Fase “proiettiva”
Che cosa rispondiamo se ci viene chiesto, magari da un non credente o da una
persona che ha smesso di andare a messa, perché la domenica partecipiamo alla
celebrazione eucaristica? Che cosa ha da dirci la messa?
[raccolta delle varie posizioni]
perché molti cristiani non vanno a Messa la domenica?
 fase di approfondimento
Il testo, comunemente chiamato «l’istituzione dell’eucaristia», introduce nel
significato più vero e più profondo della morte di Gesù, la quale va
compresa a partire dalla morte umana, quale estremo e definitivo atto della
vita, momento nel quale la vita giunge alla sua definizione ultima e
compiuta. Non è facile per ciascuno di noi entrare in questa prospettiva,
perché abitualmente, quasi per istinto, rifuggiamo dal pensiero e dalla
problematica che la morte pone a tutta la nostra esistenza e al significato
della nostra vita.
In questa cena di addio, Gesù è presentato come consapevole della
sua morte, ma non solo: egli le dà il suo vero significato. Gesù, da noi
riconosciuto Figlio di Dio, è un uomo che sa intravedere la possibilità della
propria morte, che non fugge dal pensiero di questa morte, ma lentamente,
faticosamente, assume su di sé tale prospettiva, e liberamente la accetta
nella fedeltà a Dio e nel desiderio di servire gli uomini fino all’atto estremo
della sua esistenza. Ciò diventa per noi stimolo a ripensare la prospettiva
sia del nostro vivere che del nostro morire.
Della cena l’evangelista offre soltanto poche pennellate, ma che per il
lettore cristiano rappresentano dati fondamentali; e proprio tale riferimento
al lettore a cui si rivolge Marco giustifica la sobria presentazione dei fatti:
chi scrive dipende da una tradizione liturgica già in atto, una tradizione che
egli intende da un lato radicare nella vita stessa di Gesù e dall’altro
illustrare nel suo profondo significato per la vita dei credenti. Non è
casuale in effetti che il rito cristiano per eccellenza sia un banchetto:
troppo numerosi sono i momenti della vita di Gesù collocati dagli
evangelisti entro un contesto di convivialità, dove Gesù accoglieva
peccatori, prostitute e pubblicani (cf. Mo 2,13-17), insegnava (cf. Lc 7,3650), compiva miracoli (cf. Gv 2,1-11). Legare il ricordo di Gesù a un
banchetto, anche se rituale, significa sia riappropriarsi della sua prassi di
accoglienza nei confronti di chi si trovava ai margini della società o del
contesto religioso, sia proclamare con lui che il messaggio cristiano è
anzitutto vangelo, buona notizia, progetto che orienta l’umanità alla
beatitudine eterna (cf. Mt 5,1-12).
Gesù è descritto anzitutto nell’attuazione di un gesto tipico di un pasto
ebraico: il capofamiglia, iniziando il pasto, prende la forma del pane, la
frange e pronunzia una benedizione distribuendola ai commensali. Il gesto
in sé è dunque abituale e non contiene nulla che ne giustifichi un ricordo
particolare. Ciò spiega perché il rilievo non è dato tanto al gesto, ma
alle parole di Gesù: queste infatti forniscono ora un significato totalmente
inaspettato al gesto. Identificando il pane distribuito con la sua persona
(«corpo» non designa semplicemente una parte della persona, ma la sua
effettiva presenza), Gesù indica che coloro che mangiano acquistano una
comunione nuova con lui, sebbene nel contesto dell’ultima cena tale
comunione sia con colui che sta per morire. Tale identificazione va però
oltre il momento dell’ultima cena, perché diventa un messaggio rivolto ai
lettori cristiani: nell’eucaristia che essi celebrano in memoria di Gesù, egli
non è più presente fisicamente come nei banchetti evangelici, ma il pane
che i partecipanti mangiano è il segno di questa presenza ancora attuale.
