Novità fiscali

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale
Centro competenze tributarie
Novità fiscali
L’attualità del diritto tributario svizzero
e internazionale
N° 6 – giugno 2016
Politica fiscale
Salari inviati spontaneamente al fisco?3
Il segreto bancario nella Costituzione federale a tutela
della fiducia fra Cittadino e Stato
I principi fondanti non vanno bistrattati
Sfera privata finanziaria, un bene da proteggere
Ogni persona con domicilio in Svizzera deve essere
protetta nella sua sfera privata finanziaria
Iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata”:
un dannoso e ipocrita arcaismo
Diritto tributario svizzero
Imposta preventiva: inoltro tardivo della notifica
Diritto tributario internazionale e dell'UE
Lo scambio di informazioni fiscali in caso di dati rubati
IVA e imposte indirette
Disciplina doganale e sanzioni tra effettività,
dissuasività e proporzionalità
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Reddito della sostanza vs. utile in capitale
Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE
Compatibilità della limitazione al credito per imposte estere
prevista dall’articolo 165, comma 10 TUIR con il Diritto dell’UE
Offerta formativa
Seminari e corsi di diritto tributario
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Introduzione
Novità fiscali
6/2016
Redazione
SUPSI
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tributarie
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Samuele Vorpe
Comitato redazionale
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Marco Greggi
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Giovanni Molo
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Samuele Vorpe
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Uno dei temi centrali degli ultimi mesi è rappresentanto dall’evoluzione internazionale in ambito
fiscale, in particolare per quanto attiene allo scambio d’informazioni. In quest’ottica si pone il quesito
della tutela della sfera privata del cittadino in relazione ai suoi averi bancari e la possibilità dell’autorità
fiscale di accedere a questa informazione. Considerato come dal 2017 (2018) quasi tutti i Paesi del
mondo si sono impegnati a scambiarsi i dati bancari, la situazione in Svizzera resta forse un “unicum”:
per il momento, le relazioni bancarie dei contribuenti residenti in Svizzera non sono accessibili
all’autorità fiscale (se si escludono i casi penali).
Il presente numero di NF affronta questa tematica
riportando il dibattito politico sull’iniziativa popolare federale “Sì alla protezione della sfera privata”:
si esprimono i consiglieri nazionali Giovanni Merlini,
Marco Romano, Lorenzo Quadri, Marco Chiesa e
Carlo Sommaruga. Sempre in tale ambito l’avv.
Francesco Naef esamina in modo puntuale la problematica dello scambio d’informazioni fiscali
quando la richiesta dello Stato estero si fonda su
dati rubati, giustificando una posizione critica della
Svizzera. Samuele Vorpe valuta positivamente la
soluzione già adottata in alcuni Cantoni di obbligare i datori di lavoro a trasmettere spontaneamente
i certificati di salario al fisco. Massimo Bianchi
affronta la problematica sorta in relazione ad una
giurisprudenza molto formale del Tribunale amministrativo federale e del Tribunale federale in ambito
di rimborso di imposta preventiva e il conseguente
inasprimento di prassi effettuato dall’Amministrazione federale delle contribuzioni, che le Camere
federali intendono risolvere. Fabrizio Vismara tratta
la disciplina doganale e le relative sanzioni a livello
UE. Il numero si chiude con contributi giurisprudenziali da parte di Rocco Filippini (per la parte
svizzera) e di Paolo Arginelli e Arianna Amigoni (per
la parte italiana).
Simona Genini
Politica fiscale
Salari inviati spontaneamente al fisco?
Samuele Vorpe
Responsabile del Centro di competenze
tributarie della SUPSI
Diversi Cantoni hanno introdotto questa misura nella
loro legge per combattere l’evasione fiscale
Ogni anno, insieme alla dichiarazione d’imposta, i contribuenti
sono tenuti ad allegare una copia del certificato di salario indicante tutti i proventi da attività lucrativa dipendente (articolo
199 capoverso 1 della Legge tributaria ticinese [di seguito
LT-TI]), siano essi conseguiti mediante un’attività principale o
accessoria.
Il contribuente deve fare tutto il necessario per consentire
una tassazione completa ed esatta (articolo 200 capoverso
1 LT-TI). Se, però, il contribuente non allega il certificato di
salario, l’autorità fiscale (dopo una diffida) è autorizzata a
richiederlo direttamente al datore di lavoro (articolo 200
capoverso 3 LT-TI). È evidente che l’autorità fiscale per poter
richiedere il certificato di salario al datore di lavoro deve poter
conoscere le relazioni professionali, principali e accessorie,
del contribuente. Nel caso in cui queste informazioni non
fossero conosciute dall’amministrazione, allora il contribuente
che omette di allegare il certificato, intenzionalmente o per
negligenza, non verrebbe “scoperto” e commetterebbe una
sottrazione d’imposta. Il fisco deve quindi aver almeno un
sospetto fondato che il contribuente non abbia presentato il
certificato di salario e conoscere il nome del datore di lavoro
interessato, per poi poter ottenere le informazioni necessarie
per una corretta e completa tassazione.
Per combattere l’evasione fiscale non sarebbe allora più semplice che il datore di lavoro trasmettesse spontaneamente e per
ogni periodo fiscale una copia del certificato di salario all’autorità fiscale? È quello che hanno pensato i diversi legislatori dei
Cantoni di Berna, Lucerna, Friborgo, Basilea Città e Campagna,
Vaud, Vallese, Neuchâtel e Giura (cfr. Amministrazione federale
delle contribuzioni, Recueil informations fiscales, La procédure
de taxation en matière d’impôts directs, Berna 2013, pagina 20),
in cui i datori di lavoro sono obbligati per legge a trasmettere
spontaneamente e direttamente all’autorità fiscale cantonale
una copia del certificato di salario rilasciato ai dipendenti
(si veda per esempio l’articolo 172 capoverso 1 lettera d della
Legge tributaria bernese [di seguito LT-BE]).
Articolo pubblicato il 14.06.2016
sul Giornale del Popolo
Tale disposizione di questi Cantoni corrisponde all’articolo 203
capoverso 1 lettera d LT-TI, che disciplina l’obbligo dei terzi
di “comunicare”, ovvero di “presentare un’attestazione all’autorità di
tassazione, per ogni periodo fiscale”, con la differenza che la lettera d di questi Cantoni ha un campo di applicazione molto più
esteso: mentre per esempio l’articolo 203 capoverso 1 lettera
d LT-TI prevede l’obbligo solo per “i datori di lavoro che accordano
partecipazioni di collaboratore ai loro dipendenti, sui dati necessari
per la relativa tassazione”, l’articolo 172 capoverso 1 lettera d
LT-BE fa riferimento a tutte le prestazioni del datore di lavoro.
Oggetto dello scambio spontaneo sono tutti i proventi di
un’attività dipendente, retta dal diritto privato o pubblico,
compresi i proventi accessori, quali indennità per prestazioni
straordinarie, provvigioni, assegni, premi di anzianità, gratificazioni, mance, tantièmes, vantaggi valutabili in denaro
risultanti da partecipazioni di collaboratore e altri vantaggi
valutabili in denaro, previsti dall’articolo 20 capoverso 1 LT-BE,
così come i contributi sociali e previdenziali versati. Secondo
dottrina autorevole una simile estensione dell’obbligo di
comunicare dei datori di lavoro sarebbe conforme allo spirito
della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette
dei Cantoni e dei Comuni (cfr. Zweifel Martin, in: Commentario
alla LAID, N 2b ad Art. 45 LAID, pagina 754).
Se anche il Canton Ticino si dovesse dotare dello strumento
dello scambio spontaneo da parte di (tutti) i datori di lavoro
sulle prestazioni lavorative dei dipendenti, per l’amministrazione sarebbe senz’altro più facile conoscere tutti i redditi del
lavoro dei suoi contribuenti.
Per maggiori informazioni:
AFC, Recueil informations fiscales, La procédure de taxation en matière
d’impôts directs, Berna 2013, in: https://www.estv.admin.ch/dam/
estv/fr/dokumente/allgemein/Dokumentation/Publikationen/dossier_
steuerinformationen/e/Das%20Veranlagungsverfahren%20bei%20den%20
direkten%20Steuern.pdf.download.pdf/e_veranlagungsverfahren_f.pdf
[30.06.2016]
3
4
Politica fiscale
Il segreto bancario nella Costituzione federale
a tutela della fiducia fra Cittadino e Stato
Giovanni Merlini
Consigliere nazionale PLR
L’iniziativa popolare federale “Sì alla protezione della
sfera privata” (su cui dovranno ancora esprimersi le
Camere federali) consente di riflettere non solo su
una questione aspramente controversa a livello federale e internazionale – il segreto bancario –, ma anche
sui valori liberali che devono continuare a configurare i rapporti fra Cittadino e Stato. Un’occasione per
riparlare della ricetta del nostro benessere: la lunga
tradizione liberale della Svizzera
1.
I punti fermi dello Stato liberale
1.1.
Perché riflettere sui valori?
Anche in Svizzera viviamo con un rischio costante: dare per
scontate alcune conquiste storiche del liberalismo, che accompagnano la nostra quotidianità. La supremazia della legge contro
l’arbitrio, lo Stato di diritto, la limitazione dei poteri pubblici, il
ruolo del federalismo nella democrazia semidiretta, le libertà
individuali, il rapporto di fiducia tra Cittadino e Stato, eccetera,
non sono mai conquiste definitivamente acquisite. Perciò occorre
vigilare. Da qualche parte incombe sempre la minaccia che questo virtuoso assetto di poteri e contropoteri (checks and balances)
perda definitivamente il suo delicato equilibrio. I danni che ne
possono derivare sono incalcolabili. Uno sguardo attento alla
Storia e alle controproducenti scelte politiche di Stati a noi vicini
dovrebbero indurci a non ripetere certi errori, particolarmente
nella politica fiscale e nell’adozione di strumenti “polizieschi” di
controllo della disciplina del contribuente. Le tendenze in atto
e l’implementazione forzata degli standard internazionali in
tema di scambio di informazioni fiscali (scambio su richiesta,
automatico e spontaneo) non impongono affatto all’interno del
nostro Paese la rinuncia al segreto bancario e alla fiducia che ha
sempre contraddistinto l’insieme delle relazioni tra contribuente
e fisco, garantendo oltretutto uno dei più bassi tassi di evasione.
Lo Stato liberale rispetta la sfera privata dei suoi cittadini, anche
quella finanziaria, e ne viene perlopiù ripagato. Un vantaggio
da conservare, additato ad esempio da Paesi che si sono invece
pentiti di essersi avventurati nella giungla regolamentatrice, con
eccessi di cui oggi pagano un altissimo scotto.
1.2.
L’obiettivo dello Stato liberale
La liberaldemocrazia contemporanea è il prodotto storico
dell’irruzione sulla scena di un nuovo soggetto politico, il
ceto della borghesia (sviluppatasi già nel XVII. secolo in Gran
Bretagna e poi dal XVIII. secolo in Francia e nel resto d’Europa)
con le sue lunghe lotte per il superamento dei vecchi vincoli
feudali e dei privilegi della nobiltà fondiaria e per la limitazione
del potere del monarca. Soltanto lo ius naturale in quanto
diritto innato ad ogni individuo poteva preservare i sudditi
dall’arbitrio e dagli abusi, garantendo la libertà della proprietà
e il diritto alla vita e all’incolumità, dichiarati diritti inviolabili,
al riparo dall’invadenza di colui che Thomas Hobbes aveva
denominato il “Leviatano”. In buona sintesi, le organizzazioni
statuali che ancora oggi si richiamano al metodo e ai valori
del liberalismo non dovrebbero mai perdere d’occhio il “nord”
della bussola nell’orientarsi tra le varie opzioni giuspolitiche
che si pongono. Sempre meglio poche regole, ma chiare ed
applicabili. E, come ammoniva Montesquieu, se una legge non
è strettamente necessaria, è necessario rinunciarvi.
1.3.
I princìpi cardine dello Stato liberale
La limitazione dell’azione statale e la libertà individuale devono
poggiare su un patto sociale chiaro. In questo ambito gioca un
ruolo indispensabile il rapporto di fiducia fra il Cittadino e lo
Stato, proprio allo scopo di scongiurare un contesto di diffidenza e antagonismo tra individui e autorità. Il che significa
che deve valere la presunzione giuridica secondo cui il Cittadino
va ritenuto corretto fino a prova contraria. L’onere della prova
dell’eventuale inosservanza delle regole spetta all’autorità
pubblica competente; in caso contrario ci ritroveremmo nella
Repubblica del sospetto, dei processi alle intenzioni, e si sgretolerebbe qualsiasi sano rapporto di fiducia tra le parti.
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
1.4.
Gli effetti della cultura del sospetto
Dove lo Stato non si fida dei suoi Cittadini, i risultati sono
tutt’altro che confortanti. Non v’è alcun esempio concreto di
Stato ficcanaso in cui si sia potuto inverare un tessuto sociale
ed economico vitale e soprattutto leale verso le istituzioni.
Anzi, quanto più lo Stato è invadente, tanto più esso fa scattare
meccanismi di autodifesa da parte dei Cittadini, che spesso si
traducono nel mancato rispetto di regole vissute come sempre
più asfissianti e nell’elusione di un fisco sempre più gravoso.
2.
Genesi e crisi del segreto bancario in Svizzera
2.1.
Le origini del segreto bancario
Lo strumento giuridico del segreto bancario svizzero è stato
codificato in Svizzera all’inizio degli anni trenta del secolo
scorso, con l’introduzione in particolare dell’articolo 47
della Legge federale sulle banche e le casse di risparmio (di
seguito LBCR), il cui scopo primario consisteva nel tutelare la
riservatezza degli istituti bancari nei confronti dei clienti. La
codificazione di tale principio non fu però una rivoluzione,
poiché già prima il diritto privato svizzero imponeva l’obbligo
della segretezza per quanto concerne gli operatori delle banche. Anzi, già oltre tre secoli fa la Svizzera garantiva la custodia
segreta dei patrimoni dei re di Francia e di coloro che volevano
sfuggire alle confische arbitrarie del proprio Stato.
Il segreto bancario di cui è titolare beneficiario il cliente e non
la banca, è dunque innanzitutto un sistema di tutela del singolo
individuo dalla tendenziale pervasività dello Stato e della sua
amministrazione pubblica (si pensi anche ai patrimoni detenuti nel nostro Paese da cittadini ebrei residenti in Germania
durante l’ascesa del regime nazionalsocialista). Cionondimeno
va riconosciuto che, purtroppo, questa stessa protezione
della sfera privata è stata anche oggetto di ripetuti abusi a
fini elusivi, pianificati nei dettagli da istituti e da specialisti del
ramo, gettando un ingiustificato discredito generale sull’intera
piazza finanziaria.
2.2.
Le picconate al segreto bancario svizzero
Non sorprende che l’attacco sferrato al segreto bancario, da
tempo nel mirino di alcuni Stati, si sia accentuato con la crisi
finanziaria internazionale del 2008. L’economia europea in difficoltà, le note fughe di dati riservati, alcuni clamorosi scandali
inerenti a depositi bancari e la necessità di molti governi di
trovare nuove entrate fiscali hanno aumentato la pressione sul
segreto bancario svizzero. Inoltre il Consiglio federale – così
come alcuni istituti bancari stessi – ha dovuto far fronte alle
richieste e agli ultimatum di potenze economiche e politiche
come gli Stati Uniti d’America, compiendo una scelta storica
con la “Weissgeldstrategie” che ha comportato l’abbandono
graduale del segreto bancario per riorganizzare e rilanciare il
settore finanziario svizzero. Tuttavia, il governo federale si è
mosso con discutibile precipitosità e manifesto eccesso di zelo
nell’esaudire le richieste estere, rinunciando alla necessaria
fermezza e autorevolezza contrattuale a tutela del mondo
bancario svizzero.
3.
Paradisi fiscali e segreto bancario: quali differenze?
3.1.
Occorre distinguere
Secondo alcuni Stati (e fino a poco tempo fa anche secondo
l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
[di seguito OCSE]) la Svizzera sarebbe un paradiso fiscale,
benché de iure e de facto non lo sia affatto. Un paradiso fiscale
attira e accetta capitali stranieri, senza chiedersi se la loro
provenienza sia lecita o illecita e senza curarsi di chi sia il loro
beneficiario economico. Quale controprestazione offre una
fiscalità bassa o persino nulla, garantendo la massima segretezza sui dati personali degli interessati.
L’ordinamento giuridico svizzero è per contro caratterizzato
dal principio “Know Your Customer” (conosci il tuo cliente) che
impone agli intermediari finanziari di accertare la provenienza
dei fondi in occasione dell’apertura di nuove relazioni.
3.2.
Gli standard OCSE
L’OCSE considera uno Stato quale paradiso fiscale se, per
l’assenza di trasparenza sulle transazioni finanziarie e sulla
comunicazione con le altre nazioni, favorisce le organizzazioni criminali. La Svizzera, oltre a collaborare con le autorità
straniere in caso di assistenza giudiziaria, ha adottato la Legge
federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il
finanziamento del terrorismo (di seguito LRD), che ha lo scopo
di evitare – insieme alla legislazione penale, come l’articolo
305bis del Codice penale (di seguito CP) – che capitali illeciti
circolino nel sistema finanziario ed economico, anche grazie a
disposizioni particolari, come ad esempio l’articolo 9 LRD, che
obbliga l’istituto finanziario ad informare l’Ufficio delle comunicazioni in materia di riciclaggio di denaro in caso di sospetti
fondati sulla provenienza illecita dei fondi[1]. Ciononostante,
alcuni Stati insistono a torto nel ritenere la Svizzera un paradiso fiscale, causando non poche difficoltà ai nostri operatori.
4.
Le basi legali del segreto bancario attualmente in vigore
4.1.
La situazione oggi
Come già anticipato, la base legale del principio del segreto
bancario è implicitamente prevista dall’articolo 47 LBCR,
che prevede una detenzione fino ad un massimo di tre anni
o una pena pecuniaria per colui che, intenzionalmente, rivela
un segreto – confidatogli o di cui ha avuto conoscenza – in
qualità di organo, impiegato, mandatario o liquidatore di una
banca o di una società d’audit o incita terzi a violare il segreto
professionale. Attualmente, però, il segreto bancario non è
ancorato a livello di Costituzione federale.
La protezione del segreto bancario implica un accenno allo
scambio d’informazioni. Nel 2009 la Svizzera ha ripreso
l’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione contro le
doppie imposizioni (M-OCSE), che permette l’assistenza amministrativa su richiesta in ambito fiscale tra Stati. La clausola di
assistenza amministrativa nelle singole convenzioni per evitare
5
6
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
le doppie imposizioni (CDI) fissa la base di diritto materiale per
lo scambio d’informazioni su domanda tra la Confederazione
e lo Stato terzo; la procedura è stata regolamentata tramite la
Legge federale sull’assistenza amministrativa internazionale in
materia fiscale (LAAF)[2].
capoverso 4 lettera b Cost.). Sarà comunque un tribunale a
decidere se sussiste un sospetto fondato ai sensi di quanto
sopra (articolo 13 capoverso 5 Cost.). Queste disposizioni si
applicano per analogia anche alla trasmissione di informazioni
relative alle imposte indirette (articolo 13 capoverso 6 Cost.).
Con l’adozione di questa normativa, i Paesi dell’OCSE hanno
intensificato la loro pressione sulla Svizzera affinché la
Confederazione aprisse poi le porte anche allo scambio automatico d’informazioni. La possibilità di richieste raggruppate
è stata approvata dall’OCSE nel 2012, ripresa dalla legge
federale approvata dalle Camere federali nel marzo del 2014.
Il Consiglio federale è contrario all’iniziativa, poiché pretende
fissare “nella Costituzione un diritto che genererebbe una protezione
del cittadino superiore a quella che risulterebbe da una semplice
garanzia del segreto bancario in materia fiscale”. Dunque, gli effetti
reali si spingerebbero oltre agli obiettivi citati dagli iniziativisti[5].
4.2.
L’evoluzione in atto
Oggi, a livello federale, lo scambio automatico d’informazioni
gode di una base legale. Nel 2015, la Svizzera ha firmato con
l’Unione europea (UE) un accordo di massima e, in seguito, il
Consiglio federale si è attivato per attuarlo tramite varie modifiche legislative. La più importante (accettata dalle Camere
federali il 18 dicembre 2015) concerne la nuova Legge federale
sullo scambio automatico internazionale di informazioni in
materia fiscale (LSAI)[3] , che condurrà alla scomparsa del
segreto bancario per i cittadini stranieri residenti in Svizzera
dal 2018, mentre per i cittadini svizzeri residenti sarà ancora
garantito.
5.2.
Quali conseguenze sul piano interno?
Il Consiglio federale non ritiene opportuno iscrivere nella
Costituzione federale il diritto alla protezione della sfera
privata finanziaria, poiché esso rientra nella nozione generale
di protezione della privacy, già sancita all’articolo 13 Cost. e
all’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), così come
dalla Legge federale sulla protezione dei dati (di seguito LPD).
Secondo il Governo, quindi, le disposizioni legali attualmente
in vigore garantiscono sufficientemente il diritto fondamentale alla privacy in maniera esaustiva.
Va infine ricordato che, secondo la giurisprudenza del
Tribunale amministrativo federale sulla Legge federale sulle
borse e il commercio di valori mobiliari (di seguito LBVM), se
l’autorizzazione all’assistenza era stata accordata conformemente al vecchio articolo 38 LBVM (non più in vigore), la parte
in causa non può prevalersi del segreto bancario[4].
5.
L’iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata”
5.1.
L’obiettivo dell’articolo costituzionale
Con la modifica dell’articolo 13, l’iniziativa popolare federale
vuole ancorare nella Costituzione federale (di seguito Cost.)
la nozione generale di protezione della sfera privata finanziaria, in particolare del segreto bancario in materia fiscale
in Svizzera, proteggendo i cittadini dallo “Stato ficcanaso”.
L’iniziativa prevede la creazione di un regime giuridico secondo
il quale un’autorità può ottenere informazioni sulla persona
(fisica o giuridica, domiciliata o con sede in Svizzera) da terzi
solo con il suo consenso. Inoltre, l’iniziativa pone determinate
condizioni al fine di permettere all’autorità fiscale di ottenere
informazioni da terzi anche contro la volontà dell’interessato,
derogando alla protezione della sfera privata finanziaria:
sarà possibile solo nell’ambito di un procedimento penale e
in presenza del fondato sospetto che per commettere una
sottrazione d’imposta si sia fatto uso, a scopo d’inganno, di
documenti falsi, alterati o contenutisticamente inesatti, quali
libri contabili, bilanci, conti economici o certificati di salario
o altre attestazioni di terzi (articolo 13 capoverso 4 lettera a
Cost.); oppure laddove vi sia il fondato sospetto di sottrazione
intenzionale e continuata di un’importante somma d’imposta oppure assistenza o istigazione a tale atto (articolo 13
Secondo il Governo, in caso di approvazione popolare dell’iniziativa, per i cittadini non cambierebbe nulla. Secondo il
diritto attualmente in vigore le autorità possono già ottenere informazioni da terzi nei casi previsti dalla legge e non
potrebbero in ogni caso rendere pubblici tali dati, poiché le
autorità sono già vincolate al segreto d’ufficio e al segreto
fiscale. La protezione della sfera privata finanziaria sarebbe
quindi sufficientemente garantita. Il Consiglio federale ritiene
inoltre che le conseguenze giuridiche dell’iniziativa andrebbero al di là della semplice iscrizione del segreto bancario nella
Costituzione federale, peraltro già rifiutata dal Parlamento
federale così come la richiesta di abolire tale principio[6].
5.3.
Quali conseguenze sul piano esterno?
Sul piano esterno, secondo il Governo l’iniziativa non avrà
conseguenze particolari sulle richieste di assistenza da parte di
Stati esteri e la loro esecuzione da parte della Confederazione.
In particolare però, il Consiglio federale teme che vi sia un peggioramento delle relazioni internazionali, giacché è convinto
che l’accettazione dell’iniziativa sulla protezione della sfera
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
privata sarebbe recepita dalla Comunità internazionale come
un “cattivo segnale” nell’ambito della lotta degli Stati all’evasione
fiscale, nonostante il Parlamento abbia proprio recentemente
adottato la Legge federale d’attuazione delle Raccomandazioni
del Gruppo d’azione finanziaria[7] , in particolare con l’introduzione nel nuovo articolo 305ter CP che contempla anche la
frode fiscale quale reato a monte del riciclaggio.
6.
Iniziativa o controprogetto diretto?
6.1.
Una questione di principio
Di fronte a una strisciante e perniciosa tendenza al controllo
statale, occorre ribadire alcuni principi fondamentali. Non già
a difesa degli evasori fiscali, i quali vanno sanzionati con gli
strumenti legislativi esistenti e in fase di affinamento, bensì a
tutela del rapporto di fiducia fra Cittadino e Stato. L’iniziativa
stessa prevede per altro, come illustrato appena sopra, la
possibilità della trasmissione di dati bancari all’autorità fiscale
in casi particolari e su ordine di un magistrato.
La pressione degli Stati sul nostro Paese non è una crociata
etica. È piuttosto una loro modalità “muscolosa” di accedere
[1] Foglio federale 1996 III 994.
[2] Foglio federale 2011 5588.
[3] Foglio federale 2015 4593.
[4]Sentenza TAF n. B-2460/2015 consid. 3.4.3;
DTAF 2010/26 consid. 5.5.2 e referenze citate.
[5] Foglio federale 2015 5776.
[6] Foglio federale 2015 5791.
[7] Foglio federale 2015 5792.
a nuove risorse finanziarie, senza rivedere le politiche fiscali
e di accertamento che hanno creato i loro gravi problemi di
gettito. La Svizzera non ha alcuna necessità di abbandonare
a livello interno la sua tradizione liberale nell’approccio alla
sfera privata (e quindi anche finanziaria) del Cittadino, per
conformarsi a un trend internazionale caratterizzato invece
da una logica inquisitoria, che da una parte arrecherebbe un
ulteriore danno di immagine alla nostra piazza finanziaria,
e dall’altra non consentirebbe più di mantenere la lealtà nei
rapporti fra Cittadino e Stato.
Recentemente la Commissione dell’economia e dei tributi del
Consiglio nazionale ha deciso di elaborare un controprogetto
diretto all’iniziativa, dimostrando con ciò di percepire l’importanza politica di una più efficace tutela della sfera privata
e finanziaria dei cittadini. Al momento di terminare questo
contributo non mi è ancora noto il contenuto del controprogetto che verrà messo in consultazione.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.protezione-sfera-privata.ch/images/s2dlogo.gif [30.06.2016]
http://www.laregione.ch/sites/default/files/uploads/files/2016/01/TiPress_
220181(5).jpg [30.06.2016]
7
8
Politica fiscale
I principi fondanti non vanno bistrattati
Marco Romano
Consigliere nazionale PPD
L’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata”
è servita e servirà a fermare pericolose derive
L’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata” vuole,
cito il sito internet dei promotori, “iscrivere nella Costituzione
federale svizzera la protezione della sfera privata, in particolare
la protezione delle relazioni finanziarie, affinché la nostra libertà
rimanga garantita e noi al sicuro dagli impicciamenti e dagli abusi” [1].
Il comitato nazionale promotore è interpartitico e annovera
membri di tutti i partiti borghesi, soprattutto UDC, PLR e PPD.
Quel periodo, non ancora terminato se pensiamo all’implementazione dello scambio automatico, resterà nella storia
come un’era di cambiamenti radicali che hanno toccato direttamente anche la Svizzera, realtà fortemente interconnessa.
Personalmente, non risparmiando qualche critica a chi avrebbe
potuto esigere maggiore rispetto per i principi democratici e
i fondamenti istituzionali del nostro Paese, ritengo che oggi
non serva a nulla recriminare sul passato. Gli attori principali
del sistema, penso alle banche medesime, sono stati primattori
della riforma. Il presente e il futuro sono tutti da designare, la
piazza finanziaria elvetica ha numerose carte da giocare e la
Svizzera nel complesso rappresenta ancora una realtà istituzionale e socioeconomica di prim’ordine a livello globale.
Tutto questo va messo strettamente in relazione a questa
iniziativa popolare federale. Se nell’ottica dell’internazionalità
della piazza finanziaria si sono dovuti accettare e implementare determinati standard minimi, così come risolvere le
“pendenze del passato”, questo non può tuttavia rappresentare
un grimaldello per rivoluzionare nel complesso anche i princìpi
fondanti del nostro Stato.
L’iniziativa ha raccolto 117’531 firme valide ed è stata presentata il 25 settembre 2014. L’inizio della raccolta firme, a metà
del 2013, coincideva con gli anni turbolenti di reimpostazione
totale – direi quasi rivoluzione – della piazza finanziaria
elvetica. Eravamo nella fase avanzata di un percorso ad oggi
incontrovertibile, contraddistinto dalla Weissgeldstrategie, dalla
“doppia morale” da parte di numerosi Stati europei, i ricatti
da parte degli Stati Uniti d’America, dalla fine del segreto
bancario per i capitali stranieri depositati in Svizzera. Un
gran numero di Stati europei e occidentali necessitava di
risorse fiscali per finanziare un welfare divenuto insostenibile.
Incapaci di migliorare la performance dei propri sistemi fiscali
hanno cercato e trovato in Svizzera nuove risorse imponibili.
La Svizzera è uno Stato liberale e federalista, garante di autonomia, rispetto per la sfera privata e per la libertà personale.
Nel modello di successo svizzero, lo Stato non è “ficcanaso”. Non
ha soprattutto a livello fiscale un approccio poliziesco come
nei Paesi limitrofi. Il desiderio di avere “cittadini trasparenti” è
un auspicio di una forza minoritaria del Paese. La Svizzera non
deve seguire la tendenza internazionale volta al totale controllo
da parte dello Stato in tutti gli ambiti della quotidianità e allo
sviluppo di cittadine e cittadini “di vetro”. Sono derive pericolose,
dettate da una morale ideologica, fondate spesso su pregiudizi
e invidie, che mettono seriamente a repentaglio il rapporto,
basato su responsabilità e fiducia, tra lo Stato e il Cittadino.
Questa iniziativa è utile a escludere il rischio di vedere traslato
a livello interno il medesimo approccio che contraddistingue le
piazze finanziarie vicine o i medesimi princìpi che le regolano.
Nello specifico penso all’inopportuna e inutile volontà di abrogare il segreto bancario anche per i cittadini residenti oppure
all’auspicio ventilato dalla Conferenza dei direttori cantonali
delle finanze (CDCF) di avere accesso diretto ai dati bancari
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
dei clienti residenti. Il primo progetto è per fortuna già stato
messo in un cassetto (si spera ben chiuso a chiave), mentre il
secondo è un progetto politico per ora fortemente minoritario.
Partner dello Stato in ambito fiscale sono i cittadini e non gli
istituti finanziari.
Proprio a causa di queste tendenze, che politicamente e istituzionalmente definirei derive, gli iniziativisti vogliono ancorare
nella Costituzione federale la protezione della sfera privata
finanziaria. Essa è, e deve, essere un elemento importante del
rapporto di fiducia e responsabilità tra lo Stato e il Cittadino.
L’iniziativa popolare federale, nella sua fase di raccolta firme
e deposito, ha già certamente giocato un ruolo centrale,
facendo desistere il Consiglio federale dall’abolire il segreto
bancario per i residenti. Se ad oggi il moto sembra essere
placato, il domani è comunque incerto. A causa dei descritti
sviluppi politici e legislativi è quindi necessario e politicamente
[1] Si veda il sito internet: http://www.protezione-sfera-privata.ch [30.06.2016].
opportuno precisare e completare quanto contenuto nella
Costituzione federale.
