a cura di Sebastiano Di Diego, Fabrizio Micozzi Finanza aziendale per le PMI Come affrontare le sfide del futuro LIVING BOOK è una banca dati specialistica on-line che comprende il testo del libro integrato dalla documentazione di fondamentale supporto al commento sviluppato dall’Autore. Grazie alla selezione mirata della legislazione, delle interpretazioni collegate, della prassi fiscale, delle formule per la pratica applicazione degli adempimenti, si raggiunge una visione approfondita del tema indagato, perché elaborazione dell’Autore e selezione dei materiali, aggiornati costantemente, consentono di controllare l’evoluzione del quadro di riferimento. Il testo integrale del volume, disponibile nel formato XML, consente molteplici e innovative modalità di approccio ai contenuti: - ricerca libera testuale grazie al potente motore di ricerca; - collegamenti ai documenti tramite link posizionati all’interno del testo; - navigazione ipertestuale; - estrapolazione di singole parti del volume, per le più varie esigenze professionali; - stampa parziale o totale dei contenuti. Gli aggiornamenti fruibili tramite LIVING BOOK consentono di porre in evidenza sia le modifiche ai contenuti della banca dati, sia i contributi aggiuntivi apportati dall’Autore in seguito a rilevanti variazioni intervenute in materia. Il servizio di aggiornamento è disponibile per tutto il periodo di presenza del libro nel catalogo dell’Editore. Il servizio è accessibile gratuitamente per i soli acquirenti del volume: occorre collegarsi al sito www.livingbook.it e inserire nello spazio idoneo il seguente codice F8L8KGKC Copyright © 2014 - Cesi Multimedia s.r.l. Via V. Colonna 7, 20149 Milano www.cesimultimedia.it Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione dell’opera, anche parziale e con qualsiasi mezzo. L’elaborazione dei testi, pur se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e/o all’editore per eventuali involontari errori o inesattezze. ISBN 978-88-6279-100-7 Pubblicazione giugno 2014 Indice Prefazione VII Profilo autori IX 1. Serve più cultura finanziaria nelle PMI 1.1 Premessa 1.2 I limiti allo sviluppo di una cultura finanziaria 1.3 Quali compiti 1.4 Quale organizzazione e quali competenze 1.5 Quali obiettivi 1.6 Uno sguardo alle diverse tipologie di PMI 1.6.1 Imprese marginali 1.6.2 PMI satelliti/terziste 1.6.3 PMI imitative 1.6.4 PMI a rapido sviluppo 1 1 2 3 4 6 7 7 8 9 10 2. Capire le decisioni finanziarie fondamentali 2.1 Premessa 2.2 Il fabbisogno finanziario 2.3 Gli obiettivi finanziari da perseguire 2.4 La scelta della struttura finanziaria 2.4.1 I criteri per definire la struttura finanziaria target 2.4.2 Il confronto con il mercato finanziario 11 11 12 18 18 22 26 3. Capire l’importanza del piano industriale 3.1 Perché è importante il piano industriale 3.2 Il contenuto del piano industriale 3.3 Tutte le imprese hanno bisogno di un piano industriale? 3.4 Quali sono le finalità per cui viene redatto un piano industriale? 3.4.1 Finalità esterne 3.4.2 Finalità interne 3.5 Quali sono i vantaggi che si ottengono dalla redazione di un piano industriale? 3.5.1 Aiuta a pensare in modo sistematico e a definire strategie intenzionali 3.5.2 Preparazione al confronto con il mercato finanziario 3.5.3 Individuazione degli obiettivi del sistema incentivazione 3.6 Chi lo elabora e chi partecipa? 3.7 A chi è rivolto/a chi serve? 3.8 Quali sono le fasi del processo di pianificazione? 3.8.1 Valutare la situazione 3.8.2 Sviluppare la mission 3.8.3 La preparazione del lavoro 3.8.4 La definizione degli obiettivi 3.8.5 Elaborazione del piano industriale 3.8.6 Fissare gli obiettivi delle risorse umane 3.8.7 Il monitoraggio del processo 3.9 I numeri sono il riflesso delle vostre decisioni 3.10 Le c.d. assumption 3.11 Il Conto Economico previsionale 3.12 Lo Stato Patrimoniale previsionale 29 29 29 30 30 31 36 37 37 37 38 38 39 40 40 40 41 41 41 42 42 42 43 44 45 © Cesi Multimedia III Indice 3.13 Il Rendiconto Finanziario previsionale 3.14 La predisposizione del conto economico e dello stato patrimoniale previsionale 3.14.1 Alcuni consigli pratici prima di iniziare il lavoro 3.15 Un esempio per capire meglio 3.15.1 Le assumption 3.15.2 La costruzione del conto economico previsionale fino al reddito operativo al netto degli interessi sulle passività consolidate 3.15.3 La costruzione dello stato patrimoniale e determinazione del fabbisogno finanziario aggiuntivo 3.15.4 La chiusura del Conto Economico 3.15.5 La chiusura dello Stato Patrimoniale 3.15.6 La costruzione del Rendiconto finanziario previsionale 3.16 Analisi di sensitività 3.17 Premessa 3.18 La convenienza economica 3.19 La sostenibilità finanziaria 3.20 La Coerenza 3.21 L’attendibilità 3.22 La valutazione del piano industriale nell’ambito di un’operazione di M&A 3.23 La valutazione del piano industriale nell’ambito di un’operazione di turnaround 4. Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria 4.1 Premessa 4.2 Che cos’è l’analisi finanziaria 4.3 Bontà e qualità dei dati oggetto di analisi 4.4 Riclassificazione dello stato patrimoniale 4.4.1 Lo stato patrimoniale riclassificato: il criterio finanziario 4.4.2 Lo stato patrimoniale riclassificato: il criterio funzionale/gestionale 4.5 Riclassificazione del Conto economico 4.5.1 Lo schema al costo del venduto 4.5.2 Lo schema a valore aggiunto 4.5.3 Lo schema a costi fissi e variabili 4.6 L’analisi dei risultati aziendali 4.6.1 Analisi dei ricavi, dei margini e della produttività aziendale 4.6.2 Analisi del circolante e delle politiche di investimento 4.6.3 Analisi delle politiche di finanziamento e della liquidità 4.6.4 Analisi della redditività 4.7 Altman Z-score 4.8 Analisi dei flussi finanziari 46 46 47 49 50 51 53 56 56 57 59 59 60 61 62 63 64 69 75 75 75 75 76 76 77 79 79 81 82 83 83 84 86 88 90 91 5. Capire i vincoli che hanno le banche 5.1 Premessa 5.2 Il rapporto banca – impresa 5.3 Gli accordi di Basilea 5.4 La misurazione del rischio di credito 5.5 La valutazione del merito creditizio 5.6 Le implicazioni nei rapporti tra la banca e le PMI 95 95 95 97 98 99 102 6. Capire ciò che è importante per la banca 6.1 Premessa 6.2 Ricordarsi sempre quali sono gli obiettivi della banca e quali sono i suoi vincoli 6.3 Le valutazioni creditizie effettuate dalle banche 6.3.1 Prima fase: valutazione di un affidamento 6.3.2 Seconda fase: monitoraggio del rapporto fiduciario 105 105 105 105 105 110 IV © Cesi Multimedia 6.4 L’impatto delle regole di Basilea 6.5 I nuovi parametri per calcolare il fabbisogno di capitale nelle banche e i loro effetti sui rapporti banca-impresa 111 111 7. Chi sostiene l’accesso al credito 7.1 Il ruolo dei Confidi 7.2 L’evoluzione normativa 7.3 Il ruolo delle garanzie dei Confidi come strumento di abbattimento del rischio di credito per le banche 7.4 Struttura del mercato 7.5 Il processo di concessione della garanzia 7.5.1 Ammissione a socio del Confidi 7.5.2 Richiesta di garanzia 7.5.3 Istruttoria 7.5.4 Delibera di concessione della garanzia 7.5.5 Delibera della banca 7.5.6 Pagamento delle commissioni di garanzia 7.5.7 Escussione della garanzia 7.6 Il pricing della garanzia 7.7 Il Fondo Centrale di Garanzia 7.7.1 Soggetti beneficiari 7.7.2 Operazioni finanziarie garantite 7.7.3 Importi garantiti e percentuali di copertura 7.7.4 Valutazione dei dati economico-finanziari dell’impresa 7.7.5 Microcredito 7.7.6 Procedura per richiedere la garanzia 7.7.7 Importo delle commissioni 7.7.8 Il valore della garanzia pubblica ai fini della normativa de minimis 118 121 122 122 123 124 124 124 124 125 125 126 126 126 127 127 128 128 128 129 8. Valutare gli investimenti 8.1 Premessa 8.2 Il tempo di recupero (payback period) 8.3 Il tasso interno di rendimento 8.4 Il valore attuale netto 8.5 Confronto fra VAN e TIR 131 131 131 132 133 134 9. Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento 9.1 Premessa 9.2 La scelta delle fonti di finanziamento 9.2.1 Strumenti di finanziamento “tradizionali” a medio e lungo termine 9.2.2 Strumenti di finanziamento “tradizionali” a breve termine 9.2.3 Strumenti e tecniche di finanziamento “alternativi ed innovativi” per le PMI 9.2.4 Le forme “ibride” 9.3 Gli interventi sul capitale circolante 9.3.1 La redditività globale dell’investimento in crediti 135 135 136 138 143 148 155 161 162 10. Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda 10.1 Premessa 10.2 L’investimento istituzionale nel capitale di rischio 10.3 Private equity: un tentativo di sintesi 10.3.1 Uno sguardo sui trend mondiali ed europei del private equity 10.3.2 Uno sguardo sui trend attuali italiani del private equity 10.3.3 Fattori propedeutici ed ambiente aziendale 10.3.4 I fondi di turnaround 165 165 167 174 175 176 179 184 © Cesi Multimedia 115 115 116 V Indice 10.3.5 Il venture capital 10.3.6 Il crowdfunding 10.4 La quotazione in borsa 10.5 I minibond ed il mercato del debito quotato 11. Affrontare la crisi d’impresa 11.1 La crisi finanziaria mondiale 11.2 Il contesto italiano oggi 11.3 Gli strumenti per riconoscere una crisi d’impresa 11.4 Il Turnaround 11.5 La normativa 11.6 Un caso pratico 11.6.1 Il piano di risanamento della società ALFA VI 185 190 192 204 209 209 211 213 216 218 221 221 © Cesi Multimedia Prefazione Prefazione “L’ingegno è vedere possibilità dove gli altri non ne vedono” Enrico Mattei Quando Sebastiano Di Diego e Fabrizio Micozzi mi chiesero di poter scrivere una breve prefazione al presente volume, mi domandai subito come fosse possibile sintetizzare una tematica così rilevante in poche parole, ma forse proprio per questo motivo accettai di buon grado. Il termine “finanza”, inteso come problematica od opportunità, riempie ormai da tempo le cronache economiche, sociali e persino politiche del nostro Paese, partendo da quel delicato passaggio storico che ha dato luogo alla lunga crisi finanziaria mondiale. Se prima parlare di finanza per le PMI sembrava un tema confinato ai tecnici del settore, l’onda lunga della crisi ha fatto scoprire, forzatamente, come in realtà si trattasse di una questione essenziale, strettamente aderente al raggiungimento degli obiettivi aziendali e dunque vitale per tutti coloro che in qualche modo – dipendenti, fornitori di beni e servizi, istituzioni finanziarie, azionisti – dipendano dal successo degli obiettivi aziendali: in sostanza, dai salotti riservati, il tema della finanza è ormai divenuto di comune dominio. È proprio per questo che considero essenziale approfondire tematiche come quelle affrontate nel presente volume che, con taglio pratico e comprensibile, ci consente di avere un quadro tangibile di ciò che ruota intorno alla finanza a supporto delle PMI italiane. Considero vitale, certamente in questa fase storica e tuttavia anche a prescindere da essa, che tutti coloro che orbitano intorno alle imprese, a partire dagli azionisti, si approccino in modo diverso, molto più approfondito ed innovativo, alle importantissime tematiche della finanza aziendale: ad esempio, non basta più affermare che le imprese stiano soffocando o soffrendo per crisi finanziarie o ricorrere ai soliti ben noti canali di finanziamento, ma occorre provocarsi, partendo dal concetto di funzione e pianificazione finanziaria, qui validamente trattato e spesso sconosciuto ai più. Nella mia lunga carriera di imprenditore, per varie motivazioni, ho dovuto e voluto affrontare concretamente tutte le tematiche affrontate in questo prezioso volume: nelle fasi di crescita aziendale impetuosa, così come in quelle di contrazione, il concetto e le strumentazioni di finanza aziendale sono stati sempre una tessera essenziale della gestione aziendale. Il tessuto imprenditoriale italiano, nonostante la lunga crisi, serba ancora in sé i germi di un’imprenditoria sana, caparbia e lungimirante, ma indubbiamente, per ciò che attiene la finanza aziendale, si può e si deve fare ancor di più, anche perché le relazioni con le stesse istituzioni finanziarie sono ormai radicalmente trasformate e l’auspicato superamento della crisi finanziaria non condurrà comunque ad un ritorno al passato. Scorrendo i capitoli del volume, un lettore attento, al di là del ruolo e funzione rivestiti, potrà approfondire concetti decisivi, come la funzione e pianificazione finanziaria, gli strumenti di finanziamento tradizionali ed innovativi, il business plan, l’analisi finanziaria aziendale e quella degli investimenti, il ruolo dei confidi, le ristrutturazioni finanziarie, la funzione del venture capital, del private equity e del mercato borsistico AIM, il tutto affrontato con un taglio mirato per le PMI italiane. Nella cultura anglosassone si è soliti sintetizzare in tre momenti cruciali le chiavi di successo di una qualsiasi iniziativa imprenditoriale e cioè: il prodotto/servizio offerto, la struttura di finanza aziendale e la gestione dal lato marketing/commerciale; se un’impresa riesce ad ottenere buone performance in tutti e tre i contesti, probabilmente configurerà nel tempo un’impresa di successo. Come potremmo altrimenti giustificare la crescita ed il successo planetario di imprese che, partendo da una dimensione medio/piccola, sono cresciute costantemente nei decenni, così come avvenuto per fenomeni come quello della Ferrari, della Mapei o della Brembo? Se poniamo dunque attenzione, le società vincenti nel tempo identificano aziende che offrono un prodotto/servizio superiore, gestiscono al meglio le leve della finanza aziendale e sanno vendere bene sui mercati obiettivo: laddove uno di questi tre fattori venga meno nel tempo, probabilmente ciò prima o poi emergerà con evidenza. Le nostre PMI, storicamente, hanno trovato il loro punto di forza nella capacità di sviluppo del prodotto/servizio e sovente nella commercializzazione ma raramente nella robustezza dal lato finanziario e la crisi finanziaria ha mostrato questa verità con forza inusitata. © Cesi Multimedia VII Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa Se ciò è vero, è altrettanto corretto affermare che, con un’economia globalizzata e profili di concorrenzialità ormai di livello mondiale, occorre crescere in senso lato e per far ciò è impossibile rinunciare a strutturarsi dal lato finanziario, individuando ciascuno la strada più consona ai propri obiettivi, pena la scomparsa precoce dal mercato. Utilizzando una semplice metafora motoristica, potrei affermare che la finanza è come l’insieme dei liquidi che consente ad un buon motore di funzionare e di sviluppare sempre maggiori perfomance: non basta dunque progettare e creare un gioiello meccanico per aver successo, laddove i fluidi siano carenti o di bassa qualità. Uno dei più grandi investitori ed esperti di finanza del mondo, Warren Buffet, afferma che – regola n. 1 – non bisogna mai perdere dei soldi in un investimento e che – regola n. 2 – non bisogna mai dimenticare la prima regola: trovo questo concetto come un’autentica sfida per noi imprenditori e per tutti coloro che ruotano intorno alle imprese, poiché le nostre aziende sono un investimento, sia in senso fisico che morale, anche come sfida al cambiamento sociale ed allo sviluppo del nostro magnifico e sofferto Paese. L’invito alla lettura di questo utile volume nasce da tutto ciò, affinché sia di concreto aiuto e di speranza per il nostro mondo imprenditoriale e per chi crede nel futuro dell’Italia. Fabrizio Sorbi Proel Group CEO VIII © Cesi Multimedia Profilo autori Profilo autori Hanno inoltre collaborato: Giovanni Marino, Manager di KPMG Advisory S.p.A., opera dal 2009 nella divisione “Transaction & Restructuring Services” maturando una significativa esperienza nell’ambito di operazioni di Merger & Acquisition e nei processi di ristrutturazione del debito e di supporto nell’elaborazione di piani industriali e dei processi di gestione della cassa e del capitale circolante. Alberto Cascia, laurea in Politica Economica ed Industriale, ha svolto per oltre 20 anni attività nel settore bancario ricoprendo ruoli apicali. Competenze in pianificazione strategica ed operativa e programmazione finanziaria, attualmente opera in campo finanziario e della gestione straordinaria dell’impresa. Patrizia Camilletti, Senior Partner di Network Professionale e Partner di Hepta Consulenza S.r.l. svolge un’intensa attività professionale nell’ambito della pianificazione industriale, controllo di gestione, finanza aziendale e corporate social responsibility. È cultrice di Programmazione e controllo presso l’Università degli Studi di Macerata e coordinatrice del portale www.setupimpresa.it. Coautrice di alcune pubblicazioni e formatrice in materia di business plan, bilancio sociale e modelli organizzativi 231. Giada Santoni, laurea in Economia Bancaria finanziaria ed assicurativa. Dottore commercialista e revisore legale dei conti. È cultrice della materia nella cattedra di Tecnica delle operazioni straordinarie presso la Facoltà di Economia di Macerata. Partner di DM Partners S.r.l., dove ha maturato un’esperienza professionale prevalentemente nell’ambito delle operazioni straordinarie, valutazioni aziendali, business plan, finanza d’azienda e ristrutturazioni industriali. Autrice di numerose pubblicazioni in materia societaria, finanziaria e di pianificazione industriale. Formatrice per enti, ordini professionali e primarie società di formazione. Luca Capozucca, laurea con lode in Consulenza Finanziaria e Direzione Aziendale. Consultant in DM Partners S.r.l. dove ha maturato un’esperienza professionale prevalentemente nell’ambito delle operazioni straordinarie, dell’elaborazione di business plan e della finanza aziendale. È coautore di alcune pubblicazioni in materia aziendale e societaria. È formatore per vari enti specializzati. Francesco Angeletti, è consulente in finanza d’impresa e lavora presso Confindustria Ancona. Dal 2007 si occupa, oltre che di consulenza alle PMI in materia di finanza ordinaria e agevolata, della gestione del Confidi Ancona, per quanto riguarda in particolare l’attività istruttoria di valutazione del merito creditizio e la funzione compliance. Giovanna Ricci, è docente di Economia aziendale presso istituti tecnici superiori. Cultrice di Programmazione e controllo presso l’Università degli Studi di Macerata. Relatrice a convegni, è stata autrice e/o coautrice di varie pubblicazioni inerenti ai sistemi informativi contabili. Ilaria Sdrubolini, laurea con lode in Consulenza Finanziaria e Direzione Aziendale. Assistant in DM Partners S.r.l. dove si occupa prevalentemente dell’elaborazione di business plan e di finanza aziendale. © Cesi Multimedia IX Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI 1. Serve più cultura finanziaria nelle PMI Sebastiano Di Diego e Patrizia Camilletti L’egoismo non consiste nel vivere come ci pare ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi. Oscar Wilde 1.1 Premessa La crisi che ha colpito in maniera così forte la nostra economia ha anche prodotto un nuovo assetto nelle relazioni tra mondo finanziario e imprese. A causa delle difficoltà che anche le banche stanno vivendo in questo periodo, ottenere finanza è sempre più difficile. I motivi che portano le banche a non concedere credito sono molteplici; tra questi sicuramente rivestono grande importanza: l’incapacità, in un contesto così incerto, di riuscire a comprendere le prospettive dell’impresa che chiede di essere finanziata; la non convenienza a finanziare imprese con rischio medio – alto, considerate le già elevate sofferenze in essere; l’impatto di Basilea 3 che richiede alle banche una maggiore patrimonializzazione oppure la riduzione dei prestiti alle imprese; la difficoltà di alcune banche a raccogliere denaro dai risparmiatori o dai mercati da destinare al finanziamento delle imprese. In questa situazione così problematica, non sorprende come siano proprie le PMI a soffrire maggiormente. La loro dipendenza dal credito bancario, infatti, è notevolmente superiore rispetto alle imprese di maggiori dimensioni; secondo l’analisi condotta dal Centro Studi di Confindustria, nel 2011 l’esposizione delle PMI nei confronti delle banche è stata quasi doppia rispetto alle grandi imprese. Tavola 1 – La capitalizzazione delle PMI PMI meno capitalizzate delle grandi imprese (Italia, manifatturiero, bilanci 2011, quote % sul passivo) Debiti verso banche Altri debiti finanziari(3) Debiti commerciali Altri debiti(4) Totale debiti Patrimonio (1) Con 1-249 dipendenti; (2) Con oltre 250 dipendenti. (3) Incluse le obbligazioni. (4) Infra-gruppo, tributari, previdenziali, altro. Fonte: elaborazione CSC su dati AIDA PMI (1) 22.3 3.0 23.9 10.0 59.2 40.8 Grandi imprese (2) 11.2 5.9 23.0 16.0 56.0 44.0 In questa condizione è evidente che le PMI sono più esposte delle grandi imprese alla crisi e per non trovarsi in difficoltà sono chiamate ripensare profondamente il loro modello organizzativo. Per superare la crisi di fiducia che le banche hanno sviluppato nei loro confronti, le PMI devono fare un salto culturale, che permetta loro di: capire profondamente, e quindi gestire proattivamente, le logiche che oggi governano le decisioni delle banche; esplorare la fattibilità di forme alternative di finanziamento (es. private equity, quotazione in borsa, emissione di mini-bond). © Cesi Multimedia 1 Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI Il salto culturale serve, inoltre, per improntare una volta per tutte la gestione finanziaria dell’impresa su criteri razionali e trasparenti, evitando alcuni degli errori tipici che l’imprenditore ha finora commesso e che tanto negativamente sono oggi visti dalle banche e dai finanziatori in generale: fornire informazioni incomplete o scorrette; porre in essere comportamenti che evidenziano il suo disimpegno dall’Impresa (mancata partecipazione al rafforzamento patrimoniale dell’impresa, protezione del patrimonio personale, cessione asset aziendali rilevanti ecc.); distogliere risorse finanziarie dall’impresa (attività in nero, utilizzo personale dei beni aziendali, finanziamenti a consociate, restituzioni di finanziamenti soci, finanziamenti ad aziende terze ecc.). Soltanto la presenza in azienda di persone dotate di una solida cultura finanziaria, può favorire il superamento di queste criticità, migliorando l’autonomia dell’impresa nel reperimento delle risorse finanziarie e la relazione con i soggetti che compongono il sistema finanziario. Purtroppo, le regole che governano la finanza aziendale non dipendono dalla dimensione aziendale ma sono uguali per tutte le imprese. Anzi, in questo campo le PMI non avendo “Santi in paradiso” sono chiamate ad essere più virtuose. Ciononostante, la funzione finanziaria nelle PMI continua a presentare connotati di arretratezza rispetto alle grandi aziende; e le cause sono essenzialmente da imputare ad un minor livello di cura dedicatole dall’imprenditore. Purtroppo, i motivi del suo “disinteresse” verso la gestione finanziaria nascono soprattutto dalla mancanza di una consapevolezza adeguata circa la crucialità che la finanza, vista in senso ampio e non semplicemente come rapporto personale con il direttore di banca, riveste nel perseguimento delle strategie aziendali. 1.2 I limiti allo sviluppo di una cultura finanziaria In molte PMI, come abbiamo appena detto, il riconoscimento della criticità della funzione finanziaria è condizionato soprattutto dalle caratteristiche dell’imprenditore. L'imprenditore italiano è caratterizzato soprattutto da competenze produttive e commerciali; e ciò si traduce nei seguenti vantaggi: immediata realizzazione di un’idea vincente relativa ad un prodotto; facilità di comunicare con i propri dipendenti; capacità di controllare in ogni istante gli andamenti tecno-produttivi. Nello stesso tempo, però, tali spiccate competenze sono anche il presupposto della nascita, all’interno dell’impresa, di una mentalità eccessivamente tecnicistica e commerciale, orientata quasi esclusivamente alla realizzazione del prodotto e alla sua commercializzazione. In una tale situazione viene a ridursi l’interesse verso funzioni come quella finanziaria, priva di un’immediata traducibilità in concreti andamenti produttivi. Il bagaglio culturale dell’imprenditore, in molte PMI, conduce ad una sopravvalutazione degli aspetti tecnici − produttivi e commerciali della gestione − e ad una sottovalutazione dei fondamentali equilibri economici ed in particolare finanziari. Le scelte imprenditoriali di fondo inoltre − per l’oggettiva impossibilità di considerare tutti gli aspetti della gestione da parte di un imprenditore generalmente poco propenso a delegare − tendono a limitare il numero delle variabili reali che vengono tenute sotto controllo (prodotti, mercati di sbocco, mercati d’acquisto, risorse umane). La funzione finanziaria, invece, viene svolta secondo modalità non integrate e ponendo attenzione al breve termine, senza dotarsi di risorse umane specializzate e senza ricorrere (se non in occasione di finanziamenti esterni a titolo di capitale di credito) a consulenti esterni. Questo stile direzionale obbliga però l’impresa a sfruttare la propria flessibilità operativa per ottenere livelli di redditività tali da garantire la massima flessibilità finanziaria e, quindi, la sopravvivenza in condizioni di sufficiente liquidità e solvibilità. La carente consapevolezza circa l’importanza dell’attività finanziaria conduce, talvolta, l’imprenditore a porre in essere scelte poco oculate, quali: l’aumento esclusivo dell’indebitamento a breve per fronteggiare l’incremento del volume di affari; il finanziamento di investimenti in impianti ed attrezzature con il credito bancario; la mortificazione dell’autofinanziamento per soddisfare le esigenze dell’azienda familiare di consumo. Comportamenti come quelli sopra descritti sono particolarmente pericolosi in un contesto di crisi come quello attuale, dove il rischio che la stabilità si spezzi per cause contingenti è elevatissimo (ad esempio: credit crunch, aumento dei tassi di interesse ecc.), innescando un insieme di eventi negativi che rendono critica una funzione finanziaria che, non essendo presidiata efficacemente, spesso non è in grado di assicurare la sopravvivenza stessa dell’impresa. 2 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI 1.3 Quali compiti Ma quali sono i compiti che la funzione finanziaria dovrebbe svolgere in una PMI, per far si che le decisioni finanziarie siano prese correttamente? Diversamente da quello che credono molti imprenditori, il centro focale della funzione finanziaria non dovrebbe essere rappresentato solamente dalla problematica inerente al reperimento dei finanziamenti sul mercato, bensì da tutte le decisioni attinenti alla gestione delle risorse di capitale in senso lato, sotto il profilo sia dell’acquisizione o della formazione interna, che dell’impiego. Tavola 2 – I compiti della funzione finanziaria Funzione finanziaria Dovrebbe occuparsi di tutte le decisioni relative alla gestione delle risorse di capitale Acquisizione Formazione interna Impiego In linea con questa logica, quindi, anche le decisioni d’investimento dovrebbero essere ricondotte alla funzione in esame. La finanza aziendale, infatti, sulla base dei progetti elaborati in seno ai settori operativi e considerando lo stato attuale e futuro della tecnologia, dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali, dovrebbe essere chiamata a studiare la convenienza ad investire o meno e, se la risposta è positiva, a scegliere questa o quella iniziativa, tenuto conto dell’autofinanziamento interno, dei mezzi finanziari acquisibili all’esterno, del loro costo, dei livelli di redditività che occorre raggiungere per soddisfare le attese dei soci e del mercato finanziario. Infatti, la problematica finanziaria e, di conseguenza, il contenuto della funzione, trovano ragione d’essere nel tentativo di dare soluzione ai seguenti interrogativi: quale dimensione e quale tasso di sviluppo l’impresa deve raggiungere? quali specifici investimenti l’impresa deve porre in essere? quale deve essere la struttura finanziaria dell’impresa? La risposta razionale a questi quesiti richiede però l’esistenza di alcuni fondamentali presupposti quali: la fissazione di un obiettivo che guidi lo svolgimento della funzione finanziaria; la predisposizione di un insieme di elementi organizzativi (procedure per l’elaborazione e la presentazione dei progetti di investimento) e analitici (principi di metodo per la valutazione dei diversi progetti e per l’espressione dei fenomeni influenti sulla decisione) che indirizzino il processo di impiego nel rispetto della finalità di lungo termine dell’impresa; l’elaborazione di un criterio accettabile per l’individuazione della struttura ottimale dei finanziamenti, tenuto conto del costo delle varie fonti e delle altre conseguenze prodotte dalle diverse alternative di scelta; tra i compiti del management finanziario, oltre a quelli già evidenziati, vi dovrebbe essere, infine, anche la gestione dei flussi informativi e l’attività di programmazione e controllo. Le aree decisionali di competenza della funzione finanziaria dovrebbero essere quindi rappresentate: dall’area degli investimenti/disinvestimenti in capitale fisso; dall’area dei finanziamenti a titolo di capitale di credito e di capitale proprio; dall’area della gestione corrente; dalla gestione integrata dei movimenti finanziari d’impresa (programmazione a brevissimo tempo − cash management − programmazione a breve, pianificazione finanziaria). Il condizionale è però d’obbligo nel caso delle PMI. Lo studio della realtà, infatti, mette evidenza per molte di esse l’esistenza di una funzione finanziaria scarsamente sviluppata, esercitata in modo premanageriale, che giustifica © Cesi Multimedia 3 Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI l’esistenza di diseconomie finanziarie. Alcune delle aree decisionali di cui si è parlato sono parzialmente o del tutto non presidiate, sotto il profilo finanziario, a motivo, a volte, della loro oggettiva scarsa criticità per il raggiungimento di una positiva performance aziendale e, più spesso, per carenze delle risorse umane ad esse dedicate. L’imprenditore, infatti, sovente non coglie la reale portata d’azione della funzione finanziaria, confondendo con essa la gestione dei finanziamenti e, in particolare, la gestione in chiave esclusivamente personale e relazionale del rapporto con le banche in termini di volume e di costo del denaro. Pur consapevoli di operare una notevole semplificazione della realtà, possiamo identificare, in prima approssimazione, uno stereotipo di funzione finanziaria che presenta sinteticamente le seguenti caratteristiche: scarsa cultura finanziaria dell’attore-chiave della PMI che si occupa delle decisioni strategiche ed anche operative, inerenti alla funzione finanziaria, pur essendo più preparato in altre funzioni aziendali (produzione e vendita); scarsa (o nulla) presenza di risorse manageriali specializzate nel presidio della funzione che è, nella maggior parte dei casi, associata a quella amministrativo-contabile (anch’essa svolta in modo approssimativo e concentrata su aspetti civilistici e fiscali rispetto a quelli gestionali); focalizzazione sul reperimento di risorse finanziarie esterne quasi del tutto a titolo di credito e prevalentemente a breve termine e, conseguentemente, massima attenzione ai rapporti con le aziende di credito; residualità della politica dei dividendi, essendo l’autofinanziamento una necessità strutturale per garantire la sopravvivenza della piccola impresa in condizioni di equilibrio economico-finanziario; scarsa attenzione alla gestione del capitale circolante e alla programmazione e al controllo dei flussi di cassa, nonostante la tendenza della piccola impresa a subire crisi di liquidità in ragione della bassa forza contrattuale verso clienti, fornitori ed intermediari finanziari (banche in particolare). 1.4 Quale organizzazione e quali competenze Come dovrebbe essere organizzata la funzione finanziaria in una PMI? La finanza aziendale è caratterizzata da due dimensioni fondamentali: quella operativa, che permette all’impresa di operare nel quotidiano, occupandosi della gestione del rapporto banca-impresa, del cash management e della gestione dei rischi finanziari: il referente di questa area è il tesoriere; quella strategica che si occupa, in un orizzonte di medio – lungo termine, di assicurare le risorse necessarie a supporto delle decisioni strategiche. Il suo referente è il Chief Financial Officer (CFO), che ha il compito di definire l’allocazione degli investimenti, la politica finanziaria, le decisioni di finanziamento e le scelte di struttura finanziaria. Tavola 3 – La distinzione tra finanza operativa e strategica Da un punto di vista organizzativo, la configurazione della finanza aziendale dipende da molteplici fattori, quali a titolo esemplificativo: la dimensione e la complessità organizzativa della società o del gruppo di cui è parte; il posizionamento della società sui mercati finanziari (società quotata o meno) 4 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI il settore industriale di appartenenza (industria, servizi). Nelle realtà imprenditoriali più evolute la finanza viene considerata un processo soprattutto strategico; ne consegue che molteplici sono le aree che vengono ricondotte sotto la responsabilità del CFO. Tali aree sono di norma: amministrazione e bilancio; pianificazione e controllo; finanza; fiscalità. Tavola 4 – Le aree di responsabilità del CFO Amministrazione bilancio Pianificazione e controllo Gestione transazioni Descrizione fedele, corretta, tempestiva dei fatti aziendali Organizzazione dei processi Contabilità e bilancio Definizione obiettivi Pianificazione mediolungo termine Budgeting Reporting Misura delle performance Controllo Analisi e valutazioni di business e del processo d’investimento Finanza Tesoreria Cash management Operazioni di finanziamento e investimento Copertura dei rischi finanziari Relazioni con i mercati finanziari Finanza straordinaria Fusioni e acquisizioni (M&A) Relazioni con gli investitori Fiscalità Ottimizzazione del carico fiscale Gestione dei rapporti con il fisco Adempimenti corretti Una responsabilità così ampia richiede, da parte del CFO, il possesso di alcune caratteristiche fondamentali: visione trasversale e interdisciplinare nella gestione; capacità di tipo manageriale sui diversi contenuti tecnico-specialistici; capacità di gestire al meglio il rapporto con i collaboratori e con i vertici aziendali. Tavola 5 – La visione del CFO L’informativa economicofinanziaria (bilancio, report previsionali, ecc.) La tesoreria e il rapporto con le banche Il Controllo di gestione e il budget Gli adempimenti legali, societari e governance Visione trasversale e interdisciplinare nella gestione finanziaria d’impresa Valutazione e ottimizzazione delle scelte di finanziamento (analisi finanziarie, giuridiche e fiscali) La gestione dei rischi e il risk management La valutazione degli aspetti tecnologici per la scelta dei tools di gestione La gestione delle operazioni di finanza straordinaria per la crescita per linee interne o esterne (aspetti finanziari, contrattuali, legali, fiscali) Nelle PMI una tale visione della finanza è purtroppo ancora poco diffusa. © Cesi Multimedia 5 Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI La funzione finanza in queste imprese è storicamente legata alla figura dell’imprenditore o a quella del tesoriere (nelle imprese più strutturate). Ciò che domina è la visione della finanza operativa, a scapito di quella strategica. Ne deriva una gestione finanziaria coincidente con la gestione della tesoreria, in cui il focus è rappresentato dalle attività di carattere operativo transazionale (legata cioè agli incassi e ai pagamenti) e dall’esercizio di un controllo più contabile che finanziario in termini di riconciliazione. Questo modello, molto diffuso tra le imprese italiane, è anche frutto di un mercato del credito che prima della crisi era poco selettivo; investire nella funzione finanziaria non aveva molto senso in quanto, in definitiva, poco premiante. Oggi però la situazione è radicalmente cambiata: ottenere credito oltre che più costoso e anche molto più difficile. E in questo contesto avere un’area della finanza che integri sia la visione operativa che quella strategica significa avere un significativo vantaggio rispetto alle altre imprese. Perché ciò possa avvenire, tuttavia, è necessario che l’imprenditore si decida ad investire in risorse umane e sistemi informatici specifici e renda la funzione finanza partecipe delle scelte di vertice. Infatti, sempre più il ruolo della funzione finanza sarà quello di comprendere bene il business, in modo da poterlo supportare. 1.5 Quali obiettivi Ma quali obiettivi deve perseguire la funzione finanziaria in una PMI? L’obiettivo che viene tradizionalmente attribuito alla funzione finanziaria è quello della massimizzazione del valore dell’impresa. Tale finalità − che non va intesa in senso matematico, ma come valore istituzionale e quindi come strumento di legittimazione delle scelte − non è diversa da quella perseguita dall’intera gestione aziendale la quale ricerca la massimizzazione del profitto. In effetti il valore del capitale dell’impresa non è altro che il valore economico d’azienda: espressione della redditività capitalizzata. Nell’assolvere al suo compito, da un punto di vista operativo, la funzione finanziaria dovrebbe operare nel rispetto dei tre principi individuati nella tavola seguente. Tavola 6 – La finalità della funzione finanziaria Massimizzare il valore dell’impresa Principio 1 Politiche di investimento Principio 2 Politiche di finanziamento Principio 3 Politiche dei dividendi Investire in progetti con rendimento atteso superiore a quello richiesto dai finanziatori Scegliere una struttura che garantisca la sopravvivenza dell’impresa e la creazione di valore Ammontare di risorse finanziarie in eccesso da restituire agli azionisti Se da un punto di vista generale l’obiettivo della massimizzazione del valore dovrebbe essere perseguito da tutte le imprese, da un punto di vista del comportamento reale ci si pone l’importante interrogativo se esso sia perseguito anche dalle PMI. Tre caratteristiche ci inducono ad una risposta non positiva: - l’incapacità della PMI di controllare il suo ambiente economico; - il forte investimento in capitale umano che la PMI impresa presenta, di norma, rispetto alla grande; - la tendenzialmente scarsa possibilità di vendere sul mercato un’impresa fortemente legata all’imprenditore e al gruppo parentale. Esse infatti, alla luce anche delle discriminazioni subite dalle PMI nel mercato dei capitali, innalzano il rischio dell’attività imprenditoriale, portando l’imprenditore a perseguire un obiettivo di reddito a breve. La riduzione 6 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI dell’orizzonte temporale di riferimento nella definizione degli obiettivi è infatti l’unica via praticabile dal proprietario-manager per diminuire il rischio in presenza di un gap informativo e manageriale. In effetti, nelle PMI, che non hanno la possibilità di controllare l’ambiente esterno, la logica strategica sprigiona da un’inversione dell’ottica, passando da un approccio che cerca di predeterminare la missione dell’impresa, ad un approccio adattivo di breve periodo. In pratica, l’imprenditore, pur non avendo la possibilità (per carenze di tipo manageriale) di costruirsi scenari complessi e di dotarsi di sofisticati apparati informativi, è ugualmente in grado di fare strategia senza predeterminare obiettivi di lungo periodo, ma tramite l’istintiva applicazione della cosiddetta logica dell’incrementalismo. Quest’ultima è il risultato di una concatenazione di tattiche di adattamento alle variabili condizioni ambientali: tattiche consentite dal carattere di flessibilità della piccola impresa. Questo adattamento organico nel “durante”, di per sé proficuo nel momento in cui garantisce flessibilità strategica, porta, però, l’imprenditore a disinteressarsi del valore finanziario nel tempo dell’impresa. La massimizzazione del capitale non può essere perseguita con decisioni finanziarie che molto spesso devono essere prese in una prospettiva di breve e senza, quindi, poterne valutare pienamente: l’opportunità finanziaria; la convenienza economica; i riflessi sugli aspetti economico-finanziari e patrimoniali futuri. Quanto affermato, comunque, non ha validità generale; basti pensare alle piccole imprese ad alta tecnologia, sostenute da società di venture capital o da fondi di private equity dove l’interesse dell’intermediario è proprio quello di realizzare plusvalenze mediante la cessione delle proprie partecipazioni. Queste imprese, tuttavia, rappresentano una realtà trascurabile nel contesto economico italiano. 1.6 Uno sguardo alle diverse tipologie di PMI 1.6.1 Imprese marginali Questa categoria di imprese minori è definita marginale a motivo di taluni connotati di arretratezza ed inefficienza in essa rilevabili. Si tratta di imprese che, pur collocandosi all’esterno dei limiti innovativi, riescono, talvolta, anche ad operare al riparo da forti pressioni concorrenziali. Ciò può accadere per diverse ragioni: si avvalgono di forme di evasione fiscale e di aspetti della legislazione del lavoro che consentono la produzione a costi particolarmente bassi; sfruttano posizioni di rendita connesse alla localizzazione dell’impresa o ai rapporti esclusivi di natura personale dell’imprenditore con la clientela locale; possiedono particolari abilità artigianali. Sinteticamente, questo tipo di impresa presenta le seguenti peculiarità strategico-organizzative: imprenditore tradizionale vicino alla figura dell’artigiano; stretto legame impresa-famiglia; missione: indipendenza, sopravvivenza con scarsa propensione al rischio; settore d’appartenenza frammentato; localizzazione nei cosiddetti distretti industriali; mercato locale; tecnologia labour intensive e prodotto maturo; obiettivo economico: stabilità del reddito a breve. Il fabbisogno finanziario si mantiene molto basso lungo tutto il ciclo di vita dell’impresa, date la non elevata intensità di capitale e la limitatezza del fatturato che non richiede notevoli investimenti in circolante. Trovandosi in una posizione competitiva molto debole, l’impresa marginale, che non sente l’esigenza di dotarsi di una funzione finanziaria, dovrebbe porre particolare attenzione al controllo del circolante e dei saldi di cassa; dovrebbe, inoltre, operare una oculata negoziazione delle condizioni di affidamento da parte delle banche: soggetti verso i quali, peraltro, la sua forza contrattuale è piuttosto limitata. Di fatto la funzione finanziaria delle imprese marginali è limitata a seguenti minimi termini: controllo degli estratti conto; gestione del rapporto con più banche nella speranza di ottenere migliori condizioni di finanziamento. © Cesi Multimedia 7 Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI La valutazione degli investimenti, per lo più di rinnovo, poggia sulla considerazione degli aspetti produttivi; tali investimenti non sono programmati e, per la copertura del relativo fabbisogno finanziario, si fa ricorso ove esistente ai finanziamenti agevolati a medio termine, al leasing e al credito bancario. La funzione finanziaria viene svolta in maniera episodica anche nell’area dei finanziamenti e, molto spesso, date la scarsa forza contrattuale e la mancanza di competenze specifiche, risulta determinante l’appoggio di soluzioni cooperative e consortili di garanzia (confidi). L’appartenenza dell’impresa a reti più o meno formalizzate (reti d’impresa, distretti, costellazioni) può diminuire il gap informativo sulle fonti esterne di finanziamento e aumentare la forza contrattuale nei confronti del sistema bancario. Tavola 7 – La funzione finanziaria nelle imprese marginali Imprese marginali Non sentono l’esigenza di dotarsi di una funzione finanziaria. Dovrebbero porre particolare attenzione: Controllo del circolante e dei saldi di cassa (controllo estratti conto) Gestione del rapporto con più banche nella speranza di ottenere migliori condizioni di finanziamento 1.6.2 PMI satelliti/terziste La caratteristica principale delle imprese appartenenti a questa seconda categoria è quella di produrre per conto di aziende di grandi dimensioni alle quali sono legate da rapporti di committenza. I settori nei quali esse operano, ad esempio plastica e meccanica, essendo caratterizzati da elevate barriere all’entrata derivanti da fattori di scala, subordinano la possibilità di ingresso delle imprese minori allo svolgimento di attività di sub-fornitura mediante l’attivazione di rapporti con le grandi imprese e l’inserimento in quelle fasi del ciclo produttivo, caratterizzate da una bassa intensità di capitale. La categoria in esame può essere delineata come segue: la sua sopravvivenza è legata al raggiungimento di economie di specializzazione; l’attenzione è focalizzata sulle attività tecno-produttive; l’obiettivo di solito è quello della sopravvivenza nel breve periodo. Ad esso può aggiungersi quello della realizzazione di politiche volte all’acquisizione di una maggiore autonomia nei confronti delle imprese committenti; le sollecitazioni al miglioramento organizzativo hanno origine esterna; basti pensare ai rapporti di collaborazione che prevedono un’assistenza variamente articolata (finanziaria, tecnico-progettuale, organizzativa) da parte della grande impresa committente a favore della piccola impresa. Il raggiungimento dell’equilibrio finanziario è vincolato alle strategie che le imprese committenti intendono perseguire. L’attenzione della funzione finanziaria dovrebbe concentrarsi sulla gestione del capitale circolante e dei flussi di cassa per mantenere la stabilità di breve periodo, giacché tali imprese soltanto poche volte si pongono obiettivi di crescita sostanziale. Tuttavia la necessità di rafforzare le economie di specializzazione su cui si basa la loro forza contrattuale può indurle ad intraprendere investimenti di razionalizzazione produttiva che tendono ad aumentare bruscamente l’intensità di capitale. In tale situazione, dati i bassi livelli di autofinanziamento, possono essere indotte ad iniziare un processo di crescita basato su di un forte utilizzo della leva finanziaria. La funzione finanziaria, in questo caso, deve essere notevolmente potenziata, specie nell’area degli investimenti in capitale fisso e in quella della programmazione a breve (attraverso la redazione di un preventivo a breve) per guidare il sentiero strategico intrapreso. 8 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI Tavola 8 – La funzione finanziaria nelle imprese satellitari/terziarie Imprese satellitari/terziarie La funzione finanziaria deve essere notevolmente potenziata Negli investimenti in capitale fisso Nella programmazione a breve attraverso la redazione di un preventivo a breve 1.6.3 PMI imitative Appartengono a questa categoria quelle piccole imprese che, attraverso comportamenti imitativi, perseguono una strategia di nicchia all’interno di settori maturi. Tali aziende si segnalano per i seguenti elementi distintivi: i principali fattori di successo sono rappresentati: dalla capacità di individuare e collocarsi all’interno di nicchie di mercato, da vantaggi di costo, dalle elevate flessibilità e adattabilità; presenza di livelli limitati di managerialità, anche se alle competenze tecniche si aggiungono spesso anche competenze funzionali necessarie per una gestione dell’impresa più equilibrata dal punto di vista organizzativo; l’innovazione (di tipo imitativo), in mancanza di attività di ricerca, si basa su operazioni di adattamento delle tecnologie introdotte da grandi imprese ai bisogni di una specifica clientela (cosiddette innovazioni incrementali); i principali canali di introduzione e di realizzazione delle innovazioni sono rappresentati dall’acquisto di know-how e di brevetti; il loro comportamento adattivo favorisce la diffusione dell’innovazione nel sistema economico, allargando il gruppo dei possibili utilizzatori; le strategie aziendali perseguono obiettivi di reddito e di sviluppo, riferiti ad ambiti temporali più estesi (medio periodo) rispetto alle imprese analizzate in precedenza. Le opportunità innovative di cui si è parlato permettono a queste imprese di intraprendere sentieri di crescita dimensionale o, per lo meno, di sperimentare rapidi aumenti nelle vendite di singoli prodotti (grazie alla capacità di differenziare continuamente l’offerta) privilegiando la permanenza nella piccola dimensione. In entrambi i casi è necessario che l’equilibrio finanziario dinamico venga perseguito secondo linee maggiormente programmate, migliorando la funzione finanziaria attraverso l’integrazione delle diverse aree decisionali (investimenti, finanziamenti, gestione corrente). Questa tipologia di impresa evidenzia la relazione diretta esistente tra il presentarsi di opportunità di sviluppo ed il miglioramento della funzione finanziaria. Infatti il permanere di una funzione finanziaria non presidiata con adeguate competenze e strumenti, episodica e non programmata, può essere giustificato in imprese come quelle marginali o satelliti che raramente emergono dallo stadio di introduzione/sopravvivenza, ma non può essere accettato in imprese come quelle imitative desiderose di cogliere le opportunità di sviluppo. Una funzione finanziaria “artigianale”, infatti, non permette di percepire la maggiore complessità del quadro di coerenze tra profilo finanziario e sentiero strategico degli stadi successivi a quello di introduzione/sopravvivenza, aumentando, così, fortemente il rischio di instabilità. © Cesi Multimedia 9 Capitolo 1 – Serve più cultura finanziaria nelle PMI Tavola 9 – La funzione finanziaria nelle PMI imitative PMI imitative La funzione finanziaria deve migliorare Nella gestione degli investimenti Nella gestione dei finanziamenti Nella gestione corrente 1.6.4 PMI a rapido sviluppo Queste imprese, definite anche technology-based, operano in settori in fase di rapida crescita, ove le opportunità tecnologiche sono molto elevate. Il loro inserimento in tali settori è reso possibile, da un lato, dalla creatività e dallo sviluppo di elevate e specifiche competenze tecniche all’interno dell’azienda, dall’altro lato, dallo scarso interesse che i prodotti con mercati altamente segmentati e tecnologie non ancora stabilizzate rivestono per le grandi imprese. I principali obiettivi perseguiti sono lo sviluppo di competenze distintive con le quali creare barriere di tipo dinamico nei confronti della concorrenza e la realizzazione di rapporti di collaborazione extra-aziendale aventi come oggetto la ricerca, la progettazione e l’informazione tecnologica. La struttura organizzativa delle PMI technology-based è caratterizzata, a differenza delle altre imprese, da un maggior equilibrio tra ruoli imprenditoriali e manageriali, oltre che dalla presenza di personale specializzato che insieme all’imprenditore si occupa dell’attività di ricerca e sviluppo. La delicatezza della valutazione degli investimenti connessi alla realizzazione dell’idea imprenditoriale e il loro elevato rischio comportano lo sviluppo immediato di questa area decisionale della funzione finanziaria. Fondamentale a riguardo può essere l’intervento di investitori esterni che, oltre agli apporti di capitale di rischio, possono offrire la consulenza necessaria alla redazione dei piani industriali. Proprio perché caratterizzate da cicli di sviluppo accelerato queste imprese, fin dalla loro creazione, sentono la necessità di creare nel proprio interno una tecnostruttura tale da garantire una conduzione integrata della funzione finanziaria. Questo compito a volte viene svolto da enti esterni, finanziatori e non, per evitare un appesantimento della struttura organizzativa e permettere la focalizzazione sulle funzioni di ricerca, sviluppo e produzione. Tale soluzione è molto gradita al fattore imprenditoriale che soltanto in stadi successivi tende ad internalizzare la funzione medesima. Le riflessioni sin qui svolte stanno a dimostrare che non è tanto lo stadio attuale del ciclo vitale ad influenzare lo svolgimento della funzione finanziaria, quanto le attese circa il livello e la velocità di manifestazione del tasso di sviluppo. Quanto più alto è questo tasso tanto più tende ad essere percepita la criticità della funzione finanziaria all’interno della piccola impresa. Tavola 10 – La funzione finanziaria nelle PMI a rapido sviluppo PMI a rapido sviluppo Funzione finanziaria deve essere molto sviluppata, può essere svolta: Da enti esterni (finanziatori e non) per evitare un appesantimento della struttura 10 Internamente © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali 2. Capire le decisioni finanziarie fondamentali Sebastiano Di Diego C’è qualcosa di più importante della logica: è l’immaginazione Alfred Hitchcock 2.1 Premessa Come tutte le imprese anche le PMI sono continuamente chiamate a prendere, nel corso della loro esistenza, decisioni finanziarie sia strategiche che operative. In prima approssimazione, sono definite strategiche (o di lungo periodo) le decisioni che esercitano la propria influenza sul comportamento dell’impresa per tre-cinque anni; di breve, invece, quelle che, riguardando la gestione di tutti i giorni, influenzando la sua operatività per un periodo più contenuto. Nelle PMI la vera decisione finanziaria strategica è quella relativa alla struttura finanziaria. Tavola 1 – La decisione finanziaria strategica nelle PMI È facile osservare come le decisioni strategiche abbiano, in definitiva, la finalità di creare le condizioni necessarie per la realizzazione dei piani di investimento e di crescita aziendale e di attivare, in via permanente, determinati canali di finanziamento. Un esempio che illustra efficacemente la natura delle decisioni strategiche, è rappresentato dalle scelte che riguardano i modelli di proprietà. La decisione di valutare l’allargamento della compagine sociale a soggetti diversi dalla sfera familiare, ad esempio, pone le premesse per successive operazioni di accrescimento del capitale proprio. Che queste operazioni si verifichino effettivamente nel medio andare non è importante. Ciò che qualifica come strategica la decisione è infatti solo la volontà di mettere l’azienda in condizioni di raccogliere all’occorrenza capitale di rischio. Le correlate decisioni operative riguardano invece: la scelta degli strumenti di finanziamento nell’ambito delle categorie del capitale proprio e del capitale di credito; taluni interventi sul capitale circolante destinati al controllo dell’impiego finanziario collegato alle operazioni di gestione corrente. Il tratto distintivo delle scelte operative è che esse sono strumentali a quelle strategiche, le quali, a loro volta, sono strumentali ai piani di investimento di lungo periodo dei vertici aziendali. La valutazione della maggior parte delle scelte operative non pone generalmente seri problemi concettuali e può essere ricollegata alla logica generale delle valutazioni economiche. Le decisioni strategiche, invece, di norma richiedono una complessa analisi dei costi e dei benefici che non sempre può essere adeguatamente formalizzata e tradotta in termini quantitativi. Talune PMI, comunque, incontrano limiti notevoli non soltanto nella corretta valutazione delle scelte strategiche, ma anche di quelle operative. Al loro interno, infatti, le decisioni, promanando da un unico centro decisore, risultano essere in molti casi di tipo intuitivo-istintivo, poco o nulla formalizzate, parziali e soggettive (cioè rivolte soltanto a quegli aspetti della gestione che l’imprenditore avverte come essenziali). Questo comportamento è estremamente pericoloso. Le decisioni finanziarie, come tutte le scelte aziendali, non possono essere arbitrarie ma improntate al rispetto di criteri di razionalità economica. Un primo importante principio che dovrebbe essere rispettato è quello della minimizzazione del costo delle risorse. La traduzione, però, di questo obiettivo in concrete scelte operative, comporta molte difficoltà dal momento che andrebbero misurati, oltre ai costi espliciti delle diverse forme di copertura finanziaria, anche quelli impliciti che, come noto, fanno riferimento agli effetti della decisione finanziaria odierna sulla raccolta successiva di mezzi. Evidentemente quantificare questo secondo tipo di costo è estremamente complesso. Un secondo principio riguarda, invece, la necessità di formulare le decisioni finanziarie in modo da favorire la stabilità dei risultati © Cesi Multimedia 11 Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali dell’azienda e l’equilibrio dei flussi monetari. Gli obiettivi della limitazione del costo delle risorse di capitale e della ricerca della sicurezza, pur essendo distinti, sono tra loro fortemente interrelati; basti pensare al fatto che il mercato finanziario esige rendimenti crescenti dalle passività finanziarie di un’azienda all’aumentare dell’incertezza. Conviene perciò formulare un obiettivo avente carattere più generale di modo da considerare simultaneamente le due finalità appena indicate. Tale obiettivo può essere individuato nella massimizzazione del valore economico dell’azienda che è conseguibile tramite scelte che riguardano tanto gli impieghi (investimenti), quanto le operazioni di raccolta (finanziamenti). Tavola 2 – L’obiettivo delle decisioni strategiche Decisioni strategiche Criterio Massimizzazione del valore economico 2.2 Il fabbisogno finanziario Le decisioni finanziarie scaturiscono dall’esigenza di dare conveniente copertura al fabbisogno finanziario dell’impresa. Il problema finanziario presenta caratteristiche uniformi nelle varie imprese, pur essendo i processi di approvvigionamento, di produzione e distribuzione svolti secondo modalità e contenuti diversi. Variano, invece, in base alla dimensione aziendale, le soluzioni ad esso assegnate in quanto i canali finanziari sperimentabili non sono gli stessi per le piccole, le medie e le grandi imprese. Tutte le aziende hanno bisogno di mezzi finanziari da investire per mantenere la propria organizzazione e per fronteggiare il divario esistente sul piano temporale tra il momento in cui vengono sostenuti i costi e quello in cui si conseguono i ricavi. Di qui il sorgere per l’impresa della necessità di capitale, ossia del fabbisogno finanziario. Questo può essere individuato nel volume delle operazioni in corso definito dal complesso degli investimenti in attesa di essere realizzati. In proposito conviene distinguere: il fabbisogno per investimenti che, in senso ampio, riguardano la capacità produttiva dell’azienda (cosiddetto capitale fisso); il fabbisogno netto originato dalla sequenza delle operazioni ripetitive di acquisto-produzione-vendita, denominato fabbisogno di capitale circolante netto (working capital); si tratta principalmente degli impieghi finanziari in rimanenze e crediti commerciali, al netto dei finanziamenti concessi dai fornitori. Tavola 3 – Il fabbisogno finanziario FABBISOGNO FINANZIARIO CAPITALE FISSO Acquisire le immobilizzazioni materiali e immateriali CAPITALE CIRCOLANTE Alimentare il ciclo acquisto - produzione - vendite In un contesto di crisi come quello attuale, è soprattutto la gestione del capitale circolante netto che riveste un’importanza fondamentale. Tale gestione, infatti, ha impatti sostanziali sull’equilibrio finanziario dell’impresa e può talvolta comportare rilevanti assorbimenti di cassa, che possono anche esaurire il monte affidamenti complessivo della società. La posizione finanziaria netta (PFN) di un’impresa è, infatti, largamente influenzata dalla dinamica del capitale circolante: un allungamento dei pagamenti verso i fornitori ad esempio, libera liquidità e di conseguenza riduce i debiti finanziari; 12 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali il fenomeno contrario, ovvero un ritardo negli incassi da clienti, caratteristico dei periodi di crisi, peggiora l’indebitamento finanziario. L’impatto della variazione del capitale circolante netto sui cash flow e quindi sulla PFN dipende da molteplici fattori: l’andamento del fatturato: un incremento delle vendite determina generalmente una crescita del CCN (maggiori scorte, maggiori crediti), con conseguente maggior fabbisogno finanziario; di contro una contrazione delle vendite non comporta necessariamente una riduzione del CCN in quanto potrebbero sorgere problemi quali quello di gestire e smaltire scorte non più vendibili sul mercato; il modello di business (ad esempio produzione in serie per il magazzino rispetto a produzione su commessa) e la stagionalità della domanda, ad esempio, sono variabili che impattano sul livello delle rimanenze; le politiche di pagamento e incasso dei debiti/crediti e la tipologia dei clienti/fornitori (ad esempio Pubblica Amministrazione rispetto a piccole-medie imprese) rappresentano invece i principali driver dell’evoluzione dei debiti/crediti commerciali e della qualità di questi ultimi; scenario competitivo: per poter competere sul mercato l’azienda deve fare scelte che impattano anche sul CCN (livello di scorte, condizioni di incasso, ecc.). Tavola 4 – L’andamento del CCN L’andamento del CCN ha un impatto diretto sulla dinamica finanziaria aziendale; è fondamentale monitorare e prevedere il suo andamento Fattori che influenzano la dinamica del CCN Stagionalità del business Caratteristiche del settore Scenario competitivo Principali impatti sul CCN Può determinare picchi di CCN in determinati periodi dell’anno, con la conseguente necessità di finanziarli adeguatamente La prassi tipica di un certo settore e/o paese può impattare sulle condizioni di incasso e di pagamento determinando una certa rigidità Per poter competere sul mercato l’azienda deve fare scelte che impattano anche sul CCN (livello di scorte, condizioni di incasso, ecc.) Può influenzare la decisione di investire o meno in capitale circolante Costo del capitale Andamento del fatturato Un incremento di fatturato determina generalmente una crescita del CCN (maggiori scorte, maggiori crediti), con conseguente maggior fabbisogno finanziario. Di contro una contrazione delle vendite non comporta necessariamente una riduzione del CCN in quanto potrebbe sorgere problemi quali quello di gestire e smaltire scorte non più variabili sul mercato Secondo l’analisi dell’Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012, il capitale circolante commerciale delle imprese è aumentato tra 2012 e 2011, sia in rapporto al fatturato (dal 17,9% al 19,2%), sia in rapporto all’attivo (dal 21,4% al 22,4%). Per le società di minore dimensione (microimprese con ricavi inferiori a 2 milioni di euro e PMI con ricavi compresi tra 2 e 50 milioni di euro) il capitale circolante risulta superiore rispetto a quello del 2009, ad indicare che è in aumento il fabbisogno finanziario netto che le aziende devono soddisfare nel breve termine per sostenere l’attività commerciale. L’indice risulta, invece, in calo e si attesta su livelli più bassi per le società con ricavi oltre i 50 milioni di euro. © Cesi Multimedia 13 Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali Tavola 5 – Andamento del CCN su fatturato Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012 I tempi di pagamento desumibili dai dati di bilancio indicano che le microimprese hanno dovuto concedere nel 2012 ai propri clienti 2,3 giorni in più rispetto all’anno precedente; le PMI hanno ottenuto pagamenti leggermente più rapidi, mentre le grandi imprese hanno guadagnato quasi un giorno. Tutte le fasce dimensionali hanno invece dovuto saldare più rapidamente le fatture verso i fornitori: le microimprese in media in 93 giorni (97 nel 2011), le PMI in 99 giorni (101) e le grandi in 71,5 giorni (73). Tavola 6 – Andamento tempi di incasso Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012 14 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali Tavola 7 – Andamento tempi di pagamento Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012 I dati di cui sopra evidenziano come la gestione del Working Capital assuma un’importanza strategica per le PMI. Riuscire nella sua ottimizzazione rappresenta una delle poche leve a disposizione dell’imprenditore per “liberare” liquidità in un periodo relativamente breve, senza un programma di ristrutturazione invasivo e strutturale Nei meandri del Working Capital, infatti, giacciono risorse finanziarie potenziali significative, che l’imprenditore, talvolta, nemmeno lontanamente percepisce. Tanto minore è la durata del ciclo operativo, per esempio in conseguenza di una politica commerciale volta a diminuire le scorte (materie prime, semilavorati o prodotti finiti) o a mantenere un livello di crediti commerciali più basso (derivante a parità di fatturato da un minore tempo di incasso dei crediti) tanto minore è l’impiego di risorse finanziarie per lo svolgimento delle attività operative; al pari una maggiore dilazione dei pagamenti, sempre a parità degli acquisti, permette un aumento dei debiti di fornitura e, di conseguenza, una minore dipendenza dall’indebitamento bancario. Tavola 8 – L’ottimizzazione del CCN STATO PATRIMONIALE Immobilizzazioni Attivo circolante Rimanenze Crediti commerciali Debiti Debiti commerciali (materie prime, prodotti in corso di lavorazione e finiti) (liquidità derivante dalla vendita di prodotti) Capitale circolante netto Altri crediti e debiti Liquidità Debiti finanziari (liquidità impiegata per l’acquisto di prodotti) Patrimonio netto © Cesi Multimedia 15 Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali L’ottimizzazione del capitale circolante è però un’attività molto complessa, che presuppone un assessment quantitativo e qualitativo sulle tre aree fondamentali del working capital (crediti, debiti e magazzino) al fine di individuare, lungo tutta la supply chain (acquisti, produzione e vendite), le possibili leve di miglioramento. Tavola 9 – Le aree fondamentali del working capital Ciclo attivo Gestione anagrafica clienti Key drives: - Controllo del credito Ordini di vendita Analisi merito creditizio - Tempi di incasso - Fatturazione Invio fattura Incasso crediti - Processo di sollecito Ciclo magazzino Sviluppo prodotto Previsione vendite Key drives: - Planning di vendite/produzione - Servizio di consegna Pianificazione produzione Gestione rimanenze Spedizione e Customer service - Tempi di approvvigionamento - Gestione magazzino Ciclo passivo Ordini materie prime Scelta fornitori, negoziazione contratti Key drives: - Termini di pagamento - Sconti Valutazione performance fornitori Elaborazione contabilità fatture Pagamento fatture - Procurement process - Processo di pagamento Fonte: PwC dicembre 2010 Con riferimento ai crediti, ad esempio, azioni importanti potrebbero essere le seguenti: identificare controversie e criticità negli incassi, intervenendo sulle fatture scadute e sollecitando in anticipo i pagamenti da parte dei clienti; acquisire ordini esclusivamente da clienti sui quali è stata fatta una prima verifica di solvibilità; segmentare la base clienti secondo una matrice che contenga le informazioni relative al rischio di credito e alla profittabilità dei singoli clienti; prevedere termini di pagamento per tutti i clienti basati sulla media del settore dal lato dell’offerta; allineare e ottimizzare i termini di pagamento all’interno delle stesse aree geografiche e per gli stessi clienti; ottimizzare la struttura dei prezzi; prevedere, in caso di situazioni di particolare tensione finanziaria, l’anticipo su prodotti e servizi venduti, usando la leva degli sconti; monitorare tutti i processi interni che incidono sui tempi di incasso; Identificare le opportunità di factoring; ottimizzare il timing di fatturazione rispetto alle dinamiche di pagamento IVA; ottimizzare i tempi di recupero dell’IVA su crediti non recuperabili. Nei confronti dei fornitori, invece, sarebbe fondamentale: verificare il database dei pagamenti per identificare doppi pagamenti, errori di fatturazione; attribuire la responsabilità dei pagamenti alle funzioni di business, rendendole responsabili della ottimizzazione degli stessi; operare una distinzione tra fornitori strategici e non, definendo con i primi accordi di medio lungo periodo che permettano di abbassare i costi di fornitura e di avere la certezza di un adeguato approvvigionamento, con termini di pagamento standard per tipologia di spesa; verificare se esistono margini di trattativa con i fornitori per poter ottenere sconti e dilazioni nei pagamenti; eliminare o comunque ridurre i pagamenti anticipati, dovuti ad inefficienze interne, oppure al comportamento dei fornitori; 16 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali nei momenti di difficoltà finanziaria, trovare, l’accordo con i fornitori per la rateizzazione del debito a fronte di cash on delivery e attivare una gestione centralizzata dei pagamenti e della cassa. Dal lato delle rimanenze, infine, le principali azioni per la sua gestione efficiente potrebbero essere: ridefinire le strategie di riordino e i livelli di stock (safety stock, cycle stock, ecc.); sviluppare un sistema previsionale del fabbisogno delle scorte, condiviso con clienti e fornitori chiave; analizzare i livelli di sicurezza delle scorte e i punti di riordino stabiliti per i diversi prodotti e i diversi segmenti di clientela; rivedere i processi di pianificazione e le relative responsabilità interne per migliorare la visibilità sull’andamento della domanda e l’accuratezza delle previsioni; analizzare le politiche delle scorte con scarsa movimentazione e predisporre dei programmi di smaltimento e cessione delle scorte obsolete; ridurre la frammentazione dei propri magazzini; misurare e migliorare le performance dei fornitori. I punti chiave di cui sopra, evidenziano come il miglioramento del capitale circolante sia un’attività molto impegnativa, in quanto richiede il superamento di consuetudini radicate e il ripensamento del modello operativo in essere. Nell’ottimizzazione del capitale circolante, quindi, la funzione Finanza che ha sicuramente un ruolo importante non può essere lasciata da sola. Il miglioramento del modello operativo esistente, richiede il coinvolgimento di tutto il management, che dopo un’attenta valutazione dovrà cercare modi alternativi di lavorare (es. valutazione delle opzioni make or buy). Porre in essere queste attività, può rappresentare una vera rivoluzione copernicana per le PMI e una grande opportunità di valore per gli azionisti. Significa passare da una logica focalizzata solo sulla crescita del fatturato, ad una vera e propria cultura del cash management. Tavola 10 – Il valore degli azionisti Valore degli azionisti Crescita dei ricavi Immobilizzazioni (PP&E) Crediti e debiti Magazzino Capitale circolante Conto fornitori © Cesi Multimedia Efficienza delle attività/passività Margine operativo Magazzino Disponibilità liquide Debiti v/banche Cassa Funding Conto clienti 17 Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali 2.3 Gli obiettivi finanziari da perseguire L’obiettivo delle decisioni finanziarie, come abbiamo detto, è quello di dare conveniente copertura ai fabbisogni di fondi in relazione: agli investimenti in capitale fisso e circolante in essere; agli investimenti previsti nei piani aziendali; alle eventuali esigenze di impiego aventi carattere aleatorio di entità e manifestazione temporale non precisabili. La politica finanziaria si esplica, quindi, in una duplice area di azione: la gestione del presente, mediante l’individuazione delle forme tecniche più convenienti di copertura dei fabbisogni in essere; la predisposizione delle condizioni idonee a consentire la copertura dei fabbisogni previsti nei piani e dei fabbisogni collegati al verificarsi di eventi aleatori. Tavola 11 – Le azioni della politica finanziaria Copertura fabbisogni attuali Politica finanziaria Copertura fabbisogni previsti nei piani Dalla definizione di politica finanziaria qui accolta discendono due importanti considerazioni: innanzitutto la politica finanziaria è funzionale alla strategia d’insieme dell’impresa e ai piani in cui essa prende forma. In secondo luogo, la politica finanziaria assume diversa importanza in relazione alle situazioni d’impresa e al contesto competitivo in cui si trovano ad operare i vertici aziendali. Sicuramente il rilievo della politica finanziaria è massimo nel caso delle grandi imprese, costrette a confrontarsi in un contesto competitivo di dimensioni sovranazionali e soprattutto in presenza di un mercato finanziario domestico che presenta una minore funzionalità rispetto ai mercati esteri. In questo caso, la via obbligata da seguire per tenere il passo con i concorrenti, è molto spesso una politica finanziaria che si ponga l’obiettivo di neutralizzare i differenziali nazionali, a mezzo di interventi che abbiano la finalità di estendere la raccolta di fondi su base internazionale e operare laddove le condizioni di mercato si mostrano di volta in volta più favorevoli. Anche all’interno dell’aggregato PMI, l’importanza della politica finanziaria assume, tuttavia, importanza ed intensità diversa in relazione alle varie tipologie di impresa individuabili. Nelle aziende appartenenti a settori caratterizzati da modesti fenomeni di cambiamento e da una certa cristallizzazione del quadro competitivo (piccole imprese marginali, imitative, satelliti), la formulazione delle decisioni finanziarie pone certamente minori problemi rispetto ai casi (PMI a rapido sviluppo) in cui le innovazioni di prodotto e di processo possono avere pesanti conseguenze sulla posizione competitiva di un’impresa. Nel secondo caso, infatti, il modello competitivo prevalente del settore di appartenenza, imponendo ritmi serrati d’innovazione, fa sì che soltanto le imprese con la possibilità di accedere a mercati finanziari caratterizzati da buone condizioni di funzionalità possano godere di un’apprezzabile posizione di forza. 2.4 La scelta della struttura finanziaria La decisione strategica più importante riguarda la definizione della struttura finanziaria target. Il problema dell’individuazione del punto di equilibrio tra costi e benefici in relazione alla scelta del rapporto PFN (posizione finanziaria netta)/Patrimonio netto è, in condizioni statiche (ossia a parità di capitale investito), incentrato sul meccanismo della leva finanziaria. 18 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali Tavola 12 – La struttura finanziaria target L’idea di riferimento alla base del meccanismo della leva è questa: se il rendimento lordo dell’attivo è maggiore del costo del credito sarà conveniente per i proprietari dell’impresa aumentare la quota dei debiti che finanziano l’attivo, poiché con essa aumenterà anche il rendimento del capitale netto. Tale operazione è definita leva finanziaria (leverage) ed è uno strumento che le imprese sane ed in crescita possono utilizzare per migliorare la redditività netta dei mezzi propri. Ovviamente il discorso non vale se il ricorso al debito è necessario per fare fronte a periodi di crisi o se il debito raggiunge livelli pericolosamente elevati. Un esempio molto semplice può essere utile per capire meglio il concetto1. Si ipotizzi il caso di un’azienda senza debito con un capitale interamente versato dai soci pari a 100.000 euro e con una redditività costante del capitale investito del 10%. Gli utili totali generati saranno quindi 10.000 euro che verranno distribuiti interamente ai soci. La stessa impresa ha la possibilità di realizzare un nuovo investimento da 10.000 euro che genererà nell’anno successivo un ritorno sempre del 10% (1000 euro). Tale investimento potrebbe essere finanziato con le seguenti modalità alternative: Autofinanziamento. Tale operazione scontenterà i soci nell’immediato, dal momento che questi non otterranno i dividendi, anche se nel lungo termine l’operazione sarà premiante e l’anno successivo il rendimento di ogni titolo sarà di (10.000+1000): 1000 = 11 euro. La redditività per gli azionisti sarebbe zero il primo anno, ma dell’11% nel secondo. Aumento di capitale riservato ad altri soci. Anche in questo caso l’effetto a breve termine sarà negativo, dal momento che il valore della partecipazione calerà. Gli utili non verranno modificati nel breve termine, ma nel lungo termine i vecchi soci non riceveranno un aumento di utili come nel caso precedente perché i profitti extra andranno divisi con i nuovi soci. Ricorso al debito. In questo caso utili e numero di quote restano costanti e negli anni successivi i dividendi potranno essere un po’ più generosi (anche se non come nel primo caso perché ci saranno gli interessi sul debito da pagare). Ipotizziamo che ripagare il debito costi in totale il 5% annuo, come quota interesse + quota rimborso del capitale. Nel secondo anno dei 1000 euro di profitto aggiuntivo 500 andrebbero per ripagare il mutuo e gli altri 500 in tasca ai soci: la redditività sarebbe del 10% il primo anno e del 10,5% nel secondo. ------------------------------------------1 L’esempio è ripreso con alcune modifiche dal sito www.borsaitaliana.it. © Cesi Multimedia 19 Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali Tavola 13 – Il leverage, un esempio Il meccanismo della leva da un punto di vista matematico è, di solito, illustrato tramite la seguente espressione: ROE = ROCE + (ROCE-i) x PFN/PN Dove: ROE= Reddito netto/Patrimonio netto ROCE = reddito operativo/Capitale investito i = costo del debito finanziario PFN= posizione finanziaria netta PN= Patrimonio netto Questa equazione mette in evidenza come la leva finanziaria sia in grado, a certe condizioni, di aumentare la redditività del capitale proprio. L’effetto leva è legato: alla misura dello spread (ROCE-i); alla struttura finanziaria adottata per finanziare il capitale investito, misurata dal rapporto PFN/PN. In particolare, se la redditività del capitale impiegato si mantiene costantemente più elevata rispetto al costo del debito, allora l’impresa avrà convenienza a far leva sul debito per finanziare le proprie attività operative, in quanto questa decisione consente di accrescere il rendimento dei mezzi propri. Al contrario, se lo spread non si mantiene positivo, l’aumento dell’indebitamento determina una riduzione della redditività del patrimonio netto. Quale che sia lo spread iniziale, tuttavia, bisogna tener sempre presente che al crescere dell’indebitamento cresce il rischio che l’impresa non riesca a soddisfare gli impegni derivanti dal proprio indebitamento (c.d. rischio di credito). In questa situazione, inoltre, i finanziatori saranno disposti a finanziare l’impresa a tassi d’interesse via via crescenti, fino al punto in cui il costo del debito risulterà addirittura superiore alla redditività del capitale investito. 20 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali Nella pratica, infatti, il fattore di rischio che più preoccupa gli interlocutori finanziari è una leva finanziaria troppo spinta. Tavola 14 – La leva finanziaria Attenzione però al rischio di credito ROCE-i 0 Conviene indebitarsi ROCE-i 0 Non conviene indebitarsi LEVA FINANZIARIA L’aumento dell’indebitamento, quindi, non dà luogo solamente ad un effetto moltiplicativo del rischio economico, misurato dalla variabilità dei risultati di gestione in corrispondenza delle varie ipotesi di scenario, ma influendo sull’equilibrio dei flussi monetari, innalza anche un altro rischio che è quello di credito in senso stretto. Quest’ultimo, che sta ad indicare l’eventualità dell’impresa di non essere in grado di soddisfare tempestivamente le attese dei terzi finanziatori (rimborso dei prestiti e pagamento delle remunerazioni fisse a determinate scadenze), può assumere diverse intensità e modulazione. In proposito si potrebbero verificare le seguenti situazioni: una moderata tendenza all’aumento dell’indebitamento nell’impresa in presenza di scenari sfavorevoli; il verificarsi di una situazione di tensione finanziaria che, a seconda della gravità, potrebbe comportare: l’esigenza di limitare certe spese ad utilità ripetuta (spese di pubblicità, di R&S); la rinuncia ad opportunità di investimento importanti; lo stato di insolvenza. Merita puntualizzare che in presenza di prolungate tensioni finanziarie i vertici aziendali sono portati a limitare e rinviare le uscite monetarie che non hanno ritorno nel breve (spese per aggiornamento tecnologico e per lo sviluppo di nuovi prodotti), compromettendo spesso la posizione competitiva dell’impresa. Tavola 15 – La leva finanziaria Leva finanziaria troppo spinta Rischio di credito Tensioni finanziarie Impossibilità di effettuare investimenti strategici L’impostazione delle scelte di struttura finanziaria sulla base dell’analisi dei costi e dei benefici rappresenta un metodo soddisfacente sul piano razionale. Molte PMI, però, non possiedono gli strumenti conoscitivi necessari per adottare in modo sistematico un tale procedimento di decisione. Soltanto in presenza di particolari situazioni, queste imprese affrontano il problema delle scelte di struttura finanziaria in termini di analisi costi/benefici delle forme di copertura alternative. Ciò si verifica, ad un livello intuitivo più che formalizzato, in presenza di: strutture finanziarie fortemente capitalizzate; fabbisogni finanziari di considerevole entità relativa. Nel primo caso, la convenienza a modificare la struttura finanziaria è avvertita dall’imprenditore nel momento in cui percepisce il costo-opportunità del mancato risparmio fiscale, in relazione all’assenza di oneri finanziari deducibili. In tale situazione, inoltre, l’incremento dell’indebitamento viene spesso conseguito tramite finanziamenti © Cesi Multimedia 21 Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali erogati dallo stesso imprenditore. Questa scelta consente, oltre che l’ottenimento di apprezzabili benefici fiscali in considerazione della deducibilità degli interessi2, anche di drenare utili e di non intaccare la solidità dell’impresa: il peggioramento del rapporto di indebitamento è infatti soltanto formale. Nel secondo caso, cioè in presenza di notevoli fabbisogni e di vincoli all’accrescimento del capitale proprio, il problema del rapporto tra capitale di credito e capitale proprio, viene affrontato tentando una stima della dimensione massima dell’indebitamento tollerabile in relazione al profilo di rischio dell’impresa. Questa analisi non si propone di definire la struttura finanziaria che bilancia vantaggi e svantaggi delle forme di copertura, ma soltanto di individuare, attraverso lo studio dell’andamento di alcuni indicatori (ad esempio, di solvibilità), una soglia di sicurezza oltre la quale sarebbe pericoloso spingersi. Al di fuori di queste ipotesi, l’imprenditore, nella scelta della struttura finanziaria, tende a dare importanza più che all’analisi costi-benefici ad altri fattori, quali: la volontà di limitare le proprie esposizioni finanziarie; l’esigenza di tutelare certe posizioni di controllo; l’avversione all’idea di dividere la gestione con altri soci. Ciò comporta, però, il manifestarsi di comportamenti talvolta inconciliabili sul piano razionale. Ad esempio: ad una spiccata tendenza nelle PMI a trattenere utili, se ne associa un’altra, altrettanto forte, ad evitare operazioni di aumento di capitale. Le PMI cercano, infatti, di finanziarsi, dapprima a mezzo dell’autofinanziamento; esaurita questa possibilità, ricorrono all’indebitamento e, soltanto in ultima istanza, ricorrono al capitale di rischio. Proprio per questa riluttanza a realizzare aumenti di capitale a pagamento gli imprenditori tendono a considerare il tasso di autofinanziamento quale principale vincolo alla crescita, nel rispetto di un predeterminato rapporto di struttura finanziaria. Non si può dire, però, che si tratti di un comportamento sistematico; molte volte i ritmi di investimento sono imposti dall’evoluzione del sistema competitivo e quindi risultano svincolati dalla capacità dell’impresa di autofinanziarsi. In questi casi le scelte di struttura finanziaria diventano molto complesse: dovendo scaturire da un processo valutativo che sia in grado di trovare un giusto equilibrio tra il rischio di deterioramento della posizione competitiva e il rischio di una struttura finanziaria squilibrata. A tale proposito va detto che l’impresa che decide di finanziare un rilevante programma di investimento a mezzo di capitale di credito, dovrebbe per lo meno prestare attenzione a due condizioni: la situazione di squilibrio tra fonti ed impieghi dovrebbe tendere a risolversi in tempi limitati, il che significa che il periodo di recupero degli investimenti dovrebbe essere breve; la riserva di liquidità a disposizione dell’impresa non dovrebbe essere interamente prosciugata. 2.4.1 I criteri per definire la struttura finanziaria target In termini molto banali, possiamo dire che un’impresa è troppo indebitata quando il livello del debito è talmente elevato da aumentare il rischio d’inadempimento e di conseguenza da pregiudicare l’accesso al credito. Prima della crisi le PMI, pur presentando rapporti PFN/patrimonio netto superiori a 5 (valori oggi considerati molto alti) non incontravano particolari problemi ad indebitarsi. La loro condizione, infatti, non era considerata anomala dalle banche, in quanto: i casi d’inadempimento erano molto bassi; la redditività operativa reale delle imprese era spesso migliore di quanto rappresentato nei bilanci; l’imprenditore garantiva con le sue disponibilità personali il pagamento del debito. Oggi la situazione è radicalmente cambiata. La crisi, infatti, ha in molte imprese praticamente azzerato la redditività lorda, riducendo drasticamente la possibilità per queste di garantire il rimborso del debito e il pagamento degli interessi alle banche. Nel 2012, ad esempio, come evidenziato dall’Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012, l’aumento del costo del denaro e la contemporanea caduta della redditività ha comportato un forte aumento del numero di aziende per cui i margini prodotti potrebbero non essere sufficienti per onorare gli impegni con le banche. La ricerca ha messo in evidenza un dato estremamente preoccupante: la percentuale di società per cui gli oneri finanziari erodono oltre la metà dei margini lordi (comprese le imprese per cui il Mol è addirittura negativo) ha ------------------------------------------2 Si ricorda comunque che limiti alla deducibilità degli interessi passivi sono oggi previsti dalla normativa fiscale. 22 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali toccato nel 2012 il 28,8%, ben 5,4 punti percentuali in più rispetto al 2011 e 3 punti in più rispetto al precedente massimo, osservato nel 2009. Tavola 16 – Andamento delle imprese con oneri finanziari elevati Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012 L’unica nota positiva in una situazione così negativa è la tendenza delle imprese, nonostante le difficoltà congiunturali, a rafforzare la propria struttura finanziaria aumentando la patrimonializzazione: i dati indicano che il capitale netto delle imprese è risultato in aumento del 3,7% tra 2012 e 2011. Grazie a questa tendenza e alla contemporanea riduzione dei debiti, il rapporto tra debiti finanziari e capitale netto si è attestato al 70,1% nel 2012, sette punti percentuali in meno rispetto al 2011, con riduzione degli indici che riguardano tutte le fasce dimensionali. Tavola 17 – Andamento delle imprese nel rafforzamento della struttura finanziaria Fonte: Osservatorio Cerved Group sui bilanci 2012 © Cesi Multimedia 23 Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali I miglioramenti però non hanno riguardato tutte le imprese: il 36,3 % di quelle analizzate è caratterizzato da debiti finanziari che sono oltre il doppio del capitale proprio. Tavola 18 – Andamento delle imprese con debiti finanziari molto elevati Inoltre, nonostante la stretta sul credito e la riduzione dei finanziamenti concessi dalle banche alle imprese, per effetto della caduta dei margini è aumentato il peso dei debiti finanziari sul Mol; tale indice nel 2012 ha raggiunto un massimo di 5,9 punti: 0,7 punti in più rispetto all’anno precedente e 1,5 in più rispetto al 2009. Il forte peso dell’indebitamento bancario è estremamente preoccupante, in quanto mette in luce la maggiore esposizione delle PMI alla crisi, che è prevalentemente una crisi bancaria. In particolare, le difficoltà del credito bancario rendono problematico il finanziamento degli investimenti di cui il nostro sistema produttivo necessita per recuperare competitività sui mercati. Per questo motivo è di vitale importanza il potenziamento dei canali di finanziamento alternativi per le imprese, quali a titolo d’esempio: il private equity; la Borsa ed in particolare il segmento AIM, dedicato specificatamente alle PMI ad alto potenziale di crescita; il mercato obbligazionario. Tutti questi argomenti, comunque, saranno affrontati ampiamente nei prossimi capitoli. 