del decreto “Crescita”, e 2 della legge n. 43/1994.
L’art. 1-bis, sopra citato, prevede l’esenzione da imposta di bollo di cui al d.P.R. n. 642/1972 per le cambiali finanziarie emesse in forma dematerializzata, ferma restando comunque l’esecutività del titolo, mentre quelle non
emesse in regime di de materializzazione (e, quindi, su supporto cartaceo) restano assoggettate all’imposta di
bollo nella misura dello 0,01% .
Ai fini dell’Iva, la disciplina fiscale è rimasta invariata. In particolare, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 43/1994 le
operazioni relative alle cambiali finanziarie sono assoggettate al regime previsto per i prestiti obbligazionari e,
pertanto, sono fuori dal campo di applicazione del tributo.
Mentre, le novità fiscali ai fini delle imposte dirette sono di assoluto rilievo e riguardano, tanto per le cambiali finanziarie quanto per le obbligazioni, da un lato il regime di deducibilità degli interessi passivi per gli emittenti e
dall’altro il regime impositivo dei proventi in capo ai sottoscrittori.
Con il “nuovo” comma 9 dell’art. 32 del Decreto “Crescita” (come modificato dall’art. 36 del Decreto “Crescitabis”) in merito alla tassazione dei proventi in capo agli investitori, è stabilito l’obbligo di assoggettare a ritenuta
alla fonte del 20% i proventi dei titoli, obbligo che il debitore deve adempiere al momento della maturazione
(scadenza) della cedola ancorché non sia stata riscossa dall’obbligazionista ovvero alla data prevista per il pagamento della cambiale.
Project financing
Il project financing (Tavola 7) è una particolare tecnica di finanziamento degli investimenti in capitale fisso, non è
un semplice strumento finanziario, nella quale il rimborso del debito e la remunerazione del capitale di rischio dipendono essenzialmente dall’attitudine del progetto stesso a produrre flussi di cassa in quantità e qualità adeguata.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Tavola 7 – Il project financing
È UN APPROCCIO
Alla realizzazione, gestione e finanziamento di:
Elevati fabbisogni
finanziari iniziali
PROGETTI COMPLESSI
I finanziamenti sono concessi in base alla
esclusiva capacità di credito del progetto
Caratterizzati da
Possibilità di
ripartire i rischi sui diversi
soggetti partecipanti
Il progetto è reso un’entità autonoma (S. di P.)
ed indipendente rispetto alle aziende che a
vario titolo lo promuovono
I tratti distintivi di questa formula sono essenzialmente di carattere economico-aziendale e possono riassumersi
nei seguenti punti:

nell’avere ad oggetto progetti self liquidating, cioè in grado di autofinanziarsi;

nel richiedere una segregazione giuridica, economica e patrimoniale (ring fence) volta a separare le sorti
del progetto da quelle dei promotori;

nel prevedere un ricorso assente (non recourse) o comunque estremamente limitato (limited recourse) dei
finanziatori nei confronti degli sponsors o delle attività del progetto;

nel consistente utilizzo dell’indebitamento, specie in rapporto al capitale proprio.
Invece, dal punto di vista prettamente giuridico, questa tecnica non costituisce un istituto autonomo tipizzato
dall’ordinamento ed è piuttosto il risultato di un’attività di packaging avente ad oggetto contratti tipici collegati, la
cui struttura, composta ogni volta in maniera originale, è finalizzata a ripartire nel modo più efficiente il complesso di rischi ed interessi relativi alla particolare operazione.
L’impiego della finanza di progetto, in ragione della complessità gestionale che la contraddistingue, richiede delle soglie dimensionali d’accesso minime. Pertanto gli investimenti da finanziare si caratterizzeranno per la grande
dimensione, l’indivisibilità, l’orizzonte temporale di lungo periodo e l’elevata intensità di capitale.
È inoltre opportuno evidenziare le principali differenze esistenti tra project finance e corporate finance.
Nel finanziamento in ottica corporate, l’unità di analisi è l’impresa nel suo complesso. Il giudizio di affidabilità attiene pertanto alla verifica della consistenza patrimoniale dell’organizzazione nonché della capacità di questa di
trarre, dall’insieme dei progetti intrapresi, i flussi sufficienti a rimborsare il credito concesso: il credito finanzia
dunque l’impresa e non le singole operazioni.
Invece, nella finanza di progetto viene a determinarsi una correlazione diretta tra le poste dell’attivo e quelle del
passivo: l’iniziativa da finanziare è valutata in relazione alla redditività ed ai flussi che è in grado di generare.
Ne consegue che i rischi dell’investimento sono diversamente allocati16:

nell’approccio project finance, sono trasferiti ad un’entità giuridicamente separata dal soggetto promotore
dell’iniziativa, la quale provvede successivamente ad allocarli tra le diverse parti coinvolte, essenzialmente
su base contrattuale ed in ragione delle specifiche competenze possedute;

nell’approccio tradizionale sono sostanzialmente indistinguibili da quelli già in essere, sebbene la fertilizzazione congiunta delle iniziative possa determinare effetti positivi in termini di diversificazione.
Ulteriori elementi di preferenza nei confronti della soluzione di progetto rispetto a quella aziendale attengono la
neutralizzazione dei conflitti tra investitori e finanziatori (moral hazard, underinvestment problem) e tra investitori e
gestori (agency problem). Sussistono anche considerazioni di carattere strategico, concernenti il tentativo di evitare l’esaurimento della capacità di finanziamento oltre a quello di coinvolgere nella partnership azionaria controparti di mercato o istituzionali.
------------------------------------------16
G. Forestieri, Corporate & investment banking, cit., pp. 275 - 278.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
I principali soggetti che intervengono nel project financing sono:

gli sponsors, cioè coloro che costituiscono ed investono nel capitale di rischio della project company, ne
definiscono la struttura finanziaria e ne determinano le linee di azione;

la società di progetto (Special Purpose Vehicle), entità aziendale autonoma dai soggetti promotori sebbene ne rappresenti una diretta emanazione, appositamente costituita per l’operazione di project financing, solitamente nella forma giuridica della società di capitali;

i contractors, cui è demandata la realizzazione materiale del progetto secondo le specifiche indicate dal
cliente SPV, nei termini (tempi e costi) contrattualmente stabiliti;

le banche, che svolgono, anche congiuntamente, funzioni di advisoring, lending (solitamente mediante
sindacati appositamente formati), sponsoring e arranging;

le autorità governative, che influenzano le iniziative attraverso le modifiche del quadro normativo,
l’individuazione del gestore nelle PPP, la possibile partecipazione al finanziamento;

le istituzioni finanziarie multilaterali (Banca Mondiale, BEI, ecc.), che in ossequio al proprio ruolo (promozione degli investimenti e dello sviluppo economico a livello mondiale) si adoperano nella concessione di
finanza (a titolo di capitale di rischio e di

credito) o nell’eventuale mitigazione del rischio paese.
Un’operazione di project financing si compone idealmente di tre fasi logiche:
1)
ideazione e sviluppo dell’iniziativa: consiste nell’analisi dell’idea di progetto, nella determinazione della
struttura dell’operazione e nella negoziazione delle condizioni contrattuali, finalizzata ad armonizzare i diversi interessi in gioco;
2)
implementazione del progetto: si concretizza nella sottoscrizione dei contratti e nell’avvio della realizzazione (costruzione delle opere, erogazione dei finanziamenti, monitoraggio dello stato di avanzamento);
3)
gestione economica delle opere realizzate: ossia la fase di produzione dei beni e/o dell’erogazione dei
servizi cui si collegano l’incasso dei ricavi ed il servizio del debito. L’estinzione dei finanziamenti conclude
l’operazione dal punto di vista delle banche, mentre i promotori proseguono nella conduzione
dell’iniziativa disponendo integralmente dei flussi generati.
Il fabbisogno finanziario complessivo del progetto è la risultante della sommatoria di più elementi:
a)
il costo totale delle immobilizzazioni necessarie al completamento ed all’entrata in funzione;
b)
l’ammontare dei costi operativi da sostenere antecedentemente al completamento;
c)
gli interessi da corrispondere sul debito qualora dovuti antecedentemente all’avvio dell’operatività;
d)
l’investimento iniziale nel capitale circolante commerciale; il margine di sicurezza rispetto ad eventuali sottostime dei costi da sostenere (cost overruns).
Le fonti di copertura potenzialmente utilizzabili contemplano innanzitutto il capitale di rischio apportato dagli
sponsors, specie nelle fasi iniziali: serve ad aumentare la bancabilità del progetto e non viene mai remunerato
antecedentemente all’entrata in funzione dello stesso. È ampiamente utilizzato il debito sia nella forma privilegiata, con e senza garanzia reale, che in quella subordinata. Trova impiego anche il leasing, che nella versione project prevede che la società di leasing fornisca il bene allo SPV in cambio del pagamento dei canoni e dopo
averne acquisito la proprietà dal contractor. Alla scadenza del contratto è prevista la facoltà di riscatto.
Buyer’s credit
Il buyer’s credit è una modalità di finanziamento, alternativa al tradizionale “credito di fornitura”, consistente
nell’erogazione diretta di un prestito all’azienda estera cliente del fornitore nazionale. Si tratta dunque di una
forma di sostegno all’esportazione che trova applicazione soprattutto nella fornitura di grandi commesse “chiavi
in mano”.
Interessando importi rilevanti, “il credito al compratore” viene concesso solitamente da un consorzio formato solitamente da più istituti di credito, copre circa il 75-80% del valore della fornitura e ha una durata che può arrivare a 8-10 anni.
Il costo dell’operazione è legato all’affidabilità del fornitore, alla valuta in cui il finanziamento viene erogato, al rischio paese dell’impresa cliente.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
 9.2.4 Le forme “ibride”
Il mercato del credito offre anche la possibilità di disporre di tipologie di finanziamento con caratteristiche intermedie tra l’apporto di capitale di rischio ed il finanziamento a titolo di debito che, proprio a seguito delle loro
specificità, impattano in modo del tutto peculiare sull’esposizione dell’impresa al rischio finanziario.
Questi strumenti intermedi/ibridi consentono di accrescere le risorse complessivamente utilizzabili dal management aziendale senza influenzare le condizioni contrattuali di accesso ai prestiti tradizionali erogati da altri operatori creditizi.
Considerate le difficoltà strutturali per le imprese più piccole di accedere al mercato dei capitali, per il raggiungimento degli obiettivi di crescita e di riequilibrio finanziario, questi strumenti di finanziamento “ibridi” possono rivestire un ruolo rilevante.
In particolare, l’impatto di questi strumenti sulla gestione finanziaria delle imprese sembra essere di due tipi:

un effetto di tipo diretto: rappresentato dalla possibilità di introdurre nella struttura finanziaria aziendale
risorse dotate di un elevato livello di stabilità e, spesso, destinate a favorire la successiva ricapitalizzazione
dell’impresa.

un effetto indiretto: ricollegabile alle conseguenze sulle condizioni di accesso ai rapporti di finanziamento
di tipo più tradizionale. In tale ambito, infatti, l’utilizzo di queste forme innovative, avendo conseguenze del
tutto peculiari sul rischio di impresa, è probabilmente destinato a non inasprire le condizioni di costo e di
disponibilità di altre forme di finanziamento.
Di seguito vengono descritti, seppur in maniera non esaustiva, alcuni strumenti finanziari ibridi che potrebbero essere utilizzati accanto alle tradizionali forme di finanziamento.
Mezzanine finance
Il mezzanine finance (debito mezzanino) è una forma intermedia di finanziamento che sembra poter contribuire
allo sviluppo delle PMI italiane. Il termine mezzanine finance viene utilizzato per identificare un insieme di strumenti di finanziamento di natura intermedia tra il capitale proprio ed il capitale di debito. Si tratta di una categoria
alquanto eterogenea dato che gli strumenti ivi inclusi possono presentare caratteristiche anche sostanzialmente
differenti tra loro.
Originariamente questi strumenti hanno trovato applicazione nel mercato anglosassone per la realizzazione di
operazioni di finanza straordinaria (acquisizioni, ristrutturazioni aziendali).
Le principali caratteristiche di un finanziamento “mezzanino” sono rappresentate da due elementi:

la natura subordinata del debito negoziato dall’impresa;

la previsione di una remunerazione in favore del creditore determinata, in buona misura, ricorrendo al
meccanismo dell’equity kicker17.
Il primo elemento si sostanzia nella concessione di un finanziamento a medio-lungo termine subordinato rispetto
ai debiti senior, cioè quelli ricollegabili ad operazioni di prestito con banche e con altri istituti finanziari e garantite
dalle attività aziendali.
La subordinazione può essere completa o parziale. Nel primo caso viene previsto che il creditore subordinato
sia in una posizione di inferiorità nei confronti di un solo specifico creditore senior, mentre nel secondo caso il
creditore junior è subordinato rispetto a tutti i creditori senior dell’impresa finanziata, inclusi i soggetti che apporteranno in futuro risorse finanziarie.
La clausola di subordinazione ha modo di incidere su diversi momenti della relazione creditizia.
Un primo impatto si osserva durante il periodo contrattuale del finanziamento, di norma compreso tra i quattro e
i dieci anni.
L’impresa nel corso di questo periodo deve corrispondere soltanto gli interessi maturati sul prestito subordinato,
calcolati in base ad un tasso fisso oppure indicizzato ad un parametro di mercato, mentre il capitale è oggetto di
rimborso soltanto una volta estinto il debito senior.
Nell’ambito di questo schema si possono però osservare differenti configurazioni contrattuali. Una prima è quella
dello zero coupon, che non prevede alcun pagamento a carico dell’impresa prima della scadenza contrattuale,
in quanto la remunerazione per il finanziatore è determinata dallo scarto tra il valore di rimborso e l’importo inizialmente concesso.
------------------------------------------17
Note economiche del Centro Studi di Confindustria, L’industria italiana protagonista della ripresa, supplemento n. 2/2007.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Una seconda forma è quella che viene definita stepped interest, incentrata sul pagamento periodico di flussi di
interessi computati inizialmente ad un tasso inferiore a quello di mercato, in seguito calcolati ad un tasso pari a
quello di mercato e, nella fase conclusiva del finanziamento, ad un tasso più elevato rispetto a quello di mercato.
Una terza forma di debito subordinato è infine quella definita pik debt, contraddistinta dal pagamento degli interessi non in forma monetaria, ma tramite l’incremento del valore nominale del debito sul quale gli stessi vengono
computati.
Un secondo impatto generato dalla condizione di subordinazione si manifesta poi nell’eventualità di liquidazione
dell’impresa finanziata. In questo caso i diritti patrimoniali dei creditori junior vengono soddisfatti soltanto in modo residuale, vale a dire una volta soddisfatti i creditori senior.
Passando all’esame del secondo elemento distintivo del prestito mezzanino, ossia la presenza del meccanismo
dell’equity kicker, si nota come esso consista nella possibilità concessa al finanziatore di beneficiare di un eventuale incremento nel valore di mercato dell’impresa finanziata. Ciò può essere realizzato secondo differenti modalità.
Ad esempio si può prevedere di assegnare al creditore un quantitativo di azioni dell’impresa al raggiungimento
di prefissati valori del suo capitale economico. Alternativamente, si può riconoscere al finanziatore la titolarità di
strumenti finanziari che gli consentono di esercitare il diritto all’acquisizione di detti titoli ad un prezzo concordato, in modo tale da soddisfare le sue attese di remunerazione. Un’ultima modalità prevede che, alla scadenza
contrattuale, il creditore riceva una remunerazione in contanti, commisurata alla variazione che viene osservata
nel valore del capitale economico dell’impresa debitrice.
In tutti questi casi è comunque evidente che il rendimento associato alla concessione di un prestito mezzanino
dipende sia dal flusso di interessi che viene corrisposto al creditore nel corso della durata del contratto, sia dal
guadagno in conto capitale generato dal meccanismo dell’equity kicker.
Infine, a seguito della posizione contrattuale riconosciuta ai creditori junior, la concessione di un prestito mezzanino dipende di solito dall’assenso del prenditore a talune clausole contrattuali (covenants) fissate dal finanziatore in modo tale da monitorare l’evoluzione della gestione dell’impresa nel corso della durata della relazione finanziaria.
È abbastanza comune specificare nell’ambito del contratto talune delle seguenti condizioni:

la necessità di richiedere l’autorizzazione ai creditori subordinati per realizzare operazioni di finanza
straordinaria, nella forma dell’acquisizione di altre imprese ovvero della cessione dell’attività in essere;

il divieto di pagare dividendi in assenza del consenso dei creditori subordinati;

l’obbligo di rispettare condizioni minime di capitalizzazione e di liquidità.
A partire dallo schema contrattuale descritto in precedenza, di recente si sono diffusi in Europa strumenti di finanziamento con caratteristiche assimilabili a quelle del mezzanino tradizionale, anche se contraddistinti da taluni adattamenti dovuti alla loro destinazione e a più generali finalità di copertura del fabbisogno finanziario aziendale. Più precisamente, si tratta di strumenti che non si ricollegano necessariamente ad operazioni di finanza
straordinaria, che non mostrano dunque alcun nesso con un debito primario (senior) e, spesso, non prevedono
la richiesta di alcuna garanzia collaterale.
Questi prestiti prevedono, infatti, condizioni di subordinazione rispetto all’insieme delle posizioni debitorie
dell’impresa in caso di fallimento e il rimborso a termine, vincolando l’erogazione, ancora una volta, all’assenso
del prenditore a talune clausole contrattuali imposte dal creditore. Il vantaggio derivante dal ricorso a queste
forme di finanziamento mezzanino è rappresentato dalla possibilità, che viene concessa all’impresa, di incrementare la leva finanziaria, senza modificare l’esposizione al rischio di default per gli intermediari creditizi che si
limitano ad erogare finanziamenti tradizionali. Da ciò consegue che l’impresa non subisce variazioni nelle condizioni di accesso ai finanziamenti di tipo tradizionale usualmente impiegati.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che la successione delle uscite monetarie generate da un prestito mezzanino consente una efficace copertura delle esigenze finanziarie, dovute a progetti di investimento che non sono destinati
a produrre alcun flusso positivo almeno nel breve periodo, senza dover modificare l’assetto proprietario aziendale, tramite l’immissione di nuovo capitale proprio.
Si riporta di seguito, uno schema tipo di un’operazione di mezzanine finance (Tavola 8).
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Tavola 8 – Enterprise value 100
Equity 30
Mezzanine 10
Senior debt 60




Alto rischio
Alto rendimento
Upside illimitato
Nessuna garanzia




Alto rischio
Alto rendimento
Upside limitato
Garanzie di secondo livello




Basso rischio
Basso rendimento
No upside
Garanzie di primo livello
Fonte: Mezzanine Monitor 2007, Incisive Media
In prospettiva, la possibilità che questi strumenti possano essere maggiormente utilizzati dalle imprese italiane,
sembra ricollegabile anche alla presenza nel nostro ordinamento dell’istituto del leveraged buy-out (Tavola 9)
che consiste nell’acquisire aziende mediante lo sfruttamento della loro capacità di indebitamento. Nell’ambito di
queste operazioni, il ricorso al debito mezzanino è infatti molto frequente in altri contesti di mercato.
Si riporta di seguito lo schema tipico di un’operazione di leveraged buy-out.
Tavola 9 – Operazione di leverage buy-out
1. A vuole acquistare B
3. A utilizza il finanziamento di C per acquistare B
Società B
- Target-
Società A
- Newco-
4. B garantisce il finanziamento ricevuto da A
(garanzie reali)
Società C
Banca - Investment
Bank
6. Rimborso del finanziamento erogato ad A con il proprio
cash flow e/o con i propri beni
5. B avvia un progetto di
fusione con A
Società D
Fusione tra
AeB
Obbligazioni convertibili
Le obbligazioni convertibili sono strumenti finanziari, che oltre ad avere le caratteristiche proprie di tutte le obbligazioni (tasso di interesse fisso, durata e modalità di rimborso), conferiscono al loro possessore la facoltà di
trasformare l’investimento obbligazionario in investimento azionario.
È possibile affermare, in termini più generici, che le obbligazioni convertibili sono una via di mezzo tra le obbligazioni e le azioni. Essendo uno strumento finanziario a metà tra i due strumenti sopra citati, essi renderanno un
po’ meno delle obbligazioni e delle azioni, quando il mercato sale, ma perderanno meno quando il mercato
azionario scende.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Le obbligazioni convertibili si distinguono in:

obbligazioni totalmente convertibili;

obbligazioni parzialmente convertibili.
Per le prime è prevista la trasformazione in azioni dell’intero valore nominale, mentre per le seconde, è prevista
la trasformazione in azioni solo per una parte del valore nominale, essendo stabilito il contemporaneo rimborso
della restante parte del valore nominale18.
Nel regolamento di un prestito obbligazionario convertibile sono indicati il valore nominale, il prezzo di emissione, il
tasso di interesse e le modalità di pagamento delle cedole.
Per quanto concerne il prezzo di emissione, questo non potrà mai essere inferiore al prezzo di rimborso. Ovvero, l’obbligazione convertibile non potrà mai essere emessa sotto la pari.
In riferimento al tasso di interesse, invece, questo sarà inferiore al tasso di interesse di obbligazioni simili emesse
dalla stessa società, ma che non possiedono il diritto di conversione. Questo è l’onere o costo a carico
dell’obbligazionista convertibile per disporre della facoltà di conversione.
È opportuno precisare che le obbligazioni convertibili, se convertite, danno luogo ad un aumento di capitale sociale. Pertanto, questi strumenti verranno offerti in prelazione agli azionisti della società le cui azioni sono oggetto di conversione19. Se l’azionista non intendesse sottoscrivere tali obbligazioni, egli può cedere il diritto di prelazione ad una terza persona contro il versamento di un corrispettivo in denaro.
Nelle obbligazioni convertibili è molto importante l’individuazione del tempo in cui può aver luogo la conversione;
ovvero l’intervallo di tempo durante il quale è possibile convertire in azioni le proprie obbligazioni. È fondamentale, infatti, individuare la scelta del momento opportuno in cui convertire le proprie obbligazioni, proprio per la variabilità del valore delle azioni stesse.
Le azioni di compendio delle azioni convertibili possono essere azioni detenute in portafoglio oppure azioni nuove di futura emissione, la cui emissione dipenderà dalle richieste di conversione che verranno a suo tempo presentate.
In Italia questi strumenti finanziari non hanno riscosso molto successo tra le imprese. Tuttavia le obbligazioni
convertibili possono essere convenienti per le società emittenti perché, da un lato consentono di versare un tasso di interesse inferiore alle proprie obbligazioni simili o al costo del denaro preso in prestito da un intermediario
creditizio, dall’altro lato la società emittente non dovrà rimborsare il prestito in denaro, ma in azioni e, quindi,
avrà effettuato un aumento di capitale.
Obbligazioni cum warrant
L’obbligazione cum warrant si presenta come un titolo complesso formato dall’obbligazione ordinaria (che
svolge il ruolo di strumento finanziario principale) e del warrant (che svolge il ruolo di diritto accessorio).
Per via della scorporazione20 dell’obbligazione dal warrant, possono coesistere diverse figure di investitore:

il possessore dell’obbligazione provvista di warrant;

il possessore dell’obbligazione priva del warrant ed il possessore del warrant.
In relazione alla natura delle azioni di compendio, si distingue il tipo di facoltà connesso all’esercizio del warrant
in:

facoltà di acquisto quando le azioni di compendio sono già in circolazione;

facoltà di sottoscrizione quando le azioni di compendio sono di nuova emissione.
Le obbligazioni cum warrant differiscono dalle obbligazioni convertibili anche nella modalità di esercizio.
Infatti, per le obbligazioni cum warrant, al momento dell’esercizio del warrant, viene richiesto un esborso di denaro ulteriore, che va ad aggiungersi all’investimento iniziale. Nel caso delle obbligazioni convertibili, invece, non
vi era alcun nuovo esborso.
-------------------------------------------
18
M. Anolli - A. Banfi - F. Di Pasquali - L. Filippa - P. Gualtieri - G. Sabatini, I mercati e gli strumenti finanziari, Torino, Utet, 2001, pagg. 185193.
19
Tale disposizione è contenuta nel primo comma dell’art. 2441 c.c. che così recita: «le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero di azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili il diritto
di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio».
20
M. Anolli - A. Banfi - F. Di Pasquali - L. Filippa - P. Gualtieri - G. Sabatini, I mercati e gli strumenti finanziari, Torino, Utet, 2001: «Al momento della conversione può tuttavia accadere che sia richiesto all’obbligazionista un esborso in denaro a titolo di rimborso delle spese di
emissione delle azioni di compendio, oppure quale conguaglio per ottenere dalla conversione un numero intero di azioni, altrimenti non conseguibile a causa di sopraggiunte modifiche al rapporto di conversione».
158
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Il vantaggio principale di acquistare un’obbligazione cum warrant è che questa è un’obbligazione ordinaria e,
quindi, può essere emessa sotto la pari. In più, le obbligazioni cum warrant non devono essere sottoscritte, in
prima emissione, dagli azionisti della società emittenti le azioni di compendio.
Obbligazioni di partecipazione
Le obbligazioni di partecipazione (income bonds) rappresentano una categoria intermedia tra obbligazioni ed
azioni ma non danno la possibilità, come accade con le obbligazioni convertibili, di acquisire opzionalmente lo
status di azionista.
Solitamente il rendimento è per una parte fisso e per una parte variabile secondo i parametri della redditività
aziendale e quindi in funzione degli utili conseguiti dall’emittente. Circa la determinazione di tale rendimento variabile, esso normalmente si estrinseca in una percentuale di utili in pre-deduzione dai dividendi distribuibili agli
azionisti, ovviamente dopo l’accantonamento alla riserva legale.
In altri casi l’entità degli utili viene assunta come parametro per la determinazione della parte di rendimento variabile e la conseguente corresponsione è imputata come un costo finanziario e quindi non prelevata dagli utili in
distribuzione.
Azioni privilegiate
Le azioni privilegiate (preferred stock) sono una particolare categoria di titoli azionari che conferiscono ai titolari
“privilegi” in termini di ripartizione degli utili e/o nel rimborso del capitale in caso di scioglimento della società.
Il privilegio nella ripartizione degli utili può tradursi nel diritto a ricevere una certa quota dell’utile distribuibile prima
che sia assegnato il dividendo delle azioni ordinarie.
Esistono inoltre azioni privilegiate che consentono un dividendo cumulabile e quindi, entro un certo numero di
anni, il recupero dei dividendi non corrisposti in precedenza per mancanza od insufficienza di utili.
Inoltre, le azioni privilegiate possono prevedere dei privilegi per ciò che concerne il rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società. Al verificarsi di questa eventualità, può essere, ad esempio, previsto il
diritto di prelazione nel rimborso del capitale o il diritto al rimborso di una somma maggiorata rispetto a quella
prevista per le azioni ordinarie.
L’entità dei privilegi di carattere patrimoniale, cui ha diritto l’azionista, sono determinati dalla società ed opportunamente esplicitati all’interno dello statuto.
A fronte dei suddetti diritti patrimoniali, le azioni privilegiate possono presentare limitazioni al diritto di voto21. Non
di rado, infatti, le azioni privilegiate attribuiscono all’azionista il diritto di partecipare alle assemblee straordinarie,
ma non a quelle ordinarie. Nell’eventualità in cui le azioni privilegiate conferiscano al titolare il pieno diritto di voto, queste prendono il nome di “azioni preferenziali”.
L’emissione di azioni privilegiate, ma con diritto di voto alle sole delibere dell’assemblea straordinaria, viene
promossa da quei gruppi di comando che volendo aumentare il capitale, non vogliono vedere pregiudicato il
proprio controllo sulla società. La facoltà di emettere azioni a voto limitato è concessa nella percentuale massima del 50% del capitale sociale.
Le azioni privilegiate, al pari delle azioni ordinarie, sono azioni nominative.
Azioni di risparmio
Le azioni di risparmio sono dei titoli che godono di privilegi di natura patrimoniale (nella distribuzione degli utili e
nel rimborso del capitale), ma sono prive del diritto di voto sia nelle assemblee.
Sono state introdotte nell’ordinamento giuridico italiano con la legge n. 216 del 7 giugno 1974, e hanno subito
notevoli modifiche nella disciplina che le regolamenta che trova oggi la sua principale fonte negli artt. 145-147
del TUIF (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modifiche con d.l. n. 69 del 21 giugno 2013,
convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013 e legge n. 97 del 6 agosto 2013.).
Rispetto all’originario impianto che prevedeva in modo analitico contenuto e misura minima dei privilegi che dovevano essere inderogabilmente riconosciuti alle azioni di risparmio, la riforma del 1998 ha cancellato la rigida
disciplina dei privilegi patrimoniali, limitandosi a prevedere che tali azioni sono “dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale” e che l’atto costitutivo determina “ il contenuto del privilegio, le condizioni, i limiti, le modalità e
------------------------------------------21
Si veda l’art. 2351 c.c.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
i termini per il suo esercizio”, nonché i diritti spettanti alle azioni di risparmio in caso di esclusione dalla quotazione delle azioni ordinarie o di risparmio (art. 145, secondo comma TUIF).
Gli azionisti di risparmio non hanno diritto di partecipare alle assemblee sociali, neanche a titolo di pura informazione personale. Per conto loro vi partecipa invece il rappresentante comune dell’assemblea degli azionisti di
risparmio, fra i cui compiti vi è quello fondamentale di tutelare i loro interessi22.
A fronte delle limitazioni poste all’esercizio del diritto di voto e di intervento, la legge stabilisce che le azioni di risparmio beneficino di un trattamento economico privilegiato.
In primo luogo, le azioni di risparmio, a differenza delle altre categorie di azioni, possono essere al portatore, a
meno che non appartengano ad amministratori, sindaci o direttori generali della società emittente: il loro trasferimento si perfeziona pertanto con la semplice consegna del titolo, senza che nessun’altra registrazione venga
richiesta.
In secondo luogo, garantiscono dividendi superiori rispetto alle azioni ordinarie e, in caso di perdite della società
che rendano necessaria la riduzione del capitale sociale, con conseguente riduzione del valore delle azioni in circolazione, il valore di quelle di risparmio verrà intaccato soltanto quando risulterà completamente annullato il valore di tutte le altre categorie di azioni.
Le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società quotate in mercati regolamentati italiani o
dell’Unione Europea e possono essere nominative o al portatore.
Le azioni di risparmio in circolazione, con le altre azioni a voto limitato, non possono superare il limite del 50%
del valore nominale del capitale sociale.
Il dividendo viene tassato direttamente alla fonte dalla banca, con una trattenuta pari al 20%.
Peraltro, dal punto di vista della società, un dividendo elevato distribuito agli azionisti, corrisponde ad un costo
elevato e, in un periodo di tassi d’interesse bassi, le aziende potrebbero preferire il ricorso al finanziamento bancario.
Dal punto di vista dell’azionista la scelta di acquistarle è gestionale e di valorizzazione strategica del portafoglio
nel medio termine. Questo perché consentono una buona diversificazione del portafoglio, presentano una volatilità inferiore alle ordinarie e sono spesso difensive, in quanto, in periodi di calo dei corsi, presentano deprezzamenti meno accentuati.
Obbligazioni ad alto rendimento
Le obbligazioni ad alto rendimento sono titoli di debito classificati dalle agenzie di rating internazionali con giudizi di “BB” o inferiori. Man mano che si scende lungo la scala dei rating, maggiore è il rischio di insolvenza
dell’emittente e, di norma, più elevato è il rendimento offerto.
Questi titoli rientrano quindi nella fascia meno sicura, ma più redditizia, del comparto obbligazionario.
I titoli ad alto rendimento possono essere emessi non solo dalle singole società ma anche dai governi ed il motivo del loro maggior rendimento risiede nel fatto che gli emittenti sono considerati a maggior rischio di insolvenza.
La differenza di rendimento con i titoli free-risk dipende da molte situazioni, in particolare dall’avversione al rischio del mercato in un determinato momento. All’interno dei titoli ad alto rendimento, poi, ci sono molte differenze tra un emittente e l’altro.
In alcuni casi, il mercato giustamente considera un emittente rischioso, ma in altri, lo fa per motivi di instabilità
storica che poco hanno a che vedere con la situazione attuale. La vera discriminante quindi nella classificazione
delle obbligazioni societarie è rappresentato dal livello di rating, che ricordiamo offre una indicazione sul livello di
affidabilità dell’emittente.
I principali vantaggi per gli investitori possono consistere:

i rendimenti elevati possono migliorare il loro reddito attuale: il premio di rendimento è particolarmente allettante durante i periodi caratterizzati da un declino dei tassi di interesse;

potenziale di apprezzamento del capitale: eventi positivi relativi all’economia, all’industria o alla società
emittente possono ricompensare gli investitori con aumenti del prezzo delle obbligazioni ad alto rendimento. Questi eventi comprendono miglioramenti dei rating, conti profitti e perdite migliori, fusioni o acquisizioni, sviluppi positivi del prodotto o eventi legati al mercato;
-------------------------------------------
22
M. Anolli - A. Banfi - F. Di Pasquali - L. Filippa - P. Gualtieri - G. Sabatini, I mercati e gli strumenti finanziari, Torino, Utet, 2001, pagg. 200203.
160
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento

sicurezza: se una società viene liquidata, solitamente gli obbligazionisti hanno la precedenza, rispetto agli
azionisti, sulla struttura del capitale della società stessa e devono essere pagati per primi;

diversificazione del rischio del portafoglio: le obbligazioni ad alto rendimento vengono spesso considerate
una classe di asset separata, con caratteristiche diverse rispetto a quelle degli altri titoli;

prestazione del rendimento totale: le prestazioni del “rendimento totale” delle obbligazioni ad alto rendimento comprendono i cambiamenti di prezzo e il reddito da interessi che viene reinvestito.
Prima di investire in obbligazioni ad alto rendimento è opportuno comprendere i rischi ad esse associati, quali ad
esempio:

il rischio di credito: la potenziale di perdita derivante da un deterioramento effettivo o percepito del benessere finanziario della società emittente;

rischio di inadempimento: quando una società non riesce a pagare gli interessi o il capitale a un obbligazionista così come programmato e specificato nel contratto di emissione o contratto fiduciario;

rischio di declassamento: il declassamento avviene quando le agenzie abbassano il proprio rating su
un’obbligazione: un esempio può essere il passaggio del rating di Standard & Poor’s da B a CCC;

il rischio del tasso di interesse: dato che i prezzi di tutte le obbligazioni negoziate sul mercato variano in
modo indirettamente proporzionale ai tassi, un aumento di questi ultimi comporta un declino dei prezzi
dei bond;

il rischio di liquidità;

il rischio economico: relativo alla vulnerabilità di un’obbligazione alle svolte sfavorevoli dell’economia.
 9.3 Gli interventi sul capitale circolante
L’attenzione riservata dalle imprese al capitale circolante è molto minore rispetto a quella dedicata alle problematiche connesse al capitale fisso. Le cause sono sostanzialmente riconducibili alla scarsa visibilità di un investimento che si modifica continuamente in conseguenza di decisioni prese in ambiti operativi diversi.
Mentre una decisione di investimento in capitale fisso ha una visibilità immediata, rappresentando un momento
di discontinuità nella vita dell’azienda, le decisioni concernenti il capitale circolante maturano – e non sempre
consapevolmente – con maggior continuità e in una pluralità di ambiti operativi.
Occorre però sottolineare come il circolante in realtà gioca un ruolo determinante sugli squilibri economicofinanziari complessivi della gestione, sia sul fronte della redditività, essendo un investimento dal quale ci si attende un ritorno, sia su quello dell’equilibrio finanziario a breve, in quanto espressione strutturale della solvibilità a
breve e componente del flusso monetario dell’esercizio.
Soprattutto nella fase di avvio dell’impresa occorre identificare i potenziali fattori finanziari di ostacolo alla crescita dell’impresa, individuando i vincoli istituzionali e quelli imputabili al rapporto con i finanziatori esterni (principalmente con il settore bancario).
In verità, tali vincoli giocano un ruolo differente a seconda che si considerino la fase di avvio, la fase di crescita
ovvero la fase di maturità/stabilità dell’impresa.
La presenza di vincoli finanziari che variano nelle diverse fasi spiegherebbe l’evoluzione della struttura finanziaria.
Dal punto di vista del rapporto con i finanziatori esterni, nella fase di avvio i vincoli finanziari sono stringenti: la
capacità di raccolta dei fondi esterni è scarsa e dovuta alla presenza di forti asimmetrie informative, in quanto
l’impresa appena costituita non ha una reputazione affermata presso i finanziatori, né risorse accumulate sufficienti a fornire opportune garanzie.
L’autofinanziamento (nella forma di capitale iniziale di dotazione e di flussi di cassa generati dalla gestione) dovrebbe quindi coprire la quasi totalità del finanziamento, ma molto spesso, soprattutto nella fase storica attuale,
difficilmente ciò si realizza.
Gli stessi problemi informativi spiegherebbero il ruolo importante che svolge il credito commerciale nella fase di
vita iniziale dell’azienda.
Infatti, è opportuno evidenziare come i fornitori abbiano di fatto vantaggi informativi rispetto agli intermediari finanziari nel valutare la solvibilità dell’impresa. Essi sono in grado di risolvere più facilmente problemi di incentivazione e hanno un potere di controllo maggiore rispetto agli altri intermediari in termini di minaccia alle forniture
future.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Inoltre, il credito commerciale attenuerebbe il rischio durante le fasi di restrizione del credito. Esso è tuttavia una
fonte di finanziamento piuttosto costosa e spesso le imprese tendono spesso a ridurre la dipendenza dai fornitori.
L’investimento in crediti commerciali è determinato dall’entità delle vendite a credito e dalla dilazione di pagamento che l’azienda concede alla clientela.
Le ragioni che solitamente inducono un impresa a concedere credito non differiscono, in ultima analisi, da quelle
che la inducono a intraprendere un qualunque altro impegno di capitale: ottenere dall’investimento un “ritorno
soddisfacente”.
La gestione del credito commerciale è dunque finalizzata a verificare, a preventivo e a consuntivo, che
l’investimento in crediti sia remunerativo e, nello stesso tempo, compatibile con i vincoli di equilibrio finanziario
globale, in specie con le esigenze di tutela della liquidità.
Attraverso un processo di programmazione e di controllo finanziario che consideri la globalità dei flussi monetari.
Le valutazioni di redditività godono invece di maggior autonomia e possono pertanto essere riferite a impieghi
specifici, tra cui, nella fattispecie, i crediti commerciali.
Attraverso tali valutazioni l’azienda si propone di verificare fino a che punto l’incremento del margine delle vendite, conseguente ad un ampliamento del credito concesso, superi i costi concessi ad un maggior volume dello
stesso.
Nel perseguire tale finalità l’azienda deve darsi delle regole di comportamento che governino il processo di gestione del credito commerciale e dotarsi degli strumenti operativi che ne consentano l’attuazione ed il controllo.
Ciò significa, da un lato, definire le politiche del credito; dall’altro, disegnare le procedure ed i meccanismi necessari a garantire, ai vari livelli decisionali, il rispetto delle politiche precedentemente definite.
In primis, l’azienda deve suddividere la clientela in fasce omogenee che giustifichino dal punto di vista strategico
ed operativo un approccio differenziato, dopodiché deve definire per ciascuna di esse le condizioni contrattuali
di pagamento23 in termini di:

dilazione nominale24;

alternativa dilazione-sconto25;

condizioni accessorie.
Una volta che l’azienda avrà definito le condizioni contrattuali, di cui sopra, dovrà procedere a scegliere un mix
di forme di pagamento, opportunamente differenziate in base alla tipologia della clientela, che presenti i requisiti
meglio rispondenti alle proprie esigenze di gestione del credito e della tesoreria.
Altre condizioni accessorie possono, inoltre, consistere nella specificazione del luogo di pagamento (utile per razionalizzare la canalizzazione degli incassi e agevolare, in tal modo, sia le azioni di recupero del credito, sia il governo dei flussi di tesoreria) e nella presenza di clausole particolari.
È il caso, ad esempio, della cosiddetta “decorrenza” cioè dell’intesa di far decorrere i termini di pagamento a
partire da una certa data, posteriore alla vendita; si tratta di una prassi tipica dei settori nei quali l’azienda venditrice, operando per “campagne di vendita”, ha necessità di acquisire ordini con largo anticipo, e nello stesso
tempo, di ridurre le scorte.
 9.3.1 La redditività globale dell’investimento in crediti
Le decisioni connesse alla concessione di credito debbono essere sottoposte ad una valutazione di convenienza economica che consenta di apprezzare la redditività di politiche alternative e, in particolare, di una variazione
in termini medi di pagamento concessi alla clientela.
------------------------------------------23
Sulle condizioni di pagamento si veda R.A. Hill, Terms of sale. Theory and Practice, in “European Journal of Marketing”, n. 2, 1989.
Le dilazioni di pagamento rappresentano, infatti, per il cliente una forma di finanziamento senza costo esplicito e determinano, di fatto, una
riduzione del prezzo indicato in fattura che può agire da incentivo sulla quantità domandata. Si noti che il beneficio legato a tale riduzione non è
uguale per tutti i clienti, ma dipende dal loro costo del capitale. La riduzione di prezzo è, infatti, pari a P x (r x T / 365) dove P è il prezzo di vendita concordato; T è la dilazione nominale di pagamento; r è il costo del capitale per la classe di clientela considerata. Da tale relazione si evince
che, a parità di dilazione (T) concessa, il vantaggio per il cliente di comprare a credito sarà tanto maggiore quanto più r è elevato. La consapevolezza dell’esistenza di un simile nesso può essere utile all’impresa nell’impostare le proprie politiche del credito, cioè per fissare termini di pagamento differenziati per fasce omogenee di clientela. L’azienda dovrà quindi effettuare una valutazione della convenienza economica che ponga
in relazione il margine sulle vendite con il costo dell’investimento in crediti.
25
Consiste nell’opportunità offerta al cliente di usufruire interamente della dilazione concessa oppure di anticipare il pagamento godendo, in
tal caso, di uno sconto. In tale caso è opportuno che l’azienda effettui una valutazione dell’opportunità economica, sulla base del confronto
tra il costo dello sconto (% su base annua) e il costo del capitale per l’azienda.
24
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
Nel caso, ad esempio, si debba valutare l’opportunità di ampliare le dilazioni di pagamento, l’azienda deve domandarsi se i riflessi attesi in termini di aumento delle vendite sono tali da superare i costi incrementali ad esso
associati, sia quelli di produzione e vendita, sia quelli più direttamente connessi con l’investimento in crediti. La
valutazione di convenienza economica di una data politica del credito può essere impostata seguendo un approccio finanziario, analogo a quello utilizzato nelle decisioni di investimento in capitale fisso, oppure un approccio economico-contabile26.
Nel primo caso si determina il VAN dei flussi monetari incrementali determinati dalle decisioni sul credito oggetto
di valutazione.
Il secondo approccio si basa sul calcolo della redditività incrementale della politica del credito in esame e sul suo
confronto con il costo del capitale.
Si noti che stiamo parlando di redditività incrementale. Come per ogni altro tipo di decisione si tratta, infatti, di
porre a confronto due o più alternative (rappresentate, nella fattispecie, da politiche di credito diverse) evidenziando, secondo la logica differenziale, gli elementi economici di differenza in termini di ricavi, costi e capitale investito. L’obiettivo è di pervenire a un indice della redditività incrementale della politica oggetto di valutazione
così configurato:
Reddito incrementale / Investimento incrementale
Assumono un ruolo fondamentale le modalità per calcolare sia il numeratore che il denominatore di tale rapporto.
La stima del reddito incrementale richiede una valutazione delle conseguenze che la nuova politica del credito
avrà in termini di:

vendite e relativi margini;

rischio di insolvenza della clientela, misurato dal costo delle perdite sui crediti;

oneri concessi con la gestione amministrativa del credito, misurati dai costi amministrativi del credito.
A sua volta, l’investimento incrementale sarà misurato dal maggiore (o minore) impiego in crediti alla clientela
imputabile al mutamento di politica.
Un metodo alternativo per giudicare la convenienza a modificare le proprie scelte sul credito consiste nel calcolare il reddito residuale della nuova politica. Tale procedura, del tutto equivalente a quella appena esaminata,
consiste nel determinare il costo del capitale investito in crediti e pervenire ad una misura del reddito incrementale che sia al netto di tale componente.
La convenienza di una data politica di credito risulta verificata quando:

la redditività dell’investimento in crediti è superiore al costo del capitale; oppure

il reddito residuale è maggiore di zero.
Una volta fissate le condizioni di pagamento per segmento di clientela, l’azienda deve valutare i singoli clienti per
decidere “a chi?” concedere il credito e “per quanto tempo?”.
Occorre valutare, in particolare, alcune tipologie di rischio, quali:

il rischio di insolvenza del cliente;

il rischio di ritardato pagamento;

il rischio del mancato affidamento di un cliente solvibile.
Poiché ciascuna delle situazioni prospettate ha un costo, che va dalla perdita su crediti alla perdita di margine
sulla mancata vendita, l’impresa deve tracciare delle linee guida per meglio definire l’entità del credito concedibile e fissare regole concernenti:

l’esposizione massima accettabile per singolo cliente;

il fido massimo concedibile a vari livelli organizzativi, dal responsabile commerciale, al credit manager,
all’alta direzione;

l’individuazione dei clienti a fido limitato.
Tuttavia, il problema principale riguarda la definizione di regole per apprezzare la qualità del singolo cliente e
orientare di conseguenza la decisione sull’opportunità o meno di vendere credito. Si tratta di predefinire delle
------------------------------------------26
M. Dallocchio, La valutazione dell’investimento in credito commerciale, in “Finanza, Marketing e produzione”, n. 4, 1986, cap. 8; e G.
Brunetti - L. Olivotto, Il controllo del capitale circolante, Torino, Utet, 1982, pagg. 54 e segg.
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Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento
“soglie di rischio” che agevolino la decisione di affidamento in relazione a come il cliente si posiziona rispetto ad
esse.
Altro aspetto di notevole rilevanza è relativo al controllo dell’esposizione in crediti. La gestione del credito commerciale deve essere sottoposta a controllo attraverso un sistema di reporting che consenta sia di verificare il
rispetto delle politiche di credito a livello globale (reporting direzionale del credito), sia la posizione del singolo
cliente affidato (reporting operativo del credito).
Gli aspetti che formano oggetto di controllo riguardano tipicamente il rispetto delle dilazioni contrattuali di pagamento; l’entità delle perdite su crediti; il rispetto degli strumenti di pagamento concordati, sia per l’azienda nel
suo complesso, sia per i segmenti rilevanti.
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
 10. Private equity e borsa: aprire le porte della
propria azienda
Fabrizio Micozzi
La vita è meravigliosa, se non se ne ha paura.
Tutto quel che ci vuole è coraggio, immaginazione... e un po’ di soldi.
Charlie Chaplin, in Luci della ribalta, 1952
 10.1 Premessa
Nel paradiso europeo del capitalismo familiare, oltre al problema della successione, se ne pone sovente un altro:
come finanziare la crescita aziendale?
Un autentico salto di mentalità (Tavola 1) gira in effetti attorno all’eterno dilemma dell’aprire o meno le porte della
propria azienda ad un partner esterno oppure se andare a trovare le risorse necessarie sui mercati finanziari,
partendo dall’assunto che, in ogni caso, “un affare in cui si guadagna solo del denaro non è un affare” (Henry
Ford).
Tavola 1 – Il dilemma dell’imprenditore
Finanziare
la crescita


Ricerca di maggior capitale proprio
Sempre minori fonti di finanziamento a debito
Salto
di mentalità

Dilemma: “aprire o no l’azienda di famiglia a forze esterne?”
In entrambi i casi – ingresso di un fondo di private equity o quotazione in Borsa – siamo di fronte ad opzioni che
sovente non rientrano nel patrimonio genetico delle nostre PMI ed anzi sembrano mondi antinomici rispetto al
sistema Italia, fatto di eccellenze ma anche denso di gelosie e conservatorismi, molto concentrato sul tema del
controllo diretto – a tutti i costi – del timone aziendale e non tanto sulla crescita del sistema azienda ed imperniato su logiche sane di dialettica tra un management esterno ed uno strutturato assetto proprietario.
Il futuro economico dell’Italia sarà in gran parte plasmato dallo spirito di imprenditorialità e dall’assunzione del
rischio.
Le difficoltà che le piccole e medie imprese incontrano nel reperimento delle risorse economiche, necessarie per
l’avvio e lo sviluppo dell’attività, sono da collegarsi a molteplici ragioni, per lo più note e analizzate da numerosi
operatori. Dimensione aziendale ridotta, capacità di espansione circoscritta, limitata innovazione, sottocapitalizzazione e ricorso all’indebitamento a breve, complicazioni nell’approccio con il mondo finanziario: sono questi
solo alcuni dei principali nodi critici, che peraltro accomunano l’intero sistema Italia. Mentre le poche grandi imprese, dotate di visibilità su scala nazionale e, in alcuni casi, internazionale, godono di una relativa facilità nel reperimento dei capitali presso la propria compagine sociale, il sistema creditizio ed anche il pubblico dei risparmiatori, le PMI, anche sulla scorta di un’onda lunga della crisi finanziaria sistemica, incontrano invece sensibili
difficoltà nel finanziare i propri investimenti, a causa dell’esigua consistenza della propria compagine sociale e
della sostanziale necessità di rivolgersi al sistema creditizio per acquisire capitali, con la conseguente necessità
di fornire all’ente finanziatore garanzie di tipo reale o personale.
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Tavola 2 – Il reperimento dei capitali di PMI e Grandi imprese
GRANDI IMPRESE
Reperiscono più facilmente capitali da:
- propria compagine sociale
- sistema creditizio
- pubblico dei risparmiatori
PMI
Incontrano sensibili difficoltà nel finanziarie propri
investimenti a causa:
- esigua consistenza compagine sociale
- sostanziale dipendenza dal sistema creditizio
Tale situazione riduce notevolmente il numero di imprese in condizione di ottenere un finanziamento (Tavola 3),
nonché la redditività attesa dell’investimento finanziato. Le difficoltà sono ancor maggiori per le microimprese.
L’elevata soglia di costo del capitale penalizza in larga misura imprese di dimensioni medio-piccole o molto piccole, le quali, pur in possesso del know-how necessario e di innovative intuizioni commerciali e/o produttive, non
riescono ad ottenere, quanto meno in tempo utile, i capitali necessari a finanziare investimenti diretti a inserire
l’impresa in un nuovo mercato o in una nicchia caratterizzata da elevata tecnologia o specializzazione, oppure
ad ampliare la nicchia di mercato occupata mediante l’offerta di nuovi beni e/o servizi.
Si discute spesso come le tecniche di finanziamento, tradizionalmente praticate dal sistema creditizio, non appaiano più in grado di soddisfare le esigenze di acquisizione di capitale manifestate tanto dalle PMI che dalle microimprese, in quanto presentano un elevato grado di rischio per la banca erogante, che si riverbera, come già
detto, in uno spread elevato, ed un costo, in termini monetari, temporali e contrattuali, eccessivamente oneroso
per le poche imprese finanziate – in grado di fornire le garanzie richieste – idoneo a ridurre notevolmente il tasso
di rendimento atteso dell’investimento, per il quale il finanziamento viene richiesto.
Si consideri – in tale contesto – come il tessuto economico italiano sia caratterizzato da un’assoluta preponderanza di PMI, alcune delle quali caratterizzate da una forte carica innovativa, in grado di offrire significative performances produttive e, di conseguenza, rendimenti – potenzialmente – elevati in conto capitale: tutto ciò, tuttavia, si scontra attualmente con uno scenario per certi versi devastante in cui, ad una struttura delle fonti di finanziamento già storicamente sbilanciata dal lato del debito, si affianca una scarsissima elasticità del mondo bancario in termini di disponibilità al finanziamento se non addirittura delle autentiche fasi di credit crunch.
Tavola 3 – Le difficoltà finanziarie delle PMI
Nel panorama suddetto, laddove fosse presente un mercato del venture capital più ampio ed accessibile, una
decisa apertura al private equity da parte delle PMI italiane, un mercato obbligazionario ad alto rendimento ed
un mercato dei capitali efficiente ed appetibile, l’Italia potrebbe certo offrire più opportunità agli imprenditori ed
alle aziende.
Sorge dunque una naturale domanda: “Come venir fuori da questa impasse?”.
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 10.2 L’investimento istituzionale nel capitale di rischio
Con il termine “investimento istituzionale nel capitale di rischio” (venture capital e private equity), si intende
l’apporto di risorse finanziarie da parte di operatori specializzati, tramite partecipazione al capitale azionario o
sottoscrizione di titoli obbligazionari convertibili in azioni, per un arco temporale medio-lungo, in aziende aventi
un progetto ed un serio potenziale di sviluppo.
Oltre ai mezzi finanziari, è noto come l’investitore istituzionale possa talora offrire – seppure in gradazione diversa e sovente indirettamente – know-how professionale, competenze tecnico-manageriali ed un network di contatti con vari soggetti finanziari.
Le primissime domande da porsi, da parte di un imprenditore disposto a conoscere tali possibili leve di sviluppo,
sono:

Perché cercare capitale di rischio?

Quali imprese possono valutare l’intervento di un investitore istituzionale esterno?
Le condizioni di partenza del ragionamento sono estremamente diverse tra di loro:

se l’impresa si trova nelle prime fasi della propria esistenza, probabilmente starà cercando i capitali necessari per il lancio definitivo;

se invece l’azienda è già esistente, starà valutando l’ingresso di nuove risorse per conferire ulteriore sviluppo, ma non certo per correggere squilibri in atto, per risolvere i quali esistono diversi strumenti e che
sovente – erroneamente – vengono identificati proprio in canali quali il private equity.
Pur essendo i termini – di chiara origine anglosassone – spesso usati come sinonimi, va precisato che:

il venture capital si riferisce al finanziamento dell’avvio di nuove imprese (early stage);

mentre il private equity sottende operazioni di investimento compiute in cicli di vita aziendali successivi a
quelli iniziali (later stage).
Tavola 4 – La ricerca del capitale di rischio nelle diverse fasi di vita dell’impresa
IMPRESA FASE DI AVVIO
Necessita di capitali per il lancio definitivo
Venture capital
IMPRESA GIÀ ESISTENTE
Necessita di capitali per un ulteriore
sviluppo del business
Private equity
La definizione ufficiale adottata dall’EVCA, European Venture capital Association, individua in ogni caso uno
stretto legame tra l’attività di private equity (quale apporto di capitale, da parte di operatori economici specializzati, in aziende non quotate, con l’obiettivo prevalente di realizzare un guadagno a seguito dello smobilizzo della
partecipazione acquisita entro un arco di tempo medio lungo) e quella di venture capital. Di fatto il venture capital rappresenta un segmento del private equity1.
Le operazioni suddette possono essere compiute da venture capitalist (o private equity investor), quali per
l’appunto, operatori specializzati che mediante “investimenti istituzionali nel capitale di rischio”, apportano risorse finanziarie sotto forma di partecipazione al capitale azionario o di sottoscrizione di titoli obbligazionari convertibili in azioni, per un arco di tempo medio-lungo, in aziende dotate – ed è questo il vero punto chiave – di un
chiaro e fattibile progetto e di un realistico potenziale di sviluppo. Oltre ai mezzi economici, l’investitore istituzionale – come accennato – può offrire esperienze professionali, contatti con altri enti nonché competenze tecnicomanageriali, aspetti certo rilevanti, seppur non sempre presenti con la stessa intensità e qualificazione.
Un imprenditore, o aspirante tale, che abbia un valido progetto per iniziare una nuova attività o che voglia svilupparne una già esistente o che necessiti di riorganizzare l’assetto proprietario dell’azienda o di modificarne la
struttura finanziaria, può pertanto utilmente rivolgersi ad un investitore istituzionale che, evidentemente, ha
l’obiettivo di concretizzare, nel termine prefissato, un guadagno di capitale attraverso la cessione della parteci-
------------------------------------------1
Un esempio varrà a chiarire quanto esposto: si tratterà di venture capital in senso stretto qualora i finanziamenti di operatori specializzati si
dirigano alla nascita di imprese operanti nell’E-Commerce.
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pazione acquisita (monetizzando l’aumento di valore della partecipazione): si tratta dunque di un socio temporaneo, che prima o poi dovrà alienare quanto acquistato, per realizzare il proprio obiettivo. Le modalità di intervento sono le più varie: la partecipazione può essere di minoranza o di maggioranza e quasi sempre viene effettuata
tramite un aumento di capitale o, laddove combinata con un’operazione di acquisizione di quote societarie,
quest’ultima operazione ha sovente un rilievo monetario meno rilevante rispetto all’intervento in linea di aumento
del patrimonio netto aziendale.
L’investitore partecipa comunque alle scelte strategiche dell’azienda, anche se il socio imprenditore ha autonomia – perlomeno nel private di minoranza – nella gestione operativa.
Diversamente dalle tradizionali forme di finanziamento, come il ricorso al capitale di debito, la partecipazione al
capitale di rischio necessita – o perlomeno dovrebbe necessitare – di uno stretto rapporto di collaborazione tra
l’imprenditore e l’investitore istituzionale, poiché esso condivide il rischio d’impresa ed è cointeressato al buon
andamento aziendale. Il finanziamento assegnato – molto flessibile – non prevede scadenze di rimborso né oneri
a prescindere dai risultati aziendali, poiché il disinvestimento avviene di norma con la cessione delle quote o
azioni al mercato, a terzi e/o agli altri soci, senza oneri per l’impresa partecipata.
Tavola 5 – Principali peculiarità del capitale di debito e capitale di rischio
Finanziamento a breve, medio e lungo termine
Prevede precise scadenze di rimborso a prescindere dall’andamento dell’impresa e nel caso di finanziamento a breve è revocabile a vista
Non prevede scadenze di rimborso ed il disinvestimento avviene di norma con cessione al mercato o
a terzi, senza gravare l’impresa
Il debito richiede il pagamento regolare di interessi
a prescindere dall’andamento dell’azienda ed è
garantito dal mantenimento del valore degli attivi
L’assistenza fornita è di tipo accessorio al finanziamento
CAPITALE DI DEBITO
È una fonte rigida, la cui possibilità di accesso è
vincolata alla presenza di garanzie e alla generazione di cash flow
CAPITALE DI RISCHIO
Finanziamento a breve, medio e lungo termine
È una forma flessibile d capitali, utile per finanziare
processi di crescita
La remunerazione del capitale dipende dalla crescita di valore dell’impresa e del suo successo
L’investitore rappresenta un partner che può fornire
consulenza strategica e finanziaria
Con il passare del tempo si è giunti ad una forte diversificazione delle forme di partecipazione, anche in relazione
a svariate finalità: ad esempio, si pensi al family buy-out (nel caso di acquisizione da parte di un componente
familiare dell’impresa della famiglia, con l’ausilio dell’investitore istituzionale), al management buy-out (nell’ipotesi
in cui l’investitore istituzionale cooperi all’operazione di acquisto dell’impresa da parte del management della
stessa) o all’employee buy-out (come nella situazione precedente, ma a seguito dell’azione di un gruppo di dipendenti).
Esistono numerose tipologie di investitori istituzionali (Tavola 6), distinti per struttura organizzativa e giuridica, per
strategia di raccolta e settori, per tipologia di operazione, per dimensione dell’investimento, per acquisizione di
quote di maggioranza o minoranza e così via.
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Tavola 6 – Elementi distintivi degli investitori istituzionali
Un buon metodo per scegliere la società cui rivolgersi è quello di indirizzarsi preliminarmente all’A.I.F.I., Associazione Italiana degli Investitori Istituzionali nel Capitale di Rischio, che in Italia rappresenta la maggioranza degli
operatori del settore.
Evidenziando dunque come il private equity possa rappresentare una risorsa finanziaria importante per lo sviluppo del sistema industriale nazionale, osserviamo come le principali categorie degli investitori presenti in Italia siano le seguenti:

operatori di emanazione bancaria;

fondi chiusi italiani;

fondi chiusi ed altri operatori internazionali;

finanziarie di partecipazione di emanazione privata o industriale;