Proprio in quest’ottica ho deciso di sostenere l’iniziativa. Sono
cosciente che vi sono degli aspetti critici e per questo auspico
che si trovi un compromesso per realizzare un controprogetto
mirato ed efficace. In un’era della comunicazione globale, della
digitalizzazione di ogni tipo di informazione, ricordando la
responsabilità del singolo, occorre che lo Stato sia un attore
nel quale riporre fiducia e rispetto, e non un’entità di cui diffidare poiché bramosa di ogni tipo di informazione da utilizzare
nel proprio interesse. Di conseguenza: Sì alla protezione della
sfera privata!
Elenco delle fonti fotografiche:
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[30.06.2016]
9
10
Politica fiscale
Sfera privata finanziaria, un bene da proteggere
Lorenzo Quadri
Consigliere nazionale Lega dei ticinesi
L’iniziativa popolare federale denominata “Sì alla
protezione della sfera privata” mira a introdurre nella
Costituzione federale la protezione della “sfera privata
finanziaria”, ciò tramite la modifica dell’articolo 13 (Protezione della sfera privata). Si tratta, in sostanza, di
inserire il segreto bancario dei residenti in Svizzera
nella Costituzione federale
1.
Il precedente
L’iniziativa è stata lanciata nel giugno del 2013, ma l’idea
di mettere al sicuro il segreto bancario ancorandolo nella
Carta fondamentale è precedente. Quattro anni prima
infatti, su impulso di Giuliano Bignasca, la Lega dei ticinesi
lanciò un’iniziativa che chiedeva di inserire il segreto bancario in generale (quindi non solo quello degli svizzeri) nella
Costituzione federale svizzera. Già allora si avvertivano
infatti le avvisaglie delle pressioni internazionali – ipocrite,
interessate, ed ammantate di finto moralismo – di cui la
Svizzera sarebbe diventata bersaglio. Ma, soprattutto, era
prevedibile l’intenzione della maggioranza politica di genuflettersi a tali pressioni.
2.
Sufficientemente tutelato?
Tuttavia l’iniziativa promossa dalla Lega dei ticinesi non
riuscì a raccogliere le sottoscrizioni necessarie alla sua
riuscita, poiché nessun partito nazionale la volle sostenere.
L’argomento addotto fu il seguente: “il segreto bancario è già
sufficientemente tutelato”. Quanto fosse “sufficientemente tutelato” lo ha dimostrato la cronaca successiva. Infatti è stato
smantellato senza contropartita. Quei Paesi, a cominciare
dagli Stati Uniti d’America (di seguito USA), che sono partiti
all’assalto della piazza finanziaria svizzera (con l’ovvio scopo
di indebolirla a proprio vantaggio), da parte loro non si sono
nemmeno lontanamente sognati di creare, in casa propria,
quella trasparenza che hanno invece imposto ad altri col
ricatto. Sicché gli USA sono oggi il più grande paradiso fiscale
del mondo. Però, chissà come mai, non finiscono su nessuna
lista nera o grigia redatta da servili organizzazioni internazionali prive di legittimità democratica.
3.
Inversione di rotta
Nel mentre che si consumava, senza resistenza alcuna, la
capitolazione sulla privacy bancaria dei clienti esteri, quelle
stesse forze politiche borghesi secondo le quali introdurre
il segreto bancario nella Costituzione federale sarebbe
stato un atto inutile in quanto “la tutela attuale è sufficiente”,
si sono prodotte nel più classico dei salti della quaglia.
Un’operazione che, nel concreto, ha assunto la forma di un
“copia-incolla”. Hanno dunque ripreso e rimaneggiato l’iniziativa leghista, quella che avevano irriso solo qualche anno
prima, riproponendola nel tentativo di salvare quella parte
della privacy finanziaria che ancora non era stata irresponsabilmente rottamata.
4.
Il Consiglio federale non convince
Inutile dire che il Consiglio federale si è espresso negativamente sull’iniziativa. Non ha nemmeno ritenuto di proporre
un controprogetto. Le sue motivazioni però non convincono.
Gli argomenti sollevati sono sostanzialmente due. Il primo è
quello già sentito – e già clamorosamente smentito dai fatti:
ossia che la tutela attuale “è sufficiente”. Il secondo è che una
norma di questo genere potrebbe provocare problemi (?) a
livello internazionale. Questa seconda giustificazione è certamente più realistica della prima. Rimane però inaccettabile:
mette nero su bianco la manifesta inclinazione del Consiglio
federale ad inginocchiarsi alle pressioni estere ancora prima
che vengano formulate.
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
5.
Sotto attacco
L’iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata” è necessaria.
L’ex ministra delle finanze on. Eveline Widmer-Schlumpf, dopo
aver dichiarato pubblicamente che “il segreto bancario per gli svizzeri non è in discussione” ha tentato di farne passare l’abolizione
in Consiglio federale. Non ci è riuscita e, nel frattempo, non siede
più in Governo. Tuttavia non mancheranno altri tentativi. Uno
è già arrivato a fine aprile. In occasione della sessione speciale
del Consiglio nazionale, il Partito socialista ha infatti tentato di
intrufolare tra gli obiettivi della legislatura 2015-2019 anche
l’abolizione del segreto bancario per gli svizzeri. Pure questo
tentativo è andato a vuoto. Ma per quanto?
6.
Uno spiraglio?
Eppure qualche segnale positivo c’è. Nelle scorse settimane,
la Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio
nazionale (CET-N) si è espressa a favore di un controprogetto
diretto all’iniziativa per la protezione della sfera privata, con
sempre l’obiettivo della tutela costituzionale del segreto
bancario degli svizzeri. Questa è sicuramente un’evoluzione
positiva. Anche se, è chiaro, l’ultima parola spetterà al Popolo.
Il quale, c’è da sperarlo, non si farà abbindolare dalle rassicurazioni farlocche del Consiglio federale.
Elenco delle fonti fotografiche:
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[30.06.2016]
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Politica fiscale
Ogni persona con domicilio in
Svizzera deve essere protetta nella
sua sfera privata finanziaria
Marco Chiesa
Consigliere nazionale UDC
L’iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata” garantirà
costituzionalmente ciò che sino a ieri era felicemente
considerato ovvio: il diritto di ogni persona alla protezione della propria sfera privata
L’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata”,
promossa da ambienti borghesi, mira ad ancorare nella
Costituzione federale (di seguito Cost.) il segreto bancario
per le persone residenti in Svizzera ed evitare che il fisco si
trasformi in futuro in un organo di polizia. Il Governo teme che
questa modifica costituzionale, presentata con ben 117’531
firme valide a sostegno, possa ostacolare la corretta riscossione delle imposte di Confederazione, Cantoni e Comuni,
compromettere la lotta contro il riciclaggio di denaro e il
finanziamento del terrorismo, ma anche gli sforzi per allinearsi
agli standard internazionali.
Il Consiglio federale, e in particolare l’ex ministra delle finanze
on. Eveline Widmer-Schlumpf, si è molto speso per cercare
di dimostrare che questa iniziativa volta a tutelare la sfera
privata dei cittadini svizzeri non è necessaria. A suo dire la
protezione dalle intrusioni dello Stato, e in particolare dal fisco,
è garantita sia dall’attuale articolo 13 Cost., sia dal segreto
bancario iscritto nella Legge federale sulle banche e le casse di
risparmio (LBCR). Già oggi dunque le autorità fiscali non possono ottenere informazioni dalle banche su un contribuente, a
meno che non sia in corso un procedimento penale.
Tutto inutile, tutto insensato, dunque? Certo che no! Il nostro
Paese ha sempre conosciuto un rapporto particolarmente
stretto tra protezione della sfera privata e libertà personale. Lo
Stato si fida dei cittadini e ne riceve in ritorno un comportamento corretto. Per questo motivo la Svizzera si distingue nel
confronto internazionale per una grande onestà fiscale della
popolazione. Ma oggi la protezione della sfera privata non è
più garantita, bensì è in pericolo. Sotto le pressioni provenienti
dall’estero, il Consiglio federale rinuncia passo a passo alla
difesa di questo principio. E questa deriva deve essere immediatamente fermata. Ogni persona con domicilio in Svizzera
deve essere protetta nella sua sfera privata finanziaria in particolare dalle autorità nazionali. Nessuna protezione per evasori
e frodatori fiscali! L’iniziativa non protegge né gli evasori, né
i frodatori fiscali. Il completamento dell’articolo 13 Cost. è
chiarissimo in questo senso. Nell’ambito di un procedimento
penale, se sussiste il sospetto fondato che per commettere
una sottrazione d’imposta si sia fatto uso, a scopo d’inganno,
di documenti falsi, alterati o contenutisticamente inesatti,
quali libri contabili, bilanci, conti economici o certificati di salario e altre attestazioni di terzi o se sussiste il sospetto fondato
di sottrazione, intenzionale e continuata, di un’importante
somma d’imposta oppure di assistenza o istigazione a tale
atto, terzi sono autorizzati a fornire alle autorità informazioni
su una persona domiciliata o avente sede in Svizzera anche
senza il consenso alla comunicazione.
Con l’iniziativa “Sì alla protezione della sfera privata”, sarà
garantito costituzionalmente ciò che finora era considerato
ovvio: il diritto di ogni persona alla protezione della propria
sfera privata ma senza creare alcun velo di opacità che possa
permettere a nessuno di farla franca in caso di reato.
Le basi del nostro segreto bancario devono essere cementificate. Immediatamente. La riformulazione dell’articolo 13 Cost.
non farà nient’altro che ribadire la nostra convinzione che il
rapporto di fiducia tra Stato e Cittadino non è in discussione
e non può essere messo sotto pressione da parte di nessun
attore, neppure estero.
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[30.06.2016]
Politica fiscale
Iniziativa “Sì alla protezione della sfera
privata”: un dannoso e ipocrita arcaismo
Carlo Sommaruga
Consigliere nazionale PS
Con la sua iniziativa, la destra svizzera invia un messaggio perverso agli evasori: rimanete nascosti nel
sottobosco dell’illegalità, il tempo di iscrivere nel
marmo della Costituzione federale una norma che vi
metterà al riparo dal fisco
Non passa un mese senza che la Svizzera venga citata in uno
scandalo bancario. Quello argentino con il caso di Lazaro Baez,
imprenditore legato a doppio filo alla famiglia della presidente
Cristina Kirchner. Quello brasiliano con i milioni di dollari della
Petrobras distribuiti a gran parte della classe politica. L’ultimo
in data, quello malese, con fondi della società pubblica 1MDB
riapparsi qui da noi e che fanno colare a picco la più vecchia
banca della Svizzera italiana. Al di là di questi scandali legati
all’accettazione, senza scrupoli – malgrado tutte le denegazioni
dei CEO delle banche coinvolte, a cui più nessuno crede – degli
ingenti fondi provenienti dalla corruzione, c’è anche da sottolineare che le banche svizzere sono ancora e sempre messe in
causa in scandali legati all’evasione fiscale. Certi grandi titoli
della stampa internazionale, se fanno riferimento a informazioni
scoperte di recente, concernono fatti che risalgono a qualche
anno fa, un’epoca quasi preistorica considerando la velocità
di trasformazione del paesaggio giuridico internazionale in
materia di segreto bancario e di comunicazione di dati bancari
al fisco di Paesi terzi e soprattutto quello svizzero dal famoso
venerdì 13 marzo 2009, quando il Consigliere federale on.
Hans-Rudolf Merz, sotto la minaccia internazionale di far figurare il nostro Paese sulla black list dei paradisi fiscali, annunciò
l’allineamento della Svizzera alle esigenze dell’Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico (di seguito OCSE).
Purtroppo, malgrado il cambio di paradigma internazionale,
la scoperta di migliaia di dati e le inchieste mondiali correlate
che portano il nome di Panama Papers, LuxLeaks, OffshoreLeaks
o SwissLeaks, hanno mostrato ancora di recente come l’opacità finanziaria mondiale legata al segreto bancario svizzero,
ma anche a quello professionale degli avvocati, permette alle
imprese multinazionali, come alle più grandi fortune del mondo,
anche svizzere se si pensa ai conti offshore in Lussemburgo
della ditta Schneider Amman, di non pagare le imposte in casa
propria e quasi niente all’estero.
Siamo di fronte ad un mostro che ingoia le risorse essenziali
degli Stati e dei cittadini, che li obbliga a coprirsi di debiti,
scatenando altissime tensioni sociali, oggi in Francia, domani
forse in Italia o in Spagna, dopo aver messo in ginocchio la
Grecia. I Popoli non sopportano più i privilegi auto-concessi
dei cittadini fortunati e delle società multinazionali con i quali
queste due categorie di contribuenti fiscali non partecipano
più in giusta e proporzionata misura allo sforzo pubblico per
il benessere dell’insieme delle cittadine e dei cittadini. Sempre
più, appare a noi tutti, piccoli cittadini che paghiamo le nostre
imposte fino all’ultimo centesimo, in maniera più che evidente,
specialmente grazie al coraggio dei whistleblower della finanza,
che bisogna qui lodare, che l’opacità finanziaria e fiscale
profitta in modo antidemocratico ad un’alta casta finanziaria,
crea distorsioni economiche e sociali, e predispone all’inganno
politico mettendo in pericolo la fiducia necessaria nel mondo
politico (si pensi ai conti occulti del primo ministro islandese, e
alle rivelazioni che coinvolgono il presidente ucraino, il primo
ministro britannico così come quello pakistano).
Di fronte a questa dislocazione morale – dove il principio cardinale del rispetto della legge è sopraffatto dalla cupidigia dei
più potenti e da banchieri assetati da bonus multimilionari –
gli Stati, come evocato, si sono progressivamente impegnati a
fare trasparenza, nel rispetto delle loro leggi, per una migliore
giustizia fiscale e naturalmente per l’incasso effettivo delle
imposte dovute. Chi, individualmente, con il modo rapido
e brutale dello sceriffo, è il caso degli Stati Uniti d’America,
13
14
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
prima con le procedure penali contro le banche svizzere e
estere, poi imponendo il Foreign Account Tax Compliance Act
(FATCA) a tutto il mondo, o chi, collettivamente più lentamente, in uno spirito di collaborazione internazionale, come
l’Unione europea (di seguito UE) o l’OCSE, con l’elaborazione
di regole fiscali sulla collaborazione amministrativa internazionale applicabili in modo uguale a tutti, come lo scambio
automatico d’informazioni.
L’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata”, detta
“Iniziativa Matter”, dal nome del suo autore dell’UDC zurighese
come il controprogetto elaborato dalla Commissione dell’economia e dei tributi (CET) del Parlamento e messo di recente in
consultazione, vanno chiaramente nella direzione opposta rispetto
all’irreversibile movimento internazionale di trasparenza fiscale,
che sgretola, grazie ai Panama Papers, il bastione panamense.
Questa iniziativa si propone di inserire a livello costituzionale,
non la protezione generale della sfera privata, già garantita dai
diritti fondamentali che figurano da anni nella Convenzione
europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e nella Costituzione federale, bensì la protezione della “sfera privata finanziaria”, quella che
viene proprio smantellata a livello internazionale, per ragioni di
abuso sistematico.
L’iniziativa e il controprogetto non sono altro che strumenti
locali di retroguardia a favore dell’opacità fiscale, limitata ai
residenti in Svizzera riguardo al fisco svizzero. In altri termini, con
l’iniziativa si imbocca il cammino inverso a quello della Comunità
internazionale (OCSE, UE, G20).
Dietro il titolo ingannevole dell’iniziativa della destra unita,
UDC, PLR e PPD, c’è dunque la volontà di fare perdurare in
Svizzera, a livello costituzionale, una vergognosa ipocrisia e un
arcaismo nefasto.
Ipocrisia, perché se l’iniziativa popolare federale passasse l’ostacolo delle urne, imporrebbe di chiudere gli occhi sull’importante
evasione fiscale domestica, contestata dagli inetti promotori
dell’iniziativa con il preteso legame (culturale) speciale di fiducia
fiscale tra il contribuente svizzero e le amministrazioni cantonali e federali delle finanze, ma fattualmente confermata dai
molti casi di evasione fiscale venuti a galla di colpo in Svizzera
dopo l’autodenuncia esente da pena. Infatti, dal 2010 al 2014
più di 19’000 autodenunce esenti da pena sono pervenute al
Dipartimento federale delle finanze (DFF) da tutti i Cantoni.
Eticamente, la protezione della sfera privata dovrebbe saldare un
legame di fiducia stretto tra Stato e cittadini. Apriamo gli occhi:
le 19’000 autodenunce di cittadini provano che questo legame
è spesso, troppo spesso, a senso unico. Pretendere il contrario è
l’espressione di una grande ipocrisia.
Non è da escludere tra l’altro che le evasioni fiscali siano in realtà
molto più numerose. Con la sua iniziativa, la destra svizzera
invia un messaggio perverso agli evasori: rimanete nascosti
nel sottobosco dell’illegalità, il tempo di iscrivere nel marmo
della Costituzione una norma che vi metterà al riparo dal fisco.
Concretamente, con il “sì” all’iniziativa, le autorità cantonali non
potranno reclamare alle banche informazioni concernenti un
contribuente svizzero sospettato di evasione fiscale. Potranno
procedere soltanto in caso di frode o di altri gravi reati fiscali.
Ossia in casi importanti, ma del tutto marginali.
Per anni il sospetto di evasione fiscale è stato bollato come
una propensione delittuosa da quegli Stati europei che hanno
stretto la Svizzera in una morsa politica fino alla giusta e
dovuta capitolazione del segreto bancario elvetico. Dal 2017
lo scambio automatico di informazioni entrerà in vigore
tra la Confederazione e tutti i Paesi membri dell’UE. Voler
mantenere in casa, per i nostri cittadini, un meccanismo che,
fuori casa, dalla gran maggioranza dei nostri vicini, è ritenuto
altamente tossico, è l’espressione di qualcosa di torbido. Di
un impulso patologico, di un arcaismo ideologico, senza più
nessuna utilità economica e colmo di tutto contro l’interesse
stesso del settore bancario svizzero.
L’arcaismo dell’iniziativa della destra svizzera è ancora più
stridente se si pensa anche all’avanzata modernizzatrice del
progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), una “rivoluzione
mondiale del fisco” grazie a nuovi standard internazionali messi
a punto dall’OCSE. Secondo le stime dell’OCSE i danni per
gli erari europei sono ingenti, da 100 a 240 miliardi di euro
all’anno. Frutto dell’elusione, ovvero dell’uso di cavilli legali per
pagare meno tasse, ma anche dell’evasione stricto sensu. Come
spiega il Sole 24 Ore, l’OCSE intende derubricare il tutto a “pianificazione fiscale aggressiva”. A seguito dei clamorosi scandali
dei Leaks, la Commissione europea sembra aver colto l’importanza di imporre una vera e propria giustizia e uguaglianza
fiscale tra i Paesi membri. La conclusione di tutto ciò è che il
sistema vigente è ingiusto e iniquo.
Dovremo aspettare ancora una crisi con i Paesi dell’OCSE
per illecita concorrenza fiscale e una nuova minaccia per
il nostro sistema bancario e il reddito che procura al nostro
Paese, prima che i guardiani del museo del segreto bancario
si sveglino? Di certo sarà un’impresa difficile per il Popolo
svizzero dopo decenni di adorazione istituzionale del segreto
bancario, soprattutto se si pensa che fino ad oggi sono state le
bastonate o le minacce di bastonate che hanno spinto questi
guardiani ad aprire gli occhi!
Elenco delle fonti fotografiche:
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[30.06.2016]
Diritto tributario svizzero
Imposta preventiva: inoltro tardivo della notifica
Massimo Bianchi
Esperto fiscale diplomato
[email protected]
L’iniziativa parlamentare di Urs Gasche e le recenti
sentenze del TAF
1.
Introduzione
I dividendi versati da una società svizzera sono assoggettati
all’imposta preventiva (di seguito IP) del 35%. L’IP deve di principio essere dedotta dal dividendo e versata all’Amministrazione
federale delle contribuzioni (di seguito AFC). Per i dividendi
distribuiti a una società che detiene una partecipazione importante (di regola almeno il 20%), l’obbligo ai fini dell’IP può essere
di principio assolto con la notifica della prestazione[1] , evitando
quindi di dover trattenere dal dividendo, versare all’AFC e poi
recuperare l’IP.
Secondo i disposti dell’articolo 26a capoverso 2 dell’Ordinanza
sull’IP (ambito nazionale) e dell’articolo 5 capoverso 1 dell’Ordinanza concernente lo sgravio fiscale dei dividendi svizzeri
da partecipazioni determinanti di società straniere (ambito
internazionale), la notifica deve essere inoltrata all’AFC entro 30
giorni dalla scadenza del dividendo. I precitati articoli non specificano le conseguenze in caso di inoltro tardivo della notifica.
3.
L’inasprimento della prassi dell’AFC
A seguito della precitata sentenza, l’AFC ha inasprito la prassi
relativa al termine per l’inoltro della procedura di notifica. Fino a
fine 2010 di regola l’AFC accettava anche notifiche inoltrate in
ritardo. A partire dal 2011 l’AFC esige, in tutti i casi dove la notifica
è stata inoltrata in ritardo o non è stata inoltrata, il pagamento
dell’IP. Il termine perentorio di 30 giorni viene applicato quindi
anche nel caso di distribuzioni a società svizzere, oppure nel caso
in cui l’AFC ha già rilasciato l’autorizzazione preventiva (valida
tre anni) necessaria nel caso di distribuzioni a società estere. Gli
effetti del termine perentorio per l’inoltro della notifica possono
essere meglio illustrati con il seguente esempio:
La società X SA, con sede a Lugano, detiene il 100% della società Y
SA, con sede a Chiasso. Nel corso di una verifica fiscale, avvenuta nel
marzo 2016, l’AFC ha constatato che la notifica di un dividendo di tre
milioni di franchi, versato da Y SA nel marzo 2012 è giunta all’AFC
con qualche giorno di ritardo. L’AFC chiederà a Y SA il versamento
dell’IP di franchi 1’050’000. L’IP verrà, con tutta probabilità, celermente rimborsata a X SA, ma nel contempo l’AFC chiederà a Y SA il
pagamento degli interessi di mora ammontanti a 210’000 franchi[3].
2.
La sentenza del Tribunale federale datata 19 gennaio 2011
Nell’ambito di una vertenza tra l’AFC e un contribuente, sui requisiti per l’applicazione della notifica in caso di una distribuzione a
una società estera, il Tribunale federale[2] ha deciso che il termine
di 30 giorni per l’inoltro della notifica è un termine perentorio,
la cui scadenza comporta l’estinzione definitiva del diritto alla
procedura di notifica. Nel caso della precitata sentenza, il contribuente non disponeva, al momento della scadenza del dividendo,
dell’autorizzazione preventiva dell’AFC necessaria nel caso di
distribuzioni a società estere. Inoltre la predetta autorizzazione
alla notifica era poi stata definitivamente negata.
Dopo questa sentenza, tra gli addetti ai lavori vi era la
speranza che il termine perentorio di 30 giorni e le relative
importanti conseguenze fiscali, sarebbero state applicate
solo nel caso di distribuzioni a società estere senza un’autorizzazione preventiva valida.
L’inasprimento della prassi dell’AFC ha causato un sensibile
aumento delle entrate da multe e interessi di mora nell’ambito dell’IP, passati da una media di circa 30 milioni di franchi
all’anno a 323 milioni di franchi nel 2013, di cui 266.4 milioni di
franchi relativi a 36 fatture per interessi di mora[4].
15
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Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Secondo il parere di diversi specialisti[5] appare illogico che lo
Stato lavori intensamente a grossi progetti come la Riforma
dell’imposizione delle imprese 3, per tentare di mantenere
l’attrattività della Svizzera da un punto di vista fiscale e nel contempo, per un dettaglio come il termine di inoltro della notifica,
si perda la fiducia di diversi grossi investitori stranieri.
4.
L’iniziativa parlamentare n. 13.479 (Urs Gasche)
L’iniziativa parlamentare n. 13.479, propone di inserire nella
Legge federale sull’IP la possibilità di assolvere l’obbligo fiscale
con la notifica anche tardivamente. In caso di ritardo l’AFC
potrà richiedere il pagamento di una multa disciplinare[6].
La proposta di modifica di legge dispone inoltre che non è
dovuto alcun interesse di mora se le condizioni materiali per
l’adempimento dell’obbligazione fiscale sono soddisfatte
mediante la notifica, anche tardiva, della prestazione imponibile.
La maggioranza della Commissione del Consiglio nazionale
chiede inoltre l’applicazione delle nuove disposizioni con effetto
retroattivo a tutti i casi aperti o cresciuti in giudicato dopo il
1. gennaio 2011. Gli interessi di mora oggetto del contendere
ammontano a circa 600 milioni di franchi.
Sia il Consiglio nazionale che il Consiglio degli Stati sono
d’accordo che il termine per l’inoltro della procedura di notifica
deve essere un termine ordinatorio, il cui mancato rispetto non
causa la perdita del diritto alla notifica. Restano da concordare
le divergenze circa l’ammontare della multa e l’introduzione
retroattiva delle nuove disposizioni.
Nel frattempo l’Ufficio federale di giustizia (UFG) ha espresso
un parere negativo circa l’introduzione retroattiva dei nuovi
disposti di legge. La Commissione del Consiglio degli Stati sembra però essere intenzionata a richiedere una perizia esterna,
circa la costituzionalità della prevista retroattività. È auspicabile
che la stessa possa essere allestita in tempo per la prossima
sessione del Parlamento. Secondo i fautori dell’iniziativa, l’introduzione retroattiva delle nuove disposizioni è giustificata dai
seguenti motivi:
◆◆ prima della sentenza del Tribunale federale non era chiaro
se il termine di 30 giorni, per l’inoltro della notifica, era da
considerare come un termine perentorio. La prassi dell’AFC
fino al 2010 lasciava intendere che si trattasse solo di un
termine ordinatorio;
◆◆ l’inasprimento della prassi da parte dell’AFC è avvenuto
senza relativa comunicazione;
◆◆ in presenza di un accordo internazionale[7] , che prevede
la tassazione del dividendo solo nel Paese di residenza del
recipiente, l’IP non è dovuta. Di conseguenza non sono
dovuti neanche gli interessi di mora per un ritardo nell’inoltro della notifica.
5.
Le sentenze del TAF datate 28 gennaio 2015 e 17 agosto 2015
Le due sentenze del Tribunale amministrativo federale (di
seguito TAF) sopra citate[8] riguardano l’inoltro tardivo all’AFC
della notifica nel caso di distribuzione di un dividendo ad una
società svizzera e ad una società olandese. Per la distribuzione
alla società olandese la richiesta di autorizzazione preventiva
(formulario 823C) era stata correttamente chiesta ed accordata.
In entrambi i casi le società hanno notificato la distribuzione
spontaneamente all’AFC ma dopo il termine dei 30 giorni. L’AFC
ha quindi richiesto il versamento dell’IP (poi regolarmente rimborsata) e degli interessi di mora. Gli interessi di mora richiesti
ammontano nel primo caso a 700’000 franchi e nel secondo
caso a 90.3 milioni di franchi.
Il TAF ha confermato che anche nei due suddetti casi il termine
di 30 giorni per l’inoltro della notifica è un termine perentorio,
motivando che l’assenza di un termine perentorio sarebbe
paragonabile all’abolizione dell’IP per le distribuzioni a società
con partecipazioni importanti.
Le società contribuenti hanno invocato la buona fede, indicando
l’inatteso inasprimento dell’AFC che fino al 2010 accettava anche
notifiche tardive. Il TAF non ha accettato la motivazione giustificando che i ricorrenti non hanno prodotto sufficienti prove a
sostegno del cambio di prassi dell’AFC, aggiungendo inoltre
che una prassi illegale deve comunque essere immediatamente
modificata ed applicata a tutti i casi ancora aperti.
A comprova o meno dell’inasprimento dell’AFC, sarebbe a mio
parere interessante sapere se vi sono dei casi, prima del 2011,
dove l’AFC ha richiesto degli interessi di mora in relazione ad un
inoltro tardivo della notifica.
Nei due casi sopra citati l’IP non è mai stata messa in pericolo
in quanto vi erano chiaramente tutte le condizioni per ottenere
il rimborso della stessa. La richiesta di pagare 90.3 milioni di
franchi di interessi di mora per aver inviato tardivamente
la notifica, peraltro già preventivamente approvata, appare
incomprensibile.
Nel nostro ordinamento fiscale, di regola, la sostanza dei
fatti ha la precedenza sulla forma. Inoltre chi annuncia spontaneamente un’irregolarità non viene usualmente punito in
maniera eccessiva. I due precitati princìpi vengono completamente ignorati.
Su queste due decisioni è tuttora pendente un ricorso al
Tribunale federale.
6.
Conclusioni
Fino a quando l’AFC non disporrà di un sistema elettronico per
l’inoltro delle notifiche è fondamentale poter comprovare il
rispetto del termine tramite un invio per posta raccomandata.
È auspicabile inoltre che le Camere federali trovino, in tempi
brevi, un accordo sulle divergenze, così da poter garantire il
diritto alla notifica anche in caso di superamento del termine di
30 giorni. Si tratterebbe di un passo avanti a favore della piazza
economica svizzera.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.rri.ro/files/Economie/Valute,%20bancnote/franci-elvetieniCHF_med.png [30.06.2016]
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
[1] Per poter applicare la procedura di notifica nel
caso di società estere è necessario che si tratti di
una società dell’Unione europea (di seguito UE)
oppure di una società con sede in un Paese che ha
concluso una convenzione contro le doppie imposizioni (CDI) con la Svizzera. È inoltre necessario
che la società che riceve il dividendo abbia rispettato tutti i requisiti per poter recuperare l’IP.
[2] Cfr. Sentenza TF n. 2C_756/2010.
[3] 1’050’000 franchi per 4 anni di ritardo (20122016) al 5%.
[4] Cfr. punto 2.2.3.5 del Rapporto n. 13.479 della
Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio nazionale.
[5] Cfr. per esempio Matteotti René/Bürgy Dominik/Roth Philipp, Fristen beim Meldeverfahren
– Vorentwurf der WAK-N, Rechtliche Würdigung
unter Berücksichtigung der jüngsten Rechtsprechung des Bundesverwaltungsgerichts, in: ST
2015/5, pagina 422 e seguenti.
[6]Cfr. articolo 20 capoverso 3 della proposta di
modifica della Commissione del Consiglio nazio-
nale del 12 ottobre 2015, disponibile al seguente
link:https://www.parlament.ch/centers/eparl/
curia/2013/20130479/N3%20I.pdf [30.06.2016].
[7]Accordo sulla fiscalità del risparmio tra Svizzera ed UE oppure Convenzioni contro la doppia
imposizione.
[8]Cfr. sentenze TAF n. A-1878/2014 e n.
A-1438/2014.
17
18
Diritto tributario internazionale e dell’UE
Lo scambio di informazioni fiscali
in caso di dati rubati
Francesco Naef
lic. iur., avvocato e notaio
Partner di CSNLAW ®
Studio legale e notarile,
Lugano
Ex iniuria ius non oritur
1.
