Untitled - Rassegna di Nuova Musica

XXIX Rassegna di Nuova Musica
Programma
Stefano Scodanibbio
Produzione
Gianluca Gentili
Consulenza artistica
Tonino Tesei
www.rassegnadinuovamusica.it
in collaborazione con Associazione Arena Sferisterio
REGIONE
MARCHE
28 lunedì
29 martedì
Johann Sebastian Bach
Helmut Lachenmann
Fuga (2. Ricercata)
da l’Offerta Musicale BWV 1079/5
Orchestrazione di Anton Webern (1934-35)
Anton Webern
Symphonie op. 21 (1928)
Konzert op. 24 (1934)
per flauto, oboe, clarinetto, corno, tromba, trombone, violino,
viola e pianoforte
Andrea Bacchetti pianoforte
Christof Löser direttore
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Opus Incertum
Improvvisazione concertata da Giancarlo Schiaffini
Allegro sostenuto (1987-88)
per clarinetto, violoncello e pianoforte
Wiegenmusik (1963)
per pianoforte
mdi ensemble:
Giorgio Casati violoncello
Paolo Casiraghi clarinetto
Luca Ieracitano pianoforte
Helmut Lachenmann pianoforte
Improvvisazione concertata da Mike Svoboda
Fabrizio Ottaviucci pianoforte
Steffen Schleiermacher pianoforte
Mike Svoboda trombone
Fabrizio Ottaviucci pianoforte
Daniele Roccato contrabbasso
Giacomo Piermatti contrabbasso
Gianpaolo Antongirolami sassofono
Matteo Cesari flauto
Mike Svoboda trombone
La Rassegna di Nuova Musica, per rigore di scelte ed eccellenza d’esecuzioni senza rivali [...] si svolge annualmente in Macerata.
Il Teatro Lauro Rossi non sembra sufficiente sempre per adunare giovani ascoltatori entusiasti, come occorse nel 2007 per la
presenza di Karlheinz Stockhausen, l’ultima volta in Italia. Mario Bortolotto
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30 mercoledì
31 giovedì
Brian Ferneyhough
Karlheinz Stockhausen
Superscriptio (1981)
Klavierstücke I-IV (1952-53)
Unity Capsule (1976)
Klavierstück V (1954)
per ottavino
per pianoforte
per flauto
per pianoforte
Matteo Cesari ottavino e flauto
Estemporanee dai suoni glaciali
intavolature per l’improvvisazione
Improvvisazione concertata da Claudio Lugo
Giorgio Casati violoncello
Paolo Casiraghi clarinetto
Luca Ieracitano pianoforte
Gianpaolo Antongirolami sassofono
Claudio Lugo sassofono
Daniele Roccato contrabbasso
Ladislao Vieni viola
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Kreuzspiel (1951)
per oboe, clarinetto basso, pianoforte e tre percussionisti
Steffen Schleiermacher pianoforte
Giovanni Pantalone oboe
Michele Scipioni clarinetto basso
Adriano Achei, Alessandro Carlini, Matteo Fratesi percussioni
Christof Löser direttore
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Lawrence Douglas “Butch” Morris
CONDUCTION® No. 194, Macerata
Gianpaolo Antongirolami sassofono
Serena Cavalletti violino
Giorgio Casati violoncello
Paolo Casiraghi clarinetto
Luca Ieracitano pianoforte
Gianluca Gentili chitarra
Laura Mancini vibrafono
Daniele Roccato contrabbasso
Giacomo Piermatti contrabbasso
Ladislao Vieni viola
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Anton Webern (Vienna, 1883 - Mittersill, Salisburgo, 1945)
Inizia gli studi scolastici nella città natale e li prosegue a Graz e a Klangenfurt, dove
intraprende quelli musicali in pianoforte e violoncello. Nel 1902 si iscrive all’Università
di Vienna, frequentandovi seminari di armonia e contrappunto e laureandosi nel 1906
in Musicologia con G. Adler (tesi su Choralis Constantinus di H. Isaac).
All’estate 1903 risalgono le sue prime composizioni: Webern le sottopone a
Schönberg, il quale decide di averlo tra i suoi allievi; sotto la guida del suo maestro,
Webern compone i Lieder op. 3 (1907-08) su poesie di S. George. L’insegnamento
di Schönberg, che durò fino al 1908, fu determinante per la sua maturazione. Nel
1908 compose la Passacaglia op. 1 per orchestra, in cui è già evidente quella
tendenza alla nettezza del suono, al rapporto simmetrico tra pausa e ritmo che
saranno caratteristici dell’ideale contrappuntistico del Webern maturo. Nei Cinque
pezzi per quartetto d’archi op. 5 (1909), egli mostra di aver già spinto l’esperienza
espressionista, maturata insieme al maestro, all’astrattismo aforistico, con un
notevole anticipo sui Sei piccoli pezzi op. 19 di Schönberg; altrettanto avviene coi
Sei pezzi op. 6 per orchestra (1909), dove l’idea schönberghiana della «melodia di
timbri» appare già radicalizzata, e con i brevissimi Quattro pezzi op. 7 per violino e
pianoforte (1910) e le Sei bagatelle op. 9 per quartetto d’archi (1913), che durano complessivamente circa tre minuti e mezzo. Ai
limiti di questa esperienza «aforistica», di estrema concentrazione espressiva, che ancora viene toccata con gli abissali Tre piccoli
pezzi per violoncello e pianoforte op. 11 (1914), Webern è già sulla soglia dell’individuazione dodecafonica; le opere che seguono
mirano a ritrovare la garanzia della costruzione ampia - come d’altronde avviene anche in Schönberg - per mezzo del ricorso a un
testo: nascono così i Lieder op. 12, 13, 14 e 15, composti fra il 1915 e il 1922.
Dopo i Cinque canoni op. 16 per soprano, clarinetto e clarinetto basso (1924), che rivelano una chiara tendenza alla serialità,
Webern compone la sua prima opera dodecafonica: si tratta dei Tre canti popolari sacri op. 17 (1924), per voce, clarinetto, clarinetto
basso e violino. Col Trio op. 20 per archi (1927) e la Sinfonia op. 21 (1928) per orchestra, Webern afferma pienamente il proprio
stile, che verrà in seguito definito «puntillista» e costituirà un punto di partenza fondamentale per le generazioni musicali del
secondo dopoguerra.
Nel 1927 Webern diviene direttore stabile alla Radio di Vienna, e dal 1929 dirige concerti in diverse città (Berlino, Monaco, Zurigo,
Barcellona). In questo periodo nascono altre sue composizioni significative: il Concerto op. 24 per nove strumenti (1934) e le
fondamentali Variazioni op. 27 per pianoforte (1936), oltre alla cantata per coro e orchestra Das Augenlicht op. 26 (1935), su poesia
di Hildegard Jone, pittrice e poetessa ammiratrice della musica di Webern, che pure fornì al compositore i testi per la I Cantata op.
29 per soprano coro e orchestra (1938-39) e per la II Cantata op. 31 per soprano, basso, coro e orchestra, ultimo lavoro di Webern
(1941-43).
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Con queste cantate e con le Variazioni op. 30 (1940) per orchestra, Webern raggiunge l’«idea assoluta» della forma,
geometricamente intesa al pari di Kandinskij e di Mondrian in pittura, realizzando nello stesso tempo un ritorno alla costruzione
contrappuntistica sul modello ideale della polifonia fiamminga. Durante l’occupazione nazista dell’Austria, nel 1934, Webern è
costretto a ritirarsi a vita privata e la sua musica viene bandita come «arte degenerata». Nel 1939 si ritira a Mittersill (Salisburgo),
dove muore il 15 settembre 1945, ucciso per un tragico errore da un soldato americano delle truppe d’occupazione.
Helmut Lachenmann (Stoccarda, 1935)
Dal 1955 al 1958 Helmut Lachenmann studia pianoforte con Jürgen Uhde e teoria e
contrappunto con Johann Nepomuk David al Conservatorio di Stoccarda. Dal 1958 al 1960
studia composizione a Venezia con Luigi Nono. Al 1962 risale la sua prima apparizione come
compositore alla Biennale di Venezia e agli Internationalen Ferienkurse für Neue Musik
di Darmstadt, per i quali diventerà, nel 1972, coordinatore dei corsi di composizione. Ha
insegnato teoria musicale dal 1966 al 1976 al Conservatorio di Stoccarda; dal 1972 al 1973
ha tenuto masterclass in composizione presso l’Università di Basilea, e dal 1976 al 1981 è
stato professore di composizione al Conservatorio di Hannover, incarico che pure ha ricoperto,
dal 1981 al 1999, al Conservatorio di Stoccarda. Negli anni successivi ha tenuto seminari e
workshop di composizione a Toronto, Buenos Aires, Santiago del Cile, Tokyo, Oslo, Parigi,
Vienna, Chicago e, a New York, presso la Columbia e la Princeton University.
Fra le onorificenze attribuitegli sono da ricordare il Kulturpreis für Musik della città di Monaco
(1965), il Kompositionpreis della città di Stoccarda (1968), il Bach-Preis di Amburgo (1972),
il prestigioso Musikpreis della Fondazione Ernst von Siemens (1997). Nel 2004 ha ricevuto
il premio della Royal Philharmonic Society di Londra per il suo terzo quartetto d’archi Grido.
Nel 2008 ha inoltre ricevuto il Berliner Kunstpreis e il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di
Venezia.
Numerose le monografie discografiche a suo nome: per citare le più note, quelle pubblicate
da col legno, Kairos e Montaigne. Al 1997 risale la prima della sua unica opera di teatro musicale, Das Mädchen mit den
Schwefelhölzern (da una fiaba di Andersen), che ha debuttato allo Staatsoper di Amburgo. È stato compositore “in residence” al
Festival di Lucerna nel 2005, e nel 2007 al Festival di Nuova Musica a Brücken. Nel 2008 è stato “visiting professor” all’Università di
Harvard. Nel 2009 ha tenuto conferenze in Cina, nei conservatori di Beijing e Shenyang.
Dal 2010 è professore ospite al Conservatorio di Basilea. La sua musica trova massima risonanza, in Germania e all’estero,
in importanti festival ad Amsterdam (Holland Festival), Anversa, Brema, Bruxelles (Ars Musica), Chicago, Francoforte, Graz
(Steirischer Herbst), Colonia (Musik der Zeit), Londra, Oslo, Parigi (Festival d’Automne), Saarbrücken (Musik im 20. Jahrhundert),
Stoccarda (Tage für Neue Musik), Vienna (Wien modern), Witten (Tage für neue Kammermusik) e Zurigo (Tage für Neue Musik).
Lachenmann è membro di numerose accademie artistiche, tra le quali la prestigiosa Akademie der Kunst di Berlino e quelle di
Amburgo, Lipsia, Mannheim e Monaco, e ancora, della Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-arts de Belgique.
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Brian Ferneyhough (Coventry, 1943)
Dopo un primo periodo di studi alla Birmingham School of Music (1961-1963)
e alla Royal Academy of Music di Londra (1966-1967), è stato allievo di Ton de
Leeuw ad Amsterdam (1968-1969) e di Klaus Huber a Basilea (1969-1971).
Ha compiuto ricerche nel campo dell’integrazione in tempo reale computer/
strumento presso l’IRCAM di Parigi. Ferneyhough è anche molto attivo come
insegnante: dal 1987 occupa la cattedra di composizione alla Musikhochschule
di Friburgo; dal 1984 al 1996 è stato coordinatore dei corsi di composizione dei
biennali Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt; nel 1986 ha insegnato presso
il Conservatorio Reale de L’Aia e nel 1987 è stato nominato docente all’università
di San Diego. Dal 2000, è professore titolare di composizione alla Stanford
University (California).
Ferneyhough ha ottenuto molti riconoscimenti: ha ricevuto per tre volte il premio
Gaudeamus ad Amsterdam (dal 1968 al 1970), il premio speciale dell’ISCM
(International Society of Contemporary Music) nel 1974, una borsa di studio
della Heinrich-Strobel-Stiftung (1974), il premio della Deutscher Akademischer
Austauschdienst (1976) ed il Koussevitzky Award nel 1978. Eletto membro della Akademie der Künste di Berlino nel 1996, Brian
Ferneyhough ha ricevuto nello stesso anno il Royal Philharmonic Award. Nel 2007 ha vinto l’International Ernst von Siemens Music
Prize.
