UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO COMMERCIALE
XIX CICLO
Tesi di dottorato di ricerca
LE AZIONI RISCATTABILI AI SENSI DELL’ART. 2437-SEXIES C.C.
Settore scientifico disciplinare Ius 04
Tutor:
CHIAR.MA PROF.SSA ALESSANDRA VERONELLI
Coordinatore:
CHIAR.MO PROF. VINCENZO ALLEGRI
:
Dottorando:
DOTT. MATTEO LUDOVICO VITALI
A Susanna
CAPITOLO PRIMO
LA DELIMITAZIONE DELLA FATTISPECIE
Sezione Prima
INTRODUZIONE
1. Premessa: inquadramento del tema oggetto di studio e prime distinzioni in merito ai
“tipi” di riscatto. Riscatto finalizzato e non finalizzato. Riscatto convenzionale e legale. ..... 7
2. Precisazioni in ordine alla terminologia e al metodo espositivo adottato. ......................... 14
3. Descrizione della struttura del lavoro. .................................................................................... 16
4. Un richiamo alle teorie di analisi economica del diritto: la struttura economica del
riscatto di strumenti finanziari. Il riscatto di azioni come strumento di esclusione del socio,
come sistema di protezione delle minoranze e come meccanismo di disinvestimento. ....... 18
Sezione Seconda
GLI ISTITUTI NON RIENTRANTI NELLA FATTISPECIE
5. Premessa: gli istituti affini all’art. 2437-sexies c.c. ................................................................. 36
6. Azioni riscattabili e diritto di recesso nella società per azioni.............................................. 36
7. (Segue:) azioni riscattabili e disciplina dell’esclusione del socio nella società a
responsabilità limitata. ................................................................................................................... 43
8. Azioni riscattabili e “obblighi di riscatto”............................................................................... 50
9. Azioni riscattabili ed azioni redimibili: cenni e rinvio........................................................... 57
CAPITOLO SECONDO
GLI ELEMENTI DELLA FATTISPECIE
1. Introduzione: i temi strumentali per la delimitazione della fattispecie. .............................. 62
2. La delimitazione della fattispecie: la distinzione tra «regolamentazione sociale» e
«regolamentazione parasociale» e le c.d. «clausole statutarie parasociali». Sua rilevanza ai fini
della individuazione della fattispecie oggetto dello studio e della distinzione tra azioni
riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. e clausole di riscatto............................................. 64
2.1 Le tesi relative ai criteri per determinare l’efficacia reale o obbligatoria delle clausole
statutarie parasociali....................................................................................................................... 69
2.2. I riflessi degli orientamenti relativi alla determinazione della natura delle clausole
statutarie parasociali sulla qualificazione delle clausole di riscatto. La tesi della natura
obbligatoria. Critica alla luce di un coinvolgimento costante della società in tutti i casi di
riscatto. La tesi della realità. Critica nella misura in cui si fa dipendere la natura della
clausola dalla qualificazione della partecipazione azionaria, dai soggetti cui è attribuito il
potere di riscattare le azioni o dal tipo societario cui appartiene l’emittente. ........................ 70
2.3 L’individuazione di un criterio per qualificare la natura delle clausole di riscatto ne
facilita una distinzione rispetto alle azioni riscattabili. Le clausole di riscatto hanno una
efficacia “variabile”. Le azioni riscattabili hanno una efficacia (obbligatoria) “costante”.... 79
2.4 Le opzioni di vendita («put») e di acquisto («call») di partecipazioni. Distinzione rispetto
alle azioni riscattabili. Difficoltà di distinguere le opzioni dalle clausole di riscatto.............. 84
2.5 Conclusioni: azioni riscattabili, clausole di riscatto a efficacia obbligatoria e opzioni call.
.......................................................................................................................................................... 91
3. La delimitazione della fattispecie: alcune riflessioni circa la nozione di «categoria di
azioni» utilizzata dall’art. 2437-sexies c.c. In particolare: il problema della compatibilità tra i
«diritti diversi» di cui all’art. 2348, comma 2 c.c. e l’attribuzione di posizioni giuridiche
«passive». ......................................................................................................................................... 94
3.1 Le tesi favorevoli ad una lettura restrittiva della nozione di «diritti diversi». Loro riflessi
sulla qualificazione delle azioni riscattabili.................................................................................. 96
3.2 Critica: alcuni indici consentono di affermare che la nozione di «diritti diversi» include
anche l’incorporazione nelle azioni di posizioni soggettive passive.• ................................... 102
3.3 Brevi cenni all’esperienza comparatistica con riferimento all’incorporazione di posizioni
soggettive (anche passive) in categorie di azioni...................................................................... 110
3.4 Conclusioni: lo statuto quale fonte di «regole diverse» per le categorie di azioni create
dall’autonomia privata. ................................................................................................................ 117
4. La delimitazione della fattispecie: la natura del «potere» di riscatto ai sensi dell’art. 2437sexies c.c.. ...................................................................................................................................... 119
4.1 La tesi che qualifica l’art. 2437-sexies c.c. come espressa deroga, nel sistema del diritto
delle società, al principio dell’intangibilità della sfera giuridica altrui. Conseguenze
applicative. Critica........................................................................................................................ 119
4.2 La natura del potere di riscatto: tra “diritto particolare” dei soci e diritto incorporato in
azioni.............................................................................................................................................. 124
5. Ricognizione delle conclusioni raggiunte.............................................................................. 134
CAPITOLO TERZO
LA DISCIPLINA DELLE AZIONI RISCATTABILI
Sezione Prima
INTRODUZIONE
1. Funzioni delle azioni riscattabili: sistema di chiusura e di “controllo” della compagine
sociale. ........................................................................................................................................... 137
2. L’evoluzione storica delle azioni riscattabili: dalla normativa comunitaria alle pronunce
giurisprudenziali dei giudici nazionali........................................................................................146
3. La «struttura finanziaria» della società per azioni nella riforma del diritto societario.
L’introduzione dell’art. 2437-sexies c.c.. Rilievi sulla natura delle azioni riscattabili e prime
osservazioni di ordine generale. Articolazione dei temi trattati ............................................. 154
Sezione Seconda
PROFILI SOSTANZIALI DELLA FATTISPECIE
4. Le azioni riscattabili e la clausola di prelazione. Neutralità del riscatto rispetto alla
circolazione dei titoli.................................................................................................................... 161
5. Le azioni riscattabili come «categoria di azioni» o come «azioni»: premessa. .................. 170
5.1 Le tesi relative alla configurabilità delle azioni riscattabili come «categoria di azioni». Le
azioni riscattabili come subcategoria o come categoria in dipendenza della situazione
soggettiva incorporata nei titoli o del soggetto legittimato ad esercitare il riscatto. Critica e
conclusioni. ................................................................................................................................... 171
5.2. Interpretazione della espressione «azioni» contenuta nell’art. 2437-sexies c.c.: l’ipotesi
del riscatto totalitario. .................................................................................................................. 177
6. Il problema della «consumabilità» del diritto o dell’onere di riscatto................................ 181
7. Le modalità e le condizioni di esercizio del riscatto............................................................ 182
7.1 Le indicazioni contenute nell’art. 39 della seconda direttiva. L’esperienza anglosassone.
........................................................................................................................................................ 184
7.2 Le tesi formulate anteriormente e successivamente alla introduzione dell’art. 2437-sexies
c.c. in merito alla previsione delle condizioni di riscatto. ....................................................... 188
7.3 In particolare: il problema della riscattabilità ad nutum. Prevalenza delle tesi negative.
Ammissibilità in base ad argomentazioni sistematiche. Conseguenze sul piano applicativo.
........................................................................................................................................................ 190
7.4 Esemplificazione di alcuni presupposti cui può essere subordinato l’esercizio del
riscatto. .......................................................................................................................................... 196
7.5 Ulteriori osservazioni in merito alle condizioni del riscatto............................................. 209
8. Una questione preliminare: i soggetti legittimati ad esercitare il riscatto. Premessa: il
problema del coordinamento con l’art. 2437- ter (rinvio). ..................................................... 212
8.1 L’attribuzione del riscatto «alla società».............................................................................. 213
8.2 L’attribuzione del riscatto «ai soci»: modalità di attribuzione e di esercizio................... 214
8.3 Azioni riscattabili ad opzione dei loro titolari: rinvio. ...................................................... 217
8.4 L’attribuzione del riscatto a terzi estranei alla compagine sociale. L’attribuzione
“diretta”. L’attribuzione attraverso il ricorso a schemi contrattuali. ..................................... 217
Sezione Terza
PROFILI PROCEDURALI DELLA FATTISPECIE
9. L’emissione di azioni riscattabili ............................................................................................ 223
10. Il rinvio alle disposizioni sul recesso e la loro applicazione nei limiti della compatibilità:
premessa........................................................................................................................................ 226
10.1 L’applicazione dei criteri di determinazione del valore delle azioni previsti dall’art.
2437-ter c.c.................................................................................................................................... 227
10.2 L’applicazione delle regole relative al procedimento di liquidazione delle azioni di cui
all’art. 2437-quater c.c.................................................................................................................. 238
10.3 L’applicabilità di altre parti della disciplina del recesso non richiamate espressamente
dall’art. 2437-sexies c.c.. .............................................................................................................. 248
11. Ambito e termini di applicazione della disciplina relativa all’acquisto delle azioni
proprie: premessa......................................................................................................................... 252
11.1 L’applicazione dell’art. 2357 c.c.. L’individuazione dell’organo competente ad
esercitare il riscatto. Il contenuto della delibera. Il limite del decimo del capitale sociale.. 253
11.2 L’applicazione dell’art. 2357-bis c.c................................................................................... 265
11.3 L’applicabilità di altre parti della disciplina dell’acquisto di azioni proprie non
richiamate espressamente dall’art. 2437-sexies c.c................................................................... 268
Sezione Quarta
ULTERIORI QUESTIONI INTERPRETATIVE DELLA FATTISPECIE
12. Gli effetti dell’esercizio del riscatto ..................................................................................... 270
13. La tutela in caso di emissione di azioni riscattabili............................................................ 271
14. Le garanzie costituite sulle azioni riscattate........................................................................ 273
15. La riscattabilità delle quote di società a responsabilità limitata........................................ 275
16. Ulteriori problemi interpretativi: azioni riscattabili emesse da società quotate e strumenti
finanziari partecipativi riscattabili. ............................................................................................. 281
CAPITOLO QUARTO
LE AZIONI REDIMIBILI
1. Premessa. Nozione di «azioni redimibili» e sua coerenza con altri istituti introdotti dalla
riforma del diritto societario. Il rapporto tra le azioni redimibili e le azioni riscattabili. .... 291
2. Le funzioni delle azioni redimibili: premessa ....................................................................... 294
2.1. Le operazioni di «private equity»: le azioni redimibili come strumento alternativo al
ricorso ad accordi di smobilizzo aventi natura obbligatoria................................................... 294
2.2 Le azioni redimibili come strumento di copertura finanziaria dei piani di «stock options»
e in funzione di integrazione societaria. .................................................................................... 302
3. L’inquadramento della fattispecie: premessa........................................................................ 305
3.1 Le azioni redimibili nella dottrina precedente e successiva alla riforma del diritto
societario. ...................................................................................................................................... 305
3.2 L’emissione di azioni redimibili non è impedita dal silenzio dell’art. 2437-sexies c.c..
L’individuazione della disciplina applicabile alle azioni redimibili. La tesi dell’applicazione
dell’art. 2437-sexies c.c.. Critica.................................................................................................. 307
3.3. Le azioni redimibili come fattispecie tipica. Critica. Le azioni redimibili come fattispecie
atipica. I limiti discendenti dall’applicazione dell’art. 2348 c.c............................................... 309
4. La disciplina delle azioni redimibili: premessa. .................................................................... 312
4.1 Le azioni redimibili come «categoria» e come «azioni»..................................................... 312
4.2 I presupposti ai quali può essere richiesto il riscatto delle azioni redimibili. ................. 313
4.3 Il rapporto con la disciplina del recesso: la natura atipica della fattispecie ne consente la
disapplicazione. ............................................................................................................................ 315
4.4 La disciplina dell’acquisto delle azioni proprie. La tutela dei creditori nel caso di riscatto
nei confronti della società. L’esperienza comparatistica. ........................................................ 317
5. Le azioni redimibili “ad tempus”: impostazione del problema. Un confronto con i c.d.
patti di «smobilizzo» della partecipazione................................................................................. 320
5.1 Argomenti contrari alla violazione del divieto del patto leonino. ................................... 323
5.2 L’emissione di azioni redimibili e loro “combinazione” con le limitazioni al diritto di
voto. ............................................................................................................................................... 325
6. Le azioni con diritto al riscatto emesse da società quotate. Gli strumenti finanziari
partecipativi con diritto al riscatto. ............................................................................................ 327
INDICE DELLE OPERE CITATE ....................................................................................... 331
GIURISPRUDENZA.................................................................................................................358
CAPITOLO PRIMO
LA DELIMITAZIONE DELLA FATTISPECIE
Sezione Prima
INTRODUZIONE
SOMMARIO: 1. Premessa: inquadramento del tema oggetto di studio e prime
distinzioni in merito ai “tipi” di riscatto. Riscatto finalizzato e non finalizzato.
Riscatto convenzionale e legale. – 2. Precisazioni in ordine alla terminologia e
al metodo espositivo adottato. – 3. Descrizione della struttura del lavoro. – 4.
Un richiamo alle teorie di analisi economica del diritto: la struttura economica
del riscatto di strumenti finanziari. Il riscatto di azioni come strumento di
esclusione del socio, come sistema di protezione delle minoranze e come
meccanismo di disinvestimento.
1. Premessa: inquadramento del tema oggetto di studio e prime
distinzioni in merito ai “tipi” di riscatto. Riscatto finalizzato e non
finalizzato. Riscatto convenzionale e legale.
Nell’inquadrare il meccanismo del riscatto, la letteratura civilistica
concorda generalmente su due aspetti: in primo luogo, sulla circostanza che il
termine «riscatto» viene utilizzato dal legislatore per identificare istituti non
sempre tra loro assimilabili o aventi, addirittura, natura e funzioni completamente
diverse; in secondo luogo, in merito al fatto che il riscatto – pur se declinato in
modo differente nei vari istituti in cui il legislatore vi ha fatto ricorso – si
presenta costantemente caratterizzato da una pluralità di rapporti giuridici tra loro
collegati, nei quali confluiscono coppie di situazioni giuridiche soggettive –
come, ad esempio, potere e soggezione – favorevoli o sfavorevoli, distribuiti in
misura diversa tra due (o più) soggetti e riconducibili alla categoria dei diritti
potestativi (1).
(1) Per un esame del fenomeno in ambito civilistico, si veda S. PASSARELLI, Dottrine
generali del diritto civile, Napoli, 1944, pp. 72-73, il quale qualifica il riscatto come diritto
potestativo, affermando che le critiche rivolte contro tale categoria sarebbero frutto di una
concezione inadeguata del diritto soggettivo; v. G. GORLA, La compravendita e la permuta, in
Trattato di dir. civ., diretto da Vassalli, Torino, 1937; D. RUBINO, La compravendita, in Trattato dir.
civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1962; P. GRECO - G. COTTINO, Della vendita
(sub artt. 1470-1547), in Commentario del Codice Civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma,
1981, p. 334, i quali si riferiscono alla tesi che configurano il riscatto quale insieme di diritti
potestativi di segno opposto come «…la più plausibile»; A. LUMINOSO, La vendita con riscatto, in
7
Azioni riscattabili
Ancor prima della riforma del diritto societario del 2003, anche la
dottrina commercialistica ha avuto modo di trattare il tema della clausola di
riscatto di azioni, riscontrando nello “schema” di quest’ultima i medesimi
elementi tipici dei diritti potestativi, già messi in luce dalla letteratura civilistica
con riferimento ad altri istituti; svolgendo un’accurata analisi delle
problematiche suscitate dalla figura; e concludendo, infine, per la sua
legittimità, pur in mancanza di un espresso riconoscimento da parte del diritto
positivo interno (2).
Il Codice Civile Commentato, a cura di P. Schlesinger, Milano, 1987, passim e spec. pp. 311-318 il
quale, a tale proposito, nota che «Il nucleo centrale di siffatto rapporto complesso è costituito
dalla situazione di natura strumentale intesa ad assicurare al venditore il raggiungimento del
risultato finale che caratterizza, sotto il profilo teleologico, il riscatto nella vendita. Il potere di
riscattare il bene venduto e la soggezione al riscatto (che formano il rapporto di riscatto in
senso stretto) rappresentano, all’interno del rapporto complesso di riscatto, due situazioni
soggettive, tra loro correlate, indefettibili. Le altre posizioni soggettive riconducibili a questo
rapporto (aventi anch’esse carattere strumentale, in quanto volte a salvaguardare il riacquisto
finale del bene) svolgono invece un ruolo accessorio, nel senso che – quando vi sono –
esistono in funzione delle altre due e, soprattutto, sono destinate ad assistere l’esercizio del
riscatto. Per quanto attiene alla natura del potere di riscatto, deve ricordarsi che la prevalente
dottrina e parte della giurisprudenza, nell’escludere che possa comunque trattarsi di un diritto
reale o di credito, sono inclini a configurare un diritto potestativo…Parrebbe comunque che,
ove si negasse l’ammissibilità della categoria dei diritti potestativi, il riscatto andrebbe
configurato come potere (in senso stretto)». Va, tuttavia, segnalato che il cit. a. rileva (p. 61)
come nel caso del riscatto risulti particolarmente difficoltoso ricondurre tale meccanismo a
modelli generali previsti dalla legge, essendo invece opportuno rendersi conto che «…il patto
di riscatto potrebbe anche presentare, nel nostro sistema positivo, note così originali e peculiari
da impedirne l’inquadramento in qualunque categoria dogmatica in precedenza enucleata. E
neppure può escludersi a priori che, sotto il profilo dei suoi effetti, il riscatto non possieda
contorni talmente netti e decisi da poter essere definito o unicamente come ipotesi di
rimozione (retroattiva o non retroattiva) di un precedente rapporto contrattuale o soltanto
come ipotesi di proprietà temporanea ovvero di ritrasferimento di un diritto. Potrebbe anche
darsi, in altre parole, che in esso confluiscano assieme – magari in una combinazione e con un
dosaggio tutti particolari – una vicenda di tipo «ripristinatorio» concernente la titolarità del
diritto venduto e una vicenda (latu sensu) «estintiva» relativa al contratto di vendita»; nello
stesso senso, F. BOCCHINI, Vendite con contenuti speciali, in Trattato dir. priv., diretto da P.
Rescigno, Torino, 2000, p. 679; M. BIANCA, Il contratto, 3, Milano, 2000; B. CARPINO, voce
«Riscatto (dir. civ.)», in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, pp. 1108-1109.