Requisiti dello scambio d’informazioni su richiesta
Si sa che nella politica svizzera di assistenza amministrativa
in materia fiscale la data cardine è quella del 13 marzo 2009,
quando il Consiglio federale ha dichiarato al mondo la sua
intenzione di riprendere lo standard dell’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo economico (di seguito OCSE)
e quindi avviare negoziati per la revisione delle convenzioni
contro le doppie imposizioni (di seguito CDI) tesi a inserire una
nuova clausola sullo scambio d’informazioni conforme all’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione per evitare le doppie
imposizioni sul reddito e sul patrimonio (di seguito M-OCSE).
Principali effetti di tale adozione dello standard sono che nelle
CDI così rivedute, la Svizzera si impegna a fornire informazioni
fiscali non solo ai fini della corretta applicazione delle CDI ma
anche per la corretta applicazione del diritto fiscale interno dello
Stato richiedente, e nel contempo rinuncia al segreto bancario
nei confronti delle autorità fiscali estere[1].
Tale scambio d’informazioni su richiesta secondo lo standard
OCSE non è però totale ed incondizionato. Lo stesso articolo
26 paragrafo 1 M-OCSE precisa che oggetto di scambio
sono unicamente le informazioni “verosimilmente rilevanti” ai
fini dell’applicazione delle CDI o del diritto fiscale interno. Tale
nozione serve sì a garantire uno scambio di informazioni il più
ampio possibile, ma precisa chiaramente che non deve essere
consentito allo Stato richiedente di andare a pesca di informazioni (fishing expedition) né richiedere informazioni che è poco
probabile siano rilevanti per chiarire la posizione fiscale di un
determinato contribuente[2]. In tal senso, una domanda estera
priva di indizi concreti o fondata solo su vaghe congetture costituirebbe un’illecita fishing expedition[3]. Ciò significa che lo Stato
richiedente deve fornire almeno le indicazioni che consentano
di identificare un contribuente determinato[4].
Nel caso di una “domanda raggruppata”, cioè una domanda di assistenza amministrativa concernente un gruppo di contribuenti
non singolarmente identificati, può risultare difficile distinguerla
da una fishing expedition vietata. Lo Stato richiedente deve perciò
fornire una descrizione dettagliata, supportata da chiari fatti, del
gruppo oggetto dell’inchiesta, degli specifici fatti e circostanze
che hanno portato alla domanda di assistenza, della normativa
applicabile e dei motivi cha fanno ipotizzare che i contribuenti
facenti parte del gruppo non l’abbiano rispettata[5].
Analoghi requisiti per lo scambio di informazioni in materia
fiscale sono previsti dal Modello OCSE di Accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale (Tax Information Exchange
Agreement) (di seguito M-TIEA), sulla base del quale la Svizzera
ha recentemente concluso diversi Accordi sullo scambio d’informazioni (di seguito TIEA), e dalla Convenzione del Consiglio
d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza amministrativa
in materia fiscale (di seguito Convenzione sull’assistenza amministrativa), firmata dalla Svizzera il 15 ottobre 2013, approvata
dall’Assemblea federale il 18 dicembre 2015[6] e che entrerà in
vigore il 1. gennaio 2017.
2.
Il fenomeno dei dati bancari “rubati”
2.1.
Diffusione del fenomeno
Quando la Svizzera non concedeva alcuna assistenza amministrativa in materia fiscale il fenomeno dei dati rubati sui clienti di
banche e fiduciarie era sporadico.
Dopo la conclusione delle prime CDI contenenti una clausola
di scambio d’informazioni conforme all’articolo 26 M-OCSE,
invece, vi è stato tutto un fiorire[7] di liste di clienti di banche
e fiduciarie allestite da dipendenti infedeli, con l’intenzione
di rivenderle agli Stati di residenza di quei clienti; Stati che, a
loro volta, si erano pubblicamente dichiarati interessati a tale
acquisto, creando così la domanda atta a far fiorire il mercato.
In effetti, con i nominativi e i dettagli del conto bancario svizzero
dei loro residenti, gli Stati possono, di fatto, ottenere assistenza
amministrativa dalla Svizzera superando la difficoltà legata
all’obbligo – derivante dal citato divieto delle fishing expeditions
– di circostanziare un pochino la loro richiesta, individuando la
persona oggetto della domanda o almeno i criteri per individuare il gruppo di persone toccate.
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Le liste di clienti contengono però solitamente i nominativi di
persone residenti in diversi Paesi e potenzialmente interessanti per questi. Ecco che è perciò apparso il fenomeno della
circolazione delle liste: il primo Stato che le ha ottenute le ha
in seguito trasmesse spontaneamente o tramite assistenza
amministrativa su richiesta a Stati terzi.
Nonostante l’imminente introduzione di un sistema di scambio
automatico di informazioni fiscali il fenomeno dei dati rubati
sembra essere ancora di grande attualità, se è vero che il Land
tedesco del Nord Reno-Westfalia ha acquistato per 5 milioni di
euro, ancora nell’ottobre 2015, un CD di dati bancari rubati[8].
Anche il terzo non dipendente bancario che trasmette i dati
a uno Stato estero è punibile per il medesimo reato[13] , e ciò
anche se ha agito interamente all’estero, visto che lo spionaggio economico è un reato contro la sovranità e quindi contro
lo Stato svizzero (articolo 4 CP)[14].
3.
Diritto vigente in materia di assistenza amministrativa fiscale
L’articolo 26 M-OCSE non tratta esplicitamente del fenomeno dei dati rubati. Anche il Commentario M-OCSE non
ne fa alcuna menzione. Neppure il M-TIEA e tantomeno il
suo Commentario trattano dell’argomento. Di conseguenza
neanche le CDI o i TIEA conclusi dalla Svizzera regolano
esplicitamente le conseguenze di una domanda di assistenza
amministrativa fondata su dati rubati. Infine, anche la
Convenzione sull’assistenza amministrativa e il suo Rapporto
esplicativo sono silenti sull’argomento.
Al contrario, l’articolo 7 lettera c della Legge federale sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale (di
seguito LAAF) prevede esplicitamente che non si entra nel
merito di una domanda di assistenza se essa vìola il principio
della buona fede, in particolare se si fonda su informazioni ottenute mediante reati secondo il diritto svizzero.
2.2.
Qualifica giuridica del “furto di dati bancari”
Da un punto di vista terminologico è bene precisare che è
comodo parlare di “furto di dati bancari” o di “dati rubati”, ma
è giuridicamente (almeno in diritto svizzero) impreciso, visto
che i dati in questione non sono delle cose che possano essere
oggetto di furto ai sensi dell’articolo 139 del Codice penale
(di seguito CP)[9].
Nell’ipotesi più tipica – cioè quella dove l’autore del furto
dei dati bancari è un dipendente od organo della banca – la
fattispecie è ovviamente costitutiva del reato di violazione del
segreto bancario (articolo 47 della Legge federale sulle banche
e le casse di risparmio [di seguito LBCR])[10]. Secondo il nuovo
testo dell’articolo 47 capoverso 1 lettera c LBCR in vigore dal
1. luglio 2015, è ora punibile anche il terzo che divulga i dati
coperti dal segreto bancario che gli sono stati rivelati oppure li
sfrutta per sé o per altri.
In base ai lavori preparatori della legge, il legislatore intendeva in
particolare contemplare il caso della persona che entra illegalmente in possesso di dati bancari e li trasmette o li vende a uno
Stato estero. Sempre secondo il legislatore, tale disposizione non
fa che esplicitare quanto previsto dal principio della buona fede
sancito dall’articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto
dei trattati (di seguito CV): la domanda di uno Stato fondata
su dati bancari ottenuti illegalmente contraddice lo scopo e il
significato della CDI e va quindi qualificata come contraria al
principio della buona fede[15].
Il testo di legge non fa quindi alcuna distinzione tra un comportamento dello Stato estero attivo (ad esempio intervenuto
quale istigatore o complice dell’autore del furto di dati) o passivo
(se si è limitato a tollerare a posteriori l’agire del ladro)[16],
né tra un’acquisizione onerosa o gratuita dei dati rubati[17]. Il
tenore letterale della legge non esige neppure che il furto dei
dati sia stato commesso in Svizzera, essendo sufficiente che la
fattispecie costituisca in astratto un reato previsto dal diritto
svizzero: anche una domanda di assistenza fondata su dati
rubati all’estero risulta quindi irricevibile[18].
Se invece l’autore non aveva accesso legittimamente ai dati,
che erano specialmente protetti contro l’accesso non autorizzato, allora entrerà in considerazione il reato di acquisizione
illecita di dati, sempre che l’autore abbia agito a scopo di
indebito profitto (articolo 143 CP)[11].
La prassi del Dipartimento federale delle finanze (di seguito
DFF) applica la disposizione nel senso sopraesposto, e quindi
non entra nel merito di domande fondate su dati rubati, poco
importando che lo Stato estero li abbia ottenuti mediante un
comportamento attivo o passivamente, ad esempio tramite
assistenza amministrativa da un terzo Stato che li aveva acquistati od ottenuti dal ladro[19].
In ogni caso, il medesimo agire del dipendente bancario infedele o del terzo che si è procurato illecitamente accesso ai dati è
costitutivo anche di spionaggio economico, se lo scopo dell’autore era di rendere i dati segreti accessibili ad un organismo
ufficiale o privato dell’estero (articolo 273 capoverso 2 CP)[12].
Alcune sentenze del Tribunale amministrativo federale (di
seguito TAF) non ancora cresciute in giudicato hanno confermato che è irrilevante la modalità (attiva o passiva) con la quale
lo Stato estero è entrato in possesso dei dati sui quali fonda la
domanda di assistenza[20].
19
20
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
4.
Giustificazione della soluzione vigente
4.1.
Osservazione preliminare
L’articolo 7 lettera c LAAF pone evidentemente un limite alla
concessione dell’assistenza amministrativa. Poiché il principio
della concessione dell’assistenza amministrativa su domanda
è però sempre previsto da un trattato internazionale[21] – sia
esso una CDI[22] , un TIEA[23] o la Convenzione sull’assistenza
amministrativa[24] – tale limitazione dell’assistenza può
giustificarsi unicamente se è l’espressione di un’analoga
limitazione prevista dal diritto internazionale convenzionale o
generale[25] , la Svizzera non potendo limitare per il tramite
del suo diritto interno l’assistenza amministrativa stabilita
dalle clausole dei singoli trattati[26].
Infatti, l’articolo 26 CV codifica il principio pacta sunt servanda,
secondo cui ogni trattato in vigore vincola le parti e deve da
queste essere eseguito in buona fede, e l’articolo 27 CV precisa
che una parte non può invocare le disposizioni della propria
legislazione interna per giustificare la mancata esecuzione
di un trattato. Dal punto di vista del diritto internazionale
(e davanti a un giudice internazionale) la situazione è quindi
chiarissima: in caso di conflitto, il diritto internazionale prevale
su quello nazionale[27].
è determinante nell’ordinamento interno e vincola il Tribunale
federale: in tal caso il diritto interno va applicato anche se in
contrasto col diritto internazionale. Secondo la più recente
giurisprudenza, tale riserva della violazione cosciente del
diritto internazionale da parte del legislatore federale non è
tuttavia sempre applicabile, in particolare ove siano in gioco
norme internazionali convenzionali a tutela dei diritti umani
o divieti di discriminazioni previsti dall’Accordo sulla libera
circolazione delle persone (di seguito ALC)[32].
Comunque, nel caso dell’articolo 7 lettera c LAAF non vi è
traccia nei lavori preparatori di una volontà del legislatore
federale di derogare consapevolmente agli obblighi di
assistenza amministrativa assunti nelle varie convenzioni
internazionali. Al contrario, il testo stesso della norma lascia
chiaramente intendere che il legislatore abbia unicamente
inteso esplicitare quanto già previsto dal principio della buona
fede nel diritto internazionale[33]. Inoltre la riserva generale
in favore delle divergenti disposizioni delle convenzioni internazionali prevista dall’articolo 1 capoverso 2 LAAF dimostra
chiaramente che il legislatore non intendeva derogare al
diritto internazionale. La “prassi Schubert” non può dunque
trovare applicazione[34].
Determinanti sono perciò unicamente i limiti all’assistenza
amministrativa deducibili direttamente dalle singole convenzioni applicabili o dal diritto internazionale generale.
L’articolo 7 lettera c LAAF ha valore unicamente nella misura in
cui espliciti una limitazione già prevista dal diritto internazionale e ha in tal senso una funzione dichiarativa, o comunque
rivolta esclusivamente alle autorità svizzere, nella misura in
cui detta limitazione costituisca una semplice facoltà. In tale
ipotesi, mentre il diritto convenzionale precisa i limiti che la
Svizzera – quale Stato richiesto – può porre alla prestazione
dell’assistenza, la LAAF stabilisce i limiti che la Svizzera deve
– secondo il proprio diritto interno – fissare all’assistenza,
sempre che tali limiti non vadano oltre a quelli consentiti dal
diritto convenzionale, prioritario in virtù dell’articolo 1 capoverso 2 LAAF[35].
Visto che tali princìpi di diritto internazionale sono, per giurisprudenza del Tribunale federale, direttamente applicabili
nell’ordine giuridico interno svizzero e vincolano non solo l’organo legislativo ma anche tutti gli organi statali, la soluzione
è la medesima a livello interno (davanti al giudice svizzero): di
principio prevale il diritto internazionale[28]. Una limitazione
dell’obbligo di assistenza che fosse prevista unicamente dal
diritto interno svizzero non può perciò trovare applicazione,
neanche innanzi al giudice svizzero[29].
Invero, il Tribunale federale riconosce (ancora) un’eccezione al
principio della prevalenza del diritto internazionale. Secondo
la cosiddetta “prassi Schubert” [30] , nel caso in cui il legislatore
federale abbia – con piena consapevolezza e volontà di
assumersene la responsabilità politica – emanato una disposizione di diritto interno posteriore e in contrasto con il diritto
internazionale convenzionale, siffatta deroga consapevole,
pur non potendo modificare la sfera dei diritti e degli obblighi
dello Stato nell’ambito della Comunità internazionale[31] ,
4.2.
Principio di equivalenza?
Le convenzioni internazionali contemplanti una clausola
di assistenza amministrativa in materia fiscale prevedono
solitamente un limite all’assistenza fondato sul principio di
equivalenza: lo Stato richiesto deve reperire le informazioni
richieste allo stesso modo in cui procederebbe qualora dette
informazioni gli necessitassero per una procedura interna[36].
L’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE stabilisce
infatti che lo Stato richiesto non ha l’obbligo di adottare
provvedimenti amministrativi in deroga alla sua legislazione
e alla sua prassi amministrativa né di fornire informazioni che
non potrebbero essere ottenute in virtù della sua legislazione
o nell’ambito della sua prassi amministrativa normale. Simile
disposizione è prevista dall’articolo 21 paragrafo 2 lettere a
e c Convenzione sull’assistenza amministrativa e qualcosa di
sostanzialmente analogo dagli articoli 4 paragrafo 1 lettera l
e 5 paragrafo 2 M-TIEA.
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Tale limite alla concessione dell’assistenza amministrativa
comporta una facoltà (e non un obbligo) dello Stato richiesto
di declinare una richiesta d’informazioni: questi può decidere
di comunque dare seguito alla richiesta[37].
In una recente sentenza non ancora cresciuta in giudicato in
un caso francese, il TAF ha ritenuto di scorgere nel suddetto
principio di equivalenza il fondamento di diritto internazionale convenzionale per un rifiuto di prestare assistenza nel
caso la domanda si fondi su dati rubati ex articolo 7 lettera
c LAAF. A mente dei giudici amministrativi federali, l’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) non
potrebbe, in una procedura interna retta dal diritto amministrativo svizzero, fare uso di prove ottenute illecitamente e
dati rubati per completare o correggere la tassazione di un
contribuente. Di conseguenza, anche lo Stato richiedente
non potrebbe ottenere delle informazioni sulla base di dati
rubati, in violazione manifesta della legislazione e della prassi
amministrativa svizzere[38].
l’ordinamento dello Stato richiesto, come ad esempio nel caso
violassero i diritti procedurali delle persone toccate[43]. Tant’è
che il Commentario M-OCSE della norma fa riferimento a
quella normativa interna che garantisce alle persone toccate
di essere sentite prima che le informazioni oggetto della
domanda di assistenza vengano trasmesse all’estero[44] e a
quella che riconosce il diritto di non testimoniare contro sé
stesso[45].
L’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE non pare quindi
trattare del caso in cui la domanda di assistenza stessa sia
illegale (perché fondata su dati rubati)[46].
La tesi giuridica è affascinante e sembra condivisa da almeno
una voce della dottrina[39]; sarà interessante vedere cosa ne
penserà il Tribunale federale. A prima vista la tesi sembra però
avere due punti deboli.
In primo luogo – e anche se ciò non può che rattristare ogni
cittadino fiducioso nei princìpi dello Stato di diritto – non è
per nulla così manifesto che, nella procedura amministrativa
interna, l’amministrazione fiscale svizzera non possa far capo
a dati rubati per completare o correggere la tassazione di un
contribuente.
Da un lato, sia la Legge federale sulla procedura amministrativa federale (di seguito PA) sia la Legge federale sull’imposta
federale diretta (di seguito LIFD) sia la Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni
(di seguito LAID) sono silenti sul tema dell’utilizzo delle prove
illegali. Dall’altro, è vero che il Consiglio federale, rispondendo
ad un’interpellanza parlamentare, ha affermato che nelle procedure riguardanti la tassazione e la sottrazione d’imposta le
autorità fiscali non utilizzano prove che lo Stato non avrebbe
potuto acquisire legalmente o il cui impiego sia contrario al
principio della buona fede[40].
Ma, in tale situazione giuridica incerta, è soprattutto vero che il
Tribunale federale ha dichiarato perfettamente utilizzabili in una
procedura di tassazione interna i dati concernenti una fiduciaria
del Liechtenstein che erano stati sottratti da un collaboratore
di quest’ultima e trasmessi alle autorità fiscali tedesche e da
queste ritrasmessi alle autorità fiscali svizzere[41].
In secondo luogo, il principio di equivalenza previsto dall’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE non sembra
porre dei limiti alla ricevibilità in quanto tale della domanda
di assistenza, ma sembra trattare e limitare esclusivamente
le modalità della sua esecuzione, in altre parole la procedura
di raccolta delle informazioni richieste[42]. Detto altrimenti,
la norma citata tratta solo dei limiti all’esecuzione di una
domanda di assistenza già presentata, e permette di rifiutare
delle modalità di esecuzione che fossero di per sé illecite per
4.3.
Principio di reciprocità?
Un altro limite solitamente previsto dalle convenzioni internazionali sull’assistenza amministrativa in materia fiscale è
quello fondato sul principio di reciprocità: lo Stato richiesto
non è tenuto a fornire informazioni qualora ciò comporti
che esso sia chiamato ad accordare un livello di assistenza
maggiore di quello che lo Stato richiedente sarebbe in grado
di garantire[47].
L’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE stabilisce infatti
che lo Stato richiesto non ha l’obbligo di adottare provvedimenti amministrativi in deroga alla legislazione dello Stato
richiedente ed alla sua prassi amministrativa né di fornire
informazioni che non potrebbero essere ottenute in virtù della
legislazione o nell’ambito della prassi amministrativa normale
dello Stato richiedente. Simile disposizione è prevista dall’articolo 21 paragrafo 2 lettere a e c Convenzione sull’assistenza
amministrativa e dall’articolo 7 paragrafo 1 M-TIEA.
Anche tale limitazione comporta solo una facoltà (e non un
obbligo) dello Stato richiesto di declinare una richiesta d’informazioni.
Nella sentenza sopraccitata in un caso francese, il TAF ha
ritenuto che, nel caso di specie, anche il suddetto principio
di reciprocità potesse giustificare un rifiuto di prestare assistenza ex articolo 7 lettera c LAAF.
Secondo il TAF, l’amministrazione fiscale francese non
potrebbe, in una procedura interna retta dal diritto francese,
utilizzare dati rubati per effettuare perquisizioni o rettificare
la tassazione di un contribuente. La Francia non potendo
21
22
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
ottenere tali informazioni in virtù della propria legislazione e
prassi amministrativa, non potrebbe aggirare tale ostacolo
utilizzando la via dell’assistenza amministrativa internazionale: la Svizzera non sarebbe perciò obbligata a fornire
assistenza se la domanda si fondasse su dati rubati[48].
Anche tale tesi suscita perplessità per il medesimo motivo
indicato in precedenza: anche il principio di reciprocità
ancorato all’articolo 26 paragrafo 3 lettere a e b M-OCSE
non sembra infatti porre dei limiti alla ricevibilità in quanto
tale della domanda di assistenza, ma alle modalità della sua
esecuzione, e non sembra quindi poter giustificare un rifiuto
dell’assistenza in caso di dati rubati[49].
Inoltre, si tratterebbe di un risultato non generalizzabile
perché dipendente dalla legislazione e prassi amministrativa
di ogni Stato richiedente. Il divieto dell’utilizzo di prove illecite
vigente in Francia potrebbe non esistere altrove[50].
4.4.
Incompatibilità con l’ordine pubblico?
Una limitazione all’obbligo di fornire assistenza prevista tradizionalmente dalle convenzioni internazionali in materia di
assistenza non solo amministrativa, ma anche giudiziaria civile
e penale, è quella dell’incompatibilità con l’ordine pubblico
dello Stato richiesto. Per esempio, secondo l’articolo 2 lettera b
della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia
penale (CEAG), l’assistenza giudiziaria potrà essere rifiutata se
la Parte richiesta ritiene che l’esecuzione della domanda è di
natura tale da nuocere alla sovranità, alla sicurezza, all’ordine
pubblico o ad altri interessi essenziali del suo Paese.
in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato
nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.
Nel caso in cui il testo di una CDI ricalchi esattamente quello
del M-OCSE vige quindi la presunzione che le Parti contraenti
abbiano inteso il significato di un termine nel senso proposto
dal M-OCSE e dal suo Commentario in vigore al momento
delle negoziazioni, proprio perché senso comune del termine
in tal momento[54] , salvo che si possa provare una diversa
volontà delle Parti[55].
Vista tale interpretazione restrittiva del Commentario M-OCSE,
un parere giuridico dell’Ufficio federale di giustizia (di seguito
UFG) è giunto alla conclusione che non sia possibile invocare
l’ordine pubblico per giustificare il rifiuto di una domanda di
assistenza amministrativa fondata su dati rubati[56].
Secondo una recente opinione espressa in dottrina tale conclusione potrebbe però non sempre essere corretta.
Tale tesi, partendo appunto dal carattere refragabile della
presunzione di corrispondenza dell’interpretazione del
Commentario M-OCSE con la volontà delle Parti, sostiene che
se è possibile dimostrare che i negoziatori svizzeri abbiano,
nell’ambito dei negoziati di una specifica CDI, comunicato
unilateralmente alla controparte che non era intenzione
della Svizzera concedere assistenza in caso di dati rubati
perché in contrasto col proprio senso di giustizia – ciò che,
in effetti, sembra essere stato fatto a partire dalla primavera
del 2010[57] – allora tale interpretazione più ampia della
nozione di ordine pubblico dovrebbe prevalere su quella del
Commentario M-OCSE, se la controparte l’ha tacitamente
accettata non opponendovisi[58].
Una clausola di tal tipo conferisce, di regola, un ampio potere
discrezionario allo Stato richiesto di rifiutare l’assistenza, limitato solo dall’obbligo di esercitarlo conformemente al principio
della buona fede codificato all’articolo 26 CV [51].
Le clausole delle convenzioni di assistenza amministrativa in
materia fiscale conformi allo standard OCSE appaiono però
meno ampie.
Per l’articolo 26 paragrafo 3 lettera c M-OCSE (e l’identico
testo dell’articolo 21 paragrafo 2 lettera d Convenzione sull’assistenza amministrativa) lo Stato richiesto non ha l’obbligo di
fornire informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria
all’ordine pubblico. Analoga limitazione è prevista dall’articolo
7 paragrafo 4 M-TIEA.
Il Commentario M-OCSE della norma conferma che essa va
intesa in senso restrittivo e dovrebbe trovare applicazione
solo in casi estremi, quando sono in gioco gli interessi vitali
dello Stato richiesto. Tale clausola potrebbe dunque applicarsi
nel caso in cui l’accertamento fiscale nello Stato richiedente
persegua fini persecutori politici, razziali o religiosi, o qualora
le informazioni richieste siano coperte dal segreto di Stato[52].
Ora si sa che il Commentario M-OCSE, pur non costituendo
un’interpretazione vincolante per le Parti a una CDI[53] , è nella
prassi di grande rilevanza. Infatti, secondo l’articolo 31 paragrafo 1 CV un trattato deve essere interpretato in buona fede
A tale opinione si può però controbattere che la valenza di tale
comunicazione unilaterale svizzera è, dal punto di vista del
diritto internazionale, dubbia.
È pacifico che non si tratti di una dichiarazione interpretativa
comune, visto che appunto non ve n’è traccia nel contesto del
trattato e che, nell’ambito dei lavori parlamentari in merito alla
ratifica di dette CDI, non è neppure mai stata sostenuta l’esistenza di una collettiva interpretazione autentica che, in virtù
del principio eius est interpretari cuius est condere, possa vincolare
le Parti e l’interprete del trattato[59]. In un primo tempo, dopo
la manifestazione del fenomeno del furto dei dati bancari,
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
il Parlamento aveva dato mandato al Consiglio federale di tentare di ottenere dalla controparte alle CDI l’accordo esplicito
circa l’interpretazione sull’esclusione dell’assistenza in caso
di domanda fondata su dati rubati[60], ma in seguito vi ha
rinunciato, evidentemente visto l’esito negativo del tentativo.
Nelle CDI concluse dopo la primavera 2010 la citata comunicazione unilaterale svizzera non sembra essersi mai
materializzata nel testo, preambolo, allegati, protocolli finali,
scambi di note (cioè in quello che si può definire contesto
interno del trattato[61]) o altri documenti oggetto di pubblicazione nella Raccolta sistematica (RS) o nella Raccolta
ufficiale (RU). Anche se si ammettesse che la comunicazione
unilaterale in oggetto sia una dichiarazione interpretativa
unilaterale[62] , non sembrerebbe comunque costituire uno
“strumento disposto da una o più parti in occasione della conclusione del trattato ed accettato dalle altre parti in quanto strumento
relativo al trattato”, di cui si debba principalmente tenere conto
nell’interpretazione della norma convenzionale ai sensi dell’articolo 31 paragrafo 2 lettera b CV, visto che sarebbe stata resa
in un momento precedente alla conclusione del trattato, cioè
durante i negoziati[63].
D’altra parte non è neppure sostenibile che la comunicazione
unilaterale in discussione possa valere quale riserva al trattato.
In effetti, è generalmente riconosciuto che le cosiddette
dichiarazioni interpretative condizionali, vale a dire quelle
dichiarazioni unilaterali espresse da una Parte contraente
con le quali questa condiziona il suo consenso a vincolarsi al
trattato a una determinata interpretazione dello stesso, sono
da assimilare a delle riserve e sono soggette alla medesima
regolamentazione[64]. Ma le riserve devono essere imperativamente espresse al momento della ratifica del trattato:
riserve annunciate in precedenza alla ratifica o addirittura in
precedenza alla firma del trattato (nell’ambito delle negoziazioni) sono nulle se non confermate per scritto al momento
dell’espressione, da parte dello Stato che le emette, del proprio
consenso ad essere vincolato dal trattato[65]. Già per questo
motivo formale la comunicazione unilaterale svizzera, emessa
durante i negoziati ma non ripetuta né al momento della
firma né delle ratifiche delle CDI, non è una riserva.
Anche motivi sostanziali fanno escludere tale ipotesi. In
effetti, le CDI sono dei trattati bilaterali, ed è generalmente
riconosciuto che non ha senso parlare di riserva a un trattato
bilaterale, la stessa essendo piuttosto un’offerta di procedere
alla rinegoziazione del trattato[66]. Inoltre, non è stato mai
sostenuto dal Consiglio federale che la Svizzera abbia condizionato il suo consenso a vincolarsi alle CDI a una determinata
interpretazione della nozione di ordine pubblico.
Nell’ambito dei lavori parlamentari in merito alla ratifica
delle CDI concluse dopo la primavera del 2010 (ad esempio
quella con l’India) e anche di quelle concluse recentemente
(ad esempio quella con l’Italia[67]) il Consiglio federale ha
però esplicitamente confermato l’esistenza della comunicazione unilaterale svizzera nell’ambito dei negoziati ed il fatto
che sarebbe stata protocollata[68]. Questa dichiarazione,
espressa durante la negoziazione del testo della CDI, potrebbe
quindi teoricamente avere una qualche valenza a titolo di
mezzo sussidiario d’interpretazione ai sensi dell’articolo 32
CV, che permette di ricorrere ai lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso per confermare
il significato risultante dall’interpretazione fondata sul testo e
contesto del trattato oppure quando tale interpretazione non
permetta ancora di fare chiarezza [69]: proprio perché rappresenta un mezzo sussidiario, la valenza probatoria di una simile
dichiarazione unilaterale sarebbe comunque ridotta[70].
In ogni caso, una dichiarazione interpretativa unilaterale (sia
essa stata emessa durante le negoziazioni o in occasione della
conclusione di un trattato) non può da sola, proprio perché
unilaterale, avere una grande valenza e vincolare le altre Parti
al trattato, poiché il principio della sovrana eguaglianza degli
Stati impedisce che una Parte possa imporre puramente e
semplicemente la propria interpretazione[71]: molto dipende
dall’accoglienza che la dichiarazione ha avuto presso le altre
Parti al trattato, e cioè se abbia suscitato approvazione oppure
rifiuto[72]. A tal proposito ,va considerato che la sola mancata
reazione di una Parte ad una dichiarazione interpretativa
unilaterale dell’altra non significa di principio approvazione
del contenuto della stessa[73]. Proprio perché la dichiarazione
interpretativa unilaterale non è una riserva, alla prima non è
applicabile la presunzione di accettazione in caso di mancata
reazione nei dodici mesi dalla notifica della riserva, prevista
dall’articolo 20 paragrafo 5 CV.
Poiché, nell’ambito dei lavori parlamentari in merito alla ratifica di dette CDI, non è mai stato sostenuto che le controparti
abbiano approvato durante le negoziazioni la dichiarazione
unilaterale svizzera, limitandosi al massimo a prenderne
conoscenza[74] , si deve ritenere che semplicemente non
abbiano reagito alla stessa. Da tale mancata reazione durante
le negoziazioni non si può ancora dedurre alcunché per l’interpretazione della clausola delle CDI sull’ordine pubblico.
Un accordo con l’interpretazione unilaterale fornita dalla
Svizzera potrebbe semmai essere ravvisato nella pratica
successivamente seguita dalle Parti alla CDI, e quindi nel prolungato silenzio rispettivamente nella mancata opposizione al
modo in cui la Svizzera applica il trattato (articolo 31 paragrafo 3 lettera b CV [75]).
Nel caso, ad esempio, dell’India (e di altri importanti Stati
partner del Forum dei ministri delle finanze e dei governatori
delle banche centrali [di seguito G20] o dell’Unione europea
23
24
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
[di seguito UE]), la pratica successivamente seguita dalle Parti
dimostra però che essa ha chiaramente rifiutato l’interpretazione unilaterale svizzera, insistendo a presentare domande
di assistenza amministrativa fiscale fondate su dati rubati
ed addirittura protestando con la Svizzera per il suo rifiuto di
collaborare[76].