24 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali Tavola 19 – Andamento delle imprese con debiti finanziari molto elevati I dati analizzati sono molto interessati, ma non permettono di dare una risposta alla seguente domanda che interessa gli imprenditori: cosa bisogna fare per capire se la propria struttura finanziaria è adeguata? Per rispondere a questa domanda non servono ragionamenti troppo complessi, ma bisogna concentrarsi su due aspetti fondamentali: evoluzione di alcuni ratios di bilancio significativi; l’adeguatezza del proprio livello di flessibilità finanziaria. Riguardo al primo punto, l’imprenditore dovrebbe porre particolare attenzione ai seguenti indicatori (sono gli stessi presi in considerazione dal Cerved nella sua analisi): PFN/margine operativo lordo oneri finanziari /margine operativo netto PFN/patrimonio netto I primi due indicatori, sono particolarmente interessanti, in quanto possono essere utilizzati per definire il livello di indebitamento target, attraverso la loro valutazione: in termini relativi rispetto ad aziende comparabili dello stesso settore; in termini di evoluzione storica (ultimi 3 anni) e prospettica (prossimi 3 anni). Calcolando, ad esempio, il rapporto PFN/margine operativo lordo, che esprime la capacità di ripagare il debito con la redditività operativa, e confrontandolo con quello medio di settore è possibile formulare in maniera molto immediata un giudizio sulla propria struttura finanziaria. È evidente, ad esempio, che se tale indicatore è significativamente peggiore della media del settore, la struttura finanziaria dell’impresa è troppo rischiosa. © Cesi Multimedia 25 Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali Tavola 20 – Struttura finanziaria rischiosa In sede di definizione della struttura finanziaria target l’imprenditore dovrebbe anche considerare l’adeguatezza del proprio livello di flessibilità finanziaria. La flessibilità finanziaria consiste nella differenza tra la capacità d’indebitamento e l’effettivo livello d’indebitamento raggiunto. La capacità d’indebitamento può essere calcolata in termini indicativi sempre sulla base degli indicatori sopra descritti, considerando i valori soglia che secondo gli analisti definiscono una situazione di equilibrio finanziario: PFN/margine operativo lordo non superiore a 4; PFN/patrimonio netto non superiore a 2. Sulla base di questa metodologia un’azienda con margine operativo lordo di 50 e posizione finanziaria netta di 150, avrebbe un’elasticità di ulteriori 50 (50 x 4 – 150) di debito, a cui poter ricorrere, senza pregiudicare il proprio equilibrio finanziario, in caso di particolari esigenze operative. Tavola 21 – Struttura finanziaria rischiosa 2.4.2 Il confronto con il mercato finanziario Da quanto detto è evidente che la struttura finanziaria ottimale è solo quella considerata tale dal mercato finanziario; tale valutazione, tuttavia, non è univoca ma influenzata fortemente dal contesto economico di riferimento e dal soggetto che effettua la valutazione. In termini molto generali possiamo dire che nel definire la propria struttura finanziaria l’imprenditore dovrebbe tener conto di queste semplici regole basilari: è possibile aumentare l’indebitamento fino a quando il merito di credito rimane entro una soglia di sicurezza; per capire il livello di questa soglia bisogna confrontarsi con la propria banca oppure, se da questa non si riesce a cavare nulla, rivolgersi a società che offrono servizi di autovalutazione del rating; se la soglia di sicurezza è superata, bisogna aumentare i mezzi propri per l’importo necessario a riportare il rating ad un livello soddisfacente; bisogna ricorrere al finanziamento a medio – lungo termine per un importo che sommato a mezzi propri sia superiore agli investimenti fissi. 26 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Capire le decisioni finanziarie fondamentali Tavola 22 – Struttura finanziaria rischiosa Aumentare l’indebitamento Se il merito di credito rimane entro la soglia di sicurezza, altrimenti Aumentare il capitale proprio Aumentare l’indebitamento oltre i limiti giudicati accettabili dal mercato finanziario comporta negative conseguenze sul costo e sulla capacità d’indebitamento dell’impresa. Di qui la necessità, da parte delle imprese, di adeguarsi a quei modelli di riferimento che il mercato finanziario continuamente impone. È nota però la difformità di valutazione tra operatori di impresa e operatori finanziari: i vertici aziendali ragionano sulla base di un quadro di riferimento più ampio e articolato ai fini dell’apprezzamento del rischio; la propensione al rischio dei vertici aziendali si differenzia da quella degli operatori finanziari; gli operatori finanziari, anche se a conoscenza dei piani aziendali, possono non condividere le analisi di chi guida l’azienda. Qualora il limite dell’indebitamento all’impresa accettato dal mercato apparisse inferiore a quello che i vertici aziendali giudicano di poter tollerare, si potrebbero avere due tipi di comportamento: adeguarsi passivamente alle istanze del mercato finanziario; tentare di ottenere il consenso in relazione al desiderato rapporto di struttura. La seconda strada si basa essenzialmente su un’efficace informazione, intesa a divulgare a mezzo di canali appropriati le motivazioni che giustificano le scelte dell’impresa. La possibilità di ottenere apprezzabili risultati con un tale comportamento dipende, però, soprattutto da capacità di comprendere a fondo meccanismi di formazione del giudizio degli operatori del mercato. © Cesi Multimedia 27 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 3. Capire l’importanza del piano industriale Sebastiano Di Diego Tutto è prevedibile, eccetto l’imprevisto Giovanni Soriano 3.1 Perché è importante il piano industriale Il piano industriale è lo strumento fondamentale per guidare la strategia e le decisioni finanziarie di un’impresa. La stragrande maggioranza delle PMI, tuttavia, anche quando persegue delle valide strategie competitive trascura l’importanza di formalizzare e comunicare all’esterno la propria strategia. Ciò ha pesanti ripercussioni negative nel rapporto con il sistema bancario e finanziario in generale. In assenza di tale documento, infatti, i finanziatori e gli investitori non riescono a comprendere le prospettive dell’impresa, e ciò rende problematico e faticoso il loro rapporto con l’impresa. Nelle PMI il piano industriale viene trascurato in quanto vi è l’abitudine a pianificare facendo leva sulle performance passate e sull’intuito imprenditoriale, ne consegue l’incapacità, in contesti caratterizzati da notevole incertezza come quello attuale, di gestire in maniera coerente e completa, la comunicazione con gli interlocutori finanziari. Tipicamente il piano industriale è stato considerato uno strumento imprescindibile soltanto nell’ambito delle operazioni di M&A (si pensi all’ingresso nel capitale dei Fondi di Private equity) oppure nell’ambito di operazioni di quotazione in borsa. Negli ultimi anni, tuttavia, i processi di consolidamento del sistema bancario italiano ed il rilascio di grandi piattaforme normative e regolamentari (le regole di Basilea) hanno portato questo strumento ad essere centrale anche nel rapporto tra banca ed impresa. Si è, infatti, passati da logiche informali di relazione e di valutazione del rischio dell’ impresa, dove per ottenere nuove linee di credito, non è più sufficiente il bilancio d’esercizio e la presentazione di garanzie, ma serve un approccio più strutturato e formale. Ciò che interessa principalmente alle banche è valutare la continuità aziendale, e ciò è possibile solo attraverso un piano industriale ben fatto. Su questo fronte le PMI hanno un grande lavoro da svolgere. Molte di loro, infatti, devono ancora imparare molto per gestire al meglio ed in modo proattivo questa richiesta informativa. 3.2 Il contenuto del piano industriale In maniera molto semplice possiamo dire che un piano industriale deve illustrare in maniera efficace: le intenzioni del management relativamente alle strategie competitive dell’azienda, alle azioni che saranno realizzate per il raggiungimento degli obiettivi strategici; l’evoluzione dei key value driver e dei risultati economico-finanziari attesi, accompagnati dalle relative ipotesi. Tavola 1 – Cosa deve illustrare un piano industriale efficace Il piano industriale ha oggi un ruolo vitale nell’ambito dello sviluppo e della gestione delle imprese, in quanto è lo strumento fondamentale a disposizione dell’imprenditore e del management per illustrare in maniera sistematica la propria visione imprenditoriale. © Cesi Multimedia 29 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 2 – Il contenuto del piano industriale “Ieri-Oggi” STRATEGIA REALIZZATA Descrizione di: ‐ impostazione strategica operante ‐ performance realizzate in ogni ASA ‐ fabbisogno/opportunità di rinnovamento strategico ILLUSTRAZIONE ORIGINI E PRESUPPOSTI DELLE INTENZIONI STRATEGICHE “Domani” INTENZIONI STRATEGICHE Scelta del management relativamente a: ‐ ruolo nell’arena competitiva ‐ value proposition ‐ creazione del vantaggio competitivo COME SI INTENDE CREARE VALORE ACTION PLAN Azioni che riducono il divario tra strategia realizzata e intenzioni strategiche; in particolare: ‐ impatto economico/finanziario e tempistica ‐ investimenti da realizzare ‐ impatto organizzativo delle singole azioni ‐ intervento su portafoglio prodotti servizi /brand ‐ azioni che mutano target di clientela ‐ manager responsabili ‐ condizioni e vincoli di realizzabilità IPOTESI Relative ai key value driver e ai dati prospettici conferimenti a: ‐ grandezze macroeconomiche ‐ sviluppo ricavi ‐ costi diretti ‐ costi indiretti, oneri finanziari e fiscalità ‐ evoluzione capitale investito ‐ evoluzione struttura finanziaria DATI FINANZIARI PROSPETICI Coerenti con le intenzioni strategiche e l’Action Plan è riferito a: ‐ SBU ‐ canali distributivi ‐ aree geografiche ‐ tipologia di clienti ‐ prodotti/servizi/ brand EVA Il piano industriale, inoltre, grazie al suo contenuto informativo, consente all’impresa di ottenere anche la necessaria visibilità per attirare risorse finanziarie: è infatti, il documento chiave utilizzato dai finanziatori e dagli investitori per decidere se concedere finanziamenti o impiegare i loro capitali in un’azienda. 3.3 Tutte le imprese hanno bisogno di un piano industriale? Assolutamente sì. Ogni impresa ha bisogno di un piano industriale. Lo sviluppo di un dettagliato piano industriale fornisce l’opportunità di plasmare un’efficace strategia di sviluppo aziendale, favorendo il raggiungimento di obiettivi quali: Ottenere finanza per iniziare o espandere un’attività imprenditoriale; Migliorare l’ organizzazione aziendale, aumentando le probabilità di successo; Misurare il valore d’impresa nell’ambito di operazioni di M&A o di quotazione in borsa; Creare un piano di successione manageriale per facilitare il passaggio generazionale; Rivitalizzare l’impresa, attraverso l’identificazione di nuovi mercati e nuove opportunità di business; Allineare gli obiettivi e le strategie all’interno delle organizzazioni più complesse; Migliorare la gestione delle operation. 3.4 Quali sono le finalità per cui viene redatto un piano industriale? Come anticipato, le finalità per cui si redige un piano industriale sono molteplici; in termini generali, però, possiamo dire che la sua redazione risponde a due ordini di obiettivi: finalità esterne: presentare un progetto ai terzi, principalmente allo scopo di reperire mezzi finanziari da banche, potenziali nuovi soci e altri finanziatori; finalità interne: analizzare le conseguenze delle scelte strategiche imprenditoriali. 30 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 3 – Le finalità del piano industriale 3.4.1 Finalità esterne Da un punto di vista esterno, il piano industriale rappresenta innanzitutto il principale strumento per reperire fonti di finanziamento, sia a titolo di debito che di capitale di rischio. Esso, inoltre, serve anche per “garantire” i rapporti esistenti o futuri tra l’impresa e i suoi stakeholder. Tavola 4 – Analisi delle attese degli stakeholder Stakeholder Interesse principale Azionista Dividendi; aumento del valore di mercato degli investimenti in azioni; pagamenti dei dividendi; partnership Management Stabilità del ruolo; progressi di carriera; remunerazione; status; responsabilità dell’organizzazione Altri collaboratori Remunerazione; condizioni di lavoro; stabilità del posto di lavoro; job satisfaction Consumatori Qualità dei prodotti; prezzi convenienti; continuità nell’assistenza postvendita; innovazione di prodotto Distributori Consegne tempestive; affidabilità dei pagamenti; immagine di marca (del produttore) Fornitori Continuità degli ordini; pagamenti secondo i piani Finanziatori Restituzione del prestito; pagamento degli interessi Governo Pagamento delle imposte e delle tasse; contributi all’occupazione e alle esportazioni; difesa dell’ambiente Società in genere Responsabilità nei confronti della società; gli obiettivi dell’impresa non dovrebbe essere in contrasto con quelli della società in generale A seconda del tipo di rapporto finanziario e delle relazioni con le parti interessate, i vari aspetti di un piano industriale devono essere pesati e trattati in modi diversi. Le banche In termini molto semplici, le banche sono interessate ad avere da un piano industriale le seguenti informazioni: rassicurazioni sulla continuità aziendale; l’importo e la tipologia del finanziamento che si desidera ottenere; come il finanziamento verrà impiegato; la capacità dell’impresa di rimborsare il finanziamento e di pagare gli interessi; le garanzie collaterali che possono essere fornite a tutela per il finanziamento; la capacità dell’impresa di sopravvivere ad una battuta d’arresto dei suoi piani. © Cesi Multimedia 31 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 5 – Le informazioni richieste dalle banche Investitori di capitale di rischio Al giorno d’oggi gli investitori di capitale di rischio (venture capital e private equity) prendono in considerazione solo casi aziendali descritti da un piano industriale. Durante la lettura di questo documento, gli investitori sono interessati principalmente ad individuare le effettive potenzialità di crescita del business aziendale. Per garantirsi un alto ritorno sull’investimento, analizzano con attenzione i seguenti aspetti: successo dell’azienda sul mercato; prospettive di crescita sia dimensionale che reddituale; vantaggi competitivi; modello di business; esistenza della c.d. “proposta unica di vendita” dei prodotti e servizi; fattibilità del piano; qualità e esperienza del management. Di fondamentale importanza sono anche le informazioni su come e in quale periodo di tempo potrebbero realizzare il ritorno sui loro investimenti, ad esempio attraverso: la quotazione in Borsa; la vendita ad un’altra impresa industriale o ad un altro investitore; il riacquisto della partecipazione da parte del gruppo imprenditoriale originario. Tavola 6 – Le informazioni richieste dagli investitori Quotazione in borsa Il piano industriale risulta un documento essenziale anche per soddisfare le esigenze di comunicazione finanziaria in vista di un’IPO (Initial Public Offering, cioè l’offerta di titoli al mercato connessa con una nuova quotazione in Borsa). 32 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale In questo ambito il piano industriale ha come obiettivo quello di comunicare il modo in cui l’azienda intende creare valore per i futuri azionisti. Tavola 7 – Piano industriale – Leve per la creazione di valore Fino a qualche anno fa la quotazione in borsa rappresentava un miraggio per le PMI. Le cose stanno cambiando radicalmente grazie all’AIM Italia, il mercato organizzato e gestito da Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese ad alto potenziale di crescita, che negli ultimi periodi sta riscuotendo un notevole successo. Essendo un MTF (Multilateral Trading Facility o sistema multilaterale di negoziazione), AIM Italia non rientra nella definizione di “mercato regolamentato” ai sensi della Direttiva MiFID: non è pertanto assoggettato alla relativa disciplina, ma è sottoposto alla disciplina regolamentare definita da Borsa Italiana. Tale disciplina, che si basa su due Regolamenti principali (Regolamento Emittenti e Regolamento Nominated Advisers), conferisce ad AIM Italia grande flessibilità consentendo alle PMI di accedere al mercato dei capitali in modo più semplice e a costi più contenuti rispetto al Mercato Telematico Azionario (di seguito “MTA”). Il successo dell’AIM, oltre che ai costi contenuti, è dovuto soprattutto alla progressiva contrazione del credito (Morgan Stanley stima il credit crunch in Italia in circa € 60bn/anno), che ha portato le imprese più dinamiche a esplorare canali alternativi di finanziamento per sostenere i propri progetti di sviluppo. In una situazione di credit crunch come quella attuale, l’alternativa potrebbe essere anche l’ingresso nella società di nuovi soci forti. Una soluzione questa non molto amata dagli imprenditori italiani, che con l’ingresso di un azionista di peso, o un fondo di private equity, rischierebbero di perdere parte del loro potere decisionale. Con la quotazione sull’AIM questo pericolo è pressoché inesistente: i capitali freschi arrivano da una pluralità investitori, tipicamente poco ingombranti in quanto non interessati a chiedere significative correzioni di rotta, anche a livello di governance. © Cesi Multimedia 33 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 8 – I benefici della quotazione Finanziare la crescita Aumentare la capacità competitiva Valorizzare l’impresa Risorse finanziarie da impiegare in piani di sviluppo dimensionale (acquisizioni, rafforzamento della struttura produttiva e/o commerciale ..) Diversificazione delle fonti di finanziamento, con conseguente diminuzione della dipendenza dal canale bancario Risorse umane molto qualificate Grande ritorno mediatico Incentiva l’ingresso di figure manageriali in azienda che affiancano e supportano la famiglia nella gestione La visibilità e la trasparenza degli obiettivi e dei risultati possono contribuire ad una maggior credibilità e forza contrattuale e competitiva Valore oggettivo e trasparente del capitale della società, anche al fine di utilizzo dello cambio di azioni per acquisizioni e/o alleanze strategiche La liquidità delle azioni e la trasparenza di valore agevolano l’ingresso di nuovi azionisti e l’eventuale uscita di azionisti non più interessati alla permanenza del capitale della società (passaggio generazionale) Mini bond In una situazione di significativa contrazione del credito bancario, in parte da considerarsi strutturale, le PMI, oltre alla quotazione in borsa, stanno guardando con molto interesse anche alle novità previste dal decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (convertito con legge 7 agosto 2012, n.134, e successivamente modificato dal decreto legge 179/2012, Decreto Sviluppo bis). Tale provvedimento ha introdotto l’opportunità per le PMI di finanziarsi direttamente sul mercato dei capitali mediante l’emissione di strumenti di debito a medio-lungo termine (cambiali finanziarie e obbligazioni). Tavola 9 – Cambiali finanziarie e MiniBond a confronto Cambiali finanziarie Funding a breve termine (attivo circolante) Obbligazioni (MiniBond) Debito a medio termine (piani di sviluppo e/o investimenti straordinari) Durata tra 1 e 36 mesi Durata non inferiore a 36 mesi Ammontare emesso inferiore all’Attivo Corrente Nessun limite di emissione (se quotate) Riservate a investitori professionali di diritto o su richiesta (secondo definizione Mifid) non soci con più del 2% del capitale Possibilità di dematerializzazione e quotazione su mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione Per favorire il successo di questi strumenti il legislatore ha previsto significativi vantaggi sia per le aziende emittenti sia per gli investitori. Tavola 10 – I vantaggi dell’emissione di strumenti di debito a medio-lungo termine Vantaggi per l’Azienda emittente Ambito civilistico Eliminazione dei limiti previsti dall’articolo 2412 del codice civile (doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili) alle emissioni obbligazionarie quotate Trattamento fiscale 1. Deducibilità degli interessi passivi entro il 30% del ROL ◦titoli quotati e negoziati su mercati regolamentati o piattaforme multilaterali di negoziazione titoli non quotati, a condizione che circolino tra investitori qualificati 34 Vantaggi per gli investitori In caso di titoli quotati: Esenzione dall’applicazione della ritenuta alla fonte sugli interessi ed altri proventi per gli investitori esteri residenti in Paesi white list. Erogazione dei proventi al lordo dell’imposta, per i soggetti lordisti residenti in Italia. In caso di titoli non quotati: ˗ esenzione dall'applicazione della ritenuta in caso di investitori qualificati. © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 2. Deducibilità delle spese di emissione dei titoli, nell’esercizio in cui sono sostenute 3. Esenzione dall’imposta di bollo per le cambiali finanziarie emesse in forma dematerializzata. Per convincere gli investitori, tuttavia, questi vantaggi non sono sufficienti: l’impresa emittente dovrà anche essere in grado di dimostrare attraverso il suo piano industriale: la sostenibilità finanziaria dell’indebitamento e la sua solidità patrimoniale; elevati tassi di crescita attesi; la presenza di vantaggi competitivi relativamente al prodotto/mercato l’esistenza di un management Team stabile e con una comprovata storia di successi; l’utilizzo dei proventi coerente con il core business. Di seguito, ad esempio, si riportano i criteri che il Fondo Minibond PMI Italia utilizza per selezionare le aziende target su cui investire. Tavola 11 – Criteri impiegati dal Fondo MiniBond PMI Italia per la selezione delle aziende target © Cesi Multimedia 35 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 3.4.2 Finalità interne Il piano industriale è uno strumento di gestione fondamentale, in quanto aiuta a pensare strategicamente. Tavola 12 – Vantaggi del piano industriale Molti piccoli imprenditori ritengono che la pianificazione strategica o di lungo periodo è qualcosa che interessa soltanto le grandi imprese. Sbagliano. Quale che sia la loro dimensione, le imprese che sopravvivono e prosperano sono solo quelle che soddisfano le esigenze dei propri clienti, offrendo loro vantaggi a prezzi che permettono non solo la copertura dei costi ma anche la generazione di un profitto. Per fare questo in modo efficace, facendo sì che le competenze di business intercettino le opportunità create dal mercato, le imprese devono innanzitutto definire la propria missione e i propri obiettivi. Tutte le imprese, e non solo le grandi, devono avere uno scopo. Per alcune, è semplicemente fare soldi; per altre è raggiungere determinati livelli di attività o un certo numero di clienti. Alcune, addirittura, incorporano anche una dichiarazione di valori: molte delle aziende di maggior successo sono permeate da una vera e propria ideologia che fornisce l’ispirazione e la guida per la loro attività. La definizione degli obiettivi è il pre-requisito di una efficace pianificazione: sono, infatti, gli obiettivi, o meglio la “visione”, che indicano “dove l’impresa sta andando”. Gli obiettivi possono essere definiti in vario modo, in termini di crescita, di confronto con i concorrenti, d’impatto sociale ecc. Gli obiettivi aziendali, inoltre, devono tipicamente soddisfare le esigenze di tre gruppi di persone: i proprietari dell’impresa, il personale ed i clienti. Ciascuno di essi ha specifiche aspettative: i proprietari sono alla ricerca di un ritorno sul capitale investito in azienda; il personale è alla ricerca di ricompense economiche per i sui sforzi, di opportunità di carriera e di un ambiente in cui sia bello lavorare; i clienti sono alla ricerca di un prodotto o di un servizio che risponda ai propri bisogni e che presenti un buon rapporto qualità/prezzo. Per avere successo, un’impresa deve avere un’idea di come poter raggiungere i propri obiettivi. Tale idea può essere formulata grazie all’elaborazione di un piano industriale. 36 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 3.5 Quali sono i vantaggi che si ottengono dalla redazione di un piano industriale? 3.5.1 Aiuta a pensare in modo sistematico e a definire strategie intenzionali Sicuramente il vantaggio più importante è che attraverso la preparazione del piano industriale si ottiene una visione integrata della propria azienda o del proprio progetto imprenditoriale. In un unico documento, infatti, devono essere sintetizzate tutte le informazioni fondamentali di un’impresa o di un progetto imprenditoriale: la strategia, i prodotti, la tecnologia, il mercato, i concorrenti, le risorse umane e gli aspetti economico-finanziari. Se correttamente concepito e predisposto, quindi, il piano industriale diventa il documento fondamentale per valutare e gestire un’impresa o un progetto imprenditoriale, in quanto costringe a pensare in modo sistematico e a fornire una sintesi completa degli obiettivi fissati, delle azioni da intraprendere, degli aspetti economici e finanziari e delle risorse necessarie. Il processo di pianificazione industriale, in altre parole, se gestito adeguatamente permette di: conoscere i punti di forza e di debolezza di un’impresa (o di un progetto), individuare le decisioni necessarie e formulare una strategia mirata ed efficace. Tavola 13 – Il piano industriale aiuta a formulare le strategie aziendali Ciò è particolarmente importante nelle PMI, dove i manager e gli imprenditori sono troppo concentrati sui problemi operativi e amministrativi e pochissimo tempo viene dedicato all’analisi strategica: delle dinamiche settoriali; dei comportamenti dei competitor; delle opportunità. Le decisioni strategiche vengono messe in secondo piano rispetto alle decisioni operative perché apparentemente non sono “urgenti”. L’elaborazione del piano industriale è l’occasione per superare questa logica negativa, facendo si che il vertice aziendale si riappropri del suo ruolo fondamentale, che in definitiva è quello di: Definire in che modo l’azienda intende creare, accrescere o mantenere il proprio vantaggio competitivo, generando valore per i soci. In questo senso, quindi, il processo di pianificazione industriale può essere visto come uno strumento molto potente per la definizione di strategie intenzionali, volte garantire la sostenibilità del vantaggio competitivo. 3.5.2 Preparazione al confronto con il mercato finanziario La redazione del piano industriale, rappresenta una vera e propria palestra per allenarsi a spiegare e difendere le proprie scelte strategiche nei confronti delle banche e del mercato finanziario. Si riduce così il rischio che esse non siano adeguatamente comprese e, per questo solo fatto, non approvate. © Cesi Multimedia 37 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 14 – Il piano industriale migliora la propria convinzione nei confronti del mercato finanziario 3.5.3 Individuazione degli obiettivi del sistema incentivazione Gli obiettivi economico-finanziari e competitivi indicati nel piano industriale, dovrebbero costituire anche la base di riferimento per la definizione del piano degli incentivi (bonus e altre componenti variabili della remunerazione) collegati all’andamento delle performance aziendali. Il sistema d’incentivazione, infatti, mira ad incrementare la performance dell’impresa attraverso un allineamento fra obiettivi personali dei dipendenti e obiettivi aziendali che, come detto, trovano naturale rappresentazione proprio nel piano industriale. L’introduzione di un sistema formale d’incentivazione può produrre ottimi risultati, in quanto le persone lavorano meglio quando sanno che cosa ci si aspetta da loro e possono fissare i loro obiettivi personali in considerazione degli obiettivi organizzativi. Tavola 15 – Il piano industriale aiuta a ridefinire il piano degli incentivi Affinché tale metodo attecchisca è però fondamentale: il perseguimento di una chiara strategia di lungo periodo, che valorizzi al massimo potenzialità e risorse dell’organizzazione aziendale; la crescita culturale, ad ogni livello, del management aziendale; l’introduzione di sistemi di misurazione della performance. 3.6 Chi lo elabora e chi partecipa? La risposta a questa domanda dipende molto: dal tipo di business; dalla struttura e dalle dimensioni dell’impresa; dagli obiettivi che vengono perseguiti. In termini generali, possiamo dire che in una società molto piccola, il lavoro di pianificazione e la redazione del piano industriale dovrebbero essere una prerogativa del vertice aziendale (i proprietari e, se esistono, i manager) Nelle organizzazioni più grandi, invece, i contributi dovrebbero provenire da molte più persone. Una regola generale che sarebbe utile seguire in tutte le situazioni, è la seguente: più persone vengono coinvolte (ovviamente con intensità diversa a seconda delle responsabilità) nella preparazione del piano industriale, migliori sono i risultati che si raggiungono. Il processo di pianificazione dovrebbe rendere partecipi tutte le persone che hanno un ruolo chiave o delle responsabilità importanti in azienda (o relativamente allo specifico progetto). Il loro coinvolgimento, soprattutto nella fase iniziale del processo, ha senso per motivi non solo tecnici ma anche psicologici e di team-building. 38 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Nessun piano può essere implementato con successo se le risorse umane chiave non si identificano con gli obiettivi ed i mezzi impegnati; al contrario, l’approccio di mobilitare una parte consistente dell’organizzazione ha il vantaggio di stimolare la consapevolezza e la motivazione della società nel suo complesso. Tavola 16 – I soggetti che possono redigere il piano industriale Chi redige il piano industriale? Imprenditore o promotore di una nuova idea È il fulcro del processo di Piano industriale Management Il suo coinvolgimento garantisce la migliore analisi dei dati e la partecipazione psicologica al progetto Consulenti Necessari per analisi e giudizi su aspetti specialistici Nelle realtà più piccole possono anche coordinare i processi di aggregazione dei dati 3.7 A chi è rivolto/a chi serve? Tra i lettori del vostro piano industriale ci saranno molto probabilmente, gli amministratori e i soci della società, i dipendenti chiave, i partner commerciali, i finanziatori e gli investitori attuali o potenziali. Quali parti del piano industriale distribuire e a quali persone dipende dal grado di riservatezza del documento e dalla particolare responsabilità delle persone interessate. Se il piano industriale include informazioni su decisioni strategiche confidenziali o riservate, la distribuzione delle copie dovrebbe essere molto selettiva e riguardare solo i soggetti che si è sicuri non divulgheranno le informazioni senza il vostro consenso. In alcuni casi, si può richiedere al destinatario di firmare una dichiarazione di riservatezza. Indicativamente possiamo dire che il piano industriale si rivolge tipicamente ai soggetti individuati nella tavola che segue. Tavola 17 – I destinatari del piano industriale © Cesi Multimedia 39 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 3.8 Quali sono le fasi del processo di pianificazione? Il piano industriale non è un documento da mettere su uno scaffale e dimenticare, una volta preparato. La pianificazione dinamica, di cui il piano industriale è lo strumento principale, dovrebbe essere parte integrante della gestione di qualsiasi azienda. Le imprese di maggior successo preparano ogni anno il piano industriale, riferito ad un arco temporale di tre – cinque anni. Ciò comporta l’aggiornamento del piano industriale dell’anno precedente, mettendo a confronto i valori e gli obiettivi previsti con i risultati raggiunti e tenendo conto dei cambiamenti, delle nuove informazioni, delle esperienze e delle nuove idee. Le fasi di un processo di pianificazione industriale sono tipicamente le seguenti. Tavola 18 – Le fasi del processo di pianificazione industriale 3.8.1 Valutare la situazione Questa fase richiede la valutazione di come i clienti, i partner, i concorrenti e i fornitori visualizzano la vostra azienda. Questa fase dovrebbe dare risposta alla seguente domanda: “DOVE SIAMO ADESSO?” Dovrebbe anche essere un esercizio onesto e autocritico per rispondere alle altre fondamentali domande che tutti gli uomini d’affari dovrebbero porsi regolarmente: “Quali sono i nostri principali punti di forza e di debolezza?” “Che cosa possiamo fare bene e cosa non dovremmo mai fare?” “Quali sono i principali errori che abbiamo fatto in passato e che cosa possiamo imparare da loro?” “Il numero dei nostri errori è ragionevole?” 3.8.2 Sviluppare la mission Prima di procedere oltre, sarebbe molto importante cercare di formulare una chiara dichiarazione di missione della vostra azienda. Sviluppare la mission è spesso la parte più preziosa del processo di pianificazione industriale, dal momento che può cambiare o riconfermare la direzione di marcia della vostra azienda. La mission è destinata a fornire un senso di scopo e agisce come strumento per comunicare dove l’impresa si sta dirigendo. Gli azionisti, i dipendenti e i partner commerciali, tuttavia, saranno motivati a sostenerla soltanto se ne conosceranno profondamente il contenuto. 40 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale La vostra visione definisce come vi vedete nel futuro lontano. Esprime ciò che si desidera che l'azienda diventi. Una visione condivisa da tutte le persone coinvolte in azienda è un fattore importante per il successo della vostra attività. La vostra missione definisce la guida generale da seguire per realizzare la visione. Si focalizza sul presente e sull’immediato futuro e sottolinea i benefici che la vostra azienda porterà ai clienti, ai dipendenti, agli azionisti e alla comunità intera. La vostra filosofia esprime i valori e le credenze che compongono la vostra cultura aziendale. 3.8.3 La preparazione del lavoro Dopo aver definito la mission e la filosofia aziendale, il vero e proprio lavoro di preparazione del piano industriale può prendere avvio. Prima di iniziare, però, alcune questioni preliminari dovrebbero essere affrontare per porre le basi di un buon lavoro: nomina di un coordinatore. Deve essere individuata la persona che avrà il compito di coordinare il processo di pianificazione e assicurare che la predisposizione del documento finale avvenga nei tempi prestabiliti. individuazione di un facilitatore. Nelle situazioni più complesse, può essere utile valutare il coinvolgimento di un facilitatore esterno che abbia esperienza di processi di pianificazione industriale. Una persona esterna (ad es. un professionista di fiducia), neutrale e indipendente, può essere utile per moderare riunioni in cui le posizioni e le opinioni dei partecipanti sono divergenti, favorendo l’approdo a posizione condivise nonché la qualità dei processi di aggregazione e selezione dei dati. Questa persona dovrebbe essere a conoscenza delle finalità del piano industriale e comprendere le esigenze dei lettori a cui è destinato. individuazione dei membri del team. Di fondamentale importanza è l’individuazione delle persone che saranno coinvolte nell’elaborazione del piano industriale, definendone i ruoli, le competenze, le responsabilità e soprattutto i contributi e risultati attesi. definizione delle fasi. È molto importante, poi, definire con cura le fasi del processo, la loro tempistica ed il calendario generale del lavoro. raccolta delle informazioni. Vanno, infine, raccolte e opportunamente organizzate tutte le informazioni disponibili (indagini di mercato, relazioni sulle concorrenza, nuovi sviluppi tecnologici, ecc.), interne o esterne (associazioni di categoria, banche dati, consulenti specializzati ecc.), utili per alimentare il processo di pianificazione industriale. 3.8.4 La definizione degli obiettivi Stabilire, in via preliminare, gli obiettivi generali per il futuro sviluppo dell’azienda è un prerequisito per la preparazione di qualsiasi piano industriale. Sebbene siano destinati ad essere aggiornati durante processo iterativo di pianificazione industriale, tali obiettivi hanno grande valore in quanto definiscono il “tono” e lo “spirito” del successivo lavoro, durante il quale gli assunti errati, le aree di debolezza e le incoerenze verranno corretti e il progetto strategico originale sarà integrato e migliorato. Gli obiettivi dovrebbero essere realistici, misurabili e riferiti ad uno specifico orizzonte temporale. Esempi di tali obiettivi potrebbero essere i seguenti: nei prossimi tre anni, aumentare il volume delle vendite in media del 20 per cento l’anno, intensificando lo sforzo di marketing e vendita nel paesi c.d. bric; nel corso del prossimo anno, ridurre i costi di produzione del 10 per cento attraverso una maggiore automazione delle linee di produzione; entro la fine del secondo anno di pianificazione lanciare tre nuovi prodotti sul mercato italiano. 3.8.5 Elaborazione del piano industriale L’elaborazione del piano industriale comporta sostanzialmente la sintesi e l’armonizzazione degli obiettivi particolari riferiti alle diverse funzioni aziendali (marketing, vendite, ricerca e sviluppo, produzione, operations e finanza). Questo lavoro di “matching” si svolge generalmente all’interno di un processo che abbiamo definito iterativo, in quanto deve condurre alla completa coerenza di tutti gli elementi del piano industriale. © Cesi Multimedia 41 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Un piano industriale è coerente soltanto se esistono nessi causali tra tutte le informazioni e le proiezioni in esso contenute (es. intenzioni strategiche, l’Action Plan, le ipotesi poste a fondamento delle proiezioni economicofinanziarie e i dati finanziari). 3.8.6 Fissare gli obiettivi delle risorse umane Una delle cose più intelligenti che potete fare dopo aver completato il vostro piano industriale, è usarlo come base per la definizione degli obiettivi da assegnare alle risorse umane. L’obiettivo del responsabile vendite, ad esempio, dovrebbe essere quello di raggiungere i volumi di vendita stabiliti nel piano industriale; quello del responsabile di produzione di soddisfare gli standard di qualità e la produttività previsti nello stesso documento e cosi via per gli altri responsabili. Il percorso in concreto dovrebbe essere il seguente: Definizione degli obiettivi strategici nel piano industriale Traduzione in obiettivi operativi di settore Traduzione in obiettivi individuali 3.8.7 Il monitoraggio del processo Il sistematico monitoraggio del grado di attuazione del piano industriale è un fattore molto importante per il successo della vostra azienda. I piani operativi, i sistemi di monitoraggio e il feedback costante dovrebbero essere integrati tra di loro per garantire la corretta attuazione del piano e la realizzazione dei suoi obiettivi. La partecipazione a questo processo può avere una profondo effetto sul modo in cui i membri del team vedono il loro ruolo in azienda, e può avere un impatto immediato sulle loro prestazioni. Se il piano industriale una volta predisposto viene riposto e dimenticato in un cassetto per un anno, è inevitabile che i dipendenti non vi prenderanno più sul serio quando parlerete di nuovo dell’importanza della pianificazione aziendale. 3.9 I numeri sono il riflesso delle vostre decisioni Un piano industriale senza proiezioni economiche finanziarie è come una macchina senza le ruote: non andrà da nessuna parte. La pianificazione economico-finanziaria è un elemento chiave del piano industriale; ed è importante tanto per voi quanto per i finanziatori, gli investitori o i partner a cui vi rivolgete. Gli imprenditori che si accingono a redigere o a partecipare alla redazione di un piano industriale di solito rientrano in due categorie: quelli che sono affascinati dai numeri e quelli che ne sono spaventati. Se appartenete alla prima categoria, sarete probabilmente felici di aver raggiunto finalmente questo capitolo. Se invece appartenete alla seconda, sarete probabilmente intimiditi dalla prospettiva di dover studiare e comprendere i prospetti contabili che presenteremo di seguito. Fatevi coraggio: i numeri non sono né magici, né misteriosi né minacciosi; semplicemente, essi riflettono le altre decisioni che avete preso nelle altre sezioni del piano industriale. Se avete deciso di produrre un nuovo prodotto, di spostarvi in nuovi mercati, di sostituire i vostri macchinari, di cambiare le vostre politiche di gestione del personale o di modificare il vostro investimento pubblicitario, dovete sapere che ad ognuna di queste decisioni si ricollegano dei numeri. In definitiva, le vostre decisioni e le vostre ipotesi si riflettono nelle proiezioni economico-finanziarie del piano industriale. Ogni decisione aziendale è legata a dei numeri; mettendo opportunamente insieme tutti i numeri aziendali otterrete i prospetti economici, patrimoniali e finanziari del piano industriale. Tali prospetti dovranno servire per valutare la bontà del vostro progetto, fornendo almeno le seguenti informazioni minime: la redditività aziendale e la capacità di produrre flussi di cassa nel periodo di piano; i possibili rischi finanziari connessi all’iniziativa; le risorse finanziarie necessarie per sviluppare l’impresa, specificando, se a titolo di credito, quando ne avrete bisogno e come le restituirete. 42 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 3.10 Le c.d. assumption Il piano economico-finanziario è una sezione molto critica del piano industriale, in quanto traduce tutte le informazioni quantitative e qualitative contenute nelle altre sezioni in risultati economici e finanziari di sintesi. Il vostro piano industriale sarà valutato proprio sulla base delle ipotesi e dei prospetti economico-finanziari in esso contenuti, che devono essere redatti in coerenza con gli obiettivi strategici dichiarati. Particolare importanza assume l’indicazione delle c.d. assumption (ipotesi relative ai Key piano industriale driver e ai principali dati previsionali) sulla base dei quali vengono definiti gli obiettivi quantitativi da raggiungere negli esercizi successivi. Il piano industriale, in particolare, deve contenere l’indicazione delle: ipotesi di fondo riguardanti grandezze macroeconomiche (tasso di inflazione, tassi di cambio, ecc.); ipotesi alla base dello sviluppo dei ricavi; ipotesi alla base dei costi diretti; ipotesi alla base dei costi indiretti (ad esempio spese generali, costi di comunicazione, ammortamenti), degli oneri finanziari e della fiscalità; ipotesi alla base dell’evoluzione del capitale investito, sia fisso sia circolante; ipotesi alla base dell’evoluzione della struttura finanziaria e della copertura dell’eventuale fabbisogno finanziario. La definizione delle ipotesi costituisce uno dei momenti più importanti dell’intero processo di piano industriale: dalla loro fondatezza, infatti, dipende la qualità delle stime che verranno elaborate successivamente. Per formulare le ipotesi di piano, il punto di partenza di solito è l’analisi dei dati storici relativi agli ultimi tre esercizi, volta a verificare l’esistenza di: valori percentuali relativamente costanti nel tempo (ad esempio l’incidenza dei costi operativi sul fatturato); trend registrati negli ultimi esercizi che hanno valenza anche per il futuro; azioni destinate ad avere degli effetti significativi sui valori prospettici, come, ad esempio, investimenti effettuati che non hanno ancora espresso i loro effetti, integrazioni di società acquisite, l’ingresso di nuove risorse umane, ecc. Le informazioni di cui sopra, ovviamente, devono essere aggiornate alla luce dei nuovi programmi aziendali e delle mutate condizioni ambientali esterne (contesto macro-economico, contesto competitivo ecc.). I destinatari del piano industriale sono molto interessati a queste informazioni: infatti, vogliono capire come siete arrivati alle vostre proiezioni ed essere convinti che le ipotesi siano ragionevoli ed accurate. Se, per esempio, avete indicato le vendite ad un certo livello, confronteranno questo dato con quelli che avete ipotizzato per il mercato nel suo complesso e per la vostra quota. Se queste previsioni sembreranno realistiche, aumenterete la vostra credibilità; se, invece, sembreranno non accurate o troppo ottimistiche, il lettore sarà portato a valutare il vostro piano industriale con grande scetticismo. In sede di formulazione delle ipotesi, quindi, la loro attendibilità va valutata molto criticamente, ad esempio tenendo conto della compatibilità con il contesto competitivo, con i risultati storici, e così via. Un possibile approccio che potete utilizzare in sede di “selezione” delle assumption è riportato nella tavola seguente. Tavola 19 – Metodo di selezione delle assumption KBPD Ipotesi principali Vendite Costi CCN Imposte prudente realistica aggressiva Commenti Qualità delle ipotesi Individuate i c.d. Key Business Driver, ossia le macro voci che hanno un grande impatto sul vostro piano industriale, e con riferimento a ciascuno di essi formulare le principali assunzioni (es. il DSO scenderà da 160 a 150 giorni), accompagnandole con commenti qualitativi sulla loro attendibilità o rischiosità e da un indicatore di sintesi, la cui funzione è quella di segnalare al lettore il livello di criticità. Una volta definite le assumptions, il successivo passo è la redazione dei prospetti previsionali relativi agli anni compresi nel periodo di pianificazione. © Cesi Multimedia 43 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Questa fase consiste nella traduzione in termini economici (costi e ricavi), patrimoniali (Investimenti e passività) e finanziari (entrate e uscite di cassa) delle vostre scelte operative (obiettivi e azioni). Il consolidamento di tutti questi valori avviene attraverso la formazione di tre documenti distinti ma fortemente correlati: Il Conto Economico previsionale Lo Stato Patrimoniale previsionale Il Rendiconto finanziario previsionale 3.11 Il Conto Economico previsionale Deriva dal consolidamento dei ricavi e dei costi previsti nei piani operativi (commerciale, produzione, acquisti, investimenti, ecc.). Si tratta di un conto economico gestionale, la cui struttura deve essere definita in base alle caratteristiche della vostra impresa ed alle esigenze informative che volete soddisfare. Dovrebbe essere redatto in forma scalare in modo da evidenziare risultati economici parziali di grande valenza informativa, quali margine industriale, EBITDA, EBIT ecc. Da questo prospetto risulterà la validità economica e reddituale delle scelte che la vostra azienda si appresta a mettere in atto. A che cosa serve: Individuare come la l’impresa “performerà” dal punto di vista delle vendite e dei costi Misurare i ritorni economici dell’impresa nel periodo di piano Le tavole seguenti evidenziano due delle possibili articolazioni del conto economico previsionale; gli schemi proposti prevedono il confronto dei dati previsionali (E) con quelli storici (A) relativi agli ultimi tre esercizi. Tavola 20 – Conto economico – configurazione a costo del venduto (valori in milioni di euro) 20X0A 20X1A 20X2A 20X3E 20X4E 20X5E Ricavi totali Costo materie prime Costo di produzione Costo del venduto Margine industriale % Ricavi totali Costi commerciali Spese generali e amministrative EBITDA % Ricavi totali Ammortamenti EBIT % Ricavi totali Oneri finanziari netti Utile ante imposte % Ricavi totali Imposte Utile netto % Ricavi totali 44 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 21 – Conto economico – configurazione a valore aggiunto (valori in milioni di euro) 20X0A 20X1A 20X2A 20X3E 20X4E 20X5E Ricavi totali Variazione rimanenze prodotti finiti Incremento immobilizzazioni Valore della produzione Acquisti di materie prime, sussidiarie e merci Variazione materie prime, sussidiarie e merci Spese per servizi e oneri diversi Costi beni e servizi utilizzati Valore aggiunto % Ricavi totali Costo del personale Accantonamenti e svalutazioni EBITDA % Ricavi totali Ammortamenti EBIT % Ricavi totali Oneri finanziari netti Utile ante imposte % Ricavi totali Imposte Utile netto % Ricavi totali 3.12 Lo Stato Patrimoniale previsionale Mostra l’evoluzione della composizione del capitale investito nell’attività d’impresa e le fonti di finanziamento a cui si farà ricorso. Dovrebbe essere redatto secondo il criterio funzionale (i valori vengono aggregati in base alle aree gestionali che li hanno generati), in maniera che sia direttamente collegabile con il rendiconto finanziario. A che cosa serve: Descrivere l’andamento del capitale circolante e degli investimenti nel periodo di piano Mostrare l’evoluzione della struttura finanziaria dell’azienda Nella tavola seguente si propone un possibile schema di stato patrimoniale pro-forma. Tavola 22 – Stato patrimoniale – configurazione secondo il criterio funzionale (valori in milioni di euro) 20X0A 20X1A 20X2A 20X3E 20X4E 20X5E Rimanenze Crediti commerciali Debiti commerciali Fondi e altro Capitale circolante commerciale Immobilizzazioni materiali nette Immobilizzazioni immateriali nette Immobilizzazioni finanziarie nette Totale immobilizzazioni nette Liquidità immediate gestione extracaratteristica Immobilizzazioni gestione extracaratteristica Passività gestione extracaratteristica © Cesi Multimedia 45 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Capitale investito netto di gestione extracaratteristica Capital employed Posizione finanziaria netta (PFN) Patrimonio netto 3.13 Il Rendiconto Finanziario previsionale Il vostro piano industriale sarà valutato dai finanziatori principalmente (anche se non esclusivamente) per la sua capacità di generare flussi di cassa. Quale principale garanzia per il rimborso del debito e per la remunerazione del capitale di rischio, il cash flow atteso (inteso come la somma di utile netto e ammortamenti) dovrebbe essere in grado di coprire nel periodo di piano almeno gli assorbimenti di capitale circolante e gli investimenti netti di sostituzione/mantenimento; il ricorso ad ulteriore capitale di debito e/o di rischio dovrebbe avvenire, invece, soltanto per fronteggiare parzialmente o totalmente gli investimenti finalizzati alla crescita. Il documento che permette di monitorare la capacità prospettica dell’impresa di generare (distruggere) liquidità, attraverso le sue diverse aree gestionali, è il rendiconto finanziario previsionale, di cui proponiamo di seguito un possibile schema. A che cosa serve: a capire se l’azienda sarà in grado di generare cassa Tavola 23 – Rendiconto finanziario – configurazione secondo il criterio funzionale (valori in milioni di euro) 20X0A 20X1A 20X2A 20X3E 20X4E 20X5E Utile netto (perdita) dell’esercizio Ammortamenti Flusso operativo lordo (Aumento)/diminuzione Rimanenze (Aumento)/diminuzione Crediti commerciali Aumento/(diminuzione) Debiti commerciali Aumento/(diminuzione) Fondi e altro Totale (aumento)/diminuzione capitale circolate Flusso di cassa della gestione corrente Aumento)/diminuzione immobilizzazioni materiali Aumento)/diminuzione immobilizzazioni immateriali Aumento)/diminuzione immobilizzazioni finanziarie Totale (Aumento)/Diminuzione capitale fisso Flusso di cassa operativo (Aumento)/diminuzione patrimonio – dividendi (Aumento)/diminuzione debiti finanziari 3.14 La predisposizione del conto economico e dello stato patrimoniale previsionale La predisposizione dei prospetti sopra individuati richiede delle simulazioni economico-finanziarie, la cui funzione è quella legare in maniera congruente i singoli dati previsionali. Tali simulazioni anche quando sono molto accurate non possono certo prevedere con certezza ciò che accadrà alla vostra azienda nei prossimi anni. Ciononostante esse sono particolarmente utili, in quanto, richiedendo la formulazione di ipotesi sui volumi di vendita, sulla dinamica dei prezzi, sui costi variabili e fissi, sugli investimenti, sui tempi di dilazione e pagamento e così via, vi aiuteranno a comprendere molto più profondamente il vostro business. 46 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 3.14.1 Alcuni consigli pratici prima di iniziare il lavoro Se vi metterete al lavoro, senza aver prima letto questo capitolo, vi accorgerete che la redazione di un bilancio previsionale (stato patrimoniale e conto economico previsionale) non è la cosa più semplice di questo mondo. Chi vuole procedere alla redazione di questo documento deve risolvere, infatti, un problema di circolarità, che può diventare molto complicato, se non si approccia il lavoro con il giusto metodo. Supponiamo che partiate dalla redazione del conto economico: sarà tutto relativamente facile fino alla determinazione del reddito operativo. Come farete però a continuare? Come farete a calcolare gli interessi passivi senza conoscere il fabbisogno finanziario che emerge dallo stato patrimoniale? Come farete a determinare le imposte senza conoscere gli interessi passivi? Come farete a completare lo stato patrimoniale senza conoscere gli oneri finanziari da capitalizzare, le imposte e l’utile netto? Vi sta già facendo male la testa? Non vi preoccupate, la cosa diventerà molto semplice se seguirete i seguenti passaggi logici: iniziate con la redazione del conto economico fino all’individuazione del reddito operativo al netto degli eventuali interessi passivi relativi ai passività finanziarie consolidate, quelle cioè di cui conoscete già il piano di accensione-rimborso e l’onerosità (es. mutuo ipotecario contratto dall’azienda in precedenza; prestito obbligazionario da emettere nel corso del prossimo esercizio, e così via ); chiameremo provvisoriamente questa grandezza “Risultato da dividere fra banche, Erario e soci”; Tavola 24 – Redazione del conto economico Ricavi totali Costo materie prime Costo di produzione Driver di pianificazione Portafoglio Ordini – Piano commerciale – politiche di prezzo interne Distinta base – Giacenza media – Cicli produttivi – % sul fatturato (se esiste in base alla media storica) Distinta base – cicli produttivi – prezzi d’acquisto – produttività manodopera diretta (quantità prodotta / n. diretti) – costo medio procapite – n. addetti – contratti in essere /futuri Costo del venduto Margine industriale Costi commerciali Spese generali e amministrative % sul fatturato (se esiste in base alla media storica) % sul fatturato (se esiste in base alla media storica) EBITDA Ammortamenti Piano degli investimenti EBIT Oneri finanziari su passività consolidate Piano di rimborso e tasso d’interesse Risultato da dividere fra banche, Erario e soci passate quindi alla redazione dello stato patrimoniale, individuando: tutti gli impieghi di capitale (investimenti in essere e programmati, capitale circolante e così via); tutti gli elementi noti del patrimonio netto (capitale netto, riserve, utili, al 31/12 dell’esercizio precedente) e delle passività (debiti v/fornitori, Tfr, passività consolidate ecc.); inserite, inoltre, la grandezza “Risultato da dividere fra banche, Erario e soci” in precedenza calcolata. Tavola 25 – Redazione dello stato patrimoniale Rimanenze Crediti commerciali Debiti commerciali Fondo Tfr Driver di pianificazione In proporzione al costo dei materiali o del costo diretto industriale Ammontare delle vendite e tempi di pagamento Ammontare degli acquisiti e tempi di pagamento In proporzione al costo del lavoro Capitale circolante commerciale Immobilizzazioni materiali nette Immobilizzazioni immateriali nette Immobilizzazioni finanziarie nette © Cesi Multimedia Piano degli investimenti Piano degli investimenti Piano degli investimenti 47 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Totale immobilizzazioni nette Capital employed Passività finanziarie consolidate Patrimonio netto Risultato da dividere fra banche, Erario e soci Contratti di finanziamento in essere o previsti di cui si conosce il piano di rimborso e i costi Patrimonio netto esercizio precedente – pay out previsto giunti a questo punto calcolate la differenza tra le attività e le passività individuate (Capital employed – passività finanziarie consolidate – patrimonio netto – risultato da dividere tra banche, erario e soci); questa grandezza rappresenta il fabbisogno finanziario aggiuntivo che, per la parte non coperta da nuovo capitale di rischio, andrà a sommarsi alle passività finanziare consolidate, determinando la complessiva posizione finanziaria netta della vostra impresa1; Tavola 26 – Calcolo della differenza tra le attività e le passività Driver di pianificazione Rimanenze Crediti commerciali Debiti commerciali Fondo Tfr Capitale circolante commerciale Immobilizzazioni materiali nette Immobilizzazioni immateriali nette Immobilizzazioni finanziarie nette Già fatto Totale immobilizzazioni nette Capital employed Passività finanziarie consolidate Patrimonio netto noto Risultato da dividere fra banche, Erario e soci Fabbisogno finanziario aggiuntivo conoscendo il fabbisogno finanziario aggiuntivo, calcolate ora gli oneri finanziari relativi, inseriteli nel conto economico e determinate il risultato ante imposte; Tavola 27 – Calcolo degli oneri finanziari Driver di pianificazione Ricavi totali Costo materie prime Costo di produzione Costo del venduto Margine industriale Costi commerciali Spese generali e amministrative Già fatto EBITDA Ammortamenti EBIT Oneri finanziari su passività consolidate Oneri finanziari sul fabbisogno finanziario aggiuntivo Risultato ante imposte ------------------------------------------1 Ovviamente la differenza potrebbe anche essere negativa, evidenziando l’esistenza di surplus finanziario che andrebbe, invece, a sommarsi nell’attivo alla liquidità. 48 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale il conto economico è quasi completato: per determinare il risultato netto, infatti, non vi resta che calcolare le imposte sul reddito: l’aliquota Ires è pari al 27,5%, l’aliquota Irap al 4,20% Tavola 28 – Calcolo delle imposte sul reddito Driver di pianificazione Ricavi totali Costo materie prime Costo di produzione Costo del venduto Margine industriale Costi commerciali Spese generali e amministrative Già fatto EBITDA Ammortamenti EBIT Oneri finanziari su passività consolidate Oneri finanziari sul fabbisogno finanziario aggiuntivo Risultato ante imposte Imposte Aliquota Ires 27,5% – Aliquota Irap 4,20% Risultato netto con la chiusura del conto economico avete a disposizione le informazioni che vi mancavano per completare lo stato patrimoniale: gli interessi sul fabbisogno aggiuntivo, che capitalizzati vanno ad aggiungersi alla posizione finanziaria netta; le imposte, che per pari importo determinano il debito verso l’erario; il risultato economico, che deve aggiungersi alle altre voci del patrimonio netto. Ovviamente per far si che tutto bilanci dopo questi inserimenti, non bisogna dimenticare di eliminare la voce ”Risultato da dividere fra banche, Erario e soci”. Tavola 29 – Chiudete lo stato patrimoniale Rimanenze Crediti commerciali Debiti commerciali Fondo Tfr Debito per imposte Capitale circolante commerciale Immobilizzazioni materiali nette Immobilizzazioni immateriali nette Immobilizzazioni finanziarie nette Totale immobilizzazioni nette Capital employed Passività finanziarie consolidate Fabbisogno finanziario aggiuntivo Debito per interessi da capitalizzare Posizione finanziaria netta Patrimonio netto noto Risultato netto Patrimonio netto Risultato da dividere fra banche, Erario e soci 3.15 Un esempio per capire meglio Arrivati a questo punto la cosa migliore per non perdere il filo del ragionamento è mettere in pratica quanto abbiamo imparato. Il caso che vi presentiamo è quello di Hepta Spa, un’azienda commerciale del settore elettronico, alle prese con la redazione del piano industriale per il periodo 20X4-20X6. © Cesi Multimedia 49 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale La società ha da poco chiuso il bilancio riferito all’anno 20X3, che presenta i seguenti risultati: Tavola 30 – Stato patrimoniale (valori in milioni di euro) ATTIVO Liquidità di cassa Crediti verso clienti Merce in magazzino Attività correnti Immobilizzazioni - Fondo amm.to Attività immobilizzate 20X3 1 4.000 1.357 5.358 4.084 -2.383 1.701 % 0,01% 56,67% 19,22% 75,90% 57,86% -33,76% 24,10% Totale attivo 7.059 100% PASSIVO Passivo e netto Capitale sociale Riserve di utili Reddito netto dell’esercizio Patrimonio netto Debiti verso fornitori Debiti tributari Debiti v/dipendenti Fondo Tfr Passivo corrente Debiti verso banche (scoperto di c/c) Mutui Debiti Totale passivo e netto 20X3 % 400 1.186 223 1.809 2.600 42 18 153 2.813 1.437 1.000 2.437 7.059 5,67% 16,80% 3,16% 25,63% 36,83% 0,59% 1,06% 2,17% 39,85% 20,36% 14,17% 34,52% 100% Tavola 31 – Conto economico (valori in milioni di euro) Conto economico Fatturato netto - Acquisti di merci - Rimanenze iniziali + Rimanenze finali - Spese per servizi e varie - Salari stipendi e contributi - Accantonamento al fondo Tfr EBITDA - Ammortamento delle immobilizzazioni EBIT - Oneri finanziari Risultato ante imposte - Imposte dell’esercizio Reddito netto dell’esercizio 20X3 14.403 -12.725 -1.216 1.327 -784 -242 -18 745 -225 521 -130 390 168 223 % 100% -88,35% -8,44% 9,22% -5,44% -1,68% -0,12% 5,18% -1,56% 3,62% -0,90% 2,71% 1,17% 1,55% 3.15.1 Le assumption Di seguito le ipotesi formulate dal vertice aziendale della società per lo sviluppo dei prospetti economicofinanziari del piano industriale. Tavola 32 – Ipotesi formulato per lo sviluppo del piano industriale 20X4 Investimenti Acquisto Fabbricato CCN Crediti commerciali Rimanenze Debiti verso fornitori Finanziamenti Tasso d’interesse debiti bancari Tasso d’interesse mutui Rimborso mutui Patrimonio netto 50 20X5 20X6 100 gg 40 gg 70 gg 100 gg 40 gg 70 gg 100 gg 40 gg 70 gg 7% 6% 43 7% 6% 45 7% 6% 48 1.250 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 20X4 59 1.000 20% utile esercizio precedente + 3% rispetto anno precedente 88% Fatturato 5,5% Fatturato + 2,5% rispetto anno precedente + 2,5% rispetto anno precedente 250 43% 100% imposta esercizio precedente 21% 21% Interessi mutui Aumento capitale sociale Pay out Fatturato Consumi di materie Spese per servizi Salari e stipendi Accantonamento Tfr Ammortamenti previsti Aliquota media imposta Acconto imposte Aliquota Iva vendite Aliquota Iva acquisti 20X5 57 20X6 54 53% utile esercizio precedente + 3% rispetto anno precedente 88% Fatturato 5,5% Fatturato + 2,5% rispetto anno precedente + 2,5% rispetto anno precedente 250 43% 100% imposta esercizio precedente 21% 21% 57% utile esercizio precedente + 3% rispetto anno precedente 88% Fatturato 5,5% Fatturato + 2,5% rispetto anno precedente + 2,5% rispetto anno precedente 250 43% 100% imposta esercizio precedente 21% 21% 3.15.2 La costruzione del conto economico previsionale fino al reddito operativo al netto degli interessi sulle passività consolidate Procediamo alla determinazione delle singole voci del conto economico sulla base delle assumption formulate. Fatturato netto Si prevede una crescita del 3% rispetto all’anno precedente; quindi: Fatturato 20X4 14.835 20X5 15.280 20X6 15.739 Consumi di materie prime L’incidenza dei consumi di materie sul fatturato è stimata nella misura dell’88% ; pertanto: Consumi di materie 20X4 13.055 20X5 13.446 20X6 13.850 Conoscendo i consumi di materie, i giorni medi di giacenza e le rimanenze iniziali (pari alle finali dell’anno precedente) possiamo calcolare gli acquisti e le rimanenze finali per ciascun anno del piano, risolvendo delle semplici equazioni matematiche: acquisti = consumi – rimanenze iniziali + rimanenze finali sostituendo nell’equazione: rimanenze finali = (acquisti/360) x gg medi di giacenza otteniamo che: acquisti = consumi – rimanenze iniziali + (acquisti/360) x gg medi di giacenza e risolvendo rispetto agli acquisiti: acquisti = (consumi – rimanenze iniziali) /( 1-gg medi di giacenza/360) pertanto: nel 2013, gli acquisti sono pari a = (13.055 – 1327)/(1-40/360)= 13.194 e le rimanenze finali sono pari a = (13.620/360)*40 = 1.466 nel 2014, gli acquisti sono pari a = (13.446 – 1466)/(1-40/360)= 13.478 e le rimanenze finali sono pari a = (13.478/360)*40 = 1.498 nel 2015, gli acquisti sono pari a = (13.850 – 1498)/(1-40/360)= 13.896 e le rimanenze finali sono pari a = (13.896/360)*40 = 1.544 © Cesi Multimedia 51 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Acquisti Rimanenze finali 20X4 13.194 1.466 20X5 13.478 1.498 20X6 13.896 1.544 Spese per servizi Per questi costi, negli anni di piano, si prevede un’ incidenza sul fatturato del 5,5%; pertanto: Spese per servizi 20X4 816 20X5 840 20X6 866 Salari, stipendi e contributi e Accantonamento Tfr L’ipotesi è che questi costi aumentino del 2,5% rispetto all’anno precedente; pertanto: Salari e stipendi e contributi Accantonamento Tfr 20X4 248 18 20X5 254 19 20X6 261 19 Ammortamenti Con l’acquisto del fabbricato, nel triennio gli ammortamenti, che nel 2012 erano pari a 225, passano a 250: 20X4 20X5 20X6 Ammortamenti 250 250 250 Interessi sul mutuo Dal piano di ammortamento del mutuo estrapoliamo i seguenti dati relativi agli oneri finanziari: Interessi passivi mutuo 20X4 59 20X5 57 20X6 54 Il conto economico previsionale parziale Arrivati a questo punto abbiamo tutte le informazioni per costruire il conto economico previsionale fino al reddito operativo al netto degli interessi sulle passività consolidate. Fatturato netto - Acquisti di merce - Rimanenze iniziali + Rimanenze finali - Spese per servizi e varie - Salari, stipendi e contributi - Accantonamento al fondo Tfr EBITDA - Ammortamento delle immobilizzazioni EBITDA – Interessi passivi su mutui Risultato da dividere fra soci, banche e Stato 20X4 14.835 -13.194 -1.327 1.466 -816 -248 -18 698 -250 448 -59 389 20X5 15.280 -13.478 -1.466 1.498 -840 -254 -19 721 -250 471 -57 414 20X6 15.739 -13.896 -1.498 1.544 -866 -261 -19 743 -250 493 -54 439 Arrivati a questo punto non possiamo più andare avanti; dobbiamo quindi passare allo stato patrimoniale, per stimare il fabbisogno finanziario e calcolare i relativi oneri finanziari. 52 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 3.15.3 La costruzione dello stato patrimoniale e determinazione del fabbisogno finanziario aggiuntivo Procediamo alla stima delle voci dello stato patrimoniale sulla base delle assumption. Crediti verso clienti Conoscendo i tempi di dilazione media e i fatturati, i crediti commerciali possono essere calcolati utilizzando la seguente formula: Crediti v/clienti = (vendite+iva)/360 x gg di durata media incassi pertanto 20X4, i crediti commerciali sono pari a: (14835 + 14835*0,21)/360*100=4986 20X5, i crediti commerciali sono pari a: (15.280+15280*0,21)/360*100=5136 20X6, i crediti commerciali sono pari a: (15.739+15.739*0,21)/360*100=5290 Crediti commerciali 20X4 4.986 20X5 5.136 20X6 5.290 Magazzino merci Abbiamo già calcolato le rimanenze finali in sede di costruzione del conto economico; quindi non dobbiamo fare altro che riprendere quei valori: Magazzino merci 20X4 1.466 20X5 1.498 20X6 1.544 Credito per acconto sulle imposte dei redditi L’acconto per Ires e Irap calcolato con il metodo storico è pari al 100% delle imposte liquidate nell’esercizio precedente. Per l’anno 20X4 l’importo da iscrivere come credito è 390, pari al 100% delle imposte stanziate nel bilancio 20X3; per gli anni 20X5 e 20X6, la stima non è ancora possibile in questa fase, in quanto dobbiamo prima chiudere, rispettivamente, il conto economico 20X4 e il conto economico 20X5. Immaginiamo, per velocizzare il nostro lavoro, di averlo già fatto: i valori che emergerebbero sono i seguenti: 20X4 390 Acconto imposte sul reddito 20X5 92 20X6 77 Immobilizzazioni Considerando l’investimento previsto nel 20X4 e il nuovo piano degli ammortamenti la situazione è la seguente: 20X4 5.334 -2.633 2.701 Immobilizzazioni - Fondo ammortamento Attività immobilizzate 20X5 5.334 -2.883 2.451 20X6 5.334 -3.133 2.201 Patrimonio netto Il capitale sociale, a seguito dell’aumento previsto nel 20X4, sarà il seguente nei tre anni: Capitale sociale 20X4 1.400 20X5 1.400 20X6 1.400 Le riserve di utili, invece, vengono incrementate ogni anno dalla quota di utile netto non distribuito ai soci come dividendo. Per il 20X4 l’aumento è pari a 178, considerato che l’utile netto del 20X3 è 223, di cui viene distribuito solo il 20%. © Cesi Multimedia 53 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale L’incremento delle riserve 20X5 è pari al 50% dell’utile 20X4 e quello del 20X6 pari al 50% dell’utile 20X7: ci troviamo nella stessa situazione vista per l’acconto delle imposte. Per effettuare la stima dobbiamo prima completare: il 20X4 per avere tutte le informazioni necessarie per chiudere 20X5; il 20X5 per avere tutte le informazioni necessarie per chiudere il 20X6. Per andare veloci, supponiamo di aver già seguito questo Iter, i valori che emergerebbero sono i seguenti: Riserve di utili 20X4 178 20X5 239 20X6 290 Fondo Tfr Il Fondo Tfr è incrementato ogni anno dell’accantonamento; considerate le assumption, i valori nel triennio sono i seguenti: Fondo Tfr 20X4 171 20X5 190 20X6 209 Debiti verso dipendenti I debiti v/dipendenti, considerando la tredicesima, corrispondono alla fine di ogni anno a circa due mensilità; semplificando li determiniamo in misura pari ai 2/13 del costo per salari, stipendi e contributi Debiti v/dipendenti e istituti di previdenza 20X4 38 20X5 39 20X6 40 Debiti verso fornitori I debiti verso fornitori possono essere determinati utilizzando la seguente formula: Debiti v/fornitori = debiti commerciali = (acquisti di merce + Iva + spese per servizi + iva)/360 x gg di durata media delle dilazioni concesse Gli importi riferiti al triennio sono pertanto i seguenti: Debiti v/fornitori 20X4 3.296 20X5 3.369 20X6 3.473 Debito/credito per Iva Può essere calcolato utilizzando la seguente formula: = Riporto Credito Iva + Fatturato *0,21 – Acquisti di merci *0,21 – Spese per servizi e varie *0,21 – acquisto Immobilizzazioni *0,21. La posizione Iva nel triennio è pertanto la seguente: 20X4 Debiti Iva Credito Iva 20X5 113 20X6 205 89 Mutuo passivo Considerato il rimborso delle quote capitale nel corso del triennio, la situazione è la seguente: 20X4 20X5 20X6 Mutui passivi 957 912 864 Lo stato patrimoniale previsionale parziale e la determinazione del fabbisogno finanziario aggiuntivo Riclassificando tutti gli elementi dell’attivo e del passivo individuati è possibile determinare il fabbisogno finanziario aggiuntivo: 54 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Attivo Crediti v/clienti Merce in magazzino Credito Iva Acconto imposte sul reddito Attività correnti Immobilizzazioni -fondo ammortamento Attività immobilizzate 20X4 4.986 1.466 89 390 6.931 5.334 -2.633 2.701 20X5 5.136 1.498 20X6 5.290 1.544 92 6.726 5.334 -2.883 2.451 77 6.911 5.334 -3.133 2.201 Totale attivo Passivo 9.632 20X4 9.177 20X5 9.112 20X6 Passivo e netto Capitale sociale Riserve di utili Reddito netto dell’esercizio Patrimonio netto Fondo Tfr Debito v/dipendenti Debiti verso fornitori Debito Iva Debiti tributari Passività correnti Debiti verso banche Mutui Debiti “Utile da dividere” fra i soci, Banche e Stato Totale passivo e netto Fabbisogno finanziario (differenza tra totale attivo e totale passivo e netto) 2013 1.400 178 ? 1.578 171 38 3.296 ? 3.505 ? 957 957 389 6.040 2014 1.400 239 ? 1.639 190 39 3.369 113 ? 3.711 ? 912 912 414 6.262 2015 1.400 290 ? 1.690 209 40 3.473 205 ? 3.927 ? 864 864 439 6.481 3.592 2.915 2.631 Una volta determinato il fabbisogno finanziario aggiuntivo, devono essere individuate le soluzioni di copertura attivabili; nel nostro caso ipotizziamo che la copertura avvenga con indebitamento bancario: Fabbisogno finanziario individuato Soluzioni di copertura attivabili Aumento di capitale sociale Debiti bancari 20X4 3.203 20X5 2.503 20X6 2.193 0 3.203 0 2.503 2.193 Il calcolo degli oneri finanziari sul fabbisogno finanziario aggiuntivo Conoscendo l’entità dell’indebitamento bancario e la misura del tasso d’interesse, possiamo procedere al calcolo degli oneri finanziari. Tale calcolo di solito viene effettuato sul saldo medio bancario: 20X4 20X5 20X6 Saldo banche a inizio anno 1.437 3.365 2.708 Importo del fabbisogno a fine anno soddisfatto con il ricorso a debiti bancari Saldo medio bancario previsto (a+b) /2 Tasso d’interesse previsto 3.203 2.503 2.193 2.320 7% 2.934 7% 2.450 7% Stima degli interessi bancari (cxd) 162 205 172 © Cesi Multimedia 55 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale 3.15.4 La chiusura del Conto Economico Una volta determinati gli interessi bancari è possibile terminare la costruzione del conto economico, calcolando le imposte (pari al 43% del reddito lordo) e determinando il risultato d’esercizio. 20X4 14.835 -13.194 -1.327 1.466 -816 -248 -18 698 -250 448 -59 -162 227 -97 129 Fatturato netto - Acquisti di merce - Rimanenze iniziali + Rimanenze finali - Spese per servizi e varie - Salari, stipendi e contributi - Accantonamento al fondo Tfr EBITDA - Ammortamento EBIT – Interessi passivi su mutui - Interessi bancari Reddito lordo - Imposte dell’esercizio Reddito netto dell’esercizio 20X5 15.280 -13.478 -1.466 1.498 -840 -254 -19 721 -250 471 -57 -205 209 -90 119 20X6 15.739 -13.896 -1.498 1.544 -866 -261 -19 743 -250 493 -54 -172 267 -115 152 3.15.5 La chiusura dello Stato Patrimoniale Con la determinazione degli oneri finanziari, dell’imposte e del risultato dell’esercizio, abbiamo tutte le informazioni che ci servono per chiudere lo stato patrimoniale. Non dobbiamo fare altro che eliminare la grandezza “Utile da dividere” fra i soci, Banche e Stato” ed inserire in sostituzione: il debito per interessi (da aggiungere all’indebitamento bancario); il debito per imposte (da compensare con l’acconto per imposte sul reddito); il risultato economico (da inserire nel patrimonio netto). Attivo Crediti v/clienti Merce in magazzino Credito Iva Crediti per imposte sul reddito Attività correnti Immobilizzazioni -fondo ammortamento Attività immobilizzate Totale attivo 20X4 4.986 1.466 89 293 6.834 5.334 -2.633 2.701 9.535 Passivo e netto Capitale sociale Riserve di utili Reddito netto dell’esercizio Patrimonio netto Fondo Tfr Debito v/dipendenti Debiti verso fornitori Debito Iva Debiti tributari Passività correnti Debiti verso banche Mutui 20X4 1.400 178 129 1.707 171 38 3.296 20X5 1.400 239 119 1.758 190 39 3.369 113 3.505 3.365 957 3.711 2.706 912 56 20X5 5.136 1.498 20X6 5.290 1.544 2 6.636 5.334 -2.883 2.451 9.087 6.834 5.334 -3.133 2.201 9.035 20X6 1.400 290 152 1.842 209 40 3.473 205 38 3.965 2.363 864 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Attivo Debiti Totale passivo e netto 20X4 4.322 9.535 20X5 3.618 9.087 20X6 3.227 9.035 3.15.6 La costruzione del Rendiconto finanziario previsionale Il Rendiconto è un documento obbligatorio solo per le società che hanno adottato gli IAS, un numero limitato di realtà rispetto al totale delle imprese. Per tale motivo, questo strumento è ancora oggi un oggetto oscuro per molte imprese, che non ne comprendono appieno le potenzialità informative. La scarsa diffusione è, inoltre, dovuta alla mancanza di un contributo teorico ben strutturato sul meccanismo di costruzione, che appare spesso confuso o troppo complesso. In realtà il processo di costruzione è indicato dalla definizione stessa di rendiconto: un prospetto che contiene flussi finanziari; e i flussi finanziari non sono altro che differenze di fondi. Ma vediamo quali sono i passaggi logici che dovete seguire per predisporre velocemente il vostro rendiconto finanziario previsionale. La costruzione passa attraverso lo “sfruttamento informativo” del bilancio previsionale che avete già redatto. In concreto dovrete effettuare le seguenti attività: determinare le variazioni di tutti i conti dello stato patrimoniale, intervenute tra due esercizi; inserimento delle stesse all’interno dello schema di rendiconto prescelto; effettuazione delle rettifiche al risultato economico, per eliminare l’effetto delle componenti non monetarie. La prima fase vi permetterà di trasformare dei fondi in flussi. Facendo, infatti, le differenze tra i valori che le singole voci dello stato patrimoniale assumono in due esercizi differenti, si ottengono per ciascuna di esse i relativi flussi. Un consiglio di ordine pratico, la successione più opportuna dei termini delle differenze è la seguente: per l’attivo, fare il vecchio esercizio meno il nuovo (una diminuzione di attività avrà segno positivo e rappresenterà un afflusso di liquidità); per il passivo, il nuovo meno il vecchio (un aumento di debiti avrà segno positivo e rappresenterà un afflusso di liquidità). Prendiamo ad esempio gli anni 2013 e 2014 del piano industriale della società Hepta; applicando queste regole avremo la seguente situazione: Attivo Crediti v/clienti Merce in magazzino Credito Iva Crediti per imposte sul reddito Attività correnti Immobilizzazioni -fondo ammortamento Attività immobilizzate Totale attivo 20X4 4.986 1.466 89 293 6.834 5.334 -2.633 2.701 9.535 Passivo e netto Capitale sociale Riserve di utili Reddito netto dell’esercizio 2013 Reddito netto dell’esercizio 2014 Patrimonio netto Fondo Tfr 2013 1.400 178 129 © Cesi Multimedia 1.707 171 20X5 5.136 1.498 2 6.636 5.334 -2.883 2.451 9.087 2014 1.400 239 119 1.758 190 Differenze -150 -32 89 291 198 0 250 250 448 Differenze 0 61 -129 119 51 19 57 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Passivo e netto Debito v/dipendenti Debiti verso fornitori Debito Iva Debiti tributari Passività correnti Debiti verso banche Mutui Debiti Totale passivo e netto 2013 38 3.296 2014 39 3.369 113 3.505 3.365 957 4.322 9.535 3.711 2.706 912 3.618 9.087 Differenze 1 73 113 0 206 -659 -45 -704 -448 Il controllo che dovrete effettuare al termine di questa fase è che la variazione intervenuta complessivamente in tutte le voci dell’attivo patrimoniale sia uguale ma di segno contrario alla variazione complessiva delle voci del passivo patrimoniale. Effettuata questa verifica, la fase successiva è l’inserimento delle differenze che avete calcolato all’interno dello schema di rendiconto che avete scelto. Nel nostro caso è lo schema che abbiamo proposto nel capitolo 11.5. Tavola 33 – Rendiconto finanziario – configurazione secondo il criterio funzionale (valori in milioni di euro) Utile netto (perdita) dell’esercizio Flusso operativo lordo (Aumento)/diminuzione Rimanenze (Aumento)/diminuzione Crediti commerciali Aumento/(diminuzione) Debiti commerciali Aumento/(diminuzione) Fondi e altro Totale (Aumento)/Diminuzione Capitale circolante Flusso di cassa della gestione corrente Aumento)/diminuzione immobilizzazioni materiali Aumento)/diminuzione immobilizzazioni immateriali Aumento)/diminuzione immobilizzazioni finanziarie Totale (Aumento)/Diminuzione Capitale fisso Flusso di cassa operativo (Aumento)/diminuzione patrimonio – dividendi (Aumento)/diminuzione debiti finanziari 119 119 -32 230 187 19 404 523 250 250 773 -68 704 Inserite nelle variazioni nello schema, non vi resta che rettificare il risultato economico da quelle componenti che non hanno caratteristiche monetarie, come ad esempio gli ammortamenti. Dovrete operare secondo la seguente successione: rettificare il risultato economico dell’influsso di ciascuna di esse (se si tratta di costi li dovrete aggiungere, se si tratta di ricavi li dovrete sottrarre) rettificare per lo stesso importo ma con segno contrario il flusso patrimoniale a cui questi si riferiscono. Nel nostro caso dobbiamo aggiungere gli ammortamenti al risultato economico e toglierli dalla variazione delle immobilizzazioni materiali. 58 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 34 – Rendiconto finanziario – configurazione secondo il criterio funzionale (valori in milioni di euro) Utile netto (perdita) dell’esercizio Ammortamenti Flusso operativo lordo (Aumento)/diminuzione Rimanenze (Aumento)/diminuzione Crediti commerciali Aumento/(diminuzione) Debiti commerciali Aumento/(diminuzione) Fondi e altro Totale (Aumento)/Diminuzione Capitale circolante Flusso di cassa della gestione corrente Aumento)/diminuzione immobilizzazioni materiali Aumento)/diminuzione immobilizzazioni immateriali Aumento)/diminuzione immobilizzazioni finanziarie Totale (Aumento)/Diminuzione Capitale fisso Flusso di cassa operativo (Aumento)/diminuzione patrimonio – dividendi (Aumento)/diminuzione debiti finanziari 119 250 369 -32 230 187 19 404 773 0 773 -68 704 Dopo questa semplice operazione il rendiconto finanziario è pronto. 3.16 Analisi di sensitività Il processo di pianificazione che porta alla costruzione del vostro piano industriale si basa, come abbiamo visto, su una serie di assunzioni e quindi per sua natura si svolge in condizioni di incertezza. Per questo motivo è particolarmente importante, per rafforzare la credibilità complessiva del documento, presentare un’analisi di sensitività rispetto alle principali variabili qualitative e quantitative. L’analisi di sensitività deve essere condotta ipotizzando scenari diversi (più ottimistici e più pessimisti) ai quali associare uno specifico tasso di probabilità. In concreto, l’analisi di sensitività dovrebbe essere effettuata considerando l’effetto sui principali dati economici, patrimoniali e finanziari (ad esempio fatturato, margine operativo, utile netto, posizione finanziaria netta, investimenti) della variazione dei seguenti elementi: Principali key value driver Principali variabili esterne di settore Azioni realizzative maggiormente rilevanti La tavola seguente mostra, a titolo esemplificativo, la variazione dell’EBITDA al variare del numero di clienti. 3.17 Premessa Il vostro piano industriale finirà nelle mani di lettori molto attenti. È importante, quindi, che comprendiate profondamente i criteri che essi utilizzeranno per esprime il proprio giudizio di valutazione. Tipicamente le analisi che vengono effettuate riguardano i seguenti profili: la convenienza economica; la sostenibilità finanziaria; la coerenza; l’attendibilità. © Cesi Multimedia 59 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 35 – Profili di analisi del piano industriale 3.18 La convenienza economica La valutazione di un piano industriale sotto il profilo economico si basa sul calcolo di alcuni indicatori molto significativi. Per gli analisti, ad esempio, ha grande importanza la misura dell’EBITDA (Earning Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortisation) nei diversi anni di piano, che può essere desunta direttamente dagli schemi di conto economico che vi abbiamo presentato nel capitolo precedente. L’EBITDA è un risultato economico intermedio (in pratica è il reddito operativo al lordo degli ammortamenti), diffusamente utilizzato nella pratica per misurare la redditività generata dalle operations e allo stesso tempo esprime la capacità di autofinanziamento dell’azienda. Tale indicatore viene anche utilizzato come elemento determinante nelle valutazioni dell’“Enterprise Value” (Metodo del Multiplo di Mercato), che consente di determinare il valore economico dell’azienda moltiplicando un parametro di redditività (EBITDA in questo caso) per un multiplo determinato dal raffronto con imprese appartenenti ad un campione significativo; per giungere al valore del patrimonio bisogna rettificare l’importo così determinato con il valore di mercato del debito finanziario esistente. Le aziende inserite nel campione devono possedere caratteristiche di uniformità con l’azienda da valutare. L’EBITDA risulta essere una grandezza di riferimento non influenzata né da politiche di bilancio (ammortamenti, imposte ecc.) né dalla situazione finanziaria. Gli analisti danno grande importanza anche al c.d. l’EBITDA margin, un indice di bilancio ottenuto dal rapporto tra l’EBITDA e i ricavi; più questo indice è elevato, più l’azienda ha una redditività operativa elevata ed è in grado di produrre utili in proporzione alle proprie vendite. Altro osservato speciale è l’EBIT (Earning Before Interest and Taxes), anch’esso desumibile direttamente dai nostri schemi di conto economico previsionale, che esprime la capacità dell’impresa di generare reddito attraverso la propria attività caratteristica. Fornisce informazioni simili all’EBITDA, rispetto al quale però è un indicatore della ricchezza operativa più volatile e meno oggettivo, in quanto considera gli ammortamenti che possono essere oggetto di politiche di bilancio (si pensi ad esempio agli ammortamenti dei beni immateriali). Il rapporto tra l’EBIT e i ricavi restituisce l’indice di redditività operativa, meglio noto come ROS (Return on Sales), che esprime la percentuale di ricavi che residua dopo la copertura dei costi della gestione operativa. L’analisi della redditività, infine, non può prescindere dal calcolo di due importantissimi indici: il ROCE e il ROE. Il ROCE (Return on Capital Employed), dato dal rapporto tra EBIT e capitale investito, fornisce un’indicazione sintetica della capacità dell’azienda di generare una redditività operativa adeguata alle esigenze di remunerazione dei finanziatori. 