SARTRE E CAMUS PIERPAOLO D’ALONZO I maggiori esponenti dell’esistenzialismo francese sono Jean-Paul Sartre e Albert Camus. Jean Paul Sartre (1905-1980) nacque a Parigi il 21 giugno 1905, studiò filosofia e psicologia all’Ecole Normale Superieure, dove ebbe modo di conoscere intellettuali come P.Nizan, A.Camus e R.Aron. Quest’ultimo lo introdusse alla filosofia di Husserl e Heidegger. Nel 1929 conobbe Simone de Beauvoir che rimarrà la sua compagna per tutta la vita. Dopo aver usufruito di una borsa di studio all’Istituto francese di Berlino nel ’33 iniziò a studiare la fenomenologia di Husserl. In questo periodo nacquero i suoi scritti più importanti: L’immaginazione (1936), Abbozzo di una teoria sulle emozioni (1938), L’immaginario (1940) e inoltre il celebre romanzo esistenziale La nausea (1938). Due anni dopo durante la guerra, a cui partecipò attivamente nella Resistenza, venne fatto prigioniero dai tedeschi. Dopo la liberazione tornò a Parigi, dove pubblicò la sua opera filosofica fondamentale, L’essere e il nulla e il suo primo lavoro teatrale, Le mosche. Fu infatti un poligrafo, nel senso che si è trovato a suo agio nei più diversi generi letterari. Nel dopoguerra iniziò la seconda fase del suo pensiero, caratterizzata dall’impegno politico e sociale. Nel 1946 comparve il breve scritto L’esistenzialismo è un umanismo. Dopo aver fondato un piccolo movimento politico, Sartre si avvicinò al marxismo. Nel 1954 scrisse una serie di articoli dal titolo I comunisti e la pace, ma le sue posizioni estreme lo portarono a rompere con Camus, che scelse l’anticomunismo,e Marleau -Ponty che lo accusò di ultrabolscevismo. In seguito al rapporto Kruscev e alla dura repressione dei sovietici in Ungheria, Sartre pubblicò l’opuscolo Il fantasma di Stalin, che segnò il suo radicale distacco dalle posizioni del Partito Comunista Francese.Questi eventi lo condussero a riflettere obiettivamente sul marxismo, riflessioni che trovarono la loro esposizione nelle Questioni di matodo(1957) e nella Critica della ragione dialettica (1960). Nel 1964 gli assegnarono il premio Nobel, da lui rifiutato. Gli ultimi anni della sua vita fu sempre in prima linea sui problemi politici più importanti dell’epoca, Sartre infatti si schierò contro la politica francese in Algeria, partecipò al Tribunale Russell per i crimini degli americani in Vietnam e nel’68 appoggiò il movimento studentesco. Ormai cieco, morì a Parigi il 15 aprile del 1980. I primi studi di Sartre sono rivolti alla psicologia fenomenologia, in antitesi alla psicologia francese contemporanea di stampo positivistico, dominata da un concetto naturalistico dei fatti psichici. La fenomenologia di Husserl ha il grande vantaggio secondo Sartre di far cogliere una caratteristica fondamentale dei fatti psichici, cioè l’intenzionalità. Sartre è convinto, a differenza di Husserl, che il rapporto tra la coscienza e il mondo non sia solo di tipo conoscitivo.Perciò all’inizio egli si concentra soprattutto a studiare l’immaginazione e l’emozione, che sono sfere non controllate dalla ragione. L’emozione non è un disturbo della coscienza, ma è una modalità essenziale con cui la coscienza si relaziona con il 1 mondo esterno e gli conferisce un significato. Sartre riprende da Heidegger il concetto dell’essere-nel-mondo tipico dell’uomo e da ciò sottolinea il fatto che ogni fatto psichico ha una forma in sé, una sua struttura, non è la composizione di elementi tra di loro isolati e sconnessi.Per esempio l’immaginazione non è la copia di un qualcosa che non c’è più, ma un’attività libera e creatrice che non mira a una funzione percettiva.Essa cerca di tenere la realtà a distanza,di essere libera di fronte ad essa, di negarlo.La parola scelta da Sartre è néantisasion, nientificazione. Condizione favorevole per l’immaginazione è la libertà, l’andare al di là delle cose del mondo. Con questo atto di libertà nei confronti della realtà, dice Sartre, è l’uomo che dà senso al mondo, mentre il mondo di per sé non ha alcun senso. Il tema della libertà della coscienza e delle sue modalità espressive è il centro attorno a cui ruota la filosofia dell’Essere e il nulla; il sottotitolo è Saggio di ontologia fenomenologia. Il punto di partenza di Sarte è la distinzione, per così dire, tra due “zone” dell’essere: l’essere per-sé, la coscienza caratterizzata dall’intenzionalità: la coscienza è sempre coscienza di qualcosa che non è coscienza; l’essere in-sé, cioè l’essere delle cose, del mondo e dei fenomeni in generale nel loro aspetto massiccio, opaco, privo da ogni rapporto e caratterizzato dalla sua semplice presenza. L’essere in-sé può essere descritto come l’essere che è ciò che è, da queste parole di Sartre si evince il suo carattere statico, per cui non è né possibile né necessario, è pura positività, è semplicemente. A differenza di ciò che dicono gli idealisti, l’essere dei fenomeni è irriducibile alla coscienza e quest’ultima in quanto capacità di trascendere le cose, è irriducibile all’in-sé. Quindi la coscienza, non identificandosi mai con l’in-sé, è sempre fuori di sé, azione, attività e movimento sempre teso in avanti, progettante e senza poter mai coincidere con la propria essenza. Ecco perché la coscienza è sempre mancanza e incompiutezza alla ricerca del proprio completamento: il nulla è la sua condizione fondamentale. Essa fa continuamente esperienza del nulla in ogni suo atto.Che la realtà umana sia nullificazione, mancanza d’essere, è dimostrato dal desiderio: esso sorge dalla mancanza di ciò che si desidera, cioè come esigenza di completamento. Lo stesso discorso vale per il valore e la conoscenza. Il valore è tale in quanto non è, è sempre al di là di ciò che è. Nella conoscenza invece, l’oggetto (l’in-sé) si presenta alla coscienza come ciò che non è coscienza. Il nulla è legato intrinsecamente all’essere, pur non essendo generato da esso: è generato da quell’essere in cui si fa questione del nulla del suo essere, cioè l’essere della coscienza. Siccome non è l’in-sé, il per-sé è libero; essere libero vuol dire decidere completamente delle proprie azioni e esserne responsabili fino in fondo. L’atto con cui si esprime questa libertà è la scelta. La libertà della scelta però genera l’angoscia di fronte al possibile, all’indeterminato, allo sconosciuto, dal momento che non è ancora. La coscienza quindi presagisce che il non-essere è propriamente in essa. L’uomo è quindi condannato ad esistere al di là della propria essenza, condannato alla libertà come trascendimento continuo di quello che di volta in volta egli è. Come dice Sartre : “non siamo liberi di cessare di essere liberi”. E da qui l’esigenza di fuggire da se stessi, di evadere dalla mia libertà e responsabilità. Questo dà luogo alla reificazione, cioè ridursi ad una cosa tra le altre: è questa la malafede,con questo atteggiamento si inganna se stessi e gli 2 altri,costruendo un’immagine fasulla di sé e della propria situazione.Si recita una parte (per es.quella del cameriere) come in una commedia teatrale, si assume un determinato ruolo sociale. Si è detto che la malafede consiste nel mentire a se stessi, però non si tratta di una menzogna deliberata, dato che il “me” che viene ingannato fa parte dello stesso io che inganna. Si crea così una scissione che produce infelicità. Il per-sé non incontra l’essere solo nella realtà massiccia, opaca e assurda dell’in-sé, ma anche nell’altro, nella coscienza dell’altro. Questo introduce un'altra tipologia dell’essere che si aggiunge ai due elencati sopra e a cui Sartre dedica la terza parte dell’Essere e il nulla: l’essere per-altri. L’essenza dell’altro è negazione: esso è l’io che non è me. Anche il rapporto con l’altro è segnato da una netta negatività, da una continua conflittualità, perché la propria libertà si scontra con quella dell’altro. Le due esperienze originarie tramite la quale si istituisce il rapporto con l’Altro sono lo sguardo e la vergogna. Nello sguardo l’Altro mi appare a prima vista come un oggetto, poi come una cosa che ha una relazione con altre cose e infine come l’Altro che mi guarda, per dirla con Sartre:”Con lo sguardo altrui non sono più padrone della situazione.”Sotto lo sguardo dell’Altro sono oggetto di valori che io non ho elaborato, sono strumento di possibilità che non sono le mie possibilità. L’altro mi conosce meglio di quanto io possa conoscere me stesso, infatti io non posso oggettivarmi, distanziarmi come un oggetto da me stesso.Mi sento così trasformato in un oggetto inerme e nudo davanti all’Altro. Con lo sguardo l’Altro aliena le mie possibilità, non sono più io che decido. Si spiegano così sentimenti come il timore, il pudore e l’orgoglio. Nella vergogna laddove mi vedo osservato, mi ritrovo nudo alla mercé dell’Altro. I rapporti tra le coscienze sono tutto sommato conflittuali, tanto che Sartre ebbe a dire:”l’inferno sono gli altri”. Le due polarità più importanti del rapporto con gli altri sono l’odio e l’amore. L’odio è il tentativo di annullare l’Altro nella sua alterità e diversità, lo si pratica anche attraverso l’indifferenza. Riduco l’Altro a corpo e strumento (oggettivazione) e privandolo di ogni libertà (soggettività). Nell’amore il soggetto progetta di unirsi all’Altro rispettato nella sua libertà, l’amante vuole possedere l’amato senza oggettivarlo, senza ridurlo a cosa. Presto però l’amante pretenderà di farsi amare in modo assoluto ed esclusivo e anche l’amato vorrà la stessa cosa. Il risultato è che l’amore è impossibile, in quanto entrambi restano rinchiusi nella loro soggettività, antinomica e conflittuale. Fallito ogni tentativo di raggiungere qualsiasi unione con l’Altro, non resta che fondare il rapporto sulla cooperazione, nell’essere insieme (Mit-sein) del gruppo o della classe sociale. Tuttavia il conflitto rimane anche in questo caso.Questo accade perché l’oggetto del desiderio umano si trova sempre al di là del suo essere, è un non-essere, però nel momento in cui l’uomo lo desidera, lo fa essere. E’ questo il caso del valore. I valori non esistono oggettivamente di per sé, ma nascono con l’uomo, essi si relazionano con la coscienza come qualcosa che si pone sempre al di là di essa. Questo significa che l’uomo non raggiunge mai la piena identità con se stesso, l’ideale conciliazione del per-sé con l’in-sé, ma vive sempre nel possibile. Cercare di comprendere le scelte e i progetti dell’essere umano è il compito della psicanalisi esistenziale. Sartre concorda con Freud che ogni azione e ogni 3 parola hanno un significato se si riferiscono all’uomo preso nella sua totalità, tuttavia egli critica l’impostazione deterministica e materialistica del fondatore della psicanalisi. Altro concetto fondamentale è quello di situazione. L’uomo svolge una incessante attività nel mondo, eppure non è capace di costruire rapporti stabili con esso. L’insieme delle strutture che influenzano l’uomo come soggetto che agisce è la situazione. Lo scontro tra l’in-sé e i miei progetti costituisce la situazione, che si configura unicamente in rapporto ai progetti elaborati dall’essere umano. L’attività del per-sé viene fermata solo dalla morte, definita da Sartre come l’inumano per eccellenza. Essa è la sconfitta assoluta, la ricaduta definitiva del persé nella datità. Fatto che toglie ogni significato alla vita, la morte è l’annullamento sempre possibile dei miei possibili, che è al di fuori delle mie possibilità. La totalità a cui l’uomo tende è la conciliazione del per-se con l’in-sé, in definitiva egli tende a Dio. L’uomo è l’essere che progetta di essere Dio, ma Dio non è l’uomo. Quindi è irraggiungibile.In conclusione l’uomo è un Dio mancato e in quanto tale è una passione inutile. Tutte le sue azioni e tutte le sue scelte sono assurde ed equivalenti. Albert Camus (1913-1960), nacque a Mondovi (Algeria) il 7 novembre 1913, partecipò alla resistenza anti-nazista, entrò presto in contatto con Sartre. In seguito tra i due ci fu una clamorosa rottura dovuta a diversi orientamenti politici. Camus più che filosofo, è stato un grande scrittore. Le sue opere però contengono tematiche filosoficamente rilevanti: tra i suoi romanzi vale la pena di ricordare Lo straniero (1942), La peste (1947), La caduta (1956), tra le opere teatrali Il malinteso (1944) e Caligola (1944). Lo straniero è da tutti considerato come uno dei capolavori della letteratura del ‘900, in esso si trovano alcuni dei temi tipici dell’esistenzialismo nella sua versione più tragica e negativa. In questo romanzo Camus sottolinea la grande distanza, anzi l’”estraneità” che divide l’uomo dal mondo. La realtà non ha alcun senso; tutto accade e si svolge senza che l’uomo possa coglierne i motivi e i possibili significati. Ecco come l’uomo con i suoi pensieri si ritrova ad essere straniero nel mondo. Il mito di Sisifo invece è un saggio, sottolineato Saggio sull’assurdo. Qui Camus ha modo di esprimere in modo più diretto le sue posizioni filosofiche. Il problema fondamentale di tutta la filosofia è il suicidio. Bisogna chiedersi se la vita reale vale o non vale la pena di essere vissuta. Questa è una situazione limite che spinge l’uomo a porsi domande radicali sul senso della vita e sul nostro comportamento davanti ad essa. La tesi di Camus è che gli argomenti religiosi e morali addotti contro il suicidio non hanno alcun valore: la vita non ha valore intrinseco e la realtà è senza ragione. L’impegno dell’uomo nel mondo con le varie opere e iniziative pratiche ricorda la vicenda dell’eroe della mitologia antica, Sisifo, condannato dal fato a spingere un masso in cima a un monte e che poi ogni volta ricade giù, costringendo Sisifo a ripetere inutilmente il suo sforzo. La dimensione costitutiva dell’esistenza umana è l’assurdità: questa è intesa in due sensi, che gli eventi non hanno significato e che tutte le azioni umane sono sempre inadeguate rispetto ai desideri e ai contesti in cui si svolgono. Nonostante Camus 4 parli di suicidio, la sua prospettiva lo porta a condannare questo gesto. Lo ritiene infatti una fuga di fronte all’assurdità della vita, proprio come la speranza religiosa. La giusta risposta di fronte all’assurdo è la non-rassegnazione, cioè la rivolta. Di contro all’insensatezza della realtà, l’uomo deve aver il coraggio di reagire, lavando il suo grido di protesta, facendo valere la sua prospettiva donatrice di senso, un senso non assoluto si capisce. Solo comportandosi così l’uomo fa aumentare il valore e la dignità della sua rivolta: solo ribellandosi, l’esistenza può acquistare un significato. 5