(2) Il riferimento è, in particolare, all’unico lavoro monografico dedicato al tema, ad
opera di L. CALVOSA, La clausola di riscatto nella società per azioni, Milano, 1995, il cui
intendimento è quello di esaminare le ipotesi di riscatto già conosciute dal codice civile e dalle
leggi speciali «al fine di verificare se al termine in esame possa fare riscontro, pur nella diversità
delle discipline, un significato unitario che operi come minimo comun denominatore per le
ipotesi tutte così denominate. Senza peraltro dimenticare che al nomen iuris usato dal legislatore
non può attribuirsi valenza qualificativa, perché l’individualità connotativa di ogni fenomeno
giuridico scaturisce dal profilo funzionale del medesimo, mediante il quale viene, per così dire,
a colorarsi la struttura, che altrimenti potrebbe essere del tutto neutra ed incolore. S’intende
che anche sul piano giuridico – in cui ad ogni parola deve essere attribuito il senso fatto palese
dal significato proprio di essa e dall’intenzione del legislatore – la parola è un segno che “al di
8
CAPITOLO I
là di se stesso, rimanda a qualcos’altro che a sua volta possiede un carattere essenzialmente
extralinguistico”»; nonché ID., Clausola di riscatto delle azioni in favore dei soci superstiti e divieto dei
patti successori, in BBTC, 1996, II, p. 164.; ID., Morte del socio, clausola di riscatto delle azioni in favore
dei soci superstiti e divieto dei patti successori, in BBTC, 1993, II, p. 637; ID., Clausole di riscatto di azioni
e divieto dei patti successori, in BBTC, 1992, I, p. 635; ID., Sulle cc.dd. clausole di riscatto, in BBTC, II,
1991, p. 115.
Un altro lavoro monografico che ha dato rilievo al tema del riscatto azionario, dal
punto di vista del suo utilizzo come tecnica di esclusione del socio, è quello di M. PERRINO, Le
tecniche di esclusione del socio dalla società, Milano, 1997, in particolare al cap. IV, sez. III, e a p. 26
laddove l’a. svolge interessanti osservazioni in ordine all’ambito di applicazione della clausole di
riscatto nelle società per azioni consortili e cooperative, affermando «Ora, è invero piuttosto
diffusa nella prassi statutaria di tali società la previsione di “clausole di riscatto”, che
attribuiscono cioè alla società il potere di riacquistare coattivamente le proprie azioni in
qualsivoglia caso di interruzione della prestazione; clausole che hanno recentemente attirato
l’attenzione degli interpreti, formando oggetto di un vivace dibattito, insieme dottrinale e
giurisprudenziale in ordine alla loro ammissibilità e, in caso di soluzione affermativa, al tipo di
loro efficacia…Ma vi è di più. Vi sono ulteriori fatti, diversi dall’inesecuzione delle prestazioni
accessorie, ma altrettanti idonei a sollecitare un interesse del gruppo all’espulsione di uno dei
suoi membri – quali la morte del socio, oppure la perdita o comunque il difetto da parte di
questi di requisiti d’ordine soggettivo (ad esempio, familiare o professionale) che ne esprimano
l’appartenenza ad un medesimo gruppo sociale di riferimento – che uno sguardo allargato sulla
complessa fenomenologia societaria non solo italiana, consente di riconoscere, rispetto ai quali
altri ordinamenti giuridici predispongono, ovvero ammettono come espressione di autonomia
privata, meccanismi analoghi alle summenzionate clausole di riscatto, per ciò stesso considerate
quale strumento duttile e idoneo (nella società a struttura organizzativa capitalistica) per una
adeguata composizione degli interessi in gioco».
Prima della riforma del diritto societario, hanno analizzato il problema del riscatto
azionario con riferimento al rapporto tra autonomia privata e circolazione delle azioni, L.
STANGHELLINI, I limiti statutari alla circolazione delle azioni, Milano, 1997; e D. U. SANTOSUOSSO,
Il principio della libera trasferibilità delle azioni - Eccesso di potere nelle modifiche della circolazione, Milano,
1993. Il meccanismo del riscatto è stato oggetto di studio anche con riferimento alla sua
previsione in leggi speciali quali il d. lgs. 20 novembre 1990, n. 356 emanato in attuazione della
legge delega 30 luglio 1990, n. 218 (c.d. «Legge Amato»), e la legge 5 agosto 1981, n. 416 (c.d.
«Legge sull’editoria»). Quest’ultima contemplava un sistema sanzionatorio tale per cui per
l’ipotesi in cui si fossero violate le prescrizioni dettate in tema di trasparenza proprietaria si
sarebbe nominato un amministratore giudiziario con il compito di convocare l’assemblea e di
provvedere alla modificazioni statutarie necessarie per rispettare le disposizioni di legge: sul
punto, tuttavia, la dottrina aveva segnalato come alla laconicità della disciplina relativa ai poteri
dell’amministratore giudiziario fosse l’interprete a porre rimedio, riconoscendo in capo al
medesimo amministratore giudiziario il potere di riscattare le azioni ma solo qualora nello
statuto sia presente una clausola che disponga in tale senso posto che «la coloritura
pubblicistica della legge sull’editoria [non può essere] tale da incidere e affievolire a tal punto i
diritti individuali e la disciplina di diritto comune societaria». Si veda, sul punto, il commento di
P. MARCHETTI, in Le nuove leggi civili comm., 1983, I, art. 48, p. 678; contra, A. CERRAI, Le imprese
editoriali, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 8, Torino, 1992, p. 343 e
spec. p. 426-429.
La giurisprudenza ha più volte avuto modo di esprimersi sul tema del riscatto di
azioni. Così è stata ammessa la legittimità di tali clausole da Cass. 16 aprile 1994, n. 3609, in
Società, 1994, p. 1185, con nota di R. CARAVAGLIOS, Trasferimento di azioni e limiti al divieto dei patti
successori; la precedente sentenza riformava la pronuncia di App. Roma, 28 aprile 1992, in Giur.
it., 1993, I, 2, c. 488, con nota di P. REVIGLIONO, Limiti convenzionali alla circolazione delle azioni e
trasferimenti «mortis causa»; e in Corr. giur., 1992, p. 33, con nota di G. M. BERRUTI Clausole
statutarie e divieto di patti successori. Altre pronunce fondamentali sono quelle del Trib. Milano, 17
aprile 1982, (decr.), che si oppose alla omologazione di una delibera introduttiva di una clausola
9
Azioni riscattabili
L’obiettivo che si propone il presente studio è di individuare gli elementi
tipologici e di delineare la disciplina dell’istituto delle azioni riscattabili,
introdotto dalla riforma societaria e attualmente regolato dall’art. 2437-sexies
c.c. La norma, che contempla un’ipotesi convenzionale di riscatto, prevede che
«Le disposizioni degli artt. 2437-ter e 2437-quater si applicano, in quanto
compatibili, alle azioni o categorie di azioni per le quali lo statuto prevede un
potere di riscatto da parte della società o dei soci. Resta salva in tal caso
l’applicazione della disciplina degli artt. 2357 e 2357-bis» (3). Si tratta, già a
prima vista, di una norma peculiare sia per la sua collocazione sistematica, essendo
inclusa nella sezione X del capo V del libro quinto unitamente alle disposizioni
relative alle modificazioni statutarie e non, invece, nell’ambito della disciplina
delle azioni4; sia per la tecnica legislativa adottata dal legislatore, caratterizzata da
di riscatto e quella di App. Milano, 14 luglio 1982 (decr.), con la quale la prima è stata
riformata, entrambe pubblicate in BBTC, 1983, II, p. 506 ss., con nota di G. CARCANO, Riscatto
di azioni e azioni riscattabili; e in Giur. comm., 1983, II, p. 397, con nota di G. PRESTI, Le clausole di
riscatto nella società per azioni. La fattispecie considerata dalla pronuncia del Tribunale di Milano
riguarda la creazione di azioni riscattabili da parte di una società: ciò avveniva attraverso una
delibera di trasformazione di un certo numero di azioni ordinarie detenute dalla società in
azioni con prestazioni accessorie, dotate della clausola di riscattabilità da parte della società.
Tali azioni venivano in particolare create con lo scopo di trasferirle successivamente ad un
dirigente della stessa al fine di vincolarlo maggiormente alla sorte della società; G. B. PORTALE,
Azioni con prestazioni accessorie e clausole di riscatto, in Riv. Soc., 1982, p. 703 ss.; si considerino,
inoltre, anche Trib. Milano, 14 luglio 1988, in BBTC, 1991, II, p. 106 con nota di L. CALVOSA,
Sulle c.d. clausole di riscatto; App. Milano, 12 luglio 1991, in BBTC, II, 1992, p. 572, con nota di R.
LENER, Brevi riflessioni in tema di circolazione dei titoli azionari.
(3) Accanto a tale ipotesi si pensi anche un’altro caso di riscatto la cui disciplina è
demandata alla volontà delle parti: il riferimento è all’art. 2349 c.c. il quale, disciplinando
l’assegnazione ai dipendenti della società di strumenti finanziari, prevede che la relativa delibera
di emissione possa anche prevedere cause di riscatto la cui articolazione – sembra doversi
intendere – è devoluta all’autonomia delle parti.
(4) Va, tuttavia, ricordato che, in una bozza di articolato della riforma del diritto
societario, la disciplina delle azioni riscattabili era regolata dall’art. 2351-ter unitamente alle altre
disposizioni dedicate alle azioni. L’originaria formulazione della norma prevedeva peraltro che
«1. Se l’atto costitutivo lo consente possono essere emesse, in misura non superiore al quarto
del capitale sociale, azioni riscattabili su richiesta della societa` emittente, dei titolari di queste
azioni o di entrambi. L’atto costitutivo determina le condizioni e le modalita` del riscatto. 2. Le
azioni riscattabili devono essere interamente liberate al momento della sottoscrizione. 3. La
societa` non puo` riscattare le azioni se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve
disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato, ovvero mediante i proventi di
una nuova emissione di azioni effettuata per il riscatto. Se non esistono utili distribuibili o
riserve disponibili e non si procede ad una nuova emissione di azioni per finanziare il riscatto,
esso puo` avvenire soltanto nel rispetto delle disposizioni sulla riduzione del capitale
esuberante ovvero, qualora l’atto costitutivo lo consenta e nel rispetto delle modalita` ivi
previste, mediante acquisto delle azioni da parte di un socio o di un terzo. 4. Qualora il riscatto
avvenga nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio
10
CAPITOLO I
una serie di rinvii a disposizioni governanti istituti diversi come il diritto di
recesso e l’acquisto di azioni proprie; sia, infine, per la sua estrema sinteticità che
lascia irrisolti molti problemi di natura interpretativa.
Come si avrà modo di vedere in seguito, le ragioni che giustificano un
approfondimento del tema delle azioni riscattabili sono varie. In questa sede
basti anticipare la premessa da cui muove l’indagine. In considerazione della
peculiarità dell’istituto, ma anche delle possibili interferenze con altre figure
disciplinate dal diritto societario, le azioni riscattabili non devono essere intese
come un “serbatoio” dal quale l’interprete possa “attingere” principi e regole
da applicare ad altri istituti o, viceversa, riferirsi a questi ultimi per cercare di
colmare i “vuoti” di disciplina caratterizzanti l’art. 2437-sexies c.c. (5). E’ bene,
invece, chiarire sin da subito che l’istituto disciplinato dall’art. 2437-sexies si
connota di elementi tipologici propri che lo differenziano sia dalle clausole di
riscatto, sia dagli obblighi di acquisto di azioni previsti in tema di circolazione
delle azioni (art. 2355-bis c.c.) e nell’ambito della disciplina della fusione per
incorporazione di società possedute al novanta per cento (art. 2505-bis c.c.) e
della scissione non proporzionale (art. 2506-bis c.c.) e (6). Se, infatti, da una
parte, è innegabile che le azioni riscattabili condividono, con altre figure di
riscatto previste dal legislatore, alcuni elementi – ad esempio il fatto di
regolarmente approvato, una riserva indisponibile pari all’importo del valore nominale o, in
mancanza, del valore contabile delle azioni riscattate iscritto all’attivo del bilancio deve essere
costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o annullate.». Si veda: AA.VV., La
riforma del diritto societario. Lavori preparatori. Testi e materiali, a cura di M. Vietti, F. Auletta, G. Lo
Cascio, U. Tombari, A. Zoppini, Milano, 2006, p. 1089.
(5) Si pensi, in particolare, agli «obblighi di acquisto» contemplati dall’art. 2355-bis c.c,.la
cui previsione in statuto determina l’efficacia di clausole di gradimento mero, di cui di seguito
nel testo; oppure, la discussa figura delle azioni redimibili (su cui si rinvia infra, passim e spec. al
cap. IV).
(6) Ed infatti l’art. 2355-bis – dettato in tema di limiti alla circolazione delle azioni –
prevede, in alternativa al riconoscimento di un diritto di recesso, la previsione di un obbligo di
riscatto da parte della società o dei soci quale condizione cui è subordinata l’efficacia di clausole
di c.d. «mero gradimento»; l’art. 2437-sexies – contemplato nell’ambito delle modificazioni
dell’atto costitutivo e, più precisamente, in seno alla disciplina del recesso – prevede la facoltà
di emettere azioni o categorie di azioni riscattabili ad opzione della società o degli altri soci;
l’art. 2506-bis – disciplinante la scissione non proporzionale – dispone che essa è efficace solo
se sia previsto un diritto di riacquisto delle azioni da parte della società o degli altri soci; l’art.
2505-bis, invece, prevede che l’esonero dalla relazione degli esperti di cui all’art. 2501-sexies sia
legittimo nel caso in cui venga concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far
acquistare le proprie azioni e quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato
alla stregua dei criteri previsti per il recesso.
11
Azioni riscattabili
caratterizzarsi per la presenza di posizioni soggettive tra loro diversificate (in
particolare di potestà e di soggezione) – è altrettanto vero, dall’altra parte, che
esse si caratterizzano per la presenza di elementi tipici propri.
Da qui nasce l’esigenza di delimitare sin da subito il campo della ricerca
facendo presente che lo studio della fattispecie disciplinata dall’art. 2437-sexies
c.c. riguarda una ipotesi di riscatto di azioni convenzionale e «non finalizzato». Con
tale ultimo termine la dottrina è solita identificare un meccanismo consistente
nel “richiamo”, da parte dell’emittente, della proprietà delle azioni non diretto
– come nel caso disciplinato dall’art. 2357-bis, n. 1, c.c. – alla riduzione del
capitale sociale (7). Nel caso dell’art. 2437-sexies c.c., infatti, il diritto di riscattare
le azioni è attribuibile sia ai soci sia alla società e, nel caso in cui sia riconosciuto in
capo a quest’ultima, il suo esercizio si concretizzerà in un atto autoritativo non
(7) Con il termine «riscatto finalizzato» si intende invece indicare il meccanismo
contemplato dall’art. 2357-bis c.c.. Tale disposizione prevede, infatti, che le limitazioni
contenute nell’art. 2357, relativo alla disciplina dell’acquisto delle azioni proprie, non trovino
applicazione, tra l’altro, anche nel caso in cui il riscatto costituisca una modalità con la quale
venga eseguita una deliberazione di riduzione del capitale sociale, con conseguente
annullamento delle azioni Occorre subito precisare che il «riscatto finalizzato» alla riduzione del
capitale non costituirà oggetto del presente studio. In ogni caso, è bene mettere in luce alcune
delle peculiarità e dei punti più problematici che connotano l’istituto in esame: (i) secondo una
parte della dottrina si tratterebbe di un acquisto «spurio di mera modalità di attuazione della
riduzione del capitale rispetto ad una riduzione che operi con riguardo a tutte le azioni» (in tale
senso, G. PARTESOTTI, Le operazioni sulle azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E.
Colombo e G.B. Portale, Torino, 1999, 2, I, p. 417; F. CARBONETTI, L’acquisto di azioni proprie,
Milano, 1988; B. POZZO, L’acquisto di azioni proprie, Milano, 2003, p. 220; F. BOCHICCHIO, «Buy
back» e riduzione del capitale sociale, Padova, 2000; P. SANTOSUOSSO, Le azioni proprie nel’economia
dell’impresa, Milano, 2004; L. ARDIZZONE, La riduzione del capitale mediante annullamento di azioni
proprie: spunti e riflessioni da alcuni casi pratici, in Riv. Soc., 2001, p. 639 e ss.); (ii) è stato sottolineato
dalla dottrina come, nel caso del riscatto finalizzato, si ponga il problema relativo al criterio con
cui operare la riduzione del capitale e se, in particolare, questa debba avvenire con incidenza
proporzionale a tutte le azioni o, piuttosto, attraverso il sorteggio delle azioni (S. PATRIARCA,
Le azioni di godimento, Padova, 1992, p. 35 e ss.); (iii) sono stati anche tratteggiati i caratteri che
connotato l’istituto di cui all’art. 2357-bis e la riduzione volontaria del capitale di cui all’art.
2445 rilevando che, pur sovrapponendosi parzialmente, le due fattispecie sarebbero diverse,
posto che, in primo luogo, nel caso di riduzione del capitale ex art. 2445 non si realizzerebbe
una vicenda traslativa in quanto le azioni verrebbero annullate in capo al socio che ne è titolare
(v. L. CALVOSA, La clausola, p. 38); e, in seconda istanza, solamente nel caso di riscatto ai sensi
dell’art. 2357-bis sarebbe possibile riscattare le azioni sopra alla pari e non, necessariamente, al
valore nominale, con conseguente riduzione del capitale e anche delle riserve al fine di coprire
la differenza tra valore nominale e corrispettivo, in quanto «…la società non è tenuta ad
effettuare il riscatto o l’acquisto delle azioni con riserve disponibili o utili distribuibili. D’altra
parte l’art. 2357-bis, n. 1 non fissa alcun limite al prezzo di acquisto o di riscatto, che può
perciò essere uguale, inferiore o superiore al valore nominale delle azioni acquistate o
riscattate» (v. R. NOBILI - M. S. SPOLIDORO, La riduzione del capitale, in Trattato delle Società per
azioni, diretto da Colombo e Portale, 6 *, Torino, 1993, p. 417-418).
12
CAPITOLO I
(necessariamente) destinato a concludersi con l’annullamento delle azioni;
mentre il riscatto finalizzato alla riduzione del capitale può probabilmente
qualificarsi come atto esecutivo esercitabile dalla sola società (8).
L’emissione di azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. è inoltre
il risultato di un accordo dei soci nell’esercizio della autonomia statutaria
riconosciuta dall’art. 2348 c.c.. Quando invece si tratta di assicurare ai soci – e
in particolare a quelli di minoranza – la libertà di trasferire le proprie azioni o di
manifestare il proprio dissenso rispetto a decisioni assunte dalla maggioranza, il
legislatore è ricorso a figure variamente denominate, assimilabili sotto certi
profili all’art. 2437-sexies c.c. e dirette, infine, a dare un impulso al
procedimento di liquidazione delle azioni (9). Ci si riferisce, in particolare, agli
obblighi previsti previsti dall’art. 2355-bis c.c. che – dettato in tema di limiti alla
circolazione delle azioni – prevede che, nel caso in cui il trasferimento dei titoli
sia subordinato a un mero gradimento, la relativa clausola è inefficace se non è
previsto a carico della società o degli altri soci un obbligo diretto a riscattare le
azioni del socio che ha manifestato la volontà di alienare le proprie azioni; e,
inoltre, all’art. 2506-bis c.c., ai sensi del quale il progetto di scissione con
assegnazione delle partecipazioni non proporzionale alla quota originariamente
detenuta nella società scindenda deve prevedere, a favore dei soci dissenzienti
rispetto all’operazione, il diritto di far acquistare le proprie partecipazioni per
un corrispettivo determinato secondo i criteri dettati per il recesso, indicando
altresì quali sono i soggetti a cui carico è posto l’obbligo di acquisto (10).
