Evoluzione dell`uomo Uno scienziato che vuole studiare un

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Evoluzione dell'uomo
Uno scienziato che vuole studiare un fenomeno fisico come la gravità, il peso specifico, l’accelerazione,
utilizzerà esperimenti, ipotesi, verifiche, ripetizioni…ossia il metodo scientifico, molto potente ma non in
grado di abbracciare tutta la varietà della natura. Molti campi della scienza come la geologia o l’evoluzione
possono essere studiati solo con il metodo della storia. Supponiamo di voler sapere come sono morti i
dinosauri o perché sono prosperati i mammiferi oppure perché i marsupiali si sono estinti in Sudamerica
mentre continuano a dominare in Australia. Le tecniche ristrette del laboratorio non potranno mai spiegare
eventi che riguardano organismi scomparsi da milioni di anni da una Terra molto diversa da quella attuale. I
dinosauri si sono estinti non per una qualche legge fisica ma a causa di un complesso di eventi che ha
prodotto questo risultato che siamo in grado di ricostruire solo attraverso spiegazioni storiche. Una
spiegazione storica non si fonda su deduzioni dirette da una legge di natura ma da una sequenza
imprevedibile di eventi in cui ogni mutamento importante in qualsiasi passo della sequenza può modificare il
risultato finale. Il risultato finale è quindi dipendente o CONTINGENTE da tutto ciò che è avvenuto prima. Il
tema della contingenza è stato poco esplorato nelle scienze ma molto utilizzato in letteratura o al cinema. In
“Ritorno al futuro” un ragazzo trasportato nel passato partecipando ad alcuni eventi rischia di compromettere
la sua stessa esistenza perché interferisce nell’incontro tra i suoi futuri genitori. Anche se la contingenza è la
parola d’ordine per leggere la storia della vita questo non significa che nulla della nostra origine non possa
essere spiegato con le leggi della fisica. L’origine della vita è stata, probabilmente, inevitabile vista la
composizione degli oceani e dell’atmosfera primordiale. Le leggi naturali hanno un’incidenza sulla forma e
sulla funzione degli organismi: fissano i confini entro i quali gli organismi si evolvono. I confini, però, non
possono spiegarci perché tra i vertebrati si sono formati i mammiferi o perché i primati si diedero alla vita
arboricola o perché il genere homo si è sviluppato in Africa. Quando ci poniamo queste domande, quando ci
concentriamo sui particolari allora la contingenza diventa dominante e le leggi della natura passano sullo
sfondo. La terra si è formata 4,55 miliardi di anni fa ma i primi organismi sono comparsi solo un miliardo di
anni dopo. Erano formati da una sola cellula e con il nucleo non ancora ben definito. Dopo due miliardi di
anni si sviluppano celllule più moderne. Peró, per avere i primi animali pluricellulari, dobbiamo aspettare
ancora molto tempo. Solo 530 milioni di anni fa, nel Cambriano, succede qualcosa di inaspettato: compaiono
quasi tutti i phyla moderni (circa 35) insieme ad un’altra ventina di gruppi con anatomie diverse. Negli anni
successivi non emergerà nessun nuovo phylum ma inizierà una lenta e inesorabile decimazione. I fossili più
famosi di questo periodo saranno trovati nelle argilliti di Burgess in Canada. In queste rocce sono si possono
osservare animali di ogni tipo, bizzarri come Hallucigenia, grandi predatori come Anomalocaris oppure
organismi con cinque occhi come Opabinia. Tra questi anche un piccolo organismo lungo meno di 5
centimetri con una notocorda dorsale e fasci muscolari a zig zag: viene chiamato Pikaia gracilens dal nome
del monte Pika dove viene ritrovato. Pikaia sarà classificato come cordato ossia come un nostro lontano
progenitore. Chi mai avrebbe scommesso sulla sopravvivenza di Pikaia? Chi mai avrebbe pensato che i
discendenti di questo piccolo animale avrebbero occupato tutti i continenti? Eppure se Pikaia non fosse
sopravvissuto noi saremmo stati cancellati dalla storia futura: tutti noi dallo squalo al pettirosso, dallo
scimpanzè all’orango. Ma perché Pikaia è sopravvissuto? Circa 65 milioni di anni fa sono scomparsi i
dinosauri che avevano occupato per circa 160 milioni di anni quasi tutte le nicchie ecologiche della terra. Alla
loro scomparsa mammiferi e uccelli iniziarono ad espandersi. In Nordamerica a contendersi il ruolo di primo
piano, come predatori, furono uccelli estinti alti 3 metri e mammiferi carnivori. Dopo molti anni i grandi uccelli
furono sconfitti. Perché prosperarono i mammiferi? Perché erano superiori? Potrebbe sembrare così. In
realtà però, in Sudamerica i grandi uccelli carnivori, i Fororacidi, ebbero il sopravvento per migliaia di anni sui
mammiferi marsupiali. Perché gli uccelli vinsero la battaglia contro i marsupiali? Non esiste una risposta a
queste domande o meglio non esiste una legge di natura che possa spiegarlo. La sopravvivenza di Pikaia, la
vittoria dei mammiferi in Nordamerica e degli uccelli in Sudamerica non può essere spiegata attraverso leggi
naturali ma solo attraverso la storia. Noi tutti siamo figli della storia e viviamo in uno dei possibili universi: un
universo indifferente alla nostra sofferenza e che proprio per questo motivo ci offre la massima libertà di aver
successo o di fallire nella vita che abbiamo scelto.
