IL COLLOQUIO MOTIVAZIONALE NEL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA E DELL’UMORE Strategie per individuare e superare le resistenze al cambiamento HENNY A. WESTRA EDIZIONE ITALIANA A CURA DI GABRIELE MELLI ECLIPSI Collana Scienze Cognitive e Psicoterapia, con la Supervisione ScientiÞca dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva (IPSICO, Firenze) Traduzione italiana di: Motivational Interviewing in the Treatment of Anxiety Henny A. Westra Traduzione: Elisa Brumat Cura: Gabriele Melli Correzione di bozze: Andrea Pioli Videoimpaginazione: Gesp srl Copyright © 2012 The Guilford Press A Division of Guilford Publications, Inc. 72 Spring Street, New York, NY 10012 www.guilford.com Copyright © 2015 Eclipsi srl Via Mannelli, 139 50132 Firenze Tel. 055-2466460 www.eclipsi.it 978-88-89627-29-7 I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microÞlm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi. A Bill e Steve, per i loro sforzi pionieristici Ai miei carissimi colleghi di York (e a Mike) che mi hanno sempre incoraggiata A Joanne, Clarence, Meisje e Jenny, per il loro amore incondizionato Ai miei geniori, per il loro sostegno E a Carl Rogers, il progenitore del colloquio motivazionale SOMMARIO L’AUTRICE Henny A. Westra, PhD, è Associate Professor of Psychology presso la York University di Toronto, Ontario, Canada. Ha una comprovata esperienza clinica e di ricerca e ha lavorato in prima linea in veste di professionista, direttore e professore. È membro della Motivational Interviewing Network of Trainers (MINT). Le ricerche sui processi motivazionali e interpersonali in psicoterapia condotti dalla dottoressa Westra sono state Þnanziate dal National Istitute of Mental Health e dal Canadian Institute of Health Research. L’autrice ha presentato e pubblicato diversi contributi relativi al trattamento dell’ansia e della depressione. NOTE DEI REDATTORI L’interesse nei confronti del colloquio motivazionale, il cui utilizzo viene proposto in quest’opera con nuove Þnalità, è in rapida ascesa, e l’aumento delle pubblicazioni in quest’ambito ne rispecchia l’ottima considerazione, tanto da parte dei ricercatori quanto da parte dei clinici. Il colloquio motivazionale è nato nel campo della psicoterapia umanistica e ha subìto vari adattamenti al di fuori di quest’ambito; il libro che vi accingete a leggere lo riporta alle origini. Henny Westra si è soffermata sulla relazione terapeutica e su ciò che accade nel corso della “contrattazione” di un cambiamento: queste tematiche riemergono ogniqualvolta si utilizza il colloquio motivazionale, e in quest’opera sono intrecciate con maestria e ben illustrate con esempi clinici. I pazienti descritti da Westra si rivolgono a un esperto per ottenere aiuto e spesso, al di là della speciÞca diagnosi, presentano vari problemi in comorbilità. L’autrice tratta argomenti complessi senza banalizzarli e perseguendo un obiettivo ben preciso: giungere a una soluzione che promuova la crescita e che liberi il paziente dalla tensione, dalla sofferenza e dall’invalidazione. Questo libro giunge in un momento di transizione, poco prima della terza edizione della nostra opera principale sul colloquio motivazionale (Miller & Rollnick, in corso di stampa); la convergenza con il nostro lavoro, tuttavia, è impressionante. Quella che la dottoressa Westra deÞnisce “fase di azione” è sovrapponibile a ciò che noi chiamiamo “processo di pianiÞcazione”: in altre parole, parlare di pianiÞcazione signiÞca prestare attenzione al linguaggio del cambiamento, aiutando la persona a risolvere l’ambivalenza e a muoversi in direzione della presa di decisione. Uno dei commenti conclusivi di Westra, “il colloquio motivazionale ha una buona validità clinica”, ben riassume i temi da lei trattati; quest’opera aiuta i clinici ad essere scrupolosi e abili, e invita i ricercatori a soffermarsi sui processi, senza limitarsi a considerare l’esito del trattamento. Ci congratuliamo con l’autrice e le siamo grati per aver reso pubblica e fruibile la sua esperienza. Stephen Rollnick William R. Miller PREFAZIONE OBIETTIVI E QUADRO GENERALE DELL’OPERA Il colloquio motivazionale è uno strumento che si è diffuso rapidamente. Originariamente utilizzato per il trattamento dell’alcolismo (in alternativa a uno stile di interazione più improntato al confronto che caratterizzava, al tempo, il counseling sulle dipendenze), oggi è un trattamento validato ed empiricamente supportato per il trattamento dell’abuso di sostanze e, recentemente, è stato applicato alla promozione della salute e al trattamento dei principali disturbi mentali (quali i disturbi d’ansia, i disturbi alimentari, la depressione e il gioco d’azzardo patologico). In quest’opera, vedremo come integrare il colloquio motivazionale nelle terapie per l’ansia e i disturbi associati (come la depressione) e l’orientamento che deve prendere il trattamento in questi casi. In base a quest’approccio, l’atteggiamento del terapeuta - un modo peculiare di considerare il paziente, il processo di cambiamento e il proprio ruolo - riveste un’importanza centrale: questo “spirito del colloquio motivazionale” trae origine dalla terapia centrata sul cliente e dai principi esposti da Carl Rogers, e le speciÞche tecniche che proponiamo rappresentano un’opportunità per farlo proprio. In questo volume non intendo evidenziare le lacune degli altri approcci, quanto mettere in luce (dal mio speciÞco punto di vista) i vantaggi di una terapia che si avvalga degli strumenti del colloquio motivazionale. Immagino che molti terapeuti rivedranno se stessi e il proprio operato (probabilmente spontaneo) in queste pagine; il mio, infatti, è un tentativo di dimostrare come il colloquio motivazionale espliciti un qualcosa che, in precedenza, era solo sottinteso o indeÞnito. A CHI È DEDICATA QUEST’OPERA Questo libro è dedicato a chi lavora con i pazienti affetti da disturbi d’ansia e problemi correlati. I destinatari dell’opera includono, quindi, i professionisti appartenenti a diversi orientamenti terapeutici che intendano promuovere un cambiamento comportamentale e, in particolare, coloro che utilizzano approcci più direttivi o orientati all’azione. Il volume si focalizza sull’ansia e sui problemi ad essa correlati - in particolar modo la depressione (la più frequente nella pratica clinica) - dimostrando come il colloquio motivazionale possa inßuenzare positivamente gli altri trattamenti. Sia che l’ansia rappresenti il motivo principale della richiesta di aiuto, sia che essa sia concomitante ad altri problemi, quest’opera è destinata a chiarire come, integrando il colloquio motivazionale nel trattamento, si possa ampliÞcare il coinvolgimento del paziente e ottenere risultati migliori. I