La dichiarazione interpretativa unilaterale svizzera sembrerebbe quindi – almeno nei confronti di questi Stati – priva di
alcuna rilevanza.
Al quesito a sapere se la riserva dell’ordine pubblico, prevista dalle CDI contenenti una clausola conforme all’articolo
26 paragrafo 3 lettera c M-OCSE, possa giustificare – da
un punto di vista del diritto internazionale – il rifiuto della
Svizzera di dare seguito ad una domanda di assistenza
amministrativa fondata su dati rubati non si può quindi dare
una risposta generalizzata, molto dipendendo dal testo, dal
contesto e dalle circostanze della conclusione di ogni singola
CDI. Probabilmente, nella maggior parte dei casi la risposta
sarà però negativa.
Siccome l’articolo 27 paragrafo 1 Convenzione sull’assistenza
amministrativa stabilisce che le possibilità di assistenza previste
dalla stessa non sono limitate da quelle contenute in accordi
internazionali e altri impegni esistenti, vale il principio della prevalenza dell’Accordo che concede la cooperazione maggiormente
efficace nel caso concreto. Uno Stato parte alla Convenzione
sull’assistenza amministrativa potrà quindi richiedere assistenza
alla Svizzera fondandosi su detta Convenzione e sulla sua nozione
restrittiva di ordine pubblico – che garantisce una cooperazione
più estesa – nonostante l’esistenza di una CDI prevedente maggiori limitazioni all’obbligo di assistenza della Svizzera[79].
4.5.
Rispetto della sovranità territoriale
Raramente[80] la dottrina ha esaminato in dettaglio se il principio – del diritto internazionale generale – del rispetto della
sovranità territoriale possa costituire un limite ad una domanda
di assistenza amministrativa fondata su dati rubati.
Esaminato da vicino, questo sembra invece essere il miglior argomento di diritto internazionale per giustificare l’irricevibilità della
domanda di assistenza ex articolo 7 lettera c LAAF.
4.5.1.
La sovranità territoriale
La sovranità è una nozione cardine del diritto internazionale
e costituisce una delle caratteristiche che definiscono lo Stato
come soggetto del diritto internazionale; vi è infatti uno Stato
solo in presenza di un territorio, di un popolo e di una potestà
pubblica (ossia un Governo effettivo ed indipendente verso l’esterno e verso l’interno, quale espressione della sovranità dello
Stato)[81].
Infine, da un punto di vista sostanziale, si potrebbe osservare che non sembra così evidente [77] che l’utilizzo in una
procedura fiscale di dati bancari rubati sia contrario al senso
di giustizia come compreso dalla Svizzera (e quindi al suo
ordine pubblico), visto che, come ricordato in precedenza, il
Tribunale federale ha dichiarato perfettamente utilizzabili in
una procedura di tassazione interna dei dati rubati ad una
fiduciaria del Liechtenstein[78].
Tutte queste perplessità sono comunque destinate a interessare
unicamente gli storici del diritto, vista l’imminente entrata in
vigore della Convenzione sull’assistenza amministrativa che,
come visto in precedenza, contiene una clausola sulla riserva
dell’ordine pubblico identica a quella del M-OCSE ed ugualmente restrittiva secondo il suo Commentario. Poiché non vi
è traccia nei lavori parlamentari in merito alla ratifica di detta
Convenzione di alcuna dichiarazione interpretativa svizzera
sull’ordine pubblico, il Commentario della Convenzione sarà
l’unico elemento decisivo per interpretarla.
Nei confronti degli Stati parte a tale Convenzione l’ordine pubblico non potrà quindi giustificare il rifiuto di assistenza in caso
di dati rubati.
La sovranità territoriale implica, per il diritto internazionale
consuetudinario, il diritto esclusivo di esercitare le attività
statali. Come ha riconosciuto la giurisprudenza internazionale:
“Sovereignty in the relations between States signifies independence.
Independence in regard to a portion of the globe is the right to exercise therein, to the exclusion of any other State, the functions of a
State”[82].
Ogni Stato ha perciò il monopolio della giurisdizione sul proprio
territorio, vale a dire gode in maniera esclusiva del potere di
imporre regole vincolanti (jurisdiction to prescribe), del potere di
risolvere le controversie (jurisdiction to adjudicate) e del potere
di garantire l’esecuzione coercitiva del diritto (jurisdiction to
enforce)[83].
Il corollario, riconosciuto dal diritto internazionale consuetudinario, di tali diritti esclusivi è l’obbligo di rispettare la sovranità
territoriale degli altri Stati. Infatti, secondo la giurisprudenza
internazionale: “La limitation primordiale qu’impose le droit
international à l’Etat est celle d’exclure, sauf l’existence d’une règle
permissive contraire, tout exercice de sa puissance sur le territoire d’un
autre Etat. Dans ce sens, la juridiction est certainement territoriale;
elle ne pourrait être exercée hors du territoire sinon en vertu d’une
règle permissive découlant du droit international coutumier ou d’une
convention”[84]. Inoltre: “Entre Etats indépendants, le respect de la
souveraineté territoriale est l’une des bases essentielles des rapports
internationaux”[85].
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Vige quindi il divieto di ingerenza negli affari interni ed il divieto
di compiere atti che spettano a poteri pubblici nel territorio degli
altri Stati sovrani[86]. È vietato ad uno Stato penetrare con aerei
o navi, arrestare e rapire persone, notificare atti o raccogliere
informazioni o prove sul territorio altrui[87]. Lo Stato che vìola
tale divieto compie un atto illecito internazionale.
Sia il divieto di ingerenza che quello di compiere atti che
spettano a poteri pubblici sono princìpi derivanti non solo dal
diritto internazionale consuetudinario ma anche dall’articolo
2 paragrafo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite, per il quale
detta Organizzazione è fondata sul principio della sovrana
eguaglianza di tutti i suoi Membri[88]. Secondo una parte della
dottrina tali princìpi fanno parte dello jus cogens internazionale
e sono quindi inderogabili ai sensi dell’articolo 53 CV[89]. Più in
generale, per alcuni è il principio stesso di sovranità che fa parte
dello jus cogens[90].
4.5.2.
La concezione svizzera della sovranità territoriale
Nella prassi, la Svizzera ha sempre confermato l’importanza
dell’obbligo internazionale di rispettare la propria e l’altrui sovranità territoriale ed il conseguente divieto di compiere atti che
spettano a poteri pubblici al di fuori del proprio territorio[91].
Del resto, anche il diritto penale interno pone grande attenzione al rispetto della sovranità. Sono infatti costitutivi di
reato penetrare sul territorio svizzero contrariamente al
diritto delle genti (articolo 269 CP, violazione della sovranità
territoriale svizzera), compiere sul territorio svizzero per conto
di uno Stato estero atti che spettano a poteri pubblici (articolo
271 CP, atti compiuti senza autorizzazione per conto di uno
Stato estero), esercitare un servizio di spionaggio politico per
uno Stato estero (articolo 272 CP, spionaggio politico), rendere accessibile un segreto di fabbricazione o di affari ad un
organismo ufficiale o privato dell’estero (articolo 273 CP, spionaggio economico), raccogliere informazioni militari per conto
di uno Stato estero in danno della Svizzera (articolo 274 CP,
spionaggio militare), ma anche violare la sovranità territoriale
di uno Stato estero compiendo illecitamente atti ufficiali nel
territorio di esso (articolo 299 CP, violazione della sovranità
territoriale di uno Stato estero).
Esempi tipici di violazione della sovranità territoriale sono i
rapimenti di persone ai fini del loro arresto rispettivamente le
estradizioni camuffate.
Nel caso Jakob del 1935, un cittadino tedesco emigrato in
Francia era stato attirato da agenti della Gestapo a Basilea e
da lì deportato in Germania. La Svizzera protestò fermamente
con la Germania per tale rapimento, pretendendo la restituzione del rapito e la punizione degli agenti tedeschi, ciò che
in un primo tempo la Germania rifiutò di fare negando i fatti.
Quando la Svizzera si rivolse al tribunale arbitrale internazionale la Germania acconsentì però a riconsegnare Jakob alla
Svizzera ed a punire disciplinarmente i suoi agenti[92].
Nel caso X del 1980, un cittadino belga che viveva in Belgio
era accusato dalla magistratura tedesca di truffa e falsità in
documenti, e oggetto di un ordine di arresto internazionale
comunicato anche alla Svizzera. Dei poliziotti tedeschi lo attirarono per un incontro a Zurigo con l’astuzia, contattandolo
telefonicamente sotto mentite spoglie dall’Italia e facendogli
credere di essere interessati a concludere un grosso affare.
Arrivato a Zurigo X fu arrestato dalla Polizia svizzera e la
Germania ne richiese l’estradizione, alla quale X si oppose. Il
Tribunale federale ricordò che il divieto di compiere atti che
spettano a poteri pubblici sul territorio di uno Stato estero
trovava applicazione anche se non viene fatto uso della
coercizione ma unicamente di astuzia o macchinazioni e che
il divieto era violato anche se gli agenti tedeschi avevano agito
non in Belgio (né in Svizzera) ma in uno Stato terzo (Italia), visto
che il risultato si era prodotto in Belgio: X si trovava in Belgio e
avrebbe potuto perciò essere assicurato alla giustizia tedesca
unicamente con un atto dei poteri pubblici belgi. Una domanda
di estradizione tedesca al Belgio non sarebbe però mai stata
accolta, tale Paese rifiutando di estradare i propri nazionali.
Il Tribunale federale ritenne per questi motivi che l’agire dei
poliziotti tedeschi costituisse una violazione della sovranità
del Belgio e rifiutò l’estradizione, per non rendere la Svizzera
complice di tale violazione del diritto internazionale[93].
In un altro caso del 2007, invece, un cittadino tedesco accusato
in Svizzera di truffa per mestiere era fuggito nella Repubblica
Dominicana, che non era vincolata da alcun trattato di
estradizione con la Svizzera. È stato comunque arrestato
dalle autorità locali ed “espulso” da Santo Domingo mediante
consegna a dei poliziotti svizzeri che lo hanno condotto in
Svizzera ed ivi posto in stato di arresto. Chiamato a decidere
della legalità dell’arresto, il Tribunale federale ha precisato che
non si era trattato di un’illecita estradizione camuffata o di un
rapimento contrario al diritto internazionale. Infatti, le autorità
della Repubblica Dominicana non avevano mai protestato per
l’agire della Svizzera né preteso la restituzione dell’arrestato
od altre forme di riparazione, e le autorità svizzere avevano
da parte loro rispettato la sovranità di Santo Domingo, non
utilizzando né la forza, né la minaccia né l’astuzia per prendere
l’accusato, che era invece stato loro volontariamente consegnato dalle, collaborative, autorità statali della Repubblica
Dominicana[94].
Violazioni della sovranità territoriale estera sono poi state
costatate nell’ambito dei sequestri di beni. Ad esempio, in un
caso del 1995, un cittadino tedesco arrestato in Svizzera per
truffa era stato indotto dalle autorità svizzere – con informazioni rivelatesi a posteriori errate – a fare volontariamente
trasferire in Svizzera una somma di denaro dalla Germania,
che poi era stata immediatamente sequestrata perché possibile provento di reato. Il Tribunale federale ha ritenuto sleale
l’agire delle autorità svizzere e costitutivo di violazione della
sovranità tedesca, poiché tale sequestro era avvenuto in elusione delle regole sull’assistenza giudiziaria in materia penale
vigenti tra i due Paesi[95].
Svariate sono inoltre state le violazioni del divieto citato
nell’ambito dell’assunzione di informazioni o prove. In un caso
del 1981, l’avvocato svizzero di una persona oggetto di un
procedimento penale in Australia aveva avuto in Svizzera dei
colloqui con dei testimoni, in presenza di una terza persona, e
preso appunti sulle loro risposte; in seguito la terza persona
25
26
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
era stata assunta quale testimone nel processo in Australia, e
aveva riferito del contenuto dei colloqui cui aveva presenziato
in Svizzera, facendo anche uso degli appunti summenzionati.
Il Tribunale federale ha ritenuto che l’assunzione di prove
(e quindi l’interrogatorio di testimoni) ai fini di una procedura
giudiziaria fosse una tipica attività del potere pubblico, che
quindi non avrebbe potuto avvenire in Svizzera che tramite
rogatoria. L’agire dell’avvocato è stato perciò considerato
come una violazione della sovranità svizzera[96].
Nel caso Telekom Serbia del 2003, due parlamentari italiani
membri di una Commissione parlamentare d’inchiesta, due
agenti di scorta, un magistrato consulente ed un testimone
si sono recati all’Ufficio fallimenti di Lugano per trovare
conferme dell’esistenza di documenti comprovanti il coinvolgimento, in un affare internazionale di tangenti, di politici
italiani. Ma detta delegazione non aveva preventivamente
richiesto alcuna autorizzazione da parte svizzera a tale
attività; i componenti della delegazione sono perciò stati
denunciati per atti compiuti senza autorizzazione per conto di
uno Stato estero e per spionaggio economico[97].
Nel 1998 la Polizia bernese ha arrestato un israeliano che, su
incarico del servizio segreto israeliano Mossad, stava istallando
nello scantinato di un immobile a Berna un’apparecchiatura
per l’intercettazione delle telefonate di una persona libanese
residente nel palazzo. La sua difesa aveva sostenuto che egli
non avesse agito come un funzionario estero bensì in clandestinità, come un piccolo criminale, e quindi non si potesse
trattare di un reato contro la sovranità svizzera. La Corte
penale del Tribunale federale, costatato che l’intercettazione
telefonica è invece una tipica attività dei poteri pubblici, ha
ritenuto che l’israeliano avesse violato la sovranità svizzera,
condannandolo per atti compiuti senza autorizzazione per
conto di uno Stato estero e per spionaggio politico[98].
Più recentemente, il Tribunale penale federale si è occupato
di intercettazioni telefoniche attuate da autorità italiane su
utenze svizzere, concludendo che non vi era stata violazione
della sovranità svizzera, ma solo perché le autorità italiane
non avevano agito in territorio svizzero, gli ascolti essendo
avvenuti con la cosiddetta “tecnica dell’istradamento”, cioè
nell’intercettazione delle sole conversazioni – in partenza dal
territorio italiano (sia da utenza italiana che di altra nazionalità) e dirette verso utenze straniere – in transito da centrali
telefoniche situate sul territorio italiano[99].
Infine, nel 2012, sembra che ispettori fiscali francesi avessero
proceduto ad accertamenti in Svizzera quali privati cittadini. Il Consiglio federale ha comunicato alla Francia che la
Svizzera non avrebbe ammesso simili violazioni della propria
sovranità[100].
Anche la notifica diretta di atti ufficiali può ledere la sovranità
territoriale. Ad esempio, la notificazione postale (diretta) di una
comminatoria di fallimento all’indirizzo di una persona domiciliata in Germania è stata ritenuta violare la sovranità tedesca
e perciò nulla[101]. Il Tribunale federale ha anche chiarito che
l’autorità penale svizzera può fare pervenire direttamente una
citazione a comparire all’imputato che soggiorna all’estero,
purché non contenga minacce di sanzioni. In caso contrario è
violata la sovranità estera[102].
Infine, anche atti compiuti senza l’impiego della benché
minima coercizione sono stati ritenuti contrari alla sovranità
svizzera. Nel 1994 l’ambasciata di Bosnia-Erzegovina a Berna
aveva iniziato un’attività di percezione di imposte sul reddito
presso i suoi cittadini residenti in Svizzera. La Svizzera ha
ritenuto che tale attività violasse la sua sovranità, visto che
si trattava di una funzione tipica dei poteri pubblici, e considerato che il mancato uso di coercizione non influiva in alcun
modo sul carattere illecito di tale attività[103].
4.5.3.
L’attribuzione di un comportamento individuale allo Stato
La violazione della sovranità territoriale è dunque un atto
illecito internazionale. Come nella responsabilità del diritto
privato, affinché sorga una responsabilità internazionale di
uno Stato per un atto materialmente compiuto da un individuo è però necessario che tale comportamento sia attribuibile
a detto Stato.
La responsabilità internazionale degli Stati è retta da regole
consuetudinarie, che sono negli ultimi decenni state oggetto
di un processo di codificazione. La Commissione di diritto
internazionale dell’ONU è giunta nel 2001, dopo lunghi
lavori iniziati nel 1955, all’adozione di un Progetto di articoli
sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente
illeciti (nell’abbreviazione inglese ARSIWA) e di un loro
Commentario[104] , di cui l’Assemblea Generale dell’ONU ha
preso atto lo stesso anno[105] , ma che non si sono ancora
trasformati in un trattato internazionale. Ciononostante sono
solitamente ritenuti fornire la prova del diritto consuetudinario vigente[106].
È ovvio che l’attività di individui che rivestono la qualità di
organi di uno Stato secondo il diritto interno sia attribuibile
a detto Stato da un punto di vista internazionale (articolo 4
ARSIWA), e ciò anche quando tale organo ha agito contravvenendo alle istruzioni ricevute o oltrepassando la propria
competenza (articolo 7 ARSIWA). Lo stesso vale per persone
che, pur non essendo organi statali, hanno facoltà di compiere
atti che spettano a poteri pubblici (articolo 5 ARSIWA), o
possono esser qualificati come organi di fatto (articolo 8
ARSIWA). In tutti questi casi il fatto illecito è attribuibile allo
Stato al momento in cui è commesso.
È pero anche possibile che un fatto illecito di un individuo, che
al momento della sua commissione non poteva essere attribuito ad uno Stato, venga a questi imputato ex post. Si tratta del
caso ipotizzato dall’articolo 11 ARSIWA: “Un comportamento
che non è attribuibile ad uno Stato ai sensi degli articoli precedenti
sarà ciononostante considerato un atto di quello Stato ai sensi del
diritto internazionale se e nella misura in cui quello Stato riconosca e
adotti il comportamento in questione come proprio”.
Si tratta di un principio che risale a molto lontano nel tempo,
riconducibile[107] a una costatazione di uno dei padri fondatori del diritto internazionale, il neocastellano Emer de Vattel,
che nel 1758 scriveva:
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
“§.73 On ne peut imputer à la Nation les actions des particuliers.
Cependant, comme il est impossible à l’État le mieux réglé, au
Souverain le plus vigilant et le plus absolu, de modérer à sa volonté
toutes les actions de ses Sujets, de les contenir en toute occasion
dans la plus exacte obéissance; il serait injuste d’imputer à la Nation
ou au Souverain, toutes les fautes des Citoyens. On ne peut donc dire
en général, que l’on a reçu une injure d’une Nation, parce qu’on l’aura
reçue de quelqu’un de ses membres.
il loro comportamento ricadrebbe sotto l’ipotesi descritta
dall’articolo 11 ARSIWA, Israele avendolo – con la custodia in
arresto di Eichmann, la celebrazione del processo e l’esecuzione
della sua condanna a morte – adottato come proprio[114].
Ciò significa peraltro che il riconoscimento e l’adozione del
comportamento del privato può avvenire esplicitamente o per
atti concludenti[115].
§.74 A moins qu’elle ne les approuve ou qu’elle ne les ratifie.
Mais si la Nation, ou son Conducteur, approuve et ratifie le fait du
Citoyen, elle en fait sa propre affaire: L’offensé doit alors regarder
la Nation comme le véritable auteur de l’injure, dont peut-être le
Citoyen n’a été que l’instrument” [108].
Il principio ha trovato applicazione esemplare nel caso
dell’attacco e sequestro del personale diplomatico e consolare statunitense a Teheran del 1979. In tale occasione la
Corte internazionale di giustizia aveva riconosciuto che in
un primo tempo l’attacco ai locali e al personale diplomatico
statunitense era stato l’opera di militanti islamici iraniani che
non avevano la qualifica, neanche di fatto, di organi dello
Stato iraniano: le loro azioni non erano quindi imputabili allo
Stato iraniano[109]. In un secondo tempo però, in occasione
della liberazione di alcuni ostaggi, l’ayatollah Khomeini aveva
esplicitamente dichiarato che “la nobile nazione iraniana non
permetterà la liberazione del resto degli ostaggi” e che questi
sarebbero quindi rimasti in stato di arresto finché il governo
americano non si fosse “piegato al volere della nazione”: “La politique ainsi annoncée par l’ayatollah Khomeini, consistant à maintenir
l’occupation de I’ambassade et la détention des otages afin de faire
pression sur le Gouvernement des Etats-Unis, a été appliquée par
d’autres autorités iraniennes et appuyée par elles de façon réitérée
dans des déclarations faites à diverses occasions. Cette politique a
eu pour effet de transformer radicalement la nature juridique de la
situation créée par l’occupation de I’ambassade et la détention de
membres de son personnel diplomatique et consulaire en otages.
L’ayatollah Khomeini et d’autres organes de l’Etat iranien ayant
approuvé ces faits et décidé de les perpétuer, l’occupation continue
de I’ambassade et la détention persistante des otages ont pris le
caractère d’actes dudit Etat. Les militants, auteurs de l’invasion et
geôliers des otages, sont alors devenus des agents de l’Etat iranien
dont les actes engagent sa responsabilité internationale” [110].
Secondo la Commissione di diritto internazionale, perché uno
Stato riconosca e adotti il comportamento di individui non
basta che approvi verbalmente lo stesso o si limiti a riconoscerne l’esistenza quale fatto: è necessario piuttosto che lo
Stato si appropri del comportamento in questione[111] con
qualche atto di definitiva adozione[112]. Quale esempio di tale
appropriazione la Commissione cita il caso Eichmann. Il criminale nazista fu catturato “privatamente” nel 1960 a Buenos Aires
da un gruppo di israeliani che lo condussero in Israele dove fu
arrestato dalle autorità, processato e giustiziato. L’Argentina
protestò con Israele per la violazione della sua sovranità e
ottenne la costatazione del suo carattere internazionalmente
illecito da parte del Consiglio di sicurezza ONU[113], nonostante Israele non avesse ammesso di essere il mandante
dell’operazione, asserendo si fosse trattato di un gruppo di
“volontari privati”. Anche se fossero stati realmente dei privati,
4.5.4.
Il caso dei dati rubati
Come ricordato in precedenza, l’attività di assunzione di prove
od informazioni in territorio svizzero per un procedimento
estero è da considerare un atto che spetta ai poteri pubblici
e riservato quindi esclusivamente alle autorità svizzere.
L’assunzione di informazioni o prove in Svizzera – senza
l’assenso delle autorità svizzere – per una procedura di
tassazione estera è quindi certamente da considerare quale
comportamento atto a ledere la sovranità territoriale svizzera,
come lo era quello dell’ambasciata della Bosnia-Erzegovina a
Berna nel 1994[116]. La violazione della sovranità territoriale
è data anche se l’attività svolta in Svizzera non comporta
l’uso di coercizione alcuna, come nel caso dell’assunzione di
prove in Svizzera da parte di un avvocato per una procedura
australiana nel 1981[117] o nel caso della “gita” svizzera
della Commissione parlamentare italiana “Telekom-Serbia” nel
2003[118] , oppure se viene messa in atto tramite atti criminali, come nel caso della sorveglianza telefonica organizzata
dal Mossad in un immobile di Berna nel 1998[119].
Sia il furto di dati bancari o di altri dati coperti da segreti
commerciali svizzeri che la semplice trasmissione di tali dati
ad autorità estere sono perciò certamente atti lesivi della
sovranità territoriale svizzera.
Ciò è dimostrato anche dal fatto che tali atti ricadono nel
campo di applicazione dell’articolo 273 CP, che appunto tutela
la sovranità territoriale svizzera. Infatti è punibile per spionaggio economico non solo l’autore del furto di dati bancari
(articolo 273 capoverso 1 CP) ma anche colui che, senza aver
partecipato in alcun modo al furto dei dati, li rende accessibili ad
autorità estere (articolo 273 capoverso 2 CP)[120], e ciò anche
se ha agito all’estero[121]. Poco importa che i fatti coperti dal
27
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segreto costituiscano a loro volta un comportamento lecito od
illecito: è punibile per spionaggio economico anche chi denuncia
ad autorità estere (invece che ad autorità svizzere) atti di riciclaggio o contrabbando costatati in Svizzera[122].
Non si vede perché ciò che costituisce violazione della
sovranità svizzera non dovrebbe valere anche per altri Paesi.
Anche un furto di dati coperti da segreti commerciali di un
altro Paese o la trasmissione degli stessi ad autorità di Paesi
terzi vale quindi, di principio, come violazione della sovranità
territoriale di quel Paese[123].
Ciò sempre che tale Paese – come fa regolarmente la Svizzera –
abbia protestato per la violazione della propria sovranità: senza
una protesta, infatti, la lesione della sovranità potrebbe essere
ritenuta avvenuta col consenso del Paese in questione e perciò
perdere il suo carattere illecito[124].
Ma quando tali comportamenti lesivi della sovranità territoriale sono attribuibili ad uno Stato estero ai sensi del diritto
internazionale?
È ovvio che se il furto di dati è commesso direttamente da organi
di uno Stato estero, questo ne è responsabile ai sensi del diritto
internazionale (articolo 4 ARSIWA). Lo stesso vale per il furto
commesso da un privato che di fatto agisca su istruzioni o su
istigazione dello Stato estero (articolo 8 ARSIWA[125]). In tale
ultima ipotesi si potrebbe anche ritenere che lo Stato estero è
responsabile non solo in via derivata per l’agire del privato, ma
anche in via diretta per violazione del proprio obbligo internazionale di vigilanza[126] che gli impone di fare del suo meglio
(due diligence) per impedire attacchi alla sovranità territoriale
estera[127]: uno Stato che, al contrario, istiga pubblicamente al
furto di dati dichiarandosi preventivamente disposto all’acquisto
della refurtiva, ovviamente, non fa del suo meglio per evitare che
ciò accada[128].
Anche lo Stato estero che non ha partecipato all’originaria
acquisizione illecita dei dati ma è entrato in gioco in un secondo
momento può però vedersi attribuito il comportamento dei
privati che hanno rubato i dati. Ciò è certamente il caso di quello
Stato che ha pagato per ottenere i dati rubati. Concludendo
la compravendita dei dati lo Stato manifesta infatti la propria
volontà di appropriarsi degli stessi e perciò di fare proprio il comportamento di chi li ha rubati: tale compravendita è quell’atto
definitivo di adozione che permette di imputare ex post allo Stato
il comportamento del privato (articolo 11 ARSIWA)[129].
Ma l’acquisto a titolo oneroso dei dati rubati non è l’unico comportamento attivo che può comportare l’attribuzione della responsabilità
allo Stato: il semplice atto di utilizzarli per fondare una domanda di
assistenza amministrativa può essere considerato un definitivo atto
di adozione del comportamento del ladro dei dati.
Infatti, già il fatto di utilizzarli per un qualsiasi procedimento interno potrebbe essere considerato un atto di
riconoscimento e adozione[130]. A maggior ragione si deve
ritenere che uno Stato riconosce e adotta come proprio il
comportamento del ladro di dati se (consapevolmente) vi fonda
una domanda di assistenza amministrativa internazionale[131]:
lo Stato estero, in tal caso, non si limita a valutare tali dati rubati
come prove nell’ambito della sua attività giurisdizionale, ma
li usa lui stesso per fare valere dei diritti (previsti dai trattati di
cooperazione amministrativa) di ottenere assistenza da parte di
un altro Stato. Se, senza i dati rubati, la domanda di assistenza
amministrativa risulterebbe irricevibile perché costitutiva di una
fishing expedition, allora, necessariamente, lo Stato che ne fa uso
li fa propri, adottando come proprio anche il comportamento
illecito con il quale sono stati raccolti[132].
Il comportamento di uno Stato che utilizza i dati rubati in Svizzera
per una procedura di assistenza amministrativa internazionale è
perciò sempre e per definizione attivo, e poco importa quindi se
sia venuto in possesso di tali dati con un comportamento passivo[133], tramite una donazione dell’autore del furto, o tramite
i giornali cui l’autore del furto ha regalato o venduto i dati, o
ancora se tramite assistenza amministrativa di uno Stato terzo.
Ben difficilmente lo Stato che li utilizza potrà sostenere di
essere stato in buona fede e non consapevole della provenienza
illecita dei dati. Trattandosi di dati bancari o coperti da segreti
commerciali o industriali svizzeri non sono ovviamente normalmente a (lecita) disposizione di individui e giornali. Il fatto
poi che provengano da un terzo Stato mediante assistenza
amministrativa internazionale non ne esclude certo l’illiceità
della provenienza. Se tale terzo Stato li avesse ottenuti per leciti
canali di assistenza amministrativa dalla Svizzera gli sarebbe
comunque vietato dal diritto convenzionale ritrasmetterli ad altri
Stati senza il consenso svizzero[134]: lo Stato che li utilizza senza
verificare preventivamente l’esistenza di tale consenso svizzero
agisce quindi in mala fede, accettando la possibilità che siano di
provenienza illecita[135].
4.5.5.
Conseguenze sugli obblighi convenzionali di cooperazione
amministrativa
Rimane da domandarsi se un simile atto illecito internazionale
attribuibile ad uno Stato permetta alla Svizzera di rifiutare l’assistenza amministrativa richiesta da detto Stato e prevista da una
CDI, un TIEA o dalla Convenzione sull’assistenza amministrativa.
4.5.5.1.
Ex iniuria ius non oritur
La reazione istintiva del giurista è di rispondere affermativamente, in applicazione della massima ex iniura ius non oritur, che
– come principio generale secondo cui un atto illecito non può
essere fonte di vantaggi, utili o altri diritti per il suo autore – vige
certamente anche nel diritto internazionale[136], in quanto
espressione del principio di legalità, idea strutturante di ogni
ordinamento giuridico[137].
La massima ha un contenuto variegato e comprende diverse
regole in vari aspetti dei rapporti tra Stati, tra i quali quella tipica
del divieto dell’abuso di diritto secondo cui nessuno deve trarre
vantaggio dalla propria colpa (nemo ex propria turpitudine commodum capere potest)[138] o quella che impone allo Stato autore
di un atto illecito internazionale di eliminarne le conseguenze
ripristinando la situazione esistente prima della commissione
dell’atto[139]. La densità del principio ha comunque gradi variabili a seconda del caso specifico[140].
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Tipica applicazione della massima ex iniuria ius non oritur si ha
nell’ambito degli arresti illegali eseguiti mediante rapimento
dell’accusato o altri atti in violazione della sovranità territoriale estera: l’applicazione rigorosa della massima imporrebbe
sia di disconoscere la competenza dello Stato rapitore a processare il rapito (negando quindi validità alla massima talvolta
applicata male captus bene detentus) sia di negargli qualsiasi
cooperazione come l’estradizione (negando quindi validità
alla massima male captus bene deditus)[141]. Siccome, da un
punto di vista della violazione della sovranità territoriale, il
furto di dati può essere considerato il pendant del rapimento
internazionale[142] , i princìpi che valgono per quest’ultimo
sono applicabili anche al primo.
Da questo punto di vista, la posizione più rigidamente rispettosa
del diritto internazionale[143] è tradotta dalla prassi svizzera.
Il Tribunale federale ha riconosciuto che la massima di diritto
internazionale ex iniuria ius non oritur esiste ed è direttamente
applicabile in Svizzera, con la conseguenza che, se autorità
svizzere hanno rapito o tradotto in Svizzera con l’astuzia un
accusato in violazione della sovranità territoriale di uno Stato
estero, la persona in questione non può essere giudicata o
comunque detenuta in Svizzera[144]. In precedenza, il Tribunale
federale aveva già stabilito che in presenza di atti lesivi della
sovranità territoriale, la Svizzera non era tenuta ad estradare
verso lo Stato autore di tali atti un accusato, e ciò anche se la
sovranità territoriale lesa non era quella svizzera ma quella di
un terzo Stato[145].
