www.novitafiscali.supsi.ch Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale N° 6 – giugno 2016 Politica fiscale Salari inviati spontaneamente al fisco?3 Il segreto bancario nella Costituzione federale a tutela della fiducia fra Cittadino e Stato I principi fondanti non vanno bistrattati Sfera privata finanziaria, un bene da proteggere Ogni persona con domicilio in Svizzera deve essere protetta nella sua sfera privata finanziaria Iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata”: un dannoso e ipocrita arcaismo Diritto tributario svizzero Imposta preventiva: inoltro tardivo della notifica Diritto tributario internazionale e dell'UE Lo scambio di informazioni fiscali in caso di dati rubati IVA e imposte indirette Disciplina doganale e sanzioni tra effettività, dissuasività e proporzionalità Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Reddito della sostanza vs. utile in capitale Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE Compatibilità della limitazione al credito per imposte estere prevista dall’articolo 165, comma 10 TUIR con il Diritto dell’UE Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario 4 8 10 12 13 15 18 39 42 46 49 Introduzione Novità fiscali 6/2016 Redazione SUPSI Centro di competenze tributarie Palazzo E 6928 Manno T +41 58 666 61 75 F +41 58 666 61 76 [email protected] www.novitafiscali.supsi.ch ISSN 2235-4565 (Print) ISSN 2235-4573 (Online) Redattore responsabile Samuele Vorpe Comitato redazionale Flavio Amadò Elisa Antonini Paolo Arginelli Sacha Cattelan Rocco Filippini Roberto Franzè Simona Genini Marco Greggi Giordano Macchi Giovanni Molo Andrea Pedroli Sabina Rigozzi Curzio Toffoli Samuele Vorpe Impaginazione e layout Laboratorio cultura visiva Uno dei temi centrali degli ultimi mesi è rappresentanto dall’evoluzione internazionale in ambito fiscale, in particolare per quanto attiene allo scambio d’informazioni. In quest’ottica si pone il quesito della tutela della sfera privata del cittadino in relazione ai suoi averi bancari e la possibilità dell’autorità fiscale di accedere a questa informazione. Considerato come dal 2017 (2018) quasi tutti i Paesi del mondo si sono impegnati a scambiarsi i dati bancari, la situazione in Svizzera resta forse un “unicum”: per il momento, le relazioni bancarie dei contribuenti residenti in Svizzera non sono accessibili all’autorità fiscale (se si escludono i casi penali). Il presente numero di NF affronta questa tematica riportando il dibattito politico sull’iniziativa popolare federale “Sì alla protezione della sfera privata”: si esprimono i consiglieri nazionali Giovanni Merlini, Marco Romano, Lorenzo Quadri, Marco Chiesa e Carlo Sommaruga. Sempre in tale ambito l’avv. Francesco Naef esamina in modo puntuale la problematica dello scambio d’informazioni fiscali quando la richiesta dello Stato estero si fonda su dati rubati, giustificando una posizione critica della Svizzera. Samuele Vorpe valuta positivamente la soluzione già adottata in alcuni Cantoni di obbligare i datori di lavoro a trasmettere spontaneamente i certificati di salario al fisco. Massimo Bianchi affronta la problematica sorta in relazione ad una giurisprudenza molto formale del Tribunale amministrativo federale e del Tribunale federale in ambito di rimborso di imposta preventiva e il conseguente inasprimento di prassi effettuato dall’Amministrazione federale delle contribuzioni, che le Camere federali intendono risolvere. Fabrizio Vismara tratta la disciplina doganale e le relative sanzioni a livello UE. Il numero si chiude con contributi giurisprudenziali da parte di Rocco Filippini (per la parte svizzera) e di Paolo Arginelli e Arianna Amigoni (per la parte italiana). Simona Genini Politica fiscale Salari inviati spontaneamente al fisco? Samuele Vorpe Responsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI Diversi Cantoni hanno introdotto questa misura nella loro legge per combattere l’evasione fiscale Ogni anno, insieme alla dichiarazione d’imposta, i contribuenti sono tenuti ad allegare una copia del certificato di salario indicante tutti i proventi da attività lucrativa dipendente (articolo 199 capoverso 1 della Legge tributaria ticinese [di seguito LT-TI]), siano essi conseguiti mediante un’attività principale o accessoria. Il contribuente deve fare tutto il necessario per consentire una tassazione completa ed esatta (articolo 200 capoverso 1 LT-TI). Se, però, il contribuente non allega il certificato di salario, l’autorità fiscale (dopo una diffida) è autorizzata a richiederlo direttamente al datore di lavoro (articolo 200 capoverso 3 LT-TI). È evidente che l’autorità fiscale per poter richiedere il certificato di salario al datore di lavoro deve poter conoscere le relazioni professionali, principali e accessorie, del contribuente. Nel caso in cui queste informazioni non fossero conosciute dall’amministrazione, allora il contribuente che omette di allegare il certificato, intenzionalmente o per negligenza, non verrebbe “scoperto” e commetterebbe una sottrazione d’imposta. Il fisco deve quindi aver almeno un sospetto fondato che il contribuente non abbia presentato il certificato di salario e conoscere il nome del datore di lavoro interessato, per poi poter ottenere le informazioni necessarie per una corretta e completa tassazione. Per combattere l’evasione fiscale non sarebbe allora più semplice che il datore di lavoro trasmettesse spontaneamente e per ogni periodo fiscale una copia del certificato di salario all’autorità fiscale? È quello che hanno pensato i diversi legislatori dei Cantoni di Berna, Lucerna, Friborgo, Basilea Città e Campagna, Vaud, Vallese, Neuchâtel e Giura (cfr. Amministrazione federale delle contribuzioni, Recueil informations fiscales, La procédure de taxation en matière d’impôts directs, Berna 2013, pagina 20), in cui i datori di lavoro sono obbligati per legge a trasmettere spontaneamente e direttamente all’autorità fiscale cantonale una copia del certificato di salario rilasciato ai dipendenti (si veda per esempio l’articolo 172 capoverso 1 lettera d della Legge tributaria bernese [di seguito LT-BE]). Articolo pubblicato il 14.06.2016 sul Giornale del Popolo Tale disposizione di questi Cantoni corrisponde all’articolo 203 capoverso 1 lettera d LT-TI, che disciplina l’obbligo dei terzi di “comunicare”, ovvero di “presentare un’attestazione all’autorità di tassazione, per ogni periodo fiscale”, con la differenza che la lettera d di questi Cantoni ha un campo di applicazione molto più esteso: mentre per esempio l’articolo 203 capoverso 1 lettera d LT-TI prevede l’obbligo solo per “i datori di lavoro che accordano partecipazioni di collaboratore ai loro dipendenti, sui dati necessari per la relativa tassazione”, l’articolo 172 capoverso 1 lettera d LT-BE fa riferimento a tutte le prestazioni del datore di lavoro. Oggetto dello scambio spontaneo sono tutti i proventi di un’attività dipendente, retta dal diritto privato o pubblico, compresi i proventi accessori, quali indennità per prestazioni straordinarie, provvigioni, assegni, premi di anzianità, gratificazioni, mance, tantièmes, vantaggi valutabili in denaro risultanti da partecipazioni di collaboratore e altri vantaggi valutabili in denaro, previsti dall’articolo 20 capoverso 1 LT-BE, così come i contributi sociali e previdenziali versati. Secondo dottrina autorevole una simile estensione dell’obbligo di comunicare dei datori di lavoro sarebbe conforme allo spirito della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (cfr. Zweifel Martin, in: Commentario alla LAID, N 2b ad Art. 45 LAID, pagina 754). Se anche il Canton Ticino si dovesse dotare dello strumento dello scambio spontaneo da parte di (tutti) i datori di lavoro sulle prestazioni lavorative dei dipendenti, per l’amministrazione sarebbe senz’altro più facile conoscere tutti i redditi del lavoro dei suoi contribuenti. Per maggiori informazioni: AFC, Recueil informations fiscales, La procédure de taxation en matière d’impôts directs, Berna 2013, in: https://www.estv.admin.ch/dam/ estv/fr/dokumente/allgemein/Dokumentation/Publikationen/dossier_ steuerinformationen/e/Das%20Veranlagungsverfahren%20bei%20den%20 direkten%20Steuern.pdf.download.pdf/e_veranlagungsverfahren_f.pdf [30.06.2016] 3 4 Politica fiscale Il segreto bancario nella Costituzione federale a tutela della fiducia fra Cittadino e Stato Giovanni Merlini Consigliere nazionale PLR L’iniziativa popolare federale “Sì alla protezione della sfera privata” (su cui dovranno ancora esprimersi le Camere federali) consente di riflettere non solo su una questione aspramente controversa a livello federale e internazionale – il segreto bancario –, ma anche sui valori liberali che devono continuare a configurare i rapporti fra Cittadino e Stato. Un’occasione per riparlare della ricetta del nostro benessere: la lunga tradizione liberale della Svizzera 1. I punti fermi dello Stato liberale 1.1. Perché riflettere sui valori? Anche in Svizzera viviamo con un rischio costante: dare per scontate alcune conquiste storiche del liberalismo, che accompagnano la nostra quotidianità. La supremazia della legge contro l’arbitrio, lo Stato di diritto, la limitazione dei poteri pubblici, il ruolo del federalismo nella democrazia semidiretta, le libertà individuali, il rapporto di fiducia tra Cittadino e Stato, eccetera, non sono mai conquiste definitivamente acquisite. Perciò occorre vigilare. Da qualche parte incombe sempre la minaccia che questo virtuoso assetto di poteri e contropoteri (checks and balances) perda definitivamente il suo delicato equilibrio. I danni che ne possono derivare sono incalcolabili. Uno sguardo attento alla Storia e alle controproducenti scelte politiche di Stati a noi vicini dovrebbero indurci a non ripetere certi errori, particolarmente nella politica fiscale e nell’adozione di strumenti “polizieschi” di controllo della disciplina del contribuente. Le tendenze in atto e l’implementazione forzata degli standard internazionali in tema di scambio di informazioni fiscali (scambio su richiesta, automatico e spontaneo) non impongono affatto all’interno del nostro Paese la rinuncia al segreto bancario e alla fiducia che ha sempre contraddistinto l’insieme delle relazioni tra contribuente e fisco, garantendo oltretutto uno dei più bassi tassi di evasione. Lo Stato liberale rispetta la sfera privata dei suoi cittadini, anche quella finanziaria, e ne viene perlopiù ripagato. Un vantaggio da conservare, additato ad esempio da Paesi che si sono invece pentiti di essersi avventurati nella giungla regolamentatrice, con eccessi di cui oggi pagano un altissimo scotto. 1.2. L’obiettivo dello Stato liberale La liberaldemocrazia contemporanea è il prodotto storico dell’irruzione sulla scena di un nuovo soggetto politico, il ceto della borghesia (sviluppatasi già nel XVII. secolo in Gran Bretagna e poi dal XVIII. secolo in Francia e nel resto d’Europa) con le sue lunghe lotte per il superamento dei vecchi vincoli feudali e dei privilegi della nobiltà fondiaria e per la limitazione del potere del monarca. Soltanto lo ius naturale in quanto diritto innato ad ogni individuo poteva preservare i sudditi dall’arbitrio e dagli abusi, garantendo la libertà della proprietà e il diritto alla vita e all’incolumità, dichiarati diritti inviolabili, al riparo dall’invadenza di colui che Thomas Hobbes aveva denominato il “Leviatano”. In buona sintesi, le organizzazioni statuali che ancora oggi si richiamano al metodo e ai valori del liberalismo non dovrebbero mai perdere d’occhio il “nord” della bussola nell’orientarsi tra le varie opzioni giuspolitiche che si pongono. Sempre meglio poche regole, ma chiare ed applicabili. E, come ammoniva Montesquieu, se una legge non è strettamente necessaria, è necessario rinunciarvi. 1.3. I princìpi cardine dello Stato liberale La limitazione dell’azione statale e la libertà individuale devono poggiare su un patto sociale chiaro. In questo ambito gioca un ruolo indispensabile il rapporto di fiducia fra il Cittadino e lo Stato, proprio allo scopo di scongiurare un contesto di diffidenza e antagonismo tra individui e autorità. Il che significa che deve valere la presunzione giuridica secondo cui il Cittadino va ritenuto corretto fino a prova contraria. L’onere della prova dell’eventuale inosservanza delle regole spetta all’autorità pubblica competente; in caso contrario ci ritroveremmo nella Repubblica del sospetto, dei processi alle intenzioni, e si sgretolerebbe qualsiasi sano rapporto di fiducia tra le parti. Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 1.4. Gli effetti della cultura del sospetto Dove lo Stato non si fida dei suoi Cittadini, i risultati sono tutt’altro che confortanti. Non v’è alcun esempio concreto di Stato ficcanaso in cui si sia potuto inverare un tessuto sociale ed economico vitale e soprattutto leale verso le istituzioni. Anzi, quanto più lo Stato è invadente, tanto più esso fa scattare meccanismi di autodifesa da parte dei Cittadini, che spesso si traducono nel mancato rispetto di regole vissute come sempre più asfissianti e nell’elusione di un fisco sempre più gravoso. 2. Genesi e crisi del segreto bancario in Svizzera 2.1. Le origini del segreto bancario Lo strumento giuridico del segreto bancario svizzero è stato codificato in Svizzera all’inizio degli anni trenta del secolo scorso, con l’introduzione in particolare dell’articolo 47 della Legge federale sulle banche e le casse di risparmio (di seguito LBCR), il cui scopo primario consisteva nel tutelare la riservatezza degli istituti bancari nei confronti dei clienti. La codificazione di tale principio non fu però una rivoluzione, poiché già prima il diritto privato svizzero imponeva l’obbligo della segretezza per quanto concerne gli operatori delle banche. Anzi, già oltre tre secoli fa la Svizzera garantiva la custodia segreta dei patrimoni dei re di Francia e di coloro che volevano sfuggire alle confische arbitrarie del proprio Stato. Il segreto bancario di cui è titolare beneficiario il cliente e non la banca, è dunque innanzitutto un sistema di tutela del singolo individuo dalla tendenziale pervasività dello Stato e della sua amministrazione pubblica (si pensi anche ai patrimoni detenuti nel nostro Paese da cittadini ebrei residenti in Germania durante l’ascesa del regime nazionalsocialista). Cionondimeno va riconosciuto che, purtroppo, questa stessa protezione della sfera privata è stata anche oggetto di ripetuti abusi a fini elusivi, pianificati nei dettagli da istituti e da specialisti del ramo, gettando un ingiustificato discredito generale sull’intera piazza finanziaria. 2.2. Le picconate al segreto bancario svizzero Non sorprende che l’attacco sferrato al segreto bancario, da tempo nel mirino di alcuni Stati, si sia accentuato con la crisi finanziaria internazionale del 2008. L’economia europea in difficoltà, le note fughe di dati riservati, alcuni clamorosi scandali inerenti a depositi bancari e la necessità di molti governi di trovare nuove entrate fiscali hanno aumentato la pressione sul segreto bancario svizzero. Inoltre il Consiglio federale – così come alcuni istituti bancari stessi – ha dovuto far fronte alle richieste e agli ultimatum di potenze economiche e politiche come gli Stati Uniti d’America, compiendo una scelta storica con la “Weissgeldstrategie” che ha comportato l’abbandono graduale del segreto bancario per riorganizzare e rilanciare il settore finanziario svizzero. Tuttavia, il governo federale si è mosso con discutibile precipitosità e manifesto eccesso di zelo nell’esaudire le richieste estere, rinunciando alla necessaria fermezza e autorevolezza contrattuale a tutela del mondo bancario svizzero. 3. Paradisi fiscali e segreto bancario: quali differenze? 3.1. Occorre distinguere Secondo alcuni Stati (e fino a poco tempo fa anche secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico [di seguito OCSE]) la Svizzera sarebbe un paradiso fiscale, benché de iure e de facto non lo sia affatto. Un paradiso fiscale attira e accetta capitali stranieri, senza chiedersi se la loro provenienza sia lecita o illecita e senza curarsi di chi sia il loro beneficiario economico. Quale controprestazione offre una fiscalità bassa o persino nulla, garantendo la massima segretezza sui dati personali degli interessati. L’ordinamento giuridico svizzero è per contro caratterizzato dal principio “Know Your Customer” (conosci il tuo cliente) che impone agli intermediari finanziari di accertare la provenienza dei fondi in occasione dell’apertura di nuove relazioni. 3.2. Gli standard OCSE L’OCSE considera uno Stato quale paradiso fiscale se, per l’assenza di trasparenza sulle transazioni finanziarie e sulla comunicazione con le altre nazioni, favorisce le organizzazioni criminali. La Svizzera, oltre a collaborare con le autorità straniere in caso di assistenza giudiziaria, ha adottato la Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo (di seguito LRD), che ha lo scopo di evitare – insieme alla legislazione penale, come l’articolo 305bis del Codice penale (di seguito CP) – che capitali illeciti circolino nel sistema finanziario ed economico, anche grazie a disposizioni particolari, come ad esempio l’articolo 9 LRD, che obbliga l’istituto finanziario ad informare l’Ufficio delle comunicazioni in materia di riciclaggio di denaro in caso di sospetti fondati sulla provenienza illecita dei fondi[1]. Ciononostante, alcuni Stati insistono a torto nel ritenere la Svizzera un paradiso fiscale, causando non poche difficoltà ai nostri operatori. 4. Le basi legali del segreto bancario attualmente in vigore 4.1. La situazione oggi Come già anticipato, la base legale del principio del segreto bancario è implicitamente prevista dall’articolo 47 LBCR, che prevede una detenzione fino ad un massimo di tre anni o una pena pecuniaria per colui che, intenzionalmente, rivela un segreto – confidatogli o di cui ha avuto conoscenza – in qualità di organo, impiegato, mandatario o liquidatore di una banca o di una società d’audit o incita terzi a violare il segreto professionale. Attualmente, però, il segreto bancario non è ancorato a livello di Costituzione federale. La protezione del segreto bancario implica un accenno allo scambio d’informazioni. Nel 2009 la Svizzera ha ripreso l’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni (M-OCSE), che permette l’assistenza amministrativa su richiesta in ambito fiscale tra Stati. La clausola di assistenza amministrativa nelle singole convenzioni per evitare 5 6 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 le doppie imposizioni (CDI) fissa la base di diritto materiale per lo scambio d’informazioni su domanda tra la Confederazione e lo Stato terzo; la procedura è stata regolamentata tramite la Legge federale sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale (LAAF)[2]. capoverso 4 lettera b Cost.). Sarà comunque un tribunale a decidere se sussiste un sospetto fondato ai sensi di quanto sopra (articolo 13 capoverso 5 Cost.). Queste disposizioni si applicano per analogia anche alla trasmissione di informazioni relative alle imposte indirette (articolo 13 capoverso 6 Cost.). Con l’adozione di questa normativa, i Paesi dell’OCSE hanno intensificato la loro pressione sulla Svizzera affinché la Confederazione aprisse poi le porte anche allo scambio automatico d’informazioni. La possibilità di richieste raggruppate è stata approvata dall’OCSE nel 2012, ripresa dalla legge federale approvata dalle Camere federali nel marzo del 2014. Il Consiglio federale è contrario all’iniziativa, poiché pretende fissare “nella Costituzione un diritto che genererebbe una protezione del cittadino superiore a quella che risulterebbe da una semplice garanzia del segreto bancario in materia fiscale”. Dunque, gli effetti reali si spingerebbero oltre agli obiettivi citati dagli iniziativisti[5]. 4.2. L’evoluzione in atto Oggi, a livello federale, lo scambio automatico d’informazioni gode di una base legale. Nel 2015, la Svizzera ha firmato con l’Unione europea (UE) un accordo di massima e, in seguito, il Consiglio federale si è attivato per attuarlo tramite varie modifiche legislative. La più importante (accettata dalle Camere federali il 18 dicembre 2015) concerne la nuova Legge federale sullo scambio automatico internazionale di informazioni in materia fiscale (LSAI)[3] , che condurrà alla scomparsa del segreto bancario per i cittadini stranieri residenti in Svizzera dal 2018, mentre per i cittadini svizzeri residenti sarà ancora garantito. 5.2. Quali conseguenze sul piano interno? Il Consiglio federale non ritiene opportuno iscrivere nella Costituzione federale il diritto alla protezione della sfera privata finanziaria, poiché esso rientra nella nozione generale di protezione della privacy, già sancita all’articolo 13 Cost. e all’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), così come dalla Legge federale sulla protezione dei dati (di seguito LPD). Secondo il Governo, quindi, le disposizioni legali attualmente in vigore garantiscono sufficientemente il diritto fondamentale alla privacy in maniera esaustiva. Va infine ricordato che, secondo la giurisprudenza del Tribunale amministrativo federale sulla Legge federale sulle borse e il commercio di valori mobiliari (di seguito LBVM), se l’autorizzazione all’assistenza era stata accordata conformemente al vecchio articolo 38 LBVM (non più in vigore), la parte in causa non può prevalersi del segreto bancario[4]. 5. L’iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata” 5.1. L’obiettivo dell’articolo costituzionale Con la modifica dell’articolo 13, l’iniziativa popolare federale vuole ancorare nella Costituzione federale (di seguito Cost.) la nozione generale di protezione della sfera privata finanziaria, in particolare del segreto bancario in materia fiscale in Svizzera, proteggendo i cittadini dallo “Stato ficcanaso”. L’iniziativa prevede la creazione di un regime giuridico secondo il quale un’autorità può ottenere informazioni sulla persona (fisica o giuridica, domiciliata o con sede in Svizzera) da terzi solo con il suo consenso. Inoltre, l’iniziativa pone determinate condizioni al fine di permettere all’autorità fiscale di ottenere informazioni da terzi anche contro la volontà dell’interessato, derogando alla protezione della sfera privata finanziaria: sarà possibile solo nell’ambito di un procedimento penale e in presenza del fondato sospetto che per commettere una sottrazione d’imposta si sia fatto uso, a scopo d’inganno, di documenti falsi, alterati o contenutisticamente inesatti, quali libri contabili, bilanci, conti economici o certificati di salario o altre attestazioni di terzi (articolo 13 capoverso 4 lettera a Cost.); oppure laddove vi sia il fondato sospetto di sottrazione intenzionale e continuata di un’importante somma d’imposta oppure assistenza o istigazione a tale atto (articolo 13 Secondo il Governo, in caso di approvazione popolare dell’iniziativa, per i cittadini non cambierebbe nulla. Secondo il diritto attualmente in vigore le autorità possono già ottenere informazioni da terzi nei casi previsti dalla legge e non potrebbero in ogni caso rendere pubblici tali dati, poiché le autorità sono già vincolate al segreto d’ufficio e al segreto fiscale. La protezione della sfera privata finanziaria sarebbe quindi sufficientemente garantita. Il Consiglio federale ritiene inoltre che le conseguenze giuridiche dell’iniziativa andrebbero al di là della semplice iscrizione del segreto bancario nella Costituzione federale, peraltro già rifiutata dal Parlamento federale così come la richiesta di abolire tale principio[6]. 5.3. Quali conseguenze sul piano esterno? Sul piano esterno, secondo il Governo l’iniziativa non avrà conseguenze particolari sulle richieste di assistenza da parte di Stati esteri e la loro esecuzione da parte della Confederazione. In particolare però, il Consiglio federale teme che vi sia un peggioramento delle relazioni internazionali, giacché è convinto che l’accettazione dell’iniziativa sulla protezione della sfera Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 privata sarebbe recepita dalla Comunità internazionale come un “cattivo segnale” nell’ambito della lotta degli Stati all’evasione fiscale, nonostante il Parlamento abbia proprio recentemente adottato la Legge federale d’attuazione delle Raccomandazioni del Gruppo d’azione finanziaria[7] , in particolare con l’introduzione nel nuovo articolo 305ter CP che contempla anche la frode fiscale quale reato a monte del riciclaggio. 6. Iniziativa o controprogetto diretto? 6.1. Una questione di principio Di fronte a una strisciante e perniciosa tendenza al controllo statale, occorre ribadire alcuni principi fondamentali. Non già a difesa degli evasori fiscali, i quali vanno sanzionati con gli strumenti legislativi esistenti e in fase di affinamento, bensì a tutela del rapporto di fiducia fra Cittadino e Stato. L’iniziativa stessa prevede per altro, come illustrato appena sopra, la possibilità della trasmissione di dati bancari all’autorità fiscale in casi particolari e su ordine di un magistrato. La pressione degli Stati sul nostro Paese non è una crociata etica. È piuttosto una loro modalità “muscolosa” di accedere [1] Foglio federale 1996 III 994. [2] Foglio federale 2011 5588. [3] Foglio federale 2015 4593. [4]Sentenza TAF n. B-2460/2015 consid. 3.4.3; DTAF 2010/26 consid. 5.5.2 e referenze citate. [5] Foglio federale 2015 5776. [6] Foglio federale 2015 5791. [7] Foglio federale 2015 5792. a nuove risorse finanziarie, senza rivedere le politiche fiscali e di accertamento che hanno creato i loro gravi problemi di gettito. La Svizzera non ha alcuna necessità di abbandonare a livello interno la sua tradizione liberale nell’approccio alla sfera privata (e quindi anche finanziaria) del Cittadino, per conformarsi a un trend internazionale caratterizzato invece da una logica inquisitoria, che da una parte arrecherebbe un ulteriore danno di immagine alla nostra piazza finanziaria, e dall’altra non consentirebbe più di mantenere la lealtà nei rapporti fra Cittadino e Stato. Recentemente la Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio nazionale ha deciso di elaborare un controprogetto diretto all’iniziativa, dimostrando con ciò di percepire l’importanza politica di una più efficace tutela della sfera privata e finanziaria dei cittadini. Al momento di terminare questo contributo non mi è ancora noto il contenuto del controprogetto che verrà messo in consultazione. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.protezione-sfera-privata.ch/images/s2dlogo.gif [30.06.2016] http://www.laregione.ch/sites/default/files/uploads/files/2016/01/TiPress_ 220181(5).jpg [30.06.2016] 7 8 Politica fiscale I principi fondanti non vanno bistrattati Marco Romano Consigliere nazionale PPD L’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata” è servita e servirà a fermare pericolose derive L’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata” vuole, cito il sito internet dei promotori, “iscrivere nella Costituzione federale svizzera la protezione della sfera privata, in particolare la protezione delle relazioni finanziarie, affinché la nostra libertà rimanga garantita e noi al sicuro dagli impicciamenti e dagli abusi” [1]. Il comitato nazionale promotore è interpartitico e annovera membri di tutti i partiti borghesi, soprattutto UDC, PLR e PPD. Quel periodo, non ancora terminato se pensiamo all’implementazione dello scambio automatico, resterà nella storia come un’era di cambiamenti radicali che hanno toccato direttamente anche la Svizzera, realtà fortemente interconnessa. Personalmente, non risparmiando qualche critica a chi avrebbe potuto esigere maggiore rispetto per i principi democratici e i fondamenti istituzionali del nostro Paese, ritengo che oggi non serva a nulla recriminare sul passato. Gli attori principali del sistema, penso alle banche medesime, sono stati primattori della riforma. Il presente e il futuro sono tutti da designare, la piazza finanziaria elvetica ha numerose carte da giocare e la Svizzera nel complesso rappresenta ancora una realtà istituzionale e socioeconomica di prim’ordine a livello globale. Tutto questo va messo strettamente in relazione a questa iniziativa popolare federale. Se nell’ottica dell’internazionalità della piazza finanziaria si sono dovuti accettare e implementare determinati standard minimi, così come risolvere le “pendenze del passato”, questo non può tuttavia rappresentare un grimaldello per rivoluzionare nel complesso anche i princìpi fondanti del nostro Stato. L’iniziativa ha raccolto 117’531 firme valide ed è stata presentata il 25 settembre 2014. L’inizio della raccolta firme, a metà del 2013, coincideva con gli anni turbolenti di reimpostazione totale – direi quasi rivoluzione – della piazza finanziaria elvetica. Eravamo nella fase avanzata di un percorso ad oggi incontrovertibile, contraddistinto dalla Weissgeldstrategie, dalla “doppia morale” da parte di numerosi Stati europei, i ricatti da parte degli Stati Uniti d’America, dalla fine del segreto bancario per i capitali stranieri depositati in Svizzera. Un gran numero di Stati europei e occidentali necessitava di risorse fiscali per finanziare un welfare divenuto insostenibile. Incapaci di migliorare la performance dei propri sistemi fiscali hanno cercato e trovato in Svizzera nuove risorse imponibili. La Svizzera è uno Stato liberale e federalista, garante di autonomia, rispetto per la sfera privata e per la libertà personale. Nel modello di successo svizzero, lo Stato non è “ficcanaso”. Non ha soprattutto a livello fiscale un approccio poliziesco come nei Paesi limitrofi. Il desiderio di avere “cittadini trasparenti” è un auspicio di una forza minoritaria del Paese. La Svizzera non deve seguire la tendenza internazionale volta al totale controllo da parte dello Stato in tutti gli ambiti della quotidianità e allo sviluppo di cittadine e cittadini “di vetro”. Sono derive pericolose, dettate da una morale ideologica, fondate spesso su pregiudizi e invidie, che mettono seriamente a repentaglio il rapporto, basato su responsabilità e fiducia, tra lo Stato e il Cittadino. Questa iniziativa è utile a escludere il rischio di vedere traslato a livello interno il medesimo approccio che contraddistingue le piazze finanziarie vicine o i medesimi princìpi che le regolano. Nello specifico penso all’inopportuna e inutile volontà di abrogare il segreto bancario anche per i cittadini residenti oppure all’auspicio ventilato dalla Conferenza dei direttori cantonali delle finanze (CDCF) di avere accesso diretto ai dati bancari Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 dei clienti residenti. Il primo progetto è per fortuna già stato messo in un cassetto (si spera ben chiuso a chiave), mentre il secondo è un progetto politico per ora fortemente minoritario. Partner dello Stato in ambito fiscale sono i cittadini e non gli istituti finanziari. Proprio a causa di queste tendenze, che politicamente e istituzionalmente definirei derive, gli iniziativisti vogliono ancorare nella Costituzione federale la protezione della sfera privata finanziaria. Essa è, e deve, essere un elemento importante del rapporto di fiducia e responsabilità tra lo Stato e il Cittadino. L’iniziativa popolare federale, nella sua fase di raccolta firme e deposito, ha già certamente giocato un ruolo centrale, facendo desistere il Consiglio federale dall’abolire il segreto bancario per i residenti. Se ad oggi il moto sembra essere placato, il domani è comunque incerto. A causa dei descritti sviluppi politici e legislativi è quindi necessario e politicamente [1] Si veda il sito internet: http://www.protezione-sfera-privata.ch [30.06.2016]. opportuno precisare e completare quanto contenuto nella Costituzione federale. Proprio in quest’ottica ho deciso di sostenere l’iniziativa. Sono cosciente che vi sono degli aspetti critici e per questo auspico che si trovi un compromesso per realizzare un controprogetto mirato ed efficace. In un’era della comunicazione globale, della digitalizzazione di ogni tipo di informazione, ricordando la responsabilità del singolo, occorre che lo Stato sia un attore nel quale riporre fiducia e rispetto, e non un’entità di cui diffidare poiché bramosa di ogni tipo di informazione da utilizzare nel proprio interesse. Di conseguenza: Sì alla protezione della sfera privata! Elenco delle fonti fotografiche: http://www.fuoriluogo.it/blog/wp-content/upload/svizzera-bandiera.jpg [30.06.2016] 9 10 Politica fiscale Sfera privata finanziaria, un bene da proteggere Lorenzo Quadri Consigliere nazionale Lega dei ticinesi L’iniziativa popolare federale denominata “Sì alla protezione della sfera privata” mira a introdurre nella Costituzione federale la protezione della “sfera privata finanziaria”, ciò tramite la modifica dell’articolo 13 (Protezione della sfera privata). Si tratta, in sostanza, di inserire il segreto bancario dei residenti in Svizzera nella Costituzione federale 1. Il precedente L’iniziativa è stata lanciata nel giugno del 2013, ma l’idea di mettere al sicuro il segreto bancario ancorandolo nella Carta fondamentale è precedente. Quattro anni prima infatti, su impulso di Giuliano Bignasca, la Lega dei ticinesi lanciò un’iniziativa che chiedeva di inserire il segreto bancario in generale (quindi non solo quello degli svizzeri) nella Costituzione federale svizzera. Già allora si avvertivano infatti le avvisaglie delle pressioni internazionali – ipocrite, interessate, ed ammantate di finto moralismo – di cui la Svizzera sarebbe diventata bersaglio. Ma, soprattutto, era prevedibile l’intenzione della maggioranza politica di genuflettersi a tali pressioni. 