Parol-iamo

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Parol-iamo
la parola come gioco sul mondo
Massimo Squillacciotti
Il mio intervento ha due facce che si dipartono proprio dal titolo:
PAROL-IAMO significa qui:
gioco di prestigio con l’uso di parole, tipo “scarabeo” o altro gioco da tavola,
binomio composto da PAROLA e AZIONE
quindi proporrò come
faccia uno: un mio gioco di PAROLIAMO condito con una faccia due,
faccia due: quella di ragionare ad alta voce sulla
PAROLA COME GIOCO SUL MONDO,
tra gioco e relazione scientifica, per la serie (di antropologia cognitiva):
“Dimmi come parli e ti dirò chi sei”.
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1 - UN DUE TRE, PRONTI VIA…
Tutto è compreso tra i due poli della PAROLA: PARLARE e SILENZIARE [FARE
SILENZIO], cioè
Primo gioco - In principio c’era la parola:
C’era una volta un re che disse alla sua serva “Raccontami una storia” e
la serva cominciò: c’era una volta un re che disse alla sua serva
“Raccontami una storia” e la serva cominciò...
La parola può produrre un’altra parola in un gioco senza fine di parole sempre uguali
che si avvitano l’un l’altra e su se stesse perché mancano della formula di chiusura,
determinando un eccesso di informazione, un disturbo nella comunicazione.
Ma tra una parola e l’altra c’è uno spazio di SILENZIO lasciato alla questione “CHI
capisce la parola”, là dove
CHI può essere il soggetto che capisce oppure
la persona a cui è rivolta la frase interrogativa “CHI…?”
Secondo gioco – Alla fine tutto tacque e fu il silenzio
“Se non hai nulla di più bello del silenzio da dire, allora taci” dice un
proverbio arabo.
Ancora: tra gli aymàra il silenzio degli adulti di fronte ad una frase detta da un altro
aymàra più giovane, significa che il parlante NON PARLA BENE, come invece
deve saper fare un adulto, e quindi non merita ascolto… è come non avesse parlato
affatto.
“In un punto di questo silenzioso mondo interiore c’era la risposta alle
domande, ma a volte le risposte riportavano al silenzio. In questo caso
significava che la domanda era stata formulata impropriamente e che
quindi non poteva ricevere risposta” – dal finale del romanzo di fantascienza
Orrore nella miniera, di R. M. Williams (Mondadori, 1991).
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2 - UN MOMENTO, FERMI TUTTI !
Ma la parola appartiene alla lingua ed è tanto importante che l’abbiamo anche scritta:
Tavoletta di argilla, Uruk, IV millennio.
l’abbiamo decorata nei capolettera:
Capolettera da un codice di medicina, 900.
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poi l’abbiamo trasferita nell’arte:
Fernand Léger, Natura morta, 1927.
ma anche utilizzata per insegnare proprio l’ ABC dell’alfabeto con una filastrocca
(vedi Appendice 11):
M. Squillacciotti, Alfabeto in Filastrocca, 2005.
ABC della parola, dunque, e non solo dell’immagine che chiamiamo scrittura,
disegno, arte…
“Tanti abci” come ha detto un’amica spagnola, facendo finta di non conoscere la
nostra lingua o proprio l’alfabeto, nel mandarmi tanti baci di saluto; oppure una
amica mangiona che scrive come saluto “Braci ed abbacchi”…
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3 – ANCHE L’OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE…
A “colpo d’occhio” la parola ci unisce e lega quello che diciamo a quello che
vediamo: altro che l’incredulità di San Tommaso, altro che “Toccare per credere”:
fin qui abbiamo lasciato “parlare la parola”, farla da padrona nel suo costituire i
nostri fondamenti di umanità e di specie.
Come dire che l’uomo nel costruire il mondo, nel produrre il mondo, nel riprodurre sé
e il mondo mette ordine con la parola, dà un significato a quello che fa con la parola
ma poi LA PAROLA COSTRINGE L’UOMO NELLA PAROLA, LA PAROLA
DIVENTA UNA CAMICIA DI FORZA.