60 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Il ROE (Return on Equity), invece, calcolato facendo il rapporto tra il reddito netto e patrimonio netto, esprime sostanzialmente il rendimento annuo per gli azionisti. Tavola 36 – Valutazione della convenienza economica 3.19 La sostenibilità finanziaria La sostenibilità finanziaria del vostro piano industriale verrà valutata verificando, innanzitutto, che flussi di cassa che avete ipotizzato nel periodo di piano siano adeguati e correttamente stimati; l’obiettivo è quello di verificare che, nel loro complesso, le dinamiche finanziarie siano in grado di supportare il raggiungimento dei vostri obiettivi. Se il lettore del vostro piano industriale è una banca, essa sarà particolarmente interessata a verificare che la vostra azienda sia in grado di generare flussi di cassa sufficienti a garantire senza particolari problemi il regolare rimborso del debito. Al riguardo un indicatore molto significativo, desumibile dal rendiconto finanziario, è il flusso di cassa della gestione corrente, che dipende sostanzialmente dalla capacità di autofinanziamento (EBITDA) e dalla sua capacità di ottimizzare la gestione del capitale circolante netto commerciale. Ad esempio, rapportando questo indicatore alla somma degli oneri finanziari e della quota capitale del debito, si ottiene il c.d. Debt Service Coverage Ratio (DSCR), un indice molto efficace per capire se l’azienda è in grado di sostenere il debito attraverso i flussi di cassa operativi. Se la vostra azienda presenta un’elevata capacità di generare flussi di cassa operativi, la valutazione non può che essere positiva, in quanto significa che siete in grado di far fronte a vostri investimenti e a sostenere elevati livelli d’indebitamento. In questo senso, è molto significativo il c.d. Free cash flow, calcolato come differenza tra il flusso di cassa operativo e il flusso di cassa della gestione investimenti; questo valore esprime i flussi di cassa di cui l’azienda può “liberamente” disporre per: pagare gli oneri finanziari, rimborsare il debito in essere, distribuire dividendi ai soci. Nella stima del Free cash flow, assumono rilevanza sia i flussi di cassa generati dalle operation sia quelli assorbiti dagli investimenti. Riguardo ai primi, è opportuno che valutiate attentamente, anche attraverso un’analisi di sensitività, l’evoluzione dei fabbisogni di capitale circolante rispetto alle previsioni di vendita, alle condizioni riservate ai clienti e ottenute dai fornitori, ai cambiamenti dell’assetto logistico e alle variazioni del mix di canali di vendita e del portafoglio prodotti/servizi. Riguardo agli investimenti, invece, dovrete fare attenzione agli importi stanziati, alla manifestazione temporale dei flussi finanziari e all’eventuale impatto di agevolazioni. Un metodo che utilizza i flussi di cassa è l’UNDCF (Unlevered Discounted Cash Flow) che stima il valore di un’azienda sulla base dei flussi di cassa prima delle componenti finanziarie (Free cash flows). Il valore dell’azienda nel suo complesso, è determinato sommando i Free Cash Flows attualizzati ad un tasso che riflette il costo medio ponderato del capitale: W = Sommatoria FCF/(1+i)t + TV/(1+i)t dove FCF = FREE CASH FLOWS i=Kc=WACC=(D/D+E ) x Kd + (E/D+E) x Ke = costo medio ponderato del capitale della società target e/o da acquisire © Cesi Multimedia 61 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Ke = costo dell’equity = rendimento attività prive di rischio + premio al rischio Kd = costo del debito TV = terminal value Oltre ai flussi di cassa, la valutazione del vostro piano industriale riguarderà anche la verifica: dell’esistenza di un equilibrio tra tipologia di fonti ed impieghi; dell’effettiva reperibilità delle fonti di finanziamento previste nel piano industriale. Pertanto, nel caso in cui il vostro piano industriale contempli un notevole utilizzo del credito bancario, sarà importante che abbiate valutato preventivamente la vostra capacità di indebitamento e il vostro “merito creditizio”. Un metodo sintetico ed efficace per valutare la capacità di indebitamento dell’azienda è dato dal raffronto tra l’EBITDA e la Posizione Finanziaria Netta (PFN = Sommatoria di tutti i debiti finanziari al netto delle disponibilità di cassa e altre attività finanziarie prontamente liquidabili). Valori della PFN inferiori od uguali a 3 o 4 volte il valore dell’EBITDA, rappresenta il limite estremo che caratterizza un’impresa con una buona capacità di indebitamento; valori superiori evidenziano criticità via via crescenti. In pratica se l’azienda non riesce ad generare al proprio interno redditività e quindi cassa tale da sostenere l’indebitamento contratto, perché troppo elevato in confronto, risulta evidente il giudizio negativo dei potenziali finanziatori. Tavola 37 – Valutazione della sostenibilità finanziaria 3.20 La Coerenza La coerenza è un requisito imprescindibile per il vostro piano industriale; è quindi fondamentale che verifichiate, prima di diffonderlo, che tutti i suoi elementi siano tra di loro allineati e concordanti. Problemi di coerenza, ad esempio, potrebbero verificarsi qualora i piani operativi (investimenti, reperimento di risorse, modifiche organizzative, ecc.) risultino del tutto disallineati rispetto agli obiettivi strategici dichiarati nel piano industriale. Problematica è anche la situazione in cui le intenzioni strategiche e le azioni ipotizzate non trovino adeguato riflesso nelle proiezioni economiche finanziarie: si pensi al caso in cui un’azienda che preveda una forte crescita del fatturato grazie al potenziamento delle attività promozionali e pubblicitarie, senza però mostrare nel proprio bilancio previsionale un’adeguata crescita delle spese di marketing. Un altro aspetto, che viene di solito valutato, è l’effettiva realizzabilità dei piani operativi in relazione alle risorse attuali e prospettiche di cui l’azienda dispone, alla tempistica proposta, alla capacità del management e così via. Di norma un “valutatore” del piano industriale è particolarmente attento al vostro track record nell’elaborazione di piani/budget: vi richiederà presumibilmente che gli vengano sottoposti anche budget precedentemente elabo62 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale rati, che provvederà a raffrontare con i relativi consuntivi verificandone quindi il livello di scostamento. Risulta ovvio che elevati scostamenti negativi tra consuntivi e budget evidenzino una “scarsa” capacità di fondo nell’elaborare budget attendibili. Tavola 38 – Valutazione della coerenza Allineamento tra piani operativi e intenzioni strategiche Misure per la valutazione della COERENZA Realizzabilità in relazione a risorse disponibili, tempistica, capacità manageriale, ecc. Capacità di elaborare piani/budget Analisi scostamenti tra budget precedentemente elaborati e consuntivi 3.21 L’attendibilità Del vostro piano industriale, infine, verrà valutata l’attendibilità rispetto ad una serie di dimensioni, quali il contesto competitivo, i risultati storici, la visibilità e l’analisi di sensitività. Situazioni critiche possono manifestarsi, ad esempio, nel caso in cui sia evidente che la vostra azienda abbia: sovrastimato la domanda di mercato individuando in maniera non corretta il mercato di riferimento; evitate di “costruire” delle rette lineari tendenti verso l’alto, che rappresentano trend a tassi esponenziali crescenti. ipotizzato strategie di crescita che non trovano conferma con le tendenze in atto nei bisogni dei consumatori. ipotizzato di accrescere la propria quota di mercato senza tener conto delle possibili reazioni dei competitor; sottostimato il potere contrattuale dei fornitori e dei distributori, con l’effetto di produrre delle stime di margini di contribuzione e di capitale circolante non attendibili. Nella valutazione dell’attendibilità, un peso rilevante hanno anche i risultati che la vostra azienda ha conseguito nel passato; situazioni critiche potrebbero manifestarsi, qualora senza un’adeguata giustificazione, il vostro piano industriale evidenzi: tassi di crescita del fatturato sensibilmente più alto di quello realizzato negli ultimi anni; ipotesi di crescita fatturato in nuove aree geografiche non supportate da casi di ingresso con successo in nuove aree geografiche nei precedenti esercizi; ipotesi di crescita del fatturato più che proporzionale rispetto alla crescita prevista della domanda, laddove la società non abbia mai ottenuto tale risultato nei precedenti esercizi; prospettive di forte miglioramento dell’efficienza e/o di razionalizzazione delle strutture centrali non supportate da analoghi risultati ottenuti in passato o da un convincente progetto di ristrutturazione; forte riduzione prospettica del capitale circolante netto non avvalorata da un analogo trend storico. © Cesi Multimedia 63 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 39 – Valutazione dell’attendibilità Contesto competitivo Risultati storici Dimensioni per la valutazione della ATTENDIBILITÀ Visibilità Analisi sensitività Risultati conseguiti in passato Tavola 40 - Principali caratteristiche delle valutazioni Sostenibilità finanziaria Coerenza Attendibilità Equilibrio tra cash flow, Δ working capitale e capex di mantenimento e di sostituzione Ricorso al capitale proprio (IPO e /o aumento di capitale) e al debito solo per finanziare investimenti finalizzati alla crescita Ricorso al capitale di debito vs capacità di indebitamento e solvibilità aziendale Prudenza nel considerare i proventi dell’IPO Requisito endogeno Coerenza tra strategia e Action Plan Coerenza tra strategia, Action Plan, ipotesi e proiezioni economico-finanziarie Realizzabilità dell’Action Plan rispetto alle risorse e alla tempistica Compatibilità con le dinamiche competitive Confrontabilità con trend storici Visibilità previsioni rispetto ai dati consuntivi dell’esercizio in corso e al portafoglio ordini 3.22 La valutazione del piano industriale nell’ambito di un’operazione di M&A2 Il caso di seguito illustrato è relativo all’acquisizione di una società industriale europea, di seguito denominata TARGET.EU, da parte di un gruppo industriale Italiano, di seguito STAR.IT. STAR.IT attraverso l’acquisizione di TARGET.EU mirava a raggiungere una posizione di leadership nel mercato europeo. I soci industriali di STAR.IT avevano coinvolto nel progetto di acquisizione anche investitori finanziari attraverso un aumento di capitale riservato: i soci industriali che dopo il suddetto aumento avrebbero continuato a detenere la maggioranza della società, sarebbero stati affiancati da investitori finanziari rappresentati da: due istituti di credito internazionali, due istituti di credito nazionali, un fondo di private equity. ------------------------------------------2 Paragrafo curato dal dott. Claudio Gigli. 64 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Al fine di sostenere l’acquisizione di TARGET.EU, gli azionisti Industriali erano ricorsi anche a strutture di debito concordate con altri istituti di credito, facendo scattare automaticamente in capo alla società (STAR.IT) la clausola di “Non diluizione nel capitale” volta tutelare gli azionisti finanziari attraverso la costituzione di pegno sulle azioni di STAR.IT detenute dai partner industriali. Il piano industriale di TARGET.EU era stato elaborato dal management, in collaborazione con una primaria società internazionale di advisoring, e successivamente sottoposto alla valutazione dei manager di STAR.IT e dei suoi consulenti, che a tal fine avevano anche predisposto un Piano Industriale “Integrato”. Il piano industriale di TARGET.EU rappresentava il consolidato industriale di gruppo di 7 società dislocate in diversi Stati, che costituivano il perimetro dell’acquisizione. TARGET.EU operava nello stesso settore industriale di STAR.IT, con prodotti raggruppabili in cinque differenti famiglie prodotto/AREE STRATEGICHE DI AFFARI (ASA), denominabili K,J,W,X,Z. Delle suddette ASA, “W” era nella fase di Start up, ed era impegnata nello sviluppo di una serie di prodotti destinati ai mercati Asiatici. Un’offerta “binding” per l’acquisto dell’intero gruppo TARGET.EU era stata effettuata nell’anno 20X2 sulla basse del bilancio consuntivo del primo trimestre 20X2 e del forecast 20X2 sui restanti 9 mesi. I risultati di TARGET.EU consuntivi nell’esercizio 20X1 erano stati significativamente inferiori al budget elaborato per il periodo; parimenti i risultati nel primo trimestre 20X2 erano inferiori al budget di periodo. Tavola 41 -Trend trimestrale risultati 20X1 VS budget 20X2 (valori in milioni di euro) FATTURATO EBITDA 1° TRIM 20X1 155 5 2° TRIM 20X2 bdgt 20X1 152 156 3,2 4 3° TRIM 20X2 bdgt 20X1 165 185 7,1 13 4° TRIM 20X2 bdgt 20X1 196 188 21,1 5,7 20X2 bdgt 205 19,2 La tabella sopra riportata sintetizza i risultati delle 7 società individuate come perimetro dell’operazione. Di seguito, invece, viene fornito il raffronto dei risultati consuntivi dei mesi gennaio e febbraio 20X2 con il budget. Tavola 42 -Raffronto dati consuntivi (valori in milioni di euro) FATTURATO EBITDA GEN-FEB 20X2 ACT 97 -0,2 GEN-FEB 20X2 BDGT 108 1,9 DELTA -11 -2,1 La valutazione del piano industriale Dalla valutazione del piano industriale del gruppo TARGET.EU emergevano i seguenti punti di forza e di debolezza. Tavola 43 – Punti di forza e di debolezza emersi nel piano industriale PUNTI DI FORZA A. Ampia gamma prodotti con significativa e rilevante quote del mercato europeo in 3 delle 5 ASA individuate. B. Significativa presenza in 5 importanti paesi europei esclusa Italia. C. Brand Consolidati D. Elevata capacità di ricerca e sviluppo prodotto E. Service post vendita in 2 importanti paesi europei PUNTI DI DEBOLEZZA A. Bassa profittabilità, al di sotto della media del settore B. Crisi economica in un paese dove erano “pesantemente” presenti C. Una delle sette società appartenenti al gruppo, PAC.EU, e rientranti nel perimetro era in fase di turnaround e non ancora “out of tunnel” Considerati i punti di debolezza, il piano industriale elaborato dal management di TARGET.EU veniva modificato in maniera sostanziale, soprattutto per effetto della revisione delle previsioni relative ad una delle partecipate localizzata nel paese in forte crisi economica. © Cesi Multimedia 65 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale L’EBITDA stimato nel piano per il 20X2 veniva ridotto di oltre il 65% (primo esercizio del piano triennale elaborato), considerato che la crisi in atto e la conseguente svalutazione monetaria, nel breve periodo, avrebbero avuto un “drammatico” impatto sul business; il recupero veniva previsto per la prima metà del 20X3. Per il resto, a parte una revisione di circa il 15% su di un’altra partecipata, venivano confermati gli output del piano stand alone. La valutazione, inoltre, veniva sviluppata attraverso l’individuazione dei seguenti scenari UPSIDE e DOWNSIDE. Tavola 44 – Gli scenari upside e downside emersi nel piano industriale UPSIDE CASE A. Lo scenario UPSIDE coincide con il piano industriale revisionato B. Lo scenario è ritenuto ambizioso ma fattibile alle seguenti condizioni: il nuovo prodotto dell’ASA “W” sostiene l’export verso i paesi asiatici; il paese in crisi economica migliora la propria condizione velocemente DOWNSIDE CASE A. La società in Turnaround, (PAC.EU), non riesce ad uscire dal tunnel. B. Riduzione delle vendite seguendo il trend di decremento attuale, in termini di quote di mercato e di prezzi unitari di vendita. C. Più problemi del previsto nella gestione della riduzione del personale: + 25% di maggiori costi dei tagli. D. Obiettivo della riduzione del capitale circolante di 10 milioni di euro non raggiungibile. Di seguito la sintesi del piano Stand Alone revisionato dal Management di TARGET.EU e successivamente rivisto da STAR.IT e il confronto tra i due scenari. Tavola 45 – Piano industriale stand alone TARGET.EU (upside case) con revisione STAR.IT (base case ) (valori in milioni di euro) BDGT 20X1 CONS 20X1 745 684 46 6,2% 27,7 4% MANAGEMENT REV TARGET.EU Piano industriale (upside case) 20X2 20X3 20X4 665 697 730 -2,8% 4,8% 4,7% 34 43 63 5,1% 6,2% 8,6% CAPITALE CIRCOLANTE NETTO % Fatturato 145 19,5% 186 27,2% 185 27,8% 190 27,3% 194 26,6% 171 27,0% 176 26,6% INVESTIMENTI (CAPEX) 18 16 30 20 22 25 16 FATTURATO (%Y/Y) EBITDA adjusted % Fatturato STAR.IT REV Piano industriale (base case) 20X2 20X3 633 661 -7,5% 4,4% 24 34 3,8% 5,1% 20X4 690 4,4% 51 7,4% delta delta delta 20X2 20X3 20X4 -32 -36 -40 -10 -9 -12 181 26,2% -14 -14 -13 16 -5 -4 -6 Tavola 46 – Piano industriale stand alone TARGET.EU con revisione STAR.IT – Base case vs Downside ca- se (valori in milioni di euro) STAR.IT REV Piano industriale (base case) STAR.IT REV Piano industriale (downside case) FATTURATO BDGT 20X1 745 CONS 20X1 684 20X2 663 20X3 661 20X4 690 (%Y/Y) EBITDA adjusted % Fatturato 46 6,2% 27,7 4,0% -7,5% 4,4% 24 34 3,8% 5,1% 4,4% 51 7,4% 66 20X2 595 13,0% 18 2,8% 20X3 605 20X4 620 1,6% 22 3,3% 2,3% 48 7,0% delta 20X 2 -38 delta 20X 3 -56 delta 20X 4 -70 -6 -12 -3 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale CAPITALE CIRCOLANTE NETTO 145 186 % Fatturato 19,5% INVESTIMENTI (CAPEX) 18 176 26,6 % 181 26,2 % 175 27,2% 171 27,0 % 182 29,4 % 4 2 1 29,4% 178 29,4 % 16 25 16 16 29,2 18,1 17,1 4,2 2,1 1,1 Sinergie integrazione Dopo aver analizzato attentamente il piano industriale stand alone, venivano considerate dall’acquirente le sinergie derivanti dall’acquisizione. Il Rationale strategico dell’Acquisizione veniva sintetizzato nei seguenti punti: a) complementarietà di prodotto e mercato; b) forte presenza e marchi consolidati in almeno 3 paesi europei; c) miglioramento della profittabilità prospettica anche attraverso expertise/competencies di STAR.IT; d) economie di scala; e) unico servizio assistenza e gestione ricambi in almeno due paesi europei. La forte complementarietà di prodotto e di mercato veniva valutata attraverso le seguenti tabelle di sintesi. Tavola 47 – Complementarità del prodotto FAMIGLIE PRODOTTO/ASA K J W X Z TARGET.EU 5 2 3 1 5 STAR.IT 2 5 1 5 1 TARGET.EU 5 5 1 3 5 3 5 3 1 1 STAR.IT 1 1 5 3 3 1 1 3 5 5 1 = Presenza debole 2 = Presenza forte Tavola 48 – Complementarità del mercato EUROPA 1 EUROPA 2 EUROPA 3 EUROPA 4 EUROPA 5 EUROPA 6 EUROPA 7 EUROPA 8 EASTERN EUROPE FAR EAST-CHINA L’integrazione avrebbe consentito potenzialmente a STAR.IT di superare il 12% del mercato europeo, incrementando di circa 8 punti percentuali la propria quota di mercato sul mercato europeo. La valutazione dell’impatto delle Sinergie sull’EBITDA veniva, invece, così riassunta. Tavola 49 – Breakdown Sinergie su EBITDA ipotesi 20x4 (valori in milioni di euro) Incremento vendite Produzione Acquisti Costi commerciali Ricerca e sviluppo Costi di struttura Totale © Cesi Multimedia base case TARGET.EU 1,6 3 0,6 7,4 0 0 12,6 base case STAR.IT 4,5 6 5,3 8,2 1 2,2 27,2 base case COMBINATE 6,1 9 5,9 15,6 1 2,2 39,8 67 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Oltre alle Sinergie descritte venivano rilevate altre potenziali sinergie non considerate nel piano industriale combinato dei due gruppi: a) recupero delle apparecchiature di produzione dismesse che potevano essere alienate o riutilizzate negli impianti dell’acquirente; b) risparmi fiscali a seguito write off di alcuni asset e ottimizzazione delle “legal entities”. L’impatto positivo delle sinergie poteva però essere messo in discussione dai seguenti fattori: a) integrazione di differenti culture e resistenza al cambiamento; b) difficoltà nella ristrutturazione; c) uscita di alcune figure chiave del management di TARGET.EU . Peraltro, non venivano prese in alcuna considerazione le sinergie con altre business unit/legal entities appartenenti a STAR.IT, e le ipotesi relative agli acquisti di materie erano senz’altro molto prudenziali. Il Piano industriale integrato delle due entità, infine, prendeva in considerazione i così detti “one-off cost”, ovvero i costi una tantum legati all’acquisizione, come i transaction cost, e costi connessi con integrazione dell’Information Technology (IT), l’interruzione dei rapporti con parte del management, il trasferimento di produzioni, ecc. Sintesi Piano Industriale “Integrazione”: Valutazione partner finanziari Tavola 50 – Piano industriale STAR.IT + TARGET.EU – Base case (valori in milioni di euro) TARGET.EU revised Piano industriale (base case) STAR.IT Piano industriale (base case) SINERGIE Piano industriale (base case) 20X 20X4 20X2 3 20X4 705 2 8 6,1 20X2 663 20X3 661 20X4 690 20X2 659 20X3 648 34 5,1% -5,5 51 7,4% -0,8 77 11,7% -1,9 82 93 12,7% 13,2% One off Costs 24 3,8% -6,2 CAPITALE CIRCOLANTE NETTO % Fatturato 171 27,0% 176 26,6% 181 26,2% 110 16,7% 105 101 0,6 16,2% 14,3% FREE CASH FLOW PRE TAX INVESTIMENTI (CAPEX) 17,9 25 20 16 28 16 45 28 FATTURATO (%Y/Y) EBITDA adjusted % Fatturato 66 19,6 65 16,4 1 22 -13 -14,3 -8,2 -0,9 STAR.IT + TARGET.EU Piano industriale (base case) 20X2 20X3 20X4 1.294 1.317 1.404,1 1,8% 6,4% 39,8 102 138 183,8 7,9% 10,5% 13,1% -0,2 -21,1 -19,8 -1 0,5 1,9 9 -3 31 -3,2 281,6 281,5 283,9 21,8% 21,4% 20,3% 54,7 52,1 95 32,6 124 29,2 L’operazione veniva valutata positivamente anche dai partner finanziari, che davano così il loro assenso alla sua realizzazione. L’elemento fondamentale nella valutazione degli investitori finanziari risultava il track record del top management di STAR.IT, che aveva dato ripetute prove della capacità di condurre a termine operazioni di successo. La valutazione dei piani di fattibilità, come è normale per gli operatori finanziari, veniva effettuata considerando la capacità di generare cassa (Free Cash Flow pre tax). TARGET.EU, essendo estremamente liquida, avrebbe valorizzato ulteriormente il gruppo industriale in un ottica finanziaria: la potenziale quotazione in borsa, avrebbe consentito il realizzo di plusvalenze da parte del Fondo Private Equity e degli altri investitori finanziari. Questi ultimi a fronte dell’aumento di capitale loro richiesto, avevano però la sottoscrizione di patti parasociali disciplinanti i seguenti obblighi/impegni: a) obbligo alla quotazione entro 3 anni dall’acquisizione; in mancanza possibilità degli azionisti finanziari di attivare la vendita del 100% della società conferendo apposito mandato ad una primaria banca di affari; b) piano di incentivazione azionaria a favore di dipendenti e del management di STAR.IT; c) impegno dei partner finanziari e dei partner Industriali a costituire pegno sulle azioni di Star.it a garanzia della strutturazione dei finanziamenti necessari a sostenere l’acquisizione; 68 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale d) diritto di nomina da parte degli azionisti finanziari di: almeno 3 consiglieri di amministrazione nella capogruppo su di un totale di 7 consiglieri; di almeno un consigliere nelle singole partecipate/controllate; di un sindaco effettivo e di uno supplente. Il prezzo dell’acquisizione Il prezzo dell’acquisizione veniva fissato in 140 milioni di euro, considerando un multiplo sul EBITDA a consuntivo 20X1 pari ad 8 volte l’EBITDA adusted e un enterprise Value (incluso il debito finanziario) pari a circa 220 milioni di euro. Tale valutazione rifletteva i multipli di società quotate omogenee a TARGET.EU, con l’applicazione di uno sconto pari al 20% considerato che quest’ultima società non era quotata. Peraltro tale sconto veniva di fatto più che assorbito dalla previsione di un premio di maggioranza pari al 25%. 3.23 La valutazione del piano industriale nell’ambito di un’operazione di turnaround 3 Nel 20X1 il gruppo industriale ABC S.p.A. svolgeva la propria attività attraverso le seguenti aree strategiche di affari (ASA): a) BRAND, largo consumo e professional; b) INDUSTRIAL, trasformazione di materiali per il settore alimentare; c) PRODOTTI SPECIALI INDUSTRIALI. I risultati economici dell’esercizio erano molto negativi: i ricavi consolidati pari a 400 milioni di euro avevano subito un decremento del 20% rispetto all’anno precedente e l’EBITDA era passato dai 21 mil a 10 mil. Il bilancio evidenziava una perdita di 5 milioni di euro, contro una perdita di 2,5 milioni realizzata nell’esercizio precedente. Le cause di tale peggioramento erano da imputare principalmente all’ASA INDUSTRIAL, il cui o del mercato di riferimento. Tavola 51 – ABC SpA – Risultati economici ABC SpA (valori in milioni di euro) FATTURATO (%Y/Y) EBITDA adjusted % Fatturato Dati consuntivi 20X0 500 20X1 400 21 4,2% 10 2,5% RISULTATO NETTO -18 -61 CAPITALE CIRCOLANTE NETTO % Fatturato EQUITY POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN) 120 24,0% 26 230 81 20,3% 35 250 Le perdite subite erano così elevate da rendere l’equity addirittura negativo per 35 milioni di euro. Anche il rapporto PFN/EBITDA aveva subito un forte peggioramento, passando da un valore di 10, già molto negativo, ad un valore di 25. Ciò era indice di una situazione estremamente “pesante” sotto il profilo finanziario, che pregiudicava fortemente la capacità di ricorso al credito bancario (il rapporto per risultare equilibrato dovrebbe non essere superiore a 3 massimo 4 ). Ciò considerato gli azionisti avevano avviato trattative con due fondi di Private Equity per la risoluzione della “crisi aziendale”, anche attraverso la cessione totale dell’azienda. A tal fine, veniva elaborato un piano industriale di ristrutturazione da parte dei due Fondi di Private Equity, anche con la collaborazione di due manager dell’azienda caratterizzati da un track record significativo nel settore. Il piano prevedeva un deciso ridimensionamento dell’ASA INDUSTRIAL e la concentrazione degli investimenti nell’area BRAND. ------------------------------------------3 Paragrafo curato dal dott. Claudio Gigli. © Cesi Multimedia 69 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Il team di lavoro attivato era composto dagli Investment Manager dei due Fondi e dai due Manager sopra citati, i quali si erano resi disponibili anche ad acquisire una piccola quota della società. Il team, inoltre, era anche affiancato dai due proprietari originari che avevano gestito direttamente l’azienda. Le linee strategiche essenziali del piano industriale di turnaround prevedevano: ASA BRAND consolidamento della posizione di leadership nei settori largo consumo e professional con ulteriori relativi investimenti; ASA INDUSTRIAL drastico ridimensionamento; ASA PRODOTTI SPECIALI recupero di efficienza, contenimento costi di gestione e valutazione d cessione asset. Le assunzione sulla base del quale il piano veniva sviluppato erano le seguenti: a) contrazione dei ricavi da i 400 milioni del 20X1 a 360 milioni nel 20X5 a seguito del ridimensionamento dell’ASA Industrial, in parte attenuata dalla crescita della divisione prodotti; b) crescita dell’EBITDA da 10 milioni di euro del 20X1 ai 46 milioni del 20X5, grazie ad efficentamenti produttivi e al rafforzamento dell’ASA BRAND che garantiva maggiore redditività; c) ottimizzazione del Capitale Circolante Netto, da 81 milioni del 20X1 a 78 milioni di euro nel 20X5; d) riduzione della forza lavoro di circa il 25% (ridimensionamento area INDUSTRIAL); e) cessione di due immobili industriali ritenuti non più funzionali al business aziendale. Tavola 52 – ABC SpA – Piano industriale CONSOLIDATO (valori in milioni di euro) FATTURATO 20X1 400 20X2 340 20X3 245 20X4 351 20X5 360 EBITDA adjusted % Fatturato 10 2,5% 12,6 3,7% 34 13,9% 43 12,3% 46,5 12,9% RISULTATO NETTO -61 -8 3 11,6 17 CAPITALE CIRCOLANTE NETTO % Fatturato POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN) 81 20,3% -35 250 FREE CASH FLOW PFN/EBITDA 76 22,4% 57 155 95 73,6 30% 60 135 20 73 20,8% 72 112 23 74,4 20,7% 89 93,5 18,5 25 12 4 3 2 EQUITY Il valore dell’equity nel piano (20x2) reperisce l’ipotesi di proposta di ristrutturazione del debito, assumendo come equity anche gli strumenti finanziari partecipativi dopo la trasformazione di parte del debito. La tabella sopra riportata evidenzia gli obiettivi di miglioramento del rapporto PFN/EBITDA, considerato estremamente importante, in quanto espressione della capacità di indebitamento: in base al piano nel 20X5 sarebbe stato raggiunto un valore di 2, da considerarsi molto positivo. Analisi delle tre Asa Le linee strategiche dell’ASA BRAND che comprendeva le famiglie di prodotto, A,B,C., venivano così delineate: Tavola 53 – Le linee strategiche dell’ASA BRAND FAMIGLIA PRODOTTO A) FAMIGLIA PRODOTTO B) FAMIGLIA PRODOTTO C) PROFESSIONAL 70 Contenimento del trend di scoutistica, finalizzato al consolidamento della marginalità nel canale GDO Razionalizzazione gamma prodotto e lancio nuovi prodotti Specializzazione marchi Maggiori investimenti pubblicitari e rinnovamento del packaging Maggiore Selezione Clientela Ampliamento del mercato geografico di riferimento e del portafoglio prodotti Crescita volumi dovuta ad espansione Far East, marchi privati, lancio nuovi prodotti Cost saving approvvigionamenti (nuove materie prime e verticalizzazioni) Rinnovo del packaging e del design © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 54 – ABC SpA – Piano industriale ASA BRAND (valori in milioni di euro) FATTURATO 20X1 220 20X2 212 20X3 226 20X4 245 20X5 251 EBITDA adjusted % Fatturato 16 7,3% 16,6 7,8% 30 13,3% 36 14,7% 38 15,1% RISULTATO NETTO 5 7 10 14 16 CAPITALE CIRCOLANTE NETTO % Fatturato 30 13,6% 65 8 36 17% 72 4 38,6 17,1% 82 -4 43 17,6% 96 -11 43,4 17,3% 112 -17,5 4 8 7 6,5 EQUITY POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN) FREE CASH FLOW La suddetta area caratterizzata storicamente da risultati positivi, avrebbe contribuito fortemente al recupero di redditività aziendale. Per l’ASA INDUSTRIAL veniva invece ipotizzato un forte ridimensionamento e il perseguimento dei seguenti obiettivi: incremento efficienza produttiva attraverso trasferimento in un sito più efficiente e ottimizzazione dei consumi materie prime e riduzione degli scarti; ampliamento del mercato verso i paesi dell’Est Europa; nuovi sviluppi sul prodotto; tentativi di cessione business unit. Tavola 55 – ABC SpA – Piano industriale ASA INDUSTRIAL (valori in milioni di euro) FATTURATO 20X1 170 20X2 119 20X3 100 20X4 100 20X5 102 EBITDA adjusted % Fatturato -8 -4,7% -4 -3,4% 3 3% 6 6,0% 7,5 7,4% RISULTATO NETTO -61 -18 -7 -2 1 CAPITALE CIRCOLANTE NETTO % Fatturato 45 26,5% -30 234 35 29,4% 60 152 29 29% 53 146 24 24% 51 138 24 23,5% 52 132 82 6 8 6 EQUITY POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN) FREE CASH FLOW Infine, con riferimento all’ASA PRODOTTI SPECIALI il piano presentava i seguenti obiettivi: incremento efficienza produttiva attraverso trasferimento in un sito più efficiente; ottimizzazione dei consumi materie prime e riduzione degli scarti; ampliamento del mercato verso i paesi dell’Est Europa; nuovi sviluppi sul prodotto; tentativi di cessione business unit. © Cesi Multimedia 71 Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Tavola 56 – ABC SpA – Piano industriale ASA PRODOTTI SPECIALI (valori in milioni di euro) FATTURATO 20X1 10 20X2 9 20X3 10 20X4 11 20X5 12 EBITDA adjusted % Fatturato 0 0% 0 0% 1 10% 1 9,1% 1 8,3% RISULTATO NETTO -5 3 - - - CAPITALE CIRCOLANTE NETTO % Fatturato 4 40% 2 8 5 56% 5 -1 6 60% 5 -7 6 54,5% 5 -15 7 58,3% 5 -21 9 6 8 6 EQUITY POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN) FREE CASH FLOW L’operazione di turnaround si concretizzava con l’ingresso nel capitale dei due Fondi di Private Equity, che sottoscrivevano e versavano complessivamente a titolo di aumento di capitale il 90% di 20 milioni di euro. Il restante 10% del capitale sociale veniva sottoscritto e versato dai due manager che così diventavano i partner operativi. Le perdite eccedenti il patrimonio netto venivano coperte con la trasformazione di parte del debito consolidato in strumenti finanziari partecipativi (prestiti partecipativi). E, contestualmente alla operazione di aumento capitale sociale, veniva negoziata la seguente struttura finanziaria: 1) conversione, come sopra riportato, da parte degli istituti di credito finanziatori di 80 milioni di euro di debito consolidato in strumenti partecipativi; 2) riscadenziamento del residuo Debito Consolidato di 110 milioni di euro in 18 rate semestrali a partire dall’esercizio 20X3; 3) rinuncia da parte degli Istituti finanziatori agli interessi per il biennio 20X1,20X2, 20X3 sul residuo debito consolidato; 4) mantenimento da parte degli istituti finanziatori degli affidamenti di breve termine (smobilizzo, “nuova finanza” e factoring) e lettere di credito fino al 20X5; 5) disponibilità della società a destinare il 60% dei proventi rinvenienti dall’eventuale alienazione degli asset non strumentali per rimborsare anticipatamente i debiti riscadenzati, a valere sulla prima rata. Diritti degli Strumenti Finanziari Partecipativi Ai titolari di strumenti finanziari partecipativi, venivano riconosciuti i seguenti diritti: adeguata rappresentanza negli organi sociali; in caso di cessione della società a terzi, obbligo di trasferimento congiunto degli strumenti finanziari e delle azioni, e ripartizione del prezzo ricevuto complessivamente per entrambe le categorie come segue: a) una somma pari all’ammontare di capitale sottoscritto a titolo di aumento di capitale è destinata agli azionisti b) l’eccedenza è destinata quanto al 70% ai titolari di strumenti finanziari partecipativi e quanto al residuo 30% agli azionisti. Patti parasociali Tra i nuovi azionisti (finanziatori ed operativi) venivano, inoltre, siglati patti parasociali disciplinanti i seguenti aspetti: accordi di Governance; clausole Good e Bad leaver con i partner operativi; patti di non concorrenza per tre anni dall’eventuale uscita degli operativi; accordi di co-vendita azioni (Tag e drag along); incentivazioni a fronte di raggiungimento risultati da riconoscere ai partner operativi. 72 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Capire l’importanza del piano industriale Con gli azionisti originari venivano, invece, formalizzato: un accordo per la loro uscita dal capitale, che prevedeva in sintesi un earn out da pagare agli stessi, commisurato su un’aliquota della sommatoria dei NOPAT (Net Operating Profit after taxes) degli esercizi 20X2 e 20X3, più il 20% prezzo di alienazione degli asset non più strumentali; un patto di non concorrenza per tre anni a far data dall’operazione sul capitale. Considerazioni conclusive valutative In sintesi l’operazione di turnaround venne valutata considerando i seguenti aspetti positivi e negativi: Opportunità grande notorietà marchi del gruppo; elevate quote di mercato nel settore BRAND – Largo consumo; “unicum” nel settore in termini di massa critica, riconoscibilità ed esperienza nel mercato; margini di miglioramento della profittabilità aziendale, attraverso efficentamenti produttivi e maggiore incisività commerciale; nuovo management con track record di successo in imprese del settore. Minacce (Aree di attenzione) ristrutturazione ASA INDUSTRIAL: incertezza circa la ripresa del mercato, diffusa sovracapacità produttiva e compressione dei margini; dismissione degli asset non ritenuti strategici: difficoltà di dismissione considerata la crisi del settore immobiliare. © Cesi Multimedia 73 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria 4. Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Luca Capozucca Domandare non costa che un istante di imbarazzo, non domandare è essere imbarazzati per tutta la vita. Proverbio giapponese 4.1 Premessa Per gli imprenditori è importante comprendere quali sono gli indicatori che secondo le Banche e gli altri finanziatori, a cui si trovano a chiedere soldi, misurano le performances e il valore della propria impresa. Spesso si trovano a parlare con questi soggetti di indicatori quali PFN, PFN/EBITDA, PFN/PN ecc., ma si sentono a disagio perché non ne comprendono a fondo il significato. Per questo motivo riteniamo estremamente utile fornire un percorso logico di analisi finanziaria, semplice ma allo stesso tempo efficace, per valutare sulla base alcuni semplici indicatori i risultati attuali e prospettici della propria azienda. 4.2 Che cos’è l’analisi finanziaria L’analisi di tipo finanziaria viene tipicamente realizzata attraverso l’analisi di bilancio. Tale strumento risulta di fondamentale importanza per valutare lo status dell’impresa, poiché rappresenta un punto di partenza per varie decisioni di carattere strategico, operativo e finanziario. Nella prassi, l’analisi di bilancio, viene considerata come un’analisi di tipo statico, atta cioè a fotografare la situazione dell’impresa in un determinato istante: diviene importante poter collegare a tale analisi delle valutazioni strategiche, che manifestino in pieno la reale dinamicità dell’impresa. I documenti preliminari, necessari per l’analisi di bilancio, risultano essere tipicamente: stato patrimoniale; conto economico; nota integrativa. Attraverso tali prospetti è possibile anzitutto tradurre in termini numerici le scelte strategiche dell’impresa; nello specifico è possibile accertare: la situazione finanziaria di un’impresa, ovvero la capacità di far fronte in maniera efficiente agli impegni finanziari, sia in tempi brevi (liquidità) che in tempi medio-lunghi (solidità patrimoniale); la situazione economica di un’impresa, cioè valutare la sua capacità di creare valore. Concretamente, tale strumento viene utilizzato per: valutare le principali performance economiche, patrimoniali e finanziarie dell’impresa; comparare i risultati storici dell’impresa in un orizzonte temporale definito (di norma compreso tra i 3 ed i 5 anni); controllare la gestione aziendale attraverso dei dati che possano essere di supporto per l’elaborazione dei budget annuali; prendere decisioni di tipo finanziario, relativamente alla necessità/opportunità di forme di finanziamento ulteriori ed aggiuntive; valutare l’esistenza di situazioni di crisi d’impresa, prima che esse diventino patologiche; prendere decisioni di tipo strategico ed operativo, di supporto al management aziendale. 4.3 Bontà e qualità dei dati oggetto di analisi I prospetti di stato patrimoniale e conto economico, così come previsti dalle leggi vigenti, non permettono sovente un’analisi coerente e veritiera della realtà aziendale. Risulta determinante riaggregare i dati di bilancio, esprimibili dai prospetti di legge, per ottenere dei risultati fruibili applicabili alla concreta realtà aziendale. © Cesi Multimedia 75 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Il processo di analisi viene articolato nelle seguenti fasi: 1) verificare i criteri di valutazione – mediante l’analisi della nota integrativa – utilizzati per la redazione dei prospetti di stato patrimoniale e di conto economico; 2) riclassificare lo stato patrimoniale ed il conto economico, nelle forme che analizzeremo successivamente; 3) redigere il prospetto di rendiconto finanziario, per procedere coerentemente nell’analisi dei flussi finanziari; 4) costruire gli indici di bilancio; 5) interpretare gli indici di bilancio, precedentemente elaborati. È importante puntualizzare che l’analisi di bilancio, anche se considerata come un’analisi di tipo statico, può senza dubbio essere resa dinamica mediante l’analisi della variazione dei dati nel corso dell’intervallo di tempo considerato (è importante dunque procedere in modo dinamico, attraverso l’analisi degli scostamenti temporali fra i diversi dati espressi dai prospetti di riclassificazione). Attraverso la riclassificazione dei prospetti di stato patrimoniale e di conto economico è possibile accertare, in sintesi, importanti indicatori aziendali quali: solidità; redditività; liquidità; produttività. 4.4 Riclassificazione dello stato patrimoniale Lo Stato patrimoniale, nella sua rappresentazione civilistica, ha la funzione di riprodurre il valore del patrimonio aziendale, identificando chiaramente: la classificazione degli impieghi: destinazione dei mezzi monetari; la classificazione delle fonti: provenienza delle risorse. Gli schemi di riclassificazione hanno diverse forme a seconda della natura dell’azienda e degli obiettivi che si pone l’analista di riferimento. Il prospetto di stato patrimoniale, di norma, viene riclassificato mediante due differenti tipologie di analisi: riclassificazione finanziaria: basata sul criterio di liquidità/esigibilità; riclassificazione gestionale: basata sul ciclo caratteristico d’impresa acquisto-trasformazione-vendita. 4.4.1 Lo stato patrimoniale riclassificato: il criterio finanziario Mediante il criterio di riclassificazione di tipo finanziario, vengono riordinate le principali voci patrimoniali, secondo un parametro di tipo temporale: la rapidità di trasformazione in liquidità dell’attivo; la velocità di estinzione da parte del passivo. In merito a tale schema di riclassificazione, l’elemento fondamentale è la temporalità, individuata in 12 mesi: ogni attività o passività che si trasforma o estingue entro 12 mesi, viene definita a “breve”, mentre al contrario, qualora la trasformazione o l’estinzione si protrae per oltre 12 mesi, le attività e le passività verranno definite “differite” o “consolidate”. Attraverso tale schema di riclassificazione è possibile rappresentare il grado di equilibrio finanziario aziendale sia nel breve termine che nel medio lungo termine. E’ uno schema snello che, vista la semplicità di riclassificazione dei valori, risulta maggiormente d’aiuto nel caso in cui l’impresa ricorra ad un analista esterno (invece di procedere con un’analisi dei risultati aziendali dall’interno). Inoltre, permette il confronto dei relativi indicatori (di sintesi) in maniera facilitata rispetto ad altre forme particolari di riclassificazione dello stato patrimoniale. 76 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Tavola 1- Stato Patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario STATO PATRIMONIALE (criterio finanziario) ATTIVITÀ PASSIVITÀ ATTIVITÀ CORRENTI Liquidità immediate (cassa, banca, titoli negoziabili); Liquidità differite (crediti, cambiali) Magazzino (scorte, anticipi a fornitori) (fondi di pertinenza) PASSIVITÀ CORRENTI Debiti v/banche a breve Debiti v/fornitori Debiti tributari Quote TFR da liquidare ATTIVITÀ IMMOBILIZZATE Immobilizzazioni materiali; Immobilizzazioni immateriali; Immobilizzazioni finanziarie (fondi di pertinenza) PASSIVITÀ CONSOLIDATE Mutui Debiti consolidati Prestiti obbligazionari Fondo TFR CAPITALE NETTO Capitale sociale Utili (perdite) Riserve CAPITALE INVESTITO MEZZI DI FINANZIAMENTO 4.4.2 Lo stato patrimoniale riclassificato: il criterio funzionale/gestionale Attraverso il criterio di riclassificazione funzionale/gestionale, viene prestata particolare attenzione al ciclo caratteristico dell’impresa individuato nelle fasi di acquisto-trasformazione-vendita. Le poste contabili, verranno riclassificate per aree funzionali, distinguendo i valori concernenti la gestione caratteristica dai valori riconducibili alle altre aree gestionali d’impresa. Tavola 2 – Ciclo caratteristico dell’impresa Gli impieghi verranno riclassificati tenendo in considerazione il loro utilizzo: se utilizzati nell’attività principale, verranno considerati come investimenti caratteristici, se utilizzati nelle attività secondarie/ausiliarie verranno considerati come investimenti extra-caratteristici. Risulterà possibile classificare gli impieghi nei seguenti termini: attività correnti operative: rimanenze di magazzino, crediti v/clienti, anticipi a fornitori, altre attività correnti operative; attività non correnti operative: immobilizzazioni materiali ed immateriali, utilizzate nella gestione operativa dell’impresa; attività non operative: tutte le poste non attinenti l’attività operativa aziendale quali titoli negoziabili, titoli a reddito fisso, immobilizzazioni non operative, conti correnti bancari e postali non operativi. © Cesi Multimedia 77 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Le fonti di finanziamento, nello schema di riclassificazione funzionale/gestionale, verranno rappresentate in relazione al tipo di investimento per le quali sono state utilizzate (caratteristico o extra-caratteristico). Le fonti di finanziamento vengono distinte considerando e distinguendo: i debiti contratti per supportare il normale ciclo di attività operativo aziendale; i debiti contratti per supportare attività differenti da quelle di tipo operativo; i debiti verso la proprietà, che rappresentano il patrimonio netto aziendale. Le tre differenti configurazioni degli elementi del passivo aziendale sono: passività correnti operative: debiti v/fornitori, debiti TFR, debiti tributari; passività non correnti (o finanziarie): debiti v/banche, mutui, obbligazioni; patrimonio netto: capitale sociale, utili accantonati, riserve. Da tale riclassificazione è possibile dedurre alcuni importanti indicatori, utilizzati nella prassi aziendale con scopo di analisi e valutazione, come ad esempio: il capitale circolante netto operativo, calcolato come differenza tra le attività correnti operative e le passività correnti di tipo operativo (supporto operativo concesso dai fornitori aziendali). Esso è in grado di esprimere la bontà del ciclo monetario della gestione caratteristica aziendale: tale indicatore va considerato, caso per caso, in base alla realtà aziendale oggetto di analisi. Nel caso, ad esempio, di aziende della GDO (tali per cui i giorni credito ai clienti< giorni di credito ai fornitori), l’analisi del circolante diviene fondamentale, poiché si potrà generare una riduzione massima dell’assorbimento di liquidità nell’attività caratteristica (esse incassano infatti quotidianamente dai propri clienti e pagano in maniera dilazionata i propri fornitori), evitando di ricorrere alla liquidità presso terzi soggetti (banche), con un costo di mantenimento che, nella maggior parte dei casi, risulta essere particolarmente elevato; capitale investito netto operativo, calcolato come sommatoria tra le attività non correnti operative e il capitale circolante netto operativo: esso è in grado di isolare tutti gli impieghi legati alla gestione caratteristica d’impresa, escludendo tutto ciò che risulta essere extra-caratteristico; capitale investito netto, calcolato come sommatoria tra le attività correnti e non correnti operative e le attività non operative: rappresenta sostanzialmente il totale degli impieghi e cioè il fabbisogno finanziario richiesto dall’attività d’impresa, che dovrà essere ricoperto attraverso fonti finanziarie (passività correnti e non correnti) o apporto dei soci (patrimonio netto). Tavola 3 – Stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio di pertinenza gestionale STATO PATRIMONIALE (criterio di pertinenza gestionale) ATTIVITÀ PASSIVITÀ ATTIVITÀ CORRENTI OPERATIVE Rimanenze di magazzino Crediti v/clienti Anticipi a fornitori Altre attività correnti C/c bancario e postale operativo (fondi di pertinenza) PASSIVITÀ CORRENTI OPERATIVE Debiti v/fornitori Debiti tributari Fondo TFR Anticipi da clienti ATTIVITÀ NON CORRENTI OPERATIVE Macchinari Attrezzature Brevetti Partecipazioni operative (fondi di pertinenza) PASSIVITÀ NON CORRENTI Debiti v banche Mutui Altri debiti finanziari Prestiti da soci Obbligazioni ATTIVITÀ NON OPERATIVE Titoli negoziabili Immobili non operativi C/c bancario e postale non operativo CAPITALE NETTO Capitale sociale Utili (perdite) Riserve 78 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria 4.5 Riclassificazione del Conto economico La struttura di conto economico, proposta dal codice civile, come detto pone dei grossi limiti per l’interpretazione della gestione aziendale: nella prassi, infatti, vengono utilizzate alcune modalità di riclassificazione del conto economico, definite specificatamente considerando ogni singola realtà aziendale. Le tre tipologie di riclassificazione del conto economico maggiormente utilizzate sono: riclassificazione al costo del venduto; riclassificazione a valore aggiunto; riclassificazione a costi fissi e variabili. La riclassificazione del conto economico rappresenta una fase decisiva dell’intero processo di analisi dei risultati aziendali: il conto economico viene infatti considerato come una fonte assoluta di informazioni aziendali. Nello specifico, tale riclassificazione: permette la costruzione e l’evidenziazione di parametri e grandezze più espressive della gestione (valore aggiunto, reddito operativo, reddito netto ecc.); rende omogenei i dati per consentire il loro confronto nel tempo e nello spazio, ossia per più esercizi successivi per la stessa azienda (dimensione temporale) e con aziende dello stesso settore o di settori diversi (dimensione spaziale); separa nettamente gli elementi attinenti la gestione caratteristica dell’impresa da quelli che si riferiscono alle gestioni cosiddette accessorie o extra-caratteristiche (finanziaria, straordinaria fiscale, ecc.), al fine di facilitare la comprensione delle principali problematiche gestionali. 4.5.1 Lo schema al costo del venduto. Lo schema di riclassificazione al costo del venduto evidenzia il contributo delle differenti aree gestionali alla formazione del risultato economico aziendale. Tale prospetto di sintesi, basato sulla riclassificazione dei costi per destinazione, viene utilizzato soprattutto dalle imprese di trasformazione industriale, essendo scarsamente indicato per le imprese di servizi. Attraverso tale schema sarà possibile analizzare, in maniera del tutto agevole, il margine economico dell’attività industriale, elemento interessante per le imprese che trasformano materie prime; lo schema risulterà fuorviante per quelle imprese che si limitano a distribuire e commercializzare i prodotti. Le principali condizioni negative collegate a tale schema di riclassificazione sono: difficoltà nella fase di reperimento dei dati, nel caso di analista esterno, incaricato di esaminare i dati aziendali; difficile identificazione della sommatoria delle quote di ammortamento imputabili all’esercizio, poiché le stesse vengono calcolate, in maniera separata, all’interno di ogni singola area aziendale. © Cesi Multimedia 79 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Tavola 4 – Conto economico riclassificato al costo del venduto Mediante tale schema di riclassificazione, diviene possibile analizzare alcuni macro risultati intermedi aziendale, quali: risultato lordo industriale (gross profit): rappresenta una valida manifestazione del margine economico dell’attività industriale poiché, al proprio interno, vengono considerate oltre al fatturato aziendale, le principali voci di costo relative alla produzione industriale dell’impresa; reddito operativo (EBIT): viene dedotto sottraendo, al risultato lordo industriale, i costi amministrativi e commerciali propri dell’impresa. E’ un indicatore che rappresenta la misura di efficacia dell’impresa in merito alla redditività della sua gestione caratteristica. Inoltre, è in grado di evidenziare la parte dei ricavi disponibili, a seguito della copertura dei costi caratteristici dell’impresa, utilizzabili per remunerare il capitale investito, sia da parte della proprietà (utile) sia da parte di soggetti esterni all’impresa (oneri finanziari). Un valore positivo del reddito operativo, individua un quadro apprezzabile dell’impresa. Tale indicatore dovrà essere in grado di ricoprire, almeno adeguatamente, i costi relativi alle successive gestioni d’impresa (finanziaria, fiscale e tributaria). Può infatti accadere in alcuni casi che la redditività operativa sia completamente assorbita dagli oneri finanziari, dagli oneri straordinari e dalla fiscalità corrente. Un reddito operativo con segno negativo rappresenta una situazione aziendale squilibrata in cui la gestione caratteristica dell’impresa assorbe risorse anziché generarle; risultato di competenza: viene calcolato sommando algebricamente al reddito operativo il risultato della gestione finanziaria e di quella accessoria d’impresa. Permette già di valutare l’impresa in maniera tendenzialmente più complessiva rispetto al precedente indicatore; risultato di esercizio: rappresenta il valore finale di ogni conto economico (utile/perdita d’esercizio) e viene determinato sommando algebricamente al risultato di competenza gli oneri/proventi straordinari e gli oneri fiscali in capo all’impresa. E’ il valore finale preso in considerazione dagli stakeholder aziendali per valutare il rendimento del capitale investito nell’impresa. 80 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria 4.5.2 Lo schema a valore aggiunto Lo schema di riclassificazione del conto economico a valore aggiunto, viene utilizzato soprattutto nel caso di analisi compiute da soggetti esterni all’impresa. In tale schema di sintesi, i costi, vengono riclassificati per natura e suddivisi tra costi interni e costi esterni all’impresa inoltre, permette di evidenziare, quanto valore l’azienda è stata in grado di aggiungere alle materie prime ed agli altri acquisti esterni, determinando il cosiddetto valore aggiunto. E’ uno schema che, nel suo utilizzo, può adattarsi in maniera abbastanza agevole a tutte le realtà aziendali oggetto di valutazione. Tavola 5 – Conto economico riclassificato al valore aggiunto CONTO ECONOMICO (valore aggiunto) Ricavi vendite e prestazioni +/- variazione delle scorte di prodotti finiti e semilav. + lavori in economia RICAVI DI VENDITA - COSTI DELLA PRODUZIONE acquisti di materie prime e semilav. costi per servizi costi per godimento beni di terzi +/- variazione delle scorte di materie prime altri costi di gestione = VALORE AGGIUNTO - Costo del personale = MARGINE OPERATIVO LORDO (EBITDA) - ammortamenti e accantonamenti - canoni di leasing = RISULTATO OPERATIVO (EBIT) - oneri finanziari + proventi finanziari + proventi della gestione accessoria - costi della gestione accessoria = RISULTATO DI COMPETENZA +/- componenti straordinari di reddito = RISULTATO ANTE IMPOSTE - imposte di esercizio = RISULTATO D’ESERCIZIO Mediante tale schema è possibile analizzare i seguenti macro risultati aziendali di riferimento: ricavi di vendita: determina tutto ciò che è stato prodotto nell’esercizio oggetto di osservazione. E’ un indicatore completo poiché considera oltre al fatturato prodotto anche la variazione delle rimanenze di prodotti finiti e dei lavori in economia. Può accadere, in molte realtà, che vi sia una differenza tra il valore del fatturato ed il valore della produzione dell’esercizio, legata alternativamente o ad una sovrapproduzione che l’azienda dovrà assorbire negli esercizi successivi o una contestuale sopravvalutazione delle rimanenze di prodotti finiti e semilavorati; valore aggiunto: viene calcolato sottraendo dalla produzione dell’esercizio tutti i costi relativi a beni e servizi della gestione caratteristica e considerando inoltre, le variazioni delle rimanenze di materie prime e di semilavorati. Tale macro grandezza sta ad indicare, sostanzialmente, quanta parte dell’intera produzione è imputabile all’attività svolta internamente. Sarà alquanto agevole determinare quanto valore l’impresa aggiunge alle materie prime, ai semilavorati ed alle altre condizioni produttive esterne, mediante il suo operato; margine operativo lordo (EBITDA): risulta essere una delle macro grandezze aziendali per eccellenza. Rappresenta in pieno lo stato di salute di un impresa e la sua capacità di produrre flussi finanziari ( non è in alcun modo influenzato dalle politiche di ammortamento ed accantonamento realizzate dall’impresa © Cesi Multimedia 81 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria nel corso dell’esercizio), poiché viene calcolato come differenza tra ricavi monetari e costi monetari della gestione. Un margine operativo lordo (MOL) di per sé negativo può rappresentare, indubbiamente, una situazione aziendale di particolare squilibrio ed un forte sintomo di instabilità economica e finanziaria. Viene calcolato sottraendo dal valore aggiunto tutti i costi riconducibili alla sfera del personale dipendente aziendale (costo del lavoro, oneri sociali, accantonamento TFR). 4.5.3 Lo schema a costi fissi e variabili. Tale schema di riclassificazione permette agevolmente di valutare il grado di redditività aziendale, inoltre, mediante un importante indicatore, il margine di contribuzione, si possono ottenere informazioni utilizzabili per pianificare e programmare la gestione aziendale. Tale riclassificazione viene utilizzata soprattutto nelle aziende che distribuiscono e commercializzano prodotti (aziende cd. commerciali). Lo schema di riclassificazione viene costruito prendendo come base la distinzione dei costi tra: costi variabili: parte dei costi che varia direttamente al variare dei volumi di vendita; costi fissi: costi caratterizzati dalla sostanziale stabilità rispetto alla variazione dei volumi di vendita. Il limite principale di tale prospetto risiede nella difficoltà di riclassificazione dei costi fissi e dei costi variabili aziendali. Tavola 6 – Conto economico riclassificato a costi fissi e variabili Il margine di contribuzione, come già definito in precedenza, è un ottimo indicatore per valutare la redditività operativa aziendale. Nella sua espressione determina il margine esistente tra ricavi di vendita e consumi: ad esempio, nelle aziende commerciali che distribuiscono prodotti, esso permette di osservare, in maniera abbastanza evidente, il margine effettivo che l’impresa possiede tra acquisto del prodotto e la successiva vendita o distribuzione. Tale margine dovrà essere in grado di assorbire tutti i costi fissi aziendali e tutti gli oneri generati dalle aree finanziaria, straordinaria e fiscale. Il margine di contribuzione risulta essere un ottimo indicatore a sostegno della programmazione aziendale poiché permette, abbastanza agevolmente, di prevedere le quantità obiettivo necessarie per raggiungere il punto di pareggio nell’esercizio. 82 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria 4.6 L’analisi dei risultati aziendali Una volta conclusa la fase di riclassificazione dei prospetti di stato patrimoniale e di conto economico, si prosegue con l’elaborazione e l’analisi dei principali indicatori aziendali. Come già richiamato in precedenza, l’analisi di bilancio permette di controllare l’andamento complessivo aziendale, evidenziandone potenziali criticità e difficoltà. E’ molto importante, per il management aziendale, avere dei report periodici sui principali indicatori aziendali, con lo scopo di monitorare le performance aziendali ed eventualmente pianificare, con congruo anticipo, interventi mirati prima del concreto manifestarsi di potenziali situazioni di difficoltà. In questa sede non verranno richiamati tutti gli indicatori aziendali, ma semmai verrà posto l’accento soltanto su quelli che consentono mediamente ad un analista aziendale (interno o esterno) di comprendere le dinamiche complessive dell’impresa. A tale riguardo, si nota come si dovrebbe evitare di elaborare una serie infinita di indicatori di sintesi che, al contrario, invece di facilitare l’interpretazione della situazione aziendale, possono talora determinare confusione di lettura e maggiore instabilità di analisi, a meno che si sia in grado di sintetizzare, con professionalità e coerenza, i trend più importanti emergenti dall’analisi. 4.6.1 Analisi dei ricavi, dei margini e della produttività aziendale L’analisi dei margini e dei ricavi aziendali risulta essere il punto di partenza per la rappresentazione dei risultati aziendali. L’obiettivo di tale tipologia di indicatori è quello di identificare la variazione assoluta e percentuale delle principali voci che concorrono a formare il reddito operativo, con focus specifico sulla produttività aziendale. Tali indicatori, vengono costruiti considerando alcune macro grandezze aziendali quali: trend dei ricavi, margine operativo lordo, costo del lavoro, reddito operativo ecc. Di seguito una rappresentazione dei principali indicatori. Tavola 7 – Indicatori economici © Cesi Multimedia 83 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Un costo che l’impresa non può certamente permettersi di trascurare è il costo del lavoro: è importante analizzarlo come indicatore di efficienza aziendale poiché, infatti, sarà possibile comprendere l’abilità di utilizzo della forza lavoro, da parte della stessa impresa. Il fattore lavoro va così analizzato in termini di produttività, costo e tasso di crescita. Di seguito i principali indicatori di sintesi, in merito al costo del lavoro dipendente. Tavola 8 – Indici di produttività 4.6.2 Analisi del circolante e delle politiche di investimento Tali indicatori permettono di analizzare il circolante commerciale e le politiche di investimento aziendale. Il capitale circolante commerciale rappresenta egregiamente lo stato di salute di un impresa. Tale valore viene determinato attraverso la seguente sommatoria: crediti commerciali + magazzino – debiti commerciali. E’ in grado di esprimere il fabbisogno finanziario lordo derivante dall’attività tipica d’impresa. Dalla precedente sommatoria, possiamo sostanzialmente determinare 2 differenti risultati: capitale circolante commerciale netto > 0 (crediti + magazzino > debiti). In questo caso, che potremmo definire in prima battuta fisiologico, una parte degli investimenti della gestione caratteristica a breve termine è finanziata da finanziamenti attinenti alla medesima gestione. Bisogna fare attenzione affinché tale valore non sia eccessivamente rilevante, poiché altrimenti si tradurrebbe in una potenziale situazione di instabilità per l’impresa, con ripercussioni in termini di liquidità (riferibili ad esempio alla difficoltà di incassare i crediti verso i clienti od all’eccessivo livello di scorte presenti in magazzino, non più facilmente liquidabili nel breve periodo); capitale circolante commerciale < 0 (crediti + magazzino < debiti). Tale circostanza si verifica, usualmente, in quelle imprese che non concedono pagamenti dilazionati ai propri clienti, sia per il settore in cui operano sia per scelte di tipo strategico. Tale prospettiva, dal lato della liquidità aziendale, risulta essere la più rassicurante, poiché l’impresa riesce a generare flussi di cassa positivi più velocemente dei tempi richiesti per liquidare i debiti commerciali (un chiaro esempio, di tale prospettiva, può essere rappresentata dalle imprese al dettaglio o della GDO, che incassano in contanti, eliminando totalmente l’esistenza dei crediti v/clienti e pagano i fornitori in forma dilazionata), permettendo all’impresa di utilizzare il debito commerciale anche per finanziare i propri investimenti in attività immobilizzate o per ridurre la propria esposizione finanziaria. Ogni impresa avrà un proprio grado di volatilità del capitale circolante, causato da vari fattori: ad esempio, il fattore stagionalità in moltissime imprese incide profondamente poiché, in tali situazioni, gli acquisti, la produzione e le vendite non avverranno in maniera uniforme nel corso dell’esercizio. In tale casistica, il valore del capitale circolante varierà fortemente nel corso dell’anno, alternando fasi di espansione a fasi di contrazione. Risulta fondamentale porre in essere un’adeguata analisi delle componenti che influenzano il capitale circolante commerciale, che può essere riassunta negli indicatori che andremo di seguito a rappresentare. 84 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Tavola 9 – Indici finanziari a breve termine L’analisi del circolante, in sintesi, viene dichiarata nell’indicatore che esprime il ciclo del circolante, il quale sarà pari a: tempo medio di incasso + tempo medio giacenza delle scorte – tempo medio di pagamento. Tale sommatoria rappresenta il numero di giorni che intercorrono – in media – tra il momento in cui vengono pagati i fornitori e quello in cui vengono incassati i crediti dai clienti per la vendita di prodotti. Relativamente alle politiche di investimento, occorre anzitutto considerare il livello di obsolescenza tecnologica delle immobilizzazioni utilizzate da parte dell’azienda. Solo prendendo coscienza della situazione attuale, si potranno porre le basi per pianificare eventuali nuovi investimenti. L’analisi viene fatta attraverso l’indicatore denominato CAPEX, che contrappone le immobilizzazioni tecniche nette (al numeratore) e le immobilizzazioni tecniche lorde (al denominatore). Il risultato del precedente indicatore può essere altresì utilizzato contrapponendolo al valore annuo degli ammortamenti dell’impresa, al fine di ottenere importanti informazioni circa la natura degli investimenti attualmente in essere. Si possono dunque avere 3 differenti risultati: CAPEX – ammortamenti > 0: indica la capacità dell’impresa di ampliare la propria base produttiva rispetto a quella in essere (investimenti per lo sviluppo); CAPEX – ammortamenti = 0 : indica la capacità dell’impresa di mantenere stabile la propria base produttiva (investimenti di mantenimento); CAPEX – ammortamenti < 0: l’impresa si trova in una situazione in cui la politica di investimento denota un deficit strutturale (“dismissione” delle immobilizzazioni). Ogni politica di investimento dovrà essere posta in essere con lo scopo di generare maggiori flussi di cassa operativi. © Cesi Multimedia 85 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria 4.6.3 Analisi delle politiche di finanziamento e della liquidità Per poter generare ricchezza l’azienda deve realizzare investimenti che dovrà necessariamente finanziare e che devono essere in grado di garantire un livello di redditività adeguato al rischio sostenuto dagli investitori. In merito a ciò, risulta fondamentale poter analizzare le politiche di finanziamento dell’impresa oggetto di approfondimento. Per procedere in tal senso, diventa necessario suddividere le modalità di analisi in: analisi dinamica delle politiche di finanziamento: essa consente di verificare la capacità dell’impresa di rimborsare il proprio debito, facendo leva sui flussi di cassa generati dall’attività operativa; analisi statica delle politiche di finanziamento: essa prende in considerazione alcuni importanti indicatori aziendali, concernenti ad esempio sia il livello di indebitamento aziendale sia la gestione della liquidità. Il flusso di cassa della gestione corrente, alla base dell’analisi dinamica delle politiche di finanziamento, risulta essere funzione principale di tre fattori: tasso di crescita del settore di appartenenza dell’impresa; redditività operativa; capacità di ottimizzazione del capitale circolante netto commerciale. Esso viene determinato mediante la seguente sommatoria: Tale valore può essere utilizzato per determinare un indicatore necessario per valutare la sostenibilità del debito dell’impresa, attraverso i flussi di cassa correnti (il cosiddetto “Debt service coverage ratio”): Tanto più tale indicatore sarà elevato e positivo, tanto più avremo un’impresa con elevata capacità di far fronte ai propri debiti in maniera del tutto soddisfacente. Successivamente, sottraendo dal flusso di cassa della gestione corrente il flusso di cassa della gestione degli investimenti (generato da eventuali investimenti o disinvestimenti posti in essere dall’impresa), troviamo il cosiddetto “free cash flow”. Questo flusso può essere utilizzato dall’azienda per: pagare gli oneri finanziari; rimborsare il debito finanziario in essere; distribuire dividendi agli azionisti. Nel caso in cui il “free cash flow” assuma valori negativi, l’impresa dovrà ricorrere a risorse finanziarie di tipo esterno. L’approccio statico di analisi delle politiche di finanziamento si fonda sull’interpretazione di alcuni indicatori utili ad individuare situazioni di instabilità aziendale. 86 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Tavola 10 – Indici di stabilità aziendale L’approccio statico di analisi delle politiche di finanziamento considera anche l’analisi dei principali indicatori riguardanti la liquidità aziendale. Un’azienda può considerarsi liquida quando è in grado di far fronte, con regolarità, agli impegni contrattuali sottoscritti con i propri finanziatori. Al contrario può generarsi, in capo all’impresa, una situazione di illiquidità, quando la durata media delle proprie attività è maggiore rispetto alle proprie passività. © Cesi Multimedia 87 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria I principali indicatori concernenti lo stato di liquidità dell’impresa sono: Tavola 11 – Indici di liquidità 4.6.4 Analisi della redditività L’analisi della redditività aziendale permette di confrontare i risultati economici dell’impresa con le sue configurazioni di capitale. Essa si concentra sostanzialmente nell’analisi di pochi indicatori, i quali esprimono in maniera del tutto sintetica: la redditività del capitale investito; la redditività del capitale proprio. Nell’analisi della redditività aziendale, non possiamo trascurare l’effetto della leva finanziaria e della leva operativa, le quali esprimono dei risultati particolarmente significativi per il complesso aziendale. Procediamo nell’esprimere in sintesi i principali indicatori concernenti la redditività aziendale: ROI Risultato operativo capitale investito Il ROI o “Return on Investment” è un indicatore di redditività e di efficienza degli investimenti in contrapposizione all’operatività aziendale caratteristica. Permette di valutare l’effetto della sola gestione caratteristica, tralasciando la gestione finanziaria, le poste straordinarie e la pressione fiscale. 88 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Per ottenere informazioni circa lo stato di salute di un’impresa, sarebbe opportuno poterlo analizzare storicamente e confrontarlo con altre realtà similari dello stesso settore. Tavola 12 – Analisi significatività del ROI Analisi dei valori del ROI ROI < 0,5 Non soddisfacente ROI tra 0,5 e 1 Poco soddisfacente ROI tra 1 e 2 Abbastanza soddisfacente ROI > 2 Molto soddisfacente Il ROE o “Return on Equity”, rappresenta la redditività del capitale proprio e fornisce un’informazione sintetica sul risultato complessivo della gestione, permettendo di esprimere il rendimento percentuale annuo per gli azionisti. Più precisamente consente, a chi ha fornito il capitale (soci, azionisti, finanziatori esterni ecc.), di valutare l’economicità del proprio investimento ed eventualmente confrontarlo con investimenti alternativi. Per il soggetto deputato all’analisi dei valori aziendali, esso rappresenta un indicatore immediato della redditività aziendale. ROE Reddito netto capitale netto Nella sua determinazione, il ROE dipenderà direttamente: dal rendimento del capitale investito nella gestione operativa, individuato dall’indice ROI; dal rapporto di indebitamento, dato dal quoziente tra il totale dei finanziamenti attinti dall’impresa e la parte di essi costituita dal capitale proprio; dall’incidenza del reddito netto sul reddito operativo, che evidenzia il peso esercitato dai risultati delle gestioni non caratteristiche, finanziarie, straordinarie e fiscali sulla redditività netta. Tavola 13 – Analisi significatività del ROE INTERPRETAZIONE E VALUTAZIONE DEL ROE Valore minimo del ROE Il ROE deve almeno corrispondere al tasso per depositi bancari o per titoli di Stato. Valore inferiore del ROE rispetto al valore minimo Il rischio aziendale non ha trovato alcun riconoscimento rispetto ad altri investimenti alternativi più sicuri. Valore superiore del ROE rispetto al valore minimo Il capitale conferito dai soci viene remunerato in misura maggiore rispetto ad altri investimenti a rischio nullo e pertanto anche il rischio aziendale trova il suo riconoscimento. Infine, un’altra categoria di indicatori, utile per determinare l’efficienza dell’impresa, viene rappresentata dalle leve aziendali sia di tipo operativo che di tipo finanziario: entrambe le leve rappresentano fattori che tendono ad amplificare le conseguenze prodotte dalle oscillazioni dei ricavi aziendali sul reddito operativo e sul risultato netto. A seguire, si esplicitano le formule relative: © Cesi Multimedia 89 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Tavola 14 – Leva operativa e leva finanziaria Tavola 15 – Intervallo valori equazione della leva finanziaria INDICE DI LEVA FINANZIARIA (PFN/PN) Leva fino al 30% Buona struttura finanziaria Leva tra il 30 ed il 50% Sufficiente struttura finanziaria Leva tra il 51% ed il 66% Struttura finanziaria tendenzialmente squilibrata, a causa dell’eccessivo utilizzo dei mezzi di terzi Leva oltre il 66% Struttura finanziaria decisamente squilibrata, poiché il capitale investito è quasi completamente finanziato dai mezzi di terzi. 4.7 Altman Z-score1 Lo Z-Score è un indice utilizzato nell’analisi fondamentale per stimare la probabilità di fallimento di un’impresa. E’ stato elaborato con tecniche di regressione statistica nel 1968 dal Prof. Edward Altman della New York University. Da semplice modello accademico è stato nel tempo sempre più utilizzato dai mercati finanziari, fino ad ottenere il rango di indice istituzionalmente accettato, soprattutto grazie agli accordi di Basilea 2. Ne esistono varie versioni, a seconda che l’impresa sia quotata o meno in borsa, e in questa sede ne proponiamo la versione più semplice rimandando alla letteratura specifica per gli approfondimenti. Per la sua costruzione sono necessari alcuni aggregati di bilancio: totale attività correnti (AC) totale impieghi (I) risultato d’esercizio (R) reddito Operativo (RO) patrimonio Netto (PN) totale Passività Correnti e Consolidate (P) fatturato (F) ------------------------------------------1 Paragrafo curato da Michele Cruciano 90 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria A partire da questi aggregati vengono costruiti i seguenti indici: indice di flessibilità (AC/I) indice di autofinanziamento (R/I) redditività degli investimenti (RO/I) indice di indipendenza patrimoniale (PN/P) indice di rotazione dell’attivo (F/I) I cinque indici così ottenuti vengono moltiplicati per 100 (per esprimerli in forma percentuale) e giudicati secondo una scala predefinita che prevede, per ciascuno di essi, un valore medio atteso. La seguente tabella esprime sinteticamente le modalità di giudizio: Tavola 16 – Indicatori di giudizio degli indici Giudizio Indice Valore medio Molto negativo Negativo Positivo Molto positivo 5% 3% 15% 100% 150% meno di 3,75% meno di 2,25% meno di 11,25% meno di 75% meno di 112,5% fino a 5% fino a 3% fino a 15% fino a 100% fino a 150% fino a 6,25% fino a 3,75% fino a 18,75% fino a 125% fino a 187,5% oltre a 6,25% oltre a 3,75% oltre a 18,75% oltre a 125% oltre a 187,5% Flessibilità Autofinanziamento Redditività degli investimenti Indipendenza patrimoniale Rotazione dell’attivo Esiste anche la possibilità di dare un giudizio complessivo dell’azienda, effettuando una media ponderata dei precedenti cinque indici e utilizzando dei fattori di ponderazione costanti, ottenendo più propriamente lo Zscore: che restituisce i seguenti giudizi: se Z è minore di 1.8 la probabilità di fallimento è alta se Z è compreso fra 1.8 e 2.7 vi è una consistente probabilità di fallimento entro due anni se Z è compreso fra 2.7 e 3.0 vi è una probabilità di fallimento media che richiede cautela nella gestione se Z è maggiore o uguale a 3.0 la probabilità di fallimento è bassa in quanto l’impresa è finanziariamente solida Essendo basati su un ristretto numero di indicatori questi giudizi così perentori possono sembrare affrettati, ma nel lavoro originale di Altman hanno avuto ragione nel 95% dei casi. Anche se oggi il giudizio di una impresa viene formulato basandosi anche su altri fattori, la validità dello Z-score è ancora integra, e può fornire all’imprenditore importanti informazioni su come soggetti esterni come banche e altri finanziatori valutano l’impresa. 4.8 Analisi dei flussi finanziari L’analisi dei flussi finanziari è caratterizzata tipicamente dalla redazione del rendiconto finanziario, un prospetto essenziale che permette di analizzare e di comunicare le cause delle variazioni che date grandezze finanziarie e monetarie, critiche per l’economicità aziendale, hanno avuto in un determinato periodo di tempo. Il rendiconto finanziario ha lo scopo di riassumere: la capacità dell’azienda di generare liquidità; l’attività di finanziamento dell’impresa durante l’esercizio; le variazioni delle risorse finanziarie durante l’esercizio; l’attività di investimento dell’impresa durante l’esercizio; le variazioni nella situazione patrimoniale-finanziaria dell’impresa avvenute nell’esercizio; le correlazioni che esistono tra le fonti di finanziamento e gli investimenti effettuati. Tale schema può essere utilizzato sia dal management interno, il quale potrà così anche ragionare sui fabbisogni finanziari passati, presenti e futuri dell’impresa, sia dai soggetti finanziatori interessati a verificare la capacità © Cesi Multimedia 91 Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria dell’impresa di far fronte al pagamento – nelle scadenze previste – di somme e disponibilità a vario titolo erogate ed erogabili nonché dei relativi compensi (interessi passivi, commissioni, quote capitali relativi ai mutui, rientri da affidamenti, ecc.). Il rendiconto finanziario viene redatto seguendo 2 differenti metodologie: metodo diretto: il flusso di cassa netto viene calcolato partendo dalle principali categorie di incassi e pagamenti, i quali vengono classificati in base alla loro natura; metodo indiretto: il flusso di cassa netto viene calcolato partendo dal risultato economico, rettificato dei ricavi e costi non monetari ed integrato dai flussi finanziari: quest’ultima indubbiamente risulta la modalità maggiormente diffusa, poiché permette di rimuovere gli effetti relativi all’applicazione del principio di competenza economica. In questa sede analizzeremo unicamente il rendiconto finanziario redatto secondo il metodo di tipo indiretto. Tale prospetto rappresenta i flussi delle seguenti aree gestionali: area corrente: vengono rappresentate tutte le entrate e le uscite di tipo corrente (manifestatesi nel corso dell’esercizio); area investimenti: vengono rappresentati tutti gli acquisti e tutte le vendite relative alle immobilizzazioni aziendali; area finanziaria: vengono rappresentate tutte le movimentazioni relative all’accensione ed al rimborso di finanziamenti o all’accensione ed al rimborso di capitale da parte dei soci. Tavola 17 – Il rendiconto finanziario con il metodo indiretto RENDICONTO FINANZIARIO (metodo indiretto) Utile d’esercizio + ammortamenti + accantonamenti a fondi svalutazione + TFR accantonato nell’esercizio - TFR pagamenti effettuati = Saldo monetario primario (A) +/- Variazione CCN (B) +/- aumento o diminuzione debiti tributari +/- diminuzione o aumento dei crediti tributari +/- decrementi o incrementi dei crediti commerciali e rimanenze +/- decrementi o incrementi dei debiti commerciali +/- decrementi o incrementi altri debiti e crediti = Flusso di cassa della gestione corrente (C=A+ B) +/- minusvalenze o plusvalenze realizzate sui beni immobilizzati - acquisto di immobilizzazioni = Flusso di cassa per investimenti (D) FLUSSO DI CASSA OPERATIVO (E=C+D) + finanziamenti bancari, prestiti obbligazionari - distribuzione dividendi, rimborso azioni + aumento capitale sociale =Flusso di cassa finanziario (F) FLUSSO DI CASSA NETTO (E+F) Il flusso di cassa della gestione corrente viene determinato rettificando il valore dell’utile d’esercizio, per definire l’ammontare reale di tutte le entrate e di tutte le uscite riconducibili al ciclo caratteristico aziendale di “ acquistotrasformazione-vendita”. 92 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – Capire i fondamenti dell’analisi finanziaria Le principali rettifiche sono riconducibili a: ammortamenti, accantonamenti ed altri costi non monetari: occorre depurare il risultato d’esercizio da tutte quelle componenti che non caratterizzano un esborso di natura finanziaria per l’impresa (ammortamenti, accantonamenti, svalutazioni crediti, ecc.); capitale circolante netto commerciale (CCN): come già analizzato nei precedenti paragrafi, tale componente esprime egregiamente il grado di salute di un’impresa dal lato del core business, in quanto misura la capacità dell’impresa di far fronte alle passività correnti con le proprie attività correnti. Nel presente schema di rendiconto occorre valutare tutti i cambiamenti che avvengono nelle voci che costituiscono il capitale circolante netto (cassa, rimanenze, crediti commerciali, debiti commerciali, ecc.). In sintesi, al variare del capitale circolante netto si otterranno i seguenti risultati: CCN invariato: il flusso di cassa della gestione corrente, quanto a valore assoluto, sarà indifferente all’aggregato CCN stesso; CCN in diminuzione: il flusso di cassa della gestione corrente, quanto a valore assoluto, sarà aumentato della diminuzione del CCN stesso (maggiore liquidità); CCN in aumento: il flusso di cassa della gestione corrente, quanto a valore assoluto, sarà diminuito dell’aumento del CCN stesso (maggiore liquidità). Il flusso di cassa relativo agli investimenti, invece, analizza tutte le operazioni che coinvolgo i beni immobilizzati: in tale area dovremo considerare tutte le movimentazioni, in entrata (acquisto) ed in uscita (vendita), che coinvolgono le immobilizzazioni aziendali. Infine, il flusso di cassa finanziario rappresenta tutti i flussi monetari (entrate ed uscite) relativi ai debiti di finanziamento a breve ed a lungo termine, alle distribuzioni di dividendi ed agli apporti di capitale sociale effettuati da parte dei soci. Tavola 18 – La costruzione del rendiconto finanziario in sintesi STEP PER LA COSTRUZIONE DEL RENDICONTO FINANZIARIO Confronto tra due stati patrimoniali consecutivi e calcolo delle variazioni “grezze”. Individuare dal conto economico riclassificato il valore dell’utile d’esercizio. Effettuare le variazioni per far emergere gli incassi ed i pagamenti dell’esercizio secondo il principio di cassa e non di competenza. Costruire lo schema di rendiconto finanziario indiretto (come sopra riportato) individuando i 3 differenti flussi di cassa, al fine di pervenire al flusso di cassa netto: flusso di cassa della gestione corrente, flusso di cassa relativo agli investimenti, flusso di cassa finanziario. © Cesi Multimedia 93 Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche 5. Capire i vincoli che hanno le banche Giovanna Ricci Niente è più pericoloso di un’idea quando è l’unica che si ha. Emile Chartier 5.1 Premessa La finanza d’impresa non può assolutamente prescindere dalla gestione dei rapporti con i principali partner esterni di finanziamento e in particolare con le banche che sono inquadrate in sempre più rigide norme gestionali di erogazione del credito. Tali norme di fatto, limitano la possibilità di accesso al credito bancario e/o lo rendono più oneroso alle imprese che non ottengono giudizi di merito creditizio (rating) adeguati. 5.2 Il rapporto banca – impresa Interlocutore privilegiato nell’erogazione di finanziamenti alle PMI è il sistema bancario che storicamente rappresenta il principale fornitore di capitali di debito sotto scadenze e forme tecniche diverse quali, operazioni di smobilizzo crediti, oppure concessione di finanziamenti veri e propri, come per esempio i tradizionali mutui. Tavola 1 – L’erogazione del capitale di debito Principale finanziatore delle PMI BANCA Eroga capitale di debito alle imprese che ritiene “meritevoli” istruttoria di fido Dalla situazione finanziaria e patrimoniale attuale e prospettica si può evincere con ragionevole certezza che l’impresa sarà in grado di rimborsare il prestito e pagare gli interessi Indipendentemente dalle forme e dal tipo di rimborso (breve, medio o lungo), la decisione di concedere prestiti alle imprese è preceduta dall’istruttoria di fido1 con la quale la banca verifica se l’impresa è meritevole di credito, cioè se la situazione finanziaria e patrimoniale (attuale e prospettica) della stessa è tale da garantire con ragionevole sicurezza il rimborso del prestito e il pagamento degli interessi nella misura e nelle modalità stabilite. Per fare questo la banca deve comprendere il business dell’impresa, il settore di attività in cui opera, le dinamiche economiche che possono incidere sui costi e sui ricavi, i possibili mutamenti del mercato e, in generale, l’andamento del contesto economico nazionale e internazionale. L’istruttoria di fido è svolta con regole differenti a seconda della tipologia d’impresa richiedente il prestito (imprese corporate, PMI, small business). ------------------------------------------1 Il fido, tecnicamente, è l’importo massimo di credito che una banca concede, sotto qualsiasi forma, a un cliente che ne ha fatto richiesta, dopo averne accertato le capacità reddituali, la consistenza patrimoniale e le doti morali. © Cesi Multimedia 95 Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche Tavola 2 – Le indagini nell’istruttoria di fido Oltre alle informazioni generali riguardanti l’impresa richiedente il prestito (denominazione o ragione sociale, ubicazione, oggetto dell’attività produttiva, generalità dei soci, ecc.), la banca richiede informazioni relative alle caratteristiche dell’affidamento concesso (la forma tecnica prescelta per il finanziamento, la destinazione, la durata). Per circoscrivere il più possibile i rischi, vengono altresì analizzate e verificate le qualità personali del richiedente il finanziamento (quali le doti morali dell’imprenditore e/o dei soci), gli aspetti formali della documentazione fornita e le eventuali garanzie reali e personali offerte. Le banche svolgono, in sostanza, una serie articolata di indagini interne ed esterne per valutare la solvibilità dell’impresa richiedente il fido2; tale solvibilità, almeno in linea teorica, dovrebbe essere basata sulla capacità dell’impresa di produrre cash flow (flusso di cassa), perché tanto più la gestione reddituale è in grado di generare disponibilità liquide, tanto maggiore è la capacità di rimborsare i debiti contratti. Tuttavia, per prassi consolidata, la valutazione circa il merito creditizio dell’impresa è svolta anche attraverso l’analisi per indici condotta sui bilanci d’esercizio dell’impresa richiedente. Tale tipologia di analisi richiede la costruzione di indici idonei a valutare la redditività dell’impresa, quali il ROE, il ROI, il ROS, l’EVA, di indici finanziari con i quali la banca, correlando fonti a impieghi, valuta la solidità patrimoniale dell’impresa richiedente il fido, nonché il suo grado di liquidità. Tavola 3 – Il risultato dell’istruttoria di fido L’istruttoria di fido si conclude con una relazione di sintesi RATING giudizio sull’affidabilità dell’impresa Il processo di affidamento si conclude con una relazione di sintesi che contiene un giudizio sull’affidabilità dell’impresa cliente (rating). Tale giudizio deve tener conto anche del rating di legalità, istituito per premiare le imprese che si attengono a comportamenti eticamente corretti3. Si tratta di un giudizio sintetico attribuito ------------------------------------------2 Le indagini interne consistono principalmente nelle analisi di bilancio per indici e per flussi effettuate solitamente comparando i dati di un triennio. Le indagini esterne sono condotte allo scopo di accertare la correttezza professionale del richiedente il fido e sono svolte presso enti quali le Camere di commercio, la questura, gli uffici del catasto e ipotecari, ecc. Rivolgendosi alla Centrale dei rischi, un sistema informativo operante presso la Banca d’Italia, la banca ha la possibilità di verificare se l’impresa ha in essere fidi presso altre banche (fenomeno dei fidi multipli) 3 L’Art. 5-ter del DL n. 1/2012, come modificato dal DL n. 29/2012, convertito con modificazioni dalla Legge 62/2012, così recita: “Al fine di promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato è attribuito il 96 © Cesi Multimedia Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), che concorre a stabilire il merito creditizio di un’impresa e del quale si tiene conto sia per la concessione di finanziamenti pubblici, sia per l’accesso al credito bancario. In sostanza il rating di legalità mette in luce le imprese virtuose dal punto di vista morale ed etico, consentendo di ottenere un trattamento agevolato nell’attribuzione del merito creditizio. Tuttavia, a prescindere dall’istruttoria di fido, occorre precisare che le banche non sono totalmente libere nell’erogare crediti, ma sono sottoposte ai vincoli degli accordi di Basilea4 che correlano l’entità degli affidamenti concessi al rispetto di particolari regole di adeguatezza patrimoniale della banca stessa. La conoscenza, sia pure superficiale di tali norme, aiuta a comprendere come le imprese debbano comportarsi per accedere con più facilità al credito bancario. 5.3 Gli accordi di Basilea Con gli accordi di Basilea 1 nel 1988 e, successivamente con Basilea 2 (2004) e Basilea 3 (2010) l’erogazione del credito bancario è stato sottoposto a vincoli tecnici che lo limitano sia quantitativamente, sia qualitativamente. Le banche operano con denaro “altrui”; è facilmente immaginabile che una gestione nell’erogazione del credito non oculata si riverbera sull’intero sistema economico e, in particolare sulle famiglie, tradizionalmente soggetti risparmiatori che depositano i propri capitali presso le banche. È con questa chiave di lettura che vanno interpretati gli accordi di Basilea, fondati su una regola molto semplice: le banche, a fronte di un affidamento che comporta un elevato rischio di credito legato all’insolvenza del debitore, devono avere un patrimonio adeguato, in modo da coprire eventuali perdite. Tavola 4 – La base su cui poggiano gli accordi di Basilea Strumento a tutela del rischio di credito delle banche legato all’insolvenza del debitore IL PATRIMONIO DI VIGILANZA Il patrimonio rappresenta la difesa fondamentale per fronteggiare i rischi connessi all’attività che una banca svolge. Un adeguato livello di patrimonializzazione consente alla banca di esercitare con i necessari margini di autonomia la sua complessa gestione d’impresa mantenendosi in condizioni di stabilità.5 Già l’accordo di Basilea 1 aveva imposto alle banche un coefficiente minimo di patrimonializzazione che tuttavia fu da più parti ampiamente criticato sia perché non considerava tipologie di rischio tipiche dell’attività bancaria, ------------------------------------------compito (…) di procedere, in raccordo con i Ministeri della giustizia e dell’interno, alla elaborazione ed all’attribuzione, su istanza di parte, di un rating di legalità per le imprese operanti nel territorio nazionale che raggiungano un fatturato minimo di due milioni di euro, riferito alla singola impresa o al gruppo di appartenenza, secondo i criteri e le modalità stabilite da un regolamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Al fine dell’attribuzione del rating, possono essere chieste informazioni a tutte le pubbliche amministrazioni. Del rating attribuito si tiene conto in sede di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché in sede di accesso al credito bancario, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Gli istituti di credito che omettono di tener conto del rating attribuito in sede di concessione dei finanziamenti alle imprese sono tenuti a trasmettere alla Banca d’Italia una dettagliata relazione sulle ragioni della decisione assunta”. 4 Si tratta di linee guida emanate dal comitato di Basilea (il nome deriva dalla città svizzera dove ha sede) costituito per iniziativa delle banche centrali nazionali del gruppo dei dieci principali Paesi industrializzati (G10). 5 Nelle sedi internazionali è consolidata la consapevolezza del ruolo centrale che la disciplina sul patrimonio delle banche riveste nella normativa di vigilanza. In particolare, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha indicato da tempo l’opportunità che le autorità di vigilanza operanti nei diversi Paesi rafforzino la stabilità e la solidità delle banche introducendo coefficienti minimi di patrimonializzazione , correlati al rischio, e rendano uniformi i criteri per stabilire il patrimonio di vigilanza in modo da ridurre le disparità competitive tra le banche di diversa nazionalità. La Banca d’Italia, adeguandosi agli accordi di Basilea, fonda principalmente le sue valutazioni sulle banche basandosi sul loro patrimonio, che ai fini della vigilanza prudenziale è suddiviso in tier, parola inglese che indica “livelli” o “scaglioni”. E’ dunque riferendosi al volume del patrimonio utile ai fini di vigilanza, e alla sua stratificazione, che la nostra banca centrale stabilisce la solvibilità delle banche, la loro dimensione e la loro capacità di assumere rischi. © Cesi Multimedia 97 Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche sia perché i requisiti patrimoniali introdotti non tenevano adeguatamente conto di fattori che pure incidono notevolmente sulla rischiosità dell’esposizione creditizia, quali le differenze del merito creditizio tra le diverse imprese, le diverse scadenze dei prestiti (che erano poste nello stesso piano), la diversificazione geografica e merceologica degli impieghi effettuati dalla banca6. Successivamente, fu emanato l’accordo di Basilea 2 che mirando a rafforzare la stabilità del sistema bancario ha, tra l’altro, imposto a ciascuna banca di detenere un patrimonio netto di vigilanza almeno pari all’8% degli impieghi (i finanziamenti concessi alla clientela) ponderati per i diversi fattori di rischio7. In conseguenza della grave crisi finanziaria che ha colpito l’economia mondiale a partire dal 2007, il Comitato di Basilea è intervenuto nuovamente per riformare la regolamentazione finanziaria internazionale. Le nuove regole, note con la denominazione di Basilea 3 sono entrate in vigore nel 2013, ma andranno completamente a regime nel 2019. L’Accordo di Basilea 3 ha rafforzato le regole precedentemente introdotte affrontando principalmente tre aspetti: il potenziamento del grado di patrimonializzazione delle banche, così da mantenere la stabilità e gli equilibri patrimoniali anche in periodi di crisi economica – finanziaria, come quello attuale; la creazione di strumenti anticiclici, da attuare nei periodi di maggiore crescita economica e da utilizzare per fronteggiare le fasi recessive del ciclo economico; la gestione del rischio di liquidità, per evitare pericolose insolvenze delle banche. Per quanto riguarda il grado di patrimonializzazione, che più interessa la concessione dei fidi alle imprese, il coefficiente di solvibilità è rimasto invariato, ma è mutata la composizione del patrimonio di vigilanza (numeratore del rapporto), ora prevalentemente costituito da vere e proprie poste di patrimonio netto8. 