professionisti che siano in grado di integrare diversi approcci riusciranno a riconoscere e a gestire più efÞcacemente l’ambivalenza e l’impasse motivazionale che, spesso, minacciano gli sforzi volti al cambiamento. Molti casi clinici qui descritti risulteranno familiari a chi utilizza un approccio cognitivo-comportamentale, dal momento che questo è anche il mio retroterra culturale. Personalmente, nella pratica clinica, integro il colloquio motivazionale alle tecniche e ai concetti cognitivo-comportamentali, ma qualsiasi altro orientamento terapeutico può godere dell’apporto di questo strumento, dal momento che gli speciÞci interventi di ogni singolo approccio possono sostituire quelli qui presentati. UNO SFORZO INIZIALE Questo volume si propone di descrivere l’inßuenza del colloquio motivazionale sul trattamento (il medesimo obiettivo dello studio COMBINE nell’ambito dell’abuso di sostanze [COMBINE Study Research Group, 2003]; si vedano anche Arkowitz & Burke, 2008, per quanto riguarda l’integrazione del colloquio motivazionale nel trattamento della depressione). Anche altri approcci evidenziano come una prospettiva centrata sul cliente funga da base per gli interventi e gli approcci più direttivi (Emotion Focused Therapy; Greenberg, 2002; Greenberg, Rice, & Elliot, 1993. Il cliente come terapeuta di se stesso; Bohart & Tallman, 1999). Quest’opera, pertanto, costituisce un tentativo di integrare il colloquio motivazionale con metodi più orientati all’azione. Reputo di avere, in tal senso, una prospettiva privilegiata, dal momento che le mie radici affondano in mondi differenti - tra i quali la terapia cognitivo-comportamentale, il colloquio motivazionale e la terapia centrata sul cliente1 - permettendomi di cogliere i risvolti positivi e negativi di ognuno di questi modelli. Mi auguro che questo volume vi sproni ad approfondire il colloquio motivazionale (o, se già lo conoscete, vi permetta di applicare i suoi strumenti ai disturbi d’ansia), migliori il vostro lavoro - indipendentemente dall’approccio che utilizzate - e vi stimoli al dialogo e alla rißessione, per arricchire gli approcci terapeutici che adottate e incrementare il coinvolgimento dei pazienti. 1 Con immensa gratitudine ai miei colleghi della terapia centrata sul cliente alla York University, da cui ho imparato moltissimo, in special modo Lynne Angus, John Eastwood, Leslie Greenberg, David Rennie e Shake Toukmanian. PARTE I INTEGRARE IL COLLOQUIO MOTIVAZIONALE CON IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA E DI QUELLI IN COMORBILITÀ 6 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore Quando e come è opportuno utilizzare il colloquio motivazionale 7 1 QUANDO E COME È OPPORTUNO UTILIZZARE IL COLLOQUIO MOTIVAZIONALE I soggetti affetti da disturbi d’ansia sono costantemente perseguitati da preoccupazione, paura e orrore, emozioni intense e travolgenti che procurano sofferenza e infelicità. Quando il problema diviene abbastanza serio, l’ansia e la ricerca di sicurezza che ne consegue possono offuscare le reali priorità della persona, come il percorso scolastico o lavorativo, la creazione di relazioni soddisfacenti, lo svago o, più in generale, il vivere una vita appagante. Spesso, le persone proseguono comunque con il proprio lavoro, con le proprie relazioni e con le proprie attività, sentendosi però cronicamente stressate e insoddisfatte, se non addirittura depresse. Sono queste le emozioni che, il più delle volte, spingono i pazienti a cercare aiuto. Sebbene possa sembrare abbastanza logico che non provare più queste fastidiose emozioni rappresenti in sé un incentivo per superarle, quando le persone devono compiere delle azioni a questo scopo si ritrovano spesso in conßitto. Il cambiamento è difÞcile e costellato da ambivalenze, che includono momenti di stallo e motivazioni opposte, e i soggetti ansiosi si sentono sovente combattuti: pur coscienti dei problemi creati dall’ansia e desiderosi di liberarsene, sono vittime delle abitudini, ben radicate e dure a morire, a dispetto dei problemi che creano. Affrontare le proprie paure, poi, è difÞcile e impegnativo - benché necessario per superare l’ansia - e provoca, tipicamente, riluttanza e ritrosia. Il colloquio motivazionale, usato inizialmente per gestire le emozioni conßittuali nel trattamento dell’alcolismo, è altrettanto valido nel trattamento dell’ansia e dei disturbi associati. Il terapeuta che disponga di strumenti che sempliÞcano l’elaborazione delle emozioni ambivalenti in merito al cambiamento, 8 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore in un clima di accettazione e di comprensione, riesce ad aiutare il paziente in modo più tranquillo ed efÞcace, stimolandolo a cambiare. In quest’ottica, pertanto, il colloquio motivazionale rappresenta una sorta di passe-partout per situazioni e per soggetti diversi. Mi sono approcciata al colloquio motivazionale partendo dalla terapia cognitivo-comportamentale, che utilizzo per il trattamento dei disturbi d’ansia e depressivi. Quest’approccio, benché risulti utile per molti pazienti, per altri è purtroppo scarsamente efÞcace. Dopo aver compreso che le strategie cognitivocomportamentali funzionano ma solo se i pazienti le utilizzano, ho iniziato a chiedere con più insistenza a quelli meno coinvolti di servirsene, ottenendo però scarsi risultati. Anziché aumentare la determinazione al cambiamento, infatti, i miei sforzi di incentivare l’uso di queste tecniche sembravano alienare ancor di più i pazienti, sfociando in vere e proprie dispute che generavano frustrazione (da entrambe le parti) e un blocco nella terapia. Il pensiero dei pazienti con cui ero “entrata in competizione”, poi, continuava a tormentarmi, diversamente da quanto accadeva con quelli più motivati. Il colloquio motivazionale è diventato, per me, uno strumento complementare (che all’epoca non possedevo) e, cosa ancora più importante, mi ha offerto una modalità più umana e soddisfacente di considerare il comportamento dei pazienti e di lavorare in armonia con loro, anziché entrarci in competizione. Quest’approccio, inizialmente concepito per trattare l’abuso di sostanze, mi è sembrato essere particolarmente valido per esaminare Il colloquio motivazionale rappresenta una modalità più umana e soddisfacente quell’ambivalenza al cambiamento che di considerare il comportamento dei ritrovo quotidianamente in chi soffre di pazienti e di lavorare in armonia con ansia e depressione. loro anziché mettercisi in competizione. Recentemente, i temi della non aderenza al trattamento e della scarsa compliance hanno assunto un ruolo centrale: chi esercita una professione di aiuto - da chi si occupa dell’aderenza alla terapia farmacologica, a chi cerca di promuovere un cambiamento nello