Contingenza o caso
Immaginiamo un uomo che cammina su un marciapiede rasente al muro per ripararsi dalla pioggia. A un
certo punto cade un vaso da una finestra colpendo sul piede la persona. A posteriori possiamo dare una
spiegazione storica su quanto accaduto: il vaso non era legato correttamente, la persona camminava troppo
vicino al muro per ripararsi dalla pioggia, l'uomo non si è fermato all'edicola per comprare il giornale. Il
risultato finale dipende da tutto quello che è accaduto in precedenza. Il vaso che cade e colpisce l'uomo è
solo una delle tante storie che potevano accadere, tutte ugualmente possibili, quando accaduto è figlio della
contingenza. Immaginiamo una persona che lancia un dado una sola volta: esce il numero sei. Il risultato
finale, questa volta, non dipende da quanto accaduto in precedenza. Non esiste una spiegazione storica.
L'uscita di un numero nel lancio del dado, non è contingente ma frutto del puro caso. Invece l'evoluzione è
puntellata da contingenze di carattere geologico, climatico, storico, geografico, ecologico: se riavvolgessimo
il film della vita e lo facessimo ripartire dallo stesso punto avremmo finali completamente diversi, un piccolo
cambiamento, una qualsiasi variazione porterebbe ad un'altra storia, ad un altro mondo, un mondo
ugualmente possibile e complesso come quello attuale.
Iconografia di una speranza
Le iconografie dell’evoluzione tendono tutte a rafforzare una immagine della superiorità umana. La scala del
progresso lineare ha una storia molto antica: già alla fine del 1700 venivano disegnate sequenze continue
dagli uccelli ai coccodrilli, dai cani alle scimmie fino ad arrivare alla consueta scala razzista dei gruppi umani
con la razza caucasica considerata il gruppo più alto… La marcia del progresso è quindi la rappresentazione
canonica dell’evoluzione: l’unica immagine che viene compresa da tutti. Possiamo trovare conferma nella
pubblicità, nelle vignette e sui giornali. Ma la realtà è ben diversa, la vita è molto più complessa e il modo
corretto per rappresentarla è un cespuglio ramificato che viene potato continuamente dalle estinzioni. Io
penso che alla base dell’accettazione di queste false iconografie ci sia la nostra speranza di non essere
considerati un dettaglio della natura senza capire che solo un Universo indifferente alla nostra esistenza ci
lascia la libertà di decidere in che modo vivere la nostra vita.
I primati
La nostra storia inizia circa 50 milioni di anni fa in contemporanea con l’orogenesi alpino-himalayana. In
questo periodo si sviluppano immense foreste di sempreverdi che ricoprono tutte le terre emerse
dall’equatore ai poli. Più di un centinaio di nuove specie di primati (i cui progenitori sono stati probabilmente
piccoli mammiferi arboricoli simili a scoiattoli come Plesiadapis e Archicebus) iniziano a diffondersi
occupando molte delle nicchie ecologiche, dalla Cina alla Penisola Iberica, dalla Germania all’Africa
meridionale, lasciate libere dall’estinzione dei dinosauri non aviani. La formazione delle catene montuose, in
seguito alla scontro della placca africana e di quella indiana contro la placca euroasiatica, aveva cambiato
completamente la circolazione atmosferica: molte zone erano diventate aride e gli habitat delle scimmie
antropomorfe erano diminuiti a poco a poco. Alcune scimmie scomparvero mentre altre riuscirono a adattarsi
ai nuovi ambienti: oggi rimangono i gibboni e due specie di orango in Asia e alcune specie di gorilla, i
bonobo e gli scimpanzé in Africa.
I primi ominini
Ma quando hanno iniziato a svilupparsi i primi ominini? L’orologio molecolare (il numero delle mutazioni del
DNA è proporzionale all'età di una specie) e anche le datazioni sui fossili ritrovati (basate sull'instabilità di
alcuni elementi chimici) ci dicono che circa 6 milioni di anni fa, in Africa, quando le foreste iniziavano a
lasciare il posto alle savane, fanno la loro comparsa i primi organismi bipedi, gli antenati comuni tra noi e le
attuali scimmie antropomorfe. In quel tempo la savana era un luogo molto arido ricoperto da erbe alte e con
pochi alberi, il mediterraneo era ridotto ad una distesa di acqua e sale a causa della chiusura dello stretto di
Gibilterra e si stava formando la grande spaccatura della Rift Valley nell’Africa orientale. I nostri antenati
avevano una statura di circa 120 centimetri, erano bipedi e non pesavano più di 50 chilogrammi. I
ritrovamenti di questo periodo non sono molti (Saehlanthropus in Ciad, Orrorin in Kenya) ma tra questi, i
paleontologi, trovarono, nella depressione di Afar in Etiopia, tra due strati di cenere vulcanica, Ardi, uno
scheletro di femmina di 4,4 milioni di anni fa classificato successivamente come Ardipithecus ramidus. Era
un organismo bipede con un bacino simile al nostro, braccia molto lunghe, alluce ancora staccato dalle altre
dita del piede e una struttura del polso con ossa non molto rigide. Pur essendo un buon arrampicatore, non
era sicuramente in grado di dondolarsi da un ramo all’altro. Inoltre le ossa delle dita, piuttosto fragili, non gli
permettevano sicuramente di camminare a quattro zampe appoggiandosi sulle nocche come i gorilla e gli
scimpanzé che, probabilmente, hanno sviluppato questa caratteristica solo successivamente. Vista la
particolare struttura dello scheletro pur essendo in grado di camminare in posizione eretta, non potevano
correre e dovevano riposarsi spesso.
