varietà e complessità del magico in sardegna: tradizione

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI
Dottorato di ricerca in
Scienze dei sistemi culturali
INDIRIZZO: STORIA DEGLI STATI MEDIEVALI MEDITERRANEI
E ANTROPOLOGIA CULTURALE
- XVII CICLO -
VARIETÀ E COMPLESSITÀ DEL MAGICO
IN SARDEGNA:
TRADIZIONE, INNOVAZIONE, IDENTITÀ
TUTOR:
PROF.SSA MARIA MARGHERITA SATTA
DOTTORANDA:
GIANNA SABA
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
La presente tesi è stata prodotta nell’ambito della scuola di dottorato in Scienze dei
Sistemi Culturali dell’Università degli Studi di Sassari, a.a. 2010/2011 – XXVI ciclo,
con il supporto di una borsa di studio finanziata con le risorse del P.O.R. SARDEGNA
F.S.E. 2007-2013 - Obiettivo competitività regionale e occupazione, Asse IV Capitale
umano, Linea di Attività l.3.1.
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Indice
INTRODUZIONE
1
1: MAGIA, STREGONERIA, SCIAMANESIMO E STUDI ANTROPOLOGICI
9
1.1. Magia
1.1.1. Primi approcci intellettualisti
1.1.2. Magia, psicologia, psicopatologia
1.1.3. Magia e studi di campo
1.1.4. Funzione sociale della magia
1.1.5. Simbolismo e magia
1.2. Stregoneria
1.2.1. Primi studi etnografici sulla stregoneria
1.2.2. Stregoneria e distribuzione delle accuse
1.2.3. Stregoneria ed organizzazione sociale
1.2.4. Le caratteristiche della strega
1.2.5. Antropologia, stregoneria e studi storici
1.3. Sciamanesimo
1.3.1. Un unico termine, diversi significati
1.3.2. Visione “ristretta” ed “allargata” dello sciamanesimo
1.3.3. Il lascito di Mircea Eliade
1.3.4. Un termine inutile?
1.3.5. La rinascita degli studi sciamanici
1.3.6. Tendenze: opere generali, introduttive, compilative
1.3.7. Tendenze: la vittoria degli approcci etnografici
1.3.8. Tendenze: psicologia e psichiatria degli sciamani
1.3.9. Tendenze: studio degli stati alterati di coscienza
1.3.10. Tendenze: approcci cross culturali
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Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
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75
1.4. Magia, stregoneria e sciamanesimo oggi
81
1.4.1. Magia, stregoneria e folklore italiano
81
1.4.2. Performance, narrativa, azione magica
89
1.1.3. Stregoneria contemporanea: contesti extraeuropei
95
1.1.4. Stregoneria contemporanea: wicca e neopaganesimo 104
1.1.5. Neosciamanesimo
119
2: UN MONDO AL TRAMONTO? INNOVAZIONI E SINCRETISMI
2.1. Malocchio
2.2. Fattura
2.2.1. Le storie di Nadia e Daniele
2.3. Prevenire é curare: veggenza e preveggenza
3: MAGIA, IDENTITÀ E ARCHEOLOGIE ALTERNATIVE
3.1 Vivere ad Atlantide
3.2.“Archeostrani” ed “archeobuoni”
3.3. Giganti ed alieni: dal mito al rito
3.3.1. La nuragheologia
3.3.2. Stelle e giganti ad Atlantidea
131
142
162
171
185
200
206
212
231
239
243
CONCLUSIONI
255
BIBLIOGRAFIA
264
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Introduzione
1. Nel lavoro di tesi “Magistrale” avevo avuto modo di analizzare i sistemi di cura e
terapia non ascrivibili alla medicina ufficiale, che potevano essere considerati una
caratteristica indicante la permanenza di una cultura convenzionalmente definibile
come “tradizionale” oppure, in termini gramsciani, “popolare” e/o “subalterna”.
Varie volte mi era capitato di osservare l'operato di maghi e guaritori e di
sperimentare sulla mia pelle le difficoltà e le insidie dell'apprendistato magico. Avevo
già avuto modo di osservare, quindi, numerose pratiche di cura e forme di risoluzione
di molteplici stati di crisi fisica e psichica, constatandone la presenza nelle rispettive
credenze sia degli operatori magici che di coloro che vi si rivolgevano. Emergeva in
maniera chiara la volontà, sia da parte degli operatori, sia da parte dei pazienti, di
ingraziarsi la divinità, allo stesso modo in cui risultava chiaro il tentativo di
intervenire sulla natura. É chiaro quindi, che quelle stesse credenze e pratiche,
sottoposte ad un costante rinnovamento del sincretismo magico-religioso che, di
fatto, le sottendeva, dimostravano la loro permanenza e vitalità nella cultura sarda
contemporanea.
Questo orientamento magico-religioso si esprime, allora come adesso, in
diverse concezioni del corpo e della relativa malattia. Inoltre, essendo il risultato di
fusioni, commistioni e compromessi fra tradizioni storico-religiose assai diverse, è
chiaro che questo “mondo magico popolare”, risulti essere instabile, elastico ed
estremamente adattabile alle varie personalità e circostanze che, volta per volta, mi
sono trovata ad affrontare. In sostanza, si rivela ad ogni considerazione oggettiva
come vivo e vitale nel suo complesso, nonostante alcune ideologie e pratiche che ho
avuto modo di osservare presentino un'innegabile situazione di declino.
In più occasioni, mi è stato possibile osservare che alcuni cosiddetti pazienti o
clienti non considerano il mago o il guaritore di formazione tradizionale come l'unico
referente al quale rivolgersi per trovare rimedi, sia per quanto riguarda la salute del
proprio corpo che la serenità della propria mente. Essi piuttosto, sembrano possedere
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un'idea composita del mondo, che traspare in maniera inequivocabile dal loro aspetto
e dalle loro espressioni. Essi sembrano mettere in pratica, nella propria adesione alle
varie pratiche e credenze, un vero e proprio pastiche culturale che rimanda a
numerose influenze, per cui la medicina tradizionale può essere intesa come una sola
tra tante modalità alternative di cura che queste persone concepiscono e
sperimentano. Per questi clienti degli operatori rituali del “mondo magico”, quindi,
rivolgersi alla medicina tradizionale non può esser considerata una diretta
conseguenza dell'assenza nel territorio di strutture mediche ufficiali, della lentezza o
dell'eccessivo peso economico delle cure, ragioni, queste, che spesso motivano la
permanenza nel territorio di alcune tipologie di guaritori. Sul campo, il ricorso agli
operatori magici tradizionali da parte di questi gruppi di pazienti, più o meno
numerosi, che differivano notevolmente da quelli fino ad allora osservati, così come
si dimostravano piuttosto differenti da quelli descritti in letteratura, aprì aperto il
campo a nuove, interessanti prospettive di ricerca.
Appariva evidente che essi, pur avendo nozione ed esperienza della cultura
medica ufficiale, aderiscono spontaneamente a visioni del mondo alternative, a
sistemi etici e credenziali che percepiscono come controculturali rispetto all’offerta
egemone della medicina ufficiale. Infatti, essi si rivolgono alla medicina tradizionale
popolare così come alle nuove modalità di cura olistica o new age, interpretandole
allo stesso modo come modalità alternative per lenire uno stato di sofferenza.
Pertanto, è proprio verso queste forme di alterità ed innovazione del
particolare mondo magico sardo che, nel presente lavoro, intendo indirizzare la mia
analisi. Dato che la salvaguardia del benessere e della salute, in Sardegna così come
altrove, non appare più suddivisa in due sfere autonome, quella tradizionale e quella
moderna. In questa ricerca, infatti, mi propongo di restringere l’orizzonte
dell’indagine all'analisi di questo particolare epifenomeno del mondo magico.
Particolare attenzione deve essere concessa allo studio delle diverse dinamiche di
innovazione, riproposizione e contaminazione delle tipologie di cura e guarigione e,
più in generale, di sperimentazione di una visione magica del mondo. Si cercherà di
analizzare questi fenomeni sia teoricamente, con una relativa rassegna storiografica,
che più concretamente con un’indagine sul campo. In questo modo si verificherà
come nell’attuale situazione del modo magico non intervengano più esclusivamente
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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influssi spiritualistici e religiosi, quanto, piuttosto, una compagine piuttosto
eterogenea di ideologie, non necessariamente connotate in maniera mistica.
2. In conseguenza di quanto prima si è sintetizzato, nell’attuale ricerca, come primo
approccio, si è cercato di stabilire i diversi gradi di ricorso all'elemento magico e di
delineare l'ampio spettro di possibili soluzioni culturali elaborate dalle diverse
tipologie di operatori e dei loro clienti, in relazione soprattutto all'esistenza di un
mondo cosiddetto “spirituale” o “soprannaturale” variamente concepito. Si è
cercato, quindi, di verificare se le credenze relative alle anime dei defunti e ai
rapporti tra mondo sensibile e mondo ultraterreno, ampiamente descritte dalla
letteratura etnografica in relazione non solo alla Sardegna, siano tuttora vitali o,
piuttosto, mostrino significative regressioni che possano giustificare eventuali
commistioni sincretiche con culti, ideologie o mitologie esogeni. Inoltre, col
medesimo scopo, si è inteso approfondire la dimensione biografica degli operatori,
non tanto con la raccolta delle singole storie di vita, quanto, piuttosto, col tentativo di
rappresentare gli sforzi da essi compiuti nella costruzione della propria personalità
sociale; in altre parole, nella loro ricerca costante di una buona reputazione.
L’obiettivo concreto, tra l’altro, è stato quello di stabilire se esista o meno una
coerenza col modello tradizionale o, piuttosto, con forme esogene e/o innovative.
Come è facile immaginare, ciò passa necessariamente per il modo che gli operatori
scelgono per rappresentarsi all'esterno, che si riflette, nello specifico, persino nella
denominazione scelta per designare la propria attività di operatore. Definizioni o
titoli come mago, guaritore, sciamano identificano, infatti, non solo differenti
universi mitico-rituali dai quali attingere per la propria attività, ma anche, e
soprattutto, il tentativo di rivolgersi a l'una o l'altra categoria di clienti. Si è cercato
inoltre, quando possibile, di mettere alla prova il nesso tra le vite degli operatori
rituali e la possibilità di curare e offrire sostegno, genericamente concepita come
“fare del bene”, dato che il modello classico di acquisizione delle doti magicoterapeutiche, spesso descritto in letteratura, prevedeva il superamento di un momento
di profonda crisi esistenziale, di una malattia del corpo o dell'anima, propedeutica ed
essenziale all'acquisizione dello status di operatore. Fin dai primi sondaggi
esplorativi, il modello tradizionale di acquisizione dei poteri magici è sembrato venir
3
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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meno.
Si è quindi scelto di indagare, specificatamente, se le modificazioni
nell'universo
culturale
tradizionale
della
cura
comportino
o
meno
una
semplificazione del fenomeno, una sorta di riduzione alla superficie del mondo
magico tradizionale. Lo scopo è cercare di stabilire se possano o meno essere
attestate forme di concorrenza tra le forme di cura e guarigione tradizionali e quelle
innovative esperienze magico-religiose che vanno delineandosi in questo ultimo
ventennio. Il problema ha riguardato, soprattutto, la tipologia di clienti o meglio di
aderenti ai differenti universi mitici e rituali.
Un ulteriore punto che si è scelto di approfondire riguarda alcune esperienze
rituali contemporanee osservate nell'analisi di campo che, pur presentandosi
ufficialmente come l'eredità di una “vera magia” della Sardegna, sembrano aver
completamente disgregato l'originario sincretismo magico-religioso dell'orizzonte
della medicina tradizionale. Sebbene appaiano come magiche, infatti, queste
sperimentazioni spirituali si configurano piuttosto come tentativi di prova di nuove
esperienze estatico-religiose alternative, che non offrono soluzione ai singoli
problemi pratici dell'esistenza, quanto piuttosto, alla ferrea volontà di provare
qualcosa, nella duplice accezione di tentare e percepire. Si è quindi cercato di
delineare il legame che queste mitologie ed identità alternative sperimentano, in un
orizzonte cultuale, che non risulta essere quello della religione cattolica che, nel
passato come ora, costituisce lo sfondo in cui la magia e la medicina tradizionale di
fatto si collocano. Pur presentandosi come derivazione dell'antica magia, infatti, le
nuove esperienze magiche sembrano totalmente ignorare quello che del mondo
tradizionale è tuttora vitale o visibile; esse collocano il proprio orizzonte di
riferimento non nel presente, ma in un passato mitizzato. Da qui l’identificazione
dell'isola come il continente perduto di Atlantide. In questa perduta “età dell'oro” la
Sardegna avrebbe avuto un ruolo centrale nel Mediterraneo occidentale. Si è così
indagato relativamente al fatto che le cosiddette esperienze alternative o new
religions non si limitano a concepire un divino che è immanente alla natura.
Piuttosto, si è condotta l’analisi di come temi e motivi derivati dal passato preistorico
e protostorico dell’Isola vengano dagli aderenti a queste ideologie adeguatamente
trasfigurati. L'obiettivo principale era quello di cercare di delineare il passaggio che
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porta gli aderenti a queste forme contemporanee di credenze
dal “culto
dell'archeologia” all' “archeologia come culto”, cercando poi di identificare se
esistano o meno, all'interno di questo nuovo orizzonte simbolico tipicamente
postmoderno, simboli e mitologie appartenenti a quel mondo magico tradizionale che
esse si propongono di voler recuperare.
3. Per i guaritori cosiddetti “tradizionali”, la reputazione circa il loro potere e
l'efficacia delle cure che essi mettono in pratica è fortemente legata ai circuiti
informali di scambio delle informazioni, per cui il passaparola rimane la modalità più
idonea per ottenere la possibilità di entrare in contatto con gli operatori. Sul piano
pratico, tutto diventa notevolmente più complicato quando si tratta di ricostruire i
meccanismi che stanno alla base del riconoscimento degli operatori contemporanei.
Il lavoro di indagine empirica ha presentato infatti una serie di complicazioni
evidenti. Ciò era dovuto, in parte, alla varietà degli obbiettivi proposti e, in parte, agli
stessi elementi costitutivi del campo d'indagine. L'obbiettivo di indagine rivolto ad
indagare le procedure rituali di anamnesi, di diagnosi e terapie compiute dagli
operatori
ha
mostrato
complesse
difficoltà
di
attuazione.
Le
forme
di
rappresentazione della malattia, le concezioni relative al ruolo degli operatori magici
e terapeutici, persino le modalità stesse attraverso cui i pazienti ed i clienti si
rivolgono agli operatori talvolta hanno dimostrato una tale difformità interna che non
è stato possibile analizzarle in un'ottica sinergica. La diversità dei reticoli informativi
di cui gli adepti di queste nuove religioni si servono ha richiesto l'acquisizione di
particolari metodologie di analisi, dal momento che queste nuove religioni devono la
loro esistenza e diffusione all'utilizzo massiccio degli attuali mezzi di comunicazione
di massa, in particolare Internet; mezzo, questo, che costituisce, di fatto, il metodo
privilegiato per lo scambio di informazioni tra i membri e per il reclutamento di
nuovi adepti.
Ciò si è riflettuto, inevitabilmente, nelle metodologie di raccolta delle informazioni
sul campo. Come in certi casi accade nella ricerca antropologica (Aime 2008:19),
gran parte delle informazioni sono frutto di conversazioni informali che costituiscono
la modalità più idonea di raccolta delle informazioni, che nell’indagine, sono state
costantemente verificate per la loro conferma. Questo modo di procedure non è stato
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comunque sufficiente a render conto in maniera efficace dei temi e delle prospettive
che, invece, caratterizzano, le forme esoteriche contemporanee, per le quali si è
provveduto, oltre all'acquisizione di dati sul campo, all'applicazione dei metodi e
delle strategie elaborate dalla nascente “n-etnografia”. Sono state così monitorate,
per l'intero arco della ricerca, le conversazioni che gli aderenti a queste forme di
credenze contemporanee intrattengono sul web in specifici siti, in blog e in social
network che hanno come oggetto l'archeologia e la storia della Sardegna. Alcuni dei
culti attuali a carattere magico-identitario assumono un atteggiamento complottistico
che nega l'accesso a coloro che essi interpretano come facenti parte dell’Accademia,
ovvero come studiosi e ricercatori classificati come membri dell’istituzione
universitaria e, in quanto tali, dagli aderenti a questo genere di sette esoteriche
accusati di ostacolare la diffusione della conoscenza magico-esoterica di cui essi si
fanno portatori. Di fronte a questo genere di situazione, per poter condurre in modo
puntuale l’indagine, è stato necessario stabilire approcci opportunamente favorevoli
con alcuni aderenti così come con alcuni operatori rituali. Queste scelte strategiche,
quindi, hanno consentito quasi un diretto coinvolgimento in certe pratiche rituali;
questo ha determinato che sia stato possibile cogliere numerosi elementi che
risultano strettamente personali e assolutamente soggetti ai vincoli e alle limitazioni
dell’attuale legislazione sulla privacy1. Da qui l’opportunità che diverse indicazioni
nel lavoro sono state poste in forma anonima e molto generica. Sia i luoghi che le
persone sono stati indicati con iniziali puramente casuali e che opportunamente non
corrispondono con la realtà. A tutela degli informatori, infatti, si è evitato, ove
possibile, di specificare le loro generalità e/o il nome del paese di residenza o di
quello dove sono state condotte le indagini. Resta fermo, tuttavia, che negli appunti e
nelle schede compilati durante la ricerca tutti i dati corrispondono esattamente con la
realtà oggettiva in cui è stata condotta.
4. Il lavoro non poteva esser portato a compimento senza un'adeguata indagine
teorica possibile soltanto attraverso lo spoglio della letteratura essenziale
sull’argomento che abbraccia la magia, la stregoneria e lo sciamanesimo; si tratta di
opere che continuano incessantemente ad essere pubblicate in quanto l’oggetto
1 Ai sensi del D. Lgs. 196/03 "Codice in materia di protezione dei dati personali"
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suscita una forte attenzione. Tale indagine storiografica ha consentito di fare il punto
sulle differenti metodologie interpretative in modo tale da disporre di parametri più
precisi di analisi dei fenomeni studiati. Si è rivelato indispensabile l’uso di repertori
bibliografici ragionati come basi per aggredire ed argomentare i singoli oggetti della
ricerca. In più occasioni, inoltre, è stato necessario ridurre l'ambito di indagine, per
evitare che il momento di documentazione storiografica finisse col soffocare,
fagocitandolo, il momento di indagine sul campo, che costituiva il fine principale
della ricerca. Per tutte queste ragioni si è mirato a creare fin dal principio una griglia
teorico-interpretativa, che consentisse una classificazione, seppure rudimentale, dei
vari fenomeni riscontrati nel lavoro di campo, fornendone almeno una definizione
che consentisse un'identificazione, prima ancora di stabilirne le differenziazioni
interne.
Le difficoltà delle indagini su di campo, infatti, in qualche modo, sono apparse
riflettersi sulla relativa letteratura. In diverse circostanze, la letteratura “classica”
sulla magia è risultata insufficiente, sebbene, come è noto, l’argomento sia uno dei
campi privilegiati degli studi etno-antropologici. Identica valutazione si può fare per
gli studi demologici nei quali vengono affrontate problematiche riguardanti pratiche
e credenze definibili di medicina popolare. Pur trattandosi di una cospicua
storiografia, molto spesso queste opere tendono, per proprio statuto, a non rendere
adeguatamente conto della dimensione del cambiamento. Davanti a fenomeni come
quelli riscontrati sul campo, questo bagaglio teorico ha necessitato, per forza di cose,
di essere ampliato. Tra l'altro, è cosa nota, tra gli studiosi delle scienze umane, che le
forme di credenze magiche contemporanee mettano alla prova i tradizionali confini
della disciplina demo-antropologica, sia in senso geografico che metodologico.
Limitare l'indagine documentaria al solo, generico, oggetto “magia” non avrebbe
fornito un quadro interpretativo utile alla successiva analisi di campo. Per questo, lo
studio della letteratura antropologica si è condensato su tre argomenti “classici” ai
quali gli studi del settore hanno da tempo dedicato la propria attenzione: la magia, la
stregoneria e lo sciamanesimo. Ciascuno di questi temi possiede nelle scienze
antropologiche una propria connotazione, nonostante i confini tra i rispettivi concetti,
fenomeni e soggetti siano, spesso, tutt'altro che definiti. Inoltre, ogni ricognizione
bibliografica che voglia tenere conto di questi oggetti di indagine non può fare a
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meno di trovarsi di fronte ad un quadro teorico estremamente frammentato. A
prescindere, infatti, dai vari orientamenti di volta in volta privilegiati, questi oggetti
hanno attirato l'attenzione di vari ambiti delle scienze sociali, tra i quali il dialogo
non è sempre stato fecondo. Mentre la magia, come lo sciamanesimo, hanno attirato
l'attenzione degli antropologi fin dagli esordi della disciplina, con brevi incursioni
degli psicologi e dei filosofi, la stregoneria ha in più occasioni costituito un campo di
indagine privilegiato per gli storici. Allo stesso modo, è ben visibile nella letteratura
una tacita suddivisione di competenze tra l'antropologia, che ha tradizionalmente
dedicato la propria analisi alle forme di magia extraeuropee o appartenenti alle classi
popolari e altre scienze umane, prime fra tutte la storia della religioni e la sociologia,
che invece hanno invece privilegiato l'analisi dei sincretismi magico-religiosi
contemporanei, soprattutto in relazione ai contesti occidentali. L'antropologia
postmoderna di matrice anglosassone ha ampiamente dimostrato la permeabilità di
quel confine e sono numerosi gli antropologi contemporanei che hanno dedicato le
proprie ricerche allo studio delle forme contemporanee di magia.
Nel presente lavoro, quindi, la storia degli studi che è stata elaborata costituisce
la fase introduttiva sia per la ricerca empirica che per le conclusioni finali. Queste
cercano di illustrare come, nella Sardegna, contemporanea, le credenze e le pratiche
magiche persistano aggiornate e rifunzionalizzate con giustificazioni di tipo
scientifico (o meglio, parascientifico) e tecnocratico. d. Da qui la sconcertante
problematica ancora insoluta se le credenze e pratiche magiche siano o meno
connaturate alla precaria condizione esistenziale degli uomini soggetti ad un
continuo divenire senza mai disporre di punti fermi e noti sul proprio, incerto, futuro.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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1.
Magia, stregoneria e sciamanesimo
negli studi antropologici
Di tutte le tematiche affrontate dall'antropologia, credenze e pratiche riconducibili, a
seconda del contesto, al dominio della “magia”, della “stregoneria” o dello
“sciamanesimo” hanno da tempo interessato gli antropologi, che, nel tempo, hanno
dedicato i propri sforzi analitici all'analisi di questi temi.
1.1. Magia
L'ambiguo statuto della magia ha interessato numerosi antropologi fin dagli esordi
della disciplina. Infatti, come la scienza, la magia presuppone l'esistenza di leggi o
principi generali la cui conoscenza permette a coloro che ne hanno padronanza di
agire sul mondo naturale. Come la religione, invece, la magia postula l'esistenza di
entità invisibili che possono operare nel mondo sensibile. Eppure, la magia manifesta
una radicale “diversità”, o “estraneità”, sia nei confronti della scienza che della
religione, ed è proprio questa sua ambiguità ad aver attirato l'attenzione degli
antropologi. Le varie impostazioni o “scuole” antropologiche che si sono succedute
negli anni hanno fornito la propria interpretazione e spiegazione della magia alla luce
del proprio orientamento teorico, privilegiando determinati aspetti rispetto ad altri;
focalizzando l'attenzione sull'una o l'altra caratteristica; delineando, analizzando e
modificando l'approccio allo studio sul campo e al rapporto con l'informatore. A
prima vista, questi diversi orientamenti allo studio del magico sembrano contenere
una miriade di punti di vista differenti, teoricamente distanti tra loro. In realtà, come
afferma correttamente Pascal Sanchez (Sanchez 2007), le analisi antropologiche
della magia formano piuttosto un campo strutturato attorno a pochi temi principali, a
questioni fondamentali cui gli antropologi hanno cercato, ognuno con il proprio
orientamento, di rispondere.
1.
Cosa é la magia? Una delle prime questioni, la più ovvia, riguarda
l'esigenza di definire la magia come oggetto di studio per l'antropologo. Per questa
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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ragione, fin dai primi studi relativi all'argomento, gli antropologi hanno dedicato i
propri sforzi a cercare di differenziare la magia dalla religione e dalla scienza. Non si
tratta di un'operazione semplice, se si tiene conto del fatto che una definizione
scientificamente valida deve essere in grado di identificare inequivocabilmente tutti
gli elementi che a quel concetto appartengono e, nello stesso tempo, di rendere conto
delle relazioni che l'oggetto di studio ha con elementi che, pur avendo caratteristiche
simili, non fanno parte del suo dominio. Occorre, quindi, trovare una definizione
univoca dell'oggetto dei propri studi ed indicare le analogie e le differenze con altre
forme di conoscenza e/o coscienza nei riguardi, soprattutto, della scienza e della
religione.
2.
A cosa serve la magia? Definito univocamente il proprio oggetto di
studio, gli antropologi non potevano naturalmente limitarsi ad attestarne l'esistenza.
Gran parte delle teorie relative alla magia hanno avuto come obiettivo spiegare le
motivazioni della sua presenza presso le numerose società che gli antropologi si
trovavano ad osservare. Semplificando notevolmente, si potrebbe dire che i diversi
orientamenti antropologici hanno attribuito alla magia tre funzioni differenti: una
psicologica, una sociale o una cognitiva. a) Nel primo caso, l'ipotesi riguarda
l'esistenza di una predisposizione mentale che starebbe alla base del pensiero magico.
In quest'ottica, la magia è sintomo di una mente irrazionale, distorta o primitiva. b) Il
secondo approccio, invece, si riferisce al modello di efficacia strumentale, per cui la
magia si pensa e si fa perché assolve ad una funzione per l'individuo che se ne serve
e per la cultura/società di cui egli fa parte. c) Il terzo approccio evita di dover
postulare l'esistenza di una mentalità irrazionale che sarebbe tipica della magia e si
basa piuttosto sul concetto di efficacia simbolica delle credenze e pratiche magiche.
3.
La magia è destinata a scomparire? Il terzo interrogativo fondamentale
che ha guidato l'analisi degli antropologi riguarda, invece, la previsione di un
presunto declino della pratica magica che, considerata retaggio di una mentalità
distorta e primitiva, sarebbe stata destinata ad un'inevitabile sparizione. La
permanenza, la ripresa e in alcuni casi la creazione ex novo di credenze e pratiche
magiche nel mondo contemporaneo ha definitivamente smantellato questo impianto
teorico, sostenendo la permanenza di un agire e di un pensare magico che costituisce
tuttora un aspetto fondamentale dell'esistenza umana presso molte culture differenti.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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1.1.1. Magia, religione, scienza: primi approcci intellettualisti. Le prime ricerche
antropologiche che hanno come oggetto la magia risalgono alla seconda metà del
XIX secolo. Edward B. Tylor (Tylor 1920[1871]) e James G. Frazer (Frazer 1922),
due noti rappresentanti della scuola evoluzionista britannica, dedicano ampio spazio,
nelle loro opere, all’analisi delle credenze magiche. Come per il filosofo empirista,
per l’antropologo evoluzionista la conoscenza della realtà procede per via induttiva,
sulla base di meccanismi percettivi e associativi. La cultura viene considerata il
risultato di un processo cumulativo suddivisibile in tappe (i cosiddetti stadi culturali)
e costituisce un insieme di pratiche e conoscenze che si consolidano
cumulativamente. Nell'approccio evoluzionista, il pensiero religioso, mitico e magico
sono nettamente opposti al razionalismo scientifico, mentre i principi di contiguità,
somiglianza e causa-effetto, elaborati da Hume, vengono applicati allo studio dello
magia, considerata una caratteristica “primitiva”, ascrivibile al pensiero “selvaggio”
e distante dalla razionalità positivistica.
Uno dei principali elementi teorici della speculazione di Tylor è la sua teoria
sull'animismo, la credenza in entità non corporee variamente definite, considerata
dallo studioso inglese la caratteristica originaria di ogni religione. L'animismo ha alla
sua base
il concetti di anima, idea o credenza errata che il “selvaggio” trae
dall’esperienza di fenomeni come la morte e i sogni. 2 Una volta consolidata, la
credenza nell'anima si sarebbe sviluppata in forme sempre più complesse, tanto che
l'opera tyloriana Primitive Culture (1871) è dedicata alla ricostruzione dello sviluppo
che, dall’elementare credenza animistica, conduce fino alle religioni politeistiche e
monoteistiche. Ogni manifestazione religiosa e magica (storica e attuale, vicina e
lontana) trova collocazione in uno schema suddiviso in tappe, ordinate secondo la
direttrice arretratezza-progresso. Seguendo una direttrice che va dai popoli lontani
alla cultura occidentale, ciò che è considerato culturalmente lontano viene ricondotto
dentro uno schema concettuale familiare al lettore, secondo un meccanismo che gode
nell’antropologia contemporanea di nuove attenzioni (vedasi, a questo proposito, la
discussione che seguì la pubblicazione dell'illuminante articolo di Marylin Strathern
2 In Tylor, la credenza nell'esistenza dell'anima non viene però considerata una caratteristica
esclusiva delle culture extraeuropee, ma è proprio anche di un preciso filone della mentalità
occidentale che ha origine nel pensiero platonico e un'evidente prosecuzione nelle tendenze
spiritualiste allora assai in voga.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
1987:107).
A questo proposito di classificazione del reale in un ampio quadro di conoscenze,
però, si accompagna in Tylor la tendenza evoluzionista alla ricerca di costanti. Per
quanto riguarda, specificatamente, il mondo magico, il principio generale cui viene
ricondotta ogni manifestazione magica è quello dell’associazione di idee, o meglio,
del suo errato utilizzo. Una grande quantità di usanze, all’India, alla Siberia,
all’Australia, all’Africa, passando per la civiltà della Grecia classica, sono ricondotte
a questo grossolano “errore”, che è all'origine delle diverse tipologie di arti magiche,
tutte liquidate da Tylor come fallaci o erronee. Nello specifico, la credenza nella
magia viene ricondotta alla nozione di sopravvivenza, che identifica per Tylor
“un’idea, il significato della quale è andato deteriorandosi col tempo, che potrebbe
continuare a esistere semplicemente perché prima è già esistita” (Tylor 1920:71,
trad.). La magia dunque, definita da Tylor “una delle illusioni più perniciose che
abbia mai vessato l'umanità” (ivi:112), è considerata un fossile etnografico, residuo
di stadi precedenti in una civiltà avanzata Tylor sostiene che, nonostante la cultura
del progresso abbia rigettato l’universo magico, questo abbia lasciato dei retaggi
anche all’interno di molti popoli civilizzati. Un esempio evidente di questi retaggi
sono, per l'antropologo inglese, le cosi dette “manifestazioni spiritiche” performances
di spiritisti e mediums allora assai in voga, per le quali Tylor auspica l'applicazione
di una seria analisi positiva (De Martino 2010[1948]:170).
Anche James Frazer applica allo studio della magia la filosofia di Hume. Pone
come origine della credenza nella magia un'errata applicazione del meccanismo
universale dell’associazione di idee e riformula i principi della contiguità e della
similarità. In Frazer, questi divengono le due grandi “leggi della magia simpatica”,
teorizzate a partire dalla seconda edizione della sua opera più nota, The golden
bough, pubblicata inizialmente nel 1890 e poi ripetutamente ampliata, fino
all’edizione monumentale, in dodici volumi, edita tra 1911 e 1915. La legge di
similarità, fondata sulla convinzione che il simile produca il simile, è alla base di
quelle azioni magiche che prevedono la ricerca di un effetto desiderato tramite la sua
imitazione. La legge di contagio, basata sulla convinzione che due cose che siano
state a contatto continuino ad agire l’una sull’altra anche a distanza, è invece alla
base di riti magici che comportano operazioni compiute su un oggetto materiale, con
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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la certezza che ciò causerà delle conseguenze sulla persona che con questo oggetto è
stata a contatto.
Per Frazer, legge di similarità e legge di contatto sono alla base sia del pensiero
magico sia di quello scientifico: magia e scienza sono tentativi di dominare la natura
a favore del genere umano, fondati sul principio dell’associazione di idee. Ciò che
distingue l’una dall’altra è l’uso di questo principio che, se legittimamente applicato,
dà luogo alla scienza, in caso contrario, alla magia. L’errore che l’operatore magico
compie è, per Frazer quello di estendere sul piano della realtà relazioni che, invece,
sono soltanto simboliche. La distinzione che Frazer opera tra magia e scienza non è
quindi un’opposizione tra razionale ed irrazionale, ma tra vero e falso: tutta la magia
è falsa quanto, invece, la scienza è vera. In Frazer, la visione “magica” del mondo è
frutto di un’acritica estensione delle idee della nostra mente, non sottoposte a
controllo. Il contrario del meccanismo su cui si basa la scienza, che si serve del
metodo sperimentale. Da ciò deriva la celebre espressione frazeriana che cita la
magia come “sorella bastarda della scienza” (Frazer 1922:49).
Basata sull’esistenza di dei spesso umanizzati, i cui capricci e le cui volontà
influenzano la realtà umana, la religione non condivide con la scienza e la magia la
presunzione dell’esistenza di un ordine naturale fondato su leggi oggettive. Per
Frazer, l’uomo di magia e quello di scienza sono rappresentanti di un’umanità attiva,
impegnata nello sforzo di controllare il proprio destino, mentre l'uomo religioso
delega la propria esistenza e felicità a più alti poteri. Per l’uomo religioso, infatti, il
tentativo di controllare la natura si ferma al tentativo di propiziarsi esseri
sovrannaturali. La religione viene collocata su un piano assai distante da quello della
scienza. Ciò nonostante, nella scala verso la complessità, la religione occupa il ruolo
intermedio tra la scienza e la magia, che risulta essere considerata la forma più
arcaica. Da una parte, la superiorità della religione sulla scienza è dovuta ad una
maggiore complessità: la credenza religiosa è conseguenza, secondo Frazer, di un più
alto grado di conoscenza e riflessione rispetto a quella magica, che scaturisce, invece,
“naturalmente”, per semplice associazione di idee. Inoltre, l’osservazione di quello
che ritiene essere il popolo più “barbaro” del pianeta, gli aborigeni, dimostra che la
magia sia universalmente applicata, a differenza, invece, della religione. Frazer
ipotizza, quindi, che una fase magica, definita “era della magia”, sia stata
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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attraversata da tutte le “civiltà umane” e abbia finito poi con l’essere soppiantata da
una fase religiosa, grazie all’intervento di alcuni individui che si dimostrarono in
grado di constatarne l’inefficacia.
Questi primi approcci intellettualisti sono stati fortemente messi in discussione
dagli studiosi del Novecento. Edward Evans-Pritchard, attribuisce agli studi
evoluzionisti un “appassionato razionalismo” e un “tono presuntuoso”, che agli
antropologi suoi contemporanei appariva “irritante o risibile” (Evans-Pritchard
1965:61), mentre l'etnologo italiano Ernesto de Martino sottolinea la mancata
applicazione della scienza positiva all'analisi dei poteri magici
(De Martino
2010[1948]:173). Tanto che
Nei manuali di storia dell'antropologia, le tesi intellettualiste sono per lo più
trattate con divertita condiscendenza-sciocchezze che interessano solo perché
propedeutiche a un reale atteggiamento scientifico, un po' come la teoria del
flogisto o l’alchimia rinascimentale. Tylor e Frazer vi appaiono come progenitori
un po' rozzi e privi di fantasia; per un’ironica nemesi storica, viene loro attribuita
quella stessa ingenuità che essi attribuivano ai “selvaggi”. (Dei, Simonicca 1998a)
Comunque sia, le teorie di Tylor e Frazer hanno il merito di aver riconosciuto alla
magia, fenomeno globale che investe la mente umana nella sua totalità e che
influenza l'esistenza tutta degli esseri umani, lo statuto di oggetto degno
dell'attenzione dell'antropologo. L'opposizione teorica all’impianto gnoseologico
evoluzionista verrà progressivamente mitigata, fino ad arrivare, negli anni '60/'70 del
secolo scorso, ad una rivalutazione con il movimento neo-intellettualista. Inoltre, è
stata ampiamente dimostrata l'influenza di Frazer nel lavoro di Lévi-Strauss, che
sotto l'influenza di Jakobson aveva declinato la distinzione tra legge di similarità e
legge di contatto nella differenziazione tra relazioni metaforiche e metonimiche
(Scubla 1999:73; Tambiah 1990:53). L'impianto teorico di Lévi-Strauss, come è
ovvio, differisce da quello degli evoluzionisti inglesi in maniera notevole, dato che
esamina la magia non più in relazione esclusiva con il principio dell'associazione di
idee, quanto piuttosto in termini strutturali che, com'è noto, non sono riferibili solo
all'organizzazione mentale, ma anche, e soprattutto, alle strutture sociali sottostanti
alla credenza.
L'approccio intellettualistico di Tylor e Frazer verrà progressivamente sostituito
dall'approccio sociologico, dato che una delle critiche principali all'impostazione
degli evoluzionisti inglesi consisteva appunto nel mettere in dubbio la validità di un
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approccio basato su una psicologia individualista e associazionista che tendeva a
considerare le altre forme di pensiero come erronee. La stessa considerazione della
magia come espressione di menti deviate o mentalità erronee è presente in alcuni
antropologi, soprattutto a seguito dall'applicazione degli strumenti della psicanalisi
allo studio antropologico della magia.
1.1.2. Magia, psicologia, psicopatologia. La nascita della psicanalisi offrì spunti
innovativi allo studio della magia, rivolgendo l’attenzione verso quei meccanismi
inconsci e irrazionali che l’evoluzionismo aveva, secondo alcuni, colpevolmente
ignorato. Atteggiamenti magici venivano riscontrati nel comportamento infantile, e il
comportamento magico dei primitivi venne assimilato a quello di nevrotici e
psicotici. Credenze e riti magici potevano essere ricondotti, secondo alcuni, ad una
sorta di affettività speciale: gli operatori magici, come i bambini e gli ossessivi,
credono che basti pensare qualcosa affinché questo qualcosa avvenga.
Sigmund Freud individuò tre fasi, progressivamente ordinate, dello sviluppo
del pensiero umano: una prima fase narcisistica, una seconda caratterizzata
dall’attaccamento ai genitori (tipica della religione), ed una terza ed ultima
(caratteristica della scienza), fondata sulla rinuncia al principio del piacere a favore
dell’adattamento alla realtà. Il pensiero magico, riscontrabile nei nevrotici come nei
primitivi, viene da Freud ricondotto ad una regressione alla prima delle tre fasi.
Questa formulazione teorica è compiutamente formulata in Totem e tabù:
somiglianze tra la vita mentale dei selvaggi e dei nevrotici (tit. orig. Einige im
Übereinstimmungen Seelenleben der Wilden und der Neurotiker, 1913). Il lavoro,
composto da quattro saggi, mira a dimostrare l’utilità dell’applicazione della teoria
psicanalitica ad altri campi, quali l’archeologia, l’antropologia e la storia delle
religioni. Il terzo saggio, Animismo, magia e onnipotenza dei pensieri è
particolarmente utile per lo studio del mondo magico. Qui, il concetto di animismo
viene considerato il “nocciolo originario” di questo sistema di pensiero, dato che la
concezione animista viene ritenuta da Freud un organico sistema di pensiero in grado
di fornire spiegazioni dell’intera gamma delle esperienze umane e, sopra tutte, una
primitiva spiegazione del problema della morte. Per ogni popolo primitivo, la
continuazione della vita oltre la morte è una credenza comune e condivisa, necessaria
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a trovare una spiegazione plausibile ad un evento difficilmente spiegabile.
Il principio alla base del pensiero magico viene da Freud rintracciato nella teoria di
Tylor che vede la magia come confusione di un nesso ideale con un nesso reale. Il
principio psichico alla base del mondo magico, è infatti, secondo Freud, il principio
dell’onnipotenza del pensiero. Nella fase animistica l’uomo si considera onnipotente,
ascrive a se stesso l’onnipotenza che, nella fase religiosa, viene ricondotta agli dei e
che, invece, in quella scientifica, scompare. L’intenzione di imporre le leggi della
vita psichica alla realtà esteriore prescindono dal concorso diretto degli spiriti: ciò è
indizio della maggiore antichità della magia rispetto alla teoria degli spiriti che
rappresenta il nucleo dell’animismo. Mentre la magia sottolinea ancora l’onnipotenza
del pensiero, l’animismo ne ha ceduta una parte agli spiriti, aprendo quindi la strada
alla religione; questa rinuncia è da Freud motivata con il sollievo provato dall’uomo
nel protendere i propri moti affettivi, negativamente connotati, verso spiriti e demoni,
che ne costituiscono delle rappresentazioni. Inoltre, l’impianto animista si presenta
come efficace motivazione del meccanismo di rimozione degli istinti: da qui la
connessione rilevata da Freud con l’istituzione del tabù, che ha comunque origine
come tentativo di repressione degli istinti. Numerose pratiche comunemente
denigrate come superstiziose vengono considerate da Freud rappresentazioni efficaci
di questo meccanismo.
L’apporto di Freud allo studio della magia mostrò l’efficacia della
cooperazione tra psicologia e antropologia culturale. Psicologi e psichiatri, quindi,
nell’esporre
i
loro
casi
clinici,
iniziano
ad
utilizzare
modelli
mutuati
dall’antropologia. Alcune di queste esperienze sono state analizzate da De Martino
nella celebre introduzione allo studio del mondo magico intitolata Magia e civiltà
(1962).
Ad esempio, la teoria freudiana della magia viene applicata dallo psicologo
Jean Piaget allo studio di alcuni comportamenti infantili in La Répresentation du
monde chez l’enfant (Piaget 1926). Assumendo come proprio punto di partenza la
teoria di Freud che vede la credenza come un prodotto del desiderio, Piaget si
propose di rilevare le motivazioni e i fattori che spingono l’uomo a questa
supervalutazione dei desideri, servendosi, a questo scopo, dell’analisi della
psicologia infantile. Egli ritenne che nell'adulto, il fatto che i desideri possano essere
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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percepiti come soggettivi, distinti da quelli degli altri e dalla realtà del mondo, può
far decadere la fiducia in una loro immediata realizzazione. Lo stesso non può,
invece, avvenire per il bambino, che non ha ancora il senso della propria
individualità, né concepisce l'idea di un pluralità possibile, di una distinzione tra se
stesso e il mondo che lo circonda. Sentendosi identico alle immagini che concepisce,
quando il bambino comanda il proprio corpo, è convinto di essere in grado di poter
comandare ciò che vi sta attorno. Questa connessione tra partecipazione e magia è
rafforzata dall’ambiente sociale, in special modo dai genitori, che esaudendo i
desideri ed i bisogni del lattante, alimentano questo comportamento solipsistico. Nel
fanciullo, questo atteggiamento solipsistico viene soppiantato dal realismo. Il
realismo del fanciullo, come il solipsismo del bambino, mostra un rapporto diretto
con la partecipazione magica che secondo Piaget si manifesta in tre modi differenti:
per confusione del pensiero e delle cose; per realismo del segno concepito come
aderente ed efficace; per fusione sincretica delle sostanze individuali.
La magia per partecipazione del pensiero e delle cose nasce col compiere azioni che
non hanno nulla di magico ma che, invece, sono atti ordinari di protezione (ad
esempio, controllare sotto il letto prima di andare a dormire). Nei momenti di
inquietudine si tende però ad osservare ritualmente ognuna delle proprie abitudini,
per paura che trascurandole possa avvenire qualche avvenimento funesto; il gesto
ritualizzato finisce in seguito col divenire simbolico. Nel secondo caso, invece, il
gesto magico è immediatamente simbolico; qui però il gesto è legato al contesto
primitivo per semplice associazione. Si tratta di gesti ritmici che hanno la propria
origine in un gioco o in un piacere estetico: ad esempio, divertirsi a camminare sulle
lastre di un marciapiede evitando le linee di congiunzione. Se il fanciullo in un
giorno particolare proverà un determinato desiderio o timore, egli finirà con l’unire
alla sua abitudine un bisogno di conservazione: ogni simbolo di riuscita positiva
diviene causa di successo di fatti o fenomeni simili. La terza modalità in cui il
realismo si prolunga in magia è costituita dal non concepire la differenza tra relazioni
logiche e causali; per uno spirito realistico tutto appare reale alla stessa stregua, e
tutto è situato sullo stesso piano. Un esempio di questo tipo di comportamenti magici
è il caso del fanciullo che crede di attirare la notte facendo ombra: egli ragiona in
questi casi per schemi sincretici, ammettendo una partecipazione materiale
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dell’ombra con la notte.
Ma per Piaget il realismo non è sufficiente a spiegare tutta la magia infantile. Molte
partecipazioni concepite dal fanciullo presuppongono l’animismo, che è alla base di
un quarta tipologia di atti magici che Piaget definisce mediante partecipazioni di
intenzioni; è il caso del fanciullo che pensa che gli astri vivano dal momento che lo
seguono. Da ciò la magia per comando: basta comandare le cose perché queste
ubbidiscano.
Per concludere la propria trattazione, Piaget cerca di stabilire se e quali tipi di
comportamento magico sopravvivano nell’adulto. Il medesimo realismo che nel
fanciullo si prolunga nella magia è infinitamente meno esteso nell’adulto, ma
comunque presente in stati di imitazione, timore e desiderio. La magia di Piaget non
è esotica, né difficilmente rintracciabile: è un atteggiamento, un attitudine mentale,
un retaggio del pensiero infantile che nella quotidianità è in potere di manifestarsi
anche nell’uomo positivo.
Celebre è, inoltre, il caso dello psichiatra Robert Volmat, che nella sua opera
L’art psychopatologique (1956), analizza il caso di un paziente schizofrenico che
mostrava un’interpretazione delirante del mondo. Nella descrizione che ne offre
Volmat, il paziente, convinto che la realtà sia invasa da quelli che definisce microbi,
reagisce al pericolo della loro presenza mettendo in pratica riti, formule e invocazioni
di carattere magico. Analizzando questo quadro clinico, Volmat ipotizza una
concordanza tra la schizofrenia e il pensiero magico primitivo, riformulando, in
chiave psicopatologica, il rapporto tra cosmogonia e ritualità magica descritto poco
tempo prima da Mircea Eliade (Eliade 1949). Questi aveva, infatti, rintracciato,
presso numerosi popoli, delle usanze che avevano come unico scopo la
reintegrazione del Caos in Cosmo tramite la rigenerazione del tempo, replicando
l’atto da cui il mondo ebbe una volta origine. Allo stesso modo, il paziente di Volmat
cerca di sfuggire alla possibile dissoluzione ad opera dei microbi tentando di
riplasmare il Caos in Cosmo. Così come nelle usanze descritte da Eliade, il paziente
individua un suo Centro, situato nel suo caso nel cortile della clinica di Sant’Anna,
dove è ricoverato: «Il Centro della Terra è situato davanti a me, lì, nel centro del
cortile. Sono io che ve l’ho messo, operando sulla materia. È li che si trova
ammassato il maggior numero di microbi» (Volmat 1949 in De Martino 1962:184).
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Quella contro cui il malato di Volmat lotta è la disgregazione del mondo e, nello
stesso tempo, la sua stessa disgregazione. Gli atti magici che egli compie mirano a
sconfiggere la morte: «Teoricamente e fisicamente è impossibile che io scompaia.
Grazie alla mia lotta contro i microbi, io mi irrobustisco e mi conferisco un fisico
che passa attraverso la specie di microbi. Non possono nulla per uccidermi. Ne ho
fatto l’esperienza. Io sono vaccinato contro la morte» (Volmat 1949 in De Martino
1962:185). Quindi, gli atti magici di molti popoli primitivi e quelli del paziente di
Volmat hanno il medesimo scopo, si sviluppano con le stesse modalità e
presuppongono una visione del mondo simile. Simile, e non identica, perché vi sono,
tra i due atteggiamenti, delle differenze di non poco conto. La magia dello
schizofrenico non è culturale, ma patologica; come è noto, non vi è integrazione
alcuna tra la sua magia privata e la cultura di cui egli fa parte in cui egli è stato
educato, tanto che la sua interpretazione del mondo ne ha causato la reclusione. La
sua interpretazione dei microbi, concetto che egli ha tratto dalla visione scientifica
imperante nella sua cultura, lo rende estraneo tanto a questa quanto alle modalità in
cui viene concepito il mondo nella subcultura magica della Francia rurale
contemporanea ad Eliade. Quest’ultima possiede un orizzonte di pensiero suo
proprio, che fa in modo che i comportamenti magici compiuti dal singolo si innestino
in una visione del mondo socialmente accreditata, integrando e non isolando
l’individuo. D’altronde, nei riti analizzati da Eliade (che cita, come esempio, il
capodanno babilonese, l’akitu) tutta la comunità partecipa alla simbolica regressione
nel caos primordiale e alla ripetizione dell’atto cosmogonico. Invece quello a cui il
malato di Volmat mira, nella solitudine del cortile dell’ospedale di Sant’Anna, è
evitare la propria disgregazione, non quella della comunità che lì l’ha relegato. A
differenza dei bambini di Piaget, per i quali il mondo magico è una fase transitoria
quasi totalmente superata nel passaggio alla vita adulta, quella dello schizofrenico di
Volmat non è il solipsismo gioioso dell’infante, ma la dolorosa segregazione
dell’adulto.
La spiegazione patologica o psicopatologica della magia, pur costituendo sempre,
come prima accennato, un fecondo terreno di indagine, è stata via via superata da
altre impostazioni, che cercavano di offrire delle spiegazioni al comportamento
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magico non riconducibili ad una deviata organizzazione mentale. L'antropologia,
ormai costituitasi come scienza sociale in Francia e in Inghilterra, ruppe il legame
con i propri padri fondatori, ricercando le motivazioni alla base del comportamento
magico non tanto in un determinato stato mentale quanto, piuttosto, nelle
caratteristiche del contesto sociale. É a questo punto che la tradizione inglese e quella
francese degli studi antropologici della magia iniziano a differenziarsi: da una parte,
si sviluppa l'attenzione alle pratiche magiche e alla loro funzione in un contesto
sociale mentre, dall'altra, l'essenza della magia viene rinvenuta in una forma di
pensiero totale o, per meglio dire, in una organizzazione sociale del pensiero. Questa
distinzione, grossolanamente attribuibile all'impostazione funzionalista inglese da
una parte e a quella simbolico-strutturalista francese dall'altra, viene rispecchiata in
alcune figure paradigmatiche, quelle di Malinowski e di Evans-Pritchard, da un lato,
e di Mauss e Levi-Strauss, dall'altro.
1.1.3. Magia e studi di campo.
Come già per altre questioni, l’attenzione di
Malinowski per la ricerca sul “campo”, vero e proprio mito everistico dell’intera
storia dell’antropologia (Stocking, Rossi-Doria 1995) costituisce una rivoluzione
anche nello studio del pensiero magico. Per la prima volta, infatti, la magia viene
studiata con una metodologia che prevede l’inserimento dell’antropologo nel fatto
culturale con un approccio definito “partecipante”, il che consentì a Malinowski di
applicare un metodo innovativo allo studio delle credenze pratiche magiche delle
tribù melanesiane.
In Magic, science and religion (1948), Malinowski analizza le attività
economiche e produttive delle tribù della Nuova Guinea, presso le quali si praticava
abitualmente la magia. Presso questi popoli, l’attività agricola, sebbene praticata con
mezzi rudimentali, costituiva il principale mezzo di sostentamento di una numerosa
popolazione, garantendo persino, talvolta, la sovrapproduzione. Il successo
dell'agricoltura dipendeva dal fatto che queste popolazioni possedevano un vasto
patrimonio di conoscenze condivise riguardanti vari aspetti della cultura contadina,
come l’andamento delle stagioni, le malattie delle piante, le varie tecniche di
piantagione e così via. Oltre alla tecnica agricola vera e propria, però erano assai
diffuse credenze e pratiche magiche, considerate indispensabile alla buona riuscita
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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del raccolto, che venivano celebrate annualmente presso le piantagioni. Gli indigeni,
però, pur dimostrando un timore reverenziale nei confronti dei disastri naturali, non
si limitavano a praticare la magia aspettandosi un risultato, ma facevano tutto il
possibile per assicurarsi la crescita delle messi (Malinowski 1948:9).
Secondo Malinowski, queste popolazioni erano in grado di stabilire una netta
differenza concettuale tra le sventure che potevano colpire il raccolto (cui si
rimediava tramite le conoscenze ereditate) e l'esistenza di influenze avverse
(scongiurate con l’uso della magia). Proprio per questa ragione, il tempo e il luogo di
ogni cerimonia magica venivano stabiliti al di fuori del corso ordinario delle attività
agricole. Questo tipo d’atteggiamento non si limita all'agricoltura, dato che gli
indigeni possedevano anche una conoscenza sistematica dei principi di navigazione e
delle tecniche di costruzione delle imbarcazioni. Nonostante ciò, la buona riuscita
della pesca dipende, allora come adesso, dal passaggio di branchi di pesci, e i
naviganti si trovavano spesso in balia di pericoli improvvisi; da questo stato di
incerto successo gli indigeni si difendevano con l’uso della magia. Non a caso, rileva
Malinowki, l'uso della magia era riservato per la pesca in mare aperto, che presentava
notevoli rischi, e non per quella in laguna, per cui il metodo dell'avvelenamento
garantiva buoni risultati (Malinowski 1948:14). Nel pensiero primitivo, sostiene
Malinowski, questa linea di demarcazione tra cause naturali e cause magiche
risultava meno netta, ma comunque indicativa, anche quando si trattava di temi quali
la salute e la morte (Malinowski 1948:15). In ogni caso, quello dei Melanesiani era
per Malinowski un utile esempio di mentalità razionale presso una popolazione
primitiva che, pur non rinunciando alla magia, non era totalmente immersa in una
mentalità illogica e irrazionale (Malinowki 1948:9). La magia viene così ad assumere
in Malinowski un’importante funzione culturale: standardizza in forme tradizionali
permanenti i comportamenti rudimentali che l’uomo mette in atto in momenti
cruciali della sua esistenza, offre all’uomo primitivo una tecnica mentale e pratica
ben definita che serve a superare l’incertezza possibile in ogni attività importante e
situazione critica. Secondo una concezione divenuta assai celebre egli sostiene che
La funzione della magia è ritualizzare l'ottimismo dell'uomo, per migliorare la
sua fede nella vittoria della speranza sulla paura. La magia rappresenta per l'uomo
la vittoria della fede sul dubbio, della fermezza sull'indecisione, dell'ottimismo sul
pessimismo (Malinowski 1948: 68-69, trad.)
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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In Magic, science e religion (Malinowski 1925), Malinowski sottolinea inoltre
l’enorme potere attribuito dai nativi alla formula magica e, dato che il rituale è
sempre concentrato sulla recitazione di una formula, vero e proprio nucleo dell’atto
magico, è chiaro che presso le popolazioni studiate per usare la magia occorre in
primo luogo conoscere le formule. Malinowski identifica quindi tre elementi che,
nelle formule magiche, vengono tipicamente associati alla credenza nell’efficacia
della magia: gli effetti fonetici, ovvero l'imitazione di suoni naturali, come il sibilare
del vento, che simboleggiando alcuni fenomeni hanno la pretesa di produrli
magicamente; l’uso di parole che invocano, impongono o comandano il fine
desiderato, per cui l'operatore rituale descriverò gli effetti che vuole ottene; infine, le
allusioni mitologiche, che non hanno contropartita nel rituale e che rinviano al
patrimonio tradizionale della magia. (Malinowki 1948:9) Quindi, per Malinowski il
mito non è soltanto un ricordo sbiadito di età passate, ma una forza viva, che produce
continuamente nuovi fenomeni in grado di sostenere con nuove testimonianze
l’esistenza della magia; ogni mago, per essere definito tale, oltre le manifestazioni
tradizionali della sua professione, oltre la filiazione magica da chi lo precedette, deve
guadagnarsi la sua fama personale di produttore di eventi miracolosi. Spesso, il mito
non è che il racconto di come la magia sia entrata in possesso di un clan, di una
comunità o di una tribù. In questo senso, il mito è per Malinowski il racconto storico
di uno degli avvenimenti in grado di garantire la verità di una certa forma di magia,
mentre viene comunque contemplata l'ipotesi del fallimento (Malinowski 1948:66).
Anche in Coral Gardens and their magic (Malinowski 1935), Malinowski
presta particolare attenzione al tema del rito magico e al valore che il linguaggio
assume all’interno di esso. Nel rivolgere la propria attenzione al linguaggio della
magia, egli si pone il problema della traduzione degli enunciati (spells), collocandoli
all’interno dei contesti pratici nei quali essi assumono senso. La sua intenzione è
quella di “riportare a casa” (to bring home) l’enunciato magico, riducendo il senso
di estraneità del lettore davanti all’incomprensibilità di alcune formule magiche.
Malinowski si rese infatti ben presto conto che una traduzione letterale spesso non è
in grado di rivelare al lettore il modo in cui il nativo concepiva una determinata
formula. Per questo, riteneva indispensabile fornire il maggior numero di
informazioni riguardo la situazione in cui le parole magiche venivano pronunciate.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Anche in questo caso ritorna la necessità della descrizione della magia in base al
contesto in cui essa viene messa in pratica, che costituisce la vera e propria
invenzione di Malinowski (Malinowki 1935:215).
Inoltre, secondo Malinowski, anche i corpi possono essere considerati importanti
risorse semiotiche utili alla comprensione del significato delle formule e degli atti
magici. È per questa ragione che Malinowski, nell’analisi del significato degli atti
magici, tiene in grande considerazione quello che definisce essere il comportamento
emozionale, termine in cui sono riassunti gesti ed espressioni dell’operatore e dei
partecipanti al rito (Malinowski 1948:52; 60-61). Malinowski presta particolare
attenzione al fatto che, presso le tribù melanesiane, la magia venga utilizzata nelle
attività che hanno raggiunto grande perfezione tecnica. Nelle sue opere, quindi, la
magia non viene più descritta come tecnica falsa o illusoria, quanto, piuttosto, come
una sorta di supplemento verbale alla tecnica. In questo senso, nella connotazione
ambigua della magia come sintomo della debolezza umana ma anche come estrema
risposta ad essa, l'opera di Malinowski richiama espressamente l'opera di Piaget.
L'orientamento di Malinowski influenzò notevolmente Edward Evans-Pritchard, che
si impegnò a sondare i limiti della sua interpretazione e lo fece diventare,
innestandovi alcune intuizioni, l'impostazione prediletta dello studio del mondo
magico nel Regno Unito e, più in generale, uno dei paradigmi più utilizzati nello
studio dei fenomeni magici. Ulteriori spunti emersi dalle opere di Malinowski si
dimostrarono essere valide intuizioni: tra tutti, l'attenzione riservata alla parola
all'interno dei riti magici, che costituisce tuttora un fecondo campo di indagine negli
studi antropologici della magia, anticipando di molti anni la teoria degli “atti
performativi” del linguaggio elaborata da Austin (Austin 1962).
Con le analisi di Malinowski, e in seguito con quelle di Evans-Pritchard, la
tradizione inglese degli studi sul magico ebbe l'indubbio merito di avere introdotto
l'attenzione allo studio della magia in situazioni quotidiane, evitando di stabilire un
divario troppo netto tra pensiero razionale e pensiero magico, tra azioni sacre ed
azioni ordinarie. L'attenzione di questi studiosi non si concentrava sull'operato del
singolo mago, quanto piuttosto sul contesto, mostrando la possibilità, non
contemplata dagli evoluzionisti, di evidenziare il rapporto interno ad ogni cultura tra
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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fiducia e scetticismo nei confronti della magia senza ricorrere all'ipotesi di
sopravvivenze inerti. Proprio in quel periodo, andava consolidandosi la tradizione
antropologica francese, che andava invece a concentrarsi sull'azione dell'operatore
rituale, per capire come un vasto fenomeno sociale si riflettesse nelle azioni del
singolo individuo. Con una simile concezione sociale della magia, il problema della
verità o realtà dei poteri magici passava necessariamente in secondo piano. In altre
parole, lo scopo principale di queste opere era quello di rendere conto di come la
dimensione sociale potesse esprimersi nell'azione dei singoli maghi (Keck 2002).
L'opposizione tra tradizione inglese e tradizione francese degli studi sulla
magia andava a riflettere differenze più ampie nel campo degli studi antropologici.
Questa opposizione si rifletteva sia sulla metodologia, con la celebre differenza tra
analisi di campo e antropologia da tavolino, sia nella definizione del raggio di
indagine, con la differenza tra una focalizzazione sui singoli fenomeni e la
proposizione di teorie generaliste. Queste miravano, in primo luogo, a rendere conto
del rapporto che legava ogni individuo alla società di appartenenza. Questo indirizzo
di studi teorizzò l’autonomia del sociale, sostenendo una proposta teorica che non
solo differiva notevolmente dall'impostazione funzionalista, ma creava anche un
divario
concettuale
sia
nei
confronti
dell'impostazione
diacronica
tipica
dell’evoluzionismo che di quella psicologica e psicologista influenzata dalla
psicanalisi.
1.1.4. Funzione sociale della magia. Alcuni apporti significativi allo studio dei
fenomeni magici sono presenti nelle analisi della “scuola etno-sociologica francese”.
Il capostipite di questa impostazione teorica, Émile Durkheim, nella sua opera
fondamentale Les formes elementaires de la vie religieuse: le système totèmique en
Australie (Durkheim 1912), cercò di dare una risposta alla canonica questione che
riguardava le differenze tra pensiero magico e pensiero religioso. Partendo dal
presupposto che queste forme di pensiero fossero tra loro radicalmente differenti,
elencando le caratteristiche proprie del pensiero religioso, Durkheim forniva,
sebbene, per così dire, “in negativo”, una definizione di magia. Egli stesso aveva
infatti annunciato l'intenzione di
“limitare la nostra ricerca alla religione
fermandosi al punto in cui comincia la magia” (Durkheim 2006[1912]:93). Sebbene
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dotata di minore complessità rispetto alla religione, afferma Durkheim, anche la
magia ha i suoi riti e le sue cerimonie, preghiere e danze. Spesso gli esseri cui il
mago fa riferimento nei suoi incantesimi sono gli stessi: ad esempio le anime dei
morti, presso numerose civiltà primitive, sono oggetto sia di riti religiosi che magici.
Lo stesso accade per i demoni. Persino le divinità ufficiali possono essere invocate
dal mago.
Partendo da una rivalutazione critica della teoria evoluzionista che faceva discendere
la religione dalla magia, Durkheim ribalta la questione. Egli sostiene, infatti, che tutti
i concetti cui la magia fa riferimento derivano dalla religione ed hanno assunto un
carattere laico solo in un secondo momento, e poiché la fede che ispira la magia è il
prodotto indiretto di un’effervescenza collettiva dovuta alla fede religiosa, è chiaro
che la magia derivi dalla religione. In Durkheim questa differenziazione non ha avuto
luogo in diverse fasi storiche, come avevano ipotizzato gli evoluzionisti, ma
simultaneamente, dato che si tratta, piuttosto, di una derivazione concettuale.
Persino le leggi indicate da Frazer come caratteristiche tipica della magia, sarebbero
state un tempo sottratte dalla magia al dominio della religione. Espressioni come
quella di magia simpatica, dunque, risultano esser prive di senso, proprio perché
questo tipo di riti non sono propri della magia ma della religione, da cui la magia li
ha ricevuti.
Tra religione e magia esistono però notevoli differenze. La prima, e più importante,
di queste, consiste nel fatto che la magia, praticata soprattutto individualmente, sia
priva del carattere collettivo e sociale proprio della religione. Inoltre, secondo
Durkheim, la magia mostra nei confronti della religione una avversione profonda
(Durkheim 2006[1912]:92). Questa descrizione della anti-religiosità della magia ha
causato alcune perplessità nei confronti dell'opera (celebre, tra tutte, quella di De
Martino), e Durkheim subisce l’accusa di aver trasferito in contesti lontani la
tradizionale avversione maturata nel mondo occidentale nei confronti delle istanze
magiche, attribuendo alle civiltà primitive un piglio polemico a loro estraneo.
Il carattere sociale della magia viene sottolineato anche nell'opera di Marcel
Mauss ed Henri Hubert, intitolata Esquisse d’une théorie générale de la magie,
pubblicata su L’Année Sociologique nel 1903. Mauss e Hubert, che definiscono la
magia “un’idée pratique” (Mauss, Hubert 1903:11), sottolineano che, presso le varie
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culture, credere in uno degli elementi della magia comporti necessariamente aderire
alla magia nel suo insieme. Al contrario, un'esperienza negativa della pratica magica
non ne mette in dubbio l'efficacia, dato che viene attribuita a errori nel rito o alla
possibile messa in opera di una contro-magia. La fede dimostrata nella veridicità
delle pratiche, dunque, avvicinano la magia alla religione, separandola dalla scienza,
per la quale le credenze sono sempre a posteriori.
Mauss e Hubert considerano le spiegazioni fino ad allora fornite dai loro colleghi
insufficienti a render conto dell’efficacia del rito magico. Essi, piuttosto, mettono alla
base della credenza la nozione di “potenzialità magica”, che presuppone l'esistenza di
un ambiente in cui i poteri in questione possono essere esercitati, una sorta di mondo
spirituale regolato da leggi e da relazioni tra segni e parole. Si tratta di una sorta di
sfera sovrapposta alla realtà, animata dagli spiriti, un luogo dove il mago penetra
durante i suoi riti. Essa non è una categoria dell’intelletto, come lo spazio e il tempo,
ma esiste nella coscienza degli individui solo in ragione dell’esistenza di una società.
Si tratta di una “categoria del pensiero collettivo” che, al pari di altre idee come
quella di giustizia o di valore, sarebbe presente, secondo Mauss e Hubert, presso
numerose culture. In Melanesia, essa viene identificata col termine mana, che indica
una sorta di principio sovraumano impersonale, una “qualità speciale” aggiunta alle
cose attraverso il rito, caratterizzato dall’ambivalenza del suo carattere costitutivo,
alo stesso tempo naturale e soprannaturale. Quando qualcosa è investito di mana,
smette di far parte dell’ordinamento normale della realtà per collocarsi in un’altra
dimensione, definibile come magica. Presso alcune tribù dell’America del Nord
(Huroni), esso viene denominato orenda, in Messico e America centrale nagual.
Ovunque, sebbene possa non esistere un termine specifico per definirla, rimangono
tracce, talvolta labili, di questa potenzialità magica, considerata una sorta “ambiente”
che rende possibile lo svolgimento dei riti magici.
Questa nozione risulta quindi assai simile a quella di sacro, tanto che i due autori si
trovano ad affermare che “il sacro è una specie di cui il mana è il genere” (Mauss,
Hubert 1903:75). All’interno di questo quadro teorico, dunque, la magia è concepita
come fatto sociale totale. Inoltre, essa, come il mana e il sacro, occupano una
posizione speciale, al di fuori del dominio comune e il suo campo di azione si colloca
a cavallo tra due alterità. Allo stesso modo, chi pratica la magia finisce con
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l'assumere una posizione di estraneità e solitudine all'interno della società/cultura di
cui fa parte. A questo proposito, Hubert e Mauss forniscono due esempi, riferiti ai
defunti, che costituiscono la manifestazione più evidente di alterità e, soprattutto, al
genere femminile. Secondo i due studiosi, la diversità delle donne emerge
prepotentemente nell'agire magico. Il peso sociale della loro diversità fisiologica,
determina infatti una rappresentazione delle donne quali potenziali incarnazioni
dell’alterità, che prelude all'agire magico. Sia nel caso dei defunti che in quello delle
donne, dunque, il valore magico deriva dalla posizione relativa che essi occupano
nella società
L'efficacia della magia è morale, non fisica, sociale e non individuale prodotto
di una credenza collettiva e non frutto di un'erronea associazione di idee. Potrebbe
essere descritta come una forma di classificazione dell'esperienza, un giuramento
sintetico a priori che la società stipula per agire sulla natura, attraverso degli
individui che posseggano determinate caratteristiche. Piuttosto che costituire un'unica
esperienza del mondo, la magia tende a stabilire quindi differenze e contrasti, dato
che la vita sociale esige la differenza (Keck 2002). Descrivendo la magia come un
sistema basato sulla differenza, Mauss anticipa le teorie di Claude Lévi-Strauss, che
riprenderà le intuizioni di Mauss con un nuovo approccio, innestandovi cioè la
propria prospettiva simbolica. Mentre in Francia dominava il pensiero di Mauss, la
tradizione funzionalista inglese inaugurata da Malinowski veniva messo alla prova
sul campo da Edward Evans Pritchard, che rivolse la propria attenzione al fenomeno
della stregoneria.
1.1.5. Simbolismo e magia. Nel 1949, Claude Lévi-Strauss dedica all’analisi della
magia due saggi: “Le sorcier et sa magie”, pubblicato su Le temps modernes e
L’efficacité symbolique, in Revue d’histoire des religions. In entrambi i saggi, LéviStrauss si concentra sul problema dell’efficacia delle pratiche magiche. Punto di
partenza del suo ragionamento è la teoria esposta da Walter Bradford Cannon in
Vodoo death (Cannon 1942), il quale aveva ipotizzato che un individuo cosciente di
esser vittima di un maleficio possa maturare la certezza di essere destinato alla
morte. Poiché, inoltre, viene allontanato dalla famiglia, escluso dalla comunità di
appartenenza e non può più partecipare alle attività comunitarie, subentra la
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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dissoluzione della personalità sociale. A seguito di questo evento, cede anche
l’integrità fisica, causando una situazione di forte choc. In altre parole, la paura e la
rabbia generate dalla situazione sarebbero in grado di determinare un aumento di
attività del sistema nervoso simpatico, una diminuzione del volume sanguigno e
ingenti danni al sistema circolatorio, spesso fatali. In questo senso, secondo Cannon,
la possibile “efficacia” o “realtà” del mondo magico non può esser messa in dubbio a
priori.
Lèvi-Strauss presta attenzione a questo riflesso fisiologico dell'azione
stregante, subordinandolo ad una più generale credenza nella magia, scomponibile in
tre aspetti complementari: la fiducia dell'operatore rituale nell'efficacia della propria
tecnica magica, quella della persona che a lui si rivolge e, infine, quella della
collettività, che forma la base di fiducia dove sono collocate le relazioni tra i due. A
riprova della sua teoria, Lévi-Strauss riporta alcuni esempi tratti dalla letteratura
etnologica. L'esempio più famoso utilizzato da Lévi-Strauss, ovunque citato, riguarda
una trascrizione in lingua kakiutl raccolta da Franz Boas presso i nativi americani del
Canada, che narra l'esperienza di Quesalid, uno scettico che non credeva al potere di
maghi e stregoni e, spinto dalla curiosità di svelarne i trucchi, divenne apprendista. In
questo modo, riuscì ad assimilare un vasto patrimonio di conoscenze, sia empiriche,
con elementari nozioni di ostetricia e auscultazione, sia basate sulla frode, come
fingere svenimenti, indursi il vomito e, soprattutto, come sputar dalla bocca una palla
di peli precedentemente insanguinata, mostrata come la “malattia” estratta dal corpo
di un paziente. Quando Quesalid mise alla prova la cura, questa funzionò, ed egli
presuppose che la fiducia del malato nella cura ne avesse influenzato positivamente
l'esito. Allo stesso tempo, sembra l'atteggiamento di Quesalid muti, finendo per
difendere calorosamente le tecniche apprese e mettendo in discussione l'iniziale
scetticismo.
L'episodio di Quesalid fornì a Lèvi-Strauss l'occasione di descrivere le
caratteristiche di quello che egli definì il “complesso sciamanico”, basato su tre
forme di esperienza, quella dello sciamano, quella del malato, che può ottenere o
meno un giovamento, e quella del pubblico, partecipe anch’esso della cura e che
grazie ad essa ottiene la conferma della veridicità dell'esperienza magica. Si tratta di
tre elementi indissolubili organizzati attorno a due poli opposti che mostrano due
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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gradi molto diversi di coinvolgimento: da una parte, l’esperienza intima dello
sciamano e, dall'altra, il consenso collettivo. Lèvi-Strauss definisce lo sciamano un
“abreattore professionale”, introducendo un termine, quello di abreazione, che nella
psicanalisi indica il momento decisivo della cura in cui il malato rivive la situazione
all'origine del suo squilibrio. Allo stesso modo, durante la cura del paziente, lo
sciamano offre all'uditorio uno spettacolo che replica, in qualche modo, la sua
“chiamata”, ovvero la crisi iniziale che ha causato la rivelazione dei suoi poteri.
Quindi, la cura dello sciamano rappresenta un equilibrio tra pensiero normale e
pensiero patologico. Allo stesso tempo, l'esempio proposto da Lévi-Strauss mina
l’ipotesi positivista di una magia “falsa”, propugnata da “ciarlatani” ai danni del
gruppo, sostenendo invece l'esistenza di un insieme di credenze diffuse, condivise in
eguale misura dallo stregone e dalla comunità. Da una parte, secondo Lèvi-Strauss,
alcune tecniche praticate dagli operatori magici sciamani possiedono un indubbio
valore empirico e sono in grado di guarire fisiologicamente almeno una parte dei casi
che curano. Inoltre, non vi è ragione di credere che gli stregoni non posseggano la
convinzione nell'efficacia dei loro atti; dato che le esperienze e le privazioni cui si
sottopongono basterebbero di per se stesse a creare stadi allucinatori. Dall'altra, si
trattava di capire come la credenza nella magia, come insieme di sentimenti collettivi
diffusi, potesse essere considerata reale. Rifacendosi all'ideologia strutturalista da lui
stesso fondata, Lévi-Strauss afferma che la magia ha la capacità di attualizzare, di
rendere tangibile, un sistema di credenze, rappresentando, appunto, una
conformazione di ordine intellettuale, al cui interno confluiscono, nella stessa misura,
struttura sociale e struttura cosmologica (Lévi-Strauss 1958:211).
In L’efficacité symbolique, invece, Lèvi-Strauss analizza un testo magico
pubblicato da Wassen e Holmer. Si tratta di un lungo incantesimo di 535 versetti
raccolto da un informatore indigeno presso i Cuma, popolazione che abita la
repubblica di Panama, che veniva utilizzato per risolvere i parti difficili. Presso i
Cuma, queste circostanze vengono spiegate col fatto che Muu, la potenza
responsabile della formazione del feto, è andata oltre le sue attribuzioni e si è
impadronita del purba, l’anima della partoriente. A livello formale, il canto segue
uno sviluppo comune a molte culture: il malato soffre perché ha perduto il suo
doppio spirituale, mentre lo sciamano, assistito da spiriti protettori, inizia un viaggio
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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nel mondo soprannaturale per strappare il doppio allo spirito maligno che l’ha
catturato e, restituendolo al legittimo proprietario, ne assicura la guarigione. Così, il
canto consiste nella ricerca del purba perduto superando varie peripezie: la
demolizione di ostacoli, la vittoria su animali feroci, un torneo a cui lo sciamano e i
suoi spiriti protettori sfidano Muu e le sue figlie con l’aiuto di cappelli magici. Solo
quando Muu libera il purba dell’ammalata, il parto si conclude felicemente.
Secondo Lévi-Strauss, il testo dell'incantesimo Puma apporta un importante
contributo allo studio della magia in virtù del fatto che costituisce una medicazione
puramente psicologica, dato che durante il rito lo sciamano non tocca il corpo della
donna. Costituisce, piuttosto, una manipolazione di tipo psicologico. Lévi-Strauss
sostiene, quindi, che l'itinerario e la dimora di Muu rappresentino la vagina e l’utero
della donna incinta, che lo sciamano e i nuchu, gli spiriti aiutanti, esplorano, e nelle
cui profondità disputano la loro battaglia. Per raggiungere Muu, lo sciamano e i suoi
assistenti devono seguire una strada: la via di Muu. Quest’oscura via, insanguinata
dal parto difficile, quindi, è la vagina dell’ammalata, mentre la residenza di Muu
corrisponde, organicamente, all’utero. Secondo Lèvi-Strauss, le frequenti ripetizioni
del testo e alcuni passi che abbondano di particolari sono frutto di una modalità
espressiva, appositamente concepita, in grado di introdurre una serie di avvenimenti
dentro il corpo e gli organi interni dell’ammalata. La penetrazione della vagina è
proposta alla paziente in termini noti e concreti. In due occorrenze specifiche, muu
designa propriamente l’utero, non il principio spirituale che ne governa l’attività. La
tecnica del racconto mira dunque a restituire la sensazione di una esperienza reale, e i
progressi auspicati del parto si riflettono nelle tappe successive del mito. Lo scopo è
ottenere una reazione organica: la partoriente deve riuscire a percepire i movimenti
degli spiriti nel suo corpo, mentre seguono un itinerario complicato.
La funzione simbolica stabilisce quindi, per Lèvi-Strauss, un'analogia tra la
struttura intellettuale del mito e la struttura organica del corpo della partoriente. I
dolori incoerenti di un lungo e difficile parto, grazie al mito narrato dallo sciamano,
vengono ordinati in una sequenza in cui tutto ha una ragione d’essere. L'efficacia
della cura è, dunque, dovuta al fatto che essa riesca a rendere accettabili, alla mente
dell'ammalata, quei dolori che il corpo si rifiuta di tollerare. La partoriente risponde
bene a quest costruzione mitica, e guarisce. A differenza del medico occidentale, lo
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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sciamano, fornisce all'ammalata un linguaggio col quale può esprimere in maniera
immediata l'alterazione del suo stato fisico.
Per questo motivo, Lévi-Strauss colloca la cura magica a metà strada fra la
medicina e la teoria psicanalitica, sottolineando le similitudini tra magia e
psicanalisi: in entrambi i casi, ci si propone di rendere coscienti resistenze sino ad
allora rimaste inespresse. Lo sciamano adempie allo stesso ruolo dello psicanalista,
stabilendo una relazione immediata con la coscienza del malato. Il malato affetto da
nevrosi risolve un mito individuale opponendosi allo psicanalista, realmente
percepito; la partoriente indigena supera un disordine organico affidandosi a uno
sciamano miticamente idealizzato. Il parallelismo non esclude le differenze: la cura
sciamanica sembra essere un esatto equivalente, invertito, della cura psicanalitica.
Nonostante entrambe mirino a provocare un’esperienza ricostruendo un mito che il
malato deve vivere (o rivivere), nel caso della psicanalisi, per ottenere un risultato, lo
psicanalista ascolta, mentre lo sciamano parla. Per sottolineare l'analogia, LéviStrauss menziona inoltre alcune terapie psicanalitiche, tra cui il lavoro della
psicologa Marguerite Sechehaye (Sechehaye 1950) che, con un caso di schizofrenia
considerato incurabile, mise in scena una serie di atti. Nello specifico, per risolvere
un complesso di svezzamento, la psicanalista assunse una posizione materna,
mettendo a contatto la gola dell’ammalata con il seno della psicanalista.
È chiaro dunque che per Lèvi-Strauss la magia è più simile alla scienza che alla
religione, e può essere considerata una modalità di strutturare il mondo che ha la
stessa dignità della scienza moderna. Ciò offre a Lévi-Strauss la possibilità di
ripensare i rapporti interni alla triade magia-religione-scienza (Lévi-Strauss 1962:234). Secondo la sua interpretazione, la magia è interamente razionale, perché opera dei
sistemi di classificazione dettagliati e rigorosi, e conosce quindi la “verità del
determinismo”. Se la magia anticipa la scienza, è perché è anch’essa un tentativo di
stabilire dei rapporti tra le cose osservate, vissute e provate in una visione mentale
sistematica del mondo. Il pensiero scientifico per Lèvi-Strauss non è un antico strato
sepolto dalla scienza, ma ne costituisce piuttosto l’ombra, collocandosi talvolta
dietro, talvolta davanti al pensiero scientifico. Si tratta in ogni caso di due sistemi di
pensiero che possiedono eguale coerenza (Lévi Strauss 1962:26).
L’antropologia francese, partendo dall’idea durkheimiana dell’origine sociale delle
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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rappresentazioni mentali giunge, con Lèvi-Strauss, a mostrare le modalità interattive
che prendono corpo nel rapporto tra l’operatore magico, l’individuo che ne subisce
l’azione e la società tutta. La versione strutturalista dello studio del magico elaborata
da Lévi-Strauss non sarà però priva di conseguenze in ambito britannico, dove
andava delineandosi, nello stesso periodo, un forte interesse per lo studio delle
modalità di azione e rappresentazione dell'intelletto primitivo. La traduzione inglese
di La Pensée sauvage risale al 1966 e inaugura una lunga riflessione sugli apporti
dello strutturalismo e sull’efficacia dell’approccio simbolista allo studio della magia
e della stregoneria (Douglas 1966, 1970; Leach 1965, 1970; Needham 1973; Sperber
1975).
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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1.2. Stregoneria
Al pari della magia, anche lo studio della “stregoneria” (“whichcraft”nelle lingue
anglosassoni, “sorcellerie” in francese), ovvero della credenza che alcune persone
siano in grado di provocare danni fisici ad altre utilizzando mezzi e pratiche mistici
ha, da molto tempo, interessato gli antropologi. Come per altre definizioni e
classificazioni, negli studi antropologici relativi alla magia (vedasi, ad esempio, le
problematiche relative all'uso del termine “sciamanesimo”, nella letteratura
antropologica), la validità del termine “stregoneria” è stata, in più occasioni, messa
in discussione (Standefer 1970), e talvolta, ne è stata suggerita l'inutilità euristica
(Crick 1979). Se considerato in una visione “allargata”, questo concetto può essere
attestato ovunque nel modo; pertanto è naturale che il dilemma riguardi l'effettiva
validità di del termine in una chiave cross-culturale e comparativa.
Fino ad un recente passato, una certa confusione ruotava attorno al termine
“witch”, “strega”, utilizzato per identificare gli operatori magici. L'antropologo di
Oxford Malcom Crick, constatando che con lo stesso termine gli studiosi
anglosassoni tendevano troppo spesso ad identificare individui appartenenti a
differenti background culturali, propose che la stregoneria, come categoria, dovesse
essere dissolta in un più ampio quadro di riferimento (Crick 1973; 1976). Nello
specifico, per lui questo problema non aveva nulla a che fare con l'atteggiamento
positivistico che sta alla base di affermazioni come “non esistono cose come le
streghe”, ma riguardava, piuttosto, una prospettiva semantica (Crick 1979). Secondo
Crick, infatti, la stregoneria era stata affrontata come un tema unico, a causa di una
pigrizia concettuale molto diffusa tra gli antropologi e, soprattutto, a causa del
parallelismo abbastanza discutibile creato dall'uso dello stesso termine per indicare
sia la stregoneria storica che quella dei contesti extraeuropei. Quest'ultimo costituisce
per Crick l'aspetto meno giustificabile, dato che già Evans-Pritchard, uno dei
principali studiosi nel campo, aveva affermato che, aldilà della scelta di utilizzare la
parola “witch” per indicare gli operatori magici da lui osservati in Africa, la
stregoneria presso i popoli primitivi non possedeva affatto le stesse caratteristiche
della stregoneria inglese del passato (Evans-Pritchard 1937:64).
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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La confusione concettuale era sicuramente aggravata dal problema semantico che
riguardava la distinzione tra i due termini anglosassoni “whichcraft” e “sorcery”,
entrambi genericamente tradotti in italiano con “stregoneria” ma indicanti, come è
noto, nella prassi degli studi antropologici e storico-religiosi, due concetti ben
distinti. Nel 1970, in un articolo intitolato “African Witchcraft beliefs: the
definitional problem”, Standefer sostenne che esiste “a certain amount of conceptual
confusion about what witchcraft really is, and the grounds upon which it may
usefully be distinguished from sorcery” (Standefer 1970:11).
Mentre il primo
termine viene utilizzato per indicare un influsso malefico negativo proveniente,
anche involontariamente, da una persona; col secondo temine si suole indicare una
concezione della stregoneria, intesa come fattucchieria, ovvero come insieme di riti
magici messi in atto per arrecare volontariamente il male. Questa distinzione
comparve per la prima volta in Whichcraft, oracles and magic among Azande
(Evans-Pritchard 1937), e fu proprio Evans-Pritchard a stabilire una differenza tra
una stregoneria intesa come capacità innata di causare morte o disgrazia ed un'altra
intesa, invece, come capacità di manipolare specifiche sostanze organiche, ad
esempio le erbe, con l'intento consapevole di causare danni. Nonostante EvansPritchard non si sia mai espresso sulla possibilità di estendere questa distinzione a
contesti diversi da quello da lui esaminato, la differenza tra witchcraft e sorcery finì
con l'essere tacitamente accettata, spesso senza ulteriori discussioni e specificazioni,
negli studi sulla stregoneria. Victor Turner, in una recensione ad un noto volume
collettaneo intitolato significativamente Whichcraft and sorcery in East Africa
(Middleton, Winter 1963), ad esempio, afferma che vi sia un “generale accordo sui
criteri che distinguono witchcraft e sorcery” (Turner 1964:322, trad.). La distinzione
operata da Evans-Pritchard viene quindi utilizzata in molti studi successivi, non
necessariamente relativi al contesto africano, per esempio da John Beattie (Beattie
1963:29-30), Mary Douglas (1963:220), Max Gluckman (1955:87), Lucy Mair
(1969:21-3), Max G. Marwick (1963:7-8; 1965:21-5; 1967:232), Monica Wilson
(1951:307-8) Clyde Mitchell (1956:153), Barrie Reynolds (1963:14), e Isaac
Schapera (Schapera 1934a:293-294; 1934b:43).