stile di vita per alleviare la sofferenza di soggetti affetti da un disturbo d’ansia e da problemi concomitanti - si imbatte di frequente nel pernicioso problema della resistenza al cambiamento, nonostante l’aiuto venga offerto e sia, pertanto, disponibile. Appare quasi contro-intuitivo che i pazienti, pur soffrendo e desiderando cambiare, manifestino ambivalenza verso il cambiamento: perché non fanno quello che sembra chiaramente nei loro interessi? Sembrerebbe naturale assumere, come facevo anch’io un tempo, che non siano abbastanza motivati o che, forse, non sappiano “come” cambiare. Permettete che vi racconti cosa mi è accaduto di recente, mentre ero impegnata nella stesura di questo libro, quando ho avuto a che fare con dei medici, in modo da contestualizzare il colloquio motivazionale e renderlo più facilmente Quando e come è opportuno utilizzare il colloquio motivazionale 9 comprensibile. Mi sono recata dal mio medico di base per il checkup annuale e questi mi ha comunicato, con la massima naturalezza, che avrei dovuto ridurre il consumo di sale - avrei potuto salare i cibi in fase di cottura, o cospargerlo sulle pietanze prima di mangiarle, ma non entrambe le cose. Non si è però premurato di appurare se amassi o meno il cibo salato, dando per scontato che informarmi sulla questione (benché, in effetti, fossi già al corrente dei potenziali danni derivanti da una dieta ricca di sale) mi avrebbe spinta a seguire il suo consiglio: dopo tutto, era per il mio bene! Mi sono poi iscritta in palestra e, in questo caso, la personal trainer mi è sembrata leggermente più consapevole del tema della non-compliance. Mi ha spiegato come molte persone si iscrivessero in palestra ma, dopo un po’, smettessero di andarci - cosa che ha ammesso di stentare a comprendere. Mi ha fatto presente come il suo compito fosse unicamente quello di darmi informazioni e consigli ma come, in ultima analisi, spettasse a me decidere cosa fare. Sebbene avesse esplicitamente riconosciuto la mia libertà di scelta - e il discorso suonasse bene - me ne sono andata con la sensazione che stesse tentando di forzarmi o che, all’estremo opposto, non le importasse davvero se avessi frequentato o meno la palestra. Chi esercita una professione di aiuto è ben consapevole di dover massimizzare il coinvolgimento e l’impegno del proprio cliente; pur sforzandosi di capire come raggiungere quest’obiettivo, e a dispetto delle migliori intenzioni e degli sforzi messi in campo, però, non sempre raggiunge il suo intento. Sorprende come, pur disponendo di strategie e approcci efÞcaci che agevolano il cambiamento nei pazienti ansiosi, sia stata tralasciata una verità fondamentale, nota ai “non addetti ai lavori”, ai pazienti e ai terapeuti: che il cambiamento è impossibile a meno che non si voglia davvero cambiare. Con l’interesse e la motivazione sufÞciente tutto sembra meno difÞcile e scoraggiante, oltre a procedere più ßuidamente. Sheldon, Williams e Joiner (2003) hanno evidenziato come anche i clinici tecnicamente abili e a conoscenza di tecniche per promuovere il cambiamento siano spesso impotenti dinanzi alle emozioni conßittuali, intense e contraddittorie, dei propri pazienti. In quest’opera ipotizzo che i tentativi di Disponiamo di numerose strategie che indirizzare le persone al cambiamento - come aiutino i pazienti a cambiare, ma il cambiamento è impossibile, a meno che quelli fatti dal mio medico di famiglia e dalla non lo si voglia davvero realizzare. mia personal trainer - siano destinati a fallire, se avulsi da una relazione e da un contesto (di interesse nei confronti della persona, delle sue reazioni, delle sue esperienze di vita, delle sue preferenze, dei suoi valori e di ciò in cui crede). Esaminando e promuovendo la motivazione al cambiamento (tenendo presente il contesto in cui vive la persona e interfacciandosi in una relazione terapeutica sicura), il colloquio motivazionale è un valido strumento per favorire il coinvolgimento dei 10 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore pazienti nel trattamento e favorire il cambiamento stesso. È anche una strategia complementare agli approcci più orientati all’azione, utilizzati come prima scelta per il trattamento dell’ansia e dei problemi correlati. In questo capitolo descriverò brevemente i principali disturbi d’ansia e i disturbi più comunemente associati ad essi - come la depressione - con i relativi approcci terapeutici utilizzati, considerando poi l’utilità di integrare il colloquio motivazionale con il trattamento scelto. PANORAMICA SUI DISTURBI D’ANSIA E SUL LORO TRATTAMENTO Esistono diversi disturbi d’ansia (per una trattazione più completa si veda Barlow, 2002) che, in ordine decrescente di prevalenza, includono: • Fobia SpeciÞca, ovvero il timore di oggetti o di situazioni circostanziate (ad esempio, altezza, iniezioni, aerei). Nonostante le Fobie SpeciÞche rappresentino la tipologia di disturbo d’ansia più comune, chi ne è affetto richiede aiuto molto più raramente rispetto a chi soffre di altri disturbi (tipicamente più complicati, stressanti e disabilitanti). • Fobia Sociale (timore di provare imbarazzo o umiliazione in situazioni sociali o pubbliche). • Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS; ßashback ricorrenti dell’evento traumatico, disagio emotivo associato all’esposizione a stimoli che ricordano l’evento, distacco emotivo). • Disturbo d’Ansia Generalizzato (DAG; preoccupazione eccessiva e incontrollabile in diverse aree, come quella della salute, del rendimento lavorativo, del benessere altrui, delle Þnanze, ecc.). • Agorafobia (timore di non riuscire ad allontanarsi - o di rimanere da soli nell’eventualità che si veriÞchi un attacco di panico). • Disturbo di Panico (attacchi di panico inaspettati e ricorrenti - improvviso arousal e sintomi somatici di allarme, come aumento della frequenza cardiaca, respiro affannoso), spesso associato all’Agorafobia. • Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC; pensieri, immagini o impulsi ricorrenti e intrusivi, come il timore di contaminazione o di poter nuocere a qualcuno e/o azioni ripetitive volte a ridurre l’ansia o a neutralizzare i pensieri ossessivi). Tutti i disturbi d’ansia si accompagnano ad arousal Þsiologico, a pensieri e credenze collegati alla minaccia e a evitamento, in un circolo vizioso di inßuenze reciproche che mantiene in vita l’ansia (Dozois & Westra, 2004). Mentre il focus della minaccia cambia in base al disturbo sperimentato, l’arousal può essere Quando e come è opportuno utilizzare il colloquio motivazionale 11 provocato tanto da stimoli esterni (ad es., gli aghi nella fobia per le iniezioni, le situazioni sociali nell’ansia sociale, gli elementi che ricordano l’evento traumatico nel