Certo, in ambito internazionale non vi è consenso unanime su
questo rigido rispetto della sovranità altrui. La prassi di taluni
Stati riconosce talvolta la massima male captus bene detentus,
negando che il carattere illecito dell’arresto possa costituire
un impedimento a processare l’accusato, e ciò in particolare se
accusato di gravissimi crimini[146].
Tuttavia, anche se si può comprendere che uno Stato estero
che ha nelle sue mani una persona accusata di crimini gravissimi sia restio a rinunciare a processarlo a causa del carattere
illecito del suo arresto, ciò non può valere in ambito di cooperazione internazionale, quando cioè detto Stato estero che ha
violato la sovranità territoriale svizzera chieda assistenza alla
Svizzera[147].
Almeno nell’ambito dell’assistenza amministrativa in materia
fiscale, anche considerato che si tratta appunto di assistenza
amministrativa e che quindi non concerne per definizione
gravi crimini[148] , non può che valere la massima ex iniuria ius
non oritur [149].
Di conseguenza, nella procedura di assistenza amministrativa
lo Stato estero non deve trarre alcun vantaggio dai dati rubati,
dei quali va fatta in qualche modo astrazione[150]: se, senza
le informazioni provenienti dai dati rubati, la domanda di assistenza amministrativa risulterebbe un’illecita fishing expedition
allora va dichiarata irricevibile. La violazione del rispetto della
sovranità svizzera legittima quindi il rifiuto di adempiere ad un
obbligo di assistenza previsto dal diritto internazionale convenzionale e può essere invocata dalla persona toccata per opporsi
a tale richiesta assistenza[151].
Lo stesso vale nel caso la sovranità territoriale violata sia
quella di uno Stato terzo (che abbia per ciò protestato), per
evitare che la Svizzera si renda complice di tale violazione del
diritto internazionale[152].
4.5.5.2.
Obblighi di riparazione e contromisure
Anche se si volessero disconoscere tali effetti della massima
sopraccitata, la conclusione sarebbe la stessa. Infatti, la violazione del diritto internazionale costituita dal mancato rispetto
della sovranità territoriale rimarrebbe tale e comporterebbe
comunque la responsabilità internazionale dello Stato cui è
attribuibile il comportamento illecito, e quindi l’obbligo per
quest’ultimo di cessare l’atto illecito (articolo 30 ARSIWA) e
quello di ripararne le conseguenze (articolo 31 ARSIWA).
L’obbligo di riparazione comporta innanzitutto la restituzione
in forma specifica, cioè il ripristino della situazione esistente
prima della commissione dell’atto illecito, nella misura in cui
ciò sia ancora possibile e non appaia sproporzionato (articolo
35 ARSIWA). In fin dei conti, tale obbligo è ancora una volta
l’espressione della regola generale derivante dalla massima ex
iniuria ius non oritur che impone allo Stato autore di un atto
illecito internazionale di eliminarne le conseguenze ripristinando la situazione che sarebbe esistita senza la commissione
dell’atto[153].
La forma della restituzione può essere materiale o giuridica.
Nella sua forma materiale comprende ad esempio la liberazione e riconsegna di persone arrestate illecitamente o la
restituzione di beni o documenti sequestrati illecitamente[154].
Nella sua forma giuridica può comportare l’annullamento di
una disposizione legislativa o di una decisione giudiziaria alla
base dell’atto illecito internazionale[155]. Ad esempio, la Corte
internazionale di Giustizia ha ordinato al Belgio di annullare
un ordine di arresto di un ministro del Congo emanato in
violazione del diritto internazionale[156]; in un altro caso
ha ordinato all’Italia di annullare e privare di qualsiasi effetto
delle sentenze lesive dell’immunità giurisdizionale della
Germania[157].
Applicando tali princìpi al caso dei dati rubati, la Svizzera ha
quindi il diritto di pretendere dallo Stato estero la restituzione
materiale di tutti i dati rubati (e di tutte le copie) in suo
possesso; poiché, come visto in precedenza, è però anche il
loro utilizzo in una procedura di assistenza amministrativa a
costituire violazione della sovranità svizzera ed a causarne
l’attribuzione allo Stato estero, la Svizzera ha anche il diritto
di pretendere che questo non ne faccia appunto uso per una
domanda di assistenza. Solo in tal modo vengono eliminate
le conseguenze dell’atto illecito internazionale e ripristinata
la situazione esistente prima della commissione dell’atto
illecito: se la domanda dello Stato estero – senza i dati rubati
– non è che una fishing expedition non comporterà alcun
obbligo di assistenza.
È ciò che del resto si è avverato nel caso dei dati rubati alla
HSBC di Ginevra, che la Francia si è, dopo proteste svizzere,
impegnata a non più utilizzare per fondare domande di assistenza amministrativa alla Svizzera[158].
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Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Per indurre lo Stato estero ad adempiere i citati obblighi di
restituzione ed astensione, la Svizzera può adottare contromisure adeguate, temporaneamente violando a sua volta obblighi
internazionali che avrebbe nei confronti dello Stato estero (articolo 49 ARSIWA). La Svizzera può dunque temporaneamente
rifiutarsi di adempiere[159] gli obblighi di assistenza esistenti
in virtù di una CDI, un TIEA o della Convenzione sull’assistenza
amministrativa fondandosi sulla responsabilità internazionale
degli Stati ed a prescindere dalle regole sul diritto dei trattati
(articolo 60 CV); infatti l’articolo 73 CV riserva appunto le regole
sulla responsabilità internazionale. La violazione di un obbligo
del diritto internazionale generale legittima lo Stato leso a
rifiutarsi di adempiere verso lo Stato autore dell’atto illecito
qualsiasi obbligazione, sia essa prevista dal diritto internazionale
generale o da qualsiasi trattato, senza che sia necessaria né una
particolare gravità della violazione né l’esistenza di un rapporto
sinallagmatico tra le reciproche obbligazioni in questione[160].
4.6.
Principio della buona fede tra Stati
L’argomento attualmente più utilizzato dalla dottrina e dalle
autorità svizzere per giustificare l’irricevibilità della domanda di
assistenza ex articolo 7 lettera c LAAF è quello del rispetto del
principio della buona fede tra Stati.
In effetti, è generalmente riconosciuto sia dalla dottrina sia
dalla giurisprudenza internazionale che uno dei principi generali
del diritto internazionale (che l’articolo 38 dello statuto della
Corte internazionale di Giustizia indica tra le fonti del diritto
internazionale) è quello della buona fede tra Stati. Si tratta di
un principio fondamentale alla base di ogni sistema giuridico,
e perciò anche alla base dei reciproci rapporti tra Stati membri
della Comunità internazionale[161]. Il principio trova poi applicazione in particolare nell’ambito dell’applicazione dei trattati
(articoli 26 e 31 CV).
Quanto al contenuto, il principio comporta per gli Stati
contraenti di una convenzione internazionale un obbligo di
astenersi così come un obbligo di agire. Innanzitutto uno Stato
contraente ha l’obbligo di astenersi dal mentire e dal ricorrere
ad astuzia o macchinazioni per imbrogliare la controparte; ciò
significa che vìola il principio della buona fede lo Stato che,
rivolgendosi ad un altro Stato, usa delle menzogne o tiene un
comportamento ambiguo che potrebbe indurre in errore la
controparte[162]. Vige naturalmente la presunzione che uno
Stato contraente rispetti tale suo dovere di astensione[163].
Ma allo Stato può anche competere un obbligo di agire, ad
esempio l’obbligo di comunicare alla controparte quei fatti
importanti che questa non dovesse conoscere, in particolare
nel caso in cui la controparte non sia in grado di venirne autonomamente a conoscenza[164]. Il principio vieta inoltre alle
Parti ad un trattato comportamenti tesi ad eludere il senso e lo
scopo del trattato stesso[165].
Ci si potrebbe chiedere se il principio della buona fede tra
Stati faccia parte dello ius cogens internazionale. A ragione, la
maggior parte della dottrina internazionale lo ammette[166];
considerato il riconoscimento del suo carattere cogente in
vari atti e trattati fondamentali come, ad esempio, nel preambolo CV, visto che si tratta di un principio essenziale ed
inerente alla nozione stessa di diritto internazionale, e proprio
perché il principio della buona fede è principio fondamentale
per l’interpretazione stessa dei trattati, non si vede come
potrebbe mai una disposizione convenzionale derogare al
principio stesso[167]. È probabilmente per tutti questi motivi
che il Tribunale federale ha riconosciuto implicitamente al
principio della buona fede il carattere di ius cogens internazionale, permettendo ad una persona oggetto di una domanda
d’estradizione di prevalersene per opporsi all’estradizione, pur
prevista da una convenzione internazionale[168].
Nell’ambito dell’assistenza amministrativa in materia fiscale,
le autorità svizzere hanno sempre sostenuto che lo Stato
estero che acquista dati bancari rubati in Svizzera pur avendo
sottoscritto una CDI con il nostro Paese[169] , o li utilizza per
fondare una domanda di assistenza amministrativa[170] , vìola
il principio internazionale della buona fede. In effetti, se due
Stati hanno concluso un trattato per regolare le condizioni
della reciproca collaborazione in materia amministrativa, si
deve ritenere che essi debbano attenersi obbligatoriamente
ed esclusivamente a tale via per assumere informazioni e
prove, astenendosi quindi dal ricorrere ad altri mezzi, come
l’uso di dati rubati[171]. Lo Stato che ricorre ad altre vie elude
dunque il senso e lo scopo del trattato.
L’idea soggiacente (e convincente) è che un trattato di cooperazione internazionale per l’assunzione di informazioni o prove
abbia sempre carattere obbligatorio rispettivamente esclusivo. Simile convinzione è stata espressa dalla Svizzera anche
in altri ambiti della cooperazione internazionale, come ad
esempio nella dichiarazione sull’articolo 1 della Convenzione
dell’Aja sull’assunzione all’estero delle prove in materia civile o
commerciale del 1970. In tale ambito civilistico, detta opinione
sembra del resto essere condivisa dai Paesi di diritto continentale (tra i quali, ad esempio, i Paesi membri dell’UE, inclusa la
Germania)[172] al contrario di quelli di common law[173].
Oltre a ciò, vi è un secondo aspetto che può essere considerato un’elusione del trattato. Sia le CDI che i TIEA che la
Convenzione sull’assistenza amministrativa prevedono che
l’assistenza debba essere concessa solo le se informazioni
appaiono verosimilmente rilevanti per chiarire la posizione
fiscale di un contribuente ed hanno perciò lo scopo di vietare
le fishing expedition[174]. Tale divieto è però eluso da quello
Stato che utilizza dei dati bancari rubati, grazie ai quali può
trasformare un’irricevibile domanda generica qualificabile
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
come ricerca indiscriminata di prove in una domanda circostanziata su persone o gruppi di persone ricevibile.
L’uso dei dati rubati per fondare una domanda di assistenza
costituisce perciò anche una violazione del principio internazionale della buona fede tra Stati.
Poiché si tratta di una norma dello ius cogens internazionale
prevale sull’obbligo di fornire assistenza previsto da una CDI,
un TIEA o dalla Convenzione sull’assistenza amministrativa,
e permette quindi alla Svizzera di rifiutare detta assistenza
ed alla persona toccata di opporvisi[175] , a prescindere dai
normali meccanismi sanzionanti l’inadempienza dei trattati
internazionali (articolo 60 CV).
Comunque, la citata violazione del principio di buona fede
costituirebbe anche una sostanziale violazione di una CDI,
un TIEA o della Convenzione sull’assistenza amministrativa
legittimante la Svizzera a sospendere, completamente o parzialmente, l’applicazione di tali norme convenzionali (articolo
60 paragrafo 1 CV)[176].
5.
Modifica legislativa proposta
Il 10 giugno 2016 il Consiglio federale ha approvato il
Messaggio su di un progetto di legge tendente a modificare
come segue l’articolo 7 lettera c LAAF:
“Non si entra nel merito della domanda se:
[...]
c. vìola il principio della buona fede, in particolare se si fonda su
informazioni che lo Stato richiedente ha ottenuto:
1. in seguito a reati secondo il diritto svizzero,
2. al di fuori di una procedura di assistenza amministrativa, e
3. mediante un comportamento attivo”.
5.1.
Nuove condizioni cumulative
Salta agli occhi che la novità proposta costituirebbe una rottura netta con la prassi svizzera attuale: sarebbe di principio
permesso l’uso di dati rubati per fondare una domanda di
assistenza amministrativa alla Svizzera.
Infatti, verrebbero introdotte due nuove condizioni cumulative
per ritenere irricevibile la domanda di assistenza. L’irricevibilità
sarebbe data unicamente se (i) lo Stato richiedente si basa su
dati rubati che ha ottenuto con un comportamento attivo e
(ii) se non ha ottenuto tali dati nel quadro di una procedura di
assistenza amministrativa[177].
Da un lato viene dunque introdotta una distinzione tra comportamento attivo e passivo dello Stato richiedente. Sarebbe
attivo unicamente quello Stato che ha esso stesso preso
misure per entrare in possesso dei dati o se ha ottenuto i dati
offerti da terzi contro dei vantaggi. Sarebbe invece passivo
il comportamento dello Stato che accetti semplicemente i
dati senza offrire incentivi o vantaggi, oppure li ricavi da fonti
accessibili al pubblico come ad esempio dai media[178].
Dall’altro, anche se si potesse dimostrare un comportamento
attivo da parte dello Stato richiedente, sarebbe possibile
entrare nel merito di una domanda se lo Stato richiedente
ha ricevuto i dati, ottenuti mediante reati secondo il diritto
svizzero, nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa da uno Stato terzo[179]. La procedura di assistenza
amministrativa da parte di uno Stato terzo avrebbe quindi
un effetto sanatorio di qualsiasi comportamento (anche
attivo) tenuto dallo Stato richiedente, anche se questo avesse
ad esempio pubblicamente istigato il furto dei dati bancari
svizzeri, poi rivenduti dal ladro ad uno Stato terzo.
5.2.
Motivazioni
Secondo il Consiglio federale, la modifica proposta avrebbe lo
scopo di rispondere alle critiche avanzate dalla maggioranza
dei Paesi del Forum globale sulla trasparenza e sullo scambio
di informazioni a fini fiscali (di seguito Global Forum), che
ritengono il rifiuto della Svizzera di fornire assistenza in caso
di dati rubati una prassi troppo restrittiva e probabilmente
non conforme allo standard OCSE. Ciò in vista dell’esame della
prassi svizzera che avverrà nella seconda metà del 2018:
scopo della modifica sarebbe quindi di evitare che la Svizzera
ottenga una brutta nota a tale esame, vale a dire una valutazione solo di “parziale conformità” allo standard[180].
Inoltre il Consiglio federale intende così venire incontro ai
rimproveri di importanti Stati membri del G20, come l’India,
che hanno presentato molte domande di assistenza amministrativa fondate sulla lista di clienti della HSBC (cosiddetta
lista Falciani) fornitagli tramite assistenza amministrativa
dalla Francia, e che non comprendono perché queste non
vengano evase dalla Svizzera[181].
Infine la modifica sarebbe dettata anche da motivi giuridici. Secondo il Consiglio federale, se uno Stato riceve
informazioni, originariamente ottenute illegalmente, nel
quadro di una procedura di assistenza amministrativa e
basa la sua domanda su queste informazioni allora è difficile
considerarla una violazione del principio della buona fede
internazionale [182].
5.3.
Critica
La proposta modifica è criticabile sotto molti punti di vista
ed è auspicabile che non venga accettata dal Parlamento.
In primo luogo, è incoerente. Già al momento dell’adozione
della LAAF nel 2012 il Parlamento aveva respinto con una
chiarissima maggioranza una proposta di stralciare l’articolo
7 lettera c LAAF[183].
Nel 2013 il Consiglio federale aveva messo in consultazione
una modifica dell’articolo 7 lettera c LAAF che, similmente
a quella oggi proposta, differenziava tra un comportamento
attivo o passivo dello Stato richiedente; la proposta era poi
stata ritirata viste le aspre critiche emerse dalla procedura di
consultazione[184]. La proposta era poi riapparsa in forma
leggermente modificata in sede di dibattito parlamentare ed
il Parlamento l’aveva respinta, sempre con una chiarissima
maggioranza[185].
31
32
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Infine, nel 2014, il Parlamento ha esteso la punibilità della fattispecie di violazione del segreto bancario (articolo 47 LBCR)
anche ai terzi che diffondono le informazioni, inasprendo
inoltre le pene[186]. Causa della revisione è stato appunto
il fenomeno dei diversi casi di impiegati di banca che hanno
venduto dati bancari a terzi, in particolare ad autorità fiscali
straniere. Scopo della revisione era di aumentare l’effetto
dissuasivo della sanzione a tutela dei dati bancari[187].
Negli ultimi tre anni la modifica della prassi svizzera in
materia di dati rubati è quindi stata respinta a grande maggioranza dal Parlamento, che al contrario ha recentemente
inasprito le norme penali sulla violazione del segreto bancario. Modificare oggi tale prassi significherebbe incentivare il
furto dei dati bancari e negare qualsiasi coerenza e stabilità
all’azione di Parlamento e Governo, dai quali i cittadini
possono legittimamente aspettarsi che si attengano alle
decisioni di politica legislativa per almeno qualche anno.
In secondo luogo è sbagliata giuridicamente. Come è
stato dimostrato in precedenza, il rifiuto di dare seguito a
domande di assistenza amministrativa fondate su dati rubati
trova giustificazione in una corretta applicazione del diritto
internazionale, ed in particolare del principio del rispetto
della sovranità territoriale e del principio della buona fede.
Dal punto di vista del rispetto della sovranità territoriale
svizzera, che lo Stato estero abbia avuto un comportamento
attivo o passivo per l’acquisizione dei dati rubati non ha
alcuna rilevanza. Rilevante è piuttosto l’utilizzo consapevole
dei dati rubati per una procedura di assistenza amministrativa internazionale, per rivendicare dalla Svizzera un diritto
all’assistenza amministrativa previsto da un trattato: lo Stato
richiedente adotta così come proprio anche il comportamento illecito con il quale sono stati raccolti i dati. Un tale
utilizzo dei dati rubati è sempre e per definizione un comportamento attivo, e poco importa quindi se l’acquisizione
degli stessi è avvenuta tramite una donazione dell’autore del
furto, o tramite i media o assistenza amministrativa di uno
Stato terzo[188]. Proprio perché la sovranità territoriale violata è quella svizzera, la trasmissione da parte di uno Stato
terzo mediante assistenza amministrativa dei dati rubati è
ovviamente irrilevante: solo un’eventuale trasmissione dei
dati dalla Svizzera mediante assistenza amministrativa ne
garantisce la legittimità.
Analoghe considerazioni valgono anche esaminando la
questione dal punto di vista del principio della buona fede.
Il fatto stesso di accettare (anche passivamente) i dati rubati
ed utilizzarli costituisce un’elusione delle CDI, TIEA e della
Convenzione sull’assistenza amministrativa[189]. Né può lo
Stato richiedente dichiararsi in buona fede per il solo motivo
di avere ricevuto i dati tramite assistenza amministrativa da
uno Stato terzo. Se tale terzo Stato li avesse ottenuti per
leciti canali di assistenza amministrativa dalla Svizzera gli
sarebbe comunque vietato dal diritto convenzionale ritrasmetterli ad altri Stati senza il consenso svizzero: lo Stato
richiedente che li utilizza senza verificare preventivamente
l’esistenza di tale consenso svizzero agisce quindi comunque
in mala fede[190].
Visto che il diritto internazionale generale giustifica il rifiuto
di dare seguito a domande di assistenza amministrativa fondate su dati rubati, non c’è standard OCSE che possa privare
la Svizzera di tale diritto: gli standard sono solo soft law è non
possono quindi annichilire il diritto internazionale pubblico
vigente.
In terzo luogo, è totalmente inutile. Anche cambiando la
legge interna (articolo 7 lettera c LAAF) la prassi svizzera
non cambierà. Infatti, come visto, il fondamento del rifiuto
di collaborare in caso di dati rubati è ancorato nel diritto
internazionale generale. La persona toccata dalla richiesta di
assistenza amministrativa potrebbe direttamente invocare
in sede giudiziaria la violazione del principio di sovranità
e/o quello della buona fede per opporsi alla concessione
dell’assistenza[191] , anche se l’articolo 7 lettera c LAAF fosse
completamente abrogato.
Infine, la proposta di modifica appare sproporzionata. Il fine
perseguito dal Consiglio federale è infatti quello di evitare
una brutta valutazione da parte del Global Forum nell’ambito
della seconda fase della Peer Review della Svizzera, ove verrà
complessivamente valutato se la prassi svizzera è conforme
allo standard OCSE. Ma anche il Liechtenstein aveva un simile
problema, prevedendo la sua legislazione una disposizione
analoga all’articolo 7 lettera c LAAF; disposizione che viene
applicata rigorosamente, visto che il 40% delle domande
di assistenza a tale Paese è bloccato per tale motivo[192].
Ciononostante il Liechtenstein ha ottenuto una brillante
valutazione: “ampiamente conforme” allo standard[193]. Ciò che
è riuscito al Liechtenstein è quindi probabile che riuscirà anche
alla Svizzera, senza necessità di modificare alcunché[194].
6.
Conclusione
Il rifiuto della Svizzera di concedere assistenza amministrativa
fiscale se la domanda estera si fonda su dati rubati trova la sua
giustificazione più profonda nel diritto internazionale generale.
Tale rifiuto è innanzitutto la necessaria conseguenza della
massima ex iniuria ius non oritur, che altro non è che l’espressione del principio di legalità, che è (e deve essere) alla base di
ogni ordinamento giuridico (che altrimenti appunto giuridico
non è), e quindi vale anche a livello internazionale. Rinunciare
a tale principio significa affermare che il diritto internazionale
pubblico non esiste e che i rapporti tra Stati si reggono soltanto sulla legge della giungla.
Ma il rifiuto è anche necessaria espressione di un legittimo intento di tutela della sovranità svizzera. Concedere
assistenza amministrativa in caso di dati rubati significa
rinunciare alla propria sovranità territoriale. E uno Stato privo
di sovranità territoriale non corrisponde neanche più alla
definizione di Stato.
Se è vero che l’ONU è fondata sul principio della sovrana
eguaglianza di tutti i suoi membri, allora nessun altro Stato o
gremio di funzionari intergovernativi può imporre alla Svizzera
di rinunciare a essere uno Stato e ad applicare il diritto internazionale generale.
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.lapresse.it/sites/default/files/styles/737x415/public/damiel_
images/computertastiera1.jpg?itok=_mlDmEhd [30.06.2016]
https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Sergio_Catilina#/media/File:MaccariCicero.jpg [30.06.2016]
http://w w w.laregione.ch/sites/default/f iles/uploads/f iles/2016/04/
TiPress_201763-2.jpg [30.06.2016]
http://www.corrierecaserta.it/wp-content/uploads/2016/04/hacker.jpg
[30.06.2016]
http://th.soldiblog.it/Rf55XqE3tUbhl3tI_vnO9vATjmU=/fit-in/655xorig/
http://media.soldiblog.it/a/adc/GettyImages-85525806.jpg [30.06.2016]
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http://w w w.v f w-project.com/wp-content/uploads/2015/06/onu.jpg
[30.06.2016]
http://media.tio.ch/files/images/4bhj/l_43gu.jpg?v=1 [30.06.2016]
[1] Scheller Stefano, Manuale sullo scambio di informazioni in materia fiscale, Manno 2015, pagina 173.
[2]DTF 141 II 436 consid. 4.4.3; Sentenza TF n.
2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata a pubblicazione, consid. 2.1.1; OCSE, Modèle
de convention fiscale concernant le revenu et la
fortune: Version abrégée 2014, Parigi 2014, Commentaires sur l’article 26 (citato: Commentario
Art. 26 M-OCSE), n. 5 pagina 449; Naef Francesco/
Neuroni Naef Elena, Sur l’inconstitutionnalité de
l’échange automatique de renseignements, in:
Jusletter 7 dicembre 2015, nm. 50-60.
[3] Sentenza TF n. 2C_963/2014 del 24 settembre
2015 consid. 6.1.1 a contrario, non pubblicato alla
DTF 141 II 436; Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 8.1
pagina 454; Naef Francesco/Neuroni Naef Elena, op.
cit., nm. 52, 58; Scheller Stefano, op. cit., pagina 68;
Schoder Charlotte, Praxiskommentar StAhiG, Zurigo
2014, N 63 ad Art. 6 LAAF.
[4] Articolo 6 capoverso 2 LAAF; Commentario Art.
26 M-OCSE, n. 5.1 pagina 450; Scheller Stefano, op.
cit., pagina 70.
[5]Articolo 2 capoverso 1 OAAF; Commentario
Art. 26 M-OCSE, n. 5.2 pagina 450; Naef Francesco/
Neuroni Naef Elena, op. cit., nm. 61-72; Scheller Stefano, op. cit., pagina 71.
[6] Foglio federale 2015 7949.
[7] Cfr. l’elencazione esemplificativa fatta da Scheller Stefano, op. cit., pagina 184 nota 1084.
[8]
Cfr. il seguente link: http://www.spiegel.de/
wirtschaft/soziales/nordrhein-westfalen-kauft-steuercd-fuer-fuenf-millionen-euro-a-1060391.html
[30.06.2016].
[9] Tirelli Ludovic, Le vol de données bancaires, in:
Expert Focus 2015, pagina 1009; Eicker Andreas, Zur
Strafbarkeit des Kopierens und Verkaufens sowie
des Ankaufens von Bankkundendaten als schweizerisch-deutsches Tatgeschehen, in: Jusletter 30.
August 2010, nm. 5.
[10]Tirelli Ludovic, op. cit., pagina 1010; Eicker
Andreas, op. cit., nm. 7.
[11] Sentenza TPF n. SK.2014.46 del 27 novembre
2015 consid. 2; Tirelli Ludovic, op. cit., pagina 1010;
Eicker Andreas, op. cit., nm. 12.
[12]Sentenze TPF n. SK.2011.21 dell’11 dicembre
2011 consid. 9 e n. SK.2014.46 del 27 novembre
2015 consid. 3; Eicker Andreas, op. cit., nm. 12.
[13] DTF 141 IV 155 consid. 4.3.1.
[14]DTF 141 IV 155 consid. 4.3.1; Delnon Vera/
Niggli Marcel Alexander, Verkaufen und Kaufen
von strafbar erlangten Bankkundendaten durch
ausländische Behörden als schweizerisch-deutsches
Tatgeschehen, in: Jusletter 8. November 2010, nm. 4.
[15]Messaggio del Consiglio federale n. 11.044 a
sostegno di una legge sull’assistenza amministrativa fiscale del 6 luglio 2011 (citato: Messaggio n.
11.044), in: Foglio federale 2011 5587, pagina 5602.
[16]Wyss Rudolf, Illegal beschaffte Daten –
eine Grundlage für internationale Amts- und
Strafrechtshilfe in Fiskalsachen?, in: AJP/PJA 2011,
pagine 734-735; cfr. anche il dibattito al Consiglio
nazionale sulle susseguenti modifiche della LAAF
del 2013, Votum Darbelley Christophe, Bollettino
ufficiale del Consiglio nazionale 2013, pagina 2189:
“[...] Wir sind einfach dagegen, dass gestohlene Daten,
ganz gleich, ob sie direkt oder indirekt gestohlen worden
sind, für die Amtshilfe verwendet werden. Das ist für uns
und für einen Rechtsstaat nicht akzeptabel. Das ist die
klare Meinung der Kommissionsmehrheit”.
[17]Messaggio n. 11.044, pagina 5602: “[...] li trasmette o vende a uno Stato [...]”; Wyss Rudolf, op. cit.,
pagina 734.
[18]Holenstein Daniel, in: Zweifel Martin/Beusch
Michael/Matteotti René (a cura di), Internationales Steuerrecht, Basilea 2015, N 302-303 ad Art. 26
M-OCSE.
[19]Rapporto esplicativo sull’Avamprogetto di
modifica della legge sull’assistenza amministrativa
33
34
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
fiscale del 14 agosto 2013, pagina 5; Rapporto esplicativo concernente l’avamprogetto di modifica della
legge sull’assistenza amministrativa fiscale (dati
rubati) del 2 settembre 2015, pagina 3.
[20] Ad esempio, sentenze TAF n. A-6843/2014 del
15 settembre 2015 consid. 7.6 e n. A-6849/2014 del
22 ottobre 2015 consid. 6, impugnate davanti al Tribunale federale.
[21] Il chiaro testo dell’articolo 1 capoverso 1 LAAF
ed i lavori preparatori (Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2012, pagine 87-89) dimostrano
che la LAAF è una semplice legge di applicazione
di trattati e che non può quindi valere quale base
legale per concedere assistenza amministrativa in
assenza di un trattato, Schoder Charlotte, op. cit., N
2 ad Art. 1 LAAF; Opel Andrea, Neuausrichtung der
schweizerischen Abkommenspolitik in Steuersachen: Amtshilfe nach dem OECD-Standard, Berna
2015 (citato: Neuausrichtung der schweizerischen
Abkommenspolitik), pagina 267.
[22] Che preveda una clausola conforme all’articolo
26 paragrafo 1 M-OCSE: “Les autorités compétentes
des États contractants échangent les renseignements
vraisemblablement pertinents pour appliquer les
dispositions de la présente Convention ou pour l’administration ou l’application de la législation interne
relative aux impôts de toute nature ou dénomination
perçus pour le compte des États contractants, de leurs
subdivisions politiques ou de leurs collectivités locales
dans la mesure où l’imposition qu’elle prévoit n’est pas
contraire à la Convention”.
[23] Che preveda una clausola conforme all’articolo 1 M-TIEA: “Les autorités compétentes des parties
contractantes s’accordent une assistance par l’échange
de renseignements vraisemblablement pertinents pour
l’administration et l’application de la législation interne des parties contractantes relative aux impôts visés
par le présent Accord. Ces renseignements sont ceux
vraisemblablement pertinents pour la détermination,
l’établissement et la perception de ces impôts, pour le
recouvrement et l’exécution des créances fiscales ou
pour les enquêtes ou poursuites en matière fiscale”.
[24] Che nel suo articolo 4 paragrafo 1 dispone: “Le
Parti scambiano, in particolare come previsto dalla presente sezione, le informazioni che sono verosimilmente
rilevanti per l’amministrazione o l’applicazione delle loro
legislazioni interne relative alle imposte considerate nella presente Convenzione”.
[25] Come appunto sostiene il Messaggio n. 11.044,
pagina 5602.
[26] Messaggio n. 11.044, pagina 5590.
[27]Corte internazionale di Giustizia, Applicabilité
de l’obligation d’arbitrage en vertu de la section 21
de l’accord du 26 juin 1947 relatif au siège de l’Organisation des Nations Unies, Parere del 26 aprile 1988,
C.I.J. Recueil 1988, pagine 34-35; Dailler Patrick/
Forteau Mathias/Pellet Alain, Droit international
public, Parigi 2009, n. 49 pagina 109, n. 178 pagina
304; Peters Anne, Völkerrecht, Zurigo 2012, nm. 29
pagina 209; Besson Samantha, Droit international public, Berna 2013, pagina 260; Grisanti Luca, Il
conflitto tra diritto interno e diritto internazionale
pubblico con particolare attenzione all’ambito applicativo dell’Accordo sulla libera circolazione delle
persone, in: RtiD II-2007, pagine 249-250.
