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#1/2015 | il nuovo biotech made in italy alla ribalta - lincmagazine.it
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Il Magazine ManpowerGroup di Economia e Cultura del Lavoro
#1/2015 | Il nuovo biotech made in Italy alla
ribalta
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occupazione
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di Maurizio Di Lucchio
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imprenditori
PIL
Tutte le carte in regola per essere il Paese delle biotecnologie, l’Italia non le ha ancora. Ma leggendo i dati e
guardando alle start up più brillanti, almeno l’ambizione la si può coltivare: il Belpaese può diventare un punto di
riferimento per il biotech, un settore che crea occupazione, fa nascere nuove imprese e attrae grandi investimenti.
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SUCCESSIVO
«Fare impresa nel settore è complicato ma può portare a grandi
risultati», dice il venture capitalist Pierluigi Paracchi, che di Genenta
Science è Ceo e co-fondatore insieme agli scienzati Luigi Naldini e
Bernhard Gentner e all’Ospedale San Raffaele di Milano. «Il percorso
parte dalla ricerca. Si partecipa a bandi pubblici e si ottengono grant per
portare avanti il lavoro, che spesso finisce in una pubblicazione o, meglio
ancora, in un brevetto. A quel punto, o si cede la licenza del brevetto del
farmaco a una società già esistente o si crea un’azienda. Non è facile:
chi non è imprenditore – e spesso i ricercatori non lo sono – deve trovare
partner competenti e mettersi in cerca di finanziamenti milionari. Ecco
perché il biotech puro produce 3-4 start up "vere" all’anno».
tasse
lavoro
Qantas
L’ultimo rapporto dell’associazione di categoria Assobiotec, evidenzia che l’industria tricolore delle biotecnologie
fattura oltre 7 miliardi di euro e dà lavoro a 6.700 persone. In più, se ci si concentra solo sulle aziende neonate,
come segnala l’Osservatorio start up del Politecnico di Milano, tra le prime 10 exit (ovvero le vendite della
maggioranza di quote di un’azienda) messe a segno da start up italiane nel biennio 2013-14, ben 4 sono state
realizzate in ambito biotech: Gentium, che ha messo a punto un farmaco per curare una malattia epatica, rilevata
dall’irlandese Jazz per 1 miliardo di dollari; Eos, che ha sviluppato una molecola anticancro, acquistata
dall’americana Clovis per mezzo miliardo di dollari; Okairos (l’attuale ReiThera), che produce vaccini, comprata
da GlaxoSmithKline per 250 milioni; Intercept, che ha prodotto una molecola per aggredire alcune patologie al
fegato, quotata al Nasdaq. E ci sono realtà come Genenta Science, una start up che lavora all’utilizzo della
terapia genica contro i tumori, che nei primi mesi del 2015 ha ricevuto un investimento complessivo di oltre 10
milioni. Insomma, le scienze della vita si candidano come nuove punte di diamante del Made in Italy.
burocrazia
tagli
fiducia
Ma i motivi per pensare a una crescita ci sono tutti. A cominciare dalla qualità della ricerca biotech fatta in Italia.
Per esempio, secondo l’International Comparative Performance Index, i ricercatori italiani (solo l’1,1% di quelli
mondiali) hanno prodotto il 3,8% degli articoli scientifici a livello globale e il 6% delle citazioni, un livello –
quest’ultimo – sei volte superiore alla media dei Paesi occidentali, Usa compresi.
«Al netto delle carenze del sistema, tra cui la mancanza di venture
capital dedicati e di un meccanismo di trasferimento tecnologico
adeguato, i casi di imprese che ce l’hanno fatta negli ultimi anni
innescano un circolo virtuoso che porta a creare nuove aziende e spinge
gli stessi imprenditori di successo a investire in start up», afferma Luca
Benatti, Ceo di Erydel, uno spinoff dell’Università di Urbino nato nel 2008
dal lavoro dello scienziato Mauro Magnani, che ha realizzato una
tecnologia per utilizzare i globuli rossi come sistema di trasporto di
farmaci e diagnostici.
Da quest’idea la società, che nel 2014 ha ricevuto un investimento di 15
milioni, ha sviluppato un device medico e porta avanti progetti terapeutici
legati allo stesso dispositivo, tra cui uno che riguarda un trattamento per
l’atassia-teleangiectasia, una patologia neurologica rara.
Un’altra storia che dimostra il fermento del biotech tricolore è quella di Naicons, nata nel 2006, che si occupa di
ricerca, caratterizzazione e sviluppo di nuove molecole, in particolare antibiotici. La start up, che dal 2014 si è
trasferita nei laboratori dell’acceleratore biotech milanese Fondazione Filarete, ha ricevuto nel 2010 un grant di
oltre 4 milioni da Regione Lombardia e FP7 per l’avanzamento dei prodotti e un altro grant dall’agenzia
statunitense NIH. Anche il Ceo di Naicons, Stefano Donadio, è convinto che il Paese possa fare molto di più.
«L’Italia, per capacità imprenditoriale, competenze scientifiche e creatività, potrebbe svolgere un ruolo molto più
importante nel biotech». Nella scena biotech talvolta si include anche il biomedicale, che però è un settore
diverso. E anche nel medtech ci sono realtà promettenti.
Sempre in Fondazione Filarete, per esempio, ha sede Wise, una start up
fondata nel 2011 che mira a produrre e commercializzare elettrodi per
neuromodulazione di nuova generazione per la cura del dolore cronico e
per il monitoraggio preoperatorio dell’epilessia. Nel 2013 la società ha
chiuso un round di investimento di 1 milione. Per il Ceo Luca Ravagnan,
anche il medtech è un campo su cui scommettere.
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