Ma se poi l’occhio si allea con la mano per liberarsi da questa camicia che lo
costringe? Allora abbiamo un bel QUADRATO MAGICO e così passiamo dal
SIGNIFICATO delle parole al SENSO che queste hanno nella loro stessa
costruzione:
“IL SEMINATORE DECIDE IL LAVORO,
IL TRIBUNALE SUPREMO IL DESTINO”
È l’esempio che troviamo proprio a Siena, nella parete esterna sinistra del Duomo: un
palindromo formato da cinque parole di cinque lettere che possono essere lette
indifferentemente nelle quattro direzioni dei lati del quadrato stesso.
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Ma non è solo una ribellione, questa, contro il POTERE DELLA PAROLA: è una
resa di giustizia antropologica.
La bocca serve per parlare [ANCHE], perché abbiamo gli occhi, le mani, le orecchie,
i piedi: sono i nostri SENSI che formano le parole e permettono di formare
IMMAGINI NELLA NOSTRA MENTE PRIMA DELLA PAROLA, prima di
poterla pronunciare.
La parola MELA significa, fa riferimento, rende presente nel DISCORSO la cosa
“mela”, ma la parola non è la cosa, la parola MELA non è la “mela”: sta al posto
suo e per questo… stia al suo posto!
MELA DAI è diverso da ME LA DAI
OSTINATI SDENTATI è diverso da OSTI NATI SDENTATI
DITELA GROSSA è diverso da DI TELA GROSSA e da DI TE LA GROSSA
dire A MONTE E A VALLE è come dire A POPPA E A PRUA
anche se il primo modo di dire è del montanaro ed il secondo è del marinaio.
Ecco perché diciamo che LE PAROLE SONO PRODOTTE DA UN CORPO IN
UN AMBIENTE: il loro apprendimento non avviene solo attraverso la lingua, la loro
“incorporazione” è un’azione cognitiva, un’attribuzione di significati
socialmente distribuiti e condivisi attraverso il coordinamento intelligente ed
addestrato delle funzioni cognitive delle percezioni sensoriali che sono alla base
dei processi astrattivi e di generalizzazione della conoscenza e della esperienza.
Prova ne sono i giochi artistici di Magritte con le sue pipe:
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René Magritte, Questa non è una pipa, 1928-29.
.
René Magritte, Il tradimento delle immagini. Questo non è una pipa, 1948.
René Magritte, I due misteri, 1966.
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4 – DIMMI CHE VEDI QUANDO PARLI
A questo punto la discriminazione visiva ed il coordinamento senso-motorio della
mano hanno ripreso una loro importanza rispetto al “dono della parola”, alla “parola
d’onore”, ad “onora la parola”… non perché la lingua abbia ora il suo da fare per non
risultare “biforcuta” (come dice Toro Seduto nel fumetto di Tex), ma perché le
strategie cognitive di base per la presa di possesso e la definizione del mondo
sono state, e sono ancora oggi per il cucciolo di uomo, ben più ampie e complesse del
solo affidarci al “verbo”.
Un primo esempio è dato dalla frase di inizio delle sure nel Corano “Nel nome di
Allah, Dio onniponente e misericordioso…” che può diventare uno dei seguenti tre
bismala a forma di uccello per restituire all’occhio l’immagine della mente per
una strada in cui la parola è piegata a dare un senso oltre al suo significato:
Bismala, arte calligrafica musulmana.
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Un altro esempio presentato nella figura2 seguente
Pittografia kuna dal trattato di medicina Nele nusa Igala
si impone per la sua efficacia visiva, tanto più perché non è una quadro della nostra
pittura moderna (Klee, Kandinski, Malevich) ma una pagina di scrittura pittografica
degli indiani Kuna di Panama che “parla” di una pratica e cura medica “nele nusa
igar”.