[28]DTF 139 I 16 consid. 5.1 con riferimenti; DTF
125 II 417 consid. 4d.
[29]Cfr. in ambito di estradizione DTF 122 II 485
consid. 3.
[30] DTF 99 Ib 39.
[31]Uno Stato può sì emanare leggi che a livello
interno prevalgono sul diritto internazionale anche
se non sono conformi a quest’ultimo, ma in tal caso
incorre in una violazione del diritto internazionale che fonda la responsabilità internazionale dello
Stato e il suo obbligo di ristabilire una situazione
conforme al diritto internazionale, cfr. Consiglio
federale, Rapporto “La relazione tra il diritto internazionale e il diritto nazionale” del 5 marzo 2010, in:
Foglio federale 2010, pagina 2038; Grisanti Luca, op.
cit., pagina 252.
[32] Sentenza TF n. 2C_716/2014 del 26 novembre
2015 consid. 3.2 destinato a pubblicazione; DTF 133
V 367 consid. 11.4, 125 II 417 consid. 4d; Grisanti
Luca, op. cit., pagine 253-271.
[33]Così esplicitamente il Messaggio n. 11.044,
pagina 5602.
[34]Alla medesima conclusione, ma con diversa motivazione, giunge Opel Andrea, Wider die
Amtshilfe bei Datenklau: Gestohlene Daten sind
gestohlene Daten (citato: Gestohlene Daten), in:
Jusletter 23. November 2015, nm. 21.
[35]Analogamente a quanto stabilito dalla giurisprudenza in ambito di assistenza giudiziaria in
materia penale, DTF 112 Ib 576 consid. 11b; Opel
Andrea, Gestohlene Daten, nm. 31.
[36] Scheller Stefano, op. cit., pagine 85-86.
[37]Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 17 pagina 463; OCSE/Consiglio d’Europa, La Convention
multilatérale concernant l’assistance administrative mutuelle en matière fiscale: Amendée par le
Protocole de 2010, Parigi 2011, Commentaires sur
l’article 21, n. 182 pagina 82; OCSE, Modèle d’ accord
sur l’échange de renseignements en matière fiscale,
Commentaires sur l’article 7, n. 71; Scheller Stefano,
op. cit., pagina 81; Opel Andrea, Neuausrichtung der
schweizerischen Abkommenspolitik, pagina 428.
[38] Sentenza TAF n. A-6843/2014 del 15 settembre 2015 consid. 7.4.1, oggetto di impugnazione
pendente al Tribunale federale.
[39] Micheli François Roger, Assistance administrative internationale en matière fiscale et données
volées, in: The IFA’s Wealth Gram, vol. II, n. 20 – septembre 2013, n. 12 pagina 4; cfr. anche sul tema
dell’uso di dati rubati nella procedura amministrativa
svizzera, Micheli François Roger/Robert ChristianNils, Documents volés et dénonciations fiscales, in:
Jusletter 19 novembre 2012, nm. 6-54.
[40]Parere del Consiglio federale del 16 maggio 2012 sull’interpellanza n. 12.3302 Luzi Stamm
“Impiego nelle procedure fiscali di dati bancari rubati” che chiedeva tra l’altro: “È garantito che sul nostro
territorio nazionale le autorità fiscali svizzere non possono basarsi su informazioni o dati acquisiti in modo
illegale secondo il diritto svizzero nelle procedure di
imposizione o di sottrazione d’imposta?”.
[41]Sentenza TF n. 2C_514/2007 del 2 ottobre
2007, consid. 3.
[42] In tal senso Scheller Stefano, op. cit., pagine
85-86.
[43] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 22.
[44] Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 14.1 pagina 461.
[45] Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 15.2 pagina 462.
[46] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 22.
[47] Scheller Stefano, op. cit., pagine 82-83.
[48] Sentenza TAF n. A-6843/2014 del 15 settembre 2015 consid. 7.4.2, oggetto di impugnazione
pendente al Tribunale federale.
[49] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 22.
[50]Ad esempio in Italia, cfr. Armella Sara, Liste
Falciani e Vaduz: la Corte di Cassazione italiana
conferma gli accertamenti, in: NF 3/2016, pagina
25 e seguenti; per una panoramica delle soluzioni
giurisprudenziali vigenti in alcuni Paesi europei cfr.
Micheli François Roger/Robert Christian-Nils, op.
cit., nm. 89-136.
[51]Corte internazionale di Giustizia, Certaines
questions concernant l’entraide judiciaire en matière
pénale (Djibouti c. France), sentenza del 4 giugno
2008, C.I.J. Recueil 2008, pagina 229.
[52]Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 19.5 pagina 465; cfr. anche OCSE/Consiglio d’Europa, La
Convention multilatérale, op. cit., Commentaires
sur l’article 21, n. 196 pagina 86, e OCSE, Modèle
d’ accord sur l’échange de renseignements en
matière fiscale, Commentaires sur l’article 7, n. 91.
[53]Commentario Art. 26 M-OCSE, Introduction,
n. 29 pagina 15; Scheller Stefano, op. cit., pagina 38;
Opel Andrea, Neuausrichtung der schweizerischen
Abkommenspolitik, pagina 20; Matteotti René/
Krenger Nicole Elischa, in: Zweifel Martin/Beusch
Michael/Matteotti René (a cura di), Kommentar
zum Internationalen Steuerrecht, Basilea 2015, N
159 ad Einleitung.
[54] Sentenza TF n. 2C_1174/2014 del 24 settembre
2015 destinata a pubblicazione consid. 2.1, sentenza
TF n. 2C_750/2013 del 9 ottobre 2014 consid. 2.2.4.
[55]Scheller Stefano, op. cit., pagine 38-39; Opel
Andrea, Neuausrichtung der schweizerischen
Abkommenspolitik, pagina 79; Matteotti René/
Krenger Nicole Elischa, op. cit., N 161 ad Einleitung;
Lang Michael, in: Danon Robert/Gutmann Daniel/
Oberson Xavier/Pistone Pasquale (a cura di), Modèle
de Convention fiscale OCDE concernant le revenu et
la fortune, Commentaire, Basilea 2014, N 1 ad Art. 3
M-OCSE; Schönfeld Jens/Häck Nils, in: Schönfeld Jens/
Ditz Xaver (a cura di), Doppelbesteuerungsabkommen, Kommentar, Colonia 2013, Systematik der
Doppelbesteuerungsabkommen, n. 97.
[56]UFG, Demande d’assistance administrative
fondées sur des données volées, avis de droit du 23
février 2010, in: GAAC 2010.8, pagina 84.
[57]Parere del Consiglio federale del 16 maggio
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
2012 sull’interpellanza n. 12.3302 Luzi Stamm,
risposta 3: “Sin dalla primavera del 2010, nell’ambito
dei negoziati per la conclusione degli accordi per evitare la doppia imposizione, la Svizzera sottolinea che non
intende procedere a scambi di informazioni in caso di
domande fondate su dati acquisiti illegalmente”.
[58] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 23.
[59] Articolo 31 paragrafo 2 lettera a CV; Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique
sur les réserves aux traités, in: Rapport de la Commission du droit international, Documents officiels
de l’Assemblée générale des Nations Unies, Soixante-sixième session, Supplement n. 10 (A/66/10/
Add.1), New York 2012, Commentaire sur la directive 1.6.3 n. 2; Gardiner Richard, Treaty Interpretation,
Oxford 2015, pagina 107; Villiger Mark E., Commentary on the 1969 Vienna Convention on the Law
of Treaties, Leiden 2009, N 16 ad Art. 31 CV; Dailler
Patrick/Forteau Mathias/Pellet Alain, op. cit., n. 163,
165; Cottier Thomas/Pannatier Serge, Traités internationaux, IV, FJS 385, Ginevra 1995, pagina 9.
[60] Cfr. ad esempio il Decreto federale del 18 giugno 2010 autorizzante la ratifica dell’accordo di
modifica della CDI con la Francia, Raccolta ufficiale
2010 5681: “Articolo 3: Il Consiglio federale dichiara nei confronti del Governo della Repubblica Francese
che la Svizzera non concede l’assistenza amministrativa
in materia fiscale se la domanda si basa su dati acquisiti illegalmente e che in tal caso chiederà l’assistenza
giudiziaria. Il Consiglio federale si adopera per ottenere
una dichiarazione equivalente da parte del Governo della Repubblica Francese”; David Eugen, relatore della
Commissione del Consiglio degli Stati, in: Bollettino
ufficiale del Consiglio degli Stati 2010, pagina 273:
“Nun komme ich zu Artikel 1ter, bei dem es um die Frage
des Ordre public geht. Ich habe vorhin ausgeführt, dass
wir ausdrücklich verankert haben wollen, dass wir auf
der Basis gestohlener Daten keine Amtshilfe erteilen.
Wir wollen, dass der Bundesrat das den Vertragsstaaten mitteilt, und wir laden ihn auch ein, diesbezüglich
Konsens mit den Vertragsstaaten herbeizuführen, sei
es durch Briefwechsel oder mit anderen Mitteln. Ich
verweise insbesondere auf den Fall Frankreich”.
[61]
Sorel Jean-Marc/Bore-Eveno Valerie, in:
Corten Olivier/Klein Pierre (a cura di), The Vienna
Conventions on the Law of Treaties – A commentary, Oxford 2011, N 38 ad Art. 31 CV, pagina 823;
Benatar Marco, From probative value to authentic
interpretation: the legal effects of interpretative
declarations, in: Revue belge de droit international
2011, pagina 193.
[62] Non essendone noto il contenuto preciso non
si può escludere che si possa trattare di una dichiarazione unilaterale di altro tipo – di natura politica o
interna – come talvolta si riscontra nella prassi internazionale, cfr. Commissione di diritto internazionale,
Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op.
cit., Commentaire sur la directive 1.5; Gardiner
Richard, op. cit., pagina 101.
[63]Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit.,
Commentaire sur la directive 2.4.4, n. 6: “il va de soi
que seul peut être interprété un instrument existant et
que, dès lors, il n’est pas nécessaire de préciser que la
déclaration ne peut intervenir qu’une fois le texte de la
disposition du traité en cause définitivement adopté”;
Gardiner Richard, op. cit., pagina 95; Schönfeld Jens/
Häck Nils, op. cit., n. 91.
[64]Corte europea dei diritti dell’uomo, Belilos
c. Svizzera del 29 aprile 1988, serie A, vol. 132, § 49
pagina 24; Commissione di diritto internazionale,
Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op.
cit., Commentaire sur la directive 1.4 n. 13; Pellet
Alain/Schabas William, in: Corten Olivier/Klein Pierre (a cura di), op. cit., N 26 ad Art. 23 CV, pagina 601.
[65] Articolo 23 paragrafo 2 CV; Pellet Alain/Schabas William, op. cit., N 19 ad Art. 23 CV, pagina 600;
Villiger Mark E., op. cit., N 4 ad Art. 23 CV.
[66]Schenker Claude, Guide de la pratique en
matière de traités internationaux, Berna 2015, nm.
140 n. 95; Besson Samantha, op. cit., pagina 209;
Villiger Mark E., op. cit., N 6 ad Art. 19 CV; Perrin
Georges J., Droit international public, Zurich 1999,
pagina 161.
[67] Messaggio del Consiglio federale n. 15.056 del
12 agosto 2015 concernente l’approvazione di un
Protocollo che modifica la Convenzione tra la Svizzera e l’Italia per evitare le doppie imposizioni, in:
Foglio federale 2015 5631, pagina 5636: “La Svizzera non concederà assistenza amministrativa in materia
fiscale all’Italia se la domanda di assistenza si basa su
dati ottenuti illegalmente. La delegazione svizzera lo ha
comunicato durante i negoziati”.
[68] Widmer-Schlumpf Evelyne, Consigliera federale, in: Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2011,
pagina 714: “[...] es war ja schon letztes Jahr Gegenstand der Diskussionen um die Änderung oder die
Anpassung dieser Doppelbesteuerungsabkommen, und
es gilt auch für die neuen Doppelbesteuerungsabkommen, dass man immer darauf hinweisen soll und muss,
dass die Schweiz – nicht zuletzt auch in Befolgung des
Anliegens des Bundesparlamentes – nicht Amtshilfe
leistet, wenn Daten gestohlen wurden. Das wird in jeder
Verhandlung festgehalten, und es wird auch entsprechend protokolliert”.
[69]Gardiner Richard, op. cit., pagina 105; Villiger
Mark E., op. cit., N 5 ad Art. 32 CV.
[70] Commissione di diritto internazionale, Guide de
la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 4.7.1 n. 31; Benatar Marco,
op. cit., pagina 192; Dailler Patrick/Forteau Mathias/
Pellet Alain, op. cit., n. 164 pagina 278; Sapienza
Rosario, Dichiarazioni interpretative unilaterali e
trattati internazionali, Milano 1996, pagine 253-254.
[71]Commissione di diritto internazionale, Guide de la pratique sur les réserves aux traités, op. cit.,
Commentaire sur la directive 4.7.1 n. 17-20; Müller
Philipp, relatore della Commissione del Consiglio
nazionale, in: Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale 2010, pagina 886: “Man muss sich aber bewusst
sein, dass es sich um einseitige Bestimmungen handelt.
Man könnte sie auch als rein deklaratorisch bezeichnen”;
Sommaruga Simonetta, Consigliera agli Stati, in:
Bollettino ufficiale del Consiglio degli Stati del 2010,
pagina 278: “Artikel 1ter ist eine Absichtserklärung,
nicht mehr und nicht weniger. Das hat keinen verbindlichen Charakter […]. Es ist nett, es ist eine rhetorische
Angelegenheit – aber es ist nicht mehr als das”.
[72] Commissione di diritto internazionale, Guide de
la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 4.7.1 n. 33.
[73] Commissione di diritto internazionale, Guide de
la pratique sur les réserves aux traités, op. cit., Commentaire sur la directive 2.9.9 n. 2; Gardiner Richard,
op. cit., pagine 105-106; Benatar Marco, op. cit., pagine 189-191; Sapienza Rosario, op. cit., pagina 241.
[74]Cfr. ad esempio la CDI con la Germania,
Messaggio del Consiglio federale n. 10.102 del 3
dicembre 2010 che approva un Protocollo che
modifica la Convenzione tra la Svizzera e la Germania per evitare la doppia imposizione in materia
di imposte sul reddito e sulla sostanza, in: Foglio
federale 2010 453, pagina 463: “La Svizzera non concederà tuttavia assistenza amministrativa in materia
fiscale alla Germania se la domanda di assistenza si basa
su dati ottenuti illegalmente. Il consigliere federale HansRudolf Merz ha già consegnato una corrispondente
dichiarazione al ministro delle finanze tedesco Wolfgang
Schäuble in occasione del loro incontro del 26 marzo
2010. La Germania ha preso conoscenza della posizione
della Svizzera. Con detta dichiarazione il Consiglio federale ritiene di aver adempiuto al mandato formulato nella
mozione 10.3013 Future convenzioni per evitare le doppie imposizioni. Nessuna assistenza amministrativa in
caso di dati ottenuti illegalmente”.
[75]Articolo 31 paragrafo 3 lettera b CV; Gardiner
Richard, op. cit., pagine 264-266; Villiger Mark E.,
op. cit., N 22 ad Art. 31 CV; Naef Francesco, Segreto
bancario e accordo di Schengen ovvero L’inutil precauzione, in: NRCP 2005, pagina 37; cfr. più in generale
sull’acquiescenza, Kolb Robert, La bonne foi en droit
international public, Parigi 2000, pagine 347-352.
[76]Consiglio federale, Rapporto esplicativo concernente l’avamprogetto di modifica della legge
sull’assistenza amministrativa fiscale (dati rubati) del
2 settembre 2015, pagina 3.
[77] Come invece, ad un certo momento, era sembrato al Parlamento, cfr. David Eugen, relatore della
Commissione al Consiglio degli Stati, in: Bollettino
ufficiale del Consiglio degli Stati 2010, pagina 272:
“Dem Ordre public widersprechen – Sie finden das
nachher auch im Genehmigungsbeschluss – nach Auffassung der Kommission insbesondere Gesuche um
Informationsbeschaffung, die auf gestohlenen Daten
beruhen. Wir berufen uns ausdrücklich auf den OECDStandard, auf Artikel 26 Absatz 3 Buchstabe c, wenn
wir diesen Ordre public als Schweiz geltend machen
und es ablehnen, Auskünfte zu erteilen, wenn sich die
auskunftsersuchenden Steuerverwaltungen anderer
Staaten mit gestohlenen CD ausrüsten und aufgrund
dieser gestohlenen CD bei uns Amtshilfe verlangen.
Das ist nach unserer Überzeugung auch unser gutes
Recht - nach Artikel 26 Absatz 3 des Abkommens”.
35
36
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
[78] Sentenza TF n. 2C_514/2007 del 2 ottobre 2007.
[79] Scheller Stefano, op. cit., pagina 46.
[80]
Solo Holenstein Daniel, Schweiz: Sind
gestohlene Daten eine tragfähige Basis für ein
Rechtshilfe- bzw. Amtshilfeersuchen?, in: Praxis
Steuerstrafrecht 2008, pagina 91, affronta la questione e vi risponde affermativamente; cfr. anche,
più in generale sul principio di sovranità, l’acquisto di
dati rubati e la derivante inutilizzabilità quale prova
nel diritto interno tedesco, Heine Günther, Entwendete und staatlich angekaufte Bankdaten – Viel
Lärm um nichts?, in: ASA 2010/11, pagine 538-539,
e idem, Beweisverbote und Völkerrecht. Die Affäre
Liechtenstein in der Praxis, Onlinezeitschrift für
Höchstrichterliche Rechtsprechung zum Strafrecht
HRRS 2009, pagine 541-544.
[81] DTF 130 II 217 consid. 5.2; Dailler Patrick/Forteau Mathias/Pellet Alain, op. cit., n. 265.
[82]Corte permanente di arbitrato, The Island of
Palmas Case (or Miangas), lodo dell’arbitro unico
Max Huber del 4 aprile 1928, Recueil des sentences
arbitrales, vol. II, pagina 838.
[83]Besson Samantha, Sovereignty, in: Wolfrum
Rüdiger (a cura di), The Max Plank Encyclopedia of
Public International Law, Oxford 2012, n. 118-119;
Fassbender Bardo, in: Simma Bruno/Khan DanielErasmus/Nolte Georg/Paulus Andreas (a cura di),
The Charter of the United Nations – A commentary, Oxford 2012, N 57 ad Art. 2 paragrafo 1 Statuto
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (di seguito
ONU); Dailler Patrick/Forteau Mathias/Pellet Alain,
op. cit., n. 265; Cassese Antonio, International Law,
Oxford 2005, pagina 49; Ziegler Andreas R., Introduction au droit international public, Berna 2015,
nm. 593; Peters Anne, op. cit., pagina 146; Müller
Jörg Paul/Wildhaber Luzius, Praxis des Völkerrechts,
Berna 2001, pagina 373.
[84]Corte permanente di giustizia internazionale,
Affaire du Lotus, sentenza del 7 settembre 1927, CPJI
Recueil des arrêts, série A, n. 10, pagine 18-19.
[85]Corte internazionale di Giustizia, Affaire du
Détroit de Corfou, sentenza del 9 aprile 1949, C.I.J.
Recueil 1949, pagina 35.
[86]Besson Samantha, Sovereignty, op. cit., n.
123, 126; Fassbender Bardo, op. cit., N 57 ad Art.
2 paragrafo 1 Statuto ONU; Dailler Patrick/Forteau Mathias/Pellet Alain, op. cit., n. 309, 336;
Cassese Antonio, op. cit., pagine 51 e 53; Ziegler
Andreas R., op. cit., nm. 617, 633-634; Peters Anne,
op. cit., pagine 146-147; von Arnauld Andreas,
Völkerrecht, Heidelberg 2014, nm. 363-364.
[87]Verdross Alfred/Simma Bruno, Universelles
Völkerrecht, Berlino 1984, § 456.
[88] Besson Samantha, Sovereignty, op. cit., n. 118,
119, 126; Cassese Antonio, op. cit., pagina 53; von
Arnauld Andreas, op. cit., nm. 349.
[89] Shen Janming, The Non-Intervention Principle
and Humanitarian Interventions Under International Law, International Legal Theory, vol. 7 (2001),
pagine 1-32; Schultz Hans, Male captus bene deditus?, in: ASDI 1984, pagina 107.
[90]Besson Samantha, Sovereignty, op. cit., n. 89;
contra: Fassbender Bardo, op. cit., N 65 ad Art. 2
paragrafo 1 Statuto ONU.
[91]DTF 140 IV 86 consid. 2.4, 133 I 234 consid. 2.5.1, 121 I 181 consid. 2c/aa; Sentenza TF n.
6P.64/2000 del 5 dicembre 2000, consid. 3a; Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata
in: EuGRZ 1983, pagina 435 e seguenti consid. 3a.
[92]Caso citato da Müller Jörg Paul/Wildhaber
Luzius, op. cit., pagina 415.
[93] Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982,
pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 435 e seguenti.
[94] DTF 133 I 234.
[95] DTF 122 I 181.
[96] DTF 114 IV 128.
[97] Caso citato da Cassese Antonio, op. cit., pagina 51.
[98] Sentenza TF n. 9X.1/1999 del 7 luglio 2000.
[99]Sentenza TPF n. RR.2011.176 del 21 novembre 2011 consid. 2.2; che tale tecnica non leda la
sovranità svizzera è peraltro contestato in dottrina,
sul tema Ruggieri Francesca, Le intercettazioni “per
instradamento” sul canale internazionale: un mezzo
di ricerca della prova illegittimo, in: Rep. 1998, pagina 15 e seguenti.
[100] Cfr. risposta n. 1-3 del Consiglio federale del 13
febbraio 2013 all’interpellanza n. 12.4043 di Quadri
Lorenzo “Legge e sovranità svizzera sistematicamente
violate da Paesi confinanti. E noi stiamo a guardare?”.
[101] DTF 131 III 448.
[102] DTF 140 IV 86.
[103]Direzione del diritto internazionale pubblico,
Parere del 14 luglio 1994, GAAC 59.156.
[104]Commissione di diritto internazionale, Projet
d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait
internationalement illicite, in: Rapport de la Commission du droit international sur les travaux de sa
cinquante-troisième session, Annuaire de la Commission du droit international 2001, vol. II (2e partie),
pagina 20 e seguenti.
[105] Con la Risoluzione A/RES/56/83.
[106]Ad esempio sentenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo Kotov c. Russia del 3 aprile 2012,
paragrafo 30.
[107]Crawford James, State Responsability - The
General Part, Cambridge 2013, pagina 181; De
Frouville Olivier, Attribution of Conduct to the State:
Private Individuals, in: Crawford James/Pellet Alain/
Olleson Simon (a cura di), The Law of International
Responsibility, Oxford 2010, pagina 273.
[108]de Vattel Emer, Le droit des gens ou Principes
de la loi naturelle appliqués à la conduite et aux affaires des nations et des souverains, Leida 1758, vol. I,
cap. VI, paragrafi 72-73, pagina 132.
[109]Corte internazionale di Giustizia, Personnel
diplomatique et consulaire des Etats-Unis à Téhéran,
sentenza del 24 maggio 1980, C.I.J. Recueil 1980,
pagina 29 paragrafo 58.
[110]Corte internazionale di Giustizia, Personnel
diplomatique et consulaire des Etats-Unis à Téhéran,
op. cit., pagina 35 paragrafo 74.
[111]Commissione di diritto internazionale, Projet
d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 56 paragrafo 6.
[112] Crawford James, op. cit., pagina 187.
[113]Müller Jörg Paul/Wildhaber Luzius, op. cit.,
pagina 419.
[114]Commissione di diritto internazionale, Projet
d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagine 55-56 paragrafo
5; Crawford James, op. cit., pagina 183; Mann Frederick Alexander, Reflections on the prosecution of
persons abducted in breach of international law, in:
Dinstein Yoram/Tabory Mala (a cura di), International law at a time of perplexity. Essays in honour of
Shabtai Rosenne, Dordrecht 1989, pagina 408.
[115]Commissione di diritto internazionale, Projet
d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait
internationalement illicite, op. cit., pagina 56 paragrafo 9.
[116]Direzione del diritto internazionale pubblico,
op. cit., GAAC 59.156.
[117] DTF 114 IV 128.
[118] Cassese Antonio, op. cit., pagina 51.
[119] Sentenza TF n. 9X.1/1999 del 7 luglio 2000.
[120]DTF 141 IV 155 consid. 4.3.1; Sentenza TPF
n. SK.2014.46 del 27 novembre 2015 consid. 3.3-3.11.
[121]DTF 141 IV 155 consid. 4.3.2; Sentenza TF
n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in:
EuGRZ 1983, pagina 437 consid. 3a.
[122] DTF 74 IV 102; Sentenza TPF n. SK.2014.46 del
27 novembre 2015 consid. 3.1.2.
[123]Holenstein Daniel, Schweiz: Sind gestohlene
Daten, op. cit., pagina 91; il principio è stato affermato dal Tribunale federale nell’ambito dell’estradizione
di una persona attirata con l’inganno in Svizzera,
Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 435 e seguenti.
[124]DTF 133 I 234 consid. 2.6; Lagodny Otto,
in: Schomburg Wolfgang/Lagodny Otto/Gless
Sabine/Hackner Thomas (a cura di), Internationale Rechtshilfe in Strafsachen, Monaco 2012,
n. 32 ad § 3 IRG; contra: Mann Frederick Alexander,
op. cit., pagina 409; Schubarth Martin, Faustrecht
statt Auslieferungsrecht?, in: Der Strafverteidiger
1987, pagina 174; Vogler Theo, Strafprozessuale
Wirkungen völkerrechtswidriger Entführungen
von Straftätern aus dem Ausland, in: Herzberg Rolf
Dietrich (a cura di), Festschrift für Dietrich Oehler,
Colonia 1985, pagina 385.
[125]Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 29;
Commissione di diritto internazionale, Projet
d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait
internationalement illicite, op. cit., pagina 49
paragrafo 2: “L’attribution à l’État d’un comportement qu’il a en fait autorisé est largement admise par la
jurisprudence internationale. Peu importe en pareil cas
que la ou les personnes en question soient des personnes privées, ou que leur comportement relève ou non
d’une «activité publique». La plupart du temps il s’agit
de situations où les organes de l’État complètent leur
propre action en recrutant des personnes ou groupes de
personnes privées à titre «d’auxiliaires», ou les incitent
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
à agir à ce titre tout en restant en dehors des structures
officielles de l’État”.
[126]Ziegler Andreas R., op. cit., pagina 276 nm.
622; Peters Anne, op. cit., pagina 370.
[127] Verdross Alfred/Simma Bruno, op. cit., pagina 278.
[128]Curiosamente, una parte minoritaria della dottrina tedesca è invece dell’opinione che
tale pubblico incitamento non sia ancora una
violazione dell’obbligo di vigilanza ma solo una
scortesia internazionale (Pawlik Michael, Zur
strafprozessuale
Verwertbarkeit
rechtswidrig
erlangter ausländischer Bankdaten, in: JZ 2010,
pagina 695).
[129]Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 29, 43;
Heine Günther, Beweisverbote und Völkerrecht, op.
cit., pagina 543; Holenstein Daniel, Schweiz: Sind
gestohlene Daten, op. cit., pagina 91; che l’acquisto
da parte dello Stato estero di dati rubati sia contrario al diritto internazionale è del resto sempre stato
affermato dal Consiglio federale, cfr. ad esempio la
risposta del 26 maggio 2010 all’interpellanza Fiala
Doris n. 10.3023 “Diritto internazionale pubblico anziché legge della giungla. Azione contro la Germania”.
[130]Come nel caso Eichmann, il suo arresto,
processo ed esecuzione della pena da parte di
Israele andavano considerati adozione a posteriori del comportamento dei privati volontari che
lo avevano precedentemente rapito in violazione
della sovranità territoriale argentina, cfr. Commissione di diritto internazionale, Projet d’articles sur
la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagine 55 e 56 paragrafo 5;
Crawford James, op. cit., pagina 183; Mann Frederick Alexander, op. cit., pagina 408.
[131] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 44.
[132]Al contrario, se lo Stato estero disponeva dei
dati già grazie a proprie precedenti attività istruttorie (lecite), la domanda non può essere ritenuta
fondarsi sui dati rubati, e perciò non costituisce atto
di adozione del comportamento del ladro di dati; in
tal senso la giurisprudenza che ammette la ricevibilità della domanda di assistenza che non si fondi
esclusivamente sui dati rubati, cfr. Sentenza TF n.
1C_430/2014 del 19 settembre 2014, sentenza
TF n. 1C_260/2013 del 19 marzo 2013; cfr. anche
Schoder Charlotte, op. cit., N 82 ad Art. 7 LAAF, e
Holenstein Daniel, Schweiz: Sind gestohlene Daten,
op. cit., pagina 91.
[133] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 44.
[134]Commentario Art. 26 M-OCSE, n. 12.2 pagina
459; articolo 22 paragrafo 4 Convenzione sull’assistenza amministrativa.
[135]Oswald Diana, Verfahrensrechtliche Aspekte
der internationalen Amtshilfe in Steuersachen, Zurigo 2015, nm. 920.
[136]
Corte internazionale di Giustizia, Projet
Gabcikovo-Nagymaros (Hongrie/Slovaquie), sentenza del 25 settembre 1997, C.I.J. Recueil 1997,
pagina 76: “Cela ne signifie pas que le faits – en l’occurrence des faits qui découlent de comportements illicites
– déterminent le droit. La Cour fait droit au principe ex
injuria jus non oritur lorsqu’elle conclut que les relations
juridiques crées par le traité de 1977 subsistent et ne
sauraient en l’espèce être considérées comme annulées
par un comportement illicite”.
[137] Lagerwall Anne, Le principe ex injuria jus non
oritur en droit international, Bruxelles 2016, pagine 179-180.
[138]Lagerwall Anne, op. cit., pagine 133-136; Kolb
Robert, op. cit., pagine 487-488; Cheng Bin, General
Principles of Law as Applied by International Courts
and Tribunals, Cambridge 2006, pagine 149-158.
[139] Lagerwall Anne, op. cit., pagine 136-140.
[140]Lagerwall Anne, op. cit., pagine 273-274; Kolb
Robert, op. cit., pagina 488.
[141]Lagerwall Anne, op. cit., pagina 116; Schultz
Hans, op. cit., pagine 105 - 106.
[142]
Schünemann Bernd, Die Liechtensteiner
Steueraffäre als Menetekel des Rechtsstaats, in:
Neue Zeitschrift für Strafrecht 2008, pagina 207.
[143] Mann Frederick Alexander, op. cit., pagina 415.
[144]DTF 133 I 234 consid. 2.6; Noto Flavio, Male
captus bene detentus bei Völkerrechtsverbrechen?,
in: RPS 2013, pagine 106-107; Ziegler Andreas R./
Bergmann Camille, Völkerrechtliche Grundsätze bei
“atypischen Auslieferunge” – zugleich Bespechung
von BGE 133 I 234, Forumpoenale 2008, pagina 53.
[145]Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982,
pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 435 e seguenti
consid. 3d.
[146]Lagerwall Anne, op. cit., pagine 209-218;
Paulussen Christophe, Male captus bene detentus?