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1.2.1. Primi studi etnografici della stregoneria. Come prima accennato, il concetto
di “stregoneria” viene utilizzato nella descrizione etnografica di pratiche e credenze
tipiche di contesti tra loro culturalmente, geograficamente e temporalmente assai
differenti.
Alcune opere antropologiche pubblicate negli anni '30 e '40 del secolo scorso
hanno aperto la strada a studi successivi, inaugurando alcune prospettive di ricerca
che, pur con inevitabili stravolgimenti, polemiche e contrapposizioni, godono di
vitalità anche negli studi contemporanei. Tra queste opere, senza dubbio è da
collocarsi Whichcraft, oracles and magic among Azande (1937), di Edward EvansPritchard, che analizza le credenze magiche del popolo Azande del Sudan
meridionale e Congo nord-occidentale. Come il titolo dell'opera suggerisce, Evans
Pritchard analizza le credenze magiche degli Azande collocandole in un triangolo
concettuale nei cui lati sono collocati, rispettivamente, la credenza nella stregoneria e
le restanti due pratiche messe in opera per attenuarne gli effetti, ovvero gli oracoli e
la magia. Mentre gli oracoli stabiliscono chi si appresta a compiere, o chi ha già
compiuto, un’azione di stregoneria, gli Azande adottano numerosi riti magici con i
quali credono di ostacolarne l’azione negativa. Infatti, il panorama magico descritto
da Evans-Pritchard è costituito da una serie di operazioni rituali, che gli Azande
definiscono medicine, il cui impiego è vasto e generalizzato e spazia dai riti di
attrazione fino a numerose medicine protettrici della casa e delle colture, per
l’esercizio dell'arte medica e della caccia. Una specifica tipologia di medicine,
prerogativa degli anti-stregoni, che costituiscono, nella società zande, delle vere e
proprie società segrete, ha lo scopo di proteggere dall'azione di stregoni e
fattucchieri. Evans-Pritchard compie l’efficace operazione di riunire, nella stessa
opera, la tradizione inglese e quella francese degli studi sul magico.
Metodologicamente, l’opera di Evans-Pritchard proviene da un lungo lavoro di
indagine sul campo; inoltre, certe similitudini al metodo di Malinowski sono evidenti
nell'attenzione rivolta nei confronti del contesto della credenza magica e nella
concezione della magia come rimedio a situazioni critiche di sfortuna. Allo stesso
momento, però, è innegabile l’aderenza di Evans-Pritchard ad alcuni concetti di
Lévy-Bruhl, per quanto riguarda l'attenzione al problema della validità logica delle
giustificazioni e interpretazioni magiche. Proprio a causa della sua completezza e
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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duttilità, l'opera di Evans-Pritchard costituì lo spunto per numerosi studi successivi,
per cui le innovazioni del suo pensiero non rimasero inosservate e molte delle
tendenze successive alla pubblicazione di Whicraft ne costituiscono, in modi diversi,
una naturale prosecuzione.
Il quadro teorico della stregoneria è stato fortemente influenzato, oltre che
dall'opera di Evans-Pritchard, anche dalle analisi di Reo Fortune (Fortune 1932) e di
Clyde Kluckhohn (Kluckhohn 1944). Fortune analizza la stregoneria praticata
nell’isola di Dobu in Nuova Guinea, definendola “una concezione del potere mistico”
che viene utilizzata in numerose occasioni (Fortune 1963[1932]:175). Ipotizza a
questo proposito che, in un sistema politico acefalo, la capacità nella stregoneria
possa essere considerata una componente importante nell'attribuzione della
leadership.
Più o meno nello stesso periodo, Clyde Kluckhohn (Kluckhohn 1944) elabora
dal canto suo una teoria psicologista della stregoneria, sostenendo che tra i Navaho
degli Stati Uniti sud-occidentali, la stregoneria costituiva un canale per proiettare
emozioni quali il senso di colpa, il desiderio o l'aggressività. La regione in cui
Kluckhon compie la propria indagine era stata segnata da una storia di contatto,
conflitto e dominazione coloniale, prima da parte degli spagnoli e poi degli Stati
Uniti, tanto che i Navaho diventarono la popolazione più numerosa ad esser
confinata in una riserva. In tale contesto di influssi politico-culturali, Kluckhon ha
analizzato la stregoneria come una delle dimensioni chiave dell'esistenza dei Navaho.
Nell’attribuire alla strega la responsabilità di ogni sfortuna, i Navaho assolvevano se
stessi da ogni colpa, mentre tutti i loro desideri proibiti, come l'incesto, trovavano
presa nelle giustificazioni fantasiose di stregoneria. In condizioni di stress, inoltre, le
streghe diventavano capri espiatori ideali per l'incarnazione di impulsi ostili, dato che
le accuse di stregoneria potevano mettere allo scoperto la rabbia nei confronti di
alcuni membri della comunità considerati negativi ed ostili. La visione di Fortune dei
rapporti sociali tra i membri della cultura Navaho appare, quindi, piuttosto
disincantata. Come sostiene Alice Bellagamba, nella comunità navaho si verifica “un
gioco continuo di sospetti e velate denunce, invidia e volontà di prevaricare.
L'utilizzo di mezzi magici, formule e preparati medicinali, per aggredire o per
difendersi dall'aggressione altrui, era un elemento costante: persino la cerchia più
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ristretta del gruppo di parentela, luogo per eccellenza entro cui pensare delle forme
di solidarietà, era potenzialmente oscurata dall'ombra della stregoneria”
(Bellagamba 2000). Nonostante le opere di Evans-Pritchard e Kluckhon siano state
scritte in contemporanea, dal canto suo Evans Pritchard non rimanda ad alcuna
influenza esterna, descrivendo credenze e pratiche come un modo di pensiero
tradizionale che era rimasto, sostanzialmente, immutato. Al contrario, Kluckhon ha il
merito di analizzare la stregoneria come un sistema aperto agli influssi occidentali; a
questo riguardo sostiene, ad esempio, che il carattere segreto della pratica presso i
Navaho fosse da ricondurre al biasimo mostrato dagli uomini bianchi nei confronti di
queste ideologie magico-religose considerate superstiziose (Winzeler 2008:178).
Alcuni
antropologi,
lavorando
soprattutto
in
contesti
non-africani
(principalmente, Stati Uniti, Francia e Regno Unito), hanno ereditato questa visione
psicoanalitica di Kluckhohn, applicandola a contesti contemporanei. Una delle opere
più famose che porta avanti questo orientamento è A’aisa’s gifts: a study of magic
and the self (1995), di Michele Stephen, il quale suggerisce che la magia “potrebbe
essere considerata come un tentativo di sviluppare il desiderio inconscio di
esercitare il proprio potere sugli altri.” (Stephen 1995:326, trad.). Così, la credenza
nella stregoneria è stata messa in relazione ai processi inconsci dei complessi di
colpa (Bercovitch 1989) o di proiezione (Lambek 2002, 2003). In altre parole,
l'individuo allontana da sé alcune qualità, sentimenti e desideri che si rifiuta di
riconoscere come propri, attribuendoli ad un'altra persona, in questo caso la strega
(Lambek 2003:199). Si tratta, naturalmente di sentimenti negativi o antisociali, per
cui alcuni autori considerano la stregoneria come una modalità culturalmente istituita
di canalizzazione dell'aggressività (Obeyesekere 1975), oppure di reazione ad un
lutto (Stephen 1999). Naturalmente, l'individuo non ha coscienza di queste reazioni
emotive che stanno alla base dell'adesione alla credenza nella stregoneria; per cui si
deve rilevare che è proprio questa non-discorsività del problema a rendere questo
genere di teorie poco attestabili con esplicite dichiarazioni degli informatori e,
quindi, difficilmente dimostrabili dal punto di vista etnografico (Niehaus 2013:210).
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
1.2.2. Stregoneria e distribuzione delle accuse. A seguito della pubblicazione delle
opere di Fortune (Fortune 1932) ed Evans-Pritchard (Evans-Pritchard 1937), gli
antropologi iniziano a dare vita ad una nuova tendenza che analizza la correlazione
tra la stregoneria ed i fattori sociali sottostanti alle relative credenze. D'altronde, uno
degli aspetti più innovativi dell'opera di Evans-Pritchard era costituito proprio dal
risalto dato al valore sociale della circolazione delle accuse di stregoneria. Poiché
l’accusa di stregoneria celava sempre conflitti latenti tra i membri della comunità,
egli notò che lo stregone accusato apparteneva sempre allo stesso ceto sociale
dell’accusante e/o condivideva con lui aspetti fondamentali della vita quotidiana.
Poveri e nobili si accusavano tra loro, le donne sottoponevano all’oracolo nomi di
altre donne, mentre era molto raro che i bambini venissero accusati di aver stregato
un adulto. Le accuse di stregoneria, quindi, potevano essere considerate come un
modo di rendere palesi le tensioni fra eguali, consentendo, allo stesso tempo, di
limitare i comportamenti poco caritatevoli tra i membri della comunità e di portare i
rancori allo scoperto in modo innocuo.
Dopo la pubblicazione dell'opera di Evans-Pritchard, numerosi studi
concentrarono l'attenzione sull’analisi della distribuzione sociologica delle accuse di
stregoneria in una data società. Tra questi, gli studi sulla stregoneria intrapresi nella
decade 1950-1960 da parte degli appartenenti alla “scuola di Manchester”
proseguirono questa tradizione. Si tratta di ricerche ambientate principalmente in
Africa, poiché le società africane, coinvolte in quegli anni in rapidi processi di
acculturazione forzata, costituivano il terreno ideale per un’analisi storico-politica
della stregoneria e del suo legame con le dinamiche di
instabilità sociale.
Introducendo quindi nell'impostazione funzionalista la variabile del cambiamento
culturale ignorata da Evans-Pritchard, Victor Turner (Turner 1957), J. Clyde Mitchell
(Mitchell 1956) e Max Marwick (1952, 1965) perseguirono questa impostazione,
sostenendo che reciproche accuse di stregoneria tra i membri di una società iniziano
ad aver luogo quando un piccolo villaggio raggiunge la soglia critica di aumento
della popolazione. Se accuse e contro-accuse rovinano irrimediabilmente il clima di
solidarietà sociale, alcuni membri del villaggio si allontanano per dar vita ad una
nuova comunità sotto il comando di un rivale, mentre l’altra, ormai ridotta ad una
grandezza gestibile, riprende la vita di sempre. Con la loro impostazione teorica, gli
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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studiosi della scuola di Manchester hanno aperto così la strada a molti studi
successivi e attuali. Anche Monica Wilson (Wilson 1951) e Siegfried Frederick
Nadel (Nadel 1952) adottano questa prospettiva, connettendo le differenze nel
contenuto delle credenze di stregoneria alle differenze nelle strutture sociali in cui si
verificano. Nello specifico, Nadel, nel tentativo di comprendere motivazioni e
conseguenze della persecuzione alle streghe, mette a confronto quattro società
africane, le culture Nupe e Gwari in Nigeria e Mesakin e Korongo in Sudan. Lo
scopo è identificare le principali similitudini e differenze tra queste società, per
mettere alla prova la propria teoria secondo la quale le paure relative alle streghe
riflettano specifiche ansie sociali presenti nelle diverse culture. Così, Nadel rileva
che Nupe e Gwari condividono la credenza nell'esistenza delle streghe, ma hanno
atteggiamenti sorprendentemente diversi nei confronti della loro identificazione. I
Nupe, ad esempio, credono fermamente che le streghe siano esclusivamente di sesso
femminile, il che fa presupporre a Nadel che ciò sia indicativo di un “antagonismo
sessuale”, riconducibile al risentimento maschile nei confronti del dominio
economico detenuto dagli individui di sesso femminile. Quindi, i Nupe procedono
alla minaccia, alla tortura, e all'eliminazione delle streghe. I Gwari, invece, non
danno alla stregoneria una connotazione sessuale e, per questo, hanno previsto un
rito annuale di purificazione che coinvolge la comunità nel suo insieme. Il confronto
tra le popolazioni Korongo e Mesakin è più stringente, dato che solo i Mesakin
credono nelle streghe, nonostante la vicinanza geografica e sociale dei due gruppi,
per cui si stabilisce una differenza tra una società relativamente armoniosa e un'altra
paralizzata dalla diffusione della credenza nelle streghe, la cui abilità di “succhiare”
energie vitali viene simbolicamente assimilata all'atto sessuale. La teoria di Edwin
Ardener (Ardener 1970), che mette in relazione la periodica quiete e rinascita delle
accuse di stregoneria con i cicli di prosperità e depressione economica, rappresenta la
più compiuta espressione di questo tipo di analisi. Inoltre, la convinzione che le
credenze nella stregoneria rimangono latenti durante i periodi di minima tensione
sociale, e sfocino in accuse vere e proprie quando la tensione sale, ha portato a
degenerazioni della teoria che considerano la stregoneria come spia o sintomo di una
società “malata” (Mayer 1954).
Gli approcci neo-marxisti degli anni '70 del secolo scorso hanno continuato
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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questa tradizione, sostenendo la strumentalità delle accuse di stregoneria nelle lotte
politiche ed economiche. Ad esempio, Marvin Harris (Harris 1974) sostiene che le
credenze di stregoneria spesso mistificano fenomeni più ampi, come lo sfruttamento
incontrollato delle risorse naturali, mentre qualche tempo dopo Lyle Steadman
(Steadman 1985) affermò che, tra il popolo Hewa della Papua Nuova Guinea,
l'uccisione delle streghe fosse il risultato della competizione per le risorse tra diverse
parti sociali. Eseguendo la condanna di streghe appartenenti alla parte avversa, gli
uccisori incutevano agli avversari paura e manifestavano la loro capacità di usare la
violenza per proteggere i propri interessi. Nello stesso periodo, Peter Geschiere
(Geschiere 1988) analizza le accuse di stregoneria come una "modalità di azione
popolare" attraverso cui gli abitanti del Camerun potevano esprimere il proprio
dissenso nei confronti dell'operato delle élite politiche.
1.2.3. Stregoneria e organizzazione sociale. A seguito della traduzione inglese nel
1966 de La pensée sauvage di Lévi-Strauss, l'opera di Evans-Pritchard ebbe nuove
attenzioni, combinandosi con alcune intuizioni del pensiero simbolista. A seguito di
questo incontro si formarono, quindi, due nuove varianti del simbolismo, quella
socio-strutturale elaborata da Mary Douglas e quella struttural-immaginale di Joseph
Needham (Dei, Simonicca 1998a). Entrambe queste impostazioni offrono un
importante apporto allo studio della stregoneria.
Il volume collettivo Whichcraft, confessions and accusations (Douglas 1970a)
include numerosi contributi di storici ed antropologi la cui curatela è ad opera di
Mary Douglas. La varietà, versatilità e completezza di informazione dei vari
contributi consente alla Douglas di analizzare il rapporto tra stregoneria e società,
teorizzando che le “anomalie” interne ai sistemi culturali non costituiscono
contraddizioni logiche, ma corrispondono invece a complessi sistemi di credenze non
sempre immediatamente rilevabili o comprensibili. In altre parole, curare
l’introduzione del volume ha consentito alla Douglas la possibilità di confrontare la
propria teoria con una vasta raccolta di materiale etnografico e, quindi, di
dimostrarne, in questo modo, la duttilità di applicazione. Nella sua opera Natural
symbols (1970b), Douglas aveva già sperimentato la prospettiva simbolista,
sostenendo che i confini corporei potessero essere considerati una metafora dei rischi
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
in cui possono incorrere gli stessi confini della comunità. In Whichcraft, applicando
questa teoria allo studio della magia, Douglas sostiene che le credenze relative alla
stregoneria possano essere considerate come il frutto di una elaborazione indigena
non immediatamente comprensibile all’osservatore occidentale e in cui si associano
sistemi cosmologici e confini sociali e corporei metaforicamente rappresentati. In
questo modo, si evidenzia il legame tra ordinamento sociale e accuse di stregoneria,
dato che, afferma la Douglas, “alcune culture sono predisposte a credere nella
stregoneria, altre no. Siamo quasi pronti a stabilire quale sia la struttura sociale
predisponente. Dove l'interazione sociale è intensa e malamente definita, potremo
aspettarci di scoprire credenze relative alla stregoneria.” (Douglas 1970:29). Ciò
non avviene, sostiene, nelle culture in cui i ruoli sociali invece sono attribuiti e ben
specificati. La figura della strega, quindi, compare in particolari momenti di
ridefinizione degli spazi sociali, mentre quando i ruoli appaiono ben specificati, le
credenze relative alla stregoneria tendono a scomparire.
Così la comunità
rappresenta i propri confini spaziali e sociali nei confronti dell’esterno, dato che “i
simboli di ciò che viene universalmente riconosciuto come stregoneria vengono
costruiti sul tema di una vulnerabilità interna messa in pericolo da un potere
esterno.” (Douglas 1970:18, trad.)
Naturalmente, “questi simboli variano secondo modelli locali di significati e,
soprattutto, in funzione delle variazioni nella struttura sociale” (ibidem). Secondo
Douglas, la credenza universale nella stregoneria quindi può essere classificata in
base alle caratteristiche attribuite alla strega, che la stessa antropologa collega alle
caratteristiche costitutive del gruppo sociale. Nello specifico, la strega può essere
riconosciuta come elemento estraneo allo comunità (capace o meno di colpire a
lunga distanza), oppure come nemico interno.
Nel primo caso, si tratta di una credenza tipica in organizzazioni sociali non
altamente differenziate, e la funzione dell’accusa è la riaffermazione dei confini e
della solidarietà del gruppo; raramente la strega viene identificata e il gruppo sociale
compie una vendetta rituale generica, dedicando le proprie energie alla cura della
vittima. Altre volte, invece, la strega viene identificata come un deviante pericoloso e
l’accusa corrisponde al tentativo di ridurre lo scarto morale tra la strega e i valori su
cui la comunità è fondata. In alcuni casi, la strega viene identificata come un nemico
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
interno con legami al di fuori della cerchia sociale, per cui la funzione delle accuse è
la scissione della comunità e una nuova definizione della gerarchia sociale.
1.2.4. Le caratteristiche della strega. L' applicazione dell'approccio simbolista allo
studio delle credenze relative alla stregoneria, con la conseguente “fusione” delle due
tradizioni, inglese e francese, nello studio della magia, aveva finito con riproporre la
radicale differenza di vedute, ormai priva, però, della sua connotazione geografica.
Nello studio della stregoneria, le due distinte tradizioni sfociarono in due diverse
tipologie di analisi del fenomeno: da una parte, lo studio della distribuzione sociale
delle accuse e, dall'altra, l'approccio semantico, che spostava l'attenzione dei
ricercatori dalla “funzione” della figura della strega al suo “significato”, con la
conseguente analisi di simboli, confini e categorie.
Fin dagli anni '70 del secolo scorso, quindi, inizia a prender corpo l'idea che la
stregoneria possa essere scomposta in più elementi, combinati tra loro in particolari
sistemi simbolici. Seguendo questa impostazione, ad esempio, David HammondTooke (Hammond-Tooke 1974), analizza il ruolo dei famigli (spiriti aiutanti
incorporati in animali) delle streghe, considerati come simboli di mediazione nella
cosmologia del popolo Nguni del Sud Africa. Secondo l'antropologo, il significato
attribuito ai famigli delle streghe deriva dalla discrepanza tra l'idea che gli individui
possiedono di una corretta gestione dei sentimenti e della relazioni (riguardo,
soprattutto, alle relazioni tra i sessi e ai rapporti di buon vicinato) e la realtà ordinaria
dei rapporti sociali. Il risultato di questa dissonanza cognitiva porta, secondo
Hammond-Tooke, alla formulazione di costrutti simbolici che possano in qualche
modo colmare queste discrepanze. Questi prendono, nel caso specifico esaminato, la
forma della credenza nelle streghe e nei loro spiriti aiutanti. Un altro contesto
geografico in cui questa impostazione si è rilevata utile è la Papua Nuova Guinea. Ad
esempio, nel suo contributo al volume collettaneo Man and woman in the New
Guinea highlands (Brown, Buchbinder, Maybury-Lewis 1976), Raymond Kelly
analizza l'assimilazione semantica tra i significati di stregoneria e i rapporti sessuali
presso gli Etoro, entrambi simbolicamente rappresentati come trasmissione di forze
vitali da una persona all'altra; mentre i colpevoli di stregoneria si appropriano delle
forze vitali della vittima, gli uomini soffrono di debolezza attraverso l'esaurimento di
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
sperma. Nella stessa area, Andrew Strathern (Strathern 1982) evidenzia le
connessioni simboliche tra i concetti di stregoneria, avidità, e cannibalismo.
Ma più di tutto, questa metodologia ha avuto un ulteriore e fecondo sviluppo
nell'analisi degli attributi simbolici della strega, considerata una espressione della
personificazione del potere e del male attraverso un meccanismo di inversione
simbolica. Presso numerose culture del mondo, infatti, il potere mistico innato della
strega viene simboleggiato da caratteristiche che sono il capovolgimento di norme
sociali e fisiche. Si tratta di un pattern simbolico isolato la prima volta da John
Middleton (Middleton 1960) al quale ogni cultura “aggiunge i propri abbellimenti”
(Mayer 1954:4). Inoltre, sulla base dei materiali ottenuti nelle indagini etnografiche,
gli antropologi iniziarono a stilare vere e proprie liste di caratteristiche comunemente
attribuite alla strega presso varie culture. Era quindi impossibile, in questa occasione,
limitarsi al continente africano, come afferma Audrey Richard (Richard 1964:188)
nella sua recensione ad un noto volume collettaneo (Middleton, Winter 1963).
Per elencare le caratteristiche tipiche della strega, Roma Standefer, in un
articolo del 1979 intitolato The symbolic attributes of the witch, ripropone la
differenza tra “witch” e “sorcerer”, che risiederebbe, appunto, negli attributi
simbolici attribuiti al primo ruolo e assenti nel secondo. Una tabella simile a quella
utilizzata da Standefer era stata pubblicata qualche anno prima nel manuale di
antropologia sociale di Davis Pocock (Pocock 1975:204). Secondo i detrattori,
contributi come quello di Standefer ripropongono, in altri termini, l'attenzione
morbosa
dell'antropologia
vittoriana
verso
dettagli
simbolici
fortemente
caratterizzati, seppure riconfigurati in termini moderni con l'utilizzo del modello
simbolico dell' “inversione”. Questi approcci finirebbero con il reificare la
stregoneria come categoria, in un tipico caso nel quale la convenienza d'uso di una
categoria analitica genera una realtà etnografica (Crick 1979:140).
Una delle espressione più compiute di questo approccio è l'opera di Rodney
Needham “Primordial Characters” (1978), che contrasta il rapporto tra morfologia
sociale e credenza proposta da Douglas e seguaci, prestando attenzione, piuttosto che
ai fatti sociali, agli aggregati mentali che vi sono alla base. Ogni complesso di idee,
quindi, può e deve essere scomposto in più componenti fondamentali, in fattori
primari dell’esperienza, che costituiscono le unità minime di significato attraverso le
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
quali ogni essere umano può rappresentare la propria vita sociale. Needham applica
questa teoria allo studio dell’immagine della strega, che egli analizza come una serie
di fattori primari che costituiscono un complesso riconoscibile. La strega è quindi
una figura dell’immaginario, dotata di sei caratteristiche formali: la relazione di
opposizione bene-male, l’inversione (cioè, l’esistenza di uno spazio simbolico
negativo marcato dall’inversione di valori condivisi), l’associazione della strega alla
notte e al buio, al colore nero e a luci notturne, e la capacità di volare. Con questa
visione universalista dell’immaginario, Needham supera le tradizionali dicotomie
antico-moderno e primitivo-occidentale, anticipando le tendenze contemporanee
Un'altra applicazione di questo genere di analisi appartiene a Michele Stephen
(Stephen 1999), che oltre ad attestare l’ampia diffusione dell’immagine della strega,
legata all'esistenza di un modello costante dell’immaginario su cui essa è modulata,
innesta su questa base le tesi della psicoanalista Melanie Klein, che aveva elaborato
una teoria sui conflitti edipici tra madri e figli. Secondo Klein (Klein 1958), gli
infanti tendono ad avere un rapporto conflittuale con la propria madre, perché essa,
inevitabilmente, si ritrova incapace di soddisfare i lori bisogni narcisistici. Il
bambino, dunque, prova nei confronti della madre dei sentimenti ambivalenti, perché
proietta su di essa la propria rabbia e allo stesso tempo ne teme le ritorsioni. Il
risultato di questo sono la forte paura del potere occulto materno e le fantasie
persecutorie, che possono riaffiorare più tardi nella vita in diverse forme. La
stregoneria, ovvero l'idea di un'arte magica negativa praticata da una donna
malvagia, è una di queste (Segal 1973).
Stephen, quindi, ipotizza che la costruzione culturale dell'immagine della strega
emerga da un complesso di emozioni negative collegate all’immagine materna nella
fantasia infantile, capace di riattivarsi poi nella vita adulta. La strega viene
considerata quindi da Stephen come una mediazione culturale che serve a
rappresentare concretamente la potenza delle emozioni negative, proiettandole
all’esterno e impedendo così che esse possano minacciare l’unità dell’Ego. Tale
prospettiva riveste di sfumature psicologiste la tradizionale differenza fra stregoneria
e fattucchieria, considerate forme di oggettivazione, l’una involontaria, l’altra
intenzionale, delle pulsioni negative dell’inconscio. Qualche anno dopo, Stephen
dimostra la duttilità del suo approccio applicando la sua teoria a due casi etnografici
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
in un famoso articolo intitolato “Witchcraft, grief and the ambivalence of emotions”
(Stephen 1999).
1.2.4. Antropologia, stregoneria e studi storici. Uno degli esiti più interessanti degli
studi
antropologici
relativi
alla
stregoneria
riguarda
la
collaborazione
interdisciplinare che ha interessato, per un lungo arco di tempo, storici, folkloristi e
antropologi. Come ha scritto la Katharine Hodgkin, infatti, “la stregoneria è un
oggetto che mette sotto pressione i tradizionali quadri della storiografia, rendendo i
confini della disciplina più permeabili” (Hodgkin 2007:183).
L'inizio di questa alleanza tra storici e folkloristi può essere collocato nel primo
ventennio del 1900, quando la storica inglese Margaret Murray sostenne l'ipotesi che
le credenze magiche tipiche dell'Inghilterra della prima età moderna potessero essere
ricondotte ad un'antica tradizione, la stregoneria, che costituiva l'autentica religione
del popolo. I primi articoli di Murray sull'argomento vennero pubblicati sulle pagine
della rivista Folklore nel 1917 e nel 1920 (Murray 1917, 1920) e le idee proposte in
essi confluirono, assieme ad altre, in una monografia intitolata The Witch-Cult in
western Europe. In quest'opera, Murray limita la ricerca storica alla Gran Bretagna,
con cenni alla Francia, alle Fiandre e al New England. Murray propone una
differenziazione tra “stregoneria operativa”, ovvero l'esecuzione di rituali ed atti
magici, e la cosiddetta “stregoneria rituale”, che costituiva l'antica religione
dell'Europa occidentale. Secondo Murray, quest'ultima costituiva un vero e proprio
culto, basato sull'adorazione di una divinità maschile e di una "Dea Madre", passata,
secondo Murray, in secondo piano nell'età moderna. Sosteneva, inoltre, che questo
culto della fertilità era sopravvissuto al processo di cristianizzazione della Gran
Bretagna, praticato in luoghi determinati e da certe classi sociali. Gli aderenti alla
stregoneria si riunivano in una sorta di assemblea generale, il “sabba”, che si
aggiungeva ad un'altra tipologia di riunioni private conosciute come “esbat”. Si
trattava di riti notturni che cominciavano a mezzanotte e consentivano alle streghe di
rinnovare i propri voti di fedeltà e obbedienza. A questo nucleo di dati, Murray
aggiungeva una serie di considerazioni meno credibili, come, ad esempio, la certezza
che le storie di fate in Gran Bretagna attestavano l'esistenza di una razza superstite
che continuò a vivere nell'isola fino al periodo moderno e che praticava la stessa
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
religione pagana delle streghe, spiegando così il collegamento folclorico tra i due.
Nelle appendici al libro, inoltre, Murray dichiarò che Giovanna d'Arco e Gilles de
Rais erano membri del culto della stregoneria, che era stata la ragione per le loro
esecuzioni capitali. Nonostante il libro non fu un best-seller (solo 2.020 copie
vendute nei primi 30 anni dalla pubblicazione) Murray divenne un'autorità in
materia, tanto che nel 1929, fu invitata a redigere la voce "Stregoneria" per
l'Enciclopedia Britannica. La voce, in cui l'interpretazione di Murray veniva
presentata come universalmente condivisa, rimase nell'Enciclopedia fino al 1968. Al
primo libro ne seguì un altro, intitolato The God of the Witches (1933) che, pur
simile nel contenuto, era rivolto a un mercato di massa e conteneva un entusiastico
racconto dei caratteri della “vecchia religione” (Simpson 1994:93), attenuando
alcune affermazioni del libro precedente che avrebbero potuto presentare il culto in
cattiva luce, come i riferimenti alla connotazione sessuale dei riti e ai sacrifici umani
ed animali.
All'atto della pubblicazione iniziale, la tesi di Murray ottenne un'accoglienza
favorevole, e alcuni storici della prima età moderna inglese come Sir George Clark e
Christopher Hill incorporarono le sue teorie nel loro lavoro (Thomas 1971:515;
Nenonen, Toivo 2013:191-2). Tuttavia, le teorie di Murray non hanno mai ricevuto
sostegno da parte di esperti nello studio dei processi di stregoneria (Hutton
1999:198) e molte delle sue idee sono state contestate da coloro che hanno
evidenziato "errori di fatto e carenze metodologiche" (Eliade 1975:192). La maggior
parte delle prime recensioni accademiche del lavoro erano piuttosto critiche (Hutton
1999:198; Sheppard 2013:169), tra cui, soprattutto, quelle tutt'altro che entusiastiche
di George L. Burr (Burr 1922, 1935). Una delle critiche diffuse al lavoro si basava
sulla constatazione che non ci fossero prove evidenti della presunta continuità del
culto di stregoneria nel periodo intercorrente tra la cristianizzazione della Gran
Bretagna e i processi alle streghe della prima età moderna. (Rose 1962:56). Murray
non rispose mai direttamente alle critiche, reagendo però in modo ostile e attribuendo
le ostilità accademiche al pregiudizio religioso (Simpson 1994:9, Thomas 1971:516).
Numerosi studiosi in Europa e Nord America cominciarono a pubblicare studi
approfonditi dei documenti d'archivio che riguardavano i processi alle streghe
(Hutton 1999:36) e, sulla base di queste analisi respinsero le tesi di Murray. Keith
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Thomas affermò che non vi siano prove della persistenza di un culto precristiano
(Thomas 1971:514) e criticò l'uso piuttosto disinvolto delle fonti messo in atto da
Murray (idem:515), mentre Mircea Eliade descrisse il lavoro della storica inglese
come inadeguato e pieno di errori (Eliade 1975:152–153). Ancora più caustico
Norman Cohn, che commentò e definì le quelle teorie come “saldamente fissate in
una versione esagerata e distorta di stampo frazeriano” (Cohn 1975:109, trad.).
Aldilà delle critiche incontrate dal lavoro di Murray, gli studi etnografici
continuavano a fornire suggestioni alle opere degli storici. Una collaborazione attiva
tra storici ed antropologi era stata già paventata dallo stesso Evans-Pritchard nella
sua Marett Lecture tenuta ad Oxford nel 1950, in cui l'antropologo britannico aveva
constatato che la magia e la stregoneria aveva occupato i taccuini degli etnografi più
di quanto non avesse fatto con quelle degli storici della civiltà occidentale
(sull'influenza della lecture sulla storia europea vedasi Musìo 1993:69-70, Viazzo
2000, cap.4). Tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso, l'invito di Evans-Pritchard inizia
ad essere pienamente recepito, in Francia con gli storici della Nouvelle Historie
(Musìo 1993:69), in Gran Bretagna con Alan Macfarlane (Macfarlane 1968) e Keith
Thomas (Thomas 1970, 1971) e negli Stati Uniti con Erik Midelfort (Midelfort 1968)
e William Monter (Monter 1972). Questa generazione di storici
continuò a
connettere la dimensione storica con quella culturale e sociale, utilizzando di
frequente i parallelismi etnografici per interpretare i dati storici. Lo studio della
stregoneria presso società tribali forniva, infatti, ispirazioni costanti per lo studio
della stregoneria inglese del passato, soprattutto per quanto riguarda il fenomeno
della “caccia alle streghe” (Cohn 1975; Thomas 1970), in relazione soprattutto
all’attendibilità delle confessioni e all’ideologia dell’interrogante (Simonicca 2009).
Gli antropologi invitavano di frequente gli storici della stregoneria ai loro convegni e
nelle opere curate da antropologi sul tema della stregoneria comparivano spesso
contributi degli storici dell'età antica medievale e moderna (Douglas 1970; Marwick
1970). Proprio in quel periodo, dominavano gli approcci comparativi, come quello di
Rodney Needham (Needham 1978:23-50;42)
Nel frattempo, in America, gli studi storici sulla stregoneria avevano come
oggetto le credenze magico-religiose dei calvinisti del new England (Demos 1982,
Karlsen 1998) e la caccia alle streghe verificatasi nel 1692 a Salem, nel
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Massachusetts, quando una ventina di presunte streghe furono giustiziate in pubblico.
Questi eventi sono stati successivamente interpretati come simbolo di pregiudizio e
intolleranza, in contrasto con gli ideali democratici americani. Nel 1974, Paul Boyer
e Stephen Nissenbaum scrissero una ricostruzione storica dettagliata dei fattori
sociali alla base delle esecuzioni alle streghe di Salem (Boyer, Nissenbaum 1974).
Purtroppo però, già com'era accaduto per l'opera di Murray, creare proseliti non
equivale ad ottenere unanime consenso, tanto che ebbe luogo una nuova controversia
quando gli storici americani iniziarono a mettere in discussione il legame
antropologia-storia, esprimendo forti perplessità nei confronti dei loro colleghi
inglesi e sostenendo che i popoli extraeuropei avessero poco a che fare con le più
complesse società europee della storia moderna. Nel 1972, Erik Midelfort avvertiva i
propri lettori che nel suo studio dei processi tedeschi alle streghe non avrebbero
trovato allusioni a Navajo, Azande o Cewa (Midelfort 1972:5), mentre qualche anno
dopo William Monter, concentrandosi sulla Francia e la Svizzera, dichiarò
metaforicamente che l'antropologia sociale, avvezza a fare i conti con contesti non
occidentali, non possedesse le chiavi per poter aprire la serratura della storia europea
(Monter 1976:II). Le opere di Macfarlane e Thomas vennero, quindi, considerate dai
loro colleghi americani l'eredità di un'antropologia anteguerra piuttosto datata, che
ignorava le innovazioni. William Crick sosteneva che la stregoneria non dovesse
essere più trattata come argomento generale, e metteva in guardia gli storici
dall'utilizzo della comparazione con i materiali etnografici (Crick 1976:109-127).
In realtà, proprio nello stesso periodo eminenti studiosi inglesi, storici e
antropologi, avevano iniziato a rivedere il proprio orientamento, come dimostra il
saggio di E.P. Thompson, intitolato “Anthropology and the discipline of historical
context” (Thompson 1972) e la recensione di Max Marwick all'opera di Macfarlane
(Marwick 1971). Entrambi avevano messo in discussione alcune applicazioni del
metodo antropologico nell'analisi storica. La questione si complicò ulteriormente a
seguito del dibattito tra Hildred Geertz e Keith Thomas sulle pagine di “The Journal
of interdisciplinary history” nel 1975. Geertz, antropologa, affermò che nelle scienze
umane l'imposizione e l'uso di categorie euristiche è di per sé inevitabile, ma foriero
di errori ed eccessive semplificazioni. Riteneva infatti che Thomas, pur compiendo
un pregevole lavoro di indagine storica, avesse commesso un errore epistemologico
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irrisolvibile nell'utilizzare termini come “religione”, “magia” e “stregoneria” in
chiave cross-culturale, senza spiegarne adeguatamente la variazione di significati
presso culture diverse. Il lavoro di Thomas non doveva essere rifiutato in toto, ma
rivisto alla luce di queste difficoltà. Thomas, dal canto suo, riconosce che gli
antropologi erano diventati cauti nell'impiegare concetti occidentali per lo studio
delle società non europee, preferendo utilizzare termini endogeni, ma ribadisce che,
mentre gli antropologi a lui contemporanei considerano controverso l'uso di termini
comunemente accettati dagli storici, per gli storici possa rivelarsi ancora utile.
Tuttavia, egli conclude che “gli storici devono riconoscere che gran parte del loro
lavoro non facilmente si presta ad un confronto cross-culturale” (Thomas 1975:107).
Il suo intervento segnò la fine di un coinvolgimento senza riserve degli storici con gli
apporti dell'antropologia, mentre nel 1989, in un articolo intitolato “History without
anthropology” J.H.M. Salmon concluse che la crisi del funzionalismo aveva dissuaso
gli storici ad impegnarsi in altre future collaborazioni (Salmon 1989).
Per utilizzare la metafora utilizzata dallo storico Malcom Gaskill, pare quasi
che il matrimonio tra antropologia e storia possa essersi ridotto, a partire dagli anni
'80, ad un fugace incontro (Gaskill 2008:1071). Eppure questo genere di conclusioni
pare essere piuttosto precipitoso. Alcuni storici contemporanei, nello loro rassegne di
studi relative all'argomento (tra tutti, vedasi il già citato Gaskill 2008), tendono
spesso a sottolineare che gli sviluppi degli studi storici contemporanei in materia di
stregoneria, a partire dalla seconda metà degli anni'80 del secolo scorso, non
provengono più dall'antropologia ma da altre discipline come la psicologia, la
criminologia, la litherary theory e la filosofia della scienza, ribadendo la fine del
rapporto tra antropologia e storia. Una storia che potrebbe evitare di “reggere la
fiaccola” (Gaskill 2008:1072) dell'antropologia. In realtà, nonostante sia innegabile
che la ricerca interdisciplinare sia una condizione indispensabile per chiunque voglia
avvicinarsi ad una seria analisi del problema, gli storici tendono a limitare,
sbagliando, le possibilità di una collaborazione dell'antropologia allo studio storico al
mero approccio funzionalista. L'analisi nell'ottica della litherary theory o lo studio
del genere di accusatori ed accusati vengono, ad esempio, precipitosamente
ricondotti all'apporto di altre discipline, trascurando che molte delle ricerche in tal
senso sono il “pane quotidiano” degli antropologi contemporanei.
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Bisogna sottolineare che la connessione tra studi storici e antropologia
nell'analisi della stregoneria ha avuto, con non molto ritardo, un suo riflesso in Italia
(Musio 1993, Viazzo 2000). Tra tutti, chi meglio esprime questo orientamento è
senza dubbio Carlo Ginzburg, che fin dagli anni '60 del secolo scorso ha dedicato
gran parte del proprio lavoro di analisi storica a documentare le credenze magiche
dell'età moderna. Nel 1989, Ginzburg pubblica Storia notturna. Una decifrazione del
sabba (Ginzburg 1990), in cui tenta di risalire alle origini folkloriche di uno dei temi
più frequentemente citati nell'ambito delle credenze nella stregoneria. Egli considera
il sabba come la riformulazione di una serie di temi e motivi tradizionali ricondotti
all’esperienza della trance sciamanica e al tema del viaggio nel mondo dei morti.
Rintraccia così nel complesso del sabba almeno due nuclei tematici distinti: da una
parte, i cortei notturni a cui streghe e stregoni affermano di recarsi in sogno,
capeggiati dalla figura di una misteriosa divinità femminile chiamata con diversi
nomi; dall'altra, le processioni dei morti, collocate in determinati momenti temporali
legati al culto dei defunti. Di questi nuclei tematici, Ginzburg rintraccia una serie di
analogie in una vastissima documentazione mitologica, folklorica e storico-religiosa.
Mentre la credenza in una dea della notte, conosciuta con diversi nomi (tra tutti,
quello di Erodiade) era presente a livello paneuropeo e oltre, Ginzburg analizza la
processione dei morti come il residuo di culti precristiani, di processioni di individui
mascherati che incarnavano gli spiriti. La prospettiva comparativa dona all'opera un
ampio respiro, ampliando notevolmente l'orizzonte storico e geografico, dimostrando
la vitalità e la duttilità di applicazione di una metodologia neo-frazeriana
consapevolmente adottata (Dei 1991, 2009).
Storia notturna e le opere precedenti e successive di Ginzburg hanno attirato
spesso feroci critiche, non solo da parte dei detrattori della comparazione ma anche,
soprattutto, da chi lo accusa di murrayismo, ovvero di stare tra le file di coloro che
considerano l'opera di Murray credibile e veritiera. In realtà, a seguito del rifiuto
della validità delle teorie della storica inglese da parte dell'accademia, Ginzburg tentò
di chiarire il rapporto tra il suo lavoro e quello di Murray nella sua prefazione a “The
Night Battles: Witchcraft and Agrarian Cults in the Sixteenth and Seventeenth
Centuries”, edizione inglese pubblicata nel 1982 de “I benandanti” (Ginzburg
1966). Qui,egli dichiarò espressamente la lontananza dalle teorie di Murray,
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affermando che ci fosse però, nelle sue idee, un “nocciolo di verità” nella tesi di
Murray (Ginzburg 1983:xiii, trad.). Gran parte delle analisi delle opere di Ginzburg
si sono dedicate quindi all'analisi del rapporto tra le sue teorie e quelle di Murray.
Mircea Eliade ha affermato che Ginzburg è riuscito a fornire un caso ben
documentato del processo attraverso il quale un culto segreto della fertilità popolare
e arcaico si trasforma in una pratica magica a seguito delle pressioni dell'Inquisizione
(Eliade 1975:156–157). Lo storico ungherese Gábor Klaniczay ha affermato che il
lavoro storiografico di Ginzburg “ha il merito di riformulare la tesi fantasiosa e
molto insufficientemente documentata di Murray” e di aver riaperto il “(...) il
dibattito sulle possibili interconnessioni tra le credenze di stregoneria e la
sopravvivenza di culti pagani della fertilità” (Klaniczay 1990:132, trad.). Altri
studiosi hanno invece cercato di tracciare una netta divisione tra le idee di Murray e
Ginzburg, tra cui Norman Cohn (Cohn 1975:223) e Ronald Hutton (Hutton
1999:378) .
Ciò che conta ai fini della nostra analisi è il riflesso che queste opere storiche,
soprattutto quelle di Murray, hanno nelle forme di spiritualità contemporanea. Se fin
dal 1900 una generazione di occultisti nostalgici aveva adottato una visione
romantica delle streghe come propri antenati, è proprio dall'opera della Murray che le
“streghe” contemporanee compongono il proprio eclettico e personale universo di
credenze. Negli anni '70, dopo la morte di Murray, la teoria dell'esistenza di un culto
della stregoneria fu definitivamente smantellata (Russell, Alexander 2007:154). Al
giorno d'oggi, la teoria di Murray è ormai considerata pseudostorica, basata su un uso
selettivo delle prove e sull'erroneo presupposto che le parole delle confessioni fatte
dalle streghe fossero veritiere. La storica inglese Jacqueline Simpson, che ha
dedicato un noto articolo all'analisi delle motivazioni che hanno portato le teorie di
Murray al successo (Simpson 1994), sottolinea che gli studi folklorici inglesi siano
stati notevolmente danneggiati dalle opere di Murray, a seguito soprattutto della sua
nomina a Presidente della Folklore Society (Simpson 1994:99) ma che, nonostante le
critiche, i folkloristi britannici non contrastarono mai attivamente le sue teorie,
limitandosi ad ignorarle (Simpson 1994:94).
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1.3. Sciamanesimo
Le prime attestazioni etnografiche dell'esistenza di un insieme di riti, pratiche e
credenze comunemente indicate come sciamanesimo provengono dalla Siberia. In
questo contesto geografico, è stata per la prima volta documentata la figura di un
operatore rituale identificato col termine “schaman”, attestato nella lingua nativa di
alcune tribù nomadi siberiane, tra i Buryats, gli Yakuts, e soprattutto tra i
Tungusi/Evenki, popolidi cacciatori e soprattutto di allevatori di renne e cavalli.
Sono etnie che occupano, in maniera discontinua, un'area che va dalle regioni artiche
fino alla frontiera con la Cina (Mikhailovski 1895). Presso queste popolazioni, lo
sciamano utilizza, a beneficio della comunità, particolari abilità extra-ordinarie,
culturalmente connotate. Tra tutte, quella che la comunità ritiene fondamentale: la
capacità di comunicare con esseri soprannaturali variamente descritti, principalmente
per predire il futuro e curare i disturbi fisici di cui sarebbero affetti i componenti del
gruppo.
L'esistenza dello sciamanesimo, considerato una pratica bizzarra e primitiva,
aveva affascinato le menti degli eruditi occidentali ancor prima di riempire i taccuini
degli etnografi di professione. Le prime attestazioni letterarie del fenomeno risalgono
al XVII secolo, e sono opera di esploratori e diplomatici europei che, per ragioni
diverse, avevano potuto assistere all'operato degli sciamani nel loro contesto
culturale.
La descrizione etnograficamente più attendibile di una performance sciamanica in
Siberia è opera di un inglese, Richard Johnson, che descrisse quelli che definì “riti
diabolici” compiuti da uno sciamano di etnia Nenet. (Hutton 2001:30-31)
Una
certa
connotazione
negativa
dello
sciamano
è
presente
nell'opera
dell'arcivescovo russo Petrovich Avvakum, deportato in Siberia nell'estate del 1661 a
causa della sua opposizione alle riforme liturgiche praticate dalla Chiesa ortodossa.
Nella sua autobiografia (Pascal 1938), compare la descrizione di una seduta
sciamanica compiuta da un operatore magico tunguso in Transbaikalia (allora detta
Dauria), regione montuosa ad est del lago Baikal. (Narby e Huxley 2001:18-20).
Proprio nel XVII secolo ha luogo la penetrazione russa in Asia centrale ed Estremo
Oriente; si hanno così ad opera di viaggiatori ed amministratori descrizioni più o
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meno colorite di questi territori e delle popolazioni nomadi che li abitano; questi
rapporti cominciano ad arrivare in Europa iniziano ad arrivare nel Vecchio
Continente. (Flaherty 1992; Ginzburg 2006). Nel 1698, un mercante di origini
olandesi, Adam Brand, segretario di un'ambasciata spedita da Pietro il Grande in
Cina (1692-1695), utilizza per la prima volta il termine “schaman”per descrivere
l'operatore magico-religioso dei Tungusi.
Mentre i resoconti di viaggio scritti dagli Europei nel XVII e XVIII secolo
introducono questa parola nella letteratura europea, il suo utilizzo rimane confinato
fra gli intellettuali. Uno stato di cose in parte modificato circa due secoli più tardi,
nel 1875, quando la parola “sciamano” è stata inclusa nell'Enciclopedia Britannica ad
opera di A.H. Sayce (Grim 1983:15)
Pur essendo in larga misura accertati l'origine e il significato del vocabolo nella
lingua dei Tungusi3, gli studiosi sostengono un'origine esterna del termine, che
sarebbe derivato da una parola sanscrita o Pali utilizzata per indicare il monaco di
fede buddista. Dal momento che questi monaci sono stati spesso ritenuti, presso varie
culture, individui magicamente dotati, questa congettura glottologica viene ritenuta
abbastanza plausibile (Blacker 1986; Hutton 2001:11; Ripinsky-Naxon 1993:69;
Shirokogoroff 1935:266-9; Siikala, Hoppal 1998:2).
1.3.1. Un unico termine, diversi significati. Fu nel XVIII secolo che nacque la
nozione occidentale di sciamanesimo, con la necessità di tradurre in francese il
vocabolo
russo
šamanštvo
(derivazione
dalla
parola
šaman,
lett.
“sciamanizzare”), utilizzato per designare il rituale sciamanico. Allora come
adesso, gli antropologi hanno però enormi difficoltà ad accordarsi sulle definizioni di
“sciamano” e “sciamanesimo” e sulla loro possibile applicazione ai singoli contesti
culturali.
Fin dalla seconda metà del XIX secolo, infatti, gli antropologi hanno utilizzato il
termine “sciamanesimo” in molteplici modi, per definire insiemi di tecniche,
credenze e conoscenze che possiedono caratteristiche simili presso culture diverse
3 Presso i Tungusi la parola saman (o hammam) aveva una duplice funzione d'uso, come
sostantivo e come verbo. Come sostantivo possedeva il significato, riferito all'individuo, di
“persona che è stata mossa, o scossa”, mentre come verbo significa “conoscere attraverso
l'estasi”.
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dal contesto originario, e il termine “sciamano” venne progressivamente esteso dagli
operatori magici evenki ad altri specialisti rituali. Come affermò, a questo proposito,
Victor M. Mikhailovski: “si è avuto accesso ad una considerazione più ampia della
questione, e si è iniziato a considerare lo sciamanesimo come un fenomeno
caratteristico di molte persone, sparse in molte parti del mondo.” (Mikhailovski
1895:62, trad.).
Nonostante ciò, “sciamanesimo” è diventata un'etichetta che possiede validità
euristica e nelle scienze sociali viene considerata una definizione in grado di alludere
ad una realtà di cui sia l'autore che il lettore conoscono le caratteristiche. Tanto, che,
come notano alcuni studiosi, il termine “viene raramente specificato da coloro che lo
utilizzano, poiché si presume che il lettore conosca bene l'accezione che vuole dargli
l'autore”. (Rydving 2011, trad.)
A causa di questa dissociazione tra significato primario dell'espressione e
molteplicità di utilizzi che se ne fanno, alcuni studiosi considerano il termine
sciamanesimo “quasi una sorta di parola magica” (Flaherty 1992, trad.). Nella sua
opera Listening people, speaking earth (1997), Graham Harvey definisce
l'espressione una “Humpty Dumpty word” (Harvey 1997:107), ossia, una “parola
alla Humpty Dumpty”. Il riferimento è alla nota opera di narrativa Through the
Looking-Glass, and What Alice Found There, di Lewis Carrol (1871). In Alice nel
Paese delle Meraviglie, infatti, il personaggio di Humpty Dumpty è un uovo parlante
protagonista di un dialogo molto conosciuto e citato soprattutto dagli studiosi di
semantica, dato che affronta il tema dell'uso delle parole e del significato che esse
assumono in base all'intenzione di chi le pronuncia. Ad un certo punto della storia,
Humpty Dumpty rivela ad Alice la propria abilità di "comandare" le parole per dar
loro un significato, affermando che ogni parola da lui utilizzata significava
esattamente ciò che lui desiderava significasse, né più né meno. Citando le parole di
un personaggio letterario, Harvey affronta il problema della polisemia del termine
“sciamanesimo”, che ha finito con l'assumere significati notevolmente differenti tra
loro a seconda delle circostanze e dell'impostazione teorica degli studiosi che ne
hanno fatto uso.
A complicare ulteriormente il quadro, il termine è ormai entrato a far parte del
linguaggio comune, oltrepassando i limiti delle scienze sociali. A partire dagli anni
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'70 e '80 del secolo scorso, antropologi ed etnografi hanno iniziato ad assistere e
documentare l'interesse crescente degli aderenti alla New Age verso la spiritualità
delle culture extraeuropee, con la sua successiva applicazione come filosofia di vita,
moda spirituale e metodo di risveglio della coscienza. Il termine “sciamanesimo” è
quindi passato ad indicare anche le attività di gruppi di New Agers o neo-pagani in
Gran Bretagna, America ed Europa,
la cui retorica è fortemente imbevuta di
riferimenti alla spiritualità delle culture extraeuropee.
1.3.2. Visione “ristretta” ed “allargata” dello sciamanesimo. Per esemplificare il
problema, si potrebbe affermare che esiste una definizione “allargata” ed una
“ristretta” dello sciamanesimo. (Winzeler 2008:209)
La concezione “allargata” dello sciamanesimo, ad esempio, è propria
dell'immaginario popolare, che tende ad includere, in questa definizione, tutte le
pratiche magiche e religiose di provenienza extra-occidentale.
Anche alcuni antropologi, pur essendo più cauti, non sono immuni alla tentazione di
proporre una definizione vasta del termine, utilizzandolo, come prima accennato, per
descrivere complessi mitico-rituali estranei al contesto originario. Ciò è dovuto, in
parte, al fatto che molti studiosi hanno ceduto alla tentazione di ridurre lo
sciamanesimo ad un nucleo formato da una, massimo due caratteristiche basilari,
sulla base delle quali viene attestata la presenza del fenomeno in un dato contesto
culturale. Questa procedura di essenzializzazione ha portato a considerare come
nucleo dello sciamanesimo la capacità dell'operatore rituale di raggiungere l'estasi,
ovvero uno stato di coscienza alterato non basato su percezioni ordinarie. In questa
prospettiva, esisterebbero sciamani (e sciamanesimo) in qualsiasi cultura che preveda
la possibilità di raggiungere uno stato di alterazione psico-fisica, indicata dagli
studiosi come “estasi (o trance) sciamanica”. (La Barre 1972; Harner 1980:53;
Ripinsky-Naxon 1993:9)
In questa visione “allargata”, quindi, lo sciamanesimo viene considerato un
fenomeno arcaico, attestato non solo nelle regione artiche, ma anche in Australia,
Africa, Borneo, Mesoamerica e Sud America, nonché in alcune fasi antiche della
storia del Vecchio Continente. Essa è talvolta collegata a concezioni evoluzioniste
come, ad esempio, negli studi sovietici, in cui “sciamanesimo” designa uno stadio
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dell'evoluzione culturale umana e lo scopo di molte opere è rinvenire le “vestigia”
dello sciamanesimo nel mondo contemporaneo. (Rydving 2011). Questa prospettiva
evoluzionista, con l'annessa concezione dello
sciamanesimo come tappa
dell'evoluzione della coscienza religiosa umana, ha anche dei seguaci in età
contemporanea (Hayden 2003; McClenon 2002).
1.3.3. Il lascito di Mircea Eliade. Nell'antropologia occidentale, la considerazione
dello sciamanesimo in prospettiva universale è derivata dalle teorie di Mircea Eliade,
storico delle religioni romeno che, nonostante i numerosi punti critici spesso
rinvenuti nel suo lavoro (Allen 1998, Berger 1994; Francfort 2001; Kehoe 1997,
2000; Tedlock 2004, Znamenski 2007) ha costituito e continua a costituire un'autorità
indiscussa nel campo degli studi sciamanici. A causa della rilevanza delle sue teorie,
le opere di Eliade costituiscono un irrinunciabile punto di partenza per qualsiasi
analisi del fenomeno. Il suo lavoro rappresenta, inoltre, la base teorica per molte
rielaborazioni contemporanee della cultura sciamanica. (Hulktrantz 1991:9; Kehoe
2000:41; Knecht 2003:2; Siikala 1992a:22-25; Winkelman 2000:71-75, 2002)
Nello specifico, in Le chamanisme et les techniques archaïques de l'extase”
(1951), Eliade sostiene che le origini dello sciamanesimo siano da rintracciare
indietro nel tempo, nelle culture di caccia e raccolta del Paleolitico superiore.
Analizzando il repertorio degli specialisti magico-religiosi, egli conia la celebre
definizione di sciamanesimo come “espressione di una religiosità umana innata e
senza tempo incentrata su uno stato di trance o su un arcaica tecnica di estasi”.
Fino agli anni '90 del secolo scorso, nonostante l'estasi sia stata la chiave di
lettura più diffusa nell'analisi delle differenti forme di sciamanesimo, la definizione
di Eliade è stata messa in discussione da più punti e da numerosi studiosi. Nella
letteratura di settore, l'estasi non compare più da almeno due decenni come
caratteristica distintiva dello sciamanesimo (Hultkrantz 1998a, 1998b, Dooley 1999),
soprattutto a seguito dell'imponente lavoro di decostruzione del suo significato ad
opera dell'antropologa francese Roberte Hamayon (Hamayon 1990:17-40; 1993,
1996, 1998). Inoltre, un esempio abbastanza noto di critica alla teoria di Eliade è
costituito dalla discrepanza tra dato etnografico e teoria, evidente se si confronta la
teorizzazione dello studioso romeno con un'opera risalente agli inizi del 1900,
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Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
dedicata allo sciamanesimo dei Tungusi (relativa, quindi, al contesto di origine della
pratica). Si tratta di Psychomental Complex of the Tungus (1935), di Sergei
Shirokogoroff, in cui lo sciamano Evenki viene descritto come un “master of spirit”,
uno specialista in grado di comandare un gruppo di entità spiritiche dotate di diverse
specializzazioni e di poteri variamente connotati. Secondo Shirokogoroff, nel
svolgere il proprio ruolo rituale, lo sciamano utilizza un complesso di metodi, di cui
l'estasi è uno, ma non il solo, esempio.
Trovandosi costretto a difendere la propria teoria, Eliade ribatté alle critiche
affermando che quanto osservato da Shirokogoroff fosse una forma sincretica
dell'autentico sciamanesimo, corrotta dall'influenza del buddismo (Eliade 1964:200).
L'avversione di Eliade diventa maggiormente comprensibile se si pensa che, nella
stessa opera, Shirokogoroff colse l'occasione di mettere in discussione la definizione
di sciamanesimo da lui stesso fornita in un precedente lavoro (Shirokogoroff 1923),
suggerendo l'utilizzo del termine esclusivamente in rapporto agli Evenki e
sostenendo che “sciamano, come termine generico, rivela una tendenza a
generalizzare a partire da una conoscenza inadeguata dei fatti” (Shirokogoroff
1935:268, trad.) e che la definizione di “sciamanesimo come creazione europea è
stato un fallimento totale” (Shirokogoroff 1935:269, trad.).
1.3.4. Un termine inutile? Nonostante sia innegabile che esistano temi comuni e
approcci simili alla pratica magica e religiosa presso popolazioni differenti sparse per
il mondo, questi non sono sempre riconducibili a contatti o a connessioni storiche
accertate (Grim 1984; Schlesier 1987). Per questa ragione, l'utilizzo del termine
sciamanesimo in senso universalista è stato criticamente messo in discussione
dall'antropologia degli anni '70, sia nordamericana che europea.
Fino ad allora, la prospettiva comparativa nello studio dello sciamanesimo non
era stata criticata. Eventuali obbiezioni riguardavano non tanto la validità del
modello, quanto lo sforzo di individuare quale elemento o insieme di elementi dava a
quel sistema ampiezza universale (l'estasi, la possessione, il viaggio in mondi
ultraterreni, il contatto con gli spiriti, tutti questi elementi assieme). A partire dagli
anni '70 in poi, invece, sono proprio la natura del termine e la possibilità di applicarlo
universalmente ad essere messe in discussione. Il quesito fondamentale riguardava la
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
validità d'uso, sia in senso etnografico che teorico, di una definizione priva di
caratterizzazione univoca. (DuBois 2011; Francfort and Hamayon 2001; Klein et al.
2002; Martínez Gonzáles 2009; Pharo 2011:18-37; Rydving 2011, Sidky 2008, 2010;
Sjöblom 2002)
In
un
contributo
pubblicato
sulla
rivista
“L'Homme”,
intitolato
significativamente “Chamanes, chamanisme e chamanalogues” (1997) l'antropologo
francese Michel Perrin cerca di mettere ordine nella questione, suddividendo gli
approcci degli antropologi al problema in diverse correnti. Egli distingue tra:
a) coloro che considerano lo sciamanesimo un fenomeno culturale universalmente
esteso;
b) coloro che credono che sia meglio eliminare il termine sciamanesimo dal
vocabolario dell'etnologia;
c) coloro che giudicano indispensabile per gli studiosi intendersi su una definizione.
a) Non sono affatto rare le opere di antropologia contemporanea che
continuano a considerare lo sciamanesimo come un termine universalmente valido
(Vitebsky 1995; Hell 1999; Aigle et alt. 2000), alcune volte utilizzandolo come
sinonimo di “religione indigena” (Kressing 1997, per un'analisi critica vedasi Pharo
2011:60-65).
Alcuni autori contemporanei, quindi, continuano a perpetuare la considerazione
“allargata” dello sciamanesimo di Eliade, sostenendo la possibilità di poter
concepire lo sciamanesimo come “una forma cross-culturale di sensibilità e pratica
religiosa” (Vitebsky 1995:6, trad.), e il fatto che “motivi, temi e personaggi
sciamanici travalicano la storia, la religione e la psicologia umane” (idem). Per far
ciò, però, si trovano costretti ad applicare alla teoria di Eliade importanti correzioni.
Pur aderendo alla stessa impostazione, molti autori considerano ormai troppo
semplicistica e restrittiva un'attestazione dello sciamanesimo solo in base alla
presenza del complesso mitico-rituale della trance. Essi sostengono, ad esempio, che
la possessione da parte degli spiriti costituisca un'alternativa valida all'estasi
sciamanica (Hell 1999; Lewis 1986:84-86; Siikala and Hoppal 1998:21), che da
Eliade veniva concepita solamente nella tipologia del “soul flight”, ovvero come volo
notturno dell'anima in mondi soprannaturali variamente descritti. Eliade è solo un
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esempio della tendenza occidentale a trascurare particolari istanze dello
sciamanesimo, soprattutto a causa della non-familiarità con certi concetti. Ad
esempio, Antonia Mills e Richard Slobodin (1994) sostengono che il concetto di
incarnazione è stato troppo spesso sottovalutato nell'analisi di molte religioni nativoamericane, mentre sia Barbara Tedlock (2001) che Winkelman e Peek (2004) hanno
sottolineato l'importanza della divinazione, un elemento della tradizione sciamanica
spesso sottostimato.
Un ulteriore esempio di questa impostazione critica sono le opere di uno dei massimi
teorici degli studi sciamanici, Ake Hultkrantz, che descrive l'estasi come uno solo tra
gli elementi di un più complesso insieme di comportamenti e rappresentazioni.
Fedele alla linea di Eliade, Hultkrantz descrive lo sciamano come “un emissario
della società umana che, con l'aiuto di spiriti protettori, ricerca l'estasi, in modo da
stabilire una relazione con il mondo soprannaturale a nome dei membri del suo
gruppo”. (Hultkrantz 1973:6, trad.) Pur conservando l'impianto teorico di base,
quindi, egli estende la definizione di Eliade ad altre due componenti fondamentali e
imprescindibili dello sciamanesimo: la capacità degli sciamani di entrare in contatto
con il mondo soprannaturale e la capacità di agire a beneficio della propria comunità
basandosi sulla propria esperienza estatica (Backman e Hultkrantz 1978:11).
Anche l'antropologo scozzese Ioan Lewis, pur conservando un approccio
universalista, include sotto l'etichetta di sciamanesimo fenomeni tra loro
notevolmente differenti, come la possessione, la stregoneria e il cannibalismo. Per
Lewis, lo sciamano è “un profeta ispirato e un guaritore, una figura religiosa
carismatica, con il potere di controllare gli spiriti, solitamente tramite possessione.
Se gli spiriti parlano attraverso di lui, è possibile anche che egli abbia la capacità di
impegnarsi in voli mistici e altro” (Lewis 1984:9).
Allo stesso modo, l'antropologa statunitense Joan Halifax, specializzata nello studio
delle forme contemporanee di sciamanesimo, utilizza il termine in senso molto
ampio e include negli attributi dello sciamano non solo l'abilità di entrare in trance,
ma anche la crisi di iniziazione, l'ordalia, l'esperienza di smembramento e
rigenerazione, la credenza in un albero sacro considerato come axis mundi, la
capacità di volare con lo spirito e il ruolo dello sciamano come curatore. (Halifax
1991, Bowie 2000:193)
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Le critiche all'approccio universalista diventano ancora più comprensibili se si
pensa che genere di prospettiva è stato talvolta sottoposto a vistose forzature, che
hanno riguardato non solo i limiti geografici, ma persino la verità storica. Così, in
alcune opere, sono stati descritti come sciamani Gesù Cristo, dato che secondo la
tradizione biblica guariva i malati (Kollmann 1996) e Giovanna D'Arco, col pretesto
che ella fosse un “capo carismatico”, il cui operato si inseriva nel solco di una lunga
tradizione popolare di contatto con gli spiriti. (Barstow 1986:45) Inoltre, in
un'eccessiva opera di semplificazione, l'antropologia nordamericana ha utilizzato il
termine sciamano per identificare una delle due categorie in cui venivano suddivisi
gli specialisti della religione, in opposizione a “prete” (de Waal Malefijt 1968: 229240, Klass 1995: 63-71, Liberty 1970; Robinne 2007).
Per concludere, esemplificando un quadro assai variegato, le visioni
contemporanee dello sciamanesimo in prospettiva universale possono essere
suddivise in tre filoni principali. Da una parte, resistono le definizioni essenzialiste
che, alla maniera di Eliade, rintracciano il nucleo dello sciamanesimo in pochi,
fondamentali elementi, come l'abilità sciamanica di entrare in contatto con gli spiriti
(Basilov 1992:6) ed il suo utilizzo a beneficio della comunità (Malet 1998:5).
Dall'altra, possiamo ritrovare le concezioni dello sciamanesimo di stampo neoevoluzionista. (Pentikäinen 1998:61; Ripinsky-Naxon 1993:9) Una terza linea teorica
è costituita dall'analisi dello sciamanesimo in prospettiva cross-culturale che, come si
vedrà, ha fornito innovativi spunti alla questione (Winkelman 1986, 1992;
Winkelman and White 1987; Winkelman 2000; Winkelman e Baker 2008).
b) Il noto antropologo nordamericano Clifford Geertz, tra i massimi esponenti
della svolta interpretativa degli anni '70, può invece essere collocato tra coloro che
desiderano eliminare il termine sciamanesimo. Nel suo saggio “Religion as a
cultural system”, riflettendo sul rapporto tra senso comune e religione, l'antropologo
statunitense cita lo sciamanesimo tra quelle “categorie insipide” attraverso le quali
“gli etnografi della religione devitalizzano i propri dati” (Clifford 1993[1966]:192),
privando il dato etnografico della propria specificità. Una posizione molto simile a
quella espressa, già nel 1903, da Arnold van Gennep, che collocava “sciamanesimo”
tra le parole “create dai viaggiatori, adottate senza riflessione dai dilettanti
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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dell'etnopsicologia e poi utilizzate a torto” (van Gennep 1903:51, trad.). Ritenendo
che non si applicasse a nulla di definito, suggeriva di lasciare da parte il termine.
Allo stesso modo, alcuni autori contemporanei affermano che “non esistono
criteri rilevanti per analizzare in maniera cross-culturale lo sciamanesimo”
(Holmberg 1989:144) e sostengono che la categoria semplicemente non esista in
un'unica forma omogenea ed unitaria, neanche più in Siberia ed Asia centrale. (Klein
et al.2002; Klein e Klein and Stansfield-Mazzi 2004; Klein et al., 2005) Per questi
autori, come per Geertz, lo sciamanesimo “rimane intrattabile come indirizzo di
studi di carattere generale” (Holmberg 1989:144, trad.). Essi sostengono che
l'approccio allargato allo studio dello sciamanesimo, attribuendo motivazioni
universalmente valide ai singoli contesti culturali, ha fatto in modo che “le diverse
pratiche siano state dissociate dal contesto culturale di appartenenza e ricollegate a
motivazioni di carattere universale” (idem).
c) Tra gli antropologi ci sono anche coloro che, non volendo rinunciare all'utilizzo
del termine sciamanesimo, ritengono indispensabile doversi preliminarmente
accordare sul suo significato.
Tra gli studiosi, vi è persino chi, per ovviare al problema, ha proposto, alla
maniera di Shirokogoroff, un approccio purista alla questione, sostenendo un (ormai
alquanto improbabile) ritorno ad una visione così restrittiva dello sciamanesimo da
concedere l'utilizzo del termine solo per indicare l'orizzonte simbolico e rituale delle
culture artiche (Bowie 2000:14).
In “Shamans and religion” (2000), invece, l'antropologa statunitense Alice
Kehoe, pur sottolineando quanto risulti “confuso e fuorviante usare un termine
onnicomprensivo, preso in prestito da una lingua asiatica sconosciuta, per indicare
la varietà di operatori e pratiche culturalmente riconosciuti e distinti" (Kehoe
2000:53, trad.), si dichiara d'accordo con una revitalizzazione dell'uso di
“sciamanesimo” come categoria interpretativa, affermando che “i tempi sono maturi
per una sensibile, seria panoramica degli usi antropologici del termine e del
concetto 'sciamano' ” (Kehoe 2000:xx, trad.) Per far ciò, respinge molte delle idee
di Eliade, tra cui l'ipotesi che i riti e le credenze sciamanici siano residui di una
religione primordiale del Paleolitico. Rifiuta inoltre, l'idea di un antico contatto tra
Siberia e America nordoccidentale, sostenendo che le evidenti somiglianze tra le
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pratiche religiose dei nativi americani e quelle delle popolazioni siberiane sono
dovute alle relazioni instauratesi tra i popoli tra XVIII e XIX secolo, epoca di
fioritura del commercio russo di pellicce (Kehoe 2000:48). Pur ammirandone il
valore, Kehoe in sostanza demolisce l'impianto teorico elaborato da Eliade,
collocandosi nel solco della tradizione antropologica del particolarismo e
sottolineando la stretta connessione tra prova empirica (dato etnografico) e analisi ed
interpretazione dei dati (teoria antropologica). Un approccio che, come si vedrà più
avanti, ha avuto considerevole sviluppo negli studi dell'ultimo ventennio.
1.3.5. La rinascita degli studi sciamanici. Dopo aver rischiato l'estinzione a causa
delle perplessità relative al suo utilizzo come categoria di analisi, gli anni '80 del
secolo scorso hanno segnato una vera e propria rinascita della letteratura accademica
relativa allo sciamanesimo, come hanno efficacemente sottolineato alcuni studiosi.
(Atkinson 1992:307; Crocker 1986:17; Morris 2006:14; Noll 1990:214) Questa
rinascita è stata, in larga misura, stimolata dall'interesse mostrato nei confronti dello
sciamanesimo da alcune compagini della cultura popolare nordamericana ed europea,
che nel decennio precedente avevano iniziato ad esplorare lo sciamanesimo come
forma di spiritualità alternativa. In questo periodo, inoltre, numerose discipline
scientifiche iniziano ad interrogarsi sugli approcci terapeutici alternativi alla
medicina occidentale, con particolare attenzione verso lo studio dei meccanismi
biologici e psicologici relativi al confine, spesso incerto, tra razionalità e
irrazionalità.
Questa duplice influenza, reciprocamente condotta, del mondo scientifico e
della cultura popolare, ha dato il via alla rinascita postmoderna degli studi sullo
sciamanesimo. Il quadro teorico si è, infatti, ulteriormente complicato a causa
dell'interesse mostrato da numerose scienze, che hanno avuto ed hanno tuttora
un'influenza non trascurabile nell'elaborazione di nuove teorie e metodologie
d'analisi nello studio dello sciamanesimo. Come ha sottolineato l'antropologa
americana Jane Atkinson (Atkinson 1992), nel tempo avevano ragionato e scritto
sullo sciamanesimo non solo gli etnografi e gli studiosi di storia delle religioni, ma
anche filosofi, teologi, archeologi, filologi e drammaturghi. Secondo Atkinson,
l'elenco resta al giorno d'oggi pressoché invariato, con “l'aggiunta dei moderni
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psicologi, la cancellazione dei filologi e una relativa assenza dei filosofi.” (Atkinson
1992:307)
Data la vitalità del tema e la molteplicità degli interessi speculativi che implica,
l'enorme mole di contributi è in costante aumentato ed è destinata ulteriormente ad
incrementarsi di anno in anno. Per questo motivo, è assai utile definire alcune linee
di tendenza nello studio dello sciamanesimo nelle discipline antropologiche
contemporanee.
1.3.6. Tendenze: opere generali, introduttive, compilative. Data la vastità degli
interessi suscitati, alcune delle riflessioni e dei contributi dell'ultimo trentennio son
stati dedicati alla ricostruzione, in prospettiva diacronica, dello stato dell'arte relativo
al tema.
Costituiscono buone introduzioni allo studio dello sciamanesimo le opere di Graham
Harvey: Indigenous Religions: A Companion (2000) e Shamanism: A Reader (2002).
Datato ma abbastanza utile per la varietà di contributi proposti è Shamanism. An
Expanded view of reality, a cura di Shirley Nicholson (1987), che contiene articoli di
Michael Harner, Mircea Eliade ed altri pionieri dello studio dello sciamanesimo. Più
recente ma con la stessa impostazione Shamans through Time: 500 Years on the Path
to Knowledge, a cura di Jeremy Narby e Francis Huxley (2001), una raccolta di
articoli pubblicati sul tema dello sciamanesimo in un arco di tempo di 500 anni,
dall'incontro dei primi occidentali con gli sciamani siberiani fino ai lavori di ricerca
contemporanei.
An Introduction to Shamanism, di Thomas A. DuBois (2009) descrive lo sviluppo del
concetto di sciamanesimo in relazione agli studi antropologici. Un'ottima
dissertazione dell'evoluzione storica dello studio dello sciamanesimo, in relazione
alle diverse scuole di pensiero che si sono succedute negli studi antropologici, è
inoltre presente nell'opera Genealogies of Shamanism: Struggles for Power,
Charisma and Authority, tesi di dottorato dell'antropologo olandese Jeroen W.
Boekhoven. Prima di descrivere la sua esperienza di fieldwork tra gli sciamani
contemporanei, ricostruisce una “genealogia” dello studio dello sciamanesimo dalle
origini fino ai giorni nostri. Un lavoro simile ma meno sistematico è stato invece
pubblicato da Merete Demant Jakobsen per la Danimarca, intitolato Shamanism.
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Traditional and Contemporary Approaches to the Mastery of Spirits (1999).
Un'utile introduzione al tema si rivela Shamanism: An Encyclopedia of World
Beliefs, Practices, and Culture (2004), a cura di Walter Mariko Namba e Eva Jane
Neumann Fridman che rende conto dell'estrema varietà di approcci agli studi
sciamanici, con particolare attenzione verso quelli contemporanei, suddividendoli per
tematica ed area geografica di riferimento.
Per quanto riguarda la relazione tra sciamanesimo e metodi di cura (tradizionali e
contemporanei) si segnalano invece The Performance of Healing (1995), a cura di
Carol Laderman Marinae Roseman, e Healing Powers and Modernity,a cura di
Linda Connor e Geoffrey Samuel (2001).
A queste opere, sono da aggiungersi gli articoli compilativi che propongono
riassunti ed interpretazione dello stato dell'arte. Già Mircea Eliade, nel 1961, aveva
pubblicato Recent Works on Shamanism. A Review Article nella rivista “History of
Religions” in cui si proponeva di analizzare le opere più recenti in materia di
sciamanesimo. Con lo stesso scopo sono stati pubblicati, in tempi più recenti,
Shamanism Today, di Jane Monnig Atkinson (in Annual Review of Anthropology,
1992) e Trends in contemporary research on shamanism, di Thomas A. Dubois (in
Numen 2010).
A queste opere, sono da aggiungersi i contributi di coloro che hanno applicato
allo studio del tema una prospettiva diacronica, a seguito della “svolta critica”
avvenuta in antropologia a partire dagli anni'60 del secolo scorso, che ha posto la
base per una nuova concezione dell'etnografia (Clifford and Marcus 1986, Clifford
1988) e degli studi religiosi (Austin 2006; Fitzgerald 2000; Gold 2003; Hubbard
2002; Jensen and Rothstein 2000; Kippenberg 2002; McCutcheon 1997; McKinney
1994, Newberg et al. 2001; Ramachandran e Blakeslee 1998; Rossano 2007; Tremlin
2006; Whitehouse 2004; Whitehouse e McCauley 2005).
Nasce così il “rethorical approach”, o “approccio retorico”, espressione
coniata dall'antropologo statunitense Thomas A. Dubois per indicare lo studio,
affermatosi nell'ultimo ventennio, delle modalità attraverso cui lo sciamanesimo è
stato ideato e costruito come “categoria interpretativa”, “costrutto accademico”,
“idea” o “metafora”, come prodotto, cioè, dell'immaginazione occidentale (Hamayon
1993, 2001; Hultkrantz 1998, 2001; Hutton 2001; Jones 2006; Leete 1999; Narby
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and Huxley 2001; von Schnurbein 2003; Schröder 2007; Svanberg 2003; Znamenski
2004). Nelle sue visioni più estreme, questa area di ricerca considera il concetto di
sciamanesimo come l'espressione di un latente etnocentrismo delle scienze sociali,
colpevoli di aver esemplificato notevolmente un quadro variegato, costruendo a
tavolino un “complesso sciamanico” da contrapporre ad altre realtà religiose più
familiari, come le religioni universali.(e.g., Kehoe 2000, Noel 1997). Senza questo
genere di analisi, inoltre, non sarebbe stato possibile spiegare le nuove forme di
sciamanesimo, che si sviluppano proprio a partire dalla costruzione occidentale di
una teoria dello sciamanesimo, attuandola attraverso la sua messa in pratica
quotidiana (von Stuckrad 2002, 2003; Znamenski 2007).
L'opera che ha inaugurato questo approccio teorico è l'analisi della storica
Gloria Flaherty, che in “Shamanism and the Eighteenth Century” descrive l'interesse
mostrato dagli Europei nei confronti dello sciamanesimo sin dal 18 secolo. (Flaherty
1992; vedi anche Hutton 2001:29-44). Nello specifico, Flaherty sostiene che le
nozione europee di genio e creatività, caratteristiche identificative dell'artista
contemporaneo, prendono inspirazione dalle descrizioni delle performance
sciamaniche durante l'Illuminismo. In quest'epoca, secondo Flaherty, l'occultismo “fa
il suo ingresso nella mentalità degli Europei come qualcosa di estraneo, ma
diventando, generazione dopo generazione, sempre più familiare” (Flaherty 1992:15,
trad.).
Costituisce, inoltre, un ottimo esempio di questa tendenza epistemologica il
contributo dell'antropologo norvegese Håkan Rydving, esperto conoscitore dello
sciamanesimo
saami.
Nella
rivista
“Études
mongoles
et
sibériennes,
centrasiatiques et tibétaines”, egli pubblica un articolo dal titolo “Le chamanisme
aujourd’hui: constructions et déconstructions d’une illusion scientifique”, in cui
l'antropologo si prefigge di fornire un contributo al dibattito relativo all'uso e
funzione della categoria sciamanesimo nelle scienze sociali.
Rifacendosi alla nota tripartizione elaborata da Robert D. Baird (Baird 1971:5-16),
che distinse tra definizioni lessicali, definizioni reali e definizioni speculative,
Rydving rintraccia nel termine sciamanesimo tre diverse tipologie di significato:
quello attribuito allo sciamanesimo dalle popolazioni evenki (definizione lessicale),
quello attribuito dagli esploratori che per primi le osservano, poi diventato un
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concetto analitico utilizzato per indicare specialisti di altre culture (definizione reale);
e infine, lo sciamanesimo come concetto analitico, ossia come termine utilizzato per
designare particolari tipologie di conformazioni magico-rituali nelle scienze umane
(definizione speculativa). Il problema della mancanza di una definizione univoca
consiste, secondo Rydving, nella confusione tra definizioni reali e definizioni
speculative, per cui si finisce con il confondere utilità speculativa e realtà ontologica.
Per questo, egli propone l'utilizzo dei termini “sciamano” e “sciamanesimo”
esclusivamente per le forme di sciamanesimo contemporaneo e in relazione ai
praticanti occidentali che decidono di utilizzarli per descrivere se stessi.
1.3.7. Tendenze: la vittoria degli approcci etnografici.
Come sostengono Jane
Atkinson (1992) e Thomas A. Dubois (2010), proprio mentre lo sciamanesimo attira
l'attenzione degli studiosi di altre discipline, le scienze antropologiche iniziano a
mettere in dubbio il valore dell'approccio universalista e comparativo allo studio
dello sciamanesimo. Questo viene abbandonato, a favore dell'osservazione
etnografica ravvicinata di particolari conformazioni culturali o, ancor più
specificatamente, di singole esperienze individuali di sciamani o praticanti.
Quello che attualmente prevale nella letteratura di settore sullo sciamanesimo è
un approccio particolaristico, che studia il tema entro una data tradizione culturale,
concentrandosi spesso un singolo tratto. Se da una parte ciò significa che, nonostante
i rischi corsi negli anno '70 del secolo scorso, lo sciamanesimo non viene considerato
un inutile costrutto accademico; dall'altra etnologi ed antropologi sono ormai
obbligati a specificare al lettore quali caratteristiche comprendere nel complesso
sciamanico, mettendo in dubbio, di volta in volta, l'applicazione dell'etichetta
“sciamanesimo” al preciso contesto etnografico esaminato. Per l'antropologia
contemporanea, infatti, la sola presenza di operatori magici, di forme sincretiche di
culto o di un'inclinazione generale all'azione magica non sono sufficienti a poter
definire una cultura “sciamanica” o un operatore rituale “sciamano”.
Concentrandosi sul particolare, inoltre, gli approcci etnografici hanno
l'indubbio merito di riuscire a mettere in luce come singole pratiche sciamaniche
spesso siano connesse non solo ai contesti culturali locali ma, con le pressioni di un
mondo globalizzato e in forte progressione tecnologica, come esse vengono investite
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da processi più ampi, in scala regionale, nazionale e transnazionale. In questo modo,
gli approcci contemporanei rendono conto del processo di cambiamento che interessa
gli sciamanesimi tradizionali e delle forme di negoziazione tra tradizione e
contemporaneità che interessano le singole culture. Un esempio efficace di questa
tendenza sono le opere di Ana Mariella Bacigalupo, che esplora i cambiamenti
culturali che hanno investito il tradizionale sistema di cura e le tradizionali
concezioni di genere degli sciamani del popolo Mapuche in Cile. (Baciagalupo 1998,
2001, 2004; Boccara 2003)
Inoltre, le etnografie basate su contesti territorialmente ridotti permettono di
approfondire questioni non considerate dagli studi comparativi e dalle prospettive
generalizzanti; quali, ad esempio, il rapporto tra i mondi immaginativi dello
sciamano e dell'antropologo (Kendall 1988); il racconto delle singole esperienze di
iniziazione e pratica sciamanica, considerate irriducibili a se stesse (Basilov 2000;
Kendall 1995); oppure il rapporto tra antropologo e collaboratori indigeni
(Humphrey 1996).
Mentre lo studio dello sciamanesimo si arricchisce degli apporti dal campo,
però, le prospettive comparative e generali godono ancora di una certa vitalità, e non
solo a causa della grande fortuna di questi approcci presso la cultura popolare, il cui
interesse è indirizzato verso i classici della letteratura accademica, piuttosto che
verso le nuove teorie, appannaggio degli esperti del settore. Infatti, come sottolinea
correttamente Charles Stépanoff, alcune delle tendenze multidisciplinari più in voga
negli studi sciamanici contemporanei, come gli studi cognitivi sulla genesi delle
categorie di specialisti religiosi (Boyer 1993,1997), la pragmatica della parola e
dell'interazione nel rituale sciamanico (Hanks 2006, Severi 1993) e l'epistemologia
della trasmissione dei canti e saperi sciamanici (Déléage 2009) aprono nuove
prospettive di ricerca che supportano l'esistenza di caratteristiche universalmente
valide dello sciamanesimo.
Gli apporti della psicologia alle scienze antropologiche hanno infatti offerto
valide spiegazioni per le analogie tra diverse culture e tradizioni magico-religiose,
basate non più su presunte connessioni storiche o sopravvivenze culturali, quanto
piuttosto sull'esistenza di inclinazioni e propensioni universali umane.
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1.3.8. Tendenze: psicologia e psichiatria degli sciamani. Alcune delle analisi
etnografiche contemporanee hanno contribuito alla dissoluzione di una vecchia
controversia, che riguarda l'annoso problema della psicologia degli sciamani.
Agli inizi del Novecento, gli studi sovietici in Siberia e Asia centrale furono
caratterizzati da un deciso approccio razionalista che, basandosi sull'analisi delle
caratteristiche psicologiche degli sciamani, considerava questi degli individui
psicologicamente instabili. Nasce in questo periodo il mito dell'esistenza di un
problema mentale tipico delle popolazioni siberiane, definito “Arctic hysteria”
(“isteria artica”) o piboktoq4, la cui validità ontologica è stata demolita in tempi
recenti da Lyle Dick, che ne ha spiegato la lenta formazione come costrutto
accademico (Dick 1995).
Nell'antropologia occidentale, invece, eccetto un noto precedente (Ackerknecht
1943), soprattutto a partire dagli anni '60 del secolo scorso, inizia l'analisi dello
sciamanesimo che ha concentrato le proprie attenzioni sulle caratteristiche
psicologiche degli sciamani, considerati “nevrotici” (Devereux 1961:1089) o
“schizofrenici” (Silverman 1967). Nello specifico, il pioniere dell'etnopsichiatria
George Devereux, che aveva elaborato una ripartizione quadripartita dei disturbi di
personalità (1980:13), collocava lo sciamanesimo tra i "sacred disorders”,
considerandolo, non tanto la spia di disordini mentali, quanto una tipologia di
patologia etnopschiatrica a sé stante.
Nelle sue versioni più estreme, questa interpretazione dello sciamanesimo,
definita dalla letteratura anglosassone il “modello sciamanesimo=schizofrenia” o
“metafora schizofrenica”, evidenziava nella psicologia dello sciamano una visibile
trasgressione della normalità psichica, dato che egli presentava “un meccanismo di
creazione di idee non orientato verso la realtà, esperienze percettive anomale e
profondi sconvolgimenti emotivi” (Silverman 1967:22, trad.)