2. Sufficientemente tutelato? Tuttavia l’iniziativa promossa dalla Lega dei ticinesi non riuscì a raccogliere le sottoscrizioni necessarie alla sua riuscita, poiché nessun partito nazionale la volle sostenere. L’argomento addotto fu il seguente: “il segreto bancario è già sufficientemente tutelato”. Quanto fosse “sufficientemente tutelato” lo ha dimostrato la cronaca successiva. Infatti è stato smantellato senza contropartita. Quei Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti d’America (di seguito USA), che sono partiti all’assalto della piazza finanziaria svizzera (con l’ovvio scopo di indebolirla a proprio vantaggio), da parte loro non si sono nemmeno lontanamente sognati di creare, in casa propria, quella trasparenza che hanno invece imposto ad altri col ricatto. Sicché gli USA sono oggi il più grande paradiso fiscale del mondo. Però, chissà come mai, non finiscono su nessuna lista nera o grigia redatta da servili organizzazioni internazionali prive di legittimità democratica. 3. Inversione di rotta Nel mentre che si consumava, senza resistenza alcuna, la capitolazione sulla privacy bancaria dei clienti esteri, quelle stesse forze politiche borghesi secondo le quali introdurre il segreto bancario nella Costituzione federale sarebbe stato un atto inutile in quanto “la tutela attuale è sufficiente”, si sono prodotte nel più classico dei salti della quaglia. Un’operazione che, nel concreto, ha assunto la forma di un “copia-incolla”. Hanno dunque ripreso e rimaneggiato l’iniziativa leghista, quella che avevano irriso solo qualche anno prima, riproponendola nel tentativo di salvare quella parte della privacy finanziaria che ancora non era stata irresponsabilmente rottamata. 4. Il Consiglio federale non convince Inutile dire che il Consiglio federale si è espresso negativamente sull’iniziativa. Non ha nemmeno ritenuto di proporre un controprogetto. Le sue motivazioni però non convincono. Gli argomenti sollevati sono sostanzialmente due. Il primo è quello già sentito – e già clamorosamente smentito dai fatti: ossia che la tutela attuale “è sufficiente”. Il secondo è che una norma di questo genere potrebbe provocare problemi (?) a livello internazionale. Questa seconda giustificazione è certamente più realistica della prima. Rimane però inaccettabile: mette nero su bianco la manifesta inclinazione del Consiglio federale ad inginocchiarsi alle pressioni estere ancora prima che vengano formulate. Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 5. Sotto attacco L’iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata” è necessaria. L’ex ministra delle finanze on. Eveline Widmer-Schlumpf, dopo aver dichiarato pubblicamente che “il segreto bancario per gli svizzeri non è in discussione” ha tentato di farne passare l’abolizione in Consiglio federale. Non ci è riuscita e, nel frattempo, non siede più in Governo. Tuttavia non mancheranno altri tentativi. Uno è già arrivato a fine aprile. In occasione della sessione speciale del Consiglio nazionale, il Partito socialista ha infatti tentato di intrufolare tra gli obiettivi della legislatura 2015-2019 anche l’abolizione del segreto bancario per gli svizzeri. Pure questo tentativo è andato a vuoto. Ma per quanto? 6. Uno spiraglio? Eppure qualche segnale positivo c’è. Nelle scorse settimane, la Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio nazionale (CET-N) si è espressa a favore di un controprogetto diretto all’iniziativa per la protezione della sfera privata, con sempre l’obiettivo della tutela costituzionale del segreto bancario degli svizzeri. Questa è sicuramente un’evoluzione positiva. Anche se, è chiaro, l’ultima parola spetterà al Popolo. Il quale, c’è da sperarlo, non si farà abbindolare dalle rassicurazioni farlocche del Consiglio federale. Elenco delle fonti fotografiche: http://ilpaese.ch/wp-content/uploads/Consiglio-nazionale-704x400.jpg [30.06.2016] 11 12 Politica fiscale Ogni persona con domicilio in Svizzera deve essere protetta nella sua sfera privata finanziaria Marco Chiesa Consigliere nazionale UDC L’iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata” garantirà costituzionalmente ciò che sino a ieri era felicemente considerato ovvio: il diritto di ogni persona alla protezione della propria sfera privata L’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata”, promossa da ambienti borghesi, mira ad ancorare nella Costituzione federale (di seguito Cost.) il segreto bancario per le persone residenti in Svizzera ed evitare che il fisco si trasformi in futuro in un organo di polizia. Il Governo teme che questa modifica costituzionale, presentata con ben 117’531 firme valide a sostegno, possa ostacolare la corretta riscossione delle imposte di Confederazione, Cantoni e Comuni, compromettere la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, ma anche gli sforzi per allinearsi agli standard internazionali. Il Consiglio federale, e in particolare l’ex ministra delle finanze on. Eveline Widmer-Schlumpf, si è molto speso per cercare di dimostrare che questa iniziativa volta a tutelare la sfera privata dei cittadini svizzeri non è necessaria. A suo dire la protezione dalle intrusioni dello Stato, e in particolare dal fisco, è garantita sia dall’attuale articolo 13 Cost., sia dal segreto bancario iscritto nella Legge federale sulle banche e le casse di risparmio (LBCR). Già oggi dunque le autorità fiscali non possono ottenere informazioni dalle banche su un contribuente, a meno che non sia in corso un procedimento penale. Tutto inutile, tutto insensato, dunque? Certo che no! Il nostro Paese ha sempre conosciuto un rapporto particolarmente stretto tra protezione della sfera privata e libertà personale. Lo Stato si fida dei cittadini e ne riceve in ritorno un comportamento corretto. Per questo motivo la Svizzera si distingue nel confronto internazionale per una grande onestà fiscale della popolazione. Ma oggi la protezione della sfera privata non è più garantita, bensì è in pericolo. Sotto le pressioni provenienti dall’estero, il Consiglio federale rinuncia passo a passo alla difesa di questo principio. E questa deriva deve essere immediatamente fermata. Ogni persona con domicilio in Svizzera deve essere protetta nella sua sfera privata finanziaria in particolare dalle autorità nazionali. Nessuna protezione per evasori e frodatori fiscali! L’iniziativa non protegge né gli evasori, né i frodatori fiscali. Il completamento dell’articolo 13 Cost. è chiarissimo in questo senso. Nell’ambito di un procedimento penale, se sussiste il sospetto fondato che per commettere una sottrazione d’imposta si sia fatto uso, a scopo d’inganno, di documenti falsi, alterati o contenutisticamente inesatti, quali libri contabili, bilanci, conti economici o certificati di salario e altre attestazioni di terzi o se sussiste il sospetto fondato di sottrazione, intenzionale e continuata, di un’importante somma d’imposta oppure di assistenza o istigazione a tale atto, terzi sono autorizzati a fornire alle autorità informazioni su una persona domiciliata o avente sede in Svizzera anche senza il consenso alla comunicazione. Con l’iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata”, sarà garantito costituzionalmente ciò che finora era considerato ovvio: il diritto di ogni persona alla protezione della propria sfera privata ma senza creare alcun velo di opacità che possa permettere a nessuno di farla franca in caso di reato. Le basi del nostro segreto bancario devono essere cementificate. Immediatamente. La riformulazione dell’articolo 13 Cost. non farà nient’altro che ribadire la nostra convinzione che il rapporto di fiducia tra Stato e Cittadino non è in discussione e non può essere messo sotto pressione da parte di nessun attore, neppure estero. Elenco delle fonti fotografiche: ht tp://w w w.swissbanking.org/bankkundengeheimniss-banner.png [30.06.2016] Politica fiscale Iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata”: un dannoso e ipocrita arcaismo Carlo Sommaruga Consigliere nazionale PS Con la sua iniziativa, la destra svizzera invia un messaggio perverso agli evasori: rimanete nascosti nel sottobosco dell’illegalità, il tempo di iscrivere nel marmo della Costituzione federale una norma che vi metterà al riparo dal fisco Non passa un mese senza che la Svizzera venga citata in uno scandalo bancario. Quello argentino con il caso di Lazaro Baez, imprenditore legato a doppio filo alla famiglia della presidente Cristina Kirchner. Quello brasiliano con i milioni di dollari della Petrobras distribuiti a gran parte della classe politica. L’ultimo in data, quello malese, con fondi della società pubblica 1MDB riapparsi qui da noi e che fanno colare a picco la più vecchia banca della Svizzera italiana. Al di là di questi scandali legati all’accettazione, senza scrupoli – malgrado tutte le denegazioni dei CEO delle banche coinvolte, a cui più nessuno crede – degli ingenti fondi provenienti dalla corruzione, c’è anche da sottolineare che le banche svizzere sono ancora e sempre messe in causa in scandali legati all’evasione fiscale. Certi grandi titoli della stampa internazionale, se fanno riferimento a informazioni scoperte di recente, concernono fatti che risalgono a qualche anno fa, un’epoca quasi preistorica considerando la velocità di trasformazione del paesaggio giuridico internazionale in materia di segreto bancario e di comunicazione di dati bancari al fisco di Paesi terzi e soprattutto quello svizzero dal famoso venerdì 13 marzo 2009, quando il Consigliere federale on. Hans-Rudolf Merz, sotto la minaccia internazionale di far figurare il nostro Paese sulla black list dei paradisi fiscali, annunciò l’allineamento della Svizzera alle esigenze dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (di seguito OCSE). Purtroppo, malgrado il cambio di paradigma internazionale, la scoperta di migliaia di dati e le inchieste mondiali correlate che portano il nome di Panama Papers, LuxLeaks, OffshoreLeaks o SwissLeaks, hanno mostrato ancora di recente come l’opacità finanziaria mondiale legata al segreto bancario svizzero, ma anche a quello professionale degli avvocati, permette alle imprese multinazionali, come alle più grandi fortune del mondo, anche svizzere se si pensa ai conti offshore in Lussemburgo della ditta Schneider Amman, di non pagare le imposte in casa propria e quasi niente all’estero. Siamo di fronte ad un mostro che ingoia le risorse essenziali degli Stati e dei cittadini, che li obbliga a coprirsi di debiti, scatenando altissime tensioni sociali, oggi in Francia, domani forse in Italia o in Spagna, dopo aver messo in ginocchio la Grecia. I Popoli non sopportano più i privilegi auto-concessi dei cittadini fortunati e delle società multinazionali con i quali queste due categorie di contribuenti fiscali non partecipano più in giusta e proporzionata misura allo sforzo pubblico per il benessere dell’insieme delle cittadine e dei cittadini. Sempre più, appare a noi tutti, piccoli cittadini che paghiamo le nostre imposte fino all’ultimo centesimo, in maniera più che evidente, specialmente grazie al coraggio dei whistleblower della finanza, che bisogna qui lodare, che l’opacità finanziaria e fiscale profitta in modo antidemocratico ad un’alta casta finanziaria, crea distorsioni economiche e sociali, e predispone all’inganno politico mettendo in pericolo la fiducia necessaria nel mondo politico (si pensi ai conti occulti del primo ministro islandese, e alle rivelazioni che coinvolgono il presidente ucraino, il primo ministro britannico così come quello pakistano). Di fronte a questa dislocazione morale – dove il principio cardinale del rispetto della legge è sopraffatto dalla cupidigia dei più potenti e da banchieri assetati da bonus multimilionari – gli Stati, come evocato, si sono progressivamente impegnati a fare trasparenza, nel rispetto delle loro leggi, per una migliore giustizia fiscale e naturalmente per l’incasso effettivo delle imposte dovute. Chi, individualmente, con il modo rapido e brutale dello sceriffo, è il caso degli Stati Uniti d’America, 13 14 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 prima con le procedure penali contro le banche svizzere e estere, poi imponendo il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) a tutto il mondo, o chi, collettivamente più lentamente, in uno spirito di collaborazione internazionale, come l’Unione europea (di seguito UE) o l’OCSE, con l’elaborazione di regole fiscali sulla collaborazione amministrativa internazionale applicabili in modo uguale a tutti, come lo scambio automatico d’informazioni. L’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata”, detta “Iniziativa Matter”, dal nome del suo autore dell’UDC zurighese come il controprogetto elaborato dalla Commissione dell’economia e dei tributi (CET) del Parlamento e messo di recente in consultazione, vanno chiaramente nella direzione opposta rispetto all’irreversibile movimento internazionale di trasparenza fiscale, che sgretola, grazie ai Panama Papers, il bastione panamense. Questa iniziativa si propone di inserire a livello costituzionale, non la protezione generale della sfera privata, già garantita dai diritti fondamentali che figurano da anni nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e nella Costituzione federale, bensì la protezione della “sfera privata finanziaria”, quella che viene proprio smantellata a livello internazionale, per ragioni di abuso sistematico. L’iniziativa e il controprogetto non sono altro che strumenti locali di retroguardia a favore dell’opacità fiscale, limitata ai residenti in Svizzera riguardo al fisco svizzero. In altri termini, con l’iniziativa si imbocca il cammino inverso a quello della Comunità internazionale (OCSE, UE, G20). Dietro il titolo ingannevole dell’iniziativa della destra unita, UDC, PLR e PPD, c’è dunque la volontà di fare perdurare in Svizzera, a livello costituzionale, una vergognosa ipocrisia e un arcaismo nefasto. Ipocrisia, perché se l’iniziativa popolare federale passasse l’ostacolo delle urne, imporrebbe di chiudere gli occhi sull’importante evasione fiscale domestica, contestata dagli inetti promotori dell’iniziativa con il preteso legame (culturale) speciale di fiducia fiscale tra il contribuente svizzero e le amministrazioni cantonali e federali delle finanze, ma fattualmente confermata dai molti casi di evasione fiscale venuti a galla di colpo in Svizzera dopo l’autodenuncia esente da pena. Infatti, dal 2010 al 2014 più di 19’000 autodenunce esenti da pena sono pervenute al Dipartimento federale delle finanze (DFF) da tutti i Cantoni. Eticamente, la protezione della sfera privata dovrebbe saldare un legame di fiducia stretto tra Stato e cittadini. Apriamo gli occhi: le 19’000 autodenunce di cittadini provano che questo legame è spesso, troppo spesso, a senso unico. Pretendere il contrario è l’espressione di una grande ipocrisia. Non è da escludere tra l’altro che le evasioni fiscali siano in realtà molto più numerose. Con la sua iniziativa, la destra svizzera invia un messaggio perverso agli evasori: rimanete nascosti nel sottobosco dell’illegalità, il tempo di iscrivere nel marmo della Costituzione una norma che vi metterà al riparo dal fisco. Concretamente, con il “sì” all’iniziativa, le autorità cantonali non potranno reclamare alle banche informazioni concernenti un contribuente svizzero sospettato di evasione fiscale. Potranno procedere soltanto in caso di frode o di altri gravi reati fiscali. Ossia in casi importanti, ma del tutto marginali. Per anni il sospetto di evasione fiscale è stato bollato come una propensione delittuosa da quegli Stati europei che hanno stretto la Svizzera in una morsa politica fino alla giusta e dovuta capitolazione del segreto bancario elvetico. Dal 2017 lo scambio automatico di informazioni entrerà in vigore tra la Confederazione e tutti i Paesi membri dell’UE. Voler mantenere in casa, per i nostri cittadini, un meccanismo che, fuori casa, dalla gran maggioranza dei nostri vicini, è ritenuto altamente tossico, è l’espressione di qualcosa di torbido. Di un impulso patologico, di un arcaismo ideologico, senza più nessuna utilità economica e colmo di tutto contro l’interesse stesso del settore bancario svizzero. L’arcaismo dell’iniziativa della destra svizzera è ancora più stridente se si pensa anche all’avanzata modernizzatrice del progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), una “rivoluzione mondiale del fisco” grazie a nuovi standard internazionali messi a punto dall’OCSE. Secondo le stime dell’OCSE i danni per gli erari europei sono ingenti, da 100 a 240 miliardi di euro all’anno. Frutto dell’elusione, ovvero dell’uso di cavilli legali per pagare meno tasse, ma anche dell’evasione stricto sensu. Come spiega il Sole 24 Ore, l’OCSE intende derubricare il tutto a “pianificazione fiscale aggressiva”. A seguito dei clamorosi scandali dei Leaks, la Commissione europea sembra aver colto l’importanza di imporre una vera e propria giustizia e uguaglianza fiscale tra i Paesi membri. La conclusione di tutto ciò è che il sistema vigente è ingiusto e iniquo. Dovremo aspettare ancora una crisi con i Paesi dell’OCSE per illecita concorrenza fiscale e una nuova minaccia per il nostro sistema bancario e il reddito che procura al nostro Paese, prima che i guardiani del museo del segreto bancario si sveglino? Di certo sarà un’impresa difficile per il Popolo svizzero dopo decenni di adorazione istituzionale del segreto bancario, soprattutto se si pensa che fino ad oggi sono state le bastonate o le minacce di bastonate che hanno spinto questi guardiani ad aprire gli occhi! Elenco delle fonti fotografiche: http://ilpaese.ch/wp-content/uploads/Privacy-704x400.jpg [30.06.2016] http://stadt-bremerhaven.de/wp-content/uploads/2013/07/privacy.jpg [30.06.2016] Diritto tributario svizzero Imposta preventiva: inoltro tardivo della notifica Massimo Bianchi Esperto fiscale diplomato [email protected] L’iniziativa parlamentare di Urs Gasche e le recenti sentenze del TAF 1. Introduzione I dividendi versati da una società svizzera sono assoggettati all’imposta preventiva (di seguito IP) del 35%. L’IP deve di principio essere dedotta dal dividendo e versata all’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC). Per i dividendi distribuiti a una società che detiene una partecipazione importante (di regola almeno il 20%), l’obbligo ai fini dell’IP può essere di principio assolto con la notifica della prestazione[1] , evitando quindi di dover trattenere dal dividendo, versare all’AFC e poi recuperare l’IP. Secondo i disposti dell’articolo 26a capoverso 2 dell’Ordinanza sull’IP (ambito nazionale) e dell’articolo 5 capoverso 1 dell’Ordinanza concernente lo sgravio fiscale dei dividendi svizzeri da partecipazioni determinanti di società straniere (ambito internazionale), la notifica deve essere inoltrata all’AFC entro 30 giorni dalla scadenza del dividendo. I precitati articoli non specificano le conseguenze in caso di inoltro tardivo della notifica. 3. L’inasprimento della prassi dell’AFC A seguito della precitata sentenza, l’AFC ha inasprito la prassi relativa al termine per l’inoltro della procedura di notifica. Fino a fine 2010 di regola l’AFC accettava anche notifiche inoltrate in ritardo. A partire dal 2011 l’AFC esige, in tutti i casi dove la notifica è stata inoltrata in ritardo o non è stata inoltrata, il pagamento dell’IP. Il termine perentorio di 30 giorni viene applicato quindi anche nel caso di distribuzioni a società svizzere, oppure nel caso in cui l’AFC ha già rilasciato l’autorizzazione preventiva (valida tre anni) necessaria nel caso di distribuzioni a società estere. Gli effetti del termine perentorio per l’inoltro della notifica possono essere meglio illustrati con il seguente esempio: La società X SA, con sede a Lugano, detiene il 100% della società Y SA, con sede a Chiasso. Nel corso di una verifica fiscale, avvenuta nel marzo 2016, l’AFC ha constatato che la notifica di un dividendo di tre milioni di franchi, versato da Y SA nel marzo 2012 è giunta all’AFC con qualche giorno di ritardo. L’AFC chiederà a Y SA il versamento dell’IP di franchi 1’050’000. L’IP verrà, con tutta probabilità, celermente rimborsata a X SA, ma nel contempo l’AFC chiederà a Y SA il pagamento degli interessi di mora ammontanti a 210’000 franchi[3]. 2. La sentenza del Tribunale federale datata 19 gennaio 2011 Nell’ambito di una vertenza tra l’AFC e un contribuente, sui requisiti per l’applicazione della notifica in caso di una distribuzione a una società estera, il Tribunale federale[2] ha deciso che il termine di 30 giorni per l’inoltro della notifica è un termine perentorio, la cui scadenza comporta l’estinzione definitiva del diritto alla procedura di notifica. Nel caso della precitata sentenza, il contribuente non disponeva, al momento della scadenza del dividendo, dell’autorizzazione preventiva dell’AFC necessaria nel caso di distribuzioni a società estere. Inoltre la predetta autorizzazione alla notifica era poi stata definitivamente negata. Dopo questa sentenza, tra gli addetti ai lavori vi era la speranza che il termine perentorio di 30 giorni e le relative importanti conseguenze fiscali, sarebbero state applicate solo nel caso di distribuzioni a società estere senza un’autorizzazione preventiva valida. L’inasprimento della prassi dell’AFC ha causato un sensibile aumento delle entrate da multe e interessi di mora nell’ambito dell’IP, passati da una media di circa 30 milioni di franchi all’anno a 323 milioni di franchi nel 2013, di cui 266.4 milioni di franchi relativi a 36 fatture per interessi di mora[4]. 15 16 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Secondo il parere di diversi specialisti[5] appare illogico che lo Stato lavori intensamente a grossi progetti come la Riforma dell’imposizione delle imprese 3, per tentare di mantenere l’attrattività della Svizzera da un punto di vista fiscale e nel contempo, per un dettaglio come il termine di inoltro della notifica, si perda la fiducia di diversi grossi investitori stranieri. 4. L’iniziativa parlamentare n. 13.479 (Urs Gasche) L’iniziativa parlamentare n. 13.479, propone di inserire nella Legge federale sull’IP la possibilità di assolvere l’obbligo fiscale con la notifica anche tardivamente. In caso di ritardo l’AFC potrà richiedere il pagamento di una multa disciplinare[6]. La proposta di modifica di legge dispone inoltre che non è dovuto alcun interesse di mora se le condizioni materiali per l’adempimento dell’obbligazione fiscale sono soddisfatte mediante la notifica, anche tardiva, della prestazione imponibile. La maggioranza della Commissione del Consiglio nazionale chiede inoltre l’applicazione delle nuove disposizioni con effetto retroattivo a tutti i casi aperti o cresciuti in giudicato dopo il 1. gennaio 2011. Gli interessi di mora oggetto del contendere ammontano a circa 600 milioni di franchi. Sia il Consiglio nazionale che il Consiglio degli Stati sono d’accordo che il termine per l’inoltro della procedura di notifica deve essere un termine ordinatorio, il cui mancato rispetto non causa la perdita del diritto alla notifica. Restano da concordare le divergenze circa l’ammontare della multa e l’introduzione retroattiva delle nuove disposizioni. Nel frattempo l’Ufficio federale di giustizia (UFG) ha espresso un parere negativo circa l’introduzione retroattiva dei nuovi disposti di legge. La Commissione del Consiglio degli Stati sembra però essere intenzionata a richiedere una perizia esterna, circa la costituzionalità della prevista retroattività. È auspicabile che la stessa possa essere allestita in tempo per la prossima sessione del Parlamento. Secondo i fautori dell’iniziativa, l’introduzione retroattiva delle nuove disposizioni è giustificata dai seguenti motivi: ◆◆ prima della sentenza del Tribunale federale non era chiaro se il termine di 30 giorni, per l’inoltro della notifica, era da considerare come un termine perentorio. La prassi dell’AFC fino al 2010 lasciava intendere che si trattasse solo di un termine ordinatorio; ◆◆ l’inasprimento della prassi da parte dell’AFC è avvenuto senza relativa comunicazione; ◆◆ in presenza di un accordo internazionale[7] , che prevede la tassazione del dividendo solo nel Paese di residenza del recipiente, l’IP non è dovuta. Di conseguenza non sono dovuti neanche gli interessi di mora per un ritardo nell’inoltro della notifica. 5. Le sentenze del TAF datate 28 gennaio 2015 e 17 agosto 2015 Le due sentenze del Tribunale amministrativo federale (di seguito TAF) sopra citate[8] riguardano l’inoltro tardivo all’AFC della notifica nel caso di distribuzione di un dividendo ad una società svizzera e ad una società olandese. Per la distribuzione alla società olandese la richiesta di autorizzazione preventiva (formulario 823C) era stata correttamente chiesta ed accordata. In entrambi i casi le società hanno notificato la distribuzione spontaneamente all’AFC ma dopo il termine dei 30 giorni. L’AFC ha quindi richiesto il versamento dell’IP (poi regolarmente rimborsata) e degli interessi di mora. Gli interessi di mora richiesti ammontano nel primo caso a 700’000 franchi e nel secondo caso a 90.3 milioni di franchi. Il TAF ha confermato che anche nei due suddetti casi il termine di 30 giorni per l’inoltro della notifica è un termine perentorio, motivando che l’assenza di un termine perentorio sarebbe paragonabile all’abolizione dell’IP per le distribuzioni a società con partecipazioni importanti. Le società contribuenti hanno invocato la buona fede, indicando l’inatteso inasprimento dell’AFC che fino al 2010 accettava anche notifiche tardive. Il TAF non ha accettato la motivazione giustificando che i ricorrenti non hanno prodotto sufficienti prove a sostegno del cambio di prassi dell’AFC, aggiungendo inoltre che una prassi illegale deve comunque essere immediatamente modificata ed applicata a tutti i casi ancora aperti. A comprova o meno dell’inasprimento dell’AFC, sarebbe a mio parere interessante sapere se vi sono dei casi, prima del 2011, dove l’AFC ha richiesto degli interessi di mora in relazione ad un inoltro tardivo della notifica. Nei due casi sopra citati l’IP non è mai stata messa in pericolo in quanto vi erano chiaramente tutte le condizioni per ottenere il rimborso della stessa. La richiesta di pagare 90.3 milioni di franchi di interessi di mora per aver inviato tardivamente la notifica, peraltro già preventivamente approvata, appare incomprensibile. Nel nostro ordinamento fiscale, di regola, la sostanza dei fatti ha la precedenza sulla forma. Inoltre chi annuncia spontaneamente un’irregolarità non viene usualmente punito in maniera eccessiva. I due precitati princìpi vengono completamente ignorati. Su queste due decisioni è tuttora pendente un ricorso al Tribunale federale. 6. Conclusioni Fino a quando l’AFC non disporrà di un sistema elettronico per l’inoltro delle notifiche è fondamentale poter comprovare il rispetto del termine tramite un invio per posta raccomandata. È auspicabile inoltre che le Camere federali trovino, in tempi brevi, un accordo sulle divergenze, così da poter garantire il diritto alla notifica anche in caso di superamento del termine di 30 giorni. Si tratterebbe di un passo avanti a favore della piazza economica svizzera. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.rri.ro/files/Economie/Valute,%20bancnote/franci-elvetieniCHF_med.png [30.06.2016] Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 [1] Per poter applicare la procedura di notifica nel caso di società estere è necessario che si tratti di una società dell’Unione europea (di seguito UE) oppure di una società con sede in un Paese che ha concluso una convenzione contro le doppie imposizioni (CDI) con la Svizzera. È inoltre necessario che la società che riceve il dividendo abbia rispettato tutti i requisiti per poter recuperare l’IP. [2] Cfr. Sentenza TF n. 2C_756/2010. [3] 1’050’000 franchi per 4 anni di ritardo (20122016) al 5%. [4] Cfr. punto 2.2.3.5 del Rapporto n. 13.479 della Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio nazionale. [5] Cfr. per esempio Matteotti René/Bürgy Dominik/Roth Philipp, Fristen beim Meldeverfahren – Vorentwurf der WAK-N, Rechtliche Würdigung unter Berücksichtigung der jüngsten Rechtsprechung des Bundesverwaltungsgerichts, in: ST 2015/5, pagina 422 e seguenti. [6]Cfr. articolo 20 capoverso 3 della proposta di modifica della Commissione del Consiglio nazio- nale del 12 ottobre 2015, disponibile al seguente link:https://www.parlament.ch/centers/eparl/ curia/2013/20130479/N3%20I.pdf [30.06.2016]. [7]Accordo sulla fiscalità del risparmio tra Svizzera ed UE oppure Convenzioni contro la doppia imposizione. [8]Cfr. sentenze TAF n. A-1878/2014 e n. A-1438/2014. 