(8) E’ infatti condivisibile l’opinione espressa sul punto da R. NOBILI, La riduzione del
capitale, in Il nuovo diritto societario. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P.
Abbadessa e G.B. Portale, 3, Milano, 2007, p. 341.
(9) Il diritto civile conosce anche altre ipotesi di riscatto legale, con riferimento alle
quali va ricordato quanto meno l’art. 732 c.c., relativo al diritto di prelazione dei coeredi
nell’ipotesi in cui uno di essi desideri alienare ad un estraneo la propria quota di eredità(o una
parte di essa): in questo caso, il legislatore riconosce un diritto legale di riscatto esercitabile da
parte degli eredi diversi dall’alienante nel caso in cui quest’ultimo voglia alienare la quota ad un
estraneo. Sul punto, v. N. ATLANTE, Il diritto di prelazione, in Successioni e Donazioni, a cura di P.
Rescigno, II, Padova, 1994; G. BONILINI, Retratto successorio, in Dig. it., IV, civ., XVII, Torino,
1998; G. IUDICA, Diritto dell’erede del coerede alla prelazione ereditaria, in Riv. dir. civ., , 1981, p. 470.
(10) Ci si è già soffermati sulla ipotesi di riscatto prevista dall’art. 2357-bis, lasciata
inalterata dalla intervento della riforma del diritto societario del 2003.
13
Azioni riscattabili
2. Precisazioni in ordine alla terminologia e al metodo espositivo
adottato.
Uno degli aspetti che può mettere a disagio l’interprete quando affronta
il tema delle azioni riscattabili è senza dubbio rappresentato dalla terminologia
utilizzata per descrivere il fenomeno (11). Al fine di evitare fraintendimenti, si
intende pertanto chiarire sin da ora il significato dei termini che verranno
adottati nel seguito del lavoro.
Si è fatto ricorso al termine «azioni riscattabili» per indicare le azioni
emesse da una società per azioni o in accomandita per azioni ai sensi dell’art.
2437-sexies c.c.. Si tratta quindi di azioni per le quali lo statuto riconosce per la
società o i soci un potere di riscatto nei confronti degli stessi titolari delle
azioni.
Questa espressione deve essere messa in relazione con un’altra cui si è
fatto frequentemente ricorso nel presente studio: ovvero il termine «clausola di
riscatto». Con esso si sono volute indicare le previsioni – contenute in statuti ma
anche in accordi parasociali – per effetto delle quali un soggetto – la società,
uno o più soci o, secondo le tesi più permissive, terzi estranei alla compagine
sociale – hanno, a seconda dei casi, il diritto o l’obbligo, di riscattare le azioni di
titolarità di un altro socio, previo pagamento di un corrispettivo che, almeno
tendenzialmente, dovrebbe rispecchiare il valore reale dei titoli oggetto del
riscatto (12). Si tratta pertanto di un termine il cui significato ha contorni meno
(11) E’ frequente infatti imbattersi nell’uso indifferenziato di termini quali «clausola di
riscatto», «riscatto di azioni», «azioni riscattabili», «azioni redimibili», etc..
(12) Si veda, per tutti, L. CALVOSA, La clausola, p. 5. Si ricordi, tuttavia, che il riscatto
azionario è cosa bene diversa da una vendita di azioni cui accede un patto di riscatto ai sensi
degli artt. 1500 e ss. c.c., posto che le due figure si differenziano sotto diversi profili. In primo
luogo, in quanto nel caso della vendita con riscatto il bene oggetto del contratto (nel caso di
specie le azioni) vengono riacquisite dal titolare originario; mentre, per quanto attiene al
riscatto di azioni, esso può essere attivato anche da un soggetto diverso (ovvero gli altri soci o,
probabilmente, anche un terzo) rispetto a chi (la società emittente) aveva inizialmente emesso e
trasferito le azioni: pertanto l’effetto traslativo che comporta il ritrasferimento delle azioni si
può in questo caso realizzare tra soggetti diversi da quelli tra cui era intervenuto il negozio
originario. In secondo luogo, nel caso della vendita, il riscatto è attivato in base ad una mera
manifestazione di volontà del venditore, dove, nel caso di riscatto di azioni, si ritiene
generalmente necessario dedurre in statuto un evento, verificatosi il quale, il soggetto cui è
stato attribuito il diritto di riscatto, essendo stata esclusa la legittimità di una clausola di riscatto
sottoposta ad una condizione meramente potestativa (ma il punto non è del tutto condiviso:
14
CAPITOLO I
definiti rispetto alle azioni riscattabili; che necessita, di volta in volta,
opportune precisazioni; e rispetto al quale quest’ultimo istituto potrebbe essere
immaginato come un sottoinsieme (13).
Il termine «obbligo di riscatto» è stato infine utilizzato con lo scopo di
indicare, congiuntamente, istituti tra loro affini che il legislatore ha identificato
in maniera diversa: più specificamente, a seconda dei casi, come «obbligo di
acquistare» (art. 2355-bis c.c.) o «diritto di far acquistare» (artt. 2505- bis e 2506bis c.c.) le proprie partecipazioni.
L’espressione «azioni redimibili» è stata infine utilizzata per distinguere,
rispetto alle azioni ex art. 2437-sexies c.c., titoli rappresentativi di capitale di
rischio che attribuiscono ai rispettivi titolari un’opzione di vendita nei
confronti della società o degli altri soci (14).
Da un punto di vista metodologico, infine, non si è ritenuto opportuno
dedicare un autonomo capitolo alla descrizione della disciplina dell’istituto in
esame negli altri ordinamenti, ritenendo più appropriato richiamarne le relative
disposizioni in concomitanza dell’analisi dei singoli problemi trattati, onde
poter verificare, di volta in volta, la portata delle singole soluzioni ivi adottate e
l’eventuale compatibilità delle stesse con i principi e le norme contenute nel
diritto societario interno.
cfr. infra, cap. IV). In terzo luogo, sono differenti anche le modalità di corresponsione del
prezzo, in considerazione del fatto che, mentre l’art. 1501 c.c. indica tra gli obblighi del
soggetto riscattante quello di restituire il prezzo oltre le spese, l’art. 2437-sexies c.c. richiama i
criteri di liquidazione dettati dall’art. 2437 c.c. in tema di recesso.
(13) Le differenze tra le azioni riscattabili e le clausole di riscatto sono tratteggiate
infra, al cap. II, sub § 2.5 In questa sede basti accennare al fatto che se è vero che le azioni
riscattabili saranno pur sempre disciplinate da una clausola di riscatto contenuta nello statuto
ed, eventualmente, nella delibera di aumento di capitale che ne determina l’emissione, non è
altrettanto vero il contrario in quanto non è certo che la previsione di una clausola di riscatto si
riferisca ad una caratteristica intrinseca dei titoli azionari, potendosi sostanziarsi in una clausola
attributiva di un potere di riscatto ad un socio predeterminato nello statuto (o in patti
parasociali) nei confronti di tutte o parte delle azioni detenute da uno o più altri soci. La
differenza tra le due figure è stata peraltro riscontrata dalla prima dottrina che si è espressa sul
punto dopo la riforma del diritto societario: si veda sul punto F. FERRARA JR. – F. CORSI, Gli
imprenditori e le società, 2006, p. 464 i quali rilevano che «la differenza rispetto alla clausola di
riscatto risiede nel fatto che qui la riscattabilità è inerente al titolo, essendo statutariamente
prevista non in via generale, ma con riferimento a determinate azioni o categorie di azioni».
(14) La circostanza che tale opzione sia disciplinata nel contesto dello statuto sociale
consente di distinguere questa ipotesi dalle clausole c.d. «put», su cui infra nel testo, cap. I, sub §
2.4.
15
Azioni riscattabili
3. Descrizione della struttura del lavoro.
Il presente studio è articolato in quattro parti.
La prima (cap. I) è dedicata alla delimitazione della fattispecie «azioni
riscattabili» e consiste in un esame della struttura economica del riscatto
attraverso il richiamo delle teorie di analisi economica del diritto (sez. I). Viene
quindi condotto un confronto tra le azioni riscattabili ed altri istituti che
potrebbero parzialmente sovrapporsi con esse ma che si collocano decisamente
al di fuori della fattispecie (sez. II).
In questo modo lo studio degli elementi della fattispecie disciplinata
dall’art. 2437-sexies c.c., contenuto nella seconda parte della ricerca (cap. II),
dovrebbe dimostrarsi più agevole. L’analisi è in questo caso articolata in modo
tale da chiarire alcuni problemi, di ampio respiro, già affrontati in passato dalla
dottrina e riproposti dalla norma in esame. Si tratta, più in particolare, del
profilo relativo all’efficacia delle clausole contenute negli statuti finalizzate a
regolare rapporti tra soci senza il coinvolgimento della società; alla natura delle
azioni riscattabili, con particolare riguardo ad una loro possibile configurazione
come limite convenzionale alla circolazione dei titoli; alla eventuale compatibilità
delle situazioni potestative ricorrenti nello schema delle azioni riscattabili – con
particolare riguardo alla posizione di soggezione generata dalla previsione di un
dovere di riscatto – rispetto alla nozione dei «diritti diversi», contemplata nell’art.
2348 c.c..
Le conclusioni raggiunte in questo capitolo sono funzionali ad una
migliore comprensione dei problemi posti dalla disciplina dell’art. 2437-sexies
c.c.., trattata nella terza parte della ricerca (cap. III). L’analisi viene condotta
prendendo in considerazione i profili sostanziali della fattispecie (sez. I), quelli
legati alla procedura di riscatto e alla liquidazione delle azioni (sez. II), nonché
ulteriori aspetti interpretativi relativi all’ambito di applicazione della norma
(sez. III). Questa parte del lavoro aspirerebbe a dotare l’interprete di alcuni
strumenti utili per risolvere alcune problematiche di natura tecnica collegate
alla concreta applicazione della norma. Si è infatti cercato di dare una risposta
ai seguenti quesiti: (i) quali sono i limiti all’autonomia statutaria rispetto alla
16
CAPITOLO I
previsione dei termini e delle condizioni di riscatto; (ii) in quale modo e in quale
misura si applichino alle azioni riscattabili le disposizioni dettate in tema di
recesso e di acquisto di azioni proprie; (iii) se la previsione di condizioni cui
subordinare il diritto di riscatto sia un elemento della fattispecie oppure se sia
legittimo regolare l’emissione di azioni di riscattabili in modo tale da attribuire
alla società o ai soci la facoltà di esercitare il riscatto ad nutum; (iv) quale sia
l’organo competente ad esercitare il riscatto quando esso è riconosciuto in capo
alla società; (v) se, e in quale misura la norma che disciplina le azioni riscattabili
possa essere applicata a strumenti finanziari diversi dalle azioni e, in particolare,
agli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c..
L’ ultima parte del lavoro (cap. IV) è infine dedicata all’analisi delle
azioni redimibili. A differenza delle azioni riscattabili, le azioni redimibili si
caratterizzano per il fatto di incorporare un diritto di riscatto attivabile dai
rispettivi titolari nei confronti della società o degli altri soci. Sul punto si sono
sino ad ora registrate opinioni differenziate: alcune dirette ad escludere la
legittimità della figura per incompatibilità con i principi e le regole poste a
tutela dell’integrità del capitale sociale (15); altre volte ad ammetterne l’ingresso
nell’ordinamento in ragione di interpretazioni estensive – a dire il vero non
irresistibili – dell’art. 2437-sexies c.c.. (16). A prescindere dalla individuazione del
(15) Ma, a ben vedere questo problema potrebbe porsi solamente nel caso in cui il
soggetto passivo della redemption sia la società.
(16) Va sposata peraltro la tesi di M. NOTARI, Disposizioni generali. Conferimenti. Azioni, in
AA.VV., Diritto delle società di capitali, Milano, 2006, p. 143 in base alla quale lo statuto può
riservare una o più cause convenzionali di recesso solamente ad alcune azioni che costituiranno
pertanto una categoria speciale. Se tale ipotesi possa distinguersi da quella in cui l’autonomia
statutaria configuri categorie di azioni per le quali la società o alcuni soci abbiano un obbligo di
riscatto, sarà verificato infra cap. II e, con riferimento alle azioni redimibili, al cap. IV. In tema
di rapporto tra diritto al mantenimento della qualità di socio e diritto al disinvestimento si
leggano le considerazioni di G. FERRI JR., Investimento e conferimento, Milano, 2001, passim ma
spec. p. 154 ss., nel testo e in nota 70, laddove si rileva un capovolgimento di ottica per quanto
attiene agli interessi sottostanti la disciplina societaria posto che «mentre all’origine, infatti, si
discorreva, in un’ottica tipicamente associativa del mantenimento della qualità di socio in
termini di diritto, di diritto allora a non disinvestire, è andato poi affermandosi un diverso punto
di vista, tendente a configurare all’opposto, un vero e proprio diritto a disinvestire; è il caso oltre
che del diritto di recesso, altresì del diritto di vendere la partecipazione , che sorge in capo ai
destinatari di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria»; v. anche A. DENTAMARO, Il diritto al
disinvestimento nelle società per azioni, in Riv. dir. comm., 2004, I, pp. 442- 444 la quale, condividendo
le affermazione del Ferri testè riportate, sottolinea come «con specifico riferimento alle forme
di disinvestimento integrale individuale della partecipazione sociale, i termini investimento e
17
Azioni riscattabili
fondamento della figura, ne è, in ogni caso, evidente l’utilità pratica: si
prospetterebbe, infatti, l’introduzione di un meccanismo convenzionale di
uscita dalla società non coincidente con il diritto di recesso, dotato di effetti
reali nei confronti della società e dei terzi e che consentirebbe ai sottoscrittori
di programmare, sin dall’inizio del rapporto con la società, la propria uscita
dalla compagine sociale (17).
4. Un richiamo alle teorie di analisi economica del diritto: la
struttura economica del riscatto di strumenti finanziari. Il riscatto di
disinvestimento possono assumere un diverso significato a seconda della modalità economica
con cui rispettivamente si procede all’investimento e al disinvestimento…Tali modalità di
investimento e disinvestimento si differenziano in primo luogo per la diversa considerazione
della partecipazione sociale: nel caso del conferimento e del recesso, [la partecipazione sociale]
assurge a strumento di investimento; nel caso di acquisto e alienazione essa rappresenta
l’oggetto dello scambio…I fenomeni del conferimento e del recesso, da un lato, e dell’acquisto
e dell’alienazione, dall’altra, tuttavia, possono presentare anche significativi punti di
intersezione. L’ambito sistematico in cui più di tutti si realizzano tali collegamenti è quello del
fenomeno azionario caratterizzato dalla presenza di un mercato regolamentato delle
azioni…Ma i collegamenti tra le due modalità economiche di disinvestimento – recesso e
alienazione – alla luce del nuovo diritto delle società di capitali sono evidenti anche quando si
tratta di società con azioni non quotate in un mercato regolamentato. In talune circostanze,
l’impossibilità di alienare la propria partecipazione sociale, data l’esistenza di limiti
convenzionali statutari alla circolazione della partecipazione, si traduce nel diritto al
disinvestimento mediante recesso. Si tratta dei casi previsti dal secondo comma dell’art. 2355bis c.c., con riferimento alla società per azioni, e dal secondo comma dell’art. 2469 c.c., con
riguardo alla società a responsabilità limitata»; ID., Il diritto dell’azionista al disinvestimento.
Alienazione e recesso tra riforma del diritto societario e testo unico della finanza, in La riforma delle società di
capitali. Aziendalisti e giurisiti a confronto, a cura di N. Abriani e T. Onesti, Milano, 2004, p. 331 e
ss.. Per una analisi del meccanismo di riscatto a carico della società o degli altri soci ex art.
2355-bis, si veda infra cap. IV, sub § 8.
(17) Il tema è stato recentemente affrontato, da una prospettiva prettamente civilistica,
dal lavoro di N. PARODI, L’uscita programmata dal contratto, Milano, 2005, p. 229 e ss.. e spec. p.
11 e v. nota 9, nel quale si valorizza la previsione di clausole di opzione c.d. «put»,
particolarmente diffuse nella prassi contrattuale internazionale, e ora anche domestica, rispetto
alla previsione di un diritto di recesso convenzionalmente inserita nello statuto. L’a. distingue
diversi meccanismi di uscita dal contratto osservando che «se l’uscita è incondizionata e non
comporta se non restituzioni o rimborsi spese o danni nei limiti dell’interesse negativo”, si
dovrebbe parlare di recesso: il contratto non ha infatti avuto sostanzialmente esecuzione e,
comunque, non si considera l’utile che una parte avrebbe potuto conseguire. Se invece l’uscita
dal contratto è condizionata e regolata in modo analitico in ordine alle conseguenze della
risoluzione e si tiene conto dei profitti che il contratto avrebbe comportato per la parte
adempiente, si dovrebbe parlare di risoluzione programmata…». E, utilizzando gli strumenti
propri dell’analisi economica del diritto, «il recesso tutela la parte che deve ancora assumere
informazioni o valutare l’utilità di un’operazione economica nel suo complesso. La risoluzione
programmata (o l’uscita programmata) con danni-preliquidati comporta invece una decisione
ormai assunta…ma consente di riconsiderare la convenienza o meno dell’adempimento in
relazione a nuove circostanze sopravvenute o alla diversa valutazione delle circostanze note,
nell’economia della parte che dovrebbe adempiere».
18
CAPITOLO I
azioni come strumento di esclusione del socio, come sistema di
protezione delle minoranze e come meccanismo di disinvestimento.
A) La possibilità di assolvere a funzioni diverse e di soddisfare esigenze
eterogenee all’interno delle dinamiche societarie, unitamente all’impatto sulla
sfera patrimoniale di chi è legittimato ad esercitarlo o di chi, invece, lo può
solamente subire, hanno spinto alcuni autori a studiare il fenomeno del riscatto
di azioni dal punto di vista della sua efficienza economica. Sotto questo profilo
il riscatto di strumenti finanziari comporta il trasferimento tra due soggetti di
beni incorporanti diritti e obblighi e rappresentativi di una partecipazione al
capitale sociale a fronte del pagamento di un corrispettivo. Ad una analisi
superficiale la vicenda parrebbe risultare “neutrale” per i soggetti che ne sono
coinvolti. La realtà dei fatti è tuttavia ben diversa in quanto, ad esempio, il
soggetto che subisce forzosamente il trasferimento delle proprie azioni
potrebbe non percepire un prezzo congruo rispetto a quanto inizialmente
conferito nella società; oppure, ancora, in quanto chi ha esercitato a proprio
favore il riscatto lo ha fatto sfruttando informazioni rilevanti (ad esempio, la
prossima conclusione di un’acquisizione strategica per l’emittente), di cui il
soggetto riscattato è invece ignaro. Senza considerare che, anche da un punto
di vista economico, il riscatto si distingue nettamente dalla vendita se non altro
in quanto il socio riscattando potrebbe anche non conoscere il momento in cui
tale diritto verrà esercitato da chi ne è titolare, non potendo in questo modo
pianificare i propri investimenti e correndo eventualmente il rischio di perdere
occasioni di affari più profittevoli per il fatto di non aver ricevuto (o di non
avere ancora ricevuto) la liquidazione della propria partecipazione alla società.