Bipedismo
Aver sviluppato questa caratteristica è stato sicuramente importante: le mani, non più utilizzate, per la
locomozione erano finalmente libere e la posizione eretta consentiva una visuale migliore e quindi, una
miglior difesa dagli attacchi dei predatori. Insieme ai vantaggi, il bipedismo comporta seri problemi di cui,
ancora adesso, paghiamo le conseguenze come la fragilità della colonna vertebrale (ernia del disco,
cervicale). Inoltre, la nuova conformazione del bacino, necessaria per la locomozione aumentava i rischi
della gravidanza. Un piccolo scimpanzé può attraversare il canale della nascita senza nessuna rotazione
mentre i piccoli sia dei primi ominini sia del genere Homo dovevano girare su sé stessi prima di poter uscire.
Tutto questo, insieme allo sviluppo del cervello, aumentava notevolmente i pericoli del parto sia per la vita
del piccolo sia per quella della mamma. La selezione naturale, non potendo agire più di tanto sulla struttura
del bacino per non compromettere l’equilibrio della femmina, ha modificato i tempi della nascita anticipandoli.
Se si effettua una comparazione con il mondo di tutti gli altri primati, si scopre che noi sapiens facciamo
eccezione almeno per due aspetti: le dimensioni abnormi del nostro cervello rispetto al corpo e la durata
della gestazione. Un tipico primate non umano con un cervello così grande, per stare in linea con le altre
scimmie, dovrebbe avere una gestazione di circa 18 mesi mentre la nostra gravidanza dura solo 9 mesi. I
primi mesi di vita, inoltre, sono caratterizzati da una totale incapacità del neonato di essere autonomo anche
solo per alcune funzioni minime di sopravvivenza. In questi mesi è proprio il cervello che completa il suo
sviluppo abnorme. È come se noi completassimo la nostra crescita fuori dal grembo materno. Questo
fenomeno si chiama neotenia. È stata calcolata una soglia limite, nella dimensione del capo del neonato, per
poter nascere vivo senza uccidere la madre: essa è pari a 500 millilitri, proprio quella media dei nostri
neonati. Probabilmente l’accorciamento della gravidanza era già iniziato con gli altri ominini ma non così
marcato come nei Sapiens. Inoltre lo stratagemma di modulare i tempi di maturazione si estende non solo al
periodo postnatale ma a tutta l’infanzia fino all’adolescenza. Questo è forse il più importante vantaggio
evolutivo. Un cervello in forte crescita fuori dal grembo materno è capace di assorbire una grande quantità di
informazioni ed è molto ricettivo da un punto di vista sociale e ambientale. È inoltre molto malleabile in
relazione alle informazioni e alle capacità che si intendono valorizzare. Questo vantaggio si rivelerà cruciale
nella trasmissione della cultura e nello sviluppo della capacità cognitive.
Lucy e gli Australopitecus
Nel 1976 viene alla luce a Laetoli, nel cuore dell'Etiopia, qualcosa di straordinario. Alcuni paleontologi
trovano prima un'impronta, poi un'altra, poi ancora una. Una passeggiata di due ominini di circa 3,7 milioni di
anni prima. In quel periodo aveva eruttato un gigantesco vulcano e le ceneri si erano sparse tutto intorno.
Proprio come quando si cammina sulla spiaggia, si erano formate una serie di impronte da cui i paleontologi
ricaveranno moltissime informazioni. Dalle impronte si può capire che i due individui, che saranno classificati
come Australopitecus Afarensis, avevano una posizione eretta, il piede era già arcuato e l'alluce non più
opponibile. Due anni prima era stato ritrovato uno degli scheletri più completi mai scoperti. Anche questo
apparteneva ad Australopitecus Afarensis ed era di una donna di circa 3,4 milioni di anni fa. Aveva le gambe
più lunghe rispetto ad Ardi, sapeva camminare in posizione eretta anche se, probabilmente, il suo incedere
era lento e barcollante. I canini erano più piccoli quindi il comportamento era meno aggressivo,
probabilmente passava una parte del suo tempo nella savana anche se era ancora capace di arrampicarsi
sugli alberi dove trovava rifugio per la notte. La sera del ritrovamento si fece grande festa
nell'accampamento dei paleontologi: "Lucy in the Sky with Diamonds", una canzone dei Beatles, fu ascoltata
tutta la notte. Proprio per questo lo scheletro fu chiamato Lucy e questo lo trasformò in una icona rendendolo
famoso in tutto il mondo. Ma Lucy non era sola. Negli anni furono trovati molti reperti dello stesso periodo
appartenenti sia ad Australopitecus Afarensis sia ad altre specie dello stesso genere
La scimmia nuda
Nel corso della nostra storia abbiamo sviluppato caratteristiche fisiche e comportamenti particolari, alcuni
facili da spiegare altri più misteriosi. Camminare eretti ci rende più instabili, espone i nostri organi vitali,
restringe il canale del parto ci provoca parecchi malanni alla colonna vertebrale. Persino i nostri piccoli
preferiscono, all'inizio, muoversi a quattro zampe prima di provare a camminare come i propri genitori.