In tempi più recenti, inoltre, alcuni resoconti etnografici hanno rilevato quanto,
in alcuni contesti, il confine tra pratica sciamanica e problemi mentali possa rivelarsi
sottile. L'antropologa giapponese Emiko Ohnuki-Tierney, che ha studiato lo
4 L'idea fu solo abbozzata in Mikhaivloskii (1892), ma via via sviluppata in Kharuzin
(1898), Bogoras (1910), Anokhin (1924), Ksenofontov (1929), Zelenin (1935), Tokarev
(1964). Per una sintetica descrizione dei contributi di questi autori, vedasi Basilov in Balzer
1997:2-48. Per una rassegna ampia e ben argomentata, soprattutto in relazione al rapporto tra
studi sovietici e antropologia occidentale, vedasi Znamenskii (Znamenskii 2007:43-120)
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sciamanesimo presso il popolo Ainu (isola di Hokkaido), ha individuato in questo
contesto una sindrome culturalmente determinata, chiamata imu, una sorta di
possessione da parte dello spirito di un serpente, rilevando che le persone colpite
dalla sindrome da lei esaminate, più della metà fossero sciamani (Ohnuki-Tierney
1980). Qualche anno dopo, in un differente contesto, l'etnologo francese Michel
Perrin, ha ugualmente rilevato una parziale sovrapposizione tra pratica sciamanica e
alcune patologie psichiche presso i Guajiro, una popolazione amazzonica (Perrin
1987).
Queste sovrapposizioni tra patologia psichiatrica e pratica sciamanica, però,
non possono, di per sé, essere considerate significative ai fini della teorizzazione di
un possibile legame. Piuttosto, bisogna tener conto del fatto che, presso numerose
culture, l'apprendistato dello sciamano ha inizio con la cosiddetta “chiamata
magica”, ovvero con un periodo di squilibrio fisico e mentale, cui segue
generalmente l'allontanamento (volontario o involontario) dalla comunità. Durante
questo periodo lo sciamano, persona fisicamente e psicologicamente compromessa,
apprende capacità e metodologie curative, dato che, essendo stato per primo malato,
diventa capace di curare le patologie degli altri, e, allo stesso tempo, di ritrovare un
proprio ruolo sociale. Per questo, alcuni autori hanno applicato allo studio dello
sciamanesimo l'archetipo jungiano del “wounded healer”, ossia del “guaritore ferito”
(Halifax 1982). La stessa Ohnuki-Tierney ammette che sindromi culturalmente
determinate come l'imu possono presentarsi anche nei non-sciamani, il che rende
prematuro considerare gli sciamani individui instabili (Ohnuki-Tierney 1980:224)
.Gli aderenti al paradigma sciamanesimo=schizofrenia, però, interpretano la chiamata
magica come un incidente psicotico, ossia come una vera e propria crisi risolta
aderendo ad un modello socialmente imposto e riconosciuto (Wallace 1966). Per
questi autori, lo sciamano non viene veramente curato. Piuttosto, egli appartiene ad
una cultura che attribuisce al suo disagio psicologico delle
cause esterne
all'individuo, creando attorno al disturbo di cui soffre un clima di tolleranza, che
favorisce il regredire del disagio. Il comportamento sciamanico, quindi, agirebbe solo
come una difesa temporanea da problemi psicologici latenti nell'individuo. Il che ha
fatto sostenere a George Devereux (1980) che “non vi è alcuna ragione o scusa per
non considerare lo sciamano come un nevrotico grave o comunque come uno
69
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
psicotico in stato di remissione temporanea”. (Devereux 1980:14-15, trad.)
Gli antropologi contemporanei hanno assunto significative prese di posizione
contro questa tesi, sostenendo che, sopratutto nelle interpretazioni psicopatologiche
dello sciamanesimo, sulla salute mentale degli sciamani regna spesso una notevole
confusione tra il ruolo dello sciamano e la sua psicologia individuale (Mitrani 1992).
Una delle più diffuse critiche al modello è la semplice constatazione che gli
sciamani, per diventare tali, devono dimostrare capacità mentali persino superiori
alla norma. Ad esempio, già nel 1979, Donald Sandner descrisse le notevoli capacità
mnemoniche necessarie per diventare un hatalii, ovvero uno sciamano Navajo, il cui
apprendistato magico prevedeva la memorizzazione di almeno 10 canti cerimoniali,
ognuno dei quali contenente centinaia di singole canzoni. Secondo Sandner, le
caratteristiche necessarie per diventare sciamano sarebbero esclusivamente “il
desiderio e la pazienza di imparare il vasto repertorio di materiali simbolici”
(Sandner 1979:242). Anche Vladimir Basilov (Basilov 1997), in un'opera più recente,
compie una ricognizione degli studi sovietici sullo sciamanesimo siberiano ed elenca,
tra le capacità richieste ai futuri sciamani, padroneggiare un vocabolario complesso e
possedere ampie conoscenze in materia di erbe, rituali di guarigione, procedure per
comunicare con il mondo degli spiriti, tutte virtù che richiedono notevole intelligenza
e capacità di comprensione piuttosto inusuali per individui psicotici.
É però grazie all'applicazione di strumenti e metodologie statistiche ed
empiriche che il modello sciamanesimo-schizofrenia è stato definitivamente escluso.
Nel 1964 un'equipe composta da Boyer, Klopfer, Brawer e Kawai, sottopose un
gruppo di individui apache (12 sciamani, 52 non sciamani e 7 pseudo-sciamani, ossia
praticanti che si consideravano sciamani, ma il cui status veniva loro negato dalla
comunità) al test delle macchie di Rorschach. Gli autori dello studio scoprirono che
le risposte degli sciamani non differivano molto da quelle dei non-sciamani,
mostrandosi, anzi, più consapevoli, ironiche e ricche di riferimenti filosofici. Indizi
significativi di disturbi mentali erano invece presenti nel gruppo degli pseudosciamani. Boyer e gli altri studiosi hanno quindi concluso che “nel loro sistema
mentale, gli sciamani appaiono meno isterici rispetto agli altri gruppi" (Boyer,
Klopfer, Brawer, Kawai 1964:176)
Horacio Fabrega e Daniel Silver (1970) hanno compiuto un interessante esperimento
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
con gli sciamani di Zinacantan (Messico), somministrando il medesimo questionario
a 20 sciamani e 23 non-sciamani. Nel confronto delle risposte essi dimostrarono che
non vi erano differenze fondamentali tra la psicologia degli sciamani e quella degli
altri individui. Inoltre, sostennero che, l'estrema variabilità delle risposte all'interno
del gruppo degli sciamani, demoliva alla base la teoria di una loro presunta
omogeneità psicologica. Andava così a prendere corpo l'ipotesi che esistano “molti
tipi diversi di sciamani, in quanto vi sono diversi tipi di personalità all'interno del
gruppo in cui vivono” (Mitrani 1992[1982]:160).
Lo psichiatra americano Richard Noll (1983) ha confrontato i resoconti degli
sciamani e degli schizofrenici dei propri stati di alterazione psicologica,
sottolineando le evidenti differenze tra i due gruppi e paragonando i risultati ottenuti
con i criteri descritti nella terza edizione del Diagnostic and Statistical Manual of
Mental Disorders (DSM). Egli rilevò che gli stati di coscienza degli sciamani e degli
schizofrenici differivano principalmente per l'intenzionalità e volontarietà dei primi,
dato che gli sciamani dimostravano di saper distinguere stato di trance e vita
quotidiana, una capacità chiaramente non presente negli schizofrenici. Inoltre,
l'esperienza alterata degli sciamani è chiaramente indirizzata all'aiuto ed alla
guarigione altrui, a differenza di quella degli schizofrenici, che
tendono a
sperimentare allucinazioni percepite come reali e spaventose. Nel 2001, un altro
psichiatra americano, Roger Walsh, compie un'operazione simile, analizzando alcune
abilità di base degli individui (consapevolezza dell'ambiente, controllo emotivo,
capacità di concentrazione) e dimostrando che gli stati di alterazione in cui cadono
gli sciamani siano chiaramente distinti sia dagli altri tipi di estasi e meditazione
propri del Buddismo e dello yoga che, a maggior ragione, si differenziano dagli stati
schizofrenici (Walsh 2001:34).
Nel 2002, un gruppo di ricerca associato dalla Organizzazione Transculturale
psicosociale di Amsterdam (Van Ommeren et al. 2002) ha esaminato una comunità di
810 profughi bhutanesi in Nepal, valutati attraverso interviste diagnostiche
strutturate, poi confrontate con la classificazione internazionale dei disturbi mentali.
Tra i rifugiati, il 7% dei maschi e lo 0.5% delle femmine avevano affermato di essere
sciamani. Dopo aver calibrato i dati, tenendo conto delle differenze demografiche, il
profilo generale degli sciamani non differiva in maniera significativa da quello dei
71
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
non-sciamani; anzi, gli sciamani soffrivano meno, in proporzione, di disturbi come
depressione, ansia e disordini dissociativi che affliggevano l'altro campione.
Negli anni ha, quindi, prevalso l'argomentazione che lo sciamanesimo non
abbia a che fare con un disordine mentale e che la possibilità di aderire ad un
comportamento sciamanico rientri nello spettro comportamentale di tutti gli esseri
umani (Lex 1976; Noll 1983, Siikala 1978), sebbene alcuni sostengono che, in tutti i
casi, gli sciamani manifestino una “fantasy-prone personality”, siano, cioè, individui
“inclini alla fantasia” (Krippner 2000:9; Wilson, Barber 1983:6). Il comportamento
sciamanico non viene più considerato sintomo di una mente psicologicamente
deviata,
ma
piuttosto
una
capacità
psico-biologica
universale
legata
al
raggiungimento di stati alterati di coscienza diversi dall'ordinario.
1.3.9. Tendenze: studio degli stati alterati di coscienza. A partire dagli anni '80 del
secolo scorso, l'acronimo ASC, che indica gli “altered states of conciousness”, gli
"stati alterati di coscienza", è diventata una delle parole d'ordine negli studi
interdisciplinari sullo sciamanesimo. Dopo che i movimenti controculturali degli
anni '60 e '70 avevano sperimentato stati di coscienza non ordinari, gli antropologi
iniziarono a mostrare interesse in riferimento al loro uso nelle pratiche rituali. (Parker
1975:118-121; Peiletier, Garfileld 1976:22-27; Tart 1983) Nasce così l'antropologia
transpersonale, branca dell'antropologia culturale che dedica la propria analisi allo
studio del rapporto tra stati alterati di coscienza e cultura, proponendo una nuova
versione dello strutturalismo in chiave neurofisiologica. (Laughlin 1988, 1993,1994)
Tra tutte, data l'enorme rilevanza e diffusione dell'opera di Eliade, è la figura
dello sciamano, considerato l’operatore rituale specializzato nel raggiungimento di
stati di coscienza alterati (Peters & Price-Williams 1980:408), a incuriosire gli
studiosi (Dobkin De Rios & Winkleman 1989; Harner 1982; Noll 1983; Peters 1981).
Negli studi antropologici, l'identificazione dello sciamanesimo con gli stati alterati di
coscienza, infatti, era nel tempo diventata tanto evidente che la presenza/assenza di
questi ultimi determinava o meno l'inclusione di un sistema di pensiero nell'orizzonte
sciamanico. Allo stesso tempo, però, gli apporti della psicologia e dei
comportamentalisti,
piuttosto
scettici
nei
confronti
delle
spiegazioni
fenomenologiche, hanno fornito nuovi spunti allo studio del problema. (Walsh 1989;
72
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Siikala 1982)
Per primo, con l’intento di indicare lo stato di alterazione psicologica raggiunto
dallo sciamano, occorreva svincolarsi dall'utilizzo del termine “estasi”, impiegato da
Mircea Eliade (Eliade 1961, 1964) per riferirsi allo stato di coscienza alterato tipico
dello sciamano. Il termine era stato applicato, nel tempo, ad una vasta gamma di
pratiche cultuali, compresi gli stati di possessione, la relazione dei quali con lo
sciamanesimo era stata dagli anni '60 agli anni' 80 il nucleo di un acceso dibattito
(Bourguignon 1976,1989; de Heusch 1971; Lewis 1971, Rouget 1985). Ulteriori
critiche all'incapacità di alcuni studiosi a riconoscere la differenza tra alterazioni
volontarie e involontarie, tra possessione e trance, provengono da alcune opere più
recenti. (Mitrani 1992; Walsh 1995, 1997; Winkelman 2000:79) L'eredità di Eliade
era stata comunque abbastanza forte che l'identificazione dello sciamanesimo come
tecnica per raggiungere stati alterati di coscienza permaneva in alcuni studi più
recenti (vedasi, ad esempio, Lewis-Williams e Dowson 1988:204).
Occorreva, quindi, cercare di chiarire cosa distinguesse lo stato di coscienza
impiegato dagli sciamani nell'esercizio del proprio potere rispetto a quelli utilizzati
da altri praticanti magico-religiosi, evitando di definire “sciamano” qualsiasi
specialista religioso in grado di raggiungere stati di coscienza non ordinari. I
ricercatori concordano ormai sul fatto che sia possibile per l'uomo raggiungere stati
di coscienza non ordinari tra loro notevolmente differenti (Shapiro & Walsh 1984;
Walsh & Vaughan 1980; Wilber 1977, 1980). Peters e Price-Williams (1980) hanno
differenziato l'estasi sciamanica tra molti possibili stati di alterazione della coscienza,
mentre Walsh (1989,1990) ha descritto vari stati e livelli di coscienza coinvolti nelle
pratiche di sciamanesimo, buddismo e yoga, dimostrando la varietà degli stati
psicologici che ognuno comporta, (e) mettendo in evidenza notevoli differenze.
Pur continuando a sottolineare l'importanza del raggiungimento di stati di
coscienza alterati nel complesso sciamanico, gli studiosi contemporanei tendono a
dare al fenomeno un'interpretazione in chiave psicologica, tanto che Robin
Ridington, nella sua opera dedicata allo studio del linguaggio antropologico, cita una
definizione di sciamanesimo come “istituzionalizzazione della trasformazione dalla
fase di veglia ordinaria ad una non ordinaria, in cui l'informazione generata
internamente arriva a dominare il processo decisionale e la funzione di
73
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
orientamento della fase di veglia ordinaria" (Ridington 1990:125, trad.).
Gli apporti della psicologia allo studio antropologico degli stati alterati di
coscienza si sono però spinti oltre, fino a raggiungere insospettabili esiti
deterministici su base neurofisiologica. In questa prospettiva, sia gli stati di coscienza
degli sciamani che le risposte emotive dei pazienti venivano considerate il risultato di
un'euforia indotta tramite opportune stimolazioni (Neher 1962; Jilek 1982, poi
criticati in Achterberg 1985, 1987; Rouget 1985).
L'apice di questa tendenza si ebbe nel 1982, quando fu pubblicato, sull'onda
dell'entusiasmo scatenato dalla scoperta delle endorfine (composti simil-oppiacei
rilasciati dal cervello in risposta a determinati stimoli), un numero speciale della
rivista Ethos, intitolato “Sciamani ed endorfine”. I vari contributi al volume
analizzano il rapporti tra equilibrio chimico corporeo, stato emotivo e ritualità,
considerando gli stati di coscienza degli sciamani e le risposte terapeuticamente
valide dei pazienti come l'esito di un'euforia indotta dalle endorfine. )
La "distanza neuromitologica" (Noll 1989) che deriva da questo genere di
analisi tende a ridurre i fenomeni culturali in termini biochimici e neurologici e il rito
a mere funzioni psicobiologiche, creando sconcerto tra gli antropologi culturali, che
vedono venir meno in questo modo gran parte del loro oggetto di studio. Jane
Atkinson sostiene, a questo proposito, che “certamente le variazioni nella coscienza
sono una parte fondamentale della pratica sciamanica. Ma analizzare lo
sciamanesimo esclusivamente come un fenomeno correlato alla trance è
come
analizzare il matrimonio soltanto in funzione della biologia riproduttiva.
Comprendere la neurofisiologia della trance è importante, ma non spiega le strutture
ad essa associate, che riguardano la conoscenza, il rito, e la società” (Atkinson
1992:311)
In altre parole, analizzare la trance in chiave neurofisiologica è sicuramente un
apporto importante per lo studio del rapporto tra biologia e cultura, ma non offre
spiegazioni utili circa la struttura sociale o i riti ad essa associati. Per questo motivo,
alcuni contributi si sono principalmente concentrati nell'apportare a questa
impostazione di base delle correzioni. Tra tutte, si segnala il saggio di Robin
Ridington (1979) che sostiene che gli stati alterati di coscienza sono rivelatori non di
per sé, ma per la loro collazione in sistemi culturali di conoscenza. Egli cita come
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
esempio i Dunneza, una popolazione del Canada che ebbe modo di studiare in modo
approfondito. Secondo Ridington, la tradizione orale di questo popolo (in
precedenza, una società ecologicamente stabile basata su caccia e raccolta) offriva ai
suoi membri dei modelli culturalmente stabiliti per ogni esperienza individuale
immaginabile nel corso di una vita. Questi modelli, che fornivano informazioni
essenziali per il benessere personale e sociale, potevano essere raggiunti attraverso
trasformazioni della coscienza. A causa dello sviluppo e dell'organizzazione della
conoscenza in un sistema culturalmente centralizzato, la società occidentale pone
l'accento sulle trasformazioni della società e della storia, piuttosto che sulle
trasformazione nella coscienza individuale, assegnando a queste ultime un mero
significato idiosincratico, provocando l'esclusione della loro dimensione sociale,
culturale e storica, mentre, come sostiene Amanda Porterfield (Porterfield 1987),
l'incorporazione dei problemi sociali e psicologici è fondamentale per la pratica
sciamanica.
Occorre, quindi, integrare l'approccio psico-fisiologico basato sull'analisi degli
ASC con gli apporti di antropologi e sociologi (Locke e Kelly 1985). Il più completo
e sistematico di questi è il lavoro di Anna-Leena Siikala (1978), che sostiene un
approccio socio-psicologico alla performance rituale. La sua premessa è che “la
tecnica comunicativa utilizzata dallo sciamano come creatore di uno stato di
interazione tra questo e l'altro mondo è fondamentalmente una tecnica estatica di
role-taking”" (1978:28). Il processo psichico di questa tecnica sciamanica, sostiene, è
la stessa di quella utilizzata per l'ipnosi, che Sarbin ha appunto definito una forma di
role-taking (Banyai 1984). Attingendo alla teoria dei ruoli nota in psicologia e in
sociologia, Siikala presenta un modello di stato alterato di coscienza, ponendo grande
enfasi sulla diversità delle tradizioni sciamaniche. Può essere inoltre utile, a questo
proposito, la già citata argomentazione di Noll (1985), che considerava lo stato
alterato di coscienza il mezzo piuttosto che il fine della pratica sciamanica.
Nonostante i numerosi punti critici rinvenuti dai commentatori nel suo lavoro (ad
esempio Honko 1985; Hultkrantz 1985; Siikala 1985, Skultans 1986) Noll ha avuto il
merito di spostare l'attenzione degli studiosi dal solo approfondimento sugli stati
alterati al concetto, decisamente più ampio, di "visione sciamanica". Come sottolinea
Jane Atkinson, inoltre, questi nuovi approcci apportano nuova linfa ad argomenti
75
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
correlati, primo fra tutti quello relativo alla funzione culturale del sogno come
alternativa alla realtà ordinaria, presente nelle opere degli antropologi ai tempi
dell'evoluzionista Edward Burnett Tylor e che ha nuovamente attirato l'attenzione
degli studiosi (Kracke 1987; Tedlock 1981, 1987; 1981).
Un'altra, possibile, implicazione teorica dello studio degli stati alterati di
coscienza ha origine negli anni '60. La diffusa sperimentazione sociale delle droghe
come mezzo per raggiungere stati di coscienza alterati ha fatto sì che nascesse una
generazione di ricercatori sul campo che, soprattutto in Sud America, si dedicava alla
sperimentazione in prima persona degli allucinogeni, per partecipare empiricamente
alle visioni e sensazioni delle sedute sciamaniche (Browman, Schwartz, 1979;
Dobkin di Rios, Winkelman 1989; Furst 1972; Harner 1973; Joralemon 1984;
Myerhoff 1974; Wilbert 1987).
Più recentemente,sono comparse sull'argomento
alcune opere introduttive, che ricostruiscono storicamente la questione dell'utilizzo
culturale di enteogeni (Ott 1993, Pinchback 2002, Rätsch 2005, Schultes et al. 2001).
Nell'ultimo ventennio, inoltre, a causa dell'aumentato utilizzo delle sostanze
psicotrope nei rituali neo-sciamanici, si sono aperte nuove prospettive di ricerca che
analizzano il contrasto tra utilizzi tradizionali e contemporanei delle sostanze
psicoattive, soprattutto per quanto riguarda l'ayahuasca nel contesto amazzonico
(Grob 1999, Luna and White 2000, Metzner 1999, Schaefer 1996; Shanon 2002) e
l'analisi dei cambiamenti ambientali e culturali dovuti al mercato del peyote
(Steinberg et al. 2004).
1.3.10. Tendenze: approcci cross-culturali. Mentre gli approcci particolaristici
contemporanei
trascurano
la
dimensione
comparativa
dello
studio
dello
sciamanesimo, questa viene revitalizzata dall'applicazione di un approccio
cognitivista allo studio della storia delle religioni e dal conseguente sviluppo di
modelli di analisi cross-culturale. L'attestazione della presenza, presso culture
lontane tra loro, di individui in grado di raggiungere stati alterati di coscienza fece,
infatti, nascere nuovi interrogativi. Michael Winkelman (Winkelman 1986, 1992;
Winkelman and White 1987; Winkelman 2000; Winkelman e Baker 2008) si
concentra in particolare sullo sciamanesimo, ed è considerato come il principale
esponente di questa tendenza.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Eliade aveva risolto la questione della presenza transculturale dell'estasi
sciamanica ipotizzando che questa diffusione pressoché universale fosse il risultato
di migrazioni e contatti tra culture e datando lo sciamanesimo, data la presenza di
tratti molto simili tra culture differenti tra loro, ad almeno 20.000 fa. Gli antropologi
contemporanei, però, invalidano questa ipotesi sulla base delle difficoltà teoriche a
trovare una spiegazione di come lo sciamanesimo possa essere rimasto stabile presso
culture che, in quel lasso di tempo, avevano invece subito notevoli cambiamenti nel
tempo per quanto riguarda altri aspetti della vita sociale, come il linguaggio e le
strutture sociali. (Walsh 1989; Winkelman 1984;1989) Attualmente, gli studiosi
tendono a proporre spiegazioni poligenetiche per l'esistenza dello sciamanesimo e
raggiungere stati alterati di coscienza, attraverso la scoperta o l'eredità di determinate
pratiche, come l'isolamento del praticante, la riproduzione ritmica di determinati
suoni e l'ingestione di sostanze psicotrope, viene considerata una capacità psicobiologica universale. (Winkelman 1984; Walsh 1989,1990)
Questo genere di spiegazioni deriva dagli apporti della psicologia crossculturale. Il nodo centrale della contesa è se lo sciamanesimo sia specifico di
particolari culture oppure un fenomeno cross-culturale distribuito in maniera
universale. Le indagini cross-culturali stabiliscono la natura etica (transculturalmente
valida) dello sciamanesimo e stabiliscono empiricamente le caratteristiche degli
sciamani. Questi studi mirano a differenziare gli sciamani da altre tipologie di
guaritori e praticanti che utilizzano gli stati alterati di coscienza (ASC) in rituali
comunitari che prevedono il contatto con gli spiriti.
Nello specifico, Winkelman (Winkelman 1986a, 1992; Winkelman and White
1987)
esamina un arco di tempo di circa 4000 anni, dai Babilonesi all’oggi,
rintracciando 47 società. Lo studio identifica da una prospettiva emica, sulla base
cioè della letteratura etnografica, ciascuno dei ruoli magico-religiosi culturalmente
connotati, codificando in seguito i dati in 117 tipologie differenti di praticanti, tra
loro distinte per quanto riguarda le procedure di selezione e formazione, quelle per
indurre stati alterati di coscienza, il contesto sociale, le variabili economiche e
politiche e vari altri aspetti delle loro attività di cura e divinazione. In questo modo,
si è riusciti a passare da una prospettiva emica ad una etica, stabilendo che praticanti
che appartengono allo stesso tipo, pur provenienti da diverse culture e regioni del
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
mondo, sono più simili tra loro che rispetto ad altre tipologie di praticanti
geograficamente vicini. Inoltre, si è potuto appurare che alcuni praticanti magicoreligiosi, definiti
dagli etnografi come sciamani, possiedono caratteristiche
significativamente differenti da quelle associate agli sciamani, così definiti attraverso
questa procedura empirica.
I risultati dimostrano che molteplici culture hanno avuto od hanno tuttora
esperienza degli stati alterati di coscienza, spesso considerati base della pratica
religiosa e/o di rituali a scopo terapeutico. Sulla base delle correlazioni statistiche,
Winkelman rintraccia la relazione intercorrente tra sciamanesimo e struttura sociale,
dimostrando come la figura dello sciamano sia presente perlopiù presso culture di
cacciatori e raccoglitori. Queste culture tendono a non avere una organizzazione
sociale e politica differenziata, per cui all'interno della società gli sciamani occupano
varie posizioni: sono esperti di rituali, guaritori, depositari delle tradizioni
mitologiche e religiose e, a casa della mancanza di un potere politico stabile e bene
delineato, godono di grande prestigio ed influenza nella propria tribù.
Come la società cambia a seguito dell'avvento dell'avvento dell'agricoltura, la
situazione evolve. Le società diventano sedentarie e la capacità di immagazzinare il
foraggio, con la stratificazione sociale che ne deriva, causa la scomparsa degli
sciamani. (Winkelman, 1984,1989) Al loro posto, compaiono altri specialisti rituali,
che ricoprono solo uno o alcuni dei ruoli prima coperti dallo sciamano. Walsh
paragona la loro scomparsa a quella di un medico generico a seguito della diffusione
di medici specialistici. (Walsh 1989:9)
Compare così la figura dei preti, che nelle società organizzate ricoprono ruoli
religiosi e morali, talvolta anche politici, e guidano la propria comunità
nell'ingraziarsi forze spirituali. In alcuni casi, come i loro antecedenti sciamani
possono avere limitate esperienze negli stati alterati. (Hoppal 1984)
Come dimostra la letteratura riguardo all'esistenza di un “lato oscuro” dello
sciamanesimo (Whitehead e Wright 2004), il ruolo dello sciamano si rivela spesso
ambivalente, dato che gli vengono attribuiti poteri benefici e malefici (Rogers 1982.
Mentre i preti prendono il posto dello sciamano per i suoi attributi benefici, a
stregoni e streghe spettano quelli malefici. Essi sono specialisti nella magia negativa,
e per questo vengono spesso temuti, odiati e perseguitati. I medium sono, invece,
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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specialisti nella possessione da parte di spiriti e nell'uso di stati alterati di coscienza,
attraverso cui ricevono messaggi dal mondo spirituale. ( Hastings 1990; Klimo
1987).
É stato notato da alcuni ricercatori (es. Peters e Price-Williams 1980) che tale
definizione non riesce a distinguere sciamano e medium. In realtà, anche se entrambi
utilizzano stati alterati di coscienza, è la tipologia di questi ultimi a differire. Gli studi
interculturali suggeriscono che una certa sovrapposizione tra medium e sciamani
tende ad essere rinvenuta in diverse tipologie di società (Bourguignon 1973;
Winkleman 1989). In altre parole, gli sciamani possono essere posseduti, ma sono
anche capaci di raggiungere volontariamente certi stati di coscienza. Come evolvono
le culture, contemporaneamente evolvono le forme di specialisti religiosi. Mentre gli
sciamani scompaiono, molti dei loro ruoli sono suddivisi tra vari specialisti. Esiste,
però un'eccezione: ciò che nella letteratura anglosassone viene definito “journeyng”,
ossia la capacità di viaggiare in mondi “altri”, descritti dalla mitologia. Nessuno dei
discendenti degli sciamani sembra praticare il journeyng.
Prima di Winkelman, una differenziazione tra le pratiche sciamaniche fu
proposta anche da Anna-Leena Siikala (1978), che suddivise lo sciamanesimo
siberiano in 4 tipologie: gli sciamani appartenenti a piccoli gruppi, gli sciamani
professionali indipendenti, gli sciamani appartenenti a clan e gli sciamani territoriali
professionali. Postulò quindi la prevalenza della prima tipologia di sciamani in
gruppi altamente nomadici, mentre gli sciamani professionali indipendenti erano
tipici di società senza controllo gerarchico. Le ultime due tipologie si mostravano
proprie di organizzazioni sociali più complesse. Lo studio cross-culturale di
Winkelman invalida però la classificazione di Siikala, che colloca gli sciamani
kazaki nella regione in cui aveva postulato la predominanza dello sciamanesimo
professionale. In realtà, dimostra Winkelman, i praticanti dei kazaki, definiti baqca,
non erano sciamani, ma piuttosto medium. L'analisi di Winkelman dimostra, inoltre,
che il termine sciamano potrebbe essere utilizzato basandosi su caratteristiche
empiricamente condivise, esclusivamente per riferirsi ai guaritori che appartengano
a società di cacciatori-raccoglitori. Questi sciamani son distinti da altri tipi di
guaritori sciamanici (medium, guaritori e sciamani-guaritori), tipici di società più
complesse che, pur utilizzando stati alterati di coscienza per la cura, hanno differenti
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
caratteristiche. Gli sciamani, quindi, sono presenti in alcune società del mondo, con
l'eccezione delle regioni attorno al Mediterraneo, assenza che riflette la mancanza di
società di cacciatori-raccoglitori. Sono sciamani gli operatori rituali dei !Kung,
chiamati n/um kxoasi; l'ene nilit presso i Chukchee, e il wishinyu presso i Jivaro,
società caratterizzate dal nomadismo e da un'organizzazione politica di stampo
localistico, in cui gli sciamani sono leaders carismatici.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
1.4. Magia, stregoneria e sciamanesimo nel mondo contemporaneo
1.4.1.
Magia, stregoneria e folklore in Italia: dai folkloristi agli studi
contemporanei. Lo studio della magia in Italia ha i suoi esordi con le raccolte di fatti
foklorici relativi alla medicina popolare. Queste opere risentirono fortemente
dell'influenza della cosiddetta “antropologia criminale”, in particolare delle opere di
Cesare Lombroso e Paolo Mantegazza. Dunque, come rivela Bronzini (Bronzini
1983), era evidente, in queste raccolte, il progetto ideologico della classe borghese
italiana di “difesa sociale e condanna dell'anomalo”. Veniva spesso compiuta
un'analisi etnologica comparativa degli aspetti magici della medicina popolare,
ritenuti prevalenti su quelli empirici. L'analisi della medicina popolare tendeva
quindi a concentrarsi sulla psicologia delle superstizioni, un chiaro esempio degli
influssi dell'antropologia inglese su quella italiana, in special modo per quanto
riguarda la teoria magica elaborata da Frazer e il concetto tyloriano di sopravvivenza.
Sono frutto di questa temperie culturale i due classici della letteratura etnografia
italiana in tema di magia: “La medicina delle nostre donne” (1892) di Zeno Zanetti,
e “Medicina popolare siciliana” (1896), di Giuseppe Pitré. In particolare Pitré,
recensendo “L'uomo delinquente”, si propose di “mostrare per via di esempi, tolti al
FolkLore ed alla Etnografia, come un gran numero di delitti non siano se non la
conseguenza d'un pregiudizio, d'una superstizione, d'una teoria del popolino” (Pitré
1889: 302-303).
L'articolo di G. Vidossi, intitolato “Per lo studio della medicina popolare” costituiva
l'introduzione ad un capitolo di Lares dedicato, appunto, alla medicina popolare,
riassumeva le questioni più importanti che la medicina popolare si trovava allora ad
affrontare. Proprio in quel periodo, in Italia si cercava di costituire un corpus delle
tradizioni popolari italiane, specie per quei settori, come la medicina popolare, per
cui la documentazione orale o scritta risultasse eccessivamente carente. Fu proprio
Vidossi a promuovere, in un quadro comparativo nazionale e internazionale, l'analisi
delle ragioni storiche e culturali della diversità tra forme e connotazioni regionali.
Venivano così distinte zone conservative e meno conservative, così come venivano
analizzati gli influssi della tradizione classica ed orientale. La magia viene così a
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costituire un elemento fondamentale della religione folklorica e in quanto tale
analizzata. La stessa impostazione proseguì negli studi di Raffaele Corso (di cui si
veda anche la voce “medicina popolare” nell'Enciclopedia Italiana) e quelli di storia
della medicina condotti da Pazzini, autore nel 1948 di “La medicina popolare in
Italia”, che non casualmente si
si apre con un capitolo intitolato “Magia ed
Empirismo”). L'interpretazione magica è prevalsa nella saggistica dei folcloristi
italiani fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, dipingendo la magia tradizionale
come un campo ideologico quasi interamente attratto nell'orbita della magia. Questa
letteratura ha il merito di affermare un cambiamento nell'analisi della medicina
popolare e delle componenti magiche in essa prevalenti. Questo cambiamento risiede
nella sua attribuzione, come afferma Bronzini “non più certo all'homo criminalis di
lombrosiana fattura, ma all'uomo culturale del mondo contadino nelle sue varie
specificazioni di homo laborans: la medicina popolare si pone come fase essenziale
della cultura lavorativa, sia per quanto attiene agli esercenti sia per quanto attiene
agli utenti.” (Bronzini 1983:)
Nonostante, come si è dimostrato, la dimensione magica rappresenti una delle
componenti dell'esistenza umana delle classi subalterne confluita nelle rassegne di
cultura popolare fin dall'Ottocento, è a partire soprattutto dalla fine degli anni '50 del
secolo scorso che la demologia italiana dà vita ad un corpus di opere che
costituiranno la base delle ricerche successive nel campo degli studi del magico.
É in questo periodo, infatti, che ha il suo apice la ricerca etnologica di Ernesto
De Martino, che aveva affrontato per la prima volta, in maniera sistematica, i
problemi interpretativi connessi all'analisi dei fenomeni e delle credenze magiche e
che costituisce il punto di partenza indiscusso di ogni successiva ricerca sul magico
in Italia. A partire dalla speculazione di de Martino, una buona parte degli studi sulla
magia in Italia ha analizzato il fenomeno come categoria dell'espressione culturale
tipica delle classi popolari o subalterne. Tutte le opere demartiniane appaiono
fortemente connotate da un approccio storico-filologico, che deriva da quello che
Pietro Clemente definisce “l'incontro composito di tradizione idealista, positivista e
di nuova temperie 'gramsciana'" (Clemente 1986:139). De Martino si era formato
alla scuola di Adolfo Omodeo e di Benedetto Croce e furono soprattutto le teorie di
quest'ultimo a fornirgli le basi fondamentali per orientare teoricamente la propria
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ricerca etnologica. Dopo aver assorbito l'indirizzo storicista dagli studi crociani, ne
estese infatti l'applicazione all'etnologia e alla storia della religioni, in questo
condizionato dall'influenza di Raffaele Pettazzoni. Il magismo delle società
tradizionali veniva perciò rivalutato, i segnando in questo un decisivo scarto rispetto
all'interpretazione di Croce, che non considerava degni di indagine i mondi culturali
delle società "primitive"
Nel 1948, De Martino pubblicò “Il mondo magico”, il primo volume della
collana di studi religiosi, etnologici e psicologici diretta da Cesare Pavese e in
seguito dallo stesso de Martino. In quest'opera, De Martino si scaglia contro la
pigrizia dello storicismo, che si era rivelato incapace di aprirsi alla comprensione di
tutto ciò che è situato oltre i confini della civiltà occidentale. Raffigura inoltre
vividamente il dramma della “crisi di presenza”, espressione con cui l'etnologo
identificava il rischio per l'uomo di essere annullato da forze naturali
incommensurabili e incontrollabili, da cui l'interpretazione della magia come insieme
di tecniche utili al riscatto dalla crisi. Già dal mondo magico è evidente l'approccio
demartiniano alla critica dell'impotenza dell'intelletto occidentale a comprendere il
mondo magico. É proprio questa sua messa a fuoco del problema dell'interpretazione,
sia dei mondi culturali "primitivi" di livello etnologico, sia della realtà dei poteri
magici in generale a costituire una delle caratteristiche più innovative del pensiero di
De Martino. Precorrendo notevolmente i tempi, De Martino fu ben consapevole del
fatto che il rapporto osservatore-osservato su cui viene costruito il rapporto tra
l'etnologo ed i suoi informatori non costituisca affatto un campo “neutro”, Piuttosto,
l'etnologo tende inevitabilmente ad interrogare la cultura aliena attraverso una griglia
interpretativa costituita dai proprio parametri e pregiudizi, cristallizzati in una serie
di categorie: natura e cultura, normale e anormale, conscio e inconscio, razionale e
irrazionale, tempo, spazio, sostanza etc. Si profila così il caratteristico paradosso
dell'incontro etnografico, piuttosto evidente quando l'oggetto della ricerca in
questione tende, come la magia, a mettere l'antropologo davanti ad esperienze
culturali altre e difficilmente comprensibili. In queste occasioni, infatti, l'etnografo
tenta di prescindere totalmente dalla propria storia culturale nella pretesa di farsi “
nudo come un verme” di fronte ai fenomeni culturali da osservare, e allora diventa
cieco e muto davanti ai fatti etnografici perdendo, di fatto, la propria vocazione
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specialistica. L'umanesimo etnografico di cui De Martino si fece promotore comporta
piuttosto un'opera di storicizzazione di sé e di autocritica della propria cultura, in
base al confronto storico-culturale, ma senza rinunziare all'osservazione della cultura
aliena attraverso delle categorie storicamente determinate, che sottintendono senza
alcun dubbio la superiorità della cultura occidentale. Concludendo, l'analisi del
mondo magico permetteva a De Martino di compiere diverse riflessioni relative al
rapporto tra l'etnografo e la cultura che egli studia, in piena polemica con il metodo
etnocentrico occidentale di porsi verso le altre culture, contrapponendovi la
“possibilità di porre problemi la cui soluzione conduca all'allargamento
dell'autocoscienza della nostra civiltà” (De Martino 1948:4) Nella sua produzione
etnologica, oltre alla già citata influenza crociana, ebbe un ruolo rilevante l'adesione
nel 1950 al Partito comunista italiano. Questo nuovo approccio, definito “marxismo
demartiniano”, fu funzionale all'apertura di de Martino nei confronti di
problematiche meridionalistiche, concepite alla luce del concetto di “irruzione delle
masse nella storia”, tema che, come prima accennato, costituiva da parte di de
Martino un importante elemento di rottura con la propria eredità crociana, peraltro
mai rinnegata (Fabietti 2007:166) .Non a caso, le cause del perdurare di ideologie e
pratiche del mondo magico vengono rintracciate da De Martino nella miseria
culturale in cui molto spesso le società del Meridione d'Italia si trovano: il folklore
religioso appare, dunque, come il riflesso dell'arretratezza del Sud.
La magia viene quindi considerata da De Martino una primordiale rappresentazione
del mondo, funzionale al bisogno di "garantire la presenza". Gli uomini incontrati da
de Martino, quindi, si affidano alla magia per agire nel mondo e quindi per
modificare almeno in parte, anziché esserne succubi, il proprio destino. Nel dicembre
1959, De Martino divenne professore di ruolo di storia delle religioni nella facoltà di
Lettere dell'Università di Cagliari, periodo in cui ebbe modo di approfondire e
sviluppare gli orientamenti teorici che hanno caratterizzato la fortuna della sua
analisi. La scuola antropologica cagliaritana di stampo storicista perdurò nel suo
interesse verso la causa magica con le opere Mario Atzori e Maria Margherita Satta
(Atzori, Satta 1982) e, con differenti orientamenti ideologici, di Clara Gallini (Gallini
1967, 1971) e Luisella Orrù (Orrù 1996).
Fu solo nel ventennio successivo che l'influenza delle teorie strutturaliste,
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funzionaliste e marxiste inizia prepotentemente ad influire sulle tendenze demoantropologiche italiane, e proprio in quegli anni il paradigma della razionalità che
aveva dominato gli anni '50 entrò duramente in crisi. Come sottolinea efficacemente
Pietro Clemente, anche lo studio della magia risentì di questi, tanto che si
verificarono due importanti effetti: da una parte, la critica "epistemologica" al
paradigma razionalistico e, soprattutto, dall'altra "la frantumazione dei concetti di
'stregoneria' e di 'magia' in molteplici sottoinsiemi differenziati tra loro (non si
studia più la magia o la stregoneria ma pratiche e credenze particolari, anche
territorialmente delimitate)" (Clemente 1986:139). Accadde così che, mentre la
spiegazione storica mantenne una sua vivace capacità di far fronte agli imprevisti
dell'oggetto d'indagine, la spiegazione teorica si trovò di fronte a possibili paradossi:
in quegli anni la teoria o "si accontenta di auto-legittimarsi, senza oggetti d 'analisi
sui quali 'dimostrarsi', o, quando li affronta, dà luogo a spiegazioni che - se
euristicamente ricche- sono 'territoriali', altrimenti sono esercitazioni di
dimostrazione del campo operativo di una teoria, senza che la conoscenza si
arricchisca di 'effetti' di 'comprensione' " (ibidem)
Particolarmente interessante appaiono, per lo studio delle problematiche
relative all'evoluzione degli studi demologici relativi alla magia, due pubblicazioni
collettanee in cui convergono differenti contributi a convegni, che riescono a fornire
un efficace rassegna delle differenti posizioni ed orientamenti che gli studiosi italiani
perseguono nello studio dei fatti magici. La prima di queste è "La magia come segno
e come conflitto" (1979), opera nella quale vengono pubblicati gli interventi effettuati
durante l'omonimo convegno tenutosi a Palermo quattro anni prima. Si segnalano, tra
tutti, gli interventi di Antonino Buttitta e S. Miceli, che concentrano la propria
metodologia nel tentativo di offrire una mediazione tra l'approccio marxista e la
semiologia, e quello di Luigi M. Lombardi Satriani che, a partire da un caso
specifico, presenta un tentativo di teorizzazione. Per utilizzare l'espressione di Pietro
Clemente, in questo contributo egli "recupera la teoreticità come fenomeno interno
dell'oggetto e del campo di studio piuttosto che come prodotto della 'ragione
scientifica'" (Clemente 1986:139).
Nel 1983 è stato invece pubblicato il numero monografico che "La Ricerca
Foklorica" dedica al tema della "medicina tradizionale in Italia", in cui confluiscono
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invece gli atti di un altro convegno, svoltosi a Pesaro qualche mese prima. Nel suo
contributo, intitolato "La medicina popolare. Questioni di metodo", Alfonso M. Di
Nola sottolinea la pluralità di orientamenti che intorno alla questione della cosiddetta
"medicina popolare" andavano delineandosi proprio in quelli anni, affermando
negli ultimi decenni intorno ai significati e ai contenuti di quella chi qui
chiamiamo «medicina popolare» si è infittita una trama di contributi che fanno
uso di diversi referenti classificatori e terminologici, i quali, a loro volta,
sottendono spessori ideologici e interpretativi sui quali conviene fare luce.
Ancora una volta chi sceglie di proporre problemi di metodo è portato a
constatare che al di là del puro gioco lessicale e nominalistico si ampliano
territori interessanti direttamente la natura stessa della disciplina e la sua
fondabilità. (Di Nola 1983:7)
Particolarmente interessante risulta, tra tutti, il saggio di Clara Gallini relativo al
"magnetismo popolare", col quale l'antropologa torna allo studio della magia dopo il
grande successo di Dono e Malocchio.
In quest'opera, in cui confluiscono le informazioni ottenute da un'inchiesta
condotta, mediante questionario, nella zona interna della Sardegna, Gallini aveva
concentrato la propria analisi su due motivi dell'universo magico tradizionale sardo:
la credenza nell' ispinzu, simbolo unitario indicante tutta la regolamentazione,
positiva e negativa, dei rapporti di dare, avere, portar via, restituire l'oggetto che
entra in un sistema di obbligatorie relazioni di reciprocità; e la credenza nel
malocchio, inteso come strategia magica che utilizza lo sguardo cattivo per nuocere
al prossimo. Entrambe sono analizzate nella loro capacità di rendere esplicite le
reciproche relazioni, ovvero lo scambio di doni o favori. Il perdurare di questa
credenza era, secondo Gallini, favorito dal contesto di quei piccoli paesi sardi da lei
analizzati, in cui “si guarda molto il prossimo, lo si controlla in modo palese e
segreto” (Gallini 1973).
Un approccio totalmente differente è quello messo in atto dall'antropologa
siciliana Elsa Guggino. A partire dagli anni Sessanta, Guggino ha condotto
un'assidua ricerca sul campo relativa all'analisi delle credenze magiche e ai riti
siciliani, confluita in alcune opere paradigmatiche tra cui “La magia in Sicilia”
(1978), “L'esperienza magica della malattia in Sicilia” (1986), “Il corpo è fatto di
sillabe” (1993). Guggino coniuga la tradizione semiologica della scuola siciliana con
alcune delle istanze proposte da Lombardi Satriani. La sua scrittura è quella,
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fortemente vissuta, dell'etnologo che si è a lungo concentrato e per il quale assume
una particolare importanza il rapporto di interazione con l' “altro”. Nel suo metodo di
comprensione dei fatti culturali, quindi, l'analisi degli enunciati linguistici espressi
dai maghi siciliani ha lo scopo di far emergere le concezioni sottese che i vari
operatori veicolano. Analizzando nel dettaglio le esperienze di vita e cura dei maghi
tradizionali, quindi, Guggino guida il lettore alla comprensione dell'universo
simbolico della magia tradizionale siciliana e del linguaggio magico con cui essa
trova espressione, con particolare attenzione alle diverse concezioni relative al corpo.
Come sottolinea Guggino, infatti: “Nelle parole dei maghi o dei fatturati, il ruolo del
corpo sembra essere strumentale: è il luogo in cui l'anima o le anime dimorano e
vivono, in cui si manifesta la malattia di ordine mistico. Dall'anima dipende la vita
del corpo” (Guggino 1993:159). Guggino non presenta una teoria organica del
magico, quanto, piuttosto, l'analisi degli enunciati di diversi interlocutori, testimoni
di diverse concezioni individuali del corpo e del "cosmo". Piuttosto che esplicitare o
chiarire una più vasta teoria generale, i singoli casi descritti da Guggino vengono
piuttosto utilizzati per definire ad analizzare altrettanti problemi, dal rapporto tra
medicina popolare ed ufficiale, all'articolazione della logica della magia, fino al ruolo
assunto sul campo dal ricercatore. Come rivela Pietro Clemente, la metodologia
applicata da Guggino allo studio dei fatti magici anticipa alcuni degli spunti
dell'antropologia contemporanea, per quanto riguarda soprattutto gli orizzonti della
ermeneutica e della etno-metodologia (Clemente 1986:139).
Contemporaneamente all'affermazione dei paradigmi interpretazionisti, vede la
sua ricomparsa lo studio storico della stregoneria, come i due volumi di Caccia alle
streghe di G. Bonomo, e il suo innegabile vivace di riproposta della ragione storica.
A distanza di quasi 30 anni, il valore degli scritti di quel periodo rimane immutato,
nonostante i paradigmi metodologici di riferimento siano cambiati.
Spetta a Cecilia Gatto Trocchi, docente di Antropologia culturale presso le
Università di Chieti, Perugia e La Sapienza e direttrice, in quest'ultima,
dell'Osservatorio dei fenomeni magico-simbolici, aver conferito agli studi italiani del
mondo magico un carattere divulgativo (Gatto Trocchi 1995). A lei spetta, inoltre,
l'indubbio merito di rivelare, fin dagli anni '80 del secolo scorso, la dimensione del
cambiamento che ha interessato molte delle ideologie e delle ritualità della magia
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tradizionale, e più in generale, dell'esoterismo e dell'occultismo in Italia (Gatto
Trocchi 1993; 2000, 2001).
La dimensione del cambiamento dell'orizzonte magico è stata inoltre
ampiamente analizzata da Vittorio Lanternari (Lanternari 1994; 1997; 2003), i cui
interessi spaziano dai rituali terapeutici delle medicine tradizionali ai culti carismatici
comunitari, dalla dimensione culturale della malattia ai meccanismi istituzionali del
curare. Egli rappresenta un efficace esempio dell'applicazione allo studio del mondo
magico degli strumenti concettuali dell'antropologia medica, che, esclusa l'attività di
ricerca svolta da Tullio Seppilli presso l'Istituto di Etnologia e Antropologia
Culturale dell'Università di Perugia (in collaborazione con Paolo Bartoli e Paola
Falteri) non sempre trovato fertile terreno di sviluppo nel nostro Paese.
Lo stesso indirizzo di indagine viene perseguito da Fabio Dei, che presta
particolare attenzione all'analisi delle dinamiche di innovazione relative alla magia
tradizionale e ai punti di intersezione e contatto con l'eterogeneo compagine delle
medicine alternative (Dei 1993,1999).
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1.4.2. Performance, narrativa, azione magica. A partire dalla pubblicazione della
nota opera di Victor Turner, The Anthropology of Performance (1987), una delle
tendenze più in voga, negli studi relativi allo sciamanesimo, riguarda l'analisi delle
dinamiche delle performance sciamaniche. Secondo questa impostazione, i riti che lo
sciamano compie vengono analizzati come insiemi di gesti e parole, modalità
espressive capaci di creare universi simbolici in cui le identità dell'operatore rituale e
del suo interlocutore (sia esso un paziente o l'antropologo stesso) vengono
costantemente create e ridiscusse.
Per gli studiosi che aderiscono a questa impostazione, per ricostruire la visione
del mondo propria di una cultura occorre risalire all'etica e alla metafisica più o meno
esplicitamente presenti in un testo da interpretare, analizzando il contesto
referenziale del linguaggio. Questo approccio ermeneutico, le cui basi sono
rintracciabili nel pensiero di Ludwig Wittgenstein e Charles Peirce, poi ulteriormente
sviluppati nelle opere di J.L. Austin, John Searle e altri, combina la comprensione
semantica e sintattica del linguaggio religioso con gli studi cross culturali, per cui la
comprensione e l'analisi del linguaggio dei canti sciamanici vengono interpretati
come esiti della sua funzione performativa all'interno di una tradizione consolidata. Il
modo più comune per analizzare il rito sciamanico come performance mira a
“fissare” la stessa performance sciamanica in un testo scritto, per cui le trascrizioni
dei canti vengono analizzate focalizzando l'attenzione sulle modalità espressive ed il
linguaggio con cui sono composti (Siikala 1980; Walraven 1985, 1991, 1994).
Com'è ovvio aspettarsi, questo genere di analisi rifugge da prospettive
generaliste, limitando la comparazione al problema della traduzione di significato tra
due culture, quella dell'antropologo e quella del nativo, e concentrando l'analisi su
singole tradizioni culturali.
Joanna Overing (Overing 1990), ad esempio, studia il linguaggio dei canti del leader
religioso (ruwang) dei Piaroa, popolazione stanziata nel bacino dell'Orinoco
(Venezuela), analizzando ciascun canto come una “versione del mondo” concepita da
qual popolo, che ha riflessi nella realtà letteraria e morale. James Ware (Ware 1991),
esaminando l'uso di una particolare tipologia di canti cerimoniali, i muga, all'interno
del kut, rituale sciamanico coreano, cerca di rendere conto del valore performativo
del linguaggio all'interno della tradizione orale e del ruolo dello sciamano come
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mediatore. Carol Laderman (Atkinson 1989; Laderman 1991) analizza, invece, il
rituale Main Peteri, rito sciamanico curativo diffuso in Malesia, traducendo tre
performance da lui osservate, e descrivendo le relazioni di questo specifico rituale
con altri prodotti culturali locali, come il Mak yong (una sorta di teatro-danza) e il
way-ang kulit (simile ad uno spettacolo di ombre cinesi).
Non è però detto che i dati analizzati provengano necessariamente da un lavoro
di campo dell'antropologo, dato che la prospettiva ermeneutica si fonda sull'analisi di
varie tipologie di produzione testuale (vedi, ad esempio, Oosten 1984). Vi è infatti
chi ha sostenuto, come l'antropologo canadese Hans-Josef Rollman (Rollman 1984),
specializzato nello studio dello sciamanesimo Inuit, che per riuscire a rendere
efficacemente i cambiamenti di significato e interpretazione dovuti alla traduzione,
occorre considerare un intero corpus di materiali testuali.
In un articolo del 1969, ad esempio, Stepehen W. Durrant (Durrant 1969, poi
confluito in Nowak-Durrant 1977), esplora le contraddizioni tra “La storia della
sciamana Nisa”, un racconto del XVII secolo tipico della Manciuria, che racconta la
resurrezione del figlio di un ricco proprietario terriero da parte di una sciamana, e il
retroterra culturale e sociale in cui il racconto si è originato. Qualche anno dopo,
Penelope Graham, invece, ha utilizzato una serie di canti riportati dagli etnografi
durante i secoli per interpretare, con una nuova ottica, la “logica culturale” dello
sciamanesimo Iban (Borneo). (Atkinson 1989; Graham 1987; King 1989; Strickland
1996;Tsing 1988) Così, Cristopher Drake (Drake 1990), in un articolo apparso nel
Harvard Journal of Asiatic Studies, nel recensire l'opera di Mitsugu Sakihara “A
Brief History of Early Okinawa Based on The Omoro sōshi”, coglie l'occasione per
fornire degli esempi concreti della stretta correlazione rintracciabile tra poesia, estasi
sciamanica e potere. In questo articolo, intitolato “A Separate Perspective: Shamanic
Songs of The Ryukyu Kingdom”, Drake analizza un'antologia di canzoni tradizionali
raccolte durante il Medioevo, proveniente dalle isole Ryūkyū (Giappone) e
conosciuta come Omoro soshi, o Libro di Omoro. Alcuni dei brani poetici presenti
nella raccolta vengono analizzati dall'autore come esempi di canti destinati all'uso
cerimoniale durante gli stati di trance, alla luce di un contesto culturale che
prevedeva l'esistenza di una sorta di casta sacerdotale femminile. Dello stesso anno,
il contributo di Naoko Tagiguchi (Takiguchi 1990), che analizza il diario tenuto da
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uno sciamano dell'isola di Miyako negli anni '70 del secolo scorso, in cui egli
racconta la propria iniziazione ed il suo modo di percepire il proprio ruolo di
sciamano.
L'approccio ermeneutico ha, inoltre, il pregio di mettere in luce la complicata
relazione tra antropologo e nativo. Descrivendo la tradizione sciamanica messicana,
ad esempio, James Dow (Dow 1986) compara la descrizione fornita da uno sciamano
Otomi del proprio operato e delle proprie conoscenze con le proprie considerazioni
in merito, mentre Julian Rice (Rice 1991) rende conto delle diverse posizioni
discorsive (che rimandano ad altrettanti contesti culturali) tenute dallo sciamano Alce
Nero e dal suo intervistatore John G. Niehardt, confluite nella nota opera “Black
Helk speaks” (Neihard 1972).
Inoltre, questo approccio può essere utilizzato per rappresentare la dimensione
del cambiamento che ha investito la pratica sciamanica in epoca contemporanea.
L'interesse popolare relativo allo sciamanesimo, infatti, ha contribuito alla fortuna
editoriale di raccolte di testi narrativi ed interviste agli sciamani (Halifax 1979;
Rothenberg 1985). Spesso, inoltre, sciamanesimo e modernità si mescolano, e l'arte
contemporanea si appropria dei racconti etnografici, trasfigurandoli in prospettiva
mitica (si veda, a questo proposito, Noel 1987, che analizza la trasfigurazione poetica
del resoconto di una seduta sciamanica risalente al 1956 in una poesia di Anne
Waldman, intitolata “Fast Speaking Woman”, v. anche Rothenberg 1985:62-65; 49294).
Anche negli approcci contemporanei allo studio della magia e della
stregoneria, l’ermeneutica si caratterizza per l’ampiezza e la profondità dei
contributi, che dedicano particolare attenzione al problema del linguaggio della
magia che, come si è visto, aveva destato l'attenzione degli antropologi fin dai tempi
di Malinowski ed Evans Pritchard. Ed è proprio a partire dalla critica a quest'ultimo
che Peter Winch, in Undestanding a primitve society (1964) riflette sul valore che il
linguaggio assume nei confronti della determinazione della realtà umana (Winch
1964:11).
Già qualche anno prima, in The Ideal of social science (1958), egli aveva sostenuto
la validità di applicazione dell'approccio ermeneutico alle scienze sociali (Winch
1958:3), sostenendo la derivazione teorica da Wittgenstein, che aveva analizzato il
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linguaggio come un insieme di “giochi linguistici”, modi d’uso del linguaggio, il cui
significato è fortemente correlato al contesto d’uso. Il linguaggio è per Wittgenstein
un'attivita fondata su regole semantiche e sintattiche, in relazione con una particolare
situazione pragmatica, un contesto di abitudini, simboli e credenze umane che viene
definito da Wittgenstein “forma di vita”.
Winch mutua da Wittgeinstein questa impostazione e la applica all'analisi della
stregoneria, che appare fondata su quelle che l’uomo razionale europeo considera
delle contraddizioni logiche. Torna ancora una volta, sebbene in termini innovativi, il
problema della comparabilità della magia con la scienza; che appaiono per Whinch
incommensurabili perché espressioni di una diversa logica. Se la scienza attiene alla
dimensione fisica, la stregoneria, da lui definita un'“attitudine positiva verso le
contingenze” è da ricondurre alla sfera etico-morale (Winch 1987:201). Piuttosto che
con la scienza, secondo Winch la stregoneria ha più simile alla religione, con la quale
condivide l'assenza di un apparato concettuale predittivo. Egli pone particolare
attenzione attenzione alla triade nascita, morte e riproduzione, sempre culturalmente
mediate e socialmente organizzate. In questa concezione, la stregoneria non è altro
che una fra le varie forme di rappresentazione della dicotomia fra bene e male, una
tra le tante definizioni possibili delle relazioni etiche conosciute ed attivate dagli
uomini come risposta agli eventi della vita.
L'approccio di Winch presenta numerosi punti di contatto con la teorizzazione
del magico operata da Stanley Jeyaraja Tambiah, che concentrò la propria attenzione
sul rito. Egli considera il rituale come utilizzo di più mezzi di comunicazione e
molteplici modalità di rappresentazione, una sorta di campo di mediazione tra
religione e ordine sociale, potere politico e ordine religioso. Questa concezione si
trova esplicitata in particolare nell’opera Rituals and culture, che comprende vari
contributi dell'autore pubblicati nel periodo 1967-1984. Questi contributi dimostrano
le varie influenze speculative di cui gode l'analisi di Tambiah, dallo strutturalismo di
matrice levistraussiana, alla linguistica di De Saussure, fino ai concetti di “atto
performativo” e “segno indessicale” elaborati rispettivamente da John Langshaw
Austin e Charles Sanders Pierce. Questo eterogeneo insieme di influenze converge in
Tambiah in un approccio originale, capace di conciliare semantica e pragmatica
nell’analisi delle modalità performative del rituale e delle loro relazioni con le
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influenze sociali.
Ne Il potere magico delle parole,
Tambiah parte da alcuni esempi etnografici
malinowskiani allo scopo di rivalutare il ruolo dell’espressione verbale all'interno
della performance rituale. Egli correttamente sottolinea come il secondo volume di
Coral gardens and their magic, corredato di una vasta serie di dati linguistici a
supporto, abbia destato al momento della pubblicazione un forte interesse fra i
linguisti, ma sia stato colpevolmente ignorato dagli antropologi, che solo alla fine
degli anni '70 avevano iniziato ad approfondire il ruolo assunto dall'espressione
verbale nei rituali, come dimostrano le analisi di Maurice Freedman
e Jack Goody. Tambiah si mostra piuttosto critico sul fatto che Malinowski,
nonostante avesse colto le dimensioni pragmatiche dell’uso della lingua e si fosse
reso conto che le formule magiche costituivano una forma di espressione particolare,
non prestò mai la dovuta attenzione alle diverse funzioni della lingua o alle diverse
tipologie di rapporto fra enunciati e atti sociali. Tambiah sottolinea, a questo
proposito, l'estrema varietà dei riti, che possono essere composti da sole parole o sole
azioni e, mentre un rituale di guarigione o un rito iniziatico tendono a porre l'enfasi
sulla parola, un rito collettivo con massiccia partecipazione tende ad affidarsi meno
alla comunicazione uditiva e concentrarsi sui simboli. Inoltre, spiega Tambiah, non
sono rari i casi in cui un rito viene officiato in una lingua incomprensibile agli
spettatori e a volte persino agli stessi autori del rituale, nel caso, ad esempio, di
incantesimi pronunciati in lingue “mistiche” o in riti religiosi officiati nella lingua
arcaica della rivelazione. Di conseguenza, il complesso delle invocazioni,
benedizioni, elencazioni del rito non può essere trattato come una componente
indifferenziata. In Un approccio performativo al rituale, Tambiah definisce il rito un
“sistema di comunicazione simbolica costruito culturalmente” e analizza la
performance rituale come rappresentazione scenica che usa molteplici mezzi di
comunicazione, grazie ai quali i partecipanti sperimentano intensamente l’evento,
prestando particolare attenzione al linguaggio, rifacendosi alla teoria di Austin che
sosteneva che dire qualcosa è anche fare qualcosa. Dato che il contenuto del rituale è
costituito dalla cosmologia propria di una cultura, codifica una precisa visione del
mondo i cui contenuti non possono essere discussi e giudicati. Ciò determina la
fissità e rigidità di alcuni rituali che, ribadendo quei contenuti, proiettano nel
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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presente il tempo mitico. Di conseguenza, la comunicazione rituale,
come
“ripetizione disciplinata di atteggiamenti corretti”, non può essere improvvisata e
spontanea, ma codifica e articola in una forma rigida sentimenti e psicologie che
potrebbero essere dannose per la collettività. Più che trasmettere nuovi contenuti ed
informazioni, quindi, il rito punta all'integrazione sociale ed alla continuità.
Anche l'antropologa francese Jeanne Favret-Saada, nella sua opera Les Mots,
la mort, les sorts: la sorcellerie dans le Bocage, presta particolare attenzione alla
discorsività della magia. Sin dall’inizio della sua inchiesta sulla stregoneria nel
Bocage (Normandia), però, l’antropologa si rende presto conto che non è il discorso
magico a predominare, quanto piuttosto la sua assenza, mentre il consueto approccio
con l’intervista si rivela totalmente inefficace davanti a ripetuti atteggiamenti di
reticenza e dissimulazione. Piuttosto che ipotizzare una non esistenza del fenomeno,
Favret-Saada inizia ad analizzare il silenzio e la dissimulazione come atti
comunicativi dotati di uno scopo ed animati da intenzione. Il silenzio, ella ipotizza,
aveva spesso come scopo mettere l’osservatore nella condizione di osservato,
obbligandolo a dichiarare la propria natura; mentre la dissimulazione rappresentava
l'ambiguità dello statuto degli informatori, che desideravano mostrarsi come
individui razionali non coinvolti in determinati fenomeni, cercando di riflettere, in
qualche modo, quello che pensavano essere il punto di vista dell'antropologo.
Parlare di magia significa, dunque, per Favret-Saada, entrare in un complesso
discorso sociale, mettendo in gioco la propria identità, dato che gli interlocutori, con
la loro silenziosa ostilità, rendevano palese che conoscere l'essenza della magia
equivale ad accettare di partecipare ad un rapporto di forza. In questo senso, la
stregoneria nel Bocage è una vera e propria guerra di poteri che ha come unica arma
la parola. Solo chi e all'interno dell'universo culturale magico può parlare di magia e,
dato che “parlare non è mai per informare”, la figura dell’etnografo, di qualcuno che si
pone nelle condizione di semplice ascoltatore, non e facilmente identificabile come
interlocutore valido nel discorso magico.
L'intervento di un contadino, che interpreta
una serie di incidenti capitati
all’antropologa come gli esiti di un attacco magico, e di una famiglia, che si rivolge
all'antropologa per ottenere un beneficio magico, trasformano continuamente il ruolo
dell'antropologa da operatore magico, a vittima, a testimone della realtà dei poteri
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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altrui. Tutti questi ruoli hanno pero in comune la “forza”, la capacita, cioè, di poter
concepire l'universo magico e, soprattutto, di poter parlare di magia. É proprio nella
parola, dunque, più che nell'atto, che la
stregoneria del Bocage colloca il proprio potere. Il coinvolgimento diretto di FavretSaada nelle dinamiche magiche ha permesso all'antropologa di dimostrare la falsità
di una concezione della stregoneria intesa come relitto folklorico.
Neanche la tradizionale spiegazione funzionalista della stregoneria come
meccanismo diretto di controllo sociale non può essere applicata al Bocage, dato che
Favret-Saada si ritrova in una situazione paradossale in cui tutti vengono stregati, ma
nessuno è uno stregone. Questi, rileva l'antropologa, non è mai il personaggio
principale dell'enunciato magico, ma appare, piuttosto, come una sorta di capro
espiatorio, mai precisamente identificato. La situazione più frequente è quella del
contadino che si trova ad affrontare una serie ripetuta di disgrazie che investono la
sua persona, la sua famiglia o le sue proprietà. Solo quando il medico, il veterinario,
l'ingegnere non riescono a fornire una spiegazione valida dei fenomeni, il contadino
rivolge il proprio pensiero alla stregoneria, individuando all'origine delle proprie
disgrazie l'attacco magico. Pero la successiva scoperta, da parte dell'anti-stregone, di
una stregoneria in atto non si accompagna mai ad accuse precise e circostanziate.
Nell'analisi di Favret-Saada, la stregoneria si configura come una sorta di
discorso oppositivo, un meccanismo di protezione degli abitanti della provincia nei
confronti della massificazione metropolitana di cui, in principio, l’antropologa viene
erroneamente interpretata come rappresentante. Nell’analisi della stregoneria,
secondo Favret-Saada, occorre allora situarsi all’interno del discorso magico,
vivendolo sul proprio corpo per cercare significati altrimenti inaccessibili.
1.4.3. Stregoneria contemporanea: contesti extraeuropei. La querelle storiciantropologi può essere collocata nel più ampio processo di rinascita degli studi
antropologici sulla stregoneria che avvenne alla fine degli anni '60 del secolo scorso.
Proprio in quel periodo, infatti, e a dispetto di quanto prospettato, la stregoneria
mostrava la sua “infinitezza” (Simonicca 2009) come materia di indagine, oltre che
nell'analisi storico-antropologica dei processi di stregoneria dell'età moderna, anche a
causa dell'interesse mostrato dall'antropologia ermeneutica verso il problema della
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consequenzialità presente nei sistemi magico-religiosi, strettamente collegato a
quello del relativismo culturale.
La stregoneria risultava essere una presenza
costante non solo tra le pagine degli etnografi ma anche, e soprattutto, nella vita
quotidiana di intere popolazioni diffuse in diverse parti del mondo, per le quali, come
avevano dimostrato gli studi africanisti della scuola di Manchester, l'avvento del
progresso non aveva significato la fine delle credenze magiche. In questo contesto di
permanenza, o di rinascita, della stregoneria, non stupisce il fatto che, fin dagli anni
'80 del secolo scorso, numerose esplorazioni etnografiche in contesti extraeuropei
hanno avuto come oggetto l'analisi delle credenze e delle pratiche riguardanti la
stregoneria e, ancora oggi, numerosi studi antropologici sul tema continuano ad
interessare e ad essere pubblicati.
Uno dei contesti geografici maggiormente analizzati dagli studiosi di
stregoneria è senza dubbio l'Africa. Molti degli studi contemporanei relativi al
continente costituiscono l'eredità culturale della tesi di Edwin Ardener (Ardener
1970), che aveva efficacemente dimostrato la relazione tra pratiche di stregoneria e
attività economica in Camerun. Alla luce degli stravolgimenti politici ed economici
subiti dagli stati africani della post colonizzazione, il linguaggio tradizionale della
stregoneria veniva (e viene ancora) utilizzato per spiegare i nuovi eventi. L'ambiguità
dei discorsi e delle mitologie relativi alla stregoneria, la loro paradigmatica
indeterminatezza, ha la caratteristiche di permettere l'incorporazione costante di
nuovi temi. Molte delle analisi relative alla stregoneria africana si concentrano,
quindi, sulla dimensione del cambiamento e, conseguentemente, sul rapporto tra le
forme di stregoneria più o meno “tradizionali” e quelle contemporanee. Nasce così
una linea di pensiero che tende ad affermare la tesi della “modernità della
stregoneria” africana (vedasi, ad esempio, Bellagamba 2000, Moore and Sanders
2001). Una delle opere che più efficacemente rappresenta questo orientamento è il
volume collettaneo curato da Peter Geschiere, intitolato Sorcellerie et politique en
Afrique. La viande des autres. In particolare, nel saggio da lui curato e in altri
contributi (Geschiere 1988, 1995,1999) Geschiere analizza la stregoneria nell'ottica
di un collegamento concettuale tra passato e presente, in relazione al senso di
indeterminatezza che questo produce negli abitanti dei villaggi del Camerun (per lo
stesso contesto, vedasi anche Nyamnjoh 2001, 2005; Rowlands, Warnier 1988).
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
L'Africa sembra essere il luogo ideale per indagare il rapporto tra stregoneria e
modernità anche nei saggi contenuti in “Magical Interpretations, Material Realities”,
a cura di Henrietta Moore e Todd Sanders 2001 (Moore, Sanders 2001).
Alcuni dei temi tradizionalmente trattati dagli antropologi africanisti sono
quindi oggetto di nuove interpretazioni. Ad esempio, il feticismo, che ha costituito
uno dei temi più frequentemente analizzati dagli antropologi, assume una
connotazione “globalista” (Simonicca 2009) alla luce dei rapporti tra le singole
culture africane ed il resto del mondo. Per esempio, in Modernity and its
malcontents. Ritual and power in postcolonial Africa,
vengono analizzate le
concezioni sulla stregoneria in relazione al rapporto tra cultura e globalizzazione. I
processi di mutamento sociale vengono ricondotti a dinamiche note e familiari come
quella della stregoneria, che diventa la rappresentazione culturale del rapporto tra
produzione e consumo in un mondo globalizzato. La figura della strega, quindi,
incorpora “(...) tutte le contraddizioni dell'esperienza della modernità in sé, delle sue
inevitabili lusinghe, delle sue passioni che si auto-consungono, delle sue tattiche
discriminatorie e dei suoi devastanti costi sociali” (Comaroff 1993:XXIX, trad.).
Alla diffusa ostentazione della ricchezza non corrisponde un’adeguata ripartizione
dei beni. Ciò genera sentimenti di invidia e gelosia in alcuni soggetti che, sentendosi
depauperati dal mercato, attribuiscono le cause della disuguaglianza sociale ai
sentimenti ostili delle streghe, contro cui si scatenano massicce cacce. Non è un caso,
quindi, che a rimanere coinvolti in queste dinamiche siano soprattutto i giovani, cioè
coloro che hanno le maggiori aspettative di benessere. Secondo i Comaroff la
stregoneria rinasce in un quadro notevolmente mutato rispetto al passato, in cui il
rapporto tra il corpo umano e il mercato economico possiede caratteristiche diverse,
in base a una nuova concezione culturale che considera il corpo merce da vendere ed
acquistare anche secondo il valore simbolico di cui viene rivestito. Nel mercato dei
feticci, il valore delle diverse parti del corpo umano viene stabilito in base alla rarità
dei beni definiti dalla dinamica della domanda e dell’offerta. Per i Comaroff la figura
simbolica dello zombie (che ha il suo corrispondente reale nel lavoro notturno degli
operai senza diritti) incarna perfettamente la dolorosa condizione dell’Africa odierna.
Anche Peter Geschiere (Geschiere 1995, 1999) rileva il nucleo del terrore verso
le nuove streghe non più nella loro antropofagia ma nella capacità di trasformare le
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proprie vittime in morti-viventi. Egli evidenzia la convinzione diffusa che una forza
occulta, chiamata djambe, sia il principio basilare del successo dei politici. Secondo
tale credenza, i nuovi ricchi trasformerebbero le loro vittime in zombie, al fine di
sfruttare il loro lavoro;
inoltre, le streghe locali, in combutta con la mafia,
organizzerebbero il traffico di zombie in tutto il mondo. Lo studioso, però, a
differenza dei coniugi Comaroff, non considera in modo troppo radicale la differenza
tra passato e presenze, dato che attribuire le cause del mutamento sociale, esplicate
tramite discorsività note, a forze più o meno occulte, è un tratto tipico di ogni cultura
contemporanea. La stregoneria, indispensabile per accumulare ricchezze e potere,
può agire anche come forza livellante finalizzata a smorzare le disuguaglianze, ad
accumulare o disperdere ricchezze, ad uccidere come a curare. Gli studi di Geschiere
in Camerun (Meyer, Geschiere 1999) documentano la presenza di un nuovo genere di
fèticher, di guaritore tradizionale, che predilige uno stile professionale, presentandosi
come operatore quasi medico (con tanto di cartello alla porta); interviene in veste di
perito nominato dal tribunale per testimoniare sull'identità delle streghe (Fisiy e
Geschiere 1990); legge libri di magia e mescola vecchie e nuove terapie. Inoltre,
Geschiere dimostra come in Camerun i discorsi relativi alla stregoneria abbiano
invaso tutti gli spazi politici; proprio come le teorie della cospirazione, questi
discorsi rendono la perdita improvvisa e l'accumulo di potere comprensibile.
Geschiere, inoltre, afferma che la stregoneria contemporanea sia sempre
ideologicamente collegata alla nozione di parentela: si diventa adepti solo se si
sacrifica un proprio parente intimo, e forse la madre, mentre l’antistregone richiede
la collaborazione della famiglia per la cura. Geschiere colloca il malessere nelle
tensioni interne alla famiglia, pur ribadendo come sia sempre più frequentemente
correlata alle nuove forme di consumo e produzione, diventando un modo popolare
di classificare i misteri della moderna economia di mercato. Per questa ragione,
Ciekawy e Geschiere (Ciekawy e Geschiere 1998) sostengono che la stregoneria
stabilisca un rapporto ideologico di collegamento tra le reti di parentela locali e i
cambiamenti globali: in altre parole, “il discorso relativo alla stregoneria impone
un'apertura del villaggio e della rete familiare chiusa: dopo tutto, è l'interesse
fondamentale della strega di tradire le sue vittime agli estranei” (Ciekawy e
Geschiere 1998:5, trad.). I discorsi sulla stregoneria non solo consentono alle
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persone di concettualizzare come le nuove tecnologie influiscano sulla propria
concezione del mondo, che improvvisamente si allarga e non si limita più alla singola
comunità locale, ma consentano anche di esprimere le proprie preoccupazioni circa
la disuguaglianza tra i benefici che questi processi forniscono.
Non tutti gli studiosi seguono però la tesi della modernità della stregoneria in
Africa, a causa anche della cesura che spesso si crea tra l'ipotesi analitica e la sua
attestazione e verifica etnografica (Sanders 2008). Se alcuni allargano l'orizzonte
interpretativo, come in Sorcery in the Black Atlantic, a cura di Luis Parés e Roger
Sansi (Parés, Sansi 2011), sostenendo che la stregoneria possa essere interpretata
come un fenomeno atlantico che ha collegamenti significativi con la modernità e
l'ascesa del capitalismo globale, altri rivoluzionano completamente la prospettiva di
analisi, rinunciando all'associazione tra stregoneria e modernità. Ad esempio, Harri
Englund (Englund 1996) ipotizza che i discorsi relativi alla stregoneria africana
contemporanea, pur verificandosi all'interno della modernità, non devono essere
necessariamente intesi come un discorso relativo alla modernità, mentre Adam
Ashforth (Ashfort 2005) ipotizza
che un aumento delle paure relative alla
stregoneria in Soweto possano essere interpretate piuttosto come l'indice della
presenza di "insicurezze spirituali”. Altri antropologi contemporanei mettono invece
la relazione tra modernità e stregoneria sullo sfondo, concentrandosi piuttosto su
singoli elementi di cambiamento. In quest'ottica, gli antropologi contemporanei
hanno quindi analizzato il rapporto sincretico tra la credenza nella stregoneria e le
religioni storiche, soprattutto il cristianesimo (Meyer 1992), oppure il legame tra
magia ed infanzia e le accuse di stregoneria rivolte ai bambini (de Boeck 2006, per
una ampia introduzione al problema, vedasi i saggi contenuti in La Fontaine 2009).
Ulteriori ricerche sono state condotte sul rapporto tra credenza nella stregoneria e
concezione del corpo, in riferimento soprattutto alla sessualità (Niehaus 2002) e
all'epidemia di HIV/AIDS, che crea uno spettro di nuove paure e timori e
contribuisce a creare continui timori di forze mistiche malevoli (Andersson 2002, per
una panoramica generale degli studi sul rapporto tra AIDS e forme di religiosità,
vedasi Becker, Geissler 2009).
Nel quadro degli studi fin qui sintetizzati, si deve rilevare che altri ancora
analizzano la stregoneria all'interno della sola variabile locale. Tra questo genere di
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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analisi, si può collocare lo studio dei movimenti di purificazione sorti nei villaggi per
liberarsi dalle streghe. In un articolo del 1968, David Parkin (Parkin 1968) aveva
dimostrato come questi movimenti, considerati un mezzo per creare una vita
moralmente rigenerata per tutti, superavano i confini coloniali. Inoltre, implicavano
notevoli ambiguità simboliche: miravano a ripristinare l'armonia, auspicando però un
nuovo ordine sociale; evocavano simboli dello stato coloniale, mentre ne
sovvertivano l'autorità, ed investivano di potere gli uomini più giovani a scapito degli
anziani.
Occorre quindi sottolineare che il legame tra stregoneria ed azione politica
locale appare strettissimo nel momento in cui i movimenti di liberazione nazionale e
gli Stati postcoloniali cercano di contenere la stregoneria. Alcuni governi, come la
Tanzania, hanno inserito tra le strategie di modernizzazione i provvedimenti per
sradicare la credenza nella stregoneria (Abrahams 1994), considerata una
caratteristica tipica della cultura africana sia dalle élite politiche locali che dagli
antropologi stessi (Green 2008). Isak Niehaus (Niehaus 2001) mostra come nelle
zone rurali del Sud Africa, i sostenitori del Congresso nazionale africano conducono
una guerra contro le streghe per attirar l'attenzione sulla propria capacità politica.
James Howard Smith analizza i concetti di sviluppo locale in Kenya, notando come
le comunità di villaggio vedono la stregoneria come l'inverso dello sviluppo e del
progresso economico e sociale (Smith 2008).
Nonostante una delle opere classiche in materia di stregoneria (Fortune 1932)
fosse riferita alla Melanesia, gli antropologi impegnati nell'area hanno dedicato poca
attenzione alla stregoneria rispetto ai loro colleghi impegnati in Africa,
concentrandosi più sull'analisi dei significati simbolici che su quella della struttura
sociale. Lo studio antropologico dell'area melanesiana non aveva naturalmente
trascurato l'evidente cambiamento che aveva interessato l'area; in pratica si era finito
con il privilegiare altre manifestazioni religiose. Tra queste, soprattutto, l'analisi dei
cosiddetti “cargo cults”, che più di ogni altra manifestazione di tipo religioso
rappresentavano in maniera evidente l'impatto del colonialismo e della modernità sui
sistemi di pensiero tradizionali. Ciò nonostante, nel 1974, Mary Patterson aveva
pubblicato una studio preliminare sulla stregoneria nell'area, intitolato Sorcery and
witchcraft in Melanesia, in cui sosteneva la funzione della stregoneria tradizionale
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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come elemento di coesione e solidarietà sociale di un gruppo rispetto ad eventuali
nemici esterni (Patterson 1974). Nel 1987, Michele Stephen aveva ipotizzato che le
società della Melanesia costituivano un'alternativa alla descrizione contenuta
nell'opera di Evans-Pritchard. In Melanesia, afferma Stephen, le streghe hanno poca
rilevanza sociale a causa dei loro poteri distruttivi in grado di causare sventura e
morte; poteri che non possono essere controllati. Esse sono accusate, denunciate e
punite. Nell'area la stregoneria viene analizzata soprattutto sul piano funzionale, in
termini di reciprocità delle accuse e dei rapporti sociali. Qualche anno dopo, Shirley
Lindenbaum sostiene che tra i Fore la causa del “kuru”, una malattia degenerativa
irreversibile del sistema nervoso centrale trasmessa da individuo ad individuo a causa
del consumo rituale di carne umana, veniva attribuita all'opera degli stregoni
(Lindenbaum 1979). Le accuse di stregoneria che ne scaturivano erano, secondo
Lindebaum, uno specchio delle relazioni politiche con altri gruppi, contribuendo a
definire i confini sociali. Bruce Knauft si concentrò invece sul tasso estremamente
elevato di omicidi tra i Gebusi a seguito delle accuse di stregoneria, mettendoli in
relazione con la non reciprocità delle alleanze matrimoniali (Knauf 1985). Nancy
Munn e Ritchard Eves hanno invece dimostrato l'incorporazione della stregoneria e
della magia nelle relazioni di scambio (Eves 2003, Munn 1986). Analogamente a
quanto avvenuto per il continente africano, alcuni antropologi hanno dedicato la
propria analisi all'impatto del colonialismo. Ad esempio, Michael Goddard si
concentra nello specifico su un'occasione in cui l'amministrazione coloniale mise alla
prova gli stregoni tradizionali Motu-Koita, analizzando gli stereotipi discorsivi e
problematizzando la traduzione e la comprensione di alcuni termini, ipotizzando che
la cosmologia di questo popolo prima dell'avvento del colonialismo non possedesse
la logica sistematica con cui spesso viene descritta dagli antropologi (Goddard 2014).
Molti di questi contributi, inoltre, esplorano il legame tra stregoneria e società
contemporanea. Andrew Lattas sostiene che nella zona di New Britain (Papua Nuova
Guinea), la stregoneria costituisce oggi una sorta di linguaggio politico, un discorso
che integra simboli europei e materie prime locali (Lattas 1993). Ryan Schram,
aderendo al paradigma della modernità della stregoneria, afferma che gli Auhelawa
(della provincia di Milne Bay, Papua Nuova Guinea) ritengono che la società
occidentale, con la sua ricchezza e tecnologia, abbia potuto accedere al progresso
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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solo in seguito alla rinuncia alla stregoneria, mentre la loro povertà materiale è
causata dalle streghe che stanno trattenendo per sé ricchezze invisibili (Schram
2010). Anche in questo contesto, gli antropologi analizzano l'interpretazione
dell'epidemia di AIDS come effetto della stregoneria (Eves 2003) e studiano gli
effetti delle credenze relative alla stregoneria sul sistema giudiziario (Rio 2010) e di
polizia (Mitchell 2013). Nello specifico, mentre Knut Rio affronta le conseguenze di
un'accusa di stregoneria locale di cui a Vanuatu sono venuti a conoscenza lo stato di
polizia, i tribunali e i media, illustrando cosa succede alle pratiche di stregoneria in
un moderno contesto burocratico. Jean Mitchell esplora il rapporto tra la violenza
eccessiva mostrata dalla polizia nel gennaio 1998 a Port Vila (Vanuatu), dopo una
protesta legittima degenerata in disordini e saccheggi e il dispiegamento di una
tecnica di stregoneria messa in atto per contrastare questa violenza. In a Witch Hunt
in New Guinea: Anthropology on Trial Michael Wesch analizza il piano di
eradicazione della stregoneria in Nuova Guinea, attraverso una serie di prove a volte
brutali messe in atto dai funzionari locali; egli coglie l'occasione per cercare di
stabilire una posizione etica coerente in un contesto ricco di dilemmi morali,
mettendo alla prova la posizione tradizionale dell'antropologo su questioni classiche
come il relativismo culturale e l'osservazione partecipante.
Magia e stregoneria non sono stati i temi di spicco negli studi dell'Asia, con
l'eccezione degli studi sullo Sri Lanka ad opera, soprattutto, di Bruce Kapferer. I suoi
studi sui rituali di guarigione e di esorcismo tra singalesi buddisti in questo paese
costituiscono un contributo monumentale alla comprensione antropologica dell'Asia
e della stregoneria (Kapferer 1991, Kapferer 1997, Kapferer 2002).L'opera del 1997
di Kapferer contribuisce un contributo fondamentale allo studio della pratica magica,
perché, concentrandosi sull'estetica del rituale, analizza la stregoneria come pratica
pragmatica e consapevole, che consente, attraverso la sua dinamica di distruzione e
creazione, di ricostruire ripetutamente le proprie realtà culturali e sociali, in sostanza,
il proprio rapporto con il mondo. Come è stato ampiamente documentato per l'Africa,
anche in Sri Lanka la stregoneria contemporanea subisce dinamiche di innovazione
ed ibridazione, come dimostrano i contributi dello stesso Kapferer al numero
tematico della rivista Social Analysis, intitolato Beyond Rationalism: Rethinking
Magic, Witchcraft and Sorcery (2002). Nello Sri Lanka buddista descritto da
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Kapferer, che ha curato anche l'introduzione al volume (Kapferer 2002a),
l'immaginario correlato alla stregoneria è in continua evoluzione (2002b). Uno stato
di cose confermato anche dal contributo di Rohan Bastin allo stesso volume, che
descrive le dinamiche di innovazione religiosa tra gli Hindu ed i Buddisti dello stesso
Sri Lanka. In particolare, l'autore si concentra sull'analisi dell'operato della maniyo,
specialista religiosa devota alla dea Kali il cui operato subisce una modificazione
correlata ai cambiamenti sia del pantheon religioso che dell'ordinamento sociale, i
quali causano un incremento generale nella visibilità della pratica della stregoneria,
che rinuncia al suo carattere di segretezza (Bastin 2002).