In via del tutto generale, si può dire che le tre problematiche più rilevanti che
emergono dalla analisi economica della struttura del riscatto sono la
determinazione del prezzo che può essere ex ante o ex post a seconda che il
corrispettivo venga originariamente determinato tra le parti o stabilito al
momento dell’esercizio dell’opzione di riscatto; la conoscenza di informazioni,
che può essere condivisa da una parte soltanto della transazione, e la
possibilità, infine, di programmare gli investimenti riconosciuta solo alla parte
19
Azioni riscattabili
che è titolare del diritto di riscatto. Per dirsi efficienti, le norme che governano
il riscatto di azioni dovrebbero ovviamente tenere conto delle diverse finalità
cui il meccanismo può tendere, al fine di tutelare, nel migliore dei modi
possibile, gli interessi di volta in volta in gioco.
A tale proposito è bene innanzitutto precisare che l’esame della
struttura economica del riscatto – ascrivibile principalmente alla letteratura
americana (18), ma non del tutto trascurata da una parte della dottrina italiana
(19) – è stata per lo più sviluppata con riferimento alla funzione del riscatto di
azioni sia come strumento di esclusione del socio; sia nel contesto di iniziative
di investimento in capitale di rischio; sia, infine, come meccanismo di tutela
delle minoranze e, in particolare, come mezzo per evitare a queste ultime di
(18) Ampia è la bibliografia straniera sul tema: v. P.A. GOMPERS, What Drives Venture
Capital Fundraising, in Brookings papers on Economic Activity. Microeconomics, Vol. 1998 (1998), pp.
149-204.; ID., Optimal Investment, Monitoring, and the Staging of Venture Capital, in The Journal of
Finance, 50, n. 5 (Dec. 1995), p. 1461-1489; P. GOMPERS - J. LERNER, The Venture Capital
Revolution, in The Journal of Economic Perspectives, Vol. 15, No. 2. (Spring, 2001), pp. 145-168; R.J.
GILSON, Engineering a Venture Capital Market: Lessons fron the American Experience, in 55 Stan. L.
Rev., 2002-2003, p. 1067 e ss.; IID., The Use of Covenants: An Empirical Analysis of Venture
Partnership Agreements, in Journal of Law and Economics, Vol. 39, No. 2. (Oct., 1996), pp. 463-498;
D.V. NEHER, Staged Financing: An Agency Perspective, in The Review of Economic Studies, Vol. 66, No.
2. (Apr., 1999), pp. 255-274; T. HELLMANN, The Allocation of Control Rights in Venture Capital
Contracts, in The RAND Journal of Economics, Vol. 29, No. 1. (Spring, 1998), pp. 57-76; cfr. anche
la NOTE, Joint Venture Corporations: Drafting the Corporate Papers, in Harvard Law Review, Vol. 78,
No. 2. (Dec., 1964), pp. 393-425; D.M. CABLE - S. SHANE, Prisoner’s Dilemma Approach to
Entrepreneur-Venture Capitalist Relationships, in The Academy of Management Review, Vol. 22, No. 1.
(Jan., 1997), pp. 142-17; J.A. MC CAHERY - E.P.M. VERMEULEN, Corporate Governance and
Innovation (Venture Capital, Joint Ventures, and Family Businesses), ECGI - Working Paper n.
65/2006, p. 47, consultabile sul sito www.ecgi.org.
(19) Per una introduzione al tema dell’efficienza delle norme giuridiche v., F.
DENOZZA, Norme efficienti. L’analisi economica delle regole giuridiche, Milano 2002; L. A. FRANZONI,
Introduzione all’economica del diritto, Bologna, 2003; cfr. anche D. D. FRIEDMAN, What economics has
to do with law and how it matters, Princeton, 2002; (trad. it.) Perché l’analisi economica può servire al
diritto, Bologna, 2004, passim e spec. p. 33, ove si rileva che «Le norme giuridiche debbono
essere valutate in base agli incentivi che stabiliscono ed alle modifiche che, in risposta a quegli
incentivi, inducono nel comportamento dei soggetti da esse direttamente o indirettamente
contemplati» Con specifico riferimento allo studio della efficienza delle soluzioni adottate
nell’ordinamento interno rispetto alle operazioni di venture capital, v. B. SZEGO, Il venture capital
come strumento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese: un’analisi di adeguatezza dell’ordinamento
italiano, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, 55, giugno 2002, p. 9 e ss.; ID., Finanziare
l’innovazione: il venture capital dopo la riforma del diritto societario, in Riv. Dir. Comm., 2005, p. 821 e
ss.; e, con specifico riferimento all’istituto del recesso come strumento di disinvestimento alla
vigilia della riforma del diritto societario, cfr. S. CAPPIELLO, Prospettive di riforma del diritto di
recesso dalla società di capitali: fondamento e limiti dell’autonomia statutaria, in Quaderni di ricerca giuridica
della Banca d’Italia, 54, luglio 2001, pp. 19-22; pubblicato anche in Riv. dir. comm., 2001, I, p. 243.
20
CAPITOLO I
restare “prigioniere” delle proprie partecipazioni (20).
Una
seconda
precisazione
riguarda
invece
le
peculiarità
dell’ordinamento in cui si sono sviluppate le teorie che vengono richiamate in
questa sede: il diritto americano, infatti, non conosce una distinzione tra
pattuizioni aventi efficacia reale, come quelle contenute negli statuti, e accordi
di natura obbligatoria, quali quelli previsti in patti parasociali (c.d. «shareholders
agreement»), con la conseguenza che non è avvertita da parte della dottrina la
necessità di confrontare l’efficacia, rispetto alla società e ai terzi, di meccanismi
negoziali pattuiti negli uni piuttosto che negli altri (21). Di ciò ovviamente va
tenuto conto avendo riguardo alla circostanza che nell’ordinamento interno è,
al contrario, fortemente sentita la necessità di individuare meccanismi con
efficacia reale che possano incentivare gli investimenti nel capitale di rischio
(22).
B) Il tema del riscatto di azioni inteso come mezzo di disinvestimento, è
stato affrontato con particolare riguardo alle operazioni di c.d. «venture capital»
(20) Sono d’altro canto queste le funzioni che possono assolvere rispettivamente le
azioni riscattabili emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies, c.c. (per cui, cfr. infra, cap. III); le azioni
redimibili (su cui, v. infra, cap. IV); ed, infine, gli acquisti obbbligatori di azioni (sui quali, cfr.
infra, cap. I, § 8).
(21) In effetti l’appiattimento di accordi parasociali sul contratto sociale si riflette
anche sulla scarsa letteratura che ha affrontato il tema oltreoceano: tra i pochi contributi, si
segnala R. A. KESSLER, Drafting a Shareholders’ Agreement for a New York Close Corporation, 35
Fordham. L. Rev. 625 (1966-1967); H. BROWNLEE, The Shareholders’ Agreement: A Contractual
Alternative to Oppression as a Ground for Dissolution, 24 Stetson L. Rev. 267 (1994-1995); G. CHEMLA
- M.A.HABIB - A. LJUNGQVIST, An Analysis of Shareholder Agreements, (July 2004), NYU, Ctr for
Law and Business Research Paper No. 02-01; RICAFE Working Paper No. 006, disponibile sul sito
www.ssrn.com/abstract=299420.
La situazione non è identica nell’ambito del diritto inglese nel quale invece la dottrina
riconosce una differenza tra le previsioni statutarie e quelle contenute in accordi parasociali: sul
punto, v. quanto rilevato da P. L. DAVIES, Gower and Davies’ Principles of modern company law,
London, 2003, p. 66 per cui un patto parasociale «…derives its contractual force from the
normal principles of contract law and not from s.14 so that the limitations discussed above on
the s. 14 contract seem not to apply to the shareholders’ agreement.».
(22) V. B. SZEGO, Il venture capital, p. 10 la quale riconosce come «Un’alternativa
possibile è il ricorso ai patti parasociali, ma il grado di protezione che essi offrono al venture
capitalist è basso, sia perché della validità di alcuni di tali patti ancora si discute, sia perché in
caso di inadempimento – essi danno diritto al risarcimento dei danni, ma non inficiano la
validità degli atti compiuti dalla società. Questa conclusione, basata sull’analisi delle regole
vigenti per le società per azioni, non muta in modo sostanziale nemmeno qualora si consideri
la disciplina della società a responsabilità limitata».
21
Azioni riscattabili
(23). Al riguardo, si è osservato come i sistemi di disinvestimento negoziabili tra
socio imprenditore e socio investitore possono contribuire ad eliminare, ridurre
o, in ogni caso, comporre in maniera efficiente alcune situazioni che si
verificano quando tali parti negoziano le condizioni ed i termini di un
investimento in capitale di rischio, essendo portatori di interessi tra loro molto
diversi. Oggetto di negoziazione tra tali soggetti sono, in particolare, tre aspetti:
innanzitutto, la (implicita) situazione di conflitto di interessi in cui versano; in
secondo luogo, le asimmetrie informative; infine, i “costi di agenzia” (24).
Come rilevato da un recente studio, la sussistenza di una situazione
conflittuale sarebbe riconducibile ad alcuni fattori quali, innanzitutto, il fatto che
il socio imprenditore e il socio investitore perseguono interessi non pienamente
coincidenti, posto che mentre quest’ultimo aspira ad ottenere un ritorno
finanziario al proprio investimento nel breve-medio periodo, l’imprenditore
cerca di conseguire anche interessi di natura privata, mal conciliabili con quelli
dell’investitore; e, in secondo luogo, la circostanza che l’imprenditore –
(23) Con il termine «venture capital» si suole indicare un particolare forma di
investimento nel capitale di rischio, da parte di soggetti istituzionali, rientrante nella più ampia
categoria del c.d. «private equity». Il venture capital, in particolare, indica il finanziamento da
parte di fondi di investimento («venture capital funds») di imprese ai primi stadi della loro vita
(«early stage financing») o più mature («expansion financing»). La tematica è stata di recente
approfondita anche dalla letteratura economica italiana: sul punto si rinvia alle considerazioni
di A. GERVASONI, Inquadramento teorico, in A. GERVASONI - F.L. SATTIN, Private equity e
Venture capital, Milano, 2003, p. 13 e ss..
(24) Si veda lo studio di D. GORDON SMITH, The exit structure of venture capital, in 53
UCLA Law Rev., 315, (2005), per cui (a p. 16) viene rilevato che «Potential conflicts between
the entrepreneur and venture capitalist created by the fact that the two parties benefit in
different ways from the relationship, motivate the study of exit structure. The choice among
exit options may have important distributional consequences» in considerazione del fatto che
«…the methods of exit are accompanied by different sets of cash flows». Ed infatti «Venture
capitalists may receive different cash flows, depending on the terms of the contracts.
Redemptions and liquidations usually entitle the venture capitalist to receive the original issue
price of the preferred stock, either as a “redemption price” or “liquidation preference”.
Liquidations, which tipically include acquisitions of the portfolio company, often entitle the
venture capitalist to a share of any proceeds remaining after the payment of the liquidation
preference in proportion to the venture capitalist’s ownership of the company on an “as-if
converted” basis (this is “partecipating preferred”). Finally, in some acquisition and all IPOs,
the venture capitalist’s preferred stock will be converted into common stock, thereby entitling
the venture capitalisti to share in the success of the company to the same extent as the
founders.»; E. BERGLÖF, A Control Theory of Venture Capital Finance, in J.L. Econ. & Org., 1994,
10, p. 247. Nella dottrina italiana il diritto al disinvestimento è stato analizzato alla luce degli
strumenti offerti dall’analisi economica del diritto da S. CAPPIELLO, Prospettive, pp. 19-22; e B.
SZEGO, Il venture capital, p. 9 e ss..
22
CAPITOLO I
detenendo generalmente una partecipazione di maggioranza – può influenzare
il ritorno economico dell’investimento tramite comportamenti e strategie
gestionali non condivisi con il socio finanziatore (25).
I costi di agenzia sono, invece, generati dal difficile bilanciamento dei
comportamenti dell’imprenditore, il quale potrebbe tentare di incrementare i
propri benefici privati, potenzialmente idonei a danneggiare l’investitore
oppure di intraprendere strategie non condivise ab origine con quest’ultimo. Da
qui nasce, pertanto, l’esigenza dell’investitore che desidera diventare socio di
monitorare la condotta dell’imprenditore. Quest’ultimo per parte sua potrebbe
essere indotto ad allinearsi agli interessi dell’investitore in considerazione di
diversi fattori tra i quali i meccanismi reputazionali occupano senz’altro un
posto di rilievo: è chiaro infatti che qualora si diffondesse sul mercato la notizia
che l’imprenditore tende a non rispettare la volontà di chi lo sostiene
economicamente nella sua iniziativa, lo stesso imprenditore potrebbe
incontrare significativi ostacoli sia nella individuazione di un altro soggetto
disponibile ad investire nel capitale di rischio, sia nella identificazione di
istituzioni in grado di concedergli credito a basso costo (26).
(25) Ci si riferisce al recente modello sviluppato da P AGHION - P. BOLTON - J.
TIROLE, Exit Options in Corporate Finance: Liquidity versus Incentives, in Rev. Fin., 2004, 8, p. 327
per i quali l’investimento si articolerebbe in tre fasi: «start up stage», durante la quale vengono
negoziati i contratti tra le parti; «trading stage», in cui gli investitori istituzionali devono decidere
se uscire dalla società vendendo le proprio azioni a nuovi investitori; «payback stage»,
caratterizzata dall’incertezza sulla liquidazione finale dell’investimento. Come rilevato da B.S.
BLACK - R. GILSON, Venture Capital and the Structure of Capital Markets. Banks versus Stock Market,
in J. Fin. Econ., 1998, 47, p. 243, disponibile anche sul sito www.ssrn.com, tale situazione di
conflitto è peraltro resa più evidente dal fatto che le tipologie di investitori attratti dalla società
sono di diverso tipo e portatori di interessi eterogenei: secondo la letteratura economica infatti
vi sarebbero investitori “disinformati” rispetto alla gestione (c.d. «uninformed investors»),
investitori attivi (c.d. «active monitor investors»), che tendono a controllare i comportamenti
personalistici e inefficienti del socio imprenditore anche per conto dei primi e, infine, gli
investitori il cui investimento è finalizzato alla speculazione (c.d. «speculative monitor investors»).
Mentre i primi due tipi investono fin dalle prime fasi della vita della società, gli ultimi, prima di
entrare nella compagine sociale, attendono un arco temporale sufficientemente significativo al
fine di poter valutare i flussi di cassa generati dalla società. In questo modello la fase più
delicata è senz’altro quella intermedia in cui, da una parte, non sono ancora presenti nella
compagine sociale gli investitori “speculativi” e, dall’altra parte, si presentano nuove e diverse
occasioni di investimento (c.d. «liquidity shock») per gli investitori “attivi”, che sono pertanto
spinti a disinvestire il proprio denaro nella società per impegnarlo in altre iniziative.
(26) Il “basso” costo del credito, in particolare, dovrebbe derivare dall’assenza o da un
numero contenuto di garanzie richieste dagli enti creditizi o, ancora, dalla mancanza della
23
Azioni riscattabili
Le asimmetrie informative si registrerebbero invece in ragione delle
magggiori conoscenze tecniche dell’imprenditore e ciò anche qualora il
potenziale investitore si serva della consulenza di personale formatosi in quel
determinato ambito o settore (27).
L’analisi economica del diritto ha suggerito il ricorso a quattro
meccanismi per ripristinare il bilanciamento degli interessi delle parti coinvolte:
il finanziamento per stadi (c.d. «stage financing») (28); l’emissione di strumenti
finanziari convertibili (29); la rappresentanza del socio investitore negli organi di
gestione della società congiuntamente alla previsione di «restrictive covenants» (30);
previsione nel contratto di finanziamento di vincoli finanziari da rispettare onde evitare il
default; v., sul punto, D.V. NEHER, Staged Financing, p. 255 e ss..
(27) Si veda anche a tale proposito l’interessante studio di R.J. GILSON, Engineering, p.
1067 e ss., in cui l’a. analizza le caratteristiche principali del mercato statunitense del venture
capital, confrontandolo con quelle di altri ordinamenti in particolare con il mercato cileno,
tedesco e israeliano.
(28) «By giving the investor a valuable option to abandon, the staged financing
structure…responds directly to the uncertainty associated with contracting for early stage, high
technology investments»: così R.J. GILSON, Engineering, pp. 1078-1079; cfr. anche l’analisi
economica condotta da P. GOMPERS, Optimal Investment, p. 1475 e ss..
(29) Nella prassi americana si parla di convertibile preferred stocks o redeemable stocks che
vengono generalmente inquadrati dalla letteratura negli strumenti rappresentativi capitale di
rischio in quanto le corti ritengono siano in essi prevalenti i caratteri delle azioni piuttosto che
di strumenti emessi a fronte dell’apporto di finanziamenti: «…Many modern corporations,
presumably to make investment in such companies more attractive, have issued “hybrid” or
“compromise” securities, purporting to combine in a single security some normal
characteristics of both stocks and bonds. Among such hybrid types are redeemable “stocks”
which are a corporation’s agreements to repurchase its own “stock” at a fixed time, and
participating operation certificates, wherein a corporation promises to segregate a fixed portion
of its gross income and to pay the certificate holders at somewhat intervals the money so set
aside until they have received double the amount of their original investments». Il problema
della distinzione tra strumenti di capitale di rischio o di debito si pone in particolare in
occasione dell’apertura di procedure fallimentari: così «while redeemable “stocks” possess
earmarks of bonds in having no voice in the management and in having a provision for the
absolute payment of a definite principal sum at a fixed time, the fact that the “interest” or
“dividend” payments are dependent upon net earnings or surplus, which is a usual stock
feature, has been given as a reason for placing these securities in the category of stock» anche
se il criterio più certo per tracciare una linea di confine sembra costituito dalla rappresentazione
contabile dello strumento medesimo: si v., sul punto, il COMMENT, Status of Holders of Hybrid
Securities: Stockholders or Creditors?, in The Yale Law Journal, 45, n. 5 (mar. 1936), p. 907-917. Il
tema è affrontato dalla dottrina italiana dallo studio anche in chiave comparatistica di M.
LAMANDINI, Struttura finanziaria e governo nelle società di capitali, Bologna, 2001.
(30) Per effetto dei quali l’imprenditore si vincola a non adottare deliberazioni ed
intraprendere iniziative strategiche senza il consenso del socio investitore: cfr., sul punto, gli
interessanti studi empirici di D. GORDON SMITH, The exit, p. 346 il quale afferma che i restrictive
covenants che comportano il necessario consenso dell’investitore per essere deliberati possono
ricondursi a quattro tipologie, tra cui vanno annoverate le operazioni di fusione o di
acquisizione (c.d. «business combinations»); le modificazioni dell’atto costitutivo richieste dagli
24
CAPITOLO I
la previsione di vie di uscita (c.d. «way out» o «exit») per l’investitore al termine
dell’iniziativa. Se, da una parte, il finanziamento per stadi ha il fine di ridurre i
costi di agenzia, consentendo all’investitore di monitorare l’attività
dell’imprenditore, in quanto il primo potrà decidere di non investire nel
secondo o nei successivi stadi in cui è articolata l’iniziativa imprenditoriale
qualora l’imprenditore non abbia rispettato gli impegni assunti nella fase
precedente; e se, dall’altra parte, i sistemi di rappresentanza nel consiglio di
amministrazione della società o i restrictive covenants hanno anche lo scopo di
ridurre le asimmetrie informative; l’emissione di strumenti finanziari
convertibili e la negoziazione di vie di uscita dalla società sono finalizzati a
risolvere le situazioni di conflitto e a ripristinare lo status quo ante, ovvero la
situazione antecedente l’ingresso del socio investitore nella compagine sociale.