5.4 La misurazione del rischio di credito Come già evidenziato in seguito agli accordi di Basilea, le banche devono detenere un patrimonio netto di vigilanza almeno pari all’8% dei finanziamenti erogati alla clientela, ponderati in relazione ai diversi fattori di rischio9. ------------------------------------------6 L’esposizione al rischio è inevitabile per qualsiasi impresa, tuttavia essa trova la massima espressione nell’esercizio del credito tipico dell’attività bancaria e assicurativa. La gestione delle banche comporta rischi particolari, quali: rischi derivanti dall’attività di intermediazione creditizia (rischi di credito) rischi relativi all’instabilità dei mercati dei capitali (rischi di mercato) rischi relativi all’operatività della banca (rischi operativi) altri rischi relativi alle scelte strategiche 7 L’accordo di Basilea 2 puntava a rafforzare la stabilità delle banche mediante l’adozione congiunta di tre pilastri: l’imposizione di requisiti patrimoniali minimi (patrimonio di vigilanza minimo che le banche devono detenere a fronte degli affidamenti concessi); il controllo prudenziale esercitato principalmente dalla Banca d’Italia; la disciplina del mercato che richiede una serie di informazioni da fornire alle autorità e al pubblico sul livello patrimoniale, sui rischi e sulla gestione cui l’attività della banca stessa va incontro. 8 Il patrimonio di vigilanza non coincide esattamente con il concetto di patrimonio netto (capitale sociale + riserve), ma è un aggregato risultante dalla somma del patrimonio di base (tier 1) e del patrimonio supplementare (tier 2). Il tier 1 è il patrimonio di qualità primaria (core capital) formato dal totale del capitale versato e dalle riserve di utili, del fondo per rischi bancari generali e degli strumenti innovativi di capitale (quali le preference shares che sono titoli emessi da controllate estere incluse nel gruppo bancario), al netto delle deduzioni costituite dalle azioni proprie in portafoglio, dalle immobilizzazioni immateriali e dalle eventuali perdite di esercizio. Al suo interno viene distinto il common equity (Core tier 1), costituito soltanto dal patrimonio di primissima qualità formato dal capitale sociale versato per le azioni ordinarie e dalle riserve di utili. Il tier 2 è il patrimonio di qualità secondaria (supplementary capital) formato dal totale delle riserve di rivalutazione, del fondo rischi su crediti , delle passività subordinate e degli strumenti ibridi di patrimonializzazione. Le passività subordinate sono obbligazioni che in caso di liquidazione vengono rimborsate solo dopo aver estinto tutti gli altri debiti; gli strumenti ibridi di patrimonializzazione sono passività perpetue e altre passività rimborsabili su richiesta dell’emittente col preventivo consenso della Banca d’Italia. I nuovi accordi di Basilea 3 prevedono che il common equity dovrà progressivamente salire dall’attuale 2% al 4,5%), mentre il tier 1 dovrà salire dall’attuale 4% al 6%. Per ridurre le divergenze regolamentari tra i vari Paesi, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha anche aggiunto un ulteriore aggregato (tier 3) utilizzabile ai soli fini della copertura dei rischi di mercato (su portafoglio titoli, contratti in cambi e posizioni su commodities eventualmente assunte dalla banca). Questo terzo aggregato comprende i prestiti subordinati a breve e media scadenza privi di garanzie e con la clausola lock in secondo la quale la banca emittente sospende il pagamento degli interessi e il rimborso del capitale nel caso in cui il patrimonio della banca stessa scenda sotto il livello minimo previsto dalla normativa. 9 La dotazione patrimoniale della banca deve essere tale da soddisfare la seguente disequazione: P P (r m ) + P (r 0 ) + 8% x APR Dove: P = patrimonio di vigilanza P (r m ) = patrimonio a fronte dei rischi di mercato P (r 0 ) = patrimonio a fronte del rischio operativo 98 © Cesi Multimedia Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche La formula, semplificata, prescindendo dalla composizione specifica del patrimonio di vigilanza posto al numeratore del rapporto è la seguente: La dotazione patrimoniale costituisce un vincolo quantitativo per l’erogazione dei fidi che obbliga le banche a ricapitalizzarsi, oppure a limitare l’entità dei finanziamenti concessi. Per quanto riguarda i rischi da prendere in considerazione per determinare il denominatore del rapporto, occorre tener conto del: rischio operativo, cioè il rischio comune a ciascun soggetto economico che si verifica in seguito a circostanze esterne sfavorevoli, a processi aziendali, oppure per cause legali, ad atteggiamenti del personale (quali errori derivanti da difetti delle procedure informatiche, procedure di contenziosi in corso, sanzioni subite, ecc.); rischio di mercato, è legato a operazioni di investimento finanziario e riguarda le possibili variazioni di valore nei portafogli titoli e valute posseduti dalle banche o nei tassi d’interesse; rischio di credito, tipico dell’attività bancaria, è conseguente alla concessione di finanziamenti a terzi. A loro volta i rischi di mercato si distinguono in rischi finanziari e rischi economici. I primi riguardano gli andamenti finanziari delle entrate e delle uscite di denaro, i secondi (rischi economici) gravano sulla redditività della banca e sono rappresentati principalmente dal rischio d’insolvenza dell’impresa cliente cui è stato concesso il fido10. Il rischio di credito limita e condiziona la possibilità di erogare finanziamenti ai soggetti richiedenti ed è quindi quello che ha un impatto maggiore sul rapporto banca – impresa. La richiesta di finanziamento da parte di un’impresa che presenta un elevato rischio di credito determina un moltiplicatore superiore rispetto al caso di un’impresa con un basso rischio. Nel caso di rischio elevato, il finanziamento ponderato per il moltiplicatore (denominatore del rapporto) tende a innalzarsi e, conseguentemente, per rispettare il vincolo dell’8%, la banca deve aumentare l’importo del patrimonio di vigilanza. All’opposto, se al denominatore del rapporto vi sono finanziamenti con un grado di rischio minimo e/o comunque molto basso, a parità di patrimonio di vigilanza e stante il limite dell’8%, la stessa banca ha la possibilità di effettuare un maggior volume di impieghi. E’ quindi chiaro che, stante il limite del coefficiente, ciascuna banca tende a implementare strategie di massimizzazione della propria redditività, preferendo nella concessione di fidi le imprese meno rischiose. 5.5 La valutazione del merito creditizio Per quanto riguarda i singoli rapporti di credito con le imprese, si richiede alle banche di applicare metodologie “oggettive” riguardanti la valutazione delle controparti e delle garanzie che esse offrono come mitigazione del ri- ------------------------------------------APR = attivo patrimoniale ponderato per il rischio di credito 10 I rischi di credito possono essere classificati in rischi finanziari e rischi economici. I rischi finanziari a loro volta si suddividono in due categorie: la prima è legata all’immobilizzo, cioè al mancato rispetto delle scadenze da parte della clientela che restituisce in ritardo i prestiti ottenuti; la seconda è dovuta all’anelasticità finanziaria, cioè all’impossibilità di smobilizzare i crediti prima della loro scadenza. I rischi economici sono costituiti dall’inadempienza delle imprese clienti a cui le banche accordano il fido e dalle operazioni fuori bilancio, ossia dalle operazioni con le quali la banca sottoscrive obbligazioni di clienti (concessione di avalli, fidejussioni), oppure ha stipulato contratti a termine (per esempio option su valute o contratti a termine di borsa). Sono considerati rischi economici anche quelli derivanti dall’anelasticità che si verificano quando cambiano le condizioni di mercato senza che la banca possa intervenire sulle operazioni già compiute con la clientela. © Cesi Multimedia 99 Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche schio. Sono così stati stabiliti, in modo univoco a livello internazionale, il concetto di rischio di credito e le modalità per misurarlo, nonché i criteri di controllo da parte delle autorità di vigilanza. Per misurare il rischio di credito sono possibili due metodologie: a) il metodo standard11, applicato per la valutazione delle imprese di grandi dimensioni il cui giudizio finale (rating) deve essere espresso da agenzie specializzate (Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch); b) il metodo basato sul sistema dei rating interni (IRB) che riguarda le piccole – medie imprese. La valutazione del rischio deve essere elaborata dalla banca stessa alla quale compete il rilascio del rating. Tavola 5 – Metodi per la misurazione del rischio Misurazione del rischio Grandi impresa PMI Metodo standard Il giudizio finale viene espresso da agenzie specializzate Metodo sul sistema dei rating interni Il giudizio finale viene elaborato dalla banca stessa Attualmente le banche utilizzano sistemi di valutazione del merito creditizio che prendono in considerazione le quattro componenti elementari che seguono: 1) probability of default (PD) che esprime la possibilità che un’impresa cliente, su un orizzonte temporale di un anno, risulti insolvente, cioè incapace di onorare i propri impegni. Stimata la probabilità che l’impresa richiedente il finanziamento si trovi in una situazione di inadempienza, si definisce il grado di rischio (a PD elevate corrispondono rischi elevati); 2) loss given default (LGD) che indica in percentuale la quota di credito che la banca può perdere in caso di insolvenza dell’impresa cliente. Il suo calcolo risente: dalle garanzie reali e personali fornite dall’impresa cliente; dal costo finanziario del tempo di recupero, variabile in funzione del tempo e del tasso di rendimento di mercato offerto da impieghi alternativi i altre attività finanziarie; dal costo delle procedure concorsuali e di recupero crediti interne alla banca; 3) exposure at default (EAD) che indica l’importo del credito della banca al momento dell’insolvenza dell’impresa cliente; 4) maturity (M) che esprime la durata dell’esposizione creditizia della banca. Può rappresentare un fattore critico per la banca nel momento in cui vi sia un livellamento tra le scadenze dei crediti e dei debiti assunti dalla banca stessa. Nel determinare l’IRB le banche possono utilizzare due diverse versioni: una versione based e una versione advanced. Nella versione based la banca deve stimare soltanto la probability of default e, previa autorizzazione dell’autorità di vigilanza, il fattore maturity. Nella versione advanced invece la banca deve determinare tutti i fattori di rischio (componenti elementari). ------------------------------------------11 La metodologia standard utilizza valutazioni esterne di merito creditizio al fine di rafforzare la sensibilità del rischio e del conseguente assorbimento patrimoniale. La misurazione del rischio di credito è svolta attraverso ponderazioni fisse di rischio per ciascuna categoria di debitore e tiene conto di una articolata gamma di garanzie che le banche hanno facoltà di riconoscere. E’ la stessa normativa che definisce i fattori di ponderazione relativi alla probability of default, alla loss given default e alla maturity sulla base della categoria giuridica dell’impresa, delle sue dimensioni aziendali e delle caratteristiche del finanziamento richiesto. In pratica per determinare il patrimonio assorbito a fronte di ogni finanziamento concesso deve essere utilizzato un coefficiente di ponderazione commisurato al rischio che è determinato da agenzie di rating esterne. 100 © Cesi Multimedia Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche Il sistema dei rating interni deve prevedere un numero di classi non inferiore a 8 (7 per i clienti adempienti +1 per i clienti inadempienti); a ogni classe di rating viene associato un grado di affidabilità finanziaria decrescente al crescere del livello di rating. Tale sistema deve anche essere in grado di assegnare in modo univoco a ogni cliente una classe, deve associare a ogni classe una soglia minima e una soglia massima di probabilità di inadempienza (PD) e deve essere attendibile, cioè il risultato deve rientrare nei parametri statisticamente ammessi sulla base delle soglie di probabilità previste per la classe stessa. Nel determinare il rating la banca ha una certa discrezionalità, per cui una stessa impresa potrebbe ottenere valutazioni diverse a seconda della logica di valutazione seguita dalla banca. Infatti l’assegnazione interna del rating a ogni impresa cliente si avvale di programmi automatizzati, ma prevede adeguamenti finali di carattere discrezionale effettuati dal funzionario a cui è affidata la responsabilità del finanziamento. Tali adeguamenti sono frutto di un processo complesso che tiene conto di un gran numero di informazioni e si basa su elementi oggettivi e su giudizi soggettivi. Tra le informazioni richieste per la formulazione dei rating interni, il Comitato di Basilea indica quelle attinenti alle seguenti classi: caratteristiche proprie dell’azienda cliente, quali la sua capacità storica e prospettica di generare liquidità, flessibilità finanziaria, qualità dei ricavi, qualità del management e posizionamento dell’azienda nel settore in cui opera; caratteristiche e andamento del settore in cui l’azienda opera; si tratta di informazioni legate al mercato internazionale e a quello locale in termini di andamento storico, evoluzione prevedibile della domanda e dell’offerta, tasso di inflazione e tasso di disoccupazione; andamento del rapporto sistema bancario – impresa, desumibile dalle informazioni che la banca può, tra le altre fonti, assumere attingendo direttamente ai dati della Centrale dei rischi. In modo da formulare rating ponderati, le informazioni devono consentire alla banca di effettuare analisi qualitative che integrano quelle tradizionalmente condotte sui dati contabili (analisi quantitative). L’analisi qualitativa riguarda le informazioni di tipo ambientale, circa il core business dell’impresa, i suoi principali concorrenti, le strategie utilizzate e la tipologia di vantaggio competitivo ricercato. Tali analisi devono essere condotte sia in una prospettiva temporale, sia in una prospettiva spaziale; possono pertanto riguardare tanto il comportamento che l’impresa ha tenuto in passato, quanto il suo profilo etico e l’attenzione alle tematiche sociali e ambientali. Il bagaglio informativo richiede un continuo aggiornamento; pertanto non serve solo nelle fasi di istruttoria della richiesta di fido e di prima erogazione del finanziamento, ma anche nella periodica attività di monitoraggio della posizione. Quest’ultima è rivolta a verificare se perdurano i presupposti per il mantenimento dell’esposizione creditizia o se è opportuna una revisione dell’affidamento che si risolva in un intervento per diminuire l’esposizione della banca e aumentare le possibilità di recupero delle somme prestate. Tavola 6 – La comparazione dei rating espressi da due banche diverse Banca X Classi di rating AAA AA A BBB BB B CCC © Cesi Multimedia Banca Y Intervalli di PD 0%-0,25% 0,25%-0,5% 0,5% -1% 1% -2% 2%-4% 4%-10% Maggiore 10% Classi di rating 1 2 3 4 5+ 5- Confronto Intervalli di PD 0%-0,5% 0,5%-2% 2% -4% 4% -8% 8%-10% Maggiore 10% Classi di rating X Classi di rating Y AAA, AA A, BBB BB B CCC 1 2 3 4, 5+ 5- 101 Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche 5.6 Le implicazioni nei rapporti tra la banca e le PMI Mentre in passato le banche potevano finanziare le imprese prendendo in considerazione soltanto i risultati dell’istruttoria di fido, con le regole imposte dagli accordi di Basilea, complice la crisi economica che ancora perdura e la conseguente restrizione del credito, esse sono costrette a effettuare una vera e propria graduatoria per scegliere l’impresa più meritevole. Il requisito minimo di patrimonializzazione a fronte degli affidamenti concessi e il sistema di valutazione dei rischi di credito implicano che a un rating di basso livello corrisponda un forte rischio di credito per la banca, che deve pertanto accantonare importi maggiori nel patrimonio di vigilanza e di conseguenza applicare tassi più elevati per coprire il costo che deriva dall’immobilizzo di capitale. Pertanto, per le imprese clienti, ottenere un buon rating rappresenta un obiettivo strategico perché consente di ricevere credito bancario a condizioni convenienti. Questa connessione tra rischi e tassi di interesse spinge le imprese a cambiare le proprie strategie, sia dal punto di vista economico – finanziario, sia dal punto di vista comunicativo. Circa l’aspetto economico – finanziario è chiaro che le PMI dovrebbero essere orientate a migliorare il proprio merito creditizio, utilizzando tutte le leve a disposizione per ottimizzare la struttura patrimoniale e aumentare le proprie capacità reddituali, come sinteticamente indicate nella tavola n. 1 che segue. Ciò implica il miglioramento degli indicatori di redditività, di solidità e di solvibilità che comportano l’attribuzione di un rating migliore. Tavola 7- Leve strategiche per migliorare il rating LEVE DETTAGLIO Struttura finanziaria Leve finanziarie Costo del debito Gestione della tesoreria Leva economico – patrimoniale Aumento della redditività Leve gestionali Fattori qualitativi OBIETTIVI Riduzione della leva finanziaria (miglioramento del rapporto tra totale impieghi e capitale proprio) mediante l’ aumento dei mezzi propri. Allungamento delle scadenze dei debiti: da breve a medio e lungo termine Creazione di una riserva di liquidità Riduzione del capitale circolante netto rispetto al fatturato Cessione di crediti pro – soluto Riduzione degli oneri finanziari mediante la gestione del rischio di tasso di interesse Riduzione degli oneri finanziari mediante l’ottimizzazione della liquidità (saldi attivi dei c/c bancari e postali) Eliminazione degli scoperti di c/c Riduzione degli insoluti su portafoglio di effetti commerciali allo sconto o anticipi su fatture Riduzione /movimentazione del rapporto tra somme utilizzate e fidi accordati Riduzione dei costi attraverso il miglioramento dell’efficienza dei processi produttivi; aumento dei ricavi anche attraverso processi di internazionalizzazione. Monitoraggio costante sulla redditività degli investimenti Governante aziendale Modello organizzativo Prodotti e strutture distributive Concentrazione per fasce di clientela Selezione e concentrazione dei fornitori Monitoraggio costante dei rischi operativi Fonte: estratto da Maurizio Belli, Emanuele Facile “La nuova finanza di impresa” – Guida pratica a Basilea 2 – Il Sole 24 ore La riduzione dell’indebitamento e/o la ricapitalizzazione appare la soluzione a prima vista migliore (se un’impresa può attingere al capitale proprio, per esempio attraverso nuovi conferimenti dei soci, il problema dei rapporti con la banca viene, almeno in parte, a cadere in quanto viene meno la necessità di ricorrere al capitale di debito); è però vero che le imprese italiane hanno una certa ritrosia a far entrare capitali di nuovi soci esterni all’assetto proprietario, tradizionalmente composto dai membri di una stessa famiglia (capitalismo finanziario). Tuttavia questa, unita ad altre, potrebbe essere una soluzione che, consentirebbe alle PMI di superare i problemi finanziari che storicamente le affliggono. Sotto questo aspetto potrebbe essere presa in considerazione anche l’ipotesi di 102 © Cesi Multimedia Capitolo 5 – Capire i vincoli che hanno le banche far entrare in società le banche stesse in modo da coinvolgerle maggiormente negli aspetti operativi e nei processi aziendali. Considerando la necessità delle banche di raccogliere le molteplici informazioni utili ai fini della definizione del rating interno, le imprese devono adottare modalità e strumenti comunicativi diversi, maggiormente orientati a fornire valutazioni prospettiche circa le performance aziendali, quali i business plan, i rendiconti finanziari e i budget. Esse inoltre dovranno imparare ad autovalutarsi, esprimendo un giudizio su sé stesse come lo esprimerebbe la banca. Poiché la banca deve effettuare proiezioni, è infatti probabile che richieda alla stessa azienda un autoprofilo delle proprie capacità reddituali e di solvibilità. A tali fini diventa importante implementare un sistema informativo completo, in grado di produrre tanto le “tradizionali” informazioni contabili, quanto le informazioni proprie del controllo di gestione, in modo da monitorare costantemente l’evoluzione delle operazioni e il grado di raggiungimento degli obiettivi predefiniti. È infatti attraverso gli strumenti propri del controllo di gestione che le imprese riescono a definire i propri punti di forza e le proprie debolezze e scoprire su quali leve agire per migliorare la propria posizione. Il Comitato di Basilea ha peraltro indicato, quali informazioni indispensabili per la formulazione dei rating interni sottostanti alla concessione di fido, la valutazione attuale e prospettica della redditività e della struttura finanziaria dell’impresa; sono altresì informazioni fondamentali quelle inerenti alla gestione dell’attivo circolante, alla gestione della tesoreria, alla posizione competitiva sul mercato e ai fattori comportamentali. Circa il miglioramento del rapporto con le banche, diventa importante anche abbandonare la logica della “burocratica” richiesta di fido per abbracciare quella della collaborazione sotto molteplici forme, quali la consulenza offerta dallo stesso addetto all’ufficio fidi che potrebbe orientare l’impresa cliente verso forme di finanziamento “personalizzate” quali quelle di finanza strutturata12. Le PMI possono inoltre sfruttare i Confidi (consorzi di garanzia collettiva fidi) che sotto molteplici aspetti rappresentano un’ulteriore leva strategica che consente loro di acquisire maggiore forza contrattuale nei confronti del sistema bancario13. In periodi particolari di credit crunch, quali quello attuale, in cui le banche restringono il credito, le PMI possono incontrare maggiori difficoltà rispetto alle grandi imprese nell’ottenere finanziamenti, magari perché non dispongono di garanzie adeguate. Tali difficoltà possono essere superate aderendo a un Confidi che non solo supporta l’impresa offrendo garanzie alle banche convenzionate, ma sfruttando il suo potere contrattuale, potrebbe anche essere in grado di stringere accordi con una o più banche per ottenere credito alle migliori condizioni. ------------------------------------------12 La finanza strutturata risponde alle specifiche esigenze dei soggetti richiedenti il finanziamento personalizzandone le forme. Sono per esempio operazioni di finanza strutturata: la finanza di progetto (project finance); il finanziamento di immobili da investimento (income production real estate); i finanziamenti per acquisizione (acquisition finance); i finanziamenti di attività reali a destinazione specifica (object finance o, più comunemente, asset finance); i finanziamenti per crediti all’esportazione (export finance), ecc. 13 I Confidi sono unioni associative presenti sul territorio nazionale che supportano le PMI sia sotto l’aspetto finanziario, sia sotto l’aspetto economico – produttivo. Tali associazioni che possono essere costituite da artigiani, da commercianti, da industriali delle varie zone territoriali, sono senza fini di speculazione privata e hanno come valori fondanti la solidarietà e il principio della mutualità. © Cesi Multimedia 103 Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca 6. Capire ciò che è importante per la banca Alberto Cascia La cosa più importante è non smettere mai di domandare. Albert Einstein 6.1 Premessa Per le PMI è di fondamentale importanza comprendere le logiche sottese al processo di valutazione di una richiesta di finanziamento o semplicemente al mantenimento del rapporto fiduciario con la banca. Molto spesso, purtroppo, l’imprenditore si dimostra incapace di comunicare con la banca e di fornire informazioni utili a far capire la reale situazione aziendale (attuale e prospettica), gli obiettivi di breve e medio periodo in relazione al mercato e al controllo dei rischi aziendali. Il mancato trasferimento del quadro aziendale è molto spesso alla base della chiusura dei rapporti fiduciari tra banca e impresa. Riteniamo, quindi, estremamente utile fornire all’imprenditore ed a coloro che sono a lui vicino alcuni consigli pratici per gestire in maniera corretta i rapporti con la banca. 6.2 Ricordarsi sempre quali sono gli obiettivi della banca e quali sono i suoi vincoli Non bisogna mai dimenticarsi, che la banca è un’impresa che da un ventennio opera in regime di libera concorrenza e come tale ha come obiettivo generale il perseguimento del profitto. Opera, inoltre, e l’abbiamo visto nel capitolo precedente, in un mercato rigidamente regolamentato; il recente quadro normativo definisce nuovi criteri per la determinazione del fabbisogno di capitale interno delle banche e dei margini di sviluppo degli attivi di bilancio. Le innovazioni normative hanno necessariamente influenzato le politiche di allocazione del capitale a discapito del comparto imprese e, all’interno di esso, di quelle meno virtuose perché più onerose in termini di costo del credito delle banche. 6.3 Le valutazioni creditizie effettuate dalle banche Quali sono gli aspetti più importanti del processo di valutazione di una richiesta di finanziamento? Per rispondere a questa domanda è utile sviluppare il ragionamento con riferimento a due momenti distinti: quello del primo affidamento o della revisione degli affidamenti, quello relativo alla fase di monitoraggio e di controllo del rapporto fiduciario. 6.3.1 Prima fase: valutazione di un affidamento In caso di richiesta di un affidamento o della sua periodica revisione, la banca valuta l’operazione di finanziamento e il cliente che ne fa richiesta. Analisi dell’operazione L’operazione aziendale finanziata costituisce per la banca fonte di rimborso primaria del prestito concesso. Analizzare questa operazione, per verificarne la valenza in termini di fonte di rimborso del fido, significa valutare la congruità della destinazione e della modalità di rimborso del fido stesso. La destinazione del fido è congrua se lo stesso è destinato al finanziamento di operazioni direttamente connesse all’attività economica dell’impresa che potenzialmente contribuiscono a generare ricchezza per l’azienda e conseguentemente contribuiscono a generare nel tempo un flusso di cassa disponibile per il servizio del debito. Affinché la banca possa verificare la finanziabilità dell’investimento, l’impresa deve essere in grado di fornire un piano industriale che illustri la bontà dell’operazione, i costi, i benefici e i rischi connessi all’investimento e le modalità di copertura del fabbisogno finanziario. © Cesi Multimedia 105 Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca Per quanto riguarda, invece, le operazioni di finanziamento del circolante, l’attitudine delle stesse a generare flussi di cassa viene ricondotta all’analisi previsionale complessiva dell’impresa (flussi di cassa previsionali). Le tavole successive rappresentano alcuni esempi schematici del processo di valutazione, adottato dalla banca, della congruità e adeguatezza della destinazione del fido in due casi particolari: affidamenti destinati al finanziamento del circolante; affidamenti destinati al finanziamento di investimenti nel fisso. Tavola 1 – Fidi destinati al finanziamento del capitale circolante Congruità destinazione del fido Aumento crediti commerciali Dilatazione termini di incasso (debolezza commerciale) NO Dilatazione termini di incasso (strategia aziendale) SI Aumento del fatturato Aumento acquisti DESTINAZIONE DEL FIDO: FINANZIARE IL CAPITALE CIRCOLANTE Aumento rimanenze Riduzione debiti commerciali SI SI Stagionalità SI Prodotti Obsoleti NO Riduzione termini pagamento (debolezza v/fornitori) NO Riduzione termini di pagamento (politiche d’acquisto) SI Riduzione fatturato NO Dallo schema che segue si rileva, ad esempio, che la destinazione del fido per l’acquisto di impianti e macchinari è congrua se l’investimento è finalizzato alla razionalizzazione del processo produttivo (sempre che, ovviamente, l’azienda dimostri di aver pianificato il suo ritorno in termini di costi/benefici ed individuato adeguati e positivi flussi di cassa previsionali). 106 © Cesi Multimedia Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca Tavola 2 – Fidi destinati al finanziamento di investimenti nel fisso Congruità destinazione del fido NON FUNZIONALI ALL’ATTIVITÀ AZIENDALE NO Adeguamento normative di Legge SI DESTINAZIONE DELL’AFFIDAMENTO = ACQUISTO BENI IMMOBILI, IMPIANTI E MACCHINARI Pianificazione costi/benefici e flussi di cassa Razionalizzazione dei processi e/o allocazione logistica (riduzione dei costi) FUNZIONALI ALL’ATTIVITA’ AZIENDALE Non vi è pianificazione SI NO Esiste un piano ind.le/fin.rio SI Non esiste …….. NO Vi sono delle prospettive/certezze di sviluppo Incremento del fatturato Non vi sono ………. NO La valutazione della congruità della modalità di rimborso viene effettuata dalla banca mettendo in relazione le seguenti variabili: qualità del portafoglio crediti dell’impresa affidata, distinguendo tra: vendite aziendali concentrate in pochi clienti; vendite aziendali frazionate su molti clienti. canalizzazione di adeguati flussi di lavoro che consentono una adeguata rotazione di utilizzo (per rotazione di utilizzo s’intende il rapporto tra il movimento ed il complesso degli utilizzi medi dei fidi di tesoreria). Il livello di indice di rotazione di utilizzo deve tenere conto dalle caratteristiche del ciclo economico, produttivo e commerciale dell’impresa in esame (aziende a commessa pluriennale, aziende operanti in settori con ciclo economico lungo ecc.). grado di tutela giuridica presente nelle operazioni di incasso crediti assegnate e/o anticipate. Nel caso d’impresa affidata le cui vendite sono concentrate su poche contropartite, per la banca risulta discriminante la qualità/solvibilità dei singoli clienti dell’affidato. © Cesi Multimedia 107 Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca Tavola 3 – La qualità dei crediti Qualità crediti BUONA Modalità di rimborso congrua se il cliente canalizza presso la banca adeguato movimento mercantile Qualità crediti MEDIA Modalità di rimborso congrua se il cliente canalizza presso la banca adeguato movimento mercantile ed utilizza linee di credito con tutela giuridica (cessione prosolvendo, sconto carta commerciale accettata ecc.) Qualità crediti BASSA La modalità di rimborso non è comunque congrua Tavola 4 – Vendite aziendali frazionate su molti clienti QUALITA’ DEL PORTAFOGLIO CREDITI DELL’IMPRESA SODDISFACENTE (di massima se vi è % di insoluti <25% e regolare rotazione degli anticipi per fidi connessi alle vendite) ** BASSA (di massima se vi è % di insoluti >25% e/o irregolare rotazione degli anticipi per fidi connessi alle vendite) ** CANALIZZAZIONE INADEGUATA DI FLUSSI DI LAVORO CANALIZZAZIONE ADEGUATA DI FLUSSI DI LAVORO NON CONGRUA CONGRUA NON CONGRUA NON CONGRUA ** Nella valutazione della qualità del portafoglio crediti dell’impresa e della % insoluti la banca dovrà comunque tenere conto delle caratteristiche del settore economico di appartenenza (consuetudini nei comportamenti commerciali, evoluzione congiunturale, ecc). Nello schema sopra riportato è rappresentata l’ipotesi dell’impresa il cui portafoglio clienti è frazionato. In questo caso, per la banca, la discriminante per l’individuazione della modalità di rimborso è rappresentata dalla qualità del portafoglio crediti dell’affidato, da verificare con i definiti criteri (monitoraggio delle operazioni canalizzate, percentuali insoluti, ecc). Tavola 5 – Qualità dei crediti nel caso di nuovi clienti Qualità crediti SODDISFACENTE Qualità crediti BASSA Modalità di rimborso congrua se il cliente ha canalizzato adeguato movimento La modalità di rimborso non è comunque congrua In caso di nuovi clienti affidati la modalità di rimborso è congrua per la banca se: vi è l’impegno da parte del cliente alla canalizzazione di movimento adeguato ( che verrà dalla banca verificato al primo rinnovo degli affidamenti ossia entro i successivi 12 mesi) ; la banca ha ottenuto laddove possibile informazioni positive sul portafoglio crediti del cliente. Analisi del cliente Il cliente affidato o da affidare costituisce per la banca l’ulteriore fonte di rimborso primaria del fido concesso. In questo caso la banca verifica la capacità dell’impresa di generare nel tempo flussi di cassa adeguati a remunerare il servizio del debito (e del capitale di rischio), mantenendo un’equilibrata struttura patrimoniale, finanziaria e reddituale. La banca deve convincersi attraverso queste analisi della capacità dell’imprenditore e del management di guidare l’impresa adottando scelte e strategie coerenti con il mercato ed il settore di riferimento. 108 © Cesi Multimedia Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca Per l’impresa diventa quindi fondamentale dimostrare alla banca la propria capacità di pianificare lo sviluppo aziendale sotto ogni aspetto e di verificare tempo per tempo gli esiti delle azioni intraprese per agire prontamente sulle anomalie riscontrate. Dalle informazioni fornite alla banca che riguardano le previsioni aziendali, deve emergere la credibilità e la coerenza delle stesse rispetto alle risultanze dell’analisi di settore e dell’analisi manageriale. Per chiarire meglio questo aspetto si pensi ai seguenti esempi: azienda che opera in un settore in forte crisi ma che formula previsioni di espansione molto rilevanti (incremento notevole delle vendite, incremento dei margini ecc.). In un caso del genere, aldilà della coerenza numerica delle cifre contenute nei piani finanziari rassegnati dall’impresa alla banca, la raggiungibilità di tali obiettivi più che mai dipende dalla capacità dell’imprenditore e/o del management di guidare l’azienda in un contesto di mercato difficile, dalla sua capacità di intravedere nuove nicchie di mercato ecc. azienda che opera in un settore caratterizzato dall’innovazione tecnologica come fattore critico di successo e che non presenta traccia di investimenti materiali e/o immateriali, né a livello di dati storici né a livello di previsioni, con un rischio quindi di obsolescenza degli impianti e/o del prodotto. azienda operante in un settore all’interno del quale risulta fattore critico di successo la leva pubblicitaria a sostegno delle vendite e/o come leva di innovazione di marca e non si abbia alcuna notizia (storica o previsionale) di programmi di investimenti a ciò finalizzati. In situazioni incoerenti come quelle descritte, il dubbio della banca circa la reale sostenibilità delle previsioni aziendali, può essere fugato soltanto a fronte di spiegazioni/approfondimenti riguardanti la specifica realtà e la specifica strategia dell’impresa che rendano credibili le ipotesi di sviluppo (altrimenti incoerenti). La banca focalizza la sua attenzione sulla capacità dei vertici aziendali (proprietà e management) di garantire lo sviluppo futuro dell’azienda. Come già detto, valutare positivamente questo aspetto dell’impresa da parte della banca significa consolidare la convinzione sulla capacità imprenditoriale/manageriale di guidare l’impresa adottando scelte e strategie coerenti con il mercato ed il settore di riferimento. Nella tabella che segue sono riportati alcuni aspetti dell’analisi condotta dalla banca, a puro titolo di esempio. Tavola 6 – Esempi di alcune analisi condotte dalla banca L’ASSETTO SOCIETARIO (CONDUZIONE E CONTROLLO) È il primo e forse il più importante degli elementi che viene considerato dalla banca e riguarda l’analisi imprenditoriale e manageriale. Basti pensare, solo per fare un esempio alla minaccia per la continuità e la sopravvivenza stessa dell’azienda insito in una situazione di frammentazione degli assetti proprietari, magari accompagnato da contrasti più o meno palesi tra soci azionisti. Ovvero si pensi all’azienda a proprietà monofamiliare sulla quale si intravedono problemi di continuità di conduzione (età avanzata del/degli esponenti privi di successori in famiglia ovvero al contrario con vari eredi alla conduzione aziendale in contrasto tra loro ecc.) LA CAPACITÀ PROFESSIONALE DEI SOCI/AZIONISTI/MANAGEMENT È un altro aspetto cruciale dell’analisi. Specie nelle situazioni in cui si abbia a che fare con imprese che operano in mercati caratterizzati da crisi o anche solo in situazione di semplice turbolenza o con un grado di innovazione molto elevato e/o molto veloce, la capacità di conduzione aziendale risulta decisiva per la stessa sopravvivenza dell’azienda. In simili situazioni, infatti, risulta fondamentale che il management sappia effettuare scelte tempestive e coerenti in rapporto al mercato di riferimento, con approccio, se necessario, altamente innovativo in termini di tecnologia, di prodotto, di marketing e promozione, di organizzazione della distribuzione e della vendita. In altre situazioni di mercato, per esempio quelle caratterizzate da maggiore stabilità, fa premio, invece, l’esperienza, la specializzazione ecc. STRUTTURA/ORGANIZZAZIONE AZIENDALE La presenza di una organizzazione ben strutturata (per funzioni, per linee di prodotto/business o altro) è spesso accompagnata da diffuse competenze specialistiche (di funzione o riguardanti un’area di business) all’interno dell’impresa e soprattutto da competenze diffuse di qualità più elevata rispetto alle realtà aziendali nelle quali vige una maggiore destrutturazione dell’organizzazione e dei processi (per esempio tutti fanno tutto). In questa seconda situazione, proprio perché tendenzialmente caratterizzata da una minor “qualità” delle competenze diffuse all’interno dell’impresa, vi può essere una maggiore dipendenza dai vertici aziendali. Infine si può aggiungere che normalmente soltanto all’interno delle imprese strutturate, è presente un presidio dedicato alla funzione finanza con tutte le implicazioni che ciò comporta per la strategia commerciale e creditizia della banca. © Cesi Multimedia 109 Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca Altri elementi di valutazione Oltre alle analisi effettuate sull’operazione, sul cliente ed in via secondaria sulle garanzie a presidio dell’affidamento, la banca effettua l’esame di altri indicatori quali : l’indicatore di rischiosità settoriale, le risultanze della Centrale dei Rischi, la contribuzione economica della posizione affidata. Tutti questi indicatori hanno la loro rilevanza in sede di decisione finale della pratica di affidamento, ma la contribuzione economica del cliente, ossia quanto la banca margina dalla relazione affidata, costituisce la discriminante per la concessione o il mantenimento del fido, in quanto correlata al livello di rischio assunto dalla banca e quindi alla quota di capitale assorbita. Se la contribuzione economica non è coerente con il livello di rischiosità vi sono molte probabilità che la richiesta di finanziamento venga declinata o in presenza di revisione la posizione venga posta a rientro. 6.3.2 Seconda fase: monitoraggio del rapporto fiduciario La Banca, relazionandosi quotidianamente con l’impresa, ottiene ed archivia un’innumerevole quantità di dati e di informazioni e quindi ha la possibilità di svolgere una costante azione di monitoraggio del rischio. L’attività di controllo posta in essere dalla banca ha lo scopo di focalizzare l’attenzione sulle relazioni che presentano indicatori di rischiosità significativi. La banca in altre parole mette in atto un sistema standardizzato di controllo che ha lo scopo di rilevare sintomi, individuare cause, definire diagnosi e decidere sulle azioni da intraprendere. In particolare l’analisi effettuata dalla banca si sofferma sui comportamenti bancari (sintomi di deterioramento) come ad esempio aumento % insoluti – diminuzione rotazione di utilizzo etc.; per poi passare alla formulazione di una o più ipotesi di causa di degrado (es. difficoltà negli incassi) che avvalora anche tramite fonti esterne (indagine informativa), ed infine giungere alla verifica dell’ipotesi di degrado, chiarendo direttamente con il cliente. L’analisi in argomento ha l’obiettivo d’individuare la causa di degrado/sintomi di difficoltà finanziaria del cliente. La causa di degrado innesca un circolo vizioso che, in ogni sua fase, ha le manifestazioni specifiche (comportamenti bancari). L’intensità ed il riproporsi delle stesse, opportunamente misurata, porta alla definizione di cliente “cattivo”. Il cliente “cattivo” è il cliente per cui, in assenza di interventi da parte della banca, vi è un’alta probabilità che il credito sia integralmente o parzialmente irrecuperabile nei 12 mesi successivi. Di seguito vengono riportati alcuni esempi del comportamento della banca al verificarsi di situazioni specifiche. Esempio 1 Nel caso un cui l’impresa presenti una diminuzione dei volumi di vendita difficoltà negli incassi commerciali, la banca rileverà il fenomeno registrando una modifica dei comportamenti bancari (interni alla banca e presso la centrale rischi) attraverso il verificarsi di sconfinamenti persistenti (sintomo del degrado). La banca indagherà da subito senza attendere i tempi della revisione degli affidamenti per capire le cause del sintomo. A seconda delle ragioni, che potrebbero essere, ad esempio, l’obsolescenza del prodotto, la rete di vendita inadeguata, la perdita di un cliente primario, le carenze della struttura produttiva, i dissidi nella compagine sociale, la perdita di concessioni, nuovi concorrenti ecc., la banca farà la sua valutazione circa il livello di gravità della situazione. È fondamentale in questo momento essere in grado di fornire informazioni complete, coerenti e trasparenti poiché è in questa fase che vengono decise le sorti aziendali. Se il fenomeno di business è l’obsolescenza del prodotto, l’ipotesi che la banca andrà a verificare è la diminuzione di fatturato che ha ingenerato una diminuzione di risorse finanziarie. Se il cliente riferisce che non sta effettuando nessun intervento correttivo, la gravità della situazione è alta. Nel caso, invece, in cui il cliente abbia già posto in essere interventi per ridurre i costi o per diversificare la produzione, la gravità della situazione può essere considerata media. La banca verificherà anche altre situazioni come, ad esempio, saturazione del fido per elasticità di cassa, minori presentazioni di rimesse di riba al salvo buon fine o fatture, aumento della percentuale insoluti su riba o fatture (comportamenti bancari), riduzione degli orari di lavoro, aumento del magazzino ecc. 110 © Cesi Multimedia Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca Esempio 2 Nel caso in cui vi sia a una riduzione delle vendite in alcune aree geografiche del mercato domestico per l’ingresso di nuovi concorrenti , è importante che l’impresa presenti alla banca le azioni correttive che intende adottare. A seconda della qualità di tali strategie la banca potrà formarsi o meno un giudizio positivo sull’impresa. Nel caso di giudizio negativo, la banca adotterà uno dei seguenti comportamenti: riduzione dell’esposizione; modifica delle forme tecniche, inducendo l’azienda a trasferire gli utilizzi nelle forme tecniche a maggiore contenuto di difficoltà presso altre banche; assumere nuove presentazioni di portafoglio crediti con cessione del credito; richiedere ulteriori garanzie a presidio del rischio anche in forma reale. La banca, inoltre, valuterà se: contenere eventuali agevolazioni e riconsiderare l’importo della facilitazione fronteggiata da assegni accreditati al sbf; valutare l’opportunità di chiedere la revoca di parte degli ordini permanenti impartiti e degli addebiti preautorizzati; esigere l’immediata copertura di eventuali sconfinamenti; privilegiare, fra i pagamenti canalizzati, le domiciliazione degli F24 per controllare il corretto e puntuale pagamento delle imposte; verificare a campione gli effetti domiciliati sulle proprie casse e le disposizioni di bonifico impartite per monitorare i termini di pagamento ai fornitori (tempi e modalità), al fine di cogliere eventuali significative variazioni verificare se avvengono ritiri insoliti di effetti domiciliati c/o altre banche affidanti; monitorare le emissioni di assegni bancari ed i versamenti in assegni al fine di cogliere eventuali anomalie, quali ad esempio: incrocio di assegni; estinzione di assegni bancari con numerazione appartenente a carnets rilasciati in tempi lontani; insolito aumento nell’emissione di A/B emessi correlato ad una diminuzione degli appunti/effetti domiciliati presso le proprie casse; verificare il motivo di richieste di assegni circolari/contanti di importo rotondo. 6.4 L’impatto delle regole di Basilea Bisognerebbe dire molte cose ancora per far capire il perché le banche prediligono una forma tecnica di finanziamento piuttosto che un’altra. O perché un’azienda operante in un settore beneficerebbe di adeguato sostegno finanziario dalla banca mentre la medesima azienda, se cambiasse settore di attività, non godrebbe più della stessa fiducia creditizia. Bisognerebbe anche spiegare il perché un’azienda “buona” potrebbe vedersi ridurre il fido da una banca mentre un’altra banca potrebbe incrementarle il livello di affidamento. Si dovrebbe parlare, inoltre, degli effetti del declassamento del Paese Italia da parte delle società di rating sulle politiche di erogazione del credito e di come lo spread tra il BTP ed il Bund influenza nel medesimo modo il livello di erogazione del credito in Italia. Per parlare di questi fenomeni però occorrerebbe scendere troppo nel tecnico, parlando di Basilea2 (B2) e dei suoi riflessi sul bilancio delle banche. E questi aspetti esulano dalla presente trattazione. Cercheremo, tuttavia, di soddisfare l’interesse del lettore con alcuni semplici ragionamenti. 6.5 I nuovi parametri per calcolare il fabbisogno di capitale nelle banche e i loro effetti sui rapporti banca-impresa Utilizzeremo degli esempi per rappresentare le attuali modalità di calcolo degli assorbimenti di capitale delle banche. Partiamo dall’ipotesi di una impresa richiedente un affidamento di 100 mila euro utilizzabile per elasticità di cassa, finalizzato a sostenere il capitale circolante dell’impresa. © Cesi Multimedia 111 Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca La tabella che segue evidenzia quale sarebbe il costo di capitale per una banca secondo i parametri di Basilea2 e secondo i precedenti parametri di Basilea1 limitatamente al costo del credito. Tavola 7 – Costo del credito per le aziende secondo i parametri di Basilea1 e Basilea2 Regole di Capitale Segmento di mercato Ammontare Utilizzo Fido senza garanzie reali a revoca Costo del Capitale € 100.000,00 Basilea1 retail/corporate € 8.000,00 Basilea2 Metodo Standardizzato retail € 6.000,00 corporate € 8.000,00 Basilea2 Metodo con il miglior Rating interni retail/corporate € 1.600,00 Dalla tabella si evince che con il precedente metodo di calcolo, per la banca è indifferente la dimensione aziendale e l’identificazione della qualità del cliente che scaturisce dal calcolo del rating: il costo del capitale è sempre di 8 mila euro. Con l’introduzione delle regole di Basilea 2, invece, c’è differenza se l’azienda appartiene al segmento Retail o Corporate e se la banca adotta sistemi di rilevazione standardizzati (di regola banche di piccole e medie dimensioni) o sistemi interni di classificazione omologati dall’Organo di vigilanza (di regola adottati da banche di grandi dimensioni). L’azienda appartiene al segmento retail se il suo fatturato non è superiore a 5 milioni di euro e se l’ammontare complessivo degli utilizzi ponderati concesso dalla banca all’azienda è inferiore al 2% dell’esposizione complessiva della Banca verso il medesimo segmento retail. Al comparto retail appartengono anche le famiglie consumatrici. Tavola 8 – Costo del credito secondo i parametri di Basilea1 e Basilea2 in caso di garanzia reale Regole di Capitale Segmento di mercato Ammontare Utilizzo Basilea2 M. con il miglior Rating interni Costo del Capitale € 100.000,00 Basilea1 Basilea2 M. Standardizzato Fido con garanzie reali € 4.000,00 civile abitazione € 2.800,00 opificio industriale e altro € 4.000,00 civile abitazione € 1.600,00 opificio industriale e altro € 1.600,00 Nella tavola 8, invece, gli effetti di Basilea 2 sul costo del capitale vengono rappresentati per un finanziamento a vista o a medio lungo termine assistito da una garanzia reale, nella fattispecie un’ipoteca. Tale garanzia per poter essere valorizzata e quindi dare i benefici rappresentati in tabella deve essere iscritta su beni immobili di civile abitazione a condizione che il finanziamento non superi l’80% del valore immobiliare (al netto di altri pesi) o su altri immobili a condizione che il debito non sia superiore al 50% del valore del bene (al netto di altri pesi). È evidente che le attuali regole sul capitale hanno portato dei benefici alle banche in termini di ponderazione, tanto più elevati quanto più l’azienda è di piccole dimensioni e/o di buona qualità, in presenza o meno di sistemi di calcolo standardizzati. Tali benefici poi migliorano ulteriormente se viene rilasciata una garanzia reale su beni di civile abitazione. Purtroppo, però, Basilea2 ha introdotto nuovi assorbimenti derivati da altri rischi tangibili che Basilea1 non considerava. È stato introdotto il Rischio operativo che di regola viene calcolato con metodo standardizzato e che prescinde dalla concessione del credito. Pertanto non deve essere preso in considerazione in questo contesto. Per quanto riguarda la concessione di un finanziamento, ulteriori costi di capitale sono determinati dal Rischio di concentrazione e dal Rischio di tasso, che con Basilea1 non venivano presi in considerazione. 112 © Cesi Multimedia Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca Il rischio di concentrazione comprende il rischio geo-settoriale e il rischio singular name, ovvero tiene conto dell’attività svolta dalla controparte affidata e della sua collocazione geografica nonché dell’ammontare complessivo dei suoi utilizzi in rapporto agli attivi della banca specifici al comparto a cui appartiene l’azienda affidata ed all’ammontare del capitale complessivo in dotazione alla banca. Quando appena descritto, rappresenta una situazione statica, che nella realtà difficilmente si configura considerata la possibile dinamicità del costo di capitale per l’azienda di credito. Facciamo l’esempio di una banca che utilizza il metodo standardizzato. Un rapporto fiduciario classificato retail potrebbe nel corso del tempo essere classificato corporate a causa della crescita del fatturato dell’azienda o perché è stata superata la soglia del 2% dell’ammontare complessivo degli utilizzi. L’aggravio del costo del capitale potrebbe indurre la banca a ridurre l’esposizione o ad incrementare il costo del finanziamento per l’impresa. La medesima posizione di rischio potrebbe invece essere trasferita nel comparto dei clienti “cattivi” a causa dell’andamento del rapporto, ad esempio, caratterizzato da perduranti sconfinamenti e/o da rate di finanziamento non in regola con il piano di rimborso. Potrebbe essere classificato anomalo anche per evidenze negative in centrale dei rischi o per bilanci ufficiali in peggioramento o semplicemente per un peggioramento della qualità dei crediti commerciali dell’impresa affidata, o in ultimo per una cattiva gestione della relazione con la banca. In questi casi il “danno” per la banca diventerebbe rilevante. Il costo del capitale passerebbe da 6 mila euro della tabella 1 a 12 mila euro. È chiaro, in questa eventualità, quale potrebbe essere la reazione della banca che improvvisamente si trova con un costo del capitale raddoppiato e nell’impossibilità, almeno nell’immediato, di incrementare adeguatamente i tassi di remunerazione del credito concesso. Nel periodo precedente l’introduzione delle regole di Basilea2, le banche avevano perseguito politiche espansive con particolare riguardo al settore edilizio (e quelli ad esso collegato) e al comparto dei finanziamenti a lungo termine concessi alle famiglie consumatrici. Le regole di Basilea2 non hanno portato alle banche benefici connessi alle ponderazioni del rischio di credito (come evidenziato dalla Tavola 7) nel caso di finanziamenti concessi ad imprese edili o immobiliari. In questa fattispecie la fonte di rimborso del finanziamento deriva prevalentemente dall’operazione finanziata e per questo presenta maggiori rischi venendo meno l’analisi del cliente. Se è neutrale per il rischio di credito, Basilea2 ha quindi prodotto un maggior onere di capitale per banca che finanzia queste tipologie di imprese, a causa dell’elevato rischio di concentrazione settoriale e di singular name, nonché per l’elevato rischio tasso derivante dalla durata delle operazioni. Gli stessi effetti si sono avuti con i finanziamenti a lungo termine rivolti alle famiglie consumatrici. Se in termini di rischio di credito, si sono registrati risparmi di capitale per le operazioni di mutui fondiari (assorbimenti passati dal 50% al 35%), le banche si sono trovate penalizzate per il costo del rischio di tasso e per il rischio liquidità, dato il forte squilibrio derivante dal processo di trasformazione delle scadenze degli attivi e dei passivi di bilancio. Il rischio di liquidità è da considerare rilevante sia a causa della crisi finanziaria prima che della crisi del debito sovrano poi. Se agli inizi della crisi finanziaria mondiale non si sono registrate importanti problematiche per le banche nostrane, forti della peculiarità del mercato domestico, la crisi del debito pubblico ha reso via via sempre difficile alle banche italiane l’accesso alla provvista a tassi normali oltre frontiera. La crisi del debito non solo ha creato problemi di liquidità ma ha determinato maggiori fabbisogni patrimoniali. In effetti il declassamento dell’Italia effettuato dalle società di rating internazionali ha incrementato il capitale interno delle banche, per maggiori assorbimenti patrimoniali derivante dagli utilizzi degli Enti territoriali e fra gli stessi Intermediari vigilati. Anche il minor valore di mercato dei titoli pubblici registrato alla fine del 2011, titoli presenti massicciamente nei bilanci delle banche, hanno ridotto sensibilmente il capitale netto in quel periodo. Tutti questi fenomeni vengono registrati dallo spread tra il Bund ed il Btp. Quando lo spread aumenta ci verificano ripercussioni nel medio periodo sulle politiche di erogazione del credito delle banche per gli effetti sulla loro liquidità, sul loro costo del denaro e sul loro capitale interno. Il Decreto “Monti” del 6 dicembre 2011 ha facilitato, tra l’altro, il finanziamento a medio termine delle banche da parte della BCE a prezzi in linea con quelli degli altri Paesi europei riuscendo a ridurre con tempestività lo spread, il rischio tasso e il rischio liquidità e ad impedire il credit crunch. Dopo aver fornito informazioni sui meccanismi di ragionamento degli Intermediari finanziari, possiamo rispondere ai quesiti posti all’inizio del paragrafo. © Cesi Multimedia 113 Capitolo 6 – Capire ciò che è importante per la banca Le banche non prediligono più i finanziamenti a lungo termine come i mutui ipotecari perché il costo dell’operazione in termini di capitale (rischio di credito e di tasso) e di liquidità non permette un adeguato ritorno economico, dati i vincoli normativi del livello del tasso di remunerazione. L’operazione non presenta quindi vantaggi economici per la banca. La banca, tuttavia, potrebbe comunque decidere di adottare una politica commerciale espansiva sul mercato retail, e quindi orientare una quota di capitale disponibile in favore di questa forma tecnica di finanziamento, per perseguire un determinato obiettivo, come ad esempio acquisire quota di mercato in una determinata area geografica per deconcentrare il rischio geo-settoriale. I mutui ipotecari, inoltre, permettono e l’acquisizione di clientela appartenente al comparto famiglie consumatrici che potrebbe fornire alla banca una raccolta di provvista stabile a basso costo, contribuendo altresì ad attività di cross selling e alla riduzione del rischio di concentrazione dal lato del passivo di bilancio. La forte concentrazione degli attivi bancari nel settore edilizio ed immobiliare ha determinato un improvviso credit crunch settoriale per le ragioni tecniche sopra esposte. Cosicché il settore è andato in crisi e le imprese a forte leva finanziaria non sono state in grado di rispettare gli impegni con il sistema bancario. Il fenomeno ha condotto ad un peggioramento dei margini di capitale disponibile per lo sviluppo del credito da parte degli intermediari finanziari. Per qualche banca ci potrebbe essere lo stesso problema di concentrazione settoriale in altri settori di attività economica, ci riferiamo a quelle banche che operano all’interno di distretti industriali che giocoforza hanno gli attivi concentrati in determinati settori come quello delle calzature, dei mobili o della meccanica etc. In questi casi, se la banca non ha importanti margini di sicurezza di capitale potrebbe decidere di ridurre il livello di concentrazione settoriale. Per ottenere risultati immediati andrebbe ad agire verso clientela in grado di restituire il finanziamento in tempi ragionevoli e senza rilevanti ripercussioni di stabilità aziendale. Una strategia opposta potrebbe essere, invece, perseguita da un’altra banca che non avesse le stesse esigenze di deconcentrazione settoriale. 114 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito 7. Chi sostiene l’accesso al credito Francesco Angeletti La verità è che la verità cambia Friedrich Nietzsche 7.1 Il ruolo dei Confidi Mentre fino a qualche anno fa l’accesso al credito bancario era relativamente semplice, l’avvento di Basilea 2, la crisi finanziaria globale e la prolungata situazione recessiva hanno notevolmente accresciuto la complessità di questo aspetto. Di fronte quindi ad una maggiore difficoltà nel rapporto con la banca, un’arma a disposizione dell’imprenditore è rappresentata dal ricorso ad una garanzia di un Confidi a parziale copertura del rischio assunto dalla banca nel concedere un nuovo finanziamento. I Confidi (noti anche come consorzi fidi o organismi di garanzia collettiva fidi), sono organismi aventi struttura cooperativa o consortile che esercitano l’attività di concessione di garanzie su finanziamenti bancari allo scopo di facilitare l’accesso al credito delle imprese socie o consorziate. La loro attività garantisce notevoli benefici alle imprese, soprattutto a quelle che hanno una ridotta capacità contrattuale con le banche. Essi possono essere sintetizzati come segue: possibilità di ottenere nuova finanza per le aziende che senza la garanzia del Confidi non hanno accesso al credito; aumento della capacità di credito in termini di importo massimo ottenibile. Grazie alla garanzia del Confidi infatti l’azienda può ottenere un prestito o un fido di importo superiore a quanto avrebbe potuto ottenere senza l’intervento del Confidi; riduzione degli oneri finanziari pagati dall’impresa. I tassi di interesse applicati dagli istituti bancari convenzionati alle operazioni garantite sono generalmente inferiori rispetto alle normali condizioni di mercato. Contestualmente sono ridotti anche gli oneri accessori (ad esempio spese di istruttoria); certezza e trasparenza delle condizioni applicate delle banche e verifica delle stesse da parte dei Confidi stessi per conto delle imprese; consulenza e orientamento nella scelta degli strumenti di finanziamento che più si adattano alle esigenze delle imprese. Tavola 1 – Confidi: i benefici delle imprese Il motivo per cui le aziende godono di tali benefici è determinato dal fatto che il Confidi detiene delle somme di denaro a garanzia delle situazioni debitorie e che, in caso di insolvenza da parte dell’impresa, la banca chiede al Con- © Cesi Multimedia 115 Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito fidi di utilizzare tali somme per far fronte alla perdita subita dalla banca in base alla percentuale della garanzia concessa. Il beneficio per la banca nell’operare con i Confidi, oltre alla riduzione del rischio di credito, è anche quello di contribuire alla riduzione dell’asimmetria informativa nel rapporto banca-impresa. Si assiste infatti nella generalità dei casi ad una difficoltà di dialogo tra banche e aziende, particolarmente rilevante in caso di imprese di minori dimensioni e/o più giovani, a causa della scarsa trasparenza delle informazioni contabili ed extra-contabili e anche a causa del veloce turnover dei gestori e dei direttori di filiali delle banche che non consentono una conoscenza approfondita dell’azienda e soprattutto della sua storia. I Confidi in questo senso, essendo quasi sempre caratterizzati da un forte radicamento territoriale ed essendo spesso legati ad Associazioni di rappresentanza delle imprese, possono essere in possesso di informazioni qualitative non ricavabili dai dati di bilancio. Il vantaggio informativo di cui gode un Confidi può però rischiare di affievolirsi al crescere della sua dimensione. Quanto più il numero delle imprese associate aumenta infatti, tanto più il Confidi è indotto a far ricorso, nelle istruttorie di fido, a procedure standardizzate. Nell’attuale fase di trasformazione dei Confidi emerge quindi un trade-off tra la necessità per il Confidi di crescere dimensionalmente, di aggregarsi per raggiungere una massa critica che consenta livelli soddisfacenti di redditività e assetti organizzativi tali da corrisponde alle più pressanti richieste della vigilanza bancaria e dall’altro lato, il rischio che, con il crescere della dimensione, si affievolisca la “ricchezza” propria del Confidi, rappresentata dal patrimonio di conoscenza diretta delle imprese socie. Tavola 2 – Il trade-off dei Confidi 7.2 L’evoluzione normativa Una rappresentazione efficace dell’operatività dei Confidi non può prescindere dall’analisi del quadro normativo vigente. Sebbene i primi Confidi nascano alla fine degli anni Cinquanta su base meramente volontaria da parte di piccoli imprenditori, solo da pochi anni è stato emanato un provvedimento volto a disciplinare in modo completo e articolato l’intera materia, ovvero l’emanazione della legge quadro sui Confidi (art. 13 del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003). In base a tale normativa si intende per Confidi i “consorzi con attività esterna, le società consortili per azioni, a responsabilità limitata o cooperative, che svolgono l’attività di garanzia collettiva dei fidi”. Viene quindi data una definizione esaustiva dell’attività di garanzia collettiva dei fidi quale “utilizzazione di risorse provenienti in tutto o in parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie, volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario”. La stessa legge disciplina poi i Confidi di secondo grado, aventi analoga struttura giuridica, costituiti dai Confidi ed eventualmente da imprese socie o consorziate di questi ultimi o da altre imprese. I Confidi di secondo grado svolgono l’attività di garanzia collettiva dei fidi a favore dei Confidi di primo grado (controgaranzia). Nell’ambito di tale legge quadro, sono state inoltre introdotte tre diverse forme organizzative nell’attività dei Confidi: intermediario non vigilato, iscritto all’elenco generale di cui all’art.106 TUB; intermediario vigilato, iscritto all’elenco speciale di cui all’art.107 TUB; banca di garanzia. 116 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Tavola 3 – Le forme organizzative nell’attività di Confidi previste dalla legge quadro 326/2003 Il passaggio ad una delle due modalità “superiori” soggette ai controlli prudenziali e ispettivi della Banca d’Italia (Intermediario 107 e Banca di garanzia) non veniva configurato come possibilità, ma come preciso obbligo al superamento di un dato livello di attività. La norma è rimasta per lunghi anni sulla carta, in attesa dei necessari regolamenti attuativi arrivati solo nel 2007 e nel 2008. Attraverso tali regolamenti della Banca d’Italia è stata precisata la soglia che fa scattare l’obbligo di trasformazione in intermediario vigilato e cioè il raggiungimento di un’attività finanziaria superiore a 75 milioni di euro. Tralasciando le banche di garanzia collettiva fidi in quanto non ve ne sono di operative in Italia, a partire dal 2009 è iniziato quindi il processo di trasformazione dei Confidi le cui attività superavano la soglia dei 75 milioni di euro in intermediari vigilati da parte della Banca d’Italia (Confidi ex art. 107). I Confidi ex art.107 sono i Confidi di maggiori dimensioni e maggiormente strutturati dal punto di vista organizzativo; possono svolgere alcune ulteriori attività negate ai Confidi non vigilati quali, ad esempio, prestare garanzie a favore dell’amministrazione finanziaria dello Stato, gestire fondi pubblici di agevolazione e stipulare contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie. I Confidi ex art. 106 invece, sono i più numerosi e su tali operatori la Banca d’Italia svolge la sola attività di censimento e di riscontro, nella fase di accesso, dei requisiti previsti dalla legge; essi sono espressamente sottratti all’applicazione delle disposizioni del Titolo V del TUB relative agli intermediari finanziari e la loro operatività non è sottoposta al regime di vigilanza prudenziale della Banca d’Italia. I Confidi ex art. 106, la cui lista è consultabile sul sito della Banca d’Italia (www.bancaditalia.it/vigilanza/regolamentati/albi-elenchi/Confidi/consultazione elenco) non sono tenuti ad accantonare risorse patrimoniali commisurate alle obbligazioni contratte, con i conseguenti rischi per i beneficiari delle garanzie eventualmente rilasciate. © Cesi Multimedia 117 Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Tavola 4 – La struttura dei Confidi ( ex art. 107, ex art. 106 e Banche di garanzia) La situazione è mutata ulteriormente con la riforma del TUB, definita con il Decreto legislativo n. 141/2010. In base a tale riforma, non del tutto ancora attuata a causa della mancata pubblicazione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze dei decreti di attuazione, viene eliminata la precedente differenziazione tra Confidi iscritti nell’elenco generale e speciale di cui agli articoli 106 e 107 del TUB. Il nuovo articolo 106 delinea un Albo unico degli intermediari finanziari non bancari, per la cui iscrizione vengono richiesti determinanti requisiti organizzativi e patrimoniali. I Confidi che non saranno in possesso dei requisiti previsti dal nuovo art. 106 saranno disciplinati dall’art.112 del nuovo TUB, il quale prevede l’istituzione di un organismo deputato alla vigilanza di tali strutture. Anche tali Confidi saranno quindi soggetti ad un regime di controllo decisamente rafforzato che con il tempo condurrà ad una razionalizzazione del settore, processi di fusione e cercherà di contrastare fenomeni di irregolarità ancora diffusi. 7.3 Il ruolo delle garanzie dei Confidi come strumento di abbattimento del rischio di credito per le banche Ogni finanziamento concesso ad un’impresa da una banca comporta l’assunzione di un rischio che deve essere quantificato e supportato, a copertura, da un adeguato patrimonio di vigilanza da parte della banca stessa. A inizio 2007 sono entrate in vigore le norme previste da “Basilea 2”, il nuovo accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche. Le nuove disposizioni hanno modificato notevolmente le modalità di concessione del credito, incidendo in profondità sui rapporti fra banche e imprese, soprattutto quelle piccole e medie ed hanno altresì modificato il ruolo dei Confidi. Mentre gli accordi di Basilea 1 imponevano l’applicazione di un coefficiente di adeguatezza patrimoniale pari all’8% degli impieghi delle banche, indipendentemente dalla tipologia di rischio assunto, le nuove norme impongono invece lo stesso un coefficiente di adeguatezza patrimoniale pari all’8% degli impieghi delle banche, ma in funzione della rischiosità assunta. In pratica, con Basilea 1 la quantità di capitale assorbito al momento della concessione di un nuovo finanziamento era poco sensibile al rischio assunto. Si è passati quindi a Basilea 2, con l’intento di valutare in modo più puntuale le qualità dei singoli imprenditori, vale a dire il rischio insito in ogni operazione di credito posta in essere dalla banca. 118 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Imprese con un rating buono possono quindi far accantonare meno risorse alla Banca. La minore entità di capitale di vigilanza richiesto dall’operazione dovrebbe tradursi in un miglioramento delle condizioni economiche praticate dalla Banca. Mentre con Basilea 1 l’intervento dei Confidi non rivestiva alcun valore ai fini della riduzione del rischio di credito delle banche finanziatrici, con Basilea 2, le garanzie dei Confidi, purché con determinate caratteristiche, sono teoricamente in grado di far ottenere all’istituto di credito un risparmio concreto in termini di patrimonio di vigilanza da accantonare, producendo in questo caso effetti positivi sulle condizioni praticate alle imprese prenditrici. Tavola 5 – I criteri di ammissibilità delle garanzie secondo Basilea 2 Basilea 2 prevede però criteri diversi per la valutazione delle garanzie a seconda dell’approccio adottato dalle banche per la valutazione del rischio di credito. Per quanto concerne infatti il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di credito, Basilea 2 prevede infatti tre metodologie differenti: 1. metodologia standardizzata; 2. IRB di base; 3. IRB avanzato. Tavola 6 – I criteri di valutazione delle garanzia applicati da Basilea2 Criteri di valutazione Metodologia standardizzata © Cesi Multimedia Descrizione Si tratta di una evoluzione del modello previsto da Basilea 1. Il patrimonio da accantonare viene calcolato ponderando ciascuna esposizione per coefficienti determinati sulla base di regole stabilite per ogni singola classe di esposizione. Ad esempio le esposizioni verso le amministrazioni centrali e le banche centrali di Stati membri dell’Unione Europea sono ponderate a zero e quindi non la banca non deve accantonare capitale; le esposizioni verso persone fisiche e piccole e medie imprese che rispettano specifici requisiti sono ponderate al 75%, senza necessità di calcolare il merito di credito della singola azienda. Si ipotizzi ad esempio che una banca conceda un finanziamento di 100 ad una PMI. La banca deve accantonare per questo finanziamento una quota di patrimonio di vigilanza pari a 100 x 75% x 8% = 6. 119 Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito IRB di base IRB avanzato Per il calcolo del requisito patrimoniale nell’ambito del metodo standardizzato, la normativa prevede anche la possibilità di determinare i coefficienti di ponderazione sulla base del rating rilasciato da agenzie esterne riconosciute da Banca d’Italia. Le PMI però non dispongono di tali rating. Secondo questa metodologia le banche possono calcolare il patrimonio da accantonare sulla base di una stima interna della rischiosità o meglio della probabilità di default. La PD associata a ciascuna impresa è ciò che poi determina il rating dell’impresa e in base ad esso viene calcolato l’accantonamento di capitale. Si tratta di una evoluzione del metodo IRB di base che prevede che la banca sia in grado di stimare non solo la PD, ma anche gli altri parametri di rischio, ovvero la perdita in caso di default (LGD), la durata (Maturity) e l’esposizione al momento del default (EAD). In base a tutti questi fattori viene quindi calcolato l’accantonamento di capitale. Prima di entrare nel merito dell’effetto che le garanzie hanno come strumento di abbattimento del rischio di credito in capo alla banca erogante il finanziamento, occorre analizzare le diverse tipologie di garanzie che possono rilasciare i Confidi. Le garanzie tradizionali dei Confidi sono quelle a valere su fondi monetari non segregati. Esse funzionano sulla base di una convenzione tra banca e Confidi, la quale prevede che vengano depositati fondi vincolati che verranno utilizzati per coprire le insolvenze dei soggetti garantiti. L’ammontare massimo di prestiti garantiti a fronte dei fondi depositati è funzione di un moltiplicatore definito nella convenzione. Un moltiplicatore 20 ad esempio significa che per ogni 1000 euro di fondi depositati il Confidi può garantire prestiti fino a 20.000 euro. I prestiti garantiti a fronte del deposito non sono specificatamente individuati e perciò si parla di fondi non segregati. Dal momento che il Confidi è tenuto a intervenire entro il limite massimo dei fondi depositati, maggiore è il moltiplicatore, maggiore è la probabilità che possano verificarsi insolvenze in eccesso rispetto ai fondi disponibili per la loro copertura. Esistono poi le garanzie su fondi monetari segregati. In questo caso il Confidi deposita fondi vincolati che vanno a copertura delle eventuali perdite su un insieme di crediti specificati (tranched cover). Infine esistono le garanzie a valere sul patrimonio del Confidi. In questo caso non vengono vincolati fondi del Confidi presso la banca e il Confidi risponde dei propri impegni con tutto il suo patrimonio. Tavola 7 – Le diverse tipologie di garanzia rilasciate dai Confidi Dal punto di vista della normativa di vigilanza prudenziale, le garanzie su fondi monetari non segregati non sono in alcun modo riconosciute e non generano un abbattimento del capitale da accantonare in capo alla banca finanziatrice. Le garanzie su fondi monetari segregati possono essere offerte sia dai Confidi ex art. 106 che ex art. 107, ma la loro efficacia dipende da un insieme di requisiti previsto dalla banca d’Italia e non sono ancora molto diffuse. Infine, per quanto riguarda le garanzie a valere sul patrimonio dei Confidi, occorre distinguere tra banche che adottano il metodo standardizzato e quelle che utilizzano il metodo IRB base o avanzato. 120 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Per le banche che adottano il metodo standardizzato, in teoria, il peso di ponderazione applicabile alla quota di esposizione garantita da un Confidi ex art. 107 è pari al 20%. Se però, come spesso succede, le esposizioni appartenenti al portafoglio PMI sono trattate in blocco allora non è possibile beneficiare dell’abbattimento patrimoniale. Nel caso contrario in cui le PMI non siano gestite in blocco, i Confidi vigilati danno un vantaggio all’erogante, che ne acquisisce la garanzia, in termini di minore ponderazione del rischio negli assorbimenti patrimoniali (cioè il 20% dell’8% per la parte garantita). Il beneficio della minore ponderazione su credito garantito da Confidi ex art. 107 segue cioè la classe di rischio della categoria “Banche”. Detta classe di rischio è collegata al rating sovrano del paese in cui ha sede la banca, ed è un gradino sotto la classe di rischio sovrano. Con rating dello Stato AA, il rischio sovrano si pondera 0% e quello delle banche italiane e dei Confidi ex art. 107 al 20%. Con rating A, il sovrano sale a 20% e il bancario al 50%. Con rating BBB, il sovrano passa a 50% e il bancario al 100%. Finché quindi i rating dell’Italia sono tutti con outlook negativo, si assiste a una ponderazione del 100% per le esposizioni garantite da Confidi ex art. 107 e quindi c’è la perdita del beneficio dell’abbattimento patrimoniale. Per le banche che adottano il sistema IRB invece, il peso di ponderazione dovrebbe essere funzione del rating assegnato al Confidi. Il problema è che per assegnare tale rating occorre sviluppare e validare presso la Banca d’Italia un apposito modello di rating. Rimane la possibilità per le banche che adottano il metodo IRB avanzato, di considerare la garanzia Confidi quale fattore atto a diminuire la loss given default (LGD) del prestito. In conclusione, le condizioni piuttosto restrittive previste dalla normativa, unitamente alla gestione delle posizioni delle PMI in blocco e non per singola esposizione da parte delle banche e, al momento, al rating negativo assegnato all’italia, rendono l’intervento dei Confidi inefficace dal punto di vista dei requisiti patrimoniali delle banche. Sono sorti per tale motivo molti dubbi sull’effettivo vantaggio di trasformarsi in Confidi ex art.107, poiché per essi sono previsti maggiori costi, maggiori carichi gestionali, maggiori adempimenti di legge e di vigilanza, i quali sono stati scaricati sulle imprese richiedenti la garanzia con un aumento delle commissioni per la garanzia. Allo stesso tempo però non bisogna dimenticare i vantaggi di tale trasformazione. La crescita dimensionale ha infatti portato ad un’organizzazione più adeguata e ad una più corretta gestione dei rischi. 7.4 Struttura del mercato I Confidi in Italia sono numerosi e presentano volumi di attività nel complesso non elevati. Operano infatti circa 650 Confidi, di cui poco meno di 60 iscritti all’elenco speciale ex art. 107 TUB. La loro operatività è concentrata in capo ad alcuni intermediari molto grandi, attivi prevalentemente nel centro-nord. Ai 23 soggetti di più grandi dimensioni fa capo il 78% delle garanzie rilasciate nel complesso dal sistema dei Confidi. Al 31 dicembre 2012 i Confidi vigilati rilasciavano garanzie per circa 16 miliardi di euro, pari al 73% del complesso delle garanzie rilasciate1. Tavola 8 – Le dimensioni del mercato dei Confidi La funzione di raccordo tra banche e piccole imprese propria del sistema dei Confidi è stata particolarmente importante durante la lunga recessione avviatasi nell’autunno del 2008. Durante la crisi l’importanza dei Confidi è cresciuta notevolmente, tanto che nell’arco di due anni, fra il dicembre 2008 e lo stesso mese del 2010, il numero di imprese censite dalla Centrale dei rischi garantite da un Confidi è salito di circa 25.000 unità, fino a raggiungere il numero di circa 165.000 imprese. ------------------------------------------1 Fonte: Banca d’Italia © Cesi Multimedia 121 Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito L’aumento del peso nell’intermediazione del credito alle PMI è avvenuto in una fase di profonda trasformazione del settore. Nel complesso l’intera categoria dei Confidi sta infatti vivendo una fase di notevole riassetto organizzativo, caratterizzata da importanti investimenti per l’adeguamento delle strutture e allo stesso tempo è impegnata a salvaguardare soddisfacenti livelli patrimoniali, intaccati dall’aumento delle sofferenze del credito concesso alle PMI. Numerose sono state infatti le fusioni tra Confidi negli anni passati, soprattutto a livello regionale ma probabilmente ne saranno necessarie altre. Le situazioni di instabilità dei Confidi sono state finora fronteggiate grazie a contributi di natura pubblica, specie da parte delle Regioni e Camere di Commercio, che hanno permesso il rafforzamento patrimoniale dei Confidi. Oltre che intermediari finanziari, i Confidi sono infatti considerati un tassello di rilievo del sistema di supporto pubblico del credito alle piccole e medie imprese. Il riconoscimento della funzione economica e sociale di interesse generale dei Confidi trova espressione nella legislazione statale e regionale che assegna a questi enti un ruolo rilevante nel sistema di agevolazione pubblica del credito. In relazione alla “duplice natura” dei Confidi, da un lato intermediari finanziari operanti in regime di concorrenza e in alcuni casi vigilati dalla Banca d’Italia, dall’altro strumento delle politiche economiche pubbliche, si determinano peculiari tensioni nello svolgimento della loro attività. 7.5 Il processo di concessione della garanzia La procedura per ottenere una garanzia varia a seconda del Confidi al quale ci si rivolge ma in genere essa si svolge secondo step successivi simili. Tavola 9 – Le 7 fasi del processo di concessione della garanzia di Confidi 7.5.1 Ammissione a socio del Confidi Per ottenere la garanzia Confidi, l’impresa anzitutto deve acquisire la qualità di Socio del Confidi stesso. Possono essere ammessi come soci, le PMI industriali, commerciali, turistiche e di servizi, artigiane, agricole e i professionisti anche in forma associata purché con sede in Italia. Possono essere poste limitazioni sulle tipologie di aziende ammesse dagli statuti dei Confidi stessi. 122 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Si considerano piccole e medie le imprese che soddisfano i requisiti previsti dalla disciplina comunitaria2. Al Confidi possono partecipare anche imprese di maggiori dimensioni rientranti nei limiti dimensionali indicati dall’Unione Europea ai fini degli interventi della Banca Europea degli Investimenti (BEI) a favore delle piccole e medie imprese, purché complessivamente non rappresentino più di un sesto della totalità delle imprese socie. Per diventare soci viene richiesto un costo di ammissione, vale a dire la sottoscrizione di quote di capitale sociale o di Fondo Consortile, variabile da Confidi a Confidi. Le quote sociali, sono restituibili solo in caso di recesso dal Confidi, ammesso alle condizioni e nei limiti previsti dai rispettivi Statuti, qualora tutti gli impegni siano stati onorati, inclusa la regolare estinzione del finanziamento garantito. Tavola 10 – Chi può ottenere la garanzia Confidi Soci Confidi PMI industriali PMI commerciali PMI turistiche PMI di servizi PMI agricole Professionisti Possono partecipare anche le imprese di più grandi dimensioni, purché complessivamente non rappresentino più di 1/6 del totale delle imprese socie 7.5.2 Richiesta di garanzia Il Confidi al quale ci si rivolge chiede al richiedente di compilare un apposito modulo di domanda di concessione della garanzia, nel quale devono essere indicati alcuni dati specifici sull’azienda e sul finanziamento richiesto alla banca e contestualmente all’azienda viene richiesto di fornire la documentazione necessaria all’espletamento dell’attività istruttoria (bilanci, situazione contabile infrannuale, business plan, ecc.). Il processo parte quindi in genere dalla richiesta di garanzia dell’impresa al Confidi, tuttavia spesso si realizza un processo diverso in cui il Confidi viene coinvolto in un momento successivo, su indicazione della banca, che rifiutando il credito all’impresa, per l’eccessivo rischio, consiglia alla stessa di rivolgersi al Confidi per ottenere garanzia ed accedere così al finanziamento. Importo massimo richiedibile In merito all’importo massimo di garanzia che un Confidi può prestare a ciascuna impresa, ciascun Confidi può liberamente scegliere, tenendo in considerazione che più i Confidi sono piccoli, meno possono accentrare i rischi su singole aziende. L’importo generalmente aumenta per i Confidi 107. Convenzioni con le banche Il rapporto tra Confidi e banche è regolato da apposite convenzioni, le quali precisano tutti gli elementi tecnici inerenti la garanzia e i reciproci diritti e doveri, nonché tutti i finanziamenti secondo le differenti forme tecniche che possono essere assistiti dalla garanzia del Confidi. Ciascun Confidi sceglie le banche con cui convenzionarsi e quante stipularne. Maggiore è il numero di banche convenzionate, più attraente è il Confidi per le imprese socie. Per quanto riguarda invece i prodotti di finanziamento sui quali è possibile richiedere la garanzia è ciascuna banca che decide in base al proprio portafoglio prodotti quali inserire in convenzione. Si tratta comunque in genere di prestiti chirografari o ipotecari, linee di smobilizzo crediti commerciali, scoperti di conto corrente, linee export e in alcuni casi leasing. ------------------------------------------2 Raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003 recepita con Decreto del Ministero delle Attività produttive del 18 aprile 2005, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005. © Cesi Multimedia 123 Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Ciascuna convenzione con la singola banca elenca quindi i diversi prodotti e, per ciascuno di essi fissa condizioni privilegiate in termini di tasso e spese accessorie a favore delle imprese. Per quanto riguarda il tasso, vengono riportati differenti spread in base alle fasce di rating previste dalla banca stessa. Altro elemento definito nelle convenzioni è il moltiplicatore, il quale indica quante volte può essere moltiplicato il Fondo di Garanzia del Confidi per pervenire all’ammontare massimo dei finanziamenti erogabili dalla banca convenzionata. Esso in genere può variare da 20 a 50. 7.5.3 Istruttoria Il Confidi svolge una valutazione di merito di credito dell’impresa simile a quella bancaria. L’entrata in vigore di Basilea 2, con l’introduzione da parte delle banche di adeguate tecniche di rating al fine di quantificare in maniera oggettiva il rischio, hanno reso auspicabile, anche per i Confidi, l’adozione di un approccio alla valutazione del merito di credito graduata su diverse fasce in base a criteri di valutazione stabiliti dallo stesso Confidi consentendo la diversificazione del rischio e delle commissioni di garanzia applicate. Ogni Confidi può adottare un proprio metodo di valutazione che quindi può risultare differente dal metodo adottato dalla banca finanziatrice. La quasi totalità dei Confidi applica delle spese di istruttoria relative alla richiesta di garanzia, prevalentemente calcolate in misura variabile sull’importo del finanziamento. 7.5.4 Delibera di concessione della garanzia Le informazioni acquisite, integrate con quelle bancarie, vengono poi portate all’esame del consiglio di amministrazione del Confidi affinchè si dia parere positivo o negativo sulla concessione della garanzia. In alcuni casi il consiglio di amministrazione del Confidi incarica un comitato tecnico (o comitato esecutivo) di deliberare sulla concessione della garanzia. Il comitato tecnico può essere composto da rappresentanti delle forze imprenditoriali, rappresentanti della Camera di Commercio, rappresentanti di altri enti promotori o della banca convenzionata. In caso di delibera negativa o difforme alla richiesta, questa viene motivata all’azienda per valutare eventuali alternative. Se la domanda di concessione della garanzia viene accettata, il Confidi lo comunica all’istituto bancario scelto dall’azienda tra quelli convenzionati con il Confidi, per far sì che il socio perfezioni il finanziamento richiesto. La delibera viene comunicata per iscritto attraverso una “lettera di garanzia” o fideiussione, in cui viene specificata, tra le altra cose, la percentualmente di garanzia che di norma è nella misura del 25-50%, ma non sono escluse percentuali inferiori o superiori. Questa percentuale rappresenta la quota del debito residuo che il Confidi deve alla banca, qualora il Socio divenga inadempiente. 7.5.5 Delibera della banca La garanzia viene attivata solo a seguito della positiva delibera da parte dell’istituto di credito se non già avvenuta precedentemente. Il finanziamento richiesto dal Cliente configura l’obbligazione principale, di cui il Confidi garantisce l’adempimento e pertanto, se tale obbligazione principale non sorge o si estingue, anche il rapporto accessorio di garanzia perde efficacia. 7.5.6 Pagamento delle commissioni di garanzia Successivamente alla delibera positiva della banca, il Confidi richiede all’azienda il versamento delle commissioni per la garanzia prestata. L’importo delle commissioni è influenzato da diversi fattori fra cui i principali sono la forma tecnica, la durata del finanziamento e la rischiosità dell’impresa ed inoltre esistono notevoli differenze tra un Confidi e l’altro nell’importo richiesto. Al Socio può essere inoltre richiesto di versare al momento dell’erogazione del finanziamento un deposito cauzionale proporzionale all’ammontare della garanzia rilasciata. Le somme versate a titolo di deposito cauzionale restano vincolate fino alla liberazione totale di ogni obbligazione, in essere o eventuale, che potrebbe sorgere in capo al Confidi, in dipendenza della garanzia prestata. 124 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Altro onere che alcuni Confidi richiedono è il contributo a Fondo Rischi. Tecnicamente non si tratta di un vero costo perché viene restituito al momento dell’estinzione della garanzia. Può però trasformarsi in un onere se si verificano perdite su un portafoglio di finanziamenti individuato dallo stesso Confidi. 7.5.7 Escussione della garanzia Nel caso in cui il finanziamento garantito sia regolarmente estinto, la garanzia si chiude contestualmente al finanziamento. Nel caso invece in cui il soggetto garantito non onori i propri debiti, la banca può rivalersi sul Confidi, il quale, a sua volta, può intraprendere azioni di recupero nei confronti dell’obbligato principale. L’escussione da parte delle banche può avvenire con modalità differenti a seconda della tipologia di garanzie emesse dal Confidi a loro favore; i Confidi infatti possono emettere garanzie che prevedono due diverse modalità di escussione da parte delle banche: garanzie sussidiarie; garanzie a prima richiesta. Tavola 11 – Chi può ottenere la garanzia Confidi Tipo di garanzia Garanzie sussidiarie Garanzie a prima richiesta Descrizione In caso di mancato rimborso da parte dell’impresa garantita, la banca provvede ad inviare all’impresa l’intimazione al pagamento dell’ammontare dell’esposizione per rate insolute, capitale residuo e interessi di mora ed esperisce tutte le azioni legali necessarie al recupero del credito. Al termine delle procedure stragiudiziali e giudiziali di recupero intraprese dalla banca, in mancanza di rimborso integrale degli importi dovuti da parte dell’impresa, la banca, può richiedere l’attivazione della garanzia prestata dal Confidi, nei limiti della percentuale deliberata, a copertura della perdita definitiva subita. Il Confidi remunera la perdita definitiva nei limiti della capienza dei Fondi Rischi monetari convenzionalmente vincolati a favore della banca. Nella prassi molte convenzioni banca-Confidi prevedono che il Confidi, già al momento del default, effettui un pagamento, a titolo provvisorio, corrispondente ad una stima attendibile dell’importo delle perdite, in proporzione alla garanzia concessa, con successivo conguaglio a fine procedura. Il Confidi risponde delle garanzie rilasciate al momento del verificarsi del default dell’azienda, e viene escusso a semplice richiesta della Banca garantita. Le azioni di recupero sull’obbligato principale e sui controgaranti sono poi a carico del Confidi stesso. Se tali garanzie rispettano i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla normativa bancaria rientrano tra le tecniche di mitigazione del rischio di credito, con relativo risparmio di accantonamenti a capitale di rischio per le banche. Di conseguenza molti Confidi negli ultimi anni sono passati dalla forma delle garanzie sussidiaria a quella della prima richiesta a valere sul patrimonio. 