DPTS) quanto interni (aumento della frequenza cardiaca o vertigini, pensieri ossessivi indesiderati, preoccupazioni in sé), che segnalano la presenza di una minaccia. A questi si attribuiscono valutazioni catastroÞche (ad esempio, nel caso dell’attacco di panico, l’aumento della frequenza cardiaca può essere interpretato come un segnale di infarto imminente o di morte; nell’ansia sociale, le interazioni sociali rappresentano una potenziale occasione di provare vergogna o imbarazzo) e il paziente sente di avere scarso controllo sugli eventi, è ipervigile o anticipa cronicamente il contatto con le situazioni temute e percepisce un restringimento dell’attenzione, che si concentra sul focus della minaccia. Per ridurre il senso di pericolo e ristabilire la sicurezza, i pazienti affetti da disturbi d’ansia mettono in atto dei comportamenti protettivi che includono, tipicamente, il tentativo di fuggire o di evitare gli stimoli temuti (lo speciÞco pattern di evitamento varia a seconda della situazione paventata). L’evitamento diretto è abbastanza comune, ma i pazienti ricorrono anche a forme più subdole di questo: possono, infatti, rimanere in una situazione ansiogena, ma mettere in atto dei comportamenti (come assumere alcolici, portare con sé oggetti scaramantici) o utilizzare dei processi cognitivi (quali distrazione, ripetizione mentale) per attenuare l’ansia e la preoccupazione (Dozois & Westra, 2004). Sfortunatamente, però, queste forme di evitamento Þniscono per perpetuare proprio quello stato ansioso da cui si cerca sollievo, rinforzando la percezione di pericolo e di minaccia, mantenendo in vita la sensazione di scarsa autoefÞcacia e di scarso controllo nella gestione del pericolo, e fungendo da rinforzo negativo (ovvero, fornendo un temporaneo sollievo dall’ansia). A causa dell’evitamento, perciò, le persone perdono l’occasione di apprendere alcune sostanziali verità sui pericoli paventati: che gli ipotetici eventi negativi non sempre si veriÞcano e che, anche se lo fanno, sono gestibili e meno disastrosi del previsto. Prevalenza dell’ansia e dei problemi associati Tra tutti i disturbi mentali, quelli d’ansia sono i più comuni, con tassi di prevalenza annuali e lifetime pari al 17% e 25% rispettivamente (Kessler et al., 1994). Si associano a disagio emotivo, sofferenza e problemi concomitanti e, se non trattati, tendono a ricorrere e a permanere nel tempo. Gli studi sulla qualità di vita dei soggetti affetti da disturbi d’ansia rivelano un quadro di profonda sofferenza in diversi ambiti, tra cui quello lavorativo, accademico e relazionale (Mendlowicz & Stein, 2000). La riduzione della qualità di vita di questi soggetti è paragonabile a quella dei pazienti affetti da altri importanti disturbi clinici, arrivando talvolta a superarla (Rubin et al., 2000). Nei pazienti affetti da un disturbo d’ansia si ritrovano spesso altri problemi 12 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore di salute mentale - più comunemente depressione, altri disturbi d’ansia e abuso di sostanze (Barlow, 2002). Ciò che colpisce maggiormente è la relazione tra ansia e depressione: circa la metà dei pazienti ansiosi è anche depressa (Brown, Campbell, Lehman, Grisham, & Mancill, 2001) e, considerando le diagnosi lifetime, la percentuale raggiunge il 76% (Brown & Barlow, 2009). Nella maggior parte dei casi, è l’ansia ad anticipare la depressione, e non viceversa (Brown et al., 2001; Cole, Peeke, Martin, Truglio, & Seroczynski, 1998). L’ampia sovrapposizione tra ansia è depressione ha sollevato un dibattito sull’effettiva separabilità delle due sindromi (Barlow, 2002) e recentemente sono stati proposti dei protocolli di trattamento transdiagnostico che tengono conto delle analogie tra i vari disturbi d’ansia (Norton & Hope, 2005) e tra ansia e depressione (Ellard, Fairholme, Boisseau, Farchione, & Barlow, 2010). In breve, i disturbi d’ansia sono abbastanza comuni e si accompagnano a invalidazione, disagio emotivo e marcato peggioramento della qualità di vita; se non trattati, poi, tendono a permanere nel tempo. Trattamento dei disturbi d’ansia Abbiamo a disposizione diversi approcci per trattare i disturbi d’ansia e, in diversi studi controllati, quello cognitivo-comportamentale (Barlow, 2002; Norton & Price, 2007) è risultato particolarmente efÞcace nel ridurne i sintomi. Molte linee guida per il trattamento, infatti, raccomandano l’utilizzo della terapia cognitivo-comportamentale come approccio di elezione per questi disturbi (ad es., National Institute of Clinical Excellence, 2004; Swinson, 2006). Sebbene i trattamenti cognitivo-comportamentali prevedano tipicamente interventi multipli (come l’automonitoraggio, la ristrutturazione cognitiva, il training di rilassamento), l’elemento cruciale è rappresentato dall’esposizione alla situazione o agli stimoli temuti. Affrontando la minaccia paventata, confrontandosi con essa e rimanendo nella situazione, il paziente può estinguere la propria paura, fare nuove esperienze e sviluppare strategie di coping più adattive, limitando in futuro la necessità di ricorrere all’evitamento. La riduzione del senso di minaccia si ottiene raccogliendo nuove prove che confutino le previsioni catastroÞche: è per questo che è particolarmente importante far sì che il paziente affronti le situazioni temute. In generale, nel trattamento dei disturbi d’ansia, l’esposizione alle circostanze indesiderate, avversive ed evitate è un obiettivo comune. PERCHÉ UTILIZZARE IL COLLOQUIO MOTIVAZIONALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA Ambivalenza verso il cambiamento L’ambivalenza verso il cambiamento è estremamente comune, anche in chi decide spontaneamente di intraprendere una terapia. Quasi i due terzi dei pazienti Quando e come è opportuno utilizzare il colloquio motivazionale 13 affetti da problemi di salute mentale, infatti, iniziano il trattamento trovandosi in una fase di precontemplazione (non considerano attivamente il cambiamento) o di contemplazione (prendono in considerazione il cambiamento, ma vivono un conßitto interno), ovvero sono signiÞcativamente incerti o indecisi rispetto al cambiamento, ed è quindi improbabile che siano disposti a impiegare strategie comportamentali (O’Hare, 1996). Sebbene la persona desideri cambiare, allo stesso tempo teme quest’eventualità: le abitudini e i modi di essere già consolidati sono seducenti e, spesso, minacciano e sabotano gli sforzi tesi al mutamento. Come rileva Mahoney (2003), molti processi considerati patologici sono, in effetti, delle forme di autoprotezione e di mantenimento di un equilibrio e risultano altamente resistenti alla trasformazione. Le ricerche condotte su pazienti affetti da disturbi d’ansia dimostrano come molti di essi, pur iniziando