17 18 Diritto tributario internazionale e dell’UE Lo scambio di informazioni fiscali in caso di dati rubati Francesco Naef lic. iur., avvocato e notaio Partner di CSNLAW ® Studio legale e notarile, Lugano Ex iniuria ius non oritur 1. Requisiti dello scambio d’informazioni su richiesta Si sa che nella politica svizzera di assistenza amministrativa in materia fiscale la data cardine è quella del 13 marzo 2009, quando il Consiglio federale ha dichiarato al mondo la sua intenzione di riprendere lo standard dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (di seguito OCSE) e quindi avviare negoziati per la revisione delle convenzioni contro le doppie imposizioni (di seguito CDI) tesi a inserire una nuova clausola sullo scambio d’informazioni conforme all’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio (di seguito M-OCSE). Principali effetti di tale adozione dello standard sono che nelle CDI così rivedute, la Svizzera si impegna a fornire informazioni fiscali non solo ai fini della corretta applicazione delle CDI ma anche per la corretta applicazione del diritto fiscale interno dello Stato richiedente, e nel contempo rinuncia al segreto bancario nei confronti delle autorità fiscali estere[1]. Tale scambio d’informazioni su richiesta secondo lo standard OCSE non è però totale ed incondizionato. Lo stesso articolo 26 paragrafo 1 M-OCSE precisa che oggetto di scambio sono unicamente le informazioni “verosimilmente rilevanti” ai fini dell’applicazione delle CDI o del diritto fiscale interno. Tale nozione serve sì a garantire uno scambio di informazioni il più ampio possibile, ma precisa chiaramente che non deve essere consentito allo Stato richiedente di andare a pesca di informazioni (fishing expedition) né richiedere informazioni che è poco probabile siano rilevanti per chiarire la posizione fiscale di un determinato contribuente[2]. In tal senso, una domanda estera priva di indizi concreti o fondata solo su vaghe congetture costituirebbe un’illecita fishing expedition[3]. Ciò significa che lo Stato richiedente deve fornire almeno le indicazioni che consentano di identificare un contribuente determinato[4]. Nel caso di una “domanda raggruppata”, cioè una domanda di assistenza amministrativa concernente un gruppo di contribuenti non singolarmente identificati, può risultare difficile distinguerla da una fishing expedition vietata. Lo Stato richiedente deve perciò fornire una descrizione dettagliata, supportata da chiari fatti, del gruppo oggetto dell’inchiesta, degli specifici fatti e circostanze che hanno portato alla domanda di assistenza, della normativa applicabile e dei motivi cha fanno ipotizzare che i contribuenti facenti parte del gruppo non l’abbiano rispettata[5]. Analoghi requisiti per lo scambio di informazioni in materia fiscale sono previsti dal Modello OCSE di Accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale (Tax Information Exchange Agreement) (di seguito M-TIEA), sulla base del quale la Svizzera ha recentemente concluso diversi Accordi sullo scambio d’informazioni (di seguito TIEA), e dalla Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale (di seguito Convenzione sull’assistenza amministrativa), firmata dalla Svizzera il 15 ottobre 2013, approvata dall’Assemblea federale il 18 dicembre 2015[6] e che entrerà in vigore il 1. gennaio 2017. 2. Il fenomeno dei dati bancari “rubati” 2.1. Diffusione del fenomeno Quando la Svizzera non concedeva alcuna assistenza amministrativa in materia fiscale il fenomeno dei dati rubati sui clienti di banche e fiduciarie era sporadico. Dopo la conclusione delle prime CDI contenenti una clausola di scambio d’informazioni conforme all’articolo 26 M-OCSE, invece, vi è stato tutto un fiorire[7] di liste di clienti di banche e fiduciarie allestite da dipendenti infedeli, con l’intenzione di rivenderle agli Stati di residenza di quei clienti; Stati che, a loro volta, si erano pubblicamente dichiarati interessati a tale acquisto, creando così la domanda atta a far fiorire il mercato. In effetti, con i nominativi e i dettagli del conto bancario svizzero dei loro residenti, gli Stati possono, di fatto, ottenere assistenza amministrativa dalla Svizzera superando la difficoltà legata all’obbligo – derivante dal citato divieto delle fishing expeditions – di circostanziare un pochino la loro richiesta, individuando la persona oggetto della domanda o almeno i criteri per individuare il gruppo di persone toccate. Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Le liste di clienti contengono però solitamente i nominativi di persone residenti in diversi Paesi e potenzialmente interessanti per questi. Ecco che è perciò apparso il fenomeno della circolazione delle liste: il primo Stato che le ha ottenute le ha in seguito trasmesse spontaneamente o tramite assistenza amministrativa su richiesta a Stati terzi. Nonostante l’imminente introduzione di un sistema di scambio automatico di informazioni fiscali il fenomeno dei dati rubati sembra essere ancora di grande attualità, se è vero che il Land tedesco del Nord Reno-Westfalia ha acquistato per 5 milioni di euro, ancora nell’ottobre 2015, un CD di dati bancari rubati[8]. Anche il terzo non dipendente bancario che trasmette i dati a uno Stato estero è punibile per il medesimo reato[13] , e ciò anche se ha agito interamente all’estero, visto che lo spionaggio economico è un reato contro la sovranità e quindi contro lo Stato svizzero (articolo 4 CP)[14]. 3. Diritto vigente in materia di assistenza amministrativa fiscale L’articolo 26 M-OCSE non tratta esplicitamente del fenomeno dei dati rubati. Anche il Commentario M-OCSE non ne fa alcuna menzione. Neppure il M-TIEA e tantomeno il suo Commentario trattano dell’argomento. Di conseguenza neanche le CDI o i TIEA conclusi dalla Svizzera regolano esplicitamente le conseguenze di una domanda di assistenza amministrativa fondata su dati rubati. Infine, anche la Convenzione sull’assistenza amministrativa e il suo Rapporto esplicativo sono silenti sull’argomento. Al contrario, l’articolo 7 lettera c della Legge federale sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale (di seguito LAAF) prevede esplicitamente che non si entra nel merito di una domanda di assistenza se essa vìola il principio della buona fede, in particolare se si fonda su informazioni ottenute mediante reati secondo il diritto svizzero. 2.2. Qualifica giuridica del “furto di dati bancari” Da un punto di vista terminologico è bene precisare che è comodo parlare di “furto di dati bancari” o di “dati rubati”, ma è giuridicamente (almeno in diritto svizzero) impreciso, visto che i dati in questione non sono delle cose che possano essere oggetto di furto ai sensi dell’articolo 139 del Codice penale (di seguito CP)[9]. Nell’ipotesi più tipica – cioè quella dove l’autore del furto dei dati bancari è un dipendente od organo della banca – la fattispecie è ovviamente costitutiva del reato di violazione del segreto bancario (articolo 47 della Legge federale sulle banche e le casse di risparmio [di seguito LBCR])[10]. Secondo il nuovo testo dell’articolo 47 capoverso 1 lettera c LBCR in vigore dal 1. luglio 2015, è ora punibile anche il terzo che divulga i dati coperti dal segreto bancario che gli sono stati rivelati oppure li sfrutta per sé o per altri. In base ai lavori preparatori della legge, il legislatore intendeva in particolare contemplare il caso della persona che entra illegalmente in possesso di dati bancari e li trasmette o li vende a uno Stato estero. Sempre secondo il legislatore, tale disposizione non fa che esplicitare quanto previsto dal principio della buona fede sancito dall’articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (di seguito CV): la domanda di uno Stato fondata su dati bancari ottenuti illegalmente contraddice lo scopo e il significato della CDI e va quindi qualificata come contraria al principio della buona fede[15]. Il testo di legge non fa quindi alcuna distinzione tra un comportamento dello Stato estero attivo (ad esempio intervenuto quale istigatore o complice dell’autore del furto di dati) o passivo (se si è limitato a tollerare a posteriori l’agire del ladro)[16], né tra un’acquisizione onerosa o gratuita dei dati rubati[17]. Il tenore letterale della legge non esige neppure che il furto dei dati sia stato commesso in Svizzera, essendo sufficiente che la fattispecie costituisca in astratto un reato previsto dal diritto svizzero: anche una domanda di assistenza fondata su dati rubati all’estero risulta quindi irricevibile[18]. Se invece l’autore non aveva accesso legittimamente ai dati, che erano specialmente protetti contro l’accesso non autorizzato, allora entrerà in considerazione il reato di acquisizione illecita di dati, sempre che l’autore abbia agito a scopo di indebito profitto (articolo 143 CP)[11]. La prassi del Dipartimento federale delle finanze (di seguito DFF) applica la disposizione nel senso sopraesposto, e quindi non entra nel merito di domande fondate su dati rubati, poco importando che lo Stato estero li abbia ottenuti mediante un comportamento attivo o passivamente, ad esempio tramite assistenza amministrativa da un terzo Stato che li aveva acquistati od ottenuti dal ladro[19]. In ogni caso, il medesimo agire del dipendente bancario infedele o del terzo che si è procurato illecitamente accesso ai dati è costitutivo anche di spionaggio economico, se lo scopo dell’autore era di rendere i dati segreti accessibili ad un organismo ufficiale o privato dell’estero (articolo 273 capoverso 2 CP)[12]. Alcune sentenze del Tribunale amministrativo federale (di seguito TAF) non ancora cresciute in giudicato hanno confermato che è irrilevante la modalità (attiva o passiva) con la quale lo Stato estero è entrato in possesso dei dati sui quali fonda la domanda di assistenza[20]. 19 20 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 4. Giustificazione della soluzione vigente 4.1. Osservazione preliminare L’articolo 7 lettera c LAAF pone evidentemente un limite alla concessione dell’assistenza amministrativa. Poiché il principio della concessione dell’assistenza amministrativa su domanda è però sempre previsto da un trattato internazionale[21] – sia esso una CDI[22] , un TIEA[23] o la Convenzione sull’assistenza amministrativa[24] – tale limitazione dell’assistenza può giustificarsi unicamente se è l’espressione di un’analoga limitazione prevista dal diritto internazionale convenzionale o generale[25] , la Svizzera non potendo limitare per il tramite del suo diritto interno l’assistenza amministrativa stabilita dalle clausole dei singoli trattati[26]. Infatti, l’articolo 26 CV codifica il principio pacta sunt servanda, secondo cui ogni trattato in vigore vincola le parti e deve da queste essere eseguito in buona fede, e l’articolo 27 CV precisa che una parte non può invocare le disposizioni della propria legislazione interna per giustificare la mancata esecuzione di un trattato. Dal punto di vista del diritto internazionale (e davanti a un giudice internazionale) la situazione è quindi chiarissima: in caso di conflitto, il diritto internazionale prevale su quello nazionale[27]. è determinante nell’ordinamento interno e vincola il Tribunale federale: in tal caso il diritto interno va applicato anche se in contrasto col diritto internazionale. Secondo la più recente giurisprudenza, tale riserva della violazione cosciente del diritto internazionale da parte del legislatore federale non è tuttavia sempre applicabile, in particolare ove siano in gioco norme internazionali convenzionali a tutela dei diritti umani o divieti di discriminazioni previsti dall’Accordo sulla libera circolazione delle persone (di seguito ALC)[32]. Comunque, nel caso dell’articolo 7 lettera c LAAF non vi è traccia nei lavori preparatori di una volontà del legislatore federale di derogare consapevolmente agli obblighi di assistenza amministrativa assunti nelle varie convenzioni internazionali. Al contrario, il testo stesso della norma lascia chiaramente intendere che il legislatore abbia unicamente inteso esplicitare quanto già previsto dal principio della buona fede nel diritto internazionale[33]. Inoltre la riserva generale in favore delle divergenti disposizioni delle convenzioni internazionali prevista dall’articolo 1 capoverso 2 LAAF dimostra chiaramente che il legislatore non intendeva derogare al diritto internazionale. La “prassi Schubert” non può dunque trovare applicazione[34]. Determinanti sono perciò unicamente i limiti all’assistenza amministrativa deducibili direttamente dalle singole convenzioni applicabili o dal diritto internazionale generale. L’articolo 7 lettera c LAAF ha valore unicamente nella misura in cui espliciti una limitazione già prevista dal diritto internazionale e ha in tal senso una funzione dichiarativa, o comunque rivolta esclusivamente alle autorità svizzere, nella misura in cui detta limitazione costituisca una semplice facoltà. In tale ipotesi, mentre il diritto convenzionale precisa i limiti che la Svizzera – quale Stato richiesto – può porre alla prestazione dell’assistenza, la LAAF stabilisce i limiti che la Svizzera deve – secondo il proprio diritto interno – fissare all’assistenza, sempre che tali limiti non vadano oltre a quelli consentiti dal diritto convenzionale, prioritario in virtù dell’articolo 1 capoverso 2 LAAF[35]. Visto che tali princìpi di diritto internazionale sono, per giurisprudenza del Tribunale federale, direttamente applicabili nell’ordine giuridico interno svizzero e vincolano non solo l’organo legislativo ma anche tutti gli organi statali, la soluzione è la medesima a livello interno (davanti al giudice svizzero): di principio prevale il diritto internazionale[28]. Una limitazione dell’obbligo di assistenza che fosse prevista unicamente dal diritto interno svizzero non può perciò trovare applicazione, neanche innanzi al giudice svizzero[29]. Invero, il Tribunale federale riconosce (ancora) un’eccezione al principio della prevalenza del diritto internazionale. Secondo la cosiddetta “prassi Schubert” [30] , nel caso in cui il legislatore federale abbia – con piena consapevolezza e volontà di assumersene la responsabilità politica – emanato una disposizione di diritto interno posteriore e in contrasto con il diritto internazionale convenzionale, siffatta deroga consapevole, pur non potendo modificare la sfera dei diritti e degli obblighi dello Stato nell’ambito della Comunità internazionale[31] , 4.2. Principio di equivalenza? Le convenzioni internazionali contemplanti una clausola di assistenza amministrativa in materia fiscale prevedono solitamente un limite all’assistenza fondato sul principio di equivalenza: lo Stato richiesto deve reperire le informazioni richieste allo stesso modo in cui procederebbe qualora dette informazioni gli necessitassero per una procedura interna[36]. L’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE stabilisce infatti che lo Stato richiesto non ha l’obbligo di adottare provvedimenti amministrativi in deroga alla sua legislazione e alla sua prassi amministrativa né di fornire informazioni che non potrebbero essere ottenute in virtù della sua legislazione o nell’ambito della sua prassi amministrativa normale. Simile disposizione è prevista dall’articolo 21 paragrafo 2 lettere a e c Convenzione sull’assistenza amministrativa e qualcosa di sostanzialmente analogo dagli articoli 4 paragrafo 1 lettera l e 5 paragrafo 2 M-TIEA. Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Tale limite alla concessione dell’assistenza amministrativa comporta una facoltà (e non un obbligo) dello Stato richiesto di declinare una richiesta d’informazioni: questi può decidere di comunque dare seguito alla richiesta[37]. In una recente sentenza non ancora cresciuta in giudicato in un caso francese, il TAF ha ritenuto di scorgere nel suddetto principio di equivalenza il fondamento di diritto internazionale convenzionale per un rifiuto di prestare assistenza nel caso la domanda si fondi su dati rubati ex articolo 7 lettera c LAAF. A mente dei giudici amministrativi federali, l’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) non potrebbe, in una procedura interna retta dal diritto amministrativo svizzero, fare uso di prove ottenute illecitamente e dati rubati per completare o correggere la tassazione di un contribuente. Di conseguenza, anche lo Stato richiedente non potrebbe ottenere delle informazioni sulla base di dati rubati, in violazione manifesta della legislazione e della prassi amministrativa svizzere[38]. l’ordinamento dello Stato richiesto, come ad esempio nel caso violassero i diritti procedurali delle persone toccate[43]. Tant’è che il Commentario M-OCSE della norma fa riferimento a quella normativa interna che garantisce alle persone toccate di essere sentite prima che le informazioni oggetto della domanda di assistenza vengano trasmesse all’estero[44] e a quella che riconosce il diritto di non testimoniare contro sé stesso[45]. L’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE non pare quindi trattare del caso in cui la domanda di assistenza stessa sia illegale (perché fondata su dati rubati)[46]. La tesi giuridica è affascinante e sembra condivisa da almeno una voce della dottrina[39]; sarà interessante vedere cosa ne penserà il Tribunale federale. A prima vista la tesi sembra però avere due punti deboli. In primo luogo – e anche se ciò non può che rattristare ogni cittadino fiducioso nei princìpi dello Stato di diritto – non è per nulla così manifesto che, nella procedura amministrativa interna, l’amministrazione fiscale svizzera non possa far capo a dati rubati per completare o correggere la tassazione di un contribuente. Da un lato, sia la Legge federale sulla procedura amministrativa federale (di seguito PA) sia la Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD) sia la Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID) sono silenti sul tema dell’utilizzo delle prove illegali. Dall’altro, è vero che il Consiglio federale, rispondendo ad un’interpellanza parlamentare, ha affermato che nelle procedure riguardanti la tassazione e la sottrazione d’imposta le autorità fiscali non utilizzano prove che lo Stato non avrebbe potuto acquisire legalmente o il cui impiego sia contrario al principio della buona fede[40]. Ma, in tale situazione giuridica incerta, è soprattutto vero che il Tribunale federale ha dichiarato perfettamente utilizzabili in una procedura di tassazione interna i dati concernenti una fiduciaria del Liechtenstein che erano stati sottratti da un collaboratore di quest’ultima e trasmessi alle autorità fiscali tedesche e da queste ritrasmessi alle autorità fiscali svizzere[41]. In secondo luogo, il principio di equivalenza previsto dall’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE non sembra porre dei limiti alla ricevibilità in quanto tale della domanda di assistenza, ma sembra trattare e limitare esclusivamente le modalità della sua esecuzione, in altre parole la procedura di raccolta delle informazioni richieste[42]. Detto altrimenti, la norma citata tratta solo dei limiti all’esecuzione di una domanda di assistenza già presentata, e permette di rifiutare delle modalità di esecuzione che fossero di per sé illecite per 4.3. Principio di reciprocità? Un altro limite solitamente previsto dalle convenzioni internazionali sull’assistenza amministrativa in materia fiscale è quello fondato sul principio di reciprocità: lo Stato richiesto non è tenuto a fornire informazioni qualora ciò comporti che esso sia chiamato ad accordare un livello di assistenza maggiore di quello che lo Stato richiedente sarebbe in grado di garantire[47]. L’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE stabilisce infatti che lo Stato richiesto non ha l’obbligo di adottare provvedimenti amministrativi in deroga alla legislazione dello Stato richiedente ed alla sua prassi amministrativa né di fornire informazioni che non potrebbero essere ottenute in virtù della legislazione o nell’ambito della prassi amministrativa normale dello Stato richiedente. Simile disposizione è prevista dall’articolo 21 paragrafo 2 lettere a e c Convenzione sull’assistenza amministrativa e dall’articolo 7 paragrafo 1 M-TIEA. Anche tale limitazione comporta solo una facoltà (e non un obbligo) dello Stato richiesto di declinare una richiesta d’informazioni. Nella sentenza sopraccitata in un caso francese, il TAF ha ritenuto che, nel caso di specie, anche il suddetto principio di reciprocità potesse giustificare un rifiuto di prestare assistenza ex articolo 7 lettera c LAAF. Secondo il TAF, l’amministrazione fiscale francese non potrebbe, in una procedura interna retta dal diritto francese, utilizzare dati rubati per effettuare perquisizioni o rettificare la tassazione di un contribuente. La Francia non potendo 21 22 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 ottenere tali informazioni in virtù della propria legislazione e prassi amministrativa, non potrebbe aggirare tale ostacolo utilizzando la via dell’assistenza amministrativa internazionale: la Svizzera non sarebbe perciò obbligata a fornire assistenza se la domanda si fondasse su dati rubati[48]. Anche tale tesi suscita perplessità per il medesimo motivo indicato in precedenza: anche il principio di reciprocità ancorato all’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE non sembra infatti porre dei limiti alla ricevibilità in quanto tale della domanda di assistenza, ma alle modalità della sua esecuzione, e non sembra quindi poter giustificare un rifiuto dell’assistenza in caso di dati rubati[49]. Inoltre, si tratterebbe di un risultato non generalizzabile perché dipendente dalla legislazione e prassi amministrativa di ogni Stato richiedente. Il divieto dell’utilizzo di prove illecite vigente in Francia potrebbe non esistere altrove[50]. 4.4. Incompatibilità con l’ordine pubblico? Una limitazione all’obbligo di fornire assistenza prevista tradizionalmente dalle convenzioni internazionali in materia di assistenza non solo amministrativa, ma anche giudiziaria civile e penale, è quella dell’incompatibilità con l’ordine pubblico dello Stato richiesto. Per esempio, secondo l’articolo 2 lettera b della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale (CEAG), l’assistenza giudiziaria potrà essere rifiutata se la Parte richiesta ritiene che l’esecuzione della domanda è di natura tale da nuocere alla sovranità, alla sicurezza, all’ordine pubblico o ad altri interessi essenziali del suo Paese. in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo. Nel caso in cui il testo di una CDI ricalchi esattamente quello del M-OCSE vige quindi la presunzione che le Parti contraenti abbiano inteso il significato di un termine nel senso proposto dal M-OCSE e dal suo Commentario in vigore al momento delle negoziazioni, proprio perché senso comune del termine in tal momento[54] , salvo che si possa provare una diversa volontà delle Parti[55]. Vista tale interpretazione restrittiva del Commentario M-OCSE, un parere giuridico dell’Ufficio federale di giustizia (di seguito UFG) è giunto alla conclusione che non sia possibile invocare l’ordine pubblico per giustificare il rifiuto di una domanda di assistenza amministrativa fondata su dati rubati[56]. Secondo una recente opinione espressa in dottrina tale conclusione potrebbe però non sempre essere corretta. Tale tesi, partendo appunto dal carattere refragabile della presunzione di corrispondenza dell’interpretazione del Commentario M-OCSE con la volontà delle Parti, sostiene che se è possibile dimostrare che i negoziatori svizzeri abbiano, nell’ambito dei negoziati di una specifica CDI, comunicato unilateralmente alla controparte che non era intenzione della Svizzera concedere assistenza in caso di dati rubati perché in contrasto col proprio senso di giustizia – ciò che, in effetti, sembra essere stato fatto a partire dalla primavera del 2010[57] – allora tale interpretazione più ampia della nozione di ordine pubblico dovrebbe prevalere su quella del Commentario M-OCSE, se la controparte l’ha tacitamente accettata non opponendovisi[58]. Una clausola di tal tipo conferisce, di regola, un ampio potere discrezionario allo Stato richiesto di rifiutare l’assistenza, limitato solo dall’obbligo di esercitarlo conformemente al principio della buona fede codificato all’articolo 26 CV [51]. Le clausole delle convenzioni di assistenza amministrativa in materia fiscale conformi allo standard OCSE appaiono però meno ampie. Per l’articolo 26 paragrafo 3 lettera c M-OCSE (e l’identico testo dell’articolo 21 paragrafo 2 lettera d Convenzione sull’assistenza amministrativa) lo Stato richiesto non ha l’obbligo di fornire informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine pubblico. Analoga limitazione è prevista dall’articolo 7 paragrafo 4 M-TIEA. Il Commentario M-OCSE della norma conferma che essa va intesa in senso restrittivo e dovrebbe trovare applicazione solo in casi estremi, quando sono in gioco gli interessi vitali dello Stato richiesto. Tale clausola potrebbe dunque applicarsi nel caso in cui l’accertamento fiscale nello Stato richiedente persegua fini persecutori politici, razziali o religiosi, o qualora le informazioni richieste siano coperte dal segreto di Stato[52]. Ora si sa che il Commentario M-OCSE, pur non costituendo un’interpretazione vincolante per le Parti a una CDI[53] , è nella prassi di grande rilevanza. Infatti, secondo l’articolo 31 paragrafo 1 CV un trattato deve essere interpretato in buona fede A tale opinione si può però controbattere che la valenza di tale comunicazione unilaterale svizzera è, dal punto di vista del diritto internazionale, dubbia. È pacifico che non si tratti di una dichiarazione interpretativa comune, visto che appunto non ve n’è traccia nel contesto del trattato e che, nell’ambito dei lavori parlamentari in merito alla ratifica di dette CDI, non è neppure mai stata sostenuta l’esistenza di una collettiva interpretazione autentica che, in virtù del principio eius est interpretari cuius est condere, possa vincolare le Parti e l’interprete del trattato[59]. In un primo tempo, dopo la manifestazione del fenomeno del furto dei dati bancari, Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 il Parlamento aveva dato mandato al Consiglio federale di tentare di ottenere dalla controparte alle CDI l’accordo esplicito circa l’interpretazione sull’esclusione dell’assistenza in caso di domanda fondata su dati rubati[60], ma in seguito vi ha rinunciato, evidentemente visto l’esito negativo del tentativo. Nelle CDI concluse dopo la primavera 2010 la citata comunicazione unilaterale svizzera non sembra essersi mai materializzata nel testo, preambolo, allegati, protocolli finali, scambi di note (cioè in quello che si può definire contesto interno del trattato[61]) o altri documenti oggetto di pubblicazione nella Raccolta sistematica (RS) o nella Raccolta ufficiale (RU). Anche se si ammettesse che la comunicazione unilaterale in oggetto sia una dichiarazione interpretativa unilaterale[62] , non sembrerebbe comunque costituire uno “strumento disposto da una o più parti in occasione della conclusione del trattato ed accettato dalle altre parti in quanto strumento relativo al trattato”, di cui si debba principalmente tenere conto nell’interpretazione della norma convenzionale ai sensi dell’articolo 31 paragrafo 2 lettera b CV, visto che sarebbe stata resa in un momento precedente alla conclusione del trattato, cioè durante i negoziati[63]. D’altra parte non è neppure sostenibile che la comunicazione unilaterale in discussione possa valere quale riserva al trattato. In effetti, è generalmente riconosciuto che le cosiddette dichiarazioni interpretative condizionali, vale a dire quelle dichiarazioni unilaterali espresse da una Parte contraente con le quali questa condiziona il suo consenso a vincolarsi al trattato a una determinata interpretazione dello stesso, sono da assimilare a delle riserve e sono soggette alla medesima regolamentazione[64]. Ma le riserve devono essere imperativamente espresse al momento della ratifica del trattato: riserve annunciate in precedenza alla ratifica o addirittura in precedenza alla firma del trattato (nell’ambito delle negoziazioni) sono nulle se non confermate per scritto al momento dell’espressione, da parte dello Stato che le emette, del proprio consenso ad essere vincolato dal trattato[65]. Già per questo motivo formale la comunicazione unilaterale svizzera, emessa durante i negoziati ma non ripetuta né al momento della firma né delle ratifiche delle CDI, non è una riserva. Anche motivi sostanziali fanno escludere tale ipotesi. In effetti, le CDI sono dei trattati bilaterali, ed è generalmente riconosciuto che non ha senso parlare di riserva a un trattato bilaterale, la stessa essendo piuttosto un’offerta di procedere alla rinegoziazione del trattato[66]. Inoltre, non è stato mai sostenuto dal Consiglio federale che la Svizzera abbia condizionato il suo consenso a vincolarsi alle CDI a una determinata interpretazione della nozione di ordine pubblico. Nell’ambito dei lavori parlamentari in merito alla ratifica delle CDI concluse dopo la primavera del 2010 (ad esempio quella con l’India) e anche di quelle concluse recentemente (ad esempio quella con l’Italia[67]) il Consiglio federale ha però esplicitamente confermato l’esistenza della comunicazione unilaterale svizzera nell’ambito dei negoziati ed il fatto che sarebbe stata protocollata[68]. Questa dichiarazione, espressa durante la negoziazione del testo della CDI, potrebbe quindi teoricamente avere una qualche valenza a titolo di mezzo sussidiario d’interpretazione ai sensi dell’articolo 32 CV, che permette di ricorrere ai lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso per confermare il significato risultante dall’interpretazione fondata sul testo e contesto del trattato oppure quando tale interpretazione non permetta ancora di fare chiarezza [69]: proprio perché rappresenta un mezzo sussidiario, la valenza probatoria di una simile dichiarazione unilaterale sarebbe comunque ridotta[70]. In ogni caso, una dichiarazione interpretativa unilaterale (sia essa stata emessa durante le negoziazioni o in occasione della conclusione di un trattato) non può da sola, proprio perché unilaterale, avere una grande valenza e vincolare le altre Parti al trattato, poiché il principio della sovrana eguaglianza degli Stati impedisce che una Parte possa imporre puramente e semplicemente la propria interpretazione[71]: molto dipende dall’accoglienza che la dichiarazione ha avuto presso le altre Parti al trattato, e cioè se abbia suscitato approvazione oppure rifiuto[72]. A tal proposito ,va considerato che la sola mancata reazione di una Parte ad una dichiarazione interpretativa unilaterale dell’altra non significa di principio approvazione del contenuto della stessa[73]. Proprio perché la dichiarazione interpretativa unilaterale non è una riserva, alla prima non è applicabile la presunzione di accettazione in caso di mancata reazione nei dodici mesi dalla notifica della riserva, prevista dall’articolo 20 paragrafo 5 CV. Poiché, nell’ambito dei lavori parlamentari in merito alla ratifica di dette CDI, non è mai stato sostenuto che le controparti abbiano approvato durante le negoziazioni la dichiarazione unilaterale svizzera, limitandosi al massimo a prenderne conoscenza[74] , si deve ritenere che semplicemente non abbiano reagito alla stessa. Da tale mancata reazione durante le negoziazioni non si può ancora dedurre alcunché per l’interpretazione della clausola delle CDI sull’ordine pubblico. Un accordo con l’interpretazione unilaterale fornita dalla Svizzera potrebbe semmai essere ravvisato nella pratica successivamente seguita dalle Parti alla CDI, e quindi nel prolungato silenzio rispettivamente nella mancata opposizione al modo in cui la Svizzera applica il trattato (articolo 31 paragrafo 3 lettera b CV [75]). Nel caso, ad esempio, dell’India (e di altri importanti Stati partner del Forum dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali [di seguito G20] o dell’Unione europea 23 24 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 [di seguito UE]), la pratica successivamente seguita dalle Parti dimostra però che essa ha chiaramente rifiutato l’interpretazione unilaterale svizzera, insistendo a presentare domande di assistenza amministrativa fiscale fondate su dati rubati ed addirittura protestando con la Svizzera per il suo rifiuto di collaborare[76]. La dichiarazione interpretativa unilaterale svizzera sembrerebbe quindi – almeno nei confronti di questi Stati – priva di alcuna rilevanza. Al quesito a sapere se la riserva dell’ordine pubblico, prevista dalle CDI contenenti una clausola conforme all’articolo 26 paragrafo 3 lettera c M-OCSE, possa giustificare – da un punto di vista del diritto internazionale – il rifiuto della Svizzera di dare seguito ad una domanda di assistenza amministrativa fondata su dati rubati non si può quindi dare una risposta generalizzata, molto dipendendo dal testo, dal contesto e dalle circostanze della conclusione di ogni singola CDI. Probabilmente, nella maggior parte dei casi la risposta sarà però negativa. Siccome l’articolo 27 paragrafo 1 Convenzione sull’assistenza amministrativa stabilisce che le possibilità di assistenza previste dalla stessa non sono limitate da quelle contenute in accordi internazionali e altri impegni esistenti, vale il principio della prevalenza dell’Accordo che concede la cooperazione maggiormente efficace nel caso concreto. Uno Stato parte alla Convenzione sull’assistenza amministrativa potrà quindi richiedere assistenza alla Svizzera fondandosi su detta Convenzione e sulla sua nozione restrittiva di ordine pubblico – che garantisce una cooperazione più estesa – nonostante l’esistenza di una CDI prevedente maggiori limitazioni all’obbligo di assistenza della Svizzera[79]. 