18 A GOSTO U na sera di fine settembre, seduto davanti alluscio di casa, vidi passare un anziano signore che portava una brocca sotto braccio. Sindirizzava verso la fontana non so come, ma quella brocca in terra cotta, risvegliò in me vecchi e diletti ricordi, quasi intristita la mia mente, si portò ritroso nel tempo riportandomi alla mia prima infanzia. In settembre, i vecchi e saggi contadini del mio paese, mettevano fuori della porta le botti, aspettando le prime piogge. Aspettavano quellacqua, che doveva stringere le doghe ai cerchi, e in sardo si diceva (ponnere in linna sos carradellos). Così quello era il segnale, che forse tanti ragazzini come me aspettavano, la vendemmia era alle porte (sinnenna). Ottobre era un mese stupendo per un bimbo di cinque anni come me, pieno di gioia. Libero da qualsiasi pensiero ostile, partecipavo alle varie vendemmie che si svolgevano nel mio paese, invitato dai molteplici parenti ed amici della mia famiglia. La vendemmia, si svolgeva con unallegria inaudita e anche la natura pareva condividere questa gioia, regalando stupende giornate di sole. Ricordo, in particolare quando si vendemmiava la vigna che era stata del nonno, ed ora era di mio padrino (sa inza de sas albinzos). La vendemmia era vicina e si avvertiva nellaria non so spiegare come ma da circa dieci giorni prima iniziavo a chiedere alla mia mamma quando sarebbe stato il fatidico giorno. Sinvitavano parenti ed amici, stando attenti a non tralasciare alcuno, in fondo anche i grandi aspettavano lappuntamento annuale con gran fervore. La notte precedente mi era quasi impossi- I Cultura 2005 l critico darte Vittorio Sgarbi è un profondo conoscitore della pittura e degli artisti sardi delle varie epoche. (Cè tutta unarte sarda del Novecento bellissima, a dimostrare ha scritto che lisolamento geografico non corrisponde affatto a provincialismo, semmai a provincia, specificità locale, voluta diversità dal centro del sistema. Sgarbi ci segnala Nerio Spiga ha il merito di aver riscoperto due anni fa un grande pittore che durante gli anni trascorsi dalla sua morte (1942) era quasi sconosciuto sia dagli intenditori che dal pubblico quasi sconosciuto, Brancaleone Cugusi da Romana, considerato ora un pittore di levatura nazionale e internazionale. Dopo la riesumazione della sua grande personalità artistica da parte del critico a Brancaleone Cugusi sono state dedicate due importanti mostre, la prima a Cagliari e la seconda a Sassari. Da poco Sgarbi ha scoperto unaltra perla della pittura sarda Antonio Debidda. Per il critico darte Debidda ricorda alcuni importanti artisti italiani degli anni Trenta e Quaranta, Ottone Rosai, Mario Mafai, Felice Casorati soprattutto. Le opere di Debidda evocano una intensa e severa spiritualità. sono nature morte di dimensione ultrareale dove cè più di quanto la realtà ci consente di vedere. Al rito della semplicità veritiera, si sostituisce quello della varietà simbolica. Le opere di Debidda sono state esposte al Museo darte contemporanea Masedu di Sassari in una mostra intitolata Omissis. Debidda, sessantacinquenne, vive e lavora a Sassari da trentanni. La vendemmia ricordi di un ragazzino bile dormire elettrizzato da quel fatto, che lindomanni era vendemmia (sa innenna). Si iniziava di buonora, gli adulti ed i ragazzini andavano prima delle donne e dei bambini. Il sole era alto nel cielo, ed il calore dei suoi raggi aveva asciugato le viti con i suoi frutti dalla rugiada del mattino, ora uomini iniziavano il taglio, affidandosi a dio con un segno di croce (si sinnaiana). Mia madre, ricordo mi prendeva in braccio, lungo la mulatiera che portava alla vigna (de sas albinzos). Ogni tanto sostava per riposare ed assieme alle altre