una terapia, abbiano reticenze e dubbi in merito (ad es., Dozois, Westra, Collins, Fung, & Garry, 2004; Simpson, Zuckoff, Page, Franklin, & Foa, 2008). Purdon, Rowa, & Antony (2004) hanno evidenziato come il 94% di un campione di soggetti affetti da DOC che stava prendendo in considerazione il trattamento manifestasse almeno una perplessità a riguardo. I timori più comuni includevano l’aumento dell’ansia e la paura di un fallimento nel corso della terapia, il timore del successo (con conseguente aumento delle aspettative altrui) e quello di aprirsi con il terapeuta e di essere da lui giudicati. Queste preoccupazioni rappresentano i motivi principali che trattengono i pazienti dal ricercare aiuto (Kushner & Sher, 1989): chi decide di intraprendere un percorso terapeutico deve quindi bilanciare il desiderio di stare meglio con i timori e i costi di questa scelta. Spesso, i pazienti che si preoccupano eccessivamente considerano la preoccupazione un problema ma, al contempo, vi attribuiscono valenze positive (come: “La preoccupazione è motivante”, “Preoccuparmi mi protegge e mi prepara ad affrontare gli eventi negativi”) e sono riluttanti a rinunciarvi (Borkovec, 1994; Westra & Arkowitz, 2010). Anche qualcosa di nocivo come la ruminazione - spesso presente nella depressione - può essere considerata una strategia appropriata per comprendere gli errori e i fallimenti del passato (Papageorgiou & Wells, 2001). Il senso di colpa, l’autocritica e il ritiro, poi, sono dei caratteristici stili di risposta per gestire lo stress ambientale e interpersonale e rappresentano dei comportamenti adattivi e “sicuri” quando si è in conßitto con Þgure di riferimento “forti” (come quelle di attaccamento; Gilbert & Irons, 2005), dal momento che producono un sollievo temporaneo. Anche tra i pazienti che pensano al suicidio si riscontrano alti tassi di ambivalenza: questi soggetti desiderano morire ma, al contempo, vivere provando meno dolore (Jobes & Mann, 1999); il rapporto tra la forza del desiderio di vita e quello di morte è determinante per le successive azioni (Kovacs & Beck, 1977). 14 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore La resistenza in terapia Ciò che in psicoterapia viene etichettato come resistenza, o non-compliance, può rißettere l’ambivalenza verso il cambiamento (Engle & Arkowitz, 2006) e spiega perché molti pazienti, pur rimanendo in terapia, non seguano - o seguano solo in parte - le indicazioni del terapeuta. In alcune forme di trattamento (come nella terapia cognitivo-comportamentale) si assegnano dei compiti a casa, talvolta considerati essenziali. In questi casi, la non-compliance è abbastanza frequente: dagli studi a riguardo emerge come questa sia all’ordine del giorno, e come solo una minoranza di pazienti si attenga completamente alle richieste del terapeuta (Kazantzis, Lampropoulos, & Deane, 2005), tanto che, in terapia cognitivocomportamentale, il fatto che il paziente non svolga i compiti a casa è considerato una costante, più che un’eccezione (Helbig & Fehm, 2004). Il grado di adesione alle richieste del terapeuta, poi, rappresenta un signiÞcativo fattore predittivo sia del coinvolgimento del paziente nel trattamento (Jungbluth & Shirk, 2009), sia degli esiti terapeutici (Aviram & Westra, 2011; Beutler, Harwood, Michelson, Song, & Holman, 2011). I trattamenti che invitano a intraprendere azioni in direzione del cambiamento richiedono un livello relativamente alto di motivazione. Un impegno insufÞciente da parte dei pazienti ambivalenti può essere - almeno in parte - responsabile degli scarsi tassi di risposta al trattamento. A dispetto della comprovata efÞcacia della terapia cognitivo-comportamentale per il trattamento di ansia e depressione, ad esempio, molti pazienti non si impegnano o non rispondono adeguatamente (Westen & Morrison, 2001). Analizzando le risposte a un questionario somministrato a clinici cognitivo-comportamentali esperti, i motivi più citati per un’insufÞciente risposta al trattamento sono risultati lo “scarso impegno negli esperimenti comportamentali” e la “non-compliance” (Sanderson & Bruce, 2007). È emersa inoltre una forte evidenza in merito all’importanza della resistenza al cambiamento e al trattamento come indicatori dell’utilizzo di strategie supportive al posto di quelle più direttive (Beutler et al., 2011). Nei disturbi d’ansia, la combinazione tra colloquio motivazionale e terapia cognitivo-comportamentale ha comportato una signiÞcativa riduzione della resistenza al trattamento (Aviram & Westra, 2011). D’altra parte, il coinvolgimento attivo del paziente e una buona recettività ai processi di cambiamento si collegano signiÞcativamente a esiti migliori (ad es., Orlinsky, Grawe, & Parks, 1994). Perché utilizzare il colloquio motivazionale per il trattamento dei disturbi d’ansia Il colloquio motivazionale viene usato da tempo per il trattamento dell’abuso di sostanze (Hettema, Steele, & Miller, 2005) e sembra promettente integrarlo anche in quello dei disturbi d’ansia e dei problemi ad essi associati - come la Quando e come è opportuno utilizzare il colloquio motivazionale 15 depressione. Solo di recente, però, una metanalisi (in cui sono stati inclusi studi non controllati e studi pilota controllati) ha valutato l’efÞcacia di abbinare il colloquio motivazionale ai trattamenti esistenti (Westra, Aviram, & Doell, 2011). Gli studi controllati relativi a diversi disturbi d’ansia - tra cui il DOC (Simpson & Zuckoff, 2011), il DAG (Westra & Arkowitz, 2010), la Fobia Sociale (Buckner, Roth Ledley, Heimberg, & Schmidt, 2008), il Disturbo di Panico (Arkowitz & Westra, 2004), l’Ipocondria (McKay & Bouman, 2008), e il disturbo misto d’ansia e depressione (Westra, 2004) - hanno dimostrato l’utilità di arricchire il trattamento con il colloquio motivazionale e altre strategie motivazionali. Alcuni studi hanno paragonato il colloquio motivazionale a gruppi di controllo psicoeducazionali o ad assenza di trattamento e questo strumento si è dimostrato promettente per: • incrementare la ricerca di aiuto in soggetti affetti da ansia sociale che, in precedenza, non cercavano trattamento (Buckner, 2009); • aumentare il riconoscimento del problema e la partecipazione al trattamento nel DPTS (Murphy, 2008); • accrescere la ricettività nei confronti dei trattamenti raccomandati, come l’esposizione e la prevenzione della risposta nel DOC (McCabe, Rowa, Antony, Young, & Swinson, 2008; Tolin & Maltby, 2008); • valorizzare i risultati della terapia cognitivo-comportamentale nei disturbi d’ansia (Westra & Dozois, 2006) e nel DAG in particolare (Westra, Arkowitz, & Dozois, 2009). In uno studio controllato più ampio si è valutata l’utilità di anteporre o meno il colloquio motivazionale al