7.6 Il pricing della garanzia Gli importanti cambiamenti intervenuti nel quadro normativo di riferimento ha obbligato molti Confidi a trasformarsi in intermediario vigilato non senza aver sostenuto ingenti costi. La trasformazione ha comportato un notevole incremento dei costi fissi, stimati in circa 800 mila euro per la trasformazione e 400 mila euro l’anno per il mantenimento dello status di intermediario vigilato. Nello stesso periodo è aumentato lo stock di garanzie in sofferenza e conseguentemente sono aumentate anche le escussioni delle garanzie da parte delle banche. A questo aumento dei costi i Confidi hanno fatto fronte con un deciso aumento delle commissioni per la garanzia richieste alle aziende, le quali hanno quindi subito un incremento del costo complessivo del credito. A causa dei problemi descritti in precedenza infatti, non si è ancora assisitito ad una riduzione degli spread sui finanziamenti da parte delle banche che beneficiano di garanzie da parte di Confidi ex art. 107, soprattutto per quanto riguarda le PMI. Entrando nell’esame delle commissioni per la garanzia medie richieste dai Confidi in Italia, occorre anzitutto rilevare che esiste una enorme eterogeneità tra Confidi sia negli importi che nelle modalità con cui esse vengono calcolate. Anzitutto alcuni calcolano le commissioni sull’importo del finanziamento, altri sull’importo della garanzia. Per quanto riguarda l’importo poi, alcuni lo determinano solo in misura percentuale dell’importo (del finanziamento o della garanzia), altri prevedono anche delle quote fisse espresse in valore assoluto. © Cesi Multimedia 125 Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Per quanto riguarda le modalità di pagamento, certi Confidi prevedono un pagamento una tantum all’inizio, altri una rateizzazione delle commissioni trimestrale o annuale. Il pricing delle commissioni è inoltre variabile in funzione della durata della garanzia rilasciata. Di norma la percentuale tende a crescere con l’aumentare della durata. Bisogna poi distinguere la tipologia del finanziamento garantito: le garanzie su linee autoliquidanti a revoca presentano in genere commissioni più elevate rispetto alle garanzie su prestiti a medio-lungo termine. Alcuni Confidi prevedono poi una modulazione delle commissioni in funzione dell’importo della garanzia e altri in funzione del rating assegnato al cliente: commissioni crescenti al crescere del rischio del cliente garantito. La presenza di tutte queste variabili rende quindi molto difficile definire un pricing medio della garanzia dei Confidi e si assiste alla presenza di Confidi (ex art. 106) che riescono ancora a mantenere le commissioni a livelli molto bassi (1% circa) e Confidi ex art. 107 che raggiungono livelli pari anche al 10%. 7.7 Il Fondo Centrale di Garanzia L’impresa che ha bisogno di un finanziamento finalizzato all’attività di impresa può chiedere alla banca di garantire l’operazione mediante la garanzia pubblica del Fondo Centrale di Garanzia gestito dal MedioCredito Centrale (legge 662/1996, art. 2, comma 100, lettera a). Con l’intervento del Fondo il finanziamento, in relazione alla quota garantita, è a rischio zero per la Banca che, in caso di insolvenza dell’impresa, viene risarcita dal Fondo Centrale di Garanzia e in caso di eventuale esaurimento di fondi di quest’ultimo, direttamente dallo Stato. In alternativa, l’impresa può attivare la cosiddetta “Controgaranzia” rivolgendosi ad un Confidi che provvede ad inviare la domanda di controgaranzia al Fondo. In sostanza è il Confidi a garantire il finanziamento concesso dall’Istituto di Credito e a garantirsi a sua volta grazie all’intervento del Fondo. Rivolgendosi al Fondo di Garanzia l’impresa quindi ha la concreta possibilità di ottenere attraverso banche o Confidi, un vantaggio che si può concretizzare in condizioni economiche migliori riguardo tassi e commissioni e nell’erogazione di maggior credito. L’intervento del Fondo di Garanzia consente inoltre di azzerare l’assorbimento di capitale per i soggetti finanziatori sulla quota di prestito coperta dal Fondo (“ponderazione zero”). Il Fondo di Garanzia, comunque, non interviene direttamente nel rapporto Banca/Impresa e quindi tassi di interesse, condizioni di rimborso, eventuale richiesta di garanzie aggiuntive, sono stabiliti attraverso la libera contrattazione tra banche e imprese. 7.7.1 Soggetti beneficiari Possono accedere alla garanzia del Fondo di Garanzia le PMI in base ai parametri dimensionali stabiliti dalla disciplina comunitaria in vigore, comprese quelle artigiane, ubicate sul territorio nazionale, economicamente e finanziariamente sane come stabilito dalle disposizioni operative. Sono ammissibili le PMI appartenenti a qualsiasi settore ad eccezione dell’agricoltura, della pesca, dell’industria automobilistica, della costruzione navale, delle fibre sintetiche, dell’industria carboniera, della siderurgia (i cosiddetti settori “sensibili” esclusi dall’Unione Europea) e delle attività finanziarie. Per quanto riguarda il settore dei trasporti sono ammissibili solo le imprese che esercitano l’attività di trasporto merci su strada (codice 60.24 ATECO 2002). Le imprese agricole possono avvalersi della controgaranzia rivolgendosi ad un Confidi che opera nei settori agricolo, agroalimentare e della pesca. 7.7.2 Operazioni finanziarie garantite Può essere garantita qualsiasi tipologia di operazione, purché direttamente finalizzata all’attività d’impresa, sia a breve sia a medio-lungo termine, con pochissime eccezioni. Sono garantibili, a titolo indicativo, finanziamenti a fronte di investimenti materiali e immateriali, leasing finanziario e immobiliare, liquidità (pagamento fornitori, spese per il personale ecc.), anticipazione dei crediti verso la pubblica amministrazione, consolidamento delle passività a breve, rinegoziazione dei debiti a medio-lungo termine, operazioni sul capitale di rischio, presiti partecipativi, fideiussioni (solo se relative ad un obbligo di pagamento). 126 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito 7.7.3 Importi garantiti e percentuali di copertura Ciascuna impresa può beneficiare complessivamente di un importo massimo garantito pari a 2,5 milioni, da utilizzare eventualmente attraverso più operazioni fino a concorrenza del tetto stabilito (non esiste un limite massimo di operazioni effettuabili). Queste cifre si riferiscono all’esposizione in essere alla data di presentazione della domanda, tenuto conto delle quote di capitale già rimborsate. Con le nuove disposizioni operative in vigore dal 7 dicembre 2012 la garanzia può coprire fino all’80% dei finanziamenti in base alla localizzazione e alla tipologia dell’impresa e alle caratteristiche dell’operazione finanziaria. Percentuali di garanzia maggiori sono riservate alle imprese femminili e alle imprese ubicate nelle regioni del mezzogiorno. 7.7.4 Valutazione dei dati economico finanziari dell’impresa Il Fondo di Garanzia per le PMI è destinato alle imprese valutate “economicamente e finanziariamente sane” sulla base di criteri di valutazione che variano a seconda del settore di attività e del regime contabile dell’impresa beneficiaria. La valutazione del merito di credito ha ad oggetto i dati di bilancio (o delle dichiarazioni fiscali) degli ultimi due esercizi, tranne che per le start up che possono essere valutate sulla base di bilanci previsionali. Questi dati vengono inseriti in modelli standardizzati di calcolo (scoring) che permettono di misurare 4 indicatori economico-finanziari e il relativo scostamento dai “valori ottimali”. Tavola 12 – Gli indicatori per l’industria manifatturiera, edilizia ed alberghi L’impresa beneficiaria può verificare preliminarmente l’appartenenza alla fascia di merito utilizzando i modelli di scoring presenti sul sito www.fondidigaranzia.it. In base ai risultati l’impresa è inserita in una delle tre fasce di valutazione: Fascia 1: proposta positiva al Comitato (previa valutazione istruttoria del rapporto tra ammontare del finanziamento e cash flow dell’impresa); Fascia 2: la fascia due prevede sempre la necessità di valutare l’ammissione caso per caso sulla base, ad esempio, oltre che del cash flow dell’impresa, di una situazione di bilancio aggiornata, di un bilancio previsionale redatto secondo un modello specifico, di eventuali progetti di investimento, delle prospettive di mercato e di crescita dell’impresa, ecc.; Fascia 3: proposta negativa al Comitato. L’operazione è inserita in fascia 3, a prescindere dal livello di scoring conseguito, nel caso in cui il rapporto tra Mezzi propri e Totale passivo sia inferiore al 5% e in caso di finanziamenti di durata non superiore a 36 mesi il cui importo, sommato ad altri eventuali finanziamenti già garantiti dal Fondo, superi il 25% del fatturato relativo all’ultimo bilancio. Le nuove imprese (costituite o in attività da meno di tre anni), non utilmente valutabili sulla base degli ultimi due bilanci approvati, sono automaticamente collocate in fascia 2 e valutate sulla base di un bilancio previsionale triennale e di un business plan. © Cesi Multimedia 127 Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito 7.7.5 Microcredito La procedura più semplice per accedere al Fondo è quella prevista per il cosiddetto microcredito che non richiede la valutazione sulla base dei modelli di scoring e che permette di garantire finanziamenti fino a 100 mila euro. Per accedere al microcredito è sufficiente che l’impresa presenti un utile d’esercizio in almeno uno degli ultimi due bilanci approvati (o in almeno una delle ultime due dichiarazioni fiscali) e che l’eventuale perdita registrata nell’ultimo bilancio approvato (o dichiarazione fiscale) non sia superiore al 10% del fatturato. L’operazione, inoltre, non deve essere assistita da garanzie reali, assicurative e da garanzie prestate dalle banche. Se si soddisfano questi criteri, l’impresa può beneficiare di un finanziamento (garantito in base alle aliquote previste per i singoli casi) di importo base non superiore a 20.000 euro, sommato agli altri eventuali affidamenti già garantiti dal Fondo e non ancora rimborsati. L’importo base può essere incrementato fino a 100 mila euro (sommato agli altri eventuali affidamenti già garantiti dal Fondo e non ancora rimborsati) tenendo conto dei seguenti elementi: anzianità dell’impresa, numero addetti dell’impresa, eventuali investimenti finanziati, crescita del fatturato, immobile aziendale (di proprietà, in leasing o affittato), automezzo di proprietà. 7.7.6 Procedura per richiedere la garanzia Per accedere alla garanzia del Fondo bisogna compiere i seguenti passi: 1) l’impresa deve andare in banca e richiedere che sul finanziamento sia acquisita la garanzia del Fondo, oppure, in alternativa l’impresa si può rivolgere a un Confidi convenzionato che garantisce l’operazione e che potrà a sua volta rivolgersi al Fondo di Garanzia per ottenere la controgaranzia; 2) ricevuta la richiesta di finanziamento, la banca svolge la propria istruttoria per la concessione dell’importo richiesto; 3) acquisiti i dati richiesti, la banca predispone la domanda di ammissione alla garanzia e la invia al Gestore del Fondo entro 6 mesi dalla sua delibera o prima della delibera stessa (in quest’ultimo caso la delibera bancaria deve essere adottata e comunicata al Gestore entro tre mesi dalla data di delibera del Comitato di Gestione del Fondo). Alla domanda di ammissione viene assegnato un numero di posizione, nel rispetto dell’ordine cronologico di presentazione; 4) in tempi rapidi il Gestore esamina la richiesta e procede alla verifica della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa vigente. Il Gestore può richiedere alla banca eventuali informazioni integrative ritenute necessarie per il completamento dell’esame. Nella maggior parte dei casi, si tratta di integrazioni documentali utili per supportare eventuali richieste di approfondimenti da parte del Comitato; 5) conclusa l’istruttoria, il Gestore sottopone l’operazione all’approvazione del Comitato e comunica al soggetto richiedente (banca o Confidi) e all’impresa beneficiaria tramite posta elettronica la delibera del Comitato (concessione o rigetto della garanzia), indicando l’importo del finanziamento garantito, la relativa intensità agevolativa – ESL – che l’impresa dovrà dichiarare in occasione di successive richieste di agevolazioni pubbliche e l’eventuale commissione una tantum che il soggetto richiedente (banca o Confidi) dovrà versare a fronte della concessione della garanzia del Fondo; 6) una volta ottenuto l’esito positivo del Comitato del Fondo centrale di Garanzia, il finanziamento è assistito dalla garanzia pubblica. 7.7.7 Importo delle commissioni Per accedere alla garanzia del Fondo è previsto il pagamento di una commissione in termini di percentuale dell’importo garantito dal Fondo entro 3 mesi dalla delibera positiva di concessione della Garanzia Diretta o della Controgaranzia. La misura della commissione una tantum è variabile tra lo 0,25% e l’1% in funzione della dimensione d’impresa. Sono previsti alcuni casi di esenzione al pagamento, ovvero operazioni di anticipazione dei crediti verso la P.A., operazioni finanziarie diverse dalle operazioni di consolidamento su stessa banca o gruppo bancario, riferite a soggetti beneficiari finali ubicati nelle regioni del Mezzogiorno, ad imprese femminili, a piccole imprese dell’indotto di imprese in amministrazione straordinaria, imprese che hanno sottoscritto un Contratto di rete, imprese sociali, imprese di autotrasporto, imprese colpite dagli eventi sismici del maggio 2012. È prevista una commissione del 3% per operazioni di consolidamento di passività a breve termine su stessa banca o gruppo bancario. 128 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito Tavola 13 – Le fasi del processo di richiesta della garanzia al Fondo Centrale di Garanzia 7.7.8 Il valore della garanzia pubblica ai fini della normativa de minimis La garanzia offerta dal Fondo rappresenta una agevolazione pubblica che come tale è sottoposta ai limiti della normativa comunitaria. In particolare il Fondo di Garanzia si appoggia su due regolamenti europei distinti: il regolamento 800/2008 e il regolamento de minimis (Reg. n. 1998/2006)3. Sotto il Regime de minimis rientrano tutte le operazioni ad eccezione dei Prestiti partecipativi e dei Finanziamenti di durata compresa tra 18 mesi e 10 anni concessi a fronte di investimenti materiali ed immateriali da effettuare nel territorio nazionale successivamente alla data di presentazione della richiesta di finanziamento al soggetto finanziatore. Tutti i finanziamenti a fronte di investimenti di durata diversa da quella indicata o già iniziati al momento della domanda di finanziamento sono comunque ammissibili all’intervento del Fondo, ma rientrano nel regime de minimis. Nel caso si ricada nel regolamento 800/2008 bisogna verificare se il beneficio della garanzia sommato ad altri eventuali incentivi sullo stesso investimento superi i limiti consentiti dalla normativa europea. Si precisa che si deve controllare sempre se l’altra agevolazione preveda o meno la cumulabilità. Nel caso invece si ricada nel regime de minimis bisogna capire se la garanzia in questione rispetta i limiti quantitativi stabiliti dalla normativa. Ai fini del calcolo, il valore della garanzia pubblica deve essere sommato ad altri eventuali aiuti ricevuti attraverso il medesimo regolamento nell’esercizio fiscale in corso e nei due precedenti. Bisogna tenere presente che non esiste un registro nazionale degli aiuti de minimis e che il Gestore del Fondo può conoscere esclusivamente l’ammontare delle agevolazioni che ha direttamente concesso. Di conseguenza è responsabilità dell’impresa attestare l’ammontare degli aiuti “di importo minore” ricevuti nel ------------------------------------------3 Il regime de minimis può essere definito come una modalità semplificata attraverso la quale la Commissione Europea autorizza l’istituzione da parte degli stati Membri di alcuni tipi di regimi di aiuto per le imprese (qualsiasi agevolazione pubblica deve infatti passare il vaglio delle istituzioni europee). Tale facilitazione si basa sul presupposto che gli aiuti di Stato, se inferiori ad una certa soglia, non violano la concorrenza tra imprese. In pratica un’apposita normativa, il regolamento (CE) N. 1998/2006, stabilisce una serie di condizioni che devono essere rispettate affinché un aiuto possa essere considerato "di importo minore". Se lo Stato membro rispetta questi limiti nell’istituire un regime di aiuto lo può considerare automaticamente approvato dalla Commissione. In compenso le imprese non possono ricevere più di 200 mila euro in tre anni attraverso questa tipologia di strumenti agevolativi. Quando un contributo viene concesso attraverso il regolamento 1998/2006 questa caratteristica deve essere esplicitamente richiamata nella normativa di riferimento (disposizioni operative, schede tecniche ecc.). © Cesi Multimedia 129 Capitolo 7 – Chi sostiene l’accesso al credito triennio attraverso una dichiarazione di atto notorio da compilare secondo un modello fornito dal Fondo di garanzia. Nel caso della garanzia il valore da utilizzare per il calcolo dell’importo rilevante ai fini de minimis non è l’importo del finanziamento ma è una percentuale variabile dell’importo garantito. Quantitativamente il suo valore dipende da una serie di variabili ma, senza addentrarsi nella formula che lo genera, per facilitare gli operatori, è a disposizione una tabella nelle Disposizioni Operative del Fondo. In ogni caso l’importo da considerare in caso di garanzia concessa ai sensi del de minimis viene riportato nella delibera di concessione inviata al soggetto richiedente (banca o Confidi). 130 © Cesi Multimedia Capitolo 8 – Valutare gli investimenti 8. Valutare gli investimenti Luca Capozucca e Ilaria Sdrubolini Mai ti è concesso un desiderio senza che ti sia dato anche il potere di farlo avverare. Può darsi che tu debba faticare per questo, tuttavia. Richard Bach 8.1 Premessa Secondo Confindustria, per tornare a crescere le imprese devono far ripartire gli investimenti: ipotizzando per cinque anni una crescita degli investimenti in linea con quella del decennio pre-crisi (+5,2% all’anno a prezzi correnti nel 1998-2007), servirebbero 90 miliardi di finanziamenti addizionali in cinque anni. Servono investimenti: in tecnologia, per ridurre i costi e incrementare l’efficienza; per espandersi sui mercati internazionali; per aumentare la gamma dei prodotti. Tuttavia, perché gli investimenti producano i risultati sperati in termini di recupero della competitività, essi vanno attentamente valutati per verificarne la bontà. Per valutare e prendere decisioni circa gli investimenti futuri, è di fondamentale importanza prevedere nella maniera più attenta e puntuale possibile le reali entrate e uscite monetarie relative ad una nuova iniziativa. Il primo aspetto da individuare è quello della determinazione dei flussi di cassa previsionali, in quanto esprimono le grandezze reali di quanto l’azienda, nell’arco di ogni anno, può incassare e pagare. Nella prassi, esistono vari metodi di valutazione, finalizzati ad analizzare i risultati economici o finanziari attesi: metodi aritmetici: considerati estremamente semplici, ma con il difetto di non considerare la variabile “tempo”, ovvero il diverso valore dei flussi finanziari nel tempo; metodi finanziari: più complessi, poiché basati su calcoli di attualizzazione dei flussi finanziari. Indubbiamente i metodi finanziari sono ritenuti più affidabili di quelli aritmetici, in quanto basati sull’attualizzazione dei flussi finanziari. Essi consentono una migliore comprensione, sulla resa al tempo “t+n”, di un dato investimento. In questa sede analizzeremo unicamente alcuni tra i metodi di tipo finanziario: tempo di recupero dell’investimento (payback period – PBP); tasso interno di rendimento (TIR); valore attuale netto (VAN). 8.2 Il tempo di recupero (payback period) Tale metodo, normalmente, viene considerato come il più semplice e di più facile applicazione. È alternativo rispetto al VAN ed al TIR (che analizzeremo successivamente). Esso valuta la capacità di un investimento di “autopagarsi”, determinando cioè il numero di anni necessari per recuperare l’investimento iniziale. Il tempo di recupero dell’investimento è rappresentato dal numero di periodi necessari affinché i flussi di cassa cumulati previsti eguaglino l’esborso iniziale. Più sarà breve tale periodo di tempo, migliore sarà l’investimento. Nella prassi, tale metodo può essere utilizzato sia come principale criterio per assumere delle decisioni sia come criterio secondario da porre a confronto con quello principale: nel primo caso, il management si limiterà a scegliere l’investimento che porterà un payback inferiore a quello massimo accettabile; nel secondo caso, definito il criterio principale, si andrà ad effettuare un’ulteriore selezione fra tutti quegli investimenti che risultano essere più redditizi e che, al tempo stesso, soddisfano il criterio principale. Nella sua versione semplificata, la formula risulta essere piuttosto semplice e consiste nel calcolare i flussi di cassa cumulati fino a verificare in quale anno si raggiunge il valore pari all’investimento iniziale. Supponiamo un costo dell’investimento pari a 5.000: © Cesi Multimedia 131 Capitolo 8 – Valutare gli investimenti Tavola 1 – Esempio calcolo del payback period semplificato Anno 0 1 2 3 4 Flusso di cassa annuo - 3.000 + 500 + 1.200 + 3.000 + 3.000 Flusso di cassa cumulato - 3.000 - 2.500 - 1.300 + 2.700 + 5.700 Calcolando il flusso di cassa cumulato, si comprende che nel quarto anno il costo iniziale viene completamente recuperato. Un limite di tale metodo è quello di non considerare il valore del tempo e quindi di non discriminare i flussi sulla base della loro successione temporale: pertanto, ciò equivale ad ipotizzare un tasso opportunità costante. Inoltre, con tale procedimento di calcolo non vengono considerati i flussi di cassa che si generano oltre l’anno di recupero, con il rischio che non verranno considerati eventuali costi a più lunga produttività (es. costi di ricerca e sviluppo). Tavola 2 – Vantaggi e svantaggi nell’applicazione del metodo del PBP semplificato Vantaggi Buon indicatore per valutare la liquidità aziendale Semplicità nel calcolo e nella rappresentazione Svantaggi Non considera i valori generati dopo il PBP Non considera il valore finanziario del tempo Non differenzia i progetti in base al capitale investito Non considera il costo del finanziamento È un indicatore di rischio e non di rendimento Nella versione complessa, il pay back period attualizzato è un indicatore che esprime il numero dei periodi necessari per ripagare l’investimento iniziale dei portatori di capitale, introducendo un fattore di attualizzazione dei flussi di cassa rispetto alla formulazione originaria dello stesso metodo. L’introduzione di un fattore di attualizzazione dei flussi di cassa, rende questo metodo sicuramente migliore della sua versione semplificata: la nuova interpretazione del suo valore è ora il numero di periodi necessari per ripagare l’investimento iniziale, compresa la remunerazione del capitale. Tavola 3 – Esempio metodo PBP complesso Anni Flussi di cassa 0 - 1.500 1 1119 2 1119 3 1682 4 1682 5 1682 Tasso di sconto 10% Cumulati -1500 -381 738 2420 4102 5783 Attualizzati -1500 1017 925 1264 1149 1044 Attualizzati cumulati -1500 -483 442 1706 2854 3899 8.3 Il tasso interno di rendimento Quando il management si trova di fronte a più tipologie di investimento e pertanto deve fare una scelta su quello che risulta essere il migliore, utilizzerà come metodo di valutazione quello del Tasso Interno di Rendimento (TIR). Tale indicatore permette di individuare quale sia l’investimento che produce una maggiore redditività e, se utilizzato insieme al VAN, risulta essere sicuramente un metodo estremamente valido per fare scelte di convenienza. Occorre comunque fare attenzione anche ad alcune criticità che tale metodo possiede. Infatti, esso: - tiene conto solo della variabile tasso e non anche di altre variabili, privilegiando quella che ha un più veloce ritorno in flussi di cassa; - inoltre, ipotizza che i flussi intermedi siano reinvestiti sempre allo stesso tasso. 132 © Cesi Multimedia Capitolo 8 – Valutare gli investimenti Tale tipologia di approccio va a determinare quel tasso in corrispondenza del quale il valore attuale netto dei flussi monetari (VAN) risulta pari a zero: tenendo presente la distribuzione temporale dei flussi di cassa, le entrate devono quindi essere uguali alle uscite. Esso mostra il tasso di sconto al di sotto del quale un investimento causa un valore attuale netto positivo ed al di sopra del quale un investimento causa un valore attuale netto negativo (e quindi non conveniente). Il VAN è espresso in unità monetarie (euro, dollari, ecc.) mentre il TIR è il vero interesse di rendimento atteso. La formula per il calcolo è la stessa del VAN ma, ponendo il valore del VAN pari a zero e risolvendo l’equazione rispetto al tasso “i”: Secondo tale criterio, un progetto di investimento risulta economicamente valido qualora il TIR risultante sia maggiore del costo opportunità del capitale. Tavola 4 – Vantaggi e svantaggi nell’applicazione del metodo del TIR Vantaggi Prende in considerazioni le variabili finanziarie È un metodo oggettivo È un metodo induttivo Svantaggi Ipotizza che i flussi intermedi siano reinvestiti sempre allo stesso tasso Nel confronto tra due alternative, privilegia quella che si ripaga più velocemente, non considerando gli altri fattori Produce tanti TIR quanti sono i cambiamenti di segno 8.4 Il valore attuale netto Valutare la bontà di un investimento significa calcolare se la remunerazione del capitale investito risulterà superiore, al termine di un dato periodo, a quanto sarebbe possibile ricavare vincolando il pari importo a un tasso di interesse bancario. Tra le metodologie finanziarie più comunemente utilizzate, occorre indubbiamente considerare il Valore Attuale Netto (VAN): tale metodo considera i flussi di cassa attesi (in entrata e in uscita) che avranno luogo, in futuro, per l’intera durata della vita economica del progetto, attualizzati al tempo zero e ad un tasso che rappresenta il costo opportunità del capitale finanziario, assumendo come tale, il costo medio ponderato del capitale WACC (Weighted average cost of capital) ovvero la media ponderata del costo del capitale proprio e del costo del capitale di debito. Il calcolo del VAN consente di stabilire la convenienza di un investimento verificando se la ricchezza finale risulta maggiore della ricchezza che si raggiungerebbe senza fare l’investimento stesso: in altre parole, se il VAN è positivo si genera valore, pertanto è conveniente da un punto di vista economico e finanziario. Il VAN riconduce il valore generato ad un orizzonte temporale preciso, considerando le variabili finanziarie ed il costo del capitale ed è quindi utilizzabile anche per confrontare proposte di investimento alternative che generino flussi di cassa. La formula è la seguente: Consideriamo: K0 = capitale iniziale; Kn = capitale finale; C0 = uscita di cassa iniziale a seguito dell’investimento; FC1 = flusso di cassa in entrata al tempo; 1FCn = flusso di cassa in entrata al tempo; ni = tasso di interesse corrente; n = orizzonte temporale. A) Se l’imprenditore decidesse di non effettuare alcun investimento, si avrebbe: Kn= K0 (1+i)n ovvero si otterrebbe il capitale iniziale, incrementato del tasso di interesse. B) Se l’imprenditore operasse l’investimento, invece, otterrà una ricchezza pari al capitale iniziale, decurtato dell’uscita di cassa per l’investimento iniziale, incrementato dei guadagni che incasserà dai flussi di cassa an- © Cesi Multimedia 133 Capitolo 8 – Valutare gli investimenti nuali investiti al tasso di interesse corrente: Kn= (K0 – C0) x (1+i)n + FC1 x (1+i)n-1 + FC2 x (1+i)n-2 + … + FCn x (1+i)n Per calcolare il Valore Attuale Netto, occorre sommare i flussi di cassa futuri attualizzati e sottrarre l’uscita di cassa iniziale: Un progetto è valutabile come conveniente nel caso di risultato di VAN positivo: attraverso l’attualizzazione dei flussi di cassa e quindi dei costi e dei ricavi, in uno stesso orizzonte temporale, è possibile paragonare due o più progetti di investimento e valutare il più redditizio; è importante confrontare due progetti solo se si attualizzano i flussi di cassa per lo stesso periodo di anni; confrontando il VAN di più investimenti alternativi, è facilmente deducibile che quello più conveniente risulterà essere quello con un risultato maggiore. Tavola 5 – Vantaggi e svantaggi nell’applicazione del metodo del VAN Vantaggi Prende in considerazione le variabili finanziarie È un metodo oggettivo (van>0) Considera il costo del capitale Consente di valutare i progetti alternativi in modo corretto Svantaggi I flussi generati dall’investimento vengono reinvestiti al rendimento del capitale e non al costo del capitale Se gli investimenti confrontati hanno durata o esborso iniziale differenti, occorre effettuare modifiche e correzioni al valore attuale netto Non considera la dimensione del progetto Non consente la valutazione di progetti alternativi con medesimo van 8.5 Confronto fra VAN e TIR L’analisi di questi due indicatori, molte volte, potrebbe portare a delle situazioni in cui è difficile definire quale sia la scelta più conveniente. Infatti, potrebbe accadere che un investimento risulti più conveniente applicando il TIR, ma da un punto di vista del VAN non si avrebbe il medesimo risultato: - si verrebbe perciò a creare una sorta di incoerenza, dovuta dal fatto che il TIR tiene conto della dimensione del progetto mentre ciò non avviene nel VAN; - infatti, all’aumentare della dimensione del progetto, il VAN aumenta e viceversa, mentre il TIR, rappresentando il rendimento medio in percentuale, non è influenzato dalla scala dell’investimento. Fatta questa considerazione, si può dire che esiste un’ulteriore ipotesi in cui tale manifestata incoerenza possa essere colmata, applicando il cosiddetto “metodo dell’Investimento Incrementale”. In particolare, dati due tipologie di investimento A e B, si vanno a considerare i cash flow netti anno per anno dei due investimenti; ed in sostanza si applica la differenza fra il flusso di cassa netto dell’investimento A ed il flusso di cassa netto dell’investimento B. Come ogni metodo, anche quest’ultimo non è scevro di limiti. A bene vedere, in effetti, il metodo degli investimenti incrementali non è applicabile quando: - vi è difficoltà a trovare il TIR riferito ad uno degli investimenti alternativi ottenuto dai cash flow netti; - dalle singole differenze dei cash flow si ottiene più di un TIR; - i singoli investimenti risultano di differente grado di rischiosità e, pertanto, è azzardato prendere in considerazione l’indicatore TIR: in quest’ultima ipotesi, è sicuramente consigliabile optare per l’indicatore del VAN. 134 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento 9. Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Giada Santoni “Se vuoi renderti conto del valore del denaro, prova a chiedere un prestito” Benjamin Franklin, Almanacco del povero Riccardo, 1732/58 9.1 Premessa Le decisioni operative riguardano: la scelta degli strumenti di finanziamento nell’ambito delle categorie del capitale proprio e del capitale di terzi; gli interventi sul capitale circolante destinati al controllo dell’impiego finanziario collegato alle operazioni di gestione corrente. Tra i vari compiti attribuiti alla funzione finanza c’è proprio quello di individuare le modalità e gli strumenti più appropriati attraverso cui finanziare le imprese, al fine di intervenire concretamente nel circuito finanziario aziendale e permettendo al tempo stesso il conseguimento degli obiettivi aziendali in un’ottica di continuità. L’area finanza deve avere come obiettivo primario il perseguimento di due equilibri finanziari: uno statico (legato alla struttura dell’indebitamento); uno dinamico (legato alla capacità prospettica di generare flussi di cassa che consentano di onorare gli impegni assunti e di sostenere la crescita e lo sviluppo dell’impresa). L’attuale contesto economico-finanziario è caratterizzato da una forte carenza di liquidità per le imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni e da un repentino mutamento nell’accesso al credito, rispetto ai decenni precedenti. In tale contesto, la funzione finanza assume quindi un ruolo fondamentale e strategico, richiedendo da un lato una grande professionalità e conoscenza dei tecnicismi del mercato finanziario e dall’altro una conoscenza approfondita dell’impresa per guidarla in una efficiente allocazione delle risorse finanziarie. Invece in Italia, soprattutto nelle piccole e medie imprese, ha sempre avuto un ruolo predominante l’area amministrativa, molto più incentrata sulle imposizioni di legge che l’attività comporta e sui riflessi fiscali che ne derivano, sotto cui si possono individuare solo piccole e sporadiche appendici riconducibili alla finanza o meglio alla tesoreria. Inoltre, la funzione tesoreria/finanza è legata solitamente alla figura dell’imprenditore, che la gestisce spesso in termini operativi e non strategici. Sarebbe invece opportuno che gli imprenditori e spesso anche i consulenti aziendali prendessero coscienza dell’importanza strategica dell’area finanza. L’attività di finanza strategica deve incentrarsi su tre fasi fondamentali: analisi (della dinamica finanziaria; della struttura finanziaria e dei vincoli strutturali); programmazione (capital budgeting e piano finanziario); controllo (verifica dei risultati nel conseguimento della corretta struttura finanziaria e focus sulla qualità del debito). Infatti, solamente con una visione completa della finanza, l’imprenditore e/o il management aziendale sono in grado di individuare il corretto livello di indebitamento, la composizione delle fonti a breve e lungo termine, le eventuali criticità a cui porre rimedio, gli interventi di riequilibrio del capitale rispetto al debito, il consolidamento dei debiti a breve, la pianificazione del fabbisogno finanziario e la scelta degli strumenti finanziari più adeguati alla realtà aziendale. © Cesi Multimedia 135 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento 9.2 La scelta delle fonti di finanziamento Alla base delle scelte effettuate dalle piccole e medie imprese in merito alla scelta delle fonti di finanziamento vi è sempre l’individuazione dell’ammontare del fabbisogno finanziario, ovvero un saldo negativo tra entrate ed uscite. In primis, l’imprenditore e/o chi si occupa della finanza aziendale all’interno dell’impresa dovrebbe porsi i seguenti quesiti in merito all’approvvigionamento finanziario: Che tipo di fonti di finanziamento dobbiamo utilizzare per finanziare le necessità generate dalla gestione corrente e dagli investimenti in capitale fisso? Dove è possibile reperire i fondi necessari al fine di fronteggiare il proprio fabbisogno finanziario? In estrema sintesi, la scelta della forma di copertura di un fabbisogno finanziario nasce da due considerazioni principali: il periodo di tempo entro il quale si protrarrà il fabbisogno (far coincidere le scadenze delle forme di finanziamento con quelle degli impieghi che hanno originato il fabbisogno); il vincolo del rapporto tra il capitale di terzi e il capitale proprio (è necessario che il capitale proprio mantenga una rilevante incidenza sul totale, per evitare che la gestione aziendale possa venire condizionata da decisioni esterne). Le maggiori difficoltà che spesso le piccole e medie imprese incontrano nel reperimento dei fondi finanziari necessari, sia nella fase iniziale sia successivamente nella fase di sviluppo dimensionale e strategico del core business aziendale, sono quasi sempre riconducibili alla ridotta dimensione aziendale, alla capacità di espansione circoscritta, alla limitata innovazione, alla sottocapitalizzazione nonché all’approccio con il mondo finanziario. Nel proseguo del presente capitolo verranno analizzati, seppur in maniera non esaustiva, alcuni dei principali strumenti di finanziamento a breve e a medio/lungo termine a disposizione delle piccole e medie imprese, distinguendoli tra strumenti tradizionali, alternativi/innovativi ed ibridi (Tavola 1). Verranno invece tralasciati in tale sede gli strumenti di finanziamento interno (autofinanziamento)1. ------------------------------------------1 In questo capitolo vengono tralasciate le forme di autofinanziamento interno, ossia la capacità dell’impresa di provvedere autonomamente alla copertura, totale o parziale, del proprio fabbisogno finanziario, evitando o quanto meno contenendo la necessità di ricorrere a fonti esterne. Il finanziamento interno della gestione proviene dall’area economica ed è il risultato di disinvestimenti di tipo reddituale. Nell’economia d’azienda si definisce: autofinanziamento in senso stretto, il complesso degli utili non distribuiti. Ad esso non è associata direttamente la formazione di cash flow; autofinanziamento in senso ampio la somma dell’autofinanziamento in senso stretto e degli accantonamenti effettuati. Rappresenta un aggregato di tipo finanziario la cui entità dipende dal modo in cui si è formato il risultato economico, soprattutto per quanto concerne le componenti stimate. Anch’esso non necessariamente si traduce in nuova liquidità spendibile: costituisce un flusso di capitale generico che solo in parte si manifesta monetariamente, determinando per la differenza variazioni nel capitale fisso o in quello circolante. Dal punto di vista finanziario si ha dunque autofinanziamento quando la gestione corrente esprime un risultato di cassa positivo che, al netto delle variazioni intervenute nell’ammontare del capitale circolante, è destinabile all’effettuazione di nuovi investimenti, alla distribuzione in varie forme alla proprietà, al rimborso dei prestiti in precedenza contratti. 136 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Tavola 1 – Gli investimenti a breve e medio/lungo termine Nella Tavola 2 vengono illustrate sinteticamente alcune caratteristiche dei diversi strumenti di finanziamento con scadenza a medio e lungo termine. Tavola 2 – Gli elementi distintivi dei diversi strumenti di finanziamento a m/l termine CAPITALE DI RISCHIO Autofinanziamento Azioni ordinarie Prestito dei soci Caratteristiche: Discrezionalità nella remunerazione Rimborso residuale Presenza del diritto del voto © Cesi Multimedia CAPITALE DI DEBITO Mutui Obbligazioni Linee di credito stand-by Evergreen Bid line e di gruppo Caratteristiche: Diritto di remunerazione periodica Priorità di rimborso Mancanza del diritto di voto 137 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento 9.2.1 Strumenti di finanziamento “tradizionali” a medio e lungo termine I principali strumenti di finanziamento “tradizionali” a lungo termine sono: mutuo ipotecario; leasing; leasing operativo. Mutuo ipotecario I mutui ipotecari sono finanziamenti “tradizionali” a medio e lungo termine, solitamente ottenuti per finanziare investimenti in capitale fisso. La definizione offerta dal codice civile per il contratto di mutuo (art. 1813 c.c.) è piuttosto generica mentre nella prassi bancaria essa individua in maniera univoca uno strumento di consolidata applicazione. Trattasi infatti di una forma di prestito monetario a scadenza protratta erogata dalla banca in un’unica o in più soluzioni, con la quale il beneficiario si obbliga al pagamento degli interessi ed alla graduale restituzione del capitale mutuato secondo un piano di rimborso contrattualmente stabilito. Questo tipo di finanziamento è assistito da garanzia ipotecaria su beni immobili, il cui valore peritale determina il massimo importo concedibile. Le banche solitamente privilegiano la concessione di mutui di tipo fondiario che limitano la finanziabilità all’80% circa del valore del cespite in garanzia e permettono il consolidamento dell’ipoteca in dieci giorni. La durata massima del prestito dipende invece dalle normative interne di ciascun istituto ed è spesso condizionata dalla finalità dell’operazione. La concessione di tali finanziamenti è sempre preceduta da una istruttoria molto più complessa ed analitica di quella svolta per la concessione di finanziamenti a breve termine, stante l’impossibilità da parte degli istituti di credito di interrompere, in caso di insolvenza del mutuatario, l’utilizzazione del finanziamento. Si rende così necessario procedere ad un’adeguata analisi che prenda in considerazione molteplici aspetti. In pratica l’istruttoria assume la fisionomia di una vera e propria revisione aziendale effettuata da esperti analisti, tendente a verificare la situazione patrimoniale economica e finanziaria dell’azienda ante-finanziamento e quindi a finanziare un adeguato piano economico-finanziario post-finanziamento con l’obiettivo di individuare i volumi di autofinanziamento retraibili in relazione al nuovo cash flow emergente dall’erogazione del mutuo e dagli investimenti programmati. Appare quindi evidente il rilevante coinvolgimento dell’istituto di credito e i vincoli posti alle aziende mutuatarie sia nell’attuazione del piano, sia nella gestione del prestito2. Il regolare pagamento delle rate del mutuo, solitamente costanti, trimestrali o semestrali e comprensive di interessi e quota capitale, costituisce, infatti, per l’istituto di credito, il presupposto prioritario per la concessione del finanziamento, stante le difficoltà di integrale recupero delle somme erogate in caso di esecuzione coattiva in relazione al deterioramento dei beni e al loro particolare utilizzo. Spesso alle garanzie reali, di cui sopra, tipiche di queste operazioni, si affiancano, non di rado, garanzie di terzi o di esponenti della società mutuataria anch’esse di natura reale o personale. ------------------------------------------2 G. Ferrero, Finanza aziendale, Milano, Giuffrè, 1981, pagg. 123-125. 138 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento L’offerta delle banche in questo segmento presenta elementi di differenziazione nei profili contrattuali relativamente: ai meccanismi di fissazione del tasso di ammortamento; alla valuta di denominazione del prestito; alla tipologia di piano di rimborso adottata; alla dilazione massima consentita; all’importo massimo concedibile. Sintetizzando, le caratteristiche fondamentali di questo tipo di finanziamento sono le seguenti: viene perfezionato mediante atto notarile (in presenza di garanzie reali) o per scrittura privata (se garantito da fondi o consorzi di garanzia) e può prevedere l’erogazione: in unica soluzione, dopo l’espletamento delle formalità post-contrattuali; a stato avanzamento lavori, se l’immobile, concesso in garanzia, è in fase di edificazione; il rimborso avviene in rate normalmente mensili/trimestrali/semestrali, precedute a volte da un periodo di pre-ammortamento che solitamente non va oltre i 24 mesi; il tasso può essere fisso o variabile. Il finanziamento a medio-lungo termine è finalizzato di norma, come sopra accennato, alla copertura di impegnativi programmi di investimento, ma il suo utilizzo va sempre più diffondendosi anche per i seguenti fini: consolidare una quota di indebitamento a breve in una fase di crescita aziendale; finanziare investimenti molto frazionati e/o immateriali non agevolabili con altre forme quale leasing, ecc.; coprire investimenti già effettuati e finanziati con fondi a breve, e riequilibrando il margine di struttura di bilancio. Le voci di costo che gravano su tali operazioni comprendono: il tasso di ammortamento; le spese di istruttoria pratica; le spese di perizia tecnica; la parcella notarile e l’imposta sostitutiva; i premi pagati per assicurare i beni offerti in garanzia; eventuali oneri accessori connessi alla copertura di altri rischi. È altresì necessario che il richiedente sfrutti le forme di garanzia meno onerose eventualmente attivabili (i consorzi di garanzia collettiva fidi – confidi)3, al fine di aumentare il potenziale di accesso al credito a medio e lungo termine. Occorre analizzare di volta in volta, nell’ambito dei prodotti offerti dall’istituto a medio termine, tutte quelle componenti che consentano di rendere il più possibile elastico lo strumento. Si sfrutterà così la peculiarità del debito a medio e lungo termine (potenziamento e certezza nel tempo delle fonti), abbinandole ad alcuni requisiti di elasticità (propri delle forme a breve). Inoltre, è opportuno valutare: le penalità in caso di eventuale estinzione anticipata, riducendole al massimo; l’eventuale possibilità di uscita senza penali a scadenze programmate (es. ogni 18 mesi) presente in alcune forme di finanziamento; la disponibilità di strumenti che consentano di trasformare il tasso da variabile in fisso o viceversa, sulla base di parametri predeterminati; nel caso di quotazioni del tasso fisso, confrontare l’offerta della banca con i tassi vigenti di interest rate swap di pari durata (tenuto anche conto del piano di ammortamento del finanziamento), al fine di calcolare lo “spread implicito” praticato; valutare, in alternativa al tasso fisso quotato dalla banca, l’operazione a tasso variabile, trasformato in fisso mediante interest rate swap a cura dell’azienda anche con una banca diversa dalla finanziatrice. ------------------------------------------3 I consorzi di garanzia collettiva fidi (confidi) sono consorzi costituiti da piccole e medie imprese, la cui funzione prevalente è la prestazione di garanzie per gli affidamenti richiesti dai propri associati alle banche convenzionate. Esercitano quindi un’attività mutualistica a favore delle imprese partecipanti, condividendo di fatto le perdite aziendali. I confidi da un lato svolgono nei confronti dei finanziatori, una funzione di supplenza, in termini di garanzia, dei singoli patrimoni aziendali, prevenendo possibili fenomeni di razionamento; dall’altro esprimono una forza contrattuale collettiva nel negoziare condizioni economiche di favore per i propri associati, facendo leva sulla capacità di aggregazione a livello locale. L’operatività di questi soggetti è regolamentata dall’art. 13 della legge 326/03 “(legge quadro” sui confidi) e dalle successive modifiche ed integrazioni. © Cesi Multimedia 139 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento In alcuni casi, anche se piuttosto rari, il prestito assume la forma di sovvenzione cambiaria che viene stipulata per una durata che varia dai cinque anni ai dieci anni, in cui l’azienda finanziata rilascia all’istituto di credito cambiali con scadenze scaglionate a seconda del piano di ammortamento finanziario del prestito: detta forma di finanziamento differisce dalle sovvenzioni cambiarie a breve termine in quanto non rinnovabile rispetto a queste ultime4. In alcuni casi di mutuo a medio e lungo termine è possibile contrarre prestiti per un periodo di preammortamento (da uno a tre anni), durante il quale l’azienda mutuataria corrisponde all’istituto di credito esclusivamente gli interessi al tasso concordato senza procedere a rimborsi in conto capitale, agevolando così l’impresa sotto il profilo finanziario nel corso del primo periodo, corrispondente all’avvio del processo produttivo attuato in funzione del finanziamento ottenuto5. Credito fondiario edilizio Sempre a proposito di mutui occorre analizzare il credito fondiario ed edilizio che presenta alcune specifiche caratteristiche. La peculiarità del ciclo produttivo e la sua ampia proiezione temporale evidenziano caratteri particolari del fabbisogno finanziario per questo tipo di imprese rispetto a quelle manifatturiere in quanto, mentre per queste ultime il fabbisogno finanziario corrente è di natura elastica, per quelle edilizie invece è di tipo consolidato. Occorre inoltre considerare la duplice funzione svolta dal credito edilizio il quale, da un lato, finanzia la vendita del prodotto ottenuto mediante l’accollo da parte dell’acquirente della quota di mutuo gravante sulla singola unità immobiliare e, dall’altro, provvede al finanziamento del processo produttivo. I mutui fondiari ed edilizi, concessi solitamente per durate da dieci a venti anni, sono sempre assistiti da ipoteche di primo grado e sono frazionabili in quanto consentono il predetto accollo da parte dell’acquirente. Si riscontra, conseguentemente, sotto il profilo finanziario, una contestuale eliminazione di una passività consolidata al momento della vendita delle unità immobiliari, per cui, in una prima fase, la procedura di ammortamento del prestito viene monetariamente ed economicamente sopportata dall’impresa e ciò fino alla cessione delle predette unità. Il mutuo a medio-lungo termine è un contratto di durata compresa solitamente tra i 18 mesi e i 10/15 anni, per acquisire capitale occorrente per gli investimenti in beni strumentali e che consente di programmare l’esborso attraverso rate, normalmente semestrali. L’innovazione finanziaria, presente nello scenario economico degli anni settanta, ha generato, tra i suoi primi prodotti, il leasing o locazione finanziaria. Leasing Il leasing è un contratto in forza del quale una società di leasing (locatore o concedente) concede ad un altro (utilizzatore) il diritto di utilizzare un determinato bene a fronte del pagamento di un canone periodico. Alla scadenza del contratto è prevista per l’utilizzatore la facoltà di acquistare il bene stesso, previo l’esercizio dell’opzione di acquisto (comunemente chiamato riscatto) con il pagamento di un prezzo di riscatto, di norma relativamente basso. Questa forma di finanziamento comporta numerosi vantaggi per le aziende in quanto consente loro di coprire i fabbisogni consolidati con maggiore elasticità e snellezza nell’ottenimento del finanziamento rispetto ai mutui a medio e lungo termine. Tali vantaggi scaturiscono dal fatto che non viene trasferita dall’inizio la proprietà del bene che costituisce la garanzia per il locatore-finanziatore, permettendo a quest’ultimo soggetto, in caso di mancato pagamento dei canoni, di ritornare in possesso del bene in tempi rapidi. Questa possibilità, peraltro teorica, ha generato un dibattito sull’effettivo interesse del locatore-finanziatore che non può, in genere, trovare il proprio soddisfacimento nella restituzione del bene (specie se di uso non comune e quindi difficilmente rivendibile), ma al contrario nell’incasso dei canoni insoluti. In relazione a tale problematica, le istruttorie effettuate preliminarmente dalle società di leasing hanno spesso denotato una maggiore complessità, allineandosi sempre più alle istruttorie svolte dagli istituti di credito per la concessione di mutui. In tal modo, in parte, il leasing ha perso la sua originaria snellezza procedurale, almeno per determinate categorie di beni. In sostanza, il contratto di leasing6 (Tavola 3) rappresenta un’alternativa al finanziamento tradizionale consolidato e, come noto, può assumere due diverse configurazioni: leasing finanziario e leasing operativo (Tavola 4). ------------------------------------------4 R. Ruozi, Le operazioni bancarie, Milano, Egea, 1989, pag. 118. A. Bertoni, Avviamento dell’impresa - Enciclopedia della banca e della borsa, Milano, Cei, 1971, pagg. 656- 657. 6 G. De Marchi - L. Camoirano, Nuove forme di finanziamento aziendale, Milano, Pirola, 1988, pagg. 86 e segg. 5 140 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Tavola 3 – Il leasing finanziario e il leasing operativo Fornitore Bene Locatore Bene Canoni + Riscatto Operativo Locatario Finanziario Tavola 4 – Elementi distintivi del leasing finanziario e leasing operativo Leasing finanziario Leasing operativo Nessun interesse operativo del locatario per il bene No cessione del bene locato a fine periodo Il locatario è un intermediario finanziario Società di leasing è spesso anche la società produttrice del bene Manutenzione ed assistenza a carico del locatario Manutenzione ed assistenza a carico della società di leasing Leasing operativo Il leasing operativo è di scarsa rilevanza applicativa ed è praticamente assimilabile al noleggio, differenziandosene per la possibilità da parte del locatario di riscattare il bene alla scadenza del contratto. Questo tipo di locazione, solitamente concessa dall’impresa produttrice del bene locato, si estrinseca in un’ampia dilazione di pagamento garantita dalla conservazione della proprietà del bene oggetto di leasing: in relazione a ciò la durata della locazione, generalmente inferiore alla vita economica del bene strumentale, è circoscritta a due o tre anni, stante la limitata potenzialità finanziaria del produttore. Nel leasing operativo intervengono solo due soggetti: il locatore-produttore e l’azienda utilizzatrice. L’obiettivo principale di chi ricorre a tale forma di leasing è quello di ottenere temporaneamente il possesso del bene strumentale evitando di accollarsi i rischi inerenti alla proprietà (obsolescenza, svalutazione, ecc.) ed i canoni corrisposti sono comprensivi della manutenzione, effettuabile agevolmente dal locatore-proprietario al fine di consentire la buona conservazione del bene, particolarmente importante in relazione all’eventualità del mancato riscatto. Leasing finanziario Di più rilevante applicazione appare invece il leasing finanziario ove, di norma, il finanziatore-locatore non è il costruttore del bene bensì un terzo finanziatore (solitamente una società finanziaria) che acquista il bene da locare dal produttore, su indicazione del locatario, e lo concede in locazione a quest’ultimo. Il locatario assume tutti i rischi e le responsabilità per l’uso del bene (ma ci sono delle limitazioni, specie in campo antinfortunistico).Il primo canone corrisposto dall’utilizzatore è sempre di solito di entità maggiore rispetto ai successivi e per questo viene chiamato maxicanone iniziale. Il suo scopo è quello di ridurre i rischi di perdita del finanziatore-locatore in caso di insolvenza del locatario: infatti, nel caso in cui in un determinato momento il locatario dovesse smettere © Cesi Multimedia 141 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento di pagare i canoni, il locatore si riapproprierebbe del bene, il cui valore di mercato sommato al maxicanone e ai canoni già corrisposti si presume superiore ai costi sostenuti dal locatore. I principali elementi base per calcolo del leasing sono: il costo del bene; la durata; il tasso di interesse (fisso o variabile); l’anticipo (maxicanone); il riscatto. Altri aspetti che bisogna considerare ai fini del costo del leasing sono i costi accessori come assicurazione, assistenza, manutenzione, consulenza e spese di istruttoria. Per quanto concerne il finanziatore-locatore è della massima importanza valutare il “rischio-bene” dell’operazione, considerando la congruità di prezzo del bene, le sue caratteristiche di utilizzo e di profitto produttivo, la sua recuperabilità, la sua ricollocabilità sul mercato, il suo valore in caso di rientro anticipato dovuto ad insolvenza dell’utilizzatore e la sua rispondenza alle normative antinfortunistiche. La valutazione del “rischio-bene” è un’operazione complessa e specializzata, in quanto si articola sulla base di moltissimi parametri, che fornisce indicazioni indispensabili per una valutazione realistica del rischio complessivo dell’operazione, anche a tutela dello stesso utilizzatore. Mentre la valutazione che l’utilizzatore deve effettuare nella scelta del leasing deve tener conto di due ulteriori aspetti: il costo del bene è soggetto ad IVA; il bene rimane di proprietà della società di leasing fino al riscatto, quindi non compare in bilancio tra le immobilizzazioni, con eccezione delle società che compilano il bilancio in base ai principi contabili internazionali, in base al quale il bene va inserito fra le immobilizzazioni e il debito residuo nel passivo. Nel leasing finanziario non sono compresi, normalmente, i costi di manutenzione né i costi di assicurazione. Tali incombenze, solitamente, vengono poste a carico del locatario in sede di contratto e, pertanto, rappresentano per quest’ultimo un onere aggiuntivo rispetto ai canoni. Da quanto detto si desume che l’onerosità del contratto di leasing finanziario appare piuttosto elevata e, comunque, maggiore di quella di un mutuo a medio termine. Quindi, sotto questo profilo sembrerebbe che il leasing finanziario non sia concorrenziale rispetto al mutuo, mentre – anche se non sempre – la maggiore elasticità e speditezza nella fase di istruttoria e concessione del finanziamento ne consigliano, invece, in molti casi la scelta. In particolare, la maggiore elasticità, definita anche migliore operatività, comporta un più rapido espletamento delle procedure che precedono la concessione del finanziamento e quindi l’effettiva acquisizione del bene da parte del locatario. L’istruttoria svolta dalla società di leasing tiene conto, infatti, della diversa tutela giuridica del locatore in caso di insolvenza nel pagamento dei canoni; lo status di proprietario del bene locato può permettere di esperire azioni legali, precluse invece al creditore, quali, ad esempio, l’azione esecutiva a mezzo di un decreto ingiuntivo tendente ad ottenere la restituzione del bene e il pagamento dei canoni, nonché, in caso di apertura di una procedura concorsuale, all’ottenimento della separazione dei beni e quindi alla restituzione degli stessi. La migliore operatività scaturisce anche, come è stato in precedenza chiarito, dalla snellezza del contratto di leasing rispetto al contratto di mutuo: quest’ultimo, infatti, richiede la forma di atto pubblico in relazione all’acquisizione, da parte dell’istituto mutuante, di garanzie reali. Inoltre, con il leasing è possibile modellare il finanziamento al fabbisogno connesso all’acquisizione del bene ottimizzando, in tal modo, la struttura finanziaria dell’impresa7. Infine con tale forma di finanziamento si contiene maggiormente il rischio di obsolescenza delle immobilizzazioni tecniche e dei beni strumentali in genere: i canoni leasing, pur rientrando tra i costi d’esercizio al pari dell’ammortamento, permettono una reintegrazione economica più rapida in quanto la deducibilità, sotto il profilo fiscale, risulta sovente attuata in un periodo temporale inferiore rispetto agli ammortamenti che investono periodi di tempo più lunghi. Con l’introduzione dell’Irap è venuta meno la possibilità di dedurre gli oneri finanziari ai fini dell’imposta in esame; si è quindi parzialmente ridotta la convenienza fiscale in quanto nella determinazione dell’imponibile Irap il soggetto passivo di imposta è obbligato a scorporare dai canoni di locazione la quota inerente agli oneri finanziari; si tenga altresì conto delle modifiche ulteriori attuate negli ultimi anni, al fine di ridurre i profili di convenienza fiscale nell’utilizzo del leasing. Concludendo, la convenienza del leasing rispetto all’acquisizione del bene va ricercata anche nella possibilità di dedurre interamente le spese di ordinaria manutenzione relative al bene oggetto della locazione e di dilazionare l’Iva. Per quanto concerne l’Iva, in particolare, l’impresa, nel caso di acquisto del bene, deve sostenere il relativo ------------------------------------------7 D. Velo, Il leasing, Roma, Buffetti, 1987, pagg. 4-5. 142 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento esborso monetario, mentre nella locazione l’imposta viene pagata sul canone: l’esborso viene dunque diluito nel tempo. Nell’ambito del leasing finanziario la pratica operativa ha permesso l’affinamento delle tecniche volte all’adozione di particolari contratti di locazione finanziaria. I principali sono i seguenti: lease back: prevede la vendita di cespiti dall’azienda, che presenta un fabbisogno di natura monetaria, alla società di leasing, e la contemporanea stipula di un contratto di leasing finanziario tra l’acquirente, che in questa seconda fase riassume la sua veste tradizionale, e l’azienda, precedentemente proprietaria del cespite, che ne diviene il locatario; il leveraged leasing: risulta particolarmente utilizzato per operazioni di rilevante entità che richiedono ingenti capitali di cui il locatore non è in grado di disporre. I mezzi necessari per l’acquisto dei beni viene, quindi, in parte messo a disposizione da altri finanziatori. Il locatore usufruirà, sotto il profilo fiscale, degli ammortamenti sui beni locati e incasserà i canoni per il loro ammontare integrale; dovrà, altresì, corrispondere gli interessi sul finanziamento ottenuto e rimborsare il capitale in corrispondenza dei canoni riscossi. Per i finanziamenti ottenuti, solitamente, vengono prestate garanzie reali da parte del locatore; il lease purchase: rappresenta una variante del leveraged leasing con l’interposizione di un intermediario (trustee) che raccoglie finanziamenti per l’acquisto del bene emettendo certificati di partecipazione; la dummy corporation: in questa casistica la funzione svolta dal trustee nel lease purchase viene espletata da una società di comodo, appositamente costituita, che emette obbligazioni e certificati sottoscritti dal trustee di investitori. La dummy corporation controllata dai finanziatori effettua l’acquisizione in proprietà del bene e riscuote i canoni sui beni locati estinguendo gradatamente le obbligazioni emesse. Si ricorre solitamente a tale complessa operazione per affari di rilevante entità finanziaria; il leasing azionario: rappresenta una forma di finanziamento simile al lease back con la differenza che in tal caso oggetto del contratto non è un’immobilizzazione, bensì un pacchetto azionario. Più precisamente, con il leasing azionario un’impresa colloca presso una società finanziaria determinati valori mobiliari (generalmente azioni di nuova emissione) mantenendone il possesso mediante il pagamento dei canoni periodici e con la possibilità di riscattarli alla scadenza dietro il pagamento di un prezzo prestabilito. Ricorrono, solitamente, a questo tipo di contratto imprenditori che desiderano reperire risorse finanziarie a rischio pieno, per fronteggiare investimenti a medio e lungo termine, senza allargare la compagine societaria; il leasing adossé: è una particolare tipologia di finanziamento molto diffusa negli Stati Uniti. Trattasi, in sostanza, di una doppia locazione che vede protagonisti tre soggetti: un’impresa, una società di leasing e il sublocatore. L’impresa vende uno stock di beni strumentali ad una società di leasing ricevendoli successivamente in locazione, dietro il pagamento di canoni periodici, e con la facoltà di sublocarli successivamente ad un’altra azienda. Alla scadenza del contratto, l’impresa venditrice-locatrice dei beni può decidere di riscattarli oppure cederli all’azienda sub-locatrice: appare evidente in questo contratto la possibilità per l’impresa venditrice – che generalmente è un produttore o un distributore – di smobilizzare il proprio magazzino. In questo modo, infatti, il produttore-distributore, pur incassando il corrispettivo in contanti derivante dalla vendita, offre alla propria clientela il vantaggio del pagamento dilazionato. 9.2.2 Strumenti di finanziamento “tradizionali” a breve termine Nel presente paragrafo vengono analizzati i principali strumenti di finanziamento “tradizionali” a breve, nello specifico: apertura di credito in c/c e apertura di credito ipotecaria; sconto di pagherò diretti o sovvenzione cambiaria; effetti con accredito s.b.f.; sconto di effetti commerciali; prestiti di durata inferiore a 18 mesi; anticipi su fatture, su pagamenti a stato di avanzamento lavori e cessioni del credito; anticipazioni su pegno di merci e/o titoli rappresentativi di merci o su pegno di titoli. Apertura di credito in c/c L’apertura di credito in c/c: è un contratto con il quale l’istituto di credito mette a disposizione dell’impresa un credito utilizzabile in funzione delle proprie esigenze, a fronte dell’impegno dell’azienda di ripristinare l’originaria © Cesi Multimedia 143 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento disponibilità per mezzo di rimborsi parziali o totali con la corresponsione dei relativi interessi. Il credito può essere o meno assistito da garanzie di tipo personali o reali. L’apertura di credito in c/c può essere: a scadenza indeterminata: possibilità dell’istituto bancario di recedere dal contratto con un preavviso di 15 giorni – (art. 1845 c.c.); scadenza fissa (salvo revoca): l’impresa si obbliga, alla scadenza contrattata, a restituire quanto dovuto (capitale, interessi ed altre spese) – (artt. 1843 e 1852 c.c.). Gli oneri sono commisurati all’effettivo utilizzo e sono addebitati, di solito, trimestralmente. È necessario contrattare con i vari istituti di credito sulle condizioni applicate, mettendoli in competizione al fine di ottenere tassi e condizioni più vantaggiose. Dal lato delle garanzie richieste, queste possono essere di tipo: personali (avallo, fideiussione, mandato di credito, cessione di polizza assicurativa); reali (pignoratizie su titoli, merci, valori e ipotecarie su beni immobili). In sintesi, le principali caratteristiche dell’apertura di credito in c/c sono le seguenti: è una forma di finanziamento elastica, poiché utilizzabile a totale discrezione del cliente in base alle proprie esigenze operative, entro il limite dell’affidamento accordato per importo e durata; dal punto di vista finanziario, almeno in linea generale, serve a coprire gli scompensi temporanei di liquidità generati dalla gestione del capitale circolante. In sostanza costituisce una sorta di “margine di liquidità” supplementare rispetto a quello creato dalla gestione corrente; l’onerosità della forma tecnica è duplice. Da un lato il cliente sostiene un costo variabile in termini di interessi passivi, proporzionale all’entità ed alla durata degli utilizzi; dall’altro incorre comunque in un costo fisso, indipendente dall’effettiva fruizione della facilitazione, rappresentato da una commissione percentuale applicata su base annua all’importo accordato (“commissione di messa a disposizione dei fondi” o “commissione sull’accordato”)8; non stimola le imprese a porre in essere adeguati interventi di programmazione finanziaria ma a gestire day by day la propria liquidità. Apertura di credito ipotecaria L’apertura di credito ipotecaria è una particolare forma di apertura di credito assistita da garanzia ipotecaria su beni immobili. Permette la copertura di temporanei fabbisogni di cassa, rendendo liquido il valore delle immobilizzazioni materiali senza perderne la proprietà. L’entità del finanziamento è commisurata al valore del bene ipotecato o allo “standing” reddituale del cliente, con una durata soggetta solitamente a revisione annuale da parte dell’istituto di credito. Gli oneri addizionali, rispetto alle aperture di credito in c/c, sono le spese peritali, notarili oltre alla polizza assicurativa di integrità del bene concesso a garanzia. Smobilizzo dei crediti commerciali Lo smobilizzo dei crediti commerciali in tale ambito rientrano tutte le forme tecniche attraverso le quali l’impresa si priva temporaneamente o definitivamente di parte del proprio attivo circolante al fine di ottenere immediate disponibilità liquide in c/c. L’obiettivo dell’impresa è quello di abbreviare il divario temporale che intercorre tra la data di fatturazione e quella di riscossione. Il credito accordato dall’istituto di credito in queste fattispecie viene definito autoliquidante poiché, nell’ottica del soggetto erogante, il rientro delle somme anticipate dipende principalmente dal buon esito della sottostante negoziazione commerciale e solo in via subordinata dalla situazione economico-finanziaria del soggetto finanziato (per la copertura di eventuali insoluti). Tralasciando le situazioni di carattere estemporaneo, il ricorso continuativo a queste forme tecniche richiede un affidamento di tipo rotativo (c.d. “castelletto commerciale”). ------------------------------------------8 L’origine della sua applicazione è da rintracciarsi nel quadro degli interventi (d.l. 185/2008), in cui il legislatore si è occupato di intervenire esplicitamente su alcuni costi sopportati dal cliente in sede di concessione creditizia, normando in senso restrittivo le condizioni di applicabilità della commissione sul massimo scoperto (commissione percentuale applicata al massimo saldo debitore registrato dal c/c durante il trimestre). Il ridimensionamento di quest’importante fonte di entrata, peraltro in una fase congiunturale altamente problematica, ha spinto gli istituti di credito ad adottare nuove strutture di prezzo al fine di attenuare gli effetti derivanti da questi provvedimenti. 144 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Sostanzialmente l’anticipo del credito presenta una struttura comune alle diverse operazioni, che si differenziano molto poco l’una dall’altra, ad eccezione dello sconto cambiario, peraltro una modalità desueta e dunque residuale. Attualmente, nelle operazioni di smobilizzo crediti le cambiali sono state sostituite da ricevute bancarie (ri.ba.) e fatture commerciali. Per entrambe le fattispecie la banca provvede ad accreditare al cliente salvo buon fine (sbf) gli importi delle presentazioni effettuate, ma mentre le ricevute possono essere anticipate in diverse forme (cartacea, supporto magnetico, flusso telematico), per le fatture è prevista, per ovvi motivi, la sola modalità cartacea, spesso “accettata” dal cliente per conferma della veridicità dei dati in essa contenuti. A tutela del proprio credito, la banca richiede che l’incasso del credito avvenga mediante: canalizzazione del pagamento (indicando sul documento il c/c sul quale il debitore deve effettuare il pagamento. Ovviamente non è vincolante ma consente alla banca di monitorare la qualità del portafoglio clienti dell’affidato. In realtà la banca può anticipare anche crediti con pagamento non canalizzato, di norma applicando condizioni più onerose per lo smobilizzo e ricorrendo a linee di credito di rischiosità superiore); mandato irrevocabile all’incasso (o in rem propriam, cioè nell’interesse dello stesso mandatario/banca); cessione del credito pro-solvendo, ai sensi dell’art. 1260 c.c.. Tuttavia è prevista un’attività di screening da parte del finanziatore al fine di accertare la conformità dei documenti presentati ai requisiti richiesti dalle normative interne in materia di qualità del debitore, scadenza degli effetti, concentrazioni di rischio su nominativi facenti o meno parte del gruppo finanziario del presentatore. In merito all’anticipo ri.ba. sono previste due diverse modalità tecniche di “trattamento”: l’utilizzo di un c/c anticipi fruttifero sul quale vengono accreditate, con valuta pari alla scadenza, il totale degli appunti presentati. Da tale rapporto l’intestatario provvede a “girare” sul c/c ordinario le somme secondo necessità e con valuta pari al giorno dell’operazione, generando scoperti per valuta su cui maturano interessi al tasso concordato; l’utilizzo del solo c/c ordinario sul quale le singole partite vengono immediatamente accreditate con valuta il giorno di scadenza così da essere utilizzate con priorità rispetto allo scoperto di c/c. Il pricing di queste operazioni, oltre al tasso d’interesse, prevede anche l’applicazione di spese di lavorazione, spese di incasso, spese di insoluto/richiamo e qualora necessarie di modifica piazzatura/proroga, calcolate su ogni effetto. L’incidenza sull’onerosità complessiva di questa forma tecnica è ovviamente proporzionale alla numerosità del foglio. Per quanto concerne l’anticipo su fatture valgono molte delle considerazioni già espresse relativamente all’anticipo sbf su ricevute bancarie. Dal punto di vista del funzionamento è previsto che: all’atto della presentazione la banca accrediti il cliente per un importo di norma compreso tra l’80% ed il 100% della fattura, addebitando contemporaneamente un c/c anticipi transitorio fruttifero sul quale maturano interessi a debito del cliente per la durata dell’operazione, al tasso concordato; al pagamento della fattura la banca provvede ad accreditare il c/c anticipi, annullando di fatto la posizione aperta in precedenza. Anche in questo caso è prevista la tariffazione delle spese per la lavorazione degli effetti e per insoluti/richiami/proroghe. Sconto di effetti commerciali Lo sconto di effetti commerciali è un contratto con il quale la banca (scontante), previa deduzione dell’interesse, anticipa all’impresa (scontatario) l’importo di effetti cambiari di natura commerciale non ancora scaduti, mediante la cessione salvo buon fine degli effetti stessi. Esistono due tipi di sconti cambiari a seconda della tipologia dell’effetto scontato: cambiale tratta: dove il titolo di credito contiene l’ordine di pagamento da parte del traente (creditore che emette la cambiale) al trattario (il destinatario dell’ordine, debitore nei confronti del traente), a favore del prenditore (beneficiario spesso il traente stesso); pagherò cambiario: dove il titolo di credito contiene una promessa di pagamento, a una certa scadenza, da parte dell’emittente (debitore) a favore del prenditore (creditore). © Cesi Multimedia 145 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento La concessione di questa forma di finanziamento avviene tramite l’utilizzo di un “castelletto di sconto” che viene determinato in seguito alla valutazione dell’impresa affidata. Il risultato di questa valutazione rappresenta il credito massimo concedibile entro il quale può essere effettuato lo sconto di effetti commerciali. A seconda della scadenza concordata le cambiali si distinguono: a vista: pagabili alla presentazione; a certo tempo vista: pagabili dopo un termine previsto sul titolo; a certo tempo data: pagabili entro un certo tempo dalla data di emissione; a giorno fisso: pagabili nel giorno di scadenza riportato sul titolo. Per quanto concerne il pricing di questa operazione, si elencano: tasso di sconto: applicato sul valore nominale della cambiale; giorni di sconto: indicano il periodo che intercorre tra il giorno in cui prende il via lo sconto e quello della scadenza nominale, più dei giorni aggiuntivi in funzione della piazza di pagamento; imposta di bollo, come da normativa fiscale vigente in materia. Finanziamento di durata inferiore ai 18 mesi Il finanziamento di durata inferiore ai 18 mesi è un prestito monetario a breve scadenza con il quale il beneficiario si obbliga alla restituzione periodica di quote capitale ed interessi può o in una unica soluzione. Tali tipologie di finanziamenti possono essere soggetti ad un tasso variabile o fisso, sono di semplice gestione, sono solitamente meno onerosi rispetto alle aperture di credito in c/c. Anticipi su pagamenti a stato di avanzamenti lavori e cessioni del credito Gli anticipi su pagamenti a stato di avanzamenti lavori e cessioni del credito sono operazioni attraverso le quali la clientela che vanta crediti verso terzi a fronte della propria attività produttiva, può anticiparne la riscossione mediante un finanziamento la cui estinzione avviene di norma con l’incasso del credito stesso tramite banca o altri intermediari finanziari. Simile all’anticipazione su fatture è il finanziamento contro cessione del credito. Il contratto di cessione del credito si perfeziona con il semplice consenso tra cliente cedente ed il cessionario banca. La cessione del credito va notificata al debitore. Tale fonte di finanziamento permette di rendere disponibili immediatamente, per le esigenze aziendali, i ricavi provenienti dalla commercializzazione dei prodotti/servizi generati dall’attività d’impresa: ciò permette di alimentare l’attività tipica d’impresa e di praticare politiche commerciali con pagamenti differiti. L’entità del finanziamento non supera solitamente l’80% del valore del credito vantato. La durata è commisurata alla scadenza dei pagamenti (solitamente entro e non oltre i 6 mesi). L’utilizzo delle somme corrisposte avviene generalmente sotto forma di scoperto in c/c, con prelievi totali o parziali fino al concorso della somma. L’onere è commisurato alla forma tecnica di utilizzo (se scoperto di c/c si applicherà l’onere finanziario relativo). Anticipazioni su pegno di merci e/o titoli rappresentativi di merci o su pegno di titoli Le anticipazioni su pegno di merci e/o titoli rappresentativi di merci o su pegno di titoli sono operazioni di finanziamento nelle quali la banca eroga all’impresa un prestito a breve termine, ottenendo come garanzia la costituzione di un pegno su merci, e/o su documenti rappresentativi di queste o su titoli. La prima rappresenta uno smobilizzo temporaneo di parte dell’attivo (magazzino), solitamente da parte di imprese che hanno fatto ingenti provviste di magazzino in previsione di aumenti previsti nei costi di approvvigionamento o sul cambio della valuta di acquisto delle merci, ovvero, di aziende caratterizzate da forte stagionalità delle vendite. È opportuno precisare, che data la difficoltà tecnica dell’operazione non tutte le banche sono disposte ad effettuarla. In primis, le merci costituite in pegno devono avere determinati requisiti, al fine di contenere il rischio per il creditore e garantire un sufficiente grado di liquidabilità e negoziabilità. Il pegno su titoli si distingue tra: titoli azionari; titoli obbligazionari. In entrambi i casi i titoli vengono trasferiti in: deposito: in questo caso è l’istituto di credito a prendersi cura della loro custodia; sub-deposito: si provvede al deposito presso il Monte Titoli su un apposito registro vincoli. 146 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Una volta perfezionata la costituzione in pegno, la successiva erogazione dell’anticipazione può essere: a scadenza fissa: dove il rimborso avviene in una o più soluzioni prestabilite (gli interessi vengono conteggiati in via anticipata); in conto corrente: la quale è assimilabile a un’apertura di credito in c/c garantita (gli interessi vengono addebitati periodicamente). La banca nell’erogare il finanziamento trattiene uno scarto prudenziale che può variare tra il 10% e il 60% del valore delle merci o dei titoli, per far fronte ad eventuali errori nella valutazione o ad oscillazioni dei prezzi dei mercato. Per quanto concerne l’aspetto economico, il costo dell’operazione è rappresentato da: interessi; commissioni di massimo scoperto (che possono anche non essere applicate); imposte e spese varie. Factoring Accanto al finanziamento bancario, soprattutto negli ultimi decenni, si è avuta una notevole crescita dell’utilizzo di forme di finanziamento non bancario quali ad esempio il factoring ed il credito commerciale, sebbene anche queste forme di finanziamento dipendano ancora principalmente dalle banche. Il factoring (Tavola 5) è un contratto di natura anglosassone mediante il quale un soggetto (cedente) si impegna a cedere tutti o parte dei suoi crediti commerciali presenti e futuri scaturiti dalla propria attività imprenditoriale ad un altro soggetto (il factor)9 il quale, dietro un corrispettivo, si impegna a sua volta a fornire una serie di servizi che vanno dalla contabilizzazione, alla gestione, alla riscossione dei crediti ceduti fino alla garanzia dell’eventuale inadempimento dei debitori, ovvero al finanziamento dell’imprenditore cedente sia attraverso la concessione di prestiti, sia attraverso il pagamento anticipato dei crediti ceduti. Tavola 5 – Il contratto di factoring Factor Servizi e anticipazione debiti cessionario Crediti Notifica cessioni Pagamento del debito Impresa cedente Debitore ceduto Rapporto di fornitura Quindi, si differenzia dalle operazioni bancarie di smobilizzo poiché rappresenta un servizio completo che permette di realizzare congiuntamente: la gestione dei crediti, che consiste nella produzione di informazioni sul debitore ceduto (screening e monitoring), nell’amministrazione del portafoglio (contabilizzazione, riscossione, recupero, contenzioso), nel servizio consulenziale (informazioni su nuovi mercati/clienti); il finanziamento del cedente, attraverso lo smobilizzo dei crediti ceduti; la garanzia dai rischi di inadempimento, nella forma pro-soluto. Pertanto questo strumento risulta particolarmente utile in tutte le situazioni caratterizzate da squilibri finanziari di breve periodo, da gestione inefficiente della politica commerciale e creditizia. I crediti affidati in amministrazione al factor non devono di norma essere ceduti allo stesso; tuttavia nella maggior parte dei casi, dietro il contratto di factoring, si cela un’operazione di finanziamento dell’impresa cliente. Infatti, è prassi ormai consolidata che il factor conceda all’impresa cliente anticipazioni sull’ammontare dei crediti gestiti. La cessione può avvenire in due modi differenti: pro solvendo: lasciando al cliente il rischio dell’eventuale insolvenza dei crediti ceduti; ------------------------------------------9 Può essere una banca o un operatore specializzato. © Cesi Multimedia 147 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento pro soluto: il factor si assume il rischio di insolvenza dei crediti ceduti ed in caso di inadempimento di questi ultimi non potrà richiedere la restituzione degli anticipi versati al cliente. Esistono diverse tipologie di factoring: full factoring: vengono acquistati, continuativamente, i crediti commerciali dei clienti man mano che essi sorgono; maturity factoring: vengono mantenuti uguali le componenti gestionali e assicurative. Il factor si astiene dal fornire supporto finanziario al cliente; international factoring: rivolto a clienti e debitori di paesi differenti. La legge n. 52 del 1991 ha previsto l’istituzione di un albo delle imprese che praticano la cessione dei crediti d’impresa (albo tenuto a cura dalla Banca d’Italia). Tale legge non ha introdotto nell’ordinamento italiano la disciplina giuridica del factoring, che perciò continua ad essere considerato un contratto atipico, ma si è limitata a modificare la disciplina tradizionale della cessione dei crediti. Le norme della legge n. 52 del 1991 si applicano alle cessioni verso corrispettivo di soli crediti pecuniari e quando sussistano le seguenti condizioni: che il cedente sia un imprenditore; che i crediti ceduti siano imputabili a contratti stipulati dal cedente nel corso della sua attività imprenditoriale; che il cessionario sia una società o un ente avente personalità giuridica. I contratti stipulati dalle società di factoring sono assoggettati alla disciplina sulla trasparenza delle operazioni bancarie e finanziarie prevista dal decreto legislativo n. 385 del 1993, in quanto dette società sono comprese tra i soggetti che esercitano professionalmente attività di prestito e finanziamento. 