operatori di emanazione pubblica.
Tavola 7 – Le principali categorie di investitori di private equity in Italia
Operatori di emanazione
bancaria
Principali
Investitori in Italia
Fondi chiusi italiani
Finanziarie di
partecipazione di emanazione privata
o industriale
Operatori di
emanazione bancaria
Fondi chiusi ed altri operatori
internazionali
Ogni categoria è diversa in termini di tipologie di investimenti preferenziali e di atteggiamento nei confronti
dell’impresa partecipata; occorre dunque conoscere alcuni di questi particolari, poiché ciò è un primo passo
verso la scelta del partner più adatto. In effetti, è decisivo ricordare che l’obiettivo è quello di cercare un socio
che approcci la propria iniziativa sulla base di un rapporto di estrema fiducia reciproca e che quindi già i primi
“contatti”, nonché i relativi feedback, hanno grande importanza. Laddove l’impresa sia già esistente, una questione preliminare decisiva, per un imprenditore che pensi a partner istituzionali, è rappresentata dalla verifica del
razionale impiego delle risorse interne: infatti, situazioni di tensione finanziaria che, apparentemente, causano
l’esigenza di nuovi capitali, possono sovente nascere da una mala gestio delle fonti finanziarie interne. Solo una
volta sicuri di avere ottimizzato l’impiego delle risorse interne, dunque, si può decidere di ricorrere ai capitali forniti da investitori istituzionali: in effetti, questi ultimi devono servire allo sviluppo e non al riequilibrio di squilibri
aziendali, che debbono essere sempre corretti con altri strumenti.
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Tavola 8 – Perché ricorrere agli investitori istituzionali
Sviluppo dell’impresa
OBIETTIVO
DEL RICORSO AD
INVESTITORI ISTITUZIONALI
Riequilibrio di squilibri aziendali
Come già in parte accennato, si ricorre a queste forme di partnership per molte e varie motivazioni, anche tra
loro correlate:

sviluppare un’attività esistente;

liquidare i vecchi soci;

rilevare l’azienda di famiglia;

acquistare l’impresa per cui si lavora;

risanare un’azienda in perdita ma con forti potenziali di sviluppo2.
Tavola 9 – Quanto ricorrere agli investitori istituzionali
Per sviluppare un’attività esistente
Quando si ricorre agli
investitori istituzionali
Per rilevare l’azienda
di famiglia
Per acquistare l’impresa
per cui si lavora
Per liquidare vecchi soci
Per risanare un’azienda in
perdita ma con forti
potenziali di sviluppo
Si è già detto che la partecipazione al capitale di rischio di investitori istituzionali necessita di uno stretto rapporto di partnership tra l’imprenditore e l’investitore istituzionale, evidenziando d’altronde come (Tavola 10), oltre al
capitale, l’investitore può e dovrebbe sempre più apportare competenze professionali strategiche, finanziarie, di
marketing, di organizzazione, manageriali ed offrire una rete di contatti utili in ambito nazionale e internazionale.
Per ciò che concerne quest’aspetto, la crisi mondiale ha anche dimostrato come ci sia molto da fare da parte
degli operatori specializzati che, negli anni passati, con un’ottica fortemente sbilanciata dal lato finanziario, hanno spesso trascurato e/o si sono dimostrati scarsamente attrezzati e pronti ad una simile “evoluzione consulenziale”.
------------------------------------------2
È molto diffuso, tra gli operatori, l’uso di termini tecnici anglosassoni per indicare le singole tipologie di intervento. Si parla così di seed financing: investimento nella fase di sperimentazione dell’idea innovativa, quando è ancora da dimostrare la validità tecnica del prodotto/servizio; di start-up financing: investimento finalizzato all’avvio dell’attività, quando non si conosce ancora la validità commerciale del prodotto/servizio, ma esiste già almeno un prototipo; di early stage financing: investimento in tutte le prime fasi di vita dell’impresa (seed, startup); di expansion financing (o development capital): investimento nelle fasi di sviluppo dell’impresa, finalizzato ad espandere (geograficamente, merceologicamente, ecc.) l’attività; di bridge financing: finanziamento “ponte”, relativo ad una fase avanzata di sviluppo aziendale, caratterizzata dal consolidamento della maggioranza, che rileva posizioni di minoranza interessate al disinvestimento e può sfociare nella quotazione; di replacement capital: investimento finalizzato alla ristrutturazione della base azionaria, in cui l’investitore istituzionale si sostituisce,
temporaneamente, a uno o più soci non più interessati a proseguire; di cluster venture: operazione di investimento finalizzata al raggruppamento (cluster) di più società operative indipendenti integrabili verticalmente od orizzontalmente e caratterizzate da similitudini in termini di
prodotti, mercati e tecnologie; di management buy-out: investimento finalizzato al sostegno dell’acquisizione dell’impresa da parte di un
gruppo di manager della stessa; di management buy-in: investimento finalizzato al sostegno dell’acquisizione dell’impresa da parte di un
gruppo di manager esterni alla stessa; di leveraged buy-out: tecnica finanziaria diretta generalmente all’acquisizione di partecipazioni di controllo o totalitarie in società di capitali, realizzata mediante il ricorso a capitale di prestito fornito da istituti di credito e/o da società finanziarie.
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Tavola 10 – Caratteristiche di un valido investitore
Warren Buffet afferma che un “investimento deve essere razionale” e che dunque “se non lo capite, non lo fate”:
a tale riguardo, il rapporto costruttivo tra imprenditore ed investitori istituzionali è dunque fondamentale per esaltare le suddette competenze.
Tutto ciò è tanto più necessario poiché l’apertura del capitale di un’impresa ad un socio istituzionale dovrebbe
determinare una serie di cambiamenti di rilievo, specialmente nel caso di imprese a carattere famigliare:

per raggiungere il suo obiettivo, infatti, l’investitore opererà in modo tale da elevare la trasparenza e la
qualità nella comunicazione dell’impresa, da rendere più manageriale la gestione e l’organizzazione, da
attivare efficaci sistemi di pianificazione, controllo e monitoraggio dei risultati aziendali.
In realtà, un primo e decisivo banco di prova in questo ambito, per l’imprenditore, avviene già in fase di approccio con il soggetto potenziale investitore, poiché esso dovrebbe essere in grado, in qualche modo:

di presentare un valido piano industriale, che è il piano nel quale il progetto viene sviluppato in termini di
linguaggio aziendale. Il piano industriale è la base per la richiesta del capitale di rischio e quindi è spesso,
per l’imprenditore, il primo strumento di contatto con l’investitore istituzionale;

in tal senso, è dunque necessario fornire molta attenzione all’elaborazione di questo documento, che rappresenta la carta d’identità dell’imprenditore, dell’impresa e del progetto.
Tavola 11 – Il piano industriale: strumento fondamentale per aprirsi agli investitori istituzionali
Per aprire il capitale della propria impresa ad un socio istituzionale
l’imprenditore deve
Presentare
UN VALIDO
PIANO INDUSTRIALE
Il processo di preparazione del piano industriale deve coinvolgere tutta l’azienda e deve chiarire, in termini quantitativi e univoci, gli obiettivi da raggiungere e la loro compatibilità con le risorse (finanziarie, tecnologiche, conoscitive e umane) di cui l’impresa dispone o vorrebbe disporre, avendo presente l’ambiente competitivo in cui
l’impresa opera ed il mercato al quale si rivolge. Il piano industriale deve:

descrivere qual è la visione strategica e l’obiettivo imprenditoriale;

esplicitare la missione aziendale, cioè i singoli obiettivi desiderati, per realizzare la visione strategica e i
mezzi da utilizzare in tal senso;

descrivere la situazione attuale, fornendo anche una sintesi dei dati economico-finanziari storici, relativi
agli ultimi anni, e prospettici, tramite rendiconti finanziari, conti economici, stati patrimoniali e indici di analisi finanziaria.
Quanto all’arco temporale da prendere a riferimento per il piano industriale, esso varia a seconda che si tratti di
un progetto o di un’impresa: nel primo caso il periodo di riferimento può coprire l’intera vita del progetto, nel secondo caso generalmente comprende una fascia da tre a cinque anni, con un grado di analisi molto dettagliato
per il primo anno e un approccio più di massima per gli anni successivi. La realizzazione di un piano industriale,
da sottoporre a investitori istituzionali nel capitale di rischio, richiede molta attenzione perché:
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

sulla base delle informazioni del piano industriale, l’investitore deciderà se procedere nell’esame del progetto o se rifiutarlo;
coloro che andranno a discutere il piano industriale, dovranno interfacciasi con attenti e preparati interlocutori, che cercheranno di carpire i punti di debolezza e/o le eventuali discrasie del documento.
Tavola 12 – Il piano industriale come strumento decisivo per la valutazione di un progetto
Il PIANO INDUSTRIALE è uno
strumento molto importante
Sulla base delle informazioni in esso contenute l’INVESTITORE DECIDERÀ SE
ESAMINARE IL PROGETTO O SE
RIFIUTARLO
Nella stesura del piano industriale il management dovrà considerare che i potenziali investitori esamineranno il
lavoro con criteri diversi dalla direzione aziendale, poiché l’attenzione sarà veicolata:

sulla capacità del piano industriale di creare valore per l’investitore e di facilitare la sua successiva uscita
dalla struttura.
L’investitore, tra l’altro, vorrà ben comprendere le modalità di elaborazione del business plan (ivi compresi meccanismi del tipo ipotesi di base e relazioni causa-effetto) e le competenze del management. In questo senso,
costituiranno punti vincenti:

l’aver redatto il piano industriale come sintesi di un’analisi di diversi scenari possibili (ad esempio, ottimistico-medio-pessimistico), a ciascuno dei quali sia stata data una certa probabilità di accadere;

l’aver coinvolto l’intera organizzazione aziendale nel processo di business planning (poiché trattasi di un
processo e non di un mero documento, redatto in modo “asettico” dai soli reparti amministrativi aziendali)
nei termini opportuni (per aree di competenza ed interrelazioni) ed il fatto che sia presente un management motivato, unito, con uno “storico” di casi di successo e con competenze riconosciute nel settore.
In questa sede si osserva come, nella prassi, molte PMI non ricorrano in prima battuta ad un serio processo di elaborazione di piano industriale: pur non essendo ciò affatto ostativo – in linea teorica – ad interloquire in prima istanza con operatori di private equity, si raccomanda vivamente, per molteplici motivazioni, di profondere serie energie
organizzative in tal senso a partire dai primissimi contatti, poiché è l’affrontare lo stesso processo che aiuterà a maturare seriamente tutto il collettivo aziendale (Tavola 13) e a non cadere nel fattore di rischio che “nasce dal non
sapere cosa stai facendo” (Warren Buffet).
Tavola 13 – Il piano industriale come strumento di comunicazione
Oltre a quanto già evidenziato, si rileva come, già a partire dal primo contatto con l’investitore, occorrerà focalizzarsi
su aspetti determinanti del rapporto (Tabella 14), quali3:

le modalità di contatto con il medesimo investitore potenziale;

la tempistica;

l’accordo di riservatezza;

la lettera d’intenti;
------------------------------------------3
Per maggiori dettagli, cfr. Guida Pratica Al Capitale Di Rischio - Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity,
A.I.F.I. - Pricewatherhouse Coopers, pubblicazione interna, Milano, 2000, www.aifi.it.
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






il processo di due diligence (di mercato, finanziaria, legale, fiscale, ambientale ecc.);
la conclusione della trattativa;
i patti parasociali;
l’esecuzione del contratto;
le forme tecniche di intervento: i principali strumenti di finanziamento (equity, prestito obbligazionario convertibile, finanziamento mezzanino, debito subordinato, senior debt);
il monitoraggio dell’investimento (l’approccio hands on e l’approccio hands off)4;
il disinvestimento5.
Tavola 14 – Gli aspetti determinati il rapporto con gli investitori istituzionali
Non sembra superfluo citare come la riforma del diritto societario del 2003 abbia introdotto ulteriori elementi di
apprezzamento, avvicinandosi alla maggiore duttilità degli ordinamenti stranieri di fronte alle esigenze degli investitori istituzionali, potendo così replicare interamente nello statuto le soluzioni suggerite dall’esperienza e
dall’analisi economica di settore6, per ottenere un sistema maggiormente aderente alle esigenze di un’economia
dei capitali moderna.
------------------------------------------4
Nell’approccio hands on l’investitore partecipa attivamente all’attività dell’azienda in cui ha investito. Oltre alla rappresentanza nel Consiglio
di Amministrazione, nell’ambito del quale ha spesso diritto di veto nelle decisioni più importanti sull’attività dell’azienda, richiede di essere
informato mensilmente sui risultati aziendali, effettua frequenti visite in impresa e, talora, richiede la nomina di suoi manager di fiducia nelle
posizioni considerate chiave. L’investitore generalmente impone all’azienda la certificazione dei bilanci, richiede l’adozione di sistemi di budgeting e di reporting moderni, anche in vista dell’obiettivo della quotazione in Borsa, e propone meccanismi di incentivo dei dirigenti chiave.
Con l’approccio hands off invece l’investitore partecipa scarsamente all’attività dell’azienda in cui ha investito, anche se ha comunque una
rappresentanza nel Consiglio di Amministrazione. Alcuni investitori preferiscono ricoprire un ruolo meno attivo nella gestione dell’impresa,
lasciando le decisioni sia operative, che strategiche al management e richiedendo soltanto di ricevere, in modo regolare, le informazioni necessarie per tenere sotto costante monitoraggio l’andamento della società, in modo da individuare tempestivamente eventuali problemi. Le
occasioni di ingerenza aumentano nel caso in cui l’andamento della società e del progetto si facciano critici.
5
L’investitore istituzionale nel capitale di rischio rappresenta un socio temporaneo dell’imprenditore, interessato a monetizzare il proprio investimento
e a realizzare un guadagno di capitale attraverso la vendita della partecipazione, una volta raggiunti gli obiettivi prefissati. Il momento dell’uscita
dell’investitore dal capitale dell’impresa non è quasi mai predeterminato, ma è funzione dello sviluppo della società. Sempre più spesso, tuttavia, gli
investitori cercano di prevedere, al momento dell’acquisto della partecipazione, gli eventuali canali di uscita e i tempi di realizzo, al fine di pianificare al
meglio anche questa fase finale dell’operazione. Nei casi di successo, si disinveste quando l’azienda ha raggiunto il livello di sviluppo previsto ed il
valore della società, e quindi della partecipazione, si è conseguentemente incrementato. Nell’eventualità in cui l’iniziativa fallisca, perché, ad esempio,
il nuovo prodotto o la nuova tecnologia non riescono ad affermarsi sul mercato, si disinveste quando matura la convinzione che non è più possibile
risolvere la situazione di crisi che si è creata. In entrambe le situazioni, i tempi e le modalità del disinvestimento sono definiti, di norma, con l’accordo
di tutti i soci. Diverse sono le modalità di disinvestimento, dipendenti sia dalla tipologia di impresa e di operazione precedentemente posta in essere,
che dai risultati raggiunti. I tipici canali utilizzati dagli investitori per cedere le azioni in loro possesso sono: la quotazione in Borsa dei titoli dell’impresa
partecipata; la vendita dei titoli ad un’altra impresa industriale o ad un altro investitore istituzionale; il riacquisto della partecipazione da parte del gruppo imprenditoriale originario; la vendita a nuovi e vecchi soci, risultanti da un’operazione di concentrazione tra diverse imprese del settore nel frattempo realizzata. È ovviamente da mettere in previsione anche l’ipotesi che tutta l’operazione non vada a buon fine e che, quindi, non si verifichi un vero
e proprio disinvestimento, ma un azzeramento del valore della partecipazione.
6
B. Szego, Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale - Il venture capital come strumento per lo sviluppo delle piccole e medie
imprese: un’analisi di adeguatezza dell’ordinamento italiano, Banca d’Italia, numero 55, giugno 2002.
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 10.3 Private equity: un tentativo di sintesi
Come in parte già accennato, la diffusione del cosiddetto investimento istituzionale nel capitale di rischio è sicuramente benvenuto nel sistema Italia, a patto che si lavori per creare un eco-sistema vitale e attraente: risultano
assolutamente necessari interventi che spaziano dalla cultura d’impresa ad una decisa semplificazione burocratica.
A livello di quadro macroeconomico e relativamente alle potenzialità di sviluppo nell’ambito del private equity, le
PMI italiane appaiono ancora oggi tra quelle più interessanti nel panorama europeo, nonostante la falcidia di
aziende causata dal perdurare della crisi sistemica e ciò partendo da un’analisi oggettiva incentrata su:

numero delle imprese;

settori di attività;

mercati presidiati;

risultati aziendali vantati;

nonché sul fatto che le imprese risultano ancora, in maniera assolutamente predominante, legate all’idea
di azienda familiare, potendo dunque vantare – almeno sulla carta – un ampio ventaglio di ipotesi di apertura della proprietà.
Tavola 15 – Le PMI italiane e il private equity
PRIVATE EQUITY
Le PMI italiane appaiono
tra quelle più interessanti
nel panorama europeo
Se, per un lungo periodo, i fondi di investimento mirati a realizzare operazioni di portata finanziaria – a livelli assoluti – medio/piccolo non sono stati numericamente e strategicamente rilevanti, negli ultimi anni essi hanno assunto invece un ruolo sempre più importante, prendendo in qualche modo atto di modelli di business da affrontare con uno specifico modus operandi ed al fine di interfacciarsi in maniera più congrua con alcune interessanti
opportunità di mercato.
Per questo motivo ed in seguito alla crisi finanziaria perdurante, in effetti il settore del private equity è cambiato
sostanzialmente negli ultimi anni (Tavola 16):

i capitali gestiti sono cresciuti, ma le opportunità di uscita si sono ristrette;

i fondi sono diventati, in generale, più pazienti e hanno coinvolto gli investitori;

questo atteggiamento più considerato ha portato il private equity a richiedere una differente composizione
di capacità rispetto a quelle ricercate tradizionalmente;

oggi il successo nel private equity concerne meno la ristrutturazione del bilancio di una azienda e lo spacchettamento dei pezzi per una IPO, ma piuttosto riguarda il costruire un’entità più efficiente;

i fondi di private equity passano ora più tempo a gestire le loro aziende in portafoglio e sono quindi meno
interessati nell’ingegneria finanziaria e più interessati nell’assumere individui con una formazione ampia in
management.
174
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Tavola 16 – Le tendenze del private equity nel tempo
Tendenze


Minori opportunità di uscita dei fondi
Fondi più “pazienti”
Tendenze


Meno ingegneria finanziaria
Maggior ricerca di efficacia ed efficienza
Tendenze


Più partecipazione nell’impresa
Maggiori competenze richieste
 10.3.1 Uno sguardo sui trend mondiali ed europei del private equity
Secondo il Global Private equity Report 20137, elaborato dalla firm di consulenza strategica Bain & Company, la
società leader a livello mondiale per gli investitori di private equity:

il Nord Europa mantiene un trend positivo,

mentre il deal-making nell’Europa meridionale è stato indebolito dal debito pubblico e dalle misure di austerità.
La debolezza del deal-making in Europa nel corso del 2012 è il tema ricorrente in quello che tradizionalmente è
stato uno dei mercati più attivi a livello mondiale.
Secondo il report, nel 2012 il mercato europeo è apparso alquanto disomogeneo al suo interno: nel complesso,
il numero dei deal di buyout è sceso del 7% rispetto al 2011 ed il valore è diminuito del 19%.
Questi dati, tuttavia, mascherano un trend nettamente divergente tra:

un Nord Europa piuttosto sano

ed un’Europa meridionale in difficoltà dove il mercato del private equity è stato assorbito dal vortice dei
problemi del debito pubblico, dell’aumento delle tasse e della politica di austerità di bilancio.
In Italia il valore dei deal di buyout è sceso del 71% dal 2011 al 2012, in Spagna del 27% e in Francia del 74%,
nel mentre la Germania ha invece resistito grazie alla sua economia solida (l’attività di deal-making è cresciuta
del 105% rispetto al 2011) insieme all’ Inghilterra (+34%), dove la sterlina ha mantenuto gli investitori al di fuori
delle turbolenze dell’Eurozona.
Bain afferma come sell-side e buy-side dovrebbero avere una visione condivisa e realistica riguardo le prospettive di lungo termine della regione, in modo da portare i prezzi ad un livello più basso, per avere più probabilità di
sbloccare il mercato ed affinché l’attività di deal-making riprenda in modo significativo nei prossimi anni, i fondi di
PE avrebbero bisogno di vedere una maggiore crescita economica nella regione ed in Italia in particolare. La divergenza tra prezzo richiesto e prezzo offerto, insieme alle difficoltà di reperimento di credito bancario, rimangono comunque un grosso limite alla ripresa dell’attività.
Il mercato del private equity in Europa si è mosso di pari passo con quello del Nord America negli ultimi anni, ma
il trend si è interrotto lo scorso anno e tuttavia negli Usa sta mostrando segni di ripresa.
Il report rivela che i soggetti più motivati, da entrambi i lati delle transazioni concluse in Europa nel 2012, sono
stati generalmente fondi di private equity in cui il sell-side ha approfittato di prezzi più elevati, al fine di restituire il
capitale agli investitori del fondo, mentre il buy-side ha cercato soluzioni di investimento per allocare il capitale
dei fondi non ancora investito.
Alla fine del 2012, quindi, si è rilevato che il 61% del valore dei deal europei è stato rappresentato da deal tra
fondi di private equity, che secondo Bain continueranno ad essere la fonte più probabile dell’attività di dealmaking nei prossimi anni.
------------------------------------------7
Cfr. http://www.bain.com/offices/italy/it/press/press-releases/private-equity-bain-and-company-europa-mercato-a-due velocita.aspx
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Ulteriori conclusioni chiave del report di Bain sono le seguenti:

l’attività di deal-making in Asia ha riscontrato difficoltà nel 2012, in seguito al rallentamento della crescita
del mercato cinese e indiano, mentre il Brasile è rimasto il meglio posizionato tra i principali mercati emergenti, grazie ad una costante capacità di attrarre capitali e di offrire opportunità per veri proprietary deal;

energia ed healthcare, entrambi settori in crescita, stanno suscitando molto interesse:

in Europa, diversi fondi di private equity sono alla ricerca di asset nel settore dell’healthcare, come
case di cura e laboratori medici, che consentirebbero loro di approfittare di un sistema di acquisto
delle forniture più efficiente, oltre i confini nazionali. Secondo Bain, all’interno del settore
dell’energia, l’area di maggiore interesse è rappresentata dall’Oil&Gas e molti fondi di private equity
stanno acquistando società di equipment e servizi petroliferi, che hanno rappresentato il 45% dei
deal O&G nel 2012 e che probabilmente rimarranno in futuro fondamentali;

dato un eccesso di più di 2.000 miliardi di dollari di asset considerati in fase di exit dai fondi, il trend crescente di corporate M&A potrebbe rappresentare una nuova soluzione per l’exit strategy, considerando il
forte interesse degli investitori industriali nella crescita esterna;

la domanda, da parte degli investitori, per rendimenti maggiori da un lato e la necessità delle management company di raccogliere capitale dall’altro, stanno progressivamente portando a sperimentare nuove
tipologie di cooperazione tra cui:

accounts separati, strutture di fondo non tradizionali e programmi di investimento diretto;

la raccolta dei fondi continuerà ad essere difficoltosa, dal momento che gli investitori non sono in grado di
impegnare nel 2013 più capitale rispetto al 2012 e dato il numero di fondi in fase di raccolta vicino al
massimo storico;

un terzo degli 8.000 deal di buyout realizzati, che sono passati attraverso i fondi di private equity, hanno
portato l’80% del ritorno totale, dinamica che ha avuto riscontro anche nel mercato europeo.
Bain conclude il suo Report 2013 affermando che, nonostante le prospettive problematiche a livello macroeconomico in Europa, saranno i fondi di private equity in fase di investimento, attenti a non pagare più del dovuto gli
asset e con un modello ripetibile di creazione di valore, a poter scovare interessanti opportunità di investimento
a partire dal 2013 e ben oltre tale data (Tavola 17).
Tavola 17 – Le caratteristiche dei fondi di successo secondo Bain & Company
Secondo la visione di Bain & Company
i fondi di successo saranno quelli che
Sono in fase
di investimento
Non paghino gli asset
più del dovuto
Abbiano un modello
di creazione del valore
ripetibile
 10.3.2 Uno sguardo sui trend attuali italiani del private equity
In base a quanto emerge dalla più recente ricerca sul mercato degli investimenti in capitale di rischio condotta
da AIFI, l’associazione di categoria, in collaborazione con PwC-Transaction Services8:

l’industria italiana del private equity ha archiviato la prima parte dell’anno 2013 con risultati in crescita,
confermando i segnali di ripresa emersi nella seconda metà del 2012;

in merito ai dati emergenti, l’attuale presidenza di AIFI ha sottolineato l’impatto sul settore del crollo della
domanda interna ma, grazie alla capacità di internazionalizzarsi delle aziende italiane, nonostante tutto, si
riescono ad attirare capitali di rischio. Il tasto dolente, semmai, sembra essere il contesto economicopolitico, che rende difficile investire in un clima di incertezza;
------------------------------------------8
Cfr. http://www.pwc.com/it/it/industries/private-equity/index.jhtml
176
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda

semmai, il tasto dolente, ancora una volta, è rappresentato dalla raccolta e la seconda parte dell’anno
non promette miglioramenti sostanziali, attese le difficoltà del sistema finanziario (banche e assicurazioni)
e la carenza cronica di fondi pensioni e altri investitori istituzionali. L’eccezione virtuosa, è rappresentata
dalla Cdp (che ha promosso il Fondo Strategico e il Fondo Italiano), ma occorre certamente una spinta
maggiore dagli operatori istituzionali.
Anche come effetto della crisi di lungo periodo che ha pervaso e sta ancora investendo alcune delle principali
economie mondiali e sempre più consci della “Regola n. 1: non perdere mai denaro. Regola n. 2: non dimenticare mai la regola n. 1” (Warren Buffet), si possono individuare dei trend di assoluta rilevanza (Tavole 18 e 19)
nelle dinamiche degli operatori di private equity e di venture capital operanti in Italia9:

si assisterà ad un aumento dell’holding period medio e ad un sempre più limitato ricorso alla leva finanziaria nelle operazioni di acquisizione: a tale riguardo, basti pensare che gli operatori di settore, da tempo,
concludono operazioni con una leva finanziaria compresa tra 2 e 4 volte l’EBITDA (margine operativo lordo) per circa una metà dei closing nazionali e per l’altra metà con leva finanziaria inferiore a 2 volte
l’EBITDA e che non sono previsti mutamenti di rilievo in tale scenario competitivo;

il livello di competizione tra gli operatori rimarrà sostanzialmente invariato e si giocherà prevalentemente
sulle condizioni offerte;

si prevede, invece, un limitato utilizzo della quotazione come modalità di exit dalle società partecipate;

è probabile la diminuzione del numero di operatori di piccole/medie dimensioni e l’avvio di fenomeni di
concentrazione;

si avrà un ruolo più attivo, da parte dei fondi, nella gestione delle società partecipate;

si prevede un aumento dell’interesse verso operazioni di turnaround.
Tavola 18 – Il trend delle dinamiche degli investitori istituzionali
In merito all’attività d’investimento, gli investitori evidenziano:

un loro focus sulle medie aziende con un fatturato compreso tra i 15 e i 50 milioni di euro, con un crescente interesse verso società di maggiori dimensioni;

da un punto di vista settoriale, sembra registrarsi un calo d’interesse verso il settore manifatturiero, a fronte di una maggiore attenzione verso i prodotti industriali ed il settore food & wine;

per quanto riguarda la localizzazione geografica delle opportunità di investimento, il Nord Italia nel complesso si conferma mediamente come l’area di maggiore interesse.
Per ciò che riguarda la tipologia delle operazioni, gli specialisti:

confermano le difficoltà di effettuare operazioni a leva e comunque, qualora ciò avvenga, risulta normale
l’applicazione di tassi particolarmente onerosi;

adeguandosi alla mutata situazione di mercato, preferiscono optare per operazioni di expansion capital,
soprattutto per il finanziamento della crescita di piccole e medie aziende, con forti potenzialità di crescita.
Più nel dettaglio, alcuni delle principali tendenze possono così essere riassunte:

le operazioni di LBO/Replacement tornano a rappresentare la principale categoria d’investimento in portafoglio;

a seguire, si segnalano le operazioni di Expansion Capital;

infine in crescita, ma tuttora a livello assoluto piuttosto limitate, le segnalazioni relative alle operazioni di
Start-up Financing e di turnaround.
------------------------------------------9
Cfr. Deloitte “Italy Private Equity Confidence Survey” http://www.trend-online.com/prp/private-equity-prospettive-200213/4.html,
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177
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
A proposito del finanziamento delle acquisizioni la maggioranza degli operatori dichiara, relativamente alla
struttura dei portafogli attuali:

una percentuale media di equity compresa tra il 41% ed il 60%

e si osserva tuttavia una crescente incidenza di operatori che dichiarano una contribuzione dell’equity sul
valore delle acquisizioni effettuate compresa tra 61% e 80%;

per quanto riguarda i tassi d’interesse pagati sul Senior Debt erogato dalle istituzioni finanziarie, si riscontra che la maggioranza delle operazioni sono state finanziate con uno spread sull’Euribor superiore ai 300
basis points, mentre nessun operatore ha dichiarato di aver portato a termine acquisizioni con costo del
debito inferiore ai 200 punti base.
In merito alle strategie di way-out (disinvestimento), la maggioranza degli operatori prevede di effettuare disinvestimenti:

principalmente attraverso la cessione ad investitori industriali (Trade sale);

seguiti da secondary buy-out, in crescita rispetto al passato;

come terza “via di fuga” seguono i Write Off, anch’essi in deciso aumento nelle previsioni;

i buy back, al contrario, registrano un interesse limitato rispetto al passato;

infine, nessun operatore giudica probabile il disinvestimento tramite operazioni di IPO, confermando il sentiment già rilevato nei due semestri precedenti.
Per ciò che riguarda poi il valore e rendimento dei portafogli, in linea generale la maggioranza degli operatori
di PE/VC ha aspettative:

di stabilità del valore dei portafogli per i prossimi periodi,

accompagnata da un numero sempre più elevato di operatori con aspettative di rivalutazione di questi
ultimi rispetto al loro valore di acquisto;

gli obiettivi di rendimento (IRR) giudicati accettabili dagli operatori sembrerebbero stabili rispetto
all’orizzonte temporale precedente e nello specifico compresi tra il 15% ed il 25%.
Tavola 19 – Le dinamiche degli operatori di private equity e venture capital
Che l’Italia sia un mercato di assoluto interesse per gli investitori di capitale di rischio, peraltro, è oltremodo evidente dagli atti del convegno annuale AIFI (in collaborazione con PWC e KPMG), tenuto a maggio 2013 presso
Londra, da cui emerge10, oltre al fatto che le relazioni personali sono ancora decisive per portare a termine operazioni di private equity, più che in altri paesi analoghi:

come l’economia italiana, sebbene soffra di un serio calo dei consumi interni, annoveri molte medie imprese di successo, che costituiscono da sempre “il pane ed il burro” degli investimenti nel capitale di rischio;

l’ambiente economico attuale, unito alle storiche caratteristiche delle imprese italiane, mostra come
l’esigenza di interventi del private equity, oggi, sia più forte che mai;

il private equità in Italia è ancora un’industria per molti versi poco sviluppata e ciò, unito alla difficoltà di
raccolta dei capitali degli ultimi 4 anni, rende urgente un intervento massiccio in tal senso
Dagli stessi atti emerge inoltre con evidenza che, nell’orizzonte 2003/2011 (Tavola 20):

il tasso di crescita del valore aggiunto (in termini di CAGR) delle imprese coinvolte da operazioni di private
equity è nettamente più alto del tasso di crescita del prodotto interno lordo nazionale;
------------------------------------------10
Cfr. http://www.aifi.it/IT/AreaRiservata/pdf/Commissioni/InvIstituzuinali/Londra2013/Presentazione%20 AIFI-KPMG-Price.pdf
178
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda


il tasso di occupazione (in termini di CAGR) delle imprese coinvolte da operazioni di private equity è nettamente più alto del tasso di occupazione a livello nazionale;
l’evoluzione dell’EBITDA e dei redditi netti (in termini di CAGR) delle imprese coinvolte da operazioni di private equity è nettamente migliore di quella delle imprese confrontabili per dimensione e struttura/caratteristiche, non coinvolte da interventi di private equity.
Tavola 20 – Trend dei risultati delle imprese coinvolte in operazioni di private equity
 10.3.3 Fattori propedeutici ed ambiente aziendale
È indubbio che avere dei partner societari specializzati può rompere uno schema concettuale chiuso – l’idea del
dominus di tipo tradizionale – e costringe giocoforza, al di là dell’approccio più o meno gestionale seguito dai
fondi di private equity, ad un criterio di mediazione, di condivisione di obiettivi, di analisi trasversale e più completa dei profili di business, a vedere anche la stessa finanza come asset strategico vitale dell’azienda, a porsi
sempre più l’obiettivo della pianificazione, della programmazione e del controllo aziendale come habitus mentale
e non episodico.
Anche nei casi estremi, poi, quali la cessione totale del controllo aziendale, saper approcciare un investitore istituzionale significa in qualche modo avere la forza di guardare con serenità all’idea della continuità della creazione aziendale, al di là del concetto di controllo.
Tra le principali motivazioni – da intendersi o esclusive o sinergiche tra di loro – per cui molte PMI italiane dovrebbero prendere in seria considerazione operazioni di private equity tipicamente si possono annoverare:

la necessità di sostenere piani per rendere più visibili i propri marchi strategici in Italia e all’estero;

la riorganizzazione delle filiere produttive, per abbassare i costi fissi e/o per l’implementazione di nuove
linee di prodotto/servizio;

la cessione della proprietà aziendale, per impossibilità/inopportunità di ipotizzare passaggi generazionali;

l’acquisizione di aziende operanti nello stesso settore e/o in settori comunque correlabili, per creare nuove
sinergie ed essere più competitivi sul mercato;

il sostegno finanziario ad importanti progetti aziendali di espansione all’estero;

il supporto al ricambio generazionale.
In base alla capitalizzazione di mercato, la nostra industria rappresenterebbe circa 35% del Pil contro una media
Ue del 60-70%, il che è davvero un paradosso per la seconda economia manifatturiera d’Europa e una delle
“top five” al mondo.
Cosa si nasconde dietro tutto ciò?
In estrema sintesi, si può dire che:

la famiglia che ha generato la prima fase di crescita della piccola e media impresa, decretandone fortune
e onori, può in casi estremi diventare la causa della mancata crescita: «Bisogna essere abbastanza lungimiranti e intelligenti per capire che cedere una parte della propria sovranità non è la fine del mondo.
Meglio avere il 30% di un’azienda in forte espansione, magari di medie dimensioni, che il 51% di una piccola impresa senza grandi sbocchi sui mercati esteri», sostiene il gestore di un fondo;