4.5. Rispetto della sovranità territoriale Raramente[80] la dottrina ha esaminato in dettaglio se il principio – del diritto internazionale generale – del rispetto della sovranità territoriale possa costituire un limite ad una domanda di assistenza amministrativa fondata su dati rubati. Esaminato da vicino, questo sembra invece essere il miglior argomento di diritto internazionale per giustificare l’irricevibilità della domanda di assistenza ex articolo 7 lettera c LAAF. 4.5.1. La sovranità territoriale La sovranità è una nozione cardine del diritto internazionale e costituisce una delle caratteristiche che definiscono lo Stato come soggetto del diritto internazionale; vi è infatti uno Stato solo in presenza di un territorio, di un popolo e di una potestà pubblica (ossia un Governo effettivo ed indipendente verso l’esterno e verso l’interno, quale espressione della sovranità dello Stato)[81]. Infine, da un punto di vista sostanziale, si potrebbe osservare che non sembra così evidente [77] che l’utilizzo in una procedura fiscale di dati bancari rubati sia contrario al senso di giustizia come compreso dalla Svizzera (e quindi al suo ordine pubblico), visto che, come ricordato in precedenza, il Tribunale federale ha dichiarato perfettamente utilizzabili in una procedura di tassazione interna dei dati rubati ad una fiduciaria del Liechtenstein[78]. Tutte queste perplessità sono comunque destinate a interessare unicamente gli storici del diritto, vista l’imminente entrata in vigore della Convenzione sull’assistenza amministrativa che, come visto in precedenza, contiene una clausola sulla riserva dell’ordine pubblico identica a quella del M-OCSE ed ugualmente restrittiva secondo il suo Commentario. Poiché non vi è traccia nei lavori parlamentari in merito alla ratifica di detta Convenzione di alcuna dichiarazione interpretativa svizzera sull’ordine pubblico, il Commentario della Convenzione sarà l’unico elemento decisivo per interpretarla. Nei confronti degli Stati parte a tale Convenzione l’ordine pubblico non potrà quindi giustificare il rifiuto di assistenza in caso di dati rubati. La sovranità territoriale implica, per il diritto internazionale consuetudinario, il diritto esclusivo di esercitare le attività statali. Come ha riconosciuto la giurisprudenza internazionale: “Sovereignty in the relations between States signifies independence. Independence in regard to a portion of the globe is the right to exercise therein, to the exclusion of any other State, the functions of a State”[82]. Ogni Stato ha perciò il monopolio della giurisdizione sul proprio territorio, vale a dire gode in maniera esclusiva del potere di imporre regole vincolanti (jurisdiction to prescribe), del potere di risolvere le controversie (jurisdiction to adjudicate) e del potere di garantire l’esecuzione coercitiva del diritto (jurisdiction to enforce)[83]. Il corollario, riconosciuto dal diritto internazionale consuetudinario, di tali diritti esclusivi è l’obbligo di rispettare la sovranità territoriale degli altri Stati. Infatti, secondo la giurisprudenza internazionale: “La limitation primordiale qu’impose le droit international à l’Etat est celle d’exclure, sauf l’existence d’une règle permissive contraire, tout exercice de sa puissance sur le territoire d’un autre Etat. Dans ce sens, la juridiction est certainement territoriale; elle ne pourrait être exercée hors du territoire sinon en vertu d’une règle permissive découlant du droit international coutumier ou d’une convention”[84]. Inoltre: “Entre Etats indépendants, le respect de la souveraineté territoriale est l’une des bases essentielles des rapports internationaux”[85]. Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Vige quindi il divieto di ingerenza negli affari interni ed il divieto di compiere atti che spettano a poteri pubblici nel territorio degli altri Stati sovrani[86]. È vietato ad uno Stato penetrare con aerei o navi, arrestare e rapire persone, notificare atti o raccogliere informazioni o prove sul territorio altrui[87]. Lo Stato che vìola tale divieto compie un atto illecito internazionale. Sia il divieto di ingerenza che quello di compiere atti che spettano a poteri pubblici sono princìpi derivanti non solo dal diritto internazionale consuetudinario ma anche dall’articolo 2 paragrafo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite, per il quale detta Organizzazione è fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri[88]. Secondo una parte della dottrina tali princìpi fanno parte dello jus cogens internazionale e sono quindi inderogabili ai sensi dell’articolo 53 CV[89]. Più in generale, per alcuni è il principio stesso di sovranità che fa parte dello jus cogens[90]. 4.5.2. La concezione svizzera della sovranità territoriale Nella prassi, la Svizzera ha sempre confermato l’importanza dell’obbligo internazionale di rispettare la propria e l’altrui sovranità territoriale ed il conseguente divieto di compiere atti che spettano a poteri pubblici al di fuori del proprio territorio[91]. Del resto, anche il diritto penale interno pone grande attenzione al rispetto della sovranità. Sono infatti costitutivi di reato penetrare sul territorio svizzero contrariamente al diritto delle genti (articolo 269 CP, violazione della sovranità territoriale svizzera), compiere sul territorio svizzero per conto di uno Stato estero atti che spettano a poteri pubblici (articolo 271 CP, atti compiuti senza autorizzazione per conto di uno Stato estero), esercitare un servizio di spionaggio politico per uno Stato estero (articolo 272 CP, spionaggio politico), rendere accessibile un segreto di fabbricazione o di affari ad un organismo ufficiale o privato dell’estero (articolo 273 CP, spionaggio economico), raccogliere informazioni militari per conto di uno Stato estero in danno della Svizzera (articolo 274 CP, spionaggio militare), ma anche violare la sovranità territoriale di uno Stato estero compiendo illecitamente atti ufficiali nel territorio di esso (articolo 299 CP, violazione della sovranità territoriale di uno Stato estero). Esempi tipici di violazione della sovranità territoriale sono i rapimenti di persone ai fini del loro arresto rispettivamente le estradizioni camuffate. Nel caso Jakob del 1935, un cittadino tedesco emigrato in Francia era stato attirato da agenti della Gestapo a Basilea e da lì deportato in Germania. La Svizzera protestò fermamente con la Germania per tale rapimento, pretendendo la restituzione del rapito e la punizione degli agenti tedeschi, ciò che in un primo tempo la Germania rifiutò di fare negando i fatti. Quando la Svizzera si rivolse al tribunale arbitrale internazionale la Germania acconsentì però a riconsegnare Jakob alla Svizzera ed a punire disciplinarmente i suoi agenti[92]. Nel caso X del 1980, un cittadino belga che viveva in Belgio era accusato dalla magistratura tedesca di truffa e falsità in documenti, e oggetto di un ordine di arresto internazionale comunicato anche alla Svizzera. Dei poliziotti tedeschi lo attirarono per un incontro a Zurigo con l’astuzia, contattandolo telefonicamente sotto mentite spoglie dall’Italia e facendogli credere di essere interessati a concludere un grosso affare. Arrivato a Zurigo X fu arrestato dalla Polizia svizzera e la Germania ne richiese l’estradizione, alla quale X si oppose. Il Tribunale federale ricordò che il divieto di compiere atti che spettano a poteri pubblici sul territorio di uno Stato estero trovava applicazione anche se non viene fatto uso della coercizione ma unicamente di astuzia o macchinazioni e che il divieto era violato anche se gli agenti tedeschi avevano agito non in Belgio (né in Svizzera) ma in uno Stato terzo (Italia), visto che il risultato si era prodotto in Belgio: X si trovava in Belgio e avrebbe potuto perciò essere assicurato alla giustizia tedesca unicamente con un atto dei poteri pubblici belgi. Una domanda di estradizione tedesca al Belgio non sarebbe però mai stata accolta, tale Paese rifiutando di estradare i propri nazionali. Il Tribunale federale ritenne per questi motivi che l’agire dei poliziotti tedeschi costituisse una violazione della sovranità del Belgio e rifiutò l’estradizione, per non rendere la Svizzera complice di tale violazione del diritto internazionale[93]. In un altro caso del 2007, invece, un cittadino tedesco accusato in Svizzera di truffa per mestiere era fuggito nella Repubblica Dominicana, che non era vincolata da alcun trattato di estradizione con la Svizzera. È stato comunque arrestato dalle autorità locali ed “espulso” da Santo Domingo mediante consegna a dei poliziotti svizzeri che lo hanno condotto in Svizzera ed ivi posto in stato di arresto. Chiamato a decidere della legalità dell’arresto, il Tribunale federale ha precisato che non si era trattato di un’illecita estradizione camuffata o di un rapimento contrario al diritto internazionale. Infatti, le autorità della Repubblica Dominicana non avevano mai protestato per l’agire della Svizzera né preteso la restituzione dell’arrestato od altre forme di riparazione, e le autorità svizzere avevano da parte loro rispettato la sovranità di Santo Domingo, non utilizzando né la forza, né la minaccia né l’astuzia per prendere l’accusato, che era invece stato loro volontariamente consegnato dalle, collaborative, autorità statali della Repubblica Dominicana[94]. Violazioni della sovranità territoriale estera sono poi state costatate nell’ambito dei sequestri di beni. Ad esempio, in un caso del 1995, un cittadino tedesco arrestato in Svizzera per truffa era stato indotto dalle autorità svizzere – con informazioni rivelatesi a posteriori errate – a fare volontariamente trasferire in Svizzera una somma di denaro dalla Germania, che poi era stata immediatamente sequestrata perché possibile provento di reato. Il Tribunale federale ha ritenuto sleale l’agire delle autorità svizzere e costitutivo di violazione della sovranità tedesca, poiché tale sequestro era avvenuto in elusione delle regole sull’assistenza giudiziaria in materia penale vigenti tra i due Paesi[95]. Svariate sono inoltre state le violazioni del divieto citato nell’ambito dell’assunzione di informazioni o prove. In un caso del 1981, l’avvocato svizzero di una persona oggetto di un procedimento penale in Australia aveva avuto in Svizzera dei colloqui con dei testimoni, in presenza di una terza persona, e preso appunti sulle loro risposte; in seguito la terza persona 25 26 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 era stata assunta quale testimone nel processo in Australia, e aveva riferito del contenuto dei colloqui cui aveva presenziato in Svizzera, facendo anche uso degli appunti summenzionati. Il Tribunale federale ha ritenuto che l’assunzione di prove (e quindi l’interrogatorio di testimoni) ai fini di una procedura giudiziaria fosse una tipica attività del potere pubblico, che quindi non avrebbe potuto avvenire in Svizzera che tramite rogatoria. L’agire dell’avvocato è stato perciò considerato come una violazione della sovranità svizzera[96]. Nel caso Telekom Serbia del 2003, due parlamentari italiani membri di una Commissione parlamentare d’inchiesta, due agenti di scorta, un magistrato consulente ed un testimone si sono recati all’Ufficio fallimenti di Lugano per trovare conferme dell’esistenza di documenti comprovanti il coinvolgimento, in un affare internazionale di tangenti, di politici italiani. Ma detta delegazione non aveva preventivamente richiesto alcuna autorizzazione da parte svizzera a tale attività; i componenti della delegazione sono perciò stati denunciati per atti compiuti senza autorizzazione per conto di uno Stato estero e per spionaggio economico[97]. Nel 1998 la Polizia bernese ha arrestato un israeliano che, su incarico del servizio segreto israeliano Mossad, stava istallando nello scantinato di un immobile a Berna un’apparecchiatura per l’intercettazione delle telefonate di una persona libanese residente nel palazzo. La sua difesa aveva sostenuto che egli non avesse agito come un funzionario estero bensì in clandestinità, come un piccolo criminale, e quindi non si potesse trattare di un reato contro la sovranità svizzera. La Corte penale del Tribunale federale, costatato che l’intercettazione telefonica è invece una tipica attività dei poteri pubblici, ha ritenuto che l’israeliano avesse violato la sovranità svizzera, condannandolo per atti compiuti senza autorizzazione per conto di uno Stato estero e per spionaggio politico[98]. Più recentemente, il Tribunale penale federale si è occupato di intercettazioni telefoniche attuate da autorità italiane su utenze svizzere, concludendo che non vi era stata violazione della sovranità svizzera, ma solo perché le autorità italiane non avevano agito in territorio svizzero, gli ascolti essendo avvenuti con la cosiddetta “tecnica dell’istradamento”, cioè nell’intercettazione delle sole conversazioni – in partenza dal territorio italiano (sia da utenza italiana che di altra nazionalità) e dirette verso utenze straniere – in transito da centrali telefoniche situate sul territorio italiano[99]. Infine, nel 2012, sembra che ispettori fiscali francesi avessero proceduto ad accertamenti in Svizzera quali privati cittadini. Il Consiglio federale ha comunicato alla Francia che la Svizzera non avrebbe ammesso simili violazioni della propria sovranità[100]. Anche la notifica diretta di atti ufficiali può ledere la sovranità territoriale. Ad esempio, la notificazione postale (diretta) di una comminatoria di fallimento all’indirizzo di una persona domiciliata in Germania è stata ritenuta violare la sovranità tedesca e perciò nulla[101]. Il Tribunale federale ha anche chiarito che l’autorità penale svizzera può fare pervenire direttamente una citazione a comparire all’imputato che soggiorna all’estero, purché non contenga minacce di sanzioni. In caso contrario è violata la sovranità estera[102]. Infine, anche atti compiuti senza l’impiego della benché minima coercizione sono stati ritenuti contrari alla sovranità svizzera. Nel 1994 l’ambasciata di Bosnia-Erzegovina a Berna aveva iniziato un’attività di percezione di imposte sul reddito presso i suoi cittadini residenti in Svizzera. La Svizzera ha ritenuto che tale attività violasse la sua sovranità, visto che si trattava di una funzione tipica dei poteri pubblici, e considerato che il mancato uso di coercizione non influiva in alcun modo sul carattere illecito di tale attività[103]. 4.5.3. L’attribuzione di un comportamento individuale allo Stato La violazione della sovranità territoriale è dunque un atto illecito internazionale. Come nella responsabilità del diritto privato, affinché sorga una responsabilità internazionale di uno Stato per un atto materialmente compiuto da un individuo è però necessario che tale comportamento sia attribuibile a detto Stato. La responsabilità internazionale degli Stati è retta da regole consuetudinarie, che sono negli ultimi decenni state oggetto di un processo di codificazione. La Commissione di diritto internazionale dell’ONU è giunta nel 2001, dopo lunghi lavori iniziati nel 1955, all’adozione di un Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti (nell’abbreviazione inglese ARSIWA) e di un loro Commentario[104] , di cui l’Assemblea Generale dell’ONU ha preso atto lo stesso anno[105] , ma che non si sono ancora trasformati in un trattato internazionale. Ciononostante sono solitamente ritenuti fornire la prova del diritto consuetudinario vigente[106]. È ovvio che l’attività di individui che rivestono la qualità di organi di uno Stato secondo il diritto interno sia attribuibile a detto Stato da un punto di vista internazionale (articolo 4 ARSIWA), e ciò anche quando tale organo ha agito contravvenendo alle istruzioni ricevute o oltrepassando la propria competenza (articolo 7 ARSIWA). Lo stesso vale per persone che, pur non essendo organi statali, hanno facoltà di compiere atti che spettano a poteri pubblici (articolo 5 ARSIWA), o possono esser qualificati come organi di fatto (articolo 8 ARSIWA). In tutti questi casi il fatto illecito è attribuibile allo Stato al momento in cui è commesso. È pero anche possibile che un fatto illecito di un individuo, che al momento della sua commissione non poteva essere attribuito ad uno Stato, venga a questi imputato ex post. Si tratta del caso ipotizzato dall’articolo 11 ARSIWA: “Un comportamento che non è attribuibile ad uno Stato ai sensi degli articoli precedenti sarà ciononostante considerato un atto di quello Stato ai sensi del diritto internazionale se e nella misura in cui quello Stato riconosca e adotti il comportamento in questione come proprio”. Si tratta di un principio che risale a molto lontano nel tempo, riconducibile[107] a una costatazione di uno dei padri fondatori del diritto internazionale, il neocastellano Emer de Vattel, che nel 1758 scriveva: Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 “§.73 On ne peut imputer à la Nation les actions des particuliers. Cependant, comme il est impossible à l’État le mieux réglé, au Souverain le plus vigilant et le plus absolu, de modérer à sa volonté toutes les actions de ses Sujets, de les contenir en toute occasion dans la plus exacte obéissance; il serait injuste d’imputer à la Nation ou au Souverain, toutes les fautes des Citoyens. On ne peut donc dire en général, que l’on a reçu une injure d’une Nation, parce qu’on l’aura reçue de quelqu’un de ses membres. il loro comportamento ricadrebbe sotto l’ipotesi descritta dall’articolo 11 ARSIWA, Israele avendolo – con la custodia in arresto di Eichmann, la celebrazione del processo e l’esecuzione della sua condanna a morte – adottato come proprio[114]. Ciò significa peraltro che il riconoscimento e l’adozione del comportamento del privato può avvenire esplicitamente o per atti concludenti[115]. §.74 A moins qu’elle ne les approuve ou qu’elle ne les ratifie. Mais si la Nation, ou son Conducteur, approuve et ratifie le fait du Citoyen, elle en fait sa propre affaire: L’offensé doit alors regarder la Nation comme le véritable auteur de l’injure, dont peut-être le Citoyen n’a été que l’instrument” [108]. Il principio ha trovato applicazione esemplare nel caso dell’attacco e sequestro del personale diplomatico e consolare statunitense a Teheran del 1979. In tale occasione la Corte internazionale di giustizia aveva riconosciuto che in un primo tempo l’attacco ai locali e al personale diplomatico statunitense era stato l’opera di militanti islamici iraniani che non avevano la qualifica, neanche di fatto, di organi dello Stato iraniano: le loro azioni non erano quindi imputabili allo Stato iraniano[109]. In un secondo tempo però, in occasione della liberazione di alcuni ostaggi, l’ayatollah Khomeini aveva esplicitamente dichiarato che “la nobile nazione iraniana non permetterà la liberazione del resto degli ostaggi” e che questi sarebbero quindi rimasti in stato di arresto finché il governo americano non si fosse “piegato al volere della nazione”: “La politique ainsi annoncée par l’ayatollah Khomeini, consistant à maintenir l’occupation de I’ambassade et la détention des otages afin de faire pression sur le Gouvernement des Etats-Unis, a été appliquée par d’autres autorités iraniennes et appuyée par elles de façon réitérée dans des déclarations faites à diverses occasions. Cette politique a eu pour effet de transformer radicalement la nature juridique de la situation créée par l’occupation de I’ambassade et la détention de membres de son personnel diplomatique et consulaire en otages. L’ayatollah Khomeini et d’autres organes de l’Etat iranien ayant approuvé ces faits et décidé de les perpétuer, l’occupation continue de I’ambassade et la détention persistante des otages ont pris le caractère d’actes dudit Etat. Les militants, auteurs de l’invasion et geôliers des otages, sont alors devenus des agents de l’Etat iranien dont les actes engagent sa responsabilité internationale” [110]. Secondo la Commissione di diritto internazionale, perché uno Stato riconosca e adotti il comportamento di individui non basta che approvi verbalmente lo stesso o si limiti a riconoscerne l’esistenza quale fatto: è necessario piuttosto che lo Stato si appropri del comportamento in questione[111] con qualche atto di definitiva adozione[112]. Quale esempio di tale appropriazione la Commissione cita il caso Eichmann. Il criminale nazista fu catturato “privatamente” nel 1960 a Buenos Aires da un gruppo di israeliani che lo condussero in Israele dove fu arrestato dalle autorità, processato e giustiziato. L’Argentina protestò con Israele per la violazione della sua sovranità e ottenne la costatazione del suo carattere internazionalmente illecito da parte del Consiglio di sicurezza ONU[113], nonostante Israele non avesse ammesso di essere il mandante dell’operazione, asserendo si fosse trattato di un gruppo di “volontari privati”. Anche se fossero stati realmente dei privati, 4.5.4. Il caso dei dati rubati Come ricordato in precedenza, l’attività di assunzione di prove od informazioni in territorio svizzero per un procedimento estero è da considerare un atto che spetta ai poteri pubblici e riservato quindi esclusivamente alle autorità svizzere. L’assunzione di informazioni o prove in Svizzera – senza l’assenso delle autorità svizzere – per una procedura di tassazione estera è quindi certamente da considerare quale comportamento atto a ledere la sovranità territoriale svizzera, come lo era quello dell’ambasciata della Bosnia-Erzegovina a Berna nel 1994[116]. La violazione della sovranità territoriale è data anche se l’attività svolta in Svizzera non comporta l’uso di coercizione alcuna, come nel caso dell’assunzione di prove in Svizzera da parte di un avvocato per una procedura australiana nel 1981[117] o nel caso della “gita” svizzera della Commissione parlamentare italiana “Telekom-Serbia” nel 2003[118] , oppure se viene messa in atto tramite atti criminali, come nel caso della sorveglianza telefonica organizzata dal Mossad in un immobile di Berna nel 1998[119]. Sia il furto di dati bancari o di altri dati coperti da segreti commerciali svizzeri che la semplice trasmissione di tali dati ad autorità estere sono perciò certamente atti lesivi della sovranità territoriale svizzera. Ciò è dimostrato anche dal fatto che tali atti ricadono nel campo di applicazione dell’articolo 273 CP, che appunto tutela la sovranità territoriale svizzera. Infatti è punibile per spionaggio economico non solo l’autore del furto di dati bancari (articolo 273 capoverso 1 CP) ma anche colui che, senza aver partecipato in alcun modo al furto dei dati, li rende accessibili ad autorità estere (articolo 273 capoverso 2 CP)[120], e ciò anche se ha agito all’estero[121]. Poco importa che i fatti coperti dal 27 28 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 segreto costituiscano a loro volta un comportamento lecito od illecito: è punibile per spionaggio economico anche chi denuncia ad autorità estere (invece che ad autorità svizzere) atti di riciclaggio o contrabbando costatati in Svizzera[122]. Non si vede perché ciò che costituisce violazione della sovranità svizzera non dovrebbe valere anche per altri Paesi. Anche un furto di dati coperti da segreti commerciali di un altro Paese o la trasmissione degli stessi ad autorità di Paesi terzi vale quindi, di principio, come violazione della sovranità territoriale di quel Paese[123]. Ciò sempre che tale Paese – come fa regolarmente la Svizzera – abbia protestato per la violazione della propria sovranità: senza una protesta, infatti, la lesione della sovranità potrebbe essere ritenuta avvenuta col consenso del Paese in questione e perciò perdere il suo carattere illecito[124]. Ma quando tali comportamenti lesivi della sovranità territoriale sono attribuibili ad uno Stato estero ai sensi del diritto internazionale? È ovvio che se il furto di dati è commesso direttamente da organi di uno Stato estero, questo ne è responsabile ai sensi del diritto internazionale (articolo 4 ARSIWA). Lo stesso vale per il furto commesso da un privato che di fatto agisca su istruzioni o su istigazione dello Stato estero (articolo 8 ARSIWA[125]). In tale ultima ipotesi si potrebbe anche ritenere che lo Stato estero è responsabile non solo in via derivata per l’agire del privato, ma anche in via diretta per violazione del proprio obbligo internazionale di vigilanza[126] che gli impone di fare del suo meglio (due diligence) per impedire attacchi alla sovranità territoriale estera[127]: uno Stato che, al contrario, istiga pubblicamente al furto di dati dichiarandosi preventivamente disposto all’acquisto della refurtiva, ovviamente, non fa del suo meglio per evitare che ciò accada[128]. Anche lo Stato estero che non ha partecipato all’originaria acquisizione illecita dei dati ma è entrato in gioco in un secondo momento può però vedersi attribuito il comportamento dei privati che hanno rubato i dati. Ciò è certamente il caso di quello Stato che ha pagato per ottenere i dati rubati. Concludendo la compravendita dei dati lo Stato manifesta infatti la propria volontà di appropriarsi degli stessi e perciò di fare proprio il comportamento di chi li ha rubati: tale compravendita è quell’atto definitivo di adozione che permette di imputare ex post allo Stato il comportamento del privato (articolo 11 ARSIWA)[129]. Ma l’acquisto a titolo oneroso dei dati rubati non è l’unico comportamento attivo che può comportare l’attribuzione della responsabilità allo Stato: il semplice atto di utilizzarli per fondare una domanda di assistenza amministrativa può essere considerato un definitivo atto di adozione del comportamento del ladro dei dati. Infatti, già il fatto di utilizzarli per un qualsiasi procedimento interno potrebbe essere considerato un atto di riconoscimento e adozione[130]. A maggior ragione si deve ritenere che uno Stato riconosce e adotta come proprio il comportamento del ladro di dati se (consapevolmente) vi fonda una domanda di assistenza amministrativa internazionale[131]: lo Stato estero, in tal caso, non si limita a valutare tali dati rubati come prove nell’ambito della sua attività giurisdizionale, ma li usa lui stesso per fare valere dei diritti (previsti dai trattati di cooperazione amministrativa) di ottenere assistenza da parte di un altro Stato. Se, senza i dati rubati, la domanda di assistenza amministrativa risulterebbe irricevibile perché costitutiva di una fishing expedition, allora, necessariamente, lo Stato che ne fa uso li fa propri, adottando come proprio anche il comportamento illecito con il quale sono stati raccolti[132]. Il comportamento di uno Stato che utilizza i dati rubati in Svizzera per una procedura di assistenza amministrativa internazionale è perciò sempre e per definizione attivo, e poco importa quindi se sia venuto in possesso di tali dati con un comportamento passivo[133], tramite una donazione dell’autore del furto, o tramite i giornali cui l’autore del furto ha regalato o venduto i dati, o ancora se tramite assistenza amministrativa di uno Stato terzo. Ben difficilmente lo Stato che li utilizza potrà sostenere di essere stato in buona fede e non consapevole della provenienza illecita dei dati. Trattandosi di dati bancari o coperti da segreti commerciali o industriali svizzeri non sono ovviamente normalmente a (lecita) disposizione di individui e giornali. Il fatto poi che provengano da un terzo Stato mediante assistenza amministrativa internazionale non ne esclude certo l’illiceità della provenienza. Se tale terzo Stato li avesse ottenuti per leciti canali di assistenza amministrativa dalla Svizzera gli sarebbe comunque vietato dal diritto convenzionale ritrasmetterli ad altri Stati senza il consenso svizzero[134]: lo Stato che li utilizza senza verificare preventivamente l’esistenza di tale consenso svizzero agisce quindi in mala fede, accettando la possibilità che siano di provenienza illecita[135]. 