madri, cantava (a duru duru). Mi sembra ancora di sentirle quelle giovani voci cariche di speranza. Le vedevi cariche di mille fardelli, cestini, te- glie che nascondevano prelibatezze, e vettovaglie dogni genere ed in più noi, ma tanta allegria ed ingenuità nei loro sguardi, che son rimasti vivi e scolpiti nella mia memoria. Si continuava a camminare e si capiva che era vicina la destinazione dallodore stupendo che tralasciava nellaria il pesto di lardo, pesto no degli uomini, preparava scaldando un machete sul fuoco e battendo sul lardo, assieme allaglio ed al prezzemolo serviva per dare un inconfondibile sapore al piatto tipico del nostro paese: il pane bollitto (pane oddidu) quando la carovana giungeva finalmente alla vigna, gli uomini sospendevano per un attimo la vendemmia e venivano giù a dar man forte alle donne, così creando la scusa dellennesima bicchierata. Le donne, sindaffaravano per cucinare e gli uomini ritornavano alla vendemmia, (sa innenna). A noi bambini, sicuramente per instradarci, ci riempivano duva (sa pischeduzza), cesto molto piccolo fatto di canne intessute con fili di roverella. Il compito a noi assegnato, anche se in scala minore, era quello che avevano anche i grandi, portare luva alla casetta (pinnetta), compito che svolgevamo molto orgogliosamente. Lora di pranzo, rimaneva sicuramente la più bella. In genere si preparava due tavoli, uno per i bambini ed uno per gli adulti. Nel paiolo, bolliva lacqua assieme al pesto del lardo, e la carne di pecora. Venuti a cottura, si serviva la pietanza in vassoi di sughero chiamati (taulazinos). Ognuno di noi, con forchette di canna tagliate per loccasione, si poteva servire. La mancanza di un proprio piatto, ti faceva sentire ancora di più laffetto per quei cuginetti e zii. Ancora una volta, si marcava con un timbro indelebile, quello status di famiglia matriarcale. Pescata la carne dal paiolo, simmergeva nel brodo il pane tipico del mio paese, (su zicchi). (Le donne, preparavano questo pane in casa cucinandolo nei forni a legna). Venuto a cottura si ripescava dal brodo e servito a tavola, incipriato di buon pecorino. Quanto era saporito! In mostra a Sassari le opere di Antonio Debidda il pittore scoperto da Sgarbi Gallurese di nascita, sin da piccolo fino alla giovinezza e poi anche durante gli anni della maturità racconta Nerio Spiga - ha vissuto in vari centri dellisola, prima per i frequenti trasferimenti per motivi di servizio cui è legato il lavoro del padre, poi le sue varie residenze per motivi di studio o, infine, della sua professione di docente di scuola media: da Martis a Pattada, da Calangianus a Abbasanta, da Oristano dove compie parte degli studi tec- nici a Perfugas. E poi Sedini e Aggius, Ardara e Ozieri, Codrongianus ed Erula, Chiaramonti, Tula, Laerru, Nughedu Santa Vittoria, Sorso, Sennori e Alghero. Traendo da ciascun luogo, da quella gente, da tradizioni e usanze, dalle parlate e dalle varianti lessicali e vocali, ma soprattutto dal carattere di quegli abitanti, lintera essenza e lo spirito e la fisionomia dellautentica anima sarda. Da giovane studente a Orista- no è affascinato dalla potente pittura di Carlo Contini e da quella più moderna e plastica di Antonio Corriga. Si trasferisce a Roma negli anni Sessanta e studia allIstituto darte con Felice Ludovisi e con quellAlberto Ziveri chera appartenuto alla famosa scuola romana. Debidda ha scritto Sgarbi - affida alla dialettica fra forma e colore una visione di sintesi dei paesaggi della sua Gallura, mobilissimi, quasi liquidi, nel tentativo di trovare la formula di un equilibrio di natura tanto stupefacente in una simile varietà daspetti. Ritrattista e paesaggista, raffinato acquerellista, padrone