è peraltro vero che le nostre PMI e le famiglie che le controllano sono votate al lungo termine, alla stabilità, ad un’attenzione e ad una valorizzazione del capitale umano non sempre riscontrabili in realtà legate a
pratiche di finanziamento e/o di partecipazione più affini alla cultura anglosassone e tutto ciò è apparso
evidente con gli effetti della grande crisi sistemica mondiale;
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179
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda

le risorse di private equity impegnate in aziende italiane sono passate in circa dieci anni – dati al 2011 –
da circa mezzo miliardo di euro a quasi 6 miliardi di euro per un totale di pressappoco 850 operazioni, in
maggior parte Lbo, quindi con ricorso alla leva finanziaria. Di queste, le operazioni di expansion, vale a dire prese di partecipazione in genere di minoranza, attraverso la sottoscrizione di un aumento di capitale o
di un prestito obbligazionario convertibile, erano 276 a fine 2010, poco più di un quarto del totale;

attesi questi dati, si può affermare che i due mondi hanno cominciato a parlarsi, anche se non sempre
con la stessa lingua e, anche per quanto sopra rilevato, occorre continuare decisi sulla strada di operazioni ben strutturate e mirate al reale consolidamento di medio periodo delle aziende partecipate11.
Al fine di poter mirare seriamente alla realizzazione di tali obiettivi, occorre tuttavia che i soci di comando delle
PMI (Tavola 21):

superino una volta per tutte l’anacronistica avversione culturale all’ingresso di soci estranei nell’azienda,
vedendo con positività fenomeni di azionariato aperto a soggetti terzi, tentando il superamento del dogma
della “proprietà accentrata”: la paura quasi atavica della “perdita di libertà per l’imprenditore”, spesso abituato ad essere il dominus incontrastato della sua azienda, dopo l’ingresso di un investitore istituzionale
nel capitale della società, resta un fattore sovente cogente nel parametro di giudizio;

accettino come un fattore premiante l’obbligo di soggiacere ad un sistema di governance trasparente e
ad un rafforzamento dell’organizzazione e dei sistemi di controllo (maggior livello di trasparenza “gestionale” dopo l’operazione di private equity); in tal caso, l’elemento chiave non è solo il fatto di essere negativamente predisposti verso l’ingresso di un soggetto estraneo, ma il timore di rimanere “invischiato” in un
sistema di regole “burocratiche”, che renda poco elastica la gestione;

superino la scarsa conoscenza complessiva delle logiche strategiche sottese a queste operazioni:

non va nascosto che ancora rimane frequente, nell’approccio concettuale al private equity, una sua
presunta – e non coerente – assimilazione alle forme di finanziamento tradizionali, sia estremamente
consolidate (es. mutui bancari, ecc.) sia di natura ibrida (es. prestiti partecipativi remunerati in base
al risultato economico dell’impresa, ecc.);

non bisogna altresì sottacere come il panorama del private equity non costituisca una massa omogenea ed indistinta, ove tutti gli operatori abbiano lo stesso approccio: al di là della manovra finanziaria, che accomuna tutti, esistono operatori con un varia intensità di approccio gestionale, tenendo conto che l’intervento finanziario – da solo – è sempre meno scarsamente risolutivo nel medio
periodo, per imprese che geneticamente necessitano anche di consulenza strategico/gestionale.

superino il timore atavico per le generali ripercussioni strategiche e operative conseguenti all’ingresso di
un investitore istituzionale, che comunque andrà ad impattare – direttamente od indirettamente – nella
struttura organizzativa;

facciano preventivamente chiarezza riguardo alle modalità prevedibili di gestione dell’uscita del fondo dal
capitale della società, avendo appunto il socio istituzionale la missione di valorizzare il capitale degli investitori; come noto, vi sono molte modalità di exit dall’investimento, dalla cessione agli altri soci, alla vendita a soggetti esterni sino all’approdo ai mercati regolamentati. Il fatto di non conoscere bene a priori le
classiche modalità di gestione degli accordi statutari e dei patti parasociali, rende l’imprenditore dubbioso
e dunque può allontanare il medesimo da propositi di ingresso di soci istituzionali.

accettino di farsi assistere da consulenti ad alto tasso di specializzazione, in grado di mediare correttamente tra il profilo dell’investitore e quello dell’impresa. Non è un modo di dire, ma semmai una realtà
drammatica, che sovente il “primo nemico” di un operazione del genere risiede nei consulenti storici
aziendali (commercialisti ed avvocati), che vedono in essa – per lo più sbagliando – un fattore che li priverà del ruolo storico avuto in azienda;

assumano una volta per tutte consapevolezza sul fatto che l’azienda deve crescere per creare valore, per
essere protagonista nell’era della concorrenza globale e per non rischiare di essere relegata ad un ruolo
marginale o di scomparire come realtà singola nel territorio;
------------------------------------------11
Cfr. http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-05-15/spauracchio-socio-capitale-081424.shtml?uuid=AaYrSNXD
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Tavola 21 – Fattori propedeutici all’apertura verso gli investitori istituzionali
La selezione delle PMI reputabili oggettivamente come potenziali società target per un’operazione di private
equity dovrebbe avvenire, in prima battuta ed in linea generale, tenendo conto dei seguenti requisiti, variamente
apprezzabili a seconda dei singoli casi aziendali ed obiettivi dei potenziali acquirenti (Tavola 22):

l’evoluzione del fatturato e dell’utile netto nel corso degli ultimi anni d’esercizio;

la storia e l’immagine della società;

l’analisi della Posizione Finanziaria Netta degli ultimi anni d’esercizio;

l’analisi dei principali indicatori finanziari quali, ad esempio, gli indici di indebitamento a breve termine, a
lungo termine, di liquidità e di disponibilità.

l’analisi di indici di redditività come il ROI e il ROE degli ultimi anni disponibili, la loro consistenza ed il loro
confronto in ottica spazio/temporale;

l’analisi dell’EBITDA dell’ultimo anno disponibile, il confronto con gli esercizi precedenti e la sua evoluzione;

il rapporto EBITDA/vendite dell’ultimo anno disponibile ed il confronto con gli esercizi precedenti;

in relazione a quanto sopra rilevato, sarà premiante possedere: fatturato ed Ebitda consistenti ed in crescita nel corso degli ultimi esercizi commerciali; una presenza di flussi di cassa costanti e abbondanti ed
una situazione patrimoniale solida; una prevalenza delle immobilizzazioni materiali rispetto a quelle immateriali, per una più facile valutazione; crediti commerciali facilmente riscuotibili;

la presenza di importanti progetti e potenzialità aziendali quali, ad esempio, l’espansione all’estero, lo sviluppo di nuove linee produttive o la valorizzazione dei marchi strategici, rintracciabili – in prima battuta –
anche in documenti pubblici, quali la relazione sulla gestione;

l’occupare una posizione di leadership nel proprio settore;

l’avere linee di prodotto non altamente tecnologiche e non eccessivamente sofisticate.
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181
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Tavola 22 – I fattori rilevanti per la selezione delle PMI target per operazioni di private equity
A proposito di elementi legati ai dati di bilancio delle potenziali aziende target, che entrano in gioco nell’ambito
delle trattative tra queste ultime e gli attori del private equity, è noto come (Tavola 23):

sia diventato normale e patrimonio comune, fra le banche d’affari ed i fondi di private equity, valutare
un’azienda in base ai cd moltiplicatori e nello specifico tramite – sovente – un multiplo del margine operativo lordo (in inglese EBITA), meno la posizione finanziaria netta;

in tale quadro, le azioni/quote sono care se il multiplo è più alto dei comparables e non sono care se è inferiore;

tutti gli addetti ai lavori sanno che il valore accettabile per un compratore finanziario dipende dal piano di
sviluppo del business, dalla leva finanziaria applicabile e dal suo costo, dalla rischiosità del settore, dai
potenziali valori di uscita e dal tasso di rendimento risk free applicato:

pur rimanendo nel campo di ipotesi ragionevoli per ciascuno di tali elementi, la loro diversa combinazione
può facilmente portare a risultati molto variabili;

normalmente, però, i compratori finanziari esperti fanno ipotesi simili, per cui in ipotesi di processi di
competizione per la vendita di aziende c’è sovente una sostanziale convergenza di valutazioni: in tale
ambito, è solo per sintetizzare una valutazione molto articolata che si usa il multiplo dell’EBITDA meno la
posizione finanziaria netta, anche perché è solo su simili basi che si possono effettuare confronti con
transazioni simili ed ogni operatore necessita di un riferimento per sapere se il suo acquisto potenziale è
caro o economico;

se ciò appare indubbiamente vero, occorre però stare attenti a non confondere una sintesi (il multiplo)
con il metodo di valutazione (il modello del business) perché il multiplo è solo un modo semplicistico di
rappresentare un valore: senza alterare i fatti od i giudizi sulla qualità del piano, ma semplicemente modificando sistemi di riferimento o convenzioni contabili, in effetti si possono ottenere risultati radicalmente
diversi12.
------------------------------------------12
Cfr.http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=20.0.1583498129&DocRulesView=Libero&chId=30
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Tavola 23 – La valutazione d’azienda
Numerose sfide spettano alle PMI italiane qui, in termini di sopravvivenza e di crescita: in tale quadro, potrebbero essere vari fattori, tra cui gli elementi di crescita culturale delle nuove generazioni, di sagace attività consulenziale degli operatori di settore ed elementi legati ai mutamenti concorrenziali e di mercato nonché alla perdurante
crisi finanziaria, a poter identificare sempre più nel private equity un modello tradizionale di sviluppo.
QUESTIONARIO
A seguire, si allega un possibile schema di primo questionario, con cui la PMI potrebbe cominciare a prendere confidenza con
scenari come quelli ipotizzati. In genere, a quali forme di finanziamento fate ricorso durante il normale svolgimento dell’attività
commerciale? <......> Per far fronte ai vostri investimenti e, più in generale, per sostenere il vostro fabbisogno finanziario, gradireste meglio il reinvestimento degli utili prodotti e non distribuiti, oppure il ricorso all’indebitamento a breve termine (specialmente
tramite banche)? <......> Prendereste in considerazione il private equity come una possibile soluzione all’eventuale esigenza di
fondi per sostenere un vostro importante progetto? <......> Se sì, quali pensate che siano i vostri punti di forza operativi e organizzativi su cui far leva per accedervi? <......> Secondo la vostra politica aziendale, l’investimento in R&S è:

essenziale;

molto importante;

abbastanza importante;

poco importante;

assente o quasi.
Per mantenere gli equilibri, migliorare la redditività ed incrementare l’utile dell’azienda, a cosa prestereste maggiore attenzione:

al contenimento dei costi / sfruttamento di economie di scala;

a compiere continui investimenti in R&S;

a consolidare i rapporti con i clienti attuali e, se possibile, a cercarne di nuovi per incrementare la quota di mercato (dopo
aver osservato attentamente il mercato di sbocco);

altro (specificare).
Secondo Lei, i vantaggi nell’accedere ad un fondo di private equity possono essere:

sfruttare il notevole know-how dell’investitore istituzionale derivato dalle numerose realtà con cui esso si interfaccia;

eliminare il problema della sottocapitalizzazione dell’impresa per concentrarsi su un altro obiettivo: rendere più profittevole
possibile l’investimento;

ottenere la liquidità necessaria per sostenere una crescita dimensionale dell’azienda;

incentivare il management, chiamandolo a partecipare a operazioni di management buyout e a sottoscrivere una parte delle azioni;

supportare il cambio generazionale all’interno dell’azienda;

altro (specificare).
Quale potrebbe essere un vostro business, così rilevante da richiedere un ingente fabbisogno di liquidità di tipo “strategico”?
<......>
Alla luce di ciò, far intervenire nel vostro azionariato un investitore istituzionale dotato di notevole esperienza (e di elevate capacità
finanziarie) può rappresentare un problema di tipo culturale, dato che si tratta di un soggetto estraneo?
<......>
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183
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
 10.3.4 I fondi di turnaround
Nell’ambito del supporto finanziario per le aziende in crisi, un ruolo importante, anche se tuttora molto poco diffuso in Italia, è quello dei fondi di turnaround.
I fondi di turnaround sono di fatto dei fondi chiusi, che funzionano con un meccanismo analogo a quello dei fondi di private equity (Tavola 24).
Nell’ambito delle iniziative di finanziamento di aziende in crisi, la presentazione di un operazione ai fondi di turnaround aggiungerebbe molte opportunità alla riuscita del risanamento, tramite le seguenti attività che dovrebbero
essere svolte con il supporto di un advisor specializzato:

disporre di un piano industriale di risanamento credibile o costruirlo con il supporto di specialisti: questo è
fondamentale perché maggiore è la chiarezza e professionalità mostrata ai fondi maggiori sono le possibilità di concludere l’operazione;

predisporre la documentazione necessaria in italiano ed inglese;

avviare i contatti con i fondi specializzati, selezionare i fondi interessati ed avviare le trattative.
Le modalità di finanziamento sono molto eterogenee, ma nella maggior parte dei casi però sono tutte accomunate:

dal fatto che, al pari dei fondi di private equity e venture capital, i suddetti fondi hanno una precisa strategia di exit (uscita al termine del progetto di risanamento) che può avvenire con un riacquisto totale o parziale della proprietà supportato dall’entrata di un socio terzo (ad esempio un socio industriale o un altro
fondo, in questo caso di private equity o di una holding di partecipazione).
Tavola 24 – Fondi chiusi con le stesse caratteristiche
Il Turnaround Monitor – TaM® è stato il primo osservatorio stabile relativo alle operazioni di ristrutturazione
aziendale poste in essere in Italia da parte di investitori istituzionali in capitale di rischio: l’osservatorio, attivo
presso l’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza, è nato grazie al contributo di Orlando Italy, fondo di
private equity dedicato alle special situations.
Il private equity specializzato negli interventi in aziende che si trovano in fase di crisi finanziaria può avere un ruolo fondamentale:

perché interviene immettendo nuovo capitale: un capitale che deve però poter lavorare realmente per il
futuro dell’impresa e non essere destinato a ripagare gli errori delle gestioni precedenti;

perché in Italia esistono gli strumenti giuridici perché questo avvenga e fanno riferimento alla nuova legge
fallimentare del 2007, che ha rivisto e migliorato la precedente normativa introducendo istituti innovativi e
riformulati, con lo scopo di favorire una composizione negoziale della crisi, non più orientata esclusivamente alla tutela del ceto creditorio, ma anche e soprattutto all’impresa in difficoltà, mirando alla salvaguardia dei suoi valori produttivi anche se in forma diversa o più ridotta a seguito dell’intervento di risanamento.
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Peraltro, il segmento del turnaround rappresenta ancora ad oggi in Italia – a differenza di molti paesi esteri – una
nicchia ristretta del mercato del private equity, orientata alle imprese di taglia più grande:

un dato, questo, che dimostra come tale tipologia di investimento non abbia ancora conquistato le quote
di mercato ipotizzate in passato, anche alla luce della Riforma Fallimentare del 2006 che sembrava aver
gettato le basi per lo sviluppo di questa particolare forma di investimento;

quasi tutte le operazioni concluse negli ultimi anni in Italia, peraltro, dimostrano l’effettivo contributo dei
fondi alla ripresa delle imprese in difficoltà durante il periodo di detenzione della partecipazione, senza il
quale sarebbe stato pressoché impossibile vendere tali società a terzi soggetti industriali:
 a tale riguardo, si nota come gli investitori hanno optato per società operanti nel settore dei beni di
consumo e, nella maggior parte dei casi, in presenza di una forte brand awareness, ovvero di una
riconoscibilità del marchio a sostegno del commitment del fondo. Tra queste, alcuni esempi possono essere rappresentati da Moncler, Gio Style, Allegri, Cirio e Conbipel;

pochi i fondi specializzati che hanno svolto attività d’investimento in modo continuativo e sistematico, ai
quali è riconducibile una leadership di mercato: Orlando Italy e Atlantis Capital Special Situations.
Dall’analisi emerge, pertanto, un chiaro approccio opportunistico da parte di fondi italiani generalisti e la
presenza sporadica di alcuni operatori stranieri, tra cui Oaktree Capital Management, Cinven e Hal Investments;

la distribuzione geografica degli investimenti, concentrata prevalentemente al Nord, sembra riflettere il
trend evolutivo delle procedure concorsuali sul territorio emerso dalla seconda parte dello studio. L’analisi
dei dati disponibili, infatti, ha messo in evidenza come l’andamento del numero delle procedure concorsuali rifletta la distribuzione del
tessuto imprenditoriale e industriale italiano: a fronte di una forte presenza di imprese nel Nord Italia, si rileva la maggiore criticità in termini di imprese in difficoltà;

i potenziali casi di situazioni distressed latenti in Italia, nell’ambito del Turnaround Monitor – TaM®13, sono
stati individuati sulla base delle seguenti ipotesi:

rapporto Debiti/EBITDA > 5 o negativo;

rapporto Debiti/Equity > 3;

grado di copertura degli interessi passivi < 1.
 10.3.5 Il venture capital
Il venture capital è un segmento nel settore del cosiddetto private equity, caratterizzato da investitori che finanziano le fasi iniziali dello sviluppo di un’azienda fortemente orientata alla crescita e all’innovazione: un tipico
esempio è il venture capital tecnologico, che in particolare segue mercati ed aziende che operano all’interno dei
segmenti più avanzati dell’innovazione high-tech.
Esso è un segmento molto importante dell’economia mondiale in quanto motore di innovazione, sviluppo e
creazione di azienda14: si tratta infatti di operatori specializzati che investono nelle fasi iniziali di un progetto imprenditoriale, ritenuto particolarmente promettente.
Una delle esigenze primarie è innanzitutto, quindi, quella di diffondere – da parte di operatori specifici – e di approcciare maggiormente (da parte degli imprenditori) questo tipo di operazioni, che sono assolutamente determinanti (come risulta palese in molti paesi a economia avanzata) per sostenere il processo innovativo del paese,
specie laddove riferite a processi early stage e non expansion.
Con il termine di “early stage financing” si intende – come noto – un’operazione di acquisizione temporanea di
quote di partecipazione al capitale di società, da parte di un intermediario specializzato, finalizzate a finanziarne la fase iniziale (early stage), con lo scopo di dismetterle in un arco temporale medio/lungo al fine di realizzare un guadagno in conto capitale. Gli interventi di early stage financing sostengono le fasi iniziali di
un’impresa o di un business e sono rivolti molto spesso al settore tecnologico, dove gli alti tassi di crescita
attesi che si legano all’innovazione di prodotto consente di formulare ipotesi di uscita nel medio termine pur
partendo da livelli dimensionali minori.
------------------------------------------13
Cfr. http://www.elab-unibg.it/wp-content/uploads/2013/01/57819.pdf
Il venture capital ha finanziato le principali società informatiche e presenti in Internet degli ultimi anni, da Microsoft a Google, così come le
più importanti iniziative nei campi delle biotecnologie, nel medicale, nanotecnologia e nel settore del green tech.
14
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Esistono diverse dimensioni (Tavola 25) dell’attività di venture capital (seed, start-up, first stage, expansion, bridge, ecc.), di cui due meritano una peculiare attenzione15:
1)
seed financing: specialmente per settori tecnologici, si interviene nella fase di sperimentazione, quando la
validità tecnica ed economica del prodotto e del servizio non è ancora acclarata (assenza di produzione)
e, spesso, non esiste un vero e proprio business plan strutturato (nascita dell’impresa);
2)
start-up financing: una volta superata la fase di sperimentazione, il bene oggetto di investimento è caratterizzato da produzione e test avanzati e si connota nella fase di avvio dell’attività.
Tavola 25 – Le diverse dimensioni del venture capital
In relazione alla presentazione del secondo rapporto sull’Early stage in Italia16, emerge come, in un’Europa che nel
corso del 2012 ha cominciato ad arrancare negli investimenti in venture capital, l’Italia in tema di start-up finalmente brilla, reggendo i livelli di investimento grazie anche alla crescente collaborazione tra business angels e fondi istituzionali: il passo successivo, per arrivare ad un coerente sviluppo dell’eco-sistema, risiede nell’assicurare i più opportuni strumenti di exit per gli investitori e nel moltiplicarsi di attori lungo l’intero ciclo di vita della start-up.
In estrema sintesi, i dati salienti emergenti dal suddetto rapporto sono i seguenti:

mentre nel 2011 si marcava nettamente la separazione tra attività dei venture capitalist e quella dei business
angels, nel 2012 c’è un exploit del numero di operazioni in cui si vede la loro contemporanea presenza;

nel mercato dell’early stage, nel 2012, esclusi gli operatori pubblici e i follow on, si registra un ammontare
investito totale di 80 milioni di euro, di cui 50 milioni di euro da parte degli operatori istituzionali e 30 milioni di euro da parte dei business angels:

mentre i fondi aumentano gli investimenti nelle aziende, i business angels segnano un -40%,

se però nell’ambito delle operazioni si registra una riduzione da parte degli angels, l’ammontare
dell’investimento medio è in crescita, raddoppiando: si è passati, infatti, da una media di 180.000
euro per operazione, nel 2011, a 360.000 euro del 2012;

il venture capitalist continua a investire ma si sta orientando più verso operazioni di seed capital che
comportano una riduzione del taglio medio dell’investimento, da un milione di euro a circa 800.000 euro.
Il dato medio dell’intera filiera dell’early stage è invece di circa 650.000 euro, per lo più dovuto ad alcune
grandi operazioni;

per quanto riguarda la geografia degli investimenti, a livello aggregato, la Lombardia cattura il 33% del
mercato, mentre al Sud si vede ancora poca attività. Da sottolineare come i business angels continuano a
focalizzarsi prevalentemente su Lombardia, Toscana e Piemonte, mentre i venture capitalist hanno guardato con molto interesse anche al Sud, per circa il 35% dei loro investimenti;

per quanto attiene ai settori di investimento (cfr. figura 17), l’ICT è primo per interesse con il 44% del mercato (il venture capital da solo supera per il 50% del totale), soprattutto nelle applicazioni web e mobile. I
business angels continuano a investire molto nel settore energia e ambiente, seguito da ICT e da med
tech, comparti in cui sembra che i venture capitalist abbiamo ridotto nel tempo il loro interesse;

il 20% degli investimenti effettuati sia dagli angels sia dai fondi è stato in sostanza mirato verso startup
innovative: il dato è interessante e testimonia il riscontro positivo degli operatori nel settore della nuova ti-
------------------------------------------15
16
Il riferimento principe in queste brevissime note che seguono è appunto agli importanti processi c.d. early stage.
Cfr http://www.privateequitymonitor.it/attach/early_stage_in_italia_survey_2013.pdf
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
pologia di società, soprattutto se si considera che la legge italiana che ha introdotto le startup innovative
nel nostro ordinamento è in vigore solamente da fine 2012 e che non sono ancora operativi i relativi incentivi fiscali.
L’Associazione italiana del private equity e del venture capital ha peraltro rilasciato dati relativi all’andamento degli investimenti nel corso del primo semestre del 201317.
In estrema sintesi, i dati salienti sono i seguenti:
gli investimenti early stage, quindi quelli diretti alle start-up, fanno registrare un andamento a due velocità:
da un lato si registra una crescita del numero delle operazioni che sono state 65, quindi oltre il 40% del
totale, ma con un totale investito corrispondente in netta flessione che si è fermato a 28 milioni di euro vale a dire il 2% del totale;
nel 2012 gli investimenti early stage furono 55 per un valore complessivo di 67 milioni di euro, quindi la
flessione del capitale destinato a queste operazioni sfiora il 60% e considerando che il numero delle operazioni è cresciuto si nota come la media di investimento per singolo deal sia ora pari a poco più di
400mila euro;
risulta evidente la crescita dell’attenzione (Tavola 26) verso le aziende innovative e tecnologiche, che intercettano il 69% degli investimenti e si dividono nei settori computer con nove investimenti, media e intrattenimento con otto investimenti, medicale con otto investimenti, biotecnologie con cinque investimenti, energia e utility con tre investimenti, e poi un investimento nei settori chimico, distribuzione al dettaglio,
servizi finanziari, i restanti dieci investimenti in realtà tecnologiche sono andati ad aziende di servizi;
una contrazione dell’investimento medio nelle start-up non è un dato da vedere negativamente: è però
importante che anche gli investimenti di expansion continuino a crescere e ad agire come round successivi anche per le start-up tecnologiche.
Tavola 26 – I settori delle aziende innovative
Come ben noto, il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha introdotto nel panorama legislativo italiano un quadro di
riferimento organico per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative (startup); la normativa è stata
successivamente modificata dal d.l. n. 76/2013, in vigore dal 28 giugno 2013.
Si tratta di un provvedimento che sembra in effetti aver posto le basi per azioni sinergiche profonde, in grado di innestare circuiti virtuosi tra operatori finanziari specializzati e nascita di nuove imprese, specie in settori ad alto rendimento potenziale.
In base alla situazione fotografata dal progetto ‘The Italian Startup Ecosystem: Who’s Who’18, promosso da Italia
Startup e dagli Osservatori del Politecnico di Milano, in collaborazione con Smau e con il supporto del Ministero
dello Sviluppo economico, ad oggi:
------------------------------------------17
18
Cfr http://www.aifi.it/IT/PDF/Statistiche/IlmercatoitalianodelPEeVCnelI%20semestre2013.pdf
Cfr http://www.italiastartup.it/whoiswho/
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
sussiste una stima di investimenti per 110 milioni di euro per il 2013 sulle startup innovative, che in Italia
sono 1.227, distribuite per il 50% al nord, il 36% al centro e il 14% al sud;

sono 113 le startup hi-tech finanziate, 97 gli incubatori e acceleratori (di cui 64 pubblici e 33 privati), 32 gli
investitori istituzionali (6 pubblici e 26 privati), 40 i parchi scientifici e tecnologici (37 pubblici e 3 privati), 65
gli spazi di coworking e 33 le competizioni dedicate alle startup;

l’Italia è diventata un paese più ospitale per le startup innovative: grazie al Decreto Crescita Bis, chi intende avviare un’impresa innovativa ha la vita più facile.

sussiste una potenziale propensione all’imprenditorialità per circa 360.000 persone in Italia, rappresentando quest’ultimo un dato di assoluta rilevanza strategica19.
Ma quali sono gli elementi determinanti per risultare appetibili ad un investitore specializzato nell’early stage financing?
Come si determina la scelta di un investimento in un progetto piuttosto che in un altro?
A tale riguardo, si può tentare (Tavola 27) di fare una sintesi estrema:
1) Primo focus: le persone.

Chi è l’imprenditore od il team? Quanto sono motivati? Saranno in grado di gestire l’azienda?

È una banalità, ma sovente lo si trascura, che le aziende sono fatte essenzialmente di persone e,
particolarmente all’inizio, le poche persone chiave sono l’elemento determinante, in ultima analisi,
per il successo di qualunque iniziativa.
2) Secondo focus: il business.

Qual è la business idea e l’opportunità proposta? A quale mercato si indirizza?

Quali i rischi?
3) Terzo focus: il prodotto/servizio ed il mercato.