9.2.3 Strumenti e tecniche di finanziamento “alternativi ed innovativi” per le PMI Spesso l’accesso al mercato del credito è per le PMI, ma soprattutto per le microimprese, che rappresentano circa il 99,9% delle imprese italiane10, è notevolmente difficoltoso e dispendioso. Ai fini della determinazione dell’effettivo costo per l’impresa di un finanziamento, occorre tener conto, oltre che dell’interesse pattuito, anche di una serie di costi collaterali. Infatti, le PMI spesso incontrano notevoli difficoltà nel finanziare i propri investimenti sia a causa delle garanzie richieste dalle banche, ma anche l’entità, eccessivamente elevata per molti imprenditori, di tassi e costi in generale dei vari finanziamenti. Tale situazione riduce notevolmente il numero di imprese in condizione di ottenere un finanziamento, nonché la redditività attesa dell’investimento finanziato. L’elevata soglia di costo del capitale penalizza in larga misura imprese di dimensioni medio-piccole o molto piccole, le quali, seppur spesso in possesso del know-how necessario e di innovative intuizioni commerciali e/o produttive, non riescono ad ottenere, quanto meno in tempo utile, i capitali necessari a finanziare investimenti diretti per consolidare e/o sviluppare la presenza sul mercato, sviluppare mercati internazionali, inserirsi in nicchie di mercato caratterizzate da elevata tecnologia o specializzazione oppure ampliare la nicchia di mercato già occupata mediante l’offerta di nuovi beni e/o servizi. Date queste difficoltà di accesso al mercato dei capitali per le PMI e le microimprese, occorre valutare se, mediante l’ausilio di strumenti finanziari alternativi rispetto a quelli usualmente utilizzati dalle imprese e di tecniche di finanziamento innovative rispetto a quelle praticate tradizionalmente dal sistema creditizio italiano, sia in realtà possibile ridurre, sia in termini monetari in senso stretto, che temporali e contrattuali, il costo del capitale di finanziamento. Nel delineare ed attuare le proprie politiche di erogazione di finanziamenti, gli operatori del sistema creditizio tendono, in quanto razionali operatori economici, a massimizzare il proprio profitto. Gli operatori del mercato creditizio e/o finanziario, inoltre, solitamente richiedono alle imprese finanziate la prestazione di garanzie reali e/o personali, al fine di ridurre il rischio connesso all’erogazione mediante la costituzione di diritti di prelazione su immobili o, solitamente, titoli oppure affiancando all’obbligazione del debitore principale obbligazioni di altri soggetti, per lo più fideiussori. Si determina quindi un ulteriore aggravio del costo del capitale per l’impresa finanziata, la quale si trova costretta a vincolare uno o più beni, dei quali perde, sostanzialmente, il potere di disporre proficuamente, o a rendere garante dell’adempimento della prestazione restitutoria uno o più soggetti terzi, ai quali dovrà, presumibilmente, offrire un conveniente corrispettivo. ------------------------------------------- 10 Imprese e industria, Scheda informativa SBA 2012 Italia (I dati si riferiscono alla “economia aziendale” comprendente industria, costruzioni, commercio e servizi) 148 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Quindi, le tecniche di finanziamento tradizionalmente praticate dal sistema creditizio, spesso non appaiono più in grado di soddisfare le esigenze di acquisizione di capitale manifestata tanto dalle PMI che dalle microimprese, in quanto presentano un elevato grado di rischio per la banca erogante, che si riflette in uno spread elevato, ed in un costo, in termini monetari, temporali e contrattuali, eccessivamente oneroso per le poche imprese finanziate. Occorre, quindi, individuare strumenti finanziari e/o tecniche di finanziamento alternativi, i quali permettano di ridurre il rischio per il finanziatore ed i costi per le imprese finanziate. La caratteristica fondamentale delle fonti di finanziamento alternative ed innovative è rappresentata, sotto il profilo della durata dei finanziamenti, dall’estrema elasticità nel rimodellarsi alle mutevoli esigenze finanziarie dell’impresa e dalla flessibilità nel passare da capitali di debito a capitali a pieno rischio e viceversa. La rapidità con cui si modifica lo scenario competitivo dei vari business aziendali esige altrettanta rapidità nell’adeguarsi delle fonti di finanziamento ed una estrema flessibilità della durata degli stessi. Per analizzare come la finanza possa assecondare la crescita dimensionale delle PMI e delle microimprese, occorre comprendere se ed in quale misura tipologie di finanziamento innovative rispetto alle tradizionali forme di prestito bancario possano essere di supporto a programmi di “crescita equilibrata”. In primis, occorre valutare se il ricorso a tipologie contrattuali innovative possa consentire di assecondare i processi di cambiamento, mantenendo allo stesso tempo immutata l’esposizione al rischio sistemico delle imprese di piccola dimensione. Sono in tal senso rilevanti soprattutto quei prodotti finanziari che possono essere potenzialmente fruibili da un ampio numero di operatori, piuttosto che quelli specificatamente indirizzati alle imprese di nuova o recente costituzione, ovvero a quelle caratterizzate dall’appartenenza a settori ad alta tecnologia. Di seguito vengono descritti, seppur in maniera non esaustiva, alcuni strumenti finanziari alternativi ed innovativi che potrebbero essere utilizzati accanto alle tradizionali forme di finanziamento. I prestiti sindacati I prestiti sindacati (Tavola 6) non costituiscono una particolare tecnica di prestito bensì una modalità organizzativa11 che consente a più istituti di credito consorziati di soddisfare esigenze di finanziamento complesse, attraverso facilitazioni che eccedono il potenziale creditizio dell’istituto singolarmente considerato. Infatti, l’importo del prestito nonché il rischio d’insolvenza del mutuatario vengono quindi frazionati tra più istituti di credito nell’ambito di un’operazione unitaria sia dal punto di vista economico che organizzativo. Dal punto di vista operativo, i finanziamenti possono essere erogati ricorrendo a tipologie tra loro differenti in termini di modalità di utilizzo e di rimborso. Quelle maggiormente in uso risultano essere le seguenti tipologie: Stand-by Evergreen Step-up Linea di credito di gruppo Lo stand-by12: è un’operazione a breve/medio termine con la quale un’azienda ottiene una linea di credito di importo e durata prestabiliti. Tale somma può essere utilizzata ripetutamente e anche per importi parziali salvo un preavviso generalmente di dieci o quindici giorni. In merito al suo funzionamento, con il prestito “Stand-by” o “Stand-by loan” un pool di banche organizzate da una banca capofila (banca leader) oppure da una società finanziaria specializzata (lead manager) mette a disposizione di un’impresa una linea di credito di un certo importo per un periodo di tempo prestabilito. Ogni banca partecipa all’operazione con una propria quota. La linea di credito stand-by garantisce al cliente l’utilizzo in forma fissa di una certa somma per un periodo convenzionale definito fixture period che corrisponde ad un arco di tempo (da 1 a 6 mesi)13. Al termine di tale periodo avviene il rimborso del prestito o alternativamente il rinnovo entro il limite massimo di preavviso contrattualmente previsto. Il cliente ha la possibilità di utilizzare ripetutamente la linea di credito per un importo prefissato con preavviso di 10/15 giorni alla banca capofila. ------------------------------------------11 E. Monti, Manuale di finanza per l’impresa, cit., pp.114 - 116. G. De Marchi - L. Caimorano, Nuove forme di finanziamento aziendale, Milano, Pirola Editore, 1998, pagg. 86 e segg. 13 La durata del contratto non eccede solitamente i 18 mesi. 12 © Cesi Multimedia 149 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Una caratteristica del prestito stand-by è l’impegno da parte del cliente di non utilizzare il credito per un determinato periodo di tempo pari solitamente a 45 giorni consecutivi in ciascun anno solare o alternativamente l’assunzione dell’impegno a non usare il fido oltre un limite prestabilito del 70-80% del massimo concesso. Il rispetto di tali clausole viene interpretato dalla capofila come indice di capacità del cliente di far fronte ai propri impegni. Tali limiti possono variare a seconda degli istituti di credito. Gli interessi posticipati vengono conteggiati trimestralmente e sono calcolati in base a un tasso variabile in funzione di un parametro universalmente conosciuto in ambito finanziario (ad esempio l’euribor). Al tasso così calcolato si aggiunge uno spread fisso stabilito sullo standing e il merito di credito dell’azienda. Agli interessi vanno poi aggiunti altri costi come le management fees, le agency fees e le commitment fees. Esistono alcune varianti del prestito stand-by, tipo l’umbrella facility, linea di credito utilizzabile da tutte le imprese di un determinato gruppo e lo stand-by a utilizzo misto che permette di utilizzare la linea di credito in differenti modi (titoli a breve garantiti dal pool, prelievi o emissioni di cambiali). Tra i vantaggi per il cliente va annoverata la possibilità di accesso ad uno strumento flessibile di raccolta a costi concorrenziali, mentre per le banche l’accesso ad uno strumento che permette una migliore e più prevedibile gestione del credito e del rischio. L’evergreen: è un’operazione simile allo stand-by, mediante il quale un pool di banche mette a disposizione di un’impresa una linea di credito per cassa d’importo prefissato con la facoltà di utilizzo ripetuto nel tempo, anche per cifre parziali, e con validità fino a revoca. La caratteristica principale di tale tipologia di contratto, che non prevede né piani di ammortamento né di rimborso, risiede nella possibilità di ricorrere continuamente al credito anche dopo periodi di mancato utilizzo. Gli importi vengono messi a disposizione sul conto corrente ordinario. Per la grande elasticità operativa e di adattamento del prestito alle specifiche esigenze finanziarie dell’impresa, esso risulta particolarmente adatto per progetti di investimento caratterizzati da un presumibile rapido ritorno del capitale con flussi di reddito variabili nel tempo14. Mentre, lo svantaggio principale è costituito dalla necessità di rimborso in un’unica soluzione al momento della revoca, senza la possibilità di diluire gli esborsi nel tempo. Lo step-up: è anch’esso simile allo stand-by ma, si differenzia dallo stesso per il fatto che l’importo messo a disposizione dell’impresa per un determinato periodo dal pool delle banche è suddiviso in due tranches distinte: la prima parte viene erogata in un’unica soluzione mediante accredito sul conto dell’azienda, ed è ad utilizzo fisso e rimane immodificabile per tutta la durata del contratto e la società finanziata pagherà interessi posticipati; la seconda parte è, invece, ad utilizzo variabile per uno o tre mesi. In questa seconda parte gli interessi saranno pagati sulla parte utilizzata mentre su quella residua sarà corrisposta la commissione di mancato utilizzo. Tale forma di finanziamento è notevolmente elastica per il cliente e allo stesso tempo garantisce una discreta sicurezza d’impiego dei fondi delle banche. La linea di credito di gruppo è una linea di credito concessa ad una società capogruppo con la possibilità di utilizzo da parte di tutte le società facenti parte del gruppo. I vantaggi di tale strumento finanziario sono: 1) elasticità: utilizzazione da parte delle consociate a seconda delle esigenze che queste possono avere nel corso del tempo; 2) economie di scala: il gruppo può finanziarsi per importi più rilevanti e a migliori condizioni di tasso; 3) sicurezza: il gruppo sa di poter contare sul finanziamento per un certo periodo di tempo; 4) garanzie richieste: non sono necessarie garanzie reali o personali, almeno in teoria. ------------------------------------------14 A.M. Bruno Biancone, L’innovazione finanziaria, Torino, Giappichelli, 1987. 150 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Tavola 6 – I vantaggi dei prestiti sindacati per aziende e finanziatori Cambiale finanziaria La cambiale finanziaria è un titolo di credito con caratteristiche simili alle cambiali (r.d. n. 1669 del 1933) e che, come strumento finanziario che può essere emesso in serie per raccogliere sul mercato capitale di debito a breve termine, è disciplinato dalla legge n. 43/1994 (nonché, fino al 2005, dal d.m. 7 ottobre 1994). Le cambiali finanziarie hanno avuto scarsa diffusione nella prassi operativa a causa delle limitazioni previste dalla normativa citata e, in considerazione della stessa, dal CICR (con le deliberazioni del 3 marzo 1994, del 19 luglio 2005 e del 22 febbraio 2006) e dalla Banca d’Italia. Segnatamente, l’articolo 1, comma 2, della citata legge n. 43 stabilisce che le cambiali finanziarie sono assimilate, ad ogni effetto di legge alle cambiali ordinarie e costituiscono titolo esecutivo. Il successivo art. 4 prevede che «le cambiali finanziarie sono considerate valori mobiliari per qualsiasi finalità prevista dall’ordinamento». Le principali criticità erano ravvisabili nella anelasticità della durata (compresa tra 3 e 12 mesi), nella modalità della circolazione (solo mediante girata, seppure senza garanzia, che le rendeva titoli “individuali”), nei limiti quantitativi all’emissione (che erano ricompresi in quelli per l’emissione di obbligazioni) e nelle preclusioni soggettive all’acquisto da parte del “pubblico” (salvo che per gli intermediari sottoposti a vigilanza prudenziale se l’emittente non è quotato). L’art. 32 del decreto “Crescita” – nell’intento di mediare la volontà di ampliare l’accesso al pubblico risparmio per le PMI con le esigenze di tutela dei risparmiatori stessi, ha modificato le disposizioni precedenti rendendolo uno strumento di raccolta a breve termine più simile alle commercial paper (dette anche “polizze di credito commerciale”) diffuse all’estero.15 Secondo quanto previsto nei commi 5 e 5-bis, le cambiali finanziarie possono ora avere una scadenza compresa tra 1 e 36 mesi; essere emesse da tutte le società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici, ad eccezione delle banche e delle microimprese, pur sempre nel rispetto di taluni vincoli normativi volti a tutelare gli ------------------------------------------- 15 Le commercial paper, come le cambiali finanziarie, recano la promessa incondizionata di pagare alla scadenza, al portatore delle stesse, l’importo indicato sul titolo. Se emesse in serie o in massa, le c.p. sono titoli similari alle obbligazioni, essendo venuto meno, fin dal 1996 (art. 7 del d.l. n. 323/1996, modificativo dell’art. 41, comma 2, lett. c) del TUIR), il requisito della durata non inferiore a 18 mesi, in difetto del quale sarebbero state considerate come “titoli atipici” (cfr. il d.l. n. 512/1983). Le commercial paper possono essere emesse in forma di titolo “individuale”, nel qual caso il regime impositivo è quello indicato dall’ultimo comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973. © Cesi Multimedia 151 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento investitori retail; circolare senza la “girata” se “dematerializzate” (senza con ciò perdere la natura di titolo esecutivo); essere emesse “tenendo conto” del limite quantitativo degli “attivi correnti” del debitore fermo restando che dovrebbero applicarsi i limiti previsti dall’art. 2412 c.c., ove non derogati da norme speciali. Quindi, le società e gli enti non quotati possono avvalersi di queste facoltà a condizione che l’emissione sia «assistita, in qualità di sponsor, da una banca o da un’impresa di investimento, da una società di gestione del risparmio (SGR), da una società di gestione armonizzata, da una società di investimento a capitale variabile (SICAV), purché con succursale costituita nel territorio della Repubblica» (comma 5). L’assistenza dello sponsor non è, tuttavia, richiesta per gli emittenti non quotati che, sulla base di specifici parametri dimensionali, non siano classificabili tra le imprese medie o piccole. In ogni caso, per gli emittenti non quotati è richiesto che l’ultimo bilancio sia stato certificato da un revisore contabile o da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili. In via transitoria, per un periodo di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (cioè fino al 12 febbraio 2014), la certificazione del bilancio non è richiesta qualora l’emissione sia assistita, in misura non inferiore al 50% del valore nominale delle cambiali, da garanzie prestate da una banca o da un’impresa di investimento, ovvero da un consorzio di garanzia collettiva dei fidi per le cambiali emesse da società aderenti al consorzio ma, in tali casi, la cambiale non può avere durata superiore a diciotto mesi. La società finanziaria che sponsorizza l’operazione assiste l’emittente nella creazione e nel collocamento dei titoli e deve altresì ritenere una quota dell’emissione stessa, decrescente con l’aumentare dell’ammontare della stessa. In virtù del nuovo art. 1-bis della legge n. 43/1994, introdotto dal comma 7 dell’art. 32, le cambiali finanziarie destinate alla quotazione potranno essere emesse anche in forma dematerializzata sulla base di una specifica procedura in base alla quale l’emittente deve rivolgersi a una società autorizzata alla prestazione del servizio di gestione accentrata di strumenti finanziari. Quanto alla circolazione tra gli investitori, prenditori o giratari delle cambiali finanziarie emesse da emittenti non quotati possono essere soltanto «investitori professionali che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società emittente; il collocamento presso investitori professionali in rapporto di controllo con il soggetto che assume il ruolo di sponsor è disciplinato dalle norme vigenti in materia di conflitti di interesse». Il regime fiscale delle cambiali finanziarie ai fini della imposizione indiretta è principalmente contenuto negli artt. 1-bis, introdotto dall’art. 32 del decreto “Crescita”, e 2 della legge n. 43/1994. L’art. 1-bis, sopra citato, prevede l’esenzione da imposta di bollo di cui al d.P.R. n. 642/1972 per le cambiali finanziarie emesse in forma dematerializzata, ferma restando comunque l’esecutività del titolo, mentre quelle non emesse in regime di de materializzazione (e, quindi, su supporto cartaceo) restano assoggettate all’imposta di bollo nella misura dello 0,01% . Ai fini dell’Iva, la disciplina fiscale è rimasta invariata. In particolare, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 43/1994 le operazioni relative alle cambiali finanziarie sono assoggettate al regime previsto per i prestiti obbligazionari e, pertanto, sono fuori dal campo di applicazione del tributo. Mentre, le novità fiscali ai fini delle imposte dirette sono di assoluto rilievo e riguardano, tanto per le cambiali finanziarie quanto per le obbligazioni, da un lato il regime di deducibilità degli interessi passivi per gli emittenti e dall’altro il regime impositivo dei proventi in capo ai sottoscrittori. Con il “nuovo” comma 9 dell’art. 32 del Decreto “Crescita” (come modificato dall’art. 36 del Decreto “Crescitabis”) in merito alla tassazione dei proventi in capo agli investitori, è stabilito l’obbligo di assoggettare a ritenuta alla fonte del 20% i proventi dei titoli, obbligo che il debitore deve adempiere al momento della maturazione (scadenza) della cedola ancorché non sia stata riscossa dall’obbligazionista ovvero alla data prevista per il pagamento della cambiale. Project financing Il project financing (Tavola 7) è una particolare tecnica di finanziamento degli investimenti in capitale fisso, non è un semplice strumento finanziario, nella quale il rimborso del debito e la remunerazione del capitale di rischio dipendono essenzialmente dall’attitudine del progetto stesso a produrre flussi di cassa in quantità e qualità adeguata. 152 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Tavola 7 – Il project financing È UN APPROCCIO Alla realizzazione, gestione e finanziamento di: Elevati fabbisogni finanziari iniziali PROGETTI COMPLESSI I finanziamenti sono concessi in base alla esclusiva capacità di credito del progetto Caratterizzati da Possibilità di ripartire i rischi sui diversi soggetti partecipanti Il progetto è reso un’entità autonoma (S. di P.) ed indipendente rispetto alle aziende che a vario titolo lo promuovono I tratti distintivi di questa formula sono essenzialmente di carattere economico-aziendale e possono riassumersi nei seguenti punti: nell’avere ad oggetto progetti self liquidating, cioè in grado di autofinanziarsi; nel richiedere una segregazione giuridica, economica e patrimoniale (ring fence) volta a separare le sorti del progetto da quelle dei promotori; nel prevedere un ricorso assente (non recourse) o comunque estremamente limitato (limited recourse) dei finanziatori nei confronti degli sponsors o delle attività del progetto; nel consistente utilizzo dell’indebitamento, specie in rapporto al capitale proprio. Invece, dal punto di vista prettamente giuridico, questa tecnica non costituisce un istituto autonomo tipizzato dall’ordinamento ed è piuttosto il risultato di un’attività di packaging avente ad oggetto contratti tipici collegati, la cui struttura, composta ogni volta in maniera originale, è finalizzata a ripartire nel modo più efficiente il complesso di rischi ed interessi relativi alla particolare operazione. L’impiego della finanza di progetto, in ragione della complessità gestionale che la contraddistingue, richiede delle soglie dimensionali d’accesso minime. Pertanto gli investimenti da finanziare si caratterizzeranno per la grande dimensione, l’indivisibilità, l’orizzonte temporale di lungo periodo e l’elevata intensità di capitale. È inoltre opportuno evidenziare le principali differenze esistenti tra project finance e corporate finance. Nel finanziamento in ottica corporate, l’unità di analisi è l’impresa nel suo complesso. Il giudizio di affidabilità attiene pertanto alla verifica della consistenza patrimoniale dell’organizzazione nonché della capacità di questa di trarre, dall’insieme dei progetti intrapresi, i flussi sufficienti a rimborsare il credito concesso: il credito finanzia dunque l’impresa e non le singole operazioni. Invece, nella finanza di progetto viene a determinarsi una correlazione diretta tra le poste dell’attivo e quelle del passivo: l’iniziativa da finanziare è valutata in relazione alla redditività ed ai flussi che è in grado di generare. Ne consegue che i rischi dell’investimento sono diversamente allocati16: nell’approccio project finance, sono trasferiti ad un’entità giuridicamente separata dal soggetto promotore dell’iniziativa, la quale provvede successivamente ad allocarli tra le diverse parti coinvolte, essenzialmente su base contrattuale ed in ragione delle specifiche competenze possedute; nell’approccio tradizionale sono sostanzialmente indistinguibili da quelli già in essere, sebbene la fertilizzazione congiunta delle iniziative possa determinare effetti positivi in termini di diversificazione. Ulteriori elementi di preferenza nei confronti della soluzione di progetto rispetto a quella aziendale attengono la neutralizzazione dei conflitti tra investitori e finanziatori (moral hazard, underinvestment problem) e tra investitori e gestori (agency problem). Sussistono anche considerazioni di carattere strategico, concernenti il tentativo di evitare l’esaurimento della capacità di finanziamento oltre a quello di coinvolgere nella partnership azionaria controparti di mercato o istituzionali. ------------------------------------------16 G. Forestieri, Corporate & investment banking, cit., pp. 275 - 278. © Cesi Multimedia 153 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento I principali soggetti che intervengono nel project financing sono: gli sponsors, cioè coloro che costituiscono ed investono nel capitale di rischio della project company, ne definiscono la struttura finanziaria e ne determinano le linee di azione; la società di progetto (Special Purpose Vehicle), entità aziendale autonoma dai soggetti promotori sebbene ne rappresenti una diretta emanazione, appositamente costituita per l’operazione di project financing, solitamente nella forma giuridica della società di capitali; i contractors, cui è demandata la realizzazione materiale del progetto secondo le specifiche indicate dal cliente SPV, nei termini (tempi e costi) contrattualmente stabiliti; le banche, che svolgono, anche congiuntamente, funzioni di advisoring, lending (solitamente mediante sindacati appositamente formati), sponsoring e arranging; le autorità governative, che influenzano le iniziative attraverso le modifiche del quadro normativo, l’individuazione del gestore nelle PPP, la possibile partecipazione al finanziamento; le istituzioni finanziarie multilaterali (Banca Mondiale, BEI, ecc.), che in ossequio al proprio ruolo (promozione degli investimenti e dello sviluppo economico a livello mondiale) si adoperano nella concessione di finanza (a titolo di capitale di rischio e di credito) o nell’eventuale mitigazione del rischio paese. Un’operazione di project financing si compone idealmente di tre fasi logiche: 1) ideazione e sviluppo dell’iniziativa: consiste nell’analisi dell’idea di progetto, nella determinazione della struttura dell’operazione e nella negoziazione delle condizioni contrattuali, finalizzata ad armonizzare i diversi interessi in gioco; 2) implementazione del progetto: si concretizza nella sottoscrizione dei contratti e nell’avvio della realizzazione (costruzione delle opere, erogazione dei finanziamenti, monitoraggio dello stato di avanzamento); 3) gestione economica delle opere realizzate: ossia la fase di produzione dei beni e/o dell’erogazione dei servizi cui si collegano l’incasso dei ricavi ed il servizio del debito. L’estinzione dei finanziamenti conclude l’operazione dal punto di vista delle banche, mentre i promotori proseguono nella conduzione dell’iniziativa disponendo integralmente dei flussi generati. Il fabbisogno finanziario complessivo del progetto è la risultante della sommatoria di più elementi: a) il costo totale delle immobilizzazioni necessarie al completamento ed all’entrata in funzione; b) l’ammontare dei costi operativi da sostenere antecedentemente al completamento; c) gli interessi da corrispondere sul debito qualora dovuti antecedentemente all’avvio dell’operatività; d) l’investimento iniziale nel capitale circolante commerciale; il margine di sicurezza rispetto ad eventuali sottostime dei costi da sostenere (cost overruns). Le fonti di copertura potenzialmente utilizzabili contemplano innanzitutto il capitale di rischio apportato dagli sponsors, specie nelle fasi iniziali: serve ad aumentare la bancabilità del progetto e non viene mai remunerato antecedentemente all’entrata in funzione dello stesso. È ampiamente utilizzato il debito sia nella forma privilegiata, con e senza garanzia reale, che in quella subordinata. Trova impiego anche il leasing, che nella versione project prevede che la società di leasing fornisca il bene allo SPV in cambio del pagamento dei canoni e dopo averne acquisito la proprietà dal contractor. Alla scadenza del contratto è prevista la facoltà di riscatto. Buyer’s credit Il buyer’s credit è una modalità di finanziamento, alternativa al tradizionale “credito di fornitura”, consistente nell’erogazione diretta di un prestito all’azienda estera cliente del fornitore nazionale. Si tratta dunque di una forma di sostegno all’esportazione che trova applicazione soprattutto nella fornitura di grandi commesse “chiavi in mano”. Interessando importi rilevanti, “il credito al compratore” viene concesso solitamente da un consorzio formato solitamente da più istituti di credito, copre circa il 75-80% del valore della fornitura e ha una durata che può arrivare a 8-10 anni. Il costo dell’operazione è legato all’affidabilità del fornitore, alla valuta in cui il finanziamento viene erogato, al rischio paese dell’impresa cliente. 154 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento 9.2.4 Le forme “ibride” Il mercato del credito offre anche la possibilità di disporre di tipologie di finanziamento con caratteristiche intermedie tra l’apporto di capitale di rischio ed il finanziamento a titolo di debito che, proprio a seguito delle loro specificità, impattano in modo del tutto peculiare sull’esposizione dell’impresa al rischio finanziario. Questi strumenti intermedi/ibridi consentono di accrescere le risorse complessivamente utilizzabili dal management aziendale senza influenzare le condizioni contrattuali di accesso ai prestiti tradizionali erogati da altri operatori creditizi. Considerate le difficoltà strutturali per le imprese più piccole di accedere al mercato dei capitali, per il raggiungimento degli obiettivi di crescita e di riequilibrio finanziario, questi strumenti di finanziamento “ibridi” possono rivestire un ruolo rilevante. In particolare, l’impatto di questi strumenti sulla gestione finanziaria delle imprese sembra essere di due tipi: un effetto di tipo diretto: rappresentato dalla possibilità di introdurre nella struttura finanziaria aziendale risorse dotate di un elevato livello di stabilità e, spesso, destinate a favorire la successiva ricapitalizzazione dell’impresa. un effetto indiretto: ricollegabile alle conseguenze sulle condizioni di accesso ai rapporti di finanziamento di tipo più tradizionale. In tale ambito, infatti, l’utilizzo di queste forme innovative, avendo conseguenze del tutto peculiari sul rischio di impresa, è probabilmente destinato a non inasprire le condizioni di costo e di disponibilità di altre forme di finanziamento. Di seguito vengono descritti, seppur in maniera non esaustiva, alcuni strumenti finanziari ibridi che potrebbero essere utilizzati accanto alle tradizionali forme di finanziamento. Mezzanine finance Il mezzanine finance (debito mezzanino) è una forma intermedia di finanziamento che sembra poter contribuire allo sviluppo delle PMI italiane. Il termine mezzanine finance viene utilizzato per identificare un insieme di strumenti di finanziamento di natura intermedia tra il capitale proprio ed il capitale di debito. Si tratta di una categoria alquanto eterogenea dato che gli strumenti ivi inclusi possono presentare caratteristiche anche sostanzialmente differenti tra loro. Originariamente questi strumenti hanno trovato applicazione nel mercato anglosassone per la realizzazione di operazioni di finanza straordinaria (acquisizioni, ristrutturazioni aziendali). Le principali caratteristiche di un finanziamento “mezzanino” sono rappresentate da due elementi: la natura subordinata del debito negoziato dall’impresa; la previsione di una remunerazione in favore del creditore determinata, in buona misura, ricorrendo al meccanismo dell’equity kicker17. Il primo elemento si sostanzia nella concessione di un finanziamento a medio-lungo termine subordinato rispetto ai debiti senior, cioè quelli ricollegabili ad operazioni di prestito con banche e con altri istituti finanziari e garantite dalle attività aziendali. La subordinazione può essere completa o parziale. Nel primo caso viene previsto che il creditore subordinato sia in una posizione di inferiorità nei confronti di un solo specifico creditore senior, mentre nel secondo caso il creditore junior è subordinato rispetto a tutti i creditori senior dell’impresa finanziata, inclusi i soggetti che apporteranno in futuro risorse finanziarie. La clausola di subordinazione ha modo di incidere su diversi momenti della relazione creditizia. Un primo impatto si osserva durante il periodo contrattuale del finanziamento, di norma compreso tra i quattro e i dieci anni. L’impresa nel corso di questo periodo deve corrispondere soltanto gli interessi maturati sul prestito subordinato, calcolati in base ad un tasso fisso oppure indicizzato ad un parametro di mercato, mentre il capitale è oggetto di rimborso soltanto una volta estinto il debito senior. Nell’ambito di questo schema si possono però osservare differenti configurazioni contrattuali. Una prima è quella dello zero coupon, che non prevede alcun pagamento a carico dell’impresa prima della scadenza contrattuale, in quanto la remunerazione per il finanziatore è determinata dallo scarto tra il valore di rimborso e l’importo inizialmente concesso. ------------------------------------------17 Note economiche del Centro Studi di Confindustria, L’industria italiana protagonista della ripresa, supplemento n. 2/2007. © Cesi Multimedia 155 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Una seconda forma è quella che viene definita stepped interest, incentrata sul pagamento periodico di flussi di interessi computati inizialmente ad un tasso inferiore a quello di mercato, in seguito calcolati ad un tasso pari a quello di mercato e, nella fase conclusiva del finanziamento, ad un tasso più elevato rispetto a quello di mercato. Una terza forma di debito subordinato è infine quella definita pik debt, contraddistinta dal pagamento degli interessi non in forma monetaria, ma tramite l’incremento del valore nominale del debito sul quale gli stessi vengono computati. Un secondo impatto generato dalla condizione di subordinazione si manifesta poi nell’eventualità di liquidazione dell’impresa finanziata. In questo caso i diritti patrimoniali dei creditori junior vengono soddisfatti soltanto in modo residuale, vale a dire una volta soddisfatti i creditori senior. Passando all’esame del secondo elemento distintivo del prestito mezzanino, ossia la presenza del meccanismo dell’equity kicker, si nota come esso consista nella possibilità concessa al finanziatore di beneficiare di un eventuale incremento nel valore di mercato dell’impresa finanziata. Ciò può essere realizzato secondo differenti modalità. Ad esempio si può prevedere di assegnare al creditore un quantitativo di azioni dell’impresa al raggiungimento di prefissati valori del suo capitale economico. Alternativamente, si può riconoscere al finanziatore la titolarità di strumenti finanziari che gli consentono di esercitare il diritto all’acquisizione di detti titoli ad un prezzo concordato, in modo tale da soddisfare le sue attese di remunerazione. Un’ultima modalità prevede che, alla scadenza contrattuale, il creditore riceva una remunerazione in contanti, commisurata alla variazione che viene osservata nel valore del capitale economico dell’impresa debitrice. In tutti questi casi è comunque evidente che il rendimento associato alla concessione di un prestito mezzanino dipende sia dal flusso di interessi che viene corrisposto al creditore nel corso della durata del contratto, sia dal guadagno in conto capitale generato dal meccanismo dell’equity kicker. Infine, a seguito della posizione contrattuale riconosciuta ai creditori junior, la concessione di un prestito mezzanino dipende di solito dall’assenso del prenditore a talune clausole contrattuali (covenants) fissate dal finanziatore in modo tale da monitorare l’evoluzione della gestione dell’impresa nel corso della durata della relazione finanziaria. È abbastanza comune specificare nell’ambito del contratto talune delle seguenti condizioni: la necessità di richiedere l’autorizzazione ai creditori subordinati per realizzare operazioni di finanza straordinaria, nella forma dell’acquisizione di altre imprese ovvero della cessione dell’attività in essere; il divieto di pagare dividendi in assenza del consenso dei creditori subordinati; l’obbligo di rispettare condizioni minime di capitalizzazione e di liquidità. A partire dallo schema contrattuale descritto in precedenza, di recente si sono diffusi in Europa strumenti di finanziamento con caratteristiche assimilabili a quelle del mezzanino tradizionale, anche se contraddistinti da taluni adattamenti dovuti alla loro destinazione e a più generali finalità di copertura del fabbisogno finanziario aziendale. Più precisamente, si tratta di strumenti che non si ricollegano necessariamente ad operazioni di finanza straordinaria, che non mostrano dunque alcun nesso con un debito primario (senior) e, spesso, non prevedono la richiesta di alcuna garanzia collaterale. Questi prestiti prevedono, infatti, condizioni di subordinazione rispetto all’insieme delle posizioni debitorie dell’impresa in caso di fallimento e il rimborso a termine, vincolando l’erogazione, ancora una volta, all’assenso del prenditore a talune clausole contrattuali imposte dal creditore. Il vantaggio derivante dal ricorso a queste forme di finanziamento mezzanino è rappresentato dalla possibilità, che viene concessa all’impresa, di incrementare la leva finanziaria, senza modificare l’esposizione al rischio di default per gli intermediari creditizi che si limitano ad erogare finanziamenti tradizionali. Da ciò consegue che l’impresa non subisce variazioni nelle condizioni di accesso ai finanziamenti di tipo tradizionale usualmente impiegati. A tutto ciò si aggiunge il fatto che la successione delle uscite monetarie generate da un prestito mezzanino consente una efficace copertura delle esigenze finanziarie, dovute a progetti di investimento che non sono destinati a produrre alcun flusso positivo almeno nel breve periodo, senza dover modificare l’assetto proprietario aziendale, tramite l’immissione di nuovo capitale proprio. Si riporta di seguito, uno schema tipo di un’operazione di mezzanine finance (Tavola 8). 156 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Tavola 8 – Enterprise value 100 Equity 30 Mezzanine 10 Senior debt 60 Alto rischio Alto rendimento Upside illimitato Nessuna garanzia Alto rischio Alto rendimento Upside limitato Garanzie di secondo livello Basso rischio Basso rendimento No upside Garanzie di primo livello Fonte: Mezzanine Monitor 2007, Incisive Media In prospettiva, la possibilità che questi strumenti possano essere maggiormente utilizzati dalle imprese italiane, sembra ricollegabile anche alla presenza nel nostro ordinamento dell’istituto del leveraged buy-out (Tavola 9) che consiste nell’acquisire aziende mediante lo sfruttamento della loro capacità di indebitamento. Nell’ambito di queste operazioni, il ricorso al debito mezzanino è infatti molto frequente in altri contesti di mercato. Si riporta di seguito lo schema tipico di un’operazione di leveraged buy-out. Tavola 9 – Operazione di leverage buy-out 1. A vuole acquistare B 3. A utilizza il finanziamento di C per acquistare B Società B - Target- Società A - Newco- 4. B garantisce il finanziamento ricevuto da A (garanzie reali) Società C Banca - Investment Bank 6. Rimborso del finanziamento erogato ad A con il proprio cash flow e/o con i propri beni 5. B avvia un progetto di fusione con A Società D Fusione tra AeB Obbligazioni convertibili Le obbligazioni convertibili sono strumenti finanziari, che oltre ad avere le caratteristiche proprie di tutte le obbligazioni (tasso di interesse fisso, durata e modalità di rimborso), conferiscono al loro possessore la facoltà di trasformare l’investimento obbligazionario in investimento azionario. È possibile affermare, in termini più generici, che le obbligazioni convertibili sono una via di mezzo tra le obbligazioni e le azioni. Essendo uno strumento finanziario a metà tra i due strumenti sopra citati, essi renderanno un po’ meno delle obbligazioni e delle azioni, quando il mercato sale, ma perderanno meno quando il mercato azionario scende. © Cesi Multimedia 157 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Le obbligazioni convertibili si distinguono in: obbligazioni totalmente convertibili; obbligazioni parzialmente convertibili. Per le prime è prevista la trasformazione in azioni dell’intero valore nominale, mentre per le seconde, è prevista la trasformazione in azioni solo per una parte del valore nominale, essendo stabilito il contemporaneo rimborso della restante parte del valore nominale18. Nel regolamento di un prestito obbligazionario convertibile sono indicati il valore nominale, il prezzo di emissione, il tasso di interesse e le modalità di pagamento delle cedole. Per quanto concerne il prezzo di emissione, questo non potrà mai essere inferiore al prezzo di rimborso. Ovvero, l’obbligazione convertibile non potrà mai essere emessa sotto la pari. In riferimento al tasso di interesse, invece, questo sarà inferiore al tasso di interesse di obbligazioni simili emesse dalla stessa società, ma che non possiedono il diritto di conversione. Questo è l’onere o costo a carico dell’obbligazionista convertibile per disporre della facoltà di conversione. È opportuno precisare che le obbligazioni convertibili, se convertite, danno luogo ad un aumento di capitale sociale. Pertanto, questi strumenti verranno offerti in prelazione agli azionisti della società le cui azioni sono oggetto di conversione19. Se l’azionista non intendesse sottoscrivere tali obbligazioni, egli può cedere il diritto di prelazione ad una terza persona contro il versamento di un corrispettivo in denaro. Nelle obbligazioni convertibili è molto importante l’individuazione del tempo in cui può aver luogo la conversione; ovvero l’intervallo di tempo durante il quale è possibile convertire in azioni le proprie obbligazioni. È fondamentale, infatti, individuare la scelta del momento opportuno in cui convertire le proprie obbligazioni, proprio per la variabilità del valore delle azioni stesse. Le azioni di compendio delle azioni convertibili possono essere azioni detenute in portafoglio oppure azioni nuove di futura emissione, la cui emissione dipenderà dalle richieste di conversione che verranno a suo tempo presentate. In Italia questi strumenti finanziari non hanno riscosso molto successo tra le imprese. Tuttavia le obbligazioni convertibili possono essere convenienti per le società emittenti perché, da un lato consentono di versare un tasso di interesse inferiore alle proprie obbligazioni simili o al costo del denaro preso in prestito da un intermediario creditizio, dall’altro lato la società emittente non dovrà rimborsare il prestito in denaro, ma in azioni e, quindi, avrà effettuato un aumento di capitale. Obbligazioni cum warrant L’obbligazione cum warrant si presenta come un titolo complesso formato dall’obbligazione ordinaria (che svolge il ruolo di strumento finanziario principale) e del warrant (che svolge il ruolo di diritto accessorio). Per via della scorporazione20 dell’obbligazione dal warrant, possono coesistere diverse figure di investitore: il possessore dell’obbligazione provvista di warrant; il possessore dell’obbligazione priva del warrant ed il possessore del warrant. In relazione alla natura delle azioni di compendio, si distingue il tipo di facoltà connesso all’esercizio del warrant in: facoltà di acquisto quando le azioni di compendio sono già in circolazione; facoltà di sottoscrizione quando le azioni di compendio sono di nuova emissione. Le obbligazioni cum warrant differiscono dalle obbligazioni convertibili anche nella modalità di esercizio. Infatti, per le obbligazioni cum warrant, al momento dell’esercizio del warrant, viene richiesto un esborso di denaro ulteriore, che va ad aggiungersi all’investimento iniziale. Nel caso delle obbligazioni convertibili, invece, non vi era alcun nuovo esborso. ------------------------------------------- 18 M. Anolli - A. Banfi - F. Di Pasquali - L. Filippa - P. Gualtieri - G. Sabatini, I mercati e gli strumenti finanziari, Torino, Utet, 2001, pagg. 185193. 19 Tale disposizione è contenuta nel primo comma dell’art. 2441 c.c. che così recita: «le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero di azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio». 20 M. Anolli - A. Banfi - F. Di Pasquali - L. Filippa - P. Gualtieri - G. Sabatini, I mercati e gli strumenti finanziari, Torino, Utet, 2001: «Al momento della conversione può tuttavia accadere che sia richiesto all’obbligazionista un esborso in denaro a titolo di rimborso delle spese di emissione delle azioni di compendio, oppure quale conguaglio per ottenere dalla conversione un numero intero di azioni, altrimenti non conseguibile a causa di sopraggiunte modifiche al rapporto di conversione». 158 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Il vantaggio principale di acquistare un’obbligazione cum warrant è che questa è un’obbligazione ordinaria e, quindi, può essere emessa sotto la pari. In più, le obbligazioni cum warrant non devono essere sottoscritte, in prima emissione, dagli azionisti della società emittenti le azioni di compendio. Obbligazioni di partecipazione Le obbligazioni di partecipazione (income bonds) rappresentano una categoria intermedia tra obbligazioni ed azioni ma non danno la possibilità, come accade con le obbligazioni convertibili, di acquisire opzionalmente lo status di azionista. Solitamente il rendimento è per una parte fisso e per una parte variabile secondo i parametri della redditività aziendale e quindi in funzione degli utili conseguiti dall’emittente. Circa la determinazione di tale rendimento variabile, esso normalmente si estrinseca in una percentuale di utili in pre-deduzione dai dividendi distribuibili agli azionisti, ovviamente dopo l’accantonamento alla riserva legale. In altri casi l’entità degli utili viene assunta come parametro per la determinazione della parte di rendimento variabile e la conseguente corresponsione è imputata come un costo finanziario e quindi non prelevata dagli utili in distribuzione. Azioni privilegiate Le azioni privilegiate (preferred stock) sono una particolare categoria di titoli azionari che conferiscono ai titolari “privilegi” in termini di ripartizione degli utili e/o nel rimborso del capitale in caso di scioglimento della società. Il privilegio nella ripartizione degli utili può tradursi nel diritto a ricevere una certa quota dell’utile distribuibile prima che sia assegnato il dividendo delle azioni ordinarie. Esistono inoltre azioni privilegiate che consentono un dividendo cumulabile e quindi, entro un certo numero di anni, il recupero dei dividendi non corrisposti in precedenza per mancanza od insufficienza di utili. Inoltre, le azioni privilegiate possono prevedere dei privilegi per ciò che concerne il rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società. Al verificarsi di questa eventualità, può essere, ad esempio, previsto il diritto di prelazione nel rimborso del capitale o il diritto al rimborso di una somma maggiorata rispetto a quella prevista per le azioni ordinarie. L’entità dei privilegi di carattere patrimoniale, cui ha diritto l’azionista, sono determinati dalla società ed opportunamente esplicitati all’interno dello statuto. A fronte dei suddetti diritti patrimoniali, le azioni privilegiate possono presentare limitazioni al diritto di voto21. Non di rado, infatti, le azioni privilegiate attribuiscono all’azionista il diritto di partecipare alle assemblee straordinarie, ma non a quelle ordinarie. Nell’eventualità in cui le azioni privilegiate conferiscano al titolare il pieno diritto di voto, queste prendono il nome di “azioni preferenziali”. L’emissione di azioni privilegiate, ma con diritto di voto alle sole delibere dell’assemblea straordinaria, viene promossa da quei gruppi di comando che volendo aumentare il capitale, non vogliono vedere pregiudicato il proprio controllo sulla società. La facoltà di emettere azioni a voto limitato è concessa nella percentuale massima del 50% del capitale sociale. Le azioni privilegiate, al pari delle azioni ordinarie, sono azioni nominative. Azioni di risparmio Le azioni di risparmio sono dei titoli che godono di privilegi di natura patrimoniale (nella distribuzione degli utili e nel rimborso del capitale), ma sono prive del diritto di voto sia nelle assemblee. Sono state introdotte nell’ordinamento giuridico italiano con la legge n. 216 del 7 giugno 1974, e hanno subito notevoli modifiche nella disciplina che le regolamenta che trova oggi la sua principale fonte negli artt. 145-147 del TUIF (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modifiche con d.l. n. 69 del 21 giugno 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013 e legge n. 97 del 6 agosto 2013.). Rispetto all’originario impianto che prevedeva in modo analitico contenuto e misura minima dei privilegi che dovevano essere inderogabilmente riconosciuti alle azioni di risparmio, la riforma del 1998 ha cancellato la rigida disciplina dei privilegi patrimoniali, limitandosi a prevedere che tali azioni sono “dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale” e che l’atto costitutivo determina “ il contenuto del privilegio, le condizioni, i limiti, le modalità e ------------------------------------------21 Si veda l’art. 2351 c.c. © Cesi Multimedia 159 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento i termini per il suo esercizio”, nonché i diritti spettanti alle azioni di risparmio in caso di esclusione dalla quotazione delle azioni ordinarie o di risparmio (art. 145, secondo comma TUIF). Gli azionisti di risparmio non hanno diritto di partecipare alle assemblee sociali, neanche a titolo di pura informazione personale. Per conto loro vi partecipa invece il rappresentante comune dell’assemblea degli azionisti di risparmio, fra i cui compiti vi è quello fondamentale di tutelare i loro interessi22. A fronte delle limitazioni poste all’esercizio del diritto di voto e di intervento, la legge stabilisce che le azioni di risparmio beneficino di un trattamento economico privilegiato. In primo luogo, le azioni di risparmio, a differenza delle altre categorie di azioni, possono essere al portatore, a meno che non appartengano ad amministratori, sindaci o direttori generali della società emittente: il loro trasferimento si perfeziona pertanto con la semplice consegna del titolo, senza che nessun’altra registrazione venga richiesta. In secondo luogo, garantiscono dividendi superiori rispetto alle azioni ordinarie e, in caso di perdite della società che rendano necessaria la riduzione del capitale sociale, con conseguente riduzione del valore delle azioni in circolazione, il valore di quelle di risparmio verrà intaccato soltanto quando risulterà completamente annullato il valore di tutte le altre categorie di azioni. Le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società quotate in mercati regolamentati italiani o dell’Unione Europea e possono essere nominative o al portatore. Le azioni di risparmio in circolazione, con le altre azioni a voto limitato, non possono superare il limite del 50% del valore nominale del capitale sociale. Il dividendo viene tassato direttamente alla fonte dalla banca, con una trattenuta pari al 20%. Peraltro, dal punto di vista della società, un dividendo elevato distribuito agli azionisti, corrisponde ad un costo elevato e, in un periodo di tassi d’interesse bassi, le aziende potrebbero preferire il ricorso al finanziamento bancario. Dal punto di vista dell’azionista la scelta di acquistarle è gestionale e di valorizzazione strategica del portafoglio nel medio termine. Questo perché consentono una buona diversificazione del portafoglio, presentano una volatilità inferiore alle ordinarie e sono spesso difensive, in quanto, in periodi di calo dei corsi, presentano deprezzamenti meno accentuati. Obbligazioni ad alto rendimento Le obbligazioni ad alto rendimento sono titoli di debito classificati dalle agenzie di rating internazionali con giudizi di “BB” o inferiori. Man mano che si scende lungo la scala dei rating, maggiore è il rischio di insolvenza dell’emittente e, di norma, più elevato è il rendimento offerto. Questi titoli rientrano quindi nella fascia meno sicura, ma più redditizia, del comparto obbligazionario. I titoli ad alto rendimento possono essere emessi non solo dalle singole società ma anche dai governi ed il motivo del loro maggior rendimento risiede nel fatto che gli emittenti sono considerati a maggior rischio di insolvenza. La differenza di rendimento con i titoli free-risk dipende da molte situazioni, in particolare dall’avversione al rischio del mercato in un determinato momento. All’interno dei titoli ad alto rendimento, poi, ci sono molte differenze tra un emittente e l’altro. In alcuni casi, il mercato giustamente considera un emittente rischioso, ma in altri, lo fa per motivi di instabilità storica che poco hanno a che vedere con la situazione attuale. La vera discriminante quindi nella classificazione delle obbligazioni societarie è rappresentato dal livello di rating, che ricordiamo offre una indicazione sul livello di affidabilità dell’emittente. I principali vantaggi per gli investitori possono consistere: i rendimenti elevati possono migliorare il loro reddito attuale: il premio di rendimento è particolarmente allettante durante i periodi caratterizzati da un declino dei tassi di interesse; potenziale di apprezzamento del capitale: eventi positivi relativi all’economia, all’industria o alla società emittente possono ricompensare gli investitori con aumenti del prezzo delle obbligazioni ad alto rendimento. Questi eventi comprendono miglioramenti dei rating, conti profitti e perdite migliori, fusioni o acquisizioni, sviluppi positivi del prodotto o eventi legati al mercato; ------------------------------------------- 22 M. Anolli - A. Banfi - F. Di Pasquali - L. Filippa - P. Gualtieri - G. Sabatini, I mercati e gli strumenti finanziari, Torino, Utet, 2001, pagg. 200203. 160 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento sicurezza: se una società viene liquidata, solitamente gli obbligazionisti hanno la precedenza, rispetto agli azionisti, sulla struttura del capitale della società stessa e devono essere pagati per primi; diversificazione del rischio del portafoglio: le obbligazioni ad alto rendimento vengono spesso considerate una classe di asset separata, con caratteristiche diverse rispetto a quelle degli altri titoli; prestazione del rendimento totale: le prestazioni del “rendimento totale” delle obbligazioni ad alto rendimento comprendono i cambiamenti di prezzo e il reddito da interessi che viene reinvestito. Prima di investire in obbligazioni ad alto rendimento è opportuno comprendere i rischi ad esse associati, quali ad esempio: il rischio di credito: la potenziale di perdita derivante da un deterioramento effettivo o percepito del benessere finanziario della società emittente; rischio di inadempimento: quando una società non riesce a pagare gli interessi o il capitale a un obbligazionista così come programmato e specificato nel contratto di emissione o contratto fiduciario; rischio di declassamento: il declassamento avviene quando le agenzie abbassano il proprio rating su un’obbligazione: un esempio può essere il passaggio del rating di Standard & Poor’s da B a CCC; il rischio del tasso di interesse: dato che i prezzi di tutte le obbligazioni negoziate sul mercato variano in modo indirettamente proporzionale ai tassi, un aumento di questi ultimi comporta un declino dei prezzi dei bond; il rischio di liquidità; il rischio economico: relativo alla vulnerabilità di un’obbligazione alle svolte sfavorevoli dell’economia. 9.3 Gli interventi sul capitale circolante L’attenzione riservata dalle imprese al capitale circolante è molto minore rispetto a quella dedicata alle problematiche connesse al capitale fisso. Le cause sono sostanzialmente riconducibili alla scarsa visibilità di un investimento che si modifica continuamente in conseguenza di decisioni prese in ambiti operativi diversi. Mentre una decisione di investimento in capitale fisso ha una visibilità immediata, rappresentando un momento di discontinuità nella vita dell’azienda, le decisioni concernenti il capitale circolante maturano – e non sempre consapevolmente – con maggior continuità e in una pluralità di ambiti operativi. Occorre però sottolineare come il circolante in realtà gioca un ruolo determinante sugli squilibri economicofinanziari complessivi della gestione, sia sul fronte della redditività, essendo un investimento dal quale ci si attende un ritorno, sia su quello dell’equilibrio finanziario a breve, in quanto espressione strutturale della solvibilità a breve e componente del flusso monetario dell’esercizio. Soprattutto nella fase di avvio dell’impresa occorre identificare i potenziali fattori finanziari di ostacolo alla crescita dell’impresa, individuando i vincoli istituzionali e quelli imputabili al rapporto con i finanziatori esterni (principalmente con il settore bancario). In verità, tali vincoli giocano un ruolo differente a seconda che si considerino la fase di avvio, la fase di crescita ovvero la fase di maturità/stabilità dell’impresa. La presenza di vincoli finanziari che variano nelle diverse fasi spiegherebbe l’evoluzione della struttura finanziaria. Dal punto di vista del rapporto con i finanziatori esterni, nella fase di avvio i vincoli finanziari sono stringenti: la capacità di raccolta dei fondi esterni è scarsa e dovuta alla presenza di forti asimmetrie informative, in quanto l’impresa appena costituita non ha una reputazione affermata presso i finanziatori, né risorse accumulate sufficienti a fornire opportune garanzie. L’autofinanziamento (nella forma di capitale iniziale di dotazione e di flussi di cassa generati dalla gestione) dovrebbe quindi coprire la quasi totalità del finanziamento, ma molto spesso, soprattutto nella fase storica attuale, difficilmente ciò si realizza. Gli stessi problemi informativi spiegherebbero il ruolo importante che svolge il credito commerciale nella fase di vita iniziale dell’azienda. Infatti, è opportuno evidenziare come i fornitori abbiano di fatto vantaggi informativi rispetto agli intermediari finanziari nel valutare la solvibilità dell’impresa. Essi sono in grado di risolvere più facilmente problemi di incentivazione e hanno un potere di controllo maggiore rispetto agli altri intermediari in termini di minaccia alle forniture future. © Cesi Multimedia 161 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Inoltre, il credito commerciale attenuerebbe il rischio durante le fasi di restrizione del credito. Esso è tuttavia una fonte di finanziamento piuttosto costosa e spesso le imprese tendono spesso a ridurre la dipendenza dai fornitori. L’investimento in crediti commerciali è determinato dall’entità delle vendite a credito e dalla dilazione di pagamento che l’azienda concede alla clientela. Le ragioni che solitamente inducono un impresa a concedere credito non differiscono, in ultima analisi, da quelle che la inducono a intraprendere un qualunque altro impegno di capitale: ottenere dall’investimento un “ritorno soddisfacente”. La gestione del credito commerciale è dunque finalizzata a verificare, a preventivo e a consuntivo, che l’investimento in crediti sia remunerativo e, nello stesso tempo, compatibile con i vincoli di equilibrio finanziario globale, in specie con le esigenze di tutela della liquidità. Attraverso un processo di programmazione e di controllo finanziario che consideri la globalità dei flussi monetari. Le valutazioni di redditività godono invece di maggior autonomia e possono pertanto essere riferite a impieghi specifici, tra cui, nella fattispecie, i crediti commerciali. Attraverso tali valutazioni l’azienda si propone di verificare fino a che punto l’incremento del margine delle vendite, conseguente ad un ampliamento del credito concesso, superi i costi concessi ad un maggior volume dello stesso. Nel perseguire tale finalità l’azienda deve darsi delle regole di comportamento che governino il processo di gestione del credito commerciale e dotarsi degli strumenti operativi che ne consentano l’attuazione ed il controllo. Ciò significa, da un lato, definire le politiche del credito; dall’altro, disegnare le procedure ed i meccanismi necessari a garantire, ai vari livelli decisionali, il rispetto delle politiche precedentemente definite. In primis, l’azienda deve suddividere la clientela in fasce omogenee che giustifichino dal punto di vista strategico ed operativo un approccio differenziato, dopodiché deve definire per ciascuna di esse le condizioni contrattuali di pagamento23 in termini di: dilazione nominale24; alternativa dilazione-sconto25; condizioni accessorie. Una volta che l’azienda avrà definito le condizioni contrattuali, di cui sopra, dovrà procedere a scegliere un mix di forme di pagamento, opportunamente differenziate in base alla tipologia della clientela, che presenti i requisiti meglio rispondenti alle proprie esigenze di gestione del credito e della tesoreria. Altre condizioni accessorie possono, inoltre, consistere nella specificazione del luogo di pagamento (utile per razionalizzare la canalizzazione degli incassi e agevolare, in tal modo, sia le azioni di recupero del credito, sia il governo dei flussi di tesoreria) e nella presenza di clausole particolari. È il caso, ad esempio, della cosiddetta “decorrenza” cioè dell’intesa di far decorrere i termini di pagamento a partire da una certa data, posteriore alla vendita; si tratta di una prassi tipica dei settori nei quali l’azienda venditrice, operando per “campagne di vendita”, ha necessità di acquisire ordini con largo anticipo, e nello stesso tempo, di ridurre le scorte. 9.3.1 La redditività globale dell’investimento in crediti Le decisioni connesse alla concessione di credito debbono essere sottoposte ad una valutazione di convenienza economica che consenta di apprezzare la redditività di politiche alternative e, in particolare, di una variazione in termini medi di pagamento concessi alla clientela. ------------------------------------------23 Sulle condizioni di pagamento si veda R.A. Hill, Terms of sale. Theory and Practice, in “European Journal of Marketing”, n. 2, 1989. Le dilazioni di pagamento rappresentano, infatti, per il cliente una forma di finanziamento senza costo esplicito e determinano, di fatto, una riduzione del prezzo indicato in fattura che può agire da incentivo sulla quantità domandata. Si noti che il beneficio legato a tale riduzione non è uguale per tutti i clienti, ma dipende dal loro costo del capitale. La riduzione di prezzo è, infatti, pari a P x (r x T / 365) dove P è il prezzo di vendita concordato; T è la dilazione nominale di pagamento; r è il costo del capitale per la classe di clientela considerata. Da tale relazione si evince che, a parità di dilazione (T) concessa, il vantaggio per il cliente di comprare a credito sarà tanto maggiore quanto più r è elevato. La consapevolezza dell’esistenza di un simile nesso può essere utile all’impresa nell’impostare le proprie politiche del credito, cioè per fissare termini di pagamento differenziati per fasce omogenee di clientela. L’azienda dovrà quindi effettuare una valutazione della convenienza economica che ponga in relazione il margine sulle vendite con il costo dell’investimento in crediti. 25 Consiste nell’opportunità offerta al cliente di usufruire interamente della dilazione concessa oppure di anticipare il pagamento godendo, in tal caso, di uno sconto. In tale caso è opportuno che l’azienda effettui una valutazione dell’opportunità economica, sulla base del confronto tra il costo dello sconto (% su base annua) e il costo del capitale per l’azienda. 24 162 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento Nel caso, ad esempio, si debba valutare l’opportunità di ampliare le dilazioni di pagamento, l’azienda deve domandarsi se i riflessi attesi in termini di aumento delle vendite sono tali da superare i costi incrementali ad esso associati, sia quelli di produzione e vendita, sia quelli più direttamente connessi con l’investimento in crediti. La valutazione di convenienza economica di una data politica del credito può essere impostata seguendo un approccio finanziario, analogo a quello utilizzato nelle decisioni di investimento in capitale fisso, oppure un approccio economico-contabile26. Nel primo caso si determina il VAN dei flussi monetari incrementali determinati dalle decisioni sul credito oggetto di valutazione. Il secondo approccio si basa sul calcolo della redditività incrementale della politica del credito in esame e sul suo confronto con il costo del capitale. Si noti che stiamo parlando di redditività incrementale. Come per ogni altro tipo di decisione si tratta, infatti, di porre a confronto due o più alternative (rappresentate, nella fattispecie, da politiche di credito diverse) evidenziando, secondo la logica differenziale, gli elementi economici di differenza in termini di ricavi, costi e capitale investito. L’obiettivo è di pervenire a un indice della redditività incrementale della politica oggetto di valutazione così configurato: Reddito incrementale / Investimento incrementale Assumono un ruolo fondamentale le modalità per calcolare sia il numeratore che il denominatore di tale rapporto. La stima del reddito incrementale richiede una valutazione delle conseguenze che la nuova politica del credito avrà in termini di: vendite e relativi margini; rischio di insolvenza della clientela, misurato dal costo delle perdite sui crediti; oneri concessi con la gestione amministrativa del credito, misurati dai costi amministrativi del credito. A sua volta, l’investimento incrementale sarà misurato dal maggiore (o minore) impiego in crediti alla clientela imputabile al mutamento di politica. Un metodo alternativo per giudicare la convenienza a modificare le proprie scelte sul credito consiste nel calcolare il reddito residuale della nuova politica. Tale procedura, del tutto equivalente a quella appena esaminata, consiste nel determinare il costo del capitale investito in crediti e pervenire ad una misura del reddito incrementale che sia al netto di tale componente. La convenienza di una data politica di credito risulta verificata quando: la redditività dell’investimento in crediti è superiore al costo del capitale; oppure il reddito residuale è maggiore di zero. Una volta fissate le condizioni di pagamento per segmento di clientela, l’azienda deve valutare i singoli clienti per decidere “a chi?” concedere il credito e “per quanto tempo?”. Occorre valutare, in particolare, alcune tipologie di rischio, quali: il rischio di insolvenza del cliente; il rischio di ritardato pagamento; il rischio del mancato affidamento di un cliente solvibile. Poiché ciascuna delle situazioni prospettate ha un costo, che va dalla perdita su crediti alla perdita di margine sulla mancata vendita, l’impresa deve tracciare delle linee guida per meglio definire l’entità del credito concedibile e fissare regole concernenti: l’esposizione massima accettabile per singolo cliente; il fido massimo concedibile a vari livelli organizzativi, dal responsabile commerciale, al credit manager, all’alta direzione; l’individuazione dei clienti a fido limitato. Tuttavia, il problema principale riguarda la definizione di regole per apprezzare la qualità del singolo cliente e orientare di conseguenza la decisione sull’opportunità o meno di vendere credito. Si tratta di predefinire delle ------------------------------------------26 M. Dallocchio, La valutazione dell’investimento in credito commerciale, in “Finanza, Marketing e produzione”, n. 4, 1986, cap. 8; e G. Brunetti - L. Olivotto, Il controllo del capitale circolante, Torino, Utet, 1982, pagg. 54 e segg. © Cesi Multimedia 163 Capitolo 9 – Orientarsi tra le diverse forme di finanziamento “soglie di rischio” che agevolino la decisione di affidamento in relazione a come il cliente si posiziona rispetto ad esse. Altro aspetto di notevole rilevanza è relativo al controllo dell’esposizione in crediti. La gestione del credito commerciale deve essere sottoposta a controllo attraverso un sistema di reporting che consenta sia di verificare il rispetto delle politiche di credito a livello globale (reporting direzionale del credito), sia la posizione del singolo cliente affidato (reporting operativo del credito). Gli aspetti che formano oggetto di controllo riguardano tipicamente il rispetto delle dilazioni contrattuali di pagamento; l’entità delle perdite su crediti; il rispetto degli strumenti di pagamento concordati, sia per l’azienda nel suo complesso, sia per i segmenti rilevanti. 164 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda 10. Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Fabrizio Micozzi La vita è meravigliosa, se non se ne ha paura. Tutto quel che ci vuole è coraggio, immaginazione... e un po’ di soldi. Charlie Chaplin, in Luci della ribalta, 1952 10.1 Premessa Nel paradiso europeo del capitalismo familiare, oltre al problema della successione, se ne pone sovente un altro: come finanziare la crescita aziendale? Un autentico salto di mentalità (Tavola 1) gira in effetti attorno all’eterno dilemma dell’aprire o meno le porte della propria azienda ad un partner esterno oppure se andare a trovare le risorse necessarie sui mercati finanziari, partendo dall’assunto che, in ogni caso, “un affare in cui si guadagna solo del denaro non è un affare” (Henry Ford). Tavola 1 – Il dilemma dell’imprenditore Finanziare la crescita Ricerca di maggior capitale proprio Sempre minori fonti di finanziamento a debito Salto di mentalità Dilemma: “aprire o no l’azienda di famiglia a forze esterne?” In entrambi i casi – ingresso di un fondo di private equity o quotazione in Borsa – siamo di fronte ad opzioni che sovente non rientrano nel patrimonio genetico delle nostre PMI ed anzi sembrano mondi antinomici rispetto al sistema Italia, fatto di eccellenze ma anche denso di gelosie e conservatorismi, molto concentrato sul tema del controllo diretto – a tutti i costi – del timone aziendale e non tanto sulla crescita del sistema azienda ed imperniato su logiche sane di dialettica tra un management esterno ed uno strutturato assetto proprietario. Il futuro economico dell’Italia sarà in gran parte plasmato dallo spirito di imprenditorialità e dall’assunzione del rischio. Le difficoltà che le piccole e medie imprese incontrano nel reperimento delle risorse economiche, necessarie per l’avvio e lo sviluppo dell’attività, sono da collegarsi a molteplici ragioni, per lo più note e analizzate da numerosi operatori. Dimensione aziendale ridotta, capacità di espansione circoscritta, limitata innovazione, sottocapitalizzazione e ricorso all’indebitamento a breve, complicazioni nell’approccio con il mondo finanziario: sono questi solo alcuni dei principali nodi critici, che peraltro accomunano l’intero sistema Italia. Mentre le poche grandi imprese, dotate di visibilità su scala nazionale e, in alcuni casi, internazionale, godono di una relativa facilità nel reperimento dei capitali presso la propria compagine sociale, il sistema creditizio ed anche il pubblico dei risparmiatori, le PMI, anche sulla scorta di un’onda lunga della crisi finanziaria sistemica, incontrano invece sensibili difficoltà nel finanziare i propri investimenti, a causa dell’esigua consistenza della propria compagine sociale e della sostanziale necessità di rivolgersi al sistema creditizio per acquisire capitali, con la conseguente necessità di fornire all’ente finanziatore garanzie di tipo reale o personale. © Cesi Multimedia 165 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 2 – Il reperimento dei capitali di PMI e Grandi imprese GRANDI IMPRESE Reperiscono più facilmente capitali da: - propria compagine sociale - sistema creditizio - pubblico dei risparmiatori PMI Incontrano sensibili difficoltà nel finanziarie propri investimenti a causa: - esigua consistenza compagine sociale - sostanziale dipendenza dal sistema creditizio Tale situazione riduce notevolmente il numero di imprese in condizione di ottenere un finanziamento (Tavola 3), nonché la redditività attesa dell’investimento finanziato. Le difficoltà sono ancor maggiori per le microimprese. L’elevata soglia di costo del capitale penalizza in larga misura imprese di dimensioni medio-piccole o molto piccole, le quali, pur in possesso del know-how necessario e di innovative intuizioni commerciali e/o produttive, non riescono ad ottenere, quanto meno in tempo utile, i capitali necessari a finanziare investimenti diretti a inserire l’impresa in un nuovo mercato o in una nicchia caratterizzata da elevata tecnologia o specializzazione, oppure ad ampliare la nicchia di mercato occupata mediante l’offerta di nuovi beni e/o servizi. Si discute spesso come le tecniche di finanziamento, tradizionalmente praticate dal sistema creditizio, non appaiano più in grado di soddisfare le esigenze di acquisizione di capitale manifestate tanto dalle PMI che dalle microimprese, in quanto presentano un elevato grado di rischio per la banca erogante, che si riverbera, come già detto, in uno spread elevato, ed un costo, in termini monetari, temporali e contrattuali, eccessivamente oneroso per le poche imprese finanziate – in grado di fornire le garanzie richieste – idoneo a ridurre notevolmente il tasso di rendimento atteso dell’investimento, per il quale il finanziamento viene richiesto. Si consideri – in tale contesto – come il tessuto economico italiano sia caratterizzato da un’assoluta preponderanza di PMI, alcune delle quali caratterizzate da una forte carica innovativa, in grado di offrire significative performances produttive e, di conseguenza, rendimenti – potenzialmente – elevati in conto capitale: tutto ciò, tuttavia, si scontra attualmente con uno scenario per certi versi devastante in cui, ad una struttura delle fonti di finanziamento già storicamente sbilanciata dal lato del debito, si affianca una scarsissima elasticità del mondo bancario in termini di disponibilità al finanziamento se non addirittura delle autentiche fasi di credit crunch. Tavola 3 – Le difficoltà finanziarie delle PMI Nel panorama suddetto, laddove fosse presente un mercato del venture capital più ampio ed accessibile, una decisa apertura al private equity da parte delle PMI italiane, un mercato obbligazionario ad alto rendimento ed un mercato dei capitali efficiente ed appetibile, l’Italia potrebbe certo offrire più opportunità agli imprenditori ed alle aziende. Sorge dunque una naturale domanda: “Come venir fuori da questa impasse?”. 166 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda 10.2 L’investimento istituzionale nel capitale di rischio Con il termine “investimento istituzionale nel capitale di rischio” (venture capital e private equity), si intende l’apporto di risorse finanziarie da parte di operatori specializzati, tramite partecipazione al capitale azionario o sottoscrizione di titoli obbligazionari convertibili in azioni, per un arco temporale medio-lungo, in aziende aventi un progetto ed un serio potenziale di sviluppo. Oltre ai mezzi finanziari, è noto come l’investitore istituzionale possa talora offrire – seppure in gradazione diversa e sovente indirettamente – know-how professionale, competenze tecnico-manageriali ed un network di contatti con vari soggetti finanziari. Le primissime domande da porsi, da parte di un imprenditore disposto a conoscere tali possibili leve di sviluppo, sono: Perché cercare capitale di rischio? Quali imprese possono valutare l’intervento di un investitore istituzionale esterno? Le condizioni di partenza del ragionamento sono estremamente diverse tra di loro: se l’impresa si trova nelle prime fasi della propria esistenza, probabilmente starà cercando i capitali necessari per il lancio definitivo; se invece l’azienda è già esistente, starà valutando l’ingresso di nuove risorse per conferire ulteriore sviluppo, ma non certo per correggere squilibri in atto, per risolvere i quali esistono diversi strumenti e che sovente – erroneamente – vengono identificati proprio in canali quali il private equity. Pur essendo i termini – di chiara origine anglosassone – spesso usati come sinonimi, va precisato che: il venture capital si riferisce al finanziamento dell’avvio di nuove imprese (early stage); mentre il private equity sottende operazioni di investimento compiute in cicli di vita aziendali successivi a quelli iniziali (later stage). Tavola 4 – La ricerca del capitale di rischio nelle diverse fasi di vita dell’impresa IMPRESA FASE DI AVVIO Necessita di capitali per il lancio definitivo Venture capital IMPRESA GIÀ ESISTENTE Necessita di capitali per un ulteriore sviluppo del business Private equity La definizione ufficiale adottata dall’EVCA, European Venture capital Association, individua in ogni caso uno stretto legame tra l’attività di private equity (quale apporto di capitale, da parte di operatori economici specializzati, in aziende non quotate, con l’obiettivo prevalente di realizzare un guadagno a seguito dello smobilizzo della partecipazione acquisita entro un arco di tempo medio lungo) e quella di venture capital. Di fatto il venture capital rappresenta un segmento del private equity1. Le operazioni suddette possono essere compiute da venture capitalist (o private equity investor), quali per l’appunto, operatori specializzati che mediante “investimenti istituzionali nel capitale di rischio”, apportano risorse finanziarie sotto forma di partecipazione al capitale azionario o di sottoscrizione di titoli obbligazionari convertibili in azioni, per un arco di tempo medio-lungo, in aziende dotate – ed è questo il vero punto chiave – di un chiaro e fattibile progetto e di un realistico potenziale di sviluppo. Oltre ai mezzi economici, l’investitore istituzionale – come accennato – può offrire esperienze professionali, contatti con altri enti nonché competenze tecnicomanageriali, aspetti certo rilevanti, seppur non sempre presenti con la stessa intensità e qualificazione. Un imprenditore, o aspirante tale, che abbia un valido progetto per iniziare una nuova attività o che voglia svilupparne una già esistente o che necessiti di riorganizzare l’assetto proprietario dell’azienda o di modificarne la struttura finanziaria, può pertanto utilmente rivolgersi ad un investitore istituzionale che, evidentemente, ha l’obiettivo di concretizzare, nel termine prefissato, un guadagno di capitale attraverso la cessione della parteci- ------------------------------------------1 Un esempio varrà a chiarire quanto esposto: si tratterà di venture capital in senso stretto qualora i finanziamenti di operatori specializzati si dirigano alla nascita di imprese operanti nell’E-Commerce. © Cesi Multimedia 167 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda pazione acquisita (monetizzando l’aumento di valore della partecipazione): si tratta dunque di un socio temporaneo, che prima o poi dovrà alienare quanto acquistato, per realizzare il proprio obiettivo. Le modalità di intervento sono le più varie: la partecipazione può essere di minoranza o di maggioranza e quasi sempre viene effettuata tramite un aumento di capitale o, laddove combinata con un’operazione di acquisizione di quote societarie, quest’ultima operazione ha sovente un rilievo monetario meno rilevante rispetto all’intervento in linea di aumento del patrimonio netto aziendale. L’investitore partecipa comunque alle scelte strategiche dell’azienda, anche se il socio imprenditore ha autonomia – perlomeno nel private di minoranza – nella gestione operativa. Diversamente dalle tradizionali forme di finanziamento, come il ricorso al capitale di debito, la partecipazione al capitale di rischio necessita – o perlomeno dovrebbe necessitare – di uno stretto rapporto di collaborazione tra l’imprenditore e l’investitore istituzionale, poiché esso condivide il rischio d’impresa ed è cointeressato al buon andamento aziendale. Il finanziamento assegnato – molto flessibile – non prevede scadenze di rimborso né oneri a prescindere dai risultati aziendali, poiché il disinvestimento avviene di norma con la cessione delle quote o azioni al mercato, a terzi e/o agli altri soci, senza oneri per l’impresa partecipata. Tavola 5 – Principali peculiarità del capitale di debito e capitale di rischio Finanziamento a breve, medio e lungo termine Prevede precise scadenze di rimborso a prescindere dall’andamento dell’impresa e nel caso di finanziamento a breve è revocabile a vista Non prevede scadenze di rimborso ed il disinvestimento avviene di norma con cessione al mercato o a terzi, senza gravare l’impresa Il debito richiede il pagamento regolare di interessi a prescindere dall’andamento dell’azienda ed è garantito dal mantenimento del valore degli attivi L’assistenza fornita è di tipo accessorio al finanziamento CAPITALE DI DEBITO È una fonte rigida, la cui possibilità di accesso è vincolata alla presenza di garanzie e alla generazione di cash flow CAPITALE DI RISCHIO Finanziamento a breve, medio e lungo termine È una forma flessibile d capitali, utile per finanziare processi di crescita La remunerazione del capitale dipende dalla crescita di valore dell’impresa e del suo successo L’investitore rappresenta un partner che può fornire consulenza strategica e finanziaria Con il passare del tempo si è giunti ad una forte diversificazione delle forme di partecipazione, anche in relazione a svariate finalità: ad esempio, si pensi al family buy-out (nel caso di acquisizione da parte di un componente familiare dell’impresa della famiglia, con l’ausilio dell’investitore istituzionale), al management buy-out (nell’ipotesi in cui l’investitore istituzionale cooperi all’operazione di acquisto dell’impresa da parte del management della stessa) o all’employee buy-out (come nella situazione precedente, ma a seguito dell’azione di un gruppo di dipendenti). Esistono numerose tipologie di investitori istituzionali (Tavola 6), distinti per struttura organizzativa e giuridica, per strategia di raccolta e settori, per tipologia di operazione, per dimensione dell’investimento, per acquisizione di quote di maggioranza o minoranza e così via. 168 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 6 – Elementi distintivi degli investitori istituzionali Un buon metodo per scegliere la società cui rivolgersi è quello di indirizzarsi preliminarmente all’A.I.F.I., Associazione Italiana degli Investitori Istituzionali nel Capitale di Rischio, che in Italia rappresenta la maggioranza degli operatori del settore. Evidenziando dunque come il private equity possa rappresentare una risorsa finanziaria importante per lo sviluppo del sistema industriale nazionale, osserviamo come le principali categorie degli investitori presenti in Italia siano le seguenti: operatori di emanazione bancaria; fondi chiusi italiani; fondi chiusi ed altri operatori internazionali; finanziarie di partecipazione di emanazione privata o industriale; operatori di emanazione pubblica. Tavola 7 – Le principali categorie di investitori di private equity in Italia Operatori di emanazione bancaria Principali Investitori in Italia Fondi chiusi italiani Finanziarie di partecipazione di emanazione privata o industriale Operatori di emanazione bancaria Fondi chiusi ed altri operatori internazionali Ogni categoria è diversa in termini di tipologie di investimenti preferenziali e di atteggiamento nei confronti dell’impresa partecipata; occorre dunque conoscere alcuni di questi particolari, poiché ciò è un primo passo verso la scelta del partner più adatto. In effetti, è decisivo ricordare che l’obiettivo è quello di cercare un socio che approcci la propria iniziativa sulla base di un rapporto di estrema fiducia reciproca e che quindi già i primi “contatti”, nonché i relativi feedback, hanno grande importanza. Laddove l’impresa sia già esistente, una questione preliminare decisiva, per un imprenditore che pensi a partner istituzionali, è rappresentata dalla verifica del razionale impiego delle risorse interne: infatti, situazioni di tensione finanziaria che, apparentemente, causano l’esigenza di nuovi capitali, possono sovente nascere da una mala gestio delle fonti finanziarie interne. Solo una volta sicuri di avere ottimizzato l’impiego delle risorse interne, dunque, si può decidere di ricorrere ai capitali forniti da investitori istituzionali: in effetti, questi ultimi devono servire allo sviluppo e non al riequilibrio di squilibri aziendali, che debbono essere sempre corretti con altri strumenti. © Cesi Multimedia 169 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 8 – Perché ricorrere agli investitori istituzionali Sviluppo dell’impresa OBIETTIVO DEL RICORSO AD INVESTITORI ISTITUZIONALI Riequilibrio di squilibri aziendali Come già in parte accennato, si ricorre a queste forme di partnership per molte e varie motivazioni, anche tra loro correlate: sviluppare un’attività esistente; liquidare i vecchi soci; rilevare l’azienda di famiglia; acquistare l’impresa per cui si lavora; risanare un’azienda in perdita ma con forti potenziali di sviluppo2. Tavola 9 – Quanto ricorrere agli investitori istituzionali Per sviluppare un’attività esistente Quando si ricorre agli investitori istituzionali Per rilevare l’azienda di famiglia Per acquistare l’impresa per cui si lavora Per liquidare vecchi soci Per risanare un’azienda in perdita ma con forti potenziali di sviluppo Si è già detto che la partecipazione al capitale di rischio di investitori istituzionali necessita di uno stretto rapporto di partnership tra l’imprenditore e l’investitore istituzionale, evidenziando d’altronde come (Tavola 10), oltre al capitale, l’investitore può e dovrebbe sempre più apportare competenze professionali strategiche, finanziarie, di marketing, di organizzazione, manageriali ed offrire una rete di contatti utili in ambito nazionale e internazionale. Per ciò che concerne quest’aspetto, la crisi mondiale ha anche dimostrato come ci sia molto da fare da parte degli operatori specializzati che, negli anni passati, con un’ottica fortemente sbilanciata dal lato finanziario, hanno spesso trascurato e/o si sono dimostrati scarsamente attrezzati e pronti ad una simile “evoluzione consulenziale”. ------------------------------------------2 È molto diffuso, tra gli operatori, l’uso di termini tecnici anglosassoni per indicare le singole tipologie di intervento. Si parla così di seed financing: investimento nella fase di sperimentazione dell’idea innovativa, quando è ancora da dimostrare la validità tecnica del prodotto/servizio; di start-up financing: investimento finalizzato all’avvio dell’attività, quando non si conosce ancora la validità commerciale del prodotto/servizio, ma esiste già almeno un prototipo; di early stage financing: investimento in tutte le prime fasi di vita dell’impresa (seed, startup); di expansion financing (o development capital): investimento nelle fasi di sviluppo dell’impresa, finalizzato ad espandere (geograficamente, merceologicamente, ecc.) l’attività; di bridge financing: finanziamento “ponte”, relativo ad una fase avanzata di sviluppo aziendale, caratterizzata dal consolidamento della maggioranza, che rileva posizioni di minoranza interessate al disinvestimento e può sfociare nella quotazione; di replacement capital: investimento finalizzato alla ristrutturazione della base azionaria, in cui l’investitore istituzionale si sostituisce, temporaneamente, a uno o più soci non più interessati a proseguire; di cluster venture: operazione di investimento finalizzata al raggruppamento (cluster) di più società operative indipendenti integrabili verticalmente od orizzontalmente e caratterizzate da similitudini in termini di prodotti, mercati e tecnologie; di management buy-out: investimento finalizzato al sostegno dell’acquisizione dell’impresa da parte di un gruppo di manager della stessa; di management buy-in: investimento finalizzato al sostegno dell’acquisizione dell’impresa da parte di un gruppo di manager esterni alla stessa; di leveraged buy-out: tecnica finanziaria diretta generalmente all’acquisizione di partecipazioni di controllo o totalitarie in società di capitali, realizzata mediante il ricorso a capitale di prestito fornito da istituti di credito e/o da società finanziarie. 170 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 10 – Caratteristiche di un valido investitore Warren Buffet afferma che un “investimento deve essere razionale” e che dunque “se non lo capite, non lo fate”: a tale riguardo, il rapporto costruttivo tra imprenditore ed investitori istituzionali è dunque fondamentale per esaltare le suddette competenze. Tutto ciò è tanto più necessario poiché l’apertura del capitale di un’impresa ad un socio istituzionale dovrebbe determinare una serie di cambiamenti di rilievo, specialmente nel caso di imprese a carattere famigliare: per raggiungere il suo obiettivo, infatti, l’investitore opererà in modo tale da elevare la trasparenza e la qualità nella comunicazione dell’impresa, da rendere più manageriale la gestione e l’organizzazione, da attivare efficaci sistemi di pianificazione, controllo e monitoraggio dei risultati aziendali. In realtà, un primo e decisivo banco di prova in questo ambito, per l’imprenditore, avviene già in fase di approccio con il soggetto potenziale investitore, poiché esso dovrebbe essere in grado, in qualche modo: di presentare un valido piano industriale, che è il piano nel quale il progetto viene sviluppato in termini di linguaggio aziendale. Il piano industriale è la base per la richiesta del capitale di rischio e quindi è spesso, per l’imprenditore, il primo strumento di contatto con l’investitore istituzionale; in tal senso, è dunque necessario fornire molta attenzione all’elaborazione di questo documento, che rappresenta la carta d’identità dell’imprenditore, dell’impresa e del progetto. Tavola 11 – Il piano industriale: strumento fondamentale per aprirsi agli investitori istituzionali Per aprire il capitale della propria impresa ad un socio istituzionale l’imprenditore deve Presentare UN VALIDO PIANO INDUSTRIALE Il processo di preparazione del piano industriale deve coinvolgere tutta l’azienda e deve chiarire, in termini quantitativi e univoci, gli obiettivi da raggiungere e la loro compatibilità con le risorse (finanziarie, tecnologiche, conoscitive e umane) di cui l’impresa dispone o vorrebbe disporre, avendo presente l’ambiente competitivo in cui l’impresa opera ed il mercato al quale si rivolge. Il piano industriale deve: descrivere qual è la visione strategica e l’obiettivo imprenditoriale; esplicitare la missione aziendale, cioè i singoli obiettivi desiderati, per realizzare la visione strategica e i mezzi da utilizzare in tal senso; descrivere la situazione attuale, fornendo anche una sintesi dei dati economico-finanziari storici, relativi agli ultimi anni, e prospettici, tramite rendiconti finanziari, conti economici, stati patrimoniali e indici di analisi finanziaria. Quanto all’arco temporale da prendere a riferimento per il piano industriale, esso varia a seconda che si tratti di un progetto o di un’impresa: nel primo caso il periodo di riferimento può coprire l’intera vita del progetto, nel secondo caso generalmente comprende una fascia da tre a cinque anni, con un grado di analisi molto dettagliato per il primo anno e un approccio più di massima per gli anni successivi. La realizzazione di un piano industriale, da sottoporre a investitori istituzionali nel capitale di rischio, richiede molta attenzione perché: © Cesi Multimedia 171 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda sulla base delle informazioni del piano industriale, l’investitore deciderà se procedere nell’esame del progetto o se rifiutarlo; coloro che andranno a discutere il piano industriale, dovranno interfacciasi con attenti e preparati interlocutori, che cercheranno di carpire i punti di debolezza e/o le eventuali discrasie del documento. Tavola 12 – Il piano industriale come strumento decisivo per la valutazione di un progetto Il PIANO INDUSTRIALE è uno strumento molto importante Sulla base delle informazioni in esso contenute l’INVESTITORE DECIDERÀ SE ESAMINARE IL PROGETTO O SE RIFIUTARLO Nella stesura del piano industriale il management dovrà considerare che i potenziali investitori esamineranno il lavoro con criteri diversi dalla direzione aziendale, poiché l’attenzione sarà veicolata: sulla capacità del piano industriale di creare valore per l’investitore e di facilitare la sua successiva uscita dalla struttura. L’investitore, tra l’altro, vorrà ben comprendere le modalità di elaborazione del business plan (ivi compresi meccanismi del tipo ipotesi di base e relazioni causa-effetto) e le competenze del management. In questo senso, costituiranno punti vincenti: l’aver redatto il piano industriale come sintesi di un’analisi di diversi scenari possibili (ad esempio, ottimistico-medio-pessimistico), a ciascuno dei quali sia stata data una certa probabilità di accadere; l’aver coinvolto l’intera organizzazione aziendale nel processo di business planning (poiché trattasi di un processo e non di un mero documento, redatto in modo “asettico” dai soli reparti amministrativi aziendali) nei termini opportuni (per aree di competenza ed interrelazioni) ed il fatto che sia presente un management motivato, unito, con uno “storico” di casi di successo e con competenze riconosciute nel settore. In questa sede si osserva come, nella prassi, molte PMI non ricorrano in prima battuta ad un serio processo di elaborazione di piano industriale: pur non essendo ciò affatto ostativo – in linea teorica – ad interloquire in prima istanza con operatori di private equity, si raccomanda vivamente, per molteplici motivazioni, di profondere serie energie organizzative in tal senso a partire dai primissimi contatti, poiché è l’affrontare lo stesso processo che aiuterà a maturare seriamente tutto il collettivo aziendale (Tavola 13) e a non cadere nel fattore di rischio che “nasce dal non sapere cosa stai facendo” (Warren Buffet). Tavola 13 – Il piano industriale come strumento di comunicazione Oltre a quanto già evidenziato, si rileva come, già a partire dal primo contatto con l’investitore, occorrerà focalizzarsi su aspetti determinanti del rapporto (Tabella 14), quali3: le modalità di contatto con il medesimo investitore potenziale; la tempistica; l’accordo di riservatezza; la lettera d’intenti; ------------------------------------------3 Per maggiori dettagli, cfr. Guida Pratica Al Capitale Di Rischio - Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity, A.I.F.I. - Pricewatherhouse Coopers, pubblicazione interna, Milano, 2000, www.aifi.it. 172 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda il processo di due diligence (di mercato, finanziaria, legale, fiscale, ambientale ecc.); la conclusione della trattativa; i patti parasociali; l’esecuzione del contratto; le forme tecniche di intervento: i principali strumenti di finanziamento (equity, prestito obbligazionario convertibile, finanziamento mezzanino, debito subordinato, senior debt); il monitoraggio dell’investimento (l’approccio hands on e l’approccio hands off)4; il disinvestimento5. Tavola 14 – Gli aspetti determinati il rapporto con gli investitori istituzionali Non sembra superfluo citare come la riforma del diritto societario del 2003 abbia introdotto ulteriori elementi di apprezzamento, avvicinandosi alla maggiore duttilità degli ordinamenti stranieri di fronte alle esigenze degli investitori istituzionali, potendo così replicare interamente nello statuto le soluzioni suggerite dall’esperienza e dall’analisi economica di settore6, per ottenere un sistema maggiormente aderente alle esigenze di un’economia dei capitali moderna. ------------------------------------------4 Nell’approccio hands on l’investitore partecipa attivamente all’attività dell’azienda in cui ha investito. Oltre alla rappresentanza nel Consiglio di Amministrazione, nell’ambito del quale ha spesso diritto di veto nelle decisioni più importanti sull’attività dell’azienda, richiede di essere informato mensilmente sui risultati aziendali, effettua frequenti visite in impresa e, talora, richiede la nomina di suoi manager di fiducia nelle posizioni considerate chiave. L’investitore generalmente impone all’azienda la certificazione dei bilanci, richiede l’adozione di sistemi di budgeting e di reporting moderni, anche in vista dell’obiettivo della quotazione in Borsa, e propone meccanismi di incentivo dei dirigenti chiave. Con l’approccio hands off invece l’investitore partecipa scarsamente all’attività dell’azienda in cui ha investito, anche se ha comunque una rappresentanza nel Consiglio di Amministrazione. Alcuni investitori preferiscono ricoprire un ruolo meno attivo nella gestione dell’impresa, lasciando le decisioni sia operative, che strategiche al management e richiedendo soltanto di ricevere, in modo regolare, le informazioni necessarie per tenere sotto costante monitoraggio l’andamento della società, in modo da individuare tempestivamente eventuali problemi. Le occasioni di ingerenza aumentano nel caso in cui l’andamento della società e del progetto si facciano critici. 