In entrambe le situazioni, infatti, il riscatto di azioni costituisce uno dei
principali strumenti utilizzati per dare esecuzione agli accordi intervenuti tra le
parti.
Nella prima ipotesi, infatti, il socio investitore sottoscrive una
percentuale – generalmente di minoranza – del capitale sociale ricevendo in
cambio strumenti – come preferred convertible stocks con clausola di postergazione
nelle perdite o redeemable (o puttable) stocks – convertibili in azioni ordinarie al
verificarsi di determinate circostanze e/o riscattabili dall’imprenditore ad
opzione del socio investitore in occasione del verificarsi di altri eventi.
organi di controllo e vigilanza per procedere alla quotazione di strumenti finanziari
(specialmente quando tali modificazioni siano effettuate anticipatamente rispetto agli accordi
intervenuti tra il socio investitore e il socio imprenditore in merito alla tempistisca della
quotazione); il riscatto di common stock; l’emissione, infine, di nuove categorie di azioni che
possano in qualche modo sortire l’effetto di diluire la partecipazione del socio investitore.
Analizza invece la diversa prospettiva dei restrictive covenants che vincolano il socio
investitore P. GOMPERS - J. LERNER, The use of covenants, p. 463 e spec. p. 480 e ss.; ma contra
B.S. BLACK - R. GILSON, Venture Capital, passim, ove viene condotto un confronto con mercati
meno evoluti rispetto a quello statunitense e affermato che – in una situazione altamente
concorrenziale come quella di mercati maturi – è poco probabile che il venture capitalist adotti
condotte opportunistiche in ragione dei meccanismi reputazionali e della necessità di costituire
sempre un polo di attrazione per la richiesta di nuovi finanziamenti; riff. anche in B. SZEGO, Il
venture capital, p. 26 e spec. in nota 40 ove i meccanismi reputazionali “attivi” nei confronti
degli investitori sono analizzati anche dal punto di vista geografico, nel senso che la
concentrazione di fondi di investimento in determinate zone potrebbe rendere tali meccanismi
ancora più efficaci.
25
Azioni riscattabili
Nel caso di meccanismi di disinvestimento, invece, è stato messo in
luce come diversi elementi influenzino la negoziazione e la strutturazione del
relativo accordo. Al riguardo, in via del tutto generale, si può osservare come,
nella fase iniziale della vita della società, il «venture capitalist» è generalmente
poco interessato a negoziare una via di uscita in quanto il costo del capitale è
basso e non si prospettano altre opportunità di investimento; d’altro canto, con
il trascorrere del tempo, tale interesse cresce esponenzialmente sino a divenire
un’esigenza insopprimibile (31). Peraltro, dal punto di vista dell’imprenditore,
consentire al socio finanziatore una rapida dismissione del proprio
investimento può tradursi in un efficace strumento per incrementare la propria
reputazione: ciò infatti potrebbe significare che un periodo temporale
circoscritto è stato sufficiente per consentire lo sviluppo delle idee
dell’imprenditore, rivelatesi evidentemente “buone” e potrebbe rappresentare
un elemento di attrazione per potenziali investitori nell’ipotesi in cui decida di
intraprendere nuove iniziative imprenditoriali (32).
Altri elementi di cui va tenuto conto sono rappresentati dal prezzo per
l’esercizio e dalla struttura dell’opzione, dai criteri di valorizzazione delle azioni
e dalla forza negoziale delle parti contrattuali (33). Se, infatti, il prezzo di esercizio è
particolarmente alto, l’investitore razionale sarà incentivato a monitorare il
socio imprenditore piuttosto che pagare un corrispettivo rilevante per uscire
dalla società; se basso, invece, metterà l’investitore nella posizione di poterla
esercitare a fronte di comportamenti opportunistici del socio imprenditore e
costringerà quest’ultimo ad allinearsi alla volontà dell’investitore. Anche la
valorizzazione della partecipazione è, nel caso di uscita dalla compagine sociale, un
(31) Quali «negative covenants» «that prevent the company from forcing an exit
decision by the venture capitalist [or] provision requiring the approval of business
combinations…» o «liquidation rights» «entitling the venture capitalist to receive a fixed
amount (usually the amount of the original investment) for each share of preferred stock». Così
D. GORDON SMITH, The exit, pp. 346-347; cfr., anche V. R. GILSON, Engineering, pp. 1084-1085.
(32) «Realizing portfolio company investments provides a performance measure that
lets investors evaluate the GP’s [General Partner] skill and honesty, and reallocate their funds
to the GPs with the most successsful performance. And by providing the GP’s primary tool
for persuading investors to provide capital for successor funds, exit supports the core of the
incentive structure that aligns the interests of investors and the GP»: in questo senso, v. R.
GILSON, Engineering, p. 1091.
(33) V. D. GORDON SMITH, The exit, p. 348 e ss..
26
CAPITOLO I
aspetto di cui tenere conto. Può darsi, ad esempio, che le parti concordino un
criterio per determinare il valore delle azioni parametrandolo alla permanenza
del socio investitore nella società: il ritorno sulll’investimento al momento
dell’uscita di quest’ultimo sarà pertanto proporzionale alla durata della sua
permanenza. Tuttavia non si può escludere che vengano stabiliti anche criteri
diversi. Come chiarito da alcuni autori, la negoziazione di meccanismi di uscita
dalla compagine sociale è influenzata da vari fattori tra cui va senz’altro
annoverato il “peso” delle parti contrattuali (34). Quanto alle modalità con cui le parti
decidono di disciplinare i meccanismi di disinvesimento si rileva quanto segue.
Un’opzione di vendita in capo al socio investitore che obblighi la società ad
acquistare le azioni potrebbe dissuadere altri potenziali finanziatori o fondi di
investimento dall’entrare a far parte della compagine sociale: essi infatti
potrebbero essere indotti a credere che il denaro conferito alla società possa
servire a liquidare i precedenti investitori piuttosto che a finanziare nuove
operazioni e a consolidare la posizione della società sul mercato (35). Peraltro
ciò potrebbe costituire uno strumento di ricatto in mano ai soci finanziatori
ma, d’altra parte, potrebbe ridurre significativamente i costi di monitoraggio
sulla condotta dell’imprenditore. Diversi, invece, sarebbero gli effetti di
un’opzione che obblighi i soci al riacquisto di azioni: questo strumento
potrebbe infatti facilitare una sorta di ricambio all’interno della compagine
sociale. L’esercizio dell’opzione da parte del socio investitore potrebbe infatti
facilitare l’ingresso di nuovi potenziali finanziatori senza che ciò comporti i
costi collegati a contratti di acquisizione delle partecipazioni della società. I
termini e l’estensione con la quale viene riconosciuto uno strumento di
disinvestimento efficiente dipende quindi dalle modalità di esercizio
(34) V. R. GILSON, Engineering, passim.
(35) Cfr. D. GORDON SMITH, The exit, pp. 349-350: è per questo motivo infatti che il
venture capitalist generalmente consente che la liquidazione delle sue azioni a fronte dell’esercizio
di una put option nei confronti dell’imprenditore sia articolato in modo tale da consentire
pagamenti rateali. Ciò rappresenterebbe una «…entrepreneur-friendly provision because it
implies that the venture capitalist will not leave the entrepreneur without capital. This suggest
that the venture capitalist uses these provisions as a signal of displeasure toward the
entrepreneur because it is certainly not the type of provision a venture capitalist would use if
serious about redemption».
27
Azioni riscattabili
dell’autonomia contrattuale delle parti (36).
Da questo punto di vista, pertanto, i meccanismi con cui le parti sono
legittimate a riscattare le azioni, da una parte, si dimostrano efficaci strumenti
per rendere la società efficiente e per comporre, con costi non significativi, le
situazioni di conflitto tra imprenditore e investitore e, dall’altra parte, possono
costituire un deterrente per l’ingresso di eventuali altri investitori nella società,
posto che, per effetto del riscatto obbligatorio, le risorse patrimoniali della
società sono state utilizzate per il riacquisto delle azioni da parte di quest’ultima
e non potranno, in futuro, essere dirette a finanziare operazioni vantaggiose
per la società (37).
B) Il secondo punto di vista preso in considerazione dai teorici
dell’analisi economica riguarda gli effetti dell’esclusione del socio. Tali effetti sono
stati presi in esame sia nell’ambito – già parzialmente indagato sub lett. A) –
delle operazioni di c.d. venture capital, sia nel contesto di operazioni di
mutamento del controllo. In entrambi i casi il riscatto delle azioni viene
generalmente visto come strumento finalizzato alla estromissione di uno o più
soci dal capitale sociale. Le due aree di indagine, tuttavia, paiono differenziarsi
per il fatto che mentre nel primo caso l’effetto dell’esclusione è stabilito ex ante
dalle parti, nell’ipotesi di operazioni di mutamento del controllo esso è una
conseguenza sopravvenuta che, in quanto tale, viene in qualche misura subita
dal socio. In altri termini, nell’ambito delle operazioni di venture capital si può
assistere ad una dinamica simmetrica e opposta rispetto a quanto considerato
in occasione dell’esame del riscatto di azioni come forma di disinvestimento
riconosciuta direttamente in capo al socio investitore (38). In questo caso è
infatti il socio imprenditore che negozia con il socio finanziatore accordi
strutturati in modo tale da riconoscere in capo al primo un’opzione che gli
(36) V. il contributo di P. AGHION - P. BOLTON - J. TIROLE, Exit options, p. 341 «This
may thus provide an explanation for the observed reduction in the average age of technology
start-ups before they go public…Our explanation would be that as more money flows into the
venture capital industry the terms demanded by Venture Capital funds go down…and
therefore the relative costs offering a more [efficient] liquid contract go down».
(37) Proprio per questo motivo la prassi statunitense prevede spesso che il prezzo delle
azioni riscattate sia liquidato tramite pagamenti rateali.
(38) Si v. supra, alla lett. (A).
28
CAPITOLO I
consenta, a un certo tempo data o al raggiungimento di determinati parametri
finanziari o di significative soglie di fatturato, di acquistare le azioni del
secondo. La struttura di governo societario creata dall’ingresso di un fondo di
investimento nel capitale sociale provoca, infatti, un’allocazione del controllo
sproporzionata rispetto all’entità del conferimento: all’investitore vengono cioè
generalmente riconosciuti poteri molto maggiori rispetto a quanti gli
spetterebbero se si applicasse un criterio rigidamente proporzionale al suo
impegno finanziario nella società (39). L’esigenza di ripristinare la situazione
originaria e di recuperare il pieno comando della società può pertanto spingere
l’imprenditore ad ottenere le azioni dell’investitore una volta avviata l’impresa:
in altri termini, l’opzione consente all’imprenditore di collocarsi in una
posizione analoga a quella che avrebbe ricoperto se non si fosse trovato nella
necessità di reperire finanziamenti – sotto forma di capitale di rischio – per
avviare la propria iniziativa. L’esclusione del socio investitore dalla compagine
sociale attraverso il riscatto delle sue azioni da parte dell’imprenditore
costituisce, quindi, uno strumento efficiente per il ritrasferimento del controllo
e per conseguire un’equilibrata allocazione del rapporto tra quest’ultimo e la
percentuale di partecipazione al capitale.
L’esclusione “sopravvenuta” dei soci – in particolare di quelli di
minoranza – viene considerata da alcuni autori come un effetto tipico di
operazioni di trasferimento del controllo (40). In altri termini, i c.d. «freezeouts»
dei piccoli azionisti avrebbero l’effetto di beneficiare chi acquisisce il controllo
della società, consentendogli di appropriarsi di una quota sproporzionata di
guadagni derivanti dall’operazione; l’esclusione del socio tramite il riscatto
forzoso delle azioni permetterebbe, inoltre, di realizzare economie di gestione e
(39) Si viene a creare, in altri termini, un modello della proprietà e del controllo
opposto rispetto a quello teorizzato da A.A. BERLE - G.C. MEANS, The Modern Corporation and
Private Property, New York, 1932; (trad. it), Società per azioni e proprietà privata, Torino, 1966, che
hanno teorizzato l’ipotesi di investitori “outsiders” dotati poteri di controllo molto ridotti
rispetto alla loro partecipazione al capitale. Si rinvia anche a quanto osservato infra, cap. IV, sub
§ 2.1 in nota 20.
(40) Di particolare importanza il contributo di F.H. EASTERBROOK - D. R. FISCHEL,
The Economic Structure of Corporate Law, Cambridge (MA), 1991; (trad. it. parz.), L’economia della
società per azioni, Milano, 1996, pp. 155-161.
29
Azioni riscattabili
di eliminare i problemi collegati al conflitto di interessi; attraverso il
restringimento della base azionaria, infine, si conseguirebbe l’abbattimento dei
costi di delega e, in generale, di quelli generati da una proprietà diffusa
dell’impresa (41). In un noto caso, la corte del Delaware ha affermato la
scorrettezza delle operazioni di esclusione dei soci in quanto prive di una
giustificazione imprenditoriale (42). L’insegnamento della giurisprudenza è stato
seguito da coloro per i quali tutti i guadagni derivanti da operazioni sul
controllo dovrebbero essere divisi tra gli investitori in proporzione della
partecipazione alla società da parte di ognuno di loro prima del mutamento del
controllo (43). Altre pronunce hanno tuttavia affermato il principio per cui
possa essere rimessa alla discrezionalità degli amministratori la decisione di
ridurre la base azionaria e di non condividere con i soci esclusi il valore
prodotto dall’operazione di trasferimento del controllo (44). Una critica
all’utilizzo del riscatto forzoso delle azioni e dell’esclusione del socio riguarda il
fatto che i c.d. insiders – che generalmente comprendono anche i soci di
minoranza – conoscerebbero meglio degli outsiders quali sono le reali
prospettive dell’impresa dopo il trasferimento del controllo e potrebbero
celarle a questi ultimi per far diminuire il prezzo dei titoli in vista del
perfezionamento della procedura di esclusione: ma secondo il parere di alcuni
(41) V., ancora, F.H. EASTERBROOK - D. R. FISCHEL, L’economia, pp. 155-161.
(42) Il caso cui ci si riferisce nel testo è Singer v. Magnavox Co., 380 A. 2d 969 (Del.
1977): cfr. la NOTE, Singer v Magnavox and Cash Out Mergers, in 64 Va. L. Rev. 1101 (1978),
nonché il COMMENT AND NOTE, Delaware Chills Freeze-outs: A Critical Brief of Singer v. The
Magnavox Company and Tanzer v. International General Industries, Inc., in 3 Del. J. Corp. L. 426 (19771978).
(43) In questo senso, V. BRUDNEY - M.A.CHIRELSTEIN, A restatement of Corporate
Freezeouts, 87 Yale L. J., (1978), p. 1354; cfr. anche W.J. CARNEY, Fundamental Corporate Changes,
Minority Shareholders, and Business Purposes, 69 Am. Bar. Found. Res. J., (1980), pp. 77-97. Tutte le
tesi degli aa. citt. sono state criticate da altra parte della dottrina, in quanto «…se azionisti
diversi assegnassero valori diversi al medesimo investimento, chi assegna il valore più elevato
acquisterebbe le azioni possedute dagli altri investitori». «…Ciò costituirebbe un deterrente nei
confronti di operazioni capaci di aumentare il valore dell’impresa. Inoltre, è dubbia
l’affermazione secondo la quale la divisione è sinonimo di correttezza. Come fa l’azionista di
controllo a conoscere l’ammontare dei guadagni al fine di ripartirli in maniera corretta?» (v.
F.H. EASTERBROOK .- D. R. FISCHEL, L’economia, p. 158).
(44) Anche se con sfumature diverse, il principio è sostanzialmente affermato da varie
decisioni: cfr. Weinberger v. UOP, Inc., 457 A. 2d 701 (Del. 1983); Yanow v. Teal Indus., 178 Conn.
262, 422 A. 2d 311 (1979); Deutsch v Blue Chip Stamps, 116 Cal. App. 3d 97, 172 Cal. Rptr. 21 (2d
Dist. 1981), Gabhart v Gabhart, 370 N. E. 2d 345 (Ind. 1977).
30
CAPITOLO I
autori “ingannare” il mercato sul valore di una società è scopo difficile da
perseguire e vi è il rischio che qualcuno tenti di aggredire nel frattempo la
società confidando su un costo contenuto dell’investimento (45). Tali
considerazioni valgono ovviamente nel caso di società i cui titoli siano
negoziati sui mercati, ma possono essere estese anche alle società non quotate
nella misura in cui enfatizzano la necessità di tutelare sia la posizione della
società a massimizzare i profitti, sia gli interessi dei soci escludendi a ricevere
un giusto valore di liquidazione per le loro azioni. Secondo una linea di
pensiero ciò si realizzerebbe quando «…ogni investitore riceve almeno quanto
aveva in precedenza» e abbia la possibilità di ricorrere al giudice con lo scopo
di richiedere la valutazione della propria partecipazione (46).
In entrambe le situazioni esaminate – esclusione del socio finanziatore
ed esclusione del socio di minoranza – il riscatto di azioni può comportare,
sebbene in misura diversa, un innalzamento dei costi di transazione, generati
dalla necessità di reperire, negoziare ed ottenere sul mercato capitali alternativi
a quelli dei soci estromessi (47), ma può anche rivelarsi un meccanismo
efficiente per controllare la composizione della compagine sociale, anche se
rischia di trasformarsi in uno strumento di abuso ai danni dei soci di
minoranza. Al riguardo, alcuni autori americani suggeriscono che il
(45) V. F.H. EASTERBROOK - D. R. FISCHEL, L’economia, pp. 159-160.
(46) Cfr., ancora, F.H. EASTERBROOK .- D. R. FISCHEL, L’economia, p. 160.
(47) D. GORDON SMITH, The exit, p. 349. Il tema è stato recentemente considerato ed
approfondito anche dalla dottrina italiana: v., sul punto, O. CAGNASSO, Recesso ed esclusione del
socio: interessi in gioco e «costi» degli strumenti di tutela, in An. Giur. Ec., 2003, p. 367-369. Si noti, in
particolare, che con il termine «costi di transazione si intende, in genere, il fatto che le imprese
tendono, in alcuni casi, a sostituirsi al mercato nel caso in cui il ricorso a quest’ultimo comporti
costi eccessivi in termini di necessità di «gestire» il rapporto contrattuale con le altre imprese ed
in generale con gli altri operatori economici»: per cui essi «si manifestano…in sede di
definizione dei termini della transazione ed in sede di negoziazione (costi ex ante) e,
successivamente, in sede di esecuzione e di controllo nonché in seguito all’insufficiente
realizzazione dello scambio (costi ex post)» (v. G. FIORI, Società a responsabilità limitata e costi di
transazione, in AGE, 2, 2003, pp. 266-267; nella letteratura straniera l’analisi dei costi di
transazione è riconducibile alla risalente opera di R.H. COASE, The Nature of The Firm, in
Economica, 4, 1937, ripubblicato in The Firm, The Market and The Law, Chicago - London,
1988, pp. 33-55; (trad. it.), La natura dell’impresa, in Impresa, mercato e diritto, Bologna, 2006, ed è
stata successivamente sviluppata da O.E. WILLIAMSON, L’organizzazione economica. Imprese, mercati
e controllo politico, Bologna 1991; ID., L’economia dell’organizzazione: il modello dei costi di transazione, in
R. Nacamulli, A. Rugiadini, Organizzazione & Mercato, Bologna, 1985; ID., Markets and
Hierarchies. Analysis and Antitrust Implications, New York, 1975).