delle varie tecniche pittoriche, dal disegno alla tempera, dallolio allaffresco, Debidda, già titolare di cattedra di Disegno e Storia dellArte al liceo statale G. Spano di Sassari, scrittore, poeta, scrive penetranti analisi di critica darte. Nella mostra Omissis lartista ha proposto cinquantacinque opere imponenti come dimensione diverse di esse superavano i due metri e mezzo per due metri e come tematica che scorreva sul filo del sociale. Larte è anche dolore, ha detto lartista sardo Buffe e presenti nei miei ricordi sono le facce degli uomini, rosse dal vino e dal caldo quanta allegria nei loro visi. La giornata giungeva al termine, ma nessuno osava dichiararla tale, se non per il tramonto che ormai era giunto. Il padrone di casa ringraziava tutti, consegnando ai partecipanti una piccola parte della vendemmia (sa palte), anche ai più piccini. In genere si regalava uva da tavola, che ognuno a casa sua, legava con della raffia per essere appesa allaria, nellattesa del Natale (Pasca nadale) quando in genere si consumava. I grandi, si davano appuntamento al prossimo anno: ad annos mezzus, sì deus cheredesi rispondeva quasi esorcizzando quellaugurio. Tutto improvvisamente mutò nel cuore degli uomini: iniziarono a comprare luva dalle grosse aziende perché conveniente piuttosto che zappare le loro vigne. Nel cuore della gente comparve il demone del denaro e tutto si sfaldò incluse le famiglie. Ora non cè più tradizione, né sentimento vien riposto su azione alcuna. Il tutto allinsegna del gran progresso, nulla è rimasto alluomo e per luomo, non vi son più vigne nel mio paese da vendemmiare. Vorrei rivedere, quei volti ingenui di madri, che allegre cantano speranza ai figli. Vorrei rivedere, quei visi allegri di gioia e vino, dei nostri padri. Nulla è rimasto del nostro patrimonio fatto di tremila anni di cultura contadina, tutto bruciato in trentanni. A me è rimasto solo il ricordo e un gran vuoto dentro di me, non so cosa potrò trasmettere ai miei bambini. Racconterò i miei ricordi, e penseranno, in cuor loro davere un buon padre che racconta delle belle fiabe per farli star buoni. Salvatore Sanna durante la conferenza stampa di presentazione della mostra. Non è forse dolore, lacerante dolore ha aggiunto se un pittore, chi vi parla o un qualsiasi altro pittore, oltre alla terza torre come urlo di dolore di tutta lumanità contro gli orrori della guerra e delle guerre di oggi e di sempre, dipinge sulla tela una borsa di pelle aperta dalla quale sono usciti sparpagliati qua e là su un marciapiede di una città che può essere Cagliari o Sassari, Roma o Milano, oppure Bologna, e accanto ad essa dei mazzetti di fiori che non appassiranno mai perché resteranno per sempre bagnati dalla commozione e dalla pietà della coscienza civile, morale, umana e sentimentale dei cittadini italiani, oltre che dalla solidarietà presente e futura della storia e del tempo in nome del sacrificio magari di Dantona, di Marco Biagi, di Bachelet e di tanti altri?. Larte però ha proseguito lartista sardo è soprattutto bellezza e amore, poesia e passione, invenzione scenica di racconto e narrazione, evocazione e memorie, ricordi, sentimenti e affetti non obbligatoriamente soltanto autobiografici dellautore, ma anche vostri, di ciascuno e di tutti. La mostra segnala Nerio Spiga - ha fatto registrare un clamoroso successo di pubblico. Oltre diecimila sono stati i visitatori venuti anche da luoghi di Sardegna lontani da Sassari che hanno lasciato testimonianza delle emozioni provate. Per Vittorio Sgarbi in tutte le opere di Debidda, qualunque sia il soggetto, si sente il silenzio e la musica, si afferma il senso di religiosità e umanità, che caratterizzano la Sardegna e le sue genti.