5 L’investitore istituzionale nel capitale di rischio rappresenta un socio temporaneo dell’imprenditore, interessato a monetizzare il proprio investimento e a realizzare un guadagno di capitale attraverso la vendita della partecipazione, una volta raggiunti gli obiettivi prefissati. Il momento dell’uscita dell’investitore dal capitale dell’impresa non è quasi mai predeterminato, ma è funzione dello sviluppo della società. Sempre più spesso, tuttavia, gli investitori cercano di prevedere, al momento dell’acquisto della partecipazione, gli eventuali canali di uscita e i tempi di realizzo, al fine di pianificare al meglio anche questa fase finale dell’operazione. Nei casi di successo, si disinveste quando l’azienda ha raggiunto il livello di sviluppo previsto ed il valore della società, e quindi della partecipazione, si è conseguentemente incrementato. Nell’eventualità in cui l’iniziativa fallisca, perché, ad esempio, il nuovo prodotto o la nuova tecnologia non riescono ad affermarsi sul mercato, si disinveste quando matura la convinzione che non è più possibile risolvere la situazione di crisi che si è creata. In entrambe le situazioni, i tempi e le modalità del disinvestimento sono definiti, di norma, con l’accordo di tutti i soci. Diverse sono le modalità di disinvestimento, dipendenti sia dalla tipologia di impresa e di operazione precedentemente posta in essere, che dai risultati raggiunti. I tipici canali utilizzati dagli investitori per cedere le azioni in loro possesso sono: la quotazione in Borsa dei titoli dell’impresa partecipata; la vendita dei titoli ad un’altra impresa industriale o ad un altro investitore istituzionale; il riacquisto della partecipazione da parte del gruppo imprenditoriale originario; la vendita a nuovi e vecchi soci, risultanti da un’operazione di concentrazione tra diverse imprese del settore nel frattempo realizzata. È ovviamente da mettere in previsione anche l’ipotesi che tutta l’operazione non vada a buon fine e che, quindi, non si verifichi un vero e proprio disinvestimento, ma un azzeramento del valore della partecipazione. 6 B. Szego, Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale - Il venture capital come strumento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese: un’analisi di adeguatezza dell’ordinamento italiano, Banca d’Italia, numero 55, giugno 2002. © Cesi Multimedia 173 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda 10.3 Private equity: un tentativo di sintesi Come in parte già accennato, la diffusione del cosiddetto investimento istituzionale nel capitale di rischio è sicuramente benvenuto nel sistema Italia, a patto che si lavori per creare un eco-sistema vitale e attraente: risultano assolutamente necessari interventi che spaziano dalla cultura d’impresa ad una decisa semplificazione burocratica. A livello di quadro macroeconomico e relativamente alle potenzialità di sviluppo nell’ambito del private equity, le PMI italiane appaiono ancora oggi tra quelle più interessanti nel panorama europeo, nonostante la falcidia di aziende causata dal perdurare della crisi sistemica e ciò partendo da un’analisi oggettiva incentrata su: numero delle imprese; settori di attività; mercati presidiati; risultati aziendali vantati; nonché sul fatto che le imprese risultano ancora, in maniera assolutamente predominante, legate all’idea di azienda familiare, potendo dunque vantare – almeno sulla carta – un ampio ventaglio di ipotesi di apertura della proprietà. Tavola 15 – Le PMI italiane e il private equity PRIVATE EQUITY Le PMI italiane appaiono tra quelle più interessanti nel panorama europeo Se, per un lungo periodo, i fondi di investimento mirati a realizzare operazioni di portata finanziaria – a livelli assoluti – medio/piccolo non sono stati numericamente e strategicamente rilevanti, negli ultimi anni essi hanno assunto invece un ruolo sempre più importante, prendendo in qualche modo atto di modelli di business da affrontare con uno specifico modus operandi ed al fine di interfacciarsi in maniera più congrua con alcune interessanti opportunità di mercato. Per questo motivo ed in seguito alla crisi finanziaria perdurante, in effetti il settore del private equity è cambiato sostanzialmente negli ultimi anni (Tavola 16): i capitali gestiti sono cresciuti, ma le opportunità di uscita si sono ristrette; i fondi sono diventati, in generale, più pazienti e hanno coinvolto gli investitori; questo atteggiamento più considerato ha portato il private equity a richiedere una differente composizione di capacità rispetto a quelle ricercate tradizionalmente; oggi il successo nel private equity concerne meno la ristrutturazione del bilancio di una azienda e lo spacchettamento dei pezzi per una IPO, ma piuttosto riguarda il costruire un’entità più efficiente; i fondi di private equity passano ora più tempo a gestire le loro aziende in portafoglio e sono quindi meno interessati nell’ingegneria finanziaria e più interessati nell’assumere individui con una formazione ampia in management. 174 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 16 – Le tendenze del private equity nel tempo Tendenze Minori opportunità di uscita dei fondi Fondi più “pazienti” Tendenze Meno ingegneria finanziaria Maggior ricerca di efficacia ed efficienza Tendenze Più partecipazione nell’impresa Maggiori competenze richieste 10.3.1 Uno sguardo sui trend mondiali ed europei del private equity Secondo il Global Private equity Report 20137, elaborato dalla firm di consulenza strategica Bain & Company, la società leader a livello mondiale per gli investitori di private equity: il Nord Europa mantiene un trend positivo, mentre il deal-making nell’Europa meridionale è stato indebolito dal debito pubblico e dalle misure di austerità. La debolezza del deal-making in Europa nel corso del 2012 è il tema ricorrente in quello che tradizionalmente è stato uno dei mercati più attivi a livello mondiale. Secondo il report, nel 2012 il mercato europeo è apparso alquanto disomogeneo al suo interno: nel complesso, il numero dei deal di buyout è sceso del 7% rispetto al 2011 ed il valore è diminuito del 19%. Questi dati, tuttavia, mascherano un trend nettamente divergente tra: un Nord Europa piuttosto sano ed un’Europa meridionale in difficoltà dove il mercato del private equity è stato assorbito dal vortice dei problemi del debito pubblico, dell’aumento delle tasse e della politica di austerità di bilancio. In Italia il valore dei deal di buyout è sceso del 71% dal 2011 al 2012, in Spagna del 27% e in Francia del 74%, nel mentre la Germania ha invece resistito grazie alla sua economia solida (l’attività di deal-making è cresciuta del 105% rispetto al 2011) insieme all’ Inghilterra (+34%), dove la sterlina ha mantenuto gli investitori al di fuori delle turbolenze dell’Eurozona. Bain afferma come sell-side e buy-side dovrebbero avere una visione condivisa e realistica riguardo le prospettive di lungo termine della regione, in modo da portare i prezzi ad un livello più basso, per avere più probabilità di sbloccare il mercato ed affinché l’attività di deal-making riprenda in modo significativo nei prossimi anni, i fondi di PE avrebbero bisogno di vedere una maggiore crescita economica nella regione ed in Italia in particolare. La divergenza tra prezzo richiesto e prezzo offerto, insieme alle difficoltà di reperimento di credito bancario, rimangono comunque un grosso limite alla ripresa dell’attività. Il mercato del private equity in Europa si è mosso di pari passo con quello del Nord America negli ultimi anni, ma il trend si è interrotto lo scorso anno e tuttavia negli Usa sta mostrando segni di ripresa. Il report rivela che i soggetti più motivati, da entrambi i lati delle transazioni concluse in Europa nel 2012, sono stati generalmente fondi di private equity in cui il sell-side ha approfittato di prezzi più elevati, al fine di restituire il capitale agli investitori del fondo, mentre il buy-side ha cercato soluzioni di investimento per allocare il capitale dei fondi non ancora investito. Alla fine del 2012, quindi, si è rilevato che il 61% del valore dei deal europei è stato rappresentato da deal tra fondi di private equity, che secondo Bain continueranno ad essere la fonte più probabile dell’attività di dealmaking nei prossimi anni. ------------------------------------------7 Cfr. http://www.bain.com/offices/italy/it/press/press-releases/private-equity-bain-and-company-europa-mercato-a-due velocita.aspx © Cesi Multimedia 175 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Ulteriori conclusioni chiave del report di Bain sono le seguenti: l’attività di deal-making in Asia ha riscontrato difficoltà nel 2012, in seguito al rallentamento della crescita del mercato cinese e indiano, mentre il Brasile è rimasto il meglio posizionato tra i principali mercati emergenti, grazie ad una costante capacità di attrarre capitali e di offrire opportunità per veri proprietary deal; energia ed healthcare, entrambi settori in crescita, stanno suscitando molto interesse: in Europa, diversi fondi di private equity sono alla ricerca di asset nel settore dell’healthcare, come case di cura e laboratori medici, che consentirebbero loro di approfittare di un sistema di acquisto delle forniture più efficiente, oltre i confini nazionali. Secondo Bain, all’interno del settore dell’energia, l’area di maggiore interesse è rappresentata dall’Oil&Gas e molti fondi di private equity stanno acquistando società di equipment e servizi petroliferi, che hanno rappresentato il 45% dei deal O&G nel 2012 e che probabilmente rimarranno in futuro fondamentali; dato un eccesso di più di 2.000 miliardi di dollari di asset considerati in fase di exit dai fondi, il trend crescente di corporate M&A potrebbe rappresentare una nuova soluzione per l’exit strategy, considerando il forte interesse degli investitori industriali nella crescita esterna; la domanda, da parte degli investitori, per rendimenti maggiori da un lato e la necessità delle management company di raccogliere capitale dall’altro, stanno progressivamente portando a sperimentare nuove tipologie di cooperazione tra cui: accounts separati, strutture di fondo non tradizionali e programmi di investimento diretto; la raccolta dei fondi continuerà ad essere difficoltosa, dal momento che gli investitori non sono in grado di impegnare nel 2013 più capitale rispetto al 2012 e dato il numero di fondi in fase di raccolta vicino al massimo storico; un terzo degli 8.000 deal di buyout realizzati, che sono passati attraverso i fondi di private equity, hanno portato l’80% del ritorno totale, dinamica che ha avuto riscontro anche nel mercato europeo. Bain conclude il suo Report 2013 affermando che, nonostante le prospettive problematiche a livello macroeconomico in Europa, saranno i fondi di private equity in fase di investimento, attenti a non pagare più del dovuto gli asset e con un modello ripetibile di creazione di valore, a poter scovare interessanti opportunità di investimento a partire dal 2013 e ben oltre tale data (Tavola 17). Tavola 17 – Le caratteristiche dei fondi di successo secondo Bain & Company Secondo la visione di Bain & Company i fondi di successo saranno quelli che Sono in fase di investimento Non paghino gli asset più del dovuto Abbiano un modello di creazione del valore ripetibile 10.3.2 Uno sguardo sui trend attuali italiani del private equity In base a quanto emerge dalla più recente ricerca sul mercato degli investimenti in capitale di rischio condotta da AIFI, l’associazione di categoria, in collaborazione con PwC-Transaction Services8: l’industria italiana del private equity ha archiviato la prima parte dell’anno 2013 con risultati in crescita, confermando i segnali di ripresa emersi nella seconda metà del 2012; in merito ai dati emergenti, l’attuale presidenza di AIFI ha sottolineato l’impatto sul settore del crollo della domanda interna ma, grazie alla capacità di internazionalizzarsi delle aziende italiane, nonostante tutto, si riescono ad attirare capitali di rischio. Il tasto dolente, semmai, sembra essere il contesto economicopolitico, che rende difficile investire in un clima di incertezza; ------------------------------------------8 Cfr. http://www.pwc.com/it/it/industries/private-equity/index.jhtml 176 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda semmai, il tasto dolente, ancora una volta, è rappresentato dalla raccolta e la seconda parte dell’anno non promette miglioramenti sostanziali, attese le difficoltà del sistema finanziario (banche e assicurazioni) e la carenza cronica di fondi pensioni e altri investitori istituzionali. L’eccezione virtuosa, è rappresentata dalla Cdp (che ha promosso il Fondo Strategico e il Fondo Italiano), ma occorre certamente una spinta maggiore dagli operatori istituzionali. Anche come effetto della crisi di lungo periodo che ha pervaso e sta ancora investendo alcune delle principali economie mondiali e sempre più consci della “Regola n. 1: non perdere mai denaro. Regola n. 2: non dimenticare mai la regola n. 1” (Warren Buffet), si possono individuare dei trend di assoluta rilevanza (Tavole 18 e 19) nelle dinamiche degli operatori di private equity e di venture capital operanti in Italia9: si assisterà ad un aumento dell’holding period medio e ad un sempre più limitato ricorso alla leva finanziaria nelle operazioni di acquisizione: a tale riguardo, basti pensare che gli operatori di settore, da tempo, concludono operazioni con una leva finanziaria compresa tra 2 e 4 volte l’EBITDA (margine operativo lordo) per circa una metà dei closing nazionali e per l’altra metà con leva finanziaria inferiore a 2 volte l’EBITDA e che non sono previsti mutamenti di rilievo in tale scenario competitivo; il livello di competizione tra gli operatori rimarrà sostanzialmente invariato e si giocherà prevalentemente sulle condizioni offerte; si prevede, invece, un limitato utilizzo della quotazione come modalità di exit dalle società partecipate; è probabile la diminuzione del numero di operatori di piccole/medie dimensioni e l’avvio di fenomeni di concentrazione; si avrà un ruolo più attivo, da parte dei fondi, nella gestione delle società partecipate; si prevede un aumento dell’interesse verso operazioni di turnaround. Tavola 18 – Il trend delle dinamiche degli investitori istituzionali In merito all’attività d’investimento, gli investitori evidenziano: un loro focus sulle medie aziende con un fatturato compreso tra i 15 e i 50 milioni di euro, con un crescente interesse verso società di maggiori dimensioni; da un punto di vista settoriale, sembra registrarsi un calo d’interesse verso il settore manifatturiero, a fronte di una maggiore attenzione verso i prodotti industriali ed il settore food & wine; per quanto riguarda la localizzazione geografica delle opportunità di investimento, il Nord Italia nel complesso si conferma mediamente come l’area di maggiore interesse. Per ciò che riguarda la tipologia delle operazioni, gli specialisti: confermano le difficoltà di effettuare operazioni a leva e comunque, qualora ciò avvenga, risulta normale l’applicazione di tassi particolarmente onerosi; adeguandosi alla mutata situazione di mercato, preferiscono optare per operazioni di expansion capital, soprattutto per il finanziamento della crescita di piccole e medie aziende, con forti potenzialità di crescita. Più nel dettaglio, alcuni delle principali tendenze possono così essere riassunte: le operazioni di LBO/Replacement tornano a rappresentare la principale categoria d’investimento in portafoglio; a seguire, si segnalano le operazioni di Expansion Capital; infine in crescita, ma tuttora a livello assoluto piuttosto limitate, le segnalazioni relative alle operazioni di Start-up Financing e di turnaround. ------------------------------------------9 Cfr. Deloitte “Italy Private Equity Confidence Survey” http://www.trend-online.com/prp/private-equity-prospettive-200213/4.html, © Cesi Multimedia 177 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda A proposito del finanziamento delle acquisizioni la maggioranza degli operatori dichiara, relativamente alla struttura dei portafogli attuali: una percentuale media di equity compresa tra il 41% ed il 60% e si osserva tuttavia una crescente incidenza di operatori che dichiarano una contribuzione dell’equity sul valore delle acquisizioni effettuate compresa tra 61% e 80%; per quanto riguarda i tassi d’interesse pagati sul Senior Debt erogato dalle istituzioni finanziarie, si riscontra che la maggioranza delle operazioni sono state finanziate con uno spread sull’Euribor superiore ai 300 basis points, mentre nessun operatore ha dichiarato di aver portato a termine acquisizioni con costo del debito inferiore ai 200 punti base. In merito alle strategie di way-out (disinvestimento), la maggioranza degli operatori prevede di effettuare disinvestimenti: principalmente attraverso la cessione ad investitori industriali (Trade sale); seguiti da secondary buy-out, in crescita rispetto al passato; come terza “via di fuga” seguono i Write Off, anch’essi in deciso aumento nelle previsioni; i buy back, al contrario, registrano un interesse limitato rispetto al passato; infine, nessun operatore giudica probabile il disinvestimento tramite operazioni di IPO, confermando il sentiment già rilevato nei due semestri precedenti. Per ciò che riguarda poi il valore e rendimento dei portafogli, in linea generale la maggioranza degli operatori di PE/VC ha aspettative: di stabilità del valore dei portafogli per i prossimi periodi, accompagnata da un numero sempre più elevato di operatori con aspettative di rivalutazione di questi ultimi rispetto al loro valore di acquisto; gli obiettivi di rendimento (IRR) giudicati accettabili dagli operatori sembrerebbero stabili rispetto all’orizzonte temporale precedente e nello specifico compresi tra il 15% ed il 25%. Tavola 19 – Le dinamiche degli operatori di private equity e venture capital Che l’Italia sia un mercato di assoluto interesse per gli investitori di capitale di rischio, peraltro, è oltremodo evidente dagli atti del convegno annuale AIFI (in collaborazione con PWC e KPMG), tenuto a maggio 2013 presso Londra, da cui emerge10, oltre al fatto che le relazioni personali sono ancora decisive per portare a termine operazioni di private equity, più che in altri paesi analoghi: come l’economia italiana, sebbene soffra di un serio calo dei consumi interni, annoveri molte medie imprese di successo, che costituiscono da sempre “il pane ed il burro” degli investimenti nel capitale di rischio; l’ambiente economico attuale, unito alle storiche caratteristiche delle imprese italiane, mostra come l’esigenza di interventi del private equity, oggi, sia più forte che mai; il private equità in Italia è ancora un’industria per molti versi poco sviluppata e ciò, unito alla difficoltà di raccolta dei capitali degli ultimi 4 anni, rende urgente un intervento massiccio in tal senso Dagli stessi atti emerge inoltre con evidenza che, nell’orizzonte 2003/2011 (Tavola 20): il tasso di crescita del valore aggiunto (in termini di CAGR) delle imprese coinvolte da operazioni di private equity è nettamente più alto del tasso di crescita del prodotto interno lordo nazionale; ------------------------------------------10 Cfr. http://www.aifi.it/IT/AreaRiservata/pdf/Commissioni/InvIstituzuinali/Londra2013/Presentazione%20 AIFI-KPMG-Price.pdf 178 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda il tasso di occupazione (in termini di CAGR) delle imprese coinvolte da operazioni di private equity è nettamente più alto del tasso di occupazione a livello nazionale; l’evoluzione dell’EBITDA e dei redditi netti (in termini di CAGR) delle imprese coinvolte da operazioni di private equity è nettamente migliore di quella delle imprese confrontabili per dimensione e struttura/caratteristiche, non coinvolte da interventi di private equity. Tavola 20 – Trend dei risultati delle imprese coinvolte in operazioni di private equity 10.3.3 Fattori propedeutici ed ambiente aziendale È indubbio che avere dei partner societari specializzati può rompere uno schema concettuale chiuso – l’idea del dominus di tipo tradizionale – e costringe giocoforza, al di là dell’approccio più o meno gestionale seguito dai fondi di private equity, ad un criterio di mediazione, di condivisione di obiettivi, di analisi trasversale e più completa dei profili di business, a vedere anche la stessa finanza come asset strategico vitale dell’azienda, a porsi sempre più l’obiettivo della pianificazione, della programmazione e del controllo aziendale come habitus mentale e non episodico. Anche nei casi estremi, poi, quali la cessione totale del controllo aziendale, saper approcciare un investitore istituzionale significa in qualche modo avere la forza di guardare con serenità all’idea della continuità della creazione aziendale, al di là del concetto di controllo. Tra le principali motivazioni – da intendersi o esclusive o sinergiche tra di loro – per cui molte PMI italiane dovrebbero prendere in seria considerazione operazioni di private equity tipicamente si possono annoverare: la necessità di sostenere piani per rendere più visibili i propri marchi strategici in Italia e all’estero; la riorganizzazione delle filiere produttive, per abbassare i costi fissi e/o per l’implementazione di nuove linee di prodotto/servizio; la cessione della proprietà aziendale, per impossibilità/inopportunità di ipotizzare passaggi generazionali; l’acquisizione di aziende operanti nello stesso settore e/o in settori comunque correlabili, per creare nuove sinergie ed essere più competitivi sul mercato; il sostegno finanziario ad importanti progetti aziendali di espansione all’estero; il supporto al ricambio generazionale. In base alla capitalizzazione di mercato, la nostra industria rappresenterebbe circa 35% del Pil contro una media Ue del 60-70%, il che è davvero un paradosso per la seconda economia manifatturiera d’Europa e una delle “top five” al mondo. Cosa si nasconde dietro tutto ciò? In estrema sintesi, si può dire che: la famiglia che ha generato la prima fase di crescita della piccola e media impresa, decretandone fortune e onori, può in casi estremi diventare la causa della mancata crescita: «Bisogna essere abbastanza lungimiranti e intelligenti per capire che cedere una parte della propria sovranità non è la fine del mondo. Meglio avere il 30% di un’azienda in forte espansione, magari di medie dimensioni, che il 51% di una piccola impresa senza grandi sbocchi sui mercati esteri», sostiene il gestore di un fondo; è peraltro vero che le nostre PMI e le famiglie che le controllano sono votate al lungo termine, alla stabilità, ad un’attenzione e ad una valorizzazione del capitale umano non sempre riscontrabili in realtà legate a pratiche di finanziamento e/o di partecipazione più affini alla cultura anglosassone e tutto ciò è apparso evidente con gli effetti della grande crisi sistemica mondiale; © Cesi Multimedia 179 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda le risorse di private equity impegnate in aziende italiane sono passate in circa dieci anni – dati al 2011 – da circa mezzo miliardo di euro a quasi 6 miliardi di euro per un totale di pressappoco 850 operazioni, in maggior parte Lbo, quindi con ricorso alla leva finanziaria. Di queste, le operazioni di expansion, vale a dire prese di partecipazione in genere di minoranza, attraverso la sottoscrizione di un aumento di capitale o di un prestito obbligazionario convertibile, erano 276 a fine 2010, poco più di un quarto del totale; attesi questi dati, si può affermare che i due mondi hanno cominciato a parlarsi, anche se non sempre con la stessa lingua e, anche per quanto sopra rilevato, occorre continuare decisi sulla strada di operazioni ben strutturate e mirate al reale consolidamento di medio periodo delle aziende partecipate11. Al fine di poter mirare seriamente alla realizzazione di tali obiettivi, occorre tuttavia che i soci di comando delle PMI (Tavola 21): superino una volta per tutte l’anacronistica avversione culturale all’ingresso di soci estranei nell’azienda, vedendo con positività fenomeni di azionariato aperto a soggetti terzi, tentando il superamento del dogma della “proprietà accentrata”: la paura quasi atavica della “perdita di libertà per l’imprenditore”, spesso abituato ad essere il dominus incontrastato della sua azienda, dopo l’ingresso di un investitore istituzionale nel capitale della società, resta un fattore sovente cogente nel parametro di giudizio; accettino come un fattore premiante l’obbligo di soggiacere ad un sistema di governance trasparente e ad un rafforzamento dell’organizzazione e dei sistemi di controllo (maggior livello di trasparenza “gestionale” dopo l’operazione di private equity); in tal caso, l’elemento chiave non è solo il fatto di essere negativamente predisposti verso l’ingresso di un soggetto estraneo, ma il timore di rimanere “invischiato” in un sistema di regole “burocratiche”, che renda poco elastica la gestione; superino la scarsa conoscenza complessiva delle logiche strategiche sottese a queste operazioni: non va nascosto che ancora rimane frequente, nell’approccio concettuale al private equity, una sua presunta – e non coerente – assimilazione alle forme di finanziamento tradizionali, sia estremamente consolidate (es. mutui bancari, ecc.) sia di natura ibrida (es. prestiti partecipativi remunerati in base al risultato economico dell’impresa, ecc.); non bisogna altresì sottacere come il panorama del private equity non costituisca una massa omogenea ed indistinta, ove tutti gli operatori abbiano lo stesso approccio: al di là della manovra finanziaria, che accomuna tutti, esistono operatori con un varia intensità di approccio gestionale, tenendo conto che l’intervento finanziario – da solo – è sempre meno scarsamente risolutivo nel medio periodo, per imprese che geneticamente necessitano anche di consulenza strategico/gestionale. superino il timore atavico per le generali ripercussioni strategiche e operative conseguenti all’ingresso di un investitore istituzionale, che comunque andrà ad impattare – direttamente od indirettamente – nella struttura organizzativa; facciano preventivamente chiarezza riguardo alle modalità prevedibili di gestione dell’uscita del fondo dal capitale della società, avendo appunto il socio istituzionale la missione di valorizzare il capitale degli investitori; come noto, vi sono molte modalità di exit dall’investimento, dalla cessione agli altri soci, alla vendita a soggetti esterni sino all’approdo ai mercati regolamentati. Il fatto di non conoscere bene a priori le classiche modalità di gestione degli accordi statutari e dei patti parasociali, rende l’imprenditore dubbioso e dunque può allontanare il medesimo da propositi di ingresso di soci istituzionali. accettino di farsi assistere da consulenti ad alto tasso di specializzazione, in grado di mediare correttamente tra il profilo dell’investitore e quello dell’impresa. Non è un modo di dire, ma semmai una realtà drammatica, che sovente il “primo nemico” di un operazione del genere risiede nei consulenti storici aziendali (commercialisti ed avvocati), che vedono in essa – per lo più sbagliando – un fattore che li priverà del ruolo storico avuto in azienda; assumano una volta per tutte consapevolezza sul fatto che l’azienda deve crescere per creare valore, per essere protagonista nell’era della concorrenza globale e per non rischiare di essere relegata ad un ruolo marginale o di scomparire come realtà singola nel territorio; ------------------------------------------11 Cfr. http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-05-15/spauracchio-socio-capitale-081424.shtml?uuid=AaYrSNXD 180 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 21 – Fattori propedeutici all’apertura verso gli investitori istituzionali La selezione delle PMI reputabili oggettivamente come potenziali società target per un’operazione di private equity dovrebbe avvenire, in prima battuta ed in linea generale, tenendo conto dei seguenti requisiti, variamente apprezzabili a seconda dei singoli casi aziendali ed obiettivi dei potenziali acquirenti (Tavola 22): l’evoluzione del fatturato e dell’utile netto nel corso degli ultimi anni d’esercizio; la storia e l’immagine della società; l’analisi della Posizione Finanziaria Netta degli ultimi anni d’esercizio; l’analisi dei principali indicatori finanziari quali, ad esempio, gli indici di indebitamento a breve termine, a lungo termine, di liquidità e di disponibilità. l’analisi di indici di redditività come il ROI e il ROE degli ultimi anni disponibili, la loro consistenza ed il loro confronto in ottica spazio/temporale; l’analisi dell’EBITDA dell’ultimo anno disponibile, il confronto con gli esercizi precedenti e la sua evoluzione; il rapporto EBITDA/vendite dell’ultimo anno disponibile ed il confronto con gli esercizi precedenti; in relazione a quanto sopra rilevato, sarà premiante possedere: fatturato ed Ebitda consistenti ed in crescita nel corso degli ultimi esercizi commerciali; una presenza di flussi di cassa costanti e abbondanti ed una situazione patrimoniale solida; una prevalenza delle immobilizzazioni materiali rispetto a quelle immateriali, per una più facile valutazione; crediti commerciali facilmente riscuotibili; la presenza di importanti progetti e potenzialità aziendali quali, ad esempio, l’espansione all’estero, lo sviluppo di nuove linee produttive o la valorizzazione dei marchi strategici, rintracciabili – in prima battuta – anche in documenti pubblici, quali la relazione sulla gestione; l’occupare una posizione di leadership nel proprio settore; l’avere linee di prodotto non altamente tecnologiche e non eccessivamente sofisticate. © Cesi Multimedia 181 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 22 – I fattori rilevanti per la selezione delle PMI target per operazioni di private equity A proposito di elementi legati ai dati di bilancio delle potenziali aziende target, che entrano in gioco nell’ambito delle trattative tra queste ultime e gli attori del private equity, è noto come (Tavola 23): sia diventato normale e patrimonio comune, fra le banche d’affari ed i fondi di private equity, valutare un’azienda in base ai cd moltiplicatori e nello specifico tramite – sovente – un multiplo del margine operativo lordo (in inglese EBITA), meno la posizione finanziaria netta; in tale quadro, le azioni/quote sono care se il multiplo è più alto dei comparables e non sono care se è inferiore; tutti gli addetti ai lavori sanno che il valore accettabile per un compratore finanziario dipende dal piano di sviluppo del business, dalla leva finanziaria applicabile e dal suo costo, dalla rischiosità del settore, dai potenziali valori di uscita e dal tasso di rendimento risk free applicato: pur rimanendo nel campo di ipotesi ragionevoli per ciascuno di tali elementi, la loro diversa combinazione può facilmente portare a risultati molto variabili; normalmente, però, i compratori finanziari esperti fanno ipotesi simili, per cui in ipotesi di processi di competizione per la vendita di aziende c’è sovente una sostanziale convergenza di valutazioni: in tale ambito, è solo per sintetizzare una valutazione molto articolata che si usa il multiplo dell’EBITDA meno la posizione finanziaria netta, anche perché è solo su simili basi che si possono effettuare confronti con transazioni simili ed ogni operatore necessita di un riferimento per sapere se il suo acquisto potenziale è caro o economico; se ciò appare indubbiamente vero, occorre però stare attenti a non confondere una sintesi (il multiplo) con il metodo di valutazione (il modello del business) perché il multiplo è solo un modo semplicistico di rappresentare un valore: senza alterare i fatti od i giudizi sulla qualità del piano, ma semplicemente modificando sistemi di riferimento o convenzioni contabili, in effetti si possono ottenere risultati radicalmente diversi12. ------------------------------------------12 Cfr.http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=20.0.1583498129&DocRulesView=Libero&chId=30 182 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 23 – La valutazione d’azienda Numerose sfide spettano alle PMI italiane qui, in termini di sopravvivenza e di crescita: in tale quadro, potrebbero essere vari fattori, tra cui gli elementi di crescita culturale delle nuove generazioni, di sagace attività consulenziale degli operatori di settore ed elementi legati ai mutamenti concorrenziali e di mercato nonché alla perdurante crisi finanziaria, a poter identificare sempre più nel private equity un modello tradizionale di sviluppo. QUESTIONARIO A seguire, si allega un possibile schema di primo questionario, con cui la PMI potrebbe cominciare a prendere confidenza con scenari come quelli ipotizzati. In genere, a quali forme di finanziamento fate ricorso durante il normale svolgimento dell’attività commerciale? <......> Per far fronte ai vostri investimenti e, più in generale, per sostenere il vostro fabbisogno finanziario, gradireste meglio il reinvestimento degli utili prodotti e non distribuiti, oppure il ricorso all’indebitamento a breve termine (specialmente tramite banche)? <......> Prendereste in considerazione il private equity come una possibile soluzione all’eventuale esigenza di fondi per sostenere un vostro importante progetto? <......> Se sì, quali pensate che siano i vostri punti di forza operativi e organizzativi su cui far leva per accedervi? <......> Secondo la vostra politica aziendale, l’investimento in R&S è: essenziale; molto importante; abbastanza importante; poco importante; assente o quasi. Per mantenere gli equilibri, migliorare la redditività ed incrementare l’utile dell’azienda, a cosa prestereste maggiore attenzione: al contenimento dei costi / sfruttamento di economie di scala; a compiere continui investimenti in R&S; a consolidare i rapporti con i clienti attuali e, se possibile, a cercarne di nuovi per incrementare la quota di mercato (dopo aver osservato attentamente il mercato di sbocco); altro (specificare). Secondo Lei, i vantaggi nell’accedere ad un fondo di private equity possono essere: sfruttare il notevole know-how dell’investitore istituzionale derivato dalle numerose realtà con cui esso si interfaccia; eliminare il problema della sottocapitalizzazione dell’impresa per concentrarsi su un altro obiettivo: rendere più profittevole possibile l’investimento; ottenere la liquidità necessaria per sostenere una crescita dimensionale dell’azienda; incentivare il management, chiamandolo a partecipare a operazioni di management buyout e a sottoscrivere una parte delle azioni; supportare il cambio generazionale all’interno dell’azienda; altro (specificare). Quale potrebbe essere un vostro business, così rilevante da richiedere un ingente fabbisogno di liquidità di tipo “strategico”? <......> Alla luce di ciò, far intervenire nel vostro azionariato un investitore istituzionale dotato di notevole esperienza (e di elevate capacità finanziarie) può rappresentare un problema di tipo culturale, dato che si tratta di un soggetto estraneo? <......> © Cesi Multimedia 183 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda 10.3.4 I fondi di turnaround Nell’ambito del supporto finanziario per le aziende in crisi, un ruolo importante, anche se tuttora molto poco diffuso in Italia, è quello dei fondi di turnaround. I fondi di turnaround sono di fatto dei fondi chiusi, che funzionano con un meccanismo analogo a quello dei fondi di private equity (Tavola 24). Nell’ambito delle iniziative di finanziamento di aziende in crisi, la presentazione di un operazione ai fondi di turnaround aggiungerebbe molte opportunità alla riuscita del risanamento, tramite le seguenti attività che dovrebbero essere svolte con il supporto di un advisor specializzato: disporre di un piano industriale di risanamento credibile o costruirlo con il supporto di specialisti: questo è fondamentale perché maggiore è la chiarezza e professionalità mostrata ai fondi maggiori sono le possibilità di concludere l’operazione; predisporre la documentazione necessaria in italiano ed inglese; avviare i contatti con i fondi specializzati, selezionare i fondi interessati ed avviare le trattative. Le modalità di finanziamento sono molto eterogenee, ma nella maggior parte dei casi però sono tutte accomunate: dal fatto che, al pari dei fondi di private equity e venture capital, i suddetti fondi hanno una precisa strategia di exit (uscita al termine del progetto di risanamento) che può avvenire con un riacquisto totale o parziale della proprietà supportato dall’entrata di un socio terzo (ad esempio un socio industriale o un altro fondo, in questo caso di private equity o di una holding di partecipazione). Tavola 24 – Fondi chiusi con le stesse caratteristiche Il Turnaround Monitor – TaM® è stato il primo osservatorio stabile relativo alle operazioni di ristrutturazione aziendale poste in essere in Italia da parte di investitori istituzionali in capitale di rischio: l’osservatorio, attivo presso l’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza, è nato grazie al contributo di Orlando Italy, fondo di private equity dedicato alle special situations. Il private equity specializzato negli interventi in aziende che si trovano in fase di crisi finanziaria può avere un ruolo fondamentale: perché interviene immettendo nuovo capitale: un capitale che deve però poter lavorare realmente per il futuro dell’impresa e non essere destinato a ripagare gli errori delle gestioni precedenti; perché in Italia esistono gli strumenti giuridici perché questo avvenga e fanno riferimento alla nuova legge fallimentare del 2007, che ha rivisto e migliorato la precedente normativa introducendo istituti innovativi e riformulati, con lo scopo di favorire una composizione negoziale della crisi, non più orientata esclusivamente alla tutela del ceto creditorio, ma anche e soprattutto all’impresa in difficoltà, mirando alla salvaguardia dei suoi valori produttivi anche se in forma diversa o più ridotta a seguito dell’intervento di risanamento. 184 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Peraltro, il segmento del turnaround rappresenta ancora ad oggi in Italia – a differenza di molti paesi esteri – una nicchia ristretta del mercato del private equity, orientata alle imprese di taglia più grande: un dato, questo, che dimostra come tale tipologia di investimento non abbia ancora conquistato le quote di mercato ipotizzate in passato, anche alla luce della Riforma Fallimentare del 2006 che sembrava aver gettato le basi per lo sviluppo di questa particolare forma di investimento; quasi tutte le operazioni concluse negli ultimi anni in Italia, peraltro, dimostrano l’effettivo contributo dei fondi alla ripresa delle imprese in difficoltà durante il periodo di detenzione della partecipazione, senza il quale sarebbe stato pressoché impossibile vendere tali società a terzi soggetti industriali: a tale riguardo, si nota come gli investitori hanno optato per società operanti nel settore dei beni di consumo e, nella maggior parte dei casi, in presenza di una forte brand awareness, ovvero di una riconoscibilità del marchio a sostegno del commitment del fondo. Tra queste, alcuni esempi possono essere rappresentati da Moncler, Gio Style, Allegri, Cirio e Conbipel; pochi i fondi specializzati che hanno svolto attività d’investimento in modo continuativo e sistematico, ai quali è riconducibile una leadership di mercato: Orlando Italy e Atlantis Capital Special Situations. Dall’analisi emerge, pertanto, un chiaro approccio opportunistico da parte di fondi italiani generalisti e la presenza sporadica di alcuni operatori stranieri, tra cui Oaktree Capital Management, Cinven e Hal Investments; la distribuzione geografica degli investimenti, concentrata prevalentemente al Nord, sembra riflettere il trend evolutivo delle procedure concorsuali sul territorio emerso dalla seconda parte dello studio. L’analisi dei dati disponibili, infatti, ha messo in evidenza come l’andamento del numero delle procedure concorsuali rifletta la distribuzione del tessuto imprenditoriale e industriale italiano: a fronte di una forte presenza di imprese nel Nord Italia, si rileva la maggiore criticità in termini di imprese in difficoltà; i potenziali casi di situazioni distressed latenti in Italia, nell’ambito del Turnaround Monitor – TaM®13, sono stati individuati sulla base delle seguenti ipotesi: rapporto Debiti/EBITDA > 5 o negativo; rapporto Debiti/Equity > 3; grado di copertura degli interessi passivi < 1. 10.3.5 Il venture capital Il venture capital è un segmento nel settore del cosiddetto private equity, caratterizzato da investitori che finanziano le fasi iniziali dello sviluppo di un’azienda fortemente orientata alla crescita e all’innovazione: un tipico esempio è il venture capital tecnologico, che in particolare segue mercati ed aziende che operano all’interno dei segmenti più avanzati dell’innovazione high-tech. Esso è un segmento molto importante dell’economia mondiale in quanto motore di innovazione, sviluppo e creazione di azienda14: si tratta infatti di operatori specializzati che investono nelle fasi iniziali di un progetto imprenditoriale, ritenuto particolarmente promettente. Una delle esigenze primarie è innanzitutto, quindi, quella di diffondere – da parte di operatori specifici – e di approcciare maggiormente (da parte degli imprenditori) questo tipo di operazioni, che sono assolutamente determinanti (come risulta palese in molti paesi a economia avanzata) per sostenere il processo innovativo del paese, specie laddove riferite a processi early stage e non expansion. Con il termine di “early stage financing” si intende – come noto – un’operazione di acquisizione temporanea di quote di partecipazione al capitale di società, da parte di un intermediario specializzato, finalizzate a finanziarne la fase iniziale (early stage), con lo scopo di dismetterle in un arco temporale medio/lungo al fine di realizzare un guadagno in conto capitale. Gli interventi di early stage financing sostengono le fasi iniziali di un’impresa o di un business e sono rivolti molto spesso al settore tecnologico, dove gli alti tassi di crescita attesi che si legano all’innovazione di prodotto consente di formulare ipotesi di uscita nel medio termine pur partendo da livelli dimensionali minori. ------------------------------------------13 Cfr. http://www.elab-unibg.it/wp-content/uploads/2013/01/57819.pdf Il venture capital ha finanziato le principali società informatiche e presenti in Internet degli ultimi anni, da Microsoft a Google, così come le più importanti iniziative nei campi delle biotecnologie, nel medicale, nanotecnologia e nel settore del green tech. 14 © Cesi Multimedia 185 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Esistono diverse dimensioni (Tavola 25) dell’attività di venture capital (seed, start-up, first stage, expansion, bridge, ecc.), di cui due meritano una peculiare attenzione15: 1) seed financing: specialmente per settori tecnologici, si interviene nella fase di sperimentazione, quando la validità tecnica ed economica del prodotto e del servizio non è ancora acclarata (assenza di produzione) e, spesso, non esiste un vero e proprio business plan strutturato (nascita dell’impresa); 2) start-up financing: una volta superata la fase di sperimentazione, il bene oggetto di investimento è caratterizzato da produzione e test avanzati e si connota nella fase di avvio dell’attività. Tavola 25 – Le diverse dimensioni del venture capital In relazione alla presentazione del secondo rapporto sull’Early stage in Italia16, emerge come, in un’Europa che nel corso del 2012 ha cominciato ad arrancare negli investimenti in venture capital, l’Italia in tema di start-up finalmente brilla, reggendo i livelli di investimento grazie anche alla crescente collaborazione tra business angels e fondi istituzionali: il passo successivo, per arrivare ad un coerente sviluppo dell’eco-sistema, risiede nell’assicurare i più opportuni strumenti di exit per gli investitori e nel moltiplicarsi di attori lungo l’intero ciclo di vita della start-up. In estrema sintesi, i dati salienti emergenti dal suddetto rapporto sono i seguenti: mentre nel 2011 si marcava nettamente la separazione tra attività dei venture capitalist e quella dei business angels, nel 2012 c’è un exploit del numero di operazioni in cui si vede la loro contemporanea presenza; nel mercato dell’early stage, nel 2012, esclusi gli operatori pubblici e i follow on, si registra un ammontare investito totale di 80 milioni di euro, di cui 50 milioni di euro da parte degli operatori istituzionali e 30 milioni di euro da parte dei business angels: mentre i fondi aumentano gli investimenti nelle aziende, i business angels segnano un -40%, se però nell’ambito delle operazioni si registra una riduzione da parte degli angels, l’ammontare dell’investimento medio è in crescita, raddoppiando: si è passati, infatti, da una media di 180.000 euro per operazione, nel 2011, a 360.000 euro del 2012; il venture capitalist continua a investire ma si sta orientando più verso operazioni di seed capital che comportano una riduzione del taglio medio dell’investimento, da un milione di euro a circa 800.000 euro. Il dato medio dell’intera filiera dell’early stage è invece di circa 650.000 euro, per lo più dovuto ad alcune grandi operazioni; per quanto riguarda la geografia degli investimenti, a livello aggregato, la Lombardia cattura il 33% del mercato, mentre al Sud si vede ancora poca attività. Da sottolineare come i business angels continuano a focalizzarsi prevalentemente su Lombardia, Toscana e Piemonte, mentre i venture capitalist hanno guardato con molto interesse anche al Sud, per circa il 35% dei loro investimenti; per quanto attiene ai settori di investimento (cfr. figura 17), l’ICT è primo per interesse con il 44% del mercato (il venture capital da solo supera per il 50% del totale), soprattutto nelle applicazioni web e mobile. I business angels continuano a investire molto nel settore energia e ambiente, seguito da ICT e da med tech, comparti in cui sembra che i venture capitalist abbiamo ridotto nel tempo il loro interesse; il 20% degli investimenti effettuati sia dagli angels sia dai fondi è stato in sostanza mirato verso startup innovative: il dato è interessante e testimonia il riscontro positivo degli operatori nel settore della nuova ti- ------------------------------------------15 16 Il riferimento principe in queste brevissime note che seguono è appunto agli importanti processi c.d. early stage. Cfr http://www.privateequitymonitor.it/attach/early_stage_in_italia_survey_2013.pdf 186 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda pologia di società, soprattutto se si considera che la legge italiana che ha introdotto le startup innovative nel nostro ordinamento è in vigore solamente da fine 2012 e che non sono ancora operativi i relativi incentivi fiscali. L’Associazione italiana del private equity e del venture capital ha peraltro rilasciato dati relativi all’andamento degli investimenti nel corso del primo semestre del 201317. In estrema sintesi, i dati salienti sono i seguenti: gli investimenti early stage, quindi quelli diretti alle start-up, fanno registrare un andamento a due velocità: da un lato si registra una crescita del numero delle operazioni che sono state 65, quindi oltre il 40% del totale, ma con un totale investito corrispondente in netta flessione che si è fermato a 28 milioni di euro vale a dire il 2% del totale; nel 2012 gli investimenti early stage furono 55 per un valore complessivo di 67 milioni di euro, quindi la flessione del capitale destinato a queste operazioni sfiora il 60% e considerando che il numero delle operazioni è cresciuto si nota come la media di investimento per singolo deal sia ora pari a poco più di 400mila euro; risulta evidente la crescita dell’attenzione (Tavola 26) verso le aziende innovative e tecnologiche, che intercettano il 69% degli investimenti e si dividono nei settori computer con nove investimenti, media e intrattenimento con otto investimenti, medicale con otto investimenti, biotecnologie con cinque investimenti, energia e utility con tre investimenti, e poi un investimento nei settori chimico, distribuzione al dettaglio, servizi finanziari, i restanti dieci investimenti in realtà tecnologiche sono andati ad aziende di servizi; una contrazione dell’investimento medio nelle start-up non è un dato da vedere negativamente: è però importante che anche gli investimenti di expansion continuino a crescere e ad agire come round successivi anche per le start-up tecnologiche. Tavola 26 – I settori delle aziende innovative Come ben noto, il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha introdotto nel panorama legislativo italiano un quadro di riferimento organico per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative (startup); la normativa è stata successivamente modificata dal d.l. n. 76/2013, in vigore dal 28 giugno 2013. Si tratta di un provvedimento che sembra in effetti aver posto le basi per azioni sinergiche profonde, in grado di innestare circuiti virtuosi tra operatori finanziari specializzati e nascita di nuove imprese, specie in settori ad alto rendimento potenziale. In base alla situazione fotografata dal progetto ‘The Italian Startup Ecosystem: Who’s Who’18, promosso da Italia Startup e dagli Osservatori del Politecnico di Milano, in collaborazione con Smau e con il supporto del Ministero dello Sviluppo economico, ad oggi: ------------------------------------------17 18 Cfr http://www.aifi.it/IT/PDF/Statistiche/IlmercatoitalianodelPEeVCnelI%20semestre2013.pdf Cfr http://www.italiastartup.it/whoiswho/ © Cesi Multimedia 187 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda sussiste una stima di investimenti per 110 milioni di euro per il 2013 sulle startup innovative, che in Italia sono 1.227, distribuite per il 50% al nord, il 36% al centro e il 14% al sud; sono 113 le startup hi-tech finanziate, 97 gli incubatori e acceleratori (di cui 64 pubblici e 33 privati), 32 gli investitori istituzionali (6 pubblici e 26 privati), 40 i parchi scientifici e tecnologici (37 pubblici e 3 privati), 65 gli spazi di coworking e 33 le competizioni dedicate alle startup; l’Italia è diventata un paese più ospitale per le startup innovative: grazie al Decreto Crescita Bis, chi intende avviare un’impresa innovativa ha la vita più facile. sussiste una potenziale propensione all’imprenditorialità per circa 360.000 persone in Italia, rappresentando quest’ultimo un dato di assoluta rilevanza strategica19. Ma quali sono gli elementi determinanti per risultare appetibili ad un investitore specializzato nell’early stage financing? Come si determina la scelta di un investimento in un progetto piuttosto che in un altro? A tale riguardo, si può tentare (Tavola 27) di fare una sintesi estrema: 1) Primo focus: le persone. Chi è l’imprenditore od il team? Quanto sono motivati? Saranno in grado di gestire l’azienda? È una banalità, ma sovente lo si trascura, che le aziende sono fatte essenzialmente di persone e, particolarmente all’inizio, le poche persone chiave sono l’elemento determinante, in ultima analisi, per il successo di qualunque iniziativa. 2) Secondo focus: il business. Qual è la business idea e l’opportunità proposta? A quale mercato si indirizza? Quali i rischi? 3) Terzo focus: il prodotto/servizio ed il mercato. Quale esigenza guida la società? È un business scalabile? Ci sono dei punti di arrivo intermedio (c.d. milestones) in grado di validare il modello proposto? 4) Quarto focus: il business plan. Il piano è consistente con le ambizioni ed i modelli presentati? Come cambiano i numeri in base a diversi scenari di mercato? Tavola 27 – I focus del venture capital ------------------------------------------19 Cfr. http://www.italiastartup.it/wpcontent/uploads/2013/06/ItaliaStartup_Propensione_imprenditoriale_infografica-.png 188 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Il limitato sviluppo – se rapportato ad altri analoghi paesi – del venture capital in Italia si lega indubbiamente ad una scarsa conoscenza da parte degli imprenditori di come funziona questo settore, di quali sono le “regole del gioco” ed in ultima analisi di come operano e di quali obiettivi hanno gli operatori di questo segmento, con il risultato che spesso e volentieri vengono presentati progetti ‘timidi’ (nicchie di mercato ad esempio), spesso ‘locali’ o semplicemente poco innovativi o troppo indietro rispetto al mercato. Gli investitori di venture capital, con un’intensità tanto maggiore quanto più ci si indirizzi in settori “avanzati” – tipicamente nel campo tecnologico – cercano: team imprenditoriali ambiziosi e competenti; aziende che hanno individuato una chiara opportunità di mercato, anche se al momento inespressa o latente, con un business però chiaramente “trainato” da dinamiche di mercato ‘forti’; poche idee, ma forti e chiaramente espresse; obiettivi definiti e piani congruenti per raggiungerli. La logica sottostante degli investitori, in questo ambito, è quella che l’assunzione del rischio in una nuova iniziativa sia bilanciata dalla possibilità di ritorni molto significativi. Non è inusuale che un investimento di venture capital possa rendere 5-10-20 volte il capitale inizialmente investito, laddove l’investimento vada bene. Per contro, è nella norma che, su un certo numero di investimenti effettuati, alcuni di questi si traducano in un insuccesso e quindi nella perdita del capitale investito. Chiariti questi aspetti, è importante quindi sottolineare quello che tipicamente invece non interessa al venture capital. Tipicamente, molte iniziative imprenditoriali non vengono ritenute interessanti per motivi ricorrenti, che presentiamo discorsivamente di seguito: il management team non convince. A volte, l’imprenditore che propone di investire nella sua azienda, in realtà, ha un atteggiamento diciamo “da manager” rispetto all’iniziativa o non è pronto a prendersi la piena assunzione del rischio: ad esempio, non è serio presentarsi con tutte le carte in regola, ma con la richiesta di avere uno stipendio da megamanager, spesso totalmente fuori luogo; molti si presentano con la classica “idea”. Il venture capital investe in aziende, non in idee. Le idee sono fondamentali e senza di esse non c’è nemmeno materia di discussione, ma è il passaggio da idea ad azienda – con tutte le implicazioni connesse – che può interessare un investitore; bel progetto ma “timido”. Ridurre il rischio limitando fortemente il potenziale (ad esempio un bel progetto, ma limitato ad una nicchia di mercato) spesso non paga quando si parla ad investitori di venture capital, che ben conoscono i rischi connessi alla creazione di una nuova iniziativa in un nuovo mercato; l’opportunità di mercato individuata è troppo “piccola” per giustificare il rischio; la business idea è complicata o esplicitata in modo poco chiaro e coerente; i numeri “non girano”, vi sono troppe incongruenze, che spesso denotano poche competenze specifiche delle dinamiche di mercato; talora, semplicemente “non gira” la storia complessiva, non convince. Cercando di tentare un quadro di sintesi, seppur con tutte le limitazioni del caso, i problemi più evidenti sembrano identificarsi in: un generale atteggiamento di “improvvisazione creativa” e scarsa progettualità, che allontana e disincentiva gli investitori; occorre molta meno superficialità e più studio da parte degli aspiranti imprenditori, più analisi del modello di business che deve sostenere l’idea (business plan); un’endemica mancanza di infrastrutture, di “luoghi aggreganti” dove far circolare capitali, idee, persone in un unico punto. A quanto pare, Internet ed i nuovi media non possono sostituire assolutamente la virtuosa collaborazione, che nasce quando gli attori di un processo si trovano nello stesso luogo; una burocratizzazione che allunga terribilmente i tempi/costi per avviare un’azienda ed impedisce di conoscere ed accedere con semplicità a tutte le possibili fonti di finanziamento, tra cui appunto i venture capital. Andando nello specifico della R&S, che è materia di assoluta rilevanza nell’ambito dei fattori di concorrenzialità del sistema aziendale nazionale, è opportuno spendere qualche parola su come essa possa trarre vantaggio dal venture capital. In effetti, è indispensabile unire ricerca a venture capital, in modo da ottenere una gestione unitaria delle risorse ed una distribuzione coerente degli obiettivi: il venture capital dovrebbe tendere ad integrare le competenze che vengono sviluppate negli ambiti di ricerca e quest’ultima dovrebbe prendere atto di un’economia che richiede sempre più di comprimere i processi di sviluppo delle innovazioni. © Cesi Multimedia 189 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda È quest’ultima analisi che può apparire contraddittoria, perché la ricerca ha bisogno, per crescere, di stabilità e di progetti a lungo periodo, mentre il venture capital trasmette, almeno nell’immaginario di chi non conosce appieno le sue potenzialità, elementi di turbolenza e frammentazione. Tuttavia, il venture capitalist “stratega” e ligio alla propria filosofia di base, capovolge questa prospettiva, perché entra in un’azienda, ammette di possedere una quota anche di minoranza e, nel momento stesso in cui investe, conosce il suo cammino di uscita: tale percorso non è in contraddizione con il disegno strategico perché un’azienda nasce, infatti, nel momento in cui il prodotto diventa commodity, che è la stessa fase in cui cresce la curva di una tecnologia. Nel momento in cui la curva si abbassa, e nel campo delle soluzioni tecnologiche avviene velocemente, bisogna pensare, senza tergiversare, a fissare nuovi obiettivi. In tale quadro, è altresì giusto domandarsi se il venture capital non rischi comunque di pressare – negativamente – la ricerca sulle esigenze di breve e brevissimo termine: ma anche ciò andrebbe chiarito, poiché andrebbero stabiliti rientri economici alla giusta distanza, ribadendo la logica dell’orizzonte temporale di lungo termine. Da tale punto di vista, semmai, il venture capital costringe i ricercatori ad accettare una metrica, vedere i risultati, sopportare il rischio. Laddove vi sia un fallimento, se ne potrà dedurre che la strategia non ha funzionato: dunque, non si tratta tanto di allontanare il fantasma delle scadenze troppo serrate, ma semmai di accettare una gradualità, evitando ogni atteggiamento difensivo. Misurare non va inteso come uccidere la ricerca, ma semmai valorizzarla, orientandola ad un fine. Visto che i presupposti di chiarezza del business e delle progettualità vengono in qualche modo “estremizzati” nell’ambito del dialogo tra investitore di early stage ed azienda target, si può sostenere sarebbe ben auspicabile, da parte delle PMI e di tutti i soggetti con essa coinvolti (consulenti specialisti, istituzioni pubbliche, ecc.), un deciso salto di qualità nell’approccio ad un potenziale volano di crescita così rilevante. 10.3.6 Il crowdfunding Il crowd funding o crowdfunding (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) è un processo collaborativo di un gruppo di persone, che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni: in sostanza è un processo di finanziamento dal basso, che mobilita persone e risorse. Il termine trae la propria origine dal crowdsourcing, processo di sviluppo collettivo di un prodotto: il crowdfunding si può riferire a processi di qualsiasi genere, dall’aiuto in occasione di tragedie umanitarie al sostegno all’arte e ai beni culturali, al giornalismo partecipativo, fino all’imprenditoria innovativa e alla ricerca scientifica. Il web è solitamente la piattaforma che permette l’incontro e la collaborazione dei soggetti coinvolti in un progetto di crowdfunding: colui che ha portato alla notorietà il crowdfunding oltreoceano è Barack Obama, pagando parte della sua campagna elettorale per la presidenza con i soldi donati dai suoi elettori, i quali erano i primi portatori di interesse. Le iniziative di crowdfunding si possono distinguere in iniziative autonome, sviluppate ad hoc per sostenere cause o progetti singoli, e piattaforme di crowdfunding: esempio di iniziativa autonoma di crowdfunding è la campagna che si chiamava “Tous Mecenes” (tutti mecenati) del Louvre, in cui il progetto prevedeva di raccogliere 1 milione di euro attraverso le donazioni delle web community per acquistare il capolavoro rinascimentale Le tre grazie di Cranach da un collezionista privato. Le piattaforme di crowdfunding sono siti web che facilitano l’incontro tra la domanda di finanziamenti da parte di chi promuove dei progetti e l’offerta di denaro da parte degli utenti: le piattaforme di crowdfunding si possono distinguere in generaliste, che raccolgono progetti di ogni area di interesse, e verticali (o tematiche), specializzate in progetti di particolari settori. Attraverso Kickstarter, gli ideatori del social network Diaspora hanno raccolto oltre 200 000 dollari, partendo da una richiesta di finanziamento iniziale di 10 000 dollari20. Nel caso degli imprenditori che chiedono alla Rete di finanziare la loro idea, in cambio di una partecipazione nella nuova azienda, si parla di equity crowdfunding: un processo che sostituisce o integra con il finanziamento diffuso la tradizionale raccolta di fondi tra i venture capitalist. Il finanziamento delle start-up è al centro del dibattito finanziario, come sopra visto ed il crowdfunding: è una delle modalità più veloci e moderne per consentire alle aziende neonate di trovare soci e finanziatori, specie in un momento in cui non è sempre facile ottenere credito dalle banche; ------------------------------------------20 Cfr http://it.wikipedia.org/wiki/Crowd_funding 190 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda stando ai dati recentemente diffusi in occasione della seconda convention internazionale sul crowdfunding, che si è tenuta a Las Vegas, dopo che nel 2012 questa modalità di raccolta di fondi ha permesso di drenare via internet oltre 2,7 miliardi di dollari, per la fine del 2013 si va verso il raddoppio, con una raccolta stimata di 5 miliardi di dollari. Proprio a un particolare tipo di start-up – quelle innovative – come noto sono dedicate alcune norme introdotte dal decreto legge n. 179/2012 (convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221) recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” (noto anche come “Decreto crescita-bis”): nel complessivo disegno del legislatore, l’equity crowdfunding (Tavola 28) è visto come uno strumento che può favorire lo sviluppo delle start-up innovative attraverso regole e modalità di finanziamento in grado di sfruttare le potenzialità di internet. Tavola 28 – L’equity croedfunding Il Decreto ha delegato alla Consob il compito di disciplinare alcuni specifici aspetti del fenomeno con l’obiettivo di creare un “ambiente” affidabile in grado, cioè, di creare fiducia negli investitori. In questo quadro, in Italia, il 26 giugno 2013, la Consob ha adottato le nuove regole per il crowdfunding, statuendo il “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line”21, che pone una serie di obblighi per gli operatori che vogliano reperire risorse attraverso questo strumento e per i potenziali finanziatori. In sintesi, la Consob ad oggi prevede: un’esenzione dall’applicazione della disciplina sui servizi di investimento purché non si superi la soglia di 500 euro per ogni singolo ordine e di 1.000 euro per ordini complessivi annuali, nel caso di investimenti delle persone fisiche; che le stesse soglie crescono rispettivamente a 5mila e 10mila euro nel caso di investimenti di persone giuridiche; al punto 2 dell’articolo 24, che, “ai fini del perfezionamento dell’offerta sul portale, il gestore (del portale di crowdfunding, ndr) verifica che una quota almeno pari al 5% degli strumenti finanziari offerti sia stata sottoscritta da investitori professionali o da fondazioni bancarie o da incubatori di start-up innovative”. Il regolamento stesso, all’articolo 2, prevede che per “investitori professionali” si intendano “i clienti professionali privati di diritto (...) nonché i clienti professionali pubblici di diritto previsti dall’articolo 2 del decreto ministeriale 11 novembre 2011, n. 236 emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze”: Con il varo del regolamento Consob, l’Italia si pone all’avanguardia, almeno dal punto di vista normativo: siamo il primo paese europeo ad adottare un pacchetto di regole per conferire alle start-up la possibilità di reperire capitali tramite la Rete, aumentando allo stesso tempo le protezioni per gli investitori. Secondo alcune interpretazioni (Tavola 29), tuttavia, tale norma restringerebbe eccessivamente il campo dei potenziali soci finanziatori delle start-up, tagliando fuori ad esempio i cosiddetti “business angel”, quegli investitori singoli cioè che, forti di un buon patrimonio e buoni contatti, si lanciano in maniera informale nell’impresa imprenditoriale. Il motivo per cui questi investitori sono stati esclusi dal crowdfunding è che non esiste una figura giuridica ufficiale; tagliati fuori dal crowdfunding risultano anche i venture capitalist. Un’esclusione che è stata contestata dall’Aifi, l’Associazione Italiana del private equity e venture capital: l’associazione osserva che, nonostante l’Italia sia stato il primo paese a realizzare il regolamento che disciplina il crowdfunding, non esiste tuttavia la possibilità per i venture capitalist di accedere a tale sistema, in quanto manca a monte una definizione ------------------------------------------21 Cfr http://www.consob.it/main/trasversale/risparmiatori/investor/crowdfunding/index.html © Cesi Multimedia 191 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda di venture capital. Il regolamento europeo, entrato in vigore lo scorso 22 luglio 2013, può essere l’occasione per l’Italia di colmare questo vuoto rendendo la disciplina Consob aperta a tutti gli operatori nel capitale di rischio, così come si era richiesto alla Consob stessa in fase di consultazione preliminare all’emanazione del regolamento22. Tavola 29 – Il crowdfunfing e gli altri investitori istituzionali 10.4 La quotazione in borsa L’attuale andamento economico e le incerte previsioni sulla ripresa del sistema finanziario italiano (ed europeo) rendono necessario per le imprese trovare soluzioni di rafforzamento patrimoniale e soprattutto soluzioni in termini finanziari23: la stretta creditizia, infatti, colpisce in particolar modo le aziende di modeste dimensioni, che costituiscono l’ossatura dell’economia italiana, ponendo forti limiti in termini d’investimenti e crescita, ricerca e innovazione; con l’ampliamento dei mercati e la creazione di un mercato internazionale e senza barriere, la concorrenza si è fatta più agguerrita e l’innovazione tecnologia procede a ritmi talmente sostenuti da ridurre notevolmente il normale ciclo di vita di alcuni prodotti e servizi; le imprese italiane, per sopperire alla mancanza di liquidità, e dunque all’impossibilità di finanziare la propria attività, hanno, da lungo tempo, fatto ricorso principalmente al sistema bancario, spesso in misura inappropriata; la crisi economica non ha colpito soltanto direttamente le imprese: le istituzioni bancarie sono oggi più restie ad accordare crediti e prestiti, monitorando costantemente l’attività intrapresa dalle aziende; l’ottica più oculata, i tassi d’interesse in aumento e i costi di finanziamento sempre più elevati (in molti casi insostenibili per le microimprese), dovrebbero portare le aziende italiane a guardarsi intorno e cercare nuove vie di sbocco: il mercato borsistico è una delle alternative da intraprendere, ancor più oggi, a seguito della nascita di mercati alternativi del capitale destinati specificatamente alle piccole e medie imprese. La borsa è sempre stata un mezzo per accedere a nuove risorse di natura finanziaria, ma anche imprenditoriali e intellettive; tuttavia stringenti requisiti e oneri di quotazione molto elevati, hanno portato le PMI italiane a escludere questa forma d’investimento; inoltre la paura degli imprenditori di perdere il controllo della propria azienda (si ricordi che il modello più diffuso è l’azienda familiare), rivolgendosi a una platea ampia, ha bloccato aziende che avrebbero potuto far affidamento sul mercato stesso. I nuovi mercati alternativi, grazie ad una regolamentazione più flessibile e a uno snellimento in termini di requisiti e tempistiche di accesso al mercato rappresentano quella scelta strategica, seppur di carattere straordinario, che impatta su tutti gli elementi, non solo interni l’azienda, ma anche nelle relazioni con gli stakeholders ed il mercato più in generale. Secondo una ricerca condotta dalla professoressa Geranio, dell’Università Bocconi, se l’Italia portasse a 1.000 il numero delle società quotate (al 31.12.12 le società quotate in Borsa Italiana sono 323), si avrebbero importanti ------------------------------------------22 23 Cfr.http://www.repubblica.it/economia/finanza/2013/10/24/news/dopo_la_consob_anche_la_sec_disciplina_il_crowdfunding-69368434/ Per gli approfondimenti sul mercato dei capitali, si ringrazia la dott.ssa Ilaria Sdrubolini. 192 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda effetti per l’economia reale: la crescita del PIL si attesterebbe tra lo 0,9% e l’1,5%, con una riduzione del 6,9% del tasso di disoccupazione e un aumento del gettito fiscale pari a 2,85 miliardi di euro. La decisione di quotarsi per un’azienda resta comunque una scelta difficile, che ha importanti implicazioni, ma “avere i mezzi idonei ad affrontare politiche di crescita e d’investimento è l’unica vera scommessa su cui vale la pena giocare, proprio in una fase di profonda crisi24“. Le PMI – come noto – mostrano esigenze che rendono necessario il ricorso a un mercato caratterizzato da requisiti di accesso e permanenza più semplici e da un processo di quotazione più veloce e che consenta l’apertura del capitale al mercato finanziario da parte degli imprenditori in maniera molto graduale, evitando pertanto che il passaggio di azioni avvenga in maniera traumatica per la proprietà familiare. Contrariamente a quanto si possa comunemente pensare, le PMI che possono ambire a entrare in Borsa possono ad oggi essere anche molto piccole, con fatturati persino di pochi milioni di euro: indipendentemente dalla dimensione, ciò che comunque accomuna le società che entrano in Borsa, in particolare le piccole e medie imprese, è la volontà di prendere molto seriamente la propria crescita e la sua gestione. Il successo di un’offerta finalizzata alla quotazione dipende, tuttavia, anche dalle concrete prospettive di sviluppo, dal modo in cui questa si prepara ad affrontare il mercato, dal rapporto proprietà/impresa, dalla presenza di un management professionale e dalla disponibilità di comunicare in modo trasparente ed efficace. La scelta del mercato25 non è una cosa facile, né può essere lasciata all’intuizione dell’imprenditore; è opportuno, innanzitutto, quotarsi nel mercato che presenta le caratteristiche più vicine a quelle dell’azienda. Un primo criterio da prendere in considerazione è quello dimensionale. Il sistema economico italiano, come ampliamente discusso nel primo capitolo, è costituito prevalentemente da PMI, spesso sottocapitalizzate e chiuse rispetto il mondo di opportunità che le circonda: per favorire lo sviluppo di tali aziende, Borsa Italiana ha avviato un progetto denominato “Elite”, al fine di creare una sistema attorno alle eccellenze italiane26. Un centinaio sono le aziende che hanno aderito al progetto di sviluppo che si concentra fonda su quattro pilastri: la formazione, la tutorship, la community e la visibilità. Attraverso Elite, dunque, le piccole e medie imprese possono realizzare i loro progetti di crescita e prendere coscienza delle proprie potenzialità, comunicandole efficacemente all’esterno, generando nuove opportunità di business e facilitando il reperimento di risorse finanziarie: Elite rappresenta quindi un trampolino di lancio verso i mercati del capitale, una “palestra di Borsa Italiana che forma i campioni di domani27”. Il mercato borsistico italiano più consono (Tavola 30) ad un processo di quotazione di una PMI è oggi indubbiamente l’AIM Italia/MAC mercato unico – varato nel marzo del 2012. Le società ad oggi quotate sul mercato AIM Italia / MAC sono 30 – il dato è aggiornato a settembre 2013 e si tenga presente che altre 9 società effettueranno un IPO entro la fine del 2013 – per una capitalizzazione complessiva che si supera di poco il miliardo di euro. Il nuovo mercato unico, dedicato esclusivamente alle Piccole e Medie Imprese, nasce il 1 marzo 2012 a seguito della fusione dei due mercati complementari AIM Italia e MAC, messa in atto, come già detto, dall’Advisory Board di Borsa Italiana, nell’ottica di valorizzazione delle esperienze maturate con i precedenti mercati. L’unificazione è stata raggiunta con la modifica dei rispettivi regolamenti e l’adozione di un unico regolamento, con cui sono state introdotte alcune novità: riduzione del numero di bilanci certificati (da tre a uno); riduzione degli obblighi informativi: ad esempio non è più necessario comunicare le variazioni della sede sociale o della data di chiusura del bilancio, così come la soglia per la comunicazione di operazioni di internal dealing28 passa da €5.000 a € 50.000; anche i cambiamenti significativi degli assetti proprietari dovranno essere dichiarati soltanto se superano il 5% (prima era il 3%); le nuove emittenti dovranno effettuare un richiamo alle disposizioni relative alle società quotate in tema di Offerta Pubblica di Acquisto; ------------------------------------------24 Cfr. introduzione al testo “Elite ed AIM Italia” di Arlotta C., Bertoletti F., Boccia A., Coda Negozio E., Pesaro C. e Venturini G. Per ogni dettaglio in materia, cfr. www.borsaitaliana.it. 26 Cfr “Piccole in borsa crescono” di Astone F., articolo pubblicato su “Il mondo” del 3 luglio 2013. 27 Cfr. “Elite e AIM Italia Mercato Alternativo del Capitale per valorizzare e sostenere la crescita delle PMI italiane” di Arlotta C., Bertoletti F., Boccia A., Coda Negozio E., Pesaro C. e Venturini G. 28 Operazioni di compravendita di titoli della società quotata da parte di amministratori, sindaci e managers. 25 © Cesi Multimedia 193 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda con riferimento alle operazioni significative, la soglia degli indici di rilevanza è stata innalzata dal 10% al 25%; gli indici per la determinazione della dimensione di un’operazione sono: indice di rilevanza dell’attivo lordo (attivo lordo dell’oggetto dell’operazione/attivo lordo dell’emittente * 100); indice di rilevanza dell’utile (utile dell’oggetto / utile dell’emittente*100); indice di rilevanza del fatturato (fatturato dell’oggetto / fatturato dell’emittente * 100); indice di rilevanza del controvalore (controvalore dell’operazione / valore di mercato delle azioni ordinarie * 100); indice di rilevanza del gross capital29 (gross capital della società o del business che viene acquisito/gross capital dell’emittente * 100)30. Tavola 30 – Un punto d’incontro tra PMI e AIM Il nuovo mercato continua ad essere un Multilateral Trading Facility, regolato e gestito da Borsa Italiana: esiste dunque un mercato primario, al quale possono accedere investitori professionali ed istituzionali ed un mercato secondario, aperto anche agli investitori retail. I requisiti di accesso al mercato (Schede 1 e 2 e Tavola 22), richiesti per le emittenti, sono molto “blandi”: non è infatti richiesto un capitale minimo e la percentuale minima di flottante richiesta è del 10%; anche i documenti da predisporre al momento della richiesta di quotazione sono ridotti: si tratta dell’ultimo bilancio, che deve essere sottoposto a revisione contabile ed il documento di ammissione mentre, dal momento in cui la società è quotata sarà necessario il bilancio annuale, redatto secondo i principi contabili italiani o internazionali, a scelta della quotanda ed una relazione semestrale. Scheda 1 – I requisiti di accesso al mercato Flottante Bilanci certificati Investitori Documenti di ammissione Market cap (€) Advisor principale Adempimenti post quotazione Dati trimestrali Dati semestrali Bilancio annuale Principi contabili AIM Italia/ MAC 10% 1 (se esistente) Investitori professionali; successivamente anche retail Documento di ammissione Nessun requisito Nomad Informativa price sensitive in occasione di operazioni straordinarie No Si Si Internazionali IAS/IFRS o italiani (a scelta dell’emittente) Fonte: Borsa Italiana ------------------------------------------29 Gross capital è l’aggregato del valore di mercato degli strumenti finanziari (escluse le azioni proprie) e di tutte le passività (diverse dalle passività correnti). 30 Methoris, “Nuovo mercato non regolamentato di Borsa Italiana e i principali mercati non regolamentati europei”. 194 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda A seguire, si indicano le principali caratteristiche fondanti del nuovo mercato: non è un mercato regolamentato come definito dall’art. 1, comma 1, lett. w-ter del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), ma un sistema multilaterale di negoziazione exchange regulated ossia regolamentato da Borsa Italiana stessa; non essendo un mercato regolamentato, - non è richiesta, in fase di ammissione e/o di collocamento degli strumenti finanziari sul mercato, la pubblicazione di un prospetto informativo, salvo qualora ricorrano i presupposti di applicazione in caso di offerta al pubblico e di inapplicabilità del relativo regime derogatorio; è un mercato dedicato principalmente a strumenti finanziari azionari, - ma aperto anche ad altri strumenti finanziari (quali warrants e obbligazioni convertibili) - a condizione che sia garantita al pubblico la disponibilità di informazioni dettagliate su tali strumenti finanziari e sia assicurato un mercato regolare per gli stessi; la procedura di ammissione è semplificata e non comporta l’istruttoria di alcuna autorità di vigilanza; la due-diligence è condotta dal Nominated Adviser (Nomad), soggetto responsabile nei confronti di Borsa Italiana ed incaricato di valutare l’appropriatezza della società ai fini dell’ammissione al mercato e di assisterla e guidarla nell’assolvimento dei compiti e delle responsabilità derivanti dal Regolamento Emittenti AIM Italia per tutto il periodo di permanenza sul mercato; l’emittente deve mantenere in via continuativa un operatore specialista, incaricato di sostenere la liquidità sul titolo. In termini di operatività del nuovo mercato, si osserva come: AIM Italia è un mercato accessibile agli investitori qualificati e, in fase di rivendita, agli investitori retail; gli investitori retail potranno acquistare titoli in fase di collocamento in caso di offerta al pubblico, fermo restando in questo caso l’obbligo per l’emittente di predisporre il prospetto informativo. Dopo la quotazione del titolo, gli investitori retail potranno invece negoziare liberamente sul mercato secondario i titoli scambiati sull’AIM Italia attraverso il loro broker o la loro banca; le operazioni di rivendita effettuate sull’AIM Italia non sono soggette alla disciplina in tema di offerta al pubblico (art. 205 TUF), in quanto non applicabili le disposizioni di cui all’art. 100-bis, commi 2 e 3 del TUF; la liquidità del mercato – in termini di numero di scambi giornalieri – è garantita da un operatore specialista mediante lo svolgimento di attività di negoziazione in conto proprio; le categorie di soggetti che possono partecipare alle negoziazioni nel mercato AIM Italia e i relativi requisiti di partecipazione sono sostanzialmente gli stessi previsti per gli altri mercati gestiti da Borsa Italiana; è inoltre prevista una procedura agevolata di membership per gli intermediari che sono aderenti ai mercati del Gruppo London Stock Exchange; la piattaforma di trading sulla quale sarà possibile negoziare le azioni AIM Italia è TradElect e le negoziazioni si possono svolgere secondo le modalità di asta e di negoziazione continua; con riferimento alle procedure sanzionatorie, sul modello del mercato MTA, è previsto il preventivo esperimento della procedura avanti al Collegio dei Probiviri, i cui tre membri sono nominati dal Consiglio di Amministrazione di Borsa Italiana che provvede altresì ad eleggere tra questi il Presidente. Tale procedura è condizione necessaria di procedibilità per attivare la procedura arbitrale. Tavola 31 – AIM Italia vs MTA, caratteristiche a confronto © Cesi Multimedia 195 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Scheda 2 – Confronto tra le principali caratteristiche tra l’AIM Italia e l’MTA AIM Italia Requisiti di ammissione No capitalizzazione minima 10% flottante minimo (quota di capitale sociale sul mercato) No numero minimo di anni di esistenza della società No struttura di governo societario specifica Nomina Nomad che deve rimanere sempre al fianco della società Documenti per l’ammissione Documento di ammissione No altri documenti 1 bilanci certificati, IFRS o meno (libertà di scelta) Processo di ammissione No due diligence di Borsa Italiana No due diligence di Consob (sì se in presenza di offerta pubblica) Adempimenti post quotazione No resoconti trimestrali Obblighi di informativa al mercato Specialista per il sostegno della liquidità del titolo MTA Requisiti di ammissione 40 mln di euro di capitalizzazione minima 25% flottante (35% per STAR) 3 anni di esistenza della società Struttura di governo societario ispirata al Codice di Autodisciplina (requisiti più stringenti per il segmento STAR) Nomina Sponsor per l’ammissione a quotazione Documenti per l’ammissione Prospetto Informativo QMAT, piano industriale, memorandum sul sistema di controllo di gestione, documento di valutazione 3 bilanci certificati, di cui 2 IFRS Processo di ammissione Due Diligence CONSOB per nulla osta al prospetto informativo e due diligence Borsa Italiana per ammissione a quotazione Adempimenti post quotazione Resoconti trimestrali Obblighi di informativa al mercato Specialista obbligatorio per il solo segmento STAR Per ciò che riguarda i regolamenti (Tavola 32): la disciplina del mercato AIM Italia si articola in due regolamenti principali predisposti da Borsa Italiana, il “Regolamento Emittenti” (da non confondersi con il regolamento adottato da Consob con delibera 11971/1999) ed il “Regolamento Nominated Advisers” (Regolamento Nomad), come integrati dal “Manuale delle Procedure di Accertamento delle Violazioni e Impugnazioni”, dal “Manuale delle Negoziazioni” e dal “Regolamento degli operatori”; il Regolamento Emittenti e il Regolamento Nomad (Regolamenti AIM Italia) sono stati redatti sulla base delle “AIM Rules for companies” e delle “AIM Rules for Nominated Advisers” del London Stock Exchange, con alcuni adattamenti volti a rispondere alle peculiarità della realtà economica e imprenditoriale italiana; i Regolamenti AIM Italia sono entrambi costituiti da previsioni di carattere generale. Sono quindi previste Linee Guida che chiariscono e completano il significato di dette previsioni, formandone parte integrante. Il testo dei Regolamenti AIM Italia e dei relativi Allegati è in vigore dal 1° dicembre 2008 ed è disponibile sul sito internet di Borsa Italiana, www.borsaitaliana.it. Tavola 32 – I regolamenti disciplinati dall’AIM 196 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Quanto al regolamento emittenti, si rileva come esso definisce la procedura di ammissione e gli obblighi in via continuativa per gli emittenti ammessi alle negoziazioni sul mercato AIM Italia: a differenza dei mercati regolamentati, per l’ammissione all’AIM Italia non sono richiesti requisiti minimi, né in termini di capitalizzazione, né di corporate governance o specifici requisiti economico finanziari è, infatti, demandata al Nomad la valutazione circa l’appropriatezza dell’emittente all’ammissione sul mercato AIM Italia, attestata tramite la dichiarazione rilasciata a Borsa Italiana dal Nomad stesso, sarà pertanto il mercato, attraverso la figura del Nomad, a definire la dimensione ideale delle società ammesse al mercato e i presidi in termini di governance che meglio tutelino gli azionisti di minoranza, tuttavia, laddove l’emittente sia un’investing company, ai fini dell’ammissione deve raccogliere un minimo di 5 milioni di Euro in contanti tramite un collocamento che si concluda alla data di ammissione ovvero immediatamente prima dell’ammissione stessa); in tema di flottante, è richiesta, ai fini dell’ammissione, la condizione di un flottante minimo, tale condizione si presume realizzata quando le azioni sono ripartite presso gli investitori – non parti correlate né dipendenti della società o del gruppo – per almeno il 10% del capitale sociale per effetto di un collocamento da effettuarsi contestualmente o in prossimità dell’ammissione alle negoziazioni sul mercato, l’inizio delle negoziazioni è condizionato al buon esito dell’offerta, che si considera realizzato quando le azioni sono state sottoscritte da almeno 5 investitori professionali o da 12 investitori di cui almeno 2 professionali; il requisito principale che una società deve soddisfare per l’ammissione all’AIM Italia è la presenza continua del Nomad, sia nella fase di pre-ammissione che in quella di post-ammissione; in fase di ammissione l’emittente deve predisporre soltanto il documento di ammissione (Scheda 3), nel quale sono riportate le informazioni relative all’attività della società, al management, agli azionisti e ai dati economico-finanziari, la struttura del documento di ammissione segue il modello dello schema di prospetto previsto dal Regolamento 809/2004/CE di attuazione della Direttiva Prospetti, ma contiene un minor numero di informazioni, in particolare di natura economico-finanziaria (ad esempio, non sono richieste le informazioni finanziarie pro-forma), l’emittente è tenuto a predisporre il documento di ammissione anche quando è esentato dalla pubblicazione di un prospetto informativo ai sensi della Direttiva Prospetti, le società ammesse da almeno 18 mesi sul Mercato Alternativo dei Capitali (MAC) possono presentare ai fini dell’accesso al mercato AIM Italia, in luogo del documento di ammissione, la Scheda Informativa (già predisposta per l’ammissione sul MAC) con contenuti aggiornati e con le informazioni finanziarie, redatte conformemente ai principi contabili internazionali, relative agli ultimi 3 anni (o a un numero inferiore di esercizi se l’emittente è in attività da un periodo inferiore); con riguardo agli obblighi informativi, è previsto un regime particolarmente stringente con riferimento sia all’informativa price-sensitive sia all’informativa sulle operazioni societarie, ai fini dell’identificazione delle operazioni societarie oggetto di comunicazione, il Regolamento Emittenti prevede parametri e modalità di calcolo specifici, sono considerate transazioni rilevanti (e devono quindi essere comunicate) tutte le operazioni societarie non rientranti nella gestione ordinaria della società e in grado di determinare una modifica nella struttura patrimoniale della stessa, ove le stesse superino la soglia del 10% di uno degli indici di rilevanza previsti nel Regolamento Emittenti, l’emittente AIM Italia è tenuto altresì a comunicare ogni operazione con parti correlate in cui uno almeno dei suddetti indici di rilevanza superi la soglia del 5%; in tema di reverse take-over sono previste, quanto agli obblighi informativi, soglie più restrittive rispetto a quelle valide per i mercati regolamentati, il superamento di tali soglie potrebbe comportare la revoca dalle negoziazioni degli strumenti finanziari, la società risultante da tali operazioni, se intende rimanere quotata nell’AIM Italia, dovrà presentare una nuova domanda ai fini della riammissione; © Cesi Multimedia 197 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda dalla data di ammissione, l’emittente AIM Italia è tenuto a predisporre un’apposita sezione del proprio sito internet dove possono essere messe a disposizione del pubblico tutte le informazioni previste dal Regolamento Emittenti; gli emittenti hanno la possibilità di scegliere quale lingua di riferimento l’italiano o l’inglese; gli emittenti AIM Italia sono tenuti a redigere il proprio bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali (IAS o IFRS). Successivamente alla quotazione l’emittente AIM Italia non è tenuto a pubblicare i resoconti trimestrali di gestione, ma solo il bilancio e la relazione semestrale; la società che si quota sul AIM Italia dovrà incaricare un broker affinché questi provveda al collocamento dei titoli della società sul mercato, successivamente alla definizione della tipologia di investitori a cui indirizzare l’offerta, il prezzo più adeguato e la strategia di investor relations da adottare; una volta ammessa, la società deve dotarsi di uno specialista, che avrà il compito di sostenere la liquidità del titolo; non sempre lo specialista coincide con il broker che ha collocato i titoli in fase di ammissione, mentre la figura del broker e quella del Nomad possono coincidere. Scheda 3 – Schema di Prospetto prescritto dalla normativa comunitaria e Documento di Ammissione – contenuti a confronto Prospetto Allegato I, Sezione 3: Informazioni finanziarie selezionate di conto economico, stato patrimoniale, rendiconto finanziario, indici economici e finanziari Allegato I, Sezione 8.1: Informazioni relative ad immobilizzazioni materiali, beni in proprietà e beni in uso Allegato I, Sezione 9: Resoconto della situazione gestionale e finanziaria effettuato sulla base delle situazioni economiche, patrimoniali e finanziarie selezionate Allegato I, Sezione 10: Risorse finanziarie, in particolare indebitamento finanziario da banche, rapporti finanziari con la controllante, descrizione dei flussi monetari dell’emittente Allegato I, Sezione 11: Ricerca, Sviluppo e Brevetti Allegato I, Sezione 13: Previsioni o stime degli utili Documento di Ammissione Non si applica Allegato 1, Sezione 14: Organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza, in particolare composizione degli organi sociali, curriculum vitae, indicazione principali dirigenti, rapporti di parentela, conflitti di interesse Informazioni dettagliate su ciascun amministratore ed in particolare su qualsivoglia condanna penale, fallimento, nomina di curatore in procedure concorsuali, sequestro, esecuzione, richiami pubblici, ordine di interdizione da funzioni di amministrazione o direzione Non si applica Allegato I, Sezione 15: Remunerazioni e benefici a favore dei componenti del consiglio di amministrazione, dei membri del collegio sindacale e dei principali dirigenti Allegato I, Sezione 16, punto 3: informazioni sul comitato di revisione e sul comitato per la remunerazione Allegato I, Sezione 20, punto 1: informazioni finanziarie riguardanti le attività e le passività, la situazione finanziaria, i profitti e le perdite dell’emittente Allegato I, Sezione 20, punto 2: informazioni finanziarie pro-forma Allegato II: modulo delle informazioni finanziarie pro-forma Allegato III, Sezione 3, punto 1: dichiarazione dell’emittente attestante che il capitale circolante è sufficiente per le attuali esigenze Allegato III, Sezione 3, punto 2: fondi propri e indebitamento 198 Non si applica Non si applica Non si applica Non si applica Dichiarazione degli amministratori che le previsioni sono basate su indagini approfondite. Dichiarazione relativa alle principali assunzioni fatte relative a ciascun fattore determinante sui risultati. Comprensibilità, specificità, precisione delle assunzioni e comparabilità con i bilanci. Dichiarazione del NOMAD all’emittente di essere convinto che le previsioni sono basate su indagini approfondite. Non si applica Le informazioni di cui all’Allegato I, Sezione 20, punto 1 devono essere presentate nel rispetto dei Principi Contabili Internazionali Non si applica Non si applica Dichiarazione degli amministratori che il capitale circolante sarà sufficiente per almeno 12 mesi dalla data di ammissione Non si applica © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Prospetto Allegato III, Sezione 3, punto 3: interessi di persone fisiche e giuridiche partecipanti all’offerta, inclusa l’indicazione di quelli in conflitto Allegato III, Sezione 5: condizioni dell’offerta Allegato III, Sezione 6: ammissione alla negoziazione e modalità di ammissione Documento di Ammissione Non si applica Non si applica Non si applica Quanto al regolamento emittenti, si rileva come esso stabilisce i criteri di ammissione, gli obblighi su base continuativa e gli aspetti disciplinari relativi ai Nomad (Schede 4, 5 e 6). Ai fini dell’ammissione sull’AIM Italia, l’emittente deve procedere alla nomina del Nomad. Una volta ammesso, l’emittente deve mantenere in via continuativa un Nomad. L’attività di Nomad non comporta necessariamente la prestazione di servizi di investimento (salvo che il Nomad sia coinvolto nella fase del collocamento) e pertanto non deve considerarsi attività riservata a soggetti autorizzati. La qualifica di Nomad viene attribuita da Borsa Italiana al soggetto che ne faccia domanda dopo una procedura di ammissione sulla base di una valutazione discrezionale in merito al rispetto dei requisiti stabiliti nel Regolamento Nomad. Una volta attribuita tale qualifica, il Nomad viene iscritto in un registro tenuto da Borsa Italiana. Il Nomad è responsabile nei confronti di Borsa Italiana: per la valutazione dell’appropriatezza sia di un emittente che presenta domanda di ammissione all’AIM Italia sia di un emittente AIM Italia già ammesso alle negoziazioni quando venga nominato suo nominated adviser in un momento successivo, nonché dell’attività di assistenza e di guida dell’emittente AIM Italia nel rispetto delle responsabilità derivanti dal Regolamento Emittenti, sia in occasione dell’ammissione che su base continuativa (si vedano le tabelle in tema di obblighi e responsabilità del Nomad). Scheda 4 – Il regolamento Nomad Italia Regolamento Nomad Italia Art. 8 – Requisiti di permanenza Art. 9 – Cambiamenti Key Executives Art. 10 – Obblighi informativi a Borsa Art. 12 – Compliance Art. 18 – Indipendenza © Cesi Multimedia Obblighi Nomad Valutare con regolarità se esso stesso ed i Key Executives continuano a rispettare i requisiti del Regolamento Nomad Tempestiva comunicazione a Borsa di qualsiasi cambiamento relativo ai Key Executives – Ogni nuovo Key Executives deve ottenere l’accreditamento. Modifica ragione sociale, azionisti di controllo o partner, indirizzo ove viene svolta l’attività; Ricevimento di richiami scritti/disciplinari da qualsiasi autorità; Mutamenti significativi nella situazione finanziaria o operativa o si stiano per verificare condizioni per apertura procedura concorsuale. Ogni Nomad deve nominare al proprio interno il soggetto responsabile della compliance (figura senior) che deve interagire con Borsa per quanto riguarda la verifica della compliance. Il Nomad deve dimostrare in ogni momento che esso stesso ed suoi principali esponenti aziendali sono indipendenti dagli emittenti per i quali operano. La SCHEDA 1 prevede: Non è possibile operare contemporaneamente quale Nomad e società di revisione salvo consenso di Borsa (Chinese Wall); Nessun partner/amministratore/dipendente può essere amministratore di un Nomad Emittente AIM per il quale opera; Nessun partner/amministratore/dipendente o soggetto collegato può – individualmente o collettivamente – detenere il 10% o più di un Emittente AIM per il quale opera; Nessun Nomad/partner/amministratore/ dipendente o soggetto collegato può detenere il 3% o più di un Emittente AIM per il quale opera – individualmente o collegialmente – in assenza di procedure volte ad evitare l’insorgere di conflitti di interesse; Nessun Nomad/partner/amministratore/dipendente o soggetto collegato può operare su strumenti dell’emittente durante un close period; Prima di assumere un incarico il Nomad deve valutare la propria indipendenza e considerare l’importo della sua eventuale posizione creditizia nei confronti dell’emittente per il quale opererebbe. 