31
Azioni riscattabili
bilanciamento tra perseguimento dell’efficienza economica e tutela degli
azionisti di minoranza sia affidato ai principi dei cc.d.d. «duty of care» e «duty of
loyalty» e, quindi, a regimi di responsabilità degli amministratori particolarmente
severi (48), nonché a criteri di valutazione della partecipazioni ritenuti equi in
base ad una perizia di stima (49).
D) L’analisi economica ha, infine, considerato anche il riscatto di azioni
in funzione di protezione di soci di minoranza. Obbligando la società a
riacquistare la partecipazione, infatti, essi potrebbero evitare di rimanere
prigionieri della stessa, in situazioni giudicate “critiche” come lo stallo della
società o l’inserimento nello statuto di una clausola sulla quale dissentono (50).
Uno scenario in cui il socio rischi di non trovare un acquirente per la propria
partecipazione, si osserva, potrebbe verificarsi con maggiore frequenza in
società chiuse o a ristretta base azionaria (51). A tale proposito, regole che
legittimino i soci di minoranza ad avanzare ai giudici una richiesta diretta a
sciogliere anticipatamente la società (52) vengono generalmente ritenute poco
efficienti in considerazione dei costi di transazione derivanti da un’azione
(48) F.H. EASTERBROOK - D. R. FISCHEL, L’economia, p. 156.
(49) Si tratta del c.d. «right of appraisal», ovvero del diritto per gli azionisti a ricorrere alla
perizia. Tale diritto sorge nel momento in cui la società (la maggioranza dei soci) decide di
introdurre nello statuto una modificazione tale da influenzare le prospettive reddituali della
società; ciò peraltro accade anche al fine di sollecitare l’uscita di soci dissenzienti. Come
osservato da F.H. EASTERBROOK - D. R. FISCHEL, L’economia, p. 183, la perizia dovrebbe
assolvere due funzioni: la prima sarebbe quella di sostituire il mercato nella valutazione delle
azioni; la seconda, invece, consisterebbe nella fissazione di un valore minimo cui esse devono
essere liquidate.
(50) Si pensi, a questo proposito, alla previsione contenuta nell’art. 2355-bis per cui le
clausole di mero gradimento sono efficaci solamente ove la società garantisca al socio il diritto
di recedere o si preveda, in capo ad essa, un obbligo di acquisto delle azioni. Il punto sarà
esaminato infra, cap. I.
(51) Nelle quali, infatti, è più difficoltosa l’alienazione della partecipazione per l’assenza
di un mercato.
(52) Si tratta di una disciplina frequentemente contenuta negli statutes di alcune
legislazioni statali americane e applicabile alle sole close corporation. Tale disciplina, in particolare,
giustifica la richiesta di scioglimento della società avanzata dal singolo socio o, più
frequentemente, da una ridotta percentuale di soci, in caso di stallo gestionale o di negligenza
da parte degli amministratori: v., sul punto, J.A.C. HETHERINGTON - M.P. DOOLEY, Illiquidity
and Exploitation: A Proposed Statutory Solution to the Remaining Close Corporation Problem, in 63 Va. L.
Rev. 1(1977), p. 1 e ss.; R.B. THOMPSON, Corporate Dissolution and Shreholders’ Reasonable
Expectations, in Wash. Un. L. Quart., 66, 2, 1988, p. 193 e ss.; H. O’NEAL – R.B. THOMPSON,
O’Neal’s Oppression of Minority Shareholders: Protecting Minority Rights in Squeeze-outs and other
Intracorporate Conflicts, West Group/Clark Boardman Callaghan, 1985.
32
CAPITOLO I
giudiziaria; dell’incertezza dell’esito del procedimento; degli incentivi che le
parti hanno nel concludere una transazione che, ex post, renderebbe inutile il
ricorso al giudice; del rischio, infine, di incentivare comportamenti
opportunistici e ricattatori delle minoranze (53). In alternativa allo scioglimento
della società per effetto di una pronuncia del giudice, si è avanzata l’idea di
introdurre una regola per effetto della quale sia riconosciuta in capo ai soci
un’opzione che li legittimi a richiedere il rimborso delle azioni alla società; il
prezzo in particolare potrebbe essere preventivamente concordato tra le parti
o, in assenza di un accordo, stabilito dal giudice (54). La previsione di una regola
del genere si tradurrebbe in un meccanismo poco costoso per la risoluzione di
potenziali conflitti tra i componenti della compagine sociale. A tale fine, una
parte della letteratura ha formulato una clausola di «buy out», suggerendone la
ricezione nella legislazione statale; la circostanza, peraltro, che tale meccanismo
sia disciplinato da una norma – piuttosto che affidato alla contrattazione tra le
parti – avrebbe, infatti, il pregio di abbattere i costi di transazione legati alla
negoziazione, di ridurre il rischio che le minoranze facciano un ricorso
sistematico al giudice per chiedere la dissoluzione della società e di eliminare,
infine, quelle regole – come, ad esempio, quelle che consentono la nomina di
un custode nel caso di stallo gestionale – che rappresentano semplicemente una
(53) Cfr. J.A.C. HETHERINGTON - M.P. DOOLEY, Illiquidity, p. 7 e ss. e spec. p. 18 per i
quali «Perhaps the most important restriction on the minority’s rights under existing law is that,
even where statutory grounds for dissolution are established, relief is invariably discretionary.
The uncertainty of relied, even if statutory grounds are proved, inevitably tends to exacerbate
the minority’s illiquidity problem»; v., anche, F.H. EASTERBROOK - D. R. FISCHEL, L’economia,
p. 274 per i quali la soluzione sarebbe inefficiente anche alla luce del teorema di Coase («Il
diritto di ricorrere ad un giudice può indebolire la specificità del diritto di proprietà, poiché le
parti debbono prevedere come deciderà un giudice. Quanto più elastico lo standard, tanto
maggiori i problemi che debbono prevedere, quanto maggiori i problemi da prevedere, tanto
meno probabile che le parti risolvano i loro disaccordi senza ricorrere ad un giudice, anche nei
coasi in cui si siano lo due parti»). Per una interessante pronuncia con cui la legittimazione del
socio a richiedere lo scioglimento della società è stata affermata alla luce dei criteri
particolarmente laschi, si rinvia a Topper v. Park Sheraton Pharmacy, Inc., 107 Misc. 2d 25 433
N.Y. ove il licenziamento di un socio è stato ritenuto indice di una condotta oppressiva da
parte della maggioranza ai sensi della legge dello stato di New York; per un atteggiamento più
riluttante dei giudici, v. In re Radom & Neidorff Inc., 307 N.Y. 1, 119 N.E. 2d 563 (1964).
(54) Cfr. J.A.C. HETHERINGTON - M.P. DOOLEY, Illiquidity, p. 50 e ss..
33
Azioni riscattabili
ingiustificata invasione nei diritti proprietari degli azionisti (55). Altra parte della
letteratura, pur convenendo sull’inefficienza del ricorso allo scioglimento
giudiziale della società, ha ritenuto ugualmente irrazionale, dal punto di vista
economico, l’introduzione di una norma avente i caratteri di quella appena
descritta (56). Si è al riguardo sostenuto infatti che essa – al pari delle clausole
che consentono alla controparte l’alternativa tra vendere la propria
partecipazione o acquistare quella altrui – imporrebbe costi elevati sulla società
costringendola, se del caso, a ricorrere al credito per pagare il corrispettivo
dovuto per le azioni e garantire una via di uscita al socio “oppresso” (57).
E) A conclusione di questa rassegna si può facilmente constatare come
l’analisi economica proponga interessanti spunti di riflessione e offra strumenti
(55) Ancora, sul punto, si rinvia a J.A.C. HETHERINGTON - M.P. DOOLEY, Illiquidity, p.
45 e spec. p. 50 («…this article proposes a second approach, the adoption of a statute entitling
a minority or fifty percent shareholder to demand that the corporation or the remaining
shareholders purchase his shares. If the parties fail to agree on price and terms of payment, the
petitioner would be entitled to a decree fixing both; if the defendants continue to refuse to
purchase at the price»). Si riportano qui di seguito le parti più significative della clausola «[a]
Buyout Privilege. (1) Any shareholder (A) who does not own sufficient shares to entitle him to
elect a majority of the board of directors, or (B) whose shares are nonvoting, shall have the
right to require the corporation and/or the other shareholders of the corporation to purchase
all of his shares in the corporation. (2) A demand pursuant to paragraph (1) of this subsection
(b) shall (A) specify the number and class, if any, of shares owned by the shareholder; (B) state
that it is being made pursuant to this section; and (C) be delivered or sent to the corporation at
its principal place of business in this state. [b] Buyout Procedures. (1) Within forty-five days of
the receipt of the demand by the corporation, the board of directors shall determine whether
the corporation shall offer to purchase any or all of the shares covered by the demand and
shall notify the demanding shareholder and all other shareholders of its decision. Action by the
board of directors then in office, excluding the demanding shareholder (if he is a director); if
only one director is so eligible to vote, his vote shall be sufficient to bind the corporation. (2)
The board of directors may determine that the corporation shall offer to purchase all or a part
of the shares covered by the demand, provided however that the board may make no offer to
purchase if the corporation is or would by virtue of such purchase be rendered unable to pay
its debts as they become due in the usual course of business. If the board determines that the
corporation shall offer to purchase all or part of the shares covered by the demand, it shall
deliver or send such offer to the demanding shareholder at his last known address as reflected
on the records of the corporation».
(56) Le critiche sono riconducibili alle teorie di F.H. EASTERBROOK - D.R. FISCHEL,
L’economia, p. 275 per i quali «Queste proposte, in particolare, un’opzione in base alla quale si
viene rimborsati a richiesta, si basano sugli assunti inespressi secondo i quali il diritto vigente
non impedisce in modo adeguato a chi detiene il controllo di tenere comportamenti dannosi
per la minoranza, mentre permettere agli azionisti di minoranza di ottenere lo scioglimento
forzato dell’impresa non comporta costi. Nessuno dei due assunti coglie nel segno».
(57) «Un’impresa potrebbe essere disposta a rimborsare i propri investitori se potesse
attirare nuovi investimenti o prendere a prestito denaro da una banca, ma le condizioni della
raccolta del nuovo capitale non saranno favorevoli se chiunque altro potrà far sorgere
nuovamente il problema»: cfr. F.H. EASTERBROOK - D.R. FISCHEL, L’economia, p. 275-276.
34
CAPITOLO I
interpretativi di cui tenere conto nel corso del presente studio. Le
considerazioni sopra riportate sembrano infatti dimostrare la difficoltà di
operare un bilanciamento tra gli interessi in gioco nell’ambito di operazioni che
coinvolgano il meccanismo del riscatto di azioni vuoi quando esso – come nel
caso dell’art. 2437-sexies, c.c. – si presenti come uno strumento di esclusione del
socio; vuoi nell’ipotesi in cui il riscatto sia disciplinato in modo tale da
concedere al socio la facoltà di disinvestire e, quindi, di obbligare la società o
gli altri soci ad acquistare le sue azioni; vuoi, infine, quando esso sia articolato
in modo tale da rappresentare uno strumento di uscita dalla società attivabile in
occasione del verificarsi di eventi particolari, come nel caso in cui, ad esempio,
vengano introdotte nello statuto clausole che limitino, in modo stringente, la
circolazione delle azioni.
35
Azioni riscattabili
Sezione Seconda
GLI ISTITUTI NON RIENTRANTI NELLA FATTISPECIE
SOMMARIO: 5. Premessa: gli istituti affini all’art. 2437-sexies c.c. – 6. Azioni riscattabili
e diritto di recesso nella società per azioni. – (Segue:) 7. Azioni riscattabili e
disciplina della esclusione del socio nella società a responsabilità limitata. – 8.
Azioni riscattabili e “obblighi di riscatto”. – 9. Azioni riscattabili ed azioni
redimibili: cenni e rinvio.
5. Premessa: gli istituti affini all’art. 2437-sexies c.c.
La delimitazione della fattispecie disciplinata dall’art. 2437-sexies c.c.
deve passare attraverso il confronto con alcuni istituti che potrebbero essere ad
essa assimilati vuoi sotto il profilo della natura; vuoi sotto quello disciplinare, alla
luce del fatto che le azioni riscattabili condividono con altri istituti “porzioni”
più o meno ampie di disciplina. Sotto quest’ultimo profilo si pensi al fatto che
l’art. 2437-sexies c.c. rinvia solamente ad una parte della disciplina dettata in
tema di recesso (in particolare agli artt. 2437-ter e 2437-quater c.c.); mentre la
disciplina che attualmente governa la previsione di limiti alla circolazione delle
azioni (art. 2355-bis c.c.) richiama esclusivamente la norma relativa ai criteri di
liquidazione delle azioni (art. 2437-ter, c.c.), cui fa riferimento anche la nuova
disciplina della scissione (art. 2506-bis, comma 4, c.c.); vuoi, ancora, dal punto
di vista funzionale (il controllo della compagine sociale) ed effettuale (il
trasferimento delle azioni da un soggetto ad un altro).
A tale riguardo, si è ritenuto opportuno organizzare l’esposizione
tenendo conto – per ogni istituto considerato – della natura, della disciplina,
delle funzioni e, infine, degli effetti da ciascuno di essi perseguibile. L’analisi
incomincia con il raffronto tra le azioni riscattabili ed il diritto di recesso, per
poi passare al meccanismo di esclusione del socio nella società a responsabilità
limitata, agli obblighi di riscatto e, infine, alle azioni redimibili.
6. Azioni riscattabili e diritto di recesso nella società per azioni.
In letteratura si riscontra con frequenza l’assimilazione delle clausole di
riscatto, in generale, e delle azioni riscattabili, in particolare, sia al diritto di
recesso sia all’esclusione del socio contemplata, nell’ambito della disciplina
36
CAPITOLO I
della società a responsabilità limitata, dall’art. 2473-bis c.c.. Tali accostamenti
dipendono probabilmente da due circostanze: l’art. 2437-sexies c.c. rinvia
espressamente a una parte della disciplina del recesso, come si avrà modo di
meglio vedere infra (58); i tre istituti coincidono quanto meno sul piano effettuale
rispetto ai soci, posto che comportano, in ogni caso, la fuoriuscita di questi ultimi
dalla compagine societaria: ciò appare ancora più significativo dopo la riforma
del 2003, in quanto il recesso – oltre che quale strumento di tutela delle
minoranze – viene frequentemente inteso come efficace meccanismo di
disinvestimento, soprattutto nell’ipotesi in cui esso assuma – almeno con
riferimento alle società «chiuse» – natura convenzionale (59).
(58) Cfr. cap. I, di seguito nel testo.
(59) In effetti l’accostamento tra il diritto di recesso e il riscatto, configurato come
obbligo della società o degli altri soci a riacquistare le partecipazioni del socio uscente è
piuttosto frequente. Si veda, ad esempio, M. STELLA RICHTER JR., Diritto di recesso e autonomia
statutaria, in Riv. dir. comm., 2004, p. 394, il quale tuttavia sembra implicitamente riconoscere che
i due istituti sono differenti tra loro posto che, con riferimento all’art. 2355-bis, rileva la
peculiarità della causa di recesso «…che deve essere prevista (in alternativa al riconoscimento
di un diritto di riscatto) se lo statuto della società voglia prevedere una clausola di mero
gradimento o una limitazione del trasferimento mortis causa delle azioni, sottolineando poi come
tale ipotesi di recesso sia «…necessaria nella misura in cui si voglia limitare la circolazione delle
azioni nei ricordati modi (e senza obbligarsi a riscattarle), eventuale, nel senso che la sua
mancanza (congiuntamente alla mancata previsione del riscatto) pregiudica solo la efficacia
della clausola limitativa della circolazione».
Sulla disciplina ante riforma del recesso, ove anche riferimenti al riscatto, si vedano: G.
GRIPPO, Diritto di recesso, in Trattato delle società per azioni, vol. 6, tomo I, diretto da G.E.
Colombo e G.B. Portale, Torino 1993, p. 185 il quale utilizza il termine «riscatto» per
descrivere il meccanismo con cui si addiviene alla liquidazione delle azioni del socio recedente;
G. FRÈ, Società per azioni (Art. 2325-2461), in Commentario del Codice Civile, a cura di Scialoja e
Branca, Bologna - Roma, 1982, p. 756 e ss.; S. CAPPIELLO, Prospettive, p. 243; P. PISCITELLO, Il
diritto di «exit» nelle s.r.l. «chiuse» tra «ius conditum» e prospettive di riforma, in AA. VV., Verso un
nuovo diritto societario, a cura dell’Associazione Disiano Preite, Bologna, 2002, p. 127 ss. e spec. p.
140-141, il quale, prima della riforma del 2003, osservava come la clausola di riscatto potesse
rappresentare uno dei «correttivi» utili per permettere di «contemperare la personalizzazione
del rapporto sociale con le esigenze di disinvestimento», in quanto tali clausole «…hanno il
duplice vantaggio di impedire l’ingresso di terzi e, nel caso in cui siano previste a favore della
stessa società, di mantenere inalterati gli equilibri interni»; L. DE ANGELIS, Dal capitale leggero al
capitale sottile: si abbassa il livello di tutela dei creditori, in Le Società, 2002, p. 1460.
Per alcuni contributi relativi al diritto di recesso dopo la riforma si vedano: A.
PACIELLO, Il diritto di recesso nella s.p.a.: primi rilievi, in Riv. dir. com., 2004, I, p. 417, e spec. pp.
420-423, laddove l’a. pone l’accento sul fatto che «La nuova disciplina [del recesso] segna una
forte soluzione di continuità con quella pregressa, poiché esalta il valore di meccanismo idonea
a realizzare, anche parzialmente, il disinvestimento individuale anticipato; il fenomeno, che
prima soleva compendiarsi nel termine di exit, assume un’articolazione ben più complessa, la
comprensione del quale richiede un approccio diverso da quello tradizionale, iniziando una
«risemantizzazione» del termine, non più da intendere come atto unilaterale con effetto
risolutivo sul rapporto: in particolare, il potere di ridefinire i termini quantitativi
37
Azioni riscattabili
dell’investimento impone di analizzare l’istituto in una prospettiva che privilegi una chiave di
lettura finanziaria, apprezzandolo come tecnica (alternativa) per rendere più liquida la
partecipazione del socio. Ciò si coglie anche nella disciplina del procedimento di rimborso della
quota strutturato in modo da salvaguardare l’integrità del patrimonio dell’impresa grazie alla
preliminare parificazione con il meccanismo della vendita preferenziale agli altri soci e alla
successiva offerta ai terzi sì che la società solo in via residuale dovrà provvedere al rimborso».