È uno dei maggiori compositori della sua generazione. Del tutto indipendente dalla tradizione inglese, ha accolto come punto di
partenza, fra l’altro, le più elaborate esperienze dello strutturalismo di Boulez e Stockhauesen, per ripensarle autonomamente: la
densità delle sue partiture nasce da un’elaborazione molto rigorosa e complessa e, insieme, da una tensione visionaria, stimolata
anche dal pensiero filosofico.
Tra i suoi lavori più significativi sono da ricordare: Firecycle Beta (1969-71) per orchestra; Time and Motion Study III (1974) per 16
voci, percussioni e dispositivi elettronici; Transit (1972-75) per 6 voci e orchestra da camera; La terre est un Homme (1976-79) per
orchestra; Carceri d’invenzione (1981-86, in 7 parti, ispirato alle stampe di Gianbattista Piranesi) per diversi organici; Quartetto per
archi n. 2 (1980), n. 3 (1988), n. 4 (con voce di soprano, 1990), n. 5 (2006) e n. 6 (2010); Terrain (1991-92) per violino ed ensemble;
Les Froissements des Ailes de Gabriel (2003) per chitarra e gruppo da camera; Plötzlichkeit (2006) per grande orchestra. Nel
2004 è andata in scena la sua prima opera lirica, Shadowtime (su libretto di Charles Bernstein), ispirata alla vita del filosofo Walter
Benjamin.
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Karlheinz Stockhausen (Mödrath, Colonia, 1928 - Kürten-Kettenberg, Colonia, 2007)
Ha composto 347 lavori, pubblicato 10 volumi di testi teorici (TEXTE zur MUSIK) editi
dalla casa editrice Stockhausen-Verlag. Le sue prime 36 partiture furono pubblicate
dalla Universal Edition di Vienna; in seguito, è stata la Stockhausen-Verlag, dalla sua
fondazione nel 1975, a pubblicare tutti i suoi lavori, fra i quali la serie di compact disc
Stockhausen Complete Edition, iniziata nel 1991 e comprendente, ad oggi, 134 cd. La
Stockhausen-Verlag si occupa altresì della produzione e della distribuzione di tutte le
sue partiture, dei suoi libri, video e cd.
Foto di Fabio Falcioni
Dal 1998 Stockhausen inizia a tenere regolarmente, ogni anno, gli Stockhausen
Courses Kürten, destinati ad interpreti, musicologi e uditori.
Nel 1997 avvia la composizione di LICHT (LUCE), I Sette Giorni della Settimana che
ha una durata complessiva di circa 29 ore: MARTEDÍ 240 minuti, SABATO 185 minuti,
LUNEDÍ 278 minuti, GIOVEDÍ 156 minuti, VENERDÍ 290 minuti, MERCOLEDÍ 267
minuti, DOMENICA 298 minuti.
Subito dopo la prima mondiale di LICHT-BILDER, l’ultima scena del ciclo LICHT (26
ottobre 2004) Stockhausen inizia la composizione di KLANG (SUONO), Le 24 Ore del Giorno.
Già con le sue prime composizioni puntillistiche, come KREUZSPIEL (1951), SPIEL (1952) e KONTRA-PUNKTE (1952/1953),
Stockhausen acquista una fama internazionale. Da allora i suoi lavori sono stati criticati da alcuni e ammirati da altri. Fin dal 1950
i risultati ottenuti attraverso le sue composizioni hanno caratterizzato, in modo indelebile, lo sviluppo musicale: Musica Seriale,
Puntillismo, Musica Elettronica, Nuova Musica per Percussioni, Musica Variabile, Nuova Musica per Pianoforte, Musica Spaziale,
Musica Statistica, Musica Aleatoria, Musica per Live Electronics; nuove sintesi di Musica e Parola, Teatro Musicale, Musica Rituale,
Musica Scenica, Composizione per Gruppi, Polyphonic Process Composition, Moment Composition, Formula Composition, MultiFormula Composition; integrazione di “oggetti trovati” (inni nazionali, folklore di ogni Paese, short-wave events, scene sonore,
ecc.), fino alla World Music e Musica Universale; sintesi di musiche europee, africane, latinoamericane e asiatiche in Telemusik, la
verticale Musica Ottofonica, ecc.
Il suo lavoro può essere definito sin dagli inizi come Musica Spirituale: ciò è sempre più evidente non solo nelle composizioni con
testi spirituali, ma anche in altri lavori attraverso la Overtone Music, la Intuitive Music, fino alla Cosmic Music in STIMMUNG, AUS
DEN SIEBEN TAGEN, MANTRA, STERNKLANG, INORI, ATMEN GIBT DAS LEBEN, SIRIUS, LICHT.
A Osaka (Giappone), in occasione dell’Expo ’70, in un auditorio sferico da lui concepito, fu eseguita la maggior parte dei lavori
composti da Stockhausen fino ad allora: per 183 giorni, per 5 ore e mezzo al giorno, venti strumentisti e cantanti si esibirono di
fronte a milioni di ascoltatori.
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Esempio perfetto di compositore, direttore d’orchestra,
esecutore, direttore musicale e proiezionista del suono ad un
tempo, Stockhausen ha partecipato direttamente a quasi tutte le
prime mondiali dei suoi lavori e ad innumerevoli loro esecuzioni
e registrazioni in tutto il mondo.
Oltre ad essere stato invitato a tenere lezioni in Svizzera, Stati
Uniti, Finlandia, Olanda e Danimarca, nel 1971 Stockhausen
è stato Professore di Composizione al Conservatorio di
Colonia; nel 1996 è stato insignito del dottorato onorario alla
Free University di Berlino e nel 2004 ha ricevuto un dottorato
onorario alla Queen’s University di Belfast. È stato membro di 12
Accademie per le Arti e le Scienze e nel 1988 è stato nominato
Cittadino Onorario di Kürten e Commandeur dans L’Ordre des
Arts et des Lettres. Ha ottenuto numerosi premi discografici
e prestigiosi riconoscimenti, tra i quali: Medaglia Tedesca di
Merito, 1° classe, Premio Musicale Siemens, Medaglia Picasso
dell’ UNESCO, Ordine al Merito della Nord-Reno Westfalia, 8
premi dalla Società degli Editori Tedesca per le pubblicazioni
delle sue partiture, Premio BACH di Amburgo; Premio Cultura
di Colonia e, nel 2001, il Polar Music Prize con la seguente
motivazione: “Per la sua carriera di compositore caratterizzata
da un’impeccabile integrità e da un’inesauribile creatività e per
essere rimasto per cinquant’anni all’avanguardia dello sviluppo
musicale”.
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Giancarlo Schiaffini
Foto di Alan R. Chandler
Compositore-trombonista-tubista, nato a Roma nel 1942, si è laureato in Fisica nel
1965. Autodidatta in musica, ha partecipato alle prime esperienze di free-jazz in
Italia negli anni ’60. In quel periodo ha cominciato la sua attività di compositore ed
esecutore nel campo della musica contemporanea e del jazz.
Nel 1970 ha studiato a Darmstadt con Stockhausen, Ligeti e Globokar e ha
fondato il gruppo strumentale da camera Nuove Forme Sonore. Nel 1972 ha
studiato musica elettronica con Franco Evangelisti, collaborando con il Gruppo di
Improvvisazione di Nuova Consonanza fino al 1983. Nel 1975 ha fondato il Gruppo
Romano di Ottoni, con repertorio di musica rinascimentale e contemporanea. Fa
parte della Italian Instabile Orchestra.
Ha tenuto corsi e seminari in Italia, presso la Hochschule di Freiburg i. B., Melba e
Monash University (Melbourne) e la New York University. Ha insegnato per più di
30 anni presso il conservatorio “A. Casella” dell’Aquila e nei corsi estivi di Siena Jazz (strumento, improvvisazione, composizione).
Ha collaborato con John Cage, Karole Armitage, Luigi Nono e Giacinto Scelsi. Ha partecipato, come compositore ed esecutore, a
numerosi festival e stagioni concertistiche presso: Teatro alla Scala, Accademia di S. Cecilia, Biennale Musica di Venezia, Autunno
Musicale di Como, IRCAM, Upic e Festival d’Automne di Parigi, Reina Sofia di Madrid, Ars Musica di Bruxelles, Europa Jazz
Festival du Mans, Jazz a Mulhouse, Tramway (Rouen), Wien Modern, Aspekte di Salisburgo, Donaueschinger Musiktage, Moers,
Tage fuer Neue Musik di Zurigo, Fondazione Gulbenkian di Lisbona, Alte Oper di Francoforte, Filarmonica di Berlino, Festival di
Gibellina, FIMAV di Victoriaville (Canada), Nuova Consonanza, Bimhuis di Amsterdam, JazzYatra (India), Darmstadter Ferienkurse,
Pomeriggi Musicali e Musica del nostro tempo (Milano), UNEAC di Cuba, Maggio Musicale Fiorentino, Lincoln Center e Hunter
College (New York), New Music Concerts di Toronto e molti altri.
Dal 1988 collabora con la cantante e autrice di testi Silvia Schiavoni per la composizione ed esecuzione di performance multimediali
originali e su letteratura, pittura (Joyce, Gauguin, Ibsen, Boccioni, Ammaniti e altri), con immagini di Ilaria Schiaffini.
Nel 2000 è stato composer in residence presso la ”International Composers & Improvisers Forum Munich”.
Ha registrato per le radio nazionali in Italia, Austria, Canada, Olanda, Messico, Germania, Francia, Svezia, Spagna. Gli sono state
dedicate composizioni da numerosi autori come Scelsi, Nono, Alandia, Amman, Castagnoli, Dashow, Guaccero, Laneri, Mencherini,
Renosto, Ricci, Villa-Rojo.
Ha inciso dischi per BMG, Curci, Cramps, Edipan, Horo, Hat Records, Pentaflowers, Pentaphon, Red Records, Ricordi, Vedette.
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BMG, Curci, Edipan, Pentaflowers e Ricordi hanno pubblicato sue composizioni.
Ricordi ha anche pubblicato un suo trattato sulle tecniche del trombone nella musica contemporanea.
A Giancarlo Schiaffini è stata dedicata una voce dalla Biographical Encyclopedia of Jazz (Oxford University Press) e
dall’Enciclopedia della Musica (Utet/Garzanti).
Mike Svoboda
Foto di Jens Klatt
Il trombonista e compositore Mike Svoboda nasce nel 1960 nell’isola
di Guam (Pacifico occidentale), cresce a Chicago, e nel 1982
approda in Germania grazie ad un premio per giovani compositori
assegnatogli dalla BMI (Broadcast Music Incorporated). Per undici
anni, a cavallo fra gli Ottanta e i Novanta, è al fianco di Karlheinz
Stockhausen in qualità di trombonista e compositore, esperienza
di fondamentale importanza per la sua formazione musicale.
Oltre ad aver collaborato con Stockhausen ed altri compositori
quali Peter Eötvös, Helmut Lachenmann, Wolfgang Rihm, Martin
Smolka, David Lang e Frank Zappa, Svoboda ha presentato in
prima esecuzione assoluta più di 400 composizioni per trombone
nell’ambito di prestigiosi festival in giro per il mondo.
È tornato a dedicarsi alla composizione solo dopo aver concluso
la propria collaborazione con Stockhausen, e da allora gli sono
stati commissionati lavori, per lo più di estensione pari a quella di un intero concerto, destinati a rassegne e teatri lirici come
l’ECLAT Festival di Stoccarda, l’Opera di Stato di Hannover, il Teatro Nazionale di Mannheim e l’Opera di Stato di Stoccarda.
Prestigiosi festival gli hanno offerto contratti di collaborazione in qualità di artista o compositore.