Quale esigenza guida la società? È un business scalabile? Ci sono dei punti di arrivo intermedio
(c.d. milestones) in grado di validare il modello proposto?
4) Quarto focus: il business plan.

Il piano è consistente con le ambizioni ed i modelli presentati? Come cambiano i numeri in base a
diversi scenari di mercato?
Tavola 27 – I focus del venture capital
------------------------------------------19
Cfr. http://www.italiastartup.it/wpcontent/uploads/2013/06/ItaliaStartup_Propensione_imprenditoriale_infografica-.png
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Il limitato sviluppo – se rapportato ad altri analoghi paesi – del venture capital in Italia si lega indubbiamente ad
una scarsa conoscenza da parte degli imprenditori di come funziona questo settore, di quali sono le “regole del
gioco” ed in ultima analisi di come operano e di quali obiettivi hanno gli operatori di questo segmento, con il risultato che spesso e volentieri vengono presentati progetti ‘timidi’ (nicchie di mercato ad esempio), spesso ‘locali’ o semplicemente poco innovativi o troppo indietro rispetto al mercato.
Gli investitori di venture capital, con un’intensità tanto maggiore quanto più ci si indirizzi in settori “avanzati” –
tipicamente nel campo tecnologico – cercano:

team imprenditoriali ambiziosi e competenti;

aziende che hanno individuato una chiara opportunità di mercato, anche se al momento inespressa o latente, con un business però chiaramente “trainato” da dinamiche di mercato ‘forti’;

poche idee, ma forti e chiaramente espresse;

obiettivi definiti e piani congruenti per raggiungerli.
La logica sottostante degli investitori, in questo ambito, è quella che l’assunzione del rischio in una nuova iniziativa sia bilanciata dalla possibilità di ritorni molto significativi.
Non è inusuale che un investimento di venture capital possa rendere 5-10-20 volte il capitale inizialmente investito, laddove l’investimento vada bene. Per contro, è nella norma che, su un certo numero di investimenti effettuati, alcuni di questi si traducano in un insuccesso e quindi nella perdita del capitale investito.
Chiariti questi aspetti, è importante quindi sottolineare quello che tipicamente invece non interessa al venture
capital.
Tipicamente, molte iniziative imprenditoriali non vengono ritenute interessanti per motivi ricorrenti, che presentiamo discorsivamente di seguito:

il management team non convince. A volte, l’imprenditore che propone di investire nella sua azienda, in
realtà, ha un atteggiamento diciamo “da manager” rispetto all’iniziativa o non è pronto a prendersi la piena assunzione del rischio: ad esempio, non è serio presentarsi con tutte le carte in regola, ma con la richiesta di avere uno stipendio da megamanager, spesso totalmente fuori luogo;

molti si presentano con la classica “idea”. Il venture capital investe in aziende, non in idee. Le idee sono
fondamentali e senza di esse non c’è nemmeno materia di discussione, ma è il passaggio da idea ad
azienda – con tutte le implicazioni connesse – che può interessare un investitore;

bel progetto ma “timido”. Ridurre il rischio limitando fortemente il potenziale (ad esempio un bel progetto,
ma limitato ad una nicchia di mercato) spesso non paga quando si parla ad investitori di venture capital,
che ben conoscono i rischi connessi alla creazione di una nuova iniziativa in un nuovo mercato;

l’opportunità di mercato individuata è troppo “piccola” per giustificare il rischio;

la business idea è complicata o esplicitata in modo poco chiaro e coerente;

i numeri “non girano”, vi sono troppe incongruenze, che spesso denotano poche competenze specifiche
delle dinamiche di mercato;

talora, semplicemente “non gira” la storia complessiva, non convince.
Cercando di tentare un quadro di sintesi, seppur con tutte le limitazioni del caso, i problemi più evidenti sembrano identificarsi in:

un generale atteggiamento di “improvvisazione creativa” e scarsa progettualità, che allontana e disincentiva gli investitori; occorre molta meno superficialità e più studio da parte degli aspiranti imprenditori, più
analisi del modello di business che deve sostenere l’idea (business plan);

un’endemica mancanza di infrastrutture, di “luoghi aggreganti” dove far circolare capitali, idee, persone in
un unico punto. A quanto pare, Internet ed i nuovi media non possono sostituire assolutamente la virtuosa
collaborazione, che nasce quando gli attori di un processo si trovano nello stesso luogo;

una burocratizzazione che allunga terribilmente i tempi/costi per avviare un’azienda ed impedisce di conoscere ed accedere con semplicità a tutte le possibili fonti di finanziamento, tra cui appunto i venture
capital.
Andando nello specifico della R&S, che è materia di assoluta rilevanza nell’ambito dei fattori di concorrenzialità
del sistema aziendale nazionale, è opportuno spendere qualche parola su come essa possa trarre vantaggio dal
venture capital.
In effetti, è indispensabile unire ricerca a venture capital, in modo da ottenere una gestione unitaria delle risorse
ed una distribuzione coerente degli obiettivi: il venture capital dovrebbe tendere ad integrare le competenze che
vengono sviluppate negli ambiti di ricerca e quest’ultima dovrebbe prendere atto di un’economia che richiede
sempre più di comprimere i processi di sviluppo delle innovazioni.
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
È quest’ultima analisi che può apparire contraddittoria, perché la ricerca ha bisogno, per crescere, di stabilità e
di progetti a lungo periodo, mentre il venture capital trasmette, almeno nell’immaginario di chi non conosce appieno le sue potenzialità, elementi di turbolenza e frammentazione.
Tuttavia, il venture capitalist “stratega” e ligio alla propria filosofia di base, capovolge questa prospettiva, perché
entra in un’azienda, ammette di possedere una quota anche di minoranza e, nel momento stesso in cui investe,
conosce il suo cammino di uscita: tale percorso non è in contraddizione con il disegno strategico perché
un’azienda nasce, infatti, nel momento in cui il prodotto diventa commodity, che è la stessa fase in cui cresce la
curva di una tecnologia. Nel momento in cui la curva si abbassa, e nel campo delle soluzioni tecnologiche avviene velocemente, bisogna pensare, senza tergiversare, a fissare nuovi obiettivi.
In tale quadro, è altresì giusto domandarsi se il venture capital non rischi comunque di pressare – negativamente
– la ricerca sulle esigenze di breve e brevissimo termine: ma anche ciò andrebbe chiarito, poiché andrebbero
stabiliti rientri economici alla giusta distanza, ribadendo la logica dell’orizzonte temporale di lungo termine.
Da tale punto di vista, semmai, il venture capital costringe i ricercatori ad accettare una metrica, vedere i risultati,
sopportare il rischio.
Laddove vi sia un fallimento, se ne potrà dedurre che la strategia non ha funzionato: dunque, non si tratta tanto
di allontanare il fantasma delle scadenze troppo serrate, ma semmai di accettare una gradualità, evitando ogni
atteggiamento difensivo.
Misurare non va inteso come uccidere la ricerca, ma semmai valorizzarla, orientandola ad un fine.
Visto che i presupposti di chiarezza del business e delle progettualità vengono in qualche modo “estremizzati”
nell’ambito del dialogo tra investitore di early stage ed azienda target, si può sostenere sarebbe ben auspicabile,
da parte delle PMI e di tutti i soggetti con essa coinvolti (consulenti specialisti, istituzioni pubbliche, ecc.), un deciso salto di qualità nell’approccio ad un potenziale volano di crescita così rilevante.
 10.3.6 Il crowdfunding
Il crowd funding o crowdfunding (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) è un processo collaborativo
di un gruppo di persone, che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni: in sostanza è un processo di finanziamento dal basso, che mobilita persone e risorse.
Il termine trae la propria origine dal crowdsourcing, processo di sviluppo collettivo di un prodotto: il crowdfunding si può riferire a processi di qualsiasi genere, dall’aiuto in occasione di tragedie umanitarie al sostegno
all’arte e ai beni culturali, al giornalismo partecipativo, fino all’imprenditoria innovativa e alla ricerca scientifica.
Il web è solitamente la piattaforma che permette l’incontro e la collaborazione dei soggetti coinvolti in un progetto di crowdfunding: colui che ha portato alla notorietà il crowdfunding oltreoceano è Barack Obama, pagando
parte della sua campagna elettorale per la presidenza con i soldi donati dai suoi elettori, i quali erano i primi portatori di interesse.
Le iniziative di crowdfunding si possono distinguere in iniziative autonome, sviluppate ad hoc per sostenere cause o progetti singoli, e piattaforme di crowdfunding: esempio di iniziativa autonoma di crowdfunding è la campagna che si chiamava “Tous Mecenes” (tutti mecenati) del Louvre, in cui il progetto prevedeva di raccogliere 1
milione di euro attraverso le donazioni delle web community per acquistare il capolavoro rinascimentale Le tre
grazie di Cranach da un collezionista privato.
Le piattaforme di crowdfunding sono siti web che facilitano l’incontro tra la domanda di finanziamenti da parte di
chi promuove dei progetti e l’offerta di denaro da parte degli utenti: le piattaforme di crowdfunding si possono
distinguere in generaliste, che raccolgono progetti di ogni area di interesse, e verticali (o tematiche), specializzate in progetti di particolari settori. Attraverso Kickstarter, gli ideatori del social network Diaspora hanno raccolto
oltre 200 000 dollari, partendo da una richiesta di finanziamento iniziale di 10 000 dollari20.
Nel caso degli imprenditori che chiedono alla Rete di finanziare la loro idea, in cambio di una partecipazione nella nuova azienda, si parla di equity crowdfunding: un processo che sostituisce o integra con il finanziamento diffuso la tradizionale raccolta di fondi tra i venture capitalist.
Il finanziamento delle start-up è al centro del dibattito finanziario, come sopra visto ed il crowdfunding:

è una delle modalità più veloci e moderne per consentire alle aziende neonate di trovare soci e finanziatori, specie in un momento in cui non è sempre facile ottenere credito dalle banche;
------------------------------------------20
Cfr http://it.wikipedia.org/wiki/Crowd_funding
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda

stando ai dati recentemente diffusi in occasione della seconda convention internazionale sul crowdfunding, che si è tenuta a Las Vegas, dopo che nel 2012 questa modalità di raccolta di fondi ha permesso di
drenare via internet oltre 2,7 miliardi di dollari, per la fine del 2013 si va verso il raddoppio, con una raccolta stimata di 5 miliardi di dollari.
Proprio a un particolare tipo di start-up – quelle innovative – come noto sono dedicate alcune norme introdotte
dal decreto legge n. 179/2012 (convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221) recante “Ulteriori misure urgenti
per la crescita del Paese” (noto anche come “Decreto crescita-bis”): nel complessivo disegno del legislatore,
l’equity crowdfunding (Tavola 28) è visto come uno strumento che può favorire lo sviluppo delle start-up innovative attraverso regole e modalità di finanziamento in grado di sfruttare le potenzialità di internet.
Tavola 28 – L’equity croedfunding
Il Decreto ha delegato alla Consob il compito di disciplinare alcuni specifici aspetti del fenomeno con l’obiettivo
di creare un “ambiente” affidabile in grado, cioè, di creare fiducia negli investitori.
In questo quadro, in Italia, il 26 giugno 2013, la Consob ha adottato le nuove regole per il crowdfunding, statuendo il “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line”21,
che pone una serie di obblighi per gli operatori che vogliano reperire risorse attraverso questo strumento e per i
potenziali finanziatori.
In sintesi, la Consob ad oggi prevede:

un’esenzione dall’applicazione della disciplina sui servizi di investimento purché non si superi la soglia di
500 euro per ogni singolo ordine e di 1.000 euro per ordini complessivi annuali, nel caso di investimenti
delle persone fisiche;

che le stesse soglie crescono rispettivamente a 5mila e 10mila euro nel caso di investimenti di persone
giuridiche;

al punto 2 dell’articolo 24, che, “ai fini del perfezionamento dell’offerta sul portale, il gestore (del portale di
crowdfunding, ndr) verifica che una quota almeno pari al 5% degli strumenti finanziari offerti sia stata sottoscritta da investitori professionali o da fondazioni bancarie o da incubatori di start-up innovative”. Il regolamento stesso, all’articolo 2, prevede che per “investitori professionali” si intendano “i clienti professionali privati di diritto (...) nonché i clienti professionali pubblici di diritto previsti dall’articolo 2 del decreto
ministeriale 11 novembre 2011, n. 236 emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze”:
Con il varo del regolamento Consob, l’Italia si pone all’avanguardia, almeno dal punto di vista normativo: siamo il
primo paese europeo ad adottare un pacchetto di regole per conferire alle start-up la possibilità di reperire capitali tramite la Rete, aumentando allo stesso tempo le protezioni per gli investitori.
Secondo alcune interpretazioni (Tavola 29), tuttavia, tale norma restringerebbe eccessivamente il campo dei potenziali soci finanziatori delle start-up,

tagliando fuori ad esempio i cosiddetti “business angel”, quegli investitori singoli cioè che, forti di un buon
patrimonio e buoni contatti, si lanciano in maniera informale nell’impresa imprenditoriale. Il motivo per cui
questi investitori sono stati esclusi dal crowdfunding è che non esiste una figura giuridica ufficiale;

tagliati fuori dal crowdfunding risultano anche i venture capitalist. Un’esclusione che è stata contestata
dall’Aifi, l’Associazione Italiana del private equity e venture capital: l’associazione osserva che, nonostante
l’Italia sia stato il primo paese a realizzare il regolamento che disciplina il crowdfunding, non esiste tuttavia
la possibilità per i venture capitalist di accedere a tale sistema, in quanto manca a monte una definizione
------------------------------------------21
Cfr http://www.consob.it/main/trasversale/risparmiatori/investor/crowdfunding/index.html
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191
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
di venture capital. Il regolamento europeo, entrato in vigore lo scorso 22 luglio 2013, può essere
l’occasione per l’Italia di colmare questo vuoto rendendo la disciplina Consob aperta a tutti gli operatori
nel capitale di rischio, così come si era richiesto alla Consob stessa in fase di consultazione preliminare
all’emanazione del regolamento22.
Tavola 29 – Il crowdfunfing e gli altri investitori istituzionali
 10.4 La quotazione in borsa
L’attuale andamento economico e le incerte previsioni sulla ripresa del sistema finanziario italiano (ed europeo)
rendono necessario per le imprese trovare soluzioni di rafforzamento patrimoniale e soprattutto soluzioni in termini finanziari23:

la stretta creditizia, infatti, colpisce in particolar modo le aziende di modeste dimensioni, che costituiscono l’ossatura dell’economia italiana, ponendo forti limiti in termini d’investimenti e crescita, ricerca e innovazione;

con l’ampliamento dei mercati e la creazione di un mercato internazionale e senza barriere, la concorrenza si è fatta più agguerrita e l’innovazione tecnologia procede a ritmi talmente sostenuti da ridurre notevolmente il normale ciclo di vita di alcuni prodotti e servizi;

le imprese italiane, per sopperire alla mancanza di liquidità, e dunque all’impossibilità di finanziare la propria attività, hanno, da lungo tempo, fatto ricorso principalmente al sistema bancario, spesso in misura
inappropriata;

la crisi economica non ha colpito soltanto direttamente le imprese: le istituzioni bancarie sono oggi più
restie ad accordare crediti e prestiti, monitorando costantemente l’attività intrapresa dalle aziende;

l’ottica più oculata, i tassi d’interesse in aumento e i costi di finanziamento sempre più elevati (in molti casi
insostenibili per le microimprese), dovrebbero portare le aziende italiane a guardarsi intorno e cercare
nuove vie di sbocco: il mercato borsistico è una delle alternative da intraprendere, ancor più oggi, a seguito della nascita di mercati alternativi del capitale destinati specificatamente alle piccole e medie imprese.
La borsa è sempre stata un mezzo per accedere a nuove risorse di natura finanziaria, ma anche imprenditoriali e
intellettive;

tuttavia stringenti requisiti e oneri di quotazione molto elevati, hanno portato le PMI italiane a escludere
questa forma d’investimento;

inoltre la paura degli imprenditori di perdere il controllo della propria azienda (si ricordi che il modello più
diffuso è l’azienda familiare), rivolgendosi a una platea ampia, ha bloccato aziende che avrebbero potuto
far affidamento sul mercato stesso.
I nuovi mercati alternativi, grazie ad una regolamentazione più flessibile e a uno snellimento in termini di requisiti
e tempistiche di accesso al mercato rappresentano quella scelta strategica, seppur di carattere straordinario,
che impatta su tutti gli elementi, non solo interni l’azienda, ma anche nelle relazioni con gli stakeholders ed il
mercato più in generale.
Secondo una ricerca condotta dalla professoressa Geranio, dell’Università Bocconi, se l’Italia portasse a 1.000 il
numero delle società quotate (al 31.12.12 le società quotate in Borsa Italiana sono 323), si avrebbero importanti
------------------------------------------22
23
Cfr.http://www.repubblica.it/economia/finanza/2013/10/24/news/dopo_la_consob_anche_la_sec_disciplina_il_crowdfunding-69368434/
Per gli approfondimenti sul mercato dei capitali, si ringrazia la dott.ssa Ilaria Sdrubolini.
192
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
effetti per l’economia reale: la crescita del PIL si attesterebbe tra lo 0,9% e l’1,5%, con una riduzione del 6,9%
del tasso di disoccupazione e un aumento del gettito fiscale pari a 2,85 miliardi di euro.
La decisione di quotarsi per un’azienda resta comunque una scelta difficile, che ha importanti implicazioni, ma
“avere i mezzi idonei ad affrontare politiche di crescita e d’investimento è l’unica vera scommessa su cui vale la
pena giocare, proprio in una fase di profonda crisi24“.
Le PMI – come noto – mostrano esigenze che rendono necessario il ricorso a un mercato caratterizzato da requisiti di accesso e permanenza più semplici e da un processo di quotazione più veloce e che consenta
l’apertura del capitale al mercato finanziario da parte degli imprenditori in maniera molto graduale, evitando pertanto che il passaggio di azioni avvenga in maniera traumatica per la proprietà familiare.
Contrariamente a quanto si possa comunemente pensare, le PMI che possono ambire a entrare in Borsa possono ad oggi essere anche molto piccole, con fatturati persino di pochi milioni di euro: indipendentemente dalla
dimensione, ciò che comunque accomuna le società che entrano in Borsa, in particolare le piccole e medie imprese, è la volontà di prendere molto seriamente la propria crescita e la sua gestione.
Il successo di un’offerta finalizzata alla quotazione dipende, tuttavia, anche dalle concrete prospettive di sviluppo, dal modo in cui questa si prepara ad affrontare il mercato, dal rapporto proprietà/impresa, dalla presenza di
un management professionale e dalla disponibilità di comunicare in modo trasparente ed efficace.
La scelta del mercato25 non è una cosa facile, né può essere lasciata all’intuizione dell’imprenditore; è opportuno, innanzitutto, quotarsi nel mercato che presenta le caratteristiche più vicine a quelle dell’azienda.
Un primo criterio da prendere in considerazione è quello dimensionale.
Il sistema economico italiano, come ampliamente discusso nel primo capitolo, è costituito prevalentemente da
PMI, spesso sottocapitalizzate e chiuse rispetto il mondo di opportunità che le circonda: per favorire lo sviluppo
di tali aziende, Borsa Italiana ha avviato un progetto denominato “Elite”, al fine di creare una sistema attorno alle
eccellenze italiane26.
Un centinaio sono le aziende che hanno aderito al progetto di sviluppo che si concentra fonda su quattro pilastri: la formazione, la tutorship, la community e la visibilità.
Attraverso Elite, dunque, le piccole e medie imprese possono realizzare i loro progetti di crescita e prendere coscienza delle proprie potenzialità, comunicandole efficacemente all’esterno, generando nuove opportunità di
business e facilitando il reperimento di risorse finanziarie: Elite rappresenta quindi un trampolino di lancio verso i
mercati del capitale, una “palestra di Borsa Italiana che forma i campioni di domani27”.
Il mercato borsistico italiano più consono (Tavola 30) ad un processo di quotazione di una PMI è oggi indubbiamente l’AIM Italia/MAC mercato unico – varato nel marzo del 2012.
Le società ad oggi quotate sul mercato AIM Italia / MAC sono 30 – il dato è aggiornato a settembre 2013 e si
tenga presente che altre 9 società effettueranno un IPO entro la fine del 2013 – per una capitalizzazione complessiva che si supera di poco il miliardo di euro.
Il nuovo mercato unico, dedicato esclusivamente alle Piccole e Medie Imprese, nasce il 1 marzo 2012 a seguito
della fusione dei due mercati complementari AIM Italia e MAC, messa in atto, come già detto, dall’Advisory
Board di Borsa Italiana, nell’ottica di valorizzazione delle esperienze maturate con i precedenti mercati.
L’unificazione è stata raggiunta con la modifica dei rispettivi regolamenti e l’adozione di un unico regolamento,
con cui sono state introdotte alcune novità:

riduzione del numero di bilanci certificati (da tre a uno);

riduzione degli obblighi informativi: ad esempio non è più necessario comunicare le variazioni della sede
sociale o della data di chiusura del bilancio, così come la soglia per la comunicazione di operazioni di internal dealing28 passa da €5.000 a € 50.000; anche i cambiamenti significativi degli assetti proprietari dovranno essere dichiarati soltanto se superano il 5% (prima era il 3%);

le nuove emittenti dovranno effettuare un richiamo alle disposizioni relative alle società quotate in tema di
Offerta Pubblica di Acquisto;
------------------------------------------24
Cfr. introduzione al testo “Elite ed AIM Italia” di Arlotta C., Bertoletti F., Boccia A., Coda Negozio E., Pesaro C. e Venturini G.
Per ogni dettaglio in materia, cfr. www.borsaitaliana.it.
26
Cfr “Piccole in borsa crescono” di Astone F., articolo pubblicato su “Il mondo” del 3 luglio 2013.
27
Cfr. “Elite e AIM Italia Mercato Alternativo del Capitale per valorizzare e sostenere la crescita delle PMI italiane” di Arlotta C., Bertoletti F.,
Boccia A., Coda Negozio E., Pesaro C. e Venturini G.
28
Operazioni di compravendita di titoli della società quotata da parte di amministratori, sindaci e managers.
25
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193
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda

con riferimento alle operazioni significative, la soglia degli indici di rilevanza è stata innalzata dal 10% al
25%; gli indici per la determinazione della dimensione di un’operazione sono:

indice di rilevanza dell’attivo lordo (attivo lordo dell’oggetto dell’operazione/attivo lordo
dell’emittente * 100);

indice di rilevanza dell’utile (utile dell’oggetto / utile dell’emittente*100);

indice di rilevanza del fatturato (fatturato dell’oggetto / fatturato dell’emittente * 100);

indice di rilevanza del controvalore (controvalore dell’operazione / valore di mercato delle azioni ordinarie * 100);

indice di rilevanza del gross capital29 (gross capital della società o del business che viene acquisito/gross capital dell’emittente * 100)30.
Tavola 30 – Un punto d’incontro tra PMI e AIM
Il nuovo mercato continua ad essere un Multilateral Trading Facility, regolato e gestito da Borsa Italiana: esiste
dunque un mercato primario, al quale possono accedere investitori professionali ed istituzionali ed un mercato
secondario, aperto anche agli investitori retail.
I requisiti di accesso al mercato (Schede 1 e 2 e Tavola 22), richiesti per le emittenti, sono molto “blandi”:

non è infatti richiesto un capitale minimo

e la percentuale minima di flottante richiesta è del 10%;

anche i documenti da predisporre al momento della richiesta di quotazione sono ridotti:

si tratta dell’ultimo bilancio, che deve essere sottoposto a revisione contabile

ed il documento di ammissione

mentre, dal momento in cui la società è quotata sarà necessario il bilancio annuale, redatto secondo i principi contabili italiani o internazionali, a scelta della quotanda

ed una relazione semestrale.
Scheda 1 – I requisiti di accesso al mercato
Flottante
Bilanci certificati
Investitori
Documenti di
ammissione
Market cap (€)
Advisor principale
Adempimenti post
quotazione
Dati trimestrali
Dati semestrali
Bilancio annuale
Principi contabili
AIM Italia/ MAC
10%
1 (se esistente)
Investitori professionali; successivamente anche retail
Documento di ammissione
Nessun requisito
Nomad
Informativa price sensitive in occasione di operazioni straordinarie
No
Si
Si
Internazionali IAS/IFRS o italiani (a scelta dell’emittente)
Fonte: Borsa Italiana
------------------------------------------29
Gross capital è l’aggregato del valore di mercato degli strumenti finanziari (escluse le azioni proprie) e di tutte le passività (diverse dalle
passività correnti).
30
Methoris, “Nuovo mercato non regolamentato di Borsa Italiana e i principali mercati non regolamentati europei”.
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
A seguire, si indicano le principali caratteristiche fondanti del nuovo mercato:

non è un mercato regolamentato come definito dall’art. 1, comma 1, lett. w-ter del d.lgs. 24 febbraio
1998, n. 58 (TUF),

ma un sistema multilaterale di negoziazione exchange regulated ossia regolamentato da Borsa Italiana stessa;

non essendo un mercato regolamentato,
- non è richiesta, in fase di ammissione e/o di collocamento degli strumenti finanziari sul mercato, la
pubblicazione di un prospetto informativo, salvo qualora ricorrano i presupposti di applicazione in caso di offerta al pubblico e di inapplicabilità del relativo regime derogatorio;

è un mercato dedicato principalmente a strumenti finanziari azionari,
- ma aperto anche ad altri strumenti finanziari (quali warrants e obbligazioni convertibili)
- a condizione che sia garantita al pubblico la disponibilità di informazioni dettagliate su tali strumenti finanziari e sia assicurato un mercato regolare per gli stessi;

la procedura di ammissione è semplificata e non comporta l’istruttoria di alcuna autorità di vigilanza;

la due-diligence è condotta dal Nominated Adviser (Nomad), soggetto responsabile nei confronti di Borsa
Italiana ed incaricato di valutare l’appropriatezza della società ai fini dell’ammissione al mercato e di assisterla e guidarla nell’assolvimento dei compiti e delle responsabilità derivanti dal Regolamento Emittenti
AIM Italia per tutto il periodo di permanenza sul mercato;

l’emittente deve mantenere in via continuativa un operatore specialista, incaricato di sostenere la liquidità
sul titolo.
In termini di operatività del nuovo mercato, si osserva come:

AIM Italia è un mercato accessibile agli investitori qualificati e, in fase di rivendita, agli investitori retail;

gli investitori retail potranno acquistare titoli in fase di collocamento in caso di offerta al pubblico, fermo
restando in questo caso l’obbligo per l’emittente di predisporre il prospetto informativo. Dopo la quotazione del titolo, gli investitori retail potranno invece negoziare liberamente sul mercato secondario i titoli
scambiati sull’AIM Italia attraverso il loro broker o la loro banca;

le operazioni di rivendita effettuate sull’AIM Italia non sono soggette alla disciplina in tema di offerta al
pubblico (art. 205 TUF), in quanto non applicabili le disposizioni di cui all’art. 100-bis, commi 2 e 3 del
TUF;

la liquidità del mercato – in termini di numero di scambi giornalieri – è garantita da un operatore specialista
mediante lo svolgimento di attività di negoziazione in conto proprio;

le categorie di soggetti che possono partecipare alle negoziazioni nel mercato AIM Italia e i relativi requisiti
di partecipazione sono sostanzialmente gli stessi previsti per gli altri mercati gestiti da Borsa Italiana;

è inoltre prevista una procedura agevolata di membership per gli intermediari che sono aderenti ai mercati
del Gruppo London Stock Exchange;

la piattaforma di trading sulla quale sarà possibile negoziare le azioni AIM Italia è TradElect e le negoziazioni si possono svolgere secondo le modalità di asta e di negoziazione continua;

con riferimento alle procedure sanzionatorie, sul modello del mercato MTA, è previsto il preventivo esperimento della procedura avanti al Collegio dei Probiviri, i cui tre membri sono nominati dal Consiglio di
Amministrazione di Borsa Italiana che provvede altresì ad eleggere tra questi il Presidente. Tale procedura
è condizione necessaria di procedibilità per attivare la procedura arbitrale.
Tavola 31 – AIM Italia vs MTA, caratteristiche a confronto
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Scheda 2 – Confronto tra le principali caratteristiche tra l’AIM Italia e l’MTA
AIM Italia
Requisiti di ammissione
No capitalizzazione minima
10% flottante minimo (quota di capitale sociale sul mercato)
No numero minimo di anni di esistenza della società
No struttura di governo societario specifica
Nomina Nomad che deve rimanere sempre al fianco della società
Documenti per l’ammissione
Documento di ammissione
No altri documenti
1 bilanci certificati, IFRS o meno (libertà di scelta)
Processo di ammissione
No
due
diligence
di
Borsa
Italiana
No due diligence di Consob (sì se in presenza di offerta pubblica)
Adempimenti post quotazione
No resoconti trimestrali
Obblighi di informativa al mercato
Specialista per il sostegno della liquidità del titolo
MTA
Requisiti di ammissione
40 mln di euro di capitalizzazione minima
25% flottante (35% per STAR)
3 anni di esistenza della società
Struttura di governo societario ispirata al Codice di Autodisciplina (requisiti più stringenti per il segmento STAR)
Nomina Sponsor per l’ammissione a quotazione
Documenti per l’ammissione
Prospetto Informativo
QMAT, piano industriale, memorandum sul sistema di controllo
di gestione, documento di valutazione
3 bilanci certificati, di cui 2 IFRS
Processo di ammissione
Due Diligence CONSOB per nulla osta al prospetto informativo e
due diligence Borsa Italiana per ammissione a quotazione
Adempimenti post quotazione
Resoconti trimestrali
Obblighi di informativa al mercato
Specialista obbligatorio per il solo segmento STAR
Per ciò che riguarda i regolamenti (Tavola 32):

la disciplina del mercato AIM Italia si articola in due regolamenti principali predisposti da Borsa Italiana, il
“Regolamento Emittenti” (da non confondersi con il regolamento adottato da Consob con delibera
11971/1999) ed il “Regolamento Nominated Advisers” (Regolamento Nomad), come integrati dal “Manuale delle Procedure di Accertamento delle Violazioni e Impugnazioni”, dal “Manuale delle Negoziazioni”
e dal “Regolamento degli operatori”;

il Regolamento Emittenti e il Regolamento Nomad (Regolamenti AIM Italia) sono stati redatti sulla base
delle “AIM Rules for companies” e delle “AIM Rules for Nominated Advisers” del London Stock Exchange,
con alcuni adattamenti volti a rispondere alle peculiarità della realtà economica e imprenditoriale italiana;

i Regolamenti AIM Italia sono entrambi costituiti da previsioni di carattere generale.
Sono quindi previste Linee Guida che chiariscono e completano il significato di dette previsioni, formandone
parte integrante.
Il testo dei Regolamenti AIM Italia e dei relativi Allegati è in vigore dal 1° dicembre 2008 ed è disponibile sul sito
internet di Borsa Italiana, www.borsaitaliana.it.
Tavola 32 – I regolamenti disciplinati dall’AIM
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Quanto al regolamento emittenti, si rileva come esso definisce la procedura di ammissione e gli obblighi in via
continuativa per gli emittenti ammessi alle negoziazioni sul mercato AIM Italia:

a differenza dei mercati regolamentati, per l’ammissione all’AIM Italia non sono richiesti requisiti minimi, né
in termini di capitalizzazione, né di corporate governance o specifici requisiti economico finanziari