trattamento cognitivo-comportamentale per il DAG. Dai risultati è emerso come il colloquio motivazionale sia in grado di ridurre la preoccupazione in chi ne manifesta livelli elevati all’inizio del trattamento (Westra et al., 2009). In questo studio, tra chi presentava alti livelli di preoccupazione, coloro con cui veniva impiegato il colloquio motivazionale mostravano livelli signiÞcativamente più bassi di resistenza (ovvero, una maggior ricettività al cambiamento) rispetto al gruppo di controllo al momento dell’inizio della terapia cognitivo-comportamentale. Ciò poteva giustiÞcare i maggiori tassi di riduzione della preoccupazione nel corso del trattamento (Aviram & Westra, 2011). Benché promettenti, questi studi hanno diverse limitazioni e sono necessarie ulteriori ricerche, basate su rigorosi disegni sperimentali controllati, che sostengano chiaramente l’efÞcacia di integrare il colloquio motivazionale nei protocolli di trattamento per l’ansia e per la depressione. La ricerca sull’utilizzo del colloquio motivazionale per gestire i disturbi dell’umore è ancora in fase embrionale; attualmente disponiamo di studi su casi 16 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore singoli non controllati, in cui questo strumento è stato impiegato nel trattamento della depressione (Arkowitz & Westra, 2004; Brody, 2009) e dell’ideazione suicidaria (Britton, Patrick, Wenzel, & Williams, 2011; Britton, Williams, & Connor, 2008; Zerler, 2009). Swartz e colleghi (2006) hanno proposto l’utilizzo di un colloquio motivazionale iniziale con le madri di bambini psichiatrici (affetti da grave disturbo mentale, in special modo depressione) restie a richiedere aiuto e ne hanno valutato l’impatto. In questo studio, dei 13 soggetti sottoposti al colloquio, l’85% ha iniziato e portato a termine il successivo trattamento (terapia interpersonale per la depressione) e ha manifestato signiÞcativi miglioramenti (Swartz et al., 2006). Anche in un’altra popolazione difÞcile da coinvolgere quella di donne incinte, depresse ed economicamente svantaggiate - sono emersi risultati analoghi: in questo studio, il 68% delle pazienti con le quali è stato usato il colloquio motivazionale iniziale ha completato il ciclo di trattamento, rispetto al 7% del gruppo di quelle sottoposte direttamente a quest’ultimo (Grote et al., 2009). Un breve colloquio motivazionale (della durata di 10–15 minuti) ha anche determinato un maggior coinvolgimento in un trattamento online di prevenzione della depressione per adolescenti a rischio, rispetto a una semplice raccomandazione del medico di base (Van Voorhees et al., 2009). Analogamente, Simon, Ludman, Tutty, Operskalski e Von Korff (2004) hanno utilizzato alcune parti del colloquio motivazionale per massimizzare il coinvolgimento di pazienti depressi che ricevevano telefonicamente le prime cure di tipo cognitivocomportamentale: questo gruppo ha manifestato livelli Þnali di depressione minori rispetto a quelli del gruppo che ha ricevuto il trattamento classico. Recentemente, inÞne, Britton e colleghi (2011) hanno adattato il colloquio motivazionale per utilizzarlo nell’ambito dell’intervento sull’ideazione suicidaria (MISI)1. Il MI-SI è un trattamento a seduta singola pensato per avvicinarsi al paziente e incrementarne la sua motivazione a vivere cimentandosi in attività che ne migliorino lo stile di vita. Sebbene questo tipo di intervento sembri essere ben accetto, vanno condotti ulteriori studi controllati che ne determinino l’efÞcacia per quanto concerne l’aderenza al trattamento e gli esiti. DUE MODI DI UTILIZZARE IL COLLOQUIO MOTIVAZIONALE In quest’opera ipotizzo che nel trattamento dei disturbi d’ansia e dei problemi correlati si possa utilizzare il colloquio motivazionale (1) per creare la motivazione nei soggetti signiÞcativamente ambivalenti rispetto al cambiamento 1 N.d.T. La sigla MISI deriva dagli acronimi MI (Motivational Interviewing – colloquio motivazionale) e SI (Suicidal Ideation – ideazione suicidaria). Quando e come è opportuno utilizzare il colloquio motivazionale 17 e (2) come base per guidare chi è già pronto a intraprendere azioni in direzione del cambiamento. Usare il colloquio motivazionale per creare la motivazione È possibile integrare il colloquio motivazionale con il trattamento quando il paziente manifesta ambivalenza o resistenza al cambiamento, dal momento che quest’approccio è stato concepito e utilizzato proprio per superare questa situazione. Dal colloquio iniziale - o in una fase precoce del trattamento - può emergere l’esigenza di dedicare maggior attenzione allo sviluppo della motivazione. Un paziente può essere scettico o ambivalente rispetto al cambiamento, può aver fallito i tentativi precedenti, può ritenere di non essere in grado di farcela o, ancora, possono emergere (o ripresentarsi) dei blocchi motivazionali quando si appresta a cambiare (che la persona esprime boicottando le proposte del terapeuta o dimostrando scarso impegno nei compiti assegnati in seduta o a casa). In questi casi, potrebbe essere utile passare provvisoriamente da un approccio orientato all’azione al colloquio motivazionale, Þntanto che il paziente non sia (o non sia nuovamente) motivato e coinvolto negli interventi volti al cambiamento. Il colloquio motivazionale, pertanto, può essere utilizzato in fase di pre trattamento - o può essere integrato nei trattamenti più orientati all’azione - quando si presentano dei momenti di stallo. È questa la Þnalità classica di questo strumento, che si rivela particolarmente adatto per arginare i “blocchi” e le “resistenze” agli sforzi attivi di cambiamento. In uno studio recente, in cui i pazienti descrivevano la propria esperienza con il colloquio motivazionale nel caso della preoccupazione, è emerso come questa determinasse un maggior slancio e una maggior determinazione al cambiamento (Marcus, Westra, & Angus, 2011). I dati dimostrano, inoltre, come il colloquio motivazionale operi bene in sinergia con altri trattamenti, ovvero come i suoi effetti siano maggiori (Burke, Arkowitz, & Menchola, 2003) e più duraturi (Hettema et al., 2005) se è impiegato come strumento integrativo. Uno dei principali obiettivi di quest’opera, quindi, consiste nell’applicare il colloquio motivazionale al trattamento dei disturbi d’ansia e dei problemi ad essi associati. Allo scopo, descriverò e illustrerò come poter utilizzare questo strumento per accrescere la motivazione e lo slancio nei confronti del cambiamento nei pazienti affetti da questi disturbi, riprendendo il lavoro di William Miller e Stephen Rollnick (2002) che, per primi, l’hanno proposto. Le strategie per sviluppare la motivazione sono valide qualora il paziente manifesti resistenza o ambivalenza nel corso del