Da un`etica di carità all`etica del prendersi cura L`evoluzione del

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Da un’etica di carità all’etica
del prendersi cura
L’evoluzione del pensiero etico
infermieristico italiano
Dott.ssa Antonella Bonanno,
IID, A.O. Salvini, Garbagnate
I
n questo articolo si cerca di tracciare, attraverso l’analisi di alcuni documenti, l’evoluzione del pensiero etico-infermieristico che si è
modificato sulla scorta del processo di professionalizzazione.
Professione infermieristica ed etica professionale
L’etica professionale rientra nell’etica speciale
e riguarda il comportamento che deve caratterizzare una determinata professione.
L’etica professionale è da connettere con quel
vasto fenomeno sociale che viene definito
“professionalizzazione”.
Greenwood individua una serie di caratteristiche che permettono di distinguere l’attività
professionale da quella non professionale. Una
professione è un’occupazione esercitata a
tempo pieno che presuppone per il suo svolgimento un corpo sistematico di teoria acquisita dopo un periodo di studio e il conseguimento di un titolo specifico per l’esercizio dell’attività in questione. Le conoscenze permettono di esercitare un’autorevolezza professionale nei confronti del destinatario del proprio
servizio ed il successivo riconoscimento dalla
comunità. Ultima caratteristica che deve possedere una professione è il codice deontologico,
ovvero la dimensione morale necessaria al
professionista che non può non interrogarsi su
ciò che risulta essere il miglior modo di agire
nei confronti del destinatario del proprio servizio.
Pertanto l’attività lavorativa di un professionista si distingue per due criteri fondamentali:
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un lavoro tecnico basato sulla conoscenza
sistematica acquisita durante la formazione. In
questo caso l’accento va posto su due aspetti
fondamentali: la competenza ed il senso di
responsabilità. Queste due caratteristiche contribuiscono a rendere una prestazione lavorativa significativa non solo per chi la esercita, ma
anche per coloro ai quali è rivolta. Si legittima
così il secondo criterio: l’implicazione etica.
Ogni attività lavorativa che abbia una ricaduta
più o meno diretta sulla vita dell’uomo assume
inevitabilmente un risvolto etico.
La domanda di etica professionale nasce nel
momento in cui affiora la consapevolezza che
una attività lavorativa “…con il bagaglio di
competenze e di conoscenze tecniche che
porta con sé, ricopre un ruolo centrale poiché
condiziona decisamente le vite altrui”.(1)
A questo punto sorge inevitabile una questione: se nell’ambito dell’etica si parla di etica
professionale, si presuppone che quest’ultima
si differenzi per qualche particolare. In altre
parole l’etica professionale presuppone dei
principi morali validi in qualsiasi ambito e
qualsiasi esperienza morale o implica dei principi che sono validi solo per alcune determinate professioni e sono quindi riconducibili
solo a chi esercita quella determinata professione?
Secondo Freedman(2) la “morale professionale”
1) Antonio, Da Re, Professionisti sale della società, in Massarenti
Armando e Da Re Antonio "L'etica da applicare: una morale per
prendere decisioni", Milano, Il Sole 24 ore Libri,1990, p. 69.
2) B.Freedman, What Really Makes Professional Morality
Different: Response to Martin, in "Ethics", 1981, p. 626-30
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si differenzia per alcune caratteristiche dalla
“morale ordinaria”. La morale professionale ha
sempre un carattere straordinario se paragonata al comportamento ordinario: al professionista viene permesso di fare o di omettere cose
che la morale ordinaria richiede ai cittadini
qualsiasi. Questo è spiegabile, secondo l’autore, in quanto la morale professionale si acquisisce attraverso un patto o un contratto che
conserva le distanze rispetto alla morale ordinaria mediante obblighi, come quello del
segreto. La morale professionale impone di
realizzare atti che, se non si considerasse l’identità professionale di colui che agisce,
sarebbero ritenuti immorali o, perlomeno illeciti. È proprio grazie alla morale professionale
che nelle relazioni sociali proprie di un gruppo viene concessa ad alcune persone (i professionisti) una autorità a cui consegue l’impunità per certi atti.