è, infatti, demandata al Nomad la valutazione circa l’appropriatezza dell’emittente all’ammissione
sul mercato AIM Italia, attestata tramite la dichiarazione rilasciata a Borsa Italiana dal Nomad stesso,

sarà pertanto il mercato, attraverso la figura del Nomad, a definire la dimensione ideale delle società
ammesse al mercato e i presidi in termini di governance che meglio tutelino gli azionisti di minoranza,

tuttavia, laddove l’emittente sia un’investing company, ai fini dell’ammissione deve raccogliere un
minimo di 5 milioni di Euro in contanti tramite un collocamento che si concluda alla data di ammissione ovvero immediatamente prima dell’ammissione stessa);

in tema di flottante, è richiesta, ai fini dell’ammissione, la condizione di un flottante minimo,

tale condizione si presume realizzata quando le azioni sono ripartite presso gli investitori – non parti
correlate né dipendenti della società o del gruppo – per almeno il 10% del capitale sociale per effetto di un collocamento da effettuarsi contestualmente o in prossimità dell’ammissione alle negoziazioni sul mercato,

l’inizio delle negoziazioni è condizionato al buon esito dell’offerta, che si considera realizzato quando le azioni sono state sottoscritte da almeno 5 investitori professionali o da 12 investitori di cui almeno 2 professionali;

il requisito principale che una società deve soddisfare per l’ammissione all’AIM Italia è la presenza continua del Nomad, sia nella fase di pre-ammissione che in quella di post-ammissione;

in fase di ammissione l’emittente deve predisporre soltanto il documento di ammissione (Scheda 3), nel
quale sono riportate le informazioni relative all’attività della società, al management, agli azionisti e ai dati
economico-finanziari,

la struttura del documento di ammissione segue il modello dello schema di prospetto previsto dal
Regolamento 809/2004/CE di attuazione della Direttiva Prospetti, ma contiene un minor numero di
informazioni, in particolare di natura economico-finanziaria (ad esempio, non sono richieste le informazioni finanziarie pro-forma),

l’emittente è tenuto a predisporre il documento di ammissione anche quando è esentato dalla pubblicazione di un prospetto informativo ai sensi della Direttiva Prospetti,

le società ammesse da almeno 18 mesi sul Mercato Alternativo dei Capitali (MAC) possono presentare ai fini dell’accesso al mercato AIM Italia, in luogo del documento di ammissione, la Scheda Informativa (già predisposta per l’ammissione sul MAC) con contenuti aggiornati e con le informazioni
finanziarie, redatte conformemente ai principi contabili internazionali, relative agli ultimi 3 anni (o a un
numero inferiore di esercizi se l’emittente è in attività da un periodo inferiore);

con riguardo agli obblighi informativi, è previsto un regime particolarmente stringente con riferimento sia
all’informativa price-sensitive sia all’informativa sulle operazioni societarie,

ai fini dell’identificazione delle operazioni societarie oggetto di comunicazione, il Regolamento Emittenti prevede parametri e modalità di calcolo specifici,

sono considerate transazioni rilevanti (e devono quindi essere comunicate) tutte le operazioni societarie non rientranti nella gestione ordinaria della società e in grado di determinare una modifica nella
struttura patrimoniale della stessa, ove le stesse superino la soglia del 10% di uno degli indici di rilevanza previsti nel Regolamento Emittenti,

l’emittente AIM Italia è tenuto altresì a comunicare ogni operazione con parti correlate in cui uno almeno dei suddetti indici di rilevanza superi la soglia del 5%;

in tema di reverse take-over sono previste, quanto agli obblighi informativi, soglie più restrittive rispetto a
quelle valide per i mercati regolamentati,

il superamento di tali soglie potrebbe comportare la revoca dalle negoziazioni degli strumenti finanziari,

la società risultante da tali operazioni, se intende rimanere quotata nell’AIM Italia, dovrà presentare
una nuova domanda ai fini della riammissione;
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda






dalla data di ammissione, l’emittente AIM Italia è tenuto a predisporre un’apposita sezione del proprio sito
internet dove possono essere messe a disposizione del pubblico tutte le informazioni previste dal Regolamento Emittenti;
gli emittenti hanno la possibilità di scegliere quale lingua di riferimento l’italiano o l’inglese;
gli emittenti AIM Italia sono tenuti a redigere il proprio bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali (IAS o IFRS). Successivamente alla quotazione l’emittente AIM Italia non è tenuto a pubblicare
i resoconti trimestrali di gestione, ma solo il bilancio e la relazione semestrale;
la società che si quota sul AIM Italia dovrà incaricare un broker affinché questi provveda al collocamento
dei titoli della società sul mercato, successivamente alla definizione della tipologia di investitori a cui indirizzare l’offerta, il prezzo più adeguato e la strategia di investor relations da adottare;
una volta ammessa, la società deve dotarsi di uno specialista, che avrà il compito di sostenere la liquidità
del titolo;
non sempre lo specialista coincide con il broker che ha collocato i titoli in fase di ammissione, mentre la
figura del broker e quella del Nomad possono coincidere.
Scheda 3 – Schema di Prospetto prescritto dalla normativa comunitaria e Documento di Ammissione –
contenuti a confronto
Prospetto
Allegato I, Sezione 3: Informazioni finanziarie selezionate di conto economico, stato patrimoniale, rendiconto finanziario, indici economici e finanziari
Allegato I, Sezione 8.1: Informazioni relative ad immobilizzazioni materiali,
beni in proprietà e beni in uso
Allegato I, Sezione 9: Resoconto della situazione gestionale e finanziaria effettuato sulla base delle situazioni economiche, patrimoniali e finanziarie
selezionate
Allegato I, Sezione 10: Risorse finanziarie, in particolare indebitamento finanziario da banche, rapporti finanziari con la controllante, descrizione dei
flussi monetari dell’emittente
Allegato I, Sezione 11: Ricerca, Sviluppo e Brevetti
Allegato I, Sezione 13: Previsioni o stime degli utili
Documento di Ammissione
Non si applica
Allegato 1, Sezione 14: Organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza, in particolare composizione degli organi sociali, curriculum vitae, indicazione principali dirigenti, rapporti di parentela, conflitti di interesse
Informazioni dettagliate su ciascun amministratore
ed in particolare su qualsivoglia condanna penale,
fallimento, nomina di curatore in procedure concorsuali, sequestro, esecuzione, richiami pubblici,
ordine di interdizione da funzioni di amministrazione o direzione
Non si applica
Allegato I, Sezione 15: Remunerazioni e benefici a favore dei componenti del
consiglio di amministrazione, dei membri del collegio sindacale e dei principali dirigenti
Allegato I, Sezione 16, punto 3: informazioni sul comitato di revisione e sul
comitato per la remunerazione
Allegato I, Sezione 20, punto 1: informazioni finanziarie riguardanti le attività
e le passività, la situazione finanziaria, i profitti e le perdite dell’emittente
Allegato I, Sezione 20, punto 2: informazioni finanziarie pro-forma
Allegato II: modulo delle informazioni finanziarie pro-forma
Allegato III, Sezione 3, punto 1: dichiarazione dell’emittente attestante che il
capitale circolante è sufficiente per le attuali esigenze
Allegato III, Sezione 3, punto 2: fondi propri e indebitamento
198
Non si applica
Non si applica
Non si applica
Non si applica
 Dichiarazione degli amministratori che le previsioni sono basate su indagini approfondite.
 Dichiarazione relativa alle principali assunzioni fatte relative a ciascun fattore determinante sui risultati. Comprensibilità, specificità, precisione delle assunzioni e comparabilità con i bilanci.
 Dichiarazione del NOMAD all’emittente di essere convinto che le previsioni sono basate
su indagini approfondite.
Non si applica
Le informazioni di cui all’Allegato I, Sezione 20,
punto 1 devono essere presentate nel rispetto dei
Principi Contabili Internazionali
Non si applica
Non si applica
Dichiarazione degli amministratori che il capitale
circolante sarà sufficiente per almeno 12 mesi
dalla data di ammissione
Non si applica
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Prospetto
Allegato III, Sezione 3, punto 3: interessi di persone fisiche e giuridiche partecipanti all’offerta, inclusa l’indicazione di quelli in conflitto
Allegato III, Sezione 5: condizioni dell’offerta
Allegato III, Sezione 6: ammissione alla negoziazione e modalità di ammissione
Documento di Ammissione
Non si applica
Non si applica
Non si applica
Quanto al regolamento emittenti, si rileva come esso stabilisce i criteri di ammissione, gli obblighi su base continuativa e gli aspetti disciplinari relativi ai Nomad (Schede 4, 5 e 6).

Ai fini dell’ammissione sull’AIM Italia, l’emittente deve procedere alla nomina del Nomad.
Una volta ammesso, l’emittente deve mantenere in via continuativa un Nomad.

L’attività di Nomad non comporta necessariamente la prestazione di servizi di investimento (salvo che il
Nomad sia coinvolto nella fase del collocamento) e pertanto non deve considerarsi attività riservata a
soggetti autorizzati.
La qualifica di Nomad viene attribuita da Borsa Italiana al soggetto che ne faccia domanda dopo una procedura di ammissione sulla base di una valutazione discrezionale in merito al rispetto dei requisiti stabiliti
nel Regolamento Nomad.
Una volta attribuita tale qualifica, il Nomad viene iscritto in un registro tenuto da Borsa Italiana.
Il Nomad è responsabile nei confronti di Borsa Italiana:

per la valutazione dell’appropriatezza sia di un emittente che presenta domanda di ammissione
all’AIM Italia sia di un emittente AIM Italia già ammesso alle negoziazioni quando venga nominato
suo nominated adviser in un momento successivo, nonché

dell’attività di assistenza e di guida dell’emittente AIM Italia nel rispetto delle responsabilità derivanti
dal Regolamento Emittenti, sia in occasione dell’ammissione che su base continuativa (si vedano le
tabelle in tema di obblighi e responsabilità del Nomad).
Scheda 4 – Il regolamento Nomad Italia
Regolamento Nomad Italia
Art. 8 – Requisiti di permanenza
Art. 9 – Cambiamenti Key Executives
Art. 10 – Obblighi informativi a Borsa
Art. 12 – Compliance
Art. 18 – Indipendenza
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Obblighi Nomad
Valutare con regolarità se esso stesso ed i Key Executives continuano a rispettare i
requisiti del Regolamento Nomad
Tempestiva comunicazione a Borsa di qualsiasi cambiamento relativo ai Key Executives – Ogni nuovo Key Executives deve ottenere l’accreditamento.
 Modifica ragione sociale, azionisti di controllo o partner, indirizzo ove viene
svolta l’attività;
 Ricevimento di richiami scritti/disciplinari da qualsiasi autorità;
 Mutamenti significativi nella situazione finanziaria o operativa o si stiano
per verificare condizioni per apertura procedura concorsuale.
Ogni Nomad deve nominare al proprio interno il soggetto responsabile della compliance (figura senior) che deve interagire con Borsa per quanto riguarda la verifica
della compliance.
Il Nomad deve dimostrare in ogni momento che esso stesso ed suoi principali esponenti aziendali sono indipendenti dagli emittenti per i quali operano. La SCHEDA 1
prevede:
 Non è possibile operare contemporaneamente quale Nomad e società di revisione salvo consenso di Borsa (Chinese Wall);
 Nessun partner/amministratore/dipendente può essere amministratore di un
Nomad Emittente AIM per il quale opera;
 Nessun partner/amministratore/dipendente o soggetto collegato può – individualmente o collettivamente – detenere il 10% o più di un Emittente AIM per il
quale opera;
 Nessun Nomad/partner/amministratore/ dipendente o soggetto collegato può
detenere il 3% o più di un Emittente AIM per il quale opera – individualmente o
collegialmente – in assenza di procedure volte ad evitare l’insorgere di conflitti
di interesse;
 Nessun Nomad/partner/amministratore/dipendente o soggetto collegato può
operare su strumenti dell’emittente durante un close period;
 Prima di assumere un incarico il Nomad deve valutare la propria indipendenza e
considerare l’importo della sua eventuale posizione creditizia nei confronti
dell’emittente per il quale opererebbe.
199
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Regolamento Nomad Italia
Art. 19 – Conflitti di interesse
Art. 20 – Procedure
Art. 22 – Mantenimento documentazione
Obblighi Nomad
Il Nomad non può operare in conflitto di interesse e non può intervenire a supporto di
soggetti diversi dall’Emittente AIM per il quale opera in caso di operazioni straordinarie.
Il Nomad deve implementare in via continuativa procedure volte a monitorare gli obblighi previsti dal Regolamento ed adottare un apposito manuale delle procedure interne a tale proposito.
Il Nomad deve mantenere traccia delle discussioni intervenute con gli Emittenti AIM
nonché dei pareri e delle decisioni chiave. Deve inoltre dimostrare le ragioni sottostanti l’advise offerto. Periodo: 3 anni Al fine di dare evidenza dell’attività di controllo
il Nomad deve rispettare i parametri della Scheda 3
Per poter diventare un Nomad, occorre:

essere una società di capitali che ha costituito un consiglio di amministrazione e nominato un collegio
sindacale nota al mercato e con adeguata professionalità;

avere esercitato attività di corporate finance per un periodo adeguato di tempo (almeno due anni, salva la
presenza di key executives di elevata esperienza);

sottoporre il bilancio al giudizio di una società di revisione;

avere un’adeguata esperienza nel fornire consulenza professionale e di qualità in relazione ad operazioni
di corporate finance (avendo effettuato un numero di operazioni rilevanti come, ad esempio, operazioni
aventi ad oggetto azioni di emittenti quotati su un mercato regolamentato e che abbiano richiesto la redazione di un prospetto informativo o documento equivalente in un paese UE, quali IPO e OPA);

avere dei key executives, dipendenti senior del Nomad, dotati di adeguata professionalità ed esperienza
in operazioni rilevanti, adeguata competenza tecnica in corporate finance e in pratiche di mercato, nonché solida comprensione del quadro legale e regolamentare relativo alle attività di corporate finance e conoscenza dei Regolamenti AIM Italia.
Scheda 5 – Regolamento Nomad AIM Italia: Le responsabilità in fase di ammissione (scheda 3)
Regolamento Nomad AIM Italia
(Scheda 3)
AR. 1 – Adeguata conoscenza
dell’Emittente
AR. 2 – Amministratori e Consiglio di Amministrazione
AR. 3 – Due Diligence
200
Responsabilità Nomad (fase ammissione)

Conoscenza del settore di business (anche in considerazione del paese di appartenenza
e dell’operatività) anche mediante ricorso all’ausilio di terzi esperti;
 Idonea valutazione di piano industriale ed informazioni finanziarie storiche;
 Valutazione del rispetto del Regolamento Emittenti da parte dello statuto;
 Site Visit adeguata e management due diligence – incontri con gli azionisti se opportuni;
 Considerare se dare incarico a legali di fiducia per prevenire ad un’adeguata conoscenza
dell’Emittente e formare un giudizio indipendente.
Al fine della valutazione dell’idoneità dell’emittente il Nomad deve valutare l’adeguatezza di
ogni componente del CdA (inclusi candidati) e dell’organo nel suo complesso, tenendo presente che l’emittente sarà ammesso alle negoziazioni in un sistema multilaterale di negoziazione e potenzialmente sarà soggetto a specifiche disposizioni ad esempio relative agli abusi
di mercato.
 Predisporre idonei questionari rivolti agli amministratori e verificare i curricula vitae;
 Attività di due diligence al fine della verifica delle risposte ai questionari e dei curricula
vitae (ricerche a mezzo stampa – verifica camere commercio e referenze da o verifiche
presso terzi);
 Estensione delle predette attività a top manager e consulenti menzionati nel documento
di ammissione nonché valutare opportunità estensione verifiche ad azionisti rilevanti;
 Valutare insieme al management l’implementazione di un’adeguata struttura di corporate
governance.
Il Nomad deve sovrintendere alle attività di due diligence e convincersi dell’appropriatezza
delle attività svolte.
 Verificare sia stata svolta adeguata DD finanziaria, fiscale e legale (valutazione PFN e
covenants su indebitamento – valutazione debiti scaduti e portafoglio crediti – contratti
derivati);
 Verifiche sul capitale circolante e sul sistema di reporting (anche con l’ausilio di società d
i revisione);
 Verificare l’opportunità di una DD specialistica (es. marchi e brevetti);
 Accurata valutazione dei DD report e delle comfort letter di terzi consulenti al fine della
verifica delle necessità di ulteriori interventi di approfondimento
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Regolamento Nomad AIM Italia
(Scheda 3)
AR. 4 – Documento di Ammissione
AR. 5 – Compliance con il Regolamento Emittenti AIM
Responsabilità Nomad (fase ammissione)
Il Nomad, al fine di poter rendere la dichiarazione di responsabilità, deve sovrintendere e partecipare attivamente alle attività di due diligence.
 Coinvolgimento specifico per quanto riguarda la descrizione del business e dei risk factors;
 Verificare il contenuto delle informazioni finanziarie;
 Necessità di contributi su particolari tematiche da parte di esperti (es. settore immobiliare o biotecnologie);
 In caso di dubbi prendere contatto con Borsa Italiana.
Il Nomad deve verificare se l’Emittente ha implementato procedure idonee al fine di garantire
la compliance con il Regolamento Emittenti AIM
 Verificare l’adozione di procedure adeguate per garantire il rispetto dei diversi adempimenti (es. diffusione di informazioni price sensitive, comunicazioni ex art. 17, rispetto
close period);
 Verificare adeguatezza dell’informativa resa agli amministratori su ruoli e responsabilità
derivanti dall’ammissione all’AIM Italia.
Scheda 6 – Regolamento Nomad AIM Italia: Le responsabilità in fase continuativa (scheda 3)
Regolamento Nomad AIM Italia
(Scheda 3)
OR. 1 – Contatti regolari con
l’Emittente
OR. 2 – Verifica Comunicati
OR. 3 – Monitoraggio negoziazioni
OR. 4 – Assistenza con riferimento a modifiche del CdA
Responsabilità Nomad (continuativa)

Mantenere contatti regolari con l’Emittente in modo da essere continuamente informato
sugli sviluppi dell’attività e poter quindi suggerire modalità di comportamento idonee ai
fini della compliance con il Regolamento Emittenti ed identificare eventuali violazioni;
 Valutare aggiornamento amministratori in merito all’adeguata comprensione del Regolamento Emittenti.
Verifica preventiva al fine di assicurare la compliance con il Regolamento Emittenti
 Verifica preventiva di tutti i comunicati che devono essere oggetto di pubblica diffusione
– Non è richiesta la verifica dei comunicati di routine se il Nomad ritiene che gli amministratori abbiano adeguata capacità ed esperienza;
 Su tutti i comunicati rivisti dal Nomad deve comparire la sua denominazione e
l’indicazione di una persona di riferimento.
Il Nomad è tenuto a monitorare direttamente – o tramite terzi – il corso delle negoziazioni
(specialmente quando ci sono informazioni “price sensitive” non ancora divulgate)
 Adeguati automatismi per segnalare significativi scostamenti nelle valutazioni;
 Contattare l’emittente al verificarsi di variazioni sostanziali per verificare l’opportunità di
comunicazioni al mercato;
 Valutare l’opportunità di monitorare le notizie stampa.
Il Nomad è tenuto a collaborare con l’emittente in occasione di modifiche nella composizione
del CdA e deve (i) valutare l’adeguatezza dei candidati e (ii) valutare l’impatto dei cambiamenti sul corretto funzionamento dell’organo amministrativo
 Deve accertarsi che l’Emittente comprenda la necessità di consultarsi con il Nomad in
occasione di tali cambiamenti;
 Deve esaminare il cv dei candidati e valutare la sussistenza dei requisiti previsti della
Sezione AR. 2 del Regolamento AIM – valuta nel complesso l’idoneità del candidato rispetto alle necessità dell’Emittente;
 Interviene con le proprie valutazioni anche in caso di revoca di un membro del CdA.
Ampliando l’orizzonte a tutti i soggetti (Scheda 7 e Tavola 33) che di fatto intervengono nel processo di quotazione, essi si possono sintetizzare – quanto a numero e rispettivi ruoli – qui di seguito:
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201
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Scheda 7 – Soggetti che intervengono nel processo di quotazione e loro funzioni
Soggetto
Nomad
Broker
Specialist
Advisor Finanziario
Società di revisione
Società di comunicazione
Dottore Commercialista
Funzioni
È il garante della quotazione e punto di riferimento per Borsa Italiana e per gli investitori.
Deve essere una società di capitali nota al mercato, con adeguate professionalità riconosciute
al suo interno ed esperienza almeno biennale nell’attività di corporate finance31; a tal fine è
sottoposta a verifiche periodiche da parte di Borsa Italiana.
Il broker colloca agli investitori istituzionali le azioni oggetto di quotazione; svolge anche la
funzione di promozione della società nella comunità finanziaria.
È il garante della liquidità dei titoli in quanto svolge la funzione di market maker, ovvero interviene qualora si verifichino eccessive oscillazioni tra domanda ed offerta.
Supporta l’emittente nell’organizzazione dell’intero processo di quotazione attraverso studi di
fattibilità e convenienza, aiuto nella redazione ed implementazione del business plan e della
due diligence, supporto agli altri soggetti coinvolti, supporto alla redazione del Documento di
Ammissione.
Emette giudizi sul bilancio finale redatto dalla società emittente; valida il business plan e alcuni documenti che riguardano la solvibilità della stessa. Predispone comfort letters, verifica
le procedure di reportistica e procede con la revisione delle informazioni finanziarie previsionali.
Garantisce la visibilità dell’emittente nella quotazione, soprattutto per quanto riguarda la sua
storia, i suoi punti di forza e le prospettive di sviluppo.
Consiglia l’azienda in merito alla quotazione attraverso uno studio sull’impatto del mercato;
predispone il business plan e valuta la struttura dell’azienda, anche in merito ad eventuali ristrutturazioni organizzative da porre in essere. È il principale referente per il Nomad e “catalizzatore” tra l’impresa e gli altri soggetti. Elabora rendiconti, e gestisce le informazioni da
emettere ed i relativi documenti contabili.
Tavola 33 – La quotazione in borsa
Si tratta, come evidente, di un numero assai esiguo di interlocutori con cui l’azienda deve interfacciarsi; ciò significa non solo una diminuzione dei costi di quotazione (che si aggirano tra i 300 e i 500 mila euro, notevolmente inferiori a quelli richiesti per la quotazione sui mercati MTA) ma altresì, una semplificazione ed una maggiore
chiarezza in termini di ruoli e compiti, sia dal lato dell’azienda, sia dal lato dei soggetti coinvolti.
Tutto ciò impatta anche sulla contrazione dei tempi (Scheda 8) inerenti i processi di quotazione in senso stretto,
che assumono dunque una rilevanza strategica determinante, orientando il processo sulla speditezza delle procedure:
Scheda 8 – I fattori che incidono sui tempi del processo di quotazione
24 Settimane
Adempimenti
Selezionare il team di consulenti ed in particolare il
12 Settimane
Adempimenti
Verificare le aree problematiche
emerse dalla due diligence
6 Settimane
Adempimenti
1 Settimana
Adempimenti
Completare la due diligence
e la documentazione
Pubblicazione del Documento
di Ammissione (tre giorni
prima)
Nomad
------------------------------------------31
Corporate finance: funzione aziendale che tratta le decisioni di natura finanziaria, gli strumenti da adottare e gli obiettivi da raggiungere,
servendosi di tecniche ed analisi valutative riguardanti l’equilibrio finanziario tra fonti ed impieghi.
202
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
24 Settimane
Adempimenti
12 Settimane
Adempimenti
6 Settimane
Adempimenti
Avviare la due diligence
Predisporre il draft del Documento
di ammissione
Organizzare il road show
per gli investitori
Costruire l’equity story e la
strategia di investor relation
Condividere le prime ipotesi di
valutazione
Comunicazione di preammissione (10 giorni prima)
1 Settimana
Adempimenti
Definizione del prezzo di allocazione dell’offerta
Presentazione agli analisti
Fonte: Borsa Italiana, Guida alla quotazione su AIM Italia
Allargando peraltro l’orizzonte anche ai tempi precedenti (Scheda 9) l’iter formale del processo di quotazione
(tendenzialmente sulle 24 settimane/6 mesi), si possono sintetizzare come segue le fasi temporali complessive,
coordinate con gli adempimenti organizzativi necessari (Tavola 34):
Scheda 9 – Gli adempimenti da effettuare durante il processo di quotazione
24 – 12 mesi
Adempimenti
12 – 6 mesi
Adempimenti
Effettuare eventuali riorganizzazioni societarie
Ipotizzare la quantità di risorse finanziarie Apportare eventuali aggiustamenti al sida raccogliere in quotazione
stema di controllo di gestione
Ipotizzare le esigenze di monetizzazione
Coinvolgere tutto il management nel proda parte degli azionisti esistenti
getto di quotazione
Certificare un bilancio che precede la quo- Avviare i contatti per la selezione dei contazione se esistente
sulenti
Definire un piano industriale sostenibile
6 mesi
Adempimenti
Confermare il piano industriale e le relative esigenze di finanziamento
Deliberare la quotazione
Nominare il Nomad e gli altri consulenti
Introdurre eventuali modifiche nella struttura di governo societario
Fonte: Borsa Italiana, Guida alla quotazione su AIM Italia
Tavola 34 – I focus della quotazione
Con riferimento specifico alla conferma del piano industriale e delle relative esigenze di finanziamento, si ribadisce
come sia essenziale definire un piano industriale (Scheda 10) di crescita sostenibile, in cui risultino in modo inequivocabile le prospettive dell’azienda ed i progetti che si intendono finanziare attraverso l’attività di quotazione:
Scheda 10 – Strategie, azioni ed impatti della quotazione
Strategia
Crescita
Azioni
 acquisizione nuovi clienti;
 allargamento gamma prodotti;
 nuovi canali distributivi;
 nuove aree geografiche.
Impatto
+ Ricavi
+ ROCE32
------------------------------------------32
Return On Capital Employed: ritorno del capitale investito; EBIT/(Attività totali - Passività correnti).
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203
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Strategia
Azioni
Impatto
Riduzione costi