4.5.5. Conseguenze sugli obblighi convenzionali di cooperazione amministrativa Rimane da domandarsi se un simile atto illecito internazionale attribuibile ad uno Stato permetta alla Svizzera di rifiutare l’assistenza amministrativa richiesta da detto Stato e prevista da una CDI, un TIEA o dalla Convenzione sull’assistenza amministrativa. 4.5.5.1. Ex iniuria ius non oritur La reazione istintiva del giurista è di rispondere affermativamente, in applicazione della massima ex iniura ius non oritur, che – come principio generale secondo cui un atto illecito non può essere fonte di vantaggi, utili o altri diritti per il suo autore – vige certamente anche nel diritto internazionale[136], in quanto espressione del principio di legalità, idea strutturante di ogni ordinamento giuridico[137]. La massima ha un contenuto variegato e comprende diverse regole in vari aspetti dei rapporti tra Stati, tra i quali quella tipica del divieto dell’abuso di diritto secondo cui nessuno deve trarre vantaggio dalla propria colpa (nemo ex propria turpitudine commodum capere potest)[138] o quella che impone allo Stato autore di un atto illecito internazionale di eliminarne le conseguenze ripristinando la situazione esistente prima della commissione dell’atto[139]. La densità del principio ha comunque gradi variabili a seconda del caso specifico[140]. Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Tipica applicazione della massima ex iniuria ius non oritur si ha nell’ambito degli arresti illegali eseguiti mediante rapimento dell’accusato o altri atti in violazione della sovranità territoriale estera: l’applicazione rigorosa della massima imporrebbe sia di disconoscere la competenza dello Stato rapitore a processare il rapito (negando quindi validità alla massima talvolta applicata male captus bene detentus) sia di negargli qualsiasi cooperazione come l’estradizione (negando quindi validità alla massima male captus bene deditus)[141]. Siccome, da un punto di vista della violazione della sovranità territoriale, il furto di dati può essere considerato il pendant del rapimento internazionale[142] , i princìpi che valgono per quest’ultimo sono applicabili anche al primo. Da questo punto di vista, la posizione più rigidamente rispettosa del diritto internazionale[143] è tradotta dalla prassi svizzera. Il Tribunale federale ha riconosciuto che la massima di diritto internazionale ex iniuria ius non oritur esiste ed è direttamente applicabile in Svizzera, con la conseguenza che, se autorità svizzere hanno rapito o tradotto in Svizzera con l’astuzia un accusato in violazione della sovranità territoriale di uno Stato estero, la persona in questione non può essere giudicata o comunque detenuta in Svizzera[144]. In precedenza, il Tribunale federale aveva già stabilito che in presenza di atti lesivi della sovranità territoriale, la Svizzera non era tenuta ad estradare verso lo Stato autore di tali atti un accusato, e ciò anche se la sovranità territoriale lesa non era quella svizzera ma quella di un terzo Stato[145]. Certo, in ambito internazionale non vi è consenso unanime su questo rigido rispetto della sovranità altrui. La prassi di taluni Stati riconosce talvolta la massima male captus bene detentus, negando che il carattere illecito dell’arresto possa costituire un impedimento a processare l’accusato, e ciò in particolare se accusato di gravissimi crimini[146]. Tuttavia, anche se si può comprendere che uno Stato estero che ha nelle sue mani una persona accusata di crimini gravissimi sia restio a rinunciare a processarlo a causa del carattere illecito del suo arresto, ciò non può valere in ambito di cooperazione internazionale, quando cioè detto Stato estero che ha violato la sovranità territoriale svizzera chieda assistenza alla Svizzera[147]. Almeno nell’ambito dell’assistenza amministrativa in materia fiscale, anche considerato che si tratta appunto di assistenza amministrativa e che quindi non concerne per definizione gravi crimini[148] , non può che valere la massima ex iniuria ius non oritur [149]. Di conseguenza, nella procedura di assistenza amministrativa lo Stato estero non deve trarre alcun vantaggio dai dati rubati, dei quali va fatta in qualche modo astrazione[150]: se, senza le informazioni provenienti dai dati rubati, la domanda di assistenza amministrativa risulterebbe un’illecita fishing expedition allora va dichiarata irricevibile. La violazione del rispetto della sovranità svizzera legittima quindi il rifiuto di adempiere ad un obbligo di assistenza previsto dal diritto internazionale convenzionale e può essere invocata dalla persona toccata per opporsi a tale richiesta assistenza[151]. Lo stesso vale nel caso la sovranità territoriale violata sia quella di uno Stato terzo (che abbia per ciò protestato), per evitare che la Svizzera si renda complice di tale violazione del diritto internazionale[152]. 4.5.5.2. Obblighi di riparazione e contromisure Anche se si volessero disconoscere tali effetti della massima sopraccitata, la conclusione sarebbe la stessa. Infatti, la violazione del diritto internazionale costituita dal mancato rispetto della sovranità territoriale rimarrebbe tale e comporterebbe comunque la responsabilità internazionale dello Stato cui è attribuibile il comportamento illecito, e quindi l’obbligo per quest’ultimo di cessare l’atto illecito (articolo 30 ARSIWA) e quello di ripararne le conseguenze (articolo 31 ARSIWA). L’obbligo di riparazione comporta innanzitutto la restituzione in forma specifica, cioè il ripristino della situazione esistente prima della commissione dell’atto illecito, nella misura in cui ciò sia ancora possibile e non appaia sproporzionato (articolo 35 ARSIWA). In fin dei conti, tale obbligo è ancora una volta l’espressione della regola generale derivante dalla massima ex iniuria ius non oritur che impone allo Stato autore di un atto illecito internazionale di eliminarne le conseguenze ripristinando la situazione che sarebbe esistita senza la commissione dell’atto[153]. La forma della restituzione può essere materiale o giuridica. Nella sua forma materiale comprende ad esempio la liberazione e riconsegna di persone arrestate illecitamente o la restituzione di beni o documenti sequestrati illecitamente[154]. Nella sua forma giuridica può comportare l’annullamento di una disposizione legislativa o di una decisione giudiziaria alla base dell’atto illecito internazionale[155]. Ad esempio, la Corte internazionale di Giustizia ha ordinato al Belgio di annullare un ordine di arresto di un ministro del Congo emanato in violazione del diritto internazionale[156]; in un altro caso ha ordinato all’Italia di annullare e privare di qualsiasi effetto delle sentenze lesive dell’immunità giurisdizionale della Germania[157]. Applicando tali princìpi al caso dei dati rubati, la Svizzera ha quindi il diritto di pretendere dallo Stato estero la restituzione materiale di tutti i dati rubati (e di tutte le copie) in suo possesso; poiché, come visto in precedenza, è però anche il loro utilizzo in una procedura di assistenza amministrativa a costituire violazione della sovranità svizzera ed a causarne l’attribuzione allo Stato estero, la Svizzera ha anche il diritto di pretendere che questo non ne faccia appunto uso per una domanda di assistenza. Solo in tal modo vengono eliminate le conseguenze dell’atto illecito internazionale e ripristinata la situazione esistente prima della commissione dell’atto illecito: se la domanda dello Stato estero – senza i dati rubati – non è che una fishing expedition non comporterà alcun obbligo di assistenza. È ciò che del resto si è avverato nel caso dei dati rubati alla HSBC di Ginevra, che la Francia si è, dopo proteste svizzere, impegnata a non più utilizzare per fondare domande di assistenza amministrativa alla Svizzera[158]. 29 30 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Per indurre lo Stato estero ad adempiere i citati obblighi di restituzione ed astensione, la Svizzera può adottare contromisure adeguate, temporaneamente violando a sua volta obblighi internazionali che avrebbe nei confronti dello Stato estero (articolo 49 ARSIWA). La Svizzera può dunque temporaneamente rifiutarsi di adempiere[159] gli obblighi di assistenza esistenti in virtù di una CDI, un TIEA o della Convenzione sull’assistenza amministrativa fondandosi sulla responsabilità internazionale degli Stati ed a prescindere dalle regole sul diritto dei trattati (articolo 60 CV); infatti l’articolo 73 CV riserva appunto le regole sulla responsabilità internazionale. La violazione di un obbligo del diritto internazionale generale legittima lo Stato leso a rifiutarsi di adempiere verso lo Stato autore dell’atto illecito qualsiasi obbligazione, sia essa prevista dal diritto internazionale generale o da qualsiasi trattato, senza che sia necessaria né una particolare gravità della violazione né l’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra le reciproche obbligazioni in questione[160]. 4.6. Principio della buona fede tra Stati L’argomento attualmente più utilizzato dalla dottrina e dalle autorità svizzere per giustificare l’irricevibilità della domanda di assistenza ex articolo 7 lettera c LAAF è quello del rispetto del principio della buona fede tra Stati. In effetti, è generalmente riconosciuto sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza internazionale che uno dei principi generali del diritto internazionale (che l’articolo 38 dello statuto della Corte internazionale di Giustizia indica tra le fonti del diritto internazionale) è quello della buona fede tra Stati. Si tratta di un principio fondamentale alla base di ogni sistema giuridico, e perciò anche alla base dei reciproci rapporti tra Stati membri della Comunità internazionale[161]. Il principio trova poi applicazione in particolare nell’ambito dell’applicazione dei trattati (articoli 26 e 31 CV). Quanto al contenuto, il principio comporta per gli Stati contraenti di una convenzione internazionale un obbligo di astenersi così come un obbligo di agire. Innanzitutto uno Stato contraente ha l’obbligo di astenersi dal mentire e dal ricorrere ad astuzia o macchinazioni per imbrogliare la controparte; ciò significa che vìola il principio della buona fede lo Stato che, rivolgendosi ad un altro Stato, usa delle menzogne o tiene un comportamento ambiguo che potrebbe indurre in errore la controparte[162]. Vige naturalmente la presunzione che uno Stato contraente rispetti tale suo dovere di astensione[163]. Ma allo Stato può anche competere un obbligo di agire, ad esempio l’obbligo di comunicare alla controparte quei fatti importanti che questa non dovesse conoscere, in particolare nel caso in cui la controparte non sia in grado di venirne autonomamente a conoscenza[164]. Il principio vieta inoltre alle Parti ad un trattato comportamenti tesi ad eludere il senso e lo scopo del trattato stesso[165]. Ci si potrebbe chiedere se il principio della buona fede tra Stati faccia parte dello ius cogens internazionale. A ragione, la maggior parte della dottrina internazionale lo ammette[166]; considerato il riconoscimento del suo carattere cogente in vari atti e trattati fondamentali come, ad esempio, nel preambolo CV, visto che si tratta di un principio essenziale ed inerente alla nozione stessa di diritto internazionale, e proprio perché il principio della buona fede è principio fondamentale per l’interpretazione stessa dei trattati, non si vede come potrebbe mai una disposizione convenzionale derogare al principio stesso[167]. È probabilmente per tutti questi motivi che il Tribunale federale ha riconosciuto implicitamente al principio della buona fede il carattere di ius cogens internazionale, permettendo ad una persona oggetto di una domanda d’estradizione di prevalersene per opporsi all’estradizione, pur prevista da una convenzione internazionale[168]. Nell’ambito dell’assistenza amministrativa in materia fiscale, le autorità svizzere hanno sempre sostenuto che lo Stato estero che acquista dati bancari rubati in Svizzera pur avendo sottoscritto una CDI con il nostro Paese[169] , o li utilizza per fondare una domanda di assistenza amministrativa[170] , vìola il principio internazionale della buona fede. In effetti, se due Stati hanno concluso un trattato per regolare le condizioni della reciproca collaborazione in materia amministrativa, si deve ritenere che essi debbano attenersi obbligatoriamente ed esclusivamente a tale via per assumere informazioni e prove, astenendosi quindi dal ricorrere ad altri mezzi, come l’uso di dati rubati[171]. Lo Stato che ricorre ad altre vie elude dunque il senso e lo scopo del trattato. L’idea soggiacente (e convincente) è che un trattato di cooperazione internazionale per l’assunzione di informazioni o prove abbia sempre carattere obbligatorio rispettivamente esclusivo. Simile convinzione è stata espressa dalla Svizzera anche in altri ambiti della cooperazione internazionale, come ad esempio nella dichiarazione sull’articolo 1 della Convenzione dell’Aja sull’assunzione all’estero delle prove in materia civile o commerciale del 1970. In tale ambito civilistico, detta opinione sembra del resto essere condivisa dai Paesi di diritto continentale (tra i quali, ad esempio, i Paesi membri dell’UE, inclusa la Germania)[172] al contrario di quelli di common law[173]. Oltre a ciò, vi è un secondo aspetto che può essere considerato un’elusione del trattato. Sia le CDI che i TIEA che la Convenzione sull’assistenza amministrativa prevedono che l’assistenza debba essere concessa solo le se informazioni appaiono verosimilmente rilevanti per chiarire la posizione fiscale di un contribuente ed hanno perciò lo scopo di vietare le fishing expedition[174]. Tale divieto è però eluso da quello Stato che utilizza dei dati bancari rubati, grazie ai quali può trasformare un’irricevibile domanda generica qualificabile Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 come ricerca indiscriminata di prove in una domanda circostanziata su persone o gruppi di persone ricevibile. L’uso dei dati rubati per fondare una domanda di assistenza costituisce perciò anche una violazione del principio internazionale della buona fede tra Stati. Poiché si tratta di una norma dello ius cogens internazionale prevale sull’obbligo di fornire assistenza previsto da una CDI, un TIEA o dalla Convenzione sull’assistenza amministrativa, e permette quindi alla Svizzera di rifiutare detta assistenza ed alla persona toccata di opporvisi[175] , a prescindere dai normali meccanismi sanzionanti l’inadempienza dei trattati internazionali (articolo 60 CV). Comunque, la citata violazione del principio di buona fede costituirebbe anche una sostanziale violazione di una CDI, un TIEA o della Convenzione sull’assistenza amministrativa legittimante la Svizzera a sospendere, completamente o parzialmente, l’applicazione di tali norme convenzionali (articolo 60 paragrafo 1 CV)[176]. 5. Modifica legislativa proposta Il 10 giugno 2016 il Consiglio federale ha approvato il Messaggio su di un progetto di legge tendente a modificare come segue l’articolo 7 lettera c LAAF: “Non si entra nel merito della domanda se: [...] c. vìola il principio della buona fede, in particolare se si fonda su informazioni che lo Stato richiedente ha ottenuto: 1. in seguito a reati secondo il diritto svizzero, 2. al di fuori di una procedura di assistenza amministrativa, e 3. mediante un comportamento attivo”. 5.1. Nuove condizioni cumulative Salta agli occhi che la novità proposta costituirebbe una rottura netta con la prassi svizzera attuale: sarebbe di principio permesso l’uso di dati rubati per fondare una domanda di assistenza amministrativa alla Svizzera. Infatti, verrebbero introdotte due nuove condizioni cumulative per ritenere irricevibile la domanda di assistenza. L’irricevibilità sarebbe data unicamente se (i) lo Stato richiedente si basa su dati rubati che ha ottenuto con un comportamento attivo e (ii) se non ha ottenuto tali dati nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa[177]. Da un lato viene dunque introdotta una distinzione tra comportamento attivo e passivo dello Stato richiedente. Sarebbe attivo unicamente quello Stato che ha esso stesso preso misure per entrare in possesso dei dati o se ha ottenuto i dati offerti da terzi contro dei vantaggi. Sarebbe invece passivo il comportamento dello Stato che accetti semplicemente i dati senza offrire incentivi o vantaggi, oppure li ricavi da fonti accessibili al pubblico come ad esempio dai media[178]. Dall’altro, anche se si potesse dimostrare un comportamento attivo da parte dello Stato richiedente, sarebbe possibile entrare nel merito di una domanda se lo Stato richiedente ha ricevuto i dati, ottenuti mediante reati secondo il diritto svizzero, nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa da uno Stato terzo[179]. La procedura di assistenza amministrativa da parte di uno Stato terzo avrebbe quindi un effetto sanatorio di qualsiasi comportamento (anche attivo) tenuto dallo Stato richiedente, anche se questo avesse ad esempio pubblicamente istigato il furto dei dati bancari svizzeri, poi rivenduti dal ladro ad uno Stato terzo. 5.2. Motivazioni Secondo il Consiglio federale, la modifica proposta avrebbe lo scopo di rispondere alle critiche avanzate dalla maggioranza dei Paesi del Forum globale sulla trasparenza e sullo scambio di informazioni a fini fiscali (di seguito Global Forum), che ritengono il rifiuto della Svizzera di fornire assistenza in caso di dati rubati una prassi troppo restrittiva e probabilmente non conforme allo standard OCSE. Ciò in vista dell’esame della prassi svizzera che avverrà nella seconda metà del 2018: scopo della modifica sarebbe quindi di evitare che la Svizzera ottenga una brutta nota a tale esame, vale a dire una valutazione solo di “parziale conformità” allo standard[180]. Inoltre il Consiglio federale intende così venire incontro ai rimproveri di importanti Stati membri del G20, come l’India, che hanno presentato molte domande di assistenza amministrativa fondate sulla lista di clienti della HSBC (cosiddetta lista Falciani) fornitagli tramite assistenza amministrativa dalla Francia, e che non comprendono perché queste non vengano evase dalla Svizzera[181]. Infine la modifica sarebbe dettata anche da motivi giuridici. Secondo il Consiglio federale, se uno Stato riceve informazioni, originariamente ottenute illegalmente, nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa e basa la sua domanda su queste informazioni allora è difficile considerarla una violazione del principio della buona fede internazionale [182]. 5.3. Critica La proposta modifica è criticabile sotto molti punti di vista ed è auspicabile che non venga accettata dal Parlamento. In primo luogo, è incoerente. Già al momento dell’adozione della LAAF nel 2012 il Parlamento aveva respinto con una chiarissima maggioranza una proposta di stralciare l’articolo 7 lettera c LAAF[183]. Nel 2013 il Consiglio federale aveva messo in consultazione una modifica dell’articolo 7 lettera c LAAF che, similmente a quella oggi proposta, differenziava tra un comportamento attivo o passivo dello Stato richiedente; la proposta era poi stata ritirata viste le aspre critiche emerse dalla procedura di consultazione[184]. La proposta era poi riapparsa in forma leggermente modificata in sede di dibattito parlamentare ed il Parlamento l’aveva respinta, sempre con una chiarissima maggioranza[185]. 31 32 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Infine, nel 2014, il Parlamento ha esteso la punibilità della fattispecie di violazione del segreto bancario (articolo 47 LBCR) anche ai terzi che diffondono le informazioni, inasprendo inoltre le pene[186]. Causa della revisione è stato appunto il fenomeno dei diversi casi di impiegati di banca che hanno venduto dati bancari a terzi, in particolare ad autorità fiscali straniere. Scopo della revisione era di aumentare l’effetto dissuasivo della sanzione a tutela dei dati bancari[187]. Negli ultimi tre anni la modifica della prassi svizzera in materia di dati rubati è quindi stata respinta a grande maggioranza dal Parlamento, che al contrario ha recentemente inasprito le norme penali sulla violazione del segreto bancario. Modificare oggi tale prassi significherebbe incentivare il furto dei dati bancari e negare qualsiasi coerenza e stabilità all’azione di Parlamento e Governo, dai quali i cittadini possono legittimamente aspettarsi che si attengano alle decisioni di politica legislativa per almeno qualche anno. In secondo luogo è sbagliata giuridicamente. Come è stato dimostrato in precedenza, il rifiuto di dare seguito a domande di assistenza amministrativa fondate su dati rubati trova giustificazione in una corretta applicazione del diritto internazionale, ed in particolare del principio del rispetto della sovranità territoriale e del principio della buona fede. Dal punto di vista del rispetto della sovranità territoriale svizzera, che lo Stato estero abbia avuto un comportamento attivo o passivo per l’acquisizione dei dati rubati non ha alcuna rilevanza. Rilevante è piuttosto l’utilizzo consapevole dei dati rubati per una procedura di assistenza amministrativa internazionale, per rivendicare dalla Svizzera un diritto all’assistenza amministrativa previsto da un trattato: lo Stato richiedente adotta così come proprio anche il comportamento illecito con il quale sono stati raccolti i dati. Un tale utilizzo dei dati rubati è sempre e per definizione un comportamento attivo, e poco importa quindi se l’acquisizione degli stessi è avvenuta tramite una donazione dell’autore del furto, o tramite i media o assistenza amministrativa di uno Stato terzo[188]. Proprio perché la sovranità territoriale violata è quella svizzera, la trasmissione da parte di uno Stato terzo mediante assistenza amministrativa dei dati rubati è ovviamente irrilevante: solo un’eventuale trasmissione dei dati dalla Svizzera mediante assistenza amministrativa ne garantisce la legittimità. Analoghe considerazioni valgono anche esaminando la questione dal punto di vista del principio della buona fede. Il fatto stesso di accettare (anche passivamente) i dati rubati ed utilizzarli costituisce un’elusione delle CDI, TIEA e della Convenzione sull’assistenza amministrativa[189]. Né può lo Stato richiedente dichiararsi in buona fede per il solo motivo di avere ricevuto i dati tramite assistenza amministrativa da uno Stato terzo. Se tale terzo Stato li avesse ottenuti per leciti canali di assistenza amministrativa dalla Svizzera gli sarebbe comunque vietato dal diritto convenzionale ritrasmetterli ad altri Stati senza il consenso svizzero: lo Stato richiedente che li utilizza senza verificare preventivamente l’esistenza di tale consenso svizzero agisce quindi comunque in mala fede[190]. Visto che il diritto internazionale generale giustifica il rifiuto di dare seguito a domande di assistenza amministrativa fondate su dati rubati, non c’è standard OCSE che possa privare la Svizzera di tale diritto: gli standard sono solo soft law è non possono quindi annichilire il diritto internazionale pubblico vigente. In terzo luogo, è totalmente inutile. Anche cambiando la legge interna (articolo 7 lettera c LAAF) la prassi svizzera non cambierà. Infatti, come visto, il fondamento del rifiuto di collaborare in caso di dati rubati è ancorato nel diritto internazionale generale. La persona toccata dalla richiesta di assistenza amministrativa potrebbe direttamente invocare in sede giudiziaria la violazione del principio di sovranità e/o quello della buona fede per opporsi alla concessione dell’assistenza[191] , anche se l’articolo 7 lettera c LAAF fosse completamente abrogato. Infine, la proposta di modifica appare sproporzionata. Il fine perseguito dal Consiglio federale è infatti quello di evitare una brutta valutazione da parte del Global Forum nell’ambito della seconda fase della Peer Review della Svizzera, ove verrà complessivamente valutato se la prassi svizzera è conforme allo standard OCSE. Ma anche il Liechtenstein aveva un simile problema, prevedendo la sua legislazione una disposizione analoga all’articolo 7 lettera c LAAF; disposizione che viene applicata rigorosamente, visto che il 40% delle domande di assistenza a tale Paese è bloccato per tale motivo[192]. Ciononostante il Liechtenstein ha ottenuto una brillante valutazione: “ampiamente conforme” allo standard[193]. Ciò che è riuscito al Liechtenstein è quindi probabile che riuscirà anche alla Svizzera, senza necessità di modificare alcunché[194]. 6. Conclusione Il rifiuto della Svizzera di concedere assistenza amministrativa fiscale se la domanda estera si fonda su dati rubati trova la sua giustificazione più profonda nel diritto internazionale generale. Tale rifiuto è innanzitutto la necessaria conseguenza della massima ex iniuria ius non oritur, che altro non è che l’espressione del principio di legalità, che è (e deve essere) alla base di ogni ordinamento giuridico (che altrimenti appunto giuridico non è), e quindi vale anche a livello internazionale. Rinunciare a tale principio significa affermare che il diritto internazionale pubblico non esiste e che i rapporti tra Stati si reggono soltanto sulla legge della giungla. Ma il rifiuto è anche necessaria espressione di un legittimo intento di tutela della sovranità svizzera. Concedere assistenza amministrativa in caso di dati rubati significa rinunciare alla propria sovranità territoriale. E uno Stato privo di sovranità territoriale non corrisponde neanche più alla definizione di Stato. Se è vero che l’ONU è fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi membri, allora nessun altro Stato o gremio di funzionari intergovernativi può imporre alla Svizzera di rinunciare a essere uno Stato e ad applicare il diritto internazionale generale. Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Elenco delle fonti fotografiche: http://www.lapresse.it/sites/default/files/styles/737x415/public/damiel_ images/computertastiera1.jpg?itok=_mlDmEhd [30.06.2016] https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Sergio_Catilina#/media/File:MaccariCicero.jpg [30.06.2016] http://w w w.laregione.ch/sites/default/f iles/uploads/f iles/2016/04/ TiPress_201763-2.jpg [30.06.2016] http://www.corrierecaserta.it/wp-content/uploads/2016/04/hacker.jpg [30.06.2016] http://th.soldiblog.it/Rf55XqE3tUbhl3tI_vnO9vATjmU=/fit-in/655xorig/ http://media.soldiblog.it/a/adc/GettyImages-85525806.jpg [30.06.2016] http://www.corriereuniv.it/cms/wp-content/uploads/2014/03/ocse.png [30.06.2016] http://w w w.v f w-project.com/wp-content/uploads/2015/06/onu.jpg [30.06.2016] http://media.tio.ch/files/images/4bhj/l_43gu.jpg?v=1 [30.06.2016] [1] Scheller Stefano, Manuale sullo scambio di informazioni in materia fiscale, Manno 2015, pagina 173. [2]DTF 141 II 436 consid. 4.4.3; Sentenza TF n. 2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata a pubblicazione, consid. 2.1.1; OCSE, Modèle de convention fiscale concernant le revenu et la fortune: Version abrégée 2014, Parigi 2014, Commentaires sur l’article 26 (citato: Commentario Art. 26 M-OCSE), n. 5 pagina 449; Naef Francesco/ Neuroni Naef Elena, Sur l’inconstitutionnalité de l’échange automatique de renseignements, in: Jusletter 7 dicembre 2015, nm. 50-60. [3] Sentenza TF n. 2C_963/2014 del 24 settembre 2015 consid. 6.1.1 a contrario, non pubblicato alla DTF 141 II 436; Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 8.1 pagina 454; Naef Francesco/Neuroni Naef Elena, op. cit., nm. 52, 58; Scheller Stefano, op. cit., pagina 68; Schoder Charlotte, Praxiskommentar StAhiG, Zurigo 2014, N 63 ad Art. 6 LAAF. [4] Articolo 6 capoverso 2 LAAF; Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 5.1 pagina 450; Scheller Stefano, op. cit., pagina 70. [5]Articolo 2 capoverso 1 OAAF; Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 5.2 pagina 450; Naef Francesco/ Neuroni Naef Elena, op. cit., nm. 61-72; Scheller Stefano, op. cit., pagina 71. [6] Foglio federale 2015 7949. [7] Cfr. l’elencazione esemplificativa fatta da Scheller Stefano, op. cit., pagina 184 nota 1084. [8] Cfr. il seguente link: http://www.spiegel.de/ wirtschaft/soziales/nordrhein-westfalen-kauft-steuercd-fuer-fuenf-millionen-euro-a-1060391.html [30.06.2016]. [9] Tirelli Ludovic, Le vol de données bancaires, in: Expert Focus 2015, pagina 1009; Eicker Andreas, Zur Strafbarkeit des Kopierens und Verkaufens sowie des Ankaufens von Bankkundendaten als schweizerisch-deutsches Tatgeschehen, in: Jusletter 30. August 2010, nm. 5. [10]Tirelli Ludovic, op. cit., pagina 1010; Eicker Andreas, op. cit., nm. 7. [11] Sentenza TPF n. SK.2014.46 del 27 novembre 2015 consid. 2; Tirelli Ludovic, op. cit., pagina 1010; Eicker Andreas, op. cit., nm. 12. [12]Sentenze TPF n. SK.2011.21 dell’11 dicembre 2011 consid. 9 e n. SK.2014.46 del 27 novembre 2015 consid. 3; Eicker Andreas, op. cit., nm. 12. [13] DTF 141 IV 155 consid. 4.3.1. [14]DTF 141 IV 155 consid. 4.3.1; Delnon Vera/ Niggli Marcel Alexander, Verkaufen und Kaufen von strafbar erlangten Bankkundendaten durch ausländische Behörden als schweizerisch-deutsches Tatgeschehen, in: Jusletter 8. November 2010, nm. 4. [15]Messaggio del Consiglio federale n. 11.044 a sostegno di una legge sull’assistenza amministrativa fiscale del 6 luglio 2011 (citato: Messaggio n. 11.044), in: Foglio federale 2011 5587, pagina 5602. [16]Wyss Rudolf, Illegal beschaffte Daten – eine Grundlage für internationale Amts- und Strafrechtshilfe in Fiskalsachen?, in: AJP/PJA 2011, pagine 734-735; cfr. anche il dibattito al Consiglio nazionale sulle susseguenti modifiche della LAAF del 2013, Votum Darbelley Christophe, Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2013, pagina 2189: “[...] Wir sind einfach dagegen, dass gestohlene Daten, ganz gleich, ob sie direkt oder indirekt gestohlen worden sind, für die Amtshilfe verwendet werden. Das ist für uns und für einen Rechtsstaat nicht akzeptabel. Das ist die klare Meinung der Kommissionsmehrheit”. [17]Messaggio n. 11.044, pagina 5602: “[...] li trasmette o vende a uno Stato [...]”; Wyss Rudolf, op. cit., pagina 734. [18]Holenstein Daniel, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/Matteotti René (a cura di), Internationales Steuerrecht, Basilea 2015, N 302-303 ad Art. 26 M-OCSE. [19]Rapporto esplicativo sull’Avamprogetto di modifica della legge sull’assistenza amministrativa 33 34 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 fiscale del 14 agosto 2013, pagina 5; Rapporto esplicativo concernente l’avamprogetto di modifica della legge sull’assistenza amministrativa fiscale (dati rubati) del 2 settembre 2015, pagina 3. [20] Ad esempio, sentenze TAF n. A-6843/2014 del 15 settembre 2015 consid. 