Se è vero che verba volant e scripta manent, non è corretto però subordinare l’una
forma all’altra, perché la subordinazione anche reciproca tra parola detta e
parola scritta, tra dire e scrivere seleziona ed indirizza la competenza sociale e
l’azione cognitiva, togliendo al gesto (già il semplice gesto dello scrivere) il suo far
parte del corpo…
D’altronde a livello cognitivo è uno e lo stesso il meccanismo cerebrale che attiva lo
scrivere, il disegnare, l’arte… la rappresentazione grafica e segnica, cioè la
possibilità di produrre immagini iconiche materiali con funzione di sistema
simbolico.
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5 – MA A CHE PAROLA GIOCHIAMO?
Ma a questo punto il gioco della parola sembra tornare al suo inizio tra PAROLA E
SILENZIO, GIOCO E SCIENZA, ma anche sembra imbrigliato nello schema di un
quadrato magico tra PAROLA DETTA / PAROLA SCRITTA, o meglio ancora
PAROLA DETTA / PAROLA VISTA.
Allora ci venga in aiuto la fantasia per concludere con alcuni punti anche un po’
riassuntivi di quel che ci siamo detti.
1 - “Le tue parole erano uomini” conclude in una poesia d’amore il poeta turco
Hikmet, rivolgendosi alla sua donna da una cella di prigione:
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2 - “Si è parlati, prima di parlare” non è un modo di dire riguardo al pettegolezzo,
ma con Lacan ci dice:
- che la parola non è una ontologia, una essenza…
- che non si va in giro a parlare da soli, che ogni forma di espressione del pensiero è
connesso alle condizioni ed i contesti entro i quali questa forma si realizza;
- che quando impariamo a parlare dagli adulti che ci accudiscono, questi hanno
invece già parlato di noi ed a noi prima ancora che noi nascessimo ed imparassimo a
parlare.
3- Alice e il potere della parola
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“Allora dimmi subito quello che credi” riprese la Lepre.
“Come volete”, rispose in fretta Alice, “Vi dico quello che credo… perché quello
che credo dico… è la stessa cosa”.
“Non è per niente la stessa cosa!”, esclamò il Cappellaio, “Vorresti forse sostenere
che la frase vedo quello che mangio ha lo stesso significato di mangio quello che
vedo?”.
“O vorresti sostenere”, proseguì la Lepre Marzolina, “che la frase mi piace quello
che prendo ha lo stesso significato di prendo quello che mi piace?”.
“E vorresti forse sostenere”, concluse il Ghiro… “che la frase respiro quando dormo
ha lo stesso significato di dormo quando respiro?”.
“Per te è la stessa cosa!”, disse il Cappellaio. E a questo punto la conversazione finì”.
(L. Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, Milano, Bur, 1990, p. 98.)
“Quando io adopero una parola – disse Tombolo Dondolo con un tono piuttosto
sdegnoso – essa ha esattamente il significato che io voglio dare. Né più né meno”.
“Bisogna vedere – disse Alice – se voi potete fare in modo che le parole indichino
cose diverse”.
“Bisogna vedere – disse Tombolo Dondolo – chi è che comanda… ecco tutto”.
(L. Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, Milano, Bur, 1990, p. 177.)
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5 - e per finire, una bella Storiella Figurata tratta dal Libro delle Panzane di tanto,
tanto tempo fa ed in cui parola ed immagine si inseguono, si intrecciano, si
propongono in un sapiente gioco di rimandi interni, per imparare a vedere le parole…
(vedi Appendice 23)
E QUI FINISCE IL MIO GIOCO
ORA FATE IL VOSTRO…
FINE
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6 – ANCORA UN PO’ D’ATTENZIONE, PREGO !
Le citazioni sono qui per lo più parole scritte ed inserite sulla pagina di word o di pdf
in formato .doc, cioè sono testi-immagine perché comunque il testo scritto si fonda
sull’immagine che le parole compongono dal pensiero ed usano per la memoria.
Altre citazioni sono invece vere immagini perché inserite qui, nel corso del testo, in
formato .jpg ed è così che qualsiasi immagine (sia l’immagine-figura che
l’immagine-testo, scansionato e reso in questo formato) può diventare testo,
restituendo la memoria delle parole.