+ Margini
+ ROCE
Gestione del capitale
investito
Ottimizzazione WACC 33
economie di scala;
saturazione della capacità produttiva;
riduzione costi di struttura.
outsourcing;
politiche creditori/fornitori;
tecnologie adottate;
logistica
aumento leverage
+ (Ricavi/Cap.investito)
+ROCE
- wacc
buy – back
pay – out
Fonte: Borsa Italiana
Dovranno dunque essere oggetto di specifico focus le seguenti macroaree:

strategie aziendali di creazione del valore;

il core business, suddiviso per attività;

il posizionamento societario nel settore, con annessa analisi dei concorrenti: è in questa fase che vanno
evidenziati i fattori chiave distintivi dell’azienda rispetto i concorrenti;

il miglioramento in termini di punti di forza, debolezze, opportunità e minacce (a seguito dell’analisi
SWOT);

la correzione ed il miglioramento dei rapporti con i clienti ed i fornitori, soprattutto in termini di durata e
clausole contrattuali;

la traduzione dei dati di cui sopra in termini finanziari e dunque di complessiva analisi finanziaria, necessarie agli investitori per valutare le potenzialità dell’azienda.
Ciò è attuabile attraverso:

budget;

analisi della situazione finanziaria attuale e prospettica a breve (12 mesi);

prospetto di cash flow e dinamica del c.c.n.;

analisi delle fonti;

analisi dell’equilibrio finanziario;

analisi degli investimenti.
 10.5 I minibond ed il mercato del debito quotato
L’attuale presidente di Borsa Italiana sostiene che “il finanziamento delle imprese di piccole e medie dimensioni
attraverso il ricorso al mercato e alle risorse degli investitori istituzionali è uno dei principali cambiamenti che
stanno caratterizzando il sistema finanziario del nostro Paese”
In effetti, è vero che per far fronte al grande problema del credit crunch, le piccole imprese italiane si stanno armando con tutte le munizioni possibili per cercare di reperire i capitali necessari per crescere ed anche le istituzioni, il Governo e Borsa Italiana, hanno messo in atto delle iniziative mirate a rispondere alle sempre più crescenti esigenze di funding delle società italiane.
Tra le diverse opzioni che hanno, le società possono scegliere – come già visto – di quotarsi a Piazza Affari, oppure aprire il proprio capitale a private equity e venture capital o ancora ricorrere a strumenti di debito, come per
esempio i minibond.
Il cd. Decreto Sviluppo (d.l. 83/2012), convertito in legge dal provvedimento n. 134 del 7 agosto 2012, ha in effetti introdotto la disciplina dei cd. mini bond, strumenti finanziari obbligazionari che le piccole e medie imprese
potranno emettere a determinate condizioni:

per “piccole” si intendono le imprese con meno di 50 dipendenti ed un fatturato annuo o uno stato patrimoniale annuo inferiore a Euro 10 milioni mentre per “medie” si intendono le imprese con meno di 250
------------------------------------------33
Weighted Average Cost of Capital: costo medio ponderato del capitale; media ponderata tra il costo del capitale proprio e il costo del
capitale di debito.
204
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda

dipendenti ed un fatturato annuo inferiore a Euro 50 milioni o un totale dell’attivo dello stato patrimoniale
inferiore a Euro 43 milioni;
dalla disciplina in oggetto sono espressamente escluse le banche e le micro-imprese, ovverosia quelle
con meno di 10 dipendenti e che realizzano fatturato o bilancio annui fino a 2 milioni di euro.
Tavola 35 – I Minibond come possibile soluzione al credit crunch delle PMI
Più precisamente, l’art. 32 del Decreto Sviluppo, dedicato a “Strumenti di finanziamento per le imprese” prevede
la facoltà per le suddette PMI, che abbiano determinati requisiti, di accedere al finanziamento di terzi mediante
l’emissione di cambiali finanziarie (strumenti di debito a breve termine) e obbligazioni e/o titoli similari ed obbligazioni partecipative subordinate (congiuntamente alle cambiali finanziarie, i “Mini Bond”).
Potranno quindi emettere i Mini Bond le PMI che soddisfino le seguenti condizioni:

emettano titoli di durata non inferiore a 36 mesi, non sussistendo più limiti di emissione in relazione agli
importi del patrimonio netto societario;

si facciano assistere nell’emissione dei titoli da uno sponsor (banca, impresa di investimento, SGR, società di gestione armonizzata, SICAV e intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del
Testo Unico Bancario) che fornisca il supporto all’emissione che agisca quale collocatore dei titoli;

abbiano sottoposto a revisione contabile, da parte di un revisore legale o di una società di revisione legale
iscritti nel Registro dei revisori legali e delle società di revisione, il bilancio dell’ultimo esercizio;

emettano i titoli, e ne limitino la circolazione, esclusivamente in favore di investitori qualificati – 34-ter del
regolamento Consob n. 11971 del 1999 – che non siano, direttamente o indirettamente, neanche per
tramite di società fiduciaria o interposta persona, soci della medesima impresa emittente; inoltre tali titoli
dovranno essere destinati alla circolazione esclusivamente tra tali investitori;

il ruolo dello sponsor, pertanto, sarà quello di supportare le società nella fase di emissione e di collocamento, sottoscrizione e mantenimento nel proprio portafoglio, fino alla naturale scadenza, di una quota
dei titoli, facilitando la liquidità degli scambi sui titoli per tutta la durata dei titoli stessi;

i Mini Bond potranno essere quotati sul mercato Extra Mot di Borsa Italiana ma, nel caso di mancata
quotazione di questi ultimi, lo sponsor dovrà procedere ad una valutazione periodica del loro valore, nonché ad una classificazione delle società emittenti in una categoria di rischio alla luce della sua qualità nel
rispettare i propri obblighi;

lo sponsor avrà l’obbligo di mantenere nel proprio portafoglio fino alla scadenza una quota dei titoli emessi nella seguente misura:

una quota non inferiore al 5% del valore di emissione, per le emissioni di valore fino a cinque milioni
di euro;

in aggiunta alla quota precedente, un ulteriore 3% del valore di emissione eccedente i cinque milioni
di euro, fino ad un valore di dieci milioni di euro;

sempre in più rispetto alle precedenti quote, il 2% del valore di emissione eccedente i dieci milioni di
euro, facilitando altresì la liquidità degli scambi sui titoli per tutta la durata dell’emissione;

lo sponsor dovrà anche provvedere a classificare la categoria di rischio dell’emittente, tenendo conto della
qualità creditizia dell’impresa (cfr. comunicazione della Commissione Europea 2008/C 14/2002 e successive modificazioni) e dovrà fornire aggiornamenti almeno trimestrali sulla classificazione di rischio ed ogni
qualvolta intervenga un elemento straordinario;

cambiali finanziarie e obbligazioni.
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda
Tavola 36 – Condizioni per l’emissione di Minibond
Con riferimento al regime fiscale in capo ai titolari34,

l’esenzione della ritenuta d’acconto sugli interessi pagati (withholding tax) è un beneficio che al momento
riguarda solo i titoli quotati. Da questo punto di vista, i titoli quotati emessi da società non quotate, sono
stati oggi pienamente equiparati alle obbligazioni emesse da soggetti con azioni quotate sui mercati regolamentati. In particolare, dal 26 giugno 2012, anche sugli interessi delle obbligazioni si applicano le disposizioni dell’articolo 1 del d.lgs. n. 239/1996, che prevedono (i) per i soggetti ‘nettisti’ residenti in Italia
l’imposta sostitutiva del 20%; (ii) per i soggetti ‘lordisti’ residenti in Italia l’inclusione nel reddito d’impresa
senza ritenuta. Per i sottoscrittori non residenti in Italia, invece, gli interessi sui titoli/obbligazioni saranno
esenti da imposizioni purché i soggetti che percepiscono gli interessi siano residenti in stati esteri o territori white list, depositino i titoli presso un intermediario finanziario residente in Italia oppure presso una
branch italiana di un intermediario non residente (che faccia da eventuale sostituto d’imposta) e forniscano i dati dell’effettivo beneficiario e autocertifichino di possedere i requisiti per l’esenzione;

gli interessi pagati su titoli non quotati emessi da società non quotate, dunque, continuano ad essere
soggetti alle ritenute di cui all’articolo 26 del d.P.R. n. 600/1973 e, pertanto, sulla base dello status del
soggetto che li percepisce occorre valutare caso per caso l’applicazione della ritenuta domestica del 20%
o quella ridotta sulla base dei trattati. Si ricorda che gli interessi sulle obbligazioni emesse dalle società
non quotate erano soggetti ad una ritenuta del 12,5%/27% mentre dal 1° gennaio 2012 sono soggetti a
una ritenuta unica del 20%.
Con riferimento al regime fiscale in capo all’emittente,

oltre alla deduzione delle spese di emissione nello stesso esercizio in cui sono state sostenute (peraltro,
ad oggi, stando alla norma, permane ancora l’ambiguità sul fatto che tale agevolazione possa applicarsi
anche ai titoli non quotati);

se le obbligazioni o le cambiali finanziarie saranno ammesse a negoziazione in mercati regolamentati o
non regolamentati europei white list, gli interessi passivi potranno essere dedotti con la limitazione del
30% dell’EBITDA, senza essere soggetti all’ulteriore limitazione (prevista dal comma 115 dell’articolo 3
della legge 28 dicembre 1995, n. 549) in base alla quale gli interessi passivi di un prestito obbligazionario
sono deducibili a condizione che, al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore:

al doppio del tasso ufficiale di riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati
regolamentati degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio
economico europeo inclusi nella white list o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione,
------------------------------------------34
Cfr. http://www.kpmg.com/IT/it/IssuesAndInsights/ArticlesPublications/Documents/Corporatebond.pdf
206
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Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda

al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, delle obbligazioni e dei titoli similari diversi dai
precedenti,

qualora il tasso di rendimento effettivo all’emissione sia superiore ai limiti di cui sopra, gli interessi
passivi eccedenti l’importo derivante dall’applicazione dei predetti tassi sono indeducibili dal reddito
di impresa,

per beneficiare di quanto sopra (i.e. non applicazione dell’art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n.
549), le obbligazioni non quotate dovranno essere sottoscritte esclusivamente da investitori professionali che non detengano più del 2 per cento del capitale o del patrimonio della società emittente.
Infine, i titoli, non essendo finanziamenti dal punto di vista legale,

non sono soggetti all’imposta sostitutiva dello 0,25% (articolo 17 del d.P.R. n. 601/1973) e dunque, le garanzie che l’emittente ed, eventualmente, le proprie controllate/controllanti saranno chiamate ad emettere
a favore dei sottoscrittori, saranno soggette alle normali imposte di registro, ipotecarie e catastali, di volta
in volta applicabili ai sensi del d.P.R. 131/1986;

pertanto, sarà necessario prestare particolare attenzione alla natura delle garanzie emesse e alle forme
con cui vengono costituite.
Tavola 37 – I Minibond e la fiscalità
Come evidente, il Governo italiano ha appositamente introdotto per le PMI i suddetti strumenti di debito, come
le obbligazioni corporate, i cosiddetti minibond, e le cambiali finanziare: si tratta di strumenti flessibili, accessibili
anche ad aziende che intendono raccogliere importi più limitati rispetto alle grandi aziende corporate e così facendo le aziende più piccole possono accedere ai mercati di capitali, disintermediando il sistema bancario.
Proprio per offrire alle aziende italiane quotate e non, di qualsiasi dimensione, un mercato nazionale in cui cogliere le opportunità derivanti dal nuovo quadro normativo nazionale delineato dal Ddl Sviluppo, Borsa Italiana ha
creato ExtraMOT PRO:

un nuovo segmento professionale per la negoziazione degli strumenti di debito delle società italiane (obbligazioni corporate, cambiali finanziarie e project bond), in cui alcune PMI hanno mosso già i primi passi;

l’infrastruttura regolamentare del nuovo segmento offre alle PMI un primo accesso ai mercati dei capitali
semplice ed economico. Gli unici requisiti per le società, infatti, sono:

l’aver pubblicato il bilancio degli ultimi due esercizi, di cui l’ultimo sottoposto a revisione contabile

e l’aver messo a disposizione un documento informativo con alcune informazioni essenziali, non
essendo richiesta la pubblicazione di un prospetto di quotazione ai sensi della Direttiva Prospetti;

successivamente alla quotazione, è richiesta la pubblicazione di bilanci annuali revisionati, dei giudizi di rating se pubblici, l’informativa relativa a qualsiasi modifica dei diritti dei portatori degli strumenti
ed eventuali informazioni di carattere tecnico legate alle caratteristiche degli strumenti (es. date di
pagamento degli interessi, cedole, piani di ammortamento);

il segmento ha la medesima struttura del mercato ExtraMOT, ma è consentita la negoziazione ai
soli investitori professionali ed è inoltre facoltativa la presenza di un operatore specialista a sostegno
della liquidità del titolo.
Questo mercato dei “minibond”, secondo recenti stime del Sole24Ore, potrebbe comportare un apporto di 21
miliardi di euro per le PMI che intenderanno avvalersene ed ha già avuto un notevole successo in altri paesi, tra
cui la Germania e permetterà ad imprese ed investitori di diversificare i propri orizzonti di credito e investimento:
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207
Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda



208
a livello di prassi molto importante, peraltro, sarà l’informativa fornita, al fine di partecipare a un progetto
societario che possa essere attraente e con prospettive di piani industriali concreti, non legati solo al tasso d’interesse pagato dall’obbligazione;
in questo quadro, è confortante come stiano nascendo fondi appositi di investimento, come il ‘Fondo mini bond PMI Italia’ promosso e gestito da Banca Mps con la collaborazione di Confindustria e Finanziaria
internazionale, con lo scopo di investire su di un ampio portafoglio di strumenti di debito emessi da imprese italiane;
gli emittenti ideali sono e saranno società orientate alle esportazioni, con un brand forte e riconosciuto sui
mercati internazionali, che le renda appetibili per gli investitori.
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
 11. Affrontare la crisi d’impresa
Giovanni Marino
L’efficacia e l’efficienza del mercato
dipendono dalla qualità dei diritti e delle regole…
buone regole dunque creano mercati ben funzionanti e viceversa
Ronald Coase, Premio Nobel per l’Economia, 1991
 11.1 La crisi finanziaria mondiale
La crisi economica internazionale che stiamo vivendo, chiamata dai tanti “La Grande Recessione” per via del
suo perdurare e dei suoi effetti paragonabili alla grande crisi del 1929, ha una matrice finanziaria che trova le sue
origini negli Stati Uniti d’America.
Nel 2008 in America l’esposizione al credito delle banche, delle imprese, e delle stesse famiglie (ai fini del consumo), era molto elevata. L’accomodante politica monetaria operata dalla FED (la banca centrale americana) e
la progressiva deregolamentazione dei mercati finanziari avviata dalle istituzioni contribuiva ad aumentare i volumi di trading dei prodotti finanziari e il numero di concessione dei prestiti.
Tavola 1- Le origini della crisi finanziaria:
La liquidità in circolazione spingeva vero l’alto il mercato immobiliare; le famiglie americane godevano di accesso
facile al credito e si indebitavano per comprare le abitazioni, l’aumento costante della domanda faceva salire i
prezzi delle case. In tale contesto avanzava anche la sottoscrizione dei cosiddetti subprime ovvero finanziamenti
(per abitazioni, prestiti d’auto, carte di credito) concessi a soggetti con bassi redditi ed alto profilo di rischio che
nel caso ad esempio di mutuo per l’abitazione prevedevano un piano di pagamento decrescente in funzione
dell’aumentare del valore della casa (rate che decrescono in maniera proporzionale al crescere del prezzo della
casa riconosciuto al momento dal mercato).
Tavola 2 – L’aumento dei prezzi delle abitazioni e il ricorso ai subprime
Naturalmente si trattava di prodotti finanziari ad alto rischio che gli organi competenti avrebbero dovuto regolare,
ma il mercato immobiliare era così forte che sembrava immune a qualsiasi shock esterno e i subprime facevano
guadagnare a tanti.
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209
Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
Il trading dei subprime crebbe dal valore di 145 miliardi di dollari nel 2001 a circa 635 miliardi nel 2005, i subprime venivano cartolarizzati e scambiati sui mercati finanziari mondiali con la conseguenza che i rischi a questi associati si allargavano a macchia d’olio, erano oramai in pancia alla gran parte degli istituti finanziari.
Tavola 3 – La crescita del valore dei subprime dal 2001 al 2005
SUBPRIME
+ 338% in 4 anni
A 635 miliardi nel
2005
Da 145 miliardi nel
2001
Il mercato immobiliare però, come storicamente dimostrato, è un mercato ciclico e le fasi espansive sono molto
spesso alimentate da vere e proprie bolle speculative, nel 2008 i valori delle abitazioni erano gonfiati e principalmente il risultato di una generale euforia irrazionale. Di lì a poco la bolla immobiliare speculativa esplode facendo
precipitare il prezzo delle case e innescando un’ondata di vendite, il numero dei pignoramenti e delle insolvenze
si moltiplica soprattutto per gli acquirenti di subprime che vengono colpiti dall’aumento improvviso delle rate dei
fidi.
Tavola 4 – Il crollo del mercato immobiliare
Le insolvenze provocano un blocco del sistema finanziario americano mandando in rovina numerosi soggetti tra
cui risparmiatori e molti istituti di credito costretti a registrare delle perdite ingenti, una delle banche
d’investimento americane più grandi del mondo, Lehman Brothers, è costretta a dichiarare bancarotta.
Il sistema bancario si blocca e ben presto la crisi finanziaria statunitense diventa mondiale, c’è una frenata degli
scambi sui mercati interbancari e le banche timorose dei “titoli spazzatura” ancora in circolazione non vogliono
esporsi ad ulteriori rischi di credito.
Iniziano a catena i piani di salvataggio: la banca centrale d’Inghilterra procede alla nazionalizzazione della Northern Rock impegnando circa 110 miliardi di sterline (la notizia che la banca non sarebbe stata in grado di ripagare i suoi clienti a causa dell’impossibilità di rifornirsi sul mercato interbancario innescò il panico tra i risparmiatori che presero d’assalto gli sportelli), Fanni Mae e Freddie Mac le due finanziarie che dominano il mercato dei
mutui americani vengono nazionalizzate, Dexia e Fortis ricevono il soccorso dei governi di Belgio e Olanda, altri
piani di salvataggio vengono disposti da Svezia, Danimarca, Portogallo e Lussemburgo.
Tavola 5 – La Lehman Brothers dichiara bancarotta
210
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
La liquidità non circola e i finanziamenti scarseggiano, il blocco del sistema del credito rapidamente tramuta i
suoi effetti negativi sull’economia reale. Le imprese si trovano di fronte ad una vera e propria stretta creditizia
che ne compromette i risultati economici, quelle di medie e piccole dimensioni non riescono a sopravvivere sui
mercati e tutto ciò porta progressivamente a una riduzione dei posti di lavoro e a un calo dei consumi.
Tavola 6 – La crisi finanziaria americana diventa mondiale
Il 2008 e il 2009 sono anni difficili dove si verifica una dura contrazione della domanda aggregata e del commercio mondiale, nel 2010 i mercati timidamente si riprendono: positivo è il contributo del governo americano guidato dal presidente Obama che approva una manovra sulla spesa pubblica fortemente espansiva da circa 787
miliardi di dollari. Il PIL degli Stati Uniti evidenzia una decisa risalita ed anche l’eurozona dopo un andamento
negativo nella prima parte del 2010 torna a percentuali di sviluppo nel terzo trimestre. Il 2012 sconta per buona
parte le conseguenze delle tensioni finanziarie su alcuni paesi dell’area euro (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia,
Irlanda), fondamentale è stato in questa fase il contributo della BCE (Banca Centrale Europea) che ha protetto la
moneta unica dai ripetuti tentati attacchi speculativi.
Arriviamo ai giorni nostri, alla fine del 2013 i segnali di ripresa anche in Europa dovrebbero intravedersi, il consolidamento dei bilanci pubblici e la politica monetaria espansiva della BCE fanno ben sperare per gli anni futuri e il
sistema bancario sembra procedere nel suo processo di rafforzamento, affinché tutto ciò possa completarsi però abbiamo bisogno di governi stabili e istituzioni forti ed indipendenti in grado di regolamentare i mercati e dare
nuovamente fiducia e forza al sistema economico mondiale.
 11.2 Il contesto italiano oggi
La fine della recessione in Italia sarà in parte il risultato di un fenomeno “esogeno” legato al contesto macroeconomico internazionale e in parte “endogeno” legato alle capacità dei prossimi governi di avviare le riforme necessarie per rendere il paese nuovamente competitivo e di riorganizzare il sistema bancario italiano uscito distrutto da questa crisi finanziaria. Se i prossimi governi italiani avranno la stabilità necessaria per portare a termine questi compiti la domanda interna potrà solo aumentare con gli effetti positivi che questo ha sulle prospettive
di crescita future dell’economia italiana. Il fenomeno “esogeno” nell’ultimo periodo sembra mandare segnali positivi, la domanda estera sta aumentando e le imprese italiane cominciano a esportare di più rispetto ai primi anni della recessione, se le imprese riprendono a crescere ci sarà un recupero del lavoro e dei salari che sarà in
grado di risollevare la domanda dei consumatori. La ripresa prevista degli USA e la tenuta dei mercati asiatici e
alcuni segni di miglioramento in Europa stanno favorendo ancor di più le esportazioni delle imprese italiane che
sono riuscite a rimanere competitive tramite la realizzazione di un miglioramento qualitativo delle loro produzioni.
A conferma di ciò, Federico Ghizzoni CEO di Unicredit in un’intervista rilasciata al quotidiano Affari & Finanza del
14 Gennaio 2013 afferma che «la struttura industriale italiana sta cambiando, tra le medie e grandi imprese ce
ne sono alcune in difficoltà che potrebbero scomparire ma ce ne sono altre che potrebbero comprare. Chi
esporta ha tecnologie e modelli di business avanzati e ha la possibilità di crescere facendo acquisizioni a prezzi
prima impensabili. Alla fine di questo processo avremo più imprese di maggiore dimensioni.»
Da un punto di vista “endogeno” invece si sono fatti dei passi avanti ma la strada è ancora lunga, sicuramente positiva è stata la misura avviata dal governo Monti di sbloccare il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione che produrrà degli effetti positivi allentando la stretta creditizia che stanno fronteggiando le imprese, ulteriore
aspetto positivo in tal senso è stato anche il calo del costo del denaro favorito dall’abbassamento dello spread. Un
altro passo seppur timido lo ha fatto quest’ultimo governo con il “decreto del fare” che ha inserito tra le misure di
sostegno alla crescita l’aumento della dotazione del Fondo Centrale di Garanzia (FCG) gestito dal Mediocredito
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211
Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
centrale (gruppo Poste Italiane), che con circa 200 milioni di euro di dotazione ha attivato garanzie per circa 2 miliardi di euro. La garanzia pubblica sui prestiti è una leva che potrebbe funzionare da stimolo per riattivare il sistema
del credito italiano giunto quasi sfinito dopo questi ultimi anni di crisi.
In Italia i prestiti alle imprese diminuiscono del quattro per cento annuo, un po’ perché le aziende non li chiedono
ma soprattutto perché continua a crescere l’ammontare dei soldi che non vengono restituiti alle banche e che si
trasformano “in crediti in sofferenza”. Un’altra operazione potrebbe essere quella proposta da Romano Prodi, presidente del consiglio in Italia negli anni 1996 e 2006, in un articolo riportato sul quotidiano Il Messaggero del 6 Ottobre 2013 dove afferma che «tramite la cooperazione di soggetti privati e pubblici si potrebbe dare vita a una
struttura che rilevando una parte dei crediti “cattivi” delle banche permetta il ripristino della circolazione di credito
nel nostro sistema. Potrebbe essere un’iniziativa che coinvolga tutto il sistema finanziario nazionale, dalla Banca
d’Italia alla Cassa Depositi e Prestiti e comprenda interventi di capitali privati affiancati da un’eventuale garanzia
pubblica. Un’operazione di sistema attentamente studiata e regolata non potrebbe che ricevere la necessaria benedizione della BCE, attenta per definizione al sano funzionamento del sistema bancario di tutti i paesi.».
Il rafforzamento del sistema bancario nazionale rappresenta la base per la ripresa interna ma non basta, bisogna
comunque guardare a quelle riforme di cui si parla da anni in grado di rendere il paese nuovamente competitivo
come la riforma del mercato del lavoro e la riforma del sistema fiscale per alleggerire il carico fiscale delle nostre
imprese e dei nostri contribuenti. La crisi che stiamo vivendo ha stravolto il mondo ed ha portato tante sofferenze
dovute al perdurare della disoccupazione, dobbiamo fare tesoro degli errori commessi e ripensare anche i nostri
modelli di sviluppo. James Heckman, Premio Nobel per l’economia nel 2000, in un’intervista rilasciata al quotidiano
Il sole 24 ore del 29 maggio 2009 afferma che: «la crisi ci riporterà sulla buona strada, già oggi ci rendiamo conto
che un certo andazzo degli anni passati (la cultura degli eccessi, dell’arroganza, dell’avidità, della corruzione) ha
dominato molti strati della società creando una forte polarizzazione. E forse siamo diventati ancora più avidi negli
ultimi dieci anni: gli incentivi, che ormai conosciamo bene, gli orizzonti di breve termine per raggiungere certi obiettivi, oggi sono chiaramente criticabili. Negli ultimi anni vi sono state molte opportunità di fare molti soldi, ma in un
contesto di mancanza di regole che diventa comunque pericoloso...e proprio ora uscendo dalla crisi che abbiamo
l’occasione d’interrompere lo sfilacciamento e la polarizzazione della società americana e di riequilibrare i valori.
Temo che le interazioni sociali siano ancora sottovalutate nella teoria economica standard, ma sono convinto che i
tratti discussi nel contesto della psicologia delle personalità apriranno nuovi orizzonti per la teoria economica.». La
crisi del 2008 ha alla sua origine il fallimento dei meccanismi di auto – regolazione dei mercati, il ruolo delle istituzioni (dei governi, delle banche centrali, degli enti regolatori) sarà fondamentale per evitare che un domani si ripresentino gli errori del passato. Ronald Coase, Premio Nobel per l’economia nel 1991, in uno dei suoi saggi afferma
che: «il mercato nella sua visione è determinato dalla cornice istituzionale di riferimento e, in un certo senso,
l’efficacia ed efficienza del mercato dipendono dalla qualità dei diritti e delle regole…buone regole dunque creano
mercati ben funzionanti e viceversa.».
Tavola 7 – L’attuale contesto italiano
La fine della crisi in Italia
dipenderà
FATTORI ESOGENI
FATTORI ENDOGENI
Legati al contesto
macroeconomico internazionale
Legati alla capacità dei governi di avviare riforme necessarie a rendere il
Paese competitivo
Domanda estera di
prodotti Italiani
Sblocco dei
pagamenti
della PA
Riduzione del costo
del
denaro
Riforma del
mercato del lavoro
212
Aumento del
Fondo Centrale
di Garanzia
Riforma del
sistema fiscale
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
 11.3 Gli strumenti per riconoscere una crisi d’impresa
Riconoscere una crisi finanziaria d’impresa non è mai facile soprattutto per un imprenditore che è solitamente
restio ad ammettere la situazione di difficoltà e tende a disconoscere la crisi confidando in un futuro miglioramento delle condizioni esistenti (magari l’ottenimento di una nuova linea di credito, la finalizzazione di accordi di
dilazione con qualche amico creditore, un miglioramento generale della situazione economica oppure l’ingresso
di un socio) che il più delle volte non avviene. La crisi d’impresa generalmente si manifesta in diversi stadi; lo
stadio iniziale è denominato di difficoltà, c’è una difficoltà finanziaria in seno all’impresa ma è solitamente transitoria e se gestita correttamente superabile in tempi brevi. Da uno stadio di difficoltà si può passare a uno stadio
di crisi in altre parole uno stadio in cui la difficoltà finanziaria si aggrava, fino ad arrivare a uno stadio ultimo denominato d’insolvenza nel quale l’impresa non è più in grado di fare fronte ai propri debiti.
Tavola 8 – I 3 stadi della crisi d’impresa
Se la crisi è presa nei tempi giusti esistono tanti strumenti a disposizione per governarla, è come un malato
quando il malore è diagnosticato in una fase iniziale ci sono ottime possibilità di guarigione se invece il malore è
in stato avanzato la cura richiede una terapia intensiva e le possibilità di guarigione si riducono.
È di fondamentale importanza quindi riconoscere la crisi fin da subito anche tramite l’assistenza di un advisor
esperto che parli chiaro all’imprenditore trasmettendogli la consapevolezza della situazione e avviando assieme
quelle misure in grado di disegnare un percorso di rapida uscita.
Tavola 9 – Principale strumento per individuare la crisi d’impresa
Flussi da gestione corrente
Strumento per
individuare la
CRISI DI UN’IMPRESA
FLUSSO DI TESORERIA DI
BREVE PERIODO
Flussi da gestione scaduto
Flussi da gestione straordinaria
Flussi da gestione finanziaria
Uno degli strumenti migliori per individuare una crisi è il “Flusso di tesoreria di breve periodo”: il flusso di tesoreria è il risultato dei flussi monetari in entrata e in uscita ed esprime quindi il fabbisogno o la liquidità generata
dall’impresa nell’arco temporale di riferimento, ha solitamente un orizzonte temporale di breve termine fino a
quattro mesi (con previsioni molto dettagliate) e può arrivare a un massimo di dodici mesi (oltre i quattro mesi le
previsioni sono più generiche).
In una prima fase occorre separare i flussi e attribuirli alle varie aree di riferimento, la suddivisione in aree è necessaria per comprendere dove si origina la crisi e in quale area indirizzare gli interventi:

flussi da gestione corrente;

flussi da gestione scaduto;

flussi da gestione straordinaria;
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213
Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa

flussi da gestione finanziaria.
Si può andare incontro a diverse fattispecie come cause principalmente operative dovute a un calo del fatturato
o a una struttura dei costi sovradimensionata, oppure finanziarie come un’impresa eccessivamente indebitata, o
ancora cause straordinarie.
Il punto di partenza per la predisposizione del flusso di tesoreria di breve periodo è la previsione del risultato economico dei prossimi mesi, tale previsione comporta un’analisi attenta dei dati a disposizione sia lato
ricavi sia costi diretti e indiretti di produzione. In questa fase è molto importante coinvolgere e sensibilizzare tutte
le funzioni aziendali (commerciale, produzione, personale, finanziario, ecc.) affinché i dati utilizzati siano attendibili e le ipotesi sottostanti realistiche. Ad esempio la funzione commerciale dovrà fornire le stime di vendita basate esclusivamente su ordini che hanno una ragionevole probabilità di verificarsi (quindi ordini già acquisiti o con
trattative in stato avanzato), la produzione dovrà basare le sue previsioni di acquisto sulla base dei prezzi e delle
quantità registrate nelle ultime transazioni di mercato, l’ufficio personale dovrà tenere conto di eventuali uscite/entrate di addetti che possono verificarsi nei mesi successivi, il finanziario dovrà in maniera analitica osservare
eventuali cambiamenti delle condizioni (come variazioni dello spread di riferimento, eventuali interessi applicati,
ecc.).
Schema 1- Esempio di Conto economico mensilizzato
€m ilioni
Cliente A
Cliente B
Cliente C
Cliente D
Altri minori
Fatturato
Costi di acquisto
Costi commerciali
Costi per servizi
Costi per affitti
Salari e stipendi
EBITDA
Ammortamenti
Proventi e oneri std
Proventi e oneri fin
EBT
Imposte di esercizio
Net result
4 m esi Forecast
Gennaio Febbraio
Marzo
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2,0
2,2
2,2
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0,2
0,2
0,4
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0,1
0,1
0,2
Aprile
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2,0
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0,3
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0,2
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0,1
Maggio
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2,5
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Giugno
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2,5
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0,0
Luglio
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2,8
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0,2
12 m esi Plan
Agosto Settem bre Ottobre Novem bre Dicem bre
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2,2
2,4
2,6
2,8
2,2
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0,2
0,3
0,2
0,2
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0,1
0,1
0,1
0,1
0,1
Una volta completate le previsioni economiche bisogna tradurre i risultati economici nei flussi di tesoreria, quindi
in flussi positivi derivanti dagli incassi dei crediti dai clienti (occorre fare un’attenta valutazione della qualità del
credito) e flussi negativi derivanti dai pagamenti ai fornitori, al personale, all’erario, e agli istituti di credito o altri
finanziatori. Tale fase richiede un’attenzione particolare da parte della funzione tesoreria che deve stimare con
precisione i tempi di incasso e di pagamento legati a ciascun cliente o fornitore. Riprendendo la suddivisione
in aree di riferimento, la prima area da individuare è quella legata ai flussi della gestione corrente che rappresentano principalmente le entrate e le uscite monetarie derivanti dall’attività operativa ovvero il netto tra gli incassi
dei crediti dai clienti e il pagamento dei debiti ai fornitori e al personale. La somma dei flussi della gestione corrente esprime la capacità dell’impresa di generare liquidità dall’impiego delle sue risorse, un flusso di cassa negativo in questa fase è un segnale che bisogna rivedere la struttura operativa per restituire valore all’attività economica.
214
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
Schema 2- Esempio di Flusso di tesoreria di breve periodo
€ milioni
Cliente A
Cliente B
Cliente C
Cliente D
Altri minori
Incasso crediti ante Gennaio
Incassi (A)
Fornitore A
Fornitore B
Fornitore C
Fornitore D
Altri minori
Pagamento debiti ante Gennaio
Salari e Stipendi
Pagamenti (B)
Flusso gestione Corrente (C= A-B)
Fornitori scaduto
Tributario scaduto
Previdenziale scaduto
Pagamento pregresso (D)
Aperture linee a breve
Chiusure linee a breve
Netto linee a breve banche
Finanzimenti
Oneri finanziari
Altro
Netto linee banche (E)
Flusso di cassa finale (C+D+E)
Flusso progressivo
Gennaio
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
3,0
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
3,5
(0,5)
[…]
[…]
[…]
(0,2)
[…]
[…]
(0,2)
[…]
[…]
[…]
(0,4)
(1,1)
(1,1)
Febbraio
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,4
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
3,0
(0,6)
[…]
[…]
[…]
(0,2)
[…]
[…]
(0,2)
[…]
[…]
[…]
(0,4)
(1,2)
(2,3)
Marzo
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,2
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
3,1
(0,9)
[…]
[…]
[…]
(0,2)
[…]
[…]
0,2
[…]
[…]
[…]
0,1
(1,0)
(3,3)
4 mesi
Aprile
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,0
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,0
[…]
[…]
[…]
(0,1)
[…]
[…]
0,2
[…]
[…]
[…]
0,1
(3,3)
Maggio
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,0
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
1,8
0,2
[…]
[…]
[…]
0,2
[…]
[…]
0,1
[…]
[…]
[…]
0,1
0,5
(2,8)
Giugno
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,0
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
1,8
0,2
[…]
[…]
[…]
0,1
[…]
[…]
0,1
[…]
[…]
[…]
0,3
(2,5)
Luglio
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,5
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,6
(0,1)
[…]
[…]
[…]
0,5
[…]
[…]
0,1
[…]
[…]
[…]
0,4
(2,1)
Agosto
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,5
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,6
(0,1)
[…]
[…]
[…]
0,2
[…]
[…]
(0,2)
[…]
[…]
[…]
(0,4)
(0,3)
(2,4)
Settembre
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,2
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,5
(0,3)
[…]
[…]
[…]
0,2
[…]
[…]
(0,2)
[…]
[…]
[…]
(0,4)
(0,5)
(2,9)
Ottobre
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,6
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,2
0,4
[…]
[…]
[…]
0,3
[…]
[…]
0,2
[…]
[…]
[…]
0,1
0,8
(2,1)
Novembre
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,6
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,4
0,1
[…]
[…]
[…]
0,3
[…]
[…]
0,2
[…]
[…]
[…]
0,1
0,5
(1,6)
12 mesi
Dicembre
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,6
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
[…]
2,4
0,1
[…]
[…]
[…]
0,3
[…]
[…]
0,2
[…]
[…]
[…]
0,1
0,5
(1,1)
Una volta definito il flusso generato dalla gestione corrente si procede alla definizione del flusso derivante dalla
gestione dello scaduto. Tale flusso esprime le uscite monetarie necessarie per il pagamento dei creditori scaduti, solitamente quando si viene a creare una situazione di difficoltà finanziaria l’imprenditore per gestire la mancanza di liquidità tende a rimandare i pagamenti ai suoi creditori (principalmente fornitori ed erario) dilazionandoli
nel tempo e generando quindi un ammontare di debiti scaduti. Il livello di scaduto è un sintomo della gravità
della crisi è il segnale che l’imprenditore non riesce a fronteggiare gli impegni con i suoi i creditori, questa difficoltà se continuata e concentrata sui fornitori ha delle ripercussioni sulle attività operative dell’impresa. Fornitori
che non vengono pagati regolarmente ma a scadenze posticipate tendono a ritardare le forniture o ad interromperle (salvo il ricevimento di pagamenti anticipati), tali misure comportano per l’impresa nel migliore dei casi un
allungamento del ciclo operativo con conseguente riduzione della qualità dei prodotti commercializzati, nel peggiore la mancata consegna della merce. È importante quindi che nel caso in cui il ricorso allo scaduto fosse inevitabile per la mancanza di liquidità, l’imprenditore si dedichi pienamente al rapporto con i suoi fornitori cercando
di spiegargli le cause delle difficoltà attuali e comunicando a loro le azioni correttive messe in atto al fine di superare la situazione di tensione finanziaria. Il livello di scaduto non deve mai superare il limite ritenuto accettabile dai creditori (che siano fornitori, erario, banche) superata la soglia di tolleranza i creditori perdono fiducia
nell’impresa e iniziano ad avviare gli strumenti a disposizione in primis operativi e poi legali per il recupero dei loro crediti.
Ai flussi da gestione scaduto seguono poi i flussi da gestione straordinaria, indicati separatamente in quanto
rappresentativi di componenti non ricorrenti, e i flussi da gestione finanziaria che rappresentano il netto dei flussi
in entrata e in uscita derivanti dalla gestione delle risorse finanziarie. I flussi finanziari in entrata sono relativi ai finanziamenti e alle linee di breve termine ricevute dagli istituti di credito per finanziare le attività, i flussi in uscita
sono collegati agli oneri finanziari da corrispondere e ai pagamenti della quota capitale sui finanziamenti e delle
linee di breve termine. Il caso sopra riportato, meramente esemplificativo nei numeri, evidenzia un flusso di cassa dalla gestione corrente negativo per i prossimi tre mesi (Gennaio, Febbraio, Marzo), è il segnale che la gestione operativa non genera cassa in questi mesi e che bisogna capire le ragioni sottostanti ovvero se dovuto a un
qualcosa di strutturale o esclusivamente transitorio.
Un successivo fabbisogno è espresso dal pagamento dello scaduto (fornitori, tributario, previdenziale) che evidenzia che la crisi è già iniziata nei mesi precedenti ed in qualche modo è in uno stadio avanzato; l’imprenditore
per fronteggiare la mancanza di risorse monetarie ha ritardato i pagamenti ai suoi creditori e si trova ora a dovere pagare i debiti scaduti per evitare possibili azioni (operative o legali) di recupero dei crediti.
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
Il flusso netto linee banche esprime il fabbisogno che risulta dalla gestione finanziaria, un fabbisogno elevato in
questa area significa che l’impresa è fortemente indebitata ed è opportuno che l’imprenditore e i suoi advisor
rivedano la struttura finanziaria.
Tavola 10 – Il fabbisogno complessivo mensile d’impresa
Il flusso di cassa finale sopra riportato (la somma della gestione corrente, scaduto, finanziaria) esprime il fabbisogno complessivo mensile dall’impresa, nel caso in questione il fabbisogno si monta nei primi mesi (Gennaio,
Febbraio, Marzo) per poi scendere nei mesi successivi grazie soprattutto al migliore contributo della gestione
operativa e al termine del pagamento dello scaduto. L’imprenditore con i suoi advisor deve interrogarsi e intraprendere tempestivamente quelle misure per la copertura del fabbisogno che si genera nel primo trimestre, e
inoltre valutare se il fabbisogno corrente è un qualcosa di transitorio oppure occorre rivedere la struttura operativa. Il flusso di tesoreria di breve periodo è certamente lo strumento più adatto per comprendere dove si è originata la crisi, rispondere all’esigenza di monitorare la cassa, e individuare quali possono essere le misure correttive per frenare la tensione finanziaria.
 11.4 Il Turnaround
Una volta presa coscienza dello stato di difficoltà esistente, l’imprenditore con i suoi advisor deve procedere a
disegnare la strada di uscita dalla crisi che consente il recupero del valore d’impresa. Bisogna tracciare un percorso che rappresenti un’inversione di tendenza e che adotti le misure necessarie per fare ripartire la macchina:
tale processo è denominato Turnaround.
Il processo di Turnaround è un processo ampio che si articola in più fasi, c’è una fase iniziale quasi immediata
nella quale vengono intraprese tempestivamente le misure correttive in grado di evitare che lo stato di crisi si
aggravi ed una fase successiva nella quale vengono implementate le strategie di lungo periodo in grado di creare maggiore valore per l’impresa negli anni futuri. Di seguito sono riepilogati i punti fondamentali su cui concentrare le attività di Turnaround:

monitoraggio dei flussi di cassa;

individuazione delle nuove linee guida strategiche;

predisposizione del piano industriale e finanziario;

relazioni collaborative con gli stakeholder.
Tavola 11 – Principale strumento per individuare la crisi d’impresa
Monitoraggio dei flussi di cassa
Misura per superare la
crisi d’impresa
TURNAROUND
Individuazione nuove linee strategiche
Predisposizione piano industriale
Stakeholder engagement
Il monitoraggio dei flussi di cassa rappresenta la fase iniziale quasi immediata e avviene tramite la gestione e
l’aggiornamento del flusso di tesoreria di breve. Un processo di Turnaround ha il compito primario di gestire una
216
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
situazione di difficoltà di cassa esistente che se trascurata potrebbe portare al blocco dell’impresa senza avere
la possibilità e il tempo di implementare una nuova strategia industriale. Il controllo dei flussi di cassa in questa
fase è fondamentale, bisogna quindi disporre rapidamente di liquidità per pagare i fornitori più penalizzati e mantenere attivo il ciclo produttivo; per fare ciò la cosa opportuna è implementare fin da subito un sistema che autorizzi solo le spese ritenute indispensabili. Inoltre se esistono prodotti o linee di business che bruciano cassa bisogna interrompere la produzione concentrando le risorse sulle attività core in grado di generare la liquidità necessaria per gestire il momento di difficoltà.
In questa attività di cash management (gestione dei flussi di cassa) è importante che l’imprenditore sia affiancato
da un advisor esperto. Chi è troppo coinvolto e ha sopportato nei mesi precedenti la situazione di stress finanziario, difficilmente ha quella forza e lucidità per intraprendere le azioni restrittive da implementare. Una volta
messo in piedi il sistema di monitoraggio della cassa l’imprenditore con i suoi advisor può dedicarsi alla definizione delle linee guida strategiche.
L’impresa è per definizione un’entità soggetta a cambiamenti sia interni sia esterni ed è proprio la capacità di
cogliere rapidamente il cambiamento che rappresenta l’elemento vincente per il suo successo, una crisi evidenzia la necessità di un’inversione di tendenza, è il segnale che l’impresa va ripensata nell’attuale ambiente esistente.
L’individuazione delle linee guida strategiche passa inevitabilmente attraverso un’attenta analisi della struttura, è
importante in questa fase analizzare tutti i dati disponibili (presenti e storici) dell’impresa nonché il mercato di riferimento ed i suoi principali competitor in primis bisogna capire come si possono aumentare i fatturati e con
quali prodotti e segmenti è possibile riposizionarsi sul mercato, è importante ricreare un marchio forte e avere
una buona posizione che sia in grado di conseguire dei vantaggi competitivi. L’inversione di tendenza passa sia
per la ripresa dei ricavi che per il contenimento dei costi, occorre un’attenta valutazione dei costi diretti e indiretti
al fine di raggiungere una struttura operativa di nuovo in grado di generare dei flussi di cassa positivi. Disegnate
le linee guida strategiche bisogna tradurle in numeri e obiettivi quantificabili, questa fase avviene tramite la predisposizione del piano industriale e finanziario; il piano industriale è lo strumento che fissa gli obiettivi da raggiungere e tramite cui l’imprenditore e tutti i soggetti interessati (anche i creditori) sono in grado di monitorare
l’andamento dei risultati rispetto alle previsioni iniziali. Un buon piano industriale e finanziario è un piano che
coinvolge le varie funzioni aziendali e fissa degli obiettivi credibili, gli obiettivi di breve termine devono essere
raggiungibili e misurabili per dare attendibilità al piano e consistenza al processo di modo che possa essere
supportato di fronte ai soggetti coinvolti.
Schema 3- Esempio di Piano industriale e finanziario
Conto Economico:
€ m ilioni
Fatturato linea A
Fatturato linea B
Fatturato linea C
Altri ricavi
Fatturato
Costi materie prime
Costi per servizi
Costi commerciali
Costi per affitti
Salari e stipendi
Costi
EBITDA
EBITDA (%)
Ammortamenti
PO std
PO finanziari
EBT
Imposte di esercizio
Net result
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Plan
2013
[..]
[..]
[..]
[..]
100,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(95,0)
8,0
8%
[..]
[..]
[..]
4,0
(1,0)
3,0
Plan
2014
[..]
[..]
[..]
[..]
110,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(100,0)
12,0
11%
[..]
[..]
[..]
6,0
(2,0)
4,0
Plan
2015
[..]
[..]
[..]
[..]
120,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(105,0)
18,0
15%
[..]
[..]
[..]
9,0
(3,0)
6,0
Plan
2016
[..]
[..]
[..]
[..]
140,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(110,0)
25,0
18%
[..]
[..]
[..]
12,0
(4,0)
8,0
Plan
2017
[..]
[..]
[..]
[..]
150,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(120,0)
30,0
20%
[..]
[..]
[..]
15,0
(5,0)
10,0
217
Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
Stato patrimoniale:
€ m ilioni
Immateriali
Materiali
Finanziarie
Attivo fisso
Rimanenze
Crediti vs clienti
Debiti vs fornitori
- di cui Debiti vs fornitori riscadenziati
Altre attività - (erario, altri crediti, altro)
Altre passività - (erario, previdenza, personale)
- di cui Debiti vs erario riscadenziati
Capitale Circolante Netto
Fondi
Capitale Investito Netto
Debiti vs banche a breve termine
- di cui nuove linee a breve
Debiti vs banche a lungo termine
- di cui mutui riscadenziati
- di cui linee a breve oggetto di consolido
Totale debiti vs banche
Liquidità generata
PFN
Capitale sociale
Riserve
Utile / Perdita di esercizio
PN
Plan
2013
[..]
[..]
[..]
70,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
5,0
[..]
77,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(45,0)
0,2
(44,8)
[..]
[..]
3,0
(32,2)
Plan
2014
[..]
[..]
[..]
72,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
8,0
[..]
83,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(45,0)
0,5
(44,5)
[..]
[..]
4,0
(38,5)
Plan
2015
[..]
[..]
[..]
75,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
12,0
[..]
91,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(43,0)
0,8
(42,2)
[..]
[..]
6,0
(48,8)
Plan
2016
Plan
2017
[..]
[..]
[..]
77,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
15,0
[..]
97,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(41,0)
1,0
(40,0)
[..]
[..]
8,0
(57,0)
[..]
[..]
[..]
80,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
25,0
[..]
111,0
[..]
[..]
[..]
[..]
[..]
(39,0)
1,5
(37,5)
[..]
[..]
10,0
(73,5)
Affinché un processo di Turnaround risulti efficiente in tutte le sue fasi un ulteriore elemento fondamentale è il
rapporto costante con tutti gli stakeholder coinvolti, in particolare i creditori (fornitori, banche, altri istituti, etc).
Un processo di Turnaround solitamente richiede uno sforzo ed una partecipazione di tutti i creditori ai quali molto spesso vengono proposte dilazioni di pagamento dei loro crediti o anche nuovi finanziamenti (la cosiddetta
“finanza ponte” richiesta agli istituti di credito) per sanare delle situazioni pregresse che si sono venute a creare
per lo stress finanziario. Diventa centrale quindi il rapporto costante con questi interlocutori la cui apertura è fondamentale per la buona riuscita del processo di Turnaround; i creditori devono essere considerati parte attiva ed
informati regolarmente sull’andamento della gestione. Un buon piano industriale costituisce l’elemento essenziale per avviare un ottimo rapporto con i creditori e un rapporto trasparente infonde fiducia nel processo; è bene
che in questo l’imprenditore sia assistito dal suo advisor esperto, garanzia di indipendenza e veridicità, che abbia forti capacità comunicative e sia in grado di illustrare chiaramente i passaggi che l’impresa dovrà compiere
nei mesi successivi. L’imprenditore non deve in nessun modo distogliere la sua attenzione dalla gestione ordinaria e dalla costante ricerca dell’innovazione che rappresenta la strada principale per il successo dell’impresa.
 11.5 La normativa
Un’impresa in difficoltà finanziaria ha la possibilità di gestire il suo processo di ristrutturazione mediante gli strumenti offerti in materia dalla normativa italiana (art. 67 “piano di risanamento”, art. 182-bis “accordi di ristrutturazione”, art. 160 e 186-bis “concordato in continuità” della Legge fallimentare). La normativa italiana in tema di
Legge Fallimentare ha subito delle recenti modifiche (l’ultima a Settembre 2012 contenuta nel nuovo Decreto
Sviluppo) che s’ispirano ai regimi più avanzati, regime anglosassone e americano, con la finalità di favorire la risoluzione della crisi d’impresa attraverso processi di ristrutturazione e non di liquidazione.
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
Tavola 12 – Strumenti per la ristrutturazione delle imprese in crisi secondo la normativa italiana
La scelta dello strumento di ristrutturazione più idoneo, è da farsi in base all’entità e allo stadio della crisi in cui
versa l’impresa, se lo stadio di difficoltà è di per sé transitorio e affrontato tempestivamente lo strumento più
idoneo offerto dalla normativa è un articolo 67 ovvero «..un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento
dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria ...». Nel caso
di adozione dell’articolo 67 il primo passo da compiere per l’impresa è la predisposizione del piano di risanamento (solitamente quinquennale) nel quale viene riportata la nuova strategia industriale da intraprendere. Una
volta redatto il piano, un professionista esterno nominato dall’impresa e scelto fra i revisori dei conti deve attestarne la sua fattibilità e ragionevolezza. Solitamente importante per la buona riuscita del piano è l’accordo con i
fornitori strategici e con le banche, occorre incontrare tutte le banche interessate (in seduta plenaria al fine di
coinvolgerle in toto) e i fornitori principali per illustrare loro il piano e proporre delle possibilità di dilazione del loro
credito. I fornitori principali sono portati ad accettare le proposte presentate perché la continuità dell’impresa è
un presupposto anche per salvaguardare i loro fatturati, più restie invece sono le banche alle quali si può proporre un pagamento integrale ma dilazionato (solitamente non sono propense a riduzione delle sorte capitale)
magari rinegoziando il tasso d’interesse. Presupposto per la buona riuscita della negoziazione con le banche è
la parità di trattamento, presentare proposte con condizioni diverse favorendo alcuni istituti di credito (magari più
vicini all’imprenditore) rispetto ad altri comporterebbe l’ostracismo degli istituti penalizzati e la conseguente rottura del tavolo negoziale. Laddove possibile, e purtroppo nell’ultimo periodo sempre meno frequente date le difficoltà che sta incontrando tutto il sistema bancario, si può chiedere la concessione di nuova finanza, la cosiddetta “Finanza Ponte”, per ottenere quella liquidità necessaria a pagare i fornitori principali nel breve periodo. Le
banche dopo un’iniziale resistenza cominceranno a prendere in considerazione la proposta e a nominare un loro
legale esterno che ne tutela gli interessi, se la negoziazione va a buon fine si arriva alla sottoscrizione di un accordo scritto tra le parti, normalmente definito “convenzione” che include tutte le condizioni stabilite a
l’accettazione dell’accordo di ristrutturazione del debito proposto. Il ricorso all’articolo 67 ha indubbi vantaggi
per un’impresa in stato di difficoltà finanziaria transitoria in quanto è totalmente “out of court”, non prevede costi
e vincoli giudiziari, ha una rapida applicazione e consente ai creditori principali (fornitori strategici e banche) di
continuare a supportare l’impresa senza rischiare di dovere restituire quanto incassato in caso di successivo fallimento (azione revocatoria).
Con il perdurare della situazione economica negativa e l’aggravarsi delle crisi d’impresa è sempre minore il ricorso allo strumento snello dell’articolo 67, i creditori ultimamente preferiscono l’adozione di uno strumento giudiziario che tuteli maggiormente le loro posizioni come gli accordi di ristrutturazione ex articolo 182-bis della L.F.
: «… l’imprenditore in stato di crisi può domandare..l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti
stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti unitamente ad una relazione redatta da un professionista..sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.». L’articolo 182-bis della L.F. è un istituto cui solitamente si
ricorre nei casi in cui la difficoltà finanziaria è sfociata in uno stadio avanzato, questo istituto richiede il ricorso
all’autorità giudiziaria e beneficia di una moratoria di sessanta giorni a favore del debitore contro il quale non
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
possono essere iniziate azioni cautelari o esecutive «… dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i
creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul
patrimonio del debitore ...». Il debitore negozia gli accordi con i creditori più rilevanti (solitamente banche e fornitori) al fine di ottenere consensi che superino il sessanta per cento del monte complessivo dei suoi debiti, in seguito i creditori sottoscrivono una dichiarazione di accettazione dell’accordo che l’impresa in crisi si appresta a
presentare al tribunale. Il professionista chiamato a valutare la fattibilità e ragionevolezza del piano anche sulla
base degli accordi raggiunti con i creditori dovrà in particolare attestare che l’impresa in crisi è in grado di fare
fronte alle obbligazioni in essere con i creditori che non hanno accettato gli accordi. Si tratta a tutti gli effetti di
una procedura concorsuale che ha costi e adempimenti giudiziari da sostenere e la pubblicità negativa del ricorso al tribunale, inoltre non bisogna sottovalutare l’onere legato all’eventuale pagamento integrale di tutti i creditori estranei non essendo previsto alcun obbligo per i dissenzienti di accettare la volontà della maggioranza dei
creditori. L’adozione di questo strumento è principalmente avanzata dagli istituti di credito nelle situazioni in cui
gli viene richiesta l’erogazione di una “finanza ponte” o di uno stralcio dei loro crediti “rinuncia ai crediti” ritenute
indispensabili per la gestione della crisi. A differenza dell’articolo 67 infatti l’articolo 182-bis tutela maggiormente
in questi casi le posizioni delle banche in quanto gli concede la pre deduzione della finanza erogata (una sorta di
garanzia sulla nuova finanza) e la possibilità di dedurre fiscalmente le perdite registrate da un’eventuale riduzione
dei crediti.
Uno degli elementi più innovativi del nuovo sistema delle procedure concorsuali è il concordato con continuità
aziendale, ex articolo 160 e 186-bis della L.F., l’imprenditore che si trova in uno stato di crisi avanzata che comprende anche lo stato di insolvenza «… può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma ... b)
l’attribuzione delle attività dell’impresa interessata dalla proposta di concordato ad un assuntore (possono costituirsi come assuntori anche i creditori) ... c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e
interessi economici omogenei ... d) trattamenti differenziati tra i creditori appartenenti a classi diverse.». Il piano
in questione deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista che attesti la veridicità dei dati
aziendali e la fattibilità del piano, la relazione del professionista deve attestare non solo la tenuta del piano di
continuazione dell’attività ma anche che la prosecuzione dell’attività è funzionale al miglior soddisfacimento dei
creditori. L’istituto del concordato in continuità rappresenta un valore sia per l’impresa che continua a lavorare
mantenendo e preservando il valore dei suoi beni sia per i creditori che dai flussi generati dalla continuità vedono
un maggiore soddisfacimento del loro credito. Storicamente nei concordati nei quali i creditori sono soddisfatti
esclusivamente dalla cessione dei beni (concordati liquidatori) la percentuale di soddisfazione dei loro crediti è
molto bassa, anche se la percentuale minima stabilita dalla legge e garantita solitamente dai periti nominati dai
Tribunali si attesta intorno al quaranta per cento, la perdita di valore dei beni aziendali dovuta all’interruzione
dell’attività economica conduce a delle percentuali effettive di ripagamento molto inferiori (anche il tre o quattro
per cento). Il concordato prevede una fase iniziale denominata di prenotazione nella quale viene depositata in
Tribunale la domanda di concordato, corredata dei bilanci degli ultimi tre esercizi, ma ancora priva del piano e
della proposta ai creditori. In questa fase l’imprenditore può essere autorizzato dal tribunale a compiere atti di
ordinaria amministrazione e urgenti di straordinaria amministrazione. La prenotazione comunque, denominata
“pre-concordato” ex art. 160 della L.F., protegge il debitore da eventuali azioni cautelari ed esecutive da parte
dei creditori. In seguito alla prenotazione ed entro un termine che va dai sessanta ai centoventi giorni, eventualmente prorogabili di ulteriori sessanta giorni massimo, viene presentato il piano e la proposta di concordato. Il
concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti
ammessi al voto nella classe medesima, i creditori che non hanno esercitato il diritto di voto si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza (c.d. silenzio – assenso). Il Tribunale
riscontrata in ogni caso la maggioranza può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di
creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori
appartenenti alle classi dissenzienti possano essere soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto
alle alternative concretamente praticabili.
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
 11.6 Un caso pratico
 11.6.1 Il piano di risanamento della società ALFA
La società ALFA opera nel settore della produzione e commercializzazione di beni di largo consumo e versa ultimamente in uno stato di crisi scaturito da una contrazione dei margini economici causata, nel triennio 2009 –
2012, principalmente da un significativo aumento del costo delle materie prime (prezzo dei cereali), dal lancio di
business line non marginanti e da un eccessivo indebitamento. La società ALFA al fine di tutelare gli interessi dei
suoi creditori, che si sono ritrovati con un ammontare di crediti non pagati, e superare lo squilibrio economico e
finanziario ha deciso di ricorrere allo strumento normativo ex art.186-bis della L.F. “Concordato in continuità”
depositando in Tribunale la domanda di concordato ex art. 160 della L.F. Gli azionisti della società ALFA hanno
successivamente provveduto alla nomina di un nuovo management composto da personalità esperte in situazioni di Turnaround e con la necessaria indipendenza. Il nuovo management coadiuvato dagli advisor legali e finanziari ha avviato le opportune misure per assicurare la continuità, in primis sono state ristabilite le relazioni con
i principali istituti di credito per lo più scottati da un ammontare di crediti derivanti dalla precedente gestione andati oramai scaduti. E’ stato fin da subito predisposto un piano di cassa di breve termine che ha evidenziato la
necessità di ottenere la “finanza ponte”, circa € 5 milioni, per far ripartire pienamente il business, si è poi proceduto in maniera tempestiva all’interruzione delle attività meno profittevoli al fine di recuperare la liquidità da immettere per la ripresa del core business, e alla definizione delle linee guida del processo di Turnaround. A tal
punto è stata effettuata un’approfondita analisi della situazione economico – finanziaria funzionale alla pianificazione strategica degli interventi da intraprendere. Dopo quattro mesi dal deposito della domanda è stato presentato al tribunale di riferimento il piano concordatario predisposto dalla società e dai suoi advisor legali e finanziari
che è stato attestato da un professionista esterno in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa.
Il piano concordatario si fonda sulle seguenti linee di azione:
a)
focalizzazione dell’attività imprenditoriale sui soli core business con ottimizzazione delle attività di produzione e commercializzazione tramite: rafforzamento della presenza in aree geografiche in crescita e facilmente raggiungibili (con costi di trasporto ridotti), potenziamento della struttura commerciale, sviluppo
di una rete di partner integrati, concentrazione della produzione interna in un unico stabilimento, terziarizzazione dell’attività logistica ad una società terza;
b)
ridefinizione della struttura societaria e organizzativa coerentemente con il mutato contesto di business
tramite: riduzione della struttura dirigenziale, ricorso temporaneo agli ammortizzatori sociali per parte del
personale dipendente, ridimensionamento dell’organico dipendente coerentemente con gli interventi ipotizzati a livello di business model (concentrazione in un unico stabilimento);
c)
raggiungimento dell’equilibrio finanziario tramite la vendita di asset considerati no core al fine di liberare
risorse utili, e rimodulazione del debito finanziario volta a riequilibrare la struttura delle fonti di finanziamento.
Tavola 13 – Le linee d’azione del piano concordatario adottate
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Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa
Il piano industriale predisposto dalla società ALFA prevede ricavi di vendita per circa € 72 milioni nell’anno 2013
che crescono fino a € 95 milioni nel 2017, ultimo anno di piano. Le misure da intraprendere previste dal piano
industriale portano a un reddito operativo positivo già a partire dall’anno 2014 (circa € 4 milioni) con un trend
crescente negli anni successivi, tali risultati mostrano la capacità dell’impresa di generare flussi di cassa positivi
in futuro.
La prosecuzione dell’attività d’impresa rappresenta un valore per l’impresa, il cui business torna a generare andamenti economici e finanziari profittevoli, e per i suoi creditori ai quali è presentata una proposta di pagamento
dei loro crediti maggiore (parte della liquidità generata dal piano andrà a soddisfare i crediti esistenti alla data di
deposito della domanda di concordato) rispetto a quella che avrebbero potuto ottenere da una liquidazione separata degli asset dell’impresa.
Di seguito è presentata la proposta di pagamento effettuata dalla società ALFA ai suoi creditori nell’ambito della
presentazione del piano concordatario; i creditori sono stati suddivisi in quattro classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei con trattamento per le diverse classi, in particolare:
Classe 1
Classe 2
Classe 3
Classe 4
creditori ipotecari (composti da istituti di credito garantiti da fidejussione e allo stesso tempo da ipoteca), pagamento integrale di tali crediti oltre interessi di legge con moratoria di tre anni e rimborso in un arco temporale
di 20 anni, salvo rimborso parziale o totale per effetto della cessione degli asset ipotecati.
crediti assistiti da privilegio generale (Dipendenti, Professionisti, Artigiani, Erario, ecc.), pagamento integrale con
moratoria annuale e rimborso in un arco temporale di 6 anni.
istituti di credito chirografari, pagamento integrale con moratoria di tre anni e rimborso in un arco temporale di
12 anni.
altri creditori chirografari (composti essenzialmente da fornitori) pagamento nella misura del 50%, con moratoria di tre anni e rimborso in un arco temporale di 7 anni.
L’adunanza dei creditori in merito al piano concordatario, tenutasi dinanzi al Giudice Delegato del Tribunale di
riferimento, ha ottenuto il voto favorevole di tutte e quattro le classi di creditori con una maggioranza che va da
un minimo di 90% al massimo del 100% dei creditori favorevoli per ciascuna classe. Il piano concordatario trova
altresì parere favorevole del tribunale e dei suoi commissari giudiziali (giudizio di omologazione) che riconoscono
la prudenza e la professionalità nella predisposizione delle assunzioni del piano pertanto ne ritengono raggiungibili i risultati attesi per gli esercizi successivi. Inoltre gli stessi commissari giudiziali evidenziano come la prosecuzione dell’attività d’impresa rappresenta un valore per i creditori che dall’alternativa liquidatoria non avrebbero
avuto alcun vantaggio sintetizzabile in maggiori importi/minori tempi di realizzo rispetto alla soluzione concordataria di continuità.
Il caso della società ALFA mostra come la normativa oggi a disposizione offra degli strumenti (ad esempio il
concordato in continuità ex art. 186-bis L.F.) che consentono, anche nei casi di crisi finanziaria avanzata, una
possibilità rispetto alla liquidazione dei beni e alla perdita del valore dell’impresa. L’alternativa della continuità,
ovviamente laddove ne ricorrano i presupposti industriali e finanziari, rappresenta un valore per tutti;
l’imprenditore potrà proseguire le sue attività facendo tesoro degli errori passati e affiancando al suo intuito le
figure professionali giuste per assisterlo nella gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, i creditori vedranno i
loro crediti ripagati in misura maggiore e potranno contare su un’impresa sana e con un ritrovato equilibrio con
la quale ricominciare a lavorare, i dipendenti seppure sotto un nuovo assetto organizzativo vedranno per la gran
parte il mantenuto il loro posto di lavoro.
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