7.6 e n. A-6849/2014 del 22 ottobre 2015 consid. 6, impugnate davanti al Tribunale federale. [21] Il chiaro testo dell’articolo 1 capoverso 1 LAAF ed i lavori preparatori (Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2012, pagine 87-89) dimostrano che la LAAF è una semplice legge di applicazione di trattati e che non può quindi valere quale base legale per concedere assistenza amministrativa in assenza di un trattato, Schoder Charlotte, op. cit., N 2 ad Art. 1 LAAF; Opel Andrea, Neuausrichtung der schweizerischen Abkommenspolitik in Steuersachen: Amtshilfe nach dem OECD-Standard, Berna 2015 (citato: Neuausrichtung der schweizerischen Abkommenspolitik), pagina 267. [22] Che preveda una clausola conforme all’articolo 26 paragrafo 1 M-OCSE: “Les autorités compétentes des États contractants échangent les renseignements vraisemblablement pertinents pour appliquer les dispositions de la présente Convention ou pour l’administration ou l’application de la législation interne relative aux impôts de toute nature ou dénomination perçus pour le compte des États contractants, de leurs subdivisions politiques ou de leurs collectivités locales dans la mesure où l’imposition qu’elle prévoit n’est pas contraire à la Convention”. [23] Che preveda una clausola conforme all’articolo 1 M-TIEA: “Les autorités compétentes des parties contractantes s’accordent une assistance par l’échange de renseignements vraisemblablement pertinents pour l’administration et l’application de la législation interne des parties contractantes relative aux impôts visés par le présent Accord. Ces renseignements sont ceux vraisemblablement pertinents pour la détermination, l’établissement et la perception de ces impôts, pour le recouvrement et l’exécution des créances fiscales ou pour les enquêtes ou poursuites en matière fiscale”. [24] Che nel suo articolo 4 paragrafo 1 dispone: “Le Parti scambiano, in particolare come previsto dalla presente sezione, le informazioni che sono verosimilmente rilevanti per l’amministrazione o l’applicazione delle loro legislazioni interne relative alle imposte considerate nella presente Convenzione”. [25] Come appunto sostiene il Messaggio n. 11.044, pagina 5602. [26] Messaggio n. 11.044, pagina 5590. [27]Corte internazionale di Giustizia, Applicabilité de l’obligation d’arbitrage en vertu de la section 21 de l’accord du 26 juin 1947 relatif au siège de l’Organisation des Nations Unies, Parere del 26 aprile 1988, C.I.J. Recueil 1988, pagine 34-35; Dailler Patrick/ Forteau Mathias/Pellet Alain, Droit international public, Parigi 2009, n. 49 pagina 109, n. 178 pagina 304; Peters Anne, Völkerrecht, Zurigo 2012, nm. 29 pagina 209; Besson Samantha, Droit international public, Berna 2013, pagina 260; Grisanti Luca, Il conflitto tra diritto interno e diritto internazionale pubblico con particolare attenzione all’ambito applicativo dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone, in: RtiD II-2007, pagine 249-250. [28]DTF 139 I 16 consid. 5.1 con riferimenti; DTF 125 II 417 consid. 4d. [29]Cfr. in ambito di estradizione DTF 122 II 485 consid. 3. [30] DTF 99 Ib 39. [31]Uno Stato può sì emanare leggi che a livello interno prevalgono sul diritto internazionale anche se non sono conformi a quest’ultimo, ma in tal caso incorre in una violazione del diritto internazionale che fonda la responsabilità internazionale dello Stato e il suo obbligo di ristabilire una situazione conforme al diritto internazionale, cfr. Consiglio federale, Rapporto “La relazione tra il diritto internazionale e il diritto nazionale” del 5 marzo 2010, in: Foglio federale 2010, pagina 2038; Grisanti Luca, op. cit., pagina 252. [32] Sentenza TF n. 2C_716/2014 del 26 novembre 2015 consid. 3.2 destinato a pubblicazione; DTF 133 V 367 consid. 11.4, 125 II 417 consid. 4d; Grisanti Luca, op. cit., pagine 253-271. [33]Così esplicitamente il Messaggio n. 11.044, pagina 5602. [34]Alla medesima conclusione, ma con diversa motivazione, giunge Opel Andrea, Wider die Amtshilfe bei Datenklau: Gestohlene Daten sind gestohlene Daten (citato: Gestohlene Daten), in: Jusletter 23. November 2015, nm. 21. [35]Analogamente a quanto stabilito dalla giurisprudenza in ambito di assistenza giudiziaria in materia penale, DTF 112 Ib 576 consid. 11b; Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 31. [36] Scheller Stefano, op. cit., pagine 85-86. [37]Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 17 pagina 463; OCSE/Consiglio d’Europa, La Convention multilatérale concernant l’assistance administrative mutuelle en matière fiscale: Amendée par le Protocole de 2010, Parigi 2011, Commentaires sur l’article 21, n. 182 pagina 82; OCSE, Modèle d’ accord sur l’échange de renseignements en matière fiscale, Commentaires sur l’article 7, n. 71; Scheller Stefano, op. cit., pagina 81; Opel Andrea, Neuausrichtung der schweizerischen Abkommenspolitik, pagina 428. [38] Sentenza TAF n. A-6843/2014 del 15 settembre 2015 consid. 7.4.1, oggetto di impugnazione pendente al Tribunale federale. [39] Micheli François Roger, Assistance administrative internationale en matière fiscale et données volées, in: The IFA’s Wealth Gram, vol. II, n. 20 – septembre 2013, n. 12 pagina 4; cfr. anche sul tema dell’uso di dati rubati nella procedura amministrativa svizzera, Micheli François Roger/Robert ChristianNils, Documents volés et dénonciations fiscales, in: Jusletter 19 novembre 2012, nm. 6-54. [40]Parere del Consiglio federale del 16 maggio 2012 sull’interpellanza n. 12.3302 Luzi Stamm “Impiego nelle procedure fiscali di dati bancari rubati” che chiedeva tra l’altro: “È garantito che sul nostro territorio nazionale le autorità fiscali svizzere non possono basarsi su informazioni o dati acquisiti in modo illegale secondo il diritto svizzero nelle procedure di imposizione o di sottrazione d’imposta?”. [41]Sentenza TF n. 2C_514/2007 del 2 ottobre 2007, consid. 3. [42] In tal senso Scheller Stefano, op. cit., pagine 85-86. [43] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 22. [44] Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 14.1 pagina 461. [45] Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 15.2 pagina 462. [46] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 22. [47] Scheller Stefano, op. cit., pagine 82-83. [48] Sentenza TAF n. A-6843/2014 del 15 settembre 2015 consid. 7.4.2, oggetto di impugnazione pendente al Tribunale federale. [49] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 22. [50]Ad esempio in Italia, cfr. Armella Sara, Liste Falciani e Vaduz: la Corte di Cassazione italiana conferma gli accertamenti, in: NF 3/2016, pagina 25 e seguenti; per una panoramica delle soluzioni giurisprudenziali vigenti in alcuni Paesi europei cfr. Micheli François Roger/Robert Christian-Nils, op. cit., nm. 89-136. [51]Corte internazionale di Giustizia, Certaines questions concernant l’entraide judiciaire en matière pénale (Djibouti c. France), sentenza del 4 giugno 2008, C.I.J. Recueil 2008, pagina 229. [52]Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 19.5 pagina 465; cfr. anche OCSE/Consiglio d’Europa, La Convention multilatérale, op. cit., Commentaires sur l’article 21, n. 196 pagina 86, e OCSE, Modèle d’ accord sur l’échange de renseignements en matière fiscale, Commentaires sur l’article 7, n. 91. [53]Commentario Art. 26 M-OCSE, Introduction, n. 29 pagina 15; Scheller Stefano, op. cit., pagina 38; Opel Andrea, Neuausrichtung der schweizerischen Abkommenspolitik, pagina 20; Matteotti René/ Krenger Nicole Elischa, in: Zweifel Martin/Beusch Michael/Matteotti René (a cura di), Kommentar zum Internationalen Steuerrecht, Basilea 2015, N 159 ad Einleitung. [54] Sentenza TF n. 2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata a pubblicazione consid. 2.1, sentenza TF n. 2C_750/2013 del 9 ottobre 2014 consid. 2.2.4. [55]Scheller Stefano, op. cit., pagine 38-39; Opel Andrea, Neuausrichtung der schweizerischen Abkommenspolitik, pagina 79; Matteotti René/ Krenger Nicole Elischa, op. cit., N 161 ad Einleitung; Lang Michael, in: Danon Robert/Gutmann Daniel/ Oberson Xavier/Pistone Pasquale (a cura di), Modèle de Convention fiscale OCDE concernant le revenu et la fortune, Commentaire, Basilea 2014, N 1 ad Art. 3 M-OCSE; Schönfeld Jens/Häck Nils, in: Schönfeld Jens/ Ditz Xaver (a cura di), Doppelbesteuerungsabkommen, Kommentar, Colonia 2013, Systematik der Doppelbesteuerungsabkommen, n. 97. [56]UFG, Demande d’assistance administrative fondées sur des données volées, avis de droit du 23 février 2010, in: GAAC 2010.8, pagina 84. [57]Parere del Consiglio federale del 16 maggio Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 2012 sull’interpellanza n. 12.3302 Luzi Stamm, risposta 3: “Sin dalla primavera del 2010, nell’ambito dei negoziati per la conclusione degli accordi per evitare la doppia imposizione, la Svizzera sottolinea che non intende procedere a scambi di informazioni in caso di domande fondate su dati acquisiti illegalmente”. [58] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 23. [59] Articolo 31 paragrafo 2 lettera a CV; Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, in: Rapport de la Commission du droit international, Documents officiels de l’Assemblée générale des Nations Unies, Soixante-sixième session, Supplement n. 10 (A/66/10/ Add.1), New York 2012, Commentaire sur la directive 1.6.3 n. 2; Gardiner Richard, Treaty Interpretation, Oxford 2015, pagina 107; Villiger Mark E., Commentary on the 1969 Vienna Convention on the Law of Treaties, Leiden 2009, N 16 ad Art. 31 CV; Dailler Patrick/Forteau Mathias/Pellet Alain, op. cit., n. 163, 165; Cottier Thomas/Pannatier Serge, Traités internationaux, IV, FJS 385, Ginevra 1995, pagina 9. [60] Cfr. ad esempio il Decreto federale del 18 giugno 2010 autorizzante la ratifica dell’accordo di modifica della CDI con la Francia, Raccolta ufficiale 2010 5681: “Articolo 3: Il Consiglio federale dichiara nei confronti del Governo della Repubblica Francese che la Svizzera non concede l’assistenza amministrativa in materia fiscale se la domanda si basa su dati acquisiti illegalmente e che in tal caso chiederà l’assistenza giudiziaria. Il Consiglio federale si adopera per ottenere una dichiarazione equivalente da parte del Governo della Repubblica Francese”; David Eugen, relatore della Commissione del Consiglio degli Stati, in: Bollettino ufficiale del Consiglio degli Stati 2010, pagina 273: “Nun komme ich zu Artikel 1ter, bei dem es um die Frage des Ordre public geht. Ich habe vorhin ausgeführt, dass wir ausdrücklich verankert haben wollen, dass wir auf der Basis gestohlener Daten keine Amtshilfe erteilen. Wir wollen, dass der Bundesrat das den Vertragsstaaten mitteilt, und wir laden ihn auch ein, diesbezüglich Konsens mit den Vertragsstaaten herbeizuführen, sei es durch Briefwechsel oder mit anderen Mitteln. Ich verweise insbesondere auf den Fall Frankreich”. [61] Sorel Jean-Marc/Bore-Eveno Valerie, in: Corten Olivier/Klein Pierre (a cura di), The Vienna Conventions on the Law of Treaties – A commentary, Oxford 2011, N 38 ad Art. 31 CV, pagina 823; Benatar Marco, From probative value to authentic interpretation: the legal effects of interpretative declarations, in: Revue belge de droit international 2011, pagina 193. [62] Non essendone noto il contenuto preciso non si può escludere che si possa trattare di una dichiarazione unilaterale di altro tipo – di natura politica o interna – come talvolta si riscontra nella prassi internazionale, cfr. Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 1.5; Gardiner Richard, op. cit., pagina 101. [63]Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 2.4.4, n. 6: “il va de soi que seul peut être interprété un instrument existant et que, dès lors, il n’est pas nécessaire de préciser que la déclaration ne peut intervenir qu’une fois le texte de la disposition du traité en cause définitivement adopté”; Gardiner Richard, op. cit., pagina 95; Schönfeld Jens/ Häck Nils, op. cit., n. 91. [64]Corte europea dei diritti dell’uomo, Belilos c. Svizzera del 29 aprile 1988, serie A, vol. 132, § 49 pagina 24; Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 1.4 n. 13; Pellet Alain/Schabas William, in: Corten Olivier/Klein Pierre (a cura di), op. cit., N 26 ad Art. 23 CV, pagina 601. [65] Articolo 23 paragrafo 2 CV; Pellet Alain/Schabas William, op. cit., N 19 ad Art. 23 CV, pagina 600; Villiger Mark E., op. cit., N 4 ad Art. 23 CV. [66]Schenker Claude, Guide de la pratique en matière de traités internationaux, Berna 2015, nm. 140 n. 95; Besson Samantha, op. cit., pagina 209; Villiger Mark E., op. cit., N 6 ad Art. 19 CV; Perrin Georges J., Droit international public, Zurich 1999, pagina 161. [67] Messaggio del Consiglio federale n. 15.056 del 12 agosto 2015 concernente l’approvazione di un Protocollo che modifica la Convenzione tra la Svizzera e l’Italia per evitare le doppie imposizioni, in: Foglio federale 2015 5631, pagina 5636: “La Svizzera non concederà assistenza amministrativa in materia fiscale all’Italia se la domanda di assistenza si basa su dati ottenuti illegalmente. La delegazione svizzera lo ha comunicato durante i negoziati”. [68] Widmer-Schlumpf Evelyne, Consigliera federale, in: Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2011, pagina 714: “[...] es war ja schon letztes Jahr Gegenstand der Diskussionen um die Änderung oder die Anpassung dieser Doppelbesteuerungsabkommen, und es gilt auch für die neuen Doppelbesteuerungsabkommen, dass man immer darauf hinweisen soll und muss, dass die Schweiz – nicht zuletzt auch in Befolgung des Anliegens des Bundesparlamentes – nicht Amtshilfe leistet, wenn Daten gestohlen wurden. Das wird in jeder Verhandlung festgehalten, und es wird auch entsprechend protokolliert”. [69]Gardiner Richard, op. cit., pagina 105; Villiger Mark E., op. cit., N 5 ad Art. 32 CV. [70] Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 4.7.1 n. 31; Benatar Marco, op. cit., pagina 192; Dailler Patrick/Forteau Mathias/ Pellet Alain, op. cit., n. 164 pagina 278; Sapienza Rosario, Dichiarazioni interpretative unilaterali e trattati internazionali, Milano 1996, pagine 253-254. [71]Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 4.7.1 n. 17-20; Müller Philipp, relatore della Commissione del Consiglio nazionale, in: Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2010, pagina 886: “Man muss sich aber bewusst sein, dass es sich um einseitige Bestimmungen handelt. Man könnte sie auch als rein deklaratorisch bezeichnen”; Sommaruga Simonetta, Consigliera agli Stati, in: Bollettino ufficiale del Consiglio degli Stati del 2010, pagina 278: “Artikel 1ter ist eine Absichtserklärung, nicht mehr und nicht weniger. Das hat keinen verbindlichen Charakter […]. Es ist nett, es ist eine rhetorische Angelegenheit – aber es ist nicht mehr als das”. [72] Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 4.7.1 n. 33. [73] Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 2.9.9 n. 2; Gardiner Richard, op. cit., pagine 105-106; Benatar Marco, op. cit., pagine 189-191; Sapienza Rosario, op. cit., pagina 241. [74]Cfr. ad esempio la CDI con la Germania, Messaggio del Consiglio federale n. 10.102 del 3 dicembre 2010 che approva un Protocollo che modifica la Convenzione tra la Svizzera e la Germania per evitare la doppia imposizione in materia di imposte sul reddito e sulla sostanza, in: Foglio federale 2010 453, pagina 463: “La Svizzera non concederà tuttavia assistenza amministrativa in materia fiscale alla Germania se la domanda di assistenza si basa su dati ottenuti illegalmente. Il consigliere federale HansRudolf Merz ha già consegnato una corrispondente dichiarazione al ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble in occasione del loro incontro del 26 marzo 2010. La Germania ha preso conoscenza della posizione della Svizzera. Con detta dichiarazione il Consiglio federale ritiene di aver adempiuto al mandato formulato nella mozione 10.3013 Future convenzioni per evitare le doppie imposizioni. Nessuna assistenza amministrativa in caso di dati ottenuti illegalmente”. [75]Articolo 31 paragrafo 3 lettera b CV; Gardiner Richard, op. cit., pagine 264-266; Villiger Mark E., op. cit., N 22 ad Art. 31 CV; Naef Francesco, Segreto bancario e accordo di Schengen ovvero L’inutil precauzione, in: NRCP 2005, pagina 37; cfr. più in generale sull’acquiescenza, Kolb Robert, La bonne foi en droit international public, Parigi 2000, pagine 347-352. [76]Consiglio federale, Rapporto esplicativo concernente l’avamprogetto di modifica della legge sull’assistenza amministrativa fiscale (dati rubati) del 2 settembre 2015, pagina 3. [77] Come invece, ad un certo momento, era sembrato al Parlamento, cfr. David Eugen, relatore della Commissione al Consiglio degli Stati, in: Bollettino ufficiale del Consiglio degli Stati 2010, pagina 272: “Dem Ordre public widersprechen – Sie finden das nachher auch im Genehmigungsbeschluss – nach Auffassung der Kommission insbesondere Gesuche um Informationsbeschaffung, die auf gestohlenen Daten beruhen. Wir berufen uns ausdrücklich auf den OECDStandard, auf Artikel 26 Absatz 3 Buchstabe c, wenn wir diesen Ordre public als Schweiz geltend machen und es ablehnen, Auskünfte zu erteilen, wenn sich die auskunftsersuchenden Steuerverwaltungen anderer Staaten mit gestohlenen CD ausrüsten und aufgrund dieser gestohlenen CD bei uns Amtshilfe verlangen. Das ist nach unserer Überzeugung auch unser gutes Recht - nach Artikel 26 Absatz 3 des Abkommens”. 35 36 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 [78] Sentenza TF n. 2C_514/2007 del 2 ottobre 2007. [79] Scheller Stefano, op. cit., pagina 46. [80] Solo Holenstein Daniel, Schweiz: Sind gestohlene Daten eine tragfähige Basis für ein Rechtshilfe- bzw. Amtshilfeersuchen?, in: Praxis Steuerstrafrecht 2008, pagina 91, affronta la questione e vi risponde affermativamente; cfr. anche, più in generale sul principio di sovranità, l’acquisto di dati rubati e la derivante inutilizzabilità quale prova nel diritto interno tedesco, Heine Günther, Entwendete und staatlich angekaufte Bankdaten – Viel Lärm um nichts?, in: ASA 2010/11, pagine 538-539, e idem, Beweisverbote und Völkerrecht. Die Affäre Liechtenstein in der Praxis, Onlinezeitschrift für Höchstrichterliche Rechtsprechung zum Strafrecht HRRS 2009, pagine 541-544. [81] DTF 130 II 217 consid. 5.2; Dailler Patrick/Forteau Mathias/Pellet Alain, op. cit., n. 265. [82]Corte permanente di arbitrato, The Island of Palmas Case (or Miangas), lodo dell’arbitro unico Max Huber del 4 aprile 1928, Recueil des sentences arbitrales, vol. II, pagina 838. [83]Besson Samantha, Sovereignty, in: Wolfrum Rüdiger (a cura di), The Max Plank Encyclopedia of Public International Law, Oxford 2012, n. 118-119; Fassbender Bardo, in: Simma Bruno/Khan DanielErasmus/Nolte Georg/Paulus Andreas (a cura di), The Charter of the United Nations – A commentary, Oxford 2012, N 57 ad Art. 2 paragrafo 1 Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (di seguito ONU); Dailler Patrick/Forteau Mathias/Pellet Alain, op. cit., n. 265; Cassese Antonio, International Law, Oxford 2005, pagina 49; Ziegler Andreas R., Introduction au droit international public, Berna 2015, nm. 593; Peters Anne, op. cit., pagina 146; Müller Jörg Paul/Wildhaber Luzius, Praxis des Völkerrechts, Berna 2001, pagina 373. [84]Corte permanente di giustizia internazionale, Affaire du Lotus, sentenza del 7 settembre 1927, CPJI Recueil des arrêts, série A, n. 10, pagine 18-19. [85]Corte internazionale di Giustizia, Affaire du Détroit de Corfou, sentenza del 9 aprile 1949, C.I.J. Recueil 1949, pagina 35. [86]Besson Samantha, Sovereignty, op. cit., n. 123, 126; Fassbender Bardo, op. cit., N 57 ad Art. 2 paragrafo 1 Statuto ONU; Dailler Patrick/Forteau Mathias/Pellet Alain, op. cit., n. 309, 336; Cassese Antonio, op. cit., pagine 51 e 53; Ziegler Andreas R., op. cit., nm. 617, 633-634; Peters Anne, op. cit., pagine 146-147; von Arnauld Andreas, Völkerrecht, Heidelberg 2014, nm. 363-364. [87]Verdross Alfred/Simma Bruno, Universelles Völkerrecht, Berlino 1984, § 456. [88] Besson Samantha, Sovereignty, op. cit., n. 118, 119, 126; Cassese Antonio, op. cit., pagina 53; von Arnauld Andreas, op. cit., nm. 349. [89] Shen Janming, The Non-Intervention Principle and Humanitarian Interventions Under International Law, International Legal Theory, vol. 7 (2001), pagine 1-32; Schultz Hans, Male captus bene deditus?, in: ASDI 1984, pagina 107. [90]Besson Samantha, Sovereignty, op. cit., n. 89; contra: Fassbender Bardo, op. cit., N 65 ad Art. 2 paragrafo 1 Statuto ONU. [91]DTF 140 IV 86 consid. 2.4, 133 I 234 consid. 2.5.1, 121 I 181 consid. 2c/aa; Sentenza TF n. 6P.64/2000 del 5 dicembre 2000, consid. 3a; Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 435 e seguenti consid. 3a. [92]Caso citato da Müller Jörg Paul/Wildhaber Luzius, op. cit., pagina 415. [93] Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 435 e seguenti. [94] DTF 133 I 234. [95] DTF 122 I 181. [96] DTF 114 IV 128. [97] Caso citato da Cassese Antonio, op. cit., pagina 51. [98] Sentenza TF n. 9X.1/1999 del 7 luglio 2000. [99]Sentenza TPF n. RR.2011.176 del 21 novembre 2011 consid. 2.2; che tale tecnica non leda la sovranità svizzera è peraltro contestato in dottrina, sul tema Ruggieri Francesca, Le intercettazioni “per instradamento” sul canale internazionale: un mezzo di ricerca della prova illegittimo, in: Rep. 1998, pagina 15 e seguenti. [100] Cfr. risposta n. 1-3 del Consiglio federale del 13 febbraio 2013 all’interpellanza n. 12.4043 di Quadri Lorenzo “Legge e sovranità svizzera sistematicamente violate da Paesi confinanti. E noi stiamo a guardare?”. [101] DTF 131 III 448. [102] DTF 140 IV 86. [103]Direzione del diritto internazionale pubblico, Parere del 14 luglio 1994, GAAC 59.156. [104]Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, in: Rapport de la Commission du droit international sur les travaux de sa cinquante-troisième session, Annuaire de la Commission du droit international 2001, vol. II (2e partie), pagina 20 e seguenti. [105] Con la Risoluzione A/RES/56/83. [106]Ad esempio sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Kotov c. Russia del 3 aprile 2012, paragrafo 30. [107]Crawford James, State Responsability - The General Part, Cambridge 2013, pagina 181; De Frouville Olivier, Attribution of Conduct to the State: Private Individuals, in: Crawford James/Pellet Alain/ Olleson Simon (a cura di), The Law of International Responsibility, Oxford 2010, pagina 273. [108]de Vattel Emer, Le droit des gens ou Principes de la loi naturelle appliqués à la conduite et aux affaires des nations et des souverains, Leida 1758, vol. I, cap. VI, paragrafi 72-73, pagina 132. [109]Corte internazionale di Giustizia, Personnel diplomatique et consulaire des Etats-Unis à Téhéran, sentenza del 24 maggio 1980, C.I.J. Recueil 1980, pagina 29 paragrafo 58. [110]Corte internazionale di Giustizia, Personnel diplomatique et consulaire des Etats-Unis à Téhéran, op. cit., pagina 35 paragrafo 74. [111]Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 56 paragrafo 6. [112] Crawford James, op. cit., pagina 187. [113]Müller Jörg Paul/Wildhaber Luzius, op. cit., pagina 419. [114]Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagine 55-56 paragrafo 5; Crawford James, op. cit., pagina 183; Mann Frederick Alexander, Reflections on the prosecution of persons abducted in breach of international law, in: Dinstein Yoram/Tabory Mala (a cura di), International law at a time of perplexity. Essays in honour of Shabtai Rosenne, Dordrecht 1989, pagina 408. [115]Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 56 paragrafo 9. [116]Direzione del diritto internazionale pubblico, op. cit., GAAC 59.156. [117] DTF 114 IV 128. [118] Cassese Antonio, op. cit., pagina 51. [119] Sentenza TF n. 9X.1/1999 del 7 luglio 2000. [120]DTF 141 IV 155 consid. 4.3.1; Sentenza TPF n. SK.2014.46 del 27 novembre 2015 consid. 3.3-3.11. [121]DTF 141 IV 155 consid. 4.3.2; Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 437 consid. 3a. [122] DTF 74 IV 102; Sentenza TPF n. SK.2014.46 del 27 novembre 2015 consid. 3.1.2. [123]Holenstein Daniel, Schweiz: Sind gestohlene Daten, op. cit., pagina 91; il principio è stato affermato dal Tribunale federale nell’ambito dell’estradizione di una persona attirata con l’inganno in Svizzera, Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 435 e seguenti. [124]DTF 133 I 234 consid. 2.6; Lagodny Otto, in: Schomburg Wolfgang/Lagodny Otto/Gless Sabine/Hackner Thomas (a cura di), Internationale Rechtshilfe in Strafsachen, Monaco 2012, n. 32 ad § 3 IRG; contra: Mann Frederick Alexander, op. cit., pagina 409; Schubarth Martin, Faustrecht statt Auslieferungsrecht?, in: Der Strafverteidiger 1987, pagina 174; Vogler Theo, Strafprozessuale Wirkungen völkerrechtswidriger Entführungen von Straftätern aus dem Ausland, in: Herzberg Rolf Dietrich (a cura di), Festschrift für Dietrich Oehler, Colonia 1985, pagina 385. [125]Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 29; Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 49 paragrafo 2: “L’attribution à l’État d’un comportement qu’il a en fait autorisé est largement admise par la jurisprudence internationale. Peu importe en pareil cas que la ou les personnes en question soient des personnes privées, ou que leur comportement relève ou non d’une «activité publique». La plupart du temps il s’agit de situations où les organes de l’État complètent leur propre action en recrutant des personnes ou groupes de personnes privées à titre «d’auxiliaires», ou les incitent Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 à agir à ce titre tout en restant en dehors des structures officielles de l’État”. [126]Ziegler Andreas R., op. cit., pagina 276 nm. 622; Peters Anne, op. cit., pagina 370. [127] Verdross Alfred/Simma Bruno, op. cit., pagina 278. [128]Curiosamente, una parte minoritaria della dottrina tedesca è invece dell’opinione che tale pubblico incitamento non sia ancora una violazione dell’obbligo di vigilanza ma solo una scortesia internazionale (Pawlik Michael, Zur strafprozessuale Verwertbarkeit rechtswidrig erlangter ausländischer Bankdaten, in: JZ 2010, pagina 695). [129]Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 29, 43; Heine Günther, Beweisverbote und Völkerrecht, op. cit., pagina 543; Holenstein Daniel, Schweiz: Sind gestohlene Daten, op. cit., pagina 91; che l’acquisto da parte dello Stato estero di dati rubati sia contrario al diritto internazionale è del resto sempre stato affermato dal Consiglio federale, cfr. ad esempio la risposta del 26 maggio 2010 all’interpellanza Fiala Doris n. 10.3023 “Diritto internazionale pubblico anziché legge della giungla. Azione contro la Germania”. [130]Come nel caso Eichmann, il suo arresto, processo ed esecuzione della pena da parte di Israele andavano considerati adozione a posteriori del comportamento dei privati volontari che lo avevano precedentemente rapito in violazione della sovranità territoriale argentina, cfr. Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagine 55 e 56 paragrafo 5; Crawford James, op. cit., pagina 183; Mann Frederick Alexander, op. cit., pagina 408. [131] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 44. [132]Al contrario, se lo Stato estero disponeva dei dati già grazie a proprie precedenti attività istruttorie (lecite), la domanda non può essere ritenuta fondarsi sui dati rubati, e perciò non costituisce atto di adozione del comportamento del ladro di dati; in tal senso la giurisprudenza che ammette la ricevibilità della domanda di assistenza che non si fondi esclusivamente sui dati rubati, cfr. Sentenza TF n. 1C_430/2014 del 19 settembre 2014, sentenza TF n. 1C_260/2013 del 19 marzo 2013; cfr. anche Schoder Charlotte, op. cit., N 82 ad Art. 7 LAAF, e Holenstein Daniel, Schweiz: Sind gestohlene Daten, op. cit., pagina 91. [133] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 44. [134]Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 12.2 pagina 459; articolo 22 paragrafo 4 Convenzione sull’assistenza amministrativa. [135]Oswald Diana, Verfahrensrechtliche Aspekte der internationalen Amtshilfe in Steuersachen, Zurigo 2015, nm. 920. [136] Corte internazionale di Giustizia, Projet Gabcikovo-Nagymaros (Hongrie/Slovaquie), sentenza del 25 settembre 1997, C.I.J. Recueil 1997, pagina 76: “Cela ne signifie pas que le faits – en l’occurrence des faits qui découlent de comportements illicites – déterminent le droit. La Cour fait droit au principe ex injuria jus non oritur lorsqu’elle conclut que les relations juridiques crées par le traité de 1977 subsistent et ne sauraient en l’espèce être considérées comme annulées par un comportement illicite”. [137] Lagerwall Anne, Le principe ex injuria jus non oritur en droit international, Bruxelles 2016, pagine 179-180. [138]Lagerwall Anne, op. cit., pagine 133-136; Kolb Robert, op. cit., pagine 487-488; Cheng Bin, General Principles of Law as Applied by International Courts and Tribunals, Cambridge 2006, pagine 149-158. [139] Lagerwall Anne, op. cit., pagine 136-140. [140]Lagerwall Anne, op. cit., pagine 273-274; Kolb Robert, op. cit., pagina 488. [141]Lagerwall Anne, op. cit., pagina 116; Schultz Hans, op. cit., pagine 105 - 106. [142] Schünemann Bernd, Die Liechtensteiner Steueraffäre als Menetekel des Rechtsstaats, in: Neue Zeitschrift für Strafrecht 2008, pagina 207. [143] Mann Frederick Alexander, op. cit., pagina 415. [144]DTF 133 I 234 consid. 2.6; Noto Flavio, Male captus bene detentus bei Völkerrechtsverbrechen?, in: RPS 2013, pagine 106-107; Ziegler Andreas R./ Bergmann Camille, Völkerrechtliche Grundsätze bei “atypischen Auslieferunge” – zugleich Bespechung von BGE 133 I 234, Forumpoenale 2008, pagina 53. [145]Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 435 e seguenti consid. 3d. [146]Lagerwall Anne, op. cit., pagine 209-218; Paulussen Christophe, Male captus bene detentus? – Surrending suspects to the International Criminal Court, Anversa 2010, pagine 181 e seguenti; Ziegler Andreas R./Bergmann Camille, op. cit., pagina 54. [147]Popp Peter, Grundzüge der internationalen Rechtshilfe in Strafsachen, Basilea 2001, nm. 61. [148]Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 19; Wyss Rudolf, op. cit., pagina 734. [149] Nell’ambito dell’assistenza giudiziaria in materia penale per gravissimi crimini la Svizzera potrebbe invece comunque scegliere di dare assistenza o concedere l’estradizione anche senza esservi obbligata, visto che l’articolo 1 della Legge federale sull’assistenza internazionale in materia penale (AIMP) le lascia tale facoltà, al contrario dell’articolo 1 LAAF. [150]Così come fatto dal Tribunale federale in materia di estradizione, Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 438 consid. 