È spesso esecutore della propria musica - ora come solista, ora insieme al Mike Svoboda Ensemble, da lui stesso creato -,
in cui egli mescola elementi di origine popolare ad altri di ascendenza classica, stabilendo un compromesso fra cultura ‘alta’
ed intrattenimento, e combinando, tramite l’uso di elementi testuali e il ricorso a vari stili musicali, tradizione ed avanguardia.
Alcuni suoi lavori recenti sono: 14 attempts to love Richard Wagner (2002), per quattro musicisti; Love Hurts - Carmen Remix
(2003), per trombone ed orchestra; Clara, Robert and Johannes - a fantasy on a romantic triangle (2004), per 18 musicisti,
giradischi e un trombonista narrante; ALIAS - Mozart aka Rossini (2005), per trombone ed orchestra di strumenti a corda;
The Phonometroph Erik Satie (2006), per voce (organetto), fisarmonica e trombone; Studies to “Adorno (sex,drugs and new
music)” (2007), per solista vocale, due ensemble e video.
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Da diversi anni a questa parte collabora col drammaturgo e direttore di palcoscenico Manfred Weiss, librettista de The incredible
Spotz (2007), opera da camera composta dallo stesso Svoboda. L’opera Erwin, the natural talent (2005/2007), salutata con grande
successo alla prima di Stoccarda nel 2005, e riproposta in versione ampliata nella seconda première di Bielefeld, nel gennaio del
2008, è un altro esempio di questa sua fruttuosa collaborazione.
Numerosi cd, i più dei quali prodotti dalla casa discografica WERGO, testimoniano il talento di Svoboda tanto come interprete
quanto come compositore. Nel 2008, il governo tedesco lo ha insignito del Praetorious-Prize for Innovation in Music, «in
riconoscimento - con parole della commissione - dell’importanza che i concetti e le idee elaborate da Mike Svoboda hanno assunto
nell’ambito dell’evoluzione della musica e della performance musicale, e del successo di critica riscosso dall’artista».
Claudio Lugo
Compositore, sassofonista, direttore d’ensemble, performer è attivo nei generi
musicali legati alla sperimentazione e alla ricerca. Ha creato opere per sala
da concerto, per il teatro musicale da camera e per la danza, progetti di
performance e di installazioni sonore.
Ha studiato composizione con Edoardo De Giovanni a Genova e con Sylvano
Bussotti presso la Scuola di Musica di Fiesole.
Ha collaborato, in qualità di direttore dello StudioMusica, con il Festival
BussottiOperaBallett e con la ScuolaSpettacolo di Genazzano creando
spettacoli, tenendo un corso sperimentale di didattica musicale per la danza e
dirigendo la “Piccola Orchestra Meridiana” specializzata nel repertorio del ‘900
cameristico italiano. Nell’89 la Rai gli ha commissionato due composizioni per
l’Orchestra Jazz dell’Unione Europea di Radiodiffusione.
Nel ‘91 la Biennale Musica di Venezia ha inaugurato con operaSogno, un lavoro di teatro musicale liberamente tratto dal Sogno di
una notte di mezza estate e dalla Tempesta di W. Shakespeare.
Dopo avere insegnato nei Conservatori di Perugia e Firenze, dal 1989 è titolare della cattedra di sassofono presso il Conservatorio
“A. Vivaldi” di Alessandria dove tiene un corso sulle notazioni musicali atipiche delle avanguardie del secondo dopoguerra e un
corso sulle nuove semiografie per la voce. È stato coordinatore dell’Orchestra Laboratorio del Conservatorio Vivaldi, con la quale ha
eseguito opere informali di Maderna, Cage, Stockhausen, Andriessen, Bussotti e Pennisi.
Insegna Tecniche di Improvvisazione per i Corsi di Musicoterapia dell’APIM.
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È professore al DAMS di Imperia (Università di Genova) ed è stato “Guest Professor” alla New York University ed è stato direttore
artistico dell’Orchestra Nazionale di Jazz dell’AMJ.
Socio fondatore di Dissonanzen-Napoli, ne è stato coordinatore artistico dal 2001 al 2006.
È fondatore di Impressive Ensemble, gruppo che si occupa dei rapporti tra musica, parola e immagine, collaborando con
artisti visuali quali Roberto Masotti e Roberto Merani, e di attori e vocalisti come Cristina Zavalloni, Andrea Ceccon, Franco Di
Francescantonio ed Enzo Salomone.
Come compositore, arrangiatore e direttore di orchestra jazz ha collaborato con Joe Henderson, Dave Liebman, Kenny Wheeler,
Richard Beirach, John Surman, Louis Sclavis, Yves Robert. Come improvvisatore ha collaborato, tra gli altri, con Misha Mengelberg,
Markus Stokhausen, Stefano Scodanibbio, Alvin Curran, Esther Lamneck, Michel Godard, Don Moye.
Nel 1986 ha vinto il premio di composizione “De Paoli” e il 1° Concorso di Composizione per Orchestra Jazz di Barga. Nel ‘95 la
solo-performance Sandro Penna: letture al saxofono vince il concorso Traiettorie Sonore di Como come miglior opera d’incontro tra
musica e poesia. Nel dicembre del ’99 vince il 1° Premio al Concorso “Franco Evangelisti” istituito da Nuova Consonanza in Roma
con l’opera Tamburi di latta per due percussioni e orchestra.
RAI-Radio3 ha trasmesso in varie occasioni i suoi lavori.
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Lawrence Douglas “Butch” Morris
Foto di Claudio Casanova/AAJItalia
Musicista, compositore, conduttore, Lawrence Douglas “Butch” Morris ha
cominciato ad interessarsi di Conduction® nei primi anni Settanta, quando
viveva nella Bay Area di San Francisco. Fu grazie ad un incontro con il
batterista Charles Moffett, che Morris cominciò ad esporre e a discutere con
lui delle possibilità di “condurre” improvvisazioni. Come oggi racconta lo
stesso Morris: “Il mio insegnante mi spiegava cosa NON era possibile fare.
Moffett, invece, mi insegnava, cosa poteva essere fatto”.
Incominciò a suonare la tromba in piccole formazioni interessate ad
analizzare le composizioni di grandi pietre miliari del jazz: Horace Silver,
Jackie McLean, Miles Davis e Thelonious Monk.
Si unì quasi subito alla big band di Horace Tapscott che annoverava,
fra gli altri nelle proprie fila, gente del calibro di Arthur Blythe e che gli
permise di frequentare gente come Bobby Bradford, John Carter, James
Newton, Diamanda Galas, Mark Dresser e David Murray. Nel 1976 decise
finalmente di spostarsi a New York. E’ il 1985 l’anno che segna l’inizio
della sua straordinaria avventura con l’arte della Conduction, termine che decise ben presto di brevettare. Come lui stesso la
definisce, “Conduction (Improvvisazione/Interpretazione condotta e diretta) è un vocabolario di segni ideografici e gestuali attivati
per modificare o costruire una composizione o un arrangiamento in tempo reale. Ogni segno e ogni gesto trasmettono informazioni
generative che servono per poter interpretare e riescono a provvedere a possibilità istantanee in grado di generare armonia,
melodia, ritmo, articolazione, phrasing o forma”.
Dalla celebrata Conduction # 1 “Current Trends in Racism in Modern America”, presentata in anteprima nel 1985 e registrata per
Sound Aspects l’anno seguente, sino al monumentale box di 10 cd Testament: a Conduction Collection (New World Records, 1985)
oppure ancora al doppio cd Holy Sea (uscito per la Splasc(H) records italiana nel 1999 e che incorpora in Conduction musicisti di
estrazione classica-sinfonica) Butch Morris ha davvero definito un concetto musicale sicuramente unico al mondo e oggi esteso a
quasi 200 Conductions.
Il suo lavoro è apprezzato da grandi realtà della cultura contemporanea come il DAAD di Berlino, l’Unesco, la Biennale di Venezia o
il Whitney Museum of American Art. Ha inoltre lavorato con grandissimi nomi del teatro e del cinema moderni: Christoph Marthaler,
il Wooster Group, Avery Brooks e Robert Altman.
Le sue collaborazioni in diversi territori sonori, i suoi lavori nella più spinta avantgarde, nella musica classica o in quella più
spontaneamente collegata alle tradizioni culturale indigene, i suoi lavori musicali con Frank Lowe, David Murray, Caetano Veloso,
Cassandra Wilson, l’Orchestra della Toscana, Tokyo Skyscraper, Berlin Skyscraper e altri ancora sono fondamentalmente già
riconosciuti quali vere e proprie pietre miliari della musica moderna.
Attualmente Butch sta lavorando alacremente alla stesura definitiva di un’opera scritta dedicata alla Conduction.
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Note alle composizioni
Johann Sebastian Bach/Anton Webern Fuga (2. Ricercata) a
6 voci BWV 1079/5 (da Das Musikalische Opfer)
L’opera cardine tra le trascrizioni di Webern è la Fuga
(Ricercata) […] di Johann Sebastian Bach, su tema di Federico il
Grande. Come è noto, la partitura a sei voci non reca indicazioni
di organico. […] La trascrizione risale al 1934-35. […]
Per comprendere il rapporto che Webern instaura con Bach,
e il suo approccio, si confrontino il soggetto e la risposta
nell’originale e nella trascrizione.
Il tema […] viene sminuzzato in sette motivi, enunciati da
quattro strumenti. Il relativo contrappunto (battute 9 e seguenti)
è esposto in dialogo da secondo violino e viola sola, e il timbro
degli archi è qui posto a contrasto con la sezione dei legni che
espone il soggetto. Tutto il pezzo è strumentato in questo modo,
trasparente e di cameristica chiarezza: solo in alcuni passi,
specie verso la fine, si trovano effetti orchestrali, con raddoppi
d’ottava.
Circa l’esecuzione, Webern si è così espresso in
un’interessantissima lettera a Hermann Scherchen: «Sono
molto lieto che Lei esegua la “mia” (se così posso dire) Fuga di
Bach alla BBC! […] la mia strumentazione (e qui alludo all’intero
brano) tenta solo di far affiorare l’unità motivica. Non è sempre
stato facile. Naturalmente essa vuole anche suggerire le mie
impressioni circa il carattere del pezzo: di questa musica! Lo
scopo ultimo della mia ponderosa impresa è stato di rendere
finalmente accessibile quest’opera, tentando di esprimere (per
mezzo della mia elaborazione) ciò che io provo per essa! Già,
non valeva forse la pena di risvegliare ciò che ancora vi dormiva,
celato nell’astratta stesura di Bach, e per questo ignoto, o
quanto meno inaccessibile, a tanta gente?»
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La trascrizione di Webern fu data in prima tedesca da
Scherchen ai corsi estivi di Kranichstein, a Darmstadt, nel 1954
[…]. Da allora la Fuga di Bach di Webern, a ogni esecuzione,
spacca profondamente il pubblico. Già a Darmstadt nel 1954
scoppiarono violente polemiche.
[…] Anche nei libri si trovano opinioni contrastanti. Per
esempio, Adorno: «Le orchestrazioni bachiane di Schönberg
e Webern, che convertono le più minute relazioni motiviche
della composizione in relazioni timbriche, così realizzandole per
la prima volta, non sarebbero state possibili senza la tecnica
dodecafonica».
[…] Boulez: «Più felice sarebbe stato Webern, che realizzò
una magnifica orchestrazione della grande Fuga a sei voci
dall’Offerta Musicale, se non l’avessero seguito molti discepoli
della “scuola dodecafonica”, credutisi in dovere, a loro volta, di
affibbiare a Bach o Mozart orpelli non solo di cattivo gusto, ma
goffamente apposti».
[…] Stuckenschmidt: «il procedimento puntillista, cioè la
divisione di una melodia tra vari strumenti che appaiono
costituire gli anelli di una catena da montare e da smontare,
è stato eretto a metodo dai seguaci di Webern. Il compositore
stesso l’ha usato … anche nell’orchestrazione della Fuga a
sei voci. Lo sforzo di raggiungere la massima accentuazione
possibile fa passare i motivi da strumento a strumento,
generando l’impressione estetica di una superficie policroma,
formata da tanti puntini vicinissimi, come nei pittori divisionisti
Paul Signac e Georges Seurat. Tuttavia, in Webern, ad agire
non è tanto l’impulso comunicativo impressionista, quanto una
robusta volontà di costruire e sezionare».