199 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Regolamento Nomad Italia Art. 19 – Conflitti di interesse Art. 20 – Procedure Art. 22 – Mantenimento documentazione Obblighi Nomad Il Nomad non può operare in conflitto di interesse e non può intervenire a supporto di soggetti diversi dall’Emittente AIM per il quale opera in caso di operazioni straordinarie. Il Nomad deve implementare in via continuativa procedure volte a monitorare gli obblighi previsti dal Regolamento ed adottare un apposito manuale delle procedure interne a tale proposito. Il Nomad deve mantenere traccia delle discussioni intervenute con gli Emittenti AIM nonché dei pareri e delle decisioni chiave. Deve inoltre dimostrare le ragioni sottostanti l’advise offerto. Periodo: 3 anni Al fine di dare evidenza dell’attività di controllo il Nomad deve rispettare i parametri della Scheda 3 Per poter diventare un Nomad, occorre: essere una società di capitali che ha costituito un consiglio di amministrazione e nominato un collegio sindacale nota al mercato e con adeguata professionalità; avere esercitato attività di corporate finance per un periodo adeguato di tempo (almeno due anni, salva la presenza di key executives di elevata esperienza); sottoporre il bilancio al giudizio di una società di revisione; avere un’adeguata esperienza nel fornire consulenza professionale e di qualità in relazione ad operazioni di corporate finance (avendo effettuato un numero di operazioni rilevanti come, ad esempio, operazioni aventi ad oggetto azioni di emittenti quotati su un mercato regolamentato e che abbiano richiesto la redazione di un prospetto informativo o documento equivalente in un paese UE, quali IPO e OPA); avere dei key executives, dipendenti senior del Nomad, dotati di adeguata professionalità ed esperienza in operazioni rilevanti, adeguata competenza tecnica in corporate finance e in pratiche di mercato, nonché solida comprensione del quadro legale e regolamentare relativo alle attività di corporate finance e conoscenza dei Regolamenti AIM Italia. Scheda 5 – Regolamento Nomad AIM Italia: Le responsabilità in fase di ammissione (scheda 3) Regolamento Nomad AIM Italia (Scheda 3) AR. 1 – Adeguata conoscenza dell’Emittente AR. 2 – Amministratori e Consiglio di Amministrazione AR. 3 – Due Diligence 200 Responsabilità Nomad (fase ammissione) Conoscenza del settore di business (anche in considerazione del paese di appartenenza e dell’operatività) anche mediante ricorso all’ausilio di terzi esperti; Idonea valutazione di piano industriale ed informazioni finanziarie storiche; Valutazione del rispetto del Regolamento Emittenti da parte dello statuto; Site Visit adeguata e management due diligence – incontri con gli azionisti se opportuni; Considerare se dare incarico a legali di fiducia per prevenire ad un’adeguata conoscenza dell’Emittente e formare un giudizio indipendente. Al fine della valutazione dell’idoneità dell’emittente il Nomad deve valutare l’adeguatezza di ogni componente del CdA (inclusi candidati) e dell’organo nel suo complesso, tenendo presente che l’emittente sarà ammesso alle negoziazioni in un sistema multilaterale di negoziazione e potenzialmente sarà soggetto a specifiche disposizioni ad esempio relative agli abusi di mercato. Predisporre idonei questionari rivolti agli amministratori e verificare i curricula vitae; Attività di due diligence al fine della verifica delle risposte ai questionari e dei curricula vitae (ricerche a mezzo stampa – verifica camere commercio e referenze da o verifiche presso terzi); Estensione delle predette attività a top manager e consulenti menzionati nel documento di ammissione nonché valutare opportunità estensione verifiche ad azionisti rilevanti; Valutare insieme al management l’implementazione di un’adeguata struttura di corporate governance. Il Nomad deve sovrintendere alle attività di due diligence e convincersi dell’appropriatezza delle attività svolte. Verificare sia stata svolta adeguata DD finanziaria, fiscale e legale (valutazione PFN e covenants su indebitamento – valutazione debiti scaduti e portafoglio crediti – contratti derivati); Verifiche sul capitale circolante e sul sistema di reporting (anche con l’ausilio di società d i revisione); Verificare l’opportunità di una DD specialistica (es. marchi e brevetti); Accurata valutazione dei DD report e delle comfort letter di terzi consulenti al fine della verifica delle necessità di ulteriori interventi di approfondimento © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Regolamento Nomad AIM Italia (Scheda 3) AR. 4 – Documento di Ammissione AR. 5 – Compliance con il Regolamento Emittenti AIM Responsabilità Nomad (fase ammissione) Il Nomad, al fine di poter rendere la dichiarazione di responsabilità, deve sovrintendere e partecipare attivamente alle attività di due diligence. Coinvolgimento specifico per quanto riguarda la descrizione del business e dei risk factors; Verificare il contenuto delle informazioni finanziarie; Necessità di contributi su particolari tematiche da parte di esperti (es. settore immobiliare o biotecnologie); In caso di dubbi prendere contatto con Borsa Italiana. Il Nomad deve verificare se l’Emittente ha implementato procedure idonee al fine di garantire la compliance con il Regolamento Emittenti AIM Verificare l’adozione di procedure adeguate per garantire il rispetto dei diversi adempimenti (es. diffusione di informazioni price sensitive, comunicazioni ex art. 17, rispetto close period); Verificare adeguatezza dell’informativa resa agli amministratori su ruoli e responsabilità derivanti dall’ammissione all’AIM Italia. Scheda 6 – Regolamento Nomad AIM Italia: Le responsabilità in fase continuativa (scheda 3) Regolamento Nomad AIM Italia (Scheda 3) OR. 1 – Contatti regolari con l’Emittente OR. 2 – Verifica Comunicati OR. 3 – Monitoraggio negoziazioni OR. 4 – Assistenza con riferimento a modifiche del CdA Responsabilità Nomad (continuativa) Mantenere contatti regolari con l’Emittente in modo da essere continuamente informato sugli sviluppi dell’attività e poter quindi suggerire modalità di comportamento idonee ai fini della compliance con il Regolamento Emittenti ed identificare eventuali violazioni; Valutare aggiornamento amministratori in merito all’adeguata comprensione del Regolamento Emittenti. Verifica preventiva al fine di assicurare la compliance con il Regolamento Emittenti Verifica preventiva di tutti i comunicati che devono essere oggetto di pubblica diffusione – Non è richiesta la verifica dei comunicati di routine se il Nomad ritiene che gli amministratori abbiano adeguata capacità ed esperienza; Su tutti i comunicati rivisti dal Nomad deve comparire la sua denominazione e l’indicazione di una persona di riferimento. Il Nomad è tenuto a monitorare direttamente – o tramite terzi – il corso delle negoziazioni (specialmente quando ci sono informazioni “price sensitive” non ancora divulgate) Adeguati automatismi per segnalare significativi scostamenti nelle valutazioni; Contattare l’emittente al verificarsi di variazioni sostanziali per verificare l’opportunità di comunicazioni al mercato; Valutare l’opportunità di monitorare le notizie stampa. Il Nomad è tenuto a collaborare con l’emittente in occasione di modifiche nella composizione del CdA e deve (i) valutare l’adeguatezza dei candidati e (ii) valutare l’impatto dei cambiamenti sul corretto funzionamento dell’organo amministrativo Deve accertarsi che l’Emittente comprenda la necessità di consultarsi con il Nomad in occasione di tali cambiamenti; Deve esaminare il cv dei candidati e valutare la sussistenza dei requisiti previsti della Sezione AR. 2 del Regolamento AIM – valuta nel complesso l’idoneità del candidato rispetto alle necessità dell’Emittente; Interviene con le proprie valutazioni anche in caso di revoca di un membro del CdA. Ampliando l’orizzonte a tutti i soggetti (Scheda 7 e Tavola 33) che di fatto intervengono nel processo di quotazione, essi si possono sintetizzare – quanto a numero e rispettivi ruoli – qui di seguito: © Cesi Multimedia 201 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Scheda 7 – Soggetti che intervengono nel processo di quotazione e loro funzioni Soggetto Nomad Broker Specialist Advisor Finanziario Società di revisione Società di comunicazione Dottore Commercialista Funzioni È il garante della quotazione e punto di riferimento per Borsa Italiana e per gli investitori. Deve essere una società di capitali nota al mercato, con adeguate professionalità riconosciute al suo interno ed esperienza almeno biennale nell’attività di corporate finance31; a tal fine è sottoposta a verifiche periodiche da parte di Borsa Italiana. Il broker colloca agli investitori istituzionali le azioni oggetto di quotazione; svolge anche la funzione di promozione della società nella comunità finanziaria. È il garante della liquidità dei titoli in quanto svolge la funzione di market maker, ovvero interviene qualora si verifichino eccessive oscillazioni tra domanda ed offerta. Supporta l’emittente nell’organizzazione dell’intero processo di quotazione attraverso studi di fattibilità e convenienza, aiuto nella redazione ed implementazione del business plan e della due diligence, supporto agli altri soggetti coinvolti, supporto alla redazione del Documento di Ammissione. Emette giudizi sul bilancio finale redatto dalla società emittente; valida il business plan e alcuni documenti che riguardano la solvibilità della stessa. Predispone comfort letters, verifica le procedure di reportistica e procede con la revisione delle informazioni finanziarie previsionali. Garantisce la visibilità dell’emittente nella quotazione, soprattutto per quanto riguarda la sua storia, i suoi punti di forza e le prospettive di sviluppo. Consiglia l’azienda in merito alla quotazione attraverso uno studio sull’impatto del mercato; predispone il business plan e valuta la struttura dell’azienda, anche in merito ad eventuali ristrutturazioni organizzative da porre in essere. È il principale referente per il Nomad e “catalizzatore” tra l’impresa e gli altri soggetti. Elabora rendiconti, e gestisce le informazioni da emettere ed i relativi documenti contabili. Tavola 33 – La quotazione in borsa Si tratta, come evidente, di un numero assai esiguo di interlocutori con cui l’azienda deve interfacciarsi; ciò significa non solo una diminuzione dei costi di quotazione (che si aggirano tra i 300 e i 500 mila euro, notevolmente inferiori a quelli richiesti per la quotazione sui mercati MTA) ma altresì, una semplificazione ed una maggiore chiarezza in termini di ruoli e compiti, sia dal lato dell’azienda, sia dal lato dei soggetti coinvolti. Tutto ciò impatta anche sulla contrazione dei tempi (Scheda 8) inerenti i processi di quotazione in senso stretto, che assumono dunque una rilevanza strategica determinante, orientando il processo sulla speditezza delle procedure: Scheda 8 – I fattori che incidono sui tempi del processo di quotazione 24 Settimane Adempimenti Selezionare il team di consulenti ed in particolare il 12 Settimane Adempimenti Verificare le aree problematiche emerse dalla due diligence 6 Settimane Adempimenti 1 Settimana Adempimenti Completare la due diligence e la documentazione Pubblicazione del Documento di Ammissione (tre giorni prima) Nomad ------------------------------------------31 Corporate finance: funzione aziendale che tratta le decisioni di natura finanziaria, gli strumenti da adottare e gli obiettivi da raggiungere, servendosi di tecniche ed analisi valutative riguardanti l’equilibrio finanziario tra fonti ed impieghi. 202 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda 24 Settimane Adempimenti 12 Settimane Adempimenti 6 Settimane Adempimenti Avviare la due diligence Predisporre il draft del Documento di ammissione Organizzare il road show per gli investitori Costruire l’equity story e la strategia di investor relation Condividere le prime ipotesi di valutazione Comunicazione di preammissione (10 giorni prima) 1 Settimana Adempimenti Definizione del prezzo di allocazione dell’offerta Presentazione agli analisti Fonte: Borsa Italiana, Guida alla quotazione su AIM Italia Allargando peraltro l’orizzonte anche ai tempi precedenti (Scheda 9) l’iter formale del processo di quotazione (tendenzialmente sulle 24 settimane/6 mesi), si possono sintetizzare come segue le fasi temporali complessive, coordinate con gli adempimenti organizzativi necessari (Tavola 34): Scheda 9 – Gli adempimenti da effettuare durante il processo di quotazione 24 – 12 mesi Adempimenti 12 – 6 mesi Adempimenti Effettuare eventuali riorganizzazioni societarie Ipotizzare la quantità di risorse finanziarie Apportare eventuali aggiustamenti al sida raccogliere in quotazione stema di controllo di gestione Ipotizzare le esigenze di monetizzazione Coinvolgere tutto il management nel proda parte degli azionisti esistenti getto di quotazione Certificare un bilancio che precede la quo- Avviare i contatti per la selezione dei contazione se esistente sulenti Definire un piano industriale sostenibile 6 mesi Adempimenti Confermare il piano industriale e le relative esigenze di finanziamento Deliberare la quotazione Nominare il Nomad e gli altri consulenti Introdurre eventuali modifiche nella struttura di governo societario Fonte: Borsa Italiana, Guida alla quotazione su AIM Italia Tavola 34 – I focus della quotazione Con riferimento specifico alla conferma del piano industriale e delle relative esigenze di finanziamento, si ribadisce come sia essenziale definire un piano industriale (Scheda 10) di crescita sostenibile, in cui risultino in modo inequivocabile le prospettive dell’azienda ed i progetti che si intendono finanziare attraverso l’attività di quotazione: Scheda 10 – Strategie, azioni ed impatti della quotazione Strategia Crescita Azioni acquisizione nuovi clienti; allargamento gamma prodotti; nuovi canali distributivi; nuove aree geografiche. Impatto + Ricavi + ROCE32 ------------------------------------------32 Return On Capital Employed: ritorno del capitale investito; EBIT/(Attività totali - Passività correnti). © Cesi Multimedia 203 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Strategia Azioni Impatto Riduzione costi + Margini + ROCE Gestione del capitale investito Ottimizzazione WACC 33 economie di scala; saturazione della capacità produttiva; riduzione costi di struttura. outsourcing; politiche creditori/fornitori; tecnologie adottate; logistica aumento leverage + (Ricavi/Cap.investito) +ROCE - wacc buy – back pay – out Fonte: Borsa Italiana Dovranno dunque essere oggetto di specifico focus le seguenti macroaree: strategie aziendali di creazione del valore; il core business, suddiviso per attività; il posizionamento societario nel settore, con annessa analisi dei concorrenti: è in questa fase che vanno evidenziati i fattori chiave distintivi dell’azienda rispetto i concorrenti; il miglioramento in termini di punti di forza, debolezze, opportunità e minacce (a seguito dell’analisi SWOT); la correzione ed il miglioramento dei rapporti con i clienti ed i fornitori, soprattutto in termini di durata e clausole contrattuali; la traduzione dei dati di cui sopra in termini finanziari e dunque di complessiva analisi finanziaria, necessarie agli investitori per valutare le potenzialità dell’azienda. Ciò è attuabile attraverso: budget; analisi della situazione finanziaria attuale e prospettica a breve (12 mesi); prospetto di cash flow e dinamica del c.c.n.; analisi delle fonti; analisi dell’equilibrio finanziario; analisi degli investimenti. 10.5 I minibond ed il mercato del debito quotato L’attuale presidente di Borsa Italiana sostiene che “il finanziamento delle imprese di piccole e medie dimensioni attraverso il ricorso al mercato e alle risorse degli investitori istituzionali è uno dei principali cambiamenti che stanno caratterizzando il sistema finanziario del nostro Paese” In effetti, è vero che per far fronte al grande problema del credit crunch, le piccole imprese italiane si stanno armando con tutte le munizioni possibili per cercare di reperire i capitali necessari per crescere ed anche le istituzioni, il Governo e Borsa Italiana, hanno messo in atto delle iniziative mirate a rispondere alle sempre più crescenti esigenze di funding delle società italiane. Tra le diverse opzioni che hanno, le società possono scegliere – come già visto – di quotarsi a Piazza Affari, oppure aprire il proprio capitale a private equity e venture capital o ancora ricorrere a strumenti di debito, come per esempio i minibond. Il cd. Decreto Sviluppo (d.l. 83/2012), convertito in legge dal provvedimento n. 134 del 7 agosto 2012, ha in effetti introdotto la disciplina dei cd. mini bond, strumenti finanziari obbligazionari che le piccole e medie imprese potranno emettere a determinate condizioni: per “piccole” si intendono le imprese con meno di 50 dipendenti ed un fatturato annuo o uno stato patrimoniale annuo inferiore a Euro 10 milioni mentre per “medie” si intendono le imprese con meno di 250 ------------------------------------------33 Weighted Average Cost of Capital: costo medio ponderato del capitale; media ponderata tra il costo del capitale proprio e il costo del capitale di debito. 204 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda dipendenti ed un fatturato annuo inferiore a Euro 50 milioni o un totale dell’attivo dello stato patrimoniale inferiore a Euro 43 milioni; dalla disciplina in oggetto sono espressamente escluse le banche e le micro-imprese, ovverosia quelle con meno di 10 dipendenti e che realizzano fatturato o bilancio annui fino a 2 milioni di euro. Tavola 35 – I Minibond come possibile soluzione al credit crunch delle PMI Più precisamente, l’art. 32 del Decreto Sviluppo, dedicato a “Strumenti di finanziamento per le imprese” prevede la facoltà per le suddette PMI, che abbiano determinati requisiti, di accedere al finanziamento di terzi mediante l’emissione di cambiali finanziarie (strumenti di debito a breve termine) e obbligazioni e/o titoli similari ed obbligazioni partecipative subordinate (congiuntamente alle cambiali finanziarie, i “Mini Bond”). Potranno quindi emettere i Mini Bond le PMI che soddisfino le seguenti condizioni: emettano titoli di durata non inferiore a 36 mesi, non sussistendo più limiti di emissione in relazione agli importi del patrimonio netto societario; si facciano assistere nell’emissione dei titoli da uno sponsor (banca, impresa di investimento, SGR, società di gestione armonizzata, SICAV e intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del Testo Unico Bancario) che fornisca il supporto all’emissione che agisca quale collocatore dei titoli; abbiano sottoposto a revisione contabile, da parte di un revisore legale o di una società di revisione legale iscritti nel Registro dei revisori legali e delle società di revisione, il bilancio dell’ultimo esercizio; emettano i titoli, e ne limitino la circolazione, esclusivamente in favore di investitori qualificati – 34-ter del regolamento Consob n. 11971 del 1999 – che non siano, direttamente o indirettamente, neanche per tramite di società fiduciaria o interposta persona, soci della medesima impresa emittente; inoltre tali titoli dovranno essere destinati alla circolazione esclusivamente tra tali investitori; il ruolo dello sponsor, pertanto, sarà quello di supportare le società nella fase di emissione e di collocamento, sottoscrizione e mantenimento nel proprio portafoglio, fino alla naturale scadenza, di una quota dei titoli, facilitando la liquidità degli scambi sui titoli per tutta la durata dei titoli stessi; i Mini Bond potranno essere quotati sul mercato Extra Mot di Borsa Italiana ma, nel caso di mancata quotazione di questi ultimi, lo sponsor dovrà procedere ad una valutazione periodica del loro valore, nonché ad una classificazione delle società emittenti in una categoria di rischio alla luce della sua qualità nel rispettare i propri obblighi; lo sponsor avrà l’obbligo di mantenere nel proprio portafoglio fino alla scadenza una quota dei titoli emessi nella seguente misura: una quota non inferiore al 5% del valore di emissione, per le emissioni di valore fino a cinque milioni di euro; in aggiunta alla quota precedente, un ulteriore 3% del valore di emissione eccedente i cinque milioni di euro, fino ad un valore di dieci milioni di euro; sempre in più rispetto alle precedenti quote, il 2% del valore di emissione eccedente i dieci milioni di euro, facilitando altresì la liquidità degli scambi sui titoli per tutta la durata dell’emissione; lo sponsor dovrà anche provvedere a classificare la categoria di rischio dell’emittente, tenendo conto della qualità creditizia dell’impresa (cfr. comunicazione della Commissione Europea 2008/C 14/2002 e successive modificazioni) e dovrà fornire aggiornamenti almeno trimestrali sulla classificazione di rischio ed ogni qualvolta intervenga un elemento straordinario; cambiali finanziarie e obbligazioni. © Cesi Multimedia 205 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda Tavola 36 – Condizioni per l’emissione di Minibond Con riferimento al regime fiscale in capo ai titolari34, l’esenzione della ritenuta d’acconto sugli interessi pagati (withholding tax) è un beneficio che al momento riguarda solo i titoli quotati. Da questo punto di vista, i titoli quotati emessi da società non quotate, sono stati oggi pienamente equiparati alle obbligazioni emesse da soggetti con azioni quotate sui mercati regolamentati. In particolare, dal 26 giugno 2012, anche sugli interessi delle obbligazioni si applicano le disposizioni dell’articolo 1 del d.lgs. n. 239/1996, che prevedono (i) per i soggetti ‘nettisti’ residenti in Italia l’imposta sostitutiva del 20%; (ii) per i soggetti ‘lordisti’ residenti in Italia l’inclusione nel reddito d’impresa senza ritenuta. Per i sottoscrittori non residenti in Italia, invece, gli interessi sui titoli/obbligazioni saranno esenti da imposizioni purché i soggetti che percepiscono gli interessi siano residenti in stati esteri o territori white list, depositino i titoli presso un intermediario finanziario residente in Italia oppure presso una branch italiana di un intermediario non residente (che faccia da eventuale sostituto d’imposta) e forniscano i dati dell’effettivo beneficiario e autocertifichino di possedere i requisiti per l’esenzione; gli interessi pagati su titoli non quotati emessi da società non quotate, dunque, continuano ad essere soggetti alle ritenute di cui all’articolo 26 del d.P.R. n. 600/1973 e, pertanto, sulla base dello status del soggetto che li percepisce occorre valutare caso per caso l’applicazione della ritenuta domestica del 20% o quella ridotta sulla base dei trattati. Si ricorda che gli interessi sulle obbligazioni emesse dalle società non quotate erano soggetti ad una ritenuta del 12,5%/27% mentre dal 1° gennaio 2012 sono soggetti a una ritenuta unica del 20%. Con riferimento al regime fiscale in capo all’emittente, oltre alla deduzione delle spese di emissione nello stesso esercizio in cui sono state sostenute (peraltro, ad oggi, stando alla norma, permane ancora l’ambiguità sul fatto che tale agevolazione possa applicarsi anche ai titoli non quotati); se le obbligazioni o le cambiali finanziarie saranno ammesse a negoziazione in mercati regolamentati o non regolamentati europei white list, gli interessi passivi potranno essere dedotti con la limitazione del 30% dell’EBITDA, senza essere soggetti all’ulteriore limitazione (prevista dal comma 115 dell’articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549) in base alla quale gli interessi passivi di un prestito obbligazionario sono deducibili a condizione che, al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore: al doppio del tasso ufficiale di riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella white list o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione, ------------------------------------------34 Cfr. http://www.kpmg.com/IT/it/IssuesAndInsights/ArticlesPublications/Documents/Corporatebond.pdf 206 © Cesi Multimedia Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, delle obbligazioni e dei titoli similari diversi dai precedenti, qualora il tasso di rendimento effettivo all’emissione sia superiore ai limiti di cui sopra, gli interessi passivi eccedenti l’importo derivante dall’applicazione dei predetti tassi sono indeducibili dal reddito di impresa, per beneficiare di quanto sopra (i.e. non applicazione dell’art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549), le obbligazioni non quotate dovranno essere sottoscritte esclusivamente da investitori professionali che non detengano più del 2 per cento del capitale o del patrimonio della società emittente. Infine, i titoli, non essendo finanziamenti dal punto di vista legale, non sono soggetti all’imposta sostitutiva dello 0,25% (articolo 17 del d.P.R. n. 601/1973) e dunque, le garanzie che l’emittente ed, eventualmente, le proprie controllate/controllanti saranno chiamate ad emettere a favore dei sottoscrittori, saranno soggette alle normali imposte di registro, ipotecarie e catastali, di volta in volta applicabili ai sensi del d.P.R. 131/1986; pertanto, sarà necessario prestare particolare attenzione alla natura delle garanzie emesse e alle forme con cui vengono costituite. Tavola 37 – I Minibond e la fiscalità Come evidente, il Governo italiano ha appositamente introdotto per le PMI i suddetti strumenti di debito, come le obbligazioni corporate, i cosiddetti minibond, e le cambiali finanziare: si tratta di strumenti flessibili, accessibili anche ad aziende che intendono raccogliere importi più limitati rispetto alle grandi aziende corporate e così facendo le aziende più piccole possono accedere ai mercati di capitali, disintermediando il sistema bancario. Proprio per offrire alle aziende italiane quotate e non, di qualsiasi dimensione, un mercato nazionale in cui cogliere le opportunità derivanti dal nuovo quadro normativo nazionale delineato dal Ddl Sviluppo, Borsa Italiana ha creato ExtraMOT PRO: un nuovo segmento professionale per la negoziazione degli strumenti di debito delle società italiane (obbligazioni corporate, cambiali finanziarie e project bond), in cui alcune PMI hanno mosso già i primi passi; l’infrastruttura regolamentare del nuovo segmento offre alle PMI un primo accesso ai mercati dei capitali semplice ed economico. Gli unici requisiti per le società, infatti, sono: l’aver pubblicato il bilancio degli ultimi due esercizi, di cui l’ultimo sottoposto a revisione contabile e l’aver messo a disposizione un documento informativo con alcune informazioni essenziali, non essendo richiesta la pubblicazione di un prospetto di quotazione ai sensi della Direttiva Prospetti; successivamente alla quotazione, è richiesta la pubblicazione di bilanci annuali revisionati, dei giudizi di rating se pubblici, l’informativa relativa a qualsiasi modifica dei diritti dei portatori degli strumenti ed eventuali informazioni di carattere tecnico legate alle caratteristiche degli strumenti (es. date di pagamento degli interessi, cedole, piani di ammortamento); il segmento ha la medesima struttura del mercato ExtraMOT, ma è consentita la negoziazione ai soli investitori professionali ed è inoltre facoltativa la presenza di un operatore specialista a sostegno della liquidità del titolo. Questo mercato dei “minibond”, secondo recenti stime del Sole24Ore, potrebbe comportare un apporto di 21 miliardi di euro per le PMI che intenderanno avvalersene ed ha già avuto un notevole successo in altri paesi, tra cui la Germania e permetterà ad imprese ed investitori di diversificare i propri orizzonti di credito e investimento: © Cesi Multimedia 207 Capitolo 10 – Private equity e borsa: aprire le porte della propria azienda 208 a livello di prassi molto importante, peraltro, sarà l’informativa fornita, al fine di partecipare a un progetto societario che possa essere attraente e con prospettive di piani industriali concreti, non legati solo al tasso d’interesse pagato dall’obbligazione; in questo quadro, è confortante come stiano nascendo fondi appositi di investimento, come il ‘Fondo mini bond PMI Italia’ promosso e gestito da Banca Mps con la collaborazione di Confindustria e Finanziaria internazionale, con lo scopo di investire su di un ampio portafoglio di strumenti di debito emessi da imprese italiane; gli emittenti ideali sono e saranno società orientate alle esportazioni, con un brand forte e riconosciuto sui mercati internazionali, che le renda appetibili per gli investitori. © Cesi Multimedia Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa 11. Affrontare la crisi d’impresa Giovanni Marino L’efficacia e l’efficienza del mercato dipendono dalla qualità dei diritti e delle regole… buone regole dunque creano mercati ben funzionanti e viceversa Ronald Coase, Premio Nobel per l’Economia, 1991 11.1 La crisi finanziaria mondiale La crisi economica internazionale che stiamo vivendo, chiamata dai tanti “La Grande Recessione” per via del suo perdurare e dei suoi effetti paragonabili alla grande crisi del 1929, ha una matrice finanziaria che trova le sue origini negli Stati Uniti d’America. Nel 2008 in America l’esposizione al credito delle banche, delle imprese, e delle stesse famiglie (ai fini del consumo), era molto elevata. L’accomodante politica monetaria operata dalla FED (la banca centrale americana) e la progressiva deregolamentazione dei mercati finanziari avviata dalle istituzioni contribuiva ad aumentare i volumi di trading dei prodotti finanziari e il numero di concessione dei prestiti. Tavola 1- Le origini della crisi finanziaria: La liquidità in circolazione spingeva vero l’alto il mercato immobiliare; le famiglie americane godevano di accesso facile al credito e si indebitavano per comprare le abitazioni, l’aumento costante della domanda faceva salire i prezzi delle case. In tale contesto avanzava anche la sottoscrizione dei cosiddetti subprime ovvero finanziamenti (per abitazioni, prestiti d’auto, carte di credito) concessi a soggetti con bassi redditi ed alto profilo di rischio che nel caso ad esempio di mutuo per l’abitazione prevedevano un piano di pagamento decrescente in funzione dell’aumentare del valore della casa (rate che decrescono in maniera proporzionale al crescere del prezzo della casa riconosciuto al momento dal mercato). Tavola 2 – L’aumento dei prezzi delle abitazioni e il ricorso ai subprime Naturalmente si trattava di prodotti finanziari ad alto rischio che gli organi competenti avrebbero dovuto regolare, ma il mercato immobiliare era così forte che sembrava immune a qualsiasi shock esterno e i subprime facevano guadagnare a tanti. © Cesi Multimedia 209 Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa Il trading dei subprime crebbe dal valore di 145 miliardi di dollari nel 2001 a circa 635 miliardi nel 2005, i subprime venivano cartolarizzati e scambiati sui mercati finanziari mondiali con la conseguenza che i rischi a questi associati si allargavano a macchia d’olio, erano oramai in pancia alla gran parte degli istituti finanziari. Tavola 3 – La crescita del valore dei subprime dal 2001 al 2005 SUBPRIME + 338% in 4 anni A 635 miliardi nel 2005 Da 145 miliardi nel 2001 Il mercato immobiliare però, come storicamente dimostrato, è un mercato ciclico e le fasi espansive sono molto spesso alimentate da vere e proprie bolle speculative, nel 2008 i valori delle abitazioni erano gonfiati e principalmente il risultato di una generale euforia irrazionale. Di lì a poco la bolla immobiliare speculativa esplode facendo precipitare il prezzo delle case e innescando un’ondata di vendite, il numero dei pignoramenti e delle insolvenze si moltiplica soprattutto per gli acquirenti di subprime che vengono colpiti dall’aumento improvviso delle rate dei fidi. Tavola 4 – Il crollo del mercato immobiliare Le insolvenze provocano un blocco del sistema finanziario americano mandando in rovina numerosi soggetti tra cui risparmiatori e molti istituti di credito costretti a registrare delle perdite ingenti, una delle banche d’investimento americane più grandi del mondo, Lehman Brothers, è costretta a dichiarare bancarotta. Il sistema bancario si blocca e ben presto la crisi finanziaria statunitense diventa mondiale, c’è una frenata degli scambi sui mercati interbancari e le banche timorose dei “titoli spazzatura” ancora in circolazione non vogliono esporsi ad ulteriori rischi di credito. Iniziano a catena i piani di salvataggio: la banca centrale d’Inghilterra procede alla nazionalizzazione della Northern Rock impegnando circa 110 miliardi di sterline (la notizia che la banca non sarebbe stata in grado di ripagare i suoi clienti a causa dell’impossibilità di rifornirsi sul mercato interbancario innescò il panico tra i risparmiatori che presero d’assalto gli sportelli), Fanni Mae e Freddie Mac le due finanziarie che dominano il mercato dei mutui americani vengono nazionalizzate, Dexia e Fortis ricevono il soccorso dei governi di Belgio e Olanda, altri piani di salvataggio vengono disposti da Svezia, Danimarca, Portogallo e Lussemburgo. Tavola 5 – La Lehman Brothers dichiara bancarotta 210 © Cesi Multimedia Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa La liquidità non circola e i finanziamenti scarseggiano, il blocco del sistema del credito rapidamente tramuta i suoi effetti negativi sull’economia reale. Le imprese si trovano di fronte ad una vera e propria stretta creditizia che ne compromette i risultati economici, quelle di medie e piccole dimensioni non riescono a sopravvivere sui mercati e tutto ciò porta progressivamente a una riduzione dei posti di lavoro e a un calo dei consumi. Tavola 6 – La crisi finanziaria americana diventa mondiale Il 2008 e il 2009 sono anni difficili dove si verifica una dura contrazione della domanda aggregata e del commercio mondiale, nel 2010 i mercati timidamente si riprendono: positivo è il contributo del governo americano guidato dal presidente Obama che approva una manovra sulla spesa pubblica fortemente espansiva da circa 787 miliardi di dollari. Il PIL degli Stati Uniti evidenzia una decisa risalita ed anche l’eurozona dopo un andamento negativo nella prima parte del 2010 torna a percentuali di sviluppo nel terzo trimestre. Il 2012 sconta per buona parte le conseguenze delle tensioni finanziarie su alcuni paesi dell’area euro (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda), fondamentale è stato in questa fase il contributo della BCE (Banca Centrale Europea) che ha protetto la moneta unica dai ripetuti tentati attacchi speculativi. Arriviamo ai giorni nostri, alla fine del 2013 i segnali di ripresa anche in Europa dovrebbero intravedersi, il consolidamento dei bilanci pubblici e la politica monetaria espansiva della BCE fanno ben sperare per gli anni futuri e il sistema bancario sembra procedere nel suo processo di rafforzamento, affinché tutto ciò possa completarsi però abbiamo bisogno di governi stabili e istituzioni forti ed indipendenti in grado di regolamentare i mercati e dare nuovamente fiducia e forza al sistema economico mondiale. 11.2 Il contesto italiano oggi La fine della recessione in Italia sarà in parte il risultato di un fenomeno “esogeno” legato al contesto macroeconomico internazionale e in parte “endogeno” legato alle capacità dei prossimi governi di avviare le riforme necessarie per rendere il paese nuovamente competitivo e di riorganizzare il sistema bancario italiano uscito distrutto da questa crisi finanziaria. Se i prossimi governi italiani avranno la stabilità necessaria per portare a termine questi compiti la domanda interna potrà solo aumentare con gli effetti positivi che questo ha sulle prospettive di crescita future dell’economia italiana. Il fenomeno “esogeno” nell’ultimo periodo sembra mandare segnali positivi, la domanda estera sta aumentando e le imprese italiane cominciano a esportare di più rispetto ai primi anni della recessione, se le imprese riprendono a crescere ci sarà un recupero del lavoro e dei salari che sarà in grado di risollevare la domanda dei consumatori. La ripresa prevista degli USA e la tenuta dei mercati asiatici e alcuni segni di miglioramento in Europa stanno favorendo ancor di più le esportazioni delle imprese italiane che sono riuscite a rimanere competitive tramite la realizzazione di un miglioramento qualitativo delle loro produzioni. A conferma di ciò, Federico Ghizzoni CEO di Unicredit in un’intervista rilasciata al quotidiano Affari & Finanza del 14 Gennaio 2013 afferma che «la struttura industriale italiana sta cambiando, tra le medie e grandi imprese ce ne sono alcune in difficoltà che potrebbero scomparire ma ce ne sono altre che potrebbero comprare. Chi esporta ha tecnologie e modelli di business avanzati e ha la possibilità di crescere facendo acquisizioni a prezzi prima impensabili. Alla fine di questo processo avremo più imprese di maggiore dimensioni.» Da un punto di vista “endogeno” invece si sono fatti dei passi avanti ma la strada è ancora lunga, sicuramente positiva è stata la misura avviata dal governo Monti di sbloccare il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione che produrrà degli effetti positivi allentando la stretta creditizia che stanno fronteggiando le imprese, ulteriore aspetto positivo in tal senso è stato anche il calo del costo del denaro favorito dall’abbassamento dello spread. Un altro passo seppur timido lo ha fatto quest’ultimo governo con il “decreto del fare” che ha inserito tra le misure di sostegno alla crescita l’aumento della dotazione del Fondo Centrale di Garanzia (FCG) gestito dal Mediocredito © Cesi Multimedia 211 Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa centrale (gruppo Poste Italiane), che con circa 200 milioni di euro di dotazione ha attivato garanzie per circa 2 miliardi di euro. La garanzia pubblica sui prestiti è una leva che potrebbe funzionare da stimolo per riattivare il sistema del credito italiano giunto quasi sfinito dopo questi ultimi anni di crisi. In Italia i prestiti alle imprese diminuiscono del quattro per cento annuo, un po’ perché le aziende non li chiedono ma soprattutto perché continua a crescere l’ammontare dei soldi che non vengono restituiti alle banche e che si trasformano “in crediti in sofferenza”. Un’altra operazione potrebbe essere quella proposta da Romano Prodi, presidente del consiglio in Italia negli anni 1996 e 2006, in un articolo riportato sul quotidiano Il Messaggero del 6 Ottobre 2013 dove afferma che «tramite la cooperazione di soggetti privati e pubblici si potrebbe dare vita a una struttura che rilevando una parte dei crediti “cattivi” delle banche permetta il ripristino della circolazione di credito nel nostro sistema. Potrebbe essere un’iniziativa che coinvolga tutto il sistema finanziario nazionale, dalla Banca d’Italia alla Cassa Depositi e Prestiti e comprenda interventi di capitali privati affiancati da un’eventuale garanzia pubblica. Un’operazione di sistema attentamente studiata e regolata non potrebbe che ricevere la necessaria benedizione della BCE, attenta per definizione al sano funzionamento del sistema bancario di tutti i paesi.». Il rafforzamento del sistema bancario nazionale rappresenta la base per la ripresa interna ma non basta, bisogna comunque guardare a quelle riforme di cui si parla da anni in grado di rendere il paese nuovamente competitivo come la riforma del mercato del lavoro e la riforma del sistema fiscale per alleggerire il carico fiscale delle nostre imprese e dei nostri contribuenti. La crisi che stiamo vivendo ha stravolto il mondo ed ha portato tante sofferenze dovute al perdurare della disoccupazione, dobbiamo fare tesoro degli errori commessi e ripensare anche i nostri modelli di sviluppo. James Heckman, Premio Nobel per l’economia nel 2000, in un’intervista rilasciata al quotidiano Il sole 24 ore del 29 maggio 2009 afferma che: «la crisi ci riporterà sulla buona strada, già oggi ci rendiamo conto che un certo andazzo degli anni passati (la cultura degli eccessi, dell’arroganza, dell’avidità, della corruzione) ha dominato molti strati della società creando una forte polarizzazione. E forse siamo diventati ancora più avidi negli ultimi dieci anni: gli incentivi, che ormai conosciamo bene, gli orizzonti di breve termine per raggiungere certi obiettivi, oggi sono chiaramente criticabili. Negli ultimi anni vi sono state molte opportunità di fare molti soldi, ma in un contesto di mancanza di regole che diventa comunque pericoloso...e proprio ora uscendo dalla crisi che abbiamo l’occasione d’interrompere lo sfilacciamento e la polarizzazione della società americana e di riequilibrare i valori. Temo che le interazioni sociali siano ancora sottovalutate nella teoria economica standard, ma sono convinto che i tratti discussi nel contesto della psicologia delle personalità apriranno nuovi orizzonti per la teoria economica.». La crisi del 2008 ha alla sua origine il fallimento dei meccanismi di auto – regolazione dei mercati, il ruolo delle istituzioni (dei governi, delle banche centrali, degli enti regolatori) sarà fondamentale per evitare che un domani si ripresentino gli errori del passato. Ronald Coase, Premio Nobel per l’economia nel 1991, in uno dei suoi saggi afferma che: «il mercato nella sua visione è determinato dalla cornice istituzionale di riferimento e, in un certo senso, l’efficacia ed efficienza del mercato dipendono dalla qualità dei diritti e delle regole…buone regole dunque creano mercati ben funzionanti e viceversa.». Tavola 7 – L’attuale contesto italiano La fine della crisi in Italia dipenderà FATTORI ESOGENI FATTORI ENDOGENI Legati al contesto macroeconomico internazionale Legati alla capacità dei governi di avviare riforme necessarie a rendere il Paese competitivo Domanda estera di prodotti Italiani Sblocco dei pagamenti della PA Riduzione del costo del denaro Riforma del mercato del lavoro 212 Aumento del Fondo Centrale di Garanzia Riforma del sistema fiscale © Cesi Multimedia Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa 11.3 Gli strumenti per riconoscere una crisi d’impresa Riconoscere una crisi finanziaria d’impresa non è mai facile soprattutto per un imprenditore che è solitamente restio ad ammettere la situazione di difficoltà e tende a disconoscere la crisi confidando in un futuro miglioramento delle condizioni esistenti (magari l’ottenimento di una nuova linea di credito, la finalizzazione di accordi di dilazione con qualche amico creditore, un miglioramento generale della situazione economica oppure l’ingresso di un socio) che il più delle volte non avviene. La crisi d’impresa generalmente si manifesta in diversi stadi; lo stadio iniziale è denominato di difficoltà, c’è una difficoltà finanziaria in seno all’impresa ma è solitamente transitoria e se gestita correttamente superabile in tempi brevi. Da uno stadio di difficoltà si può passare a uno stadio di crisi in altre parole uno stadio in cui la difficoltà finanziaria si aggrava, fino ad arrivare a uno stadio ultimo denominato d’insolvenza nel quale l’impresa non è più in grado di fare fronte ai propri debiti. Tavola 8 – I 3 stadi della crisi d’impresa Se la crisi è presa nei tempi giusti esistono tanti strumenti a disposizione per governarla, è come un malato quando il malore è diagnosticato in una fase iniziale ci sono ottime possibilità di guarigione se invece il malore è in stato avanzato la cura richiede una terapia intensiva e le possibilità di guarigione si riducono. È di fondamentale importanza quindi riconoscere la crisi fin da subito anche tramite l’assistenza di un advisor esperto che parli chiaro all’imprenditore trasmettendogli la consapevolezza della situazione e avviando assieme quelle misure in grado di disegnare un percorso di rapida uscita. Tavola 9 – Principale strumento per individuare la crisi d’impresa Flussi da gestione corrente Strumento per individuare la CRISI DI UN’IMPRESA FLUSSO DI TESORERIA DI BREVE PERIODO Flussi da gestione scaduto Flussi da gestione straordinaria Flussi da gestione finanziaria Uno degli strumenti migliori per individuare una crisi è il “Flusso di tesoreria di breve periodo”: il flusso di tesoreria è il risultato dei flussi monetari in entrata e in uscita ed esprime quindi il fabbisogno o la liquidità generata dall’impresa nell’arco temporale di riferimento, ha solitamente un orizzonte temporale di breve termine fino a quattro mesi (con previsioni molto dettagliate) e può arrivare a un massimo di dodici mesi (oltre i quattro mesi le previsioni sono più generiche). In una prima fase occorre separare i flussi e attribuirli alle varie aree di riferimento, la suddivisione in aree è necessaria per comprendere dove si origina la crisi e in quale area indirizzare gli interventi: flussi da gestione corrente; flussi da gestione scaduto; flussi da gestione straordinaria; © Cesi Multimedia 213 Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa flussi da gestione finanziaria. Si può andare incontro a diverse fattispecie come cause principalmente operative dovute a un calo del fatturato o a una struttura dei costi sovradimensionata, oppure finanziarie come un’impresa eccessivamente indebitata, o ancora cause straordinarie. Il punto di partenza per la predisposizione del flusso di tesoreria di breve periodo è la previsione del risultato economico dei prossimi mesi, tale previsione comporta un’analisi attenta dei dati a disposizione sia lato ricavi sia costi diretti e indiretti di produzione. In questa fase è molto importante coinvolgere e sensibilizzare tutte le funzioni aziendali (commerciale, produzione, personale, finanziario, ecc.) affinché i dati utilizzati siano attendibili e le ipotesi sottostanti realistiche. Ad esempio la funzione commerciale dovrà fornire le stime di vendita basate esclusivamente su ordini che hanno una ragionevole probabilità di verificarsi (quindi ordini già acquisiti o con trattative in stato avanzato), la produzione dovrà basare le sue previsioni di acquisto sulla base dei prezzi e delle quantità registrate nelle ultime transazioni di mercato, l’ufficio personale dovrà tenere conto di eventuali uscite/entrate di addetti che possono verificarsi nei mesi successivi, il finanziario dovrà in maniera analitica osservare eventuali cambiamenti delle condizioni (come variazioni dello spread di riferimento, eventuali interessi applicati, ecc.). Schema 1- Esempio di Conto economico mensilizzato €m ilioni Cliente A Cliente B Cliente C Cliente D Altri minori Fatturato Costi di acquisto Costi commerciali Costi per servizi Costi per affitti Salari e stipendi EBITDA Ammortamenti Proventi e oneri std Proventi e oneri fin EBT Imposte di esercizio Net result 4 m esi Forecast Gennaio Febbraio Marzo [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 2,0 2,2 2,2 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 0,5 0,4 0,6 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 0,2 0,2 0,4 [..] [..] [..] 0,1 0,1 0,2 Aprile [..] [..] [..] [..] [..] 2,0 [..] [..] [..] [..] [..] 0,3 [..] [..] [..] 0,2 [..] 0,1 Maggio [..] [..] [..] [..] [..] 2,5 [..] [..] [..] [..] [..] 0,5 [..] [..] [..] 0,2 [..] 0,1 Giugno [..] [..] [..] [..] [..] 2,5 [..] [..] [..] [..] [..] 0,2 [..] [..] [..] 0,1 [..] 0,0 Luglio [..] [..] [..] [..] [..] 2,8 [..] [..] [..] [..] [..] 0,8 [..] [..] [..] 0,5 [..] 0,2 12 m esi Plan Agosto Settem bre Ottobre Novem bre Dicem bre [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 2,2 2,4 2,6 2,8 2,2 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 0,4 0,5 0,6 0,5 0,5 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 0,2 0,2 0,3 0,2 0,2 [..] [..] [..] [..] [..] 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 Una volta completate le previsioni economiche bisogna tradurre i risultati economici nei flussi di tesoreria, quindi in flussi positivi derivanti dagli incassi dei crediti dai clienti (occorre fare un’attenta valutazione della qualità del credito) e flussi negativi derivanti dai pagamenti ai fornitori, al personale, all’erario, e agli istituti di credito o altri finanziatori. Tale fase richiede un’attenzione particolare da parte della funzione tesoreria che deve stimare con precisione i tempi di incasso e di pagamento legati a ciascun cliente o fornitore. Riprendendo la suddivisione in aree di riferimento, la prima area da individuare è quella legata ai flussi della gestione corrente che rappresentano principalmente le entrate e le uscite monetarie derivanti dall’attività operativa ovvero il netto tra gli incassi dei crediti dai clienti e il pagamento dei debiti ai fornitori e al personale. La somma dei flussi della gestione corrente esprime la capacità dell’impresa di generare liquidità dall’impiego delle sue risorse, un flusso di cassa negativo in questa fase è un segnale che bisogna rivedere la struttura operativa per restituire valore all’attività economica. 214 © Cesi Multimedia Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa Schema 2- Esempio di Flusso di tesoreria di breve periodo € milioni Cliente A Cliente B Cliente C Cliente D Altri minori Incasso crediti ante Gennaio Incassi (A) Fornitore A Fornitore B Fornitore C Fornitore D Altri minori Pagamento debiti ante Gennaio Salari e Stipendi Pagamenti (B) Flusso gestione Corrente (C= A-B) Fornitori scaduto Tributario scaduto Previdenziale scaduto Pagamento pregresso (D) Aperture linee a breve Chiusure linee a breve Netto linee a breve banche Finanzimenti Oneri finanziari Altro Netto linee banche (E) Flusso di cassa finale (C+D+E) Flusso progressivo Gennaio […] […] […] […] […] […] 3,0 […] […] […] […] […] […] […] 3,5 (0,5) […] […] […] (0,2) […] […] (0,2) […] […] […] (0,4) (1,1) (1,1) Febbraio […] […] […] […] […] […] 2,4 […] […] […] […] […] […] […] 3,0 (0,6) […] […] […] (0,2) […] […] (0,2) […] […] […] (0,4) (1,2) (2,3) Marzo […] […] […] […] […] […] 2,2 […] […] […] […] […] […] […] 3,1 (0,9) […] […] […] (0,2) […] […] 0,2 […] […] […] 0,1 (1,0) (3,3) 4 mesi Aprile […] […] […] […] […] […] 2,0 […] […] […] […] […] […] […] 2,0 […] […] […] (0,1) […] […] 0,2 […] […] […] 0,1 (3,3) Maggio […] […] […] […] […] […] 2,0 […] […] […] […] […] […] […] 1,8 0,2 […] […] […] 0,2 […] […] 0,1 […] […] […] 0,1 0,5 (2,8) Giugno […] […] […] […] […] […] 2,0 […] […] […] […] […] […] […] 1,8 0,2 […] […] […] 0,1 […] […] 0,1 […] […] […] 0,3 (2,5) Luglio […] […] […] […] […] […] 2,5 […] […] […] […] […] […] […] 2,6 (0,1) […] […] […] 0,5 […] […] 0,1 […] […] […] 0,4 (2,1) Agosto […] […] […] […] […] […] 2,5 […] […] […] […] […] […] […] 2,6 (0,1) […] […] […] 0,2 […] […] (0,2) […] […] […] (0,4) (0,3) (2,4) Settembre […] […] […] […] […] […] 2,2 […] […] […] […] […] […] […] 2,5 (0,3) […] […] […] 0,2 […] […] (0,2) […] […] […] (0,4) (0,5) (2,9) Ottobre […] […] […] […] […] […] 2,6 […] […] […] […] […] […] […] 2,2 0,4 […] […] […] 0,3 […] […] 0,2 […] […] […] 0,1 0,8 (2,1) Novembre […] […] […] […] […] […] 2,6 […] […] […] […] […] […] […] 2,4 0,1 […] […] […] 0,3 […] […] 0,2 […] […] […] 0,1 0,5 (1,6) 12 mesi Dicembre […] […] […] […] […] […] 2,6 […] […] […] […] […] […] […] 2,4 0,1 […] […] […] 0,3 […] […] 0,2 […] […] […] 0,1 0,5 (1,1) Una volta definito il flusso generato dalla gestione corrente si procede alla definizione del flusso derivante dalla gestione dello scaduto. Tale flusso esprime le uscite monetarie necessarie per il pagamento dei creditori scaduti, solitamente quando si viene a creare una situazione di difficoltà finanziaria l’imprenditore per gestire la mancanza di liquidità tende a rimandare i pagamenti ai suoi creditori (principalmente fornitori ed erario) dilazionandoli nel tempo e generando quindi un ammontare di debiti scaduti. Il livello di scaduto è un sintomo della gravità della crisi è il segnale che l’imprenditore non riesce a fronteggiare gli impegni con i suoi i creditori, questa difficoltà se continuata e concentrata sui fornitori ha delle ripercussioni sulle attività operative dell’impresa. Fornitori che non vengono pagati regolarmente ma a scadenze posticipate tendono a ritardare le forniture o ad interromperle (salvo il ricevimento di pagamenti anticipati), tali misure comportano per l’impresa nel migliore dei casi un allungamento del ciclo operativo con conseguente riduzione della qualità dei prodotti commercializzati, nel peggiore la mancata consegna della merce. È importante quindi che nel caso in cui il ricorso allo scaduto fosse inevitabile per la mancanza di liquidità, l’imprenditore si dedichi pienamente al rapporto con i suoi fornitori cercando di spiegargli le cause delle difficoltà attuali e comunicando a loro le azioni correttive messe in atto al fine di superare la situazione di tensione finanziaria. Il livello di scaduto non deve mai superare il limite ritenuto accettabile dai creditori (che siano fornitori, erario, banche) superata la soglia di tolleranza i creditori perdono fiducia nell’impresa e iniziano ad avviare gli strumenti a disposizione in primis operativi e poi legali per il recupero dei loro crediti. Ai flussi da gestione scaduto seguono poi i flussi da gestione straordinaria, indicati separatamente in quanto rappresentativi di componenti non ricorrenti, e i flussi da gestione finanziaria che rappresentano il netto dei flussi in entrata e in uscita derivanti dalla gestione delle risorse finanziarie. I flussi finanziari in entrata sono relativi ai finanziamenti e alle linee di breve termine ricevute dagli istituti di credito per finanziare le attività, i flussi in uscita sono collegati agli oneri finanziari da corrispondere e ai pagamenti della quota capitale sui finanziamenti e delle linee di breve termine. Il caso sopra riportato, meramente esemplificativo nei numeri, evidenzia un flusso di cassa dalla gestione corrente negativo per i prossimi tre mesi (Gennaio, Febbraio, Marzo), è il segnale che la gestione operativa non genera cassa in questi mesi e che bisogna capire le ragioni sottostanti ovvero se dovuto a un qualcosa di strutturale o esclusivamente transitorio. Un successivo fabbisogno è espresso dal pagamento dello scaduto (fornitori, tributario, previdenziale) che evidenzia che la crisi è già iniziata nei mesi precedenti ed in qualche modo è in uno stadio avanzato; l’imprenditore per fronteggiare la mancanza di risorse monetarie ha ritardato i pagamenti ai suoi creditori e si trova ora a dovere pagare i debiti scaduti per evitare possibili azioni (operative o legali) di recupero dei crediti. © Cesi Multimedia 215 Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa Il flusso netto linee banche esprime il fabbisogno che risulta dalla gestione finanziaria, un fabbisogno elevato in questa area significa che l’impresa è fortemente indebitata ed è opportuno che l’imprenditore e i suoi advisor rivedano la struttura finanziaria. Tavola 10 – Il fabbisogno complessivo mensile d’impresa Il flusso di cassa finale sopra riportato (la somma della gestione corrente, scaduto, finanziaria) esprime il fabbisogno complessivo mensile dall’impresa, nel caso in questione il fabbisogno si monta nei primi mesi (Gennaio, Febbraio, Marzo) per poi scendere nei mesi successivi grazie soprattutto al migliore contributo della gestione operativa e al termine del pagamento dello scaduto. L’imprenditore con i suoi advisor deve interrogarsi e intraprendere tempestivamente quelle misure per la copertura del fabbisogno che si genera nel primo trimestre, e inoltre valutare se il fabbisogno corrente è un qualcosa di transitorio oppure occorre rivedere la struttura operativa. Il flusso di tesoreria di breve periodo è certamente lo strumento più adatto per comprendere dove si è originata la crisi, rispondere all’esigenza di monitorare la cassa, e individuare quali possono essere le misure correttive per frenare la tensione finanziaria. 11.4 Il Turnaround Una volta presa coscienza dello stato di difficoltà esistente, l’imprenditore con i suoi advisor deve procedere a disegnare la strada di uscita dalla crisi che consente il recupero del valore d’impresa. Bisogna tracciare un percorso che rappresenti un’inversione di tendenza e che adotti le misure necessarie per fare ripartire la macchina: tale processo è denominato Turnaround. Il processo di Turnaround è un processo ampio che si articola in più fasi, c’è una fase iniziale quasi immediata nella quale vengono intraprese tempestivamente le misure correttive in grado di evitare che lo stato di crisi si aggravi ed una fase successiva nella quale vengono implementate le strategie di lungo periodo in grado di creare maggiore valore per l’impresa negli anni futuri. Di seguito sono riepilogati i punti fondamentali su cui concentrare le attività di Turnaround: monitoraggio dei flussi di cassa; individuazione delle nuove linee guida strategiche; predisposizione del piano industriale e finanziario; relazioni collaborative con gli stakeholder. Tavola 11 – Principale strumento per individuare la crisi d’impresa Monitoraggio dei flussi di cassa Misura per superare la crisi d’impresa TURNAROUND Individuazione nuove linee strategiche Predisposizione piano industriale Stakeholder engagement Il monitoraggio dei flussi di cassa rappresenta la fase iniziale quasi immediata e avviene tramite la gestione e l’aggiornamento del flusso di tesoreria di breve. Un processo di Turnaround ha il compito primario di gestire una 216 © Cesi Multimedia Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa situazione di difficoltà di cassa esistente che se trascurata potrebbe portare al blocco dell’impresa senza avere la possibilità e il tempo di implementare una nuova strategia industriale. Il controllo dei flussi di cassa in questa fase è fondamentale, bisogna quindi disporre rapidamente di liquidità per pagare i fornitori più penalizzati e mantenere attivo il ciclo produttivo; per fare ciò la cosa opportuna è implementare fin da subito un sistema che autorizzi solo le spese ritenute indispensabili. Inoltre se esistono prodotti o linee di business che bruciano cassa bisogna interrompere la produzione concentrando le risorse sulle attività core in grado di generare la liquidità necessaria per gestire il momento di difficoltà. In questa attività di cash management (gestione dei flussi di cassa) è importante che l’imprenditore sia affiancato da un advisor esperto. Chi è troppo coinvolto e ha sopportato nei mesi precedenti la situazione di stress finanziario, difficilmente ha quella forza e lucidità per intraprendere le azioni restrittive da implementare. Una volta messo in piedi il sistema di monitoraggio della cassa l’imprenditore con i suoi advisor può dedicarsi alla definizione delle linee guida strategiche. L’impresa è per definizione un’entità soggetta a cambiamenti sia interni sia esterni ed è proprio la capacità di cogliere rapidamente il cambiamento che rappresenta l’elemento vincente per il suo successo, una crisi evidenzia la necessità di un’inversione di tendenza, è il segnale che l’impresa va ripensata nell’attuale ambiente esistente. L’individuazione delle linee guida strategiche passa inevitabilmente attraverso un’attenta analisi della struttura, è importante in questa fase analizzare tutti i dati disponibili (presenti e storici) dell’impresa nonché il mercato di riferimento ed i suoi principali competitor in primis bisogna capire come si possono aumentare i fatturati e con quali prodotti e segmenti è possibile riposizionarsi sul mercato, è importante ricreare un marchio forte e avere una buona posizione che sia in grado di conseguire dei vantaggi competitivi. L’inversione di tendenza passa sia per la ripresa dei ricavi che per il contenimento dei costi, occorre un’attenta valutazione dei costi diretti e indiretti al fine di raggiungere una struttura operativa di nuovo in grado di generare dei flussi di cassa positivi. Disegnate le linee guida strategiche bisogna tradurle in numeri e obiettivi quantificabili, questa fase avviene tramite la predisposizione del piano industriale e finanziario; il piano industriale è lo strumento che fissa gli obiettivi da raggiungere e tramite cui l’imprenditore e tutti i soggetti interessati (anche i creditori) sono in grado di monitorare l’andamento dei risultati rispetto alle previsioni iniziali. Un buon piano industriale e finanziario è un piano che coinvolge le varie funzioni aziendali e fissa degli obiettivi credibili, gli obiettivi di breve termine devono essere raggiungibili e misurabili per dare attendibilità al piano e consistenza al processo di modo che possa essere supportato di fronte ai soggetti coinvolti. Schema 3- Esempio di Piano industriale e finanziario Conto Economico: € m ilioni Fatturato linea A Fatturato linea B Fatturato linea C Altri ricavi Fatturato Costi materie prime Costi per servizi Costi commerciali Costi per affitti Salari e stipendi Costi EBITDA EBITDA (%) Ammortamenti PO std PO finanziari EBT Imposte di esercizio Net result © Cesi Multimedia Plan 2013 [..] [..] [..] [..] 100,0 [..] [..] [..] [..] [..] (95,0) 8,0 8% [..] [..] [..] 4,0 (1,0) 3,0 Plan 2014 [..] [..] [..] [..] 110,0 [..] [..] [..] [..] [..] (100,0) 12,0 11% [..] [..] [..] 6,0 (2,0) 4,0 Plan 2015 [..] [..] [..] [..] 120,0 [..] [..] [..] [..] [..] (105,0) 18,0 15% [..] [..] [..] 9,0 (3,0) 6,0 Plan 2016 [..] [..] [..] [..] 140,0 [..] [..] [..] [..] [..] (110,0) 25,0 18% [..] [..] [..] 12,0 (4,0) 8,0 Plan 2017 [..] [..] [..] [..] 150,0 [..] [..] [..] [..] [..] (120,0) 30,0 20% [..] [..] [..] 15,0 (5,0) 10,0 217 Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa Stato patrimoniale: € m ilioni Immateriali Materiali Finanziarie Attivo fisso Rimanenze Crediti vs clienti Debiti vs fornitori - di cui Debiti vs fornitori riscadenziati Altre attività - (erario, altri crediti, altro) Altre passività - (erario, previdenza, personale) - di cui Debiti vs erario riscadenziati Capitale Circolante Netto Fondi Capitale Investito Netto Debiti vs banche a breve termine - di cui nuove linee a breve Debiti vs banche a lungo termine - di cui mutui riscadenziati - di cui linee a breve oggetto di consolido Totale debiti vs banche Liquidità generata PFN Capitale sociale Riserve Utile / Perdita di esercizio PN Plan 2013 [..] [..] [..] 70,0 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 5,0 [..] 77,0 [..] [..] [..] [..] [..] (45,0) 0,2 (44,8) [..] [..] 3,0 (32,2) Plan 2014 [..] [..] [..] 72,0 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 8,0 [..] 83,0 [..] [..] [..] [..] [..] (45,0) 0,5 (44,5) [..] [..] 4,0 (38,5) Plan 2015 [..] [..] [..] 75,0 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 12,0 [..] 91,0 [..] [..] [..] [..] [..] (43,0) 0,8 (42,2) [..] [..] 6,0 (48,8) Plan 2016 Plan 2017 [..] [..] [..] 77,0 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 15,0 [..] 97,0 [..] [..] [..] [..] [..] (41,0) 1,0 (40,0) [..] [..] 8,0 (57,0) [..] [..] [..] 80,0 [..] [..] [..] [..] [..] [..] [..] 25,0 [..] 111,0 [..] [..] [..] [..] [..] (39,0) 1,5 (37,5) [..] [..] 10,0 (73,5) Affinché un processo di Turnaround risulti efficiente in tutte le sue fasi un ulteriore elemento fondamentale è il rapporto costante con tutti gli stakeholder coinvolti, in particolare i creditori (fornitori, banche, altri istituti, etc). Un processo di Turnaround solitamente richiede uno sforzo ed una partecipazione di tutti i creditori ai quali molto spesso vengono proposte dilazioni di pagamento dei loro crediti o anche nuovi finanziamenti (la cosiddetta “finanza ponte” richiesta agli istituti di credito) per sanare delle situazioni pregresse che si sono venute a creare per lo stress finanziario. Diventa centrale quindi il rapporto costante con questi interlocutori la cui apertura è fondamentale per la buona riuscita del processo di Turnaround; i creditori devono essere considerati parte attiva ed informati regolarmente sull’andamento della gestione. Un buon piano industriale costituisce l’elemento essenziale per avviare un ottimo rapporto con i creditori e un rapporto trasparente infonde fiducia nel processo; è bene che in questo l’imprenditore sia assistito dal suo advisor esperto, garanzia di indipendenza e veridicità, che abbia forti capacità comunicative e sia in grado di illustrare chiaramente i passaggi che l’impresa dovrà compiere nei mesi successivi. L’imprenditore non deve in nessun modo distogliere la sua attenzione dalla gestione ordinaria e dalla costante ricerca dell’innovazione che rappresenta la strada principale per il successo dell’impresa. 11.5 La normativa Un’impresa in difficoltà finanziaria ha la possibilità di gestire il suo processo di ristrutturazione mediante gli strumenti offerti in materia dalla normativa italiana (art. 67 “piano di risanamento”, art. 182-bis “accordi di ristrutturazione”, art. 160 e 186-bis “concordato in continuità” della Legge fallimentare). La normativa italiana in tema di Legge Fallimentare ha subito delle recenti modifiche (l’ultima a Settembre 2012 contenuta nel nuovo Decreto Sviluppo) che s’ispirano ai regimi più avanzati, regime anglosassone e americano, con la finalità di favorire la risoluzione della crisi d’impresa attraverso processi di ristrutturazione e non di liquidazione. 218 © Cesi Multimedia Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa Tavola 12 – Strumenti per la ristrutturazione delle imprese in crisi secondo la normativa italiana La scelta dello strumento di ristrutturazione più idoneo, è da farsi in base all’entità e allo stadio della crisi in cui versa l’impresa, se lo stadio di difficoltà è di per sé transitorio e affrontato tempestivamente lo strumento più idoneo offerto dalla normativa è un articolo 67 ovvero «..un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria ...». Nel caso di adozione dell’articolo 67 il primo passo da compiere per l’impresa è la predisposizione del piano di risanamento (solitamente quinquennale) nel quale viene riportata la nuova strategia industriale da intraprendere. Una volta redatto il piano, un professionista esterno nominato dall’impresa e scelto fra i revisori dei conti deve attestarne la sua fattibilità e ragionevolezza. Solitamente importante per la buona riuscita del piano è l’accordo con i fornitori strategici e con le banche, occorre incontrare tutte le banche interessate (in seduta plenaria al fine di coinvolgerle in toto) e i fornitori principali per illustrare loro il piano e proporre delle possibilità di dilazione del loro credito. I fornitori principali sono portati ad accettare le proposte presentate perché la continuità dell’impresa è un presupposto anche per salvaguardare i loro fatturati, più restie invece sono le banche alle quali si può proporre un pagamento integrale ma dilazionato (solitamente non sono propense a riduzione delle sorte capitale) magari rinegoziando il tasso d’interesse. Presupposto per la buona riuscita della negoziazione con le banche è la parità di trattamento, presentare proposte con condizioni diverse favorendo alcuni istituti di credito (magari più vicini all’imprenditore) rispetto ad altri comporterebbe l’ostracismo degli istituti penalizzati e la conseguente rottura del tavolo negoziale. Laddove possibile, e purtroppo nell’ultimo periodo sempre meno frequente date le difficoltà che sta incontrando tutto il sistema bancario, si può chiedere la concessione di nuova finanza, la cosiddetta “Finanza Ponte”, per ottenere quella liquidità necessaria a pagare i fornitori principali nel breve periodo. Le banche dopo un’iniziale resistenza cominceranno a prendere in considerazione la proposta e a nominare un loro legale esterno che ne tutela gli interessi, se la negoziazione va a buon fine si arriva alla sottoscrizione di un accordo scritto tra le parti, normalmente definito “convenzione” che include tutte le condizioni stabilite a l’accettazione dell’accordo di ristrutturazione del debito proposto. Il ricorso all’articolo 67 ha indubbi vantaggi per un’impresa in stato di difficoltà finanziaria transitoria in quanto è totalmente “out of court”, non prevede costi e vincoli giudiziari, ha una rapida applicazione e consente ai creditori principali (fornitori strategici e banche) di continuare a supportare l’impresa senza rischiare di dovere restituire quanto incassato in caso di successivo fallimento (azione revocatoria). Con il perdurare della situazione economica negativa e l’aggravarsi delle crisi d’impresa è sempre minore il ricorso allo strumento snello dell’articolo 67, i creditori ultimamente preferiscono l’adozione di uno strumento giudiziario che tuteli maggiormente le loro posizioni come gli accordi di ristrutturazione ex articolo 182-bis della L.F. : «… l’imprenditore in stato di crisi può domandare..l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti unitamente ad una relazione redatta da un professionista..sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.». L’articolo 182-bis della L.F. è un istituto cui solitamente si ricorre nei casi in cui la difficoltà finanziaria è sfociata in uno stadio avanzato, questo istituto richiede il ricorso all’autorità giudiziaria e beneficia di una moratoria di sessanta giorni a favore del debitore contro il quale non © Cesi Multimedia 219 Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa possono essere iniziate azioni cautelari o esecutive «… dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore ...». Il debitore negozia gli accordi con i creditori più rilevanti (solitamente banche e fornitori) al fine di ottenere consensi che superino il sessanta per cento del monte complessivo dei suoi debiti, in seguito i creditori sottoscrivono una dichiarazione di accettazione dell’accordo che l’impresa in crisi si appresta a presentare al tribunale. Il professionista chiamato a valutare la fattibilità e ragionevolezza del piano anche sulla base degli accordi raggiunti con i creditori dovrà in particolare attestare che l’impresa in crisi è in grado di fare fronte alle obbligazioni in essere con i creditori che non hanno accettato gli accordi. Si tratta a tutti gli effetti di una procedura concorsuale che ha costi e adempimenti giudiziari da sostenere e la pubblicità negativa del ricorso al tribunale, inoltre non bisogna sottovalutare l’onere legato all’eventuale pagamento integrale di tutti i creditori estranei non essendo previsto alcun obbligo per i dissenzienti di accettare la volontà della maggioranza dei creditori. L’adozione di questo strumento è principalmente avanzata dagli istituti di credito nelle situazioni in cui gli viene richiesta l’erogazione di una “finanza ponte” o di uno stralcio dei loro crediti “rinuncia ai crediti” ritenute indispensabili per la gestione della crisi. A differenza dell’articolo 67 infatti l’articolo 182-bis tutela maggiormente in questi casi le posizioni delle banche in quanto gli concede la pre deduzione della finanza erogata (una sorta di garanzia sulla nuova finanza) e la possibilità di dedurre fiscalmente le perdite registrate da un’eventuale riduzione dei crediti. Uno degli elementi più innovativi del nuovo sistema delle procedure concorsuali è il concordato con continuità aziendale, ex articolo 160 e 186-bis della L.F., l’imprenditore che si trova in uno stato di crisi avanzata che comprende anche lo stato di insolvenza «… può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma ... b) l’attribuzione delle attività dell’impresa interessata dalla proposta di concordato ad un assuntore (possono costituirsi come assuntori anche i creditori) ... c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei ... d) trattamenti differenziati tra i creditori appartenenti a classi diverse.». Il piano in questione deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, la relazione del professionista deve attestare non solo la tenuta del piano di continuazione dell’attività ma anche che la prosecuzione dell’attività è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. L’istituto del concordato in continuità rappresenta un valore sia per l’impresa che continua a lavorare mantenendo e preservando il valore dei suoi beni sia per i creditori che dai flussi generati dalla continuità vedono un maggiore soddisfacimento del loro credito. Storicamente nei concordati nei quali i creditori sono soddisfatti esclusivamente dalla cessione dei beni (concordati liquidatori) la percentuale di soddisfazione dei loro crediti è molto bassa, anche se la percentuale minima stabilita dalla legge e garantita solitamente dai periti nominati dai Tribunali si attesta intorno al quaranta per cento, la perdita di valore dei beni aziendali dovuta all’interruzione dell’attività economica conduce a delle percentuali effettive di ripagamento molto inferiori (anche il tre o quattro per cento). Il concordato prevede una fase iniziale denominata di prenotazione nella quale viene depositata in Tribunale la domanda di concordato, corredata dei bilanci degli ultimi tre esercizi, ma ancora priva del piano e della proposta ai creditori. In questa fase l’imprenditore può essere autorizzato dal tribunale a compiere atti di ordinaria amministrazione e urgenti di straordinaria amministrazione. La prenotazione comunque, denominata “pre-concordato” ex art. 160 della L.F., protegge il debitore da eventuali azioni cautelari ed esecutive da parte dei creditori. In seguito alla prenotazione ed entro un termine che va dai sessanta ai centoventi giorni, eventualmente prorogabili di ulteriori sessanta giorni massimo, viene presentato il piano e la proposta di concordato. Il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella classe medesima, i creditori che non hanno esercitato il diritto di voto si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza (c.d. silenzio – assenso). Il Tribunale riscontrata in ogni caso la maggioranza può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano essere soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. 220 © Cesi Multimedia Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa 11.6 Un caso pratico 11.6.1 Il piano di risanamento della società ALFA La società ALFA opera nel settore della produzione e commercializzazione di beni di largo consumo e versa ultimamente in uno stato di crisi scaturito da una contrazione dei margini economici causata, nel triennio 2009 – 2012, principalmente da un significativo aumento del costo delle materie prime (prezzo dei cereali), dal lancio di business line non marginanti e da un eccessivo indebitamento. La società ALFA al fine di tutelare gli interessi dei suoi creditori, che si sono ritrovati con un ammontare di crediti non pagati, e superare lo squilibrio economico e finanziario ha deciso di ricorrere allo strumento normativo ex art.186-bis della L.F. “Concordato in continuità” depositando in Tribunale la domanda di concordato ex art. 160 della L.F. Gli azionisti della società ALFA hanno successivamente provveduto alla nomina di un nuovo management composto da personalità esperte in situazioni di Turnaround e con la necessaria indipendenza. Il nuovo management coadiuvato dagli advisor legali e finanziari ha avviato le opportune misure per assicurare la continuità, in primis sono state ristabilite le relazioni con i principali istituti di credito per lo più scottati da un ammontare di crediti derivanti dalla precedente gestione andati oramai scaduti. E’ stato fin da subito predisposto un piano di cassa di breve termine che ha evidenziato la necessità di ottenere la “finanza ponte”, circa € 5 milioni, per far ripartire pienamente il business, si è poi proceduto in maniera tempestiva all’interruzione delle attività meno profittevoli al fine di recuperare la liquidità da immettere per la ripresa del core business, e alla definizione delle linee guida del processo di Turnaround. A tal punto è stata effettuata un’approfondita analisi della situazione economico – finanziaria funzionale alla pianificazione strategica degli interventi da intraprendere. Dopo quattro mesi dal deposito della domanda è stato presentato al tribunale di riferimento il piano concordatario predisposto dalla società e dai suoi advisor legali e finanziari che è stato attestato da un professionista esterno in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa. Il piano concordatario si fonda sulle seguenti linee di azione: a) focalizzazione dell’attività imprenditoriale sui soli core business con ottimizzazione delle attività di produzione e commercializzazione tramite: rafforzamento della presenza in aree geografiche in crescita e facilmente raggiungibili (con costi di trasporto ridotti), potenziamento della struttura commerciale, sviluppo di una rete di partner integrati, concentrazione della produzione interna in un unico stabilimento, terziarizzazione dell’attività logistica ad una società terza; b) ridefinizione della struttura societaria e organizzativa coerentemente con il mutato contesto di business tramite: riduzione della struttura dirigenziale, ricorso temporaneo agli ammortizzatori sociali per parte del personale dipendente, ridimensionamento dell’organico dipendente coerentemente con gli interventi ipotizzati a livello di business model (concentrazione in un unico stabilimento); c) raggiungimento dell’equilibrio finanziario tramite la vendita di asset considerati no core al fine di liberare risorse utili, e rimodulazione del debito finanziario volta a riequilibrare la struttura delle fonti di finanziamento. Tavola 13 – Le linee d’azione del piano concordatario adottate © Cesi Multimedia 221 Capitolo 11 – Affrontare la crisi d’impresa Il piano industriale predisposto dalla società ALFA prevede ricavi di vendita per circa € 72 milioni nell’anno 2013 che crescono fino a € 95 milioni nel 2017, ultimo anno di piano. Le misure da intraprendere previste dal piano industriale portano a un reddito operativo positivo già a partire dall’anno 2014 (circa € 4 milioni) con un trend crescente negli anni successivi, tali risultati mostrano la capacità dell’impresa di generare flussi di cassa positivi in futuro. La prosecuzione dell’attività d’impresa rappresenta un valore per l’impresa, il cui business torna a generare andamenti economici e finanziari profittevoli, e per i suoi creditori ai quali è presentata una proposta di pagamento dei loro crediti maggiore (parte della liquidità generata dal piano andrà a soddisfare i crediti esistenti alla data di deposito della domanda di concordato) rispetto a quella che avrebbero potuto ottenere da una liquidazione separata degli asset dell’impresa. Di seguito è presentata la proposta di pagamento effettuata dalla società ALFA ai suoi creditori nell’ambito della presentazione del piano concordatario; i creditori sono stati suddivisi in quattro classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei con trattamento per le diverse classi, in particolare: Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 creditori ipotecari (composti da istituti di credito garantiti da fidejussione e allo stesso tempo da ipoteca), pagamento integrale di tali crediti oltre interessi di legge con moratoria di tre anni e rimborso in un arco temporale di 20 anni, salvo rimborso parziale o totale per effetto della cessione degli asset ipotecati. crediti assistiti da privilegio generale (Dipendenti, Professionisti, Artigiani, Erario, ecc.), pagamento integrale con moratoria annuale e rimborso in un arco temporale di 6 anni. istituti di credito chirografari, pagamento integrale con moratoria di tre anni e rimborso in un arco temporale di 12 anni. altri creditori chirografari (composti essenzialmente da fornitori) pagamento nella misura del 50%, con moratoria di tre anni e rimborso in un arco temporale di 7 anni. L’adunanza dei creditori in merito al piano concordatario, tenutasi dinanzi al Giudice Delegato del Tribunale di riferimento, ha ottenuto il voto favorevole di tutte e quattro le classi di creditori con una maggioranza che va da un minimo di 90% al massimo del 100% dei creditori favorevoli per ciascuna classe. Il piano concordatario trova altresì parere favorevole del tribunale e dei suoi commissari giudiziali (giudizio di omologazione) che riconoscono la prudenza e la professionalità nella predisposizione delle assunzioni del piano pertanto ne ritengono raggiungibili i risultati attesi per gli esercizi successivi. Inoltre gli stessi commissari giudiziali evidenziano come la prosecuzione dell’attività d’impresa rappresenta un valore per i creditori che dall’alternativa liquidatoria non avrebbero avuto alcun vantaggio sintetizzabile in maggiori importi/minori tempi di realizzo rispetto alla soluzione concordataria di continuità. Il caso della società ALFA mostra come la normativa oggi a disposizione offra degli strumenti (ad esempio il concordato in continuità ex art. 186-bis L.F.) che consentono, anche nei casi di crisi finanziaria avanzata, una possibilità rispetto alla liquidazione dei beni e alla perdita del valore dell’impresa. L’alternativa della continuità, ovviamente laddove ne ricorrano i presupposti industriali e finanziari, rappresenta un valore per tutti; l’imprenditore potrà proseguire le sue attività facendo tesoro degli errori passati e affiancando al suo intuito le figure professionali giuste per assisterlo nella gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, i creditori vedranno i loro crediti ripagati in misura maggiore e potranno contare su un’impresa sana e con un ritrovato equilibrio con la quale ricominciare a lavorare, i dipendenti seppure sotto un nuovo assetto organizzativo vedranno per la gran parte il mantenuto il loro posto di lavoro. 222 © Cesi Multimedia