3d. [151]Come in materia di estradizione, Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 436 consid. 1c; Schultz Hans, op. cit., pagine 102-103. [152]Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 437 consid. 3b; articolo 16 ARSIWA. [153]Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 103 paragrafo 3. [154]Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 103 paragrafo 5. [155]Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 104 paragrafo 5. [156]Corte internazionale di Giustizia, Mandat d’arrêt du 11 avril 2000 (République démocratique du Congo c. Belgique), sentenza del 14 febbraio 2001, C.I.J. Recueil 2002, pagina 32. [157]Corte internazionale di Giustizia, Immunités juridictionnelles de l’Etat (Allemagne c. Italie; Grèce (intervenant), sentenza del 3 febbraio 2012, C.I.J. Recueil 2012, pagine 153-154. [158]Cfr. risposta n. 3 del Consiglio federale del 24 febbraio 2010 all’interpellanza n. 09.4204 Brunschwig Graf Martine “La Francia vìola lo Stato di diritto in tutta impunità?”. [159] Crawford James, op. cit., pagine 682-684. [160]Simma Bruno/Tams Christian J., Reacting Against Treaty Breaches, in: Hollis Duncan B. (a cura di), The Oxford Guide to Treaties, Oxford 2012, pagine 581-582, 596-598; Villiger Mark E., op. cit., N 26 ad Art. 60 CV. [161] Corte internazionale di Giustizia, Essais nucléaires (Australie c. France), sentenza del 20 dicembre 1974, C.I.J. Recueil 1974, pagina 268 n. 46. [162]Naef Francesco, Divagazioni sul potere cognitivo del giudice delle rogatorie internazionali, in: AJP/ PJA 1997, pagine 291-292 con riferimenti. [163]Sentenza TF n. 2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata a pubblicazione, consid. 2.1.3-2.1.4. [164]Kolb Robert, op. cit., pagine 279-280; Naef Francesco, op. cit., pagina 292 con riferimenti. [165]DTF 121 I 181 consid. 2c/aa; Sentenza TF n. 2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata a pubblicazione, consid. 2.1.3; Kolb Robert, op. cit., pagine 283-291; Villiger Mark E., op. cit., N 7 ad Art. 31 CV; Naef Francesco, op. cit., pagina 291; Müller Jörg Paul, Vertrauenschutz im Völkerrecht, Colonia 1971, pagina 127; Cheng Bin, op. cit., pagina 123. [166] Kolb Robert, op. cit., pagina 159 con riferimenti. [167] Naef Francesco, op. cit., pagina 291. [168] DTF 117 Ib 337 consid. 2a. [169]Cfr. ad esempio la risposta del Consiglio federale del 12 maggio 2010 alla mozione n. 10.3190 Fehr Hans “Fiscalità del risparmio. Trattenere la quota che spetta alla Germania”. [170]Cfr. ad esempio la risposta del Consiglio federale del 12 maggio 2010 alla mozione n. 10.3189 del Gruppo UDC “Nessuna assistenza amministrativa nei casi di dati ottenuti illegalmente”. [171]Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 27; Oberson Xavier, in: Danon Robert/Gutmann Daniel/Oberson Xavier/Pistone Pasquale (a cura di), Modèle de Convention fiscale OCDE concernant le revenu et la fortune, Commentaire, Basilea 2014, N 119 ad Art. 26 M-OCSE; Wyss Rudolf, op. cit., pagina 737; Molo Giovanni, Die neue Trennungslinie bei der Amtshilfe in Steuersachen: Das Verbot der fishing expeditions und die formellen 37 38 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Anforderungen an das Gesuch, in: ASA 2011/12, pagina 152. [172]Conférence de La Haye de droit international privé, Manuel pratique sur le fonctionnement de la Convention preuves, L’Aja 2016, pagine 10-11, nm. 20 nota 35; incoerente con tali valutazioni è perciò quella parte della dottrina tedesca - Pawlik Michael, op. cit., pagina 694 - che nega un obbligo per la Germania di astenersi dall’utilizzare dati rubati. [173]Conférence de La Haye de droit international privé, op. cit., pagina 11, nm. 20 nota 36. [174]DTF 141 II 436 consid. 4.4.3; Sentenza TF n. 2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata a pubblicazione, consid. 2.1.1. [175]DTF 117 Ib 337 consid. 2a; Zimmermann Robert, La cooperation judiciaire internationale en matière pénale, Berna 2014, n. 198; Popp Peter, op. cit., nm. 56. [176] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 28. [177]Messaggio del Consiglio federale n. 16.050 concernente la modifica della legge sull’assistenza amministrativa fiscale del 10 giugno 2016 (citato: Messaggio dati rubati), in: Foglio federale 2016 4561, cifra 2; Rapporto esplicativo concernente l’avamprogetto di modifica della legge sull’assistenza amministrativa fiscale (dati rubati), del 2 settembre 2015, pagina 8. [178]Messaggio dati rubati, cifra 2; Rapporto esplicativo, op. cit., pagina 8. [179]Messaggio dati rubati, cifra 2; Rapporto esplicativo, op. cit., pagina 8. [180]Messaggio dati rubati, cifra 1.2.3; Rapporto esplicativo, op. cit., pagine 3 e 4. [181] Rapporto esplicativo, op. cit., pagina 3. [182]Messaggio dati rubati, cifra 1.2.4; Rapporto esplicativo, op. cit., pagina 6. [183]Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2012, pagina 102. [184]Messaggio del Consiglio federale n. 13.083 concernente la modifica della legge sull’assistenza amministrativa fiscale del 16 ottobre 2013, in: Foglio federale 2013 7203, pagina 7208. [185]Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2013, pagina 2189. [186] Foglio federale 2014 1535. [187]Rapporto della Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio nazionale del 19 maggio 2014 sull’Iniziativa parlamentare n. 10.450 “Punire severamente la vendita di dati bancari”, in: Foglio federale 2014 5347, pagina 5349; lo scopo è stato condiviso anche dal Governo, cfr. Parere del Consiglio federale del 13 agosto 2014 ad n. 10.450, in: Foglio federale 2014 5357. [188]Cfr. supra cap. 4.5.4. [189]Cfr. supra cap. 4.6; Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 44. [190] Oswald Diana, op. cit., nm. 920. [191]DTF 121 I 181 consid. 2c/bb, 117 Ib 337 consid. 2a; Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 436 consid. 1c; Zimmermann Robert, op. cit., n. 198; Popp Peter, op. cit., nm. 56; Schultz Hans, op. cit., pagine 102-103. [192]Global Forum, Peer Reviews: Liechtenstein 2015 – Phase 2: Implementation of the Standard in Practice, Parigi 2015, pagina 99 n. 325. [193] Global Forum, op. cit., pagina 139. [194]In tal senso anche Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 41. IVA e imposte indirette Disciplina doganale e sanzioni tra effettività, dissuasività e proporzionalità Fabrizio Vismara Professore di diritto internazionale presso l’Università degli Studi dell’Insubria Direttore del Corso di perfezionamento in diritto doganale e del commercio internazionale presso la stessa Università Avvocato in Milano, Partner dello Studio Curtis, Mallet-Prevost, Colt & Mosle Le regole UE in materia di sanzioni doganali 1. Introduzione La definizione di regole sanzionatorie che siano dissuasive, effettive e proporzionali riveste specifica rilevanza in ambito doganale. Accanto, infatti, all’esigenze di assicurare il recupero dei diritti di confine nonché di tutelare la sicurezza degli scambi commerciali, si pongono rilevanti esigenze relative alla fluidità degli scambi e competitività del sistema doganale, che sono ben evidenziate nel Regolamento n. 952/2013 relativo al Codice doganale[1]. A tal fine rileva l’articolo 42 del Regolamento n. 952/2013 relativo al Codice doganale dell’Unione europea (di seguito UE), già in vigore, applicabile dal 1. maggio 2016[2]. Rispetto, infatti, al Regolamento n. 2913/1992, relativo al Codice doganale, il Regolamento n. 952/2013 contiene nel suo articolo 42 alcune previsioni in materia di sanzioni[3]. Si richiamano princìpi, peraltro di elaborazione giurisprudenziale, in materia di sanzioni, prescrivendosi che queste debbano essere effettive, dissuasive e proporzionali ed individuando, in termini generali, le diverse modalità di applicazione e stabilendosi che ciascuno Stato membro preveda sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa doganale[4]. Il Regolamento n. 952/2013, al suo articolo 42, risulta quindi prendere atto delle competenze degli Stati membri in relazione alla disciplina delle sanzioni in materia doganale, apparendo ricognitivo di una situazione già esistente, ovvero, da un lato, della competenza degli Stati membri nella materia in questione, dall’altro, dell’assoggettamento degli stessi Stati ai princìpi del diritto dell’UE ed al rispetto dei diritti fondamentali[5]. 2. La disciplina del TULD: l’articolo 303 La disciplina sanzionatoria amministrativa in ambito doganale nell’ordinamento italiano trova il suo punto di riferimento nell’articolo 303 del Testo Unico delle leggi in materia doganale (di seguito TULD). L’articolata regolamentazione in esso contenuta si muove lungo la fondamentale distinzione tra violazioni di carattere formale e violazioni di carattere sostanziale relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci oggetto di operazioni doganali. Per le violazioni di carattere formale, tali essendo quelle che non incidono sulla determinazione del tributo né arrecano pregiudizio all’attività di accertamento, la sanzione amministrativa è stabilita in un minimo di 103 euro ed un massimo di 516 euro[6]. Per le violazioni di carattere sostanziale, invece, ovvero nei casi in cui i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il 5%, la sanzione amministrativa viene determinata secondo soglie di valore, identificando per ogni soglia un minimo e massimo edittale[7]. Nella versione così descritta, l’articolo 303 TULD costituisce la risultante delle modifiche introdotte mediante Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 16/2012 (Legge di conversione n. 44/2012). Tra i profili più rilevanti vi è quello della conciliabilità della nuova disciplina sanzionatoria con il principio di proporzionalità[8] e, più in generale, con le norme primarie dell’ordinamento e del diritto dell’UE. Si consideri a questo riguardo che la previsione di cui al comma 3 dell’articolo 303 TULD, per lo scaglione superiore ai 4’000 euro, prevede una sanzione amministrativa da 30’000 euro a dieci volte l’importo dei diritti, assumendo così un minimo sanzionatorio estremamente elevato con conseguente rischio di sproporzione che può determinarsi tra fatto commesso ed entità della sanzione. 39 40 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 3. Criticità sulla base del principio di proporzionalità Diverse considerazioni sulla prescrizione sanzionatoria sopra descritta possono, infatti, essere formulate. In primo luogo, l’autore della violazione, a fronte di un giudizio così vincolato nel minimo in capo all’amministrazione pubblica, si trova nell’impossibilità di far valere elementi in fatto che possano evidenziare l’eventuale ridotta se non minima portata della condotta contestata, e ciò prospettando dubbi di compatibilità con il diritto fondamentale di difesa: può infatti venir meno la possibilità di parametrare in concreto la sanzione alla gravità del fatto[9]. In secondo luogo, la valutazione della proporzionalità della previsione sanzionatoria procede attraverso il confronto tra mezzi adottati e fini perseguiti. Rilevano a tal fine sia il confronto con fattispecie analoghe, sia gli effetti della misura sanzionatoria[10]. In terzo luogo, non può non sottolinearsi la netta differenza tra la previsione sanzionatoria dell’articolo 303 TULD ed altre previsioni in tema di sanzioni amministrative tributarie. Basta ricordare che le sanzioni previste in tema di violazione relative alla dichiarazione (con riguardo a imposte dirette, imposta sul valore aggiunto ed altri tributi) sono, nel minimo, significativamente meno pesanti rispetto a quelle previste dall’articolo 303 TULD, terzo comma. Trattasi, è vero, di prelievi tributari diversi, ma non sembra che lo scopo delle sanzioni sia sostanzialmente diverso: peraltro, dai lavori preparatori del D.L. n. 16/2012, che ha modificato le sanzioni previste all’articolo 303 TULD, si individua la finalità dell’intervento normativo nel contrasto a condotte che, pur non penalmente rilevanti, rappresentano un grave pregiudizio per la scorrevolezza dei traffici e l’efficienza dei controlli. La diversità di trattamento nell’uno e nell’altro caso non sembra giustificare un così significativo divario tra le previsioni sanzionatorie. Ferme le considerazioni sopra svolte, può rilevarsi, in una prospettiva più generale, che una sanzione così grave nel minimo può rappresentare un disincentivo ai traffici commerciali e ciò anche rispetto a operatori esteri che intendano svolgere attività in Italia o verso l’Italia. I profili suddetti evidenziano, ad avviso di chi scrive, un margine di incompatibilità della sanzione prevista dall’articolo 303 TULD con il principio di proporzionalità e ciò anche alla luce del diritto dell’UE, dove il principio di proporzionalità delle sanzioni, recentemente ribadito dall’articolo 42 del Regolamento n. 952/2013, trova conferma nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE (di seguito CGUE). Secondo la CGUE, infatti, il giudice nazionale deve valutare se, tenuto conto degli imperativi di repressione e di prevenzione, le sanzioni effettivamente irrogate appaiono così sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione da ostacolare le libertà previste dal Trattato[11]. Inoltre, in materia di infrazioni doganali, gli Stati membri devono esercitare la loro competenza nel rispetto dei principi generali del diritto comunitario e, in particolare, del principio di proporzionalità[12] e devono vigilare affinché le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate in termini analoghi a quelli previsti per violazioni di diritto interno simili per natura e importanza[13]. 4. La Proposta di direttiva in materia di sanzioni Nel descritto contesto si colloca la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul quadro giuridico unico relativo alle infrazioni e alle sanzioni doganali[14]. La constatata presenza di regolamentazioni sanzionatorie diverse da parte degli Stati membri viene indicata dalla Commissione, nella Proposta di direttiva, come la ratio dell’introduzione di regole armonizzate. Tale situazione normativa divergente non giova, a parere della Commissione, alla gestione efficiente dell’unione doganale, incidendo sulle condizioni di concorrenza. Risultano infatti avvantaggiati gli operatori economici che vìolino il diritto di uno Stato membro in cui “viga una normativa clemente per le sanzioni doganali” [15]. La base giuridica su cui fondare l’emanazione della Direttiva viene individuata dalla Commissione nell’articolo 33 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE), relativo alla cooperazione doganale. Ciò, sulla base di due assunti: il riavvicinamento delle infrazioni doganali e delle relative sanzioni presuppone la cooperazione doganale[16] tra gli Stati membri; detto riavvicinamento contribuisce alla corretta ed uniforme attuazione della legislazione doganale dell’UE e al relativo controllo. Tuttavia la Proposta di direttiva non è scevra da criticità, che andranno tenute in considerazione e ciò, in particolare, laddove essa prescrive per un certo numero di infrazioni doganali relative alla dichiarazione una forma di responsabilità oggettiva, costituendo i relativi atti ed omissioni infrazioni doganali indipendentemente da qualsiasi elemento di colpa[17]. A questo riguardo va osservato che un sistema sanzionatorio che preveda forme di responsabilità oggettiva non è contrario del diritto dell’UE. Come, infatti, rilevato dalla CGUE anche in tempi recenti[18] , una forma di responsabilità oggettiva non è, di per sé, sproporzionata rispetto agli scopi perseguiti ove essa sia idonea a incoraggiare i soggetti interessati a rispettare le disposizioni di un regolamento e ove gli obiettivi perseguiti rivestano un interesse generale tale da giustificare l’introduzione di un siffatto sistema[19]. Tuttavia, nello specifico, la Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 responsabilità oggettiva rischia di produrre conseguenze che vanno oltre l’obiettivo di armonizzazione, disincentivando i traffici commerciali e privando il destinatario della sanzione della possibilità di far valere eventuali circostanze soggettive esimenti[20]. [1]Si veda a questo riguardo il considerando n. 16 del citato Regolamento, dove si precisa che “Il completamento del mercato interno, la riduzione degli ostacoli al commercio e agli investimenti internazionali e l’accresciuta necessità di garantire la sicurezza alle frontiere esterne dell’Unione hanno trasformato il ruolo delle dogane, assegnando loro una funzione di guida nella catena logistica e rendendole, nella loro attività di monitoraggio e gestione del commercio internazionale, un catalizzatore della competitività dei paesi e delle società. La normativa doganale dovrebbe pertanto riflettere la nuova realtà economica e la nuova dimensione del ruolo e del compito delle dogane”. [2] Tale previsione ripropone quanto contenuto nell’articolo dell’abrogato Regolamento n. 450/2008. Il Regolamento n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013, che ha abrogato il Regolamento n. 450/2008 ed è entrato in vigore il 30 ottobre 2013, è interamente applicabile a decorrere dal 1. maggio 2016. Prima di tale data era applicabile il Regolamento n. 2913/1992. [3] Il Codice doganale dell’UE, di cui al Regolamento n. 952/2013 stabilisce che siano gli Stati membri a prevedere sanzioni doganali, individuando nei principi di proporzionalità, effettività e dissuasività i criteri cui tali sanzioni devono ispirarsi. Si veda altresì il comma 2 dell’articolo 42, secondo cui, in caso di applicazione di sanzioni amministrative, esse possono avere tra l’altro la forma di: (i) un avere pecuniario imposto dalle autorità doganali, se del caso anche applicato in sostituzione di una sanzione penale; (ii) revoca, sospensione o modifica di qualsiasi autorizzazione posseduta dall’interessato. [4] La nozione di “normativa doganale” è data dall’articolo 5, primo comma, n. 2 del Regolamento n. 952/2013 ed include (i) il codice e le disposizioni integrative o di attuazione del medesimo adottate a livello dell’UE o a livello nazionale; (ii) la tariffa doganale comune; (iii) la normativa relativa alla fissazione del regime unionale delle franchigie doganali; (iv) gli accordi internazionali contenenti disposizioni doganali, nella misura in cui siano applicabili nell’UE. [5] Sui diritti fondamentali nell’ordinamento dell’UE ci si limita a richiamare Mengozzi Paolo, Les principes fondamentaux du droit communautaire et le droit des Etats membres, in: Rev. droit Un. Eur., 2002, pagina 435 e seguenti; Rizzo Alfredo, Il “problema” della tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea, in: Europa e diritto privato, 2001, pagina 59 e seguenti; Scudiero Luigi, Comunità europea e diritti fondamentali: un rapporto ancora da definire?, in: Riv. dir. eur., 1996, pagina 263 e seguenti.; Strozzi Girolamo, La tutela dei diritti fondamentali tra diritto comunitario e ordinamenti degli Stati membri, in: Scritti degli allievi in memoria di Giuseppe Barile, Padova, 1995, pagina 679 e seguenti; Mancini Federico/Di Bucci Vittorio, Le développement des droits fondamentaux en tant que partie du droit communautaire, in: Rec. Cours de l’Académie du droit européen, 1991, pagina 27 e seguenti; Verges Jean, Droits fondamentaux de la persone et principes généraux du droit communautaire, in: Mélanges Boulois, 1991, pagina 513 e seguenti; Cannizzaro Elenco delle fonti fotografiche: http://www.polieassociati.com/1/images/670_0_4144339_432642.jpg [30.06.2016] http://www.pmi.it/wp-content/uploads/2015/11/Dogana.jpg [30.06.2016] Enzo, Tutela dei diritti fondamentali nell’ambito comunitario e garanzie costituzionali secondo le corti costituzionali italiana e tedesca, in: Riv. dir. int., 1990, pagina 372 e seguenti. [6] Tale previsione tuttavia non si applica quando, pur essendo errata la denominazione della tariffa, è stata indicata con precisione la denominazione commerciale della merce, in modo da rendere possibile l’applicazione dei diritti, oppure qualora le merci dichiarate e quelle riconosciute in sede di accertamento sono considerate nella tariffa in differenti sottovoci di una medesima voce, e l’ammontare dei diritti di confine, che sarebbero dovuti secondo la dichiarazione, è uguale a quello dei diritti liquidati o lo supera di meno di un terzo e, infine, nei casi in cui le differenze in più o in meno nella quantità o nel valore non superano il cinque per cento per ciascuna qualità delle merci dichiarate. [7] Nello specifico: a) per i diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 516 euro; b) per i diritti da 500.1 a 1’000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1’000 a 5’000 euro; c) per i diritti da 1’000.1 a 2’000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5’000 a 15’000 euro; d) per i diritti da 2’000.1 a 3’999.99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15’000 a 30’000 euro; e) per i diritti pari o superiori a 4’000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 30’000 euro a dieci volte l’importo dei diritti. [8] Sul principio di proporzionalità, cfr. Galetta Diana Urania, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano 1998; Idem, Il principio di proporzionalità nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo fra principio di necessarietà e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali su contenuti e rilevanza effettiva del principio, in: Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, pagina 743 e seguenti. [9] Né la rilevata sproporzione potrebbe realmente attenuarsi alla luce della previsione generale dell’articolo 7, comma 4, del Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 472/1997, secondo cui, quando concorrono eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo. In effetti, tale previsione, che peraltro non pare interamente in grado di elidere l’evidenziata sproporzione, risulta connessa alla presenza di circostanze eccezionali relative al caso concreto, mentre l’incompatibilità della previsione sanzionatoria con il principio di proporzionalità riguarda la norma nella sua formulazione astratta. [10] Al riguardo deve ricordarsi che la Corte costituzionale italiana, nella sentenza n. 220 del 1995, ha osservato che il potere sanzionatorio (nella specie, si trattava di sanzioni disciplinari) deve estrinsecarsi in modo coerente al fatto addebitato, che quindi deve necessariamente essere valutato e ponderato, nel contesto delle circostanze che in concreto hanno connotato il suo accadimento, per commisurare ad esso, ove ritenuto sussistente, la sanzione da irrogare parametrandola alla sua maggiore o minore gravità. Chiaro appare che una misura sanzionatoria estremamente elevata, anche nel minimo, non consente di effettivamente effettuare tale parametrazione. [11]Cfr. sentenza del 12 luglio 2001, causa C262/99. [12]Cfr. sentenza del 26 ottobre 1995, causa C36/94. [13]Cfr. sentenza del 12 settembre 1996, causa C-58/95. [14] Cfr. COM (2013) 884 del 13 dicembre 2013 (di seguito Proposta di direttiva). [15]Ciò anche in relazione alla posizione degli Operatori Economici Autorizzati. Sulla figura dell’Operatore Economico Autorizzato e le origini della sua istituzione cfr. Sbandi Ettore, Le semplificazioni nelle procedure doganali, in: Scuffi Massimo/Albenzio Giuseppe/Miccinesi Marco (a cura di), Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Milano 2014, pagina 338 e seguente. [16]In forza di tale previsione “nel quadro del campo di applicazione dei Trattati, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano misure per rafforzare la cooperazione doganale tra gli Stati membri e tra questi ultimi e la Commissione”. La cooperazione così richiamata è sia quella orizzontale, tra Stati membri, sia quella verticale, tra Stati membri e Commissione. In relazione a tali aspetti cfr. Vismara Fabrizio, Rilievi in tema di sussidiarietà e proporzionalità nella proposta di direttiva in materia di sanzioni doganali, in: Dir. Un. eur., 2015, pagina 865 e seguenti, che rileva come la definizione, in via di armonizzazione, dei contenuti delle regole in termini di violazioni punibili e sanzioni applicabili non risulti essere necessaria ai fini dell’attuazione della politica doganale, laddove dissuasività e proporzionalità siano comunque assicurate dalle normative nazionali per effetto dell’osservanza di principi comuni a livello di diritto dell’UE. [17] Si veda altresì il considerando n. 7 della Proposta di direttiva, secondo cui la prima categoria di comportamento sanzionabile deve comprendere le infrazioni doganali basate sulla responsabilità oggettiva, che non prevede alcun elemento di colpa, considerando il carattere oggettivo degli obblighi in questione e il fatto che le persone che sono tenute a rispettarli non possono ignorare la loro esistenza e il loro carattere vincolante. [18] Cfr. sentenza del 13 novembre 2014, causa C-443/13, Reindl, ECLI:EU:C:2014:2370. [19] In termini analoghi cfr. CGUE, sentenza del 9 febbraio 2012, causa C-210/10, Urbán, ECLI:EU:C:2012:64. [20] Al riguardo deve ricordarsi come la Corte costituzionale abbia osservato che il potere sanzionatorio deve estrinsecarsi in modo coerente al fatto addebitato, che quindi deve necessariamente essere valutato e ponderato, nel contesto delle circostanze che in concreto hanno connotato il suo accadimento, per commisurare ad esso, ove ritenuto sussistente, la sanzione da irrogare parametrandola alla sua maggiore o minore gravità. Cfr. sentenza del 1. giugno 1995, n. 220, reperibile su: http://www.giurcost.org/ decisioni/1995/0220s-95.htm [30.06.2016]. 41 42 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Reddito della sostanza vs. utile in capitale Rocco Filippini Avvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law Vicecancelliere della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello del Cantone Ticino In una sentenza del 5 giugno 2015 (DTF 141 II 326), il Tribunale federale ha confermato la propria giurisprudenza secondo cui il criterio discriminante del consumo della sostanza va applicato anche alla costituzione e all’alienazione di diritti di superficie, indipendentemente dalla formulazione dell’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT 1. Le disposizioni legali 1.1. Il principio dell’imposizione del reddito netto globale Secondo gli articoli 16 capoverso 1 della Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD), 7 capoverso 1 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID) e 15 capoverso 1 della Legge tributaria ticinese (di seguito LT) sottostà all’imposta sul reddito la totalità dei proventi, siano essi periodici oppure unici. Come più volte ricordato dalla giurisprudenza, il legislatore ha in tal modo fatto proprio il principio dell’imposizione del reddito netto globale (Grundsatz der Gesamtreineneinkommensbesteuerung). Tali disposizioni sono, in altri termini, espressione della teoria dell’incremento patrimoniale, in virtù della quale tutto quanto accresce il patrimonio nel corso di un determinato lasso di tempo (periodo fiscale) va considerato reddito. Esse contengono dunque una clausola generale, che è completata da una lista esemplificativa di diverse componenti reddituali (articoli da 17 a 23 LIFD e articoli da 16 a 22 LT). Tra di esse, gli articoli 21 capoverso 1 LIFD e 20 capoverso 1 LT disciplinano espressamente i redditi da sostanza immobiliare, ed in particolare i proventi dalla locazione, dall’affitto, dall’usufrutto o da altro godimento (lettera a), il valore locativo di immobili o di parti di essi che il contribuente ha a disposizione per uso proprio in forza del suo diritto di proprietà o di un usufrutto ottenuto a titolo gratuito (lettera b) e, per quanto qui di interesse, i proventi da contratti di superficie (lettera c). 1.2. L’eccezione degli utili in capitale Una particolare eccezione è prevista per gli utili in capitale. Gli articoli 16 capoverso 3 LIFD e 15 capoverso 3, prima frase LT esentano infatti dall’imposta ordinaria sul reddito gli utili in capitale conseguiti nella realizzazione di sostanza privata. La distinzione tra reddito e utile in capitale può essere compiuta facendo capo al criterio discriminante del consumo della sostanza (Substanzverzehrkriterium). Condizione per il riconoscimento di un utile in capitale esente da imposta (ordinaria) è il sussistere di una realizzazione, totale o parziale, di diritti reali o obbligatori. Questi lasciano il dominio della persona cedente e diminuiscono momentaneamente, fino alla ricezione della controprestazione, la sua sostanza. In quanto eccezione che contrasta con il principio dell’imposizione del reddito netto globale e con il principio costituzionale della capacità economica, da cui discende, l’esenzione degli utili in capitale deve essere interpretata in modo restrittivo. Essa presuppone, da una parte, la realizzazione e quindi l’alienazione di diritti reali o di natura contrattuale appartenenti alla sostanza privata e richiede, d’altra parte, una controprestazione direttamente legata a detta alienazione. Una realizzazione nel senso degli articoli 16 capoverso 3 LIFD e 15 capoverso 3, prima frase LT presuppone infatti l’esistenza di un rapporto di causalità adeguata tra il reddito conseguito e la sostanza consumata[1]. 1.3. L’eccezione dell’eccezione: l’imposizione cantonale degli utili in capitale immobiliare Gli utili in capitale conseguiti nella realizzazione di sostanza immobiliare sono esclusi dall’imposta sul reddito, ma sottostanno ai disposti cantonali concernenti l’imposizione degli utili immobiliari (articolo 7 capoverso 4 lettera b LAID). Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Nel Cantone Ticino, l’articolo 15 capoverso 3, seconda frase LT rinvia espressamente agli articoli da 123 a 140 LT, che assoggettano all’imposta speciale sugli utili immobiliari i guadagni realizzati con il trasferimento della proprietà di immobili o di parti di essi, che appartengono alla sostanza privata o aziendale del contribuente. Secondo l’articolo 124 capoverso 1 LT è imponibile il trasferimento di proprietà immobiliare e qualsiasi negozio giuridico i cui effetti, riguardo al potere di disporre del fondo, sono parificabili, economicamente, a quelli di un trasferimento di proprietà. Il capoverso 2 specifica, per quanto qui di interesse, che sono in particolare imponibili le costituzioni a favore di terzi e le alienazioni di diritti di superficie che abbiano il carattere per sé stante e permanente i cui effetti siano economicamente parificabili a un’alienazione della proprietà (lettera d), così come le costituzioni di servitù di diritto privato se limitano lo sfruttamento incondizionato o diminuiscono il valore venale di un fondo in modo duraturo e importante e si fanno dietro versamento di un’indennità (lettera e). Il contenuto di questa norma è molto simile a quello dell’articolo 12 capoverso 2 lettera c LAID, secondo cui sono assimilati a un’alienazione segnatamente la costituzione su di un fondo di servitù di diritto privato o di restrizioni di diritto pubblico alla proprietà fondiaria, se limitano lo sfruttamento incondizionato o diminuiscono il valore venale di un fondo in modo duraturo e importante e si fanno contro versamento di un’indennità. 