Questa nuova nozione del recesso farebbe sì che esso «…sia utile, se non indispensabile,
strumento di contrattazione tra gruppi di soci, momento di composizione di interessi
divergenti…». La circostanza che il recesso sia divenuto uno strumento di negoziazione tra i
soci e la società comporta, secondo l’a., anche un mutamento delle sue funzioni per cui
«…l’affermazione che tale diritto assolve una funzione di tutela del socio di minoranza è tanto
frequente quanto solo descrittiva. Il recesso è certo posto a tutela dei soci che non
condividono, e quindi non vogliono subire gli effetti di quella determinata scelta, ai quali…si
riconosce la possibilità di sciogliere il vincolo fondato sul comune interesse a massimizzare
l’impiego delle risorse destinate ad impresa. Che le ragioni del mercato debbano prevalere su
quelle del singolo, o della minoranza, è principio immanente all’azione societaria». Ed invero,
secondo la ricostruzione riportato la disciplina del recesso parziale, istituto riconosciuto
nell’ambito della società per azioni ma non per quella a responsabilità limitata, farebbe
concludere nel senso che «…il recesso nella s.p.a. è segmento normativo della più ampia
disciplina del finanziamento a titolo di capitale di rischio: le modifiche statutarie che ne
legittimano l’esercizio incidono, modificandole, sulle precedenti regole di quel particolare
investimento e giustificano il riconoscimento del potere di ridefinirne la destinazione»; nello
stesso senso, A. DENTAMARO, Il diritto al disinvestimento, p. 449 e ss., la quale osserva che il
diritto al disinvestimento andrebbe analizzato abbandonando la tradizionale visione
organizzativa-oggettiva per sposare, invece, quella individuale-soggettiva, quale è quella relativa
all’investimento «…che analizza il tutto non a partire dal punto di vista della società, come
vorrebbe l’interpretazione organizzativa tradizionale, bensì a partire dal punto di vista del socio
cui è attribuito il diritto… », pertanto «…nella prospettiva soggettiva del socio, ciascuna di esse
contribuisce ad invidiare i caratteri o connotati essenziali di una operazione di investimento
societario del quale viene messo in rilievo essenzialmente il profilo del rischio che l’investitore
non vuole vedere modificato»; altresì, S. CARMIGNANI, Art. 2437, in La riforma delle società, a
cura di M. Sandulli e V. Santoro, 2/II, Torino, 2003, p. 882 e ss.; S. PESCATORE, La società per
azioni, in A. Bassi, V. Buonocore e S. Pescatore, La riforma del diritto societario. Commento ai d.lgs. n.
5.6 del 17 gennaio 2003, a cura di Buonocore, Torino, 2003, p. 14 e ss.; R. RORDORF, Il recesso del
socio di società di capitali: prime osservazioni dopo la riforma, in Le Società, 2003, p. 925; G. DE NOVA,
Il diritto di recesso del socio per azioni come opzione di vendita, in Riv. dir. priv., 2, 2004, p. 329; F.
CHIAPPETTA, Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili interpretativi e applicativi, in Riv.
Soc., 2005, p. 487; P. PISCITELLO, Riflessioni sulla nuova disciplina del recesso nelle società di capitali, ivi,
p. 518 e ss. e spec. p. 519 laddove l’a., dopo avere sottolineato la necessità in mancanza di un
mercato ove cedere la propria partecipazione, di prevedere tecniche di disinvestimento diverse
dal trasferimento della quota, rileva come «l’analisi delle modifiche della disciplina del recesso
nelle società di capitali segna il passaggio da una situazione in cui il socio ed, in particolare, il
socio di minoranza era prigioniero della società ad una regolamentazione dell’istituto che, in
determinate condizioni, potrebbe incoraggiare l’exit». Peraltro il timore che la nuova disciplina
possa comportare un aumento incontrollato delle ipotesi di recesso con il conseguente
impoverimento del patrimonio sociale e un aumento del profilo di rischio di insolvenza per i
creditori sociali sarebbe fugato dalla circostanza che vi sarebbe in ogni caso «…la possibilità di
modulare le ipotesi di dismissione delle partecipazioni sociali in relazione alle caratteristiche di
una determinata impresa, premettendo ai soci di realizzare una disciplina conforme alle
peculiari esigenze della stessa»; ASSONIME, La nuova disciplina del diritto di recesso: il commento
dell’Assonime (Circolare n. 68/2005), in Riv. Soc., 2005, p. 1390; A. TOFFOLETTO, L’autonomia
privata e i suoi limiti nel recesso convenzionale del sociodi società di capitali, in Riv. Dir. Comm., 2004, I, p.
347 e ss. (parte di un lavoro monografico del titolo Diritto di recesso e autonoma statutaria nelle
società di capitali, ed. provv., Milano, 2004), il quale, con particolare riferimento alle ipotesi di
38
CAPITOLO I
Il diritto di recesso si contraddistingue dalle azioni riscattabili sotto almeno
quattro profili (60).
Innanzitutto per la natura, posto che solo nelle azioni riscattabili è
riscontrabile una struttura di carattere potestativo, che si traduce, tra l’altro,
anche in un diverso atteggiarsi delle modalità con cui si realizza il
disinvestimento (61). Nel caso del recesso, infatti, da una parte, il socio non
recesso convenzionale, illustra l’evoluzione del diritto di recesso criticando tanto la tesi
istituzionalista – le cui idee di eccezionalità del diritto di recesso e della tassatività delle sue
cause è ormai contraddetta dalla nuova impostazione seguita dalla riforma – quanto quelle
contrattualistiche, cui la riforma in qualche modo si ispirerebbe, in quanto non vi sarebbero
«…nelle tesi sostenute in passato elementi sufficienti a chiarire l’effettiva portata
dell’autonomia contrattuale ed in particolare se esistano dei limiti in funzione della protezione
di quali interessi» e giunge alla conclusione che il disinvestimento ottenuto per effetto del
recesso non può essere garantito da forme di recesso per così dire “da pentimento”, posto che
«il vincolo interpretativo insuperabile posto dai principi della legge delega esclude che le cause
convenzionali di recesso possano essere di tale natura, collegando inequivocabilmente, con
riferimento alle società azionarie, le fattispecie di recesso convenzionale con il dissenso del
socio. Quindi nessuna ipotesi di recesso di pentimento appare ammissibile: il recesso
convenzionale sembra configurabile esclusivamente quando fondato sulla medesima ratio che
hai ispirato l’ingresso del diritto di recesso nelle società di capitali. Il bilanciamento tra i poteri
della maggioranza e i diritti della minoranza può essere convenientemente affidato al negoziato
fra le parti, mentre il potere di disgregare il progetto comune non può essere attribuito, eppure
per volontà delle parti, a singoli soci».
(60) Per l’analisi della disciplina del recesso applicabile alle azioni riscattabili con
riferimento agli artt. 2437-ter e 2437-quater si rinvia infra al cap. IV.
(61) La dichiarazione di riscatto da parte dei soci titolari di tale potere, infatti,
comporta l’immediato trasferimento ad essi delle azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies e la
conseguente perdita da parte del titolare di questi ultimi della qualità di socio o la riduzione
della sua partecipazione nel caso in cui oggetto del riscatto siano state solamente una parte
delle azioni. Al contrario, la struttura potestativa del diritto di recesso è stata messa in dubbio
anche dalla dottrina in occasione del dibattito sorto, in vigore della precedente formulazione
dell’art. 2437, in ordine all’individuazione del momento in cui il recesso comportava la perdita
dello status socii: sul punto G. GRIPPO, Diritto, p. 181, «Se si riconosce al diritto di recesso natura
potestativa, sembra conseguirne l’immediata uscita del dichiarante dalla compagine sociale. La
dottrina ha, nondimeno, osservato come la variazione del capitale sociale, determinato dalla
variazione del numero di azioni, importi una modificazione dell’atto costitutivo, che non può
essere operata dalla volontà del recedente». Questa opinione si inserisce in quel filone di
pensiero che ritiene che lo status di socio venga meno non tanto al momento dell’esercizio del
recesso e quindi della dichiarazione unilaterale da parte del socio, bensì nel momento in cui
l’assemblea avesse deliberato l’acquisto delle azioni del socio recedente o fosse addivenuta alla
decisione di annullarle: il punto è condiviso da F. CHIOMENTI, Revocabilità della deliberazioni aventi
ad oggetto le modificazioni dell’atto costitutivo di cui all’art. 2437 cod. civ. in presenza di dichiarazioni di
recesso dalla società, in Riv. dir. comm., 1996, II, p. 417 e ss. («Prima del riscatto delle azioni…del
recedente, prima della riduzione del capitale sociale, il recedente resta socio, perché egli è
ancora partecipe tramite le sue azioni al capitale sociale»; e ciò in considerazione del fatto che il
rapporto tra la società e il socio recedente «si costituisce, si modifica o si estingue sulla base
della partecipazione o della perdita della partecipazione al capitale della società». Si legga anche
a p. 420, laddove l’A. rileva che «…la dichiarazione di recesso non scioglie in questi tipi di
società il rapporto, perché dato il collegamento e il fondamento del rapporto sociale sul
39
Azioni riscattabili
concorre all’assunzione della deliberazione che legittima il suo disinvestimento,
rendendolo sostanzialmente creditore del valore di liquidazione delle azioni e
facendogli conseguire il diritto ad ottenere l’estromissione dalla società: il
meccanismo che conduce alla sua uscita dalla società dipende, in ogni caso, da
una sua manifestazione di volontà; e, dall’altra parte, non si può certo sostenere
che la società destinataria della dichiarazione unilaterale con cui il socio
manifesti la volontà di recedere dalla società, venga a trovarsi in una posizione
di soggezione, alla luce di quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 2437-bis,
c.c. in tema di revoca della deliberazione che legittimerebbe l’esercizio del
recesso (62). Nella ipotesi delle azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies, c.c.
– ove il riscatto viene dal legislatore configurato in modo tale da attribuire ai
soci diversi dal titolare delle azioni la potestà di esercitarlo nei confronti di
quest’ultimo – quella che potrebbe indicarsi come la procedura di
disinvestimento viene, per così dire, “attivata” da soggetti diversi da colui che
subisce la liquidazione (forzosa) delle proprie azioni: in altre parole dal soggetto
o dall’organo ritenuto competente all’esercizio del riscatto (63). Peraltro la
differente natura dei due istituti è apprezzabile anche qualora si constati che
mentre nel caso delle azioni riscattabili il rapporto tra il titolare delle azioni e la
società o gli altri soci ha fin dall’inizio natura potestativa – per cui i titolari delle
capitale, non è idonea a causare tale effetto, ma esprime e rivolge alla società, in quanto è
l’assembklea di questa competente ad operare sul capitale, la richiesta di sciogliere il rapporto
del recedente con il capitale e con ciò il rapporto sociale»); v. anche ID., La revoca delle
deliberazioni assembleari, Milano, 1977. Nello stesso senso, v. G. PRESTI, Questioni in tema di recesso
nelle società di capitali, in Giur. comm., 1982, I, p. 117, in nota 56; R. NOBILI - M. S. SPOLIDORO,
La riduzione, p. 433; F. FENGHI, La riduzione del capitale, Milano, 1974, p. 103, in nota 9; D.
GALLETTI, Il recesso nelle società di capitali, Milano, 2000, p. 466; S. PACCHI PESUCCI, Autotutela
dell’azionista e interesse dell’organizzazione sociale, Milano, 1993, p. 180.
Contra, G. SANTINI, Della società a responsabilità limitata, in Commentario al Codice Civile a
cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1992, p. 327; L. DE ANGELIS, Esercizio del diritto di
recesso e cessazione dello status socii, in Le Società, 1994, p. 1227.
(62) Sul punto, dopo la riforma del diritto societario, si veda V. DI CATALDO, Il recesso
del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto societario. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso,
diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Milano, 2007, p. 253, il quale distingue il periodo
intercorrente tra la comunicazione del recesso alla società e il termine entro il quale è possibile
per la società revocare la delibera legittimante il recesso (novanta giorni) durante il quale il
socio manterrebbe il proprio status anche in funzione dell’eventuale partecipazione a tale
assemblea e il periodo successivo, che potrebbe dilungarsi, ad esempio, in ragione di eventuali
contestazioni da parte del socio in merito al valore di liquidazione delle azioni e per il quale i
diritti sociali non potrebbero invece essere esercitati.
(63) Sul tema si rinvia, infra, cap. III, § 8.1.
40
CAPITOLO I
azioni si trovano relegati in una posizione di soggezione e la società o gli altri
soci in una posizione di potere – nel caso del diritto di recesso, invece, la
società o i soci diversi da colui che ha esercitato il recesso e chi recede non si
pongono ex ante in un rapporto di tale genere (64). Sempre sotto questo profilo,
inoltre, si può rilevare come la diversa natura dei due istituti si rifletta anche sul
loro modo di operare. Per quanto attiene al diritto di recesso bisogna
distinguere il piano del riconoscimento del diritto da quello della legittimazione
al suo esercizio: al riguardo si può rilevare come si tratti di un diritto soggettivo
dell’azionista la cui sussistenza dipende esclusivamente dalla qualità di socio,
mentre per la legittimazione al suo esercizio è richiesto dall’art. 2437 c.c. uno
specifico presupposto soggettivo consistente nel fatto che il socio non abbia
preso parte alle deliberazioni elencate dalla medesima norma (65).
Diversamente, per essere soggetti al riscatto delle proprie azioni, non è
sufficiente essere soci della società ma è anche necessario essere titolari di una
specifica categoria di azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.; peraltro,
come già messo in luce in precedenza, non è richiesto un presupposto positivo
per subire il riscatto dipendendo questo dalla volontà della società o degli altri
(64) Riprendendo la sistematica adottata da V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive
dell’azionista, Pompei, 1960, p. 197-200, può dirsi che mentre il diritto di recesso è una forma di
cessazione dello status di socio per volontà propria, l’esercizio del diritto di riscatto di azioni
(sul quale, tuttavia, l’A. non si intrattiene) è una modalità di cessazione del medesimo status per
volontà di terzi e, in particolare, degli altri soci.
(65) Si ricorda a tale proposito l’intenso dibattito relativo al momento in cui stabilire la
sussistenza del presupposto della qualità di socio: sul punto, nel vigore della precedente
formulazione dell’art. 2437 c.c., si ricorda l’opinione di G. MINERVINI, Sulla legittimazione
all’esercizio del diritto di recesso nelle società per azioni, in Rassegna Economica, Pubblicazione quadrimestrale
del Banco di Napoli, 1963, p. 679 e ss., per il quale il recesso è condizionata alla presenza di tre
requisiti (ovvero la qualità di socio al momento dell’assunzione della delibera modificativa; al
momento della dichiarazione di recesso; e, infine, la mancata prestazione del consenso a tale
delibera); tali conclusioni sono state poi riprese da G. GRIPPO, Diritto, p. 173, ove riff. in nota
n. 119 («Dovrà pur sempre trattarsi di soggetto che, al momento dell’assemblea, abbia
conseguito lo status socii, e, quindi, acquistato le azioni prima della data dell’assemblea,
nonostante manchi ancora l’iscrizione nel libro soci…»); contra, D. GALLETTI, Il recesso, p. 249,
per il quale «Il motivo per cui il nuovo socio può recedere risiede semplicemente nella
circostanza per cui è socio, e manifesta il suo dissenso attraverso la dichiarazione di recedere».
Il problema non muta sostanzialmente dopo la riforma: sul punto si veda, M. STELLA RICHTER
JR., Diritto di recesso, p. 396; anche V. DI CATALDO, Il recesso, p. 242 e ss..
41
Azioni riscattabili
soci, oltre che dal verificarsi di una eventuale condizione dedotta in statuto (66).
I due istituti differiscono anche quanto a disciplina in ragione del fatto
che – almeno tendenzialmente – le azioni riscattabili rappresentano una
categoria di azioni (67). Si consideri, ad esempio, il profilo relativo alla tutela dei
soci e dei titolari di azioni riscattabili: nell’ipotesi in cui, ad esempio,
l’assemblea straordinaria modifichi i criteri di determinazione del valore delle
azioni (art. 2437, lett. e], c.c.), così come nell’ipotesi di modificazioni
concernenti i diritti di voto (art. 2437, lett. g], c.c.) i primi avranno il diritto di
recedere dalla società in ragione della volontà di introdurre modifiche
sostanziali al contratto sociale; nel caso in cui, invece, l’assemblea straordinaria
intenda modificare le eventuali condizioni di riscatto previste nello statuto in
senso peggiorativo per i loro titolari (68), la proposta di modificazione statutaria
dovrà passare attraverso il vaglio dell’assemblea speciale di cui all’art. 2376 c.c..
Anche sotto il profilo funzionale si possono constatare differenze di un
certo rilievo: anzi, da questo punto di vista, si può dire che i due istituti
perseguano scopi opposti essendo l’uno (il recesso) diretto al disinvestimento
della partecipazione in caso di dissenso del socio rispetto alle decisioni assunte
dalla società e alle modifiche del contratto sociale e l’altro (le azioni riscattabili)
strumentali a provocare l’uscita del socio che ne è titolare dalla compagine
sociale.
La differenza più rilevante tra il recesso e le azioni riscattabili è, infine,
rilevabile sotto il profilo degli effetti prodotti dai due istituti sul capitale sociale. Il
recesso, infatti, in assenza dell’esercizio di opzione da parte dei soci non
recedenti o del mancato acquisto delle azioni da parte di terzi in seguito al
collocamento dei titoli sul mercato (art. 2437-quater, commi 1 e 4, c.c.),
(66) V. BUONOCORE, Le situazioni, p. 197-200. Il che, peraltro, non sembra escludere la
legittimità di azioni che incorporino il diritto di recedere dalla società a condizioni
predeterminate dallo statuto, così come sostenuto da M. NOTARI, Disposizioni generali, p. 143.
(67) Sul punto si tornerà oltre: cfr. infra, cap. I, sub § 6. Ma si ricordi che l’autonomia
privata potrebbe prevedere una categoria di azioni alle quali solamente è attribuito un diritto di
recesso che avrebbe, in questo caso, natura convenzionale: sul punto, v. M. NOTARI,
Disposizioni generali, p. 143.
(68) Prevedendo, ad esempio, di modificare la clausola statutaria che disciplina le
azioni riscattabili, integrandola con una ulteriore causa di riscatto.
42
CAPITOLO I
comporta, in assenza di utili o riserve disponibili da utilizzare per il rimborso
del valore delle azioni, la riduzione del capitale o lo scioglimento della società
(69). La disciplina delle azioni riscattabili, nelle ipotesi in cui lo statuto preveda
che il potere di riscatto sia attribuito alla società, non sembra invece
comportare la riduzione del capitale, sebbene contenga un rinvio espresso
all’art. 2437-quater c.c.. In tale senso, depongono le seguenti considerazioni:
innanzitutto, le disposizioni contenute nell’art. 2437-quater c.c. non sono
applicabili alla disciplina delle azioni riscattabili tout cour ma solamente dopo
l’applicazione del test di compatibilità previsto dallo stesso art. 2437-sexies; c.c.
in secondo luogo, in ragione della natura facoltativa dell’esercizio del riscatto: non
sarebbe, d’altro canto comprensibile l’imposizione di un obbligo di riduzione in
presenza di un acquisto facoltativo di azioni (70); in terza battuta – ma tale
giustificazione discende dalla, ed è collegata alla, precedente – in forza della
struttura potestativa del diritto riconosciuto alla società dallo statuto: potrebbe,
infatti, prospettarsi l’ipotesi in cui, pur verificatesi le condizioni e i presupposti
statutari che legittimano al riscatto, la società opti per non procedere in tale
senso.
7. (Segue:) azioni riscattabili e disciplina dell’esclusione del socio
nella società a responsabilità limitata.
Rispetto alle azioni riscattabili, l’esclusione del socio presenta alcune
similitudini.