trattamento. Nella seconda parte del volume - “Valutare la propensione al cambiamento” - proporrò dei metodi per individuare l’ambivalenza e la resistenza, per mettere in condizione i terapeuti 18 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore di riuscire a potenziare la motivazione e, più in generale, di essere più “ricettivi” nei confronti della resistenza al cambiamento, di farvi fronte e di promuovere la ßessibilità dei pazienti. La terza parte - “Comprendere l’ambivalenza e promuovere la determinazione” - descrive come utilizzare il colloquio motivazionale per sviluppare la motivazione e massimizzare l’impegno a cambiare in soggetti affetti da disturbi d’ansia e da problemi correlati. Nello speciÞco, chiarirò come il colloquio motivazionale permetta di cogliere le ambivalenze (capitolo 5), riformulare la resistenza al cambiamento (capitolo 6), evocare ed elaborare una discussione sul cambiamento (capitolo 7) e analizzare le discrepanze (capitolo 8) nel contesto del trattamento dell’ansia e dei disturbi ad essa associati. Il colloquio motivazionale oltre allo sviluppo della motivazione Sebbene il colloquio motivazionale sia stato inizialmente concepito come uno strumento per sviluppare la motivazione, il clinico non dovrebbe limitarsi a utilizzarlo per questo scopo, accantonandolo quando il paziente sembra pronto a cambiare. Esso, infatti, può essere un valido strumento anche per: • essere più suggestivi in generale (ad esempio, fermandosi prima di rispondere a una domanda posta dal paziente, in modo che sia lui per primo a proporre una soluzione); • riconoscere esplicitamente l’autonomia di scelta del paziente anche quando è pronto a cambiare (ad esempio, ripetendo spesso: “Spetta a lei decidere ciò che è meglio”); • diventare più ricettivi rispetto alla modalità di affrontare il tema del cambiamento (istituendo una sorta di radar per individuare la resistenza ogniqualvolta questa emerga, anche nella fase operativa); • concepire diversamente il proprio ruolo (di guida, anziché di insegnante esperto), anche quando il paziente sta intraprendendo un’azione; • apprezzare le sfumature e le complessità della sottile e potente arte dell’ascolto attivo e di come questo possa essere utilizzato per progettare il cambiamento e muoversi in direzione di questo (comprendendo, ad esempio, come la modalità di riformulazione di un discorso possa avvicinare o allontanare una persona da un’affermazione fatta in precedenza); • diventare sempre più sensibili al coinvolgimento del paziente nel trattamento, momento per momento, nel corso di tutta la terapia. Il colloquio motivazionale rappresenta tutto questo e, una volta appreso, vi renderà non solo più attenti alla motivazione e alla resistenza al cambiamento del paziente, ma anche verso il suo coinvolgimento o il suo disimpegno durante il Quando e come è opportuno utilizzare il colloquio motivazionale 19 trattamento. Diverrete più sensibili rispetto alle modalità di comunicazione, alla gestione della terapia e, più in generale, al signiÞcato del processo interpersonale e comunicativo tra paziente e terapeuta. Questa accresciuta sensibilità vi permetterà, probabilmente, di lavorare in armonia con i vostri pazienti per la maggior parte del tempo (anche quando non state direttamente utilizzando il colloquio motivazionale) e di concepire la terapia come un reale processo collaborativo, in cui ognuno offre le proprie competenze. Se la terapia centrata sul cliente (su cui si basa il colloquio motivazionale) non vi è familiare e la vostra formazione prevede un modello più direttivo, accostarsi a questo strumento può ampliare la vostra consapevolezza del signiÞcato, della difÞcoltà, del potere e della complessità dell’ascolto empatico, dell’accettazione positiva incondizionata, della gestione delle resistenze e, più in generale, della creazione di una relazione terapeutica sicura e collaborativa. Inizierete a chiedervi come poter integrare ancor più profondamente questo strumento nella pratica clinica, anche quando la motivazione non rappresenterà il problema principale. Quindi, oltre a massimizzare la motivazione, ci sono altre valide ragioni per integrare il colloquio motivazionale nel trattamento, dato che ha ancora molto da dirci sui processi interpersonali in gioco nel processo terapeutico o su come poter condurre la terapia. Esso affonda le proprie radici nel counseling centrato sul cliente (Rogers, 1951, 1957, 1965), in cui si parla di “spirito del colloquio motivazionale”, ovvero di un il colloquio peculiare modo di rapportarsi al paziente, ritenuto più Apprendere motivazionale può camimportante di ogni altra tecnica (si veda il capitolo 2). biarvi come terapeuti. Parlando con i pionieri del colloquio motivazionale si comprende come, al di là di tutto, si condivida con loro un modo di pensare, un particolare modo di considerare le persone, il cambiamento e il proprio ruolo in questo processo. L’impatto che esso ha traspare nel rapporto interpersonale tra paziente e terapeuta, traducendosi in una caratteristica modalità di interazione (in cui, ad esempio, si evocano l’esperienza e i punti di forza del paziente, riconoscendone e salvaguardandone l’autonomia, evitando le lotte di potere e simili). In tal senso, il colloquio motivazionale rappresenta una cornice fondamentale in cui integrare gli altri trattamenti. La sua applicazione per sostenere le azioni volte al cambiamento emerge naturalmente dallo spirito - o dall’atteggiamento sottostante, che costituisce una base (o una cornice) per condurre le terapie più orientate all’azione. Integrare lo spirito del colloquio motivazionale (modo di essere) con le tecniche appartenenti ad altri approcci (modo di fare) può portare a un potente e valido modo di lavorare. Il colloquio motivazionale può essere integrato con tecniche appartenenti a orientamenti diversi, volte a promuovere la modiÞcazione comportamentale, dal momento che non è nato come terapia 20 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore a sé stante e non afferma la superiorità di una strategia rispetto a un’altra nel raggiungere questo obiettivo (Miller & Rollnick, 2009). Disponiamo di molti interventi efÞcaci per aiutare i pazienti ansiosi o depressi, tra cui i trattamenti orientati all’azione come la terapia cognitivo-comportamentale (ad es., Barlow, 2002), l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT; Hayes, Strosahl, & Wilson, 2012), la mindfulness (Segal, Williams, & Teasdale, 2001) e l’attivazione comportamentale (Martell, Addis, & Jacobson, 2001) che, tra gli altri, si sono ripetutamente dimostrati efÞcaci. Questi approcci, pur affermando apertamente l’importanza della collaborazione, dell’empatia e dell’alleanza terapeutica, hanno dedicato