Anche gli antropologi dell'India hanno analizzato le dinamiche di cambiamento
sociale relative alla stregoneria. La panoramica informativa sul rapporto tra credenze
di stregoneria e cosmologie del subcontinente scritta da Rajaram Narajam Saletore
agli inizi degli anni '80 del secolo scorso (Saletore 1981) rimane tuttora l'opera
introduttiva di riferimento. I contributi attuali si concentrano anche per quest'area su
singoli problemi di ricerca, come le cacce alle streghe in epoca storica (Bailey 1994,
Sihna 2006, Sundar 2001) e contemporanea. Quest'ultimo aspetto è stato indagato
anche in prospettiva crossculturale (Nathan,Kelkar, Xiaogang 1998), ma comunque
sempre in relazione alla condizione, sociale e lavorativa, femminile (Bosu Mullick
2000; Chaudhuri 2013; Roy 1998) ed alle discriminazioni e alla violenza gratuita
(Skaria 1997) che le donne subiscono, frutto di timori infondati e paure ataviche che
si riversano in ogni ambito della via sociale (Desai 2008).
Gli studiosi che hanno concentrato le proprie ricerche in Asia orientale, invece,
hanno dato vita ad un volume collettivo intitolato Understanding Witchcraft and
Sorcery in Southeast Asia, a cura di C.W. Watson e Roy Ellen (Watson e Ellen 1993),
i cui contributi dimostrano che il concetto di malevolenza mistica nel sudest asiatico
assume declinazioni particolari. Geoffrey Samuel analizza crossculturalmente
analogie e differenze tra le credenze dei neopagani contemporanei in occidente e la
magia tradizionale del sud est asiatico, in particolare il Tibet (Samuel 1998; 2001).
L'ampia diffusione della credenze relative a fantasmi, demoni e spiriti e il consenso
di cui godono le credenze relative alla stregoneria anche tra l'élite cosmopolita
urbanizzata (Gellner 1994), ha reso il Nepal un'area assai frequentata da etnologi e
antropologi (Glover 1972; Greve 1981,1989; Levine 1982; Stone 1976), anche se si
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tratta di singoli contributi privi di sistematicità. L'analisi dei cambiamenti culturali è
ben presente nell'opera di Homayun Sidky, intitolata Haunted by the archaic
shaman; Himalayan Jhakris and the discourse on shamanism (2008), che riprende
l'indagine di David N. Gellner sui processi di democratizzazione e legittimazione del
potere religioso, in relazione alla possessione spiritica e alla pratica del medium
(Gellner 1994). Aihwa Ong nel 2010 dimostra come il cambiamento delle condizioni
politiche ed economiche delle donne in Malesia e il loro impiego lavorativo nelle
multinazionali, piuttosto che debellare la credenza nella stregoneria, abbia portato a
nuovi episodi di possessione spiritica (Ong 2010). James Siegel e Nicholas Herriman
indagano invece sulla relazione tra accuse di stregoneria e genocidi in East Java
(Indonesia) durante il regime di Suharto, in un periodo in cui l'attribuzione ideologica
del pericolo di disgregazione politica verso figure simboliche che costituivano una
minaccia per lo Stato portò a sistematiche cacce alle streghe. Mentre Herriman
(2006a, 2006b, 2013) dimostra che questi omicidi sono stati il culmine di aggressioni
verso gli stregoni che avvenivano da più di mezzo secolo, Siegel sostiene che la
credenza nella stregoneria riemerge quando non vi sono altre modalità simboliche
utili a rappresentare la disgregazione dei rapporti sociali e politici (Siegel 2006).
1.1.13. Stregoneria contemporanea: wicca e neopaganesimo. Numerose ricerche su
argomenti riguardanti la stregoneria condotte in ambito accademico, non hanno,
invece, come sfondo luoghi esotici e contesti “primitivi”, ma indagano la rinascita o
la diffusione di credenze e pratiche ideologicamente connesse alla stregoneria in
Paesi sommariamente definiti “occidentali”, come gli Stati Uniti d'America, l'Europa
continentale ed insulare e l'Australia.
Gli aderenti ad alcuni di questi movimenti contemporanei fanno spesso
riferimento, per identificare se stessi e le pratiche che mettono in atto, a termini come
“strega” e “stregoneria”, ricollegandosi idealmente con le persecuzioni delle streghe
di epoca moderna e, andando a ritroso nel tempo, con una religione dell'Europa precristiana. La nascita di questa attuale stregoneria viene fatta risalire agli anni '50 del
'900, quando un gruppo di occultisti inglesi, affascinati dalle opere della storica
Margareth Murray (Murray 1917, 1920, 1921) affermò di aver rinvenuto le prove
della sopravvivenza del “witch cult”, il cosiddetto “culto delle streghe” dell'età
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
moderna, ovvero l'esistenza di un gruppo di persone che continuavano a praticare
l'antica religione.
In questi studi, le forme contemporanee di stregoneria vengono assimilate ad
altre forme di pratiche cosiddette spirituali e collocate all'interno di un più vasto
movimento religioso composto da differenti sottogruppi e diramazioni. Si tratta di
“una sintesi di ispirazione storica e creatività contemporanea” (Carpenter 1996:47),
i cui aderenti utilizzano diverse fonti storiche per costruire ex novo forme alternative
di religione il cui legame col passato è spesso solo presunto (Adler 2006:3-4). Infatti,
pur non condividendo in toto l'apparato di credenze, pratiche o testi di riferimento
(Carpenter 2006), questi movimenti religiosi sono accomunati tra loro da una stessa
matrice ideologica, ovvero dalla tendenza degli aderenti a considerarsi gli eredi delle
antiche tradizioni precristiane o pagane, comunque precedenti all'avvento delle
religioni monoteistiche (Hanegraaf 1996; Lewis 2004). In riferimento a questa
tendenza, l'insieme di questi movimenti viene indicato, nella letteratura di settore,
con diverse denominazioni, che specificano però lo stesso oggetto di studio:
paganesimo, paganesimo contemporaneo o neo-paganesimo. Se “pagano” e
“paganesimo” costituiscono dei termini auto-identificativi coi quali gli aderenti
classificano se stessi e la loro religione fin dalla fine degli anni '60 del secolo scorso
(Adler 2006) in opposizione, soprattutto, al cristianesimo dominante (Strmiska
2005), il termine “neo-paganesimo” non gode della stessa fortuna tra i praticanti, pur
essendo ampiamente utilizzato dagli studiosi per distinguere il paganesimo storico
dai movimenti religiosi contemporanei. Sono diverse le ragioni di questo rifiuto;
mentre alcuni aderenti sostengono che il prefisso neo- crei una disconnessione col
passato e gli antenati (Strmiska 2005:9), altri preferiscono una denominazione più
specifica al termine “neopagano”, perché considerano la propria religiosità diversa da
ciò cui il termine genericamente allude (Adler 2006:243–299). Per questa ragione,
alcuni studiosi preferiscono utilizzare la più neutra espressione “paganesimo
contemporaneo” (Harvey 1997) .
Aldilà delle inevitabili polemiche e dibattiti connessi alla correttezza delle
definizioni utilizzate, negli anni '70 del '900, il paganesimo contemporaneo veniva
genericamente incluso tra i new religious movements5, come fanno Robert Ellwood in
5 Con l'espressione “new religious movement” (NRM) viene indicato, nelle scienze sociali,
una comunità religiosa o un gruppo spirituale di origine recente (collocabile dopo la
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Religious and Spiritual Groups in Modern America (Ellwood 1973) e l'Encyclopedia
of American Religions di Gordon Melton (Melton 1978). Tra fine degli anni '90 del
secolo scorso e l'inizio del Duemila, invece, il paganesimo venne analizzato
esclusivamente in connessione con il movimento new age, tanto che Paul Heelas, nel
suo The New Age Movement (Heelas 1996) e Wouter J Hanegraaff in New Age
Religion and Western Culture (Hanegraaff 1996), dedicano un capitolo alle ideologie
neo-pagane. In quel periodo, gli studiosi erano soliti sostenere che non esistesse un
grande divario concettuale tra i due movimenti (Wilson e Cresswell 1999). Però,
alcune di queste opere, come The Emerging Network: a sociology of the New Age
and Neo-Pagan Movements di Michael York (York 1995), pur continuando ad
analizzare congiuntamente le due tematiche e sostenendo ancora le evidenti
somiglianze tra i due movimenti, iniziano a stabilire una differenza, in linea anche
con le affermazioni dei praticanti, i quali tendono a negare il legame tra la propria
tendenza religiosa ed i valori e gli orientamenti del movimento new-age (Pearson
1998). Agli inizi del 2000, la diversità tra i due differenti orientamenti o “tradizioni”
(Kranenborg 2001) è ormai assodata. Nell’opera “New age and neo-pagan religions
in America”, Sarah Pike (Pike 2004) dedica la sua attenzione all'analisi delle
similitudini e delle differenze tra i due movimenti. Per la studiosa, si tratta di forme
di spiritualità contemporanea che non possono essere collocate tra i new religious
movements a causa dell'assenza di leader carismatici universalmente riconosciuti.
Sebbene entrambe si basino sull'affermazione di valori che non sono tipici delle
culture dominanti di riferimento, esistono sostanziali differenze: mentre gli adepti
della new age sono ideologicamente orientati al futuro, i neo-pagani tendono a
riferirsi costantemente al passato. Mentre i pagani contemporanei accusano gli
seconda metà del secolo scorso), che possiede, aldilà della sua origine e derivazione, un
ruolo periferico rispetto alla cultura religiosa dominante del territorio di riferimento. Si
tratta di un termine non universalmente accettato dai praticanti, mentre possiede un
indubbio valore euristico-classificatorio per gli studiosi. La definizione è stata oggetto di
successive specificazioni e limitazioni (Introvigne 2001), ma in sociologia e storia delle
religioni questo termine ha ormai rimpiazzato il termine “culto”, da più parti considerato
obsoleto, dispregiativo e troppo favorevole alle culture religiose dominanti (Olson 2006,
Gallagher 2008). Caratteristiche comuni di questi movimenti sono la tendenza ad una
visione spirituale dell'esistenza umana, una tendenza alla ritualità di stampo comunitario e
la creazione di identità sociali nettamente differenti rispetto al mainstream culturale (per
delle rassegne di studi relativi all'argomento, vedasi Bromley 2004 e Sablia 2007; per il
rapporto tra nuovi movimenti religiosi e globalizzazione si veda invece Dawson 1998).
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aderenti alla new age di essere troppo concentrati sul denaro, questi ultimi guardano
con sospetto alcuni rituali, considerandoli eccessivamente drammatici o grotteschi.
Mentre i new agers potrebbero essere considerati spirituali piuttosto che religiosi, i
neo-pagani tendono a ritenere la propria inclinazione spirituale una religione. Anche
un articolo di Melissa Harrington, intitolato per l'appunto “Paganism and the new
age”, che costituisce uno dei contributi più significativi al noto Oxford Handbook of
new age (Kemp, Lewis 2007), compie, in maniera più sintetica, questa operazione di
differenziazione concettuale tra i due movimenti, fornendo anche una breve rassegna
bibliografica sull’argomento (Harrington 2007).
Superata l'analogia arbitraria tra il paganesimo contemporaneo e la new age,
dato l'alto grado di differenziazione interna, per far sì che le varie forme di
paganesimo contemporaneo potessero godere di un degno statuto come oggetto di
indagine, a questo punto si rendeva necessario creare uno spartiacque concettuale tra
il paganesimo ed altre forme di spiritualità contemporanea che potevano presentare
caratteristiche simili. Come afferma la studiosa Melissa Harrington, per analizzare
correttamente il movimento neo-pagano, era necessario mettere in atto un approccio
essenzialista, che mirasse ad identificare un nucleo centrale di ideologie e credenze
comuni a tutti i neopagani, indipendente dalle varie connotazioni e sfumature cui ha
dato origine. In sostanza, si trattava di rintracciare “valori pagani condivisi”
(Harrington 2007:436, trad.), una serie di principi comuni a molte se non a tutte le
forme di paganesimo contemporaneo (Adler 2006:22), anche se riferibili a poche
inclinazioni e atteggiamenti quali “l'accettazione della diversità, la concezioni di una
divinità immanente, ed un certo rispetto per la vita e la Terra” (Harrington 2007:436,
trad.). A questo proposito, poteva rivelarsi utile un'analisi dettagliata delle credenze,
soprattutto in relazione alla mitologia, come dimostrano le opere di due studiosi
importanti nel campo dei pagan studies, Graham Harvey e Michael York. Graham
Harvey sottolinea il grande rilievo dato alle credenze animistiche ed alla tendenza dei
pagani contemporanei ad immaginarsi un mondo popolato di numerose creature non
umane, con le quali gli uomini possono comunicare, tra cui gli animali, gli elementi
naturali come gli alberi e i corsi d'acqua e soprattutto, esseri provenienti da “altri
mondi”, prime, fra tutti, le fate. York, dal canto suo, sostiene che il carattere
prevalente della teologia pagana non è animista, quanto dinamista, riferito, cioè, al
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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potere. Secondo York, infatti, tutte le concettualizzazioni umane del divino sono
riconducibili ad un singolo complesso simbolico relativo alla presenza di un'energia
immateriale. A questo proposito, sostiene che le entità soprannaturali del pantheon
neo-pagano, come gli dei, gli spiriti e gli elfi non devono essere analizzate come
entità singole, quanto, piuttosto, come particolari energie complesse. Sia la visione di
Harvey che quella di York sono state messe in discussione per il loro eccessivo
coinvolgimento nell'oggetto di studio e gli autori accusati di primitivismo (vedasi a
questo proposito, Davidsen 2012, che traccia una differenza tra i due autori, e la
rassegna di Geertz 2009, che critica l'impostazione di Harvey).
Inoltre, non sono pochi gli studiosi che, utilizzando dati quantitativi e
qualitativi, hanno cercato di definire, in maniera quanto più rigorosa possibile,
l'entità del fenomeno e i suoi rapporti con la più ampia cornice socio-culturale di
riferimento. Il neopaganesimo, infatti, ha mostrato una crescita esplosiva negli anni
'90 (Hardman e Harvey 1996:ix), mentre nel ventunesimo secolo questa crescita
esponenziale sembra essere rallentata e il paganesimo aver iniziato un periodo di
consolidamento6. Più che nello stabilire quantitativamente il numero di aderenti a
queste forme di religione, le analisi sociologiche e demografiche si rivelano piuttosto
assai utili nel tentativo di ricostruire l'identikit e le caratteristiche dei praticanti
comuni alle varie tipologie di neopaganesimo. Ad esempio, l'articolo di Jorgensen e
Russel, intitolato “American Neopaganism: The Participants' Social Identities”
(Jorgensen, Russel 1999) si propone di colmare la mancanza, altrove rilevata
(Campbell e McIver 1987), di un'indagine sistematica sulle caratteristiche costitutive
degli appartenenti al movimento. Con l’analisi dei risultati di alcuni questionari
distribuiti nel 1996 ad un campione mirato di oltre 2.000 neopagani situati negli Stati
6 Da analisi preliminari risalenti a quasi un decennio fa, venne stimato che esistano circa
500000 neopagani in Gran Bretagna e più del doppio negli Stati Uniti (Lewis 2007). Uno
studio di Ronald Hutton ha comparato molte differenti fonti (liste di membri delle
organizzazioni, mailing list, iscrizioni alle riviste pagane), stimando in 250000 unità i
pagani nel Regno Unito. Un dato inferiore proviene dalle statistiche del CENSUS (2001),
anno in cui viene data la possibilità di poter scrivere la propria affiliazione religiose se
non presente nella lista fornita. 46262 persone provenienti da Inghilterra, Scozia e e
Galles si dichiararono “pagane”, dato che la Pagan Federation aveva incoraggiato tutti a
scrivere lo stesso termine pagano per massimizzare il risultato. Nel 2011 fu reso possibile
descrivere se stessi come pagani-wiccani, pagani druidi e così via. In Inghilterra e Galles
80.153 descrissero se stessi come pagani o comunque appartenenti a vari sottogruppi del
paganesimo.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Uniti, essi ricavarono informazioni utili su età, sesso, reddito, occupazione,
istruzione ed etnia. Fornirono, oltre a questi dati, importanti informazioni relative
alle motivazioni di aderenza al culto, alla tipologia di coinvolgimento nelle ideologie
e pratiche del movimento e alle scelte di identificazione con le particolari
sottocategorie o “tradizioni”. I due ricercatori, che avevano compiuto ricerca sul
campo nei dieci anni precedenti (Jorgensen 1989, 1996; Russell 1998), colmarono i
dati quantitativi con quelli qualitativi ottenuti con la loro esperienza. Questa
relazione, nonostante la limitatezza dei dati, fornisce un'utile base empirica per
ulteriori ricerche. Un lavoro simile è stato condotto per il territorio del Canada da
Síân Reid in occasione della sua tesi di dottorato, intitolata Disorganized
Religion:An Exploration of the Neopagan Craft in Canada (2001), per cui, dopo aver
diramato un appello attraverso una rivista pagana, “Hecate's Loom”, condusse delle
interviste strutturate a coloro che si dimostravano disposti a rispondere al suo
questionario. Comparò poi i dati ottenuti con i profili demografici generali del
Canada, cercando di capire come i praticanti costruissero la propria personalità
sociale. Nel 2003, Helen Berger, con Evan A. Leach e Leigh S. Shaffer, hanno
condotto una ricognizione nazionale dei pagani per Voices from the Pagan Census: A
National Survey of Witches and Neo-Pagans in the United States (Berger, Leach e
Shaffer 2003). Gli autori dello studio cercano di rintracciare una serie di differenze
tra i neo-pagani e la popolazione statunitense, per quanto riguarda, ed esempio la
credenza nell'aldilà, le concezioni relative al genere ed alla sessualità, il rapporto con
le istituzioni politiche e religiose.
Lo studio delle attuali forme di paganesimo gode di uno specifico statuto all'interno
delle scienze umane, dato che l'interesse crescente degli studiosi di questi movimenti
religiosi
ha dato vita ad uno specifico indirizzo di ricerca conosciuto con
l'espressione anglosassone di “pagan studies”. Questi prendono l'avvio con le prime
analisi su credenze e pratiche rituali di neopaganesimo apparse tra la fine del 1970 e
il 1980 e pubblicate da note studiose come Margot Adler (Adler 2006) e Tanya
Luhrmann (Luhrmann 1989), alle quali si può affiancare il sociologo statunitense
Marcello Truzzi, che nel 1972 ha scritto un interessante saggio sull'evoluzione della
figura della strega nelle religioni contemporanee (Truzzi 1972). Tuttavia, è solo a
partire dagli anni '90 del '900 che gli studi pagani raggiungono uno sviluppo
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
significativo, grazie soprattutto alle opere di Graham Harvey (1997, 2000, 2007) e
Chas S. Clifton (Clifton 2006). Si tratta di un campo di indagine fortemente discusso
dal mondo accademico al quale, però, si deve il merito di dedicare la propria
attenzione ad un fenomeno emergente, spesso trascurato dalle metodologie di
indagine più tradizionali. Allo stesso tempo, il rapporto tra gli studiosi che
aderiscono a questo orientamento e la comunità dei pagani certe volte ha mostrato
tensioni, poiché i praticanti tendono a respingere ogni interpretazione di tipo
scientifico-accademico della loro fede (Tully 2011). Un'introduzione utile ai pagan
studies è senza dubbio Researching paganisms, opera pubblicata a cura di Jenny
Blain, Douglas Ezzy e Harvey Graham, in cui numerosi studiosi di questo
orientamento discutono delle proprie metodologie di indagine (Blain, Douglas,
Harvey 2004). Inoltre, è da tenere presente la rassegna bibliografica indicata in
Introduction to pagan studies di Barbara Jane Davy (2007).
Ai fini di questa ricerca, tuttavia, dato il gran numero di letteratura disponibile,
ciò che maggiormente interessa sono le attuali documentazioni etnografiche delle
forme contemporanee di magia e stregoneria che devono essere precedute e/o
affiancate da relative indagini non solo sulla stregoneria ma, più in generale, sugli
attuali movimenti di adesione al neopaganesimo. A questo proposito, risultano utili le
opere introduttive allo studio delle forme attuali di religiosità e, più specificatamente,
sul paganesimo contemporaneo, che forniscono le informazioni propedeutiche
essenziali e sono indicative dalla vastità di approcci all'argomento (York 2005,
Strmiska 2005). Alcune di queste introduzioni, come l'opera della sociologa Margot
Adler, “Drawing down the Moon” (Adler 2006) e quella di Graham Harvey Listening
People, speaking earth (Harvey 2007), sono state spesso accusate di fornire un punto
di vista troppo emico del fenomeno e di costituire l'oggetto dell'attenzione dei neopagani piuttosto che degli accademici. Inoltre, per la multidisciplinarità degli
approcci proposti, appare abbastanza interessante il volume Handobook of
contemporary paganism (Pizza, Lewis 2009), che, a differenza di altre antologie,
contiene contributi di studiosi che possiedono adeguate credenziali di tipo scientifico,
in quanto appartenenti al mondo accademico. Ciò nonostante, i contributi dell’opera
spesso presentano una prospettiva emica al fenomeno, soprattutto quelli realizzati
dagli aderenti ai pagan studies; mentre gli storici delle religioni mantengono un
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
approccio scientifico abbastanza distaccato.
Solo dopo un'attenta lettura di queste opere ci si può dedicare a quelle che
hanno come oggetto specifico la stregoneria contemporanea, tenendo conto del fatto
che questo tema costituisce uno dei più fecondi terreni di indagine (Carpenter 1996;
Melton 1992; Scarboro, Campbell, e Stave 1974; Pike 1996). Alcuni di questi
studiosi considerano la stregoneria come la componente più ampia del paganesimo
contemporaneo (Hutton 1999:201–205), che comprende al suo interno un gruppo
assai eterogeneo di pratiche e credenze tipiche di diverse “tradizioni”. Una delle più
importanti è senza dubbio la wicca, religione duoteista basata sulla venerazione di
una divinità femminile e di una maschile e che incorpora elementi di svariate antiche
mitologie, particolari pratiche magiche, una tendenza alla connessione spirituale con
il mondo naturale e, in alcuni casi, la credenza nella reincarnazione e nel karma. La
figura di riferimento per la nascita della wicca è l'esoterista inglese Gerald Gardner,
che nel 1939 dichiarò di aver ritrovato, nell'area di New Forest (Inghilterra
meridionale), una congrega superstite che portava avanti l'antica tradizione del witch
cult descritto da Murray. Sull’argomento circa la presunta esistenza della congrega di
cui parla Gardner, nel 1939, gli studiosi hanno avviato un acceso dibattito. Gardner
ha comunque dato vita alla propria variante della wicca (detta, appunto, stregoneria
garderiana o variante garderiana della stregoneria), fondando, di fatto, tra gli anni
'50 e i primi anni '60 del ‘900, alcune congreghe nel Regno Unito (Clifton 2006:1416; Hutton 1999; Kelly 2007).
Per cercare di dirimere la questione delle differenziazioni interne al
movimento, gli studiosi hanno analizzato le motivazioni più o meno coscienti dei
praticanti, anche per quanto riguarda l'utilizzo delle nuove forme religiose con scopi
materialistici, in relazione, cioè, al giro di affari e di potere che vi ruota attorno. Gli
esiti di questa impostazione nel campo dei pagan studies sono stati piuttosto
controversi, poiché, pur possedendo l'indubbio merito di tentare una distinzione
interna, hanno finito con il privilegiare alcune forme di stregoneria piuttosto che
altre, in un rudimentale tentativo di stabilire le caratteristiche di una presunta “vera”
stregoneria. La progressiva volgarizzazione e diffusione disorganizzata delle
credenze e pratiche neo-pagane a livello popolare, quindi, ha talvolta provocato la
reazione avversa di alcuni studiosi, che hanno bollato alcune delle forme
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
contemporanee del
paganesimo popolare come “stregoneria modificata” (Ezzy
2001) o “stregoneria new age” (Ezzy 2003). Allo stesso modo, Melissa Harrington
sostiene che i riti utilizzati al di fuori della Wicca istituzionalizzata non possono
essere considerati wiccan o pagani, ma, nel caso della stregoneria new age, sarebbe
più corretto che vegano definiti “wiccan derived rituals”, ovvero di forme rituali
derivate dalla wicca ma prive di molti elementi caratterizzanti (Harrington
2007:445).
L'interdisciplinarità di cui sono dotati i pagan studies si riflette inevitabilmente
anche sull'analisi della stregoneria contemporanea, e i contributi in materia sono
l'esempio della diversità di approcci metodologici e tematici che possono essere
applicati allo studio delle forme contemporanee di religiosità. Sono un'utile
introduzione storica le opere di Ronald Hutton The pagan religions of the Ancient
British Isles (1991) e The triumph of the moon (1999). Se alcune opere, come
Drawing down the moon di Margot Adler (1979) e A community of Witches di Berger
(1999) utilizzano un approccio specificatamente sociologico allo studio della
stregoneria contemporanea, l'approccio antropologico e la relativa metodologia sono
stati applicati con successo. Alcune monografie, in particolare, hanno finito con il
costituire,
per ragioni diverse, le letture propedeutiche basilari. Si tratta, nello
specifico, di Persuasions of the Witch's Craft di Tanya Luhrmann (Luhrmann 1989),
Witchcraft and paganism in Australia di Lynn Hume (Hume 1997), Never again the
burning times di Loretta Orion (Orion 1995); Magic, Witchcraft and the Otherworld
di Susan Greenwood (Greenwood 2000), e, infine, anche Witching Culture, di Sabina
Magliocco (Magliocco 2004). L'opera di Tanya Luhrmann, che risale alla fine negli
anni '80 del secolo scorso, si propone di documentare le ideologie ed i rituali condotti
da un gruppo di praticanti wiccan tra Londra e Cambridge (Luhrmann 1989).
Luhrmann considera le credenze e le pratiche osservate una sorta di “sviluppo
urbano” della stregoneria, dato che, nonostante i siti che gli adepti consideravano
“sacri” si trovassero prevalentemente in aree rurali, la stregoneria contemporanea si
concentrava, prevalentemente a Londra. Proprio in città si trovavano, infatti, librerie
e negozi specializzati in materiale di occultismo che costituivano punti di ritrovo per
i praticanti che, afferma Luhrmann, appartenevano alla classe media e con grado di
istruzione e posizione lavorativa addirittura medio-alta. L'opera di Lynn Hume
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
(Hume 1997), sfortunatamente ora non più in stampa, invece contiene gli esiti di una
ricerca sul campo durata cinque anni tra le comunità pagane del Canada e
dell'Australia; durante l’indagine, oltre ad aver compiuto interviste più o meno
formalmente strutturate, Hume partecipò a vari incontri, festivals e convegni. L'opera
condivide con quella di Luhrmann l'impostazione prettamente descrittiva, tanto che
quando Emma Tomalin, della Lancaster University, recensisce il lavoro, ne critica
l'impostazione, affermando che l’interesse di Hume fosse più focalizzato a fornire
una sorta di panoramica delle credenze e pratiche contemporanee piuttosto che ad
esplorarne le implicazioni politiche e sociali più ampie. (Tomalin 1999:174-175).
Invece, è diverso lo scopo dell'opera di Loretta Orion (Orion 1995:142), che si
propone di analizzare le modalità attraverso cui la stregoneria inglese contemporanea
è stata importata negli Stati uniti, modificando molte delle sue caratteristiche.
Secondo la Orion, la stregoneria attuale americana ha uno stile rituale meno formale
ed incorpora alcuni aspetti dello sciamanesimo dei nativi americani. Ad esempio,
viene riposta parecchia enfasi sulla concezione della terra come essere divino, che
costituisce, allo stesso tempo, un'evidente eredità delle forme cultuali dei nativi e una
similitudine con i movimenti contemporanei ambientalisti. Inoltre, i devoti
aggiungono al corpus di credenze tipiche della tradizione inglese gli apporti della
psicoterapia e della medicina naturalistica. Gli americani, inoltre, dal canto loro
spesso sono meno aperti sulle credenze e pratiche rispetto alla loro controparte
inglese; mentre Lurhmann (1989:339) aveva rilevato che una delle caratteristiche
tipiche della stregoneria contemporanea inglese fosse, appunto, il clima di relativa
tolleranza di cui queste forme di spiritualità possono godere. Il valore scientifico
delle opere di Susan Greenwood è stato da più parti messo in discussione. Aldilà
delle ricadute emiche di parte del suo lavoro, l'indubbio merito di Greewnwood è
quello di aver riconosciuto condizioni di stati alterati di coscienza nella pratica
dell’attuale stregoneria. L'autrice ha pubblicato, infatti, un gran numero di opere
relative alla “magical consciousness”, ossia al raggiungimento di uno stato mentale
in grado di far accedere il possessore al mondo della spiritualità di parlare con gli
spiriti e sperimentare un senso di connessione con loro, condizioni assai apprezzate
nei circuiti neopagani (Greenwood 2000, 2005). Sabina Magliocco coniuga, invece,
nel suo lavoro la sua storia personale di conversione al paganesimo con la riflessione
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
accademica, partendo dal presupposto che la tradizionale analisi distaccata deve
essere necessariamente sottoposta a procedure di rinegoziazione.
Data la pubblicazione di numerose opere introduttive al tema, la maggior parte
dei contributi in materia di stregoneria e neo-paganesimo tende oggi ad analizzare il
fenomeno restringendone notevolmente i confini, spaziali o tematici, e a
concentrarsi, data anche l'eterogeneità del movimento, su singole nozioni,
caratteristiche o specificità.
Vengono così analizzate le simbologie e le etiche ricorrenti, che differenziano
la wicca dalle altre forme di religiosità. Brandon J Harwood cerca di stabilire quali
siano i concetti-base dell'etica wiccan analizzando le opere degli scrittori del
movimento (Harwood 2007), mentre Lynne Hume analizza lo spazio sacro dei
praticanti in relazione alla figura del cerchio come rappresentazione simbolica della
cosmologia Wiccan (Hume 1998).
Allen Scarboro & Philip Andrew Luck analizzano il carattere controculturale e
oppositivo della wicca americana nei confronti della cultura dominante (Scarboro,
Luck 1997). I valori, le credenze e le ritualità della wicca causano infatti fastidi e
opposizioni in chi fa parte del mainstream culturale, come dimostra Titus Hjelm nella
sua analisi della Wicca in Finlandia. I finlandesi utilizzano diverse strategie per
legittimare la propria religione, in una situazione in cui i media e le autorità hanno
etichettato il movimento in termini negativi, come satanico, come frutto del recente
boom delle opere di Harry Potter o come una non-religione (Hjelm 2006). Taira
Teemu analizza invece lo sviluppo del movimento wiccano in Finlandia, che non è
riuscito ad ottenere lo status di una comunità religiosa registrata, come esempio del
fatto che un gruppo religioso comprende una vasta gamma di interessi sociali e dei
rapporti di forza tra stessi praticanti nella società, in generale, e anche tra gli studiosi
di religione. Per descrivere e analizzare questo caso particolare, l'autrice ipotizza che,
anche se la categoria della religione è diventato piuttosto ambivalente, lo studio della
'religione' come tecnica discorsiva costituisce un compito importante per gli studiosi
dei nuovi movimenti spirituali (Teemu 2010).
Lo studio delle relazioni tra l'identità di genere e i riti e le credenze della
stregoneria costituisce un approccio molto in voga. Lynda L considera la wicca una
religione centrata sulle donne, un approccio femminista alla religione che fornisce
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
modelli alternativi per il genere femminile (Warwick 1995). Alcuni autori hanno
infatti analizzato la significativa sovrapposizione tra la teologia cristiana e la
spiritualità della stregoneria con l'annesso culto della dea di stampo femminista,
menzionata in Cusack (Cusack 2012:350-351) e Salomonsen (Salomonsen 2002:363)
e approfondita da Cristel Manning (Manning 1996). Susan Harper ha invece
analizzato la bisessualità femminile in una comunità neopagana del Texas. Sulla base
di interviste e osservazione partecipante, Harper analizza i vari modi in cui la
bisessualità femminile viene concepita all'interno di un contesto neopagano,
stabilendo un collegamento con la teologia.
Un fecondo campo di ricerca riguarda, inoltre, il rapporto tra queste forme
contemporanee di magia e stregoneria e il ruolo della fantasia e dell'immaginazione.
Sabina Magliocco, ad esempio, data la sua formazione nel campo degli studi
folklorici, sottolinea il ruolo fondamentale della fantasia nei movimenti pagani
contemporanei. I pagani californiani intervistati si dimostravano infatti molto
interessati alla mitologia ed al folklore, e con le suggestioni ricevute da queste
letture tendono ad immaginare un mondo di natura incontaminata, una sorta di
Medioevo popolato da streghe, stregoni e personaggi fantastici; inoltre, nota che
nelle proprie mitologie i pagani cercavano di ricreare, in qualche misura, questo
mondo (Magliocco 2004:40-55). Parte della letteratura sull'argomento cerca quindi di
stabilire il ruolo dell'immaginazione e della creatività degli aderenti, in relazione,
soprattutto, alle produzioni culturali (documentari, opere divulgative, programmi
televisivi) e alle opere di fiction che propongono immagini e concezioni relative alle
streghe e alla stregoneria (Ezzy 2003). Adam Possamai analizza le forme di
appropriazione della storia (propria e altrui) , che sono tipiche delle religioni
alternative, considerandole come una caratteristica tipica della cultura popolare
contemporanea. Queste caratterizzazioni, afferma, sono evidenti tra i gruppi che
trovano ispirazione per la loro spiritualità dalle storie di vampiri oppure dal mito di
Star Wars, e fanno parte della logica culturale del tardo capitalismo . Per riferirsi a
queste nuove religioni basate sulla cultura popolare ha coniato il termine di
“religioni iper-reali” (Possamai 2003). Markus Altena Davidsen, invece, analizza il
fenomeno dei movimenti religiosi ispirati alla narrativa popolare preferendo al
termine di Adam Possamai quello di “fiction-based religions”, per indicare forme di
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
spiritualità che non pretendono di riferirsi al mondo reale, ma creano un mondo
immaginario nel momento in cui i racconti di finzione sono usati come testi per la
pratica religiosa vera e propria (Davidsen 2013). Questo problema in specifica
relazione alla wicca è stato esaminato da Graham Harvey (Harvey 2000, 2006), ma,
come alcuni autori hanno sottolineato, rimane ancora da fare molto lavoro. Lo storico
delle religioni Chas Clifton, della Colorado State University, ha sottolineato a questo
proposito che “l'interazione tra la fiction scientifica/speculativa, la Wicca e le altre
forme di Paganesimo necessita di ulteriori speculazioni. È un libro che aspetta di
essere scritto, probabilmente più libri” (Clifton 2006:4). Studiando l'affermazione
della Wicca e del paganesimo negli Stati uniti, Clifton sostiene che la Wicca sia una
“religione testuale”, data l'attenzione costante dei praticanti verso libri e periodici,
che possiedono un ruolo centrale nell'iniziazione e nella pratica della wicca. Clifton
analizza i testi-chiave che stanno alla base del movimento neo-pagano americano.
Inoltre, gli studi neopagani costituiscono spesso la base teorica per l'avvicinamento
alla conoscenza ed alla pratica della stregoneria contemporanea. Questo non solo
perché gli aderenti tendono spesso, a documentarsi, leggendo le opere che trattano
della loro religione, a prescindere dalla loro origine e connotazione; ma anche, e
soprattutto, perché gli intellettuali interni al movimento come, ad esempio, Susan
Greenwood e Michael York, ricorrono spesso ad uno stile accademico e si servono
spesso di citazioni di opere scientifiche per legittimare il proprio pensiero. Da qui,
reazioni critiche come quella di Markus Davidsen che sostengono che “i pagan
studies contribuiscono più allo sviluppo ed alla promozione del paganesimo che allo
studio critico dei movimenti pagani” (Davidsen 2012:194-195, per l'analisi del
dibattito sviluppatosi in Nord America tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso vedasi
McCutcheon 1999).
Tanice G Foltz, nel suo contributo all'opera collettanea di Berger (Berger
1999), non si limita ad elencare le rappresentazioni della stregoneria elaborate dai
massmedia. Scrive, piuttosto, delle “modificazioni della stregoneria”, ovvero dei
cambiamenti nelle ideologie e pratiche magiche dovuti alle ingerenze di un mercato
globale che, da una parte, offre attraverso i media rappresentazioni spesso romanzate
e distorte dell'universo culturale neo-pagano e, dall'altro, produce beni per gli
aderenti al culto, che finiscono con considerarli necessari. Douglaz Ezzy stabilisce
116
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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una distinzione tra forme di magia nera e di magia bianca, sostenendo che queste
ultime, enfatizzando tra gli scopi la crescita personale, la salute ed il successo nella
salute, siano diventate una forma di self empowerment, elidendo il lato oscuro della
stregoneria tradizionale (Ezzy 2006). Questa stregoneria basata sul consumo non
contesta o mette in discussione gli obiettivi e i valori del capitalismo consumistico,
ma li celebra esplicitamente. Ponendosi esplicitamente in relazione con il contributo
di Ezzy, Denise Cush analizza la produzione un settore in crescita tra la fine degli
anni 1990 e 2000, ovvero il mercato di libri, riviste, kit, film, programmi televisivi e
siti Internet sulla stregoneria rivolti agli adolescenti, in particolare alle ragazze.
Tramite l'analisi dei materiali disponibili e delle interviste, l'autrice dimostra se i
giovani sono vittime inerti di interessi commerciali, sostenendo che molti di quei
giovani che si identificano come streghe o pagani non sono semplici consumatori di
materiali, ma sono pensatori critici ben informati, in grado di articolare le proprie
prospettive spirituali e teologiche (Cush 2007).
Alcune analisi si concentrano, inoltre, sul ruolo dei bambini e degli adolescenti
nella pratica della wicca e delle altre forme contemporanee di stregoneria. Negli Stati
Uniti, basandosi sul paganesimo, la sociologa Margot Adler aveva affermato che i
gruppi pagani contemporanei non praticano proselitismo, mentre sono spesso i nuovi
adepti a ricercare gruppi organizzati in cui praticare il culto (Adler 2006:13). Anche
Helen Berger aveva analizzato il coinvolgimento dei minori nelle pratiche magicoreligiose contemporanee, considerandolo l'elemento di maggiore impatto sulle
possibili modificazioni future della Wicca negli Stati Uniti. Secondo Berger, i
bambini nati nella fede avrebbero agito come guardiani della coerenza delle pratiche
magiche, sostituendo il ruolo che era stato precedentemente svolto dai neofiti della
comunità (Berger 1994).
Inoltre, sulla base delle evidenti differenze tra le caratteristiche del movimento
neo-pagano in America e in Europa, alcuni autori hanno concentrato la propria
analisi allo studio del contesto etnico, reale o percepito, di alcune credenze e
pratiche. Partendo dal presupposto che molte delle forme di neo-paganesimo e di
stregoneria contemporanea tendono ad attribuire un significativo valore alla natura,
alcuni studiosi hanno ipotizzato che la notevole diversità nel paesaggio
dell'Inghilterra, del Galles, della Scozia e dell'Irlanda, rispetto ad altri contesti,
117
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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sopratutto per quanto riguarda gli Stati Uniti, abbia inevitabili riflessi nelle forme di
vita religiose contemporanee, creando notevoli differenze. Questo non solo perché il
paesaggio delle regioni britanniche, dominato dalla presenza di circoli di pietra,
dolmen e altri monumenti derivati dalla presenza di tradizioni religiose precristiane,
costituisce lo scenario, il contesto di molti rituali neo-pagani, quanto, piuttosto, per il
fatto che la presenza di vestigia del passato è capace di influenzare l'immaginario dei
praticanti neo-pagani, dato che la Wicca, “basa molte credenze e tiri
sull'interpretazione sincretica dei materiai folklorici provenienti dal passato”
(Simpson 1995:122). L'interesse di molti antropologi e studiosi delle religioni va
dunque a concentrarsi sull'utilizzo cultuale e rituale dei monumenti storici, con la
conseguente analisi del rapporto tra concezioni storiche ufficiali e alternative le
conseguenti suddivisioni di spazi e competenze tra praticanti e studiosi, sia per
quanto riguardo l'uso dei monumenti che per le interpretazioni delle loro funzioni ed
utilizzi in antichità (Blain and Wallis 2003, 2007; Cusack 2012; Lucas 2007;
Rountree 2006; Wallis et al. 2001; Wallis 2003, 142–94; White 2014; Worthington
2009).
Molti antropologi, inoltre, si concentrano su un'ulteriore, diretta derivazione
dei legami ideologici che il paganesimo e la stregoneria contemporanei intrattengono
con la storia e l'ambiente, relativa alle connotazioni etniche od etnicistiche che queste
correnti magico-religiose possono assumere. Ad esempio, è stata ampiamente
indagata l'attributo celtico (Bowman 1993, 1995) dato a queste forme magico
religiose contemporanee, dove per celtico si riferisce alle “tradizioni di Gran
Bretagna e Irlanda combinate, dato che questi Paesi condividono temi e storie
comuni” (Matthews 1992). Alcuni studiosi, partendo dal presupposto che buona parte
dei significati della wicca, in particolare, e del neopaganesimo, più in generale, siano
da ricondurre ad un identità ed una legittimazione nazionalista, analizzano le
declinazioni etnicistiche dei culti contemporanei, soprattutto in relazione al
paganesimo nordico (Kaplan 1997; Gardell 2003). Un'area molto interessata da
questi fenomeni è l'area sovietica, in cui il paganesimo assume forti connotazioni
razziste, come dimostra un contributo di Victor Shnirelman (Shnirelman 1998) e
quello di Sergei Filatov e Aleksandr Shchipkov, che analizzano il legame tra
nazionalismo e paganesimo nella regione del Volga.
118
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
1.1.5. Neosciamanesimo. Nell'ultimo cinquantennio, lo studio dello sciamanesimo si
è aperto a nuove prospettive, teoriche ed etnografiche, con l'analisi di ciò che in
letteratura scientifica viene definito “neo-sciamanesimo”. Si tratta di una nuova
corrente ideologica abbastanza diffusa in Europa e in Nord America, luogo in cui il
fenomeno ha avuto origine e in cui è fortemente radicata quella che l'antropologo
Roger Walsh ha definito una cottage industry, un'industria autoctona di promozione
culturale della pratica sciamanica (1989:1).
Specificatamente, con il termine “neo-sciamanesimo” viene descritta la tendenza in
atto nel mondo occidentale di far vivere (o ri-vivere, secondo l'intenzione degli attori
sociali coinvolti nel fenomeno) concetti ed esperienze tratti dallo sciamanesimo in
contesti culturali diversi rispetto a quelli di origine. Questa tendenza ha origini
recenti, nella controcultura degli anni '60, fondata sulla critica al mainstream
culturale e sull'adozione della spiritualità new age, con enfasi particolare su valori
quali l'accrescimento personale e la difesa dell'ambiente. (Morris 2006:34)
L'espressione “neo-sciamanesimo” viene utilizzata da alcuni con lo scopo di
sottolineare una differenza sostanziale tra le ideologie ed esperienze sciamaniche
contemporanee e quelle che, identificate con la definizione di “sciamanesimo
tradizionale”, sono state tramandate senza soluzione di continuità all'interno di
specifiche tradizioni culturali (Hoppàl 2000:89). Allo stesso tempo, rappresenta una
precisa scelta teorica di denuncia nei confronti dell'uso indiscriminato e
confusionario del termine “sciamanesimo” nella letteratura di settore. (Townsend
2005:1)
Altri studiosi hanno, però, aspramente criticato questa distinzione, che non
sembra altro che riproporre in nuovi termini quella tra società primitive e moderne,
ignorando colpevolmente il fatto che la tradizione sia un processo di selezione,
creazione e appropriazione di significati, etiche e ritualità. Chi ritiene troppo rigida
una differenziazione tra “vecchio” e “nuovo” sciamanesimo, per indicare le forme
contemporanee di pratica sciamanica, preferisce utilizzare espressioni come
“sciamanesimo urbano” o “sciamanesimo occidentale moderno” (Humphrey 1999;
von Stuckrad 2002:772-773). Lo storico delle religioni Ronald Grimes, invece, ha
coniato l'espressione “parasciamanesimo” per distinguere lo sciamanesimo dalla sua
“manifestazione postmoderna” (Grimes 1982:259) e parla di “live religious studies”,
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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poiché gli sciamani contemporanei spesso non compiono un apprendistato magico,
ma imparano lo sciamanesimo dai libri.
Vari autori hanno dedicato la propria analisi alla ricerca delle motivazioni che
hanno portato la cultura popolare occidentale a questa riscoperta di uno
sciamanesimo riconfigurato in una chiave romantica. L'antropologo americano Paul
C. Johnson ha paragonato lo sciamanesimo praticato dal popolo Shuar (Ecuador) con
alcune pratiche neosciamaniche. Queste ultime si differenziano notevolmente,
secondo Johnson, da quelle tradizionali, perché diverso è il retroterra culturale su cui
esse si basano. Le nuove forme di sciamanesimo, infatti, costituiscono un
significativo esempio di quella “modernità radicale” ben descritta, a suo tempo, da
Anthony Giddens (1990:45-54), poiché nella società postmoderna hanno luogo
alcuni fenomeni che costituiscono un fertile terreno su cui le nuove ideologie
religiose nascono e si rafforzano:
1) the rationalization of society which relies on (2) universal, standardized
conceptions of time and space and (3) the confrontation with a plurality of
religions, which leads to (4) a focus on individual agency, choice, ‘needs’
and preference in the religious ‘marketplace’, and (5) an obsession with the
‘self’, subjectivity and reflexivity; (6) the discourse of mobility—
individuals are free and capable of converting to any religious system in
any place and at any time because (7) space is phantasmagoric and
dislocated from place—there are not really sacred spaces but rather only
sacred states of mind and sacred relationships with abstract deities.
(Johnson 1995:174)
Alla base della nascita e diffusione di nuove forme di sciamanesimo, quindi, starebbe
secondo Johnson una razionalizzazione della società, legata a concezioni universali e
standardizzate di spazio e tempo e al confronto con una pluralità di religioni, che
permette agli individui di poter scegliere la propria inclinazione spirituale come un
prodotto collocato in un ipotetico “mercato religioso”. Ciò fa in modo che gli
individui pongano l'accento sulla propria riflessività e soggettività, e risultino liberi e
capaci di convertire qualsiasi sistema religioso, in un mondo in cui non esistono
spazi sacri ma solo sacri stati psicologici e sacre relazioni con dei astratti e solo
vagamente caratterizzati. Occorre quindi, secondo Johnson, rintracciare le origini
delle nuove forme di sciamanesimo in specifici modelli di interazione sociale.
Spesso, gli aderenti alle forme contemporanee di sciamanesimo tendono ad
enfatizzarne il carattere di forma di spiritualità basata sulla terra, nella convinzione
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che, attraverso l'esperienza sciamanica ed il contatto con il mondo degli spiriti, le
persone diventino abili a riscoprire la propria “connessione con la natura”. In questa
“nuova visione del mondo” (Morris 2006:359), gli uomini vengono considerati parte
intrinseca del mondo naturale.
Il neo-sciamanesimo viene quindi da alcuni considerato una “prospettiva religiosa
che venera la natura” (Drury 1989:102), una sorta di “nature religion” (Albanese
1991)7 basata su “l'interconnesione di tutte le cose” (Townsend 1988:79-83) e su
un'etica di ritorno alla natura frutto di una lettura romanzata dei resoconti etnografici.
(Siikala e Hoppal 208-209).
Nelle sue molteplici manifestazioni, inoltre, il neo-sciamanesimo offre ai propri
aderenti ideologie e pratiche che si pongono in opposizione alle religioni
istituzionali, bypassando le gerarchie tradizionali delle istituzioni religiose e
politiche. Per questo, gli affiliati al neo-sciamanesimo ne sottolineano spesso le
qualità democratiche, dato che la conoscenza sacra non è incamerata in una dottrina e
non esistono individui col compito esclusivo di tramandarla, (Houston 1987: viii).
Gli aderenti al neosciamanesimo creano autonomi sistemi di credenze basati su
diverse tipologie di fonti, poiché, come afferma Jane Townsend, “in a movement
such as modern shamanic spirituality, it would be almost impossible to limit access
to sacred knowledge because of the variety of media and network information
systems available, the individualistic nature of the movement, and the fluid
relationships between leaders and seekers.” (Townsend 2004:53, cfr. anche
1999b:117)
Per alcuni versi, il neosciamanesimo può essere considerato un revival della
tradizione spiritualista. La realtà viene concepita come suddivisa in tre gradi: un
mondo superiore, o upper world; la realtà ordinaria, che costituirebbe il middle
world; e il lower world, il mondo sotterraneo. Entrando in uno stato alterato di
coscienza, qualsiasi individuo “illuminato” può viaggiare in una realtà alternativa,
popolata da spiriti di varia natura, per ottenere le informazioni necessarie all'aiuto e
alla cura delle persone nella realtà ordinaria. Esiste, inoltre, la credenza in spiritiguida benevoli, raffigurati come animali dotati di poteri (power animals), che
7Susan Greenwood descrive la “nature religion” come “un insieme di ontologie spirituali
che, pur basandosi su differenti concezioni della natura, condividono la credenza in un
universo sacro ed interconnesso. (Greenwood 2005:IX, trad.)
121
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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conducono una lotta contro gli spiriti malvagi (Jakobsen 1999:186). Manca, però,
nelle ideologie contemporanee, il cruciale collegamento tra i power animals e
l'esercizio della caccia, presente in molte popolazioni tradizionali, come gli Inuit e gli
Evenki. (Hoppál 2005) Queste nuove forme di sciamanesimo, comunque,
“possiedono un fascino speciale su quelle persone che ricercano una trascendenza,
poiché offrono la possibilità di un potenziale contatto diretto con il mondo
spirituale”. (Townsend 2004:49, trad.)
Il forte interesse della cultura popolare nei confronti dello sciamanesimo si
sviluppa parallelamente al periodo di massima fioritura degli studi accademici, ed è
proprio incorporando molte delle nozioni da questi elaborate che si sviluppa il
movimento neo-sciamanico, per cui la diffusione di ideologie e pratiche neosciamaniche costituisce una lettura e rivisitazione, più o meno coerente, di alcune
opere etnografiche. In altre parole, gli aderenti al neo-sciamanesimo trasformano le
riflessioni dei teorici occidentali in azioni concrete, con l'incorporazione delle
pratiche sciamaniche lette sui libri in un repertorio rituale personale che costituisce
un'alternativa alle categorie culturali ed etiche dell'Occidente.
Nello specifico, assumono particolare rilievo nella creazione di nuove
ideologie sciamaniche le opere di Carlos Castaneda (1968; 1971; 1972; 1974; 1977;
1981; 1984; 1987, 1993, 1998; 1998, 1999), la cui “frode” etnografica è ormai
largamente riconosciuta8. La pubblicazione della prima opera di Castaneda, The
8 L'autenticità delle sue opere, infatti, è stata da più parti messa in discussione, ed è ormai
ampiamente dimostrato che Carlos Castaneda abbia inventato gran parte dei particolari
narrati nei suoi libri, o abbia perlomeno colmato un lacunoso lavoro di campo con la sua
fertile immaginazione Per un riassunto della questione vedasi ciò che hanno scritto Mary
Douglas (1975:193-200) e Nevill Drury (1989:81-7). Uno dei critici più severi di Castaneda
è Richard De Mille, che nel suo Castaneda's journey: The Power and the Allegory (1976),
mette dettagliatamente alla prova la veridicità del lavoro di Castaneda. La questione viene
analizzata anche in un'altra opera di cui egli è curatore, The Don Juan Papers: Further
Castaneda Controversies (1980), che presenta gli argomenti di entrambe le fazioni allora
createsi, tra chi ne biasimava l'operato e chi, tra i sostenitori di Castaneda, sottolineava
invece la validità del mito aldilà della veridicità dei fatti etnografici riportati (per un'analisi
contemporanea di questo atteggiamento, v. Hardman in Lewis, Hammer 2007:38-55).
Nell'opera curata da de Mille, Mary Douglas sottolineava il fatto che “one of the intriguing
aspects of [Castaneda’s] series for anthropologists is to read it as a struggle between two
sets of teachers, UCLA versus the old Indian sorcerers”. (Douglas 1980:26). A favore della
propria tesi, De Mille sottolineava la misteriosa perdita o distruzione delle note di campo di
Castaneda e l'incongruenza di alcune delle date e dei luoghi citati, nonché uno specifico
episodio di plagio, il racconto del cosiddetto “salto dalla cascata”, che riprende
pedissequamente la narrazione di un fatto compiuto dallo sciamano di etnia Huichol Ramòn
122
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Theachings of Don Juan, è stata descritta da Joan Townsend come “l'evento più
significativo” per la diffusione del neo-sciamanesimo (Townsend 1988:75).
Oltre alle opere di Castaneda, Daniel Noel (1997) cita Shamanic Voices (1979),
antologia di racconti sulle esperienze mistiche dell'antropologa americana Joan
Halifax, che si propone di descrivere “la perfezione di un passato senza tempo, il
paradiso di un'era mitologica (che) costituisce un potenziale esistenziale nel
presente.” (Halifax 1979:34, trad.)
Hanno avuto un impatto notevole, inoltre, i resoconti etnografici di Michael J.
Harner, autorità indiscussa del movimento neo-sciamanico e autore di opere letterarie
dal vastissimo successo editoriale. La sua opera più famosa, The Way of the Shaman
(1980), che racconta la sua esperienza di etnografo presso due popolazioni, i Jivaro
dell'Ecuador e i Conibo dell'Amazzonia Peruviana negli anni 1956-57, è stata
definita da Daniel Noel (1997:37) il “devotional tract” del nuovo movimento.
Harner presenta l'opera come un manuale di “metodologia sciamanica per la cura e
la salute” (1980:XXI), inaugurando una precisa corrente delle ideologie neosciamaniche da lui definita “core shamanism”. Dato che per Harner e seguaci il
rituale sciamanico mira a preservare la salute ed il benessere dell'individuo, il coreshamanism ha come scopo principale l'aiuto e la protezione di se stessi e degli altri.
Per questo viene ricercato un contatto con il mondo degli spiriti tramite uno stato di
coscienza alterato, ottenuto con la musica e il canto, dato che Harner nelle sue
sessioni sciamaniche non consente l'utilizzo di droghe. Nel core shamanism, la
malattia è conseguenza della perdita dell'anima o di uno spirito guida, oppure
dell'intrusione di uno spirito negativo. Se il problema è un'intrusione, il guaritore
deve andare nel mondo degli spiriti per determinare la causa e rimuoverla. Come
spiega Harner (1980:150-2), il metodo da utilizzare in questi casi è la suzione,
simbolica, mirata alla rimozione dell'essenza spirituale intrusa, generalmente
raffigurata come un insetto, un ragno o un serpente. (Harner 1973, 1980; Grimaldi
1997; Townsend 1997a) Appare subito evidente quindi, che il core-shamanism, pur
Medina Silva e riportato dall'antropologa Barbara Myerhoff. Daniel Noel (Noel 1997:42-62)
e i rappresentanti della cultura Yaqui hanno definitivamente demolito la reputazione di
Castaneda, mentre Ward Churchill asserisce che Castaneda, “writing bad distortions and
outright lies about indigenous spirituality for consumption in the mass market” (1996:355)
rappresenti uno degli esempi del colonialismo ideologico dell'Occidente nei confronti della
cultura dei nativi americani. (Churchill 1992: 43-64)
123
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
preservando il nucleo delle credenze sciamaniche, applica alcune innovazioni. Come
riassume efficacemente Johnson, esistono tre principali aree di innovazione, che
operano attraverso una procedura di “universalizzazione” (ossia una considerazione
dello sciamanesimo non strettamente collegata alla cultura di origine dello stesso) di
“individualizzazione” (lo sciamanesimo è plasmabile in base ai bisogni individuali)
e, infine, l'uso dello sciamanesimo come tecnica psicoterapica (Johnson 1995:171)
Questa ideologia si è rivelata piuttosto attraente per gli occidentali che non
hanno mai avuto esperienza diretta con lo sciamanesimo tradizionale e che, come ha
correttamente sottolineato Jacobsen, sentono il bisogno di ovviare a quello che
percepiscono come “un senso di vuoto sociale e spirituale” (Jacobsen 1999:151).
Daniel Noel, analizzando il core-shamism come un prodotto dell'immaginazione
occidentale, ha paragonato la figura di Harner a quella di mago Merlino (Noel
1997:92-8).
Pur
costituendo
una
derivazione
dei
movimenti
neo-sciamanici,
lo
sciamanesimo insegnato da Harner differisce da questi per alcuni elementi-chiave. Il
nucleo delle credenze è lo stesso; in entrambi i sistemi di pensiero risiede la
convinzione che esistano due realtà: una realtà materiale ordinaria e una realtà
alternativa (o spirituale), popolata da spiriti, anime dei defunti ed altre entità
variamente raffigurate. Sia il neo-sciamanesimo che il core shamanism, inoltre, non
prevedono l'esistenza di leaders spirituali istituzionalmente riconosciuti. Esistono
piuttosto delle guide spirituali, che organizzano workshop e laboratori, gestiscono i
pellegrinaggi verso luoghi simbolicamente connotati e contribuiscono a perpetuare i
caratteri generali delle pratiche, poi declinate da ciascun aderente in chiave
personale.
Esiste una forte differenza epistemologica che, come sottolinea Joan Townsend
(Townsend 2004:50), riguarda il principio di autorità. Per lo sciamanesimo
tradizionale ed il core shamanism la conoscenza dell'individuo illuminato deriva dal
suo contatto con gli spiriti. Per molti neo-sciamani, invece, questa viene dal
“profondo”, da una voce interiore, lasciando libero spazio alla rielaborazione
personale di significati, idee e valori condivisi.
La differenza fondamentale tra core shamanism e neo-sciamanesimo riguarda, però,
l'approccio nei confronti dello sciamanesimo tradizionale. Se il core-shamanism può
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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essere complessivamente considerato un approccio conservativo nei confronti delle
tradizioni sciamaniche, nel neosciamanesimo vi è una generale tendenza ad
incorporare aspetti caratteristici del neo-paganesimo e della new age, per cui si
utilizzano “immagini metaforiche e concetti idealizzati dello sciamanesimo, che sono
spesso uniti a credenze e rituali che hanno poco o niente a che fare con lo
sciamanesimo tradizionale” (Townsend 2004:50-51, trad.)
La presa di posizione degli antropologi nei confronti di queste “invenzioni
della tradizione” è stata a lungo ambivalente e, nonostante l'implicazione attiva di
studiosi come Harner, Castaneda ed Halifax, le analisi accademiche della spiritualità
e dei riti neo-sciamanici si sono spesso dimostrate sprezzanti.
Un esempio di questo approccio purista alla questione è l'opera “The concept of
shamanism: uses and abuses”, a cura di Roberte N. Hamayon, dell'École Pratique
des Hautes Etudes, e del suo collega Henri-Paul Francfort. Quanto annunciato nel
sottotitolo dell'opera, ovvero la possibilità di più interpretazioni del termine
sciamanesimo, non viene infatti rispettato, ed è chiaro che venga privilegiato, tra i
contributi, un generale approccio di condanna all'utilizzo del termine per indicare le
forme di spiritualità contemporanee. Emblematico di questo atteggiamento è il
contributo al volume dell'antropologa tedesca Ulla Johansen, intitolato “Shamanism
and Neoshmanism:What is the difference?”. Johansen compara vecchi resoconti
etnografici con il suo lavoro di campo nella Tuva postsovietica. Il risultato è una lista
di differenze tra la tradizione sciamanica riportata dalle fonti e il neo-sciamanesimo,
corrotto e non autentico. Secondo l'antropologa “i neosciamani, che imitano il
costume tradizionale, mettono in scena una performance per persone che non
conoscono (…) durante il giorno, quando è più facile fare (loro) foto e filmati”
(Johansen 2001:301, trad.), mettendo in piedi un vero e proprio show “destinato ai
turisti e ad antropologi non troppo critici”. (ibidem, trad.)
Anche i loro abiti sono falsi dato che essi, “mettendo in piedi una performance
sciamanica di dieci minuti” si vestono con “quelle piccole palline di plastica
luccicanti per decorare gli alberi di natale e dei serpenti prodotti dall'industria della
plastica.” (Johansen 2001:299-300, trad.) Il disprezzo degli antropologi nei confronti
delle pratiche contemporanee di sciamanesimo è ben riassunto, inoltre,
dall'espressione “plastic shamans” e dall'accusa di “giocare agli Indiani”. (Aldred
125
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
2000; Dubin Vaughn 1991; Harner 1988) Molti antropologi si ergono, così, a tutela
della conoscenza e delle esperienze sciamaniche tradizionali, avvertendo una
minaccia nel contatto di queste con gli occidentali.
La più recente letteratura scientifica relativa al neo-sciamanesimo, invece,
tende ad adottare un tono più neutro quando descrive l'argomento, o ha, addirittura
mostrato spiccata simpatia per il movimento neosciamanico e i suoi praticanti.
Questo ha fatto sì che nascessero delle perplessità circa il coinvolgimento di molti
degli scrittori sciamanici nella cultura popolare, che costringe gli antropologi a
ripensare il proprio ruolo e le proprie posizioni discorsive nell'analisi delle pratiche e
delle ideologie neo-sciamaniche. Nonostante gli antropologi e i nuovi sciamani
urbani possiedono caratteristiche ed obiettivi potenzialmente contrastanti (mentre i
primi cercano di documentare le varie tradizioni locali, spesso con l'intento di
salvaguardarle dalla sparizione, i neo-sciamani sono intenti ad elaborare nuove forma
di spiritualità, con l'aiuto di elementi presi in prestito da culture "antiche"), si è infatti
potuto assistere, nella letteratura di settore, a quanto possa essere labile il confine tra
ricercatori e praticanti (v. Brown 1989, Joralemon 1999). La trasformazione di molti
antropologi ed accademici in praticanti del neo-sciamanesimo è efficacemente
analizzata da Jan Swamberg, che per descrivere questa tendenza ha utilizzato
l'espressione “shamanantropology”, i cui esempi più chiari sono Castaneda ed
Harner. D'altronde, per quanto riguarda lo studio dei fatti religiosi contemporanei,
rendere conto delle molteplici trasformazioni dell'orizzonte rituale in una prospettiva
etnografica è sicuramente uno dei compiti più ardui. A questo proposito, appare
particolarmente utile l'opera di Hillary S. Webb Travelling between the worlds
(2004). Sul filo (sfumato) della dicotomia emico/etico, l'antropologa americana,
giornalista di formazione, ha raccolto un numero consistente di interviste a scrittori e
operatori neosciamanici, che rende conto dell'estrema variabilità e varietà della
compagine neo-sciamanica e che costituisce un'utile lettura propedeutica all'ingresso
nel campo.
Quindi, l'ambiguità del ruolo del ricercatore nello studio del neo-sciamanesimo
e il suo ruolo attivo, più o meno consapevole, nella creazione di nuovi orizzonti
culturali, deve essere opportunamente esaminato durante il lavoro di campo, così
come la labilità del confine tra l'osservazione soggettiva/oggettiva, uno dei possibili e
126
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
più fecondi campi di indagine per gli etnografi.
Il campo degli studi neo-sciamanici viene così a configurarsi come il frutto di campi
di potere che, per quanto fluidi e non ben definiti, risultano piuttosto evidenti.
L'ostilità di molti accademici nei confronti di queste nuove forme di spiritualità
“tarocca”, ha sicuramente fatto in modo che si sviluppassero forti resistenze alle
indagini di campo, per cui spesso gli aderenti al neosciamanesimo condividono un
atteggiamento difensivo, che sfocia in chiusura o aperta ostilità nei confronti della
cultura officiale incarnata dagli accademici.
A ciò si aggiungono dinamiche di competizione interna, dato che il mondo
neosciamanico si presenta come altamente differenziato. Joan Townsend (2004:53)
ha classificato gli aderenti al neo-sciamanesimo in tre categorie: i “tradizionalisti”,
che aderiscono al core-shamanism; i “modernisti”, che prendono elementi dal core
shamanism, qualche aspetto dello sciamanesimo tradizionale, e tratti dell'esperienza
di altri guaritori, applicando un'idealizzata forma di sciamanesimo alla vita di tutti i
giorni; e, infine, gli “eclettici”, che oltre alle dinamiche dei gruppi precedenti,
integrano nello sciamanesimo vari rituali e credenze, come i chakra, l'astrologia o
l'uso dei cristalli. Dato che spesso tendono ad idealizzare sciamani e primitivi,
possono essere inclusi negli eclettici i cosiddetti “wanna-bes”, ovvero coloro che
“vorrebbero essere” Indiani. Questi cercano di inserirsi nello sciamanesimo
vestendosi come indiani e prendendo nomi simil-nativo americani (Lupo Coraggioso,
Figlia della Luna e simili). Queste pratiche hanno attirato l'ira delle popolazioni
indigene.
Di conseguenza, questi meccanismi di reazione ed opposizione alle nuove
ideologie sciamaniche devono essere opportunamente indagati nelle indagini di
campo. Andrei A. Znamenski, nell'opera The beautiful of the primitive (2007),
ripercorre le idee basilari dell'ideologia neosciamanica ed esamina il loro ulteriore
sviluppo o trasformazione all'interno della letteratura e delle attività neosciamaniche.
Egli esplora sagacemente i conflitti tra praticanti neosciamanici e nativi americani,
soprattutto nei casi in cui gli scrittori neosciamanici adottano il patrimonio culturale
dei nativi americani come giustificazione del proprio operato (Znamenski 2007:273)
Anche l'analisi proposta da Andy Smith, relativa all'incorporazione statunitense di
tradizioni religiose indigene, è un esempio della critica dei nativi nei confronti dei
127
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
praticanti definiti “sciamani di plastica”. (Smith 1994:168).
Nell'ultimo trentennio, “in parte per il desiderio di trovare un patrimonio spirituale
nella propria cultura e in parte a causa della rabbia delle poplazioni indigene nei
confronti dell'usurpazione reale o presunta delle loro tradizioni” (Townsend
2004:53, trad.), si sono sviluppati presso varie culture del mondo occidentale i
cosiddetti "etno-neosciamanesimi". Questi movimenti si concentrano sul recupero di
un passato sciamanico sulla base di dati storici più o meno mitizzati ma sempre
localmente connotati. Oltre alla tradizione spiritualistica americana, in Europa è stata
ampiamente documentata una ripresa dello sciamanesimo Celtico (Cowan 1993,
Trevarthen 2007, anche un tentativo di ritorno alla spiritualità pagano-nordica è stato
evidente fin dagli anni '20 del secolo scorso, si veda a questo proposito Poewe 1999).
Lo stesso avviene per lo sciamanesimo Sami (Gaup 2005), ebraico (Winkler 2003,
2008 ), dell'area germanica (Blain 2000, 2001; Wallis 2001, 2003; von Schnurbein
1992, 2003), danese (Lindquist 1997), della Nuova Zelanda (Sanson 2009)
Gli studi contemporanei dello sciamanesimo non possono quindi ignorare questo
genere di derivazioni etnicistiche, e dovrebbero comprendere, nell'analisi dei nuovi
sciamanesimi, anche le dinamiche di inclusione ed esclusione nelle singole comunità
geograficamente connotate.
Secondo alcuni studiosi (Atkinson 1992), inoltre, a seguito dell'atteggiamento
di condanna portato avanti da alcune analisi accademiche sono state trascurate molte
dinamiche di grande interesse.
Tra queste, l'analisi delle modalità in cui avviene la rielaborazione culturale di tratti
provenienti da tradizioni sciamaniche altrui, con cui gli antropologi contemporanei
devono necessariamente avere a che fare e che rappresenta un significativo sviluppo
nella storia delle religioni. A questo proposito, la storica delle religioni Wendy
Doniger, nella sua opera Other People's Myths, ad esempio, ha dimostrato che i testi
religiosi, quando sono letti in contesti culturali diversi da quelli in cui sono stati
generati, costituiscono un sostrato simbolico sul quale le comunità religiose
contemporanee fanno attecchire nuove forme di spiritualità. (Doniger 1988:131)
Inoltre, dato che nel movimento contemporaneo sono coinvolti individui maturi,
appartenenti alla middle-class, ben educati, che hanno spesso famiglia ed occupano
posti di potere all'interno delle società, quindi persone che hanno sicuramente il
128
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
potenziale per configurarsi come opinion leaders, esistono buone possibilità che
questi movimenti possano continuare a prosperare nelle culture occidentali, e
diventare catalizzatori per ulteriori cambiamenti dell'orizzonte religioso. (Townsend
2004:57)
Nell'ultimo trentennio, quindi, gli studiosi hanno cercato di descrivere con
accuratezza le specifiche esperienze rituali degli individui all'interno delle comunità,
in relazione alle tradizioni precedenti e ai complessi processi di cambiamento
economico e culturale. Mentre fin dalla pubblicazione dell'opera di Halifax molti
studiosi hanno esaminato gli approdi intellettuali dei leaders neosciamanici,negli
ultimi tempi hanno iniziato ad attirare l'attenzione le motivazioni coscienti dei
praticanti. Studiosi come Stjepan Meštrović (1997), Robert J. Wallis (2001,2003) e
Joan Townsend (2005) hanno elaborato varie teorie riguardanti le motivazioni dei
partecipanti in varie attività dello sciamanesimo, messo o meno in correlazione con
l'ideologia New Age. Lo studio del coinvolgimento degli individui nelle ideologie e
nelle pratiche e le modalità attraverso cui i diversi neo-sciamanesimi costruiscono la
propria autorità culturale costituisce uno degli sviluppi più significativi e ricchi di
spunti per future ricerche.
Costituisce un'ulteriore area di indagine l'analisi dei pellegrinaggi che gli aderenti al
neo-sciamanesimo compiono verso luoghi specifici, definiti “luoghi di potere” e
l'utilizzo di droghe psicoattive che inducono stati di coscienza alterati. Recenti analisi
etnografiche hanno infatti mostrato che molti aderenti al neosciamanesimo hanno
iniziato a viaggiare in area amazzonica, dove sperimentano vari allucinogeni, tra cui
l'ayahuasca, l'amanita muscaria e il cactus di San Pedro. (Townsend 1999a:228-229)
A questo proposito, può costituire una valida valida lettura propedeutica il contributo
di Magali Demanget al volume collettivo del 2001, intitolato “Reconstruction of the
Shamanic Space and Mystical Tourism in the Mazatec Region” (Mexico), in cui il
pellegrinaggio mistico verso il Messico viene analizzato per ricostruire “(...) le
dinamiche che hanno luogo in una società multiculturale”. (Demanget 2001:306,
trad.)
Inoltre, il neo-sciamanesimo potrebbe essere analizzato come un modello discorsivo
che integra la teorizzazione accademica, l'invenzione della tradizione e la dinamica
del contatto fra culture. Si apre così un'ulteriore, possibile area di indagine che
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
riguarda le fonti. Gli aderenti al neo-sciamanesimo creano costantemente nuove
teorie e pratiche ispirandosi ad una miriade di fonti di varia tipologia. Molti sciamani
o presunti indigeni promettono l'accesso alla conoscenza esoterica conducendo corsi
o workshops che hanno un grande seguito tra gli adepti. Inoltre, tra le fonti da cui si
originano le nuove ideologie neo-sciamaniche, rientrano i “mondi fantasmagorici”
creati dai media, che impattano in maniera decisiva sull'immaginazione degli
aderenti e dei simpatizzanti delle nuove forme di spiritualità. Tra tutti, assume
particolare rilievo Internet, dal momento che
Web sites provide information, chat groups, e-mail, and lists to which one
subscribes in order to discuss relevant issues, rather than simply being on the
receiving end. Strong cyber-friendships are sometimes formed. The Internet
reaches throughout the world, and so supports the globalization of the
movement, which appears to be expanding exponentially (Townsend 2004:53;
1997b).
Sarà dunque necessario mettere in campo metodologie e strumenti molto diversificati
per documentare documenti in maniera esaustiva la presenza di etiche, ritualità e
comunicazioni neo-sciamaniche in continua espansione.
130
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
2.
Un mondo al tramonto?
Innovazioni e sincretismi
É difficile cercare di stabilire se è in quale misura la magia occupi un ruolo
importante nella vita, nelle azioni e nei pensieri degli abitanti della Sardegna. Certo è
che, nonostante una certa ritrosia che viene loro spesso, a ragione o a torto, attribuita,
della magia i Sardi ne parlano, e spesso. Lo fanno in diversi modi, dalla divertita
estraneità agli eventi, alla serietà di chi giura di “aver visto qualcosa” e che “qualcosa
esiste”, a chi afferma, compiaciuto, che tutto in Sardegna, terra del mistero e del
soprannaturale, può accadere.
Infatti, così come avveniva per i viaggiatori dell'Ottocento, che nella Sardegna
cercavano un paradiso a portata di mano, nella cultura popolare contemporanea
ricorrono spesso i riferimenti all'esistenza, nell'isola, di specifiche ideologie magiche.
Molti siti web, programmi televisivi locali, pubblicazioni divulgative di grande
successo hanno come oggetto forme specifiche dell'agire magico in Sardegna. Ciò
significa che il tema suscita l'attenzione del grande pubblico, tenendo conto anche del
fatto che la tendenza dei Sardi alla pratica della magia viene spesso citata tra le
componenti fondamentali di un'identità locale di volta in volta preservata o esibita.
Ciò costituisce un'evidente differenza con la visione del mondo e della vita
tipiche delle culture tradizionali, nelle quali il ripristino dello stato di salute di un
individuo non viene percepito come “magia”. Come l'analisi della letteratura
antropologica ha dimostrato, “magia” è piuttosto un'etichetta, una categoria esogena
tipica dell'analisi antropologica e proiettata di volta in volta sui discorsi e sulle
pratiche etnograficamente analizzate. Non a caso, lo studio antropologico della
magia, in Italia come altrove, è stato spesso messo in relazione al concetto di
“medicina popolare”9 di ambito demologico, considerando l'azione magica come un
insieme di teorie, pratiche e strategie tese a proteggere, garantire e ristabilire lo stato
9 L’espressione “medicina popolare”, venne coniata in Italia da Giuseppe Pitrè. Con questa
espressione egli intese “designare l’insieme di saperi, delle rappresentazioni e delle pratiche
elaborate a partire dall’esperienza culturale del corpo, della salute e della malattia nelle
‘classi popolari’ europee” (Pizza 2005:155)
131
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
di salute dell'individuo.
Se si escludono le opere dei viaggiatori (Bresciani 1850; Smith 1828; Wagner
1913,1926) e dei primi folkloristi (Calvia 1896; Cossu 1894; Deledda 1895; Valla
1895) e storici delle religioni (Lanternari 1955), dotate di una propria validità
documentaria, sono piuttosto rare le monografie scientifiche che hanno come oggetto
lo studio della magia in Sardegna. A partire dagli anni '50 del secolo scorso possiamo
infatti attestare pochi, significativi esempi: le ricerche di Clara Gallini sul tarantismo
e il malocchio degli anni '70 (Gallini 1967:1973;1977); l'edizione, postuma, di alcuni
appunti che Raffaello Marchi sviluppò nella sue ricerche di campo, intitolata “La
sibilla barbaricina” (Marchi 2006); e, infine, una monografia a cura di Mario Atzori
e Maria Margherita Satta pubblicata nel 1982 (Atzori, Satta 1982). Inoltre, una
miriade di articoli e contributi di varia natura, che hanno come oggetto la magia e la
medicina tradizionale in Sardegna, compreso un numero consistente di tesi di laurea
edite dagli studenti dei due Atenei sardi.
Manca, però, una rassegna sistematica che cerchi di trarre delle conclusioni su
come si presenta, a distanza di circa un trentennio, il mondo magico. Da qui
l'esigenza di un'analisi etnografica che attesti quante e quali credenze siano ancora
vitali, quali siano in procinto di scomparire e quali, invece, stiano nascendo oggi, in
concomitanza con l'influenza dei mass media e la possibilità di immaginare se stessi
come parte di quei “mondi fantasmagorici” (Giddens 1995) che essi descrivono e
costruiscono.
É con lo scopo di colmare questa lacuna che lo studioso di tradizioni popolari
Nando Cossu pubblica nel 2005 “A luna calante”. Vitalità e prospettive della
medicina tradizionale in Sardegna”, opera che si prefigge di fornire una rassegna il
più possibile esaustiva delle metodologie di cura, del numero di operatori rituali in
attività e delle varie tipologie di cure tradizionali tuttora presenti sul territorio
isolano. Un progetto ambizioso e in massima parte compiuto, pur ammettendo che la
completezza, l'esaustività dei dati e la certezza delle informazioni si rivelano più
attendibili per quanto riguarda la parte meridionale dell'Isola, meno per quella
settentrionale, per la quale si possono attestare numerose imprecisioni, dovute
probabilmente all'uso massiccio di informazioni di seconda mano non sempre
estremamente corrette. Mancano, inoltre, e non sarebbe potuto essere altrimenti,
132
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
visto il titolo dell'opera, i riferimenti alle forme contemporanee di spiritualità e di
cura, a carattere innovativo o sincretico, che non vengono analizzate.
L'opera di Cossu ha comunque il merito di rendere conto della diffusa presenza
sul territorio di varie tipologie di guaritori e pratiche di autoguarigione tradizionali.
Ciò dimostra che esiste, nell'Isola, un diffuso sapere medico non ortodosso e non
convenzionale, in relazione a sottese concezioni riguardanti i concetti di salute e
malattia. Ciò significa che non si è verificata quella scomparsa teorizzata negli anni
'70, nell'epoca in cui era obbligatorio pensare a questi fenomeni come a residui o
sopravvivenze del passato, destinati ad esaurirsi di fronte al rapido progresso della
modernizzazione, della laicizzazione delle culture e della diffusione sempre più
capillare della medicina scientifica. L'ampiezza dei dati etnografici raccolti nelle
opere citate dimostra piuttosto che pratiche e credenze della cosiddetta medicina
popolare, per quanto riguarda sia gli aspetti empirici che quelli magico-religiosi,
abbiano una propria ragione d'essere e permanere nella cultura sarda contemporanea.
I primi saggi esplorativi condotti sul campo confermarono quanto desunto dalla
letteratura analizzata, ovvero l'estrema difficoltà di mettere in relazione una tale
complessità e disparità di fenomeni, con la conseguente difficoltà a dar luogo ad una
rassegna estensiva sull'argomento. Con la consapevolezza che i dati raccolti si
sarebbero rivelati, in ogni caso, incompleti e imprecisi, per ragioni di opportunità e
coerenza esplicativa, quindi, si è scelto di privilegiare, in questa indagine, le forme
rituali a carattere prevalentemente magico-religioso, escludendo le tipologie
empiriche di cura che prevedano la somministrazione o l'utilizzo di medicamenti e la
manipolazione corporea. Lo scopo principale era, infatti, quello di documentare
presenza e vitalità delle pratiche, in relazione soprattutto alla nascita ed alla
diffusione di forme contemporanee di spiritualità che stabiliscono un esplicito
collegamento concettuale, spesso mera pretesa, con le forme magiche tradizionali.
Bisogna tener conto del fatto che escludere a priori alcune forme di cura del
mondo tradizionale sardo, privilegiandole rispetto ad altre, è una mera convenzione
d'analisi, piuttosto che un'impostazione ideologica, come fu, ad esempio, per la
nascente antropologia borghese italiana di fine '800, che tendeva a considerare la
medicina tradizionale esclusivamente nei termini del magico e del soprannaturale.
D'altronde, come dimostra l'analisi della letteratura antropologica fornita, categorie
133
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
come “magia”, “stregoneria” e “sciamanesimo” costituiscono più una convenzione
antropologica, che un'emergenza del campo di indagine.
L'intenzione era quella, piuttosto, di indagare quei circuiti informali di
informazione e supporto (morale e materiale) che si manifestano nel momento in cui
un individuo si ritrova a prevenire o combattere una malattia del corpo o dell'anima,
per la quale la medicina ufficiale non offre alternative o ne offre di eccessivamente
pesanti o costose (in termini economici o sociali). Questi circuiti rimangono latenti
nel momento in cui non esiste un bisogno da soddisfare; nel momento in cui, cioè,
l'individuo è sano. Ma dal momento in cui la sua salute/salvezza di un individuo è
stata in qualche modo compromessa, ecco attivarsi un circuito di supporto morale,
per cui all'affermazione “non sto bene” corrisponde sempre e comunque la risposta:
“cerchiamo qualcuno che possa aiutarti”. Un “cerchiamo” che non implica il
supporto attivo del solo nucleo famigliare dell'individuo sofferente, ma che ne
travalica spesso e con forza i confini per interessare una comunità più o meno estesa
di individui che supportano il malato, lo consigliano e vegliano sull'applicazione ed
il successo della cura. E l'aiuto che viene ricercato non implica solo e
necessariamente la figura del medico, ma coinvolge, a vario titolo, molte tipologie
diverse di esperti della salute, intesa nel suo senso più ampio di salvezza del corpo e
della mente.
Per questo motivo, dato che nel “modello esplicativo” delle cosiddette culture
popolari i sintomi della malattia sono sempre ricollegabili a saperi di ordine
simbolico e a più vaste concezioni che riguardano la natura, la morale e la religione
(Kleinman 1980), l'analisi dei temi e dei caratteri del mondo magico che si vuole
rappresentare
non
può
colpevolmente
ignorare
gli
strumenti
elaborati
dall'antropologia medica. La scienza antropologica ha, infatti, ormai appurato la
dimensione sociale della malattia, interiorizzata dal paziente proprio a partire dal
senso e dal significato che vi si ripone nel singolo contesto culturale, che fornisce
senso alle differenti esperienze dello star male.
In particolare, l'antropologia medica ha da tempo spiegato che lo stato di sofferenza
che accompagna un disturbo fisico è in gran parte costituito dalle reazioni personali,
culturali e sociali alla malattia. Particolarmente utile si rivela, per la nostra analisi, la
differenza tra i concetti di desease e di illness, con cui si intende, rispettivamente,
134
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
un'anormalità nella struttura o nelle funzioni del corpo e il malessere, ovvero la
singolare percezione del dolore, che differisce da individuo ad individuo. Lo stato di
illness può permanere anche dopo che lo stato di salute del corpo è stato ripristinato,
o può persino avere luogo anche in totale assenza di un desease clinicamente
riconosciuto. Diventa quindi necessario analizzare come nella singola cultura gli
individui percepiscano in maniera realtà biologica, socializzando in maniere
differenti il proprio “star male” (sickness). Nelle culture tradizionali come in quelle
postmoderne, infatti, la malattia viene sempre inscritta in quella che Byron Good
definisce come “rete semantica”, intendendo con questa espressione concetti e
simbologie che conferiscono senso alla malattia (Good 1999). Anche nell'analisi
dell'agire magico può quindi essere approfondire il modello esplicativo attraverso cui
gli individui, dopo aver riflettuto sul proprio malessere, tentano di tradurre i propri
sintomi in sistemi di significato più o meno complessi. Di conseguenza, come
afferma correttamente Patrick Pietroni
Con un modello così complesso, non possiamo usare i metodi classici
dell'indagine scientifica che separano il terapeuta, la terapia e il paziente,
che cercano di controllare le variabili e che campionano i soggetti. E' come
se, per studiare il comportamento dei pesci, insistessimo nel tirarli fuori
dall'acqua (Pietroni 1988:54, trad.)
L'agire magico deve quindi essere analizzato alla luce di una più ampia concezione
del corpo, della malattia e delle modalità di cura attraverso le quali poter agire su
essa. Caratteristica fondamentale dei sistemi medici tradizionali è, appunto, quello di
tenere adeguatamente conto sia dello stato di malattia (disease) del paziente che dei
modi attraverso cui egli percepisce la propria sofferenza (illness), inscrivendola in
determinati sistemi di significato e occupandosi, specificatamente, di quest'ultima.
Per questa ragione, molti degli episodi di malattia organica, come di malessere
emotivo, possono essere tuttora affrontati dai pazienti attraverso le cure popolari e
tradizionali, sia per quanto riguarda le forme di self-help che, ove possibile, il ricorso
ai guaritori. Questi spesso tendono a fornire un’interpretazione “significativa” degli
stati patologici, determinando così la possibilità, per il paziente, di dare un senso ad
una esperienza traumatica.
A ciò si aggiunge il fatto che anche nei contesti più conservativi è ormai
possibile assistere all'evidente diffusione di pratiche mediche di diversa origine,
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
raggruppate nell'espressione “medicine alternative”. Dato che, allo stato attuale, non
si tratta più di pratiche e credenze diffuse presso ceti sociali “subalterni” piuttosto
che “egemonici” (la letteratura di settore tende, piuttosto, ad affermare il contrario),
utilizzare la definizione di “popolari” crea una notevole confusione teorica.
Piuttosto, si tratta di un insieme di forme eterodosse come l'omeopatia, di ciò che
rimane della medicina folclorica, di singoli tratti provenienti dalle tradizioni mediche
asiatiche, che dà vita a nuovi sincretismi, spesso connessi ad una religiosità ritrovata
o rinnovata, che presentano in comune un unico, sostanziale tratto: il rifiuto della
burocratizzazione ed specializzazione della medicina ufficiale e della mancanza di
coinvolgimento emozionale del medico. Nell'approccio medico ufficiale, infatti,
mentre il medico focalizza la propria attenzione sulla malattia, il paziente pone
l'accento sul proprio personale malessere.