Questa volontà di “sezionare” è forse uno dei tratti salienti
dell’iter stilistico di Webern […].
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Di fatto, con la trascrizione da Bach abbiamo a che fare con una
“analisi strumentata”, o “strumentazione analitica”. Disponiamo
a sufficienza di fughe o esposizioni di fuga orchestrate dallo
stesso Bach, sappiamo come le faceva, e naturalmente anche
Webern lo sapeva. Egli seppe lanciarsi in una simile «ponderosa
impresa» con maestria creatrice e volgere il brano di Bach in
un’opera sua. La frase «la mia Fuga di Bach» assume qui un
significato più profondo: dall’orchestrazione Webern ha tratto
quasi un lavoro originale.
Walter Kolneder
Anton Webern Symphonie op. 21
Nella Symphonie, opus 21 [1928], particolarmente nel primo
movimento, dove si ripete l’uso della forma sonata, Webern
[…] arriva a una coesione di stile assolutamente notevole; ci
troviamo dinanzi a una concezione nella quale caratteri seriali,
forma classica, rigore della scrittura preclassica si trovano
combinati in una mescolanza unica, gettando le fondamenta di
un linguaggio totalmente libero di riferimenti.
Alla prima audizione, il fatto sonoro più caratteristico risulta
dall’impiego press’a poco costante di grandi intervalli disgiunti,
dalla strumentazione per colori puri, dalla presenza di pause
di ampiezza insolita. Gli intervalli sono disgiunti per evitare
qualsiasi rapporto tonale anche fortuito, poiché gli intervalli
congiunti hanno la tendenza ad agglomerarsi secondo «relazioni
di abitudine», anche se il rapporto tonale non esiste; ogni suono
diviene un fenomeno per se stesso, legato agli altri, va da sé,
mediante un contesto molto potente; l’attenzione viene attirata
dal posto unico che l’intervallo conserva nel registro dove viene
collocato; ci troviamo in presenza di interrelazioni tra fenomeni
autonomi più che di relazioni globali che si esercitano su un
gruppo in funzione di certi dati.
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In questo senso, l’innovazione maggiore del vocabolario
weberniano consisteste nel considerare ogni fenomeno
autonomo e insieme interdipendente, modo di pensare
radicalmente innovatore nella musica d’Occidente. Per mettere
in valore questa caratteristica, egli accorda una grande
importanza non soltanto al registro nel quale si trova un dato
suono, ma ugualmente al posto temporale che gli spetta nello
svolgimento dell’opera, un suono circondato da pause acquista,
con il suo isolamento, un significato molto più importante di un
suono immerso in un contesto immediato: così l’innovazione di
Webern nel campo della pausa pare dipendere molto più dalla
morfologia stessa delle altezze, dalla loro concatenazione, che
da un fenomeno ritmico del quale non si è mai preoccupato
a un grado molto alto; aera le sue disposizioni, nel tempo e
nello spazio, come nel loro contesto strumentale: rinuncia alla
seduzione dei suoi primi lavori, all’impiego del colore sotto
un aspetto puramente edonistico, per fare assumere alla
strumentazione una funzione propriamente strutturale.
Non si tratta di un impiego degli strumenti concepito su una base
acustica, nel senso in cui l’acustica può ingenerare dei fenomeni
strutturali – è il caso in particolare dell’ultimo Debussy – ma si ha
a che fare con una scrittura contrappuntistico-strumentale, dove
ogni timbro disegna un carattere strutturale dell’opera.
Notiamo che Webern nelle sue opere «orchestrali» non impiega
colori puri, nel senso che una linea contrappuntistica pura
viene presa a carico da parecchi strumenti che si danno il
cambio mentre nella sua «musica da camera», uno strumento
assume in permanenza un’unica linea contrappuntistica […];
nei lavori «orchestrali», persiste dunque nell’impiego della
Klangfarbenmelodie [melodia di timbri] ma sviluppa questo
principio in un modo molto più rigoroso che nelle sue prime
opere, dove la preoccupazione decorativa era più manifesta di
quella strutturale.
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Se si analizza, per esempio, il doppio canone che apre la
Symphonie, opus 21, si constata come ogni voce passi di
strumento in strumento, accentuando, per il fatto stesso di
questo cambiamento, i caratteri propriamente strutturali della
frase melodica «astratta».
Pierre Boulez
Anton Webern Konzert op. 24
La serie sulla quale è costruito il Konzert op. 24 (1934) per nove
strumenti ha la proprietà di essere rotante su un nucleo centrale
(Kern) di tre note, la cui proiezione speculare genera rapporti di
identità nelle forme seriali delle trasposizioni.
«Lo spirito della variazione seriale ha investito la stessa serie –
osserva Vlad – nella sua infrastruttura dove si riproduce, nei suoi
principi, la struttura dell’intera composizione dodecafonica. L’uso
sistematico ed esclusivo che viene fatto nel corso del Konzert
di questa serie, composta a sua volta da quattro microserie, dà
luogo necessariamente ad una invenzione costante sull’unico
motivo di tre note». […]
Il Konzert op. 24, il cui organico strumentale è formato da
flauto, oboe, clarinetto, corno, tromba, trombone, violino, viola
e pianoforte, si compone di tre movimenti ed è dedicato a
Schönberg per il suo sessantesimo compleanno.
La struttura tematica è data, sin dal primo movimento [Etwas
lebhaft], dalle quattro microserie che vengono timbricamente
evidenziate da strumento a strumento: la serie originale alla
quinta inferiore passa dall’oboe (1-3) al flauto (4-6), alla tromba
(7-9) e al clarinetto (10-12); quindi compie il cammino a ritroso
nel pianoforte, sempre evidenziando le quattro microserie
(retrogrado alla quinta inferiore, bb. 4-5). Questo procedimento
viene sviluppato sino ai più sottili allargamenti ritmici della serie.
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Nel secondo movimento (Sehr langsam), una delle più pure e
cristalline pagine strumentali scritte da Webern, il pianoforte,
col suo movimento simmetrico di quarti regolari, forma come
un «continuo» sonoro sul quale si irradiano le enucleazioni
tematiche estremamente concise degli altri strumenti.
Caratteristica notevole e inconsueta in Webern, del terzo
movimento (Sehr rasch) che inizia con l’energica esposizione
ternaria della serie per moto contrario (corno-tromboneclarinetto-oboe; bb. 1-4), è la dinamica tutta basata dall’inizio
alla fine su forte, sforzato, fortissimo, senza un solo piano e
pianissimo.
Luigi Rognoni
Helmut Lachenmann Allegro sostenuto
L’idea che sta alla base di Allegro sostenuto [1987-88] è, come
è adombrato nel titolo, quella di coniugare il movimento sonoro
con le varietà della risonanza. Questo lavoro ha alle spalle
un altro brano capitale di Lachenmann, Ausklang, nel quale
si esplorano le ricche possibilità di risonanza del pianoforte,
amplificandole con l’aiuto di una grande orchestra. Qui
vengono riprese ed ampliate le medesime tecniche pianistiche,
trascinando nel gioco anche il violoncello e il clarinetto, che a
loro volta alternano movimento e risonanza, facendo uso della
sterminata tavolozza timbrica a cui Lachenmann sa piegare ogni
strumento. Il pianoforte, in qualche modo, è lo strumento della
risonanza per eccellenza, dato che il suono, una volta prodotto,
non può più essere modificato e vive ormai solamente del
sostegno fornitogli dalla cassa armonica. Lachenmann, tuttavia,
elabora diverse tecniche di intervento sul suono pianistico già
prodotto. Riprendendo alcune intuizioni schumanniane chiede,
ad esempio, che dopo aver suonato un accordo il pianista alzi
i tasti lentamente, uno dopo l’altro, mutando così nel tempo il
contenuto armonico della risonanza.
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Una variante consiste nell’abbassare alcuni tasti in modo
silenzioso, alzando così gli smorzatori delle corde corrispondenti.
Se così facendo si suona una nota o un accordo, questi avranno
(anche) la risonanza dei tasti abbassati in precedenza.
L’uso dei pedali può complicare notevolmente le combinazioni,
introducendo o sottraendo ad arte risonanze globali o
selettive. Ci troviamo al crocevia della tecnica compositiva di
Lachenmann: l’anatomia sonora che ingigantisce le componenti
e le modalità produttive del suono per stimolare l’anatomia
dell’ascolto, dove l’orecchio possa riscoprire il suono in modo
nuovo, decontestualizzato, primigenio, libero da tutti i significati
socializzati.
poiché esso possiede una sorta di natura incontaminata che
conserva anche dopo ogni utilizzo, pur cambiando sempre
attraverso l’uso che ne faccio; [...] Da questo divertimento
proviene una serietà nella misura in cui, dalla riflessione su ciò
che è familiare, cresce l’irrequietezza di fronte all’ignoto che
nasce e lentamente si precisa. Noi compositori siamo i primi
ad esserne sconvolti, poiché esso, in quanto frammento e in
quanto messaggio da noi stessi a noi stessi, cambia la nostra
esperienza dell’io e del mondo».
Pietro Mussino
Helmut Lachenmann Wiegenmusik
In Wiegenmusik [1963] e nel precedente Echo Andante le
risonanze delle note del pianoforte hanno lo stesso ruolo dei
suoni (un’idea che più tardi diventerà di immensa importanza
nel concerto per pianoforte e orchestra Ausklang del 1984).
Lachenmann parlò del suo desiderio di creare «costellazioni»
di intervalli da accordi tonali e clusters. All’inizio del lavoro
l’attività dei suoni e delle risonanze è alla sua massima
Questa, almeno, è la descrizione del processo compositivo che ci intensità. Durante lo svolgimento del pezzo la musica diventa
fornisce Lachenmann: «Il modo in cui nasce un tale “strumento”
calma (il titolo significa «musica cullante»), e l’uso dei pedali
è sempre più o meno un’avventura dall’esito sconosciuto. Un
è più sostenuto. I frammenti tonali (come il notevole arpeggio
suono staccato di pianoforte al quale segue, dopo un intervallo di di Mi maggiore) diventano quasi reminiscenze del passato,
tempo più o meno ampio, un colpo di piatti fortissimo, stoppato:
interrompendo questo nuovo continuum evolutivo.
forse all’inizio provo solo un divertimento giocoso a considerare
Ian Pace
questa combinazione come un “tasto” di uno “strumento”
immaginario ancora inesplorato e, partendo da questo primo
Brian Ferneyhough Superscriptio - Unity Capsule
“tasto”, giungere alla composizione dell’intero strumento,
scoprirlo e in base ad esso variare quella combinazione iniziale
Nonostante solo 5 anni separino i due brani, Unity Capsule
secondo tutte le regole e contro tutte le regole dell’arte ed
(1976) e Superscriptio (1981) presentano due mondi sonori agli
estendere questa struttura iniziale in tutte le direzioni fino ai
antipodi: se Superscriptio, per ottavino, ci offre una sonorità
suoi contrari e, così facendo, giungere all’inaspettato. Mi diverto
cristallina, agevolata dalla limpidezza del suono dello strumento,
perché, in quanto combinazione posta da me, si tratta del mio
strumento, sul quale e col quale io suono e che solo così scopro, Unity Capsule, per flauto, sconfina in una fucina d’inventiva
L’obiettivo non è tanto di far suonare gli strumenti tradizionali
in modo inusuale o straniato, bensì quello di costruire per ogni
brano un nuovo (super-)strumento, sul quale sperimentare il
divertimento delle possibilità più fantasiose e correre i più seri
rischi dell’invenzione.
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dove il suono deflagra e viene ricomposto in una tale maniera da
essere irriconoscibile.
Motivo di quest’estrema differenza di sonorità delle due
opere può essere individuato effettuando una semplice
contestualizzazione.