Se si fa riferimento all’etica nel momento in cui
il comportamento non può essere automatico
è necessaria una valutazione dei valori in
gioco in un determinata situazione. Ne discende che l’etica infermieristica è quel particolare
sistema di principi, valori, obblighi etici che
orientano il comportamento del professionista
infermiere nella prassi infermieristica.
Non si può negare che l’infermiere sia un
agente morale indipendentemente dal fatto
che assista un neonato prematuro o che presti
assistenza in campo domiciliare; la sua attività
richiede infatti l’applicazione di giudizi e di
azioni morali. Si crede erroneamente che solo
coloro che lavorano in certe unità operative
(terapie intensive, cure palliative, patologie
neonatali…) si imbattono in problemi e dilemmi etici che richiedono una soluzione; in realtà vi è anche “l’etica del quotidiano”, ossia l’insieme di valenze etiche che sono alla base dei
comportamenti quotidiani dell’infermiere, per
dirla più semplicemente: “l’etica che sta alla
base del fare quotidiano dell’infermiere”. La
capacità di riflettere sull’etica del quotidiano
rappresenta, a mio avviso, il massimo livello di
consapevolezza e di capacità di valutare le
implicazioni delle proprie scelte, dei comportamenti, delle prese o meno di posizione, la
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capacità di leggere, di riflettere sugli interrogativi di fondo che stanno dietro ai problemi
comuni. È qui, a parere di chi scrive, che si
vede la raggiunta maturità della professione
infermieristica.
L’etica infermieristica si esprime a tre livelli di
cui la riflessione etica professionale rappresenta il primo. Dai principi etici generali e dallo
specifico scopo dell’assistenza si origina la
struttura dei principi e valori professionali. Si
tratta del livello più alto di astrazione in quanto si ha a che fare con il concetto di valore.
La deontologia (l’insieme dei doveri nell’esercizio professionale) rappresenta per così dire
il secondo livello, in quanto si ha qui un’etica “scesa” a livello di comportamento (di
dovere).
La consapevolezza della finalità etica dei comportamenti e dei doveri si concretizza nella
formulazione dei codici deontologici.
L’evoluzione della riflessione etica in Italia
In Italia il passaggio dall’assistenza all’assistenza infermieristica avviene nei primi decenni
del ‘900 e da subito si accompagna a riflessioni di valenza morale.
Nella scuola Samaritana italiana fondata nel
1883 a Torino (uno dei tentativi per dare un
indirizzo comune alle scuole per infermiere)
emerge la matrice cristiano-cattolico. Nei primi
precetti del Decalogo(3) si evidenzia una chiara
corrispondenza tra norme “deontologiche” e
precetti religiosi. Se nelle prime norme traspa3) Insieme di principi contenuti nello Statuto, regolamento della
Scuola Samaritana bolognese 1909
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re un rimando ai principi cristiani “ama il prossimo tuo come te stesso…o abbi la prudenza
dell’animo e l’abito della modestia”; nella
norma 7 “quando ti accingi a fare del bene al
prossimo cerca prima di non fargli del male” si
può riscontrare la non maleficità prima ancora
della beneficenza ovvero si esprime l’obbligo
di non arrecare danno richiamandosi per certi
versi ad un passo ippocratico.
In un altro documento dello stesso periodo
“Istruzioni di servizio per gl’Infermieri del
manicomio provinciale di Pergine” datato 1882
si nota lo stesso atteggiamento pedagogicopaternalistico del primo documento che, privando l’infermiere di una attività autonoma, gli
nega la responsabilità morale sul proprio operato. I doveri morali sono espressi sotto forma
di divieti, le norme cioè esprimono cosa gli
infermieri non devono compiere nei confronti
dei pazienti.
I termini ricorrenti in entrambi i documenti:
amore animo modestia carità pazienza sono
legati al concetto cattolico di missione, pertanto
la morale che emerge è fondata sul sentimento.
I movimenti femminili di inizio secolo individuano nella professione infermieristica uno
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spazio lavorativo indipendente e di affermazione per la donna rivendicando per questa
attività lavorativa la superiorità anche morale
della donna: “Quelle che si dovrebbero occupare in prima linea di quest’opera altamente
umanitaria e benefica sono le donne: esse
sono fatte dalla natura più caritatevoli, più
pazienti, più dolci degli uomini: sono fatte cioè
per assistere gli infermi…[ed ancora]…nessun
altra professione è così adatta per il carattere e
l’indole della donna come questa… ritengo
però necessario che ogni infermiera abbia
delle idee ben chiare e sappia quelle nozioni
elementari, che sono indispensabili per il suo
lavoro quotidiano. Ma per carità lasciamo da
parte tutta quella zavorra di conoscenze anatomiche, che non fa se non confondere loro la
testa senza che ne ritengano nulla!”(4).
Tale posizione è, del resto, condivisa da molti
medici “…nessuno meglio della donna può
stare vicino a chi soffre!… La donna possiede
innata bontà, gentilezza, delicatezza… Prima
delle sue attitudini e cognizioni tecniche il più
possibile ampie, l’infermiera moderna deve
sviluppare un’intima preparazione della
coscienza, uno spirito di disciplina e di sacrifizio a tutta prova… essa esprimerà tra i suoi
compagni di lavoro fraternità e bontà dignità
di condotta e darà il soffio di spiritualità gentile nell’ambiente, influendo sulla serenità di
questo… e sarà coscienziosa intelligente esecutrice delle prescrizioni mediche…”(5).
“…questa dell’infermiera è per eccellenza la
via nella quale gli uomini non possono contestarci… la superiorità che ci viene dalla natura
medesima. Il medico deve, oltre a ben capire
la differenza gerarchica, dimenticare la donna
nell’infermiera, che può essere qualche volta la
sua collaboratrice, ma deve essere fedele esecutrice dei suoi ordini, perciò deve accettare in
sala, quelle deferenza che gli è dovuta, come
solo arbitro della cura dei malati”(6).
L’infermiera qui ritratta è squisitamente di
4) Anna Celli, Per le scuole delle Infermiere, Nuova Antologia,
Ottobre 1908 p.481-484
5) Prof. Bastianelli Atti del Convegno “Per uno scambio di idee
relative all’assistenza degli infermi” promosso dal C.N.D.I. Firenze
21-22 febbraio 1920 p. 16-21
6) Egle Pilastrini Atti del Convegno “Per uno scambio di idee relative all’assistenza degli infermi” 1920 p.77-79.
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buona famiglia, asessuata nei confronti dell’uomo sia esso medico che malato. Svolge
un’opera altamente umanitaria, filantropica
con caratteristiche di missione assunta nella
accezione più laica del termine. La sua vita
risulta pertanto totale abnegazione per il
malato.
La visione etica che qui traspare si può definire, a mio avviso, una sorta di morale “naturale” che emerge da una specifica natura: quella
femminile.
La prassi risulta più importante rispetto alla
teoria, la medicina è il campo dominante dove
l’infermiera serve più al medico che non il
malato.
L’obbedienza, la lealtà e la sottomissione alla
medicina sono le caratteristiche principali del
comportamento infermieristico tanto che rimasero un punto fondamentale nell’insegnamento dell’etica nella professione infermieristica.
Nel “Programma di insegnamento e di esame
per le Scuole convitto professionali per infermiere e per le Scuole per assistenti sanitarie
visitatrici (D.M. 30 settembre 1938)” l’insegnamento dell’etica veniva così inteso:
…3) elementi essenziali dell’assistenza (spirito,
arte, dottrina);
4) qualità morali, intellettuali e fisiche che le
candidate infermiere devono possedere;
11) infermiera e medico;
12) infermiera e malato;
16) doveri dell’infermiera verso l’istituzione.
La visione paramedica della professione infermieristica, non avendo permesso una presa di
coscienza del proprio ruolo nell’ambito di un
esercizio professionale autonomo, non poteva
sviluppare una riflessione etica propria.
Pertanto una domanda “dovrebbero le infermiere pensare ed agire da sole nelle questioni
etiche del campo della salute?” non ha ragione
di porsi in questo momento storico. Si comprende così come per lungo tempo l’etica
infermieristica sia la risultante semplificata dell’etica medica.
Nel caso in cui le infermiere proiettino il proprio ruolo come serventi del medico, esse
“sono ostacolate seriamente nel fornire un servizio professionale nel rispetto dell’autonomia
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del paziente… infatti una servente non ha
pazienti, serve il medico.”(7)
La visione vocazionale della professione infermieristica prosegue nel tempo, tanto che, in
pieno regime fascista si legge: “la professione
infermieristica è fra quelle che offrono alle
donne il maggiore e migliore campo di azione,
per le loro naturali doti di pietà, abnegazione.
La donna è incline a soccorrere e a curare chi
soffre… Una professione come questa richiede
vocazione e dedizione”(8).
Nel 1966 viene promulgato da parte della
Federazione dei Collegi il primo codice deontologico.
La professione infermieristica è ancora una
professione sanitaria ausiliaria, ma per la prima
volta attraverso le norme contenute in questo
Codice deontologico offre una serie di orientamenti per l’esercizio professionale anche dal
punto di vista deontologico.
L’assistenza infermieristica è una professione
che opera nel campo dell’assistenza, si presta
per il sollievo della sofferenza e difesa della
vita e pone alla tutela della salute. L’infermiere
cura l’assistito con dedizione, ma anche con
rispetto (ovvero si riconosce l’assistito detentore di diritti) indipendentemente dalle proprie
idee politiche o religiose.
L’infermiere protegge il malato, appare per la
prima volta ciò che Winslow afferma essere la
seconda visione etica dell’assistenza infermieristica come difensore dei diritti nei confronti
di qualsiasi violazione (advocacy)(9). Il concetto di advocacy convive nella norma accanto al
termine amore ed è, a parere di chi scrive, un
retaggio della nostra tradizione filantopicovocazionale.
È importante alla norma 5 il richiamo al segreto professionale, uno degli aspetti chiave della
deontologia. Se si considera il rapporto infer7) Cfr. Gerald, Winslow, >From Loyalty to Advocacy: A new
Metaphor for Nursing, in Baruch A. Brody, (a cura di)
“Bioethics Readings and Cases”, Prentice-Hall Englewood Cliff,
New Jersey,1987, p.41.
8) Oscar Davanti, Le Scuole Convitto e le Professioni
Infermieristiche in “Il Pio Samaritano”,
settembre 1937 p.215-216
9) Cfr. Gerald, Winslow, From Loyalty to Advocacy: A new
Metaphor for Nursing, in Baruch A. Brody, (a cura di)
“Bioethics Readings and Cases”, Prentice-Hall Englewood Cliff,
New Jersey,1987, p.75.
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miere - cliente come un rapporto professionale
che deve basarsi sulla reciproca fiducia, esso
può essere distrutto nel momento in cui l’infermiere divulga informazioni avute a titolo riservato. Nel momento in cui un infermiere tradisce la fiducia riposta in lui si espone ad essere
perseguito in quanto il concetto di riservatezza
rientra nei canoni dell’etica e del diritto e, in
quanto professionista, l’infermiere è tenuto al
segreto professionale.
Nell’ultima norma si evidenzia come il rapporto
con i medici deve porsi su un rapporto di collaborazione (l’infermiere offre quindi il suo contributo),
pertanto a mio avviso il “sostenere nel malato la
fiducia verso il medico e verso ogni altro personale sanitario” è da vedersi come un primo dovere
nei confronti dell’équipe assistenziale.
In questo primo Codice etico non è così evidente in che misura il dovere professionale per
l’infermiere tragga origine sia dalla concettualizzazione dell’assistenza infermieristica che
dalla teoria dei doveri professionali.
Nel 1977 viene approvato dalla Federazione dei
Collegi Ipasvi il “Codice deontologico dell’infermiere”. Rispetto al precedente è strutturalmente più complesso.
Vi è una premessa nella quale si definisce chi è
l’infermiere cercando in tal modo di “riassumere ed esaltare al massimo la peculiare diversità
della relativa professione e quindi presentare
un contenuto specifico che vale a caratterizzare nettamente qualsiasi professione da qualsiasi altra…”(10).
Tre sono le aree deontologiche comprensive di
12 norme: la dimensione umana, i rapporti
sociali e l’impegno tecnico-operativo. Questa
suddivisione in aree, a mio avviso, non corrisponde ad una logica in quanto la dimensione
umana è comprensiva dei rapporti sociali,
comprende cioè tutto l’agire infermieristico,
quindi norme deontologiche che riguardano in
primis il cliente vengono collocate in modo diffuso nei diversi capitoli.
La prima area fa riferimento agli obblighi dell’infermiere nei confronti del cliente, ossia l’attività
10) Alberto Febbrajo, Struttura e funzioni delle deontologie professionali, in Willem, Tousijn (a cura di), “Le libere professioni in
Italia”, Bologna, Il Mulino, 1977, p.57.
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della professione infermieristica, intesa come servizio. Oggetto di tale servizio non è la persona,
ma la vita. La norma prosegue poi affermando
che “l’infermiere aiuta ad amare la vita” anche
questo a mio avviso obbedisce ad una lettura di
tipo religioso-cattolico. La norma inoltre parla di
“sopportare la sofferenza” (nel precedente del
1966 si parlava invece di lenire la sofferenza),
logica conseguenza dell’essere “al servizio della
vita” e non della persona. Affermando che l’infermiere è al servizio della vita implicitamente si
afferma che nulla di ciò che nega la vita può
essere accettato dall’infermiere. Se la risposta è
affermativa come conciliare ciò con il fatto che i
codici etici non devono mai sostituirsi alla libertà di coscienza individuale? Il rispetto per la vita
come può essere conciliato col rispetto della
libertà (sancita alla norma 2)? Se una della caratteristiche di un codice deontologico è la coerenza interna, qui si potrebbero a mio parere riscontrare dei problemi.
Nella seconda area deontologica viene evidenziato come l’infermiere favorisca la partecipazione della famiglia per stimolare le capacità
personali del paziente. È una visione nuova in
cui il paziente partecipa alle proprie cure.
L’infermiere in quanto professionista ha dei
doveri nei confronti della propria professione
che deve tutelare attraverso un comportamento
congruo.
Nell’ultima area deontologica due sono a mio
avviso i doveri che qualificano l’infermiere come
professionista e nel contempo come agente
morale. Il primo è da ricercarsi nella sempre
aggiornata qualificazione professionale: dovere
per il professionista e diritto per l’assistito, mentre il secondo è da vedersi nell’obiezione di
coscienza. Modalità attraverso la quale un agente morale si rifiuta di obbedire a particolari
richieste contrastanti con le proprie scelte etiche.
Il nuovo Codice dell’infermiere promulgato nel
1999 è preceduto dal Patto cittadino-infermiere.
Il patto è quell’impegno reciproco sancito da
una convenzione tra un professionista e il proprio cliente.
Nel “Patto” l’infermiere si impegna ad assumere
il cittadino come membro attivo delle proprie
cure. Questo coinvolgimento impedisce che la
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persona sia considerata un semplice
oggetto sul quale
declinare una serie
di attività.
Un cambiamento
sostanziale è l’acquisizione del termine persona, che
evidenzia la visione
del soggetto come
agente morale. È
l’espressione dell’affermazione del
principio di autonomia fondata sui
diritti alla libertà, alla dignità e alla personale
spiritualità. La modifica contenutistica di questa
versione del codice denota un importante cambiamento di paradigma etico: si deduce il contenuto
di
“responsabilità
collettiva”.
Sostanzialmente modificata la visione etica
della professione che ha allargato la visione dei
propri doveri che si esplicano nel concetto di
responsabilità non più solo nei confronti del
paziente, ma anche verso la società.
Il destinatario delle cure infermieristiche viene
assunto come membro attivo partecipe delle
proprie cure. La responsabilità dell’infermiere
non consiste solo nel curare, ma anche nel
“prendersi cura”. Il valore del “prendersi cura”,
ragione storica attraverso la quale professione
infermieristica si è affermata, si delinea come
riflessione filosofica.
Tra gli anni 80-90 sono stati elaborati, nell’ambito
del panorama infermieristico internazionale, i criteri di distinzione tra etica maschile e femminile.
L’etica infermieristica (femminile) è basata sul
caring (il prendersi cura), vale a dire sulla relazione intersoggettiva e sulla sensibilità e attenzione umana, mentre l’etica medica (maschile) è
basata su principi razionali ed universali.
“Noi non siamo interessate all’etica medica: di
fatto in essa non c’è pressoché nulla che sia
rilevante per la professione dell’infermiere.
L’assistenza infermieristica ha temi, problemi e
principi che sono specifici, ed essi sono del
tutto differenti, e spesso opposti, a quelli della
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medicina”(11).
Oggi l’assistenza infermieristica fonda il proprio valore sul “prendersi cura” che coincide
col prendersi cura dell’altro attraverso lo sviluppo di una professionalità basata ad una
relazione di aiuto. Aspetti fondamentali sono
la relazione e il concetto di responsabilità nei
confronti dell’altro attraverso i quali si definiscono due valori dell’epoca post-moderna: la
responsabilità collettiva e la particolare attenzione all’individuo e alla sua volontà.
Questo codice dichiara come l’assistenza infermieristica sia una professione che, oggi più
che mai, afferma la propria identità e che si
assume la totale responsabilità di ciò che comporta questa sua connotazione.
(11) J.E.,Thompson, cit in Helga Kushe, Prendersi cura non basta:
riflessioni sull'etica infermieristica, in Bioetica, Rivista inter
disciplinare, Milano, Franco Angeli, n..2 1994, p.270.
Bibliografia
Atti del Convegno “Per uno scambio di idee relative all’assistenza degli infermi” promosso dal C.N.D.I., Firenze 21-22
febbraio 1920.
Celli Anna, Per le scuole delle Infermiere, Nuova Antologia,
Ottobre 1908.
Da Re Antonio, Professionisti sale della società, in Massarenti
Armando e Da Re Antonio “L'etica da applicare: una morale
per prendere decisioni”, Milano, Il Sole 24 ore Libri,1990.
Davanti Oscar , Le Scuole Convitto e le Professioni
Infermieristiche in “Il Pio Samaritano”, settembre 1937.
Febbrajo Alberto, Struttura e funzioni delle deontologie professionali, in Willem, Tousijn (a cura di), “Le libere professioni in Italia”, Bologna, Il Mulino, 1977.
Freedman B, What Really Makes Professional Morality
Different: Response to Martin, in “Ethics”, 1981.
Gabrielli Mario, Etica e deontologia professionale: problemi,
dilemmi, valori in “Guida all'esercizio professionale” CESPI,
Edizioni medico-scientifiche, Novara, De Agostini, 1992.
Harold Wilensky, La professionalizzazione di tutti, in
Tousijn Willem, (a cura di) “Sociologia delle professioni”,
Bologna, Il Mulino, 1979.
Kushe Helga , Prendersi cura non basta: riflessioni sull'etica infermieristica, in Bioetica, Rivista interdisciplinare,
Milano, Franco Angeli, n.2 1994.
Winslow Gerald, ,From Loyalty to Advocacy: A new
Metaphor for Nursing, in Baruch A. Brody, (a cura di)
“Bioethics Readings and Cases”, Prentice-Hall Englewood
Cliff, New Jersey,1987.
Documenti analizzati:
“Istruzioni di servizio per l’Infermiere del manicomio provinciale di Pergine” 1882,
Decalogo della Scuola Samaritana 1906,
Codice deontologico Federazione Nazionale (Italiana)
Collegi Infermieri Professionali Assistenti Sanitari Vigilatrice
d’Infanzia 1960,
Codice deontologico dell’Infermiere 1977,
Patto Infermiere-cittadino Federazione Nazionale Collegi
Infermieri Professionali Assistenti Sanitari Vigilatrici
d’Infanzia 1996.
Il Codice deontologico degli infermieri Federazione
Nazionale Collegi Infermieri Professionali Assistenti
Sanitari Vigilatrici d’Infanzia 1999.
Le fotografie sono state gentilmente concesse dalla
Società Italiana di Storia dell’Assistenza Infermieristica
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