L’art. 2473-bis c.c. sembra, innanzitutto, condividere con il primo
istituto la struttura tipica dei rapporti giuridici potestativi (71): è evidente infatti
che, anche in questo caso, la clausola statutaria finirà per riconoscere all’organo
ritenuto competente ad esercitare l’esclusione – i soci o gli amministratori a
(69) Per l’analisi della portata del rinvio operato dall’art. 2437-sexies c.c. all’art. 2437quater c.c., si veda, infra cap. III, sub § 10.1
(70) E’ questa l’opinione, da ritenersi corretta, di M. CENTONZE, Riflessioni sulla
disciplina del riscatto azionario, in BBTC, 2005, I, p. 61.
(71) V., sul punto, C. ESPOSITO, L’esclusione come strumento generale di «exit» societario, in
Riv. Not., 2004, I, p. 289 che rileva come «In ragione dell’operatività della clausola il socio viene
quindi posto in una situazione di soggezione rispetto alla quale vive il diritto potestativo degli
altri soci di acquistare le quote: nominare il soggetto terzo acquirente oppure disporre che la
società utilizzi le riserve disponibili per l’acquisto».
43
Azioni riscattabili
seconda della soluzione che l’autonomia statutaria deciderà di sposare – il
potere di estromettere dalla compagine sociale. E’ tuttavia facilmente
constatabile che, mentre l’art. 2473-bis c.c. prescrive un preciso presupposto
per procedere a tale esclusione, ovvero che si siano verificate determinate
circostanze che concretino la «giusta causta» convenuta dalle parti nel contratto
sociale (72), la formulazione dell’art. 2437-sexies c.c. si connota per il fatto che il
potere riconosciuto ai soci o alla società non è – almeno esplicitamente –
subordinato ad alcun presupposto (73).
Una sensazione di forte analogia tra i due istituti si può inoltre
riscontrare sotto il profilo effettuale in quanto, in entrambi i casi, il risultato ultimo
dell’esercizio del riscatto o della attivazione della clausola di esclusione è
l’estromissione del socio dalla compagine sociale.
Più complesso è invece condurre un raffronto se si prendono in
considerazione gli aspetti relativi alla disciplina e alle funzioni dei due istituti.
Sotto il primo profilo è difficilmente revocabile in dubbio che – quanto
(72) E’ ciò a prescindere dal fatto che la clausola di esclusione del socio sia stata
strutturata in modo tale da prevederne una automatica operatività. Si tratta, infatti, di due
profili differenti e che vanno tenuti nettamente distinti tra loro. Una cosa infatti è prevedere
che l’esclusione non possa che essere legittimata dal verificarsi di un evento o di una situazione
che concreti il presupposto prescritto dalla norma; altra è invece disciplinare la clausola in
questione in modo tale da non ritenere necessaria. In tema di struttura della clausola di
esclusione si veda il contributo di L. BARCHI, L’esclusione del socio nella società a responsabilità
limitata, in Notariato, 2006, p. 149 il quale suggerisce di non prevedere negli statuti una
automatica operatività di tale clausola in considerazione del fatto che, altrimenti, non sarebbe
consentito alla società di valutare se procedere all’esercizio della facoltà di esclusione o meno;
cfr. anche M. SPERANZIN, Clausole di esclusione e patti parasociali: giurisprudenza tedesca e art. 2473-bis
c.c. (nota a BGH, 14 marzo 2005 e BGH, 19 settembre 2005), in RDS, 2, 2007, p. 123, in cui
vengono commentate due decisioni assunte dal Tribunale di Francoforte: la prima è relativa alla
legittimità di una clausola contenuta in una GhmH che permetteva l’assunzione di una
deliberazione di esclusione del socio nel caso in cui fosse venuto meno un contratto tra la
stessa società e il socio (in questo caso il Tribunale si pronuncia nel senso della legittimità della
clausola affermando di non potere applicare nel caso concreto i principi ormai consolidati in
materia che colpiscono con la nullità clausole di esclusione non subordinate alla sussistenza di
un motivo oggettivo sufficientemente specificato); la seconda pronuncia riguarda invece il
delicato caso di una delibera di esclusione del socio assunta in seguito al venir meno in capo a
quest’ultimo della qualifica di amministratore della società (anche in questo caso il Tribunale
dichiara la legittimità della clausola in considerazione del fatto che «…la partecipazione sociale
dell’amministratore unico sia strumentale a rafforzare i legami del soggetto con l’impresa, e che
siffatta configurazione del rapporto legittimi l’opzione di acquisto a favore del socio di
maggioranza in quanto quest’ultimo deve essere libero, al venir meno dell’incarico di
amministratore, di poter sostituire un nuovo soggetto nei due rapporti. Tale configurazione
esclude altresì, a parere del BGH, qualsiasi violazione della parità di trattamento.»).
(73) Sul punto relativo alle azioni riscattabili ad nutum si tornerà infra, cap. III, sub § 7.3.
44
CAPITOLO I
meno da un punto di vista redazionale – le due norme siano l’una omologa
dell’altra, seppur dettate nei due diversi ambiti della società per azioni e di
quella a responsabilità limitata (74). In entrambi i casi, infatti, è evidente la
volontà di valorizzare l’autonomia privata («lo statuto prevede» recita la prima
norma; «l’atto costitutivo può prevedere» dispone in proposito la seconda);
nonché il ricorso ai criteri di valorizzazione del recesso per la liquidazione delle
azioni o delle quote (con il richiamo, rispettivamente, agli artt. 2437-ter e 2473,
c.c.); così come l’assenza di qualsiasi riferimento agli organi competenti a
decidere l’esercizio del riscatto o ad assumere la decisione dell’esclusione del
socio. E’ piuttosto frequente, peraltro, riscontrare situazioni in cui il legislatore
abbia dotato la società per azioni e la società a responsabilità limitata di istituti
denominati in modo diverso, ai quali si applicano regole differenti e aventi un
diverso rilievo organizzativo, ma che sono in grado di raggiungere i medesimi
scopi economici. Un esempio è sicuramente rappresentato dalla disciplina del
conferimento di prestazioni di opera o di servizi, vietato dall’art. 2342, ult.
comma, c.c. e ammesso, invece, dall’art. 2464, comma sesto, c.c.. Vero è che da
un punto di vista giuridico la società per azioni non ammette che il valore di
opere e servizi possa essere “capitalizzato”; ma è anche vero che, da un punto
di vista economico, l’organizzazione societaria potrà godere di tali elementi
grazie a strumenti alternativi che consentono di acquistare la qualità di socio,
come nel caso di «prestazioni accessorie» ai conferimenti (art. 2345 c.c.) (75) o
che comportano l’assunzione di una diversa qualifica rispetto alla società ma
(74) D. GALLETTI, Art. 2473-bis, in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino e G.
Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, p. 1917; O. CAGNASSO, Art. 2473-bis, in
Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, 2, Padova, 2005, pp. 1847-1848; S.
MASTURZI, Art. 2473-bis, in Le nuove leggi del diritto dell’economia, a cura di M. Sandulli e V.
Santoro, Torino, 2003, p. 95; M. PERRINO, La “rilevanza del socio”, p. 138, pubblicato con il
medesimo titolo anche in Giur. comm., 2003, I, p. 837.
(75) F. DI SABATO, Capitale e responsabilità interna nelle società di persone, Napoli, 1967 e
Milano, 2005 (rist.), pp. 87-91, per cui «la dottrina giuridica, dopo aver rilevato nelle società di
capitali la riduzione al rango delle prestazioni accessorie del conferimento di servizi, è indotta
ad assegnare ai servizi conferiti dal socio nelle società di persone un ruolo differente
nell’organizzazione interna. Così, per quanto attiene alla rilevanza del capitale…si afferma
decisamente la necessità di un trattamento diverso dal conferimento di servizio rispetto al
conferimento di beni, a cagione – essenzialmente – della immaterialità dei primi rispetto ai
secondi e dell’inidoneità dei primi alla costituzione di un fondo reale a garanzia dei creditori».
45
Azioni riscattabili
che, in ogni caso, consentono di conseguire diritti patrimoniali o anche
amministrativi, come nell’ipotesi di emissione di strumenti finanziari
partecipativi a fronte di apporti d’opera o di servizi (art. 2436 c.c.) (76).
Vi sono, d’altro parte, indici che depongono in senso contrario rispetto
allla coincidenza dei due istituti.
Tra questi uno è rappresentato dalla diversa rilevanza dei due istituti
sotto il profilo dell’organizzazione sociale e della funzione svolta all’interno di
essa. Da questo punto di vista, infatti, l’esclusione del socio pare connotarsi
come un vero e proprio meccanismo “rimediale” di fonte “convenzionale” (77).
Tale carattere peraltro sembra discendere dal fatto che l’esclusione sarà
generalmente giustificata da fatti o atti capaci di incidere negativamente
sull’attività o sull’organizzazione dell’impresa, come testimonia anche la
circostanza di potere essere associata alla previsione di clausole penali ai sensi
dell’art. 1382 c.c. (78). Al contrario, è stato affermato che nelle azioni riscattabili
(76) M. NOTARI, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi, in Il nuovo
ordinamento delle società, in CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO – SCUOLA DI NOTARIATO DELLA
LOMBARDIA – FEDERNOTIZIE, Il nuovo ordinamento delle società, a cura di S. Rossi, Milano, 2004,
p. 51, che sottolinea come «…dal punto di vista della tipologia dell’apporto, la categoria delle
entità a fronte delle quali possono essere emessi gli strumenti finanziari partecipativi ex art.
2346, sesto comma, Codice civile, rappresenta un genus nel cui ambito i conferimenti ex art.
2342 Codice civile costituiscono una species più circoscritta»; ID., Problemi aperti in tema di struttura
finanziaria della s.p.a., in Società, 2005, p. 5.
(77) Come rileva anche M. PERRINO, La rilevanza del socio, p. 147; dopo la riforma, v. O.
CAGNASSO, Art. 2473-bis, p. 1846.
(78) Sul punto, ancora, M. PERRINO, La rilevanza del socio, p. 139. Questa parrebbe
altresì l’impostazione della dottrina anche dopo l’introduzione nella disciplina delle società a
responsabilità limitata dell’art. 2473-bis: per cui si è ritenuto che il fatto integrativo della giusta
causa potrebbe concretizzarsi in un evento che colpisce la persona (come l’interdizione,
l’inabilitazione o la condanna a una sanzione penale) o il patrimonio del socio (come nel caso
di pignoramento della partecipazione o dell’apertura di una procedura concorsuale) o che si
sostanzia, ad esempio, in una condotta ostruzionistica nei confronti della società o in un’attività
di concorrenza sleale nei confronti della stessa (attraverso, ad esempio, l’utilizzo di segreti
aziendali o beni sociali). Per uno spunto in tale senso si veda M. TANZI, Art. 2473-bis, in Società
di capitali - Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004, pp. 15491550; P. PISCITELLO, Recesso ed esclusione nella s.r.l., in Il nuovo diritto societario. Liber amicorum
Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Milano, 2007, p. 737, che
afferma che le cause che legittimano l’esclusione del socio possono, al limite consistere, in
«…eventi che non riguardano direttamente la persona del socio, ma vengono considerati tali da
indurre gli altri soci a rinunciare alla prosecuzione del rapporto sociale»; cfr., anche, O.
CAGNASSO, Art. 2473-bis, p. 1846, che ricollega la disposizione alla ipotesi di mancata
esecuzione dei conferimenti e alla scadenza o sopravvenuta efficacia della polizza assicurativa o
delle garanzia bancaria di cui all’art. 2466, c.c..; C. ESPOSITO, L’esclusione, p. 261 e ss. il quale
classifica le clausole di esclusione del socio in tre diverse categorie: quelle collegate
46
CAPITOLO I
difetterebbe del tutto il profilo sanzionatorio presente, invece, nell’unica ipotesi
di esclusione (legale) del socio ammessa nell’ambito della disciplina della
società per azioni e rappresentata dall’art. 2344 c.c. (79). A tale proposito, una
delle isolate pronunce in tema di azioni riscattabili, registrate prima della
riforma del diritto societario, ha a tale proposito precisato che, mentre
l’esclusione di cui all’art. 2344 c.c. «contempla un sistema sanzionatorio che
conduce alla decadenza della partecipazione e all’incameramento del
conferimento», il riscatto «è volto a regolamentare l’effetto di un evento che
abilita la società a ritenere le azioni entro un termine determinato
corrispondendo il valore patrimoniale netto della partecipazione» (80)
Ciò sembrerebbe anche confermato dalle modalità di funzionamento
dei due meccanismi e, in particolare, dalla circostanza che, se da una parte, non
sarebbero legittime esclusioni parziali del socio (81) – proprio in ragione della
all’inadempimento dei soci (anche amministratori); quelle finalizzate a reagire ad un loro
determinato comportamento; quelle, infine, destinate ad operare in concomitanza di un evento
indirettamente collegato alla persona del socio e ritenuto di incidenza tale sulla società da non
consentire più la prosecuzione del rapporto.
Quanto alla previsione di clausole penali associate all’esercizio dell’esclusione del
socio, ne è stato giustificato l’utilizzo nel caso in cui quest’ultima trovi fondamento in un
inadempimento di un obbligo di legge o previsto dall’atto costitutivo ma non nel caso di
comportamenti del socio che non siano connotati da dolo o colpa (così, L. BARCHI, L’esclusione,
p. 155; e, in giurisprudenza, v. Cass. 17 ottobre 1985, n. 5122 che ne giustifica l’utilizzo anche
in mancanza di un danno patrimoniale all’ente giuridico).
(79) La quale, in ogni caso, è un’ipotesi legale, e non convenzionale, di esclusione. Si
veda G. COTTINO, Diritto commerciale, I Padova, 1976, p. 567; G. PRESTI, Le clausole, pp. 402403, il quale non esclude, nel sistema della società per azioni, l’introduzione di forme di
esclusione diverse da quella per mancata attuazione dei conferimenti di cui all’art. 2344. Sotto il
diverso profilo dell’inammissibilità di clausole di esclusione rimesse al mero gradimento degli
altri soci: G. AULETTA, Il diritto assoluto di esclusione nelle società di persone, in Scritti giuridici in onore di
F. Carnelutti, III, Padova, 1950, p. 671; F. GALGANO, La società in genere. Le società di persone, in
Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu - F. Messineo - L. Mengoni, continuato
da P. Schlesinger, Milano, 2007, p. 326 ss.; M. PERRINO, Le tecniche, p. 140, per cui l’esclusione
identificherebbe un fenomeno unitario «pur nella diversità delle molteplici tecniche di
attuazione previste a seconda del distinto ambito societario o, più ampiamente, associativo di
riferimento».
(80) Cfr. Appello Milano, 14 luglio 1982.
(81) D. GALLETTI, Art. 2473-bis, p. 1918, in quanto ciò consente di evitare «…il grave
rischio opportunistico che ne deriverebbe a vantaggio della maggioranza (che potrebbe diluire
il partner senza neppure consentirgli di monetizzare l’intero investimento)»; contra P.
PISCITELLO, Recesso, p. 737 per cui «..la necessaria correlazione dell’esclusione all’esistenza di
una giusta causa non induce necessariamente ad escludere l’ammissibilità di un’esclusione
parziale. Ed invero, la giusta causa che legittima l’esclusione potrebbe essere compatibile con
una permanenza del socio in società, sua pure con una partecipazione meno consistente di
quella posseduta in precedenza»: e ciò in base all’argomento che potrebbe darsi il caso di un
47
Azioni riscattabili
funzione risolutoria-sanzionatoria dell’istituto che non giustificherebbe la
permanenza del socio ancorchè con una partecipazione più ridotta rispetto a
quella originariamente detenuta – non sembrano porsi, dall’altra parte, limiti
quantitativi al numero di azioni riscattabili da parte dei soggetti legittimati ad
esercitare il riscatto (82), posto che non sono sconosciuti meccanismi di riscatto
di azioni che si risolvono in un vero e proprio ammortamento delle azioni
diluito nel tempo, come parrebbe confermare anche l’esperienza di altri
ordinamenti (83).
L’esclusione del socio pertanto sembrerebbe essere stata introdotta dal
legislatore coerentemente con la natura – più o meno marcatamente –
personalistica della disciplina della società a responsabilità limitata (84). E’ forse
anche per la peculiare natura di questo tipo sociale e per il fatto che, all’interno
di esso, la persona del socio è al centro delle dinamiche societarie che
l’esercizio dell’esclusione comporta pur sempre – in via diretta o indiretta – un
onere finanziario in capo ai soci che decidono di esercitare tale facoltà. Ciò
sembra confermato dal fatto che la disciplina dell’esclusione non deroga al
principio stabilito dall’art. 2474 c.c. in ragione del quale la società non può
procedere ad acquistare le quote del socio escluso (85): il legislatore parrebbe
socio che – pur avendo effettuato regolarmente un conferimento in denaro – si renda
inadempiente rispetto ad un conferimento consistente in una prestazione d’opera. La tesi
tuttavia non sembra prendere in considerazione – oltre al dato letterale dell’art. 2473-bis c.c. –
il fatto che, anche in questa circostanza, potrebbe venire meno l’interesse della compagine
sociale a mantenere un socio comunque (parzialmente) inadempimente all’interno della stessa.
Piuttosto, consistendo l’esclusione nell’esercizio di una facoltà, i soci legittimanti a servirsene
potranno rinunciarvi ritenendo l’inadempimento del socio non così grave da comportare una
sua estromissione dalla compagine sociale.
(82) Ad eccezione, ovviamente, dei limiti imposti dall’art. 2357 c.c. per l’acquisto di
azioni proprie.
(83) Si veda, infra, cap. III, sub § 7.
(84) Significative, sul punto, le osservazioni di G. COTTINO, La riforma societaria ai suoi
primi giri di boa, in Il nuovo diritto societario. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P.
Abbadessa e G.B. Portale, 1, Milano, 2006, p. 33 per cui «E’ probabile che sul gradimento di
cui p crescente beneficiaria la s.r.l. abbiano giocato positivamente sia l’elaborazione di una
disciplina autonoma ed organica, che l’ha liberata dalla sudditanza dalla S.p.a. e dal fastidioso
rito dei rinvii e spole normative, sia lo stesso riposizionamento, tendenzialmente personalistivo
e peraltro aperto ad un ventaglio di subopzioni che oscillano tra la piccola s.p.a., quale nella
sostanza essa era dopo il 1942, e una società di società di persone a responsabilità limitata
ancor più agile e semplice della close corporation americana»
(85) Sulla natura imperativa della norma, v. Cass. civ., Sez. I, 25 gennaio 2000, n.796, in
Arch. civ., 2001, p. 196.
48
CAPITOLO I
avere coniato un istituto che impone una riflessione ai soci in ragione delle
conseguenze finanziarie che possono riflettersi su di essi. Se la società infatti
non può procedere direttamente ad acquistare le quote del socio escluso, i soci
vi provvederanno – o direttamente – tramite mezzi propri – o indirettamente –
attraverso una attribuzione di riserve disponibili da parte della società (86). Sotto
questo profilo, le azioni riscattabili si distinguono dall’esclusione proprio per il
fatto che, al centro della regola dettata dall’art. 2437-sexies c.c., vi è la
partecipazione azionaria, come è coerente che sia nella società per azioni. Sul
punto si tornerà anche oltre ma è bene mettere in luce come, in questo caso, la
persona del socio “scolora” a favore della partecipