Giovedì 4 giugno 2015
1500
Leonardo a Venezia
Selezione di brani a cura di Sarah Ferrari,
letti da David Amadeus Meden e Nicolò Parodi,
attori diplomati alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano
1) Lorenzo da Pavia a Isabella d’Este, marchesa di Mantova, Venezia, 13 marzo 1500.
Adì 13 de marco 1500.
Inlustrisima Madona, per el portatore di questa ve mando uno liuto grande ala spagnola, naturale
dela vose, che credo certo che quela non abia maie sentito el meliore e, invero, a me me pare no ne
avere maie sentito el melio. O mandato questo prima perché è pura asai che l'aveva principiato e
così, a pocho a pocho, l'ò finito con la quartana, la quale non m'abandona e sono stato in mane de
uno medicho el quale n'à guarito alcunj e a me me l'à fata venire mazore, con una debilitade estrema
per tal modo che me trovo molto di mala volia e tanto pù non podendo così presto dare espedicione
a quelo liuto biancho e negro di quela. Podendeme refare non atendarò ad altero che a darili
espedicione e faròro naturale ala spagnola sì de forma como de voce. E l'è a venecia lionardo vinci
el quale m'à mostrato uno retrato de la signoria vostra che è molto naturale a quela. Sta tanto bene
fato, non è posibile melio. Non altero per questa, de contunevo a quela me recomando.
vostro servo lorenco da pavia in venecia.
Ala Ill.ma Madamma
Elisabella marchesana
de Mantoa Madona
Colendiss.a.
Mantova, Archivio di Stato, Fondo Gonzaga, busta 1439, c. 55
2) Leonardo da Vinci, Codex Atlanticus, f. 638v (ex. 234 v-c), 1499 – 1500 circa.
Illustrissimi Signori mia, avendo io bene esaminato la qualità del fiume l’Isonzo, e da’paesani
inteso come per qualunche parte di terraferma i Turchi pervenghino alle porte de la Italia, al fine
conviene capitino al detto fiume; onde per questo ho giudicato che, ancora che sopra esso fiume
ripari far non si possino, che alfine sieno ruinati e disfatti dalle sue inondazioni.
Anna Maria Brizio (a cura di), Scritti scelti di Leonardo da Vinci, Torino, 1996, pp. 640-641
3) Giorgio Vasari, Vita di Giorgione da Castelfranco, 1568.
Ne’ medesimi tempi che Fiorenza acquistava tanta fama per l’opere di Lionardo, arrecò non piccolo
ornamento a Vinezia la virtù et eccellenza [d’] un suo cittadino, il quale di gran lunga passò i
Bellini, da loro tenuti in tanto pregio, e qualunque altro fino a quel tempo avesse in quella città
dipinto. Questi fu Giorgio, che in Castelfranco in sul Trevisano nacque l’anno 1478, essendo doge
Giovan Mozenigo, fratel del doge Pietro, dalle fattezze della persona e da la grandezza de l’animo
chiamato poi col tempo Giorgione; il quale, quantunque egli fusse nato d’umilissima stirpe, non fu
però se non gentile e di buoni costumi in tutta sua vita.
Fu allevato in Vinegia, e dilettossi continovamente de le cose d’amore, e piacqueli il suono del liuto
mirabilmente e tanto, che egli sonava e cantava nel suo tempo tanto divinamente ch’egli era spesso
per quello adoperato a diverse musiche e ragunate di persone nobili. Attese al disegno e lo gustò
grandemente, e in quello la natura lo favorì sì forte, che egli, innamoratosi delle belle cose di lei,
non voleva mettere in opera cosa che egli dal vivo non ritraesse; e tanto le fu suggetto e tanto andò
imitandola, che non solo egli acquistò nome d’aver passato Gentile e Giovanni Bellini, ma di
competere con coloro che lavoravano in Toscana et erano autori della maniera moderna. Aveva
veduto Giorgione alcune cose di mano di Lionardo, molto fumeggiate e cacciate, come si è detto di
scuro: e questa maniera gli piacque tanto che mentre visse sempre andò dietro a quella, e nel
colorito a olio la imitò grandemente.
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori e Architettori, scritte da M. Giorgio Vasari Pittore &
Architetto Aretino di nuovo ampliate, con i ritratti loro, et con l’aggiunta delle Vite de’ vivi et de’ morti, dall’anno 1550
insino al 1567, Firenze, Giunti, 1568 (ed. a cura di Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, 6 voll., Firenze, 1966-1997), IV
(1976), pp. 41-42
4) Leonardo da Vinci, I sei libri sulla luce e l’ombra (dal ms. Br. M., f. 171)
Proemio
Ombra è privatione di luce; parendo a me le ombre essere di somma necessità in nella prospettiva,
peroché sanza quelle i corpi opachi e cubi male sieno intesi; […]. Oltre a di questo, esse ombre sono
in sé di varie qualità d’oscurità, perché da varie qualità di razzi luminosi abbandonate sono, e queste
domando ombre originali, perché sono le prime ombre, che vestono i corpi dove appiccate sono
[…]. Da queste ombre originali ne resultano razzi ombrosi, i quali si vanno dilatando per l’aria e
sono di tante qualità, quante sono le varietà dell’ombre originali, donde essi derivano. E per questo
io chiamo esse ombre, ombre derivative, perché da altre ombre nascono […].
Cap. 153
Le cose vedute infra lume e l’ombre si dimostrerà di maggiore rilievo che quelle che sono nel lume
o nell’ombre.
J. P. Richter, The Literary Works of Leonardo da Vinci compiled and edited from original manuscripts, 2 voll., London,
1970, I, pp. 163, 179
5) Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, 1501.
Libro XXXV, cap. V
Finalmente l’arte distinxe se medesima e trovò e lumi, e ombre per cagioni di colori perché
scambievolmente posti uno dextra l’altro. Di poi v’arrosono lo splendore: el quale altra cosa che
lume el quale perché era tra lume e l’ombra chiamarono tonon e le commissure de colori e transiti
de l’uno nel’altro chiamarono armogé.
Historia naturale di C. P. Secondo tradocta di lingua latina in fiorentina per Christophoro Landino fiorentino al
Serenissmo Ferdinando re di Napoli, Ubertino da Vercelli, Venezia, 1501
6) Libro di pittura di M. Lionardo da Vinci, pittore et Scultore Fiorentino (dal Codex Vaticanus
Urbinas 1270).
Cap. 39
Come la scultura è di minore ingegno, che la pittura, e manchano in lei molte parti naturali
Adoperandomi io non meno in scultura che in pittura, et esercitando l’una e l’altra in un medesimo
grado, mi pare con piccola imputatione poterne dare sententia, quale sia di maggiore ingegno,
difficultà e perfettione l’una che l’altra. Prima la scultura è sottoposta a certi lumi, cioè di sopra, e la
pittura porta per tutto seco lume e ombra, e lume ed ombra è la importantia adunque della scultura.
Lo scultore in questo caso è ajutato dalla natura del rilevo, ch’ella per se genera; e il pittore per
accidentale arte lo fa ne lochi, dove ragionevolmente lo farebbe la natura.
Anna Maria Brizio (a cura di), Scritti scelti di Leonardo da Vinci, Torino, 1996, p. 217
7) Giorgio Vasari, Vita di Giorgione da Castelfranco, 1568.
Dicesi che Giorgione ragionando con alcuni scultori nel tempo che Andrea Verrocchio faceva il
cavallo di bronzo, che volevano, perché la scultura mostrava in una figura sola diverse positure e
vedute girandogli a torno, che questo avanzasse la pittura, che non mostrava in una figura se non
una parte sola, Giorgione – che era d’oppinione che in una storia di pittura si mostrasse, senza avere
a camminare a torno, ma in una sola occhiata tutte le sorti delle vedute che può fare in più gesti un
uomo, cosa che la scultura non può fare se non mutando il sito e la veduta, talché non sono una ma
più vedute –, propose di più, che da una figura sola di pittura voleva mostrare il dinanzi et il didietro
et i due profili dai lati: cosa che e’ fece mettere loro il cervello a partito.
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori e Architettori, scritte da M. Giorgio Vasari Pittore &
Architetto Aretino di nuovo ampliate, con i ritratti loro, et con l’aggiunta delle Vite de’ vivi et de’ morti, dall’anno 1550
insino al 1567, Firenze, Giunti, 1568 (ed. a cura di Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, 6 voll., Firenze, 1966-1997), IV
(1976), p. 46
8) Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, 1501.
Libro XXXV, cap. X
Ma Apelle della isola di Choo fu nella centesima duodecima olimpiade, il quale vinse quegli che
furono innanzi allui & quegli che furono dopo & più cose truovò quasi lui solo che tutti gli altri
insieme & scrisse volumi, ne quali si contiene quella doctrina. Fu excellente la sua venustà nell’arte
sua & nella età sua furono excellenti pictori, equali sommamente lodò. Ma disse mancare loro una
certa venustà, la quale e Greci chiamano Charis, benché havessino tutte l’altre cose & in questo
nessuno essere pari allui.
[…] Dipinse anchora le cose che non si possono dipignere. Tuoni, baleni & saette, le quali
chiamano bronte, Astrape e Ceranunobolo. Ma una cosa nessuno potè imitare: imperoché
impiastrava l’opere sue già finite con sì sottile atramento che quello per reflessione de lumi eccitava
lo splendore a gli occhi & conservava la pittura dalla polvere e da ogni brutura. Ma con grande
ingegno, accioché lo splendore de’ colori non offendesse gli occhi, perché così era come guardarla
dalla lungi per pietra trasparente.
Historia naturale di C. P. Secondo tradocta di lingua latina in fiorentina per Christophoro Landino fiorentino al
Serenissmo Ferdinando re di Napoli, Ubertino da Vercelli, Venezia, 1501
9) Marsilio Ficino, Sopra lo Amore ovvero Convito di Platone, Firenze, 1544.
Cap. III: Della utilità d’amore
[…] Conchiudiamo brevemente per le sopra dette cose la Bellezza essere una certa grazia, vivace e
spirituale. La quale per il raggio divino prima si infonde negli Angeli, poi nelle Anime degli
uomini, dopo questi nelle figure, e voci corporali, e questa grazia per mezzo della ragione e del
vedere e dello udire muove e diletta lo animo nostro: e nel dilettare rapisce: e nel rapire d’ardente
amore infiamma.
Cap. IX: Che cercano gli amanti
Ed essendo l’Amore desiderio di fruire Bellezza, e questa conoscendosi dagli occhi soli, l’amatore
del corpo è solo del vedere contento: sì che la libidine del toccare non è parte di Amore, né affetto
di amante, ma spezie di lascivia e perturbazione di uomo servile. Ancora quella luce dell’Animo,
solo con la mente comprendiamo: onde chi ama la Bellezza dell’Animo, solo si contenta di
considerazione mentale. […] Il più antico con gli occhi fruisce la Bellezza del giovane: e il più
giovane fruisce con la mente la Bellezza del più antico. E colui che solo di corpo è bello, per questa
consuetudine diventa bello dell’Animo: e colui che dell’Animo solo è bello, riempie gli occhi di
corporale Bellezza. Questo è cambio maraviglioso all’uno e all’altro, onesto, utile e giocondo: la
onestà in amendue è pari: perché egualmente è onestà lo apparire e lo insegnare.
Marsilio Ficino, Sopra lo Amore ovvero Convito di Platone, Firenze, Neri Dortelata, 1544 (ed. a cura di Giuseppe
Rensi, “L’altra Biblioteca, 82”, Milano, 1988), pp. 24, 45
10) Baldassarre Castiglione, Il Libro del Cortegiano,1528.
Cap. XXXVII
– Dunque, – rispose messer Federico – gli antichi non imitavano?
– Credo, – disse il Conte, – che molti imitavano, ma non in ogni cosa. […] Creder si po che que’
che erano imitati fossero migliori che que’ che imitavano; e troppo maraviglia saria che così presto
il lor nome e la fama, se eran boni, fosse in tutto spenta. Ma il loro vero maestro cred’io che fosse
l’ingegno ed il lor proprio giudicio naturale; e di questo niuno è che si debba maravigliare, perché
quasi sempre per diverse vie si po tendere alla sommità d’ogni eccellenzia. […].
Eccovi che nella pittura sono eccellentissimo Leonardo Vincio, il Mantegna, Rafaello, Michel
Angelo, Georgio da Castel Franco; nientedimeno, tutti son tra sé nel far dissimili, di modo che ad
alcun di loro non par che manchi cosa alcuna in quella maniera, perché si conosce ciascun nel suo
stilo esser perfettissimo. Il medesimo è di molti poeti greci e latini, i quali, diversi nello scrivere,
sono pari nella laude.
Baldassarre Castiglione, Il Libro del Cortegiano, In Venezia nelle case d’Aldo romano e d’Andrea d’Asola suo suocero
l’anno MDXXVIII del mese d’aprile (ed. a cura di Vittorio Cian, Firenze, 1894), pp. 81 – 82
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