Ovviamente ci sono alcuni vantaggi come la possibilità di correre, di muoversi più velocemente, di vedere
più lontano e di liberare gli arti superiori. Tra questi la progressiva perdita della nostra pelliccia: i peli ci
proteggevano dal sole (la pelle sotto i peli doveva essere bianca e la loro scomparsa ha determinato il suo
progressivo annerimento), permettevano di sopportare temperature rigide e ci difendevano da possibili ferite.
Quali sono i possibili vantaggi di questa scomparsa? Una risposta alla prima domanda non è facile. Il fatto
che la scomparsa della pelliccia sia avvenuta nello stesso periodo della moltiplicazione delle ghiandole
sudoripare può far pensare alla necessità di adattarsi ad un clima più caldo e secco utilizzando un sistema di
raffreddamento più efficiente. Secondo un'altra ipotesi, altrettanto realistica, la scomparsa dei peli ha ridotto
il numero dei parassiti e la diminuzione delle infezioni ha permesso una vita più lunga.
Animali da compagnia
La scomparsa dei peli, come abbiamo visto, è stata utile per la diminuzione del numero dei parassiti ma,
ironicamente, proprio lo studio di un parassita, il pidocchio, ci aiuta a capire il cambiamento del nostro manto
peloso. I pidocchi, i nostri più cari animali da compagnia (ci seguono da milioni di anni), sono molto
specializzati nella scelta del proprio habitat. Ogni scimmia ne ha una sola specie ma gli umani ne possono
avere tre, una per i capelli, una per il pube e l'altra per i vestiti. Analizzando il DNA dei pidocchi dell'uomo e
degli scimpanzé, si è scoperto che l'antenato comune del pidocchio dello scimpanzé e di quello dei capelli
dell'uomo risale a sei milioni di anni ossia la data di separazione della nostra linea evolutiva dalla loro. Da
quel momento, ominini e scimpanzé si sono evoluti assieme ai rispettivi pidocchi. Gli ominini, peró, ad un
certo punto, hanno acquisito una seconda specie di pidocchi, quelli del pube (le piattole più piccole e grosse)
che si sono evoluti a partire da quelli del gorilla, tra i 3 e i 4 milioni di anni fa. Sorvolando su come ció sia
potuto accadere visto che i pidocchi si trasmettono solo per contatto diretto, questo fatto ci suggerisce che la
riduzione dei peli corporei sia iniziata proprio in quel periodo. Per consentire l'evoluzione di due specie
diverse di parassiti, infatti, i loro habitat (capo e pube) dovevano essere separati. Per questo motivo,
probabilmente già Lucy doveva essere nuda o quantomeno senza peli sul tronco. L'altro tipo di pidocchio,
invece, ci aiuta a capire quando ci siamo rivestiti. Analizzando il DNA del pidocchio dei vestiti, si è scoperto
che questo parassita si è separato da quello dei capelli (ha la stessa forma ma è leggermente più piccolo)
circa 100000 anni fa. Questo significa che la nostra vestizione potrebbe essere iniziata in Africa prima
dell'uscita da quel continente. Ma perché abbiamo iniziato a vestirci? Anche questo è avvolto dal mistero ma
potrebbe dipendere, oltre che da esigenze di carattere ambientale, anche dall'immagine che i nostri
progenitori volevano dare di loro stessi agli altri membri della società: una teoria affascinante che, se vera,
potrebbe spiegare la nascita di rapporti complessi all'interno delle prime comunità di homo sapiens.
Sicuramente i sapiens portarono fuori dall'Africa, insieme ai loro parassiti, anche l'innovazione
dell'abbigliamento. I vestiti sono stati utilissimi per attraversare l'attuale stretto di Bering nel viaggio che li ha
portati nel continente americano. Anche l'uomo di Neanderthal ha utilizzato i vestiti ma non le scarpe: alcuni
ricercatori americani sono riusciti a dimostrare che i sapiens di circa 40000 anni fa avevano inventato le
prime calzature. Lo hanno dedotto dalle ossa dei piedi che diventano più sottili con l'uso delle calzature. Le
ossa dei piedi di Neanderthal, invece, non presentano questa caratteristica per cui, probabilmente, sono
passati attraverso tutte le ere glaciali a piedi nudi.
Il genere Homo
Intorno a tre milioni di anni fa si sviluppano altri ominini: Paranthropus e i primi rappresentanti del genere
Homo. In questo periodo, il clima ancora più secco, favorisce l'ampliamento della savana. Nel cranio dei
Paranthropus erano presenti grandi molari e potenti muscoli masticatori. Questi individui erano
perfettamente adattati per sopravvivere in un territorio come la savana caratterizzato da erbe secche e dure.
Il genere Homo, invece, aveva molari meno sviluppati, la sua dieta era molto variegata e aveva la possibilità
di trovare il cibo da diverse fonti. In una tendenza generale di progressivo inaridimento, i Paranthropus erano
sicuramente i più adatti. In realtà, nel breve periodo (cicli annuali), a causa dei monsoni, si alternavano
momenti più umidi e altri più secchi e quindi si poteva avere una maggiore o una minore copertura arborea.
Tutto ciò ha favorito il genere Homo, meno specializzato ma più flessibile con una dieta più varia che gli
permetteva di nutrirsi in ogni situazione. Ancora una volta possiamo vedere come contingenze ambientali
abbiano potuto dare una svolta particolare alla storia naturale favorendo in modo accidentale forse i meno
adatti: infatti, mentre i Paranthropus rimarranno un ramo secco nel cespuglio che rappresenta l'evoluzione
umana, il genere Homo continuerà a prosperare.
Homo habilis, Homo ergaster, Homo erectus e Homo heidelbergensis
I primi individui di questo genere compaiono, in Africa, tra i tre e i due milioni di anni fa e vengono chiamati
Homo habilis per la capacità di costruire semplici strumenti di pietra che, probabilmente, servivano per
rompere i frutti duri o per raschiare la pelle degli animali. Non erano ancora in grado di cacciare ma si
nutrivano dei resti degli animali catturati dai grandi predatori della savana oltre che dei frutti e dei germogli
degli alberi. Sebbene molti scienziati sostengano che Homo habilis non sia mai uscito dall'Africa, altri
ipotizzano che vi siano stati alcune migrazioni che li hanno portati in Asia e che siano proprio loro i veri
progenitori dell'uomo di Flores. Comunque sia andata, sicuramente nello stesso periodo, circa 1,9 milioni di
anni fa, era presente anche Homo erectus (secondo alcuni Homo ergaster). Una specie abbastanza alta,
con un cervello molto sviluppato che, non solo camminava eretto, ma riusciva a percorrere anche lunghe
distanze grazie al nuovo tendine d'Achille e al femore più lungo. Un polso forte e flessibile gli consentiva di
scavare nel terreno alla ricerca di tuberi e radici ma anche di colpire animali e avversari. Tra tutte queste
caratteristiche peró, fu il controllo del fuoco quello che fece la differenza. Homo erectus, infatti, non solo
imparó ad utilizzarlo per illuminare le notti e per scaldarsi, ma anche a usarlo Come arma, con finalità sia
difensive sia offensive. Homo erectus, i cui ultimi esemplari risalgono a circa 40000 anni fa, era anche un
grande viaggiatore, infatti fu il primo ad uscire dall'Africa e riuscí a diffondendersi nell'Europa orientale
arrivando fino ai confini del continente asiatico. Nell'ultimo milione di anni l'Africa doveva essere un luogo
abbastanza affollato: mentre Homo erectus continuava a prosperare circa 600000 anni fa, compare Homo
heidelbergensis (da Heildelberg, città tedesca e luogo di alcuni importanti ritrovamenti), il progenitore
comune tra noi e i Neanderthal. Heidelbergensis viveva in Africa, era molto alto (sfiorava i due metri) e con
una capacità cranica paragonabile a Sapiens. Sicuramente aveva sviluppato un linguaggio complesso ed
era un buon viaggiatore. Colonizzò l'Europa e proprio da alcuni di questi individui si svilupparono i
Neanderthal mentre i Sapiens, anche loro discendenti degli Heidelbergensis, si formarono in Africa.
I nostri cugini
I resti che diedero il nome alla specie furono scoperti nell'agosto 1856 in una grotta della valle (in tedesco
Tal, e in forma arcaica Thal) di Neander in Germania. L'aspetto fisico del neanderthaliano classico, alla luce
delle conoscenze attuali, è quello di un uomo di altezza media (1,60 m) perfettamente eretto e molto
robusto. La testa, rispetto ad un sapiens è allungata antero-posteriormente, ha un volume cerebrale di 1500
cm³, circa il 10% superiore agli uomini attuali e arcate sopraccigliari sporgenti. Ha il mento abbastanza
sfuggente, la carnagione bianca e i capelli rossi. Questo tipo di pigmentazione si seleziona, attraverso le
generazioni, a latitudini con irraggiamento più basso, dove, con un minor flusso di raggi UV, una pelle più
scura, non solo non è necessaria per proteggersi, ma non permetterebbe al corpo di formare la vitamina D,
essenziale per il tessuto osseo e muscolare. I Neanderthal sono stati sempre rappresentati come orrendi
ominidi con la clava e aspetto scimmiesco, in realtà oltre ad avere una carnagione chiara, si dipingevano il
corpo e usavano ornamenti personali come artigli o penne di uccelli, costruivano strumenti musicali,
seppellivano i loro morti e avevano, probabilmente, un linguaggio articolato come si può capire dall'osso del
tratto vocale, lo ioide, molto simile a quello dei sapiens. I primi uomini di Neanderthal risalgono a circa
500000 anni fa, derivano da Homo heidelbergensis e si estinguono circa 28000 anni fa. Quindi Neanderthal
e Sapiens hanno convissuto, negli stessi luoghi, per circa 10000 anni, durante i quali si sono spesso
incrociati. Una piccola parte del genoma di Neanderthal, circa il 2%, infatti, è presente in tutti i Sapiens usciti
dall'Africa.
Uomo di Flores
Nel 2003, in una meravigliosa grotta dell’isola di Flores, tra Bali e Timor, furono ritrovati i resti di alcuni
individui di un’altra specie umana, classificata successivamente come Homo floresiensis. Gli individui non
superavano il metro di latezza e i 25 kg di peso, avevano piedi enormi, lunghe braccia e una capacità
cranica paragonabile a quella di uno scimpanzè. Furono chiamati Hobbit come il personaggio di Tolkien. Pur
avendo una piccola capacità cranica, avevano sviluppato certamente il pensiero simbolico, utilizzavano,
infatti, utensili di pietra per cacciare animali di grande dimensioni come stegodonti, elefanti nani estinti e
grossi varani di 6/7. Probabilmente sono discendenti di Homo erectus arcaici o addirittura di Habilis, arrivati
sull’isola di Flores e poi diventati più piccoli per il fatto di vivere su un’isola in cui le risorse sono più limitate e
i predatori quasi del tutto assenti. Questo fenomeno, che riguarda molte specie, alcune di queste estinte
come gli elefanti nani della Sicilia o i mammut nani della Sardegna, prende il nome di nanismo insulare.
Sulle isole, infatti, gli animali più grandi, dopo alcune generazioni, tendono a rimpicciolire mentre i più piccoli
aumentano la loro dimensione. L’uomo di Flores, che probabilmente viveva nelle foreste come raccontano
alcune leggende che gli attuali abitanti delle isole raccontano ai visitatori, è vissuto fino a 17000 anni fa. Ha
incontrato sicuramente i Sapiens che sono passati dall’isola di Flores nel lungo viaggio che li ha portati in
Australia.
Uomo di Denisova
Nel 2012 alcuni ricercatori dell’Università di Lipsia hanno pubblicato uno studio sul genoma di una nuova
specie umana, i cui resti sono stati trovati in una grotta di Denisova, sui monti Altai, in Siberia. Questa nuova
specie, diversa da Noi e dai Neanderthal, aveva vissuto in quella zona, insieme alle altre specie umane,
circa 40000 anni fa. Di loro si sa ancora molto poco ma sicuramente hanno scambiato alcuni geni con sia
con i Neanderthal sia con i Sapiens: le popolazioni che abitano il Tibet possiedono un gene dei Denisoviani,
che agevola l’adattamento ad altitudini superiori ai 4000 metri. Lo stesso gene, invece, è stato, perso,
perché non più utile, dai progenitori degli attuali abitanti delle pianure australiane.
Homo Sapiens
Analizzando il DNA di noi Sapiens si scoprono cose molto interessanti: indipendentemente dal colore della
pelle, siamo senza dubbio di origine africana, e siamo tutti riconducibili ad un piccolo gruppo di circa 20000
individui che si è formato in quel continente circa 200000 anni fa. Tra i 100000 e gli 80000 anni fa, abbiamo
iniziato un lungo viaggio che ci ha portati in tutti i continenti. Una prima grande dispersione in medio oriente,
poi circa 50000 anni fa il lungo viaggio, solo parzialmente rallentato dall’attraversamento di lunghi bracci di
mare e durante il quale abbiamo incontrato l'uomo di Flores, verso il continente chiamato Sahul, che
comprendeva, durante l’era glaciale, le attuali Tasmania, Australia e Papua Nuova Guinea. Circa 45000 anni
fa siamo arrivati in Europa, dove abbiamo condiviso il territorio con i Neanderthal (e con cui abbiamo avuto
molti incontri amorosi). Una seconda dispersione, circa 40000 anni fa, ha portato i nostri antenati a
colonizzare l’attuale Cina, poi tutto l’estremo Oriente e successivamente, proseguendo verso nord, il
continente americano su cui sono arrivati attraversando l’attuale stretto di Bering che allora era una terra
emersa (la Beringia), che collegava la Siberia all’Alaska. Il viaggio dei Sapiens non è stato indolore per gli
altri animali: in ogni isola o continente che ha sperimentato il nostro passaggio si è assistito alla sistematica
scomparsa di specie che fino a quel momento avevano vissuto indisturbati per milioni di anni. Nel giro di un
paio di migliaia di anni si sono estinti in Australia quasi tutti gli animali sopra i 50 kg, dal leone marsupiale al
Diprotodon, una specie di rinoceronte con il muso da cammello, dal Genyornis, un gigantesco uccello senza
ali, alla Megalania, una lucertola lunga 6 metri. Lo stesso è avvenuto nelle Americhe con la scomparsa della
tigre con i denti a sciabola, del çammello e di un antenato dell’attuale elefante. In Madagascar è scomparso,
dopo il nostro arrivo, circa 2000 anni fa, il gigantesco uccello elefante, in Nuova Zelanda i Moa, nei Caraibi,
circa 5000 anni fa, il Bradipo gigante e, nell’isola di Maurizio, il Dodo con l’arrivo dei portoghesi nel 1600.
Solo in Eurasia e in Africa le estinzioni hanno avuto un ritmo più lento perché gli animali, essendosi evoluti
insieme a noi, hanno imparato a temerci. Ma questo non è servito a molto, infatti si calcola che in massima
parte si estingueranno in questo secolo in compagnia dei nostri parenti più stretti, le scimmie antropomorfe.
Variabilità genetica
La variabilità genetica dell’Homo sapiens è molto bassa soprattutto nelle popolazioni non africane: questo
dimostra che la nostra specie è relativamente giovane e ha avuto origine in Africa da un gruppo
relativamente piccolo. Fino a pochi anni fa, circa 40000, erano presenti, sulla Terra, almeno cinque specie
umane. Si sono mai incontrate? Hanno scambiato il loro corredo genetico? Le ultime scoperte sembrano
confermare questa ipotesi. I primi incroci fra noi e i Neanderthal risalgono a circa 80000 anni fa,
probabilmente in Medio Oriente, quando avevamo appena iniziato il nostro lungo viaggio fuori dall’Africa. Il
nostro DNA contiene dal 2% al 4% del DNA dei Neanderthal. Abbiamo avuto dei vantaggi da questo
incrocio? Non sempre. Alcuni geni dei Neanderthal ci hanno aiutato ad adattarci alle basse temperature. Ma
questi incroci possono portare anche alcuni effetti negativi. Alcuni scienziati americani hanno scoperto che il
DNA di origine neanderthaliana è associato alla predisposizione a malattie quali il diabete o il morbo di
Crohn (una grave infiammazione dell’intestino). E gli incontri con le altre specie umane? Sappiamo per certo
che, durante il viaggio verso l’Australia, abbiamo incontrato l’uomo di Flores ma, non avendo ancora studiato
il DNA di questa specie, non possiamo sapere se ci sono stati incontri particolari. Per quanto riguarda l’uomo
di Denisova, sappiamo che ha incontrato sia i Sapiens sia i Neanderthal: tracce di questi incontri sono
ancora presenti nel DNA di alcuni di noi, in particolare in coloro che si sono stabiliti nel Tibet e nell’antico
continente di Sahul (Australia, Papua Nuova Guinea e Tasmania). Un gene dei Denisoviani favorisce
l’adattamento ad altitudini superiori ai 4000 metri, un ambiente povero di ossigeno.
Il colore della pelle dei Sapiens
Quando abbiamo perso i peli, tra i 4 e i 3 milioni di anni fa, la pelle è diventata più scura perché garantiva
una protezione maggiore dai pericolosi raggi ultravioletti che possono provocare tumori alla pelle.
Sicuramente la pelle è rimasta dello stesso colore fino a quando i Sapiens sono rimasti a basse latitudini. In
Europa, fino a 7500 anni fa i Sapiens europei avevano ancora un colore scuro. La pelle, però, se non riceve
sufficiente luce solare, non produce la vitamina D che è essenziale per il tessuto osseo e per quello
muscolare. Probabilmente i nostri antenati, che erano ormai diventati buoni cacciatori, riuscivano a
compensare questa mancanza mangiando il fegato degli animali uccisi. Nello stesso periodo si sviluppò
l’agricoltura e l’allevamento degli animali domestici. Grazie all’aumentata disponibilità di cereali, si ebbe una
incredibile esplosione demografica. Con la nuova dieta, però, i Sapiens, pur avendo una maggiore quantità
di cibo a disposizione, dovevano procurarsi la vitamina D in altro modo. In alcune popolazioni la pelle iniziò a
schiarirsi e questo favorì la produzione delle vitamina, per altri la soluzione fu diversa. La vitamina D è
contenuta anche nel latte prodotto dagli animali che l’uomo aveva imparato ad allevare. La maggior parte
degli adulti, però, non produce la lattasi l’enzima, presente invece nei bambini, che permette l’assorbimento
di questo prezioso elemento. La pressione selettiva determinò la comparsa della capacità di produrre la
lattasi sia nelle popolazioni che vivevano nei Balcani sia in alcune popolazioni africane e asiatiche. Questa
capacità si sviluppò, soprattutto, nei popoli nord europei forse perché le condizioni climatiche più fredde
favorivano la conservazione e il consumo dei latticini o forse perché la bassa quantità di luce solare non
permetteva una sufficiente produzione di vitamina D: attualmente la maggior parte dei britannici e degli
scandinavi ha conservato questa capacità che invece non è quasi mai presente negli adulti delle popolazioni
del sud Europa.
I cari estinti
Noi attribuiamo enorme importanza alla morte. Essa viene celebrata con riti molto elaborati. Nei millenni
abbiamo costruito opere monumentali e complessi sistemi di credenze religiose, basati sull’esistenza di
un’altra vita, che si estende al di la di quella biologica. La morte è sicuramente il campo più coltivato della
nostra fantasia. Si tratta di una realtà su cui noi continuiamo a vagheggiare, con sempre maggior dovizia di
particolari, pur senza avere la benché minima informazione in proposito. Un territorio privilegiato, del nostro
pensiero simbolico. I primi esempi di cerimonie funebre si rinvengono in Australia, nei pressi dei laghi
Willandra, 800 km a sud di Sidney, dove gli aborigeni venerano ancora adesso i resti della donna di Mungo.
Il corpo fu prima cremato, poi le ossa residue frantumate e cosparse di ocra e sepolte. Circa 50000 anni
dopo, gli Aborigeni considerano quest’area sacra e si ritengono i discendenti di questa donna. Con il tempo
le sepolture umane coinvolsero cerimoniali sempre più complessi. In Italia è famosa quella del Principe nella
caverna delle Arene Candide vicino a Finale Ligure risalente a circa 24000 anni fa. Il corpo apparteneva a un
giovane di circa 15 anni, alto più di 170 centimetri. L’appellativo di Principe deriva dalla ricchezza degli
oggetti trovati per onorarlo. Il suo corredo era formato da palchi di alce, un copricapo di conchiglie perforate
e denti di cervo, un’arma di selce stretta tra le mani e altri oggetti in avorio di mammut. Anche in questo caso
gli oggetti erano disposti su un giaciglio coperto di polvere d’ocra. Pratiche funerarie ancora più elaborate
sono state rinvenute in altre aree dell’Eurasia. In Russia, ad esempio, sono state trovate sepolture che
riguardano un uomo adulto e due fanciulli. Essi presentano ornamenti composti da migliaia di grani d’avorio
di mammut e copricapi decorati da denti di volpe. Dallo studio delle tombe ritrovate, è possibile ipotizzare la
struttura delle società in cui avvenivano. Probabilmente doveva esistere un certo surplus di risorse rispetto
alle esigenze di sopravvivenza: il tempo di lavoro necessario a produrre i manufatti più sofisticati richiedeva,
almeno, il sostentamento delle persone che vi si dedicavano. In secondo luogo, nei casi in cui gli oggetti
erano particolarmente elaborati, la società doveva essere già organizzata in modo gerarchico (veniva
riconosciuta una certa importanza a chi veniva sepolto) e doveva esistere una certa suddivisione del lavoro
o almeno una certa capacità di alcuni artigiani. Inoltre doveva esistere la convinzione che per il caro estinto
doveva esistere una vita ultraterrena nella quale poter utilizzare gli oggetti che venivano sepolti con lui.
Anche i Neanderthal seppellivano i loro morti e svariate sepolture sono state ritrovate in Francia, nel
Caucaso e in Medio Oriente. In Italia è noto il cranio del Circeo, ritrovato nel 1939 all’interno della grotta
Guattari, risalente a 50000 anni fa, disposto al centro di un cerchio di pietre e di ossa di animali.
Pensiero simbolico
Ciò che ricaviamo dalle prove fossili di crani è che mediamente, durante gli ultimi due milioni di anni, la
dimensione del cervello degli ominini è cresciuta piuttosto velocemente. Ciò che questo significa, però, non è
chiaro, perché ci sono moltissime specie diverse coinvolte in questo andamento generale. Le dimensioni dei
crani e dei cervelli, non ci dicono nulla su che tipo di capacità cognitive avessero. L'unica possibilità che
abbiamo per comprendere quale realmente fosse la natura dell'intelligenza dei primi ominini, è guardare a
ciò che hanno realizzato con le loro mani. In questo caso troviamo che, per esempio, mentre la
fabbricazione di strumenti anche piuttosto raffinati si spinge molto indietro nel tempo, le prime indicazioni che
abbiamo di un pensiero simbolico, che è l'unica capacità che ci distingue nettamente dal resto del mondo
vivente non vanno oltre i 100.000 anni di storia. Cioè quando sono comparse, quasi dal nulla, le prime pitture
rupestri e i primi oggetti che riportavano simboli, come pietre coperte di incisioni e così via. Cosa ci dice tutto
questo sul processo evolutivo che ha portato all'emersione dell'intelligenza simbolica? Possiamo dire che è
nata improvvisamente, con un balzo? La transizione tra cultura non simbolica e simbolica fu molto rapida.
Una transizione che si basò sull'acquisizione di una qualche nuova capacità neurologica: una mutazione
genetica. Ma il potenziale di questa nuova capacità neurologica aveva bisogno di essere attivato da uno
stimolo culturale. E questo stimolo fu l'invenzione del linguaggio. Quindi avevamo dei cervelli pronti per il
linguaggio, probabilmente, ma non da molto tempo prima che il linguaggio fosse inventato. Le pitture rupestri
indicano senz’altro capacità di rappresentazione simbolica. Abbiamo acquisito il potenziale per il linguaggio
e il pensiero simbolico indipendentemente dal fatto di usarli. Il potenziale era lì, come risultato di una
fortunata coincidenza. A quel punto lo sviluppo di questo nuovo potenziale fu un fatto molto rapido,
probabilmente innescato dall'invenzione del linguaggio in qualche individuo.
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