– Surrending suspects to the International Criminal
Court, Anversa 2010, pagine 181 e seguenti; Ziegler
Andreas R./Bergmann Camille, op. cit., pagina 54.
[147]Popp Peter, Grundzüge der internationalen
Rechtshilfe in Strafsachen, Basilea 2001, nm. 61.
[148]Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 19; Wyss
Rudolf, op. cit., pagina 734.
[149]
Nell’ambito dell’assistenza giudiziaria in
materia penale per gravissimi crimini la Svizzera potrebbe invece comunque scegliere di dare
assistenza o concedere l’estradizione anche senza esservi obbligata, visto che l’articolo 1 della
Legge federale sull’assistenza internazionale in
materia penale (AIMP) le lascia tale facoltà, al contrario dell’articolo 1 LAAF.
[150]Così come fatto dal Tribunale federale in
materia di estradizione, Sentenza TF n. P.1201/81
del 15 luglio 1982, pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 438 consid. 3d.
[151]Come in materia di estradizione, Sentenza
TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982, pubblicata in:
EuGRZ 1983, pagina 436 consid. 1c; Schultz Hans,
op. cit., pagine 102-103.
[152]Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982,
pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 437 consid. 3b;
articolo 16 ARSIWA.
[153]Commissione di diritto internazionale, Projet
d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 103 paragrafo 3.
[154]Commissione di diritto internazionale, Projet
d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 103 paragrafo 5.
[155]Commissione di diritto internazionale, Projet
d’articles sur la responsabilité de l’état pour fait internationalement illicite, op. cit., pagina 104 paragrafo 5.
[156]Corte internazionale di Giustizia, Mandat
d’arrêt du 11 avril 2000 (République démocratique du Congo c. Belgique), sentenza del 14 febbraio
2001, C.I.J. Recueil 2002, pagina 32.
[157]Corte internazionale di Giustizia, Immunités
juridictionnelles de l’Etat (Allemagne c. Italie; Grèce
(intervenant), sentenza del 3 febbraio 2012, C.I.J.
Recueil 2012, pagine 153-154.
[158]Cfr. risposta n. 3 del Consiglio federale del 24
febbraio 2010 all’interpellanza n. 09.4204 Brunschwig Graf Martine “La Francia vìola lo Stato di
diritto in tutta impunità?”.
[159] Crawford James, op. cit., pagine 682-684.
[160]Simma Bruno/Tams Christian J., Reacting
Against Treaty Breaches, in: Hollis Duncan B. (a cura
di), The Oxford Guide to Treaties, Oxford 2012, pagine 581-582, 596-598; Villiger Mark E., op. cit., N 26
ad Art. 60 CV.
[161]
Corte internazionale di Giustizia, Essais
nucléaires (Australie c. France), sentenza del 20
dicembre 1974, C.I.J. Recueil 1974, pagina 268 n. 46.
[162]Naef Francesco, Divagazioni sul potere cognitivo del giudice delle rogatorie internazionali, in: AJP/
PJA 1997, pagine 291-292 con riferimenti.
[163]Sentenza TF n. 2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata a pubblicazione, consid.
2.1.3-2.1.4.
[164]Kolb Robert, op. cit., pagine 279-280; Naef
Francesco, op. cit., pagina 292 con riferimenti.
[165]DTF 121 I 181 consid. 2c/aa; Sentenza TF
n. 2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata
a pubblicazione, consid. 2.1.3; Kolb Robert, op. cit.,
pagine 283-291; Villiger Mark E., op. cit., N 7 ad Art.
31 CV; Naef Francesco, op. cit., pagina 291; Müller
Jörg Paul, Vertrauenschutz im Völkerrecht, Colonia
1971, pagina 127; Cheng Bin, op. cit., pagina 123.
[166] Kolb Robert, op. cit., pagina 159 con riferimenti.
[167] Naef Francesco, op. cit., pagina 291.
[168] DTF 117 Ib 337 consid. 2a.
[169]Cfr. ad esempio la risposta del Consiglio federale del 12 maggio 2010 alla mozione n. 10.3190
Fehr Hans “Fiscalità del risparmio. Trattenere la quota che spetta alla Germania”.
[170]Cfr. ad esempio la risposta del Consiglio federale del 12 maggio 2010 alla mozione n. 10.3189 del
Gruppo UDC “Nessuna assistenza amministrativa
nei casi di dati ottenuti illegalmente”.
[171]Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 27;
Oberson Xavier, in: Danon Robert/Gutmann
Daniel/Oberson Xavier/Pistone Pasquale (a cura
di), Modèle de Convention fiscale OCDE concernant le revenu et la fortune, Commentaire, Basilea
2014, N 119 ad Art. 26 M-OCSE; Wyss Rudolf, op.
cit., pagina 737; Molo Giovanni, Die neue Trennungslinie bei der Amtshilfe in Steuersachen: Das
Verbot der fishing expeditions und die formellen
37
38
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Anforderungen an das Gesuch, in: ASA 2011/12,
pagina 152.
[172]Conférence de La Haye de droit international
privé, Manuel pratique sur le fonctionnement de la
Convention preuves, L’Aja 2016, pagine 10-11, nm.
20 nota 35; incoerente con tali valutazioni è perciò
quella parte della dottrina tedesca - Pawlik Michael,
op. cit., pagina 694 - che nega un obbligo per la Germania di astenersi dall’utilizzare dati rubati.
[173]Conférence de La Haye de droit international
privé, op. cit., pagina 11, nm. 20 nota 36.
[174]DTF 141 II 436 consid. 4.4.3; Sentenza TF n.
2C_1174/2014 del 24 settembre 2015 destinata a
pubblicazione, consid. 2.1.1.
[175]DTF 117 Ib 337 consid. 2a; Zimmermann
Robert, La cooperation judiciaire internationale en
matière pénale, Berna 2014, n. 198; Popp Peter, op.
cit., nm. 56.
[176] Opel Andrea, Gestohlene Daten, nm. 28.
[177]Messaggio del Consiglio federale n. 16.050
concernente la modifica della legge sull’assistenza
amministrativa fiscale del 10 giugno 2016 (citato:
Messaggio dati rubati), in: Foglio federale 2016
4561, cifra 2; Rapporto esplicativo concernente l’avamprogetto di modifica della legge sull’assistenza
amministrativa fiscale (dati rubati), del 2 settembre
2015, pagina 8.
[178]Messaggio dati rubati, cifra 2; Rapporto esplicativo, op. cit., pagina 8.
[179]Messaggio dati rubati, cifra 2; Rapporto esplicativo, op. cit., pagina 8.
[180]Messaggio dati rubati, cifra 1.2.3; Rapporto
esplicativo, op. cit., pagine 3 e 4.
[181] Rapporto esplicativo, op. cit., pagina 3.
[182]Messaggio dati rubati, cifra 1.2.4; Rapporto
esplicativo, op. cit., pagina 6.
[183]Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale
2012, pagina 102.
[184]Messaggio del Consiglio federale n. 13.083
concernente la modifica della legge sull’assistenza
amministrativa fiscale del 16 ottobre 2013, in: Foglio
federale 2013 7203, pagina 7208.
[185]Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale
2013, pagina 2189.
[186] Foglio federale 2014 1535.
[187]Rapporto della Commissione dell’economia
e dei tributi del Consiglio nazionale del 19 maggio 2014 sull’Iniziativa parlamentare n. 10.450
“Punire severamente la vendita di dati bancari”, in:
Foglio federale 2014 5347, pagina 5349; lo scopo
è stato condiviso anche dal Governo, cfr. Parere del
Consiglio federale del 13 agosto 2014 ad n. 10.450,
in: Foglio federale 2014 5357.
[188]Cfr. supra cap. 4.5.4.
[189]Cfr. supra cap. 4.6; Opel Andrea, Gestohlene
Daten, nm. 44.
[190] Oswald Diana, op. cit., nm. 920.
[191]DTF 121 I 181 consid. 2c/bb, 117 Ib 337 consid. 2a; Sentenza TF n. P.1201/81 del 15 luglio 1982,
pubblicata in: EuGRZ 1983, pagina 436 consid. 1c;
Zimmermann Robert, op. cit., n. 198; Popp Peter, op.
cit., nm. 56; Schultz Hans, op. cit., pagine 102-103.
[192]Global Forum, Peer Reviews: Liechtenstein
2015 – Phase 2: Implementation of the Standard in
Practice, Parigi 2015, pagina 99 n. 325.
[193] Global Forum, op. cit., pagina 139.
[194]In tal senso anche Opel Andrea, Gestohlene
Daten, nm. 41.
IVA e imposte indirette
Disciplina doganale e sanzioni tra
effettività, dissuasività e proporzionalità
Fabrizio Vismara
Professore di diritto internazionale presso
l’Università degli Studi dell’Insubria
Direttore del Corso di perfezionamento in diritto doganale
e del commercio internazionale presso la stessa Università
Avvocato in Milano, Partner dello Studio Curtis,
Mallet-Prevost, Colt & Mosle
Le regole UE in materia di sanzioni doganali
1.
Introduzione
La definizione di regole sanzionatorie che siano dissuasive,
effettive e proporzionali riveste specifica rilevanza in ambito
doganale. Accanto, infatti, all’esigenze di assicurare il recupero
dei diritti di confine nonché di tutelare la sicurezza degli
scambi commerciali, si pongono rilevanti esigenze relative alla
fluidità degli scambi e competitività del sistema doganale, che
sono ben evidenziate nel Regolamento n. 952/2013 relativo al
Codice doganale[1].
A tal fine rileva l’articolo 42 del Regolamento n. 952/2013
relativo al Codice doganale dell’Unione europea (di seguito
UE), già in vigore, applicabile dal 1. maggio 2016[2]. Rispetto,
infatti, al Regolamento n. 2913/1992, relativo al Codice doganale, il Regolamento n. 952/2013 contiene nel suo articolo
42 alcune previsioni in materia di sanzioni[3]. Si richiamano
princìpi, peraltro di elaborazione giurisprudenziale, in materia
di sanzioni, prescrivendosi che queste debbano essere effettive, dissuasive e proporzionali ed individuando, in termini
generali, le diverse modalità di applicazione e stabilendosi
che ciascuno Stato membro preveda sanzioni applicabili in
caso di violazione della normativa doganale[4].
Il Regolamento n. 952/2013, al suo articolo 42, risulta quindi
prendere atto delle competenze degli Stati membri in relazione
alla disciplina delle sanzioni in materia doganale, apparendo
ricognitivo di una situazione già esistente, ovvero, da un lato,
della competenza degli Stati membri nella materia in questione,
dall’altro, dell’assoggettamento degli stessi Stati ai princìpi del
diritto dell’UE ed al rispetto dei diritti fondamentali[5].
2.
La disciplina del TULD: l’articolo 303
La disciplina sanzionatoria amministrativa in ambito doganale
nell’ordinamento italiano trova il suo punto di riferimento
nell’articolo 303 del Testo Unico delle leggi in materia
doganale (di seguito TULD). L’articolata regolamentazione in
esso contenuta si muove lungo la fondamentale distinzione
tra violazioni di carattere formale e violazioni di carattere
sostanziale relative alla qualità, alla quantità ed al valore
delle merci oggetto di operazioni doganali. Per le violazioni di
carattere formale, tali essendo quelle che non incidono sulla
determinazione del tributo né arrecano pregiudizio all’attività
di accertamento, la sanzione amministrativa è stabilita in
un minimo di 103 euro ed un massimo di 516 euro[6]. Per
le violazioni di carattere sostanziale, invece, ovvero nei casi
in cui i diritti di confine complessivamente dovuti secondo
l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla
dichiarazione e la differenza dei diritti supera il 5%, la sanzione
amministrativa viene determinata secondo soglie di valore,
identificando per ogni soglia un minimo e massimo edittale[7].
Nella versione così descritta, l’articolo 303 TULD costituisce la
risultante delle modifiche introdotte mediante Decreto Legge
(di seguito D.L.) n. 16/2012 (Legge di conversione n. 44/2012).
Tra i profili più rilevanti vi è quello della conciliabilità della nuova
disciplina sanzionatoria con il principio di proporzionalità[8] e,
più in generale, con le norme primarie dell’ordinamento e del
diritto dell’UE. Si consideri a questo riguardo che la previsione
di cui al comma 3 dell’articolo 303 TULD, per lo scaglione
superiore ai 4’000 euro, prevede una sanzione amministrativa
da 30’000 euro a dieci volte l’importo dei diritti, assumendo
così un minimo sanzionatorio estremamente elevato con
conseguente rischio di sproporzione che può determinarsi tra
fatto commesso ed entità della sanzione.
39
40
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
3.
Criticità sulla base del principio di proporzionalità
Diverse considerazioni sulla prescrizione sanzionatoria sopra
descritta possono, infatti, essere formulate.
In primo luogo, l’autore della violazione, a fronte di un giudizio
così vincolato nel minimo in capo all’amministrazione pubblica, si trova nell’impossibilità di far valere elementi in fatto
che possano evidenziare l’eventuale ridotta se non minima
portata della condotta contestata, e ciò prospettando dubbi
di compatibilità con il diritto fondamentale di difesa: può
infatti venir meno la possibilità di parametrare in concreto la
sanzione alla gravità del fatto[9].
In secondo luogo, la valutazione della proporzionalità della
previsione sanzionatoria procede attraverso il confronto
tra mezzi adottati e fini perseguiti. Rilevano a tal fine sia il
confronto con fattispecie analoghe, sia gli effetti della misura
sanzionatoria[10].
In terzo luogo, non può non sottolinearsi la netta differenza
tra la previsione sanzionatoria dell’articolo 303 TULD ed
altre previsioni in tema di sanzioni amministrative tributarie.
Basta ricordare che le sanzioni previste in tema di violazione
relative alla dichiarazione (con riguardo a imposte dirette,
imposta sul valore aggiunto ed altri tributi) sono, nel minimo,
significativamente meno pesanti rispetto a quelle previste
dall’articolo 303 TULD, terzo comma. Trattasi, è vero, di
prelievi tributari diversi, ma non sembra che lo scopo delle
sanzioni sia sostanzialmente diverso: peraltro, dai lavori
preparatori del D.L. n. 16/2012, che ha modificato le sanzioni
previste all’articolo 303 TULD, si individua la finalità dell’intervento normativo nel contrasto a condotte che, pur non
penalmente rilevanti, rappresentano un grave pregiudizio
per la scorrevolezza dei traffici e l’efficienza dei controlli.
La diversità di trattamento nell’uno e nell’altro caso non
sembra giustificare un così significativo divario tra le previsioni sanzionatorie.
Ferme le considerazioni sopra svolte, può rilevarsi, in una
prospettiva più generale, che una sanzione così grave nel
minimo può rappresentare un disincentivo ai traffici commerciali e ciò anche rispetto a operatori esteri che intendano
svolgere attività in Italia o verso l’Italia.
I profili suddetti evidenziano, ad avviso di chi scrive, un margine di incompatibilità della sanzione prevista dall’articolo
303 TULD con il principio di proporzionalità e ciò anche alla
luce del diritto dell’UE, dove il principio di proporzionalità
delle sanzioni, recentemente ribadito dall’articolo 42 del
Regolamento n. 952/2013, trova conferma nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE (di seguito CGUE).
Secondo la CGUE, infatti, il giudice nazionale deve valutare
se, tenuto conto degli imperativi di repressione e di prevenzione, le sanzioni effettivamente irrogate appaiono così
sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione da ostacolare le libertà previste dal Trattato[11]. Inoltre, in materia
di infrazioni doganali, gli Stati membri devono esercitare la
loro competenza nel rispetto dei principi generali del diritto
comunitario e, in particolare, del principio di proporzionalità[12] e devono vigilare affinché le violazioni del diritto
comunitario siano sanzionate in termini analoghi a quelli
previsti per violazioni di diritto interno simili per natura e
importanza[13].
4.
La Proposta di direttiva in materia di sanzioni
Nel descritto contesto si colloca la proposta di direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio sul quadro giuridico unico
relativo alle infrazioni e alle sanzioni doganali[14]. La constatata presenza di regolamentazioni sanzionatorie diverse da
parte degli Stati membri viene indicata dalla Commissione,
nella Proposta di direttiva, come la ratio dell’introduzione di
regole armonizzate. Tale situazione normativa divergente
non giova, a parere della Commissione, alla gestione efficiente dell’unione doganale, incidendo sulle condizioni di
concorrenza. Risultano infatti avvantaggiati gli operatori
economici che vìolino il diritto di uno Stato membro in cui
“viga una normativa clemente per le sanzioni doganali” [15].
La base giuridica su cui fondare l’emanazione della Direttiva
viene individuata dalla Commissione nell’articolo 33 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito
TFUE), relativo alla cooperazione doganale. Ciò, sulla base di
due assunti: il riavvicinamento delle infrazioni doganali e delle
relative sanzioni presuppone la cooperazione doganale[16]
tra gli Stati membri; detto riavvicinamento contribuisce alla
corretta ed uniforme attuazione della legislazione doganale
dell’UE e al relativo controllo.
Tuttavia la Proposta di direttiva non è scevra da criticità, che
andranno tenute in considerazione e ciò, in particolare, laddove essa prescrive per un certo numero di infrazioni doganali
relative alla dichiarazione una forma di responsabilità oggettiva, costituendo i relativi atti ed omissioni infrazioni doganali
indipendentemente da qualsiasi elemento di colpa[17]. A
questo riguardo va osservato che un sistema sanzionatorio
che preveda forme di responsabilità oggettiva non è contrario
del diritto dell’UE. Come, infatti, rilevato dalla CGUE anche in
tempi recenti[18] , una forma di responsabilità oggettiva non è,
di per sé, sproporzionata rispetto agli scopi perseguiti ove essa
sia idonea a incoraggiare i soggetti interessati a rispettare le
disposizioni di un regolamento e ove gli obiettivi perseguiti
rivestano un interesse generale tale da giustificare l’introduzione di un siffatto sistema[19]. Tuttavia, nello specifico, la
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
responsabilità oggettiva rischia di produrre conseguenze che
vanno oltre l’obiettivo di armonizzazione, disincentivando i
traffici commerciali e privando il destinatario della sanzione
della possibilità di far valere eventuali circostanze soggettive
esimenti[20].
[1]Si veda a questo riguardo il considerando n.
16 del citato Regolamento, dove si precisa che “Il
completamento del mercato interno, la riduzione degli
ostacoli al commercio e agli investimenti internazionali e l’accresciuta necessità di garantire la sicurezza alle
frontiere esterne dell’Unione hanno trasformato il ruolo delle dogane, assegnando loro una funzione di guida
nella catena logistica e rendendole, nella loro attività di
monitoraggio e gestione del commercio internazionale, un catalizzatore della competitività dei paesi e delle
società. La normativa doganale dovrebbe pertanto
riflettere la nuova realtà economica e la nuova dimensione del ruolo e del compito delle dogane”.
[2] Tale previsione ripropone quanto contenuto nell’articolo dell’abrogato Regolamento n. 450/2008. Il
Regolamento n. 952/2013 del Parlamento europeo
e del Consiglio del 9 ottobre 2013, che ha abrogato
il Regolamento n. 450/2008 ed è entrato in vigore il 30 ottobre 2013, è interamente applicabile a
decorrere dal 1. maggio 2016. Prima di tale data era
applicabile il Regolamento n. 2913/1992.
[3] Il Codice doganale dell’UE, di cui al Regolamento n. 952/2013 stabilisce che siano gli Stati membri
a prevedere sanzioni doganali, individuando nei
principi di proporzionalità, effettività e dissuasività i criteri cui tali sanzioni devono ispirarsi. Si veda
altresì il comma 2 dell’articolo 42, secondo cui, in
caso di applicazione di sanzioni amministrative,
esse possono avere tra l’altro la forma di: (i) un avere pecuniario imposto dalle autorità doganali, se del
caso anche applicato in sostituzione di una sanzione
penale; (ii) revoca, sospensione o modifica di qualsiasi autorizzazione posseduta dall’interessato.
[4] La nozione di “normativa doganale” è data dall’articolo 5, primo comma, n. 2 del Regolamento n.
952/2013 ed include (i) il codice e le disposizioni
integrative o di attuazione del medesimo adottate a
livello dell’UE o a livello nazionale; (ii) la tariffa doganale comune; (iii) la normativa relativa alla fissazione
del regime unionale delle franchigie doganali; (iv) gli
accordi internazionali contenenti disposizioni doganali, nella misura in cui siano applicabili nell’UE.
[5] Sui diritti fondamentali nell’ordinamento dell’UE
ci si limita a richiamare Mengozzi Paolo, Les principes fondamentaux du droit communautaire et le
droit des Etats membres, in: Rev. droit Un. Eur., 2002,
pagina 435 e seguenti; Rizzo Alfredo, Il “problema”
della tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea, in: Europa e diritto privato, 2001, pagina 59 e
seguenti; Scudiero Luigi, Comunità europea e diritti
fondamentali: un rapporto ancora da definire?, in:
Riv. dir. eur., 1996, pagina 263 e seguenti.; Strozzi
Girolamo, La tutela dei diritti fondamentali tra diritto comunitario e ordinamenti degli Stati membri,
in: Scritti degli allievi in memoria di Giuseppe Barile, Padova, 1995, pagina 679 e seguenti; Mancini
Federico/Di Bucci Vittorio, Le développement des
droits fondamentaux en tant que partie du droit
communautaire, in: Rec. Cours de l’Académie du
droit européen, 1991, pagina 27 e seguenti; Verges
Jean, Droits fondamentaux de la persone et principes généraux du droit communautaire, in: Mélanges
Boulois, 1991, pagina 513 e seguenti; Cannizzaro
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.polieassociati.com/1/images/670_0_4144339_432642.jpg
[30.06.2016]
http://www.pmi.it/wp-content/uploads/2015/11/Dogana.jpg [30.06.2016]
Enzo, Tutela dei diritti fondamentali nell’ambito
comunitario e garanzie costituzionali secondo le
corti costituzionali italiana e tedesca, in: Riv. dir. int.,
1990, pagina 372 e seguenti.
[6] Tale previsione tuttavia non si applica quando, pur essendo errata la denominazione della
tariffa, è stata indicata con precisione la denominazione commerciale della merce, in modo da rendere
possibile l’applicazione dei diritti, oppure qualora le
merci dichiarate e quelle riconosciute in sede di
accertamento sono considerate nella tariffa in differenti sottovoci di una medesima voce, e l’ammontare
dei diritti di confine, che sarebbero dovuti secondo la
dichiarazione, è uguale a quello dei diritti liquidati o lo
supera di meno di un terzo e, infine, nei casi in cui le
differenze in più o in meno nella quantità o nel valore
non superano il cinque per cento per ciascuna qualità
delle merci dichiarate.
[7] Nello specifico: a) per i diritti fino a 500 euro si
applica la sanzione amministrativa da 103 a 516
euro; b) per i diritti da 500.1 a 1’000 euro, si applica
la sanzione amministrativa da 1’000 a 5’000 euro;
c) per i diritti da 1’000.1 a 2’000 euro, si applica la
sanzione amministrativa da 5’000 a 15’000 euro; d)
per i diritti da 2’000.1 a 3’999.99 euro, si applica la
sanzione amministrativa da 15’000 a 30’000 euro; e)
per i diritti pari o superiori a 4’000 euro, si applica la
sanzione amministrativa da 30’000 euro a dieci volte l’importo dei diritti.
[8] Sul principio di proporzionalità, cfr. Galetta Diana Urania, Principio di proporzionalità e sindacato
giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano
1998; Idem, Il principio di proporzionalità nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo fra principio
di necessarietà e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali su contenuti e
rilevanza effettiva del principio, in: Riv. it. dir. pubbl.
com., 1999, pagina 743 e seguenti.
[9] Né la rilevata sproporzione potrebbe realmente
attenuarsi alla luce della previsione generale dell’articolo 7, comma 4, del Decreto Legislativo (D.Lgs.)
n. 472/1997, secondo cui, quando concorrono
eccezionali circostanze che rendono manifesta la
sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione
si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta
fino alla metà del minimo. In effetti, tale previsione,
che peraltro non pare interamente in grado di elidere l’evidenziata sproporzione, risulta connessa alla
presenza di circostanze eccezionali relative al caso
concreto, mentre l’incompatibilità della previsione sanzionatoria con il principio di proporzionalità
riguarda la norma nella sua formulazione astratta.
[10] Al riguardo deve ricordarsi che la Corte costituzionale italiana, nella sentenza n. 220 del 1995,
ha osservato che il potere sanzionatorio (nella specie, si trattava di sanzioni disciplinari) deve
estrinsecarsi in modo coerente al fatto addebitato,
che quindi deve necessariamente essere valutato e ponderato, nel contesto delle circostanze che
in concreto hanno connotato il suo accadimento,
per commisurare ad esso, ove ritenuto sussistente, la sanzione da irrogare parametrandola alla sua
maggiore o minore gravità. Chiaro appare che una
misura sanzionatoria estremamente elevata, anche
nel minimo, non consente di effettivamente effettuare tale parametrazione.
[11]Cfr. sentenza del 12 luglio 2001, causa C262/99.
[12]Cfr. sentenza del 26 ottobre 1995, causa C36/94.
[13]Cfr. sentenza del 12 settembre 1996, causa
C-58/95.
[14] Cfr. COM (2013) 884 del 13 dicembre 2013 (di
seguito Proposta di direttiva).
[15]Ciò anche in relazione alla posizione degli
Operatori Economici Autorizzati. Sulla figura dell’Operatore Economico Autorizzato e le
origini della sua istituzione cfr. Sbandi Ettore, Le
semplificazioni nelle procedure doganali, in: Scuffi
Massimo/Albenzio Giuseppe/Miccinesi Marco (a
cura di), Diritto doganale, delle accise e dei tributi
ambientali, Milano 2014, pagina 338 e seguente.
[16]In forza di tale previsione “nel quadro del campo di applicazione dei Trattati, il Parlamento europeo e il
Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa
ordinaria, adottano misure per rafforzare la cooperazione doganale tra gli Stati membri e tra questi ultimi e la
Commissione”. La cooperazione così richiamata è sia
quella orizzontale, tra Stati membri, sia quella verticale, tra Stati membri e Commissione. In relazione
a tali aspetti cfr. Vismara Fabrizio, Rilievi in tema di
sussidiarietà e proporzionalità nella proposta di
direttiva in materia di sanzioni doganali, in: Dir. Un.
eur., 2015, pagina 865 e seguenti, che rileva come la
definizione, in via di armonizzazione, dei contenuti
delle regole in termini di violazioni punibili e sanzioni
applicabili non risulti essere necessaria ai fini dell’attuazione della politica doganale, laddove dissuasività
e proporzionalità siano comunque assicurate dalle
normative nazionali per effetto dell’osservanza di
principi comuni a livello di diritto dell’UE.
[17] Si veda altresì il considerando n. 7 della Proposta di direttiva, secondo cui la prima categoria di
comportamento sanzionabile deve comprendere
le infrazioni doganali basate sulla responsabilità
oggettiva, che non prevede alcun elemento di colpa,
considerando il carattere oggettivo degli obblighi in
questione e il fatto che le persone che sono tenute a
rispettarli non possono ignorare la loro esistenza e il
loro carattere vincolante.
[18] Cfr. sentenza del 13 novembre 2014, causa
C-443/13, Reindl, ECLI:EU:C:2014:2370.
[19] In termini analoghi cfr. CGUE, sentenza del 9 febbraio 2012, causa C-210/10, Urbán,
ECLI:EU:C:2012:64.
[20] Al riguardo deve ricordarsi come la Corte costituzionale abbia osservato che il potere sanzionatorio
deve estrinsecarsi in modo coerente al fatto addebitato, che quindi deve necessariamente essere
valutato e ponderato, nel contesto delle circostanze
che in concreto hanno connotato il suo accadimento,
per commisurare ad esso, ove ritenuto sussistente, la
sanzione da irrogare parametrandola alla sua maggiore o minore gravità. Cfr. sentenza del 1. giugno
1995, n. 220, reperibile su: http://www.giurcost.org/
decisioni/1995/0220s-95.htm [30.06.2016].
41
42
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Reddito della sostanza vs. utile in capitale
Rocco Filippini
Avvocato,
Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law
Vicecancelliere della Camera di diritto tributario
del Tribunale d’appello del Cantone Ticino
In una sentenza del 5 giugno 2015 (DTF 141 II 326), il Tribunale
federale ha confermato la propria giurisprudenza secondo cui il
criterio discriminante del consumo della sostanza va applicato
anche alla costituzione e all’alienazione di diritti di superficie,
indipendentemente dalla formulazione dell’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT
1.
Le disposizioni legali
1.1.
Il principio dell’imposizione del reddito netto globale
Secondo gli articoli 16 capoverso 1 della Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD), 7 capoverso 1 della Legge
federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni
e dei Comuni (di seguito LAID) e 15 capoverso 1 della Legge
tributaria ticinese (di seguito LT) sottostà all’imposta sul reddito
la totalità dei proventi, siano essi periodici oppure unici. Come
più volte ricordato dalla giurisprudenza, il legislatore ha in tal
modo fatto proprio il principio dell’imposizione del reddito netto
globale (Grundsatz der Gesamtreineneinkommensbesteuerung). Tali
disposizioni sono, in altri termini, espressione della teoria dell’incremento patrimoniale, in virtù della quale tutto quanto accresce
il patrimonio nel corso di un determinato lasso di tempo (periodo
fiscale) va considerato reddito. Esse contengono dunque una
clausola generale, che è completata da una lista esemplificativa
di diverse componenti reddituali (articoli da 17 a 23 LIFD e articoli
da 16 a 22 LT).
Tra di esse, gli articoli 21 capoverso 1 LIFD e 20 capoverso 1 LT
disciplinano espressamente i redditi da sostanza immobiliare, ed
in particolare i proventi dalla locazione, dall’affitto, dall’usufrutto
o da altro godimento (lettera a), il valore locativo di immobili o di
parti di essi che il contribuente ha a disposizione per uso proprio
in forza del suo diritto di proprietà o di un usufrutto ottenuto a
titolo gratuito (lettera b) e, per quanto qui di interesse, i proventi
da contratti di superficie (lettera c).
1.2.
L’eccezione degli utili in capitale
Una particolare eccezione è prevista per gli utili in capitale.
Gli articoli 16 capoverso 3 LIFD e 15 capoverso 3, prima frase
LT esentano infatti dall’imposta ordinaria sul reddito gli utili in
capitale conseguiti nella realizzazione di sostanza privata.
La distinzione tra reddito e utile in capitale può essere compiuta
facendo capo al criterio discriminante del consumo della sostanza
(Substanzverzehrkriterium). Condizione per il riconoscimento di
un utile in capitale esente da imposta (ordinaria) è il sussistere
di una realizzazione, totale o parziale, di diritti reali o obbligatori.
Questi lasciano il dominio della persona cedente e diminuiscono
momentaneamente, fino alla ricezione della controprestazione,
la sua sostanza. In quanto eccezione che contrasta con il principio
dell’imposizione del reddito netto globale e con il principio costituzionale della capacità economica, da cui discende, l’esenzione
degli utili in capitale deve essere interpretata in modo restrittivo.
Essa presuppone, da una parte, la realizzazione e quindi l’alienazione di diritti reali o di natura contrattuale appartenenti alla
sostanza privata e richiede, d’altra parte, una controprestazione
direttamente legata a detta alienazione. Una realizzazione nel
senso degli articoli 16 capoverso 3 LIFD e 15 capoverso 3, prima
frase LT presuppone infatti l’esistenza di un rapporto di causalità
adeguata tra il reddito conseguito e la sostanza consumata[1].