2. Il postulato dell’armonizzazione fiscale verticale 2.1. La regola L’interpretazione delle disposizioni del diritto cantonale che concernono la definizione, da un lato, dei redditi della sostanza immobiliare (articolo 20 capoverso 1 LT) e, dall’altro, di quelli soggetti all’imposta sugli utili immobiliari (articolo 124 LT), deve coincidere con l’interpretazione delle corrispondenti disposizioni dell’articolo 21 capoverso 1 LIFD, per quanto riguarda la definizione del reddito della sostanza, e dell’articolo 16 capoverso 3 LIFD in relazione all’utile in capitale conseguito nella realizzazione di sostanza privata. Come più volte precisato dal Tribunale federale, nella misura in cui hanno un’identica portata e contenuto, le disposizioni del diritto cantonale e quelle del diritto federale determinanti, incluso il diritto armonizzato, devono essere interpretate nello stesso modo. In virtù del principio dell’armonizzazione fiscale verticale, le regole giurisprudenziali sviluppate in materia di legislazione federale si applicano conseguentemente anche nei confronti del diritto cantonale[2]. 2.2. La regola rovesciata In nome del postulato dell’armonizzazione fiscale verticale vale anche la regola inversa. Nell’applicare l’articolo 16 capoverso 3 LIFD va presa in considerazione anche la prassi relativa alle corrispondenti (mutatis mutandis) disposizioni del diritto dell’armonizzazione, cioè di quelle che concernono l’imposizione cantonale degli utili immobiliari[3]. Il Tribunale federale ha confermato la propria giurisprudenza in un recente caso ticinese, avente per oggetto l’imposizione di un’indennità di 20’000 franchi ricevuta in contropartita all’iscrizione di una servitù di passo pedonale e con ogni veicolo, richiamando l’articolo 12 capoverso 2 lettera c LAID per distinguere tra reddito imponibile, giusta l’articolo 16 capoverso 1 LIFD, e utile in capitale conseguito nella realizzazione di sostanza privata, giusta l’articolo 16 capoverso 3 LIFD. Per stabilire se la costituzione della servitù potesse essere qualificata quale utile in capitale – come tale esente dall’imposta federale diretta e soggetta all’imposta cantonale sugli utili immobiliari – i giudici federali hanno fatto capo al criterio del consumo della sostanza, interpretando la nozione di realizzazione (e quindi di alienazione) contenuta nell’articolo 16 capoverso 3 LIFD alla luce dell’articolo 12 capoverso 2 lettera c LAID. Constatato che nel caso in esame, invero piuttosto particolare, il passo sul sedime in discussione era praticato da anni e che, da un punto di vista economico, l’iscrizione del diritto di passo aveva di fatto un carattere solo formale, il Tribunale federale ha infine concluso che detta iscrizione non aveva in realtà comportato nessuna realizzazione del fondo del contribuente, ovvero nessun consumo di sostanza, confermando la sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello che ammetteva gli estremi per tassare l’indennità di 20’000 franchi quale reddito[4]. L’interpretazione verticale della nozione di realizzazione (e quindi di alienazione) non deve stupire. L’utile immobiliare e l’imposta sul reddito sono infatti strettamente legati l’uno all’altro e, da un punto di vista sistematico, le disposizioni degli articoli 12 capoverso 2 lettera c LAID e 16 capoverso 3 LIFD sono complementari fra loro: i guadagni conseguiti con la (parziale) realizzazione di un fondo sottostanno all’imposta speciale sugli utili immobiliari ma sono esclusi dall’imposta ordinaria sul reddito, mentre le fattispecie che non comportano alcuna realizzazione del fondo sono oggetto dell’imposta ordinaria sul reddito ma non invece dell’imposta sugli utili immobiliari. 3. La sentenza del Tribunale federale del 5 giugno 2015 in materia di diritti di superficie 3.1. I fatti Con atto pubblico del 20 marzo 2008, la comunione ereditaria composta da A, B e C, ha concesso alla D SA un diritto di superficie per sé stante e permanente, gravante come servitù il fondo X, per costruirvi un negozio al dettaglio e relativi parcheggi. Il 20 luglio 2011 l’autorità di tassazione ha aggiunto ai redditi dichiarati dai contribuenti un importo corrispondente al reddito proveniente dalla concessione del diritto di superficie. L’autorità fiscale ha considerato, in sintesi, che tale compenso era soggetto all’imposta ordinaria sul reddito secondo gli articoli 21 capoverso 1 lettera c LIFD e 20 capoverso 1 lettera c LT. Il reclamo interposto contro la decisione di tassazione è stato respinto il 4 luglio 2012. La decisione su reclamo è stata a 43 44 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 sua volta confermata dalla Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello, che si è pronunciata con sentenza del 1. ottobre 2013 (cfr. n. 80.2012.158). Davanti a tutte le istanze cantonali i contribuenti hanno affermato, senza successo, che nella fattispecie doveva applicarsi l’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT, che disciplina l’imposizione degli utili immobiliari. Il 4 novembre 2013 i contribuenti hanno presentato dinanzi al Tribunale federale un ricorso in materia di diritto pubblico lamentando la violazione dell’articolo 12 capoverso 2 lettera c LAID e dell’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT. 3.2. Il diritto di superficie secondo l’articolo 779 CC Il diritto di superficie è una servitù in base alla quale il proprietario del fondo conferisce a un terzo (il superficiario) il diritto di fare e mantenere una costruzione sul suo fondo, sopra o sotto la superficie del suolo (articolo 779 capoverso 1 del Codice civile [di seguito CC]). Detto diritto permette di dissociare la proprietà del fondo da quella delle costruzioni ivi erette, nel senso che il superficiario diventa proprietario degli immobili e degli altri edifici costruiti sopra (o sotto) la superficie del fondo, mentre il proprietario conserva la proprietà del medesimo. Il diritto di superficie è di regola concesso contro il versamento di una controprestazione che avviene sotto forma d’indennità, unica o, più sovente, periodica, la quale rappresenta la rendita del suolo. Per quanto lo concerne, il superficiario percepisce, fintanto che dura il diritto di superficie, gli eventuali redditi degli edifici e delle installazioni costruiti. Esso può anche essere ceduto ed è trasmissibile nel senso dell’articolo 779 capoverso 2 CC. Nel caso concreto il diritto di superficie è stato costituito per la durata di trenta anni, prorogabile per tre volte dieci anni, come diritto per sé stante e permanente. Queste due caratteristiche hanno permesso al titolare di farlo intavolare come fondo a registro fondiario (articoli 779 capoverso 3 e 943 capoverso 1 cifra 2 CC). 3.3. L’infelice formulazione dell’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT La formulazione dell’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT, secondo cui sono soggette all’imposta speciale cantonale le costituzioni a favore di terzi e le alienazioni di diritti di superficie che abbiano il carattere del diritto per sé stante e permanente i cui effetti siano economicamente parificabili a un’alienazione della proprietà, lascerebbe intendere che il carattere per sé stante e permanente del diritto di superficie è un criterio per definirne l’assoggettamento all’imposta sugli utili immobiliari. Come sottolineato dalla Camera di diritto tributario e successivamente confermato dal Tribunale federale, tale formulazione solleva tuttavia qualche perplessità, soprattutto in relazione al postulato dell’armonizzazione fiscale verticale, che impone di applicare l’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT alla luce del criterio del consumo della sostanza sviluppato nella giurisprudenza federale. 3.4. Il criterio determinante del consumo della sostanza La semplice costituzione di un diritto di superficie non viene considerata assimilabile ad una vendita del fondo, in quanto non intacca in modo duraturo l’essenza della proprietà immobiliare. Dal punto di vista fiscale, nel momento della costituzione del diritto di superficie, per il proprietario sorge, accanto alla nuda proprietà, il diritto all’indennizzo per la concessione dello sfruttamento del suolo. Se il fondo non è già edificato, pertanto, la situazione del proprietario è simile a quella di chi conclude un contratto di locazione o affitto. L’articolo 12 capoverso 2 lettera c LAID, come visto, prevede del resto che la costituzione su di un fondo di servitù di diritto privato o di restrizioni di diritto pubblico alla proprietà fondiaria sia assimilata ad un’alienazione solo se limitano lo sfruttamento incondizionato o diminuiscono il valore venale di un fondo in modo duraturo e importante e si fanno contro versamento di un’indennità. La prassi tende ad interpretare il requisito del carattere duraturo non facendo riferimento alla nozione di “permanente”, che si applica alle servitù nel diritto civile, cioè attribuendogli il senso di “per trent’anni almeno o per un tempo indeterminato” [5] , bensì restringendone il campo d’applicazione ai casi in cui vi è un’alienazione parziale, cioè quando viene concessa una servitù eterna. La costituzione di un diritto di superficie non si considera allora alienazione imponibile, poiché si tratta di una servitù che è sempre limitata nel tempo, anche se dovesse durare cento anni. 3.5. Le conclusioni dei giudici federali La costituzione di un diritto di superficie, se è limitato nel tempo e anche se iscritto come fondo a Registro fondiario, non comporta un’alienazione, ragione per cui l’indennità corrisposta non è soggetta all’imposta sugli utili immobiliari, bensì viene tassata come reddito. In queste condizioni, la soluzione adottata dai giudici cantonali (ossia che il carattere “duraturo” della servitù, cioè del diritto di superficie, dev’essere inteso nel senso di illimitato affinché il caso vada assoggettato all’imposta sugli utili immobiliari), oltre a collimare con l’opinione sostenuta da gran parte della dottrina, è conforme alle esigenze poste dalla legislazione federale e da quella armonizzata per ammettere che si è in presenza (o meno) di un’alienazione. Come accennato in precedenza vi è alienazione – condizione per ammettere un utile in capitale esente da imposta ordinaria – quando interviene Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 un consumo di sostanza, ossia quando i diritti reali o obbligatori sono totalmente o parzialmente realizzati, ciò che implica che lasciano la sfera della persona cedente, con diminuzione della sua sostanza, perlomeno momentaneamente, fino alla ricezione della controprestazione. Nel caso in discussione, per contro, non vi è (stato) alcun consumo di sostanza. In effetti, sebbene il titolare del diritto di superficie sia proprietario della costruzione che ha potuto erigere sul fondo serviente, la proprietà di quest’ultimo è rimasta al proprietario fondiario, ossia alla comunione ereditaria di cui fanno parte i ricorrenti, i quali, quando il diritto di superficie si estinguerà, diventeranno anche proprietari delle costruzioni erette (articolo 779c CC). I proprietari del terreno hanno ceduto il diritto di edificarvi sopra un immobile commerciale e di conservarlo per la durata di sessant’anni e in cambio hanno pattuito il versamento in loro favore di indennità periodiche. Dette prestazioni non equivalgono ad un pagamento per un trasferimento di proprietà, poiché il terreno è rimasto proprietà della comunione ereditaria e l’edificio commerciale è stato realizzato dopo la costituzione del diritto di superficie, da parte del detentore del medesimo e a sue spese: non vi è pertanto stata alcuna alienazione, né consumo di sostanza. 3.6. Il caso particolare dei fondi già edificati Il Tribunale federale non si è occupato del caso particolare dei terreni già edificati al momento della costituzione di un diritto di superficie. Secondo una sua vecchia giurisprudenza [1] Sentenza TF n. 2C_902/2013 dell’11 luglio 2014. [2] DTF 139 II 363 consid. 3.2 e riferimenti. [3] Sentenza TF n. 2C_1151/2012 consid. 3.2, del 3 giugno 2013. [4] Sentenza TF n. 2C_902/2013 consid. 4.3, dell’11 luglio 2014. [5] Cfr. articolo 22 capoverso 1 lettera a dell’Ordinanza del 23 settembre 2011 sul Registro fondiario [ORF; RS 211.432.1]. [6]Sentenza CDT n. 80.2012.158 del 1. ottobre 2013 consid. 2.2; di parere contrario Verrey Bastien, in: RDAF 2015 II pagina 469, secondo cui i giudici federali avrebbero escluso, con la decisione qui in esame, una “scissione” dell’indennità versata al nudo proprietario nel caso in cui il terreno fosse già edificato al momento della costituzione della servitù. (cfr. DTF 90 I 252) occorre distinguere a seconda che il diritto di superficie è concesso su un terreno non edificato oppure già costruito. Nel primo caso l’indennità percepita (periodica oppure unica) soggiace all’imposta sul reddito, nella seconda ipotesi essa deve essere divisa in due parti: quella concernente l’alienazione della costruzione soggiace all’imposta sugli utili immobiliari, mentre il rimanente viene tassato come reddito. Questa è l’opinione condivisa anche dalla dottrina dominante e dalla Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello. Nel caso della concessione di un diritto di superficie su un fondo già edificato, la controprestazione versata dal superficiario si compone, da un lato, dell’indennità per l’uso del suolo e, dall’altro, di quella per l’edificio, la cui proprietà si trasferisce al superficiario. Indennità periodiche rappresentano proventi da contratti di superficie secondo l’articolo 21 capoverso 1 lettera c LIFD solo nella misura in cui costituiscono compenso per l’uso del suolo. La quota dell’indennità che si riferisce al trasferimento della proprietà della costruzione rappresenta invece un utile in capitale. Lo stesso trattamento è previsto anche se l’indennità è versata in forma di prestazione unica in capitale[6]. Elenco delle fonti fotografiche: http://cms.immoscout24.ch/media/1776/anbauen-aufstocken-verdichten. jpg?width=640&height=360&center=0.5,0.5&mode=crop [30.06.2016] ht tp://w w w.laregione.ch/sites/default/f iles/uploads/f iles/2015/11/ TF_1011.jpg [30.06.2016] 45 46 Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE Compatibilità della limitazione al credito per imposte estere prevista dall’articolo 165, comma 10 TUIR con il Diritto dell’UE Paolo Arginelli Professore a contratto, Università Cattolica del Sacro Cuore Postdoc research fellow, IBFD Direttore, AdvantA Sagl, Lugano Ordinanza della Corte di Giustizia Europea del 4 febbraio 2016 (Sesta Sezione) – causa C-194/15 – Baudinet contro Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Torino – Rinvio pregiudiziale – Articoli 63 TFUE e 65 TFUE – Libera circolazione dei capitali – Articolo 49 TFUE – Libertà di stabilimento – Fiscalità diretta – Tassazione dei dividendi – Convenzione bilaterale volta a prevenire la doppia imposizione – Doppia imposizione giuridica 1. Introduzione L’Ordinanza concerne la compatibilità del regime impositivo italiano dei dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti con la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali di cui agli articoli 49 e 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (di seguito TFUE). La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la signora Baudinet e i suoi figli, Pauline, Adrien e Édouard Boyer, all’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Torino in merito alla tassazione, in Italia, di dividendi distribuiti ai predetti soci da una società stabilita in Francia e che sono già stati oggetto di una ritenuta alla fonte in quest’ultimo Stato membro. Nel rinvio pregiudiziale è stato quindi richiesto alla Corte di chiarire “se gli articoli 63 e 65 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea ostino alla normativa di uno Stato membro in forza della quale, allorché un residente di tale Stato – azionista di una società stabilita in uno Stato membro diverso – percepisca dividendi tassati in entrambi gli Stati, non si ponga rimedio alla doppia imposizione mediante l’imputazione nello Stato di residenza di un credito d’imposta almeno pari all’importo dell’imposta versata nello Stato della società distributrice”. 2. Procedimento principale e questioni pregiudiziali L’amministrazione tributaria ha emesso, per gli anni 2007 e 2008, una serie di avvisi di accertamento relativi ai redditi da dividendi provenienti da partecipazioni azionarie qualificate in una società stabilita in Francia, detenute dai ricorrenti nel procedimento principale, la cui residenza fiscale è situata in Italia. Arianna Amigoni Avvocato, Consulente presso AdvantA Sagl, Lugano Conformemente alla Convenzione italo-francese, detta società ha applicato a tali dividendi una ritenuta alla fonte del 15%. I ricorrenti nel procedimento principale hanno regolarmente dichiarato detti dividendi nella dichiarazione dei redditi effettuata in Italia. Tuttavia, i ricorrenti nel procedimento principale hanno detratto dall’imposta dovuta in Italia l’importo totale dell’imposta pagata in Francia, rivendicando il beneficio di un credito d’imposta di origine estera di cui l’amministrazione tributaria italiana contesta la legittimità. Secondo detta amministrazione, ai sensi dell’articolo 165, comma 10 del Testo Unico dell’Imposta sui Redditi (di seguito TUIR), il credito d’imposta di cui possono beneficiare i ricorrenti nel procedimento principale è limitato alla quota della ritenuta alla fonte pagata in Francia che corrisponde all’importo dei dividendi preso in considerazione dalla normativa tributaria italiana, ossia al 40% dell’importo lordo di tali dividendi (essendo i dividendi esclusi dalla formazione della base imponibile in Italia per il 60% del loro ammontare, nel periodo di imposta oggetto della causa principale, in ragione di una norma interna volta ad attenuare la doppia imposizione economica). Ritenendo che dall’imposta dovuta in Italia debba essere detratta l’intera ritenuta alla fonte pagata in Francia, i ricorrenti nel procedimento principale hanno adito la Commissione tributaria provinciale di Torino. Secondo quest’ultima, la normativa italiana riserva un trattamento più favorevole ai dividendi distribuiti da società stabilite in Italia rispetto a quelli distribuiti da società stabilite in Francia, dove essi sono assoggettati a una ritenuta alla fonte che è soltanto parzialmente detraibile in Italia. Ne deriverebbe che la normativa italiana e la Convenzione italo-francese sarebbero atte a dissuadere le persone fisiche residenti in Italia, e che ivi sono assoggettate all’imposta sul reddito, dall’investire i loro capitali in società stabilite fuori dall’Italia. Il giudice del rinvio ritiene, pertanto, che non sia irragionevole considerare che la normativa italiana in materia di tassazione dei dividendi di origine estera, rendendo meno conveniente la detenzione di partecipazioni in società non residenti rispetto a quella di partecipazioni in società residenti, possa essere in contrasto con il principio della libera circolazione dei capitali. Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 In tale contesto, la Commissione tributaria provinciale di Torino ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale sopra richiamata. 3. Sulla questione pregiudiziale La Corte evidenzia innanzitutto come, sulla libertà in esame, in conformità alla propria giurisprudenza, sebbene il giudice nazionale interroghi la Corte sull’interpretazione degli articoli 63 e 65 TFUE, si debba esaminare la fattispecie alla luce dell’articolo 49 TFUE. A tale proposito la Corte ricorda che il trattamento fiscale dei dividendi può ricadere nella sfera di applicazione dell’articolo 49 TFUE, riguardante la libertà di stabilimento, e in quella dell’articolo 63 TFUE, relativo alla libera circolazione dei capitali (paragrafi 21-23 dell’Ordinanza). Quanto alla questione se una normativa nazionale rientri nell’una o nell’altra libertà di circolazione, da una giurisprudenza costante della Corte risulta opportuno prendere in considerazione l’oggetto della normativa di cui trattasi. In proposito la stessa aggiunge che è già stato dichiarato dalla Corte come una normativa nazionale destinata ad applicarsi esclusivamente alle partecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinarne le attività ricada nella sfera di applicazione delle disposizioni del TFUE relative alla libertà di stabilimento. Per contro, disposizioni nazionali che siano applicabili a partecipazioni acquisite al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza l’intento di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminate esclusivamente alla luce della libera circolazione dei capitali (paragrafi 24 e 25 dell’Ordinanza). Per quanto riguarda il procedimento principale, alla Corte risulta che la normativa nazionale di cui trattasi, si applichi indipendentemente dall’importo della partecipazione detenuta in una società. Così, l’applicazione di tale normativa non dipende dall’entità delle partecipazioni nella società non residente e non si limita alle situazioni nelle quali il titolare di quote possa esercitare una sicura influenza sulle decisioni della società considerata e determinarne le attività. Di conseguenza, nei limiti in cui tale normativa si riferisca a dividendi che hanno origine in uno Stato membro, l’oggetto di tale normativa non consente di stabilire se quest’ultima ricada in maniera preponderante nella sfera di applicazione dell’articolo 49 TFUE, oppure in quella dell’articolo 63 TFUE. Non disponendo la Corte di elementi sufficienti per determinare la natura della partecipazione di cui trattasi e non potendo pertanto escludere che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale si possa applicare a dividendi versati da una società non residente ad azionisti residenti che detengano una partecipazione che attribuisca loro una sicura influenza sulle decisioni di tale società e consenta loro di determinarne le attività, la stessa ha pertanto ritenuto di esaminare la questione pregiudiziale anche alla luce delle disposizioni del TFUE relative alla libertà di stabilimento (paragrafi 26-28 dell’Ordinanza). In relazione alla sussistenza di una restrizione alla libertà di circolazione, la Corte, in primis, ricorda che da giurisprudenza costante si evince che spetta a ciascuno Stato membro organizzare, in osservanza del diritto dell’Unione, il proprio sistema di tassazione degli utili distribuiti e definire, in tale ambito, la base imponibile nonché il tasso d’imposizione che vengono applicati in capo all’azionista beneficiario. Ne consegue, da un lato, che i dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato membro a un azionista residente in un altro Stato membro possano subire una doppia imposizione giuridica qualora i due Stati membri decidano di esercitare la propria competenza fiscale e di assoggettare tali dividendi a tassazione in capo all’azionista. Dall’altro lato, le conseguenze svantaggiose che possono derivare dall’esercizio parallelo da parte di diversi Stati membri della loro competenza fiscale, se e in quanto tale esercizio non sia discriminatorio, non costituiscono restrizioni vietate dal Trattato (paragrafi 30-32 dell’Ordinanza). La Corte continua, poi, rilevando che, conformemente alla propria consolidata giurisprudenza, poiché il diritto dell’Unione, al suo stato attuale, non stabilisce criteri generali per la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l’eliminazione della doppia imposizione all’interno dell’Unione europea, la circostanza che tanto lo Stato membro della fonte dei dividendi quanto lo Stato di residenza dell’azionista possano tassare tali dividendi non implica che lo Stato membro di residenza sia tenuto, in forza del diritto dell’Unione, a prevenire gli svantaggi che potrebbero derivare dall’esercizio della competenza così ripartita da parte dei due Stati membri (paragrafo 33 dell’Ordinanza). Nel caso di specie, la Corte prende atto che la normativa italiana non fa alcuna distinzione tra i dividendi distribuiti da una società stabilita in Italia e quelli distribuiti da una società stabilita in Francia, posto che in entrambi i casi i dividendi concorrono alla base imponibile limitatamente al 40% del loro importo. La circostanza che i dividendi di fonte francese siano assoggettati ad un onere tributario maggiormente gravoso rispetto a quello gravante sui dividendi di fonte interna (distribuiti da società italiane) non è imputabile ad alcuna discriminazione posta in essere dalla normativa italiana, bensì la mera conseguenza dell’esercizio parallelo del proprio potere impositivo dei due Stati, l’uno operante come Stato della fonte-Francia e l’altro come Stato di residenza–Italia (paragrafi 34 e 35 dell’Ordinanza). 47 48 Novità fiscali / n.6 / giugno 2016 Alla luce degli argomenti sopra esposti, la Corte conclude che occorre rispondere alla questione dichiarando che gli articoli 49, 63 e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, allorché un residente di tale Stato membro, azionista di una società stabilita in un altro Stato membro, percepisce da tale società dividendi tassati in entrambi gli Stati membri, non si ponga rimedio alla doppia imposizione, nello Stato membro di residenza dell’azionista, mediante l’imputazione di un credito d’imposta almeno pari all’importo dell’imposta versata nello Stato membro della fonte di tali dividendi (paragrafo 37 dell’Ordinanza). In estrema sintesi, quindi, la Corte ritiene che lo Stato membro di residenza dell’azionista non sia tenuto, in forza del diritto dell’Unione, ad eliminare la doppia imposizione giuridica dei dividendi mediante il riconoscimento di un credito d’imposta pari all’intero importo dell’imposta riscossa nello Stato membro della fonte di tali dividendi, confermando, quindi, con riguardo all’ordinamento tributario italiano, la legittimità dell’articolo 165, comma 10 TUIR. 4. Dispositivo Per questi motivi, la Corte dichiara che “[g]li articoli 49 TFUE, 63 TFUE e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, allorché un residente di tale Stato membro, azionista di una società stabilita in un altro Stato membro, percepisce da tale società dividendi tassati in entrambi gli Stati membri, non si ponga rimedio alla doppia imposizione, nello Stato membro di residenza dell’azionista, mediante l’imputazione di un credito d’imposta almeno pari all’importo dell’imposta versata nello Stato membro della fonte di tali dividendi”. 5. Commenti Con l’Ordinanza in esame, la Corte ribadisce un principio ormai consolidato secondo il quale l’esercizio parallelo del potere impositivo tra Stati membri, e la conseguente doppia imposizione giuridica internazionale cui sono soggette le distribuzioni transfrontaliere di dividendi, non costituisce una violazione della libertà di stabilimento ovvero della libera circolazione dei capitali. [1] Cfr. Alban Zaimaj, La Corte di Giustizia dell’Unione europea afferma la compatibilità con il diritto dell’Unione europea della limitazione al credito per imposte estere prevista dall’articolo 165, c. 10 del TUIR, Rivista di Diritto Tributario, Supplemento on-line, e l’ulteriore dottrina ivi richiamata, in: http://www.rivistadirittotributario.it/2016/ 02/23/la-corte-di-giustizia-dellunione-europeaafferma-la-compatibilita-con-il-diritto-dellunione-europea-della-limitazione-al-creditoper-imposte-estere-prevista-dall’articolo-165 [30.06.2016]. Il principio era già stato enunciato dalla Corte in precedenti pronunce (per esempio: Causa C-513/04, del 14 novembre 2006 e Causa C-128/08, del 16 luglio 2009) e pertanto, l’Ordinanza C-194/15 in rassegna è del tutto conforme ai precedenti giurisprudenziali della Corte. Ciò detto, non si può non osservare come il giudice di merito avrebbe potuto risolvere in radice il problema della doppia imposizione giuridica dei dividendi sancendo la prevalenza dell’articolo 24 della Convenzione Italia-Francia sull’articolo 165, comma 10 TUIR. In proposito pare condivisibile la posizione espressa dalla dottrina[1] secondo cui l’articolo 165, comma 10 TUIR deve essere disapplicato in presenza di convenzioni contro le doppie imposizioni che non pongono limitazioni ulteriori rispetto a quella “ordinaria” che limita l’ammontare delle imposte estere accreditabili alla quota d’imposta italiana riferibile al reddito estero. In proposito si deve osservare che in alcune recenti convenzioni, l’Italia ha inserito nell’articolo che disciplina il credito d’imposta una specifica disposizione che riflette il contenuto dell’articolo 165, comma 10 TUIR. Ad esempio, l’articolo 22 della Convenzione con Hong Kong contiene la seguente clausola: “l’imposta pagata nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong per la quale spetta la detrazione è solo l’ammontare pro-rata corrispondente alla parte del reddito estero che concorre alla formazione del reddito complessivo”. La medesima disposizione è prevista nei Protocolli aggiuntivi delle convenzioni stipulate con Corea del Sud e Cipro. In via di principio, dunque, si dovrebbe ritenere che nella misura in cui la Convenzione bilaterale Italia-Francia non contiene alcuna limitazione specifica in ordine all’ammontare del credito d’imposta, la ritenuta alla fonte dovrebbe essere accreditabile per l’intero ammontare, fatto salvo il limite della quota di imposta italiana afferente al reddito prodotto all’estero. Da ultimo, si osserva che la prevalenza della norma pattizia su quella interna dovrebbe essere accertata direttamente dal giudice di merito e non potrebbe essere oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte. Elenco delle fonti fotografiche: http://abcdeuropa.com/wp-content/uploads/2014/10/Corte-di-GiustiziadellUnione-europea-Lussemburgo.jpg [30.06.2016] Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario Sì, sono interessata/o e desidero ricevere maggiori informazioni sui seguenti corsi: Dati personali Nome Seminari □ Aggiornamento imposta preventiva 2.0 20 settembre 2016, Manno □ Le nuove norme sulla trasparenza delle società anonime 19 ottobre 2016, Cadempino Cognome Telefono Certificate of Advanced Studies □ Approfondimenti di diritto tributario E-mail Corso di formazione Indicare l’indirizzo per l’invio delle comunicazioni Azienda/Ente Via e N. NAP Località Data Firma Inviare il formulario Per posta SUPSI Centro competenze tributarie Palazzo E Via Cantonale 16e CH-6928 Manno Via e-mail [email protected] Via fax +41 (0)58 666 61 76 □ Fiscalità e diritto finanziario 49