Comunque sempre immagini e memoria, senza il suono delle parole… a meno che
non le leggiamo ad alta voce anche nel silenzio di quando siamo soli…
Le immagini presentate e le parole citate sono per lo più tratte da molte e diverse
fonti; per ulteriori ispirazioni ed approfondimenti rinvio a “pochi ma sentiti” libri,
quali:
HENNY BOCCIANTI, Di segni e di scritture, Roma, Edizioni Lapis, 2005, 2007/2
edizione.
MARCO GUASTAVIGNE, Graficamente. Modelli e tecniche per rappresentare,
apprendere, elaborare, Roma, Carocci - Scuolafacendo, 2008.
RENATA PULEO, CATERINA ANGELOTTI, Le dita per Leggere. Percoro didattico in
Lingua Materna, Roma, Cgil-Fp Roma e Lazio, 2006.
M. SQUILLACCIOTTI, La parola e l’immagine. Saggi di antropologia cognitiva, Siena,
Università degli Studi, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laboratorio di Didattica e
Antropologia, Quaderno n. 1, 2000; reperibile anche nel Prof.Blog! del sito della
Facoltà all’indirizzo: www.lett.unisi.it/frontend/.
HENRIETTE ZOUGHREBI (a cura di), Le letteratura dall’alfabeto, Bologna, Giannino
Stoppani editore, 2004.
e per rispondere al mio amico Giannelli, professore esperto di significati delle parole,
che domanda burlescamente “Ma le parole bianche?”
ricorda che qui in
NERO
sono le parole del testo (grassetto corsivo o normale che siano)
perché mettono in evidenza quanto sono Alte o Basse
ROSSO
sono le definizioni e le affermazioni di scienza
perché guai a scherzarci sopra
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VERDE
sono i titoli dei paragrafi
perché si rincorrono come se giocassero sul prato
BLU
sono le citazioni
perché importanti come le parole sacre e di rispetto
MARRONE
sono le Appendici
perché poi si RICOMINCIA DA CAPO
BIANCO sono gli spazi tra una parola e l’altra,
il silenzio con cui si ascoltano gli altri o
che arriva alla fine del racconto perché ora è
FINITO d’avvero con l’avvertenza che non posso scrivere parole in bianco su fondo bianco.
FINE
FINE FINE FINE FINE
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Appendice 1
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E poi c’è la poesia che una mia amica ha scritto quando il figlio doveva imparare a
scuola
L’ALFABETO
A l’altalena che sale veloce
B la scaletta per arrampicare
C come bocca che s’apre a cantare.
D da cui scocca veloce la freccia
E la forchetta dai rebbi appuntiti
F s’è rotta su cibi induriti.
G come un bimbo ch’è chino sul banco
H palestra per fare capriole
I che può essere quello che vuole.
L piedino che calcia una palla
M sui monti che vanno su e giù
N non so, devi dirmelo tu.
O è quella palla ch’è scesa dai monti
P sembra un bimbo che ha troppo mangiato
Q un palloncino nel cielo scappato.
R è lo stesso bambino che corre
S si sa, è una serpe distesa
T ci puoi mettere biancheria stesa.
U se ci credi può esser la culla
V l’aquilotto che vola felice
Z c’è Zorro, e più non si dice.
Sembra finita, però non è vero:
A sono i piedi e poi la sottana
B son gli occhiali della Befana ...
(Maria Chiara Vita Finzi)
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ed il gioco di Bruno Munari sugli alfabeti:
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La parola FIGURA non solo indica una immagine, la figura è una immagine, proprio come le
figurine degli album da collezione Papini; indica pure un modo di dire, come: “Fare una bella
figura”; ma ad un certo punto della nostra storia viene ad indicare nell’arte del parlare (la Retorica)
quale Figura si usa per comunicare ad effetto un qualcosa (Metafora, Metonimia, Sineddoche…).
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Appendice 2
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