Unity Capsule è stato scritto in seguito alla sfida posta dal suo
primo interprete, Pierre-Yves Artaud, di commissionare un brano
ancora più estremo dopo la prima esecuzione di Cassandra’s
Dream Song, per flauto solo, nel 1974 (il brano fu composto
quattro anni prima ma dovette attendere a lungo perché venne
giudicato ‘insuonabile’). Brian Ferneyhough decise dunque di
esplorare in profondità le possibilità sonore dello strumento: i
parametri tecnici di produzione del suono (posizione delle labbra,
meccanica, qualità del suono, postura dell’interprete rispetto
allo strumento) vengono dissociati e ri-assemblati nuovamente.
Il risultato è una scrittura estremamente polifonica ma che
mantiene un’unità data dalla natura monodica dello strumento. Il
caso di Unity Capsule è unico nel catalogo di Ferneyhough, fatta
eccezione per Time and Motion Study II (1976) per violoncello
ed elettronica che va in una simile direzione: in entrambi i brani,
infatti, Ferneyhough utilizza una serie di gestualità teatrali che
contribuiscono all’articolazione del senso musicale.
Totalmente differente è il ruolo che Superscriptio ha nel
catalogo del compositore inglese. Scritto nel 1981 (lo stesso
anno di Lemma-Icon-Epigram per pianoforte solo del quale
ricorda la granulosità sonora), è il primo brano del ciclo
Carceri d’Invenzione, ispirato alle tavole di Giovanni Battista
Piranesi, comprendente sette brani ripartiti in opere solistiche,
cameristiche e orchestrali. Il ruolo che ha Superscriptio è quello
di svelare la chiave di lettura dell’intero ciclo: deve permettere
l’elaborazione di una teoria generale o un campo teorico e di
ricercare in quale modo esatto si possano utilizzare gli stessi
oggetti per ottenere risultati differenti.
La scrittura di Superscriptio è, definita dallo stesso compositore,
“automatizzata” ed è generata da una serie di altezze predefinite
incrociata con una griglia ritmica che utilizza valori irrazionali
(2/10, 3/24); un sistema percettivo è successivamente
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implementato in modo da permettere di percepire i differenti
cambi di pulsazione. Come dice lo stesso Ferneyhough, “la
nostra esperienza come interprete e ascoltatore dovrebbe
avvicinarsi a una serie continua di cambiamenti radicali (quasi
uno ‘zapping’) che possono essere intensificati da dinamiche,
cambi di registro e articolazione.
[...] Sisifo è l’eroe assurdo, tanto per le sue passioni che per il
suo tormento. Il disprezzo per gli dei, l’odio contro la morte e la
passione per la vita, gli hanno procurato l’indicibile supplizio,
in cui tutto l’essere si adopra per nulla condurre a termine, il
prezzo che bisogna pagare per le passioni della terra. Nulla ci è
detto su Sisifo all’inferno. I miti sono fatti perché l’immaginazione
li animi. In quanto a quello di cui si tratta, vi si vede soltanto
lo sforzo di un corpo teso nel sollevare l’enorme pietra, farla
rotolare e aiutarla a salire una china cento volte ricominciata;
si vede il volto contratto, la gota appiccicata contro la pietra, il
soccorso portato da una spalla, che riceve il peso della massa
coperta di creta, da un piede che la rincalza, la ripresa fatta a
forza di braccia, la sicurezza tutta umana di due mani piene di
terra. Al termine estremo di questo lungo sforzo, la cui misura
è data dallo spazio senza cielo e dal tempo senza profondità,
la meta è raggiunta. Sisifo guarda, allora, la pietra precipitare,
in alcuni istanti, in quel mondo inferiore, da cui bisognerà farla
risalire verso la sommità. Egli ridiscende al piano.
É durante questo ritorno che Sisifo mi interessa. Un volto che
patisce tanto vicino alla pietra, è già pietra esso stesso! Vedo
quell’uomo ridiscendere con passo pesante, ma uguale, verso
il tormento, del quale non conoscerà la fine. Quest’ora, che è
come un respiro, e che ricorre con la stessa sicurezza della sua
sciagura, quest’ora è quella della coscienza. In ciascun istante,
durante il quale egli lascia la cima e si immerge a poco a poco
nelle spelonche degli dei, egli è superiore al proprio destino; è
più forte del suo macigno.
Se questo mito è tragico, è perché il suo eroe è cosciente. [...]
(Il mito di Sisifo, Albert Camus)
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Il ruolo dell’interprete nella musica di Brian Ferneyhough
trascende la partitura: ad egli è richiesto di assumere il ruolo
dell’eroe assurdo camussiano, proiettato ‘eternamente’
nel tentativo di raggiungere la cima, nella piena coscienza
dell’assicurata disfatta.
Nella musica di Ferneyhough l’interpretazione assume un nuovo
valore: essa si situa nell’atto della “realizzazione” della partitura
e non nell’utopia, per di più ininteressante, di una realizzazione
perfetta della notazione. I limiti tecnici sono volontariamente
spinti oltre per forzare l’interprete a rivelare il suo ‘malessere’
facendogli prendere parte nel processo creativo.
Licht – Die sieben Tage der Woche. I loro titoli per esteso
suonano: Klavierstück XII – Examen aus Donnerstag aus Licht
als Klaviersolo (1979/1983), Luzifers Traum oder Klavierstück
XIII als Klaviersolo (1981), Geburtstags-Formel (Klavierstück
XIV) vom Montag aus Licht (1984), [Synthi-Fou (Klavierstück
XV) für einen Spieler elektronischer Tasteninstrumente und
Elektronische Musik (1991), Klavierstück XVI für Tonband,
Saitenklavier, elektronische Klaviere ad lib.(1995), Komet als
Klavierstück XVII für elektronisches Klavier, Elektronische und
Konkrete Musik, Klangregisseur (1994/1999) e Klavierstück
XVIII für elektronisches Klavier (2004)].
Karlheinz Stockhausen Klavierstücke I-IV e Klavierstück V
Qui di seguito tratteggeremo brevemente le caratteristiche dei
Klavierstücke I-IV [e Klavierstück V][…].
Matteo Cesari
Nel 1954 Stockhausen aveva elaborato un progetto di ventuno
Klavierstücke, da organizzare in gruppi di 4, 6, 1, 5, 3 e 2
pezzi. Oltre al numero di pezzi per ogni gruppo, essi sarebbero
stati legati reciprocamente da rapporti seriali secondo ulteriori
definizioni quali l’organizzazione delle altezze o il numero di
gruppi metronomici. Ma Stockhausen ha realizzato questo
piano solo parzialmente. I Klavierstücke I-IV, a quel tempo
già esistenti, furono da lui integrati nel ciclo solo a posteriori.
È in oltre da notare che la numerazione dei pezzi data dal
compositore non sempre corrisponde alla loro successione
cronologica: i Klavierstücke III e II risalgono al 1952, i
Klavierstücke I e IV al 1953, i Klavierstücke V-VIII al 1954/1955,
il Klavierstück XI al 1956 e i Klavierstücke IX e X in gran parte al
1961 […].
A questo punto egli interruppe il ciclo di ventuno brani, per
la cui prosecuzione già aveva abbozzato processi formali
variabili; in seguito riprese la numerazione da questo punto
(senza però alcun legame con gli antichi progetti) quando rese
autonome per l’esecuzione in concerto alcune scene dell’opera
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Klavierstücke I-IV: in essi si realizza, così dice Stockhausen,
«una transizione da strutture ‘puntuali’ (IV pezzo) a forme
complesse, organizzate a un più alto livello (I pezzo)»,
introducendo in tal modo la cosiddetta Gruppen-Komposition.
Singoli «punti-suono» si uniscono sulla base di definizioni
generali – come ad esempio direzione di movimento, bloccaggio
di un registro, velocità costante, intensità crescente o
decrescente, ecc. – dando luogo a unità formali più ampie.
Mediante l’uso del pedale si aggiungono singoli suoni a
complessi sonori che poi si interrompono in blocco, o viceversa
suoni prodotti in blocco (accordi) vengono sfrangiati in «melodie
negative» per mezzo delle differenti durate dei singoli suoni,
un procedimento che riporta in campo strumentale i processi di
inizio o fine di vibrazione già sperimentati in campo elettronico.
A tale tecnica è strettamente connessa la differenziazione
delle pause, in questi pezzi composte come le note. Si tratta
dell’esperienza di «scoprire la stessa varietà che si ha con le
note anche nel silenzio, che può cadere improvviso, subentrare
gradualmente, essere disturbato o frammentato».
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Klavierstück V […]: qui il tema è «la realizzazione di una nuova
concezione temporale in musica […]». Stockhausen pone
l’accento da una parte sul valore che per lui aveva avuto la
scoperta degli armonici (suoni d’eco), dall’altra il crescente uso
delle kleine Noten (notine) che formano gruppi di suoni posti
prima o dopo (o contemporaneamente a) le note principali.
Ciò lo condusse a comporre «non più suoni o accordi singoli, ma
suoni con caratteristiche strutture interne».
Herbert Henck
Karlheinz Stockhausen Kreuzspiel
Kreuzspiel per oboe, clarinetto basso, pianoforte e 3
percussionisti è stato composto nell’autunno del 1951.
Fin da questo brano scritto a soli 23 anni, Stockhausen
mostra di possedere una spiccata personalità autonoma, e
presenta subito soluzioni che ritroveremo, in forma assai più
elaborata, nelle opere successive. In Kreuzspiel c’è ancora,
ben in evidenza, l’iterazione ossessiva di un ritmo (le pelli
percosse: tom-toms, tumbas o congas) lacerato dai secchi
intervalli, dalle rapide e graffianti incisioni dei due strumenti a
fiato e dal pianoforte. La furia rivoluzionaria è già nell’ordine
dell’oggettivismo isterico, del razionalismo ostentato, ma
la cruda chiarezza ellittica di questo pezzo è proporzionale
alla potenza espressiva (sia pure in chiave polemicamente
antiespressiva) e all’ineffabile suggestione che sa suscitare.
Armando Gentilucci
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Interpreti
Gianpaolo Antongirolami
Nato nel 1964, ha studiato sassofono al Conservatorio di Fermo, prima con Enzo Veddovi e successivamente con Federico
Mondelci diplomandosi con quest’ultimo nel 1987 con il massimo dei voti. Ha inoltre partecipato a corsi di perfezionamento tenuti da
sassofonisti di chiara fama come Serge Bichon e, in particolare, Jean-Marie Londeix. Nel 1999 ha conseguito il diploma in musica
elettronica presso il Conservatorio di Pesaro.
Svolge attività concertistica suonando in varie formazioni cameristiche, collaborando – anche in qualità di solista – con importanti
orchestre quali I Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana,
l’Orchestra Sinfonica di Grosseto, l’Orchestra Ukraina di Kiev, l’Orchestra Sinfonica di Foggia, l’Orchestra Fabriano Festival.
Attivo soprattutto nell’ambito della contemporanea, ha eseguito numerose prime esecuzioni assolute di brani spesso a lui dedicati.
Nel suo repertorio sono presenti inoltre le opere dei più significativi compositori del XX e XXI secolo, tra i quali Berio, Bryars, Cage,
Donatoni, Eötvös, Gentilucci, Glass, Grisey, Lang, Manzoni, Nyman, Riley, Risset, Rzewski, Scelsi, Sciarrino, Stockhausen, Tenney,
Torke, Vaggione, Xenakis, Zorn.
Sempre attento alle innovazioni e alla sperimentazione, dal 1995 ha focalizzato il suo interesse sulla musica elettroacustica
attraverso una continua ricerca tesa allo sviluppo del repertorio e a costanti partecipazioni a festival e rassegne del settore come
la Terra Fertile, il CIM, l’ISEA (International Symposium on Electronic Art) di Chicago e il Festival International des Musiques et
Créations Electroniques “Synthèse” di Bourges (F).
Antongirolami è regolarmente invitato a tenere corsi di perfezionamento, masterclass e concerti presso prestigiosi enti ed istituti
musicali europei quali la Musikhochschule di Freiburg (D), la Universität Mozarteum di Salzburg (A), la Keele University e la
University of Edinburgh (UK).
Recentemente è stato invitato dall’associazione internazionale SaxAmE (Saxophone in America and Europe) ad essere incluso nel
prossimo libro che raccoglierà le biografie dei più significativi sassofonisti degli ultimi 20 anni: Saxophone soloists and their music
uscirà per i tipi della Indiana University Press.