La distribuzione del vino è invece introdotta da una preghiera di
ringraziamento, che potrebbe essere una velata allusione all’eucaristia
cristiana (ringraziare è in greco eucharistéin) e nello tesso tempo le parole
con le quali Gesù chiarisce il senso dell’evento sono assai più dettagliate: il
sangue è quello di Gesù, ma non è semplicemente un ricordo affettivo che
Gesù lascia. Identificando il suo sangue con quello dell’alleanza, egli
certamente ha di mira la scena di Es 24,4-8 in cui Mosè ai piedi del Sinai
asperge il popolo con il sangue per sancire l’alleanza tra Dio e Israele;
nella scena dell’Esodo, il sangue non ha di per sé valore sacrificale, ma
esprime la relazione nuova che si è creata tra Dio e il suo popolo; nella
cena di Gesù, invece, non più il sangue degli agnelli è simbolo della
relazione tra Dio e il suo popolo e della solidarietà vitale che li lega, ma
quello di Gesù, che è versato per molti. Troviamo qui chiaramente una
sostituzione: i molti sacrifici del tempio (così ancora in Zc 9,11) non
sono più il mezzo per espiare la colpa umana e ristabilire la
comunione con Dio; ora è quel sangue «versato», cioè quella persona
uccisa ingiustamente, a offrire tale espiazione e tale riconciliazione;
in tal modo il credente che si accosta al calice entra in comunione con il
Signore che si offre nella morte. Vi è anche un’altra sostituzione: i «molti»
a cui si riferisce il detto di Gesù vanno compresi alla luce di Is 53,11-12 (il
quarto canto del servo di YHWH) e non possono dunque essere ristretti al
solo Israele. Se perciò l’alleanza sinaitica riguardava il solo Israele,
 fase di riappropriazione
Quali suggerimenti ti senti di dare alla tua parrocchia perché la messa
domenicale sia vissuta come “culmine e fonte” di tutta la vita settimanale?
Cristo, oggi sono in cerca di pane,
il mio pane quotidiano,
quello che serve per la fame di oggi,
per passare di là oggi,
per avere forza di remare sotto la tempesta di oggi.
Il pane che non ha profumo se non di sudore,
il pane che non ha gusto, se non di vita,
il pane che fa stare in piedi,
che serve a camminare,
a remare, a vangare,
a combattere con la fede,
a morire in pace.
Oggi non so come leggo il Vangelo,
se in ginocchio o in piedi,
se adorando o imprecando,
se con disperazione o con fede…
Il Vangelo sta contro di me, contro tutti.
Poiché “in principio era la Parola”
e la parola è il pane quotidiano
per ogni uomo che viene al mondo.
(Primo Mazzolari)
È una storia che si ripete:
tu non ti arrendi mai,
tu non rinunci all’amore per noi
perché il bene che ci vuoi
è straordinariamente grande.
Non ti lasci abbattere dalle nostre offese:
scorgi anche la bontà
oscurata da tanti gesti cattivi.
Non ti fai disarmare
dalla nostra ingratitudine:
continui a essere accanto a noi
anche quando siamo fuggiti
lontano dalla tua presenza.
E inventi ogni volta un modo nuovo
per venirci incontro,
una parola nuova per invitarci al banchetto
che hai preparato,
un gesto nuovo per esprimere la tua
misericordia senza limiti.
Il tuo amore, o Dio,
è veramente pieno di risorse e di fantasia.
Tu non puoi dimenticare
di essere nostro Padre.
Prendete/mangiate:
disponibile a noi
l’alleanza stipulata nel sangue di Cristo si estende a tutte le genti,
senza con ciò escludere Israele.
Marco non riduce tuttavia il resoconto della cena soltanto alle
formule dell’istituzione. Egli enuncia anche un senso ulteriore per la
riunione conviviale cristiana (v. 25): essa non è centrata soltanto su un
ricordo, ma deve sempre avere presente la prospettiva del compimento;
essa non è la cena definitiva, perché se anche adesso il Cristo risorto è
presente, il cristiano rimane in attesa di quel futuro in cui si compirà
l’essere «con Cristo» (cf. 1Ts 4,17); essa non è una sorta di futuro
anticipato, ma garanzia che il futuro troverà un compimento felice. In
questa prospettiva la chiesa celebra l’eucaristia come la comunione
conviviale che le è donata già qui da Dio, ma che è tutta aperta verso il
futuro: celebrando l’eucaristia noi ci riconosciamo chiesa che attende il suo
Signore e attestiamo nello stesso tempo il fatto che la sua mano è sempre
tesa verso di noi, come con Elia in cammino verso il monte di Dio (1Re
19,3-8).
 Mc 14, 22-26
22 Mentre
mangiavano
prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo
spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è
il mio corpo”.
23
Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne
bevvero tutti. 24 E disse: “Questo è il mio sangue, il
sangue dell’alleanza versato per molti.
25 In
verità vi dico che io non berrò più del frutto della
vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di
Dio”.
E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il
monte degli Ulivi.
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