minor attenzione agli aspetti relazionali rispetto alla competenza tecnica riguardo agli speciÞci interventi. In altre parole, nei trattamenti orientati all’azione i protocolli si concentrano più sul “cosa fare” che sul “come farlo”: non speciÞcano, cioè, come il processo interpersonale e l’atteggiamento del terapeuta incrementino l’efÞcacia dell’intervento. È probabile che il contesto relazionale in cui si espongono e si applicano le strategie di cambiamento sia cruciale per la ricettività dei pazienti e che gli speciÞci interventi - o le tecniche per ottenere un cambiamento - non vadano distinti dal contesto relazionale e comunicativo. È importante sottolineare come applicare la prospettiva del colloquio motivazionale (e dei metodi da esso derivati) alla fase di azione della terapia possa arginare alcuni dei perniciosi problemi di resistenza e di non-compliance che contraddistinguono, spesso, gli approcci più direttivi. Le speciÞche abilità relazionali del singolo terapeuta, a parità di competenze tecniche, potrebbero spiegare la variabilità degli esiti del trattamento (Huppert et al., 2001): nei trattamenti orientati all’azione, chi ottiene esiti positivi potrebbe essere più competente in ambito relazionale (ad esempio, più sensibile alle resistenze e alle rotture dell’alleanza terapeutica, più ßessibile, più empatico, più in sintonia con le esigenze e con il coinvolgimento altalenante del paziente, più caldo, ecc.). I pazienti, ad esempio, descrivono i terapeuti cognitivo-comportamentali efÞcaci come più attenti alle loro esigenze (più evocativi e collaborativi) e quelli che lo sono in misura minore come più centrati sull’aderenza al trattamento e sulle proprie competenze (Kertes, Westra, & Aviram, 2010). I terapeuti cognitivocomportamentali che prospettano costantemente risultati positivi - rispetto a chi si dimostra pessimista circa l’esito del trattamento - sono in grado di mantenere un’atmosfera amichevole e collaborativa anche dinanzi a un paziente oppositivo o in disaccordo (Ahmed, Westra, & Constantino, 2010). In altre parole, ciò che contraddistingue i terapeuti orientati all’azione più efÞcaci potrebbe essere l’atteggiamento - o lo spirito - interpersonale mantenuto nel corso del trattamento, conclusione suffragata anche dai colleghi stessi, che dichiarano: “I bravi terapeuti [appartenenti al mio approccio] sono sensibili alla relazione Quando e come è opportuno utilizzare il colloquio motivazionale 21 e attenti al coinvolgimento e alle ßuttuazioni della motivazione del paziente”. Probabilmente, queste variabili andrebbero speciÞcate e operazionalizzate più esplicitamente, in particolare se sono in grado di determinare il successo o il fallimento della terapia. In questo senso, il colloquio motivazionale potrebbe rappresentare uno strumento per chiarire - quantomeno in parte - quali siano i processi più efÞcaci per condurre la terapia. Nella quarta parte di questo volume - “Applicare il colloquio motivazionale alla fase di azione” - descriverò come il colloquio motivazionale inßuenzi il trattamento in presenza (o in assenza) di ambivalenza verso il cambiamento (il secondo modo di utilizzare questo strumento). Nello speciÞco, presenterò e illustrerò dei metodi per evocare ed elaborare le esperienze del paziente, in modo da visualizzare e pianiÞcare gli sforzi in vista del cambiamento (capitolo 9). Parlerò anche di come utilizzare gli strumenti terapeutici proteggendo e rinforzando, al contempo, l’autonomia del paziente (capitolo 10). Inoltre, sottolineerò il ruolo dell’empatia e dell’ascolto rißessivo nella fase di azione, per raggiungere obiettivi importanti nel trattamento dell’ansia e dei disturbi correlati, tra cui il confronto con se stessi, l’esposizione a situazioni precedentemente evitate e la promozione dell’auto-accettazione (capitolo 11). InÞne, descriverò come utilizzare le tecniche del colloquio motivazionale per superare la resistenza nella fase di azione, elaborando le naturali oscillazioni della motivazione che si veriÞcano nei pazienti quando si trovano in questo stadio della terapia (capitolo 12). RIASSUNTO E CONCLUSIONI In breve, nella pratica clinica è comune imbattersi nell’ambivalenza verso il trattamento e il cambiamento, anche tra coloro che cercano di liberarsi dall’ansia e dalla depressione. La maggior parte dei pazienti richiede una terapia a causa della sofferenza sperimentata, ma è in conßitto rispetto all’effettiva fonte di quest’angoscia e alle modalità di cambiamento; questa condizione genera resistenza, scarsa compliance o coinvolgimento altalenante circa le azioni da intraprendere. Il terapeuta deve saper cogliere quest’ambivalenza e lavorarci, astenendosi dall’imporre i propri tempi, le proprie preferenze, i propri valori e i propri desideri e, in questo, può trovare aiuto nel colloquio motivazionale. La ricerca sull’utilizzo del colloquio motivazionale nel trattamento dell’ansia e dei disturbi associati è solo all’inizio, ma i dati esistenti ne dimostrano le potenzialità nell’accrescere il coinvolgimento del paziente e la risposta al trattamento (incluso quello cognitivo-comportamentale; Westra et al., 2011). È promettente il fatto che il colloquio motivazionale si dimostri efÞcace nelle popolazioni (chi riÞuta il trattamento, chi è reticente nel ricercare aiuto) e nei sottoinsiemi di popolazioni (ad esempio, pazienti con patologie gravi) che, solitamente, non rispondono al trattamento e sono difÞcili da coinvolgere. Inoltre, gli strumenti principali del 22 Il colloquio motivazionale nel trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore colloquio motivazionale - come l’empatia, la creazione di una relazione terapeutica positiva e la ßessibilità nel rispondere alle ßuttuazioni nei bisogni della persona - sembrano particolarmente indicati per gestire l’ambivalenza e la resistenza e permettono ai pazienti di beneÞciare maggiormente del trattamento. Le tecniche per affrontare l’ambivalenza, ridurre la resistenza, incrementare la motivazione intrinseca e preparare i pazienti al cambiamento ben si integrano con gli approcci orientati all’azione o al cambiamento (1) servendosi del colloquio motivazionale (così com’è stato originariamente concepito) per massimizzare la motivazione e (2) applicando lo spirito e i metodi del colloquio motivazionale alla fase di azione, permettendo così ai pazienti di concettualizzare, pianiÞcare, implementare ed elaborare il cambiamento che desiderano ottenere. Questo può incrementare l’efÞcacia dei principali approcci al trattamento dei disturbi d’ansia e dei problemi ad essi correlati (come la depressione) e determinare la presenza di quei fattori e di quegli atteggiamenti del terapeuta che più facilitano il coinvolgimento dei pazienti.