Ha effettuato incisioni discografiche per Ars Publica, Edipan, KHO Multimedia Productions, Khepera, Rara Music WorX,
SuonoSonda, Cemat Italia e registrazioni radiofoniche e televisive per la Rai.
Gianpaolo Antongirolami è da oltre 20 anni docente di sassofono presso vari conservatori di musica italiani: attualmente è titolare
della cattedra di sassofono presso il Conservatorio di Perugia.
Andrea Bacchetti
Giovanissimo ha raccolto i consigli di musicisti come Karajan, Magaloff, Berio, Horszowski, conseguendo il Master all’Accademia di
Imola con F. Scala. Dopo il debutto a 11 anni con i Solisti Veneti è invitato nei principali Festival Internazionali (Lucerna, Salisburgo,
Tolosa, Brescia e Bergamo, ecc.) dai più prestigiosi centri musicali in Europa (Berlino, Konzerthaus; Madrid, Auditorium Nacional;
Parigi, Salle Pleyel, ecc), Sud America (Mozarteum Brasileiro, Sociedad Filarmonica Lima, ecc.), Russia (Filarmonica di Mosca) e
Giappone.
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Collabora con importanti orchestre internazionali sotto la guida di direttori come R. Baumgartner, P. Bellugi, M. Guidarini, A.
Ceccato, Lu Ja, A. Lombard, M. Venzago, A. Nanut, G. Pehlivanian, A. Zedda. In Italia è ospite regolare delle principali orchestre,
associazioni ed enti lirici. Dal 1998 è ospite delle Serate Musicali di Milano. Collabora con R. Filippini, D. Nordio, Quartetto Prazak,
Quartetto Ysaye, Quartetto di Cremona.
Nella sua discografia internazionale sono da ricordare le Suite Inglesi di Bach, il CD Berio Piano Works (DECCA); il DVD Arthaus
con le Variazioni Goldberg di Bach (2007) ; i SACD con le 6 Sonatas di Cherubini e quello con le Galuppi piano Sonatas (SONY).
Invenzioni e Sinfonie, le Toccate e le Variazioni Goldberg (2010) di Bach (DYNAMIC).
Queste registrazioni hanno ricevuto numerosi riconoscimenti dalle maggiori e più importanti riviste internazionali specializzate e da
alcuni dei quotidiani più prestigiosi a livello mondiale. Le recensioni sono disponibili su www.andreabacchetti.net
Giorgio Casati
Nato a Milano nel 1984, ha svolto gli studi di violoncello con Marco Bernardin presso il Conservatorio di Milano, diplomandosi nel
2002 con lode e menzione speciale. Dal 2001 si perfeziona con Mario Brunello alla Fondazione Romanini di Brescia; segue inoltre
le lezioni di Enrico Dindo, Enrico Bronzi e Frans Helmerson. In duo con il pianista Luca Ieracitano, è allievo dell´Altenberg Trio Wien,
di Andrea Lucchesini e di Günter Pichler.
Si è esibito per Lingotto Musica e per l´Unione Musicale di Torino, il Festival Amfiteatrof di Levanto, la Biennale di Zagabria, i Solisti
Aquilani, Novecento e presente di Lugano, la Gia di Brescia, Contemporaneamente di Lodi, Sincronie, Milano Musica e Radio Tre.
Si è inoltre esibito come camerista per gli Amici della Musica di Firenze, la Fondazione Benetton di Treviso, Arte Sella, Settembre
Musica, le Settimane Musicali di Stresa, Bologna Festival, la Milanesiana, l´Ambasciata Italiana a Istanbul.
Ha suonato in formazioni da camera con Marco Rizzi, Andrea Lucchesini, Marco Rogliano, Mario Brunello, Andrea Dindo, Alda
Caiello, Danilo Rossi, il Quartetto Borciani, Mario Caroli. Tra i direttori con i quali ha collaborato come solista, György Rath e Giorgio
Bernasconi.
Suona un violoncello Gaetano Antoniazzi gentilmente prestato dalla Fondazione Pro Canale Onlus.
Nel 2002 è stato insignito dal Presidente della Repubblica della medaglia di bronzo quale Benemerito della Cultura e dell’Arte.
Studia Filosofia presso l´Università Statale di Milano.
Paolo Casiraghi
Nato a Lecco nel 1980, si è diplomato in clarinetto con il massimo dei voti presso il Conservatorio G.Verdi di Milano sotto la guida
di Sergio Delmastro, perfezionandosi in seguito con Hans Deinzer presso la Scuola di Perfezionamento di Bobbio e con Fabrizio
Meloni presso l’Accademia del Teatro alla Scala.
Nel 2003 ha ottenuto il diploma di perfezionamento in clarinetto basso con Maurizio Longoni presso l’Accademia Internazionale di
Milano. Nel 2005 ha conseguito a pieni voti la laurea in composizione studiando con Sandro Gorli e Alessandro Solbiati.
Studia direzione d’orchestra con Emilio Pomarico.
Ha lavorato in diverse istituzioni orchestrali italiane, diretto tra gli altri da De Burgos, Gelmetti, Marshall e, come solista, da Kuhn,
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Ceccherini, Rivolta. Collabora con vari ensemble specializzati nella musica contemporanea come Divertimento Ensemble e
Dynamis Ensemble. Ha ottenuto il I premio alla Società Umanitaria di Milano, il III premio al Concorso Ponchielli di Cremona e, in
duo con pianoforte, il II premio al Concorso Silvio Omizzolo di Venezia.
Come direttore d’orchestra ha recentemente diretto l’Orchestra Milano Classica e l’Ensemble Risognanze; ha partecipato alla
rassegna “Incontri in Musica” al Teatro Dal Verme di Milano.
Nelle vesti di compositore ha ricevuto commissioni dal Divertimento Ensemble e dalla Società Umanitaria di Milano; suoi lavori
sono eseguiti in vari festival, tra i quali Concerti nel Chiostro, Società Umanitaria, Collisioni II, Auditorium Lattuada, Rondò 2007,
DinDond’arte, Toho University of Tokyo.
Ha effettuato registrazioni per col legno, Stradivarius, SidM, Aeon.
Serena Cavalletti
Nata a Cingoli (Macerata) nel 1979, ha iniziato lo studio del violino all’età di sette anni con David Taglioni e Nicolae Negoita;
successivamente ha frequentato il Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro conseguendo il Diploma Accademico di II livello col
massimo dei voti ed il Biennio Specialistico per la Formazione dei Docenti di strumento musicale.
Si è perfezionata prima con Giulio Franzetti presso la Scuola d’Alto Perfezionamento di Saluzzo e l’Accademia del Teatro Alla Scala
di Milano, ove le è stata conferita una borsa di studio, poi con Dora Schwarzberg presso l’Accademia di Musica di Pinerolo.
Artisticamente incline all’avanguardia, ha parallelamente approfondito lo studio del repertorio novecentesco e contemporaneo con
George Moench, perfezionandosi inoltre presso i Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt nel 2006.
Pratica attività concertistica prevalentemente in ambito cameristico sia in Italia che all’estero ed è stata ospite di enti e festival, tra
i quali: “Società Civile dello Sferisterio, Eredi dei Cento Consorti”, “Ente Concerti” di Pesaro, “FAI, fondo per l’Ambiente Italiano”,
“Istituto Campana” di Osimo (AN), “Terra dei Teatri”, “Itinerari d’Ascolto”, “Musica Nuova Festival”, “Istituto Campana”, “XXIII
Rassegna di Nuova Musica” di Macerata, ove ha collaborato con compositori ed interpreti di fama internazionale ed effettuato
registrazioni per Radio RAI 3.
Di rilievo la collaborazione con Ulises Passarella che accompagna stabilmente in concerti e tournées dal 2005; è primo violino di
spalla dell’orchestra internazionale del Festival “Tango y Más”.
Pratica attività di ricerca per una nuova didattica del violino: suoi saggi ed articoli sono stati pubblicati dalla rivista “Musicheria” del
Centro Studi M. Di Benedetto di Lecco.
È titolare della cattedra di violino presso la Scuola Secondaria di Primo Grado ad indirizzo musicale di Monte Roberto (AN).
Gianluca Gentili
Chitarrista e compositore, si è diplomato nel 1989 con il massimo dei voti al Conservatorio “Pergolesi” di Fermo proseguendo
gli studi con Angelo Gilardino all’Accademia di Alto Perfezionamento “Perosi” di Biella. Nell’estate del 2003 ha partecipato alla
realizzazione del recital per quattro musicisti El Cimarrón di Hans Werner Henze (regia Henning Brockhaus, produzione Terra di
Teatri - MacerataOpera) vincitore del premio speciale al “Premio Abbiati 2004” e trasmesso integralmente da RaiRadio3.
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Nel 2004 ha collaborato con Edoardo Sanguineti per la composizione di due video e un cd in occasione della mostra Magazzino
Sanguineti al Palazzo Ducale di Genova in quell’anno capitale europea della cultura. Ha partecipato come solista (chitarra e basso
elettrico) alla prima esecuzione mondiale di Il Cielo sulla Terra di Stefano Scodanibbio al Forum Neues Musiktheater Staatsoper
di Stuttgart (D) replicato a Città del Messico nell’agosto 2008. Nel gennaio 2009 ha vinto il primo premio per la musica originale al
Concorso Internazionale di Cortometraggi di Roma. Nell’ambito della musica contemporanea ha prodotto oltre 20 cd con importanti
case discografiche: col legno, Mode Records, WERGO, New Albion Records, Stradivarius, collaborando, tra gli altri, con Stefano
Scodanibbio, Quartetto Arditti, Quartetto Prometeo, Terry Riley, Tonino Tesei, Fausto Bongelli e Fabrizio Ottaviucci.
Nel luglio del 2009 ha partecipato al Prisma Forum di Città del Messico con la sua performance In un giorno.
È direttore della produzione della Rassegna di Nuova Musica di Macerata.
Luca Ieracitano
Nato a Torino nel 1978, Luca Ieracitano ha studiato pianoforte con Maria Chianale e con Carla Papini diplomandosi presso il
conservatorio “G. Verdi” di Torino con il massimo dei voti e la lode. Grazie al sostegno dell’Associazione per la Musica “De Sono”
di Torino, si perfeziona con Maria Tipo, Andrea Lucchesini, Pietro De Maria ed Enrico Stellini alla Scuola di Musica di Fiesole e
all’Accademia di Musica di Pinerolo. Sin da giovanissimo si dedica allo studio del repertorio cameristico, seguendo le masterclasses
di Mario Brunello, Altenberg Trio Wien, Frans Helmerson, Günter Pichler, Dora Schwarzberg, Enrico Dindo, Enrico Bronzi.
Tiene concerti in Italia e all’estero: ha suonato per Lingotto Musica, Unione Musicale e DeSono di Torino, la Società dei Concerti di
Milano, il festival Amfiteatrof di Levanto, la GIA di Brescia, la Società dei Concerti di Prato, Amici del Conservatorio di Mantova, la
Fondazione “I Teatri” di Reggio Emilia.
Nel 2005 e nel 2007 è ospite di Rai - Radio 3 Suite, suonando in diretta nazionale.
Nel 2001 riceve il secondo premio assoluto al concorso “Gante” di Pordenone, nel 2003 il primo premio al concorso “Premio
Schumann” di Lamporecchio. In duo con Giorgio Casati ottiene il secondo premio al concorso Fuga di Torino, il Premio “Enrica
Cremonesi” al Teatro Filodrammatici di Milano e il Premio speciale al Concorso “Città di Pinerolo”.
Come pianista accompagnatore, ha collaborato ai corsi di Enrico Dindo a Pavia, all’Accademia Europea di Musica e Spettacolo a
Montepulciano - Palazzo Ricci (Hochschule Köln) e al conservatorio “G. Verdi” di Torino.
Christof Löser
Nato a Leonberg (Germania) nel 1972, Christof Löser ha studiato violoncello, organo e pianoforte (con James Avery, fra gli altri)
frequentando a Freiburg teoria della musica, germanistica, musicologia e partecipando ai seminari di Mathias Spahlinger.
In direzione d’orchestra si è formato con Wolf-Dieter Hauschild a Karlsruhe e inoltre con Peter Eötvös e Zsolt Nagy.
Fino al 2001 è stato docente di teoria della musica a Freiburg; negli anni 2000-2008, presso il Conservatorio di Stoccarda, ha fatto
pratica di direzione d’orchestra e ha inoltre insegnato teoria della musica, musica contemporanea e prassi esecutiva, assumendo
anche, dal 2008, il ruolo di direttore di musica da camera (echtzeitEnsemble, Stirling Ensemble Stuttgart, PolyEnsembleProjekt).
Dal 2008 dirige l’Ensembles Neue Musik presso il Conservatorio “Franz Liszt” di Weimar.
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Ha diretto ensembles e orchestre di prestigio in Europa e in Sudamerica, fra cui: Filarmónica de Montevideo, ensemble recherche,
Ensemble Laboratorium, Stockhausen-Kurse Kürten. Si adopera assiduamente per promuovere la musica contemporanea
realizzando concerti e progetti didattici che coinvolgono, accanto alla musica, anche l’architettura e la danza.
Laura Mancini
Nata a Città di Castello (Perugia) il 21 giugno 1984, intraprende molto presto lo studio delle percussioni e nel 2008 si diploma con
lode sotto la guida del M° Domenico Fontana al Conservatorio di Musica di Perugia.
Ha frequentato corsi di perfezionamento con il M° Stefano Cantarelli e seminari con solisti di calibro internazionale quali
L. H. Stevens e N. Rosauro.
Ha già all’attivo numerose esperienze in qualità di solista (marimba, vibrafono, percussioni), in ensemble di sole percussioni
(Tetraktis Percussioni, Agathà, Guitar percussion ensemble) e collaborazioni con orchestre italiane quali: Orchestra del Teatro Regio
di Parma, Orchestra Sinfonia Veneta, Orchestra sinfonica di Perugia e dell’Umbria, Orchestra Sinfonica di Terni, Brass ensemble
del Conservatorio di Perugia, Corciano Festival ensemble, Orchestra dell’Università degli Studi di Perugia, United Artists for Peace
Chamber Orchestra, Orchestra da camera A. Onofri.
Nel 2007 si laurea in Ingegneria Civile all’Università degli Studi di Perugia.
mdi ensemble
mdi ensemble nasce nel 2002 dall’idea di sei giovani musicisti milanesi di contribuire alla diffusione e alla valorizzazione della
musica contemporanea in Italia e all’estero. Fin dagli esordi l’ensemble si è dedicato allo studio di un repertorio comprendente,
oltre ai lavori dei grandi nomi della musica contemporanea e del secolo appena trascorso, musiche di compositori emergenti nel
panorama internazionale, proponendo anche prime esecuzioni italiane e mondiali.
L’ensemble si è esibito in Italia al Teatro Bibiena di Mantova, al Pac e al Teatro Filodrammatici di Milano, alla Sala Piatti di Bergamo,
nei conservatori di Como e Bologna; è stato invitato da Mittelfest, Lingotto Musica, Amici della Musica di Palermo e più volte dal
Festival di Milano Musica. Tra i concerti all’estero: Tonhalle di Dusseldorf, Konzerthaus di Dortmund, Istituto Giapponese di Colonia,
Teatro Forteza di Maiorca, LACMA di Los Angeles. Nel gennaio 2008 ha debuttato a Tokyo, grazie alla collaborazione con il Cemat,
realizzando una serie di concerti dedicati a Sylvano Bussotti.
Ha inaugurato a Palermo la rassegna Nuove Carriere 2008, a cura del Cidim.
Collabora regolarmente con la Japan Foundation di Roma per la diffusione della nuova musica giapponese.
Suoi concerti sono stati ripresi e trasmessi da Rai RadioTre e da Rai International.
La prima produzione discografica di mdi, con musiche di Stefano Gervasoni, è stata pubblicata da Aeon Paris e ha ottenuto il
riconoscimento “coup de coeur - musique contemporaine 2009” conferitogli dall’Accademia Charles Cros.
Nella primavera del 2010 è uscito un secondo cd per la collana “Ricordi Oggi” dedicato alla musica di Emanuele Casale, in
collaborazione con Edizioni Ricordi.
Dal 2008 mdi partecipa al progetto “Repertorio Zero” ideato da Yan Maresz, Nadir Vassena e Giovanni Verrando, collaborando a
produzioni musicali con il proprio quartetto d’archi, che per l’occasione utilizza esclusivamente strumenti elettrici.
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Il progetto R0 ha debuttato al festival MiTo 2008, presente poi nei cartelloni concertistici del Conservatorio di Lugano e della
Tonhalle di Zurigo.
Nel 2010 mdi è ensemble in residence al Festival Koinè diretto da Ivan Fedele presso il Teatro dal Verme di Milano.
Il canale Sky Classica dedicherà prossimamente a mdi ensemble una trasmissione all’interno della collana “I notevoli”.
Dalla sua fondazione, mdi ha come direttore principale Yoichi Sugiyama.
Orchestra Filarmonica Marchigiana
L’Orchestra Filarmonica Marchigiana, fondata nell’anno 1985 ed oggi gestita dalla Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
(FORM), è una delle tredici Istituzioni Concertistiche Orchestrali italiane (ICO) riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività
Culturali. Attualmente il M° Donato Renzetti ne è il Direttore Principale ed Artistico.
Formata per la maggior parte da valenti musicisti marchigiani, fra cui molti giovani, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana affronta con
notevole flessibilità il repertorio sia lirico, sia sinfonico, distinguendosi di conseguenza per una particolare duttilità sul piano artisticointerpretativo, come rilevato da tutti gli interpreti e i direttori d’orchestra che con essa hanno collaborato.
Nel corso della sua attività, consistente principalmente nella realizzazione della Stagione Sinfonica in ambito regionale e nella
partecipazione alle più importanti manifestazioni a carattere lirico delle Marche (Teatro Pergolesi di Jesi, Sferisterio Opera Festival
di Macerata, Teatro dell’Aquila di Fermo, Teatro delle Muse di Ancona), si è esibita con grandi interpreti come Gidon Kremer, Natalia
Gutman, Vladimir Ashkenazy, Andrea Bacchetti, Alessandro Carbonare, I solisti della Scala, Ivo Pogorelich, avvalendosi della
guida di direttori di prestigio internazionale, quali Gustav Kuhn (Direttore Principale dal 1997 al 2003), Woldemar Nelsson (Direttore
Principale Ospite dal 2004 al 2006), Daniel Oren, Donato Renzetti, Bruno Campanella, Corrado Rovaris, Anton Nanut, Hubert
Soudant.
Rivolge una particolare attenzione alla valorizzazione dei compositori marchigiani del passato, soprattutto Pergolesi, Rossini e
Spontini, promuovendo nel contempo anche l’attività dei maggiori compositori marchigiani contemporanei. Collabora con gli Enti e le
Associazioni concertistiche più prestigiose della regione Marche. Realizza inoltre circuiti di concerti destinati al pubblico scolastico.
Dal 1998 al 2002 è stata orchestra principale del Festival Snow & Symphony di St. Moritz. Nel maggio del 2003 ha effettuato una
tournée di concerti in Austria con il sostegno del Consolato Italiano di Innsbruck e l’Istituto Italiano di Cultura. Nel 2005 è stata
invitata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ad eseguire, in collaborazione con il Coro Lirico Marchigiano
“V. Bellini”, il tradizionale Concerto di Fine Anno al Quirinale sotto la direzione del Maestro Donato Renzetti, riscuotendo
apprezzamenti critici e un grande successo di pubblico. Nel 2006, in occasione dei 250 anni dalla nascita di Mozart, ha realizzato
con il contributo dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Macerata il progetto “Sinfonie d’organo”, un concerto itinerante teso
alla valorizzazione del patrimonio degli antichi organi delle Marche nello splendore artistico dei luoghi che li ospitano.
Nel Natale del 2006, sotto la direzione di Corrado Rovaris, ha eseguito in tournée a Roma, Betlemme e Gerusalemme il “Concerto
per la Vita e per la Pace”, con il soprano Cinzia Forte e il violoncellista Enrico Dindo. Il concerto è stato trasmesso in differita su RAI
1 e su RADIO 3.
Nel luglio 2009, nell’ambito del Festival Adriatico Mediterraneo, l’Orchestra ha partecipato insieme al chitarrista Giovanni Seneca al
Festival Internazionale di Izmir (Turchia) con il concerto “Serenata mediterranea”, successivamente riproposto, nel 2010, al Festival
Internazionale di Hammamet.
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L’Orchestra Filarmonica Marchigiana è presente sul mercato discografico con numerose incisioni, tra cui si segnalano: La Serva
Padrona e Stabat Mater di G. B. Pergolesi, Guntram di R. Strauss, Rossini Ouvertures, Le nozze di Figaro di W. A. Mozart, Oberto
Conte di San Bonifacio e Preludi e Ouverture di G. Verdi, Sinfonia n. 9 di G. Mahler, e con diverse opere liriche in DVD: L’elisir
d’amore di Donizetti realizzato dalla Rai, I racconti di Hoffmann di Offenbach, Macbeth di Verdi, Norma di Bellini, Maria Stuarda di
Donizetti.
Fabrizio Ottaviucci
Si è brillantemente diplomato in pianoforte al Conservatorio di Pesaro sotto la guida di Paola Mariotti; ha inoltre studiato
Composizione e Musica Elettronica.
Ha tenuto concerti nelle più importanti città italiane e tedesche e tournées negli USA, Canada, Messico, Inghilterra, Spagna, India.
È stato più volte invitato a prestigiosi festival e rassegne come Festival Pontino, Rassegna di Nuova Musica di Macerata, Milano
Musica, “Traiettorie” Parma, Accademia di S. Cecilia, Nuova Consonanza Roma, Aterforum Ferrara, Evento Suono Pesaro, Amici
della Musica Palermo, Centro d’Arte Padova, S. Maternus Köln, Tonhalle Düsseldorf, Festival Internacional Cervantino Guanajuato,
Jazz Festival di Bristol, Frankfurt, Berlin, Vigo, ecc.
Di particolare importanza la sua attività nella musica contemporanea, nella quale ha collaborato con partner di grande prestigio
quali Rohan de Saram, Stefano Scodanibbio, Mike Svoboda, Mario Caroli, Manuel Zurria, Francesco Dillon, Aldo Campagnari,
Tara Bouman e Markus Stockhausen con il quale collabora intensamente dal 1986 anche nei repertori tradizionali.
Ha eseguito prime assolute dei compositori Stefano Scodanibbio, Tonino Tesei, Fernando Mencherini, Ivan Vandor, Gilberto
Cappelli, Alberto Caprioli. Ha studiato l’opera pianistica con Giacinto Scelsi.
Attivo anche sul piano della sperimentazione, ha tenuto concerti con Gary Peacock, Robyn Schulkowsky, Paolo Giaro, Mark
Naussef, Conny Bauer.
Ha registrato per la ECM Monaco, CMP Köln, AMIATA Firenze, SPLASH R. Milano, WISTERIA Amsterdam, AKTIVRAUM Köln,
STRADIVARIUS e WERGO.
Diversi concerti sono stati registrati e trasmessi da Rai Radio3.
Vive ad Assisi, dove dirige il progetto “Laboratorio di musica intuitiva”.
Giacomo Piermatti
Nato a Foligno nel 1986, si è diplomato con il massimo dei voti sotto la guida di Daniele Roccato. Ha suonato con l’Orchestra Sinfonica
di Perugia e dell’Umbria, l’Orchestra dell’Impresario e attualmente collabora con I solisti di Perugia.
Fa parte dell’ensemble di contrabbassi “Ludus Gravis”, con il quale ha effettuato tournée e registrazioni radiofoniche e discografiche.
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Daniele Roccato
Contrabbassista solista fra i più attivi e prolifici, si è esibito in alcuni dei palcoscenici più prestigiosi a livello internazionale.
Si è dedicato alla valorizzazione del contrabbasso come strumento solista attraverso la trascrizione, la diffusione del repertorio
originale della seconda metà del Novecento e la promozione di nuove musiche senza distinzione di generi e stili.
Ha trascritto ed eseguito brani di Monteverdi, Marais, Bach, Beethoven, Brahms, Schumann, Schubert, Debussy, Shostakovich,
Hindemith, Webern, Berg, Schoenberg, Part, Henze (in collaborazione con l’autore), e molti altri.
Nei suoi progetti si propone con contrabbasso solo, duo con pianoforte, duo con fisarmonica, contrabbasso e orchestra, in
formazioni con vibrafono e percussioni, con elettronica e action painting, con voce recitante, con percussioni e video-art, con live
electronics e danzatrice.
Nella sua personale ricerca e interazione con le varie forme d’arte ha collaborato con personalità del teatro (David Riondino,
Sebastiano Lo Monaco), della letteratura (Vitaliano Trevisan), del jazz (Richard Galliano), della danza (Carla Fracci, Gry Kipperberg)
e del pop (L. Dalla, F. De Gregori, R. Vecchioni).
Collabora con il compositore e contrabbassista Stefano Scodanibbio, con il quale ha fondato l’ensemble di contrabbassi “Ludus
Gravis”, dedito all’esecuzione di musica contemporanea.
Nata nel 2009, la collaborazione con lo scrittore, drammaturgo e attore Vitaliano Trevisan ha portato alla realizzazione dei lavori
Solo et Pensoso (voce e cb, su proprie musiche), Time Works (voce, cb. e batteria, musiche composte con Roberto Dani), Note sui
Sillabari (voce, cb), Madre con Cuscino (voce, cb, pf), Campo Marzo 9/10 (voce e ensemble, su proprie musiche ed elaborazioni).
Con il compositore, produttore e pianista Beppe D’Onghia ha portato il contrabbasso solista nell’ambito pop. Degni di nota sono i
progetti in quartetto con Lucio Dalla e in Trio con Roberto Vecchioni.
Titolare della cattedra di contrabbasso presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, è spesso invitato a tenere seminari presso
prestigiose accademie e università.
Viene regolarmente invitato a far parte della giuria di concorsi internazionali.
È nato ad Adria nel 1969 e da anni vive a Roma.
Steffen Schleiermacher
Pianista, compositore, promotore di festival e concerti, nasce ad Halle, in Belgio, nel 1960. Fra il 1980 e il 1985 studia pianoforte
(con Gerard Erber), composizione (con Siegfried Thiele e Friedrich Schenker) e direzione (con Günter Blumhagen) all’Accademia
Musicale “Felix Mendelssohn” di Lipsia. Come allievo d’eccellenza, fra il 1986 e il 1987 frequenta un corso di composizione con
Friedrich Goldmann all’Accademia delle Arti di Berlino, ed uno in pianoforte, fra il 1989 e il 1990, all’Accademia Musicale di Colonia,
sotto la guida di Aloys Kontarsky.
Come solista, si è esibito in concerti con la Gewandhausorchester di Lipsia, la Deutsche Sinfonieorchester di Berlino, la Müncher
Philharmoniker, l’Orchestre de la Suisse Romande ed altre, sotto la direzione di Vladimir Ashkenazy, Friedrich Goldmann, Ingo
Metzmacher, Wladimir Jurowski e Fabio Luisi.
Schleiermacher ha inciso più di 60 CD (sua, per esempio, è la prima registrazione di tutte le opere per pianoforte di John Cage),
collaborando con varie case discografiche, quali la Hat Art, la Wergo, la MDG.
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Le sue tournées hanno toccato numerose località fra l’Europa, l’America latina e l’estremo oriente. Dal 1988 cura la rassegna
“Musica Nova” presso la Gewandhaus di Lipsia. A lui si deve la fondazione, nel 1989, della Ensemble Avantgarde. Dal 1993 al 2000
è stato il direttore del January Festival presso il Museo delle Belle Arti di Lipsia, e del festival annuale “KlangRausch”, trasmesso
dalla Mitteldeutsche Rundfunk.
Fra le recenti commissioni vi sono: Kokain, per L’Opera di Bonn (2004); le composizioni per orchestra Gegen Bild (2006) e Das
Leuchten der singenden Kristalle (2009), entrambe realizzate per la Gewandhausorchester di Lipsia; Die Beschwörung der
trunkenen Oase (2009), per la WDR Sinfonieorchester; Das Tosen des staunenden Echos (2009), per la MusikFabrik; Ataraxia
(2009), per il RIAS Kammerchor, e Four Pieces to interpolate the Bach-Mass (2008), per il Kirchenmusikfestival di Oslo.
Steffen Schleiermacher è attualmente impegnato in composizioni per la Gewandhausorchester e la Akademie für Alte Musik di
Berlino, la Orchestre Français des Jeunes, la Konzerthausorchester di Berlino e il festival “Pélegrinage” di Weimar.
Ha saputo meritare numerosi riconoscimenti, fra premi e borse di studio: Gaudeamus Competition (1985), Premio Eisler (1986),
Premio Kranichstein per la Musica (1986), Premio della Fondazione “Christoph and Stephan Kaske” di Monaco (1991), Fellowship
dell’Accademia Tedesca di Roma “Villa Massimo”, Japan Foundation Fellowship (1997), Fellowship della Cité des Arts (Parigi)
(1999). Nel 2010 gli è stato conferito il titolo di “Chevalier des Arts et des Lettres”.
Ladislao Vieni
Comincia gli studi musicali nel Conservatorio della sua città, Bologna. Studia la viola con Angelo Bartoletti e Augusto Vismara.
Segue corsi di perfezionamento con i violisti Dino Asciolla, Bruno Giuranna, Piero Farulli e Jurij Bashmet, frequentando istituti di
musica quali la Fondazione “W. Stauffer” a Cremona, la Scuola di Musica di Fiesole e l’Accademia Musicale Chigiana a Siena.
Nel 2006 consegue la Laurea in Musica da camera al Conservatorio G. B. Pergolesi di Fermo.
Si dedica allo studio del repertorio cameristico sotto la guida di importanti musicisti, quali Enzo Porta, Pavel Vernikov, Kostantin
Bogino, Maureen Jones, Alain Meunier, Berl Senovski e i membri del Quartetto Amadeus.
Studia inoltre musica barocca con Giorgio Pacchioni e musica jazz con Franco D’Andrea.
Svolge intensa attività cameristica nelle più varie formazioni e come solista con orchestra.
Ha collaborato con diverse orchestre tra cui l’Orchestra della RAI e l’Orchestra “Arturo Toscanini”, spesso come prima viola.
Risultato vincitore (1° classificato) dei concorsi per orchestra all’Arena di Verona e all’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, diventa
componente di ruolo di quest’ultima, dove lavora fino al 1994, anno in cui vince il concorso per la docenza di Musica da Camera
nei Conservatori. Nel 1995 entra a far parte dell’Ensemble Koinè, un gruppo con organico molto flessibile che pone particolare
attenzione alla musica dal ’900 in poi. Dal 1995 al ’98 per tre anni è stato prima viola dell’Orchestra Internazionale d’Italia con la
quale ha effettuato importanti tournées all’estero, suonando con importanti solisti come J. Bell, J. Carreras, B. Giuranna, I. Gruber,
L. Kavakos, V. Mullova, I. Oistrakh, J. P. Rampal e M. Rostropovič, G. Kremer, N. Gutman.
Dal 1998 collabora come prima viola con la FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana.
Nel 2000 ha suonato per la rassegna “Verona Jazz” partecipando al progetto Carla Bley Fancy Chamber Music di Carla Bley e
Steve Swallow. Insegna Musica da Camera al Conservatorio “Gioacchino Rossini” di Pesaro.
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Webern resterà sempre e per sempre nella coscienza di coloro i quali sono stati direttamente toccati dalla sua musica. […] E ogni
musicista che ami questa musica, deve prendersi la responsabilità di comunicare agli altri il piacere di scoprire Webern. Allora la musica
di Webern, a poco a poco, irradierà la sua forza interiore, creando tra gli uomini il legame della comune ammirazione della bellezza
Karlheinz Stockhausen
Webern è l’unica anticamera per la musica del futuro
Pierre Boulez
L’Arte della fuga di Bach è basata su un solo tema. […] È un qualcosa di sempre diverso, e nello stesso tempo di identico. Bach
voleva mostrare quanto sia possibile ricavare da un solo pensiero. Nella prassi la musica dodecafonica è un’altra cosa, ma in senso
generale si fonda precisamente su questo modo di pensare. Il significato dell’Arte della fuga è praticamente lo stesso di quel che noi
scriviamo con il sistema dodecafonico. Il lavoro di Bach è basato sui sette suoni della vecchia scala, il nostro sulla scala cromatica.
Ora si crea su questa nuova base
Anton Webern
Ora io posso creare liberamente, tutto ha una sua profonda coerenza. Ora è possibile comporre con la fantasia libera, senza legami
– all’infuori della serie. Per dirla con un paradosso: solo ora, con questo vincolo, è divenuta possibile la più totale libertà!
Anton Webern
La musica è matematica. Matematica da ascoltare. Matematica per le orecchie. Sappiamo che musica, matematica e astronomia
appartengono al medesimo ceppo, costituiscono un vero e proprio triumvirato
Karlheinz Stockhausen
Helmut Lachenmann è tra quei compositori che hanno creato un suono davvero nuovo: Monteverdi, Rossini, Wagner, Debussy e
forse Webern
Martin Kaltenecker
Il ritmo della musica di Lachenmann è veloce, scorrevole, senza pause. Persino nei momenti «tormentosamente» lunghi della
sospensione, percepiamo il fondo precipitoso, il balenio improvviso delle frettolose particelle sul fondo e il loro risucchio nascosto
Wolfgang Rihm
Un compositore non deve semplicemente creare della musica – ne abbiamo già abbastanza – dovrebbe invece con ogni mezzo
reinventare l’idea di musica, risillabare, per così dire, questa parola e questo io l’ho imparato da Webern
Helmut Lachenmann
Helmut Lachenmann.
esempio esemplare.
è altro
è diverso
innova
Luigi Nono
La bellezza è il rifiuto dell’abitudine. […] La negazione dell’abitudine non implica la negazione della tradizione. Al contrario: proprio
negando l’abitudine, io mi sentivo parte della tradizione occidentale il cui orizzonte estetico si è sempre trasformato
Helmut Lachenmann
Ascoltare la musica di Brian Ferneyhough, sentirne il fascino, è come accettare l’invito ad entrare in un labirinto. Il labirinto,
metafora dello spirito della ricerca, ci sembra si adatti perfettamente a descrivere lo spirito e le tecniche della composizione di Brian
Ferneyhough
Alessandro Melchiorre
L’arte si lascia definire come il meccanismo delle regole delle eccezioni
Brian Ferneyhough
nella musica tutto è possibile: è l’arte del mutevole. La mutazione, però, deve assolutamente servire a qualcosa, deve essere
finalizzata
Brian Ferneyhough
mi sento ancora collegato al Modernismo: la mia musica è dissonante nella forma
Brian Ferneyhough
nell’opera di Ferneyhough riconosco prima di tutto una complessità di pensiero, in quella degli epigoni mi pare che si tratti più che
altro di una complessità di risultati
Franco Donatoni
Brian Ferneyhough […] è diventato suo malgrado l’esponente di maggior spicco di un movimento noto come Nuova Complessità.
Ferneyhough vincerebbe probabilmente il premio per maggior numero di note per centimetro quadrato nella storia della musica
Alex Ross
Direttore di palcoscenico Paolo Appignanesi
Registrazioni audio e sito web Andrea Lambertucci
Foto Fabio Falcioni
Amministrazione Maria Sara Rastelli, Roberta Spernanzoni, Rosa Silvestri
Segreteria Paola Pierucci
Collaborazione Enrico Crucianelli
Si ringraziano:
Luciano Messi direttore dell’organizzazione artistica e tecnica di Sferisterio Opera Festival
Fabio Tiberi direttore generale della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
Gli uffici amminstrativi della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
L’Ufficio Stampa del Comune di Macerata