Studiare le modalità di cura significa, quindi, analizzare i sistemi di significati
che stanno alla base della scelta di determinate tipologie di cura e/o specifici
operatori rituali. Per questo si è scelto di favorire una metodologia di indagine di tipo
qualitativo, che rendesse conto della molteplicità di cure possibili presente sul
territorio senza cedere alla tentazione di fornire una sorta di schedatura e
rendicontazione delle stesse. Non si tratta certamente di un compito facile. Infatti,
dato che una delle caratteristiche proprie delle cure non ufficiali è la segretezza, la
complessità e la difficoltà di attivazione di questi meccanismi sociali di supporto
rende piuttosto difficoltosa la loro analisi in mancanza di un reale bisogno, in
mancanza, cioè, di un individuo veramente malato. In più occasioni, l'operatore
rituale deputato alla cura ha risposto con un netto e deciso rifiuto alle mie richieste di
informazioni, sempre generiche e mai invasive, riguardo il suo operato. Un rifiuto da
più parti motivato proprio in base a precedenti ricerche antropologiche svolte nel
territorio, giudicate da alcuni informatori eccessivamente invasive e non rispettose
del ruolo dell'operatore, dei segreti del mestiere e della segretezza propria dell'agire
magico. Questa omertà dipende, quindi, solo in parte dalla difficoltà di molti
informatori a parlare di quei temi che potrebbero essere interpretati da un estraneo,
specie se istruito, come sintomo di eccessiva superstizione o ignoranza. Per questa
ed altre ragioni i risultati ottenuti non possono che essere, in qualche misura,
imperfetti e lacunosi, molto lontani da un qualsiasi tentativo o pretesa di censimento.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Dall’altra parte, come ha efficacemente dimostrato Jeanne Favret-Saada, non è
possibile, per l'antropologo sul campo, ottenere dagli informatori una descrizione
oggettiva e distaccata del “potere” magico, dato che è proprio attraverso la parola che
esso agiscono. Nominarli significa evocarne l’efficacia e causare effetti negativi
indesiderati. Per l'insieme di queste ragioni mi sono state spesso negate, in sostanza,
tutte quelle informazioni cui avrei potuto accedere nel caso avessi avuto veramente
bisogno della cura, oppure se mi fossi sottoposta a un lungo processo di
apprendistato. Qualcosa che io avevo già affrontato in passato ma che avrebbe
richiesto una quantità di tempo certamente superiore a quello a mia disposizione, e
che non avrebbe portato necessariamente alla raccolta delle informazioni desiderate.
Le inevitabili lacune che ne sono derivate sono state quindi colmate grazie alla
letteratura specialistica sul tema, non esclusivamente relativa alla Sardegna e,
soprattutto, grazie ad un lavoro incessante ed instancabile dei miei informatorichiave, degli studenti e laureandi in antropologia che hanno accompagnato il mio
lavoro di fieldwork, agendo da prospettori sul campo e raccogliendo informazioni
essenziali su pratiche e credenze qualora il guaritore e/o il contesto si mostravano
troppo chiusi o non particolarmente collaborativi.
Le informazioni così ottenute non possono naturalmente, essere considerate
esaustive per una realtà così complessa e multiforme, continuamente sottoposta ad
un processo di cambiamento alcune volte evidente, assai più spesso tacito ma
inesorabile, che ne modifica le caratteristiche, comprese ritualità e mitologie. Si è
comunque cercato di fornire al lettore un quadro il più possibile completo delle
possibilità di cura attive sul territorio, dell'esistenza di diverse tipologie di operatori
rituali e dei sincretismi, delle commistioni e delle mescolanze cui gli universi di
credenze e pratiche sono sottoposti nella realtà sarda contemporanea.
Nello specifico, in Sardegna, esistono diverse tipologie di operatori rituali che
hanno il ruolo di preservare e, qualora fosse stato danneggiato da una malattia o da
una crisi, ripristinare l'equilibrio psico-fisico di un individuo. Essi operano perché
affermano di possedere un particolare potere (descritto come “dono” o “capacità di
fare il bene”) acquisito in vari modi, spesso per trasmissione dalla generazione
precedente, e specializzati nella cura di particolari patologie, nonché, in qualche
caso, nella protezione da forze magiche negative. Molti di questi operatori
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
concepiscono il proprio ruolo come un dono divino, inserendo la propria azione
nell'orizzonte mitico-rituale del cattolicesimo. Le pratiche dei guaritori hanno
goduto, e spesso godono tuttora, di un diffuso riconoscimento sociale, spesso
accompagnato dal riconoscimento, più o meno esplicito, del medico di base e del
parroco del paese (i rappresentanti, presso le culture tradizionali, dell’“alta” cultura).
Si tratta di guaritori che possono essere definiti “feminas/omines praticos” (lett.
donne/uomini pratici), o “meigadores”/“meigadoras”, più spesso con perifrasi che
indicano la loro specializzazione “s'omine/sa femina chi curat...” (lett. “l'uomo/la
donna che cura”, cui segue il nome del disturbo).
La specializzazione nella cura di un singolo disturbo sembra essere una delle
caratteristiche rappresentative del campo di indagine. Si è, infatti, potuto osservare
che raramente gli operatori conoscono un insieme vasto di rimedi, mentre, per
progressiva riduzione del loro campo d'azione, oggi sono generalmente deputati alla
cura di un solo disturbo. Inoltre, non sempre le malattie che essi risolvono possono
essere rintracciate in un prontuario medico; si potrebbe affermare, piuttosto, che la
maggior parte dei disturbi che curano non hanno esclusiva origine e connotazione
organica, ma rappresentano delle vere e proprie “sindromi culturalmente
determinate” che assumono nell'Isola particolari connotazioni.
Oltre i pratici, dalle fonti analizzate emerge chiaramente che esistevano nel
contesto altre tipologie di operatori rituali, conosciuti come majalzos e majalzas (lett.
“coloro che compiono le magie”), temuti e rispettati. Oltre all'abilità e alla
propensione nella cura di malattie, malanni e disturbi, erano ritenuti possedere
capacità soprannaturali. Le loro doti soprannaturali di chiaroveggenza e contatto con
il mondo degli spiriti venivano applicate nello svolgimento di riti magici, sia positivi
che negativi. Dal momento che, come afferma, a questo proposito, Elsa Guggino,
"un mago è soprattutto una persona temibile poiché usa strumenti che
innaturalmente inferiscono sulla natura delle cose e per questo alla fine è soggetto
di un giudizio etico negativo" (Guggino 1978:13), questa categoria di operatori rituali
risulta essere praticamente scomparsa. Non a caso, tra l'altro, il termine “majalzu” o
“majalza” non viene mai utilizzato dagli operatori per definire se stessi ed il proprio
operato, nonostante pubblicazioni a carattere divulgativo tendono ad utilizzare, a
torto, questo termine per indicare qualsiasi tipologia di operatore rituale. La
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
distinzione tra praticos e majalzos evoca solo sommariamente la classica distinzione
terminologica tra ricorso a sapere empirico (utilizzo delle erbe, tecniche di
manipolazione, supporto alla nascita etc.) e ricorso a pratiche magico-religiose, dato
che alcune di queste vengono generalmente interpretate come meighinas.
In altre pubblicazioni di vario genere (vedasi, soprattutto, Turchi 2001), invece, e in
alcune trasmissioni televisive, alcuni di questi operatori rituali vengono
erroneamente
definiti
“sciamani”.
Lo
stesso
appellativo
“sciamano”10
(o
corrispondenti, sopratutto “neosciamano”) viene invece preferito dagli operatori
rituali che, pur operando in Sardegna, hanno avuto esperienza di tradizioni esogene.
Ai pratici tradizionali si affiancano, infatti, oggi una serie di specialisti della salute
variamente identificati, come esperti di meditazione, pranoterapeuti, manipolatori del
corpo e delle energie. Rimangono per ora non attestate varianti sincretiche tra le due
tipologie di operatori.
Per quanto riguarda la denominazione dei vari riti compiuti dalle diverse
tipologie di guaritori, invece, nella cultura tradizionale della Sardegna, si possono
attestare due termini, utilizzati per indicare, rispettivamente, l'incantesimo orale
(“berbu”, o “verbu” ossia parola) e il rito di guarigione (“meighina”, ovvero
medicina). Le varie tipologie di magic spells, gli incantesimi orali, a cui possono
essere ascritti i berbos, hanno da tempo attirato l'attenzione dell'antropologia, dato
che
Una importante tradizione interpretativa riflette sul ruolo del discorso e
della parola come elementi costitutivi di questi poteri. Il potere
straordinario sarebbe una delle modalità del “fare cose con le parole”. La
parola è al tempo stesso veicolo di efficacia e di rappresentazione. In molti
casi di guaritori popolari che operano per il bene, la parola compare sì
come una formula gelosamente custodita, ma anche come evocazione
dell'ordine invisibile (costituito ad esempio da esseri divini, spiriti) che
conferisce senso all'esperienza del dono o del potere, e al tempo stesso a
quella della sofferenza.[Dei 2009]
Oltre ai berbu, assumono spesso connotazione magica gli scongiuri, o preghieras,
ovvero preghiere cattoliche recitate con scopi pratici dagli operatori, allo scopo di
10 Le ricerche closs-culturali hanno ragionevolmente escluso la presenza di operatori rituali
definibili come “sciamani” nell'area circummediterranea e nel Pacifico. Così si esprime, a
questo proposito, Michael James Winkelmann: “L'assenza in queste regioni di sciamani è
correlata alla mancanza di società di cacciatori-raccoglitori prive di integrazione politica.
Questo è confermato dalle analisi di autocorrelazione, che mostrano la stabile predizione del
ruolo di sciamano in presenza di modelli nomadici di residenza e la mancanza di
integrazione politica (Winkelman 1986a)
139
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
predire il futuro e/o curare determinati disturbi. Appare infatti abbastanza comune,
nell'area, il nesso tra potere terapeutico e religione, dato che una cospicua parte degli
operatori interpreta la propria azione come espressione religiosa, non ravvisando
alcuna contraddizione fra la dottrina cattolica e la pratica di guaritore.
Una meighina, che è insieme di rito e parola, può contenere al suo interno uno
o più verbos. Naturalmente, non tutti i riti condotti dagli operatori rituali sono
meighinas, hanno cioè valore di cura, anche se spesso tendono ad essere identificate
con questo termine tutte le tipologie di riti compiuti allo scopo di diagnosticare,
prevedere, correggere e curare uno stato di malessere.
La dimensione privilegiata di azione nell'applicazione delle tecniche di
guarigione tradizionali consiste nella dimensione del contatto e nel rapporto di
reciproco scambio che avviene tra paziente e guaritore, che costituisce una delle
ragioni di preferenza di quest'ultimo rispetto al medico. Da qui, la necessità di porre
estrema attenzione all'oggetto del dialogo tra guaritore e paziente, attraverso cui
vengono veicolati i significati espressive che riguardano l'interpretazione della
malattia, la costruzione del suo senso. Dato che, quindi, “la gran parte dei documenti
etnografici ci pone in contatto con la parola detta e con contesti di comunicazione e
di trasmissione culturale prevalentemente orale” (Dei 2009), appare particolarmente
significativa l'esigenza di verificare sul campo, nei casi specifici, le modalità di
trasmissione dell'agire magico di generazione in generazione.
Bisognerà quindi, stabilire, caso per caso, se le dinamiche di innovazione
dell'orizzonte mitico-rituale tradizionale riguardano:
1) elementi costitutivi della credenza o della pratica, cercando di stabilire, di volta in
volta, se il singolo rito esaminato corrisponda o meno all'orizzonte di pensiero
tradizionale, così come descritto dalla letteratura. Andrà di volta in volta accertato se
paziente e guaritore condividano la stessa idea sull'eziologia della malattia, sui suoi
sintomi e sulla metodologia di risoluzione del disturbo. Eventuali innovazioni
potrebbero riguardare, ad esempio, la presenza o meno di un riferimento alla fede,
intesa nella duplice accezione di componente religiosa (riferimenti, da parte del
guaritore o del paziente, alla devozione a Dio o ad un santo) e di indispensabile
rapporto di fiducia tra paziente e guaritore. Oppure, andrebbe verificata la nozione di
energia, nei casi in cui diagnosi e pratica terapeutica si configurino come passaggio
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
diretto di “energia” dall’operatore al paziente. Particolare attenzione andrebbe
dedicata all'analisi del rapporto medico-paziente e del dialogo che ha luogo tra i due,
dato che la possibilità di potersi sfogare, di poter cioè mettere in campo le proprie
difficoltà sentimentali e relazionali pare essere condizione indispensabile per il
successo della terapia.
Eventuali altre innovazioni potrebbero, inoltre, riguardare non tanto le pratiche in sé
quanto:
2) le reti di relazioni, ovvero i reticoli che concorrono nella diffusione di
informazioni relative alle modalità di cura e all'esistenza di operatori rituali dotati di
potere. Bisognerebbe verificare se il passaparola rimane tuttora il metodo privilegiato
con cui veicolare le informazioni relative a maghi e guaritori;
3) la definizione di un ruolo sociale dell'operatore, che passa, necessariamente,
attraverso le modalità di autorappresentazione che egli sceglie, dato che la preferenza
della propria denominazione tra l'ampio ventaglio di denominazioni possibili è di per
sé indicativa: “guaritore”, “sciamano”, “veggente”, indicano altrettanto definite
visioni del mondo. Dato che la maggior parte degli informatori analizzati dalla
letteratura fanno coincidere la scoperta e l’acquisizione del potere con un episodio
traumatico della propria vita, necessario allo sviluppo della consapevolezza di
possedere capacità curativa, ne andrebbero indagate le attestazioni, allo scopo di
stabilire se il modello della “crisi” così variamente attestato in letteratura si dimostri
o meno tuttora valido.
Data la conseguente difficoltà, sul piano metodologico, a ricostruire un quadro
etnografico esauriente della medicina popolare sarda, suddividendo l'ampio ventaglio
di possibilità di cura per singoli disturbi, sarà possibile determinare in maniera
generale se e in quale modo l'universo culturale proprio dell'agire magico sia vitale, in
fase di cambiamento o in remissione nel contesto esaminato. Per far ciò occorre, però,
necessariamente, suddividere l'ambito di indagine per tematiche specifiche, per
universi culturali distinti, analizzandoli separatamente, in modo da riuscire a far luce
sull'esistenza o meno di dinamiche di innovazione, che devono essere comprese, di
volta in volta, alla luce delle singole specificità.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
2.1. Malocchio
In Sardegna, tra tutte le tipologie di esercizio e trasmissione dell'agire magico
emerge, senza dubbio, la cura di stati di malessere attribuiti alla fascinazione umana.
Si tratta del complesso credenziale e rituale più frequentemente documentato nel
mondo magico tradizionale, soprattutto per quanto riguarda l'Italia centromeridionale. Già Ernesto de Martino, nella sua opera "Sud e magia", aveva riassunto
gli elementi di questo complesso mitico-rituale affermando che:
La fascinazione comporta un agente fascinatore e una vittima, e quando
l'agente è configurato in forma umana, la fascinazione si determina come
malocchio, cioè come influenza maligna che procede dallo sguardo
invidioso (onde il malocchio è anche chiamato invidia), con varie
sfumature che vanno dall'influenza più o meno involontaria alla fattura
deliberatamente ordita con un cerimoniale definito, e che può essere – ed
allora è particolarmente temibile – fattura a morte [De Martino 1959:15].
Esistono, quindi, due aspetti della credenza: da una parte, l'idea che sia possibile, in
qualche modo, essere colpiti dalla forza di particolari energie negative che
promanano, volontariamente o meno, dagli occhi di determinati individui; dall'altra,
la possibilità che possa essere messo in atto un rito preposto a cagionare del male
all'altrui persona, arrivando a provocarne, persino, la morte. Vi è chi sostiene che
queste credenze, certamente attestati nelle culture mediterranee, abbiano diffusione
pressoché universale (Dei 2009). In tutti i casi, viene affermata una decisa distinzione
tra l'influsso malefico che proviene da alcune persone verso altre dalla stregoneria,
ovvero da un attacco magico volutamente condotto, con o senza l'ausilio di operatori
magici specializzati. Possono essere inoltre culturalmente determinati una serie di
rimedi preventivi, diagnostici e curativi messi in atto allo scopo di allontanare ed
esorcizzare il male.
Un buon excursus storico su questo fenomeno è presente nell'opera di Erberto
Petoia, “Malocchio e jettatura” (Petoia 1995), che analizza una serie di documenti
che attestano la credenza fin dal IX sec. a.C., con attestazioni risalenti al periodo
assiro, egiziano, iranico antico, al mondo ebraico e a quello islamico fino ad arrivare
alla cultura latina, all'interno della quale nasce il concetto di malocchio/fascinazione
ed alla rinfuzionalizzazione cattolica del malocchio come influenza del maligno.
In Sardegna, la capacità di causare del male all'altrui persona col solo sguardo
viene identificata con l'espressione "ponner oju" (lett. "mettere occhio") e similari.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Quindi, il “malocchio è l'occhio dell'altro, l'obiettivazione di uno sguardo che, una
volta giunto alla meta destinata, crea una situazione di disagio. La meccanica è
immediata” (Gallini 1973:101). Questa capacità viene descritta dagli informatori di
natura biologica, una caratteristica negativa che risiede "in su sambene", nel sangue,
che identifica, nella cultura tradizionale sarda, l'insieme delle caratteristiche che un
individuo possiede e per questo trasmette alla propria discendenza. Non a caso,
spesso questa caratteristica viene addebitata a tutti i membri di una stessa famiglia:
Esistono cioè famiglie che si tramandano il malocchio, allo stesso modo
che ne esistono altre che detengono il monopolio delle tecniche magiche.
Di individui o famiglie di questo genere ne esiste un certo numero in ogni
paese (almeno una famiglia, almeno quattro-cinque individui). Si temono,
si guardano con sospetto, ma vengono nel complesso accettati dalla
comunità. [Gallini 1973:126]
Ad esempio, così racconta un informatore di Tula (SS):
Su fizzu este comentu su babbu, l’at ereditadu… calchi annu faghede fimus
in palestra, est intradu isse, at abbaidadu a […] e l’at nadu: «Ah, puru tue
che ses?» Poi amus cominzadu a faghere sos esercizios e a s’iscutta […]
est rutta e s'at segadu s’anca!
Trad. Il figlio è come il babbo, l'ha ereditato. Qualche anno fa eravamo in
palestra, è entrato lui, ha guardato a.... e le ha detto: «Ah, pure tu ci sei?»
Poi abbiamo cominciato a fare gli esercizi e immediatamente è caduta in
terra e si è rotta la gamba! [A. P., 78 anni, Tula (SS)]
Sono frequenti le narrazioni di conversione all'ideologia del malocchio, che tendono
a seguire più o meno lo stesso canovaccio: l'informatore, che è scettico riguardo
l'esistenza del malocchio, nota qualcosa di strano nel comportamento di un membro
della famiglia.. Ne parla con qualcun altro, che condivide lo scetticismo iniziale, ma
ci si reca comunque dal guaritore. Questi finisce col confermare che il malessere del
bambino è dovuto all'influenza nefasta del malocchio:
Io non credevo al malocchio, poi un giorno, precisamente il 24 di giugno,
che decorre la festa di San Giovanni Battista, ho cambiato completamente
pensiero. Il paese era tutto in festa, allora decisi di portare mio figlio Carlo,
di cinque anni all'epoca, alla processione. Carlo era un bambino vispo,
giocoso e sempre sorridente. Finita la messa e la processione in onore al
santo vidi che il bambino non stava bene, era bianco bianco in viso e
brontolava; dato che era anche l'ora di pranzo decisi di rientrare.
L'atteggiamento del bimbo era strano per me, perché non avevo mai visto
mio figlio così; non avevo pensato che qualcuno avesse potuto infliggere
del male a un bambino, perché appunto non credevo che questo potesse
accadere. Carlo non si riprendeva, sino a quando il pomeriggio dissi a mia
moglie Rosa: «Rò, io non ci credo e tu lo sai, ma secondo me Carlo è stato
preso male dall'occhio invidioso di qualcuno stamattina alla festa.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Facciamogli fare sa meighina». Mia moglie era d'accordo con me e chiamò
subito una signora del paese per far fare la medicina al bambino. Neanche
dieci minuti e Carlo ritornò quello di sempre, iniziò a saltare e a giocare, e
il colorito ritornò sulle guance". [E. M., 70 anni, Bono (SS), dicembre
2013]
Proprio in quanto predisposizione biologica, non è detto che l'individuo portatore di
malocchio sia consapevole di cagionare del male a qualcuno, dato che, affermano gli
informatori, l'influenza negativa dello sguardo può essere sia volontaria che
involontaria:
Ricorda una cosa, siamo tutti soggetti al malocchio perché è una forma
di… è una potenza della mente, e uno è predisposto più a fare... diciamo...
il malocchio, però c’è quello che lo fa involontariamente, c’è quello che lo
fa volontariamente. [guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov.
di Nuoro, 9/07/2012]
E ancora:
Può succedere che una persona ti guarda e basta e dopo qualche ora stai
male, ti dà mal di testa o mal di pancia. Se sei debole ti becca subito. At a
essere invidia, boh… o fossi bi l’at in su sambene.
Trad. Può essere invidia, boh... o forse ce l'ha nel sangue...[S.F., 83 anni,
Tula (SS)]
In alcuni casi, l'individuo capace di poter procurare danni con lo sguardo può essere
identificato sulla base di particolari caratteristiche fisiche. Queste caratteristiche
sono, come è facile immaginare, connesse a particolari conformazioni degli occhi,
come avere gli occhi chiari o, nella zona meridionale dell'Isola, presentare delle
pupille più grandi del normale, definite “ogu 'e crabu” (lett. "occhio di caprone", con
esplicito riferimento ad un animale che nella cultura popolare viene simbolicamente
assimilato al diavolo). Un'altra credenza variamente diffusa in Sardegna prevede
invece che gli jettatori possiedano due pupille in ogni occhio (Cabiddu 1965:244). Le
persone che non hanno invece il dono della vista vengono ritenute piuttosto dotate
nella cura e nella risoluzione della malattia.
Quando l'influenza negativa derivante dallo sguardo attecchisce, causa una
sintomatologia complessa definita nella variante logudorese “culpu 'e oju” (trad. lett
“colpo d'occhio”), e in quella campidanese “oju liau” o “pigau” (trad. lett. “occhio
preso” o “occhio legato), i cui effetti variano di caso in caso. La vittima della
fascinazione si sente stanca, mostra emicrania, spossatezza e inappetenza:
quando ti mettono occhio ti senti tutta distrutta, una stanchezza fisica senza
forze....pensi, perché se esci da casa che sei sana e non hai niente, e ti
incontra una persona, in un attimo tu ti senti così, distrutta, allora non pensi
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
altro ma... “m'at bidu oggiu malu!” (trad. “mi ha guardato un cattivo
occhio”) [G.L., 87 anni, Sindia -NU]
Su neonati e bimbi molto piccoli il sintomo principale del malocchio è un pianto
improvviso e prolungato senza motivazioni plausibili:
M. fizza mia fit minoredda, fit in sa carrozzina… Issa no ait mai leadu
ciuccietto però bi lu poniaimus sempre intro sa carrozzina… comunque
incontramus […] e s’ada abbaidadu a fizza mia e l’at nadu:«abbà itte
brava, no leat mancu su ciuccietto!» Attacat a pianghere M. ma folte, non n
de la finiat pius… fimus asucconados… li cheriat dare su ciuccio e no bi fit
pius in sa carrozzina…ipparidu! Tando semus andados a Oschiri a lu
comporare e fit tottu tancadu, semus andando a Othieri, in farmacia e
comente l’appo dadu su ciuccietto subitu s’est calmada.
Trad. M., mia figlia, era piccolina. Lei non aveva mai preso il ciuccetto ma
glielo mettevamo comunque dentro la carrozzina. Comunque incontriamo
….. e ha guardato mia figlia, dicendole: «Guarda che brava, non prende
neanche il ciuccetto!» M. inizia a piangere molto forte, non la finiva più.
Eravamo spaventati. Volevo darle il ciuccio, ma non era più dentro la
carrozzina... sparito! Allora siamo andati ad Oschiri a comprarlo ma era
tutto chiuso, siamo andati ad Ozieri in farmacia e come le ho dato il ciuccio
si è calmata. [F.A., 50 anni, Tula (SS]
In questo come nella maggior parte dei casi, il pianto nervoso del bambino si risolve
spontaneamente, con l'avverarsi della situazione prospettata dall'invidioso. In questo
caso, la salute del bambino non è stata compromessa. Nei casi più gravi, però,
subentra la febbre ed uno stato di deperimento:
T., fizzu meu, fit minoreddu…fit a giru cun fizza mia, M.. Istaida ene no
aiat nudda. Poi de pagu sunu recuidoso a domo; M. fit assucconada ca T. fit
rendidu, boh non cumprendiaimus itte aiat. L’appo muntesu in brazzoso
fit…insomma no aiat fortzas
Trad. Mio figlio era piccolino... era in giro con mia figlia, M. Stava bene,
non aveva nulla. Dopo un po' sono tornati a casa, M. era spaventata perché
T. era rintronato, boh, non capivamo cosa avesse. L'ho preso in braccio,
era... insomma, non aveva forze... [E.M., 89 anni, Tula (SS)]
Era un bel giorno d'estate, e decisi di andare a fare una passeggiata con il
mio primogenito, all'epoca tre anni. Usciti da casa non aveva niente, anzi
rideva e faceva delle pernacchie, dopo poco ha iniziato a piangere e
frignare, era tutto rosso in viso e scottava, aveva sicuramente la febbre. Nel
mentre ero vicino casa di mia madre e ho deciso di andare da lei, appena
arrivai mi sgridò, perché avevo portato il bambino a spasso in quelle
condizioni; le misurai la febbre e ce l'aveva a 40°. Il bambino continuava a
piangere senza fermarsi un attimo, allora decisi di chiamare una signora per
farle fare la medicina. Appena glieli fece mio figlio smise di piangere e non
aveva neanche più la febbre, anzi ritornò a ridere e a giocherellare. [M. T.,
Bono (SS), maggio 2014]
La risoluzione immediata dello stato di malessere è sempre prova, a posteriori,
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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dell'avvenuta fascinazione:
L'unica mia esperienza, essendo sempre anche vissuta fuori, mi è successa
un giorno. Matilde, mia figlia, che era sempre, ed è tuttora, sanissima, un
giorno dopo che abbiamo fatto una passeggiata è tornata con la febbre
altissima. Non riusciva a muoversi né a parlare. Una donna di qua ha
pensato bene di farmi fare la cura per il malocchio, che non so in cosa
consistesse. Beh, ad un certo punto, la bambina si è alzata e si è messa a
cantare. Una cosa paradossale, proprio. [V.P., 50 anni, Thiesi (SS)]
Il malocchio può causarne persino la morte. Così racconta, ad esempio una
guaritrice:
Una die est bennida in domo tia S. istaiada a culzu a domo de tia M. chi si
fit iglierada dae pagu… enidi tia S. e narada de faghere sa meighina pro su
fizzu de tia M. ca istaiada male meda. Su piseddu aiat pagas dies, no
cheriada mancu manigare. Tando mi so fatta attire due zuffoso de so piloso
de sa creadura. L’appo fattu sa meighina e s’oju, appo ettadu s’ozzu in
s’abba e s’ozzu… a leadu sa fromma ‘e unu baule. Mi so assucconada e
tando l’appo nadu: «faghidebila buffare unu pagu. Istasera torra a inoghe
chi bi la torro a faghere». Invece poi de calchi ora appo ischidu chi fit
moltu. [G.S., guaritrice, 83 anni, Tula]
Trad. Una volta è venuta a casa zia S., che abitava vicino alla casa di zia
M. che aveva partorito da poco. Viene zia e chiede di fare la medicina per il
figlio di zia M. che stava molto male. Il bambino aveva pochi giorni, non
voleva neanche mangiare. Allora mi sono fatta portare due ciuffi di capelli
del bambino. Gli ho fatto la medicina dell'occhio, e quando ho versato
l'occhio nell'acqua... ha preso la forma della bara. Mi sono spaventata e
allora ho detto: «Fategliene bere un po'. Stasera torna qua che gliela faccio
di nuovo» Invece dopo qualche ora ho saputo che era morto.
In questi casi, l'ideologia del malocchio si rivelava funzionale ad offrire una
spiegazione ad un evento luttuoso doloroso e difficilmente interpretabile come il
decesso di un bambino. Questi esempi sono un indizio del fatto che il sistema
ideologico del malocchio costituisce, come già a suo tempo aveva rivelato De
Martino, un tutt'uno con quello della fattura:
Era piccola avrà avuto cinque anni, aiat custo pilos longos longos, biondos,
fit propriu bella. Fidi a giru e una chi s’ischiat chi poniat oju l’a nadu «itte
bello pilos!». Poi at incominzadu a bombitare e poi de pagu si ch’est morta
Trad. Aveva questi capelli lunghi, biondi, era proprio bella. Era in giro ed
una persona che si sapeva causava il malocchio le ha detto: «Che bei
capelli!» Poi ha iniziato a vomitare e poco dopo è morta [F.F., 76 anni, Tula
(SS)]
Così come avviene per gli aggressori, anche per le vittime vige la legge del sangue,
per cui esistono individui più facilmente influenzabili di altri:
Per i malocchi c’è una persona che è più debole, non debole allora il
sangue uhm... diciamo molte persone hanno delle immunità, molte persone
no. Non c'entra niente la nascita, c'entra solamente che molte persone
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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hanno il sangue più... non che ha il sangue più forte... comunque sono
immuni a queste cose. Non c'entra niente l’ottimismo oppure il
pessimismo, non c'entra niente. Perché succede anche a quelle persone che
sono ottimiste, perché quello non ha distinzione. Molti si sentono un
qualcosa. [guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov. di Nuoro,
9/07/2012]
I bambini sono, per natura, particolarmente influenzabili:
Poi quando si arriva agli occhi, le pupille pari all’altra persona... allora
quello che ha la mente più forte, l’altra crolla. Infatti dicono sempre, a un
bambino, non guardarlo fisso negli occhi. [guaritrice a connotazione
carismatico-religiosa, prov. di Nuoro, 9/07/2012]
Oltre che per una predisposizione biologica, alcuni individui sono più soggetti di altri
all'influsso malefico a causa di altre caratteristiche. Il malocchio viene infatti spesso
messo in relazione con un sentimento di invidia, che ne costituisce la causa. Il
rapporto tra il sentimento di invidia e le relazioni che vittima e aggressore magico
intraprendono tra loro è stato efficacemente descritto dalla letteratura antropologica.
A questo proposito, l'antropologa Fiona Bowie, del King's College di Londra,
afferma che nelle culture tradizionali sia spesso diffusa l'idea che
Esiste solo una certa quantità finita di salute, ricchezza e felicità per tutti.
Se qualcuno è particolarmente realizzato, fertile e ha fortuna nella vita,
esiste il presupposto che abbia tratto profitto a spese di qualcun altro. Il
fortunato può temere coloro che sono meno abbienti, a causa del potere
della gelosia e forse del senso di colpa derivante dal presupposto condiviso
che in un gioco a somma zero l'unico sistema equo è che la buona sorte sia
distribuito nel modo più uniforme possibile (Bowie 2000:220, trad.)
In Sardegna come altrove, quindi, si diventa vittime del malocchio quando si è
fortunati, si possiede un certo livello di benessere economico o si possiedono virtù
dagli altri riconosciute. Per questa ragione, il malocchio si rivela particolarmente
efficace sui bambini e le cose belle, come afferma una guaritrice
Io sono vecchia, mica attacca a me il male. S'ogru malu attacca solo alle
cose belle, ai bambini e ai giovani". [E. S., Bono (SS), dicembre 2013]
Dato che “il malocchio è una specie di «ingordigia» per cui si «mangia con gli
occhi» la persona o la cosa. La si mangia perché la si desidera o invidia
violentemente" (Gallini 1973:102), non è detto che il sentimento alla base del
maleficio debba essere per forza negativo:
Il malocchio è quando una persona ha una forza particolare per mettere
occhio, anche involontariamente lo fa,c'è quella che lo fa volontariamente
per invidia, oppure una persona che non lo sa dice: «Che bello che è, che
bello che è- e se è una pianta si secca, se è un bambino sta male... [G.M. 59
anni, Sindia -NU]
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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L'occhio che brama, o desidera ardentemente, produce gli stessi effetti di quello
invidioso. Persino nel rapporto amoroso, quindi, occorre stare attenti:
Adesso te ne dico un’altra, mia nonna era molto bella, ma veramente
bella... era mio nonno e mia nonna vicino al caminetto come si faceva un
tempo, anche adesso però prima cucinavano addirittura col fuoco, allora
mio nonno la guardava e dentro di lui talmente le voleva bene, talmente la
desiderava che mia nonna è crollata come una pera cotta... la nonna che
aveva questo dono, si sono rivolti ad altre persone che fanno la medicina
del malocchio e tuttora molta gente fanno questa medicina del malocchio,
perché quello era un malocchio. Involontariamente mio nonno, talmente le
voleva bene... [guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov. di
Nuoro, 9/07/2012]
Oppure, nel vezzeggiare un bambino:
Tia mia (...) mi naraiat sempre chi su troppu amore tzeltas bias faghe
male… Infatti m’ammento sempre de una signora chi poi de battor fizzas
aiat appidu unu masciu. Fit una grande gioia custu masciu minoreddu poi
de tanta feminas… e sa mama gai, una die a sa creadura l’ at nadu: «fizzu
meu bellu!»… e il bambino dopo e… boh è come svenuto Il bambino
stava fermo, non si muoveva…issa fit a boghese, disiperada fit. Bi l’an
fatta sa maighina e bind’aiat meda... su piseddu l’at buffada e poi est istadu
ene. Ma isco chi est suzzessu attera bias. [A. F. 67 anni, Tula.]
Trad. Mia zia (…) mi raccontava sempre che il troppo amore certe volte fa
male. Infatti mi ricordo sempre di una signora che dopo quattro figlie aveva
avuto un maschio. Era una grande gioia questo maschietto dopo molte
femmine... e la mamma così una volta al bimbo gli ha detto: «Figlio mio
bello!» ... e il bambino dopo è... è come svenuto. Il bambino stava fermo,
non si muoveva... lei urlava, era disperata. Lo hanno curato con la medicina
e ne aveva molto... il bambino l'ha bevuta e poi è stato bene. Ma so che è
successo altre volte
L'antropologia italiana di ispirazione marxista ha analizzato, negli anni '70 del secolo
scorso, le correlazioni tra influenza negativa generata dall’invidia (in quanto,
appunto, sentimento antisociale) e un contesto fondato su precise regole basate sulla
reciprocità. Così si esprime, ad esempio, Clara Gallini, nella sua opera “Dono e
malocchio”:
L'«invidia» non è una motivazione psicologica: è anzitutto una norma
sociale, non esclusivamente negativa, attraverso la quale il gruppo afferma
come proprio diritto la sua funzione autoritaria e punitiva. La norma che si
propone è quella dell'equa distribuzione dei beni. Parte, di fatto, da una
proposta di parità: dobbiamo essere tutti alla pari, cioè ciascuno ha diritto a
una parte di benessere rigorosamente eguale a quella degli altri. [...] Il
controllo sociale - l'«occhio» di tutti - vigila costantemente a che non si
trasgredisca la regola (Gallini 1973:13).
Proprio per questo motivo, dato che nelle culture tradizionali gli strumenti necessari
al lavoro e gli animali “fanno corpo”, sono utili cioè, alla sussistenza del padrone e
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del suo gruppo famigliare, possono essere colpiti da malocchio:
Quando facevo il pastore più di una volta ho avuto problemi con il gregge
di pecore. Il gregge non riusciva, molte volte, a produrre il latte e c'erano
anche casi che non mangiavano; allora mi sono ricordato che era successa
la stessa cosa a mio padre. Anche lui all'epoca pastore, e lui si era rivolto a
una signora che faceva sa meighina e s'ogru, allora anche io ho fatto la
stessa cosa. Appena fatta la medicina, il gregge ha ripreso a mangiare e a
produrre il latte. [G. N., 70 anni, Bono, febbraio 2014]
Eppure, nonostante i rapporti di produzione che regolano la realtà sarda attuali siano
profondamente cambiati, l’ideologia del malocchio possiede tutt’ora diffusione
pressoché omogenea nell'Isola, pur con minime differenze tra contesti, soprattutto tra
grandi e piccoli centri.
Ciò è da collegarsi, in primo luogo, al fatto che un’esplicita accusa di
malocchio indirizzata contro una persona precisa, allora come adesso, offre la
possibilità, per l'accusante, di segnalare uno sgarbo ricevuto, di rendere manifesto un
disagio nei confronti di qualcuno. Significa affermare, in qualche modo, che
l'accusato non vuole condividere con l'accusante gioia e fortuna. Per questa ragione
assai raramente l'accusa esplicita di malocchio viene indirizzata nei confronti di un
estraneo. Frequentemente, l'accusa di malocchio colpisce o qualcuno noto per la sua
predisposizione biologica oppure qualcuno di molto vicino, più spesso famigliari
dello stesso sesso o persone con cui si intrattengono rapporti quotidiani, tanto che il
vicinato è il contesto più idoneo per le reciproche accuse (Dei, 2004b:62). Ancora più
raramente l'accusa viene esplicitamente rivolta al presunto jettatore, che quasi mai è a
conoscenza dell'accusa. Nel caso succeda, all'accusato rimane comunque sempre
l’opportunità di discolparsi sostenendo un’involontarietà dell’atto, ricomponendo in
questo modo, se c'è necessità e volontà, la frattura. Il potere negativo del malocchio,
infatti, non solo può essere prevenuto tramite l'uso di scongiuri, gesti apotropaici o
amuleti di protezione, ma può anche essere risolto facendo toccare la vittima del
sortilegio da colui che ha compiuto la fascinazione:
Una die fizzu meu Franziscu, sa veridade, fi troppu bellu cando fit
minore… semus andados in farmacia e una signora l’a nadu: «coro itte
bellu piseddu». Poi de pagas’orasa su piseddu gighiada sa frebba. Bè
l’appo fattu sa meighina e s’oju e già bi fit. Bi l’appo fatta buffare e no
passaiat; bi l’appo fatta tres bias e nudda no passaiat. Tando l’appo gittu dai
cussa signora e l’appo nadu de lu toccare ca issa l’aiada postu oju. [C.S. 63
anni, Tula]
Trad. Un giorno mio figlio Francesco, la verità, era troppo bello quando era
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Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
piccolo... Siamo andati in farmacia ed una signora gli ha detto: «Che bel
bambino!» Dopo poche ore il bambino aveva la febbre. Beh, gli ho fatto la
medicina ed il malocchio c'era. Gliel'ho fatta bere e non passava, l'ho fatta
tre volte e nulla, non passava. Allora l'ho portato dalla signora e le ho detto
di toccarlo perché gli aveva messo occhio.
Il gesto di toccare viene spesso compiuto in senso preventivo, per evitare un
malocchio involontario, ed è un modo per segnalare l'apprezzamento di qualcosa o
qualcuno, per cui “utilizzando un medesimo indirizzo semantico, ci si presenta e si
rendono chiare le proprie intenzioni: si esprime la legittimità delle proprie
aspirazioni e si dimostra la propria benevolenza nei confronti dell’altro” (Cola
2008:139).
L'energia negativa del malocchio non colpisce solo le persone, ma anche le piante e
gli animali. Questi ultimi, come i bambini, paiono essere particolarmente
influenzabili, dato che lo sguardo invidioso ha conseguenze catastrofiche sul loro
cuore, come dimostrano queste due storie provenienti dall'Oristanese:
Quando ero ragazza vivevo vicino a un signore che faceva parte di quella
famiglia conosciuta come portatrice di cattivo occhio, ricordo che questo
individuo si sedeva spesso davanti alla porta di casa sua e un giorno mentre
il macellaio portava la vitella al macello, una volta passati davanti alla
persona nota l'animale non né volle più sapere di andare avanti. Così andai
io stessa dalla persona portatrice di malocchio a invitarla ad accarezzare la
vitella che una volta toccata riprese il cammino [S.M., 81 anni, Paulilatino
(OR)].
Mio padre era allevatore e un giorno stava portando un vitello in un'altra
campagna, come è passato davanti un personaggio che sapiamo mette il
malocchio, il vitello è svenuto, mio padre voleva dirgli di toccarlo ma non
lo ha fatto per paura che quel individuo si sarebbe offeso. Dopo pochi
minuti il vitello è morto. Mio padre sapeva le cause della morte del suo
animale ma per curiosità e per sapere quali spiegazioni scientifiche gli
avrebbero dato ha chiamato il veterinario che gli fece l'autopsia. La
scoperta fu stravolgente, l'autopsia sul vitello era chiara, morì perché gli si
spezzò il cuore in due parti. Non c'erano dubbi sui motivi di questo malore
[T.P., 65 anni, Paulilatino (OR)].
E come dimostra, inoltre, questa storia raccolta in provincia di Sassari, dove, invece,
è un cavallo ad aver subito le conseguenze del malocchio a causa del sentimento di
eccessivo affetto che il padrone nutriva nei suoi confronti:
Mi sono comprato un cavallo, bellissimo, puro sangue; l'ho comprato da
poco in occasione a un evento. Il giorno ero felicissimo, dalla contentezza
ero anche a salti. Però siccome non mi fidavo molto della gente perché è
molto gelosa, l'ho tenuto dentro la stalla e non l'ho fatto uscire per il fatto
del malocchio. Dopo poco, il cavallo si è disteso a terra in un angolo, quasi
ansimava. Io ero disperato, però subito ho pensato: “Nessuno lo ha visto, io
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sono felicissimo e solo io posso avergli messo il malocchio o fatto
qualcosa”. Allora ho subito chiamato a una persona per farmi fare la
medicina e le ho spiegato la situazione; in effetti, il cavallo aveva il
malocchio, fatta la medicina e accarezzato io il cavallo, questo si è ripreso.
Quindi io stesso, per la felicità e il bene che volevo al cavallo, gli avevo
messo il malocchio. [G. F., 28 anni, Bono (SS), gennaio 2014]
Nella cultura tradizionale come in quella contemporanea, inoltre, il malocchio offre
una spiegazione per la casualità di eventi negativi per cui la vittima può o meno
avere responsabilità. Dall'analisi della letteratura etnografica emerge il fatto che
frequentemente l'ideologia relativa alla diagnosi ed alla conseguente terapia del
malocchio si configuri, in Sardegna ed altrove, come una cosa di donne. Così, a
questo proposito, Clara Galllini:
A livello del comportamento pratico, tutto l'arco delle azioni necessarie ai
fini della diagnosi e della guarigione è seguito dalle donne. Per quanto
anche i maschi credano in egual misura delle femmine, sono esse in genere
a mettere in atto tutta la complicatissima meccanica di interventi,
discussioni e consigli. (Gallini 1973:136)
E così, invece, una delle informatrici:
Sos omines non bi creent comente a nois… si no as fede no bi podes creere
a sa meighina ʹe s’oju. [Intervista a P. C. 75 anni, Tula (SS)]
Trad. “Gli uomini non credono come noi…se non hai fede non puoi
credere alla medicina dell’occhio.”
Anche nelle parole degli informatori più giovani, nonostante siano state attestate
naturalmente reazioni scettiche11, emerge chiaramente come l'ideologia del
malocchio sia per molti tuttora un orizzonte culturale di riferimento utile, per le
ragioni sopra menzionate, a rappresentare il proprio mondo relazionale e sociale.
Così dimostra, ad esempio, la storia sotto riportata, dove un giovane ragazzo
rappresenta la paura, lo smarrimento e lo sconforto vissuti nei primi momenti della
sua emigrazione nei termini conosciuti dell'ideologia magica:
Allora, io sono un po' scettico nonostante con me abbia funzionato. Allora
quando io sono partito a Londra, durante i primi quindici giorni stava
andando tutto male. Non trovavamo lavoro, i soldi stavano finendo e non
trovavamo una casa e inoltre il nostro contatto ci aveva fregato. Una sera
ero a telefono con mia madre e mi ha detto che sarebbe andata a farmi fare
la medicina dell'occhio. La medicina dell'occhio in questione è quella
dell'olio dentro un bicchiere d'acqua, a seconda di quanto si espande l'olio è
grave il malocchio. Nel mio caso l'olio si è espanso in pochi secondi. La
signora ha detto che il malocchio ci era stato fatto da persone vicine, molto
vicine. Si pensava ad amici e conoscenti invidiosi che magari dicevano:
«Eh beati loro che ora vanno a Londra, si mettono a posto, staranno bene».
11 Ad esempio, interviste ad A.S., 28 anni-Tula (SS), N.S., 28 anni, Tula (SS)
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Quindi non stavano augurando un male direttamente. Resta il fatto che
dopo la medicina dell'occhio io e i miei amici abbiamo trovato lavoro e
casa in una settimana. É assurdo, però è così. [S.P., 23 anni, Tula (SS)]
L'ideologia del malocchio e la cura del guaritore incarna, per molti, l'essenza della
medicina tradizionale. Rappresenta, nei discorsi di molti, il punto principale di
differenziazione tra “veri” e “falsi” operatori, tra chi aiuta e chi, invece, lucra sulle
altrui sofferenze:
Posso accettare che in molti vanno dai guaritori per farsi fare qualche
medicina, anche io ci sono andato quando mi sentivo giù per un esame
universitario, ma non accetto che molte persone vadano da questi maghi
per sapere il futuro o altre cose, si rovinano e basta. Questi sono bravi a
raggirarsi le persone, perché le vedono deboli e a prenderle un sacco di
soldi senza risolvere niente. Invece, a differenza loro, vai dal guaritore ti fa
la medicina e non vuole neanche che le dici "grazie", io non ci credo a
questi maghi moderni, tutte fandonie sono. [A. F., 30 anni, Bono (SS)]
Non sono rari, quindi, i casi, che un malessere improvviso venga interpretato come la
prova di un'aggressione magica compiuta da uno sconosciuto, come dimostra
l'esempio seguente:
Ero a casa, che mi rilassavo sul divano. Ad un certo punto, mi arrivò un
mal di testa terrificante all'altezza delle tempie, era inspiegabile. Ho
chiamato subito mia madre, non riuscivo a capire niente, il dolore era
troppo forte, appena mi ha visto, ha chiamato subito una signora che fa
queste cose. Il tanto di fare la medicina, cinque dieci minuti che subito
stavo meglio e mi sentivo la testa più leggera e il dolore che andava via.
[G.C., 25 anni, Bono (SS)]
Un atteggiamento frequentemente riscontrato è quello dell'half-belief, della mezza
credenza, per cui pur non aderendo completamente all'orizzonte culturale se ne
condividono, in qualche modo, i presupposti. In questo, forniscono un'utile
mediazione culturale le filosofie olistiche basate sul concetto di energia:
Io non lo so se ci credo o no. Effettivamente, quando una persona mi
guarda, che mi fissa intensamente negli occhi, la prima cosa che mi viene
in mente è di fare gli scongiuri. Deve essere una cosa che ho ereditata,
perché mi viene spontaneo. Poi però ci penso e penso che sia una cosa un
po' stupida. Eppure esistono le energie, ci saranno anche quelle negative,
no? [G.C., 29 anni, Cagliari, ottobre 2014]
Sembra, inoltre, una contaminazione recente l'utilizzo del rito in senso preventivo,
non come cura per un disturbo che riguarda la persona quanto, piuttosto, come una
sorta di rassicurazione per un'azione che deve essere compiuta:
Mi rivolgevo dalla persona di fiducia quando avevo un appuntamento
amoroso con Bachisio, ora mio marito; mi facevo fare la medicina
dell'occhio per far si che tutto andasse per il verso giusto. [E. L., 50 anni,
152
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Bono (SS), febbraio 2014]
Le volte che mi rivolgo di più a un guaritore sono quando ho degli esami
universitari, perché penso sempre che qualcuno mi possa infliggere il
malocchio se viene a sapere che ho l'esame quel determinato giorno". [F.
C., 25 anni, Bono (SS), dicembre 2013]
Questo viene rappresentato dagli operatori come una sorta di scadimento del valore
del rito:
Oggi le persone non conoscono più il vero valore della medicina
dell'occhio e la gente viene da me per cose di poco conto, per esempio per
fare la medicina alla lavatrice che ogni anno si guasta: io non ci posso fare
nulla per queste cose ma per fare felici le persone lo eseguo lo stesso.
[S.M., 81 anni, guaritrice, Paulilatino (OR)]
E ancora:
Mi rivolgo sempre a un guaritore quando ho qualche partita di calcio, mi
faccio fare sa meighina e s'ogru sulle scarpette, perché voglio dare sempre
il meglio di me giocando e con questo rito penso sempre che le mie scarpe
abbiano qualcosa di magico che mi protegge e mi porta fortuna. [F. T., 20
anni Bono, gennaio 2014]
In alcuni casi, la medicina contro lo sguardo invidioso può essere praticata su un
oggetto, che viene così ad assumere la funzione di un vero e proprio amuleto. Così la
stessa guaritrice:
La medicina dell'occhio la pratico sui santini e li consegno alle persone che
lo richiedono come protezione appunto dall'invidia, ne faccio molto uso di
questa pratica e consegno i santini sopratutto in particolari situazioni o
eventi, come per esempio ai miei figli o conoscenti, prima di partecipare
alla processione con il cavallo e alla successiva ardia. [S.M., 81 anni,
Paulilatino]
Come si intuisce dalle testimonianze riportate, quindi, non è detto che amuleti,
scongiuri e ulteriori precauzioni adottate funzionino. In questo caso, la persona
colpita inizia a mostrare i sintomi del malocchio, e l'unica strada sa seguire è recarsi
da un guaritore specializzato nella cura del disturbo.
La grande disponibilità di guaritori attivi sul territorio sardo è piuttosto indicativa del
grado di diffusione e sentita partecipazione alla credenza. Nando Cossu stima
approssimativamente i guaritori sardi che si occupano di curare, in associazione o
meno con altre patologie, gli stati critici attribuibili al malocchio in circa 500 unità,
stimate molto probabilmente per difetto. Per questa ragione, è abbastanza semplice,
per chiunque, riuscire ad accedere alla cura, senza grosse differenze tra città e piccoli
centri. Cossu elenca, inoltre, le varie tipologie di rituale presenti sul territorio
isolano, tra loro talvolta notevolmente differenti per amuleti, formule, modalità di
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esecuzione, qualità e quantità delle preghiere da recitare . Non sono state rinvenute,
in questa occasione, altre tipologie di cura differenti da quelle elencate dallo studioso
(Cossu 2006:169). Viene, inoltre, confermata la caratterizzazione sincretica della
cura, nella recitazione di apposite preghiere a Gesù Cristo e alla Madonna, e le
frequenti invocazioni ai Santi Dottori: Santi Cosimo e Damiano, Sant'Antioco e San
Pantaleo. Anche se l'occhio invidioso non viene esplicitamente nominato, le formule
attestate fanno esplicito riferimento al “furto del sangue” che segue all'influenza
nefasta con cui l'invidioso mette in pericolo la vita della vittima, il cui processo di
guarigione viene metaforicamente assimilato alla resurrezione di Cristo:
Comente Deus est in sa rughe/ torrende su sambene in virtude./Comente
Deus este in sa rughe incoronadu/torrende su sambene a chie l'at leadu./
Comente Deus este in sa rughe vera/ torrende su sambene in sas benas.
Trad. Come Dio è sulla croce/ torni il sangue in virtù/Come dio è nella
croce incoronato/ torni il sangue a chi è stato rubato/Come dio è nella vera
croce/torni il sangue nelle vene
In altri casi, la caratterizzazione religiosa della cura riguarda solo il momento di
preparazione alla stessa, mentre nella formula non sono presenti riferimenti
all'ideologia cattolica. Così, ad esempio, in questa formula, ritenuta particolarmente
efficace:
O abba o giada/ o aria mala,/umbra, cosa accolta/omine moltu/ o imbidia o
morimentu/si oltet a mossu.
Trad. O acqua, o giada/ o aria cattiva/ ombra, “cosa” accolta/uomo morto/
l'invidia e l'agonia/ se la prendano con se stesse [guaritore anonimo, Sindia
(NU)]
La recitazione della formula può precedere, accompagnare o seguire il momento
della diagnosi. Questa consiste nell'immersione di alcuni elementi e/o oggetti (grano,
sale, olio, pietre miracolose variamente connotate, medaglie ed amuleti protettivi,
utilizzati da soli o in combinazione) in un bicchiere, in un piatto o in un piccolo
catino. L'operatore osserva ed interpreta le bolle d'aria che si formano nell'acqua: se
sono numerose, grandi e persistono per più minuti, significa che il malocchio persiste
ed è forte; se sono piccole e rade ma raggruppate sul fondo del bicchiere o attorno
all'oggetto utilizzato, il malessere del paziente risale a tempo addietro.
Alcune delle guaritrici sono in grado di trarre dal rito conclusioni più
particolareggiate:
Si capisce da quello che ti esce dentro il piatto. A seconda della figura
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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riesci a capire se è bene o se è male, cioè se una persona te l ha fatto per
cattiveria o no! Se è per cattiveria allora vedi dei serpenti, delle spade, delle
catene, se invece è causato solo da un complimento che ti ha fatto una
persona e tu prendi la negatività, anche se te l'ha fatto senza intenzione,
allora nel piatto escono dei tralci d'uva, delle colombe. [F.F., 52 anni,
Sindia (NU)]
In caso di responso positivo, l'operatore fa quindi bere al paziente un sorso d'acqua
e/o “segna” il corpo del paziente in posti specifici, soprattutto le giunture:
Ti la faghent prima buffade, pois si ponet a rughe in sos annoigadolzos
[M.D.R., 50 anni, Sindia, -NU-]
Trad. Te la fanno bere, poi si mette a croce nelle giunture.
Terminato il rito, l'acqua va gettata sul fuoco formando una croce o in qualsiasi luogo
dove non passi nessuno, per evitare che il male trasmesso all'acqua possa essere
assorbito da un ignaro passante:
Si che fugliada a rughe in su foghile o che la teves fugliade a cara a mare,
si narada un attera formula puru da chi che la sese fugliende e no bi tevet
passade pius niunu. [M.D.R., 50 anni, Sindia, -Nu-]
Trad. si butta a forma di croce nel caminetto o la devi buttare faccia al
mare, si dice anche un'altra formula quando la stai gettando, e non ci deve
passare nessuno.
Il rituale può essere rafforzato nel caso in cui l'influenza si dimostrasse
particolarmente grave. In questi casi, il rito può essere ripetuto dall'operatrice magica
per altre due volte, oppure si provvederà a consultare altre due operatrici. La
medicina compiuta contemporaneamente da tre guaritori viene infatti comunemente
ritenuta particolarmente efficace:
La medicina dell'occhio, se riesci a gestirla tu bene, se vedi che al terzo
giorno non riesci e non passa, se l'occhio è potente, si fa in tre. [G.M., 59
anni, Sindia (NU)]
La trasmissione della cura da guaritore a guaritore può avvenire con diverse modalità e
seguire diverse procedure, e può o meno essere effettuata in momenti dell'anno
simbolicamente determinati. Nella maggior parte dei casi riscontrati, però, la
trasmissione dei verbos di cura del malocchio avviene all'interno del gruppo
famigliare, generalmente da madre a figlia o da nonna a nipote. Ciò non costituisce
però un obbligo, dato che gli informatori sottolineano che l'unica prerogativa richiesta
al futuro guaritore sia l'essere puro di cuore, non avere cioè intenzioni malevole ed
essere predisposto alla cura del prossimo. Per questo motivo, gli operatori interpretano
la propria missione come l'espressione tangibile di un dono. Oltre al rito appreso,i
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
guaritori vantano le proprie doti di ascolto e sensibilità nel soccorso al paziente:
...è un dono che mi è stato donato e mi sento dall'interno del mio corpo
l'istinto che lo devo portare subito a compimento. Quando fornisco la
risposta cerco sempre di tranquillizzare le persone, anche se c'è il
malocchio, senza metterle ancora di più di malumore. Le persone che mi
cercano sono persone che si fidano e trovano sostegno. Ho una grossa
responsabilità, bisogna essere liberi di mente e non fissarsi che tutto capiti
a noi. [guaritore anonimo, Bono, dicembre 2013]
In alcuni casi, l'unica prescrizione riguarda il numero di operatori rituali in attività con
la stessa formula: in alcuni casi, la formula può essere trasmessa a non più di tre
persone, in altri, é essenziale che l'operatore, una volta tramandata la formula, non
svolga più il rito, in quanto qualora si sia in due a svolgere la stessa medicina, non avrà
alcun effetto. Per questo motivo non è infrequente che la formula venga scritta e
tramandata solo in punto di morte. Sarà poi l'apprendista a mettere alla prova le proprie
capacità.
Frequentemente, la cura del malocchio viene intesa come pratica di self-help,
come qualcosa di indispensabile per la buona gestione del gruppo famigliare. Una
necessità per la brava madre di famiglia, che in questo modo preservava la salute e
l'integrità dei propri affetti.
La grande vitalità di credenze e pratiche relative al malocchio è evidente anche dalla
duttilità che questo complesso mitico-rituale mostra. In alcuni casi, ad esempio,
vengono incorporate pratiche provenienti da altri contesti geografici, che proprio in
ragione del loro essere esotiche vengono spesso considerate in maniera più
favorevole rispetto alle tipologie di cura tradizionali. Così ad esempio, a Mamoiada
(NU):
La nostra vicina di casa, la siciliana, cura il malocchio. È molto diversa da
quella che facciamo noi, però funziona. [A.S., 45 anni, Mamoiada (NU)]
A Sindia (Nu), invece, madre e figlia, emigrate in Germania durante gli anni '70 del
secolo scorso, hanno appreso la cura da una signora napoletana che, ipotizzando un
loro futuro rientro in Sardegna, ritenne di poter affidare loro il rituale dal momento
che, per tornare a casa, avrebbero attraversato il mare. Si tratta di un rito di guarigione
composto da preghiere ed imposizione delle mani, mentre a seconda della quantità di
lacrime e sbadigli che l'operatrice fa una volta terminato il rito di guarigione, si
stabilisce l'entità del malocchio, che verrà poi espulso dall'operatrice stessa sputando
per tre volte. La guaritrice in questione afferma di avere imparato all'estero un'ulteriore
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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tipologia di cura, ma di non averle più praticate a causa dei gravi contraccolpi magici
che causava:
Deo ischia faghet finzas sa greca, mi l'aiant imparada in Germania ettottu,
però non nd'appo torradu a faghere ca nde lu leia da chie lu teniat e
s'attachiat a mie. [L.D. Sindia -NU-]
Trad. Io sapevo fare anche quella greca, ma l'avevano insegnato in
Germania, però non ho continuato a farla perché quando lo toglievo agli
altri si attaccava a me.
Come dimostra il caso sopra citato, può capitare che un operatore magico
specializzato nella cura del malocchio conosca più di una procedura per la sua
diagnosi e guarigione. Così ad esempio:
io immergendo nell'acqua per tre volte i chicchi di grano, e per ogni chicco
pronuncio delle formule, e se questi produrranno delle bollicine sarà indice
di malocchio, e devono essere scoppiate. Conosco anche un secondo
metodo molto simile, ma al posto del grano nell'acqua, viene immerso un
ossicino in corno di cervo e questo procedimento viene chiamato
s'abbrevae. Il metodo del grano mi è stato insegnato da mia zia, invece mia
madre si adoperava con quello de s'abbrevae che in passato lo usava mia
nonna ma non mi era stato insegnato da mia madre per gelosia. Mia madre
aveva un pezzo grande di corno e ogni volta ne tagliava un pezzetto faceva
s'abbrevae e poi lo consegnava alle persone contro il malocchio. [guaritore
anonimo, Paulilatino (OR)]
L'operatrice in questione si dichiara disposta a voler tramandare la formula, ma
segnala la mancanza di persone adatte a ricevere la formula:
Io vorrei insegnare a qualcuno come fare la medicina dell'occhio ma della
mia famiglia, le mie figlie o nipoti non lo vogliono apprendere perché non
ci credono e allora non serve a nulla insegnarglielo, poi bisogna anche
essere portati per fare queste cose, non tutti sono predisposti, forse dipende
dal sangue. [intervista a S.M. (81 anni), Paulilatino (OR)]
In alcuni contesti locali, è stata inoltre segnalata una specializzazione maschile
dell'atto del segnare, che veniva compiuta dagli uomini sugli animali con l'utilizzo de
su berrette (copricapo maschile), che veniva rivoltato nella parte interna e utilizzato
per formare le croci, prima sugli animali per tre volte consecutive e poi sul terreno,
ripetendo il gesto sempre per tre volte. Non si è riusciti, invece, a reperire le formule
magiche che venivano pronunciate durante il rito:
O. la faghiat, bi l'aiat lassada babbu. Deo però no l'appo mai idu faghindela,
ma a babbu eja! S'ingrusciat a denanti de su oe, si nde oghiat su berrette e
lu giraiat a s'ala fea, poi incominzaiat a signade sos animales, goi, po tres
boltas e su mattessi faghiat in terra! No nd'isco si naraiat calchi cosa, calchi
preghiera ma creo chi emmo, mancari deo no nde l'appa mai intesu! Ca si
naraiant a s'iscuggia![P.S., 80 anni, Sindia (NU)]
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Trad. O, la faceva, gliel'aveva lasciata il babbo. Io però non l'ho mai visto
mettendola in pratica, però a mio padre sì! Si inginocchiava davanti al bue,
toglieva il berretto e lo girava dalla parte interna, poi inizia a segnare gli
animali, così, per tre volte, e la stessa cosa faceva per terra! Non so se
diceva qualcosa, qualche preghiera, ma credo di sì, magari io non l'ho mai
sentito, perché si doveva dire di nascosto!
Piuttosto controverso appare il rapporto tra le ideologie e pratiche relative al
malocchio e l'istituzione cattolica ufficiale. Nonostante dalle parole degli informatori
emerga una certa confluenza ideologica tra universo terapeutico popolare e religione
cattolica, la maggior parte dei sacerdoti si dimostra piuttosto ostile nei confronti di
queste credenze, dipinte come esempi di superstizione o reminiscenze del
paganesimo; dal momento che “oggi la Chiesa ammette il maleficio diabolico, ma
tende ad escludere da essa la fascinazione, pur senza contrastarla frontalmente”.
(Scafoglio, De Luna 1999:159).
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
2.2. Fattura
L'ideologia del malocchio sopra descritta non si rivela adeguata, però, ad offrire una
valida spiegazione circa l'origine e la natura di quelle alterazioni fisiche (più
raramente psichiche) che abbiano gravemente compromesso la salute di un
individuo, e i cui sintomi differiscono notevolmente da quelli comunemente
ascrivibili al malocchio e/o che non vengono risolti con l'uso della comune
procedura. Nel momento in cui, quindi, l'individuo sofferente mostra i sintomi di una
malattia che sembra mettere in crisi la sua sopravvivenza, l'universo di pratiche e
credenze relative al malocchio non basta più. É in questo momento che arriva la
diagnosi di “fattura”, ovvero l'ipotesi che alla base del malessere riscontrato possa
esserci un rito magico compiuto da un rivale.
La “fattura” è l'esempio di magia simpatica più frequentemente citato nella
letteratura etnografica, anche in relazione alla Sardegna. Si basa, fondamentalmente,
sulla costruzione di un'effigie del proprio nemico con i più disparati metodi e
materiali. Ogni azione compiuta sull'effige si ripercuote tale e quali sulla vittima. Il
cerimoniale preposto è stato ampiamente descritto dalla letteratura folklorica. Così,
ad esempio, scrive Grazia Deledda:
I sortilegi per il danno e per la morte delle persone odiate si eseguono con
statuette di sughero, flagellate di chiodi e d'aculei e collocate in luogo sotto
il quale la persona presa di mira passasse. L'effetto era sicuro e terribile:
per magico incanto i chiodi o gli aculei pungevano il corpo del malcapitato,
causando malattie o morte. Ritrovando la magia e disfacendola la persona
poteva salvarsi; non così se non veniva ritrovata o, se ritrovata, gettata nel
fuoco senza estrarne i chiodi. (Deledda 1899:124)
Come si evince dal passo citato e come confermano le interviste effettuate, si tratta di
un rito magico che può essere messo in atto da chiunque. Di solito, però, ci si
rivolgeva ad un operatore magico che possedesse le conoscenze adatte. Una delle
prerogative di majalzos e majalzas era, appunto, quella di possedere le conoscenze
necessarie per preparare e “disfare” o “sciogliere” le fatture. Era infatti opinione
comune che desiderare il male altrui comportasse il pericolo di un ritorno magico
negativo.
In alcuni contesti specifici la denominazione dialettale tende a differenziare le
due tipologie, distinguendo i riti magici “improvvisati” da quelli eseguiti con l'aiuto
di un operatore. A Sindia (NU), ad esempio, le due tipologie di aggressione magica
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sono indicate, rispettivamente, con le denominazioni maggiunculos e fattuzzos,
creando così una distinzione tra riti magici improvvisati con qualunque cosa si
avesse a portata di mano, generalmente frutta, pezzi di carne oppure di stoffa, e
“fatture” vere e proprie, compiute con l'ausilio dell'operatore, che prevedevano
invece la creazione di una figura antropomorfa, la cosiddetta pipia (lett. bambina,
bambolina). L'operatore procedeva ad infilzare con uno o più oggetti appuntiti
(generalmente chiodi,aghi o spille) il fantoccio, nei punti in cui intendeva infliggere
il dolore. Potevano inoltre essere utilizzate delle candele nere create con la pece e
portate in chiesa, oppure piccole piccole bare fabbricate a mano. L'oggetto creato
andava in seguito portato il più vicino possibile alla vittima. Spesso, la fattura veniva
nascosta sotto l'uscio, il pavimento o lanciata sopra il tetto dell'abitazione,
frequentemente nascosta in un luogo dove sarebbe stato difficile ritrovarla.
Lo scopo era impedire il rito di contro-fattura, ovvero il suo scioglimento, che poteva
essere attuato solo se l'operatore magico fosse venuto in possesso dell'oggetto. In
quel caso
"L'abberiada cun d'una froffighe, (“li apriva con una forbice”), poi
guardava quello che c'era dentro e se c'erano nodi li doveva tagliare o sciogliere"
[M.D.R., 50 anni, Sindia (NU)]. Era opinione comune che, in mancanza di un
operatore magio specializzato, potesse essere utile recarsi dal prete:
Io mi ricordo che don M. ne aveva disfatto uno. L'avevano fatta, la
bambolina, con pezzi di stoffa di vestiti portati via da una riesumazione.
Dentro era fatta di pezzi di carne, tipo istintinas [il termine sta ad indicare
l'intestino umano ed animale, quest'ultimo spesso ridotto a treccia e
consumato, ndr] tutte fatte a nodi e poi era vestita con questi abiti. Era
dentro una bara piccola e dentro aveva tutte queste cose. Fatta come in
miniatura. Era tutto annodato e aveva queste cose legate. [M.D.R., 50 anni,
Sindia -NU-]
Il maleficio si rivelava notevolmente più efficace se venivano utilizzati pezzi di
vestiti della vittima, capelli, fotografie che la ritraessero, qualsiasi oggetto
strettamente personale o venuto per qualsiasi motivo a contatto con la vittima.
L'oggetto responsabile della fattura doveva essere, in ogni caso, distrutto con
apposito cerimoniale. Pur essendo costruita per nuocere ad una persona determinata,
nell'ideologia tradizionale, l'intenzione malvagia instillata nel manufatto durante il
rito tendeva a permanere in questo anche dopo che l'effetto negativo auspicato aveva
avuto luogo. Per la stessa ragione, andava scongiurata la possibilità di un contatto
casuale con un'effigie costruita allo scopo di danneggiare qualcuno. Nel caso sotto
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riportato, ad esempio, una bambina viene colpita dagli effetti negativi di una fattura
ordita contro una coppia di sposi:
Zia Maria Antonia era zoppa...prima mandavano le bambine, prima di
sposarsi qualcuno, ad accendere le candele in chiesa. Questa coppia si è
sposata a San Demetrio. Zia Maria Antonia era andata ad accendere la
candela ed è caduta nel cancello di San Demetrio.. e li ci avevano nascosto
una fattura per gli sposi! Cade.. e l'hanno alzata in due, non ha più
camminato! Nonno ha girato mille fattucchiere...una gliel' ha detto, era
veggente! -Hanno fatto una fattura agli sposi e l ha presa tua figlia!- Era
paralitica 7 anni... lo sia chi l'ha miracolata? Padre Manzella... Lei non
poteva vedere nessuno, odiava i sacerdoti! Nde oghiada sas ficcasa dae
sutta su lentolu da chi idiat predisi! Quando è entrato padre Manzella non l'
ha fatto! L ha esorcizzata e la sera è andata anche in chiesa! [G.M., 59 anni,
Sindia -NU]
A differenza di quanto accade per la parte dell'apparato ideologico rituale che
appartiene al malocchio, gli informatori non parlano mai volentieri della fattura,
nonostante partecipino al medesimo universo credenziale. Si possono ricondurre, alla
base di questo comportamento, le motivazioni che l'antropologa francese Jeanne
Favret-Saada rintracciò essere alla base dei ripetuti silenzi riguardo la stregoneria che
ella riscontrò di frequente nel suo campo d'indagine. In primo luogo, afferma, in
molte delle culture tradizionali nominare il male significa sempre, in qualche modo,
evocarlo. In secondo luogo, perché mostrarsi troppo a conoscenza di determinate
pratiche potrebbe indurre l'interlocutore a ritenere che chi parla possa essere in grado
di ordire determinati malefici (Favret-Saada 1977).
Per questo la “fattura” è quasi sempre qualcosa che nelle parole degli informatori
riguarda gli altri, proiettando al di fuori del sé caratteristiche ed intenzioni che
possano mettere in pericolo la vita comunitaria:
Deo no nd'isco de fattuzzos... deo non d'appo mai idu, però narant chi n'ana
appidu in sas domos, in sas giannas, comente suni sas de B. chi n'ant
appidu...bo deo no nd'isco...pippiasa...tottu appunzadas...A. cussas cosas
gia las faghiada, e sas de basciu!! [S.P. 80 anni, Sindia (NU)]
Trad. Io non ne so di fatture, io non ne ho mai visto, però dicono che ne
hanno trovato nelle case, nelle porte, come sono quelle di B. (si riferisce a
una famiglia), che ne hanno trovato! Boh io non lo so... bamboline... tutte
piene di spilli... A. queste cose già le faceva, e anche quelle di giù!
Non è inoltre da sottovalutare il fatto che le narrazioni che riguardano l'ideologia
della fattura fanno riferimento, nella maggior parte dei casi, ad un vissuto doloroso
ed intimo di cui raramente si è disposti a parlare, soprattutto nel caso della “fattura a
morte”; nel caso, cioè, in cui la magia negativa viene considerata la motivazione di
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un lutto famigliare vissuto più o meno recentemente.
A differenza dei guaritori che curano il malocchio, la figura degli operatori
rituali che hanno la capacità di risolvere le fatture non è affatto diffusa. Comporta,
infatti, padronanza del mondo spirituale e conoscenza delle leggi che regolano il
rapporto con l'aldilà. Dato che, come si vedrà più avanti, avere a che fare con il
mondo soprannaturale delle anime e dei defunti è motivo di stigmatizzazione sociale,
gli operatori rituali che si occupano di sciogliere fatture presentano sempre
un'ideologia sincretica a forte connotazione cattolica che possa metterli al riparo
dalle accuse di essere in grado di nuocere al prossimo. Così racconta, a questo
proposito, una guaritrice della provincia di Nuoro:
Giustamente se tu hai la possibilità di aiutare le persone, sono anche felice
però ne esco in certe condizioni, hai visto la mia gamba in che condizioni
era?… Beh, ne ho messo di tempo per sciogliere la fattura, se io sono
ridotta in queste condizioni è perché ci metto il tempo, c’è sempre
qualcuno che mi mantiene per non fare segni, in bocca, addirittura se tu lo
noti ho anche un segno... qui perché a volte mi tappano la bocca, mi
stringono anche per non dire le preghiere la notte, capito? e allora mi
picchiano. [guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov. di Nuoro,
9/07/2012]
La guaritrice attribuisce la difficoltà di risoluzione della fattura all'intervento degli
spiriti (che, comandati dal mago che l'ha ordita, hanno appunto il compito di evitare
la risoluzione magica). A testimoniare il loro intervento, la guaritrice mostra una
serie di evidenti segni sul corpo12:
Il caso di queste cicatrici è quando io sto pregando, allora mi blocca, infatti
io le braccia, lo vedi che sono tutta segni perché è prosciugata, vedi proprio
qua. Adesso come questo che mi ha portato questo, è un liquido di una
12 Nel descrivere e mostrare le sue cicatrici, la sensitiva cerca di dare una prova
all'interlocutore della realtà dei suoi poteri offrendo una prova visiva. L'attenzione
dell'antropologo non può, però, concentrarsi sull'attestazione o meno della realtà dei poteri
magici, quanto, piuttosto sull'analisi del contesto in cui queste abilità magiche, vere o
presunte, acquistano senso. Nell'opera "Dice che hanno visto la Madonna", l'antropologo
italiano Paolo Apolito dedica al problema una nota essenziale, concentrandosi sulla difficoltà
che ogni antropologo vive nel cercare di analizzare fenomeni difficilmente comprensibili
tramite logica causale. A proposito delle apparizioni mariane, egli, appunto, scrive: “Non
tocca all’antropologo rispondere alla domanda se la Madonna sia apparsa. Ma ammettiamo
che sia apparsa. La sua irruzione nel mondo degli uomini sarebbe stata priva di senso se
questi non ne avessero attribuito uno alla sua comparsa, se non avessero riconosciuto come
validi certi segni e certe testimonianze, se non avessero prodotto informazioni e
comunicazioni sull’evento, in una parola se non avessero prodotto il contesto della sua
apparizione. Ciò che rende visibile la Madonna è il contesto. Ed è a questo lavoro degli
uomini che definisce l’apparizione che si rivolge l’indagine dell’antropologo" (Apolito1990:
33).
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pianta che per le bruciature, lui credeva che d’ero bruciata perché è venuto
a fargli l’acqua ma io non posso dire... allora do una scusa, perché non
posso dire a tutte le persone che mi vedono, io a volte sono sempre con le
magliette a manichine lunghe, mi dà fastidio anche perché mi chiedono:
«Ma cos’hai fatto? Ma cosa ti è successo?» E mi dà fastidio, io a casa ok,
perché non ce la faccio a stare con le maniche lunghe e allora questo
signore è venuto a fargli l’acqua e…«fai... ihhh... tutta bruciata». Però non
diventa così la bruciatura e poi non è che ci metto le braccia così, per
cucinare... Questo sta sparendo (si riferisce ad un segno sul braccio, ndr)
questo mi era successo che mi è stato fatto quando mi hanno fatto, allora, si
cicatrizza prima il taglio che l’ematoma, se tu vedi qui i tagli, si
cicatrizzano prima i tagli che le altre. Certi giorni si nota proprio la mano.
[guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov. di Nuoro,
9/07/2012]
In quest'ottica, uno dei possibili effetti negativi causati dall'aggressione magica non
mette alla prova il corpo, quanto, piuttosto, l'anima del guaritore:
Disfando queste fatture le persone si liberano da questi, è tipo esorcismo,
non è che entra nelle persone, però gli sta accanto. Perché se entra nelle
persone…e…e…e...Io avevo una zia, sorella di mia nonna, che aveva gli
spiriti nel corpo e faceva tante di quelle cose che… Figurati, mio nonno era
calzolaio e aveva le forme delle scarpe di qualunque numero però era in
ferro e ce le aveva dentro una cassa, ci volevano per tirare su quella cassa
quattro persone, lei la sollevava con due mani ed era una donna minuta, poi
si è stata esorcizzata dal vescovo, è stata esorcizzata, non ce la faceva più,
noi allora, devo dire anche questo che sia io, mia nonna non possiamo
usufruire di questo. [guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov.
di Nuoro, 9/07/2012]
Così come avviene per l'ideologia del malocchio, anche per quanto riguarda la fattura
i caratteri di innovazione non riguardano tanto l'essenza della credenza o della
pratica, che rimangono praticamente invariate.
Interessano, piuttosto, le modalità con le quali gli operatori presentano se stessi
e la propri attività. Sono ad esempio presenti, sul web, siti internet di operatori
dell'occulto variamente configurati, che si offrono di eliminare gli effetti negativi
delle fatture. Particolarmente interessante appare essere la vera e propria réclame che
il mago Ismael fa di se stesso nel proprio sito web. In un'apposita galleria fotografica
l'operatore dell'occulto inserisce, infatti, numerose foto di quelli che egli definisce
essere “testimoni di malefici”, una serie di testimonianze fotografiche di oggetti tra i
più disparati, sommariamente catalogati con numero di reperto e di caso, la maggior
parte dei quali risolti con successo dal mago (http://www.ismaell.net/magia/galleriafotografica/testimoni-di-fatture/).
L'operatore risulta piuttosto attivo sul web, tanto da minacciare querele nel momento
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in cui uno dei suoi ex clienti, in un una sezione di un blog dedicato all'esoterismo,
scrive di lui:
Ciao Geuri STAI LONTANO DA ISMAELL!!! Ti racconto la mia
esperienza. Lo scorso anno nel mese di Gennaio sono stato lasciato, nel
pieno di un amore passionale, ho sofferto (e tutt'ora soffro incredibilmente).
Non credevo nella magia ed oggi posso certificare questo mio pensiero,
però nel pieno del dolore ho contattato ISMAELL come ultima speranza!!!
Cooreva il mese di marzo ed ho avuto il primo contatto, mi ha chiesto circa
600 euro per iniziare i rituali dandomi per certo una percentuale di
successo pari al 98%. Dopo tre mesi non era successoo niente. Mi dice di
effettuare un "rinforzino" al rituale gratuitamente, passano altri tre mesi e
non otteniamo alcun risultato. Agli inizi di ottobre mi chiede quali siano le
mie intenzioni, sostenendo che la percentuale di successo se pur diminuita
si attestava intorno al 90%, illuso da questa possibilità rinvio 600 euro ed
inizia il terzo rituale della durata di 45 giorni al termine del quale non
avviene alcunchè. Siamo alla terza decade di Novembre e sempre a titolo
gratuito mi dice che avrebbe "rinforzato" il rituale, gratuitamente, ed
attendere altri 45 giorni. A questo punto vengo a sapere che la persona che
lui mi aveva detto essere interessata a me al 90% era incinta di tre mesi da
un altro uomo!!!!!!!!! Ho scritto ad Ismaell, senza dirgli questo particolare
ma informandolo di essere a conoscenza che la donna in questione aveva
parlato in modo ostico nei miei confronti, mi risponde che la magia non
sbaglia e lui continua a dare per certa la sua tesi. Puoi immaginiare quanto
sia rimasto deluso ma sopratutto incavolato con me stesso per quanto
avessi creduto nelle fandonie di un cialtrone. Ovviamente alla fine del
"rinforzo", fine dicembre, non è accaduto niente. A quel punto ho chiesto
cosa potessimo fare e lui risponde di aver chiesto l'aiuto di suoi colleghi
stranier ed insieme avrebbero sortito l'effetto desiderato con la modica cifra
di 600 euro. A quel punto gli ho detto che l'altra persona era in dolce attesa
di un bambino da un'altra persona e che lui non si era accorto di niente, mi
ha risposto che la realtà è una cosa l'esoterismo un'altra. [utente Pippo
Galeotto, su http://esoteriamo.blogspot.it/2012/02/esperienza-negativecon-uno-o-piu-maghi.html, 18 aprile 2014 08:05, ultima consultazione
09/09/2014]
Difficile stabilire se e quanti abitanti della Sardegna si siano rivolti a questo specifico
operatore dell'occulto, anche se alcuni dei cognomi presenti sul sito fanno
presupporre un'origine sarda di alcuni dei clienti. 13
Diverso è il caso di alcuni blog e forum dedicati alla Sardegna, in cui
compaiono riferimenti all'ideologia della fattura. Queste conversazioni telematiche si
rivelano utili ai fini della nostra ricerca perché testimoniano, anche in questo caso, il
cambiamento delle relazioni tra pazienti ed operatori. Sono spia dell'evidente
difficoltà a reperire, sul territorio, individui dotati in grado di rispondere alla
13 Il caso è stato comunque citato a titolo documentario, dato che la galleria fotografica che il
mago allega offre un efficace spaccato di alcune delle modalità compositive di fattura che si
sono potute riscontrare nelle parole degli informatori.
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domanda di magia degli utenti. Ciò fa in modo che le persone riversino sul web le
proprie speranze e frustrazioni, nel tentativo di trovare persone adatte sia a compiere
che a risolvere il maleficio. Così, ad esempio:
salve a tutti. vorrei fare una fattura per due persone molto cattive che
stanno mettendomi in cattiva luce e cercando di rovinarmi in campo
lavorativo . Conoscete qualcuno che possa ? io sto in sardegna a
cagliari . fatemi sapere se nella mia zona c è qualcuno … ciao.
[utente “alex”, sul sito Esoterya, ultima consultazione 1/11/2014,
http://stregoneria-pratica.esoterya.com/fatture-odio-allontanamentoe-malocchio/2374/]
L'ambito di riferimento non è quello della magia urbana. L'orizzonte di riferimento è,
piuttosto, quello della magia tradizionale, dell'“antica medicina”, come dimostra
l'esempio seguente:
Salve, a breve sarò nella zona di Oristano volevo sapere se qualcuno
conosce qualche Signora dei paesi nelle vicinanze di Oristano che pratica
sa medicina antica, tolga fatture, ecc.. e magari potrebbe indicarmi come
mettermi in contatto, non è uno scherzo mia nonna era di quelle parti e ne
conosceva una purtroppo non ce più e quindi non so come cercare... grazie
in anticipo [utente “Lily”, https://it.answers.yahoo.com/question/index?
qid=20100915114611AAEtyp, ultima consultazione 3/10/2014]
Le risposte più diffuse sono la censura e lo scherno. In alcuni casi, è evidente il
tentativo di indottrinamento alla dottrina cattolica ufficiale, con considerazioni che
riguardano l'origine diabolica di questi riti magici. Così, infatti, si legge:
La magia bianca non esiste, i maghi non hanno nessun potere, sapendo di
non avere poteri li chiedono ai demoni, così chi va dai maghi senza saperlo
viene a contatto e si lega con Satana! La magia rossa e la magia nera come
quella bianca invocano spiriti demoniaci di distruzione mai di bene guai a
coloro che si fanno aiutare dai maghi, gli esorcisti sono pieni di questi
poveri sventurati! Non fatevi fare le carte o tarocchi, chi le fa è già
spacciato se non si converte, chi se le fa fare si lega fortissimamente a
Satana!
[https://it.answers.yahoo.com/question/index?
qid=20100915114611AAEtyp ultima consultazione 3/10/2014 ]
In altre occasioni, invece, prevale un atteggiamento di censura e rigida condanna di
quelle che vengono considerate usanze barbare, frutto di superstizioni da estirpare.
Così, ad esempio, si legge:
io vivo in sardegna se vuoi ti faccio una fattura............di 1250 euro, in caso
contrario ti consiglio di contattare uno psichiatra, perché sentire gente che
parla di malocchio nel 2010 è R I D I C O L O !
[https://it.answers.yahoo.com/question/index?
qid=20100915114611AAEtyp ultima consultazione 3/10/2014 ]
Nell'esempio sotto citato, invece, l'utente cerca di capire se alcuni oggetti
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casualmente ritrovati possano essere considerati il segnale
tangibile di un rito
magico ordito contro di lei. Dato che l'intento è chiaramente quello di trovare
qualcuno che possa suffragare la sua ipotesi, è chiaro che il momento del ricorso
all'ideologia magica come spiegazione del fatto non sia avvenuto in famiglia:
Buongiorno a tutti.
Forse tra di voi c'è qualcuno che può aiutarmi a risolvere un dubbio.
Trovare tra le proprie cose, una ciocca di capelli non si sa di chi, adagiata
all'interno di un sacchetto artigianale fatto di carta, può essere una fattura o
qualcosa del genere?
Ho trovato questo "coso" per puro caso frugando in un vecchio portaoggetti
che non usavo più da anni con all'interno cianfrusaglie varie... sinceramente
non credevo che nel 2010 si usasse ancora fare queste cose... cosa può
essere?
Ora che ci penso mesi fa appeso ad un rampicante che avvolge il cancello
avevo trovato anche una sorta di braccialettino fatto di nodi e fili colorati...
sarà stato anche quello opera di un fattucchiere che ci ha presi di mira???
Grazie a tutti quelli che vorranno rispondermi! [utente “Pisita”, sul blog
Paradisola, thread intitolato “Esistono ancora fattucchieri e fattucchiere?”
http://www.gentedisardegna.it/topic.asp?
TOPIC_ID=15557&whichpage=1, ultima consultazione 01/11/2014]
L'utente apre nel blog un thread intitolato “Esistono ancora fattucchiere e
fattucchieri?” Nonostante l'utilizzo del termine italiano “fattucchiere” a sostituire la
denominazione dialettale, è chiaro che l'orizzonte ideologico cui riferimento è quello
tradizionale della fattura, dato il riferimento al possibile utilizzo di un surrogato della
persona (i capelli) e all'atto di annodare. In questo caso, però, manca una componente
fondamentale dell'ideologia magica tradizionale, che è quella della sofferenza. In
questo episodio, infatti, è il ritrovamento fortuito di alcuni oggetti a scatenare il
dubbio dell'esistenza della magia, in maniera diametralmente opposta a quando,
nell'ideologia tradizionale, si compiva la caccia al manufatto in presenza di grave
malattia.
Ciò che distingue l'esempio sopra citato è la risposta di un operatore, che consiglia
all'utente di recarsi da un esorcista. Ricorre anche in questa occasione la tendenza a
rappresentarsi come pienamente inscritto ad un orizzonte cattolico sincretico:
Non lo sapremo mai, ma rivolgendoti all'esorcista, sicuramente saprà cosa
fare. Sono sicuro che reciterà l'esorcismo nelle'eventualità che quella
ciocca di capelli sia stata utilizzata per riti di magia nera. Mi rammarica pur
rispettando le idee di tutti, che dei cristiani dicano che non esistono queste
cose; vi ricordo che Gesù stesso diede il potere agli apostoli di cacciare i
demoni e guarire i malati. Il vangelo dice "chi ha fede quanto un granellino
di senape, compirà opere più grandi delle mie; in altro passo... "nel mio
nome guarirete i malati e caccerete i demoni". Ora mi chiedo, volete voi
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che Gesù, DIO FATTO UOMO abbia ordinato di risolvere questi problemi
se in fobndo non esistono e sono fesserie???
Sarebbe eresia per un cristiano, non credere nella parola di Gesù.
Il male esiste, il male si pratica, si augura (bisogna sapere come fare) e
raggiunge il malcapitato. Non vorrei fare il sapientone in merito ma
credetemi che ne ho viste di cotte e di crude in questo campo; ho avuto
modo di seguire alcune persone che alla fine le ho dovute spedire dritte
dritte all'esorcista della loro diocesi, e vi posso garantire che sono
completamente guarite chi erano affette da prblemi di salute e hanno risolto
i problemi chi invece era colpito per questioni materiali.
Con questo non voglio dire che il caso in questione sia fattura ecc... ma per
il consiglio che ti posso dare, fossi in te mi rivolgerei all'esorcista anche
perchè se butti l'oggetto o lo bruci, spesso e volentieri, il sortilegio si
rafforza e non avendo più materiale a disposizione sul quale eseguire i riti,
difficilmente si guarisce in modo completo. [utente “Ampuriesu”, sul blog
Paradisola, thread intitolato “Esistono ancora fattucchieri e
fattucchiere?”http://www.gentedisardegna.it/topic.aspTOPIC_ID=15557&
whichpage=1, ultima consultazione 01/11/2014]
Come dimostrano gli esempi sopra citati, i discorsi che un tempo avvenivano
all'interno del gruppo famigliare, supportando l'esistenza del mondo magico, hanno
cambiato referente e luogo. Sul web vengono riportati anneddoti, letture, storie
personali che hanno come oggetto la fattura, spesso descritta come usanza . In molti
casi, si tratta di descrizioni coloriti e vivaci della Sardegna di un tempo, che
ricorrono in più siti di argomento sardo ed introducono la questione:
Ti fazzu una mazzina!!!" - Ti faccio un maleficio". Cattivo augurio da
farsi...
La cosidetta "mazzina" è uno strumento usato dalle fattucchiere o
brusciasa, per far del male a distanza ad altre persone.
Il funzionamento è simile a quello utilizzato con le bamboline voodoo,
quindi siamo in presenza di quella che viene chiamata "magia simpatica",
ma le mazzine non hanno solo una forma antropomorfa. Si sono viste
mazzine create utilizzando piccoli animali, come lucertole, oppure
pacchetti con spilli e oggetti della vittima. Questi oggetti hanno il solo
scopo di accrescere il potere di chi fa il maleficio, perchè come in tutti gli
incantesimi, il motore che li fa agire è la volontà di chi opera.
Quest'ultimo è in grado, non si sa con quali pratiche magice, di trasferire
questi feticci in posti apparentemente assurdi, per lo più all'interno
dell'abitazione della vittima. Assurdi per il semplice motivo che sono state
trovate mazzine all'interno di muri, sotto pavimenti, all'interno di cuscini o
mobili in cui nessuno avrebbe potuto inserirle.
Molto spesso le fatture vengono fatte su oggetti appartenenti al malcapitato
di turno, , come catenine o gioielli vari. Esiste anche la possibilità che alla
vittima venga fatta ingerire direttamente la "mazzina" con il cibo, come nel
caso di una signora di Quartu, la quale al seguito del fatto ha dovuto subire
anni di esorcismi.
Questo perché la mazzina non si limita solo a portare malesseri fisici alla
vittima, ma può essere in grado di scatenare su questa la possessione
diabolica. Presumo che la differenza possa dipendere dalla "potenza" della
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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fattucchiera ma non ne sono molto convinto. [http://www.contusu.it/lemazzine-fatture-con-i-feticci,
ma
anche
http://www.gentedisardegna.it/topic.asp?TOPIC_ID=2555
http://forum.gsgonnesa.it/viewtopic.php?f=28&t=5484,
ultima
consultazione 01/11/2014]
I post sono l'occasione per far rivivere, attraverso il web, le storie di magia che un
tempo venivano raccontate a supporto dell'esistenza del magico e del soprannaturale,
il che si rivela indispensabile alla continuazione della credenza. I racconti di magia
offrono, infatti, spesso agli utenti l'occasione di raccontare episodi della propria vita
in cui sono venuti a contatto con l'esistenza di un maleficio. Così ad esempio si
legge:
Miiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii ammutadoriiiiiiiiiiiiii arrori ti tiridii!!!!!
Io sono particolarmente sensibile a questo argomento, in quanto una volta
mi è stato recapitato un pacco da consegnare ai miei vicini di casa ; e
indovina
cosa
conteneva??
Una bara tutta marrone, con dentro un bambolotto di cera pieno di spilli
con la parte rotondeggiante colorata, di vari colori. ed uno spillo molto , ma
molto piu' grosso color madreperla conficcato nella testa. La famiglia che
l'aveva ricevuto ha esposto denuncia, ma non volendo tenere in casa l'
oggetto in questione, l'avevano appeso in cantina in quando andava tenuto
per prova. E' stato il mio incubo per oltre un anno. Quando andavo giu' a
buttare la spazzatura ( i contenitori si trovano proprio in cantina), lo
guardavo con l'angolino dell'occhio ed avevo sempre il batticuore.. poi
finalmente fu eliminato. Ancora oggi a distanza di anni guardo in direzione
dell'angolo che lo ospitava e provo ancora timore.. [utente “Nuragica”,
blog Paradisola, thread intitolato “Le mazzine, fatture con i feticci”
http://www.gentedisardegna.it/topic.aspTOPIC_ID=15557&whichpage=1,
ultima consultazione 01/11/2014]
Nell'esempio sotto citato, un episodio, in forma romanzata, di fattura e conseguente
scioglimento, intitolato “Storia di una mazzinera”:
Le protagoniste erano due sorelle, una sposata e con figli, che chiameremo
Rita, l'altra vedova e gelosa della prima, della sua famiglia e sopratutto del
marito. Chiamiamola Peppina. Questa donna campava praticando aborti
illegali ed era conosciuta e temuta per essere una persona dotata di
particolari poteri, che metteva a disposizione di chi ne chiedeva l'aiuto.
Tuttavia non si trattava di una persona di animo buono, visto che anche i
figli l'avevano abbandonata lasciandola a vivere una vita fatta di miseria e
degrado.
[...]
Rita aveva due figlie, entrambe sposate. Una di queste aveva a sua volta tre
figli due dei quali con gravi problemi di handicap che costrinsero i genitori
a metterli in un istituto di cura specializzato. Peppina era anche madrina di
questa nipote.
L'altra nipote, che chiamiamo Lucia, era sposata ugualmente e Peppina era
gelosa anche di suo marito. La coppia non aveva particolari problemi di
vita coniugale tranne uno.
Al momento di andare a letto, non riuscivano mai a farlo insieme e Lucia
finiva sempre per coricarsi nel divano. Inoltre nella casa dove vivevano
168
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
iniziarono a manifestarsi strani fenomeni. Spaventati da tali fenomeni, la
copia decise di rivolgersi alla chiesa che gli indirizzò verso una persona
sensitiva in grado di aiutarli a risolvere tali problemi.
Vennero presi accordi per incontrarsi ma tale incontro venne ritardato più
volte a causa della marea di inconvenienti che capitarono alla sensitiva, dai
temporali che le impediscono di uscire da casa a problemi in famiglia sino
ad arrivare a guasti meccanici della macchina con cui si stava recando a
casa di Lucia (si buccarono tutte e quattro le gomme). Alla fine riuscirono
ad incontrarsi e Lucia raccontò alla sensitiva, accompagnata da un'altra
persona
dotata
di
poteri
paranormali,
la
sua
vicenda.
Disse che sospettava che la zia, Peppina, gli avesse fatto una fattura.
Quest'ultima le diceva sempre apertamente che voleva il marito e che tanto
non sarebbero mai stati felici. [http://www.contusu.it/storia-di-unamazzinera-potenza-delle-fatture/, ultima consultazione 01/11/2014]
Già dalle prime battute del racconto, è possibile rintracciare alcuni temi ricorrenti nei
racconti di magia. La protagonista negativa della vicenda è un'operatrice magica ed
una pratica (come dimostra il riferimento al fatto che praticasse aborti, prerogativa di
molti operatori tradizionali fino all'avvento delle levatrici 14). Il rito viene attribuito
alla gelosia dell'operatrice magica, che ha compiuto sulla nipote e sul marito un rito
di legatura sessuale, proiettando quindi sui propri famigliari intenti malevoli. Allora
fu chiamata una sensitiva, incaricata di trovare e distruggere il manufatto, che
avvertì delle negatività nell'ambiente e quindi iniziò a compiere tutti i
rituali necessari per trovare la fattura. Questa venne localizzata nel divano
in cui Lucia era costretta ad andare a dormire la notte e con preghiere
particolari la bloccarono per poterla togliere. Le fatture hanno la capacità di
spostarsi per non farsi trovare.
In alcuni casi, le fattucchiere "trasferivano" le fatture direttamente in
cimitero, sepolte in modo tale che nessuno riuscisse a trovarle e a disfarle,
condannando inesorabilmente la vittima di tali sortileggi. Una volta estratta
la fattura, fatta appositamente per allontanare la copia, venne"disattivata" e
distrutta con il fuoco. In queste occasioni, saltano fuori degli indizzi che
portano a risalire alla persona che ha fatto la fattura. Inoltre è possibile che
distruggendo la mazzina, la sua forza malefica torni indietro e colpisca
l'artefice della fattura stessa. [http://www.contusu.it/storia-di-unamazzinera-potenza-delle-fatture/, ultima consultazione 01/11/2014]
La potenza della fattucchiera consiste nella sua capacità di spostare magicamente le
fatture da un luogo ad un altro. Anche in casa della sorella di Peppina, Rita,
Le sensitive avvertirono la presenza di diverse fatture e si misero all'opera
per individuarle. Una venne bloccata nella camera da letto, esattamente
sotto un comodino, all'interno del pavimento. Il marito di Rita disse che era
impossibile, visto che il pavimento era stato fatto neanche un anno prima.
Anche se sembrava assurdo, decisero di togliere le matonelle e
all'improvviso saltò letteralmente fuori un involucro di grosse dimensioni,
pieno di oggetti appartenenti ai componenti della famiglia di Rita.
[http://www.contusu.it/storia-di-una-mazzinera-potenza-delle-fatture/,
14 Sull'argomento, vedasi Mondardini 1994
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
ultima consultazione 01/11/2014]
Dopo adeguata procedura magica di accertamento (la signora si reca a causa della
sorella con vistose bruciature alle gambe, segno del cosidetto “colpo di ritorno” della
fattura, affermando di essere stata morsa dai cani), Peppina viene riconosciuta come
la responsabile dei problemi di salute del marito di Rita. Gli elementi del
soprannaturale e del meraviglioso appaiono fortemente enfatizzati dalla narrazione,
come dimostra la descrizione della “battaglia magica” tra l'anziana donna e le due
sensitive:
A questo punto la situazione era in bilico. Si ritrovano ad un tavolo a
fronteggiarsi, da un lato la "mazzinera" e dall'altro le due sensitive che la
stavano combattendo. Una di queste ultime, tramite delle formule
particolari riuscì a "legare" Peppina alla sedia, iniziando una battaglia a
colpi di formule magiche per sapere dove si trovasse la terza ed ultima
fattura. Peppina cercava disperatamente di alzarsi per andarsene mentre
una delle due sensitive le diceva che sino a quando non avvesse detto dove
si trovava la fattura non si sarebbe alzata dalla sedia. Alla fine Peppina, in
trance, confessò la posizione della mazzina, si riprese dalla trance,
cercando inutilmente di alzarsi. Per dimostrare la loro forza, una delle
sensitive costrinse addirittura Peppina a fumare una sigaretta, nonostante
non avesse mai fumato in vita sua. Alla fine, ottenuto il loro scopo, le
sensitive la “slegarono” e Peppina fuggì da casa della sorella.
[http://www.contusu.it/storia-di-una-mazzinera-potenza-delle-fatture/,
ultima consultazione 01/11/2014]
Il racconto non ha un lieto fine. L'ultimo manufatto, gettato incautamente dal marito,
non può più essere recuperato. Per questo motivo, l'uomo rimane paralizzato in
maniera permanente:
Rimaneva da togliere la terza fattura, già localizzata e bloccata nel bagno di
casa di Rita (come confessato da Peppina stessa sotto costrizione). Il giorno
stabilito le due sensitive passarono prima a casa di Lucia, dove si
trattennero a prendere un caffè, quindi si recarono da Rita la quale aprì la
porta disperata. Raccontò che il marito, che ricordiamo era paralizzato alla
parte sinistra del corpo, aveva preso una scala, l'aveva portata in bagno, vi
era salito sopra e frugando dentro la cassetta dello scarico dell'acqua, aveva
trovato un involucro e l'aveva buttato nel water.
Il marito stesso raccontò che pensava che lo scarico fosse ostruito e non si
era chiesto cosa ci facesse li dentro quell'involucro. L'aveva buttato senza
pensare alle terribili conseguenze di quel gesto. Senza la fattura, non si era
in grado di annullarla, quindi l'unica soluzione restava l'apertura del pozzo
nero (non c'era lo scarico diretto alle fogne) e sperare di recuperare
l'involucro. Il marito di Lucia e le due sensitive quindi tramite un bastone
cercarono di recuperare la fattura che a tratti affiorava in superficie. Nel
mentre bussarono alla porta. Si trattava di Peppina che chiese cosa stessero
facendo. Rita raccontò che il marito aveva fatto cadere una catenina nel
water e che quindi la stavano cercando. Peppina rispose che non si trattava
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
della catenina, che quello che in realtà stavano cercando non l'avrebbero
mai trovato, perché quello che faceva lei non lo disfava nessuno. A quelle
parole l'involucrò sparì definitivamente nel pozzo nero e il marito di Rita
rimase
paralizzato.
[http://www.contusu.it/storia-di-una-mazzinerapotenza-delle-fatture/, ultima consultazione 01/11/2014]
3.2.1. Quando la fattura non si può più risolvere: le storie di Daniele e Nadia. Come
si è potuto constatare, i racconti e le storie di fattura presenti sul web non fanno altro
che riprodurre, in altra forma, le occasioni di ritrovo in cui le persone parlano di
magia, garantendo il perpetuarsi di quel mondo di valori e relazioni che costituiva il
mondo magico tradizionale e testimoniando, allo stesso tempo, la vitalità della
credenza.
Diverso è il caso in cui questa vitalità si scontra, invece, con l'esiguità della pratica,
ovvero nei casi in cui per una malattia grave viene addotta una causa magica ma non
si trovano operatori magici che possiedono le conoscenze adatte per sciogliere o
disfare la fattura. Due delle storie di vita raccolte offrono un vivido spaccato di
quanto può accadere nel momento in cui la famiglia ed il malato si trovano nella
convinzione di essere attaccati magicamente e, allo stesso tempo, nella dolorosa
situazione di non riuscire a reperire sul territorio operatori adatti a risolvere il
problema. Si tratta in entrambi i casi di narrazioni di malattia che riguardano due
ragazzi giovani, Nadia e Daniele, rispettivamente di 27 e 19 anni. Entrambe le
esperienze si concludono con la morte prematura dei protagonisti, evento che le due
famiglie attribuiscono ad un intervento magico, e provengono entrambe dalla
provincia di Sassari.
La vita di Daniele è stata molto sfortunata. Colpito alla nascita da un'anossia
celebrale, ha riportato una serie di conseguenze permanenti. La sfiducia della madre
nei confronti della medicina ufficiale inizierà proprio in questo momento, a causa del
fatto che i medici nascondono le reali condizioni di salute del bambino:
Daniele è nato incaprettato al collo, completamente cianotico, era quasi
morto. Immaginati che piangeva dentro la mia pancia e io lo sentivo...
quand’ è nato era completamente del colore della tua maglietta (nero, ndr)
e le unghie le chiamano “a vetro d’ orologio” oppure a biglia,
completamente a palla, delle palline, delle biglie al posto delle unghie
perché stavano già saltando, lui stava già morendo soffocato e da qui è
partito.... Vabbè, ha avuto un asfissia... Quand’è successo, hanno preso Il
bambino, se lo sono portato dentro... Io l’ ho visto che usciva questa cosa
nera, ho chiesto: «Cosa è successo?» e mi rispondevano: «Niente» Vabbè,
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
mi hanno cucito e io aspettavo... «E il bambino non me lo fanno vedere?»
«Sì, dopo dopo glielo portiamo, dopo glielo portiamo, dopo glielo
portiamo». Si sa che dopo la prima poppata portano alle mamme i bambini,
e anche a me spettava, anche se non doveva mangiare perché dovevano
pulirlo dal liquido amniotico e non me lo portano... E dico: «Scusate ma il
mio bambino?» «No, signora, il suo bambino adesso non deve mangiare,
glielo portiamo più tardi» All’altra poppata: «Scusate ma il mio bambino?»
Mi hanno fatto preoccupare, (pensavo): “Questi qua cosa stanno facendo
con il mio bambino?” Allora ho incominciato ad agitarmi, ho detto: «Io
voglio mio figlio, dovete portarmelo, tutte le altre ce lo hanno» E
dev'essere che alla mia insistenza me l’ hanno portato, io l’ho spogliato,
controllato, aveva le unghie nere ma era del colore della tua maglietta
aveva le unghie dei piedini nere, le caviglie tutte screpolate la pelle
disidratata e io me lo controllavo poverino e lui ha aperto gli occhietti [L.,
mamma di Daniele, gennaio 2012]
Il momento del parto, come ha ormai ampiamente dimostrato l'antropologia medica,
è un momento di forte impatto emotivo per la madre ed il nascituro. Come tutti i
momenti critici dell'esistenza e, per questo, certamente non a caso, il parto
rappresenta nelle culture tradizionali uno dei momenti del ciclo di vita
simbolicamente connotato da una lunga serie di norme, prescrizioni e protezioni
magiche che hanno lo scopo di tutelare la salute della madre e dell'infante (per una
significativa rassegna dei cambiamenti che hanno investito in Sardegna la
concezione tradizionale del parto nel passaggio dalla tradizione popolare
all'ospedalizzazione, vedasi Mondardini 1999; Orrù,Putzolu 1993). Luisa, allontanata
bruscamente dal proprio bambino, senza avere notizie sulla sua salute, ottiene di
vederlo solo dopo molte insistenze. In quell'occasione si accorge di qualcosa di
strano, ma nessuno dei medici dà alla madre notizie in merito. Solo dopo sei mesi, in
occasione di controlli medici da lei sollecitati, Luisa scopre finalmente che molti
degli strani sintomi che suo figlio mostrava erano dovuti ad un'asfissia neonatale:
Quando, dopo sei mesi che Daniele era ciondolino, qui il collo che non
reggeva, ho iniziato ad allarmarmi, nessuno me l’ aveva detto gli occhi
andavano così (come se guardassero il naso, ndr) e tu lo notavi che ogni
tanto a Daniele l’occhio partiva e poi tornava, quello è stata una cosa che
col tempo... Quando l’ ho notato che non reggeva il collo, l’ ho portato a
controlli e mi hanno detto “suo figlio ha avuto un asfissia” cosa? Non mi
hanno detto nulla.. mi hanno detto signora suo figlio ha avuto un asfissia
neonatale... [Luisa, mamma di Daniele, gennaio 2012]
Inizia qui per Luisa un lungo calvario di interventi, ricoveri, eventi e circostanze
sfortunate che mettono costantemente in pericolo la vita di Daniele. Oltre alla
mancanza di ossigeno al cervello patita durante la nascita, infatti, Daniele mostra una
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
massa anomala all'interno dell'encefalo:
Quell’imbecille di neurochirurgo che lo ha operato ha detto che era un
meningioma papillare rabdoide, in America hanno detto che non era quello,
comunque finirà che Daniele non l’ hanno aperto e non hanno mai saputo
che cosa avesse, quello che Daniele aveva era qualcosa di strano che loro
non si spiegavano e che Daniele doveva essere morto già da quando aveva
un anno e mezzo. [L., mamma di Daniele, gennaio 2012]
Dopo gli infausti eventi legati al parto, la fiducia della madre di Daniele nei confronti
della medicina ufficiale è, ormai, gravemente compromessa. Le risposte che la
biomedicina offre, non sono considerate esaustive e mentre la madre di Daniele
interpreta i malesseri del figlio nei termini di un'ideologia cattolica dalla forte
connotazione popolare, i medici interpretano i comportamenti anomali della madre
come sintomo di un malessere psicotico. Il brano che segue mostra un efficace
spaccato delle “metafore culturali concorrenti”15 che madre e medici mettono in
campo quando parlano dello stato di salute del bambino:
É iniziata una reazione polmonare che se lo stava portando via, morto...
Stava esalando l’ ultimo respiro perché aveva un rantolino aveva, non
voglio esagerare, una quindicina tra medici e infermieri, chi metteva l’ago,
chi metteva il ghiaccio... aveva 42 [...] un esserino piccolo così io stavo
impazzendo, vedere mio figlio morire così, non era... Non potevo lasciarlo
morire così, alzo gli occhi al cielo, me lo ricordo come se fosse adesso,
aveva una finestra grandissima sotto il letto c’era un cielo stellato alzo gli
occhi al cielo e gli faccio: «Ma tu pensi veramente che io ti mollo mio
figlio?» -stavo parlando con lui no- «Ma tu pensi veramente che io ti
mollo mio figlio? Non hai capito niente, tu mio figlio me lo lasci e se
dovevi portartelo via me lo dovevi portare via quando è nato, quand’ era
più da te che da me se me l’ hai lasciato un motivo ci deve essere e quindi
sei pregato di farlo guarire immediatamente perché se muore lui muoio
anche io e allora quando salgo su ti gonfio la faccia come un pallone» Ma
non te lo sto dicendo così, io urlavo, piangevo e urlavo, al che il medico si
avvicina e mi fa: «Signora, ma li ha presi gli psicofarmaci che le abbiamo
dato?» Quest’ imbecille pensava di imbottirmi ma io buttavo nel gabinetto
perché dovevo stare con gli occhi così per difendere mio figlio, comunque
gli ho fatto: «SALGO SU E TI FACCIO UNA FACCIA COSÌ TU A MIO
FIGLIO LO LASCI!» Oh, tempo due minuti, cala la febbre, si sveglia
Daniele: «Mamma, acqua» lo girano, lo guardano era totalmente a posto.
«E LO POTEVI DIRE CHE VOLEVI DUE STRAFALCIONI!»
Dopo aver chiesto, anzi, intimato a Dio di lasciar stare il figlio sulla terra, la mamma
di Daniele è ormai sicura di aver ricevuto il miracolo. Così si rasserena ed
intraprende con i medici di suoi figlio una schermaglia verbale piuttosto
15 A questo proposito, vedasi l'episodio citato da Carolyn Rouse (Rouse 2004), che attesta con
efficacia la presenza di metafore culturali concorrenti nelle parole dei famigliari di una bambina
morente e dei medici che l'hanno in cura.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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rappresentativa dell'orizzonte ideologico in cui ella inscrive la malattia del figlio:
Da lì ho iniziato ad avere un atteggiamento diverso, ho detto: «Tu me l’ hai
lasciato, vuol dire che mio figlio non muore» E quindi ero serena, serena
serenissima, arrivano i medici che chiamano mio marito: «Signor P., salga
qui urgentemente» Chiamano, si riuniscono, a me niente... In una stanza
cinquanta dottori tutti parlano con lui io l’ebete lì in un angolo... «Signor P.,
sua moglie è partita, non ragiona più, vede lo vede com’è tutta serena?» Io
me li guardo e gli faccio: «Scusate, ma state parlando di me?» «E sì,
perché lei vive su una nuvola rosa, lei deve scendere perché non si rende
conto che tra due mesi Daniele non c’è più» «AH? SCUSATE? Mi son
dimenticata di dirvelo, mio figlio è miracolato». «Come?» «Mio figlio è
miracolato! Mio figlio non muore non si preoccupi lei mangerà i confetti
della comunione, della cresima e forse anche quelli del matrimonio»
Questi si guardano e dicono: «questa è matta!» Mio marito non sapeva più
cosa fare e (…) Daniele è campato fino ai 19 anni e io gli ho mantenuto la
promessa, le ho portato i confetti della comunione e della cresima e ogni
volta che glieli portavo era un pianto per questi medici perché non
capivano, perché ogni volta non capivano perché Daniele era vivo.
Secondo la risonanza doveva essere morto non poteva vivere con quella
cosa in testa perché comprimeva la deglutizione e il respiro, capisci? Però
io ero convinta che Daniele sarebbe guarito e da lì piano piano ha
cominciato a rimettersi [L., mamma di Daniele, gennaio 2012]
Non si tratta dell'unico segno della benevolenza divina che Daniele ricevette nella
sua vita. In un'altra occasione, ad esempio, la madre di Daniele si reca al mercato.
Qui incontra un venditore ambulante:
Andiamo col passeggino, andiamo e arrivo a questa bancarella fra i fiori
c’era questo signore con questa bancarella grande da qua a là, piena di
conchiglie, di chiesette, di mestoli di legno fatti con i manici di conchiglie
tutte queste cose strane e queste due persone erano messe di spalle, io mi
son messa a curiosare e Daniele che era nel passeggino ha allungato la
testina e guardava, cercava di guardare cosa c’era sopra, no? E questo
signore si volta, guarda Daniele, guarda me, si volta e fa: «Signora, che
cos’ ha il bambino?» Daniele all’epoca aveva gli occhi, la testina reclinata
verso il collo e la boccuccia storta, aveva una sorta di paresi facciale, poi
aveva fatto della ginnastica quindi la bocca è tornata un po’ normale dopo
gli interventi. Ancora non era stato neanche a Marsiglia, non le avevano
messo la valvolina. E gli faccio: «è raffreddato!» E mi fa: «Va bene
signora, ma che cos’ ha?» Ha avuto un’ asfissia neonatale «Sì, va bene ma
che cos’ha?» «Eh, ha avuto una paresi facciale» «Sì, va bene ma che cos’
ha???» Cioè scocciato... Io lo guardo come una deficiente e gli faccio: «Ha
un tumore al cervello» «Embè? Ma lei è ancora qui?» E dove devo andare?
«Come, dove deve andare? avete un santo qui in Sardegna e non lo portate,
voi lo dovete portare da Fra Nazareno di Pula» (...) «Lo porti e si ricordi di
andare presto perché i pullman vanno dalle sei del mattino quindi lei lo
porti presto, poi mercoledì prossimo viene qua a darmi la risposta, perché
voglio sapere che cosa le ha detto, tanto guardi, io sono qui ormai da
trentun anni vengo a questo mercatino sempre al solito posto, quindi lei mi
trova sempre qua» (…) Andiamo a Pula alle sei del mattino arriviamo lì e
ci esce questo vecchiettino piccolino piccolino con un dentino solo con la
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Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
barba, i sandaletti, mi guarda e mi fa: «Che mi devi dire?» Io ho detto: «Il
bambino è malato» Non le ho detto che cosa aveva, lui ha preso una
scatola, uno scrigno. Io all’epoca non sapevo neanche chi fosse Padre Pio,
non l’ avevo mai sentito nominare. In questo scrigno c’ era un guanto tutto
bucato, poi mi ha detto che era di Padre Pio e ha fatto il segno di croce
dalla testa sino ai piedi e dall’altro lato poi ha preso questa manciata di
caramelle e ha fatto questo (metterle in cerchio e buttare via quella del
centro) e ha dato una caramella a Daniele (...) e continua, l’ ha fatto tre
volte questo giochetto faceva le caramelle a cerchio, le lanciava e poi ne
prendeva una e la metteva in bocca una in bocca a me e una in bocca a lui
come se fosse una comunione e poi mi ha detto: «Tieni, una caramella è un
ave Maria vai alla cappella e prega» e mi ha dato una manciata a me e una
manciata a Daniele. Io faccio: «Adesso vado al mercatino a ringraziare
questo signore» Mercoledì arrivo al mercatino e non c’era e ho detto: «Non
è venuto oggi quel signore delle conchiglie?» E mi fa: «Quale signore delle
conchiglie?» (…) «Signora, cosa sta dicendo guardi che qui non c’è
nessuno che vendeva mestoli. (…) No, signora qui non c’era nessuno lei si
sta sbagliando». Poi una volta leggo un libro, “Una caramella di speranza”
ed era un libro di padre Nazareno e c’era scritto che Fra Nazareno una
volta cioè aveva questo potere che se il Signore voleva che qualcuno
guarisse, lui mandava chiunque sottoforma di chiunque a chiamare le
persone che erano lontane per andare da padre Nazareno quindi io dico
saranno stati degli Angeli che mi hanno chiamato, hanno cercato Daniele
tramite quest’ episodio e io sono andata... [L., mamma di Daniele, gennaio
2012]
In entrambi i casi inizia un lungo calvario che porta le famiglie a cercare
costantemente nuovi operatori che possano risolvere efficacemente la situazione. La
mamma di Daniele si rivolge, quindi, ad una giovane pranoterapeuta:
Una signora mi ha detto che c’è una ragazza che ha dei poteri strani, ma lei
non sa di averli, non li conosce molto bene e vuol provare a far star meglio
Daniele, e gli ho detto: «Va bene, fammela conoscere», e me l’ ha fatta
conoscere (…) è una ragazza come tante, una madre di famiglia con dei
figli ragazzini proprio, quindi è molto giovane e quando l’ ho conosciuta mi
ha detto: «Guardi io vorrei provare, mi hanno detto che ho dei poteri però
non so però vorrei provare con Daniele per farlo stare meglio» E ho detto:
«Vabbè, proviamo». Allora si avvicina a Daniele, da premettere che mi ha
dato la mano ed era una mano normalissima, appoggia un fazzolettino di
stoffa sul tavolo del salotto in campagna, si avvicina a Daniele, il tempo di
fare questo (si rivolge a me imitando il gesto sul mio capo) e Daniele era
tutto bagnato, lei dalle mani grondava acqua come metteva le mani sulla
testa di Daniele così lei ogni volta che veniva e metteva le mani su Daniele
continuava a gocciolare tutta quest’ acqua alchè Daniele doveva stare con
un asciugamano e si asciugava così perché lo bagnava e lei diceva “non
capisco, non riesco a capire perché ogni volta che vengo da Daniele mi
gocciolano le mani in questo modo». [L., mamma di Daniele, gennaio
2012]
Ma spetta ad una maga siciliana l'aver dato alla famiglia la diagnosi di fattura.
Racconta, infatti, la madre: “magia è quello che Daniele ha subito, quello che
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Daniele ha subito purtroppo quella era una magia cattiva”. Così, appunto, la maga si
espresse:
«Signora, suo figlio ha una fattura ma non è una fattura su suo figlio, è una
cosa che ha lei personalmente e non è neanche fatta per lei è una cosa che
aveva suo nonno, signora.» E quindi Daniele è vittima di questa fattura
fatta a suo nonno per beccare tutte le generazioni future e l’ ha beccato.
Allora, mia nonna è rimasta vedova e gli è morta una sorella sul treno
insieme a chi? A mio fratellino e prima di mio fratellino e morto il marito
di mia mamma (la signora si è sposata due volte) due mesi dopo il
matrimonio. Mia madre è rimasta incinta è rimasta vedova e il bambino è
morto dopo tre anni poi è morta mia zia sorella di mia mamma poi è morta
mia zia la moglie di mio zio poi è morto l’ altro mio zio li ha decimati tutti
tutta la famiglia uno dietro l’ altro, tutti giovani. Poi ha preso a mio padre, l’
ultimo è stato mio padre poi ha preso Daniele (…) è stato l’ ultimo,
veramente l’ ultimo doveva essere lui, aveva beccato anche lui (D., il figlio
maggiore presente nella sala con noi, ndr) ci è stato detto che dovevamo
proteggerlo perché stava beccando anche lui e poi non lo sappiamo perché
è finita e non sappiamo bene cosa sia successo... [L., mamma di Daniele,
gennaio 2012]
L'operatrice magica estrae il segno tangibile della fattura dalla pancia di Daniele:
Era con le mani così, lontane da Daniele al che abbiamo visto la maglietta
che si sollevava e fuori dalla maglietta, la maglietta non è rimasta bucata,
però gli è rimasto il segno rosso e gli è uscita una palla così, Daniele ha
urlato perché gli aghi l’ hanno raschiato e sopra la pancia di Daniele si è
materializzata questa palla rossa, al che lei ha preso questa cosa con le
mani ho forse le ha messo un telo non ricordo l’ ha messa sulla tavola e ha
detto «Daniele, Davide, adesso andate fuori a giocare in giardino» Li ha
mandati via proprio e mi detto di darle una tovaglia di plastica, l’ha messo
sopra la tovaglia e si è messo a disfare questa cosa, questo gomitolo non
finiva mai, ogni volta che tirava la lana aveva prima un filo poi un altro poi
ne aveva due poi tre poi quattro poi di nuovo uno poi di nuovo due e
questo significava a seconda del numero le persone che aveva preso, due
era mia zia con mio fratellino, morti sul treno... «Questa persona sa che
Daniele soffre, lo conosce benissimo, se voleva poteva smettere» Non ha
smesso... c’erano delle radici, del fango in mezzo radici di piante strane...
[L., mamma di Daniele, gennaio 2012]
Nonostante la fattura nei confronti della famiglia sia accertata, però, l'operatrice
magica siciliana sconsiglia alla famiglia di procedere con una contro-fattura:
Si poteva smettere ma non l’ha fatto e la signora mi ha chiesto di non
fargliela pagare, mi ha detto: «Non le dico chi è perché non voglio che
maturi odio nei suoi confronti, anzi, preghi per questa persona perché ne ha
bisogno, perché sta male quanto voi» non credo proprio... Comunque mi ha
detto che chi l’ ha fatto inizialmente a mio nonno era morta e la lasciato in
eredità alla figlia che ha proseguito a fare questa cosa e la portava avanti e
lei mi ha detto: «Non lo so, forse la figlia ha proseguito per la paura di
smettere, con la paura che si rivoltasse addosso a lei» Te l’ ho detto adesso
lei sa che non c’è più.. e come lo sa che non c’è più? Lo sa perché lei lo
vede: «Signora, se lei se ne fosse andata in america, l’ avrebbe seguita lei a
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Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
quest’ ora ce l’ aveva dietro» Prima, secondo lei ce l’avevamo sotto la
mattonella, e infatti battendo la mattonella si sentiva rumore di vuoto e
infatti gli ha detto a N.: «Signor P., questa mattonella non deve avere
troppo cemento sotto» Lei lo cercava in cucina, a mano, e ha detto: «Spero
non sia saltato addosso a Daniele, perché se le è saltato addossaglielo devo
togliere da dosso e questo mi dispiace» Questo ce l’ ha detto il giorno
prima. Ha fatto così (sbatte sulle mattonelle, ndr) poi di colpo rumore di
vuoto: «In questa mattonella non deve averlo messo bene, il cemento» Ha
preso il rosario, ha messo il rosario e ha detto: «è saltato addosso a D.» [L.,
mamma di Daniele, gennaio 2012]
A seguito del tentativo di risoluzione della fattura, il potere magico negativo attacca
il fratello di Daniele, che così risponde:
Quando Daniele era a Torino, ovviamente io stavo sempre pregando per lui
e io qui a casa mia pregavo e sento questa voce e mi fa: «Stai tranquillo,
andrà tutto bene, Daniele guarirà» Al che mi sono spaventato, mi sono
girato, era buio, ho acceso la luce e non c’era nulla. A distanza di sei mesi
che è venuta questa signora dalla Sicilia chiedendo, facendo domande è
venuta a sapere che questa voce... (…) siccome questa cosa stava iniziando
ad attaccare anche a me praticamente, chiamiamola maledizione di questa
persona, aveva fatto in modo che mandasse un’ anima che riportasse delle
notizie sbagliate a me facendomi credere che Daniele stava guarendo,
capito? Per cercare di deviarmi... e io già prima di conoscere questa signora
della Sicilia, lei mi intercettava, mi precedeva e mi diceva: «Sì, quella è
un’anima che porta false notizie a te» E qualsiasi cosa io chiedessi a questa
signora corrispondeva a quello che io presumevo avevo vissuto [D.,
fratello di Daniele, gennaio 2012]
Differente, per alcuni versi, la storia di Nadia. A differenza di quanto accaduto per
Daniele, infatti, è la ragazza, allora poco più che ventenne, a trovare, casualmente, un
fantoccio antropomorfo che costituiva la prova tangibile di una fattura ordita contro
di lei:
Niente, quando mia sorella è stata male, non era niente di che... Però ha
iniziato a vomiti, e poi aveva un dolore ad una gamba... è rimasta diversi
anni malata. Io proprio memoria memoria non ce l'ho, la memoria storica
cronologica e perfetta ce l'ha mamma. Niente, non è che lei stava così tanto
male, aveva questo malessere come può capitare non si capiva la cosa,
però. Un giorno lei ha telefonato, lei era a Cagliari, si era rotto il letto nella
casa dove stava, una cosa stranissima perché...Boh, era strano come si era
rotto... Lei come si era piegata per aggiustarlo, si era messa sotto per
agganciare la rete, e aveva trovato incastrata nella rete questa cosa... c'hai
presente i lacci del sacchetti del frigo? Era una cosa così, fatta con i laccetti
del frigo, aveva una forma di persona, e una gamba praticamente era tutta
quanta attorcigliata e c'era un nodo... lei aveva problemi all'intestino e ad
una gamba, e quella gamba era tutta quanta attorcigliata, era girata così,
quindi mia madre poi, siccome a queste cose ci aveva sempre creduto, a chi
ci rivolgiamo? a parte che siamo entrate nel panico che non ti dico niente...
[E., sorella di Nadia, luglio 2014]
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Così come per Daniele, i costanti tentativi dei famigliari di ricondurre il male di
Nadia alla sola prospettiva della biomedicina si rivelano però inutili:
Poi se tu entri in una storia del genere, la cosa strana noi meno male
abbiamo sempre avuto un approccio distaccato, ad esempio quella di
Nuoro mi ha detto: «Non è stata la suocera?» Il sospetto ce l'avresti potuto
avere con tutti, sai... Io non ci penso proprio, non faccio collegamento, non
penso alla malattia, una cosa strana, ma... poi tu quando entri in questo
giro, ad esempio questa signora a Cagliari la figlia l'aveva portata in
Continente, la figlia si era rincoglionita di colpo, e gliel'avevano risolta...
Noi non avevamo trovato nessuno... [E., sorella di Nadia, settembre 2014]
La famiglia di Nadia nutre qualche sospetto su alcune delle persone a lei vicine:
Ti dico la verità, lei viveva con delle persone cattive, perché secondo me la
cattiveria esiste... Poi era ingenua mia sorella, perché poi non capiva un
c...., non capiva niente, perché dico, com'era in ingegneria, erano tutti
ragazzi, la volevano tutti come amica, e li lo portava tutti a casa, e queste se
li facevano... quando era successo questa cosa, anche una con cui stava in
casa aveva trovato una cosa del genere, simile. Quello di mia sorella era
troppo evidente, perché poi, queste cose, fino all'ultimo poi li faceva dolori
allo stomaco, e questi dolori allo stomaco se li era sempre trascinati,
nonostante avesse la sclerosi, aveva sempre mal di stomaco... [E., sorella di
Nadia, settembre 2014]
Oltre alla sua bontà, la sorella di Nadia accenna al fatto che la ragazza potesse avere
qualche capacità straordinaria, evidente soprattutto dal fatto che, quando vengono
compiuti riti magici per scoprire l'origine del maleficio, questi falliscono. Ciò è
indice sicuro dell'origine magica e negativa della malattia:
Tutti dicevano, anche facendo la medicina dell'occhio, sai che ti dicono se
è malessere o è colpu de oju. Di mia sorella, che doveva essere una cosa
evidente, sai per dire, c'è la malattia, sì vede, perché una volta che ci sono i
medici di mezzo c'è la medicina, zia Tetta rispondeva sempre: «C'è nebbia,
c'è nebbia», non riusciva a vedere nulla... [E., sorella di Nadia, settembre
2014]
Allo stesso modo, sono evidenti e costanti i riferimenti della madre ad un “dono”
posseduto da Daniele. Alcuni degli episodi raccontati da sua madre rimandano ad una
storia familiare di contatti privilegiati con il mondo dei defunti:
Sai cos’è, che ho sempre avuto queste “cose”, non dopo che Daniele è
morto, ma anche prima... Io le ho sempre avute anche da mio padre, da mio
zio, hai capito? (…) Non abbiamo quei grandi poteri ma nel nostro piccolo
abbiamo queste cose, queste “avvisaglie”, chiamiamole così... [L., mamma
di Daniele, gennaio 2012]
La morte di Daniele viene infatti anticipata da una serie di presagi, come nel caso
degli strani rumori prodotti da una sedia:
È successa una cosa, un mese prima che Daniele morisse, anche di più,
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
almeno un paio di mesi buoni io avevo una sedia, aveva, ce l’ ho ancora,
una sedia in salotto, vicino al telefono, una poltrona di vimini che avevo
comprato per mia madre a un certo punto questa sedia di vimini ha iniziato
a cigolare faceva un rumore strano e io dicevo: ma che strana questa sedia
avrà un tarlo, l’ ho controllata, niente. Me lo faceva spesso, ogni tanto gnic
gnic gniiic dicevo: «Ma che cavolo c’ha sta sedia?» (...) La porto giù
quando Daniele non saliva più le scale la metto giù così lo sedevamo lì con
dei cuscini e lui riusciva a deglutire questo gelato alla fragola. Quando
Daniele non era seduto su questa sedia, questa sedia andava e peggiorava
cigolava sempre di più, non ti posso dire che rumore era (…) e questa sedia
continuava gnic gniic e non mi faceva dormire, era una cosa a assurda e
dicevo a Daniele: «O è nonno o è nonna che stanno lì, ma che cavolo
vogliono? Si facessero vedere, almeno... [L., mamma di Daniele, gennaio
2012]
Gli strani rumori prodotti dalla sedia vengono infatti ricondotti alla credenza
tradizionale che, al momento del trapasso, le anime dei parenti defunti si rechino
sulla terra per aiutare il passaggio dell'anima del moribondo nell'aldilà. Un'ipotesi
confermata anche dalle parole della maga siciliana contattata dalla famiglia, che così
spiega:
Alchè questa signora quando è venuta dalla Sicilia gli ho detto: mi deve
togliere una curiosità chi c’era su quella sedia? Cosa aveva quella sedia?
Mi ha detto: «Vede signora, quando noi andiamo nell’aldilà i nostri parenti
defunti ci vengono a prendere. In questo caso, i suoi genitori erano lì in
attesa di Daniele ma quando hanno visto San Michele arcangelo sono
rimasti così!» «Come, scusi? Chi è che è andato?» Io già sapevo, perché
me l’aveva detto quella ragazza di Alghero però siccome mi fa: «San
Michele arcangelo è andato a prenderlo i tuoi genitori si sono fatti da parte
perché non si aspettavano che tuo figlio fosse così importante, ma Daniele
è un personaggio importante, Daniele aveva una missione da compiere
sulla terra, l’ ha compiuta e adesso è tornato». [L., mamma di Daniele,
gennaio 2012]
Il dolore della scomparsa di Daniele viene mitigato dalla certezza di una sua
missione nel mondo soprannaturale. Non sono stati infatti i nonni a traghettare il
ragazzo nell'adilà quanto, piuttosto, san Michele arcangelo. Ad attenderlo, infatti, c'è
la sua missione di angelo custode; un desiderio, dice la madre, espresso da Daniele
nei momenti di massima sofferenza della malattia:
Daniele mi diceva sempre: «Mamma, se ti dico una cosa ci credi?» «Certo
che ti credo» «C’è qualcuno vicino a me quando io sto male, lo sento che si
avvicina e quando arriva davanti a me io non lo vedo, mi entra dentro al
corpo e io provo sollievo per la mia sofferenza» Lui lo chiamava angelo, io
non so cosa fosse però mi hanno detto che era lo spirito santo che gli dava
la pace e a lui dicevo: «Sarà il tuo angelo custode, Daniele». Una volta me
l’ ha detto e mi ha detto, stava proprio male, lo stavo preparando per andare
al pronto soccorso e ha chiesto: «Ascolta signore, tanto lo so che devo
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
morire, io dopo morto vorrei essere un angelo custode, spero che il Signore
mi accontenti». [L., mamma di Daniele, gennaio 2012]
Il sincretismo magico-religioso di cui la famiglia di Daniele ed egli stesso si rendono
partecipi è piuttosto evidente. Nonostante ciò, le tipologie di credenza di cui la madre
si fa portavoce non possono essere tutte ricomprese nell'orizzonte interpretativo del
cristianesimo popolare. Su questa base si intersecano, perciò, nuovi motivi e
riferimenti, come, ad esempio, la credenza nei cosiddetti “ragazzi indaco”16:
Comunque tra parentesi stavo dicendo Daniele secondo me è un ragazzo
indaco. Indaco è un ragazzo particolare sono per i nati dal 1985 in poi
prima non esistevano allora io ho sempre avuto, ho sempre detto anche alla
mia famiglia; i ragazzi indaco sono ragazzi particolari che devono
compiere una missione loro sanno che devono morire di solito sono ragazzi
malati che hanno qualche problema di salute e sanno che devono morie,
alcuni sanno anche che hanno una missione da compiere. Io penso che
quella di Daniele fosse quella di radunare tante preghiere tante, per Daniele
si è pregato in tutte le chiese anche a Santiago de Compostela anche in
Australia, ovunque anche a Guadalupe. Ti posso dire in tutto il mondo si è
pregato per Daniele (…) Se tu cerchi su internet indaco, ti accorgerai che
hanno delle caratteristiche questi ragazzi e la maggior parte di queste
caratteristiche Daniele ce le aveva. [L., mamma di Daniele, gennaio 2012]
Questo perché l'orizzonte interpretativo della fattura non risolve felicemente il caso
di Daniele. Nonostante l'oggetto tangibile della fattura sia stato correttamente
distrutto e nonostante gli sforzi effettuati per la guarigione, infatti, la storia di
Daniele si conclude con la sua morte. Il legame affettivo tra Daniele e la sua famiglia
non si interrompe però affatto con la sua morte. Ecco, di seguito, alcuni situazioni in
cui i membri della famiglia hanno contatti con lo spirito del ragazzo:
Un’altra volta, l’agosto dell’anno scorso, stavamo mangiando... Era
domenica, stavo pranzando, e mi squilla il telefono: «Ascò, mandami Nino
a casa che mi si è interrotta l’aria condizionata, il contattore non si alza e
non si abbassa e non si sa cosa è successo» Ho detto: «Aspetta un attimo,
appena finiamo di pranzare» Appena finiamo, Nino si alza e va dalla
16 Quella nei bambini indaco (in inglese indigo children o semplicemente indigos,
"gli indaco") è un concetto pseudoscientifico della cultura New Age. Con questo
termine,si indicano una generazione di bambini che sarebbero dotati di specifiche
capacità speciali o soprannaturali. Il fenomeno, descritto da alcuni autori già con
riferimento agli anni sessanta, si sarebbe intensificato dagli anni novanta in poi, cosa
che, secondo le credenze New Age, preluderebbe all'imminente evoluzione
dell'umanità. L'espressione "indigo children" è stata introdotta negli anni settanta
dalla parapsicologa Nancy Ann Tappe, ma ha acquisito popolarità soprattutto a
partire dalla pubblicazione di The Indigo Children di Lee Carroll e Jan Tober, nel
1999. In molte delle opere di ispirazione new age, i bambini indaco vengono descritti
come dotati di poteri paranormali come telepatia, chiaroveggenza o, come in questo
caso, la capacità di comunicare con gli angeli.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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mamma a vedere cosa non va, D. come al solito mi aiuta a sparecchiare la
tavola e poi si chiude in bagno... Io ero in cucina che stavo facendo i piatti
e di colpo vedo come vedo te, io ero convinta che fosse D. Io ero così
lavando i piatti e mi vedo secondo me lui, poi mi passa da dietro e fila in
camera sua, poi di nuovo qua e poi di nuovo qua e poi di nuovo qua e sta
almeno 5 minuti così e mentre sgrassavo questa griglia dicevo: «Ma cosa
sta cercando?» Ero convinta stesse cercando qualcosa nei pensili perché
erano aperti, a un certo punto mi son scocciata di vederlo sempre.. tutto
vestito di blu e gli faccio: «Ascò anziché girare a destra e a manca
asciugami questa bistecchiera, che me la togli da mezzo ai piedi». Sparito.
«Malasorte mignò basta chi ta diu de fa cal cosa che tu sparisci», come un'
isterica e mi risponde questo dal bagno: «Sono in bagno!!!» In bagno? E
chi era? Mi giro: «Come in bagno? Tu da quanto ci sei?» (...) Fa: «Ci sarò
Venti minuti!» «Venti minutiiii?»
«Eri in bagno non eri in cucina con me, giuramelo!» «Mamma, cosa
successo?» Arriva N. (il marito, ndr) e fa: «Boh, io sono andato da mamma
e funzionava tutto, è tutto apposto» Allora, lui ha fatto in modo che il padre
si levasse da mezzo ai piedi, che il fratello non ci fosse e che io non avessi
dubbi su chi avevo vicino e io lo vedevo, come guardo te adesso, la
stronzata mia più grande non è che mi voltavo ma perché non mi voltavo,
perché lo vedevo talmente bene che ero convinta fosse D., cioè perché
dovevo girarmi a guardare a lui. (…) se io mi voltavo vedevo Daniele e ho
fatto questa grandissima stronzata di non voltarmi (L., mamma di Daniele,
gennaio 2012)
E ancora:
Allora, io ero al computer, stavo facendo mi sembra un preventivo a mio
padre (…) A un certo punto avevo questo occhio che guardava verso la
porta dello studio e ho visto questa cosa così veloce, allora mi son girato,
ho guardato così e ho visto riflesso nello specchio piccolo, quello dello
studio Daniele, che vista l’espressione della faccia mi ha fatto una specie
di cù cù con quella tuta grigia che aveva quando è stato sepolto e me lo
ricordo proprio perché ha fatto una cosa veloce... (D., fratello di Daniele,
gennaio 2012)
Così, in accordo con molte delle credenze contemporanee in materia di spiriti, essi
sostengono di avere una prova scientifica dei loro contatti. Nello specifico, la
mamma di Daniele afferma di possedere un EVP 17 registrato col suo telefonino. Così
raccontano la storia lei e D., il fratello di Daniele:
17 EVP, acronimo dell'espressione Electronic Voice Phenomena, è un termine utilizzato per
indicare la psicofonia (metafonia, transcomunicazione strumentale, fenomeno delle “voci
elettroniche”). Si tratta di una teoria pseudoscientifica che sostiene l'esistenza di un presunto
fenomeno paranormale che riguarda la manifestazione di voci (ed eventualmente anche
immagini) di origine apparentemente non umana in registrazioni, ricezioni o amplificazioni
tramite strumentazione elettronica. Secondo i suoi sostenitori, si tratterebbe di contatti con i
defunti con entità intelligenti di origine ignota, appartenenti ad una dimensione diversa dal
piano fisico. La tipologia più conosciuta di questo presunto fenomeno è rappresentata dalla
registrazione anomala di voci (di solito poco chiare), attribuite a spiriti, su un nastro
magnetico o supporti digitali, oppure la loro ricezione tramite una radio, un televisore o
persino su un computer o un telefono.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Invece una volta ho cucinato tante cose che piacevano a lui e ho detto:
«Daniè, mamma ti ha fatto tante cose che ti piacciono però tu non mangi,
non ti fai vedere, sentire, non mi hai dato più segni, prima qualche segno
me lo davi non ti fai più vedere né sentire...»
Fratello: Mamma mia, quello è allucinante...
Mamma: Questo a pranzo, la sera stavo andando a mettere a letto la
vecchia e mi fa lui disperato: «Mamma, torna a casa, torna a casa» «Cosa
è successo?» «Torna a casa, c'è Daniele» Si era incantato il computer, con
una voce che usciva da questo computer che diceva: «Sono qui, sono qui»
Io ce l’ ho registrato al telefonino...(L., mamma di Daniele, gennaio 2012)
Nel caso di Nadia, invece, l'intervento di un sacerdote non si rivela sufficiente a
risolvere il maleficio, anzi, l'errata messa in opera del rito di contro-fattura dà
piuttosto il via allo stesso calvario affrontato dalla famiglia di Daniele.
Poi, ripeto, prese dalla fretta perché io quello mia mamma gliel'ho sempre
detto che non era così, abbiamo chiamato questo cugino di mia mamma
prete... un prete che anche lui ha avuto tante di queste esperienze, quando
faceva i ritiri, fa... ci crede, e dice di scendere a casa sua, che aveva questa
formula specifica, cercata apposta, di andare... solo che quando siamo
andati, non ha trovato la formula... Tipo nel libro, lui l'ha aperto e non ha
trovato niente, e diceva: «Fit Inoghe!» Niente, non ha trovato la pagina
specifica che stava cercando, quindi ci ha dato questo suggerimento, che
secondo me ce l'ha dato proprio così, a c.... di cane, di andare in aperta
campagna e di bruciarlo, a parte che tre sceme, io mia madre e mia sorella
siamo andate in campagna con l'alcol... ma mica l'abbiamo bruciato, perché
dentro c'è il ferro, non l'abbiamo mai distrutto, e comunque mia sorella da
lì è andata a peggiorare... (E., sorella di Nadia, luglio 2014)
Il calvario alla ricerca di un guaritore adatto si rivela, però, molto simile. Così
racconta, ad esempio, la sorella di Nadia: “Tanti ci hanno detto di fare tante cose, poi
abbiamo iniziato a girare, ma abbiamo incontrato solo ciarlatani” (E., sorella di
Nadia, luglio 2014). La mancanza di un valido aiuto alla risoluzione della malattia
viene attribuita al potere nefasto del rito magico compiuto. La fattura, allo stesso
modo in cui succedeva nella storia prima raccontata, sembra essere magicamente
protetta dai tentativi di distruzione:
Un giorno sono rientrata da scuola, ero alle superiori, e cosa aveva fatto
mia madre? L'aveva messo dentro una cosa, una di quei sacchetti dei
fazzolettini vuoto, e l'aveva messo nell'angoliera in cucina aspettando come
procedere torno da scuola e trovo...Stavamo aspettando a capire come
procedere immagina che mia mamma ha una cucina grande, trovo tutto in
terra, perché non riuscivano più a trovare quella cosa. Cos'era successo?
Che mio padre quella mattina Quella mattina aveva aperto l'angoliera, che
non l'apriva mai, aveva trovato questa cosa: “Toh, un pacco di fazzoletti
vuoto!”, e ce l'aveva buttata. L'abbiamo trovata nella mondezza, per
fortuna non l'avevamo ancora buttata, abbiamo aperto le buste della cucina
ed era là... E questa la prima cosa... (E., sorella di Nadia, luglio 2014)
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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E così, allo stesso modo, quando si recano per risolvere il problema da un preteguaritore:
Però, anche quando cercavamo questi, succedeva sempre qualcosa. Ad
esempio, dovevamo andare da un prete, a Tempio, e per poco non ci
ammazziamo in macchina. Siamo andati tramite la nostra vicina di casa che
si era lasciata col marito, e lui l'ha sempre rincuorata, le ha sempre detto
che sarebbero tornati assieme, così hanno fatto, e lei diceva sempre di
andarci... Quello mi ricordo una volta ce ne siamo andati e ci ha detto, lei
allora stava bene: «Vai, vai tranquilla, che tu morirai più vecchia di me»
Non è il fatto che campi, è che mentre campi, come campi... (E., sorella di
Nadia, luglio 2014)
Tutti i guaritori consultati si rivelano, però, inadatti. Mentre la mamma di Daniele
risulta pienamente inscritta nell'orizzonte ideologico del sincretismo magia/religione,
infatti, la sorella di Nadia mette più volte in discussione la validità e l'equilibrio
psicologico dei guaritori da cui si recano:
Siamo andati da una di Nuoro, questa era una fuori di testa... Poi la gente ti
manda a colpo sicuro, vai da questa, che “vede” cosa... Poi questa faceva
queste cerimonie, questi gruppi di preghiera, ma poi chi c'è andato diceva
che non veniva nominato mai Dio né i santi, e va bene... Stavamo andando,
e mia madre era a Cagliari, mi prendo la mia vicina di casa: «Zia marì,
ajò!» Poi meno male ci accompagna il genero.. Ha voluto un indumento di
mia sorella e l'ha benedetto, poi ha voluto un po' d'acqua e ci ha sputato
sopra... Poi ci diceva: «Perché sai, molti ragazzi vengono da me per farsi
sposare...» Poi quando inizia a dire che lei cantava con gli angeli io ho
smesso di crederle... ho iniziato a ridere, e la mia vicina incazzata: «Se ci
vai ci devi credere» Ed io: «Ascò, zia Lucia, a cosa devo credere, ad una
che mi dice che parla con gli angeli!» (E.P., sorella di Nadia, luglio 2014)
E vano si rivela il rito proposto da un'operatrice sassarese, che consiglia alla ragazza
di allontanare le anime malvagie colpevoli del disturbo accompagnandole al
cimitero:
Poi sono andata io personalmente da quest'altra pazza a Li Punti, eparchia
ci andava una mia amica. Guardava la fotografia e mi fa fare il cammino,
sono dovuta andare, ho aperto tutte le finestre, tutte le porte, tutti i cassetti,
tutti gli sportelli di tutte le cose della casa, quando dovevo uscire di casa
dovevo dire: «Andiamo!», praticamente mi dovevo portare appresso tutti
gli spiriti, chiudere la porta, aprire la macchina e dire: «Andiamo»,
scendere dalla macchina: «Andiamo!», e portarle in cimitero... In cimitero
sono andata con una candela ed ho acceso la candela a mia nonna... Dimmi
tu se ti sembro strana, senza parlare con nessuno, anche se vedevamo
qualcuno... l'ho fatto con una mia amica... (E., sorella di Nadia, luglio
2014)
Sia nel caso di Nadia che in quello di Daniele, quindi, le famiglie forniscono al
disturbo mortale di cui sono affetti i due ragazzi una causa magica. Ciò è sicuramente
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
dovuto, almeno in parte, alle difficoltà dei medici di fornire una spiegazione coerente
e razionale del disturbo di cui i due giovani soffrivano. Così, ad esempio, dice la
sorella di Nadia: “la diagnosi non era sclerosi al 100%, e c'era sempre qualcosa che
non tornava. Lei all'inizio aveva dei periodi attivi, perché stava bene, poi dei periodi
in cui stava meno bene, ma la diagnosi, quella ufficiale, non è mai arrivata,
mancava sempre qualcosa per far dire ai medici:«è questo!»” (E., sorella di Nadia,
luglio 2014). Se nel caso della famiglia del ragazzo, però, l'adesione all'orizzonte
ideologico tradizionale è convinto, lo stesso non si può dire per le continue
oscillazioni credenza/scettismo di cui sono espressione i famigliari di Nadia. Questo
perché, come spiega bene la madre di Nadia, essi mettono il più delle volte alla prova
la loro bravura non fornendo informazioni circa la testimonianza dell'avvenuta
fattura ritrovata casualmente dalla ragazza. Tenuti all'oscuro di questa circostanza,
nessuno degli operatori consultati riconosce nella fattura l'origine del problema della
ragazza. Ciò significa, secondo la madre di Nadia, che essi non hanno visto, non
possiedono, cioè, l'attributo principale del mago. Per questo la donna non si dà pace
dell'avvenuta distruzione imperfetta della bambolina ritrovata, e dice, con le lacrime
agli occhi: «Non riuscirò mai a sapere, se distruggendola in un altro modo...» La
perdita di Nadia è quindi, per la sua famiglia, ancora più dolorosa anche in relazione
col fatto che la morte di Nadia sancisce la fine di un orizzonte di cura cui essi si
erano rivolti, con successo, in passato.
Differente appare il caso della famiglia di Daniele, non solo perché il rapporto
della famiglia con lui non si è interrotto dopo la sua morte ma anche e soprattutto
perché la madre ed i suoi famigliari hanno attribuito al suo decesso un senso,
espressione di diverse ideologie. La storia di Daniele, quindi, riassume in sé
l'esperienza di sofferenza di Cristo, l'ideologia sincretica dell'angelo custode/spirito
guida, e la credenza new age nei bambini-indaco. E così, grazie soprattutto alle varie
influenze e contaminazioni che l'ideologia della fattura subisce nei pensieri dei suoi
famigliari che l'ideologia della fattura, così come l'esistenza di Daniele, non ha avuto
fine.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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2.3. Prevenire é curare: veggenza e preveggenza
Differente è il caso di altri aspetti del mondo magico tradizionale sardo, che
sembrano invece essere investiti da un progressivo e inesorabile processo: perso la
loro realtà fattuale, il loro corrispondente rituale, queste credenze vengono via via
relegate a “cose da vecchi”, al modo di pensare tipico di un mondo barbaro e
superstizioso.
É questo il caso, ad esempio, delle credenze relative al mondo dei defunti.
Nelle parole degli operatori rituali intervistati e dei loro clienti, emergono spesso
accenni e riferimenti, più o meno velati, al sostrato di pratiche e credenze relative ai
rapporti tra i viventi e le anime dei defunti.
Nelle culture tradizionali come in quelle contemporanee, la morte rappresenta uno
“scandalo” (Hertz 1903) cui bisogna, necessariamente, reagire. Le tecniche
simbolico-rituali del cordoglio e del lutto che si propongono di superare, almeno in
parte, l'angoscia causata dalla morte dei propri cari, organizzando culturalmente la
sofferenza. Nasce, infatti, come sottolinea l'antropologa italiana Annamaria Rivera, il
bisogno di “compensare l'angoscia di separazione, di esorcizzare la paura delle
propria morte scatenata dalla morte dell'altro, di dominare l'irruzione della
coscienza della propria finitezza determinata dalla presenza del cadavere” (Rivera
1988:73-74). Gli studi etnologici italiani hanno da tempo analizzato il rapporto che le
culture tradizionali hanno con il concetto di morte e fine dell'esistenza, affermando
che esse concepiscano il confine tra il mondo dei vivi e quello dei defunti come un
limen piuttosto sfumato, mentre l' “aldilà si configura come un mondo che continua
in forma larvale ed evanescente il mondo nel quale viviamo" (Rivera 1988:86).
Veniva di frequente concepita, quindi, la possibilità che i defunti potessero tornare
sulla terra come esseri incorporei, una possibilità che Ernesto De Martino
considerava “il ritorno irrelativo del passato recisso, il quale torna nel modo più
inateuntico, cioè senza appartenere alla stessa presenza” (De Martino 1958:48).
Anche la cultura tradizionale sarda concepiva la possibilità che le anime dei
defunti (nella lingua sarda, “sas animas”) possano tornare nel mondo dei vivi in
momenti (da mezzanotte alle tre del mattino, da mezzogiorno alle tre del pomeriggio,
alcuni giorni dell'anno) e luoghi (gli incroci, le chiese, i cimiteri e le fonti) stabiliti.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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In Sardegna come altrove, i defunti continuano le abitudini che ebbero da vivi
(Rivera 1988:86), e addirittura “ripristinano gli anteriori rapporti di parentela, per
cui soprattutto ai famigliari essi possono venire in soccorso” (Lanternari 1954:1819). Il contatto con le anime dei defunti veniva a volte ricercato, ma ancor più spesso
evitato, dato che, procurando spavento e meraviglia, era responsabile di uno
specifico stato di choc chiamato “assustu” (lett. “spavento”), che doveva essere
risolto tramite l'intervento di guaritori preposti.
Il contatto attivo con le anime dei defunti veniva invece delegato ad alcune
categorie di operatori rituali. La capacità di poter vedere le anime dei defunti era, ad
esempio, la caratteristiche identificativa degli “idemortos” (lett. “coloro che vedono i
morti”), ovvero di quelle persone che, per predisposizione biologica, possedevano
questa capacità. L'abilità poteva essere o meno messa al servizio della comunità e
costituiva una delle caratteristiche distintive che differenziava il majalzu o la majalza
(lett. “colui/colei che compie magie”) dalle altre categorie di operatori rituali. In
passato, le loro azioni erano circondate da un misto di mistero, atteggiamenti che essi
condividevano con altre categorie sociali che avevano, a vario titolo, a che fare con
la morte e con i defunti, come il becchino. Oggi, invece, il progressivo assottigliarsi
dell'orizzonte mitico e delle credenze relative alle anime dei defunti, relegate a
“racconti di vecchi”, all'orizzonte della fiaba piuttosto che a quello della realtà, ha
causato un loro ripiegamento su altri fronti dell'agire rituale, rinunciando a questa
particolare declinazione del loro potere, oppure destinandola al solo circuito
famigliare e amicale. Queste tipologie di operatori rituali risultano pressoché
scomparse nell'intero territorio isolano, anche nelle zone rurali e a bassa
urbanizzazione. Ciò non significa, naturalmente, che non esistano operatori rituali
che sostengono di possedere la capacità di dialogare con le anime dei defunti. Si
tratta però perlopiù di maghi urbani e, soprattutto, di operatori che considerano il
proprio operato come un dono divino, all'interno di una visione del mondo e della
vita che essi ritengono essere pienamente cattolica.
Nelle loro parole, frammenti delle concezioni tradizionali relative al contatto
con le anime dei defunti riemergono di tanto in tanto:
Io vedo delle ombre, anche adesso ci sono, però sono spiriti buoni, sì,
anche loro... diciamo…diciamo noi dobbiamo... dei peccati che abbiamo se
sono peccati veniali, però dobbiamo espiare, rimaniamo sulla Terra, non
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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abbiamo riposo, fin quando non espiano… Sì, bisogna confessarsi,
l’estrema unzione serve per liberarci dai peccati però Dio giustamente ci dà
anche un po' di penitenza e allora la penitenza è vagare sulla Terra, poi
quando arriva la loro ora riprendono la loro dimensione, dove li destina
Dio, però prima appena diciamo muore e li seppelliscono, rimangono un
po’ vaganti... però in certi posti deve avere il riposo e lì non è tempo. [F.,
guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov. di Nuoro, 9/07/2012]
E ancora:
Mia madre quando ero piccola che ho iniziato a farlo, giustamente lei
addirittura sentiva i colpi, una volta c’è riuscita, diciamo, a entrare e mi ha
trovato sospesa nel letto, però sentiva i colpi, come che mi stavano
picchiando e infatti mi stavano picchiando. Dall’età di nove anni, come ho
iniziato a farlo. Lei mischina piangeva, mamma, io ero cosciente, ero
cosciente e stavo per prendere sonno, non riesci ad avere reazioni perché ti
bloccano. Mi è capitato anche da poco di trovarmi sul letto sospesa, sì.
[guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov. di Nuoro,
9/07/2012]
Per spiegare le battaglie notturne con gli spiriti malvagi, la guaritrice in questione fa
riferimento alla pop culture, in particolare ad un noto film:
Tu non so se avrai visto, non hai visto quel film... “L’esorcista”, lì hanno
fatto delle cose esagerate, non sono proprio così, sono delle cose molto
esagerate però qualche cosa c’era di vero... ad esempio non ti fa entrare
altre persone dentro, in camera, quando giustamente si manifesta certe
cose, ti bloccano, bloccano la porta, non fanno entrare. [intervista a
Francesca, 9/07/2012]
La dote principale di questa categoria di operatori è, appunto, la loro capacità di
vedere, intesa sia come possibilità di avere a che fare con un mondo soprannaturale
formato da spiriti e santi, sia come capacità di prevedere il futuro:
Io camminando per strada, giustamente sono anche una sensitiva, no? Ho
visto questo ragazzo, ma ci siamo quasi quasi sbattuti, lui era magari
soprappensiero e quasi quasi mi sbatteva, io ho sentito un qualche cosa. Lo
fermo, gli ho detto: «Ascolta, non prendermi per pazza, domani non
prendere la macchina. Dovrai avere un incidente, non è neanche piccolo,
un incidente brutto». Lui mi ha guardato come a dire: "questa è pazza", e
allora gli ho detto: «Ascò, non prendermi per pazza e se per caso prendi la
macchina non prendere nessuno. Proprio così, se non mi credi...» Gli ho
chiesto: «come ti chiami? E allora mi fa: «Salvatore». «Ok , hai anche il
nome del Signore». Gli ho detto «Va bene ciao, ciao» Lui se n’è andato e io
come sono arrivata a casa... Dio mio, la preghiera almeno gliela faccio, mi
sono messa e ho fatto la preghiera. Lui cos’ha fatto? L’ha presa la
macchina, però con la preghiera mia ha distrutto la macchina, ma l’ha
distrutta, lui non si è fatto un graffio, perché io, l’incidente lo doveva avere
se lui prendeva la macchina. Però almeno, ho pregato per lui, per non avere
nessun danno lui, la macchina distrutta, sai che poi ha cercato chi ero, è
venuto e me l’ha detto: «Aveva ragione però strano, io non mi sono fatto
neanche un graffio, la macchina è completamente distrutta»
Io quando ci siamo scontrati ho visto la scena, poi gli ho fatto la preghiera
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
anche per lo spavento, capito, perché... e mi ha detto: «Vede, se io le avevo
dato retta, io non è che l’ho presa per pazza signora, mi dispiace però è
come che io non ci ho creduto». Si perché poi un giovane, mi sembra che
aveva ventitré, ventiquattro anni, era giovanissimo. [guaritrice a
connotazione carismatico-religiosa, prov. di Nuoro, 9/07/2012]
Nell'esempio esaminato, la guaritrice cerca di dimostrare la propria capacità di poter,
grazie alla potenza delle proprie preghiere, “bloccare il destino”, cambiandone la
direzione. Per questo, incorporando il modello della santità cristiana nella lotta
contro gli spiriti infernali, alcuni guaritori ingaggiano delle vere e proprie “battaglie
notturne” con anime diaboliche:
Lo vedi questo livido qua, che ho? Sono anche zoppa, perché l'altro notte
sono andata a sedermi per pregare e sono caduta dalla sedia, perché me
l'hanno tolta, me l'hanno, da sotto il sedere [I., veggente e sensitiva, esperta
di magia salomonica, provincia di Oristano]
Data la loro convinzione di avere come missione di vita quella di fare da intermediari
tra il mondo sensibile e quello ultramondano, si tratta di una caratteristica tipica dei
veggenti. Ciò, naturalmente, non si esplica esclusivamente nelle loro capacità di fare
previsioni sul futuro, ma anche, e soprattutto, nella possibilità di intervenire sulla
malattia in ragione del loro contatto privilegiato con il divino. Molti dei clienti di
questa particolare guaritrice, ad esempio, si recano da lei perché afferma di essere in
grado, con le proprie preghiere, di “bloccare” l'avanzata inesorabile di un grave
disturbo, la sclerosi multipla:
Ci sono tanti episodi per una cosa molto molto particolare... Allora, quando
certe persone hanno la sclerosi multipla, però quando è proprio all’inizio,
allora facendogli questo rimane bloccato, perché io ne ho, gente che… Ho
un mio nipote, che era giovanissimo quando gli è venuta la sclerosi
multipla, addirittura era carabiniere. Lui si sentiva sempre male, sempre
male, e depressione, e ansia, gli dicevano che era ansia, non avevano
riconosciuto quello che aveva, comunque quando è venuto in ferie, mi ha
detto: «zia io mi sento talmente male che non so nemmeno.., mi dicono
depressione, mi dicono ansia, mi dicono tante di quelle cose che io non
riesco a capire perché sono così» allora gli ho fatto l’acqua e gli ho detto:
«Vai direttamente a Cagliari perché tu hai la sclerosi multipla, è all’inizio
però hai la sclerosi multipla». Allora questo ragazzo è andato all’ospedale e
gli hanno detto, gli hanno riscontrato la sclerosi multipla. È uguale, da
allora che aveva 21 anni e adesso ne ha 48, [è rimasto com’era, ndr] però
non devo smettere di pregare, ne ho li a Oristano, ne ho a Santa Maria
Navarrese, ne ho a Olbia, ne ho a Tortolì, ne ho dappertutto si può dire, due
qui a …., però io non devo smettere di farlo, ogni notte, sai cosa vuol dire,
ogni notte, per queste persone specialmente. [guaritrice a connotazione
carismatico-religiosa, prov. di Nuoro, 9/07/2012]
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E ancora:
Io mi sento legata a queste persone, la mia vita è una vita da sola, io il
giorno che mi hanno operata, quando mi hanno operata alla gola, io la sera
mi sono alzata con la flebo, ho portato tutti gli occorrenti, allora sono
andata in bagno e l’ho fatto. Non devo smettere, per questo, per questa
malattia, sennò crollano tutti in una volta, capito, perché non hanno questa
protezione. [guaritrice a connotazione carismatico-religiosa, prov. di
Nuoro, 9/07/2012]
Dallo studio delle fonti e dalla ricerca sul campo effettuata non risulta che vi siano,
nel contesto sardo, altri operatori magici specializzati nella cura di questo disturbo.
Si tratta, quindi, di un'innovazione nel panorama delle malattie e dei disturbi organici
affrontati secondo le tipologie di cura tradizionali. Infatti, come sostiene
correttamente Chiara D'Ambros, mentre “alcune di queste figure di “curatori/trici”
mantengono ancora le caratteristiche del passato, altre si sono “contaminate con
conoscenze nuove provenienti da saperi di altre tradizioni, di altre pratiche.”
(D'Ambros 1999:10). Il caso di questa guaritrice mostra però chiaramente che, oltre a
nuovi saperi, il mondo magico-terapeutico tradizionale è in grado di recepire il
vocabolario della biomedicina, attualizzando sistemi e metodologie di cura
tradizionali nell'applicazione a disturbi diagnosticati dalla medicina ufficiale.
Come dimostrano, oltre all'esempio fornito, gli innumerevoli sincretismi
rintracciabili nelle varie tipologie di agire magico, non è inopportuno affermare che
le preghiere cattoliche vengano spesso utilizzate, dagli operatori, come veri e propri
incantesimi orali. Come afferma, a questo proposito, Mirna Cola, “Se la magia si
configura come una pratica blasfema è problematico il suo utilizzo in concomitanza
con valori che afferiscono ad un quadro religioso. Specialmente se il sapere
religioso riconosce al proprio orizzonte culturale l’esclusivo diritto di dare un
significato al mondo e di organizzarne la morale” (Cola 2009:27).
É il caso, ad esempio, della recitazione a scopo curativo del miserere, salmo 51 del
Libro dei Salmi. Così si esprime, a riguardo, una guaritrice, che riporta, come
formula di guarigione, la recitazione, come fossero un'unica preghiera, del Miserere,
del Benedictus e del Te Deum (con l'aggiunta dei versetti finali tratti dai Salmi):
questa preghiera serve per tutto il mondo, e aiuta a guarire da ogni tipo di
malattia. Circa un anno fa sono stata un paio di mesi all'ospedale e ho
conosciuto moltissime persone che mi sono state vicine, il personale è stato
molto gentile con me e tutti mi volevano bene. Allora ho fatto queste
preghiere a delle persone che ne avevano bisogno, andavamo in bagno per
non farci vedere e sentire dagli altri. I medici rimanevano meravigliati
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
come io ricordassi perfettamente tutte queste parole. Conosco altre formule
e te le dico perchè sono anziana e malata e non so quanto riuscirò ancora ad
aiutare le persone. [G. T. (90 anni), Paulilatino (OR)]
Se per i veggenti il dono di predire il futuro rappresenta una caratteristica biologica,
magari sopita e risvegliatasi in un momento di crisi psicologica e spirituale, ma pur
sempre presente dalla nascita, la capacità di prevedere il futuro può essere comunque
acquisita in altri modi, che comportano il più delle volte l'utilizzo strumentale di
preghiere ed invocazioni ai santi.
Si tratta, soprattutto, di riti magici messi in atto allo scopo di ritrovare oggetti
perduti di particolare valore economico e/o affettivo. Questi riti, che consistono nella
recitazione di alcune preghiere, venivano messi in atto soprattutto in occasione di
sparizione e/o furto di bestiame o di interi greggi, oppure anche quando venivano o
vengono persi degli oggetti d'uso comune. Ad esempio, viene riportata l'usanza della
recitazione di cento Requiem aeternam (preghiera de “L'Eterno riposo”) prima di
andare a dormire, allo scopo di ottenere, nel sogno, delle informazioni utili al
ritrovamento dell'oggetto:
Per ritrovare qualcosa di scomparso mio zio G.S. defunto nel lontano 1898
utilizzava il rito chiamato chentu lecometerme, che consiste nel dire cento
eterni riposo prima di andare a letto per poi interpretare il sogno notturno
che gli avrebbe predetto il luogo e i dettagli di ciò smarrito. Avevamo perso
da giorni un asino e non riuscivamo più a trovarlo tanto che ormai
avevamo perso le speranze. Mio zio allora ha provato con il chentu
lecometerme prima di andare a dormire; la mattina appena svegliato si è
ricordato il sogno e il luogo dove l'asino poteva essere, è così avvenne, si
trovava in un costone poco lontano dal terreno da cui era fuggito [intervista
a E.M. (81 anni), Paulilatino (OR)]
L'informatore cita anche la formula, che appare come una corruzione dell'originale
preghiera latina:
Formula trasmessa: lecometeme/ dona is domini/ perpetua luce a dei
eloquetia in pace luce a Dei. Amen.
Formula originale: Rèquiem aetèrnam/dona eis, Domine/et lux perpètua
lùceat eis/Requiéscant in pace/Amen.
Un altra tipologia di rito magico predittivo basato sulla recitazione più o meno fedele
di una preghiera cristiana è la cosiddetta “orazione a Sant'Antonio”. Essa,
tradizionalmente recitata per recuperare le cose perdute, viene praticata in tutta Italia
e identificata col termine sequeri. In questo come in altri casi, la denominazione
deriva dalla storpiatura dell'espressione latina: "si quaeris miracula", parole iniziali
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
del responsorio a Sant'Antonio di Padova, invocato per trovare un oggetto smarrito
(dal momento che Antonio, come Sant'Onofrio il Peloso e San Graziano di Tours, è
protettore di chi cerca oggetti smarriti). Per tradizione popolare tale preghiera va
recitata senza interruzione per tredici volte di seguito (da cui la definizione attestata
di "tredicina di sant'Antonio"). Questa particolare tipologia di rito viene variamente
definita nelle denominazioni locali, riassumibili in espressioni che rimandano alla
sua funzione, come “preghiera per ritrovare gli oggetti” e simili. La formula
riscontrata sul campo non contiene l'intera preghiera latina, quanto, piuttosto, una
parte di essa, seguita da una parte in italiano. Ecco il confronto tra la preghiera
canonica e la formula come è stata tramandata alla guaritrice dalla madre:
Preghiera ufficiale (responsorio): Si quaeris miracula/mors, error,
calamitas,/demon, lepra fugiunt,/aegri surgunt sani.
Cedunt mare, vincula,/membra resque perditas/petunt et accipiunt
juvenes et cani.
Pereunt pericula,/cessat et necessitas,/narrent hi qui sentiunt,
dicant Paduani. Cedunt mare, vincula…/Gloria Patri et Filio et Spiritui
Sancto…/ Cedunt mare, vincula…
Si queras miracula
Si quaeris miràcula Mors, error. Calamitas, Deamon, lepra fugiunt, Aegri
surgunt sani. Pereunt pericula Cessat et nècessitas Dicant Paduàni: trovi
annuncio che smarria a conforto delle pene vecchie e giovani ogni dì, se
peria avrai lontano la miseria sparirà ben lo sanno i padovani preghi
ognuno e troverà.
Se i miracoli tu brami fuggi error e calamità, lebbra morte e spiriti infami e
qualunque infermità, c'era il mare e le catene e trova annuncio che smarrì a
conforto nelle pene vecchi e giovani ogni dì, sei periglia avrai lontani la
miseria sparirà, ben lo sanno i padovani preghi ognuno e proverà, c'era il
mare e le catene, trova annuncio che smarrì a conforto nelle pene vecchi
giovani ogni dì. Gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo com'era in
principio e ora e sempre nei secoli dei secoli amen. [A.P. (88 anni),
Paulilatino (OR)]
Dopo la recitazione della formula, l'operatrice si affaccia all'uscio della propria
abitazione, osservando ed ascoltando quello che accade, interpretando poi i segnali.
Così descrive il rito un operatrice di un paesino della provincia di Oristano:
Dopo aver recitato la preghiera osservo e ascolto cosa accadde davanti
all'uscio di casa e interpreto i segnali; il cane è un segnale positivo segno di
custodia, significa che l'oggetto smarrito verrà ritrovato, il gatto al contrario
viene chiamato attu furunca, cioè ladruncolo e quindi è un segnale
negativo, il suono delle campane è portatrice di buone notizie, poi ci sono
tantissimi segnali che si possono interpretare sul momento, per esempio:
una volta era sparito del bestiame e ho interpretato l'indizio dalla mia
vicina di casa, non originaria di Paulilatino, che spazzò quella mattina tutta
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
la piazza da foglie e sporcizia, segno negativo, gli animali non vennero
ritrovati. Un'altra volta una signora aveva perso il libretto bancario,
l'interpretazione di segnali positivi e sicuri si sono rivelati giusti, ho
assicurato la signora che il libretto era in un luogo molto sicuro e che lo
avrebbe ritrovato, infatti era stato dimenticato in banca. La premessa
dev'essere di credere alla preghiera e un'altra cosa fondamentale è capire i
segnali e saperli interpretare nel modo corretto. Quando vengono
interpretati segnali negativi mi dispiace, cerco comunque di rassicurare le
persone esprimendo coraggio e speranza che l'oggetto si possa ritrovare
perché magari sono stati interpretati in modo errato i segnali, ma io so che
non è così, se interpreto che la cosa smarrita non si troverà sono sicura che
andrà così. [A.P. (88 anni), Paulilatino (OR)]
La bravura dell'operatore consiste nel fornire risposte precise sul fatto che l'oggetto
smarrito possa o meno essere ritrovato; particolare attenzione viene data, dagli
informatori, alla capacità dell'operatore di rivelare dettagli precisi sui luoghi, i
personaggi e le vicende:
ho richiesto sos parinostos de Santu Antoni18 perché avevo smarrito un
oggetto e cercavo in questo modo di trovarlo. La cosa che più mi ha
colpito e che l'operatrice, oltre a indicarmi che l'oggetto era stato preso da
un uomo e una donna di famiglia, mi ha descritto perfettamente la stanza
da dove è stato preso, con tutti i particolati di disposizione delle stanze
nella casa, delle porte, le finestre, le tende, e l'arredamento all'interno della
stanza stessa, disposizioni che neanche io posso ricordare così
dettagliatamente. Sono convinto che l'operatrice non poteva mai essere
stata in quella casa prima, e che la descrizione è figlia delle interpretazioni
derivate dal rito de sos parinostos. [anonimo, Paulilatino (OR)].
E ancora:
Una volta stavamo organizzando una festa e sono mancati dei soldi. Non
sapevamo se erano persi o se qualcuno gli aveva presi. Avevamo dei
sospetti ma non abbiamo detto nulla a nessuno e abbiamo chiesto sos
parinostis. Dopo alcuni giorni la signora ci disse che i soldi erano stati
rubati e ci ha descritto fisicamente chi gli aveva presi. Era la persona
sospettata che alla fine ammise il furto e restituì la somma presa. Noi alla
signora non avevamo detto nulla, solo che avevamo perso dei soldi, non
capiamo come avesse fatto ad indovinare [anonimi, Paulilatino (OR)].
Pur essendo ancora vitale, la pratica risulta in via di regressione. Così si esprime, a
proposito, un'informatrice novantenne, che ha rifiutato la trasmissione della pratica
da parte della madre:
mia madre usava fare i parinostis ed era molto richiesta perché indovinava
sempre. Io però non ho voluto imparare la pratica perché non credo a
queste cose. Mi ricordo che si sedeva davanti alla porta di casa e recitava le
preghiere, contemporaneamente osservava quello che accadeva nella via e
interpretava dei segni, in particolare il gatto è visto come traditore e il
volo degli uccelli invece come buono o cattivo indizio a seconda se fosse
stato alto o basso. In particolare mi ricordo una storia in cui un ragazzo
18 Denominazione particolare del rito rintracciata a Paulilatino (provincia di Oristano)
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
era scappato di casa e fu richiesto a mia madre sos parinostis, gli fu detto
però che mancava il vitello e non il ragazzo. Lei interpretò segnali positivi
e che di aiuto ci sarebbe stata la giustizia. Così avvenne, il ragazzo fu
trovato dai carabinieri e venne riportato a casa; la notizia poi si sparse in
tutto il paese e mia madre capì subito che non era il vitello che era mancato
ma qualcosa di molto più prezioso. Quando vide chi gli aveva chiesto sos
parinostis sorridendo gli fece la battuta: «Che bel vitello che ti mancava!»
[intervista ad A.S. (91 anni), Paulilatino (OR)].
Nel caso di un oggetto di particolare valore, il rito deve essere compiuto
nell'immediato, per poter ottenere un riscontro positivo:
avevo perso le uniche copie di chiavi del mio negozio ed ero disperata,
così anche se era sera tardi sono andato a chiedere sos parinostis. La
signora è stata molto gentile perché dopo circa un ora mi ha riportato il
responso. Le chiavi erano di sicuro dentro un mezzo, una macchina
probabilmente. Ho cercato disperatamente dentro le due macchine che
abbiamo in famiglia e dopo un po' ho trovato le chiavi sotto il tappetino. La
signora era sicura di dove si trovavano le chiavi perché tra gli indizi
principali aveva visto una macchina che passava in continuazione davanti a
casa sua. [anonima, Paulilatino (OR)]
E ancora:
Un giorno verso fine maggio, ho portato i miei nipoti a fare una
passeggiata in campagna. Quando siamo rientrati in paese ci siamo accorti
che la bimba aveva perso il braccialetto in oro del battesimo a cui teneva
tanto. Mi sono subito preoccupato perché la passeggiata era stata molto
lunga e in quel periodo l'erba in campagna è molto alta e trovare il
braccialetto era quasi impossibile. Sono subito andato da una signora nel
vicinato e gli ho chiesto urgentemente sos parinostis. La signora è stata
molto gentile e dopo venti minuti mi ha portato il responso. Il braccialetto
lo avremmo ritrovato, bisognava controllare bene nel nostro terreno. Anche
se avevo avuto delle rassicurazioni ero molto preoccupato perché il mio
terreno è molto grande e il braccialetto poteva essere ovunque. Non mi
sono perso d'animo e sono tornato subito in campagna a cercare l'oggetto
smarrito. Come stavo saltando il muretto per entrare nel nostro terreno,
senza neanche ancora averci messo piede, ho visto il braccialetto appeso in
un ramoscello di lentischio. É incredibile, ma nonostante le difficoltà, e
visto il poco tempo a disposizione, il responso aveva indovinato. [G.A. (69
anni), Paulilatino (OR)]
In altri contesti, il rito prevede, oltre alla recitazione della formula di seguito
riportata, la recitazione di tre Credo, tre Padre Nostro, tre Ave Maria, e tre Gloria:
Sant’Antoni bonu e cunfessore,/cunfessore de sa patriarca,/de sa patriarca
cunfessore./ Funtana e amore/ e funtana e caridade/ Qusta grassia chi bor
dimando mi accassade...
Trad. Sant'Antonio buono e confesore/confessore della patriarca/della
patriarca confessore/Fontana d'amore/e fontana di carità/Questa grazia che
vi chiedo concedetemi
Si fa in seguito la richiesta con il nome di battesimo e l’oggetto, se questo è presente.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Per esempio: “xxxxx agattada o no agattada s’aneddu chi ha perdidu?”. Di seguito,
la recitazione delle preghiere sopra citate.
Dopo la recitazione, il guaritore inizia ad ascoltare e a guardarsi intorno,
osservando bene tutti i segnali, che hanno dei precisi significati che possono avere
valore positivo o negativo, ma solo con l’esperienza un bravo guaritore riesce a
rispondere in pochissimo tempo alla richiesta. I segni che il guaritore può trovarsi
davanti possono essere, naturalmente, sia negativi che positivi: sono negativi, ad
esempio, il saluto tra due o più persone con un semplice “ciao”, dal momento che
non porta a un’azione successiva, ma muore appena lo si pronuncia; una persona che
esce da casa e prosegue il suo cammino senza nessun intoppo; le campane che
suonano a morto, perché una vita è finita; oppure l’abbaiare di un cane in modo
aggressivo. Mentre sono invece considerati segnali positivi, ad esempio, il saluto tra
più persone con l’esclamazione “Arrivederci” o “A domani”, perché queste alludono
a un incontro successivo; campane che suonano a festa; una macchina che passa per
la via e si ferma; delle persone (anche una singolarmente) che giunge in una casa per
fare delle visite; una persona che rientra a casa; un pullman o treno che arriva alla
stazione del paese. Così, invece, riassume una guaritrice:
Dopo aver recitato la preghiera osservo e ascolto cosa accade davanti
all'uscio di casa e interpreto i segnali; il cane è un segnale positivo, segno
di custodia, significa che l'oggetto smarrito verrà ritrovato, il gatto al
contrario viene chiamato attu furanca, cioè ladruncolo, e quindi è un
segnale negativo, il suono delle campane è portatrice di buone notizie, poi
ci sono tantissimi segnali che si possono interpretare sul momento, per
esempio: una volta era sparito del bestiame e ho interpretato l'indizio della
mia vicina di casa, non originaria di Paulilatino, che spazzò quella mattina
tutta la piazza da foglie e sporcizia, segno negativo, gli animali non si sono
ritrovati [A.P. (88 anni), Paulilatino (OR)]
In alcuni casi, il rito può essere compiuto anche in assenza della persona interessata,
come dimostra l'episodio citato:
Non avevo più con me il tesserino universitario. Non sapevo se lo avessi
perso o se qualcuno me lo avesse rubato. Non sapevo che fare, non
conoscevo di preciso questo rituale, ne avevo sempre sentito parlare agli
altri. Un giorno all'università, ho parlato di questo fatto a una mia amica, di
Bono stesso, e lei subito mi disse che se volevo mi faceva fare sor de
Sant'Antoni, mi spiegò di cosa si trattava e subito accettai, anche per il fatto
che ero disperata. Io non feci niente, ho dovuto dare solo il mio nome di
battesimo e cognome. Si occupò di tutto la mia amica. Non so cosa sia
successo, perché ti ripeto non ne avevo mai sentito parlare nello specifico
di questo rituale, neanche dai miei genitori; dopo qualche giorno la mia
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amica mi disse di non preoccuparmi, di stare tranquilla e che avrei ritrovato
il tesserino. Sta di fatto che dopo qualche settimana ho ritrovato il
tesserino. [intervista a L. B., 25 anni circa, Bono gennaio 2014]
Anche in questo caso, come nelle altre tipologie di riti documentate, sono attestabili
dinamiche di innovazione. Così, ad esempio, l'orazione di Sant'Antonio viene
recitata, piuttosto che per favorire il recupero di oggetti perduti, per avere risposte
circa il proprio destino:
Voglio premettere che io non ci credo a tutti questi riti e magie, ma a
questo in particolare si perché l'ho potuto riscontrare su me stessa. Il fatto
risale a circa dieci anni fa. Stavo aspettando l'esito di un concorso di
lavoro che non arrivava. Una vicina allora mi disse "vai e fatti fare sor de
Sant'Antoni; io ero così e così, se farmeli fare si o no, poi mi sono detta
va bè proviamo. Ho chiamato la signora che conosceva la mia vicina e le
chiesi se per favore poteva farmi questo rituale. Dopo qualche giorno mi
disse che il lavoro sarebbe arrivato di aspettare che ci voleva un pò. Io
ancora non ci credevo e non volevo mettermi in testa delle illusioni.
Dopo quasi un mesetto mi arrivò l'esito del concorso e oggi ho il posto
fisso da quel concorso. [B.P., 40 anni, Bono, maggio 2014]
Frequente il caso di richieste in campo amoroso. Così, ad esempio:
Una delle pochissime volte che mi sono rivolta a un guaritore era per
farmi fare sor de Sant'Antoni; avevo sui ventisei ventisette anni e andava
di moda tra le ragazze andare da un guaritore per farsi fare questo rituale
per chiedere se si ci saremmo sposate con il ragazzo che avevamo nel
periodo. Allora decisi di andarci anche io; le chiesi se poteva farmi il
rituale per vedere se mi sarei sposata o meno con il ragazzo che avevo.
Qualche giorno dopo mi chiamò il guaritore e mi disse che non mi sarei
sposata con questo ragazzo. In effetti è passato qualche mese che ci
siamo lasciati. [A.C., 23 anni, Bono (SS), aprile 2014]
E ancora:
La mia esperienza non è solita, non so se altri si son fatti fare sor de
Sant'Antoni per la stessa ragione che me li son fatta fare io. Era un
periodo un pò particolare, mi ero lasciata con il mio ragazzo, ero molto
innamorata e non avevo accettato il fatto che ci eravamo lasciati. Mi
rivolsi alla mia persona di fiducia, mia nonna, chiedendole se mi poteva
fare sor de Sant'Antoni anche per questo motivo, per vedere se ci sarebbe
stato o meno un ritorno di fiamma. L'esito fu positivo, e dopo due mesi
mi rimisi con il mio ragazzo. [intervista a S.F., Bono, aprile 2014]
A causa della frequente possibilità di errore, i guaritori si dimostrano spesso restii a
dare subito la risposta e preferiscono ripetere più volte il rituale. Esistono, inoltre,
rigide prescrizioni: ad esempio, è rpeferibile svolgerlo in giornate tranquille, in
mancanza di vento e temporali. Se il guaritore pratica il rituale per qualcosa di
personale o per qualcuno che ha a cuore, il rituale non funziona. In ogni caso,
vengono riportati, come nell'esempio seguente, casi di insuccesso:
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Io credo fortemente alle tradizioni, e sopratutto ai rituali che ricorriamo per
delle guarigioni o anche per altre cose. La mia esperienza con sor de
Sant'Antoni è un pò particolare. Non stavo passando dei momenti felici;
mio nonno stava male, molto male, a tal punto che i medici ci avevano
detto che non sarebbe campato per più di tre settimane. Allora preso dalla
disperazione, perché ho un legame molto forte con mio nonno, mi rivolsi a
un signore che sa fare queste cose, chiedendogli di fare il rituale de sor de
Sant'Antoni per mio nonno, per vedere se campava o moriva come
dicevano i medici. Questo signore non era molto felice per questa richiesta,
però mi disse che lo avrebbe fatto, ma qualsiasi cosa sarebbe uscita come
risposta non dovevo mettermi strane cose in testa e non dovevo crederci.
L'esito del guaritore fu negativo, quindi anche per il rituale nonno doveva
morire. Per fortuna tutti si sono sbagliati, sia i medici che questo guaritore
con il suo rituale, perché nonno è vivo e vegeto più di me. [intervista a
M.C., Bono, aprile 2014]
Dal momento che la validità terapeutica dei guaritori è conseguenza di un continuo
processo di negoziazione tra la percezione del proprio operato e la considerazione e
validazione sociale cui questo viene sottoposto, è facile immaginare come siano
facilmente riscontrabili delle somiglianze, talvolta notevoli, nei racconti di vita degli
operatori.
La loro visione del mondo proviene, in gran parte, dalla cultura contadina
tradizionale. In genere, essi sviluppano, quindi, modelli interpretativi basati sulla
fede cattolica e sulla percezione di un legame privilegiato con Gesù o i Santi, la cui
funzione protettiva e terapeutica viene comunemente posta in relazione con la
risoluzione di specifiche patologie. Una delle caratteristiche salienti della tradizione
contadine è, appunto, il sincretismo magico-religioso.
Questo sincretismo magico-religioso è piuttosto evidente, oltre che negli
esempi tratti nell'analisi dell'ideologia dell'aggressione magica, in gran parte delle
tipologie di cura osservate. Come afferma, a questo proposito, Clara Gallini
l'ideologia, di tutte queste pratiche terapeutiche, è magico religiosa nella
misura in cui assolutizza la società, “gli altri”, facendoli incontrovertibile
origine di fortuna e sfortuna. A loro volta, le relative prassi magicoterapeutiche affidano a determinate persone di fiducia il compito di
mediatrici tra individuo e gruppo, inteso come entità numinosa. La Chiesa
avvertì concretamente che anche questo complesso poteva rappresentare
una sfida alla sua pretesa di qualificarsi come unica organizzazione
mediatrice tra il mondo degli uomini e quello soprannaturale. La Chiesa
definisce il malocchio come una superstizione, e sottolinea l'inesistenza di
poteri umani sovrannaturali, perché se qualcuno avesse il potere di gettare
o togliere il malocchio, allora sarebbe onnipotente quando Dio. Da molti è
stato risposto che non è affatto contrario alla religione, in quanto è una
fatalità ineluttabile. Quanto alle medicine magiche, si tratta di preghiere,
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
benedizioni, parole di Dio. (Gallini 1973:146).
Una di queste tipologie sincretiche di cura, piuttosto diffusa, riguarda, ad esempio, il
trattamento terapeutico delle escrescenze cutanee causate dal papilloma virus,
conosciuto generalmente come meighina 'e sos porros (medicina o cura dei porri).
Nelle parole degli informatori è piuttosto evidente la caratterizzazione magica della
cura e quella iniziatica degli operatori:
Le formule non si possono rivelare perché in caso contrario, si
perderebbero i poteri. Queste si posso tramandare solo a una persona più
piccola d'età e una volta avvenuto il passaggio non si può più praticare il
rito. [F.C., guaritore, Paulilatino (OR)]
Così il guaritore stesso racconta che egli utilizza che è, alla stregua della cura dei
porri, allo stesso momento diagnostico e curativo:
Per guarire dai porri procedo come segue: devo conoscere il nome della
persona, mi reco in campagna e recupero un giunco, è un arbusto, devo
sapere il numero esatto e dove sono ubicati i porri, successivamente a luna
calante recito le preghiere; se il giunco si marcisce i porri andranno via, in
caso contrario si ripeto il rito alla prossima luna calante, questo
procedimento lo eseguo fino a quando non spariscono definitivamente. Per
ogni persona che richiede il rito ci sarà un giunco e delle formule fino alla
definitiva scomparsa dei porri. Solitamente la maggior parte delle persone
sottoposte alla suddetta medicina, guarisce, alcuni subito, altri anche dopo
un anno, non conosco il motivo preciso di come mai a seconda delle
persone ci vuole più o meno tempo. Un'altra cosa fondamentale è sapere il
numero esatto dei porri perché in caso contrario il rito non da effetto. Mi è
capitato che qualcuno sbagliava il numero e non si capiva perché non
guariva, allora abbiamo controllato i porri e ne aveva contatti di meno, io
suggerisco di segnarli uno per uno con una penna. Mi capita anche di
vedere delle persone con i porri e senza dirli nulla gli faccio lo stesso la
medicina. [intervista a F.C. (62 anni), Paulilatino (OR)].
Il carattere magico della cura della patologia è ricollegabile alla connotazione
soprannaturale dell'eziologia del disturbo. Popolarmente, infatti, la comparsa dei
porri spesso viene attribuita all'abitudine del malato di guardare il cielo o contare le
stelle. Inoltre, il rito può essere compiuto esclusivamente in momenti propizi:
Per la medicina bisogna recitare delle formule-preghiere che sono segrete e
che dirò solo quando verranno tramandate, il periodo dev'essere a luna
calante. Di solito faccio due o tre preghiere all'ultimo quarto della luna ma
se non vanno via subito allora lo faccio per nove lune calanti consecutive.
Se i porri non spariscono neanche così aspetto per un periodo e poi riprovo
per altre nove lune. [G.A., guaritore (69 anni) Paulilatino (OR)]
Le escrescenze vengono, inoltre, concepite in maniera umanizzata, dal momento che
alcuni guaritori affermano di essere in grado di distinguere tra “porri maschi” e
“porri femmine”. Distinguere la differenza tra le due tipologie è piuttosto importante,
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dal momento che i cosiddetti porri femmina, essendo molto vicini e piccoli, spesso
sembrano un unica entità, ed un errore nel calcolo del numero complessivo di
escrescenze inficia, come si è visto, la cura. Come in ogni formula sincretica, devono
essere pronunciate preghiere cattoliche come il Credo, l'Ave Maria o il Padre Nostro,
in associazione o meno con altre tipologie di incantesimi orali. La forza del rito
consiste quindi, significativamente, nel pronunciare le parole adatte. Per questo la
cura funziona anche a distanza:
Innanzitutto non devo sapere ne dove sono i porri ne il numero esatto, solo
il nome completo e il cognome della persona e la via di residenza. Se una
persona ha la residenza in una casa ma vive lontano in un altro posto o
paese e tiene la residenza in quella casa, è quella che conta nella formula;
per esempio, ho fatto la medicina a un ragazzo che vive e lavora in
Germania ma ha tenuto la residenza a Paulilatino, gli ho fatto la medicina
con la residenza in paese e ha funzionato, i porri sono spariti. Questa è una
cosa misteriosa che non so spiegare. [G.A., 69 anni, guaritore, Paulilatino
(OR)]
E ancora:
C'era un periodo che ero tutta piena, nelle mani, mi si aprivano e
sanguinavano. Mi vede G., il marito di mia sorella, ma non mi dice nulla. Il
giorno dopo mi sveglio e non avevo più nulla, scomparsi. Lo incontro e mi
chiede: « Beh, ti sono passati? Ho chiesto a mio padre di farti la medicina
dei porri!» [M.B., 54 anni, Thiesi (SS)]
A differenza di quanto accade per la cura del malocchio, però, la maggior parte degli
operatori riscontrati nel territorio sono di sesso maschile. Le varie tipologie di cura
vengono generalmente trasmesse per discendenza maschile all'interno del nucleo
famigliare:
quando ero poco più di un bambino mi uscirono tanti porri, nelle mani,
nelle gambe, nei piedi. Mio padre che sapeva fare la medicina e guariva
tanta gente la fece anche su di me, ma non non funzionava, forse perché
dello stesso sangue, ma questa è una mia ipotesi, il motivo vero non lo
conosco. Provai allora altri metodi, ma non erano efficaci su di me. Un
giorno mentre mi trovavo all'orto con mio padre vidi nell'acqua del ruscello
un animaletto che galleggiava, che non voglio specificare, e mio padre mi
disse di prenderlo e passarlo dove avevo i porri e contemporaneamente
pronunciare delle formule-preghiere che mi disse sul momento. Dopo la
volta i porri mi sparirono e non tornarono più. Questo metodo è stato
utilizzato solo quella volta perché il metodo che mi ha insegnato mio padre
e che ora pratico io è diverso [G.A., guaritore (69 anni) Paulilatino (OR)].
Ciò è dovuto, probabilmente al fatto che la cura in questione venga spesso applicata
con successo al bestiame:
Solitamente la maggior parte delle persone guarisce. Questo metodo è
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efficace per gli uomini ma anche per gli animali, sopratutto per quelli che
vengono utilizzati per la mungitura. [G.A., guaritore (69 anni) Paulilatino
(OR)].
La trasmissione delle conoscenze adatte a curare questo tipo di disturbo presenta,
però, due vistose aree di innovazione: da una parte, viene infatti affermato che anche
le donne possano apprendere la tecnica ed applicarla con efficacia; dall'altra, si è
ormai persa, nelle parole dei guaritori, ogni conoscenza relativa all'eziologia magica
relativa al disturbo. Anche in questo caso, la specializzazione del guaritore nella sola
cura dei porri è dovuta ad una riduzione nella trasmissione delle conoscenze:
Ho appreso la pratica da mio padre che lo ha insegnato a me e a mia
sorella nello stesso momento, e anche lei poi ha iniziato a utilizzarlo con
ottimi risultati, io lo faccio già da quarant'anni. Io non conosco il motivo
per cui compaiono i porri ma ho notato che di solito escono ai più giovani e
se si spaccano e sanguinano sono molto contagiosi. Mio padre sapeva
anche le formule per far passare il sanguinamento dal naso, però non me le
ha insegnate perché diceva che è molto pericoloso, il sanguinamento è uno
sfogo e molte volte è meglio non fermarlo perché potrebbe fare più danno
che bene. [G.A., guaritore (69 anni) Paulilatino (OR)].
Inoltre, a differenza di altre tipologie di cura, questa si integra difficilmente col
ricorso alla medicina ufficiale. I guaritori tendono infatti a specificare che per una
buona riuscita della cura il paziente non deve essere toccato nella zona interessata
dallo sfogo con strumenti metallici.
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3
Magia, identità, archeologie alternative:
antenati mitici e pietre curative
La progressiva regressione e, in molti casi, scomparsa di alcune pratiche e credenze
del “mondo” magico tradizionale, cui prima si è accennato, appare, ad un primo
sguardo, come una perdita per il patrimonio folklorico sardo e un evidente
assottigliamento della particolare diversità culturale un tempo presente nell’isola. In
pratica, risulta, in superficie, come una sorta di resa incondizionata del “vecchio” nei
confronti del “nuovo”. Nella maggior parte dei casi, l'assenza sul territorio di
operatori rituali e guaritori che praticano o conoscono rimedi alternativi viene
facilmente ovviata dal ricorso alla medicina ufficiale, e l'operato del medico
sostituisce in modo adeguato ed opportuno quello del guaritore. Come a questo
riguardo sostiene Alfonso Maria Di Nola, d'altronde, “sembra banale ricordare, ed é
forse significativo e rilevante, un dato concreto: che nelle culture occidentali
sussistono, opposte, due figure di portatori di sapienza medica, il medico
accademico, legato alla scuola, e il “praticone” che trasmette, anche con
innovazioni, il filo della scienza tradizionale” (Di Nola 1983:10). In Sardegna come
altrove, il ricorso alla medicina ufficiale, con il suo patrimonio di conoscenze relative
a virus, batteri e cause organiche empiriche, non riempie però completamente il
vuoto esperienziale causato dall'assenza o dalla scomparsa di forme tradizionali di
cura, che fanno comunque riferimento, nel momento della diagnosi, ad un sistema
meta-empirico, ovvero a un “piano di sistemi «altri» da quelli che appartengono
all'epistemologia galileiana della verifica e della scienza contemporanea: i piani,
per esempio, del religioso, del magico, del metanaturale e del metastorico, da
intendersi anche in una dimensione dell'esistenziale e del totalmente coinvolgente”
(ibidem).
Per questo e altri motivi, in Sardegna come altrove, la figura del medico non
sostituisce appieno il ruolo che un tempo era del guaritore, le cui risposte allo stato di
malattia, fino ad passato abbastanza recente, non si limitavano alla sola componente
organica, ma venivano indirizzate anche verso altri aspetti dell'esperienza del
paziente, tutelandone al contempo il benessere psicologico e il ruolo sociale. Per
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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molti degli informatori della presente indagine, la medicina ufficiale si dimostra poco
attenta a queste due dimensioni fondamentali dell'esperienza della malattia,
mostrando poca attenzione e riguardo nei confronti della dimensione psicologica e
sociale della cura. A questa, viene contrapposta la medicina popolare tradizionale,
che comporta, soprattutto nel caso di piccoli malesseri e fastidi di lieve entità, la
possibilità di non essere ospedalizzati, di potersi curare in casa e di potersi rivolgere
a qualcuno che “comprenda” il malessere, invece che la malattia. Per questo, il
ricorso al medico viene descritto come una resa, piuttosto che come una scelta:
Mia figlia è stata curata cun sa meighina (lett. “la medicina”) ed ha
funzionato completamente. L'ho portata da zia Maria, abbiamo fatto
quello che dovevamo fare ed è guarita. Mio figlio, invece, perché zia
Maria non la faceva più, l'abbiamo dovuto portare all'ospedale, e ogni
volta che andava dal medico piangeva, e l'hanno operato per davvero!
[G.L.B., Thiesi (SS), 22/05/2013, colloquio informale]
In questo caso appena descritto, che riporta fatti accaduti negli anni '90 del secolo
scorso, una donna di mezza età ha affrontato per i suoi due figli un identico
(problema di salute, un’ernia inguinale. La figlia maggiore è stata curata con terapie
di medicina tradizionale; a seguito della rinuncia dell'operatrice rituale a compiere il
rito terapeutico terapia tradizionale ha indotto il ricorso alla medicina ufficiale per
curare il bambino; questa soluzione, però, è stata percepita come maggiormente
invasiva, tanto che, nell'ambulatorio medico, il bambino “non smetteva di piangere”,
finendo con l'essere, “persino”, operato. Nelle parole della donna e in quelle degli
altri informatori domina un diffuso sentimento di nostalgia nei confronti di un
mondo, spesso romanzato, di cure possibili, di orizzonti di pensiero e di spiegazioni
alternative valide, ormai scomparso o comunque destinato ad esserlo.Questa “logica
della nostalgia” che emerge negli informatori, e la sensazione provocata da una
mancanza di competenze adeguate a fornire una cura efficace, non investe solo la
figura del medico ufficiale, ma anche, e soprattutto, quella degli attuali guaritori,
soprattutto quelli che impiegano pratiche di tipo magico o carismatico. L'operato di
questa tipologia di guaritori viene visto e deformato sulla base della percezione di
una perdita irrimediabile, quella di un passato considerato glorioso e comunque
migliore dell’attuale. Molti operatori rituali contemporanei hanno perso l'alone di
mistero e segretezza; in altre parole, secondo gli informatori, hanno perso il loro
carisma e la loro capacità di cura; di questa situazione ne ha risentito parecchio il
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
loro consenso sociale in quanto è venuta a mancare la loro vista, considerata nello
stesso tempo dono e capacità di intuizione:
Ormai di buono non ce n'è più nessuno. Tu vai, chiedi, e parli con queste
persone. Ma se tu non spieghi a loro cosa hai, qual'è il problema, loro
non ci capiscono nulla. Non vedono, quindi... li manca qualcosa, li
manca... [X.X., Ploaghe (SS), 17/07/2014, conversazione informale]
Sempre più spesso, “sa manu 'ona” (lett. “la buona mano”), la predisposizione
biologica alla cura ed alla guarigione fisica e spirituale, sembra essere una
caratteristica assente tra gli operatori in attività. Spesso anche i “figli d'arte”, ossia i
discendenti di guaritori e operatori magici rispettati e conosciuti per le proprie
capacità di cura o di contatto con il mondo spirituale, rientrano in questa visione
nostalgica che colloca nel passato i propri eroi mitici:
Ce n'è anche un'altra che fa la magia del malocchio... La fa perché la
faceva la mamma; ma lei non c'è buona... Lo dicono tutti che non
funziona, quella che fa lei... [E.P., impiegata, Ploaghe (SS),
conversazione informale-15/07/2014]
Oggi come allora, le storie di magia e guarigione costituiscono un aspetto importante
nella costruzione della reputazione degli operatori rituali, che devono l'ampiezza del
proprio bacino di utenza alla diffusione di storie e aneddoti sulle loro capacità di cura
e aiuto. Ciò è particolarmente evidente soprattutto nel caso dei majalzos e dei
veggenti, la cui abilità nella
percezione dell'esistenza di mondi ed entità non
percepibili per i “normali” esseri umani, costituisce l'attributo fondamentale della
loro personalità sociale e la vera ragione del loro successo.
Nella realtà folklorica tradizionale sarda, buona parte dei contos de foghile era
costituita da racconti tenebrosi e di paura, i quali avevano come protagonisti uomini
comuni che si imbattevano, quasi per caso, in entità non umane variamente definite.
In particolare, nel passato, le storie che riguardavano imprese straordinarie compiute
da operatori rituali, erano in numero minore, ma sicuramente presenti in favole e
fiabe. Però molte delle storie di magia avevano come protagonisti personaggi ancora
in vita, e il racconto degli eventi si arricchiva di nomi, circostanze e dettagli. Questi
aneddoti costituivano una vera e propria “réclame” per molti di questi personaggi,
che se ne servivano per attestare la straordinarietà delle proprie doti magiche. Ciò
che cambia nei racconti attuali è soltanto la dimensione temporale: scomparsi i
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
racconti realistici o presunti tali, il ricorso alla magia o a forme alternative di cura
viene sempre comunque collocato in un passato mitico. L'operatore rituale viene
trasfigurato in una figura semi-leggendaria e l'esistenza stessa del mondo magico
viene retrodatata ad un tempo altro, in cui tutto ciò era possibile.
L'antropologa francese Jeanne Favret-Saada, nella sua inchiesta sulla magia
tradizionale nel Bocage francese della seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso
(Favret-Saada 1977), interpretava questa tendenza a collocare la magia nel passato
come una strategia di dissimulazione per domande che invadevano la sfera più intima
e privata dell'individuo, quella della credenza. Scopo della strategia degli informatori
era quello di allontanare da sé eventuali giudizi negativi di un antropologo
“razionale”. Scrive a questo proposito Silvana Borutti:
Come essa si rende conto ben presto, si tratta di atti comunicativi
decisivi: il silenzio è di per sé dialogico, perché osserva l'osservatore, e
gli chiede di dichiarare la sua identità e i suoi scopi; la dissimulazione
(«La stregoneria non esiste più. Sono credenze dei vecchi») proietta
l'antropologa nel suo sistema simbolico razionale, a cui gli informatori
pretendono anch'essi di appartenere (Borutti 1999:175).
Nei casi esaminati, invece, la maggior parte delle informazioni in tal senso non
provengono da interviste, ma da conversazioni informali tra famigliari ed amici, per
le quali la presenza dell'antropologo, per quanto esplicita ed esplicitata, tende a
passare in secondo piano. É chiaro che non può trattarsi, in questo caso, di una
strategia di dissimulazione, soprattutto quando la conversazione “vira” più o meno
casualmente sul mondo magico e le strategie di risoluzione dei piccoli problemi
quotidiani:
Ah, mi sono ricordata... Mi ha chiamato un mio amico, vuole sapere se tu
puoi dargli il numero di telefono di qualcuno che risolva questo genere di
problemi... Poverino, ha litigato con tutti, perso il lavoro, non gli va mai
bene nulla... Ha provato a cercare, ma dice che quelli che ci sono là non
ci sono buoni... Se vuoi viene qua, da te, e che so, andate insieme [A.C.,
studentessa, Irgoli (NU), conversazione telefonica - 10/5/2013]
Davanti alla mancanza di figure di riferimento nel territorio, l'antropologo, “esperto
di cose magiche” diventa una risorsa, piuttosto che un ostacolo. Infatti, ancora:
Un mio amico di qui ha un sacco di problemi. Sta male, periodaccio.
Guarda tu se ci può essere qualcosa, chiama qualcuno dei tuoi maghi e
fammi sapere cosa deve fare... [L.M., impiegata, conversazione informale
10/11/2013]
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
E ancora:
Ascolta, mi devi fare un favore. La mamma di una mia amica ha il “fuoco
di Sant'Antonio”, sta molto male ed è tutta piena. Conosci qualcuno che lo
cura? Fammi sapere, poverina, non sa come fare [M.A.S., impiegata,
conversazione informale 03/08/2014]
Le considerazioni circa la scomparsa della cosiddetta “vera” magia, non possono
essere ricondotte, in questi casi, a strategie di omissione o dissimulazione, quanto,
piuttosto, al fatto che, come emerge dalle testimonianze e come si è altrove
accennato, la presenza sul territorio di individui dotati di carisma e/o di abilità
straordinarie è attualmente in Sardegna tutt'altro che capillare. Quando nel territorio
mancano operatori rituali di tipo tradizionale, o quando ne vengono messe in dubbio
la capacità e l'abilità, ci si deve necessariamente rivolgere altrove. In alcuni casi, non
esiste più il ricordo di imprese straordinarie come quelle compiute dai maghi del
passato, per i quali i discendenti possono costituire un surrogato, seppure inefficiente,
della loro competenza. In altre circostanze, soprattutto nelle città e per coloro che
non hanno legami affettivi o relazionali che consentano un accesso alle cura o alla
risoluzione di uno stato di crisi, le loro richieste rimangono inascoltate. Sempre più
spesso, l'universo magico e curativo tradizionale viene rappresentato, più o meno
fedelmente, da libri, programmi televisivi, blog e siti di informazione. Queste forme
di comunicazione, che spesso mitizzano, stravolgono o esagerano alcuni aspetti,
influenzano notevolmente la percezione del mondo magico e curativo tradizionale,
soprattutto per coloro che non hanno esperienza quotidiana delle concezioni magiche
tradizionali, neanche nelle forme residuali contemporanee.
In questo quadro di estrema frammentazione, dissoluzione e mitizzazione della
magia sarda, diventa sempre più facile attestare la presenza di credenze ed ideologie
magiche che postulano l'esistenza di una sorta di età dell'oro della magia, collocata in
un passato mitico ben più lontano del tempo intercorrente tra una-due generazioni.
Queste ideologie contemporanee, che sono frutto della commistione di una grande
molteplicità di influenze culturali, collocano in Sardegna l'esistenza di una forma
specifica dell'agire magico da salvaguardare e, quando occorre, da recuperare:
dai popolo sardo meraviglia delle meraviglie, voi che vi siete imbastarditi
poco con gli altri popoli, trovate la vecchia via dove la magia, il creato, il
potere della mente, la conoscenza antica delle cose, erano in equilibrio per
il bene delle persone e i guaritori guarivano non come oggi che la medicina
è diventata solo roba chimica che non si preoccupa dell'insieme di cui fa
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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parte l'essere umano. dopo 'sta lagna diamoci da fare per trovare le
nonnette che sanno. [T.M., commento ad un web article intitolato “I
brebus, parole magiche sarde”-15/08/2014, http://www.contusu.it/brebuse-maias-magia-sarda/ ultima consultazione ottobre 2014 ]
Questa forma di magia, conosciuta in Sardegna e non altrove (se non nei casi in cui,
appunto, sarebbero stati i Sardi ad esportarla), costituirebbe l'eredità di sapienze
antiche tramandate senza soluzione di continuità fino ai nostri giorni.
Si tratta di un'idea che può essere facilmente rintracciata in una moltitudine di
ideologie diverse, a carattere spiritualistico, magico, religioso o in forme sincretiche
più o meno complesse. Per cercare di comprendere l'universo di esperienze di queste
forme di spiritualità contemporanea, tuttavia, è indispensabile analizzare l'impianto
credenziale ed ideologico su cui esse si basano, prestando particolare attenzione alla
ripresa o alla nascita, ex novo, di mitologie più o meno complesse. Queste mitologie,
che propongono spiegazioni alternative rispetto alla storia ufficiale e vengono per
questo definite da storici ed archeologi “pseudostoriche”, costituiscono la base
ideologica di nuove visioni del mondo e della vita, in particolare in relazione alla
preservazione del binomio salute-salvezza.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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3.1. Vivere ad Atlantide: ovvero la Sardegna intesa come terra mitica
In Sardegna, la maggior parte delle attuali forme di spiritualità fanno costante
riferimento ad una base ideologica comune: la percezione dell’isola come terra
ancestrale ed ignota, insieme paradiso terrestre e luogo del mistero. Si deve rilevare
che non si tratta di un fenomeno esclusivamente contemporaneo, se si tiene conto
che, fin dall'Ottocento, la letteratura di viaggio ambientata in Sardegna descriveva in
modo oleografico la regione come un luogo barbaro e nello stesso tempo
meraviglioso: una sorta di paradiso terrestre posto a due passi dal continente europeo.
Le descrizioni vivaci e colorite dei viaggiatori hanno influenzato per questo motivo il
rapporto dei Sardi con la propria identità sia del passato che contemporanea; che
costituisce di fatto una innovazione o una creazione anche a partire proprio da quelle
descrizioni (Paulis 2006). Tuttavia, ciò che rappresenta sicuramente un'area di
innovazione è l'incorporazione di queste identità composite verso l’elaborazione di
nuove ideologie magico-religiose, che soltanto recentemente sono state osservate.
Negli ultimi tempi, infatti, la tendenza dei Sardi a dipingere la propria terra come
sede di un Eden mitizzato ha goduto di nuova vitalità in conseguenza della
pubblicazione di opere divulgative e para-scientifiche che offrono una versione
alternativa e, per questo differente, alla storia ufficiale dell’Isola. La questione della
validità di questa storiografia, pertanto, risulta abbastanza dibattuta e riguarda, in
primo luogo, la permeabilità complessa e controversa del confine tra scienze ufficiali
e pseudoscienze, in relazione soprattutto per quanto concerne le indagini storiche ed
archeologiche di un lontano passato in linea generale collocabile nella preistoria.
In tale quadro di concezioni teoriche e metodologiche, l'oggetto principale
delle indagini delle pseudoscienze può essere costituito da qualsiasi aspetto
dell'esperienza umana, dato che “la distinzione tra scienza e pseudoscienza non
riguarda l'oggetto, ma piuttosto la qualità dei metodi impiegati e l'affidabilità della
conoscenza ottenuta (o presunta tale)” (Sokal 2004:4)19. Storici e filosofi della
19 Sono parecchie le pubblicazioni che cercano di indagare epistemologicamente la
distinzione tra scienze e pseudoscienze. Vedasi, ad esempio Feder (Feder 2002);
Gardner (Gardner 1957), Park (Park 2000); Radner e Radner (Radner e Radner
1982); Shermer (Shermer 2002), che contengono analisi generali delle caratteristiche
delle scienze e delle pseudoscienze (in particolare, vedasi il capitolo III in Radner e
Radner e i capitolo 1 e 2 in Feder 2002, in cui viene fornita una tavola di referenze
delle prime analisi scientifica di vari tipi di pseudoscienza).
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
scienza, infatti, negli ultimi tempi, come è noto, si interrogano se esista o meno una
relazione tra la diffusione delle cosiddette pseudoscienze ed alcune caratteristiche
delle culture postmoderne (vedasi, in particolare, Sokal 2004; 2008). Si deve rilevare
che l'indagine storica non fa certo eccezione. Gli storici Michael Shermer e Alex
Grobman, che hanno analizzato la diffusione di atteggiamenti revisionistici
sull'olocausto nazista, definiscono la pseudostoria come una “riscrittura del passato
in funzione di obiettivi personali o politici contemporanei” (Shermer, Grobman
2009:2, trad.). Invece, il filosofo Robert Todd Carroll elenca le caratteristiche
basilari che un'opera letteraria, per essere definita pseudostorica, deve possedere. Per
quanto riguarda i contenuti, una teoria psuedostorica si basa su un utilizzo selettivo
delle fonti, ignora le prove contrarie o controverse, dà eccessivo peso ad altre di cui
volutamente spesso non viene specificata la provenienza o che vengono interpretate
in maniera non ortodossa, dando peso eccessivo a eventi minori, estrapolando o
distorcendo, più o meno accidentalmente, le informazioni che inficiano la teoria.
Spesso, un'opera o un contributo pseudostorico viene pubblicato su riviste non
considerabili di tipo scientifico in senso stretto o comunque non sottoposte a peer
review. Questo perché l'approccio pseudostorico tende, fra l’altro, ad ignorare le
spiegazioni alternative o le interpretazioni dello stesso insieme di fatti che, invece,
sono stati sottoposti ad analisi e valutazione, in contrasto col principio del cosiddetto
“rasoio di Occam”, il quale, come è noto, sul piano del rigore metodologico favorisce
una spiegazione più semplice e prosaica dei fatti stessi. Inoltre, in generale, le
spiegazioni pseudostoriche fanno affidamento a teorie cospirative e ad ipotesi più o
meno esplicite di “insabbiamento” (Carroll 2003:305).
Quindi, secondo gli epistemologi, le teorie pseudostoriche applicano spesso un
collegamento arbitrario tra vari elementi, in modo da formare un modello, sviluppato
in un secondo momento in una ipotesi cospirativa che presuppone l'esistenza di un
agente nascosto, responsabile della creazione e del mantenimento di una verità
fasulla. Per questo motivo, lo storico britannico Nicholas Goodrick-Clarke preferisce
utilizzare, per queste versioni alternative della storia, il termine “criptostoria”,
caratterizzata da due elementi imprescindibili: “una completa ignoranza delle fonti
primarie” e la presenza di “affermazioni folli e inaccurate” (Goodrick-Clarke 1985:
224-5, trad.). In un articolo intitolato “Pseudohistory and pseudoscience”, lo storico
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
della scienza Douglas Allchin affronta il problema della difficoltà di comunicazione
relativa alle teorie e scoperte scientifiche, sostenendo che visioni false della storia
possono influire anche sull'educazione e comunicazione scientifica, rendendo
difficoltosa la distinzione tra scienze e pseudoscienze. In relazione soprattutto alla
diffusione di teorie non ortodosse, egli sottolinea, infatti, che “la pseudoscienza
cerca essenzialmente di rivendicare autorità scientifica per qualcosa che non è
scienza. Gli esponenti possono 'evocare' la scienza con gli emblemi della sua
autorità (Toumey 1997), o possono indurre in errore il pubblico utilizzando elementi
in modo selettivo” (Allchin 2004:180, trad.).
Nel quadro teorico-metodologico fin qui sinterizzato, nella Sardegna
contemporanea, sono numerose le opere a carattere storico pubblicate che presentano
molte, se non tutte, queste caratteristiche, proponendo versioni della storia dell'Isola
differenti da quella ufficiale. La tendenza antichizzante così come la ricerca di un
mito fondante che si colloca quanto più possibile indietro nel tempo non è l'unico
tratto comune a queste ideologie. Tutte queste opere esprimono soprattutto l'idea di
base di un passato glorioso della Sardegna; si tratterebbe di un passato minimizzato
e/o occultato da una successiva storia scritta da vincitori. Vicende incredibili o
difficilmente credibili vengono collocate all'interno di un quadro almeno
parzialmente o artificiosamente credibile che imita, nella forma più che nella
sostanza, le indagini storiografiche e che mira a metterle in discussione. Tra le teorie
più diffuse e da tempo note, c’è l’identificazione degli antichi Sardi con gli Sherden
o Shardana, uno dei “popoli del mare” nominati nei documenti egizi (Melis 2002);
l'esistenza di un’antica scrittura sarda o nuragica che gli archeologi si rifiutano di
attestare (Sanna 2004; 2009); la costruzione dei nuraghi su linee di energia, luoghi
dove si farebbero sentire benefici “flussi energetici” che permetterebbero di godere
di una “magnetoterapia naturale” (Aresu 2002). Aldilà delle singole connotazioni
specifiche, queste diverse teorie mostrano caratteristiche comuni, come l'esibizione
di manufatti e contesti scientificamente non autenticati, o ritenuti palesemente falsi;
il riferimento a manoscritti, opere letterarie e altro genere di manufatti che non
possono essere esibiti, a causa di eventi sfortunati che li hanno distrutti o resi
difficilmente reperibili; la svalutazione di ritrovamenti, oggetti o narrazioni che
metterebbero in discussione la tesi proposta (Frongia 2012).
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
La costruzione di queste storie ed analisi archeologie alternative ha un forte
collegamento ideologico con la concezione della Sardegna come terra del fantastico e
del soprannaturale che insieme le presuppone e le comprende. Questa concezione ha
il suo culmine nell'identificazione della Sardegna con l'isola di Atlantide narrata nel
mito di Platone.
Nell'opera Invented Knowledge: False History, Fake Science and Pseudo-religions,
lo storico britannico Ronald H. Fritze considera il tentativo dell'identificazione di
Atlantide come una delle tendenze pseudo-storiche maggiormente diffuse.
D'altronde, l'opera di Ignazius Donnelly Atlantis: The Antidiluvian world, è da più
parti considerata la prima grande opera di pseudostoria, anche se presentava
conclusioni accettabili sulla base delle conoscenze esistenti nel 1882. Gli storici
contemporanei hanno prestato particolare attenzione nell'analizzare il processo di
identificazione dell'Atlantide platonica in varie Atlantidi nazionali identificate nel
corso degli ultimi cinque secoli. La terra mitica narrata da Platone è stata, infatti, via
via individuata con la terra di origine della dinastia spagnola, la Svezia, la Palestina,
la Germania come culla dei popoli ariani (Fouerier, Giullaud 2004; Vidal-Naquet
1982; 1990; 2005). Per questa ragione, è stata coniata l'espressione “atlantis
syndrome”, o “sindrome di Atlantide”, per indicare l'atteggiamento che è alla base di
una vasta produzione di volumi, basati su una spasmodica ricerca e interpretazione di
fatti ed eventi ricollegabili alla grande isola scomparsa. La “sindrome di Atlantide” o
“atlantomania” produce testi con pretese di scientificità, nei quali sono contenute
teorie audaci sulla collocazione di Atlantide; le narrazioni che contengono hanno
spesso poco a che fare con i dati contenuti nel testo platonico, presentandosi piuttosto
con un resoconto romanzato di fatti realmente accaduti, perlopiù basato su una
metodica distorsione di avvenimenti, notizie e teorie scientifiche (Jordan 2001).Tra le
opere più famose e citate dei cosiddetti “atlantologi”, The Andes Solution di J.M
Allen (Allen 1998), Chariots of the Gods? Di Erich von Daniken (von Daniken
1971), When the Sky Fell:In search of Atlantis (Flem-Ath e Flem-Ath 1995), Worlds
in Collision (Velikowsky 1950) e From Atlantis to the Sphinx (Wilson 1996). In tutti
questi lavori, è presente il gusto per il sensazionalismo, la tendenza al bricolage di
dati avulsi dal contesto e l'abbandono della metodologia critica. Da qui, la tendenza
degli storici di cercare d'analizzare il significato sociale e culturale del mito di
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Atlantide nel mondo contemporaneo. L'archeologo di Cambridge Paul Jordan ha
compiuto un efficace e divertita analisi dei testi della sindrome di Atlantide, mentre
lo storico francese Vidal-Naquet, in un testo di poco precedente alla sua dipartita, ha
elaborato una breve storia del mito di Atlantide nella cultura europea, dal Medioevo e
dalla scoperta dell'America fino al XX secolo. Sono inoltre presenti numerosi studi
sullo sfruttamento ideologico del mito di Atlantide nel XX secolo, soprattutto
all'interno dell'ideologia nazista (Wegener 2001).
Gli storici e gli studiosi di letteratura tendono quindi a fornire alla narrazione un
intento pedagogico sostenendo, nell'analisi dell'esposizione, che l'obbiettivo di
Platone fosse quello di fornire un esempio della polis ideale:
É una possibilità, ovviamente, che non si dà nel mondo reale, e che per
questo è demandata a un lògos (un “racconto”), così come, oggi, per dare
un esempio, sarebbe affidata all'efficacia rappresentativa di una pellicola
cinematografica o di un'animazione computerizzata (Mosconi 2008:456).
Ciò che maggiormente interessa, ai fini della nostra trattazione, è capire se e in quale
misura
l'identificazione della Sardegna come Atlantide concorra alla creazione di
una mitologia rappresentativa che faccia da sfondo a credenze correlate, creando una
più o meno coerente visione del mondo che sfocia in forme innovative dell'agire
magico-religioso.
L'identificazione della Sardegna come Atlantide é piuttosto recente, a seguito
della pubblicazione dell'opera “Le colonne d'Ercole-un'inchiesta” del giornalista
Sergio Frau (Frau 2002), nota firma delle pagine culturali del quotidiano Repubblica.
Egli colloca l'isola fertile e ricca di metalli raccontata da Platone, spostando verso est
le colonne d'Ercole dallo stretto di Gibilterra al passaggio tra la Sicilia e la costa
africana. Secondo Frau, la grande varietà di flora e fauna fanno della Sardegna il
luogo citato dal mito atlantideo, la sede di una civiltà assai progredita
improvvisamente colpita da un evento naturale catastrofico, un maremoto che colpì
attorno al XII-XIII secolo a.C. la parte meridionale dell'isola, il Campidano,
distruggendo i nuraghi e ricoprendoli di fango. A seguito del cataclisma, il popolo dei
“costruttori di torri”, i “Thyrsenoi”, perse molte delle proprie costruzioni fortificate e
la maggior parte dei suoi porti, nonché la capacità di orientarsi correttamente e, di
conseguenza, di commerciare. Approfittando degli infausti eventi, i Fenici fecero
sparire Atlantide, sostituendosi ai popoli del mare, ovvero a quei Sardi che, a seguito
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
del cataclisma, finirono conosciuti come Shardana, a servire i faraoni in Egitto.
Frau adduce a sostegno della propria ipotesi molteplici e disparate prove.
Afferma, ad esempio, che tutti i nuraghes della parte meridionale della Sardegna
risultano distrutti e ridotti a mucchi di pietre e fango, mentre quelli da Nuoro in su
sarebbero sempre integri. I nuraghes sulla Giara di Gèsturi (più alta di circa 200
metri rispetto a Barumini) risulterebbero relativamente integri proprio perché
l'altipiano avrebbe fatto da diga alla marea che arrivava da sud. La reggia nuragica di
Barumini fornirebbe la prova che un cataclisma si sia abbattuto in Sardegna in epoca
remota, dato che gli archeologi avevano rimosso una grande quantità di terra e detriti
che la occultavano, mentre il settore sud-orientale della reggia fu rinvenuto in cattive
condizioni.
La tesi di Frau ha subito suscitato vivace interesse a livello nazionale ed
europeo. Nell'aprile 2005, nella sede parigina dell'UNESCO si tenne un simposio sui
temi del libro, che inaugurava la mostra “Atlantikà: Sardaigne, Ile Mythe”. La stessa
mostra fu inaugurata un anno dopo nella sede romana dell'Accademia dei Lincei. Qui
di seguito l'invito al simposio inaugurale:
Sono sempre state laggiù, a Gibilterra, le Colonne d'Ercole? Davvero erano
lì fin dall'inizio, nel V secolo a.C. quando Pindaro per la prima volta ne
parlò, nel 476 a.C.? E non è geopoliticamente più probabile che allora - un
tempo, prima di Alessandro che fece grande il mondo, e Alessandria che
con la sua Biblioteca ne ridisegnò le mappe - quelle Colonne fossero al
Canale di Sicilia, proprio lì dove Sabatino Moscati intuiva e segnalava la
vera "Cortina di Ferro dell'Antichità" a spartire il Mediterraneo tra mondo
greco e mondo fenicio? E al di là delle "prime Colonne d'Ercole" davvero
c'era un 'isola, come giurava Platone? [Comunicato stampa della mostraconvegno “Cosa c'era prima delle colonne d'Ercole?]
Il grande successo delle tesi del giornalista ha scatenato una vivace polemica sulla
veridicità e verosimiglianza delle teorie da lui sostenute. Due anni dopo la
pubblicazione del libro, un nutrito gruppo di studiosi tra archeologi, storici, filologi,
glottologi, geologi e antropologi, conoscitori a vario titolo delle civiltà del
Mediterraneo, pubblicò un documento con 250 firme, elencate in ordine alfabetico.
Tra queste, quella di Enrico Acquaro, ordinario di archeologia Fenicio-Punica, il
geologo Michele Agus del Cnr di Cagliari, l'antropologo Giulio Angioni e gran parte
degli specialisti dei due atenei sardi e delle Soprintendenze. L'appello viene redatto
da Alessandro Usai, della Soprintendenza di Cagliari, che accompagna il testo della
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
petizione da firmare con un appello:
A nome del gruppo promotore, diffondo in allegato al presente messaggio
un appello agli studiosi in relazione alle ipotesi avanzate dal giornalista
Sergio Frau sull’identificazione di Atlantide con la Sardegna, sulla presunta
disastrosa fine della civiltà nuragica, sul ribaltamento dei rapporti tra le
civiltà mediterranee delle età del bronzo e del ferro. Una fantasiosa
inchiesta, quale è il libro "Le colonne d’Ercole", viene ormai presentato e
propagandato come un testo di rilievo scientifico, purtroppo con l’avallo di
alcuni studiosi, quasi tutti non sardi e non conoscitori degli studi
archeologici e geologici condotti in Sardegna negli ultimi cinquant’anni.
Forte di questo avallo, Frau conduce una campagna di mistificazione e
denigrazione ai danni di tutti i ricercatori operanti in Sardegna e soprattutto
ai danni delle Soprintendenze archeologiche, ritenute colpevoli di
nascondere le prove della verità da lui rivelata. Con questo appello, gli
studiosi seri e attenti al rigoroso rispetto dei metodi scientifici della ricerca
nelle proprie singole professioni, ribadiscono alcuni punti fondamentali dei
risultati delle ricerche fin qui condotte. [l'appello è consultabile su
numerosi siti web, presente anche su una sezione del sito che Sergio Frau
ha dedicato alle Colonne,
http://colonne.idra.info/lnx/cde_article.php3?
id_article=67&id_rubrique=10]
Il documento sintetizza in venti punti le opposizioni alla tendenza ad identificare
l’Atlantide con la Sardegna, riconducendola ad “operazioni massmediatiche intorno
al passato dell’Isola”. Pur riconoscendo le “pur valide ragioni dell'immaginazione”,
gli studiosi sostengono che non si sia in possesso di dati storici accertati per
identificare l'Atlantide di Platone in un determinato luogo e tempo, sostenendo al
contrario la natura utopica della narrazione. Sostengono, inoltre, che sia difficile, in
mancanza di una documentazione scritta, sostenere spiegazioni univoche dei
cambiamenti culturali, in virtù della loro varietà e complessità, derivata da
spostamenti e contatti tra popolazioni non sempre facilmente ricostruibili. Di
conseguenza, l'ipotesi di un cataclisma può essere accolta solo in un più ampio
quadro di ricostruzioni interpretative di tipo sistematico, mentre per la Sardegna non
esiste alcun indizio di un'ipotetica inondazione provocata da un fenomeno geologico
verificatosi, secondo la datazione di Frau, attorno al 1175 a.C: “Non esistono indizi
di uno tsunami locale nemmeno nelle terre che circondano l'Isola lungo tutto l'arco
costiero del Mediterraneo occidentale”.
Inoltre, sostengono, la “civiltà nuragica” non scomparve improvvisamente nel XII
secolo, come “testimonia la grande fioritura in ogni angolo dell'Isola degli
insediamenti riferibili alla fase denominata Bronzo Finale tra il 1200 e il mille a.C.,
212
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
a cui risalgono i manufatti nuragici rinvenuti a Lipari in associazione col contesto
indigeno Ausonio II e con ceramiche micenee del Tardo Elladico”. Viene così meno
l'ipotesi avanzata da Sergio Frau e dai suoi sostenitori dell'esistenza di una cosiddetta
“era del fango”, testimoniata dalla contrapposizione tra i nuraghi distrutti del
Campidano, della Marmilla e del Sinis e quelli dell'interno della regione. Gli studiosi
affermano, a questo proposito, che “a chiunque li osservi con un minimo di spirito
critico appare evidente che tutti i nuraghi si presentino danneggiati in misura
dipendente dai tipi di pietra impiegati, dai vari fattori di dissesto e infine dal
plurimillenario prelievo di materiale lapideo per la costruzione dei fabbricati di età
successiva, dai tempi dell'espansione fenicia a oggi”. Il “segno” indicato da Frau
come prova dell'allagamento provocato dallo tsunami non è l'impronta del fango,
quanto piuttosto “quel che ricopre non solo i nuraghi ma anche le strutture erette
durante i secoli precedenti sono i diversi strati di crollo e di ricostruzione, riferibili
a molte fasi scaglionate nel tempo”. Proprio sul nuraghe di Barumini, che Frau
utilizza come prova primaria della propria teoria, gli studiosi affermano: “Proprio
qui emerge con assoluta chiarezza che gli strati di crollo del monumento e
dell'abitato circostante ricoprono omogeneamente i resti delle strutture nuragiche e
punico-romane realizzate in parte prima e in parte dopo la data della presunta
inondazione”. Infine, non esiste in Sardegna alcuna traccia delle migliaia di cadaveri
di uomini e di animali che il presunto cataclisma avrebbe dovuto provocare, dato che
nella teoria di Frau si presuppone che i cadaveri siano stati recuperati a uno a uno dal
fango e bruciati senza però spiegare chi e come avrebbe potuto compiere queste
operazioni.
Gli studiosi adducono il successo di teorie come quella di Frau alla mancanza
di prove circa la fine della civiltà nuragica. Secondo gli archeologi, non sarebbe da
condividere l'ipotesi del trasferimento nella penisola dei Sardi nuragici sopravvissuti
all'inondazione, dando quindi vita alla civiltà etrusca. A questo proposito, sostengono
gli studiosi “i rapporti tra i nuragici e gli etruschi sono comprovati ma solo a livello
di scambi commerciali, di tecnologia, di matrimoni tra famiglie aristocratiche o di
normali spostamenti di alcuni elementi umani, non certo per migrazioni di massa”.
Inoltre, queste teorie tendono a svalutare il grandioso fenomeno storico della
colonizzazione fenicio-punica, ricondotto a un unico centro propulsore individuato
213
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
nella città sarda di Tharros.
Le risposte degli archeologi alla teoria di Frau hanno causato una pronta
reazione del giornalista, con un documento che è stato definito “la scomunica dei
chierichetti”, pubblicato il 24 gennaio 2005 sulle pagine del quotidiano Unione
Sarda:
Sia chiara una cosa, comunque: da sempre - fin quando, almeno, furono
usate per rovinar vite altrui - per scagliare scomuniche contro una tesi
nuova e chi ha il coraggio di manifestarla - fatevelo dire da uno di Roma,
ché noi in zona la sappiamo lunga - son sempre stati indispensabili
Pontefici Massimi. Qui - ammettiamolo... - siamo sì alla Scomunica: ma a
una Scomunica di Chierichetti che, forse - come spauracchio, come
intimidazione... - riuscirà pure a impedire nuove ricerche in Sardegna ma
che, certo, rimarrà agli atti come una delle pagine più tristi scritte (e
firmate) della cultura (?) sarda... C’è un’aria nuova in Sardegna. Qualcuno,
però, non se ne è accorto: questi metodi, ormai, appartengono a un passato
di mediocrità che cerca disperatamente di sopravvivere.
Di seguito, la tempestiva mobilitazione dei suoi sostenitori. Ipotesi di complotto e
oscurantismo dell'accademia furono avanzate da più parti, mentre gli archeologi
furono accusati di negare verità storiche per proteggere gli interessi di una casta,
dando vita a polarizzazioni, talvolta feroci, tra i due schieramenti. In un efficace
contributo intitolato “L'Atlantide di Platone nell'immaginario parareligioso fra XX e
XXI secolo come specchio della contemporaneità”, lo storico italiano Gianfranco
Mosconi si riferisce alla vicenda affermando che in questa ne facciano le spese
gli studiosi accademici che si ostinano a non voler “credere” in Atlantide,
perché resi ciechi da presunti pregiudizi, o, peggio, perché essi pure sono
parte della “congiura del silenzio”. Perfino chi ha voluto,
recentissimamente, proporre una soluzione per il caso Atlantide fondata su
dati scientifici e su un'attenta (ma difficilmente condivisibile) lettura delle
fonti classiche, non ha potuto fare a meno di gridare al complotto di fronte
alle levate di scudi di parte del mondo scientifico (Mosconi 2008:505)
Dal punto di vista dell'indagine antropologica, la scelta di rappresentare la Sardegna
come Atlantide appare interessante per almeno tre aspetti complementari:
1- perché significa affermare che proprio sull'Isola risiedesse un tempo una cultura
tecnologicamente avanzata. Questa tendenza dei seguaci della teoria di Atlantide ad
immaginare l'eccellenza della “civiltà” atlantidea (che nel passo platonico risiede in
un dato quantitativo piuttosto che qualitativo), nei termini di una superiorità
tecnologica, può essere spiegata con la centralità che la tecnologia ha ormai assunto
nell'organizzazione quotidiana della vita nelle culture attuali del “primo mondo”,
214
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
dovuta alla “difficoltà degli uomini contemporanei di concepire una vita a basso
contenuto tecnologico” (Mosconi 2008:497). Ciò fa in modo che la collocazione di
Atlantide in Sardegna possa essere ricondotta a linee di tendenza di alcune ideologie
proprie delle archeologie alternative, che spesso offrono spiegazioni non ortodosse
alla costruzione nel passato di opere di grande perizia costruttiva (molte di queste
spiegazioni fantasiose riguardano, ad esempio, le piramidi maya o egiziane),
espressione di menti e tecnologie superiori.
2- perché immaginare la Sardegna come il luogo in cui collocare questa “civiltà
superiore” corrisponde alla necessità di ricostruire un'identità percepita come
precaria o in pericolo, con la corrisponde creazione di una mitologia del “come
eravamo”. Le possibili derive etniciste della teoria di Frau vengono sottolineate
anche in una lettera della prof.ssa Anna Bietti Sestrieri, direttrice dell'Istituto Italiano
di Preistoria e Protostoria. Nella missiva, che ha avuto vasta risonanza a seguito della
sua diffusione sul Web, infatti afferma:
L’amore per la propria regione, o nel caso specifico per la propria isola, è
un sentimento bello e rispettabile; ma su questo terreno nessuna disciplina
si presta come l’archeologia a un uso distorto di ipotesi e teorie che si
dichiarano scientifiche. Non è necessario che le ricordi la storia recente e
contemporanea per sottolineare il ruolo nefasto che un uso scorretto della
documentazione e dell’informazione archeologica può avere nel suscitare
nostalgie di paradisi perduti ed età dell’oro, e nel fornire il pretesto per
rivendicazioni di superiorità culturale ed etnica e per aspirazioni
autonomiste che sarebbe difficile giustificare altrimenti. Francamente, mi
sembra che molte delle sue tesi si prestino, seppure non intenzionalmente,
ad alimentare manifestazioni del genere. E’ precisamente questa una delle
ragioni per cui considero assolutamente auspicabile un confronto
scientifico aperto e serio, che metta un pubblico di non specialisti in grado
di valutare la bontà delle teorie che gli vengono proposte e le pericolose
implicazioni di una esaltazione acritica del proprio passato.
[http://colonne.idra.info/lnx/cde_article.php3?
id_article=73&id_rubrique=18]
3- perché il fascino esercitato da questa teoria e delle polemiche ad esse legate ha
dato il via ad un fecondo filone della letteratura sarda contemporanea. Queste opere,
che hanno spesso in comune col libro di Frau l'impostazione letteraria, presentandosi
in una forma composita tra il romanzo e l'inchiesta giornalistica, godono di grande
successo editoriale. Da queste opere, derivano ideologie che tendono a proporre
evidenti deformazioni del quadro storico dell'intera area mediterranea e vicinoorientale, creando una sostanziale confusione, se non identificazione, tra Sardi,
215
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Etruschi, Fenici, Ebrei, Filistei-Pheleset, Shardana e altri popoli del mare e nelle
quali l'elemento sardo o sardista viene presentato sempre come determinante. Resta
ancora da stabilire, ai fini di questa ricerca, se la comparsa di queste ideologie e
mitologie identitarie possa o meno essere messa in relazione alla nascita di specifici
campi religiosi, che proprio a partire da queste concezioni della storia e del mondo
sembrano prendere avvio.
216
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
3.2. Archeostrani ed archeobuoni: identità storiche ed identità spirituali
Come dimostra l'esempio dell'identificazione della Sardegna con la città perduta di
Atlantide, l'adozione o la creazione ex novo di cosmogonie più o meno complesse è
spesso alla base di conflitti piuttosto accesi tra le parti in causa, con una
polarizzazione spesso evidente tra accademici e studiosi ufficiali da un lato, e coloro
che propongono visioni alternative della storia dall'altro canto. Solo recentemente, e
in virtù della sua crescente espansione, il fenomeno della nascita e/o ripresa di
ideologie controculturali basate su versioni alternative della storia ha iniziato ad
attirare l'attenzione degli studiosi. Per indicare queste tendenze, vengono utilizzate
dagli accademici numerose espressioni differenti, tra cui “pseudoarcheologia”
(Fagan 2006), “archeologia dubbia” (Feder 2000), “cult archeology” (Feder 2010),
“archeologia fantastica” (Williams 1991), archeologia “alternativa/lunatica”
(Williams). Dato che, sempre più spesso, agli occhi del grande pubblico le
rivendicazioni degli aderenti a queste ideologie alternative competono direttamente
con le interpretazioni degli archeologi ufficiali, alcuni di questi hanno iniziato ad
inserire questi temi nella loro agenda di studi, mentre gli studiosi di scienze umane si
sono dedicati a descrivere ed analizzare queste tendenze (Fagan 2006:27-30; Feder
1999:37, 2010: ix-x; Schadla-Hall 2004: 256; Stiebing 1995:1). Come accade, più in
generale, con la definizione di “pseudoscienza”, anche l'applicazione ad un campo di
indagine circoscritto delle definizioni prima citate appare piuttosto problematica,
dato che, richiamando concettualmente a qualcosa di erroneo, imperfetto,
ideologicamente ascrivibile ad un soprannaturalismo che non può contenere in sé
nulla di scientifico, rappresenta evidentemente solo una delle parti in causa.
Esprimono, di per sé, la separazione e il disgusto del mondo dell'archeologia ufficiale
ed accademica nei confronti di idee di origine popolare considerate improbabili ed
erronee. É chiaro, insomma, che l'utilizzo di queste terminologie richiami
prevalentemente l'impostazione ideologica degli archeologi e proprio da questi
vengono utilizzate per sottolineare una netta distinzione di idee e metodologie, a
difesa della teoria e della prassi ufficiale.
Com'è facile immaginarsi, questo genere di teorie presenta grande varietà e
difformità interna, spaziando dalle teorie relative alle culture o “civiltà” e/o ai
217
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
continenti scomparsi fino all'utilizzo di poteri psichici per riscoprire il passato.
Alcune più di altre, come si è prima accennato in riferimento alla storia di Atlantide,
hanno mostrato un'ostinata resistenza. Ciononostante, queste visioni alternative della
storia possono essere identificate poiché si riferiscono a pochi temi prevalenti, spesso
raggruppati in costrutti culturali complessi. Questi nuclei tematici sono costituiti, con
o senza il riferimento ideologico ad Atlantide, dalla credenza negli “antichi alieni”,
ovvero nell'esistenza di una razza aliena che in passato avrebbe avuto contatti con la
terra, creando molte delle “civiltà” ora scomparse, attestata da almeno cinquant'anni
(Colavito 2005; von Däniken 1968), e dalle cosiddette “teorie iperdiffusioniste”
(Heyerdahl 1950; vedi anche Andersson 2010; Wauchope 1962).
A partire da questi nuclei tematici, il tentativo di ricostruzione ideologica di un'antica
coscienza o conoscenza oggi scomparsa ha portato alla nascita di nuovi movimenti
religiosi, con l'interessante connessione che ne deriva tra ideologia new age e
pseudoarcheologia. L'analisi di questi fenomeni ha ormai ampiamente dimostrato che
i vari nuclei tematici delle teorie pseudoarcheologiche mostrano una evidente facilità
di commistione, come dimostrano ad esempio le teorie relative ad Atlantide. Allo
stesso modo, molte teorie cospirative sull'esistenza degli alieni, come ad esempio
quelle relative alla colonizzazione del Nuovo Mondo, sviluppano ideologie etniche
su base iper-diffusionista. La collisione di molte di queste idee in panorami
ideologici complessi le rende molto difficili da comprendere ed analizzare
isolatamente, e le teorie relative alla storia non ufficiale della Sardegna non fanno
certo eccezione.
Lo studio di questi fenomeni non è certamente semplificato dal fatto che si tratti di
ideologie spesso connesse con le problematiche etniche e identitarie, come dimostra
Christopher Begley (Begey 2012) analizzando il caso della “ciudad blanca” in
Honduras. In quest'area, la conoscenza indigena del passato dell'area, che
documentava la presenza nell'area di venerabili antenati, è stata trasformata in mito
pseudoarcheologico per le narrative occidentali, postulando l'esistenza di una città
meravigliosa. Questo fenomeno di appropriazione del patrimonio mitico di altre
culture che finisce col creare una leggenda occidentale, definito dall'autore un
meccanismo di “de-indigenizzazione”, è estremamente comune nella pseudoscienza,
come dimostrano le ideologie che suppongono la presenza di antichi alieni (Colavito
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
2005), la mitologia relativa all'apocalisse maya (Aveni 2009:15-26) e quella sul
bigfoot (Daegling 2005).
Davanti alla diffusione costante di queste ideologie il mondo accademico si è, spesso,
dimostrato teoricamente indifeso, poiché mette in crisi le classificazioni note,
mescola le carte, comporta un notevole dispendio di energie. Infatti, per gli
archeologi, comprendere origine e motivazioni del successo di concetti ed ideologie
alternative rappresenta un'indubbia sfida, dato che richiede, in primo luogo, la
necessità di ragionare sui meccanismi di percezione del ruolo e del valore della
disciplina archeologica. Si sviluppa sempre più prepotentemente il bisogno, che
diventa vitale per l'archeologia contemporanea, di giustificare la propria rilevanza
presso il grande pubblico. Gli archeologi hanno quindi, da qualche anno, iniziato ad
approfondire la questione della pubblica percezione della disciplina, con vari gradi di
successo (Arnold 2001; Stoddart Maloone 2001). Questo nasce, soprattutto,
dall'intrinseca vulnerabilità dei dati provenienti dalle indagini stratigrafiche, non
rinnovabili per natura, e dalla conseguente necessità di spiegare il procedimento
archeologico nella sua interezza, soprattutto in riferimento all'importanza che esso
attribuisce al contesto (Arnold 2001; Fagan, Feder 2006; Fagan 2006; Stoddart,
Malone 2007).
Per sociologi, antropologi e storici delle religioni, invece, la creazione di ideologie e
mitologie alternative, di differenti percezioni della storia, si rivela interessante poiché
la costruzione di questi orizzonti culturali può essere analizzata in riferimento a temi
e prospettive di ricerca ben noti all'antropologia. L'evidenza della loro diffusione e la
velocità di propagazione basterebbero di per sé a rendere il fenomeno interessante
agli occhi degli antropologi. Inoltre, alcune analisi di archeologi contemporanei
hanno concentrato la propria attenzione sugli ideatori ed i promulgatori di queste
teorie alternative e sugli standard delle metodologie di ricerca che utilizzano. Si è
quindi finito col distinguere i promotori di visioni alternative dell'archeologia in due
tipologie: i veri credenti e coloro che, invece, hanno occhio per il profitto, spesso
affermando la difficoltà di una netta distinzione tra le due categorie (Fagan 2006;
Schadla-Hall 2004; Stiebing 1995). In quella che viene definita società o cultura
dello spettacolo, molti degli aspetti fondamentali delle culture vengono trasformate
in merce da vendere e comprare. Non a caso, le scienze umane hanno coniato la
219
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
definizione di religious marketplace per identificare la tendenza contemporanea alla
scelta di identità spirituali e religiose multiple e mutevoli, in risposta ad una tendenza
alla secolarizzazione che, come si è visto nel capitolo iniziale, rappresenta una delle
teorie sociologiche più frequentemente messe in discussione dalle scienze sociali.
Pur non ignorando i meccanismi socio-economici che stanno alla base della
diffusione di queste visioni alternative della storia, gli sforzi analitici di antropologi e
sociologi si sono focalizzati sull'oggetto delle credenze che queste ideologie
affermano e cercano di tramettere. Le forme di recupero ideologico o ideologizzato
del passato rispondono anch'esse a queste tendenze generali e la creazione o il
recupero di miti fondanti sono stati da più parti messi in relazione con la nascita di
nuovi culti; anzi, le stesse tendenze mitopoietiche contemporanee arrivano a
costituire, esse stesse, dei culti (da cui la famosa espressione anglosassone, che segna
il passaggio da “antropologia del culto” a “archeologia-culto”). Di recente, infatti, le
teorie archeologiche non ufficiali hanno iniziato ad essere analizzate nell'ambito
dello studio socio-antropologico delle credenze paranormali, e quindi ascritte al
campo della religione, piuttosto che a quello della scienza archeologica. Ad esempio,
nella paradigmatica opera dei tre sociologi Christopher Bader, Carson Mencken, e
Joseph Baker, intitolata appunto Paranormal America (Bader et al. 2010), le
ideologie
storiche
alternative
sono
state
comprese
nella
definizione
di
“paranormale”, espressione in cui i tre autori hanno incluso “credenze, pratiche ed
esperienze non riconosciute dalla scienza e non associate a religioni riconosciute”
(Bader e altri 2010:24). Alla luce di questa definizione, così come altri hanno fatto
prima e dopo di loro (Colavito 2005; Feder 1999:3-4; 2006), i tre autori considerano
le credenze pseudoarcheologiche elemento essenziale del mosaico paranormale e,
pur affermando che possa esserci un grado più o meno ampio di coinvolgimento nel
paranormale, sottolineano il fatto che l'attuale credenza in queste teorie si sia
notevolmente ampliata.
Molto lavoro deve essere fatto, inoltre, dagli antropologi nell'analisi dell'evidente
relazione che intercorre tra la nascita di ideologie storiche alternative e le concezioni
popolari relative alla memoria ed alla storia dei popoli, soprattutto in relazione
all'influenza che hanno su queste i mezzi di comunicazione di massa. Inoltre,
particolarmente interessante si rivela per gli antropologi la caratterizzazione etnica
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
che molte di queste ideologie storiche alternative assumono. Uno dei casi di studio
frequentemente citati, ad esempio, si riferisce ad alcune formazioni rocciose in
Bosnia, dichiarate da geologi ed archeologi formazioni naturali e considerate invece
piramidi dagli pseudoarcheologi. L'argomento è stato efficacemente affrontato da
Tera Pruit (Pruitt 2012), che ha analizzato la loro percezione come simboli
dell'orgoglio nazionale e locale, in un periodo successivo alla sanguinosa guerra che
ha interessato la regione, con ricadute benefiche sul turismo.
Inoltre, questa tematica si rivela particolarmente interessante per l'analisi
antropologica perché il pubblico della pseudoarcheologia è potenzialmente senza
limiti, dato che le teorie storico-archeologiche alternative hanno un grande successo
e vengono ben documentate su tutti i media. Non a caso, molte idee sul ruolo
dell'archeologo, dell'archeologia come disciplina e sul rapporto dell'individuo con la
storia dei suoi antenati spesso derivano dal cinema, da programmi televisivi e
pubblicazioni editoriali con intenti più o meno educativi. Inoltre, come dimostra la
grande varietà e diffusione di teorie pseudostoriche e pseudoarcheologiche, non solo
in generale, ma anche e soprattutto in relazione al nostro più ristretto campo di
indagine, è chiaro ed evidente che le pubblicazioni degli pseudoarcheologi superano
in quantità quelle prodotte dall'archeologia ufficiale. Allo stesso tempo, nelle società
contemporanee occidentali la grande maggioranza delle produzioni televisive ed
editoriali, destinate al grande pubblico, solo raramente richiama teorie ufficiali e
interpretazioni tradizionali della storia, così come appare sempre più rara la
collaborazione dell'archeologia ufficiale a programmi televisivi e pubblicazioni
editoriali di carattere divulgativo. Ha luogo così il paradosso che i documentari
televisivi di sull'archeologia si basano sempre meno su indagini scientifiche,
tralasciando il contributo culturale delle istituzioni universitarie. Allo stesso tempo,
Internet si è rivelata una vera e propria miniera di informazioni per le teorie
alternative di qualsiasi tipo, come dimostra efficacemente le attese millenaristiche
connesse al 21 dicembre 2012, la cosiddetta “apocalisse maya”.
Tutte queste tematiche e problematiche si verificano e si dispiegano, con
particolare evidenza, anche nella Sardegna contemporanea. Nel contesto specifico
infatti, la creazione di ideologie e mitologie contro-rappresentative ha ricevuto un
forte impulso dalla pubblicazione del libro di Frau creando, come si è visto, uno
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
specifico milieu culturale nell'identificazione Sardegna=Atlantide ed una propria
mitologia di fondazione in una visione alternativa della storia nuragica. Nasce quindi
un vasto movimento di riappropriazione della storia, che è anche e soprattutto
riscrittura in chiave identitaria, che ha generato e continua a generare aspri conflitti
tra mondo accademico e archeologie alternative. In altre parole, si potrebbe
affermare che
Vi è un crescente affollamento a partecipare al mito di fondazione
dell’identità, e il floating gap è uno spazio immenso, a suo modo creativo e
sentimentale, nel quale si opera sovente con grande disinvoltura facendo
diventare antichi, fenici o nuragici in genere e spesso senza motivo né
prove, i motivi di una cassapanca, gli schemi della tessitura, la forma di
una maschera, la trama di un gioiello. È un’invenzione della memoria che
si nutre come un parassita dalle categorie dell’oblio. (Madau 2007:297)
Esattamente come è accaduto in altri contesti ampiamente analizzati (mi riferisco, in
particolare, al mondo anglosassone e nordico) la forte presenza, sul territorio sardo,
di strutture megalitiche che costituiscono parte integrante di quello che è stato
definito un “paesaggio del ricordo”, è alla base della necessità di porsi domande, ed
ottenere risposte, relative alla costruzione ed alla funzione di questi enormi
monumenti.
La pluralità di posizioni e concezioni sul passato storico dell'isola, pur con più
o meno evidenti differenziazioni interne alle due fazioni, si polarizza in due orizzonti
ideologi ben distinti che raramente vengono in contatto. Quando questo contatto
avviene, prevalentemente nell'arena Internet, lo scontro è acceso e senza esclusione
di colpi. L'asprezza del contrasto è ben rappresentata dal fatto che le due fazioni in
campo tendano ad identificare la parte avversa con un nomignolo dispregiativo: se
gli archeologi ufficiali tendono ad identificare i seguaci delle teorie alternative come
“archeostrani”, questi identificano gli accademici come “archeobuoni”.
Mentre la precedente analisi condotta sulla nascita di nuove mitologie serve a
cercare di capire i mondi immaginativi che stanno alla base della nascita e dello
sviluppo di forme magico-religiose contemporanee, la polarizzazione spesso estrema
tra le due posizioni fa sorgere una serie di nuove questioni e possibili ambiti di
ricerca, relativi alle culture in senso lato, come le articolazioni della memoria, le
relazioni fra storia, memoria e identità culturale, soprattutto in relazione agli attuali
scenari di un mondo globalizzato. Inoltre, oltre a ciò comporta tutta una serie di
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
problemi e questioni che influiscono nel campo di indagine esaminato, come si è
visto, soprattutto per quanto riguarda l'accoglienza dell'antropologo. Molte delle
ideologie alternative sulla storia e sull'archeologia della Sardegna condividono,
infatti, caratteristiche e presupposti che non possono essere convalidati dalla scienza
ufficiale. L'oggetto della loro speculazione viene ritenuto assolutamente implausibile
dagli archeologi: postulano l'esistenza di un'antica razza di esseri soprannaturali,
giganti, alieni o entrambi, che sarebbe vissuta in Sardegna in epoca remota. Gli
archeostrani tentano di supportare questa asserzione con prove o argomentazioni
distanti dagli standard dell'archeologia accademica. Inoltre, molti degli esponenti
dell'archeologia alternativa ignorano o demistificano le metodologie dell'archeologia
ufficiale. Nello stesso momento, però esse aspirano assai spesso (anche se non
sempre) a presentarsi come scientifiche, come il prodotto di una visione scientifica
all'avanguardia, contro l'immobilismo di un'accademia che, per pigrizia o
inettitudine, si rifiuta di analizzare i fenomeni sotto nuove prospettive. In questo
modo, la pseudoscienza cerca di comprendere se stessa nella scienza, con lo scopo
evidente di ottenere per se stessa il rispetto e l'attenzione che il pubblico generalista
accorda di norma alla scienza. In questo, la pseudoarcheologia possiede ed ostenta
alcuni aspetti della scienza ortodossa: ad esempio, non comporta una singola
credenza isolata, ma piuttosto un sistema complesso di credenze che, come si è visto,
rispondono efficacemente a più di una esigenza. Dall'altra parte, la comunità
scientifica ufficiale rigetta, spesso con veemenza, le credenze in questione come
altamente implausibili, giustificando questo rifiuto e sostenendo che le prove addotte
a supporto delle credenze siano spurie, grossolanamente utilizzate oppure non
convincenti, creando inevitabili contrasti con le teorie scientifiche ben collaudate.
Così si esprimono, ad esempio, gli archeostrani nei loro blogs:
Purtroppo questo è il tipico atteggiamento dello studente medio
d'archeologia d'oggi .... saccente, superbo, classicista ad oltranza e senza
preparazione tecnica "viva" ancora prima di aver terminato gli studi...una
riforma di quella facoltà sarebbe auspicabile senz'altro necessaria sul tipo
anglo-sassone in maniera da rendere certi giudizi almeno equilibrati.
Quanti studenti d'archeologia in Italia vanno a fare stages all'estero per
avere un minimo di formazione (che so due anni ad Atene)prima della
laurea...,ma no, è più facile stare nel giardinetto di casa (Celti,Etruschi e
vari popoli italici oramai inflazionati) in tranquillità, tanto la facoltà oggi
sforna solamente "servi fedeli" del sistema che vuole solo questo per
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
chiedere continui finanziamenti allo stato (creando associazioni all'uopo)
altrimenti non si lavora, così malinconicamente l'Italia risulta essere ai
margini della ricerca archeologica rispetto a diversi paesi europei come
Francia, Germania, Polonia, UK e Rep.Ceca. [SARGON I, commento al
post intitolato Stampa sarda di parte: contro Melis e Frau, 16/08/2006,
ultima consultazione 12/1072014]
E così un noto autore di pubblicazioni fantarcheologiche, parlando di se stesso in
terza persona, afferma:
Il potere incredibile che ha la Confraternita degli ARCHEOCATTEDRATICI in sardinia è tale da aver prodotto 250 firme di illustri
studiosi sardi e Itaiici contro un altro autore che osò scrivere di
ATLANTIDE IN SARDINIA.... No melis non si presenterà, nonostante i
ripetuti appelli del collega de Pasquale e di alcuni fra gli organizzatori...
Chiaro che se il materiale da lui prodotto sarà usato da altri nel convegno,
Melis lo saprà ... per tempo e da persone fidate... La Gente (i lettori) NON
sono affatto con gli ARCHEOBUONI in Sardinia. Melis vende decine di
migliaia di copie dei suoi libri ed è spesso ospite di Università e
associazioni all'estero... persino al Consolato generale d'Italia in quel di
Lugano la scorsa settimana... però.. le cose stanno così...
SHAR [SHARDANALEO, commento ad un suo post sull'esclusione da un
convegno post intitolato Stampa sarda di parte: contro Melis e Frau,
16/08/2006, ultima consultazione 12/1072014]
Quello che da queste dispute viene fuori è la considerazione, abbastanza ovvia, che
ad essere costantemente messe in discussione non siano tanto le idee, quanto i
rapporti di potere che queste idee veicolano e ridefiniscono.
Bisogna, però, in ogni caso, tener conto che nella cultura contemporanea il
passato sia un soggetto intrinsecamente interessante per il grande pubblico. In
Sardegna come altrove, i movimenti controculturali di riscrittura della storia derivano
dalla percezione popolare, più o meno distorta, della disciplina archeologica, dei suoi
scopi e delle sue metodologie. Appare quindi accertato che molti degli archeostrani
producano archeologia, un'archeologia che può essere considerata, in qualche modo,
valida. Hanno cioè, tempo e modo di dedicare la propria attenzione ad aspetti
marginali o finora non trattati dall'archeologia ufficiale che si trova spesso, per
mancanza di risorse economiche adeguate, a non sottoporre le proprie teorie a
validazione empirica. Ecco che, quindi, può essere persino distinta una buona
“archeologia alternativa” da una cattiva “pseudoarcheologia”, come tentano di
dimostrare i due esempi seguenti:
224
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Esempio di pseudoarcheologia: processo di antichizzazione di un tratto culturale. Un
ricamo presente in un abito tradizionale del centro Sardegna (Orgosolo) viene
stilisticamente assimilato ad un motivo scolpito su una stele funeraria datata al III millennio
a.C. Il confronto viene proposto su un gruppo chiamato “Archeologia della Sardegna”,
presente su Facebook.
Così si esprime a riguardo, sulla stessa piattaforma, un archeologo: “Per fare un confronto,
lanciare un'ipotesi e poterla dimostrare sono necessari passaggi precisi, confronti più ampi
e l'individuazione dei 'passaggi di mano' dal 2600 a. C. circa almeno ai nostri tempi,
attraverso le epoche. Senza questo tipo, qua sintetizzato, e l'esclusione di fenomeni
analoghi nel vestiario popolare, l'affermazione non è provata e perciò sostenibile (fino ad
eventuali prove naturalmente). Resta, come io credo che sia, una pura impressione
formale. Ricordo il discorso per le tessitrici sull'uso ormai meccanico di simboli non più
compresi, ma - a parte la difficoltà di quel passaggio plurimillenario di quel segno, senza
testimonianze intermedie che so io di età nuragica, romana etc., ovvero delle epoche
succedutesi - simili geometrizzazioni del mondo vegetale sono molto diffuse, e ben note nel
vestiario e nella tessitura tradizionale. E quella di Orgosolo è una delle più belle.”
[https://www.facebook.com/groups/195868457179965/?fref=ts, 10 ottobre 2014]
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Esempio di archeologia alternativa: applicazione delle metodologie
dell'archeologia sperimentale nella ricostruzione di un “tendiarco nuragico”.
L'autore, riferendosi ai guerrieri nuragici: così commenta: “... purtroppo erano dei
veri e propri professionisti della guerra .. si vendevano pure come mercenari oltre
che a mantenere il loro esercito e la loro flotta ben organizzata e formata da tanti
corpi specializzati". La connotazione pseudoarcheologica che però viene dato a
questo tipo di esperienze è ben evidente nei commenti, ad esempio: “sono loro che
ti trasmettono l'ispirazione. Ti hanno scelto perché sia tu a svelare i loro
segreti !...”, in cui è evidente la ricerca di una “comunità spirituale” con i nuragici.
[https://www.facebook.com/groups/195868457179965/?fref=ts, 10 ottobre 2014]
Questa vitalità di forme e percezioni di “archeologia inautentica” (Lovata 2007) può
essere facilmente messa in relazione con la costante popolarità di cui la disciplina
gode nei media contemporanei, data la fortuna di documentari per la tv, blog, video
games, parchi di divertimento etc. che hanno come tema l'archeologia (Brittain,
Clack 2007; Hale 2006; Holtorf 2007). Questa popolarità è legata ad una evidente
familiarità concettuale della tematica con fantasie stereotipate sull'archeologo ed il
suo ruolo sociale. Nei film e in molte produzioni televisive, l'antropologo viene
descritto in maniera colorita e pittoresca, soprattutto come conoscitore dell'occulto
e/o del paranormale, con antiche maledizioni, mummie risorte, e oggetti sacri con
poteri mistici, oppure in relazione all'esistenza degli ufo o di animali misteriosi.