1.3.
L’eccezione dell’eccezione: l’imposizione cantonale degli utili
in capitale immobiliare
Gli utili in capitale conseguiti nella realizzazione di sostanza
immobiliare sono esclusi dall’imposta sul reddito, ma sottostanno ai disposti cantonali concernenti l’imposizione degli
utili immobiliari (articolo 7 capoverso 4 lettera b LAID).
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Nel Cantone Ticino, l’articolo 15 capoverso 3, seconda frase LT
rinvia espressamente agli articoli da 123 a 140 LT, che assoggettano all’imposta speciale sugli utili immobiliari i guadagni
realizzati con il trasferimento della proprietà di immobili o di
parti di essi, che appartengono alla sostanza privata o aziendale del contribuente. Secondo l’articolo 124 capoverso 1 LT è
imponibile il trasferimento di proprietà immobiliare e qualsiasi
negozio giuridico i cui effetti, riguardo al potere di disporre del
fondo, sono parificabili, economicamente, a quelli di un trasferimento di proprietà. Il capoverso 2 specifica, per quanto qui
di interesse, che sono in particolare imponibili le costituzioni a
favore di terzi e le alienazioni di diritti di superficie che abbiano
il carattere per sé stante e permanente i cui effetti siano
economicamente parificabili a un’alienazione della proprietà
(lettera d), così come le costituzioni di servitù di diritto privato
se limitano lo sfruttamento incondizionato o diminuiscono il
valore venale di un fondo in modo duraturo e importante e si
fanno dietro versamento di un’indennità (lettera e).
Il contenuto di questa norma è molto simile a quello dell’articolo 12 capoverso 2 lettera c LAID, secondo cui sono
assimilati a un’alienazione segnatamente la costituzione su di
un fondo di servitù di diritto privato o di restrizioni di diritto
pubblico alla proprietà fondiaria, se limitano lo sfruttamento
incondizionato o diminuiscono il valore venale di un fondo in
modo duraturo e importante e si fanno contro versamento di
un’indennità.
2.
Il postulato dell’armonizzazione fiscale verticale
2.1.
La regola
L’interpretazione delle disposizioni del diritto cantonale
che concernono la definizione, da un lato, dei redditi della
sostanza immobiliare (articolo 20 capoverso 1 LT) e, dall’altro,
di quelli soggetti all’imposta sugli utili immobiliari (articolo
124 LT), deve coincidere con l’interpretazione delle corrispondenti disposizioni dell’articolo 21 capoverso 1 LIFD, per
quanto riguarda la definizione del reddito della sostanza, e
dell’articolo 16 capoverso 3 LIFD in relazione all’utile in capitale conseguito nella realizzazione di sostanza privata.
Come più volte precisato dal Tribunale federale, nella misura
in cui hanno un’identica portata e contenuto, le disposizioni
del diritto cantonale e quelle del diritto federale determinanti,
incluso il diritto armonizzato, devono essere interpretate nello
stesso modo. In virtù del principio dell’armonizzazione fiscale
verticale, le regole giurisprudenziali sviluppate in materia di
legislazione federale si applicano conseguentemente anche
nei confronti del diritto cantonale[2].
2.2.
La regola rovesciata
In nome del postulato dell’armonizzazione fiscale verticale
vale anche la regola inversa. Nell’applicare l’articolo 16
capoverso 3 LIFD va presa in considerazione anche la prassi
relativa alle corrispondenti (mutatis mutandis) disposizioni del
diritto dell’armonizzazione, cioè di quelle che concernono
l’imposizione cantonale degli utili immobiliari[3].
Il Tribunale federale ha confermato la propria giurisprudenza
in un recente caso ticinese, avente per oggetto l’imposizione
di un’indennità di 20’000 franchi ricevuta in contropartita
all’iscrizione di una servitù di passo pedonale e con ogni veicolo, richiamando l’articolo 12 capoverso 2 lettera c LAID per
distinguere tra reddito imponibile, giusta l’articolo 16 capoverso 1 LIFD, e utile in capitale conseguito nella realizzazione
di sostanza privata, giusta l’articolo 16 capoverso 3 LIFD. Per
stabilire se la costituzione della servitù potesse essere qualificata quale utile in capitale – come tale esente dall’imposta
federale diretta e soggetta all’imposta cantonale sugli utili
immobiliari – i giudici federali hanno fatto capo al criterio
del consumo della sostanza, interpretando la nozione di realizzazione (e quindi di alienazione) contenuta nell’articolo 16
capoverso 3 LIFD alla luce dell’articolo 12 capoverso 2 lettera
c LAID. Constatato che nel caso in esame, invero piuttosto
particolare, il passo sul sedime in discussione era praticato
da anni e che, da un punto di vista economico, l’iscrizione
del diritto di passo aveva di fatto un carattere solo formale,
il Tribunale federale ha infine concluso che detta iscrizione
non aveva in realtà comportato nessuna realizzazione del
fondo del contribuente, ovvero nessun consumo di sostanza,
confermando la sentenza della Camera di diritto tributario
del Tribunale d’appello che ammetteva gli estremi per tassare
l’indennità di 20’000 franchi quale reddito[4].
L’interpretazione verticale della nozione di realizzazione
(e quindi di alienazione) non deve stupire. L’utile immobiliare
e l’imposta sul reddito sono infatti strettamente legati l’uno
all’altro e, da un punto di vista sistematico, le disposizioni
degli articoli 12 capoverso 2 lettera c LAID e 16 capoverso
3 LIFD sono complementari fra loro: i guadagni conseguiti
con la (parziale) realizzazione di un fondo sottostanno
all’imposta speciale sugli utili immobiliari ma sono esclusi
dall’imposta ordinaria sul reddito, mentre le fattispecie che
non comportano alcuna realizzazione del fondo sono oggetto
dell’imposta ordinaria sul reddito ma non invece dell’imposta
sugli utili immobiliari.
3.
La sentenza del Tribunale federale del 5 giugno 2015 in
materia di diritti di superficie
3.1.
I fatti
Con atto pubblico del 20 marzo 2008, la comunione ereditaria composta da A, B e C, ha concesso alla D SA un diritto
di superficie per sé stante e permanente, gravante come
servitù il fondo X, per costruirvi un negozio al dettaglio e
relativi parcheggi.
Il 20 luglio 2011 l’autorità di tassazione ha aggiunto ai redditi dichiarati dai contribuenti un importo corrispondente al
reddito proveniente dalla concessione del diritto di superficie.
L’autorità fiscale ha considerato, in sintesi, che tale compenso
era soggetto all’imposta ordinaria sul reddito secondo gli articoli 21 capoverso 1 lettera c LIFD e 20 capoverso 1 lettera c LT.
Il reclamo interposto contro la decisione di tassazione è stato
respinto il 4 luglio 2012. La decisione su reclamo è stata a
43
44
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
sua volta confermata dalla Camera di diritto tributario del
Tribunale d’appello, che si è pronunciata con sentenza del
1. ottobre 2013 (cfr. n. 80.2012.158). Davanti a tutte le istanze
cantonali i contribuenti hanno affermato, senza successo, che
nella fattispecie doveva applicarsi l’articolo 124 capoverso 2
lettera d LT, che disciplina l’imposizione degli utili immobiliari.
Il 4 novembre 2013 i contribuenti hanno presentato dinanzi
al Tribunale federale un ricorso in materia di diritto pubblico
lamentando la violazione dell’articolo 12 capoverso 2 lettera c
LAID e dell’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT.
3.2.
Il diritto di superficie secondo l’articolo 779 CC
Il diritto di superficie è una servitù in base alla quale il proprietario del fondo conferisce a un terzo (il superficiario) il diritto di
fare e mantenere una costruzione sul suo fondo, sopra o sotto
la superficie del suolo (articolo 779 capoverso 1 del Codice
civile [di seguito CC]). Detto diritto permette di dissociare la
proprietà del fondo da quella delle costruzioni ivi erette, nel
senso che il superficiario diventa proprietario degli immobili e
degli altri edifici costruiti sopra (o sotto) la superficie del fondo,
mentre il proprietario conserva la proprietà del medesimo.
Il diritto di superficie è di regola concesso contro il versamento
di una controprestazione che avviene sotto forma d’indennità,
unica o, più sovente, periodica, la quale rappresenta la rendita
del suolo. Per quanto lo concerne, il superficiario percepisce,
fintanto che dura il diritto di superficie, gli eventuali redditi
degli edifici e delle installazioni costruiti. Esso può anche
essere ceduto ed è trasmissibile nel senso dell’articolo 779
capoverso 2 CC.
Nel caso concreto il diritto di superficie è stato costituito per la
durata di trenta anni, prorogabile per tre volte dieci anni, come
diritto per sé stante e permanente. Queste due caratteristiche
hanno permesso al titolare di farlo intavolare come fondo a
registro fondiario (articoli 779 capoverso 3 e 943 capoverso
1 cifra 2 CC).
3.3.
L’infelice formulazione dell’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT
La formulazione dell’articolo 124 capoverso 2 lettera d LT,
secondo cui sono soggette all’imposta speciale cantonale
le costituzioni a favore di terzi e le alienazioni di diritti di
superficie che abbiano il carattere del diritto per sé stante e
permanente i cui effetti siano economicamente parificabili
a un’alienazione della proprietà, lascerebbe intendere che il
carattere per sé stante e permanente del diritto di superficie
è un criterio per definirne l’assoggettamento all’imposta sugli
utili immobiliari.
Come sottolineato dalla Camera di diritto tributario e
successivamente confermato dal Tribunale federale, tale
formulazione solleva tuttavia qualche perplessità, soprattutto
in relazione al postulato dell’armonizzazione fiscale verticale,
che impone di applicare l’articolo 124 capoverso 2 lettera d
LT alla luce del criterio del consumo della sostanza sviluppato
nella giurisprudenza federale.
3.4.
Il criterio determinante del consumo della sostanza
La semplice costituzione di un diritto di superficie non viene
considerata assimilabile ad una vendita del fondo, in quanto
non intacca in modo duraturo l’essenza della proprietà
immobiliare. Dal punto di vista fiscale, nel momento della
costituzione del diritto di superficie, per il proprietario sorge,
accanto alla nuda proprietà, il diritto all’indennizzo per la
concessione dello sfruttamento del suolo. Se il fondo non è
già edificato, pertanto, la situazione del proprietario è simile a
quella di chi conclude un contratto di locazione o affitto.
L’articolo 12 capoverso 2 lettera c LAID, come visto, prevede
del resto che la costituzione su di un fondo di servitù di
diritto privato o di restrizioni di diritto pubblico alla proprietà
fondiaria sia assimilata ad un’alienazione solo se limitano lo
sfruttamento incondizionato o diminuiscono il valore venale
di un fondo in modo duraturo e importante e si fanno contro
versamento di un’indennità. La prassi tende ad interpretare il
requisito del carattere duraturo non facendo riferimento alla
nozione di “permanente”, che si applica alle servitù nel diritto
civile, cioè attribuendogli il senso di “per trent’anni almeno o
per un tempo indeterminato” [5] , bensì restringendone il campo
d’applicazione ai casi in cui vi è un’alienazione parziale, cioè
quando viene concessa una servitù eterna. La costituzione
di un diritto di superficie non si considera allora alienazione
imponibile, poiché si tratta di una servitù che è sempre limitata nel tempo, anche se dovesse durare cento anni.
3.5.
Le conclusioni dei giudici federali
La costituzione di un diritto di superficie, se è limitato nel
tempo e anche se iscritto come fondo a Registro fondiario,
non comporta un’alienazione, ragione per cui l’indennità
corrisposta non è soggetta all’imposta sugli utili immobiliari,
bensì viene tassata come reddito.
In queste condizioni, la soluzione adottata dai giudici cantonali
(ossia che il carattere “duraturo” della servitù, cioè del diritto
di superficie, dev’essere inteso nel senso di illimitato affinché
il caso vada assoggettato all’imposta sugli utili immobiliari),
oltre a collimare con l’opinione sostenuta da gran parte della
dottrina, è conforme alle esigenze poste dalla legislazione
federale e da quella armonizzata per ammettere che si è in
presenza (o meno) di un’alienazione. Come accennato in precedenza vi è alienazione – condizione per ammettere un utile
in capitale esente da imposta ordinaria – quando interviene
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
un consumo di sostanza, ossia quando i diritti reali o obbligatori sono totalmente o parzialmente realizzati, ciò che implica
che lasciano la sfera della persona cedente, con diminuzione
della sua sostanza, perlomeno momentaneamente, fino alla
ricezione della controprestazione.
Nel caso in discussione, per contro, non vi è (stato) alcun
consumo di sostanza. In effetti, sebbene il titolare del diritto di
superficie sia proprietario della costruzione che ha potuto erigere sul fondo serviente, la proprietà di quest’ultimo è rimasta
al proprietario fondiario, ossia alla comunione ereditaria di cui
fanno parte i ricorrenti, i quali, quando il diritto di superficie
si estinguerà, diventeranno anche proprietari delle costruzioni
erette (articolo 779c CC). I proprietari del terreno hanno
ceduto il diritto di edificarvi sopra un immobile commerciale e
di conservarlo per la durata di sessant’anni e in cambio hanno
pattuito il versamento in loro favore di indennità periodiche.
Dette prestazioni non equivalgono ad un pagamento per
un trasferimento di proprietà, poiché il terreno è rimasto
proprietà della comunione ereditaria e l’edificio commerciale
è stato realizzato dopo la costituzione del diritto di superficie,
da parte del detentore del medesimo e a sue spese: non vi è
pertanto stata alcuna alienazione, né consumo di sostanza.
3.6.
Il caso particolare dei fondi già edificati
Il Tribunale federale non si è occupato del caso particolare
dei terreni già edificati al momento della costituzione di un
diritto di superficie. Secondo una sua vecchia giurisprudenza
[1] Sentenza TF n. 2C_902/2013 dell’11 luglio 2014.
[2] DTF 139 II 363 consid. 3.2 e riferimenti.
[3] Sentenza TF n. 2C_1151/2012 consid. 3.2, del 3
giugno 2013.
[4] Sentenza TF n. 2C_902/2013 consid. 4.3, dell’11
luglio 2014.
[5] Cfr. articolo 22 capoverso 1 lettera a dell’Ordinanza del 23 settembre 2011 sul Registro fondiario
[ORF; RS 211.432.1].
[6]Sentenza CDT n. 80.2012.158 del 1. ottobre
2013 consid. 2.2; di parere contrario Verrey Bastien,
in: RDAF 2015 II pagina 469, secondo cui i giudici federali avrebbero escluso, con la decisione qui in
esame, una “scissione” dell’indennità versata al nudo
proprietario nel caso in cui il terreno fosse già edificato al momento della costituzione della servitù.
(cfr. DTF 90 I 252) occorre distinguere a seconda che il diritto
di superficie è concesso su un terreno non edificato oppure
già costruito. Nel primo caso l’indennità percepita (periodica
oppure unica) soggiace all’imposta sul reddito, nella seconda
ipotesi essa deve essere divisa in due parti: quella concernente
l’alienazione della costruzione soggiace all’imposta sugli utili
immobiliari, mentre il rimanente viene tassato come reddito.
Questa è l’opinione condivisa anche dalla dottrina dominante
e dalla Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello. Nel
caso della concessione di un diritto di superficie su un fondo
già edificato, la controprestazione versata dal superficiario
si compone, da un lato, dell’indennità per l’uso del suolo e,
dall’altro, di quella per l’edificio, la cui proprietà si trasferisce
al superficiario. Indennità periodiche rappresentano proventi
da contratti di superficie secondo l’articolo 21 capoverso 1
lettera c LIFD solo nella misura in cui costituiscono compenso
per l’uso del suolo. La quota dell’indennità che si riferisce al
trasferimento della proprietà della costruzione rappresenta
invece un utile in capitale. Lo stesso trattamento è previsto
anche se l’indennità è versata in forma di prestazione unica in
capitale[6].
Elenco delle fonti fotografiche:
http://cms.immoscout24.ch/media/1776/anbauen-aufstocken-verdichten.
jpg?width=640&height=360&center=0.5,0.5&mode=crop [30.06.2016]
ht tp://w w w.laregione.ch/sites/default/f iles/uploads/f iles/2015/11/
TF_1011.jpg [30.06.2016]
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Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE
Compatibilità della limitazione al credito
per imposte estere prevista dall’articolo
165, comma 10 TUIR con il Diritto dell’UE
Paolo Arginelli
Professore a contratto,
Università Cattolica del Sacro Cuore
Postdoc research fellow, IBFD
Direttore, AdvantA Sagl, Lugano
Ordinanza della Corte di Giustizia Europea del 4 febbraio 2016
(Sesta Sezione) – causa C-194/15 – Baudinet contro Agenzia
delle Entrate – Direzione Provinciale I di Torino – Rinvio pregiudiziale – Articoli 63 TFUE e 65 TFUE – Libera circolazione dei
capitali – Articolo 49 TFUE – Libertà di stabilimento – Fiscalità
diretta – Tassazione dei dividendi – Convenzione bilaterale volta
a prevenire la doppia imposizione – Doppia imposizione giuridica
1.
Introduzione
L’Ordinanza concerne la compatibilità del regime impositivo
italiano dei dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti
con la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali di
cui agli articoli 49 e 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (di seguito TFUE).
La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia
che oppone la signora Baudinet e i suoi figli, Pauline, Adrien e
Édouard Boyer, all’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale
I di Torino in merito alla tassazione, in Italia, di dividendi distribuiti ai predetti soci da una società stabilita in Francia e che
sono già stati oggetto di una ritenuta alla fonte in quest’ultimo
Stato membro.
Nel rinvio pregiudiziale è stato quindi richiesto alla Corte di
chiarire “se gli articoli 63 e 65 del Trattato sul Funzionamento
dell’Unione europea ostino alla normativa di uno Stato membro in
forza della quale, allorché un residente di tale Stato – azionista di una
società stabilita in uno Stato membro diverso – percepisca dividendi
tassati in entrambi gli Stati, non si ponga rimedio alla doppia imposizione mediante l’imputazione nello Stato di residenza di un credito
d’imposta almeno pari all’importo dell’imposta versata nello Stato
della società distributrice”.
2.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
L’amministrazione tributaria ha emesso, per gli anni 2007 e
2008, una serie di avvisi di accertamento relativi ai redditi da
dividendi provenienti da partecipazioni azionarie qualificate in
una società stabilita in Francia, detenute dai ricorrenti nel procedimento principale, la cui residenza fiscale è situata in Italia.
Arianna Amigoni
Avvocato,
Consulente presso AdvantA Sagl,
Lugano
Conformemente alla Convenzione italo-francese, detta
società ha applicato a tali dividendi una ritenuta alla fonte
del 15%. I ricorrenti nel procedimento principale hanno
regolarmente dichiarato detti dividendi nella dichiarazione
dei redditi effettuata in Italia. Tuttavia, i ricorrenti nel procedimento principale hanno detratto dall’imposta dovuta in
Italia l’importo totale dell’imposta pagata in Francia, rivendicando il beneficio di un credito d’imposta di origine estera
di cui l’amministrazione tributaria italiana contesta la legittimità. Secondo detta amministrazione, ai sensi dell’articolo
165, comma 10 del Testo Unico dell’Imposta sui Redditi (di
seguito TUIR), il credito d’imposta di cui possono beneficiare
i ricorrenti nel procedimento principale è limitato alla quota
della ritenuta alla fonte pagata in Francia che corrisponde
all’importo dei dividendi preso in considerazione dalla normativa tributaria italiana, ossia al 40% dell’importo lordo di
tali dividendi (essendo i dividendi esclusi dalla formazione
della base imponibile in Italia per il 60% del loro ammontare,
nel periodo di imposta oggetto della causa principale, in
ragione di una norma interna volta ad attenuare la doppia
imposizione economica). Ritenendo che dall’imposta dovuta
in Italia debba essere detratta l’intera ritenuta alla fonte
pagata in Francia, i ricorrenti nel procedimento principale
hanno adito la Commissione tributaria provinciale di Torino.
Secondo quest’ultima, la normativa italiana riserva un trattamento più favorevole ai dividendi distribuiti da società
stabilite in Italia rispetto a quelli distribuiti da società stabilite in Francia, dove essi sono assoggettati a una ritenuta
alla fonte che è soltanto parzialmente detraibile in Italia.
Ne deriverebbe che la normativa italiana e la Convenzione
italo-francese sarebbero atte a dissuadere le persone fisiche
residenti in Italia, e che ivi sono assoggettate all’imposta sul
reddito, dall’investire i loro capitali in società stabilite fuori
dall’Italia.
Il giudice del rinvio ritiene, pertanto, che non sia irragionevole
considerare che la normativa italiana in materia di tassazione
dei dividendi di origine estera, rendendo meno conveniente la
detenzione di partecipazioni in società non residenti rispetto
a quella di partecipazioni in società residenti, possa essere in
contrasto con il principio della libera circolazione dei capitali.
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
In tale contesto, la Commissione tributaria provinciale di
Torino ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale sopra richiamata.
3.
Sulla questione pregiudiziale
La Corte evidenzia innanzitutto come, sulla libertà in esame,
in conformità alla propria giurisprudenza, sebbene il giudice
nazionale interroghi la Corte sull’interpretazione degli articoli 63 e 65 TFUE, si debba esaminare la fattispecie alla luce
dell’articolo 49 TFUE. A tale proposito la Corte ricorda che il
trattamento fiscale dei dividendi può ricadere nella sfera di
applicazione dell’articolo 49 TFUE, riguardante la libertà di
stabilimento, e in quella dell’articolo 63 TFUE, relativo alla
libera circolazione dei capitali (paragrafi 21-23 dell’Ordinanza).
Quanto alla questione se una normativa nazionale
rientri nell’una o nell’altra libertà di circolazione, da una giurisprudenza costante della Corte risulta opportuno prendere
in considerazione l’oggetto della normativa di cui trattasi.
In proposito la stessa aggiunge che è già stato dichiarato
dalla Corte come una normativa nazionale destinata ad
applicarsi esclusivamente alle partecipazioni che consentono
di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società
e di determinarne le attività ricada nella sfera di applicazione
delle disposizioni del TFUE relative alla libertà di stabilimento.
Per contro, disposizioni nazionali che siano applicabili a partecipazioni acquisite al solo scopo di realizzare un investimento
finanziario, senza l’intento di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminate esclusivamente
alla luce della libera circolazione dei capitali (paragrafi 24 e 25
dell’Ordinanza).
Per quanto riguarda il procedimento principale, alla Corte
risulta che la normativa nazionale di cui trattasi, si applichi
indipendentemente dall’importo della partecipazione detenuta in una società. Così, l’applicazione di tale normativa
non dipende dall’entità delle partecipazioni nella società non
residente e non si limita alle situazioni nelle quali il titolare
di quote possa esercitare una sicura influenza sulle decisioni
della società considerata e determinarne le attività. Di conseguenza, nei limiti in cui tale normativa si riferisca a dividendi
che hanno origine in uno Stato membro, l’oggetto di tale
normativa non consente di stabilire se quest’ultima ricada
in maniera preponderante nella sfera di applicazione dell’articolo 49 TFUE, oppure in quella dell’articolo 63 TFUE. Non
disponendo la Corte di elementi sufficienti per determinare
la natura della partecipazione di cui trattasi e non potendo
pertanto escludere che la normativa nazionale di cui trattasi
nel procedimento principale si possa applicare a dividendi
versati da una società non residente ad azionisti residenti
che detengano una partecipazione che attribuisca loro una
sicura influenza sulle decisioni di tale società e consenta loro
di determinarne le attività, la stessa ha pertanto ritenuto di
esaminare la questione pregiudiziale anche alla luce delle
disposizioni del TFUE relative alla libertà di stabilimento
(paragrafi 26-28 dell’Ordinanza).
In relazione alla sussistenza di una restrizione alla libertà di
circolazione, la Corte, in primis, ricorda che da giurisprudenza
costante si evince che spetta a ciascuno Stato membro
organizzare, in osservanza del diritto dell’Unione, il proprio
sistema di tassazione degli utili distribuiti e definire, in tale
ambito, la base imponibile nonché il tasso d’imposizione
che vengono applicati in capo all’azionista beneficiario. Ne
consegue, da un lato, che i dividendi distribuiti da una società
stabilita in uno Stato membro a un azionista residente in un
altro Stato membro possano subire una doppia imposizione
giuridica qualora i due Stati membri decidano di esercitare la
propria competenza fiscale e di assoggettare tali dividendi a
tassazione in capo all’azionista. Dall’altro lato, le conseguenze
svantaggiose che possono derivare dall’esercizio parallelo da
parte di diversi Stati membri della loro competenza fiscale,
se e in quanto tale esercizio non sia discriminatorio, non
costituiscono restrizioni vietate dal Trattato (paragrafi 30-32
dell’Ordinanza).
La Corte continua, poi, rilevando che, conformemente alla
propria consolidata giurisprudenza, poiché il diritto dell’Unione, al suo stato attuale, non stabilisce criteri generali per la
ripartizione delle competenze tra gli Stati membri per quanto
riguarda l’eliminazione della doppia imposizione all’interno
dell’Unione europea, la circostanza che tanto lo Stato membro della fonte dei dividendi quanto lo Stato di residenza
dell’azionista possano tassare tali dividendi non implica che
lo Stato membro di residenza sia tenuto, in forza del diritto
dell’Unione, a prevenire gli svantaggi che potrebbero derivare
dall’esercizio della competenza così ripartita da parte dei due
Stati membri (paragrafo 33 dell’Ordinanza).
Nel caso di specie, la Corte prende atto che la normativa
italiana non fa alcuna distinzione tra i dividendi distribuiti da
una società stabilita in Italia e quelli distribuiti da una società
stabilita in Francia, posto che in entrambi i casi i dividendi
concorrono alla base imponibile limitatamente al 40% del
loro importo. La circostanza che i dividendi di fonte francese
siano assoggettati ad un onere tributario maggiormente gravoso rispetto a quello gravante sui dividendi di fonte interna
(distribuiti da società italiane) non è imputabile ad alcuna
discriminazione posta in essere dalla normativa italiana, bensì
la mera conseguenza dell’esercizio parallelo del proprio potere
impositivo dei due Stati, l’uno operante come Stato della
fonte-Francia e l’altro come Stato di residenza–Italia (paragrafi 34 e 35 dell’Ordinanza).
47
48
Novità fiscali / n.6 / giugno 2016
Alla luce degli argomenti sopra esposti, la Corte conclude che
occorre rispondere alla questione dichiarando che gli articoli
49, 63 e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che non
ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella di
cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale,
allorché un residente di tale Stato membro, azionista di una
società stabilita in un altro Stato membro, percepisce da tale
società dividendi tassati in entrambi gli Stati membri, non si
ponga rimedio alla doppia imposizione, nello Stato membro
di residenza dell’azionista, mediante l’imputazione di un credito d’imposta almeno pari all’importo dell’imposta versata
nello Stato membro della fonte di tali dividendi (paragrafo 37
dell’Ordinanza).
In estrema sintesi, quindi, la Corte ritiene che lo Stato membro
di residenza dell’azionista non sia tenuto, in forza del diritto
dell’Unione, ad eliminare la doppia imposizione giuridica dei
dividendi mediante il riconoscimento di un credito d’imposta pari all’intero importo dell’imposta riscossa nello Stato
membro della fonte di tali dividendi, confermando, quindi,
con riguardo all’ordinamento tributario italiano, la legittimità
dell’articolo 165, comma 10 TUIR.
4.
Dispositivo
Per questi motivi, la Corte dichiara che “[g]li articoli 49 TFUE,
63 TFUE e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che non
ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, allorché un
residente di tale Stato membro, azionista di una società stabilita in
un altro Stato membro, percepisce da tale società dividendi tassati
in entrambi gli Stati membri, non si ponga rimedio alla doppia imposizione, nello Stato membro di residenza dell’azionista, mediante
l’imputazione di un credito d’imposta almeno pari all’importo
dell’imposta versata nello Stato membro della fonte di tali dividendi”.
5.
Commenti
Con l’Ordinanza in esame, la Corte ribadisce un principio
ormai consolidato secondo il quale l’esercizio parallelo del
potere impositivo tra Stati membri, e la conseguente doppia
imposizione giuridica internazionale cui sono soggette le
distribuzioni transfrontaliere di dividendi, non costituisce una
violazione della libertà di stabilimento ovvero della libera
circolazione dei capitali.
[1] Cfr. Alban Zaimaj, La Corte di Giustizia dell’Unione europea afferma la compatibilità con il
diritto dell’Unione europea della limitazione al credito per imposte estere prevista dall’articolo 165,
c. 10 del TUIR, Rivista di Diritto Tributario, Supplemento on-line, e l’ulteriore dottrina ivi richiamata,
in:
http://www.rivistadirittotributario.it/2016/
02/23/la-corte-di-giustizia-dellunione-europeaafferma-la-compatibilita-con-il-diritto-dellunione-europea-della-limitazione-al-creditoper-imposte-estere-prevista-dall’articolo-165
[30.06.2016].
Il principio era già stato enunciato dalla Corte in precedenti
pronunce (per esempio: Causa C-513/04, del 14 novembre
2006 e Causa C-128/08, del 16 luglio 2009) e pertanto, l’Ordinanza C-194/15 in rassegna è del tutto conforme ai precedenti
giurisprudenziali della Corte.
Ciò detto, non si può non osservare come il giudice di merito
avrebbe potuto risolvere in radice il problema della doppia
imposizione giuridica dei dividendi sancendo la prevalenza
dell’articolo 24 della Convenzione Italia-Francia sull’articolo 165, comma 10 TUIR. In proposito pare condivisibile la
posizione espressa dalla dottrina[1] secondo cui l’articolo
165, comma 10 TUIR deve essere disapplicato in presenza di
convenzioni contro le doppie imposizioni che non pongono
limitazioni ulteriori rispetto a quella “ordinaria” che limita
l’ammontare delle imposte estere accreditabili alla quota d’imposta italiana riferibile al reddito estero. In proposito si deve
osservare che in alcune recenti convenzioni, l’Italia ha inserito
nell’articolo che disciplina il credito d’imposta una specifica
disposizione che riflette il contenuto dell’articolo 165, comma
10 TUIR. Ad esempio, l’articolo 22 della Convenzione con
Hong Kong contiene la seguente clausola: “l’imposta pagata
nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong per la quale
spetta la detrazione è solo l’ammontare pro-rata corrispondente
alla parte del reddito estero che concorre alla formazione del reddito
complessivo”.
La medesima disposizione è prevista nei Protocolli aggiuntivi
delle convenzioni stipulate con Corea del Sud e Cipro. In via di
principio, dunque, si dovrebbe ritenere che nella misura in cui
la Convenzione bilaterale Italia-Francia non contiene alcuna
limitazione specifica in ordine all’ammontare del credito d’imposta, la ritenuta alla fonte dovrebbe essere accreditabile per
l’intero ammontare, fatto salvo il limite della quota di imposta
italiana afferente al reddito prodotto all’estero.
Da ultimo, si osserva che la prevalenza della norma pattizia
su quella interna dovrebbe essere accertata direttamente
dal giudice di merito e non potrebbe essere oggetto di rinvio
pregiudiziale alla Corte.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://abcdeuropa.com/wp-content/uploads/2014/10/Corte-di-GiustiziadellUnione-europea-Lussemburgo.jpg [30.06.2016]
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