Probabilmente l'esempio più conosciuto ed evidente di questa tendenza è la serie di
film dedicati ad Indiana Jones, ma possiamo avvertire l'influenza di queste ideologie
anche nel genere horror, fin dalle opere di M.R. James e H.P. Lovecraft. Ma anche la
cosiddetta reality tv contribuisce notevolmente alla creazione di nuovi significati,
226
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
come dimostra efficacemente un contributo di Evan Parker (Parker 2012), che ha
analizzato alcuni show controversi (non limitandosi a quelli di carattere
pseudostorico, ma concentrandosi anche su quelli che hanno come protagonisti
scavatori non professionisti e venditori di manufatti storici), nell'ottica di un
ideologia che combina gli interessi capitalistici e l'individualismo americani con una
svolta populistica del sapere scientifico. Il contributo collettivo di Ken Feder, Sonja
Atalay, Terry Barnhart, Deborah Bolnick e Bradley Lepper (Feder e altri, 2012)
fornisce un elenco di pericoli di una collaborazione acritica degli archeologi con i
mass media, a partire dalla loro esperienza con i produttori di documentari per la tv, i
quali nascosero loro che la produzione culturale di cui avrebbero fatto parte aveva
come scopo quello di promuovere idee parascientifiche. La relazione tra comunità
archeologia e mass media non è ovviamente la stessa ovunque, come potrebbe
sembrare comparando l'esperienza di Feder e colleghi con la storia dei media
archeologici britannici descritta da Kulik (Kulik 2007).
Ben correlate a questa conoscenza romanzata del mestiere e degli scopi
dell'archeologia troviamo tutta una serie di rivendicazioni culturali che sviluppano,
riciclano e promuovono queste idee, da parte di autori che bypassano i metodi ed i
ragionamenti dell'archeologia ufficiale. Non è un caso che questa attribuzione sia
sconfinata nel mondo reale. Nelle culture popolari di massa la scienza archeologica è
dotata di un particolare appeal, tanto che nel senso comune finisce spesso con
l'essere considerata una disciplina “occulta” probabilmente in relazione al fatto che
gli archeologi, che hanno spesso a che fare con tombe e sepolcri, si ritrovano spesso
a stretto contatto con la morte. In qualche modo, la figura dell'archeologo è, per le
valenze simboliche di cui viene rivestito, il corrispondente contemporaneo di quella
che era, nelle culture tradizionali italiane, la figura del becchino.
In Sardegna come altrove, gli archeologi professionisti hanno per lungo tempo
ritenuto che la migliore risposta alla pseudoscienza fosse una non risposta. Alla base
di questo atteggiamento, la convinzione che fosse preferibile ignorare le teorie non
ortodosse sul passato che offrire loro legittimazione con una risposta ufficiale.
Partecipare ad un pubblico dibattito avrebbe potuto scatenare l'apparenza di una
controversia genuina, condotta da studiosi legittimati dall'una e dall'altra parte.
Inoltre, la consapevolezza di molti archeologi che non esistessero argomenti
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
persuasivi o discorsi logici che potessero far cambiare idea alla parte avversa, fece
ulteriormente ampliare il divario. Da queste considerazioni scaturirono numerosi
rifiuti al dibattito pubblico diretto (Plait 2004). Spesso, però, questi atteggiamenti di
ostinata ed ostentata chiusura di molti rappresentanti del mondo accademico ufficiale
nei confronti delle visioni alternative della storia, piuttosto che stimolare una
riflessione sui metodi e sulle prospettive dell'archeologia ufficiale, hanno finito con
l'accentuare gli aspetti conflittuali del problema, fomentando i dissapori e
costituendo, in ultima analisi, una concausa del proliferare di queste concezioni
alternative (Card 2012, Holtorf 2005), allo stesso modo in cui la ricerca archeologica
possiede spesso ricadute politiche nel mondo contemporaneo (Chakrabarti 2012).
Alcuni antropologi hanno sostenuto che mantenere una linea divisoria tra archeologia
e pseudoarcheologia non potrebbe essere sempre appropriato per tutte le circostanze
(Fagan e Feder 2006, Schadla-Hall 2004).
Sul lungo periodo, la strategia di lunga data di ignorare o respingere in toto la
pseudoarcheologia e le diverse teorie alternative ha avuto, semplicemente, l'effetto di
garantire la vittoria alla parte avversa. Queste spiegazioni alternative della storia,
come dimostra la vitalità degli studi su Atlantide, non scompariranno all'improvviso
né smetteranno di captare l'attenzione di numerosi seguaci, nonostante l'assoluta
mancanza di prove scientifiche incontrovertibili. Sarebbe quindi auspicabile, per gli
archeologi contemporanei, cercare di non dedicarsi ad un mero assalto frontale alla
pseudoarcheologia, limitandosi a definire il fenomeno come illogico e irrilevante, ma
di cercare di prendere in considerazione perché le teorie alternative in archeologia
hanno avuto tanto successo. In ambito statunitense, un tentativo articolato ed
esaustivo di comprensione, analisi e controrisposta dell'archeologia ufficiale alle
istanze delle archeologie alternative ha avuto luogo nel 2012, quando la Society for
American Archeology ha dedicato il proprio meeting annuale all'analisi di contributi
che avessero come tema il rapporto tra archeologia ufficiale ed ideologie alternative,
dedicandosi sia allo studio delle motivazioni della diffusione di queste ideologie (v. i
contributi presenti in Simandiraki-Grimshaw, Stefanou 2012) che alle modalità con
le quali l'archeologia ufficiale possa efficacemente relazionarsi ad esse (in
particolare, Cline 2009).
In questo, le metodologie di studio e di analisi dei fatti culturali proprie
228
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
dell'antropologia possono venire in soccorso. D'altronde, comprendere come le
credenze pseudoarcheologiche si originano e persistono rappresenta un interessante
tema di analisi per gli antropologi, che possono fornire un valido contributo agli
archeologi nel cercare di sbrogliare l'insieme di mitologia e misticismo di cui
vengono investiti i materiali archeologici, che rappresenta ormai non solo una parte
consistente dell'esperienza umana, ma anche e soprattutto una parte fondamentale del
mestiere dell'archeologo contemporaneo. Ignorare queste credenze, infatti, significa
ignorare un elemento fondamentale della cultura e le sue relazioni con i prodotti
materiali (Lovata 2007:9-24). Occorre necessariamente tener conto, pertanto, del
fatto che queste visioni alternative della storia nascono là dove la scienza
archeologica non è in grado di fornire risposte immediate e facilmente comprensibili
ad un pubblico di massa:
In un'era in cui le persone possono ottenere risposte immediate a domande
casuale, e in cui un blog che abbia un aspetto professionale può essere
prodotto in una manciata di minuti per poi essere indicizzato da Google in
pochi giorni, se non ore, possiamo essere certi che se gli archeologi non
offrono risposte alle domande pubbliche sul passato, lo farà qualcun altro.
(Ardeson, Card, Feder 2013:25, trad.)
Un pubblico sempre più vasto, quindi, si relaziona costantemente con le scoperte
archeologiche, incorporandole in forme sempre diverse di folklore (Wallis, Blain
2003). Alcune analisi prendono la Sardegna come case study, documentando le
relazioni che le comunità locali intrattengono con i monumenti preistorici, soprattutto
per quanto riguarda i nuraghi. (Blake 1997, 1998; Odermatt 1996 e, relativamente
alle polemiche ed alle controversie relative al patrimonio storico ed ambientale in
Sardegna, vedi Heatherington 2001)
Le domande cui queste teorie alternative forniscono una risposta non riguardano solo
il senso del passato e della storia, quanto, piuttosto, la necessità umana di collocare la
propri etnia e cultura all'interno di un disegno divino complesso, di fornire risposte
rispetto al senso del mondo e della vita che tengano conto della specificità del
passato delle singole culture.
Appare ormai chiaro che il rapporto tra archeologia e pseudoarcheologia non è un
problema che può essere risolto tramite una campagna di demistificazione della
prima nei confronti della seconda. Si tratta piuttosto di una tematica complessa che
richiede per gli studiosi coinvolti notevoli abilità relazionali ed un impegno costante
229
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
di analisi dei legami culturali tra passato e presente. L'antropologia si dimostra in
questo una valida compagna di viaggio per gli archeologi.
Spetta proprio ad archeologi ed antropologi, come professionisti del passato e
delle culture, capitalizzare l'interesse di sempre più ampie masse di persone nei
confronti della storia e del mestiere dell'antropologo, evitando di ignorare o
respingere la pseudoarcheologia quanto, piuttosto, cercando di ragionare su di essa,
di capire perché è così affascinante e di spiegare perché la documentazione
archeologica possa essere, spesso, ancora più affascinante e ricca delle teorie
cospirazioniste e di fantasia. Così si articola, a questo proposito, la presa di coscienza
dell'antropologo Alexis Jordan
Le persone sono attratte dalle teorie pseudoscientifiche e dalla narrativa
popolare per un motivo: questi racconti possono incontrare il loro interesse,
eccitarli o confortarli in un qualche modo. Negli incontri col grande
pubblico e le discussioni con famigliari e amici, se l'archeologo
semplicemente stronca le loro idee o l'apprezzamento per un argomento in
particolare, potrebbe uccidere anche il loro entusiasmo per l'intera materia
e la loro inclinazione ad ascoltare qualsiasi altra cosa li si dica. Si apparirà
allora come dei noiosi accademici che succhiano fuori il divertimento da
ogni cosa. Dietro l'interazione con le persone in una maniera calma e
rispettosa, potremo fare un passo avanti. Occorre aiutare a mantenere loro
l'entusiasmo dando loro qualcosa altro, qualcosa di reale, per cui essere
eccitati. Il loro interesse nell'archeologia e nelle storie del passato è ancora
là, un qualcosa di comune da spartire. (Jordan 2013:71)
230
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
3.3. Dal mito al rito: giganti, alieni e forme di spiritualità contemporanea
Nuove forme di ritualità folklorica prendono l'avvio da una visione romanzata della
storia della Sardegna. Si tratta per la maggior parte di esperienze rituali a carattere
sporadico. Ad un primo sguardo sembrerebbe come se queste tipologie di new
religions si trovassero, in Sardegna, ad uno stadio embrionale, mancando, in linea
generale, forme organizzative che percepiscano una qualche figura di detentori del
culto o comunque una certa continuità nell'agire rituale che possa essere declinata in
un habitus coerente, in una qualsiasi sincretica visione del mondo. In realtà, come
rileva la letteratura sulle nuove religioni, appare ingenuo e piuttosto datato cercare di
comprendere le nuove tipologie di culto con gli stessi strumenti utilizzati per studiare
le religioni tradizionali. Nuove esperienze cultuali e rituali nascono, si evolvono e
perdono la propria efficacia piuttosto velocemente, per essere sostituite, altrettanto
velocemente, da nuove forme dell'agire religioso. Per questo, sarebbe piuttosto
ingenuo dare per scontato che questi esperimenti di ritualità debbano dare i propri
frutti nel tempo. Alcune delle innovazioni sincretiche di notevole successo, nel
campo delle guarigioni, hanno avuto il tempo di nascere ed estinguersi nel periodo in
cui si è svolta questa ricerca. É il caso, questo, di una pietra dai poteri miracolosi che
veniva gelosamente custodita da un uomo di un piccolo paese in provincia di Sassari,
Bonorva. La fama di quest'uomo e del potere terapeutico della sua pietra avevano
prontamente valicato i confini del paese e centinaia di persone, molte delle quali
affette da disturbi gravi ed incurabili, si recavano al paese in cerca di una guarigione.
Il potere del passaparola, dei già citati circuiti informativi in grado di attivarsi nei
confronti della malattia, consigliando e orientando il malato in luoghi alternativi alla
medicina ufficiale, avevano anche in questo caso mostrato la propria forza. In un
secondo momento, però, una volta constatato che la terapia non funzionava, cioè una
volta che l’operatore di medicina alternativa o terapia magica
non veniva
riconosciuto come dotato di carisma e di tutte le caratteristiche proprie del veggente,
l'improvvisa esplosione della fama della pietra miracolosa iniziò a regredire, fino a
morire del tutto. Così si esprime, a questo proposito, una giovane informatrice:
No, no, che vergogna... Per fortuna, adesso è tutto finito... Ci andava un
sacco di gente, da Sassari, da Cagliari, mica solo dal circondario. Poi non
funzionava, la gente smette di venire e, per fortuna, lui ha trovato lavoro
231
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
come muratore! [anonima, 21 anni, Bonorva, 5/11/04]
Ciò che appare particolarmente interessante, ai fini di questa indagine, non è tanto il
fatto che queste nuove esperienze magico-religiose possano o meno stabilizzarsi nel
tempo (un fatto, questo, che le differenzia notevolmente da tutte quelle forme
dell'agire magico più tradizionali che si sono analizzate nel capitolo seguente),
quanto piuttosto il fatto che possano essere considerate come una conseguenza di
quella visione del mondo e della storia in contrasto con l'archeologia ufficiale che
finora si è cercato di delineare. In altre parole, occorre cercare di stabilire in che
modo e misura l’assimilazione della Sardegna come Atlantide e le dispute tra
archeologi ufficiali e pseudoarcheologi si siano riversate nel campo religioso,
modificando notevolmente il quadro rituale, ideologico e cultuale dell'agire magico
in Sardegna.
Innanzitutto,
come
dimostrato
nei
capitoli
precedenti,
la
teoria
dell'identificazione di Atlantide con la Sardegna ha ottenuto un notevole successo ed
è ormai entrata a far parte del sentire comune, non solo a seguito della pubblicazione
del libro di Frau ma anche e soprattutto a causa del programma televisivo “Voyager”
che ha dedicato alla teoria una puntata in prima serata, trasmessa il 16 novembre
2009. Questo notevole successo ha finito con il coincidere con lo slittamento
semantico in atto da circa un trentennio nel mondo magico tradizionale, con
progressive aree di notevole assottigliamento di credenze e pratiche e forti
sbilanciamenti nella presenza di operatori terapeutici tradizionali nell'isola. La
mancanza di operatori e credenze che potessero fornire spiegazioni coerenti non solo
di possibili disturbi fisici per cui occorre immediato aiuto terapeutico, che può
essere, seppure imperfettamente, colmato dall'azione della biomedicina; ma anche e
soprattutto di quello stare al mondo in salute e salvezza spirituale che veniva
garantito dalla visione tradizionale del mondo e della vita tipica delle culture
agropastorali. Da ciò, la progressiva mitizzazione di un mondo di cui non si ha avuto
esperienza quotidiana costante e, conseguentemente, della figura dell'operatore
magico-terapeutico tradizionale del passato. Questo passato non può che essere un
passato mitico e glorioso, in cui i Sardi mostravano la propria conoscenza superiore.
E quale passato mitico più idoneo a collocare la vera magia della Sardegna se non
l'epoca di Atlantide, in cui il popolo Sardo viveva libero da dominanti e in totale
232
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
armonia con la natura?
Queste ideologie danno costantemente luogo a nuovi culti. In Sardegna, come
già altrove, il confine tra scienza archeologica e folklore sembra essersi
notevolmente assottigliato. Per alcuni, un'espressione di questa tendenza è
rappresentata dalle nuove concezioni, assai in voga nella cosiddetta “archeologia
processuale”, che appaiono fortemente influenzate dalla metanarrativa postomoderna
e dalla lotta alle egemonie culturali. (Holtorf e Gazin-Schwartz 1999; Wallis, Lymer
2001a). Proprio mentre l'archeologia, come si è visto, inizia ad avere sempre più
rilevanza all'interno delle società occidentali, a causa soprattutto della moltitudine di
programmi televisivi e pubblicazioni editoriali a carattere più o meno divulgativo,
iniziano a svilupparsi sempre più frequentemente movimenti di contrasto
all'archeologia come scienza ufficiale. Si segnala, inoltre, la nascita di alcune
pratiche folkloriche e, nello specifico, una grande diffusione di movimenti di matrice
pagana o, appunto “neopagana”, termini che, come si è visto nei capitoli introduttivi
alle terminologie magiche, le ideologie contemporanee utilizzano di frequente per
sottolineare la propria differenza nei confronti delle religioni rivelate. Queste
ideologie magico-religiose contemporanee, oltre che una visione alternativa della
storia sarda, condividono l'esigenza di un ritorno ad antiche (e più o meno mitizzate)
forme di ritualità precristiana, utilizzando i monumenti preistorici e protostorici,
considerati in senso sacrale come sede di pellegrinaggi e riti. Queste tendenze sono
state ampiamente studiate in Inghilterra, Galles e Irlanda, in relazione soprattutto al
fenomeno di rifunzionalizzazione dei siti archeologici in “monumenti sacri” (Blain,
Wallis 2002; Wallis 2001;2003).
Anche in Sardegna, diversi gruppi di interesse, non solo culturale ma anche
economico e politico, partono dalle teorie e concezioni scientifiche di derivazione
accademica riguardo ai siti sacri, costruendo però su queste una narrazione di tipo
mitico che talvolta sfocia anche in pratiche rituali. Le loro conoscenze sono solo in
parte basate su idee dell'archeologia convenzionale, quanto piuttosto influenzate da
correnti eterodosse; ovvero, teorie accademiche desuete e/o interpretazioni più o
meno fantasiose dei fatti storici e dei monumenti. Un esempio tipico di queste
tendenze sono le ideologie contemporanee che propongono contatti con la Madre
Terra che deriva da una certa impostazione accademica degli anni '50; un’istanza
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
questa che, come è noto, poneva spesso l'accento sul culto pre-cristiano della Dea
Madre e che è stata in seguito ampliata notevolmente da Gimbutas (Gimbutas 1974)
facendola poi confluire nel cosiddetto “movimento della Dea” (Gimbutas, Robbins
Dexter 1999). La volgarizzazione di queste analisi scientifiche ha portato alla
diffusione dell'idea che, nel Neolitico, fosse diffusa una cultura matriarcale poi
sostituita da quella patriarcale dal quale deriverebbero le pratiche rituali nei siti
megalitici maschili di menhir e betili in connessione alla precedente simbologia
femminile dei dolmen.
Attualmente questi movimenti religiosi, che rimandano alla preistoria arcaica,
sono in costante aumento; mentre vi è notevole differenza tra una visione alternativa
della storia e le sue conseguenze concettuali (una chiusura decisa nei confronti delle
ricerche scientifiche ufficiali condotte dalle istituzioni accademiche, accusate di
nascondere la “vera” storia) e fattuali (in Inghilterra, l'utilizzo dei siti archeologici da
parte dei “neo-pagani” ne ha talvolta causato, con incendi o graffiti, il
danneggiamento.
Queste nuove concezioni nascenti pongono nuovi interrogativi all’antropologia
come ambito di indagini di tipo teorico-metodologico e generalizzante, soprattutto
per quanto riguarda le modalità con le quali queste nuove correnti magico-religiose
utilizzano i siti archeologici, elaborando e recuperando storie di fondazione mitiche e
leggendarie che riguardano i monumenti, dove vengono compiuti riti ed inoltre
spesso vengono affrontate, con archeologi e/o con i custodi e gestori dei siti
archeologici, dispute concettuali ed interpretative svolte negli attuali ambiti
multimediali di internet.
Come si è già affrontato nell'introduzione agli argomenti, il termine
“paganesimo” è generico e comprende diverse credenze e pratiche (Harvey 1997;
Blain 2002): una grande varietà di "percorsi" o "tradizioni" che si concentrano su una
visione divinizzata della "natura, considerata "sacra", o comunque animata da entità
soprannaturali, da "spiriti" variamente identificati. In tale quadro variegato, si
possono inserire le quattro più note tradizioni pagane: la Wicca, il Druidismo,
Heathenry e la Spiritualità della Dea. Non tutti i pagani occupano o creano luoghi
sacri: soprattutto i Wiccan tendono a svolgere i loro riti in privato, spesso in casa, o
comunque lontano da occhi indiscreti. Così si esprime, ad esempio, una wiccan
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
sarda:
Non è necessario praticare la nostra religione in pubblico. Piuttosto, come
dimostra una delle opere più importanti, “Il praticante solitario” si può fare
da sole, in casa, le nostre preghiere e tutto il resto... [praticante wiccan,
Sassari 16/05/2014]
I Druidi, invece, possono essere considerati i tipici "adoratori di Stonehenge," e sono
soliti condurre numerosi rituali alla luce del sole. Forme organizzate di culto non
sporadico, legate ad uno specifico calendario rituale e/o officiate da operatori
religiosi riconosciuti non sono state finora osservate in Sardegna. Bisogna, quindi,
tener conto del fatto che non tutte le persone che hanno legami spirituali con i siti
archeologici debbano essere considerate di ispirazione o religione neo-pagane; dal
momento che non mancano tra gli interessati alle forme alternative di archeologia i
seguaci della new age e di forme di turismo alternativo. Le attività di questi gruppi
diversificati iniziano ora ad avere un impatto notevole sui siti sacri, come accade
ormai da qualche tempo nei siti archeologici della Gran Bretagna come Stonehenge o
Avebury, meta di grandi festival neo-pagani (si stima che 14.500 persone si siano
recate a Stonehenge per il solstizio d'estate del 2001). Probabilmente, il
coinvolgimento di questi gruppi compositi con i monumenti archeologici può essere
considerato l'espressione di un "nuovo folklore". Nelle ideologie spirituali, magiche e
religiose contemporanee, questi luoghi non cessano di esercitare il proprio fascino.
Essi vengono percepiti come "sacri", "vivi", in grado di connettere il visitatore con
gli antenati e con potenze straordinarie e soprannaturali. Così come le leggende di
fondazione e numerose narrazioni contemporanee nascono attorno a siti archeologici
specifici, ai quali sono connessi racconti e spiegazioni di eventi, di apparizioni di
esseri soprannaturali; in alcuni casi, per esempio, si tratta di racconti di
apparecchiature elettroniche non funzionanti, di globi di luce sospesi nel cielo e di
energie che promanano dalla terra in specifici siti archeologici.
In Gran Bretagna, le posizioni dei neopagani si mostrano essere piuttosto
differenziate. Essi compiono nei siti archeologici numerose pratiche rituali, che
consistono soprattutto nella deposizione di offerte rituali come fiori, candele,
l'inserimento di cristalli, monete e altri materiali tra le fessure della pietra. Vengono
inoltre compiute azioni come l'accensione di fuochi rituali, con effetti negativi sulle
pietre e persino casi di vandalismo intenzionale, come dimostra l'esempio
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
dell'archeologo John Barnatt, che descrisse l'alterazione di un cerchio di pietre da
parte di un gruppo che, in a base ai valori della rabdomanzia, sosteneva che esse
fossero state erroneamente posizionate. In accordo con il maggior carattere
conservativo e preservativo della cultura italiana, le interazioni dei frequentatori dei
siti archeologici sono decisamente meno impattanti; mirano piuttosto alla creazione
di mitologie concorrenti all'analisi scientifica ufficiale e alla messa in opera di
pratiche che non comportano l'alterazione dei siti interessati. Piuttosto, molti dei
gruppi di interesse dedicano la propria attenzione piuttosto a preservare i
siti,
analogamente a quanto accaduto in Gran Bretagna nel caso del sito di “men-an-Tol”,
al cui ripristino, dopo che era stato vandalizzato, hanno collaborato i druidi e la
sezione locale dell'English Heritage. Le pratiche compiute in Sardegna sono perlopiù
innocue, e i casi di vandalismo contemporanei non sono certamente da ricondurre ad
intenti rituali.
A causa delle interazioni attive con i siti e le interpretazioni non convenzionali,
in contrasto con quelle accademiche, che si trovano spesso a postulare l'esigenza di
esseri soprannaturali, di operatori rituali esperti in sciamanesimo, cure alternative ed
energie più o meno soprannaturali, esistono varie forme di opposizione sulla natura e
la funzione di questi luoghi "sacri". Spesso l'archeologia respinge queste istanze
come eccessivamente fantasiose, rinunciando alla collaborazione. I gestori del
patrimonio culturale utilizzano spesso il termine “preservazione” per riferirsi alla
conservazione etica del patrimonio culturale per le future generazioni. Per far ciò,
l'azione più comune è l'innalzamento di recinzioni e steccati. Diventa difficile,
quindi, per i gestori del patrimonio culturale, immaginare i siti archeologici come
luoghi di ritrovi o di riunione, in cui praticare riti; pertanto, si pongono il problema di
una vasta affluenza di persone all'interno di nuraghi e di altri monumenti considerati
“sacri”; tale affluenza, infatti, potrebbe essere una minaccia all'integrità dei
monumenti. La "sacralità" di questi siti risulta però piuttosto evidente nelle storie
elaborate all'interno di diverse "sottoculture" o "neotribù", con le loro proprie
mitologie/meta-narrazioni che fanno parte della costruzione identitaria degli aderenti.
In Sardegna, la dimensione associativa e la fruizione di gruppo dei monumenti
preistorici dell’isola è in forte aumento; deriva spesso dall'intento consapevole di far
rivivere quei luoghi sacri, di riattivare qualcosa che ivi si compieva, ripristinando, in
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
qualche modo, il fine per cui il monumento si è elaborato fosse stato costruito. Molti
commentano: “Questo è il luogo in cui è giusto essere durante il solstizio”, luogo in
cui le pietre conservano una sapienza antica e garantiscono una connessione con gli
antenati, un senso di continuità e, non da ultimo, di profonda unione con la propria
identità.
Di fronte a questi fenomeni, ciò che risulta interessante per l'antropologo non è
solo che alcuni aderenti a tali credenze, sostenendo una continuità della tradizione
nel corso dei millenni, costruiscono a partire da questa delle innovative tradizioni
rituali, ma è anche il modo in cui le prospettive e le concezioni neopagane possano
influenzare e, in alcuni casi, arrivare a negoziare le modalità di gestione dei siti.
Stohenenge è diventato, di fatto, paradigmatico in tal senso, ma la grande
distribuzione di monumenti storici sul suolo sardo rende piuttosto problematica una
loro supervisione costante e abbastanza difficoltosa una loro gestione in chiave
turistica. Il nuovo concetto di sacralità legata a siti preistorici pone gli aderenti a
questi movimenti spesso in aspra contrapposizione con gli archeologi. Il termine
“sito sacro” è piuttosto in voga, nonostante l'utilizzo del termine “sacro” costituisca
di per sé una barriera tra archeologi e aderenti a movimenti controculturali.
L'influenza delle pubblicazioni divulgative, dei programmi televisivi e dei siti
Internet dedicati è ben evidente nella concezione dei nuraghi e delle tombe dei
giganti come costruzioni situate su linee di energia. Queste linee di energia avrebbero
la straordinaria capacità di guarire il corpo umano, e da qui la necessità di “sedersi
sopra” o entrare dentro i monumenti megalitici. Nasce così la “gigantoterapia”. In
una pubblicazione pseudoarcheologica, così l'autore fa parlare una “tomba dei
giganti”:
Io che sono il raggio della verde terra/granito bianchissimo tra luce di stelle
e mistero di acque/ io chiamo le vostre anime che siedano presso di me.
Poiché sono lo spirito della natura che fa vivere l'universo, da me nasce
tutto e verso di me tutto deve tornare. Caricatevi gioiosamente poiché
capirete che tutta la mia energia è un atto di amore e di gioia. Vivrete così
in bellezza e forza vigore e passione allegria e rispetto. E voi che volete
capirmi sappiate che la vostra ricerca e la vostra fatica non basteranno a
meno che non vogliate conoscere il mistero: perché se quello che cercate
non lo trovate dentro di voi / non lo trovate nemmeno dentro di me.
Capirete che sono stata con voi dall'inizio dei tempi e che mi conoscerete
solo alla fine di ogni umano desiderio. (Altana 2002:5)
L'ipotesi alla base dei tentativi contemporanei di guarigione tramite contatto
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
incubazione o con le pietre che costituiscono i monumenti preistorici, è che questi
siano “acceleratori naturali di particelle”, costruiti con la duplice funzione di culto
dei morti e macchine energetiche di guarigione (Altana 2011). Da qui gli sporadici
pellegrinaggi verso specifiche tombe dei giganti, allo scopo di curare lievi disturbi:
I miei genitori ci vanno ormai ogni volta che ne hanno bisogno. Prima mio
padre era scettico, poi aveva mal di schiena, un giorno ci ha provato, ed è
stato meglio, adesso vanno sempre insieme [anonima, 21 anni, Tempio,
7/11/2014]
Un ulteriore passo in avanti nella caratterizzazione etnica di queste tendenze
magicoreligiose contemporanee assume differenti connotazioni nei casi in cui la
tendenza a considerare la Sardegna come il centro del mondo o la culla della civiltà
si associa con l'affermazione della diversità e della superiorità biologica del popolo
Sardo.
In alcuni casi, questa superiorità biologica viene collegata al fatto che i Sardi
siano un popolo che ha raccolto l'eredità, biologica o culturale, di popolazioni
extraterrestri arrivate in Sardegna alcune migliaia di anni fa.
Questa concezione è giustificata dalla rilettura postmoderna di alcune leggende
popolari della Sardegna, seconde le quali il mondo era popolato, oltre che dagli
uomini, da varie creature non umane. Queste creature si crede avessero le loro
dimore nel mondo sotterraneo, nel bosco, luogo dell'alterità per eccellenza e,
soprattutto, nelle vestigia del passato. Mentre le tombe ipogeiche scavate nella roccia
sono la dimora di una popolazione di piccole fate chiamate janas, da cui la
denominazione popolare di domus de janas, o “case delle fate”, le sepolture
megalitiche servivano ad accogliere le ossa di esseri enormi, da cui l'espressione
“tombe dei giganti”. Queste credenze leggendarie attualmente godono di una
rinnovata vitalità; nel passato come ora, l'esistenza di fate e giganti viene trasposta in
un lontano passato mitico. Allo stesso tempo, però, subiscono alcuni cambiamenti di
senso e significato, dovuti sostanzialmente all'introduzione, nella mitopoiesi, di due
ideologie innovative: le credenze ufologiche e, ancora una volta, il tema del recupero
di un'identità sarda vissuta come in costante minaccia e contrapposizione ad un
processo di globalizzazione spesso accusato, più o meno a ragione, di voler appiattire
le singole specificità culturali. Inoltre, queste credenze non si limitano alla
costruzione di nuovi habitat di significato, di visioni del mondo più o meno coerenti
238
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
e specifiche, ma costituiscono la base di nuove forme di ritualità.
3.3.1. La nuragheologia o nuraxia. Entrambi i mitemi, quello di una Sardegna come
terra mitica e quello dell'origine straordinaria dei Sardi si combinano tra loro in
un'ideologia composita dal carattere sincretico che viene definita, dai suoi aderenti,
“nuragheologia”. La base ideologica di questo movimento risiede in un'opera
letteraria intitolata “I racconti della Nuraghelogia”, pubblicata nel 1986 dalla casa
editrice Zephir (Roma). L'opera, che consta di un cofanetto contenente 6 libri, fu
scritta di Raimondo De Muro, ingegnere civile di Siurgus Donigala, provincia di
Cagliari. I primi cinque libri contengono storie di narrativa ambientate in diversi
periodi. I protagonisti vengono a contatto con “is Babbais e is Mammais Mannus”
(lett. “i grandi nonni” e “le grandi nonne”), una sorta di associazione segreta di
uomini portatori di poteri magici tramandati di generazione in generazione assieme al
sapere degli antenati. Già dal primo volume, De Muro parla di contatti avuti fra i
nuragici e alcune civiltà extraterrestri, che avvengono nei “Nuraghi della Luce”,
utilizzati come “porte astrali”, in grado di mettere in contatto i Sardi con altri mondi.
“Quanto agli “uomini blu”, con tale denominazione venivano chiamati gli
abitanti di altri mondi in contatto con i protosardi, secondo un rituale che
presentava
diverse
varianti.
In altre parole, certi protosardi comunicavano con gli extraterrestri
mettendosi sopra i nuraghi o in un altro luogo dove regnava il silenzio,
stesi col corpo nudo su una pietra levigata, in linea con le stesse che
emanano micro onde cosmiche capaci di essere ricevute dai recettori
umani. Oltre a ciò occorreva una grande concentrazione che consentiva di
ricevere questi suoni muti.
Ai grandi padri della Sardegna spetta il compito di tramandare il fatto che un corpo
celeste centrò la terra, incurvandola dalla parte orientale. Le antenne dei Nuraghi
persero per sempre la loro finalità di comunicazione con gli abitanti degli altri
mondi, che avveniva tramite orecchie nascoste, i cosiddetti recettori magnetici, in
grado di captare le voci di mondi lontani, a patto che questi organi di senso vengano
esercitati. Ma se non si conosce l’alfabeto di questi segnali non si comprendono i
messaggi. Nei libri - Dio, S’Universu Increau Creadori, è in ciascuna delle cose e per
entrare in contatto con lui non occorrono intermediari.
“Cento bisavoli prima del bisavolo mio, nella Sardegna, raccontano gli
antichi, sono venuti gli uomini del pianeta blu, a pelle blu e liscia che
pareva di porcellana, con un corpo che pareva pieno di aria, ma non era di
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
aria ma trasparente come una vetrina, che non era possibile toccarli se uno
non voleva essere fulminato all’istante. Dicono gli antichi che erano
uomini di alta statura, con la faccia uguale alle statue di bronzo e di pietra
che ricordano questa venuta. Sulla testa portavano un corno come un
vomere e sulla fronte un porro che lampeggiava. Si erano fatti vie di fuoco
e in queste vie restava la polvere della vita e da questa polvere è nato ogni
essere vivente, racconta il proverbio antico.
Si tratta di una spiegazione, questa della nuragheologia, piuttosto
avventurosa, ma che dimostra, ancora oggi, la sua validità, posto che non si
possano essere certezze in materia. In realtà non sappiamo che cosa sia
realmente la vita. Sappiamo solo che alcuni suoi ingredienti di base come
l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, il carbonio esistono un po’ dappertutto e che
questi, aggregandosi, servono come materiali della struttura vivente. Ma,
scoperti i mattoni della vita, il resto è buio completo! Resta solo questo
racconto della nuragheologia, che non è racconto mitologico ma una
esperienza vissuta da lontani progenitori, che può essere e non può essere!”
La prova dei contatti tra i nuragici e gli uomini blu è presente nelle iscrizioni
Sicché, quando i giovani saranno i vecchi e i vecchi saranno i giovani
l’avvenimento ricordato con quella scrittura figurata, nella parte della
grotta del Bue Marino e non solo in quella ma in mille altre grotte marine e
terrestri dell’isola, se queste fossero state lasciate intatte con la loro storica
narrazione, si ripeterà, cioè, l’incontro avvenuto nell’isola tra i Sardi che
avevano esperienze di galazzoni e quindi a conoscenza dell’esistenza, non
solo di altre infinite umanità più o meno a somiglianza della nostra, ma
anche di infiniti altri pianeti, più o meno consimili alla terra, coi quali è
possibile, un incontro, come quello già avvenuto circa tremila anni fa.
Si dirà che questo è fantascienza, ma non lo è affatto, perché un simile
avvenimento è scientificamente probabile che sia avvenuto, perché, oggi,
siamo in grado di provare che a quell’epoca, un gruppo di pianeti della Via
Lattea e precisamente quelli della costellazione di Sino si trovavano dalla
terra, per via dell’eterno spostarsi nell’universo, a circa cinquanta anni luce
di distanza (la galassia è un disco di centomila anni luce). A quella distanza
era possibile «incontrarsi», perché, i Sardi e quindi gli extra terrestri ancora
di più, i loro «messaggi» li trasmettevano con la percezione sensoriale
(oggi purtroppo un esercizio impossibile per l’uomo non più addestrato da
sessanta generazioni) il che permetteva loro di ricevere e trasmettere col
pensiero, ad una velocità di gran lunga superiore ai trecentomila chilometri
al minuto secondo.
Oltre i primi cinque romanzi, nel cofanetto è presente un sesto libro che è un elenco
di quelle che definisce “norme di vita della Nuragheologia”. Il sesto volume è
particolarmente utile ai fini della costruzione di questa new religion. Contiene, oltre
ai nomi dei 170 Nuraghi della Luce, parole e formule magiche definite,
significativamente, con l'espressione tradizionale “berbos”. Is babbais mannus
possedevano la conoscenza degli astri, che regolano la vita nei campi, influiscono
sull’allevamento del bestiame e persino nella scelta del periodo migliore per il
concepimento di un figlio, oltre che conoscenze mediche di tipo olistico, come la
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
riflessologia plantare.
Però il carattere iniziatico dei sei libri non è concesso a tutti; per sfuggire al
complotto, gli aderenti sostengono che De Muro abbia celato eventi reali sotto forma
di romanzo, per garantire la trasmissione degli antichi insegnamenti. Ai convegni e
agli incontri che trattano la nuragheologia, è spesso presente G.P., che afferma di
essere il nipote di uno dei personaggi dell'opera di De Muro, conosciuto con lo
pseudonimo Licu, che compare nel terzo volume dei racconti e che sarebbe morto
all’età di 85 anni.
Nelle opere gli elementi pseudo-archeologici dell'ideologia sono piuttosto
evidenti. In primo luogo, la teoria del complotto. I racconti furono pubblicati nei
primi anni ottanta da una piccola casa editrice che fu distrutta da un incendio e con
essa centinaia di copie dei libri. Una parte di questi libri fu acquistata da Università,
alcune biblioteche (un cofanetto si trova nella biblioteca di Firenze) e dai pochi
fortunati che poterono trovarli in commercio. I restanti, raccontano gli aderenti alla
nuragheologia, furono acquistati in blocco dalla Chiesa e da alcuni aderenti alla
massoneria. Per questa ragione, affermano, l’opera è di difficile reperimento. Risulta
piuttosto evidente, inoltre, l'ideologia etnicista. De Muro sostiene che, in Sardegna,
sia esistita, e in parte ancora esiste, una sorta di “organizzazione comunitaria”, tipica
del mondo agro-pastorale, con proprie leggi e norme di condotta; un ordinamento
sociale sopravvissuto alle vicende storiche e alle successive colonizzazioni dell'Isola,
che ha le sue origini nell’epoca nuragica. Il carattere identitaria dell'ideologia della
nuragheologia è, inoltre, evidente dal fatto che, nell'immagine di copertina della
pubblicazione, è raffigurata un'incisione presente nella parete sinistra della Domus de
Janas di Luzzanas a Benetutti (vedi foto), datata a circa 4.000 anni a. C. Secondo
l'autore, il labirinto raffigurato costituirebbe il simbolo principale dell’antica
bandiera dei Sardi, poi sostituita dai quattro mori imposti dagli spagnoli. Dagli
aderenti alla nuragheologia, De Muro viene definito” significativamente “donnu”,
ovvero una persona di elevato rango sociale discendente di un Giudice.
Attualmente risulta difficile cercare di comprendere il grado di diffusione delle
credenze sulla nuragheologia. Certo è che il loro appeal tra gli appassionati di
energie e cure alternative, new age e spiritualità è in forte ascesa. Sono numerose le
associazioni che promuovono esperienze mistiche e corsi all'interno di nuraghi e
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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tombe dei giganti, mentre alcuni neo-sciamani hanno incorporato la credenza nelle
loro composite visioni del mondo. Così si esprime, ad esempio, uno di loro nel
proprio blog:
Dopo avere purificato la sala, io e le mie amiche ci sedemmo su alcune
pietre che si trovano sul pavimento della sala e recitammo il mantra. Finito
di recitare andammo al centro della sala per creare una colonna di energia
che dal nuraghe si collegasse con il monte Belukha per poi irradiare una
frequenza di pace in tutto il pianeta.
La cosa che mi colpì è che mentre col nostro intento stavamo creando la
colonna di energia, la percepii intensamente con le mani, che tenevo aperte
con le palme rivolte verso il centro. Man mano che la colonna si formava e
si allargava sentivo una pressione sulle mani così forte che in pochi minuti
mi ritrovai con le braccia spalancate per contenerla.
Alla fine del rito io e le mie amiche ci separammo per continuare una
meditazione silenziosa ognuno per conto proprio. Io sentivo un forte
contatto con il nuraghe e percepii la presenza di Antarel, contento e
divertito. Mi sembrò che mi dicesse che tra gli Apuniani di Alpha Centauri
e i sardi dei tempi della nuraxia c’era un forte legame, e che quel nuraghe
era uno dei portali di collegamento.
Ma come ho detto altrove, prendo le mie canalizzazioni con beneficio di
inventario, sapendo benissimo che talvolta è la mia mente che interferisce
e, per così dire, canalizza sé stessa. [dal blog di Momi Zanda, neosciamano
di Cagliari, 01/09/2014]
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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3.3.2. Stelle e giganti ad Atlantidea20.
Nel 2009 Luigi Muscas, “ricercatore
indipendente”, pastore, scultore e infine scrittore, pubblica un libro intitolato “I
Giganti e il culto delle stelle. Figli diretti di Dio”. Si tratta di un piccolo libricino, del
costo di 20 euro, della dimensione di non più di 120 pagine, comprese decine di foto,
dallo stile semplice e colloquiale.
Nell'opera, Muscas sostiene che nel territorio di Atlantidea sono presenti
numerose prove archeologiche che testimonierebbero l'esistenza di un'antica stirpe di
giganti venuti dalle stelle, i quali proprio in questo territorio avevano fondato una
prospera città, dando vita ad una vera e propria età dell'oro di cui gli archeologi
contemporanei non conoscono, o meglio, di cui negano volutamente l'esistenza. Le
idee di base presenti nel libro, che Muscas afferma essergli state trasmesse durante la
sua infanzia dal nonno e da altri anziani, possono essere così schematicamente
riassunte:
- a partire dagli anni '60 in poi, la zona di Atlintidea inizia ad essere teatro di una
serie di ritrovamenti più o meno casuali di scheletri umani giganti. Così racconta
Muscas il primo, fortunoso ritrovamento che fece da bambino:
Un giorno, era il 18 febbraio 1972, come di consueto, dopo la scuola
portavo le pecore al pascolo quando un temporale mi sorprese e mi
costrinse a cercare riparo in una grotta vicina. Quando vi entrai vidi uno
scheletro molto grande le cui dimensioni, mi resi conto, erano molto al di
sopra della norma. La testa, per dare un'idea,era grande più o meno come
un televisore da 26 pollici, ma di forma rotonda. Gli arti superiori erano
lunghi quanto me, che allora ero alto circa 1 metro e 20. Ciò che mi colpì
particolarmente era che il corpo appariva mummificato, conservava ancora
la sua pelle e in trasparenza si vedevano i legamenti. La pelle era color
caffelatte. (Muscas 2009:25-6)
- A seguito di quel ritrovamento, Luigi corse subito in paese, a raccontarlo ai nonni.
Fu proprio dal nonno che, per la prima volta, Muscas venne a conoscenza del fatto
che, in un periodo risalente a circa 10.000 anni fa, la zona era prospera e popolata da
un'antica civiltà:
(...) Mio nonno (…) mi invitò ad andare a cavallo con lui nella località
Corte Baccasa, dove si trovava appunto la grotta col gigante. Egli mi
spiegò che “cuss'omini mannu” (quell'uomo grande) non era altro che un
antenato del nostro popolo, vissuto ai tempi della città scomparsa. (Muscas
2009:26)
- questa civiltà, immensamente più progredita di quella dei Sardi, era stata fondata da
20 Atlantidea è, naturalmente, un nome fittizio. Si riferisce ad un piccolo paese del Medio Campidano
dove avvengono i fatti d'ora in poi descritti.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
esseri non terrestri, che arrivarono dal cielo quando ancora i Sardi abitavano nelle
caverne:
Mi mostrò delle piattaforme circolari di pietra, larghe circa 7/8 metri e alte
circa 40 cm, e mi raccontò che erano delle piste di atterraggio utilizzate
appunto da quel popolo per arrivare in questa terra. All'arrivo di questo
popolo in Sardegna esistevano già degli abitanti che vivevano nelle
capanne e nelle grotte, ad uno stato ancora selvatico ma in armonia con la
natura. (Muscas 2009:27)
-il popolo dei giganti aveva costruito vicino ad Atlantidea una grandiosa città con
torri, templi e piramidi:
Disse che 10.000 anni fa esisteva una città di 10.000 abitanti con 10 dame
di Corte e un Re che la comandava. Questo era un popolo di importanti
navigatori e conquistatori, appartenente ad una civiltà molto evoluta. Mi
mostrò, in una zona chiamata “Sa contissa”, i resti delle mura della città.
(ibidem)
- il territorio dove questa civiltà avanzata si sviluppò è teatro di misteriosi fenomeni
inspiegabili, dato che in questi luoghi è possibile osservare globi di luce luminosa
che seguono anomale traiettorie:
La sera, al rientro, prima di addormentarmi mi trattenevo ad ascoltare le
storie di mia bisnonna, “ajaja” Filomena Frau, la prima a raccontarmi delle
stelle. Lei mi raccontava che le stelle scendevano dal cielo, illuminandosi, e
si fermavano sopra le persone più belle e gli animali più belli. Lei le
vedeva sin da piccola. Mentre mi parlava, io mi sentivo immerso in quei
racconti come in una fiaba. Non capivo che lei raccontava la sua realtà: per
me era tutto un mondo fantastico. (Muscas 2009:19)
Questi fenomeni luminosi, chiamati “stelle”, vengono messi in relazione con l'antico
popolo dei giganti:
Con mio nonno ho iniziato a vedere come le stelle seguivano delle
traiettorie nel cielo, come si illuminavano, scendevano ingrandendosi e
risalivano, scomparendo all'infinito o riposizionandosi nella volta celeste.
Mio nonno diceva: “Fuinti is istellas de i Gigantis, funti fillus de Deusu”,
che significa: sono le stelle dei giganti, sono figlie di Dio. (Muscas
2009:20)
E ancora:
Sin dalle prime manifestazioni cui ho assistito, mi fu detto che
l'apparizione delle stelle era collegata al popolo dei giganti. Come già
anticipato, io fui testimone sin da piccolo di questi fenomeni. Stelle che
improvvisamente diventavano più grandi e più luminose e che scendevano
dal cielo fino a pochi metri da noi. Io chiedevo spiegazioni a mio nonno e
lui rispondeva semper che erano le stesse stelle adorate dal popolo dei
Giganti, e che la loro discesa dal cielo voleva ricordarci quell'antica
cultura. (Muscas 2009:72)
L'opera in questione presenta molti caratteri e temi tipici delle forme di archeologia
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Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
alternativa. Dato che ipotizza un contatto tra progredite civiltà extraterrestri e antiche
civiltà umane, l'opera può essere ricompresa, al pari della nuragheologia, nella
“paleoastronautica” (“teoria degli antichi astronauti” o del “paleocontatto”). In
questa specifica concezione si comprende che la civiltà extraterrestre dei giganti
sarebbe entratai n contatto con gli antenati dei Sardi. Ciò corrisponde, da una parte,
al tentativo di recupero di un passato mitico, sempre visto in contrasto con il
presente. Già nelle prime righe del lavoro, infatti, Muscas scrive:
Ho vissuto a cavallo tra due generazioni: la prima caratterizzata dal mondo
agricolo e pastorale, la seconda dall'arrivo di tutte le innovazioni tecnologiche”
(Muscas 2009:18). E ancora: “All'epoca, almeno dalle mie parti, si dava
un'importanza diversa allo svolgersi della vita quotidiana, e c'era un senso di
appartenenza alla terra molto forte, ci si sentiva un tutt'uno con lei e si percepiva un
collegamento col cielo che ormai l'umanità ha dimenticato” (Muscas 2009:25).
In sostanza si tratta di un evidente processo di elaborazione mitica piuttosto
evidente dal fatto che anche le forme di ritualità quotidiana più semplici, compiute in
occasione del raccolto e della macellazione, tipiche delle culture agropastorali come
quella in cui Muscas crebbe e che, di fatto, diventano il simbolo di un mondo arcaico
e primitivo ormai perduto:
Tutto ciò che una famiglia produceva per il proprio sostentamento era
considerato sacro. Pertanto, prima di consumarlo, una parte veniva offerta a
Dio, attraverso la donazione alla terra. Questo rito sacro mia nonna lo
svolgeva ogni volta che si portavano a casa i prodotti dell'orto e della
vigna: prendeva un grappolo d'uva, ne staccava l'acino più bello e lo offriva
alla terra. Il rito serviva sia per ringraziare del raccolto ottenuto, sia per
propiziare un'altra annata buona. Così faceva anche con le prugne d i fichi.
Ma forse il rito più suggestivo era quello in occasione dell'uccisione del
maiale, che ricorreva in autunno. (…) Al momento dell'uccisione del
maiale mia nonna piantava un coltello nel terreno e poi prendeva una
ciotola di terracotta e la riempiva del primo sangue fuoriuscito dall'animale,
versandolo alla terra mentre si faceva il segno della croce. Questo rito mi
emozionava particolarmente perché rappresentava molto bene il
collegamento tra la terra e il cielo. (Muscas 2009:25)
Ciò che differenzia notevolmente il caso di Atlantidea dalle altre forme di
archeologia alternativa è il fatto che in questi luoghi si sia creato un certo interesse
attorno alla vicenda. Sono numerose, infatti, le persone che si recano ad Atlantidea
ad osservare le “stelle” che si muovono nel cielo. Nel cortile dell'abitazione di un
operatore/fantarcheologo, nelle sere d'estate, quando il tempo lo consente, numerose
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
persone si recano ad osservare i fenomeni luminosi, mentre il signor Muscas racconta
la storia della città perduta dei giganti.
Per portare avanti questa ricerca direttamente, sono stata per un ultima volta a d
Atlantidea il 5 settembre del 2014. Per mesi avevo avuto contatti quotidiani con
persone che, a causa di legami famigliari ed affettivi con il gruppo di persone che
gravitano attorno al signor Muscas, avevano assistito in più occasioni allo spettacolo
di luci nel cielo. Una di loro, offertasi da tramite, mi ha accompagnato a casa del
signor Muscas, che ci ha accolto calorosamente nel cortile della sua abitazione. Dopo
i convenevoli e le spiegazioni di rito, il signor Muscas si è mostrato, fin dal principio,
piuttosto preoccupato circa le mie reali intenzioni e gli scopi della mia ricerca. Nel
colloquio, inizia a raccontare le peripezie che ostacolano la pubblicazione di un
nuovo libro sui giganti: “L'autorizzazione per metterla nel libro non me la daranno,
a filmare non posso filmare, lo stesso, perché è un sito chiuso, ci sono le guardie...”
[M.L., Atlantidea, 05/09/2014] Per questo motivo, la conversazione si è spostata fin
da subito sul problema del non riconoscimento, da parte dell'archeologia ufficiale,
delle sue teorie. A questo proposito, afferma: “Eh, ma non si sa se ti fanno
pubblicare questa cosa. Noi siamo sfortunati, però, ci hanno rubato la storia, son
delle cose molto importanti”. L'operatore poi racconta la storia del popolo dei
giganti, con nessuna variazione rispetto a quanto scritto nel suo libro. Con la persona
che mi accompagnava lascio l'operatore per poi tornare dopo cena, quando è ormai
notte, per poter osservare le stelle. Al mio rientro, noto che nel cortile dell'abitazione
sono disposte a semicerchio numerose sedie di plastica bianca, mentre l'operatore
aspettava in giardino assieme alla sua compagna. Dopo le opportune presentazioni,
tutti hanno rivolto lo sguardo al cielo. Con un segnalatore a raggio laser, l'operatore
ha indicato i vari corpi celesti, seguendoli col puntatore e specificando quando si è
trattato di “stelle” e quando, invece, di eventuali aerei che per caso hanno
attraversato quello spazio. A un certo punto, è comparso come un’improvvisa striscia
lampeggiante, subito interpretata da Muscas come l’apparizione di un gigante. A
questo fenomeno di stella cadente ne seguono altri, tutti.
Dopo un po’ nel cortile ci sono tante persone; fra queste c’è una coppia di
mezz'età, un gruppo di donne emigrate tornate al proprio paese d'origine per le
vacanze estive. Tutti trovano posto a sedere, tutti alzano gli occhi al cielo. Un
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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ragazzo col cappuccio della felpa calato sugli occhi saluta e a malapena estrae un
sacco a pelo dallo zaino, lo distende e si sdraia sull'erba. Alle domande insistenti
delle donne, l'operatore comincia di nuovo, paziente, il proprio racconto. Racconta
dei giganti e della città perduta. Racconta delle stelle, spiega che si tratta delle anime
dei giganti che si dirigono verso i siti sacri. Una stella, una traiettoria indicata col
laser: «Questa va laggiù, al nuraghe», «Questa va alla città perduta», «Questa va al
tempio». Verso la mezzanotte, l'operatore si allontana con le donne, le porta
all'interno dell'abitazione, vuole mostrare le “prove”: il suo libro, i denti e le ossa dei
giganti. In un successivo momento, anche noi entriamo. Una stanza-laboratorio
gremita di sculture di ceramica di ogni dimensione. Sembrano riflettere un certo
senso estetico, un gusto un po' naif. Raffigurano, in diverse pose e dimensioni, gli
antichi giganti. Mi informo sui costi delle sculture: circa 2500 euro a pezzo. Esprimo
i miei complimenti sinceri, salutiamo e andiamo via con la promessa di tornare.
Aver osservato da vicino il fenomeno ha fornito numerose risposte e fatto nascere,
contemporaneamente, nuovi interrogativi. Il primo di questi riguardava, nello
specifico, il ruolo dell’operatore e detentore delle informazioni connesse alla
concezione magico-religiosa. La mimica dell’operatore, i suoi gesti e gli
atteggiamenti tenuti davanti alla platea che lo ascoltava ricordavano, infatti, molto da
vicino, alcuni degli operatori rituali con cui avevo avuto a che fare in passato. In
particolare, aldilà delle distinzioni tematiche tra le due ideologie, i suoi atteggiamenti
richiamavano, assai evidentemente, quelli dei guaritori carismatici che avevo potuto
osservare durante le mie ricerche (vedasi, ad esempio, Lanternari 1983). Innanzitutto,
in quest’ultimo caso l’operatore dimostra di avere con le anime dei giganti un
rapporto privilegiato. Ad un certo punto della conversazione, infatti, egli così
racconta del suo accesso ad un sito archeologico
Io ci sono entrato, non mi hanno fermato... a detta loro questo è un sito
romano, e vai dentro... Vai lì, entri in una stanza diciamo la metà di questa
casa... è un mausoleo... Vai lì, a me non mi avevano fermato... Quando
devo... mi portano di vedere, non solo là... quando devo andare, vuol dire
che devo andare, non è che mi fermano... e sono entrato in questo luogo.
C'era un'archeologa, come te, minutina, un po' così, no... e stava studiando
questa mummia, era lì, messa così sopra, e c'era... toccava il naso di
questa... la testa era così, era... sette metri e mezzo era lungo, ma io non mi
stupisco, l'ho vista, mi ha guardato, per me non mi interessava niente. Sono
andato via, mi hanno salutato, non mi hanno fermato [M.L., Atlantidea,
05/09/2014]
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Guidato e protetto dalle anime dei giganti, egli arriva ad un luogo in cui
un'archeologa sta scavando una mummia, un luogo protetto e inaccessibile. É lui,
infatti ad avere un contatto privilegiato con questi esseri provenienti da altri mondi.
La sua esperienza con i giganti non si esaurisce, infatti, nell'osservare le stelle che si
muovono nel cielo. Piuttosto, in maniera non troppo dissimile da alcuni maghi o
veggenti che dichiarano di avere un rapporto privilegiato con esseri soprannaturali,
l’operatore riesce a comunicare con loro. Il suo compito è appunto quello di fare da
tramite tra il nostro ed il loro mondo, raccontando a quante più persone possibili
della loro esistenza.
A me mi han fatto capitare... Da bambino, sempre, dove caricavano i
giganti, c'ero io, sempre. Ma non solo qui no, ma in tutta la Sardegna... non
lo so, era una cosa... però vedi, c'ho messo quarant'anni a capirlo, che era
importante, mica un mese... [M.L., Atlantidea 05/09/2014]
Nel libro, oltre al rinvenimento fortuito del primo gigante, egli racconta altri due
episodi:
Quasi tre anni dopo, nella primavera del 1975, si sparse la voce del
ritrovamento di un altro gigante. In quel periodo stavano effettuando lavori
di ampliamento della strada tra Siddi e Lunamatrona, al confine del
territorio di Atlantidea, e quel giorno c'erano molti operai al lavoro. Io e
due miei amici ci recammo in bicicletta a vedere quel gigante. Gli operai
non ci fecero avvicinare e ci fermammo a circa trenta metri di distanza,
sopra una collinetta. C'era parecchia gente attorno alla tomba da cui era
stato estratto lo scheletro, ma dalla nostra posizione riuscimmo a vederlo
ugualmente, perché le sue dimensioni erano veramente grandi. Paragonate
a lui le persone vicine sembravano bambini. Rimanemmo lì per circa
un'ora e quando rientrammo in paese notammo che gli abitanti non
parlavano d'altro se non del gigante appena ritrovato. Tutti ragionavano e
tutti trovavano collegamenti tra le leggende sempre ascoltate e quel
gigante, confermando la discendenza da quella civiltà ormai scomparsa.
(Muscas 2009:32)
E ancora:
Una notte di autunno del 1977 mi trovavo con alcuni amici a percorrere la
strada che collega Atlantidea a Las Plassas e nei pressi della località “Sa
Contissa”, dov'erano in corso dei lavori di ampliamento della carreggiata,
trovammo all'interno di una tomba due grossi scheletri di giganti. La
posizione degli scheletri faceva supporre che fossero abbracciati.
L'indomani mattina passammo nuovamente e notammo che i due scheletri
non c'erano più. In quel periodo molti altri ritrovamenti vennero fatti dentro
il centro abitato e nelle campagne circostanti. (ibidem)
L’operatore attribuisce questi ritrovamenti all'utilizzo dei primi trattori gommati e di
quelli cingolati che, consentendo di arare a profondità maggiori, esponevano a
rischio per la prima volta le tombe. Nel libro, i rinvenimenti delle ossa di giganti
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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vengono confermati da una serie di testimonianze. Tra queste, quella di un signore,
che afferma dello straordinario ritrovamento avvenuto casualmente ad opera della
sua famiglia in occasione di uno scavo per la costruzione di un servizio igienico che
si voleva fare nel cortile della sua abitazione. Sotto terra furono rinvenuti gli scheletri
di 4 giganti, dalle “teste enormi ed allungate, (…) i denti bianchissimi, lunghi circa 5
o 6 cm; le mani enormi, con dita lunghe 22 cm” (Muscas 2009:115). Questa persona
è presente, tra gli altri, nel cortile dell'abitazione dell'operatore e, incalzato da questi,
mi conferma quanto affermato nel libro e mi racconta, con notevole eccitazione, le
fasi del rinvenimento. Aggiunge, inoltre, che del ritrovamento venne informato il
parroco del paese, che rispose che si trattava di scheletri di Cartaginesi, non
importanti, che dovevano essere distrutti. Così fecero, si racconta in famiglia.
La differenza tra quanto affermato dal testimone e quanto, invece sostenuto da
Muscas consiste nel fatto che solo quest'ultimo si è rivelato in grado di avere contatti
con le anime dei giganti e quindi di poterli osservare nella loro forma incorporea.
Questi giganti vengono poi da Muscas scolpiti nella pietra o modellati nell'argilla. Ad
una mia domanda riferita ad alcune di queste sculture che si trovavano in giardino,
egli risponde descrivendomi nel dettaglio le fattezze dei giganti:
C'erano figure antropomorfe e figure zoomorfe. Erano...io gli ho visti vivi e
morti. Ho visto gente viva e animali vivi, mezzi uomini... Tutti... c'hanno
un potere universale che parlano, se io parlo il sardo, parla il sardo, solo
che avevano una lingua universale [M.L., Atlantidea, 05/09/2014]
É evidente, quindi, il ruolo di primo piano che il signor Muscas possiede all'interno
del gruppo di aderenti a questa ideologica magico-religiosa. Alcuni dei presenti,
però, sottolineano la propria capacità non solo di poter vedere le stelle ma anche, e
soprattutto, di poter avere con queste un contatto ravvicinato. E se il signor Contu
afferma. “Eh, le ho viste le stelle, io, molto vicino... Una una volta è passata così,
all'altezza del mio ginocchio, velocissima, ed ha illuminato tutto, ha illuminato!”,
Daniela, la compagna dell'operatore, afferma:
Un giorno ero dentro casa, ed ero seduta al computer. Ad un certo punto,
dalla finestra, c'era la finestra aperta, entra questa cosa, ha illuminato tutta
la stanza, era piccola, come una pallina, ad un certo punto si è fermata sulla
mia mano... L'ho presa così (mostra il palmo aperto come a mostrare un
piccolo oggetto, ndr), in mano, era bellissima … [Atlantidea, 05/09/2014]
Ciò nonostante, è sempre il signor Muscas ad assumere, in ogni conversazione e
all'interno del gruppo, un ruolo di rilievo. Lo zoccolo duro dei credenti ha, infatti, in
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
lui il suo punto di riferimento.
Prima c'era anche ….... Diciamo che erano alla pari, lui e ….., perché
avevano esperienze molto simili. Poi Luigi, essendo anche più giovane,
diciamo che si è fatto portavoce. [F.P., 22 anni, Cagliari]
Certo è che la sua connotazione presenta numerosi punti in comune con la figura del
veggente. Ad esempio, esattamente come accade per gli operatori magici tradizionali,
il segno o la chiamata di Luigi al mondo spirituale avviene in concomitanza con una
crisi emotiva. Non a caso, la visione della prima stella corrisponde all'annuncio della
morte di un evento tragico, la morte del padre, che ne avrebbe decretato il
trasferimento ad Atlantieda e l'inizio di una vita dedita ad un lavoro duro e
sacrificante come quello del pastore. Così Luigi racconta nel suo libro:
Quando avevo otto anni ci siamo trasferiti a San Pantaleo, vicino ad Olbia.
Lì. Per la prima volta, ho visto una stella illuminarsi e scendere dal cielo,
proprio come era accaduto alla mia bisnonna. Era il 16 febbraio del 1971 e
ci trovavamo dietro la casa, io e mio padre, a prendere la legna per il
camino. Ricordo che era già buoi e faceva molto freddo. All'improvviso
scese dal cielo, fino ai nostri piedi, una sfera bianca, celeste e rossastra, che
emanava calore ed emetteva una specie di fruscio. Per istinto io mi
precipitai come per prenderla ma venni bloccato da mio padre, che mi
gridava di non toccarla perché mi avrebbe bruciato. In quel preciso
momento sentii che quella stella era scesa ad annunciarmi qualcosa di
importante. L'indomani mio padre partì in Corsica per lavoro ed io,
bambino di nove anni appena, pensai che avrei dovuto occuparmi della mia
famiglia, perché sentivo che mio padre non sarebbe più tornato. Due giorni
dopo una telefonata ci annunciò che mio padre era morto. (Muscas
2009:21)
Le relazioni che M.L. intrattiene con il proprio paese sembrano essere piuttosto
controverse. É lui stesso a raccontare la stigmatizzazione sociale che subisce a
seguito della pubblicazione del suo libro: “Scimpru, scemo, mi chiamano. Mi vedono
in giro e mi chiamano così. Ma l'ultima volta gli ho risposto, a quello che me l'ha
detto: «Eh, scemo mi chiami, eppure c'eri anche tu... E chi li vende, i reperti? Tu!»”.
Ed uno degli appartenenti al gruppo dei credenti, parlando della vicenda, afferma:
“Tutti parlano male di Luigi, per fortuna, essendo una persona speciale, perché è
veramente una cosa speciale, la cosa non lo tocca” [Atlantidea, 05/09/2014]
Anche per quanto riguarda il caso di Atlantidea è difficile stabilire l'esatta
entità dei “convertiti”. Difficile anche comprendere quanto della spiritualità delle
stelle venga incorporata in visioni sincretiche piuttosto complesse del mondo. Questa
tendenza all'incorporazione della credenza in ideologie complesse è stata abbastanza
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
evidente nel caso di Atlantidea, nel momento in cui mi sono imbattuta casualmente,
per le vie di Cagliari, in uno degli aderenti all'ideologia che batteva felicemente il
tamburello in mezzo ad un corteo di Hare Khrisna!
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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Conclusioni
La letteratura ed i fenomeni finora analizzati consentono, a questo punto, di trarre
alcune conclusioni generali. I risultati dell’indagine, tuttavia, così come avviene in
tutte le ricerche, comprese quelle delle cosiddette scienze positive, si presentano
continuamente problematici e rivolti ad effettuare nuove verifiche e, quindi, a
cogliere la costante dinamica delle analisi e dei relativi esiti. Da qui la conferma
metodologica
che,
soprattutto
nelle
ricerche
ideografiche,
come
quelle
antropologiche, il campo di indagine è costantemente soggetto ad innovazioni, a
cambiamenti e a traslazioni, tanto che, in tali indagini, alcune questioni affrontate
risultano soltanto in parte risolte. Tuttavia, per quanto riguarda gli obiettivi, ad un
certo punto, è opportuno avere il coraggio di essere in grado di concludere. In tutti i
casi, pertanto, si deve essere consapevoli di essere arrivati soltanto ad una tappa
rispetto a tutte quelle possibili che potrebbero essere raggiunte.
Si è innanzitutto tentato di dimostrare, alla luce della vasta letteratura
esaminata, che temi tradizionali dell'indagine antropologica ed etnografica, come la
magia, lo sciamanesimo e la stregoneria siano attualmente molto vitali e non abbiano
cessato di essere oggetto di ricerca. Questo interesse deriva anche e soprattutto dal
fatto che questi campi, lungi dall'essere scomparsi a seguito del processo di
laicizzazione e disincanto del mondo da alcuni auspicato, non siano, come un tempo
ci si aspettava, del tutto finiti. Il quesito fondamentale di quest’indagine riguardava,
piuttosto, l'accertamento di quali fenomeni, attestati nella letteratura antropologica,
potessero essere riscontrabili in Sardegna, con la conseguente verifica di eventuali
differenze tra sincretismi magico-religiosi tradizionali e sperimentazioni religiose e
spirituali contemporanee. Nell'analisi, non a caso, non sono state considerate le varie
terapie empiriche di derivazione più o meno tradizionale, che comportino l'utilizzo di
erbe o di tecniche di manipolazione corporea, diffuse capillarmente nell'Isola.
L'intento era quello di cercare di stabilire i cambiamenti nell'orizzonte simbolico,
mistico e religioso, piuttosto che in quello pratico/empirico. Il punto di partenza di
questa analisi si basava, sostanzialmente, sul fatto che, in Sardegna, alcuni gruppi
organizzati di persone si presentino come depositari di una sorta di antica magia
specifica dell'Isola.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Per cercare di comprendere se questa affermazione potesse essere considerata
corretta, è stato necessario stabilire se gli operatori intervistati interpretino o meno la
propria azione alla luce di una visione magica del mondo. È chiaramente emerso,
nelle parole di quelli definibili tradizionali, il rifiuto ad identificare il proprio ruolo
ed operato come l'esercizio di un potere magico, quasi sempre connotato
negativamente. La magia viene sempre presentata da costoro come cosa d'altri,
espressione di culture diverse nel tempo e nello spazio, nel mondo bizzarro delle
culture extraeuropee piuttosto che nell'orizzonte delle credenze dei propri antenati. Al
contrario, tendono a rappresentare se stessi come possessori di un dono che consente
loro di far da tramite verso un potere più grande, sempre religiosamente o meglio
cattolicamente connotato. Da essi vengono interpretate alla stregua di medicine o,
ancor più significativamente, di preghiere persino le forme più evidentemente
magiche del loro operato. Per le nuove forme di spiritualità contemporanea, invece,
anche quando non vi è magia, non si verifica nessun tentativo pratico di voler
intervenire sulla natura e sul divino; in quest’ultimo caso si ricorre a questo termine
per delineare lo sfondo ideale in cui collocare la propria visione del mondo.
Nella Sardegna contemporanea, sia i sincretismi magico-religiosi tradizionali
che le forme di spiritualità attualmente attestate pongono all'osservatore inesperto
inevitabili dilemmi teorici, dato che mettono in crisi le tradizionali distinzioni tra
razionalità scientifica ed irrazionalità magica. Esistono comunque notevoli punti di
contatto nei racconti che della propria esperienza ed azione magica fanno i guaritori e
gli interpreti a vario titolo del mondo magico-religioso sardo. Appare
sostanzialmente confermato il modello antropologico della condizione di crisi
dell'operatore magico, ovvero il fatto che. per assumere un ruolo di rilievo, per essere
considerati, cioè, per essere depositari di conoscenze esoteriche, occorra
necessariamente, non tanto aver affrontato un lungo apprendistato, quanto piuttosto
aver sperimentato una determinata crisi. Da qui la specificità che le storie di vita
degli operatori presentano spesso un unico, sostanziale punto in comune: la
sperimentazione della sofferenza. Solo attraverso questa, infatti, è possibile
avvicinarsi al dolore degli altri, trovarne le ragioni profonde e, dove possibile,
intervenire.
Le somiglianze sembrano, ad un primo sguardo, fermarsi qua. L'unico punto in
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
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comune, tra maghi tradizionali e nuovi contesti magico-religiosi, sembra il loro
essere o pretendere di essere, “paralleli” o “complementari”, quando non proprio
“opposti” ad una visione scientifica del mondo e della vita, intendendo con visione
scientifica qualcosa che comprende non solo la medicina (o, meglio, biomedicina)
termine ormai di larga diffusione tra gli antropologi (Hahn-Kleinman 1983), ma
anche, come si è visto, altri ambiti come la storia e l'archeologia. Eppure, nonostante
le credenze e le pratiche indagate ad un primo sguardo sembrino avere ben poco in
comune, basterebbe condividere questo carattere oppositivo ad una visione
massificata del mondo e della vita per individuare tra di loro uno stretto legame
concettuale. Potremo considerare i fenomeni analizzati come limiti opposti di un
insieme composito di esperienze ed ideologie culturali che condividono una visione
del mondo alternativa a quella ufficiale e culturalmente egemonica. Permane il loro
carattere oppositivo sia che vengano o meno messi in pratica interventi di ripristino o
salvaguardia della salute degli individui. Uno dei punti in comune è certamente
rappresentato dalla critica all'impostazione biomedica che tende a considerare ed
analizzare il corpo umano come una somma di parti, smontandolo in un insieme di
componenti meccaniche e concentrandosi su ognuna di esse singolarmente. Al
contrario, le pratiche magiche tradizionali così come le esperienze religiose
contemporanee possono invece essere ragionevolmente comprese entro concezioni
“olistiche” del corpo, in forte contrasto pratico ed ideologico con la medicina
ortodossa o tradizionale. Le varie ideologie analizzate tendono, inoltre, a
condividere, la critica a ciò che nel mondo si presenta come innaturale e artificioso,
che tende ad estendersi oltre l'ambito strettamente terapeutico. Per questa ragione, sia
nel caso dei guaritori tradizionali che nelle new religions che si sono osservate,
l'intento principale di operatori e seguaci è quello di preservare lo stato psico-fisico
dell'individuo in tutte le sue componenti, anche, e soprattutto, in relazione
all'equilibrio del suo stato psichico, cercando di recuperare la dimensione preventiva
e quella sociale del ripristino della salute/salvezza dell'individuo. Ciò suggerisce,
dunque, l'esistenza di ulteriori cospicui punti di contatto, di condivise concezioni
culturali.
Questi ulteriori punti di contatto vengono alla luce se si considerano come
quelle delle dinamiche contemporanee che interessano i movimenti in questione,
257
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
soprattutto per quanto riguarda le concezioni del corpo e della malattia. In molte
ideologie attuali come in quelle tradizionali, commenta Fabio Dei, la malattia viene
spesso messa in relazione con lo sconvolgimento di un ordine morale. L'insorgere di
un disturbo viene interpretato come la rottura di un equilibrio naturale, a causa
dell'influenza di forze negative variamente configurate. Rosiland Coward ritiene di
rintracciare, nelle ideologie contemporanee, l'influenza delle religioni rivelate, in
particolare del Cristianesimo:
In questi resoconti di una vita squilibrata e del processo di guarigione vi
sono esattamente gli stessi elementi della "salvezza dell'anima" così cara al
Cristianesimo. Vi è qui una versione del peccatore la cui vita dev'esser
salvata, ed è salvata attraverso la radicale crisi spirituale del volgersi a Dio
o al Cristo. Molte delle terapie alternative implicano l'abbandono di
precedenti modi di vita (dieta, repressione sessuale, abitudini corporee), e
spesso il processo di guarigione comporta una qualche versione di una crisi
spirituale [...] Il risultato di questa crisi, di questo cambiamento di vita e di
attitudini è la persona globale. E' la persona divenuta "pura", che conduce
una dieta integrale, il cui approccio alla vita è "globale". Solo che invece
dello spirito puro, che entra nel regno dei cieli, abbiamo qui il corpo puro
(Coward 1989:90 in Dei 1996)
Medicine tradizionali e visioni alternative sembrano quindi condividere, in linea di
massima, una visione del mondo piuttosto differente da quella scientificomaterialista.
Ciò che si è potuto desumere dall'analisi del fenomeno, quindi, è che la
Sardegna contemporanea mostra una certa varietà di risorse terapeutiche alternative,
di approcci alla salute che si risolvono, spesso, in una adesione più o meno convinta
ad una forma di spiritualità che non necessita necessariamente di una manipolazione
del corpo ma si basa, soprattutto, sul concetto di energia. Infatti, come risulta dalle
parole degli intervistati, sono molti a presupporre che la vera essenza degli essere
umani possa essere costituita da un'energia vitale (l'anima della dimensione
tradizionale) che deve essere preservata dall'aggressione di attacchi esterni. Energia è
il malocchio che deve essere sconfitto, energia è quella veicolata da pupazzi costruiti
per cagionare il male. Energia è la capacità di cura contenuta nelle mani e nelle menti
dei pranoterapeuti, energia è quella divina, inviata agli uomini per consentir loro di
curare, ma anche di prevedere il male e di difendersi da esso. Energia è, allo stesso
modo, quella che promanano megaliti e pietre sacre, eredità di un popolo eletto; ed
energia o materia energetica invisibile sono i giganti o meglio le anime di questi che,
258
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
sotto forma di stelle, solcano il cielo a ricordare ai Sardi la propria origine mitica, la
propria storia dimenticata.
Visto il loro carattere oppositivo, è chiaro che l'adesione alle ideologie
tradizionali come alle new religion rappresenti, nella Sardegna contemporanea, una
scelta. Mentre nelle “società chiuse” tradizionali la magia costituiva l'unica ed idonea
spiegazione allo star al mondo, per cui diventava difficile sottrarsi alle sue logiche ed
istanze, allo stesso modo la biomedicina gode nelle culture occidentali di un suo
statuto specifico che informa, in qualche modo, ogni discorso che riguarda la salute
del corpo e dell'anima. È parte, infatti, del senso e della razionalità dell'uomo
comune, persino nei momenti in cui egli decide, volontariamente, di discostarsene.
Tuttavia, nel contesto indagato, così come si verifica altrove, non bisogna mai
considerare queste scelte come definitive; piuttosto, nelle parole degli informatori, è
chiaro che la risoluzione di momenti critici dell'esistenza in cui la vita viene messa
seriamente in pericolo non sia praticamente mai messa esclusivamente in mano ai
guaritori, così come non offrono esclusivo conforto le ideologie religiose, tradizionali
o meno. Piuttosto, esse accompagnano l'individuo in un cammino terapeutico che
comprende necessariamente il discorso e le metodologie della medicina ufficiale. Le
pratiche di cura alternative e le ideologie religiose osservate, pur distaccandosi
nettamente, a livello ideologico, dalla medicina ufficiale, si ritrovano a fare da
sussidiarie ad essa, oppure ad intervenire come giustificazione alternativa alla morte.
A questo proposito ci si riferisce, in particolare, all'ideologia magica della fattura
come spiegazione alla perdita prematura . Per questo motivo, non può stupire che tra
i clienti degli operatori magici-tradizionali possano essere compresi , a vario titolo,
alcuni appassionati fantarcheologi e seguaci delle new religions
che, pur
condividendo una più o meno coerente visione del mondo e della storia, non sempre
trovano nel proprio quotidiano figure con ruolo di leadership e guida spirituale.
Dagli esempi analizzati, appare confermata la tendenza contemporanea al recupero di
pratiche e credenze del mondo magico tradizionale all'interno di una visione
composita del mondo in cui è piuttosto evidente l'influenza dei movimenti
controculturali degli anni '60, con il conseguente paradosso che mostra, da un lato, il
desiderio di rappresentare un'utopica avanguardia e, dall'altro, il romanticismo
nostalgico nei confronti di un passato mitizzato. Per questa ragione, molti seguaci
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
delle ideologie alternative esaminate sono espressione di uno stesso “stile culturale”,
per utilizzare un'espressione cara ai cultural studies. Essi si recano dai guaritori
tradizionali interpretando la loro azione all'interno di una visione identitaria della
propria terra di origine, nella quale i guaritori tradizionali sono considerati eredi di
antiche sapienze di cui essi non hanno necessariamente precisa conoscenza, occultate
come sono sotto la patina dell'ideologia cattolica. Nello stesso tempo, tali pratiche
della guarigione tradizionale si trasformano costantemente grazie ai processi di
ibridazione.
L'altro polo della questione riguarda, invece, gli operatori, e la concezione che
essi hanno del proprio ruolo e potere. È ben evidente, la conseguenza di una
progressiva iper-specializzazione degli operatori tradizionali in un senso quasi
medico, per cui essi solo raramente si dedicano alla cura di più di un disturbo o
risoluzione di un problema esistenziale specifico. La loro azione avviene in maniera
quasi meccanica, e, dopo un primo, caloroso scambio di informazioni riguardo il
problema o il malessere del “paziente”, il loro atteggiamento durante l'esecuzione del
rito è quasi sempre distaccato e distante, al pari di quello di un medico d'ambulatorio
o di un prete che opera ritualmente in modo ieratico nell’altare. Ciò nonostante, essi
non possono essere paragonati ai maghi di un tempo, le cui personalità sociali,
terribili e temibili, venivano spesso temute e venerate, ricercate ed ostracizzate; in
essi appaiono piuttosto evidenti le differenze con i maghi sardi del passato o, per fare
specifico riferimento alla letteratura, alle figure dei maghi siciliani così vividamente
descritti Elsa Guggino (1978, 1993). Il possesso di un potere soprannaturale
variamente connotato non pone loro particolari problemi esistenziali, né essi hanno
quasi mai un'idea precisa dell'origine del proprio potere. Piuttosto spesso, collocano
le proprie azioni, anche eminentemente magiche, all'interno di un'ideologia cattolica
composita, nel cui ambito essi non scorgono particolari differenze tra la dottrina
ufficiale e le concezioni popolari, tra preghiere cattoliche ed incantesimi, tra magia e
religione. Escluse le figure dei veggenti e dei guaritori carismatici, l'operatore rituale,
che fa da tramite tra il mondo soprannaturale e quello quotidiano non conosce le
leggi che necessariamente meglio del cliente ne regolano i rapporti. Le pratiche
vengono piuttosto messe adottate non perché frutto di un qualche complesso
ragionamento metafisico, quanto, invece, perché funzionano.
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Per quanto riguarda gli aderenti, è chiaro che, ad ogni modo “le scelte
terapeutiche risentono ad ogni modo dell'identità sociale di chi le compie: ad esser
rilevante non è solo l'appartenenza di classe, ma una molteplicità di altri fattori
quali l'età, il sesso, l'appartenenza geografica, il livello di istruzione, l'orientamento
ideologico e altro ancora” (Dei 1996). Ci si trova, quindi, davanti ad una grande
varietà di risorse interpretative e terapeutiche, sostenute da fonti diverse di autorità
che non necessariamente sono in competizione. I fruitori attingono da esse,
compiendo scelte e negoziando soluzioni secondo criteri che non sono frutto di
coerenza epistemologica ma di razionalità pratica. È la prassi magica a fornire
garanzia di efficacia, per cui la scelta tra diversi operatori si svolge in base a ragioni
di opportunità e comodità, in conformità alle informazioni cui si riesce ad accedere.
Naturalmente, si tratta di linee propositive generali. Come dimostra l'affermarsi
costante di nuove tipologie di cura e risoluzione dei problemi, la costruzione della
personalità sociale varia notevolmente da operatore ad operatore, ed uno dei
fenomeni più interessanti da analizzare è stato proprio la singolare connotazione che
va ad assumere l'intreccio sincretico delle varie idee ed influenze confluite nella
personalità del mago.
Se, dal punto di vista ideologico, ci troviamo di fronte ad un continuum di
credenze, all'interno del quale non è facile stabilire confini netti e dove (gli operatori
magici scelgono di costruire il proprio ruolo in una infinità di modi differenti, lo
stesso non si affermare per le pratiche. Anzi, si potrebbe piuttosto affermare che le
nuove forme di spiritualità new age nascano proprio nel momento in cui non si ha
esperienza delle pratiche tradizionali, che vengono inserite in una complessa visione
del mondo in cui le istanze della magia tradizionale vengono interpretate come
emergenza di un passato mitico di cui gli stessi operatori rituali hanno perso
memoria.
Uno dei quesiti principali delle più importanti questioni che si voleva cercare di
risolvere riguardava la vitalità attuale del mondo magico. In molti casi, è innegabile
che l'orizzonte di credenze e pratiche relative alla guarigione di disturbi ed affezioni
comuni si assottiglia, soprattutto a causa dell'interruzione della trasmissione dei
saperi di generazione in generazione. Ciò, si è visto, può avvenire con due modalità:
il rifiuto degli eredi a raccogliere il “dono” trasmesso per discendenza; oppure il
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Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
rifiuto dell'operatore magico a trasmettere il proprio dono ad un erede che egli possa
ritenere idoneo. È innegabile, anche se difficilmente quantificabile, il processo di
scomparsa e perdita di senso e/o valore di elementi delle credenze e delle pratiche
tipiche della cultura agropastorale. É stata quindi attestata la tendenza alla
progressiva
frammentazione
di
molti
dei
saperi
terapeutici
tradizionali,
all'assottigliamento più o meno evidente della tradizione. Alcune pratiche
sufficientemente documentate in un passato relativamente recente risultano oggi
completamente scomparse. É il caso, ad esempio, dei rituali collettivi di cura del
tarantolismo dei rituali dell’argia descritti da Clara Gallini e attestati in Sardegna fino
agli anni '50 del secolo scorso (Alziator 1957; Gallini 1967). Gli esempi forniti
dimostrano, però, che nel contesto esaminato il concetto di sopravvivenza
dell'universo magico è quantomeno inadeguato. Piuttosto, dal momento che esistono,
al giorno d'oggi, dei vuoti che necessitano in ogni caso, di essere colmati, il mondo
magico tradizionale rivela una certa vitalità, una capacità di trasformazione e di
adattamento ai nuovi contesti di significato tramite le modificazioni successive, le
contaminazioni e le influenze.
Si potrebbe quindi affermare, in linea di massima, che, nonostante
l'assottigliamento della tradizione, la magia tradizionale sia ancora un fenomeno
piuttosto vistoso, ovvero non siano infrequenti casi di rottura o cessazione nella linea
di trasmissione di poteri e competenze. Pertanto, non è errato affermare che la grande
compagine di riti, credenze ed ideologie, tradizionali e contemporanee, sono lungi
dall'essere scomparse. La vitalità delle credenze e pratiche analizzate emerge anche a
partire dalla presenza di differenti visioni del mondo e della vita che si ricavano dalle
parole delle persone intervistate. Sia per quanto riguarda le pratiche tradizionali che i
nuovi movimenti religiosi, sono stati infatti riscontrati differenti modelli
interpretativi, sistemi di valori che non possono tout court essere suddivisi nella
dicotomica distinzione tra tradizione e innovazione. Piuttosto si potrebbe affermare
che ogni esperienza magico-religiosa costituisca, nell’area esaminata, una realtà
sostanzialmente autonoma, frutto di una continua selezione di valori e significati alla
base della quale agiscono numerosi “complessi a catena”, costituiti dalle esperienze,
dalla percezioni e dagli stati d'animo (Young 1982). Quindi Gli esempi forniti
mostrano piuttosto chiaramente che, mentre la religione e la medicina ortodossa
262
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
conservano, inalterato il proprio prestigio, al contrario, le nuove forme assumono
porzioni ed istanze del mondo magico-terapeutico. Per questo sembrano sempre più
prive di valore le opposizioni dicotomiche come quelle tra tradizione e modernità,
arretratezza e progresso, ed è difficile stabilire per quanto tempo le pratiche e le
credenze tipiche della realtà agropastorale possano essere distinte dalle dinamiche di
innovazione e dalle ideologie religiose nascenti. Persino la canonica distinzione tra
tradizione e scienza appare di difficile. Anzi, concettualmente molte forme di
spiritualità contemporanea sembrano derivare proprio da una visione scientifica del
mondo muovono; questo è per gli Scientology, così come è per le forme di
spiritualità nascenti che proprio da quella concezione viene interpretata come scienza
archeologica dalla quale nascono e si sviluppano. Infine, in conclusione, senza tema
di smentita si può affermare che l'unico vero tratto distintivo che caratterizza le
ideologie magiche e religiose contemporanee è la loro (più pretesa che effettiva)
diversità culturale; di fatto esse sono considerate come simbolo e conseguenza di una
cultura e visione del mondo specifica che ha nella Sardegna-Atlantide il proprio,
irraggiungibile, mito di fondazione.
263
Gianna Saba- Varietà e complessità del magico in Sardegna
Tesi di dottorato in Antropologia culturale-Università degli Studi di Sassari
Bibliografia
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dell'opera in lingua italiana. Inoltre, per comodità di consultazione, sono stati
uniformati i criteri di riferimento relativi alle citazioni in altri volumi.
Generalmente, i numeri di pagina indicati sono riferiti alla prima edizione
dell'opera; nei casi in cui sia risultato difficile consultare una prima edizione,
quest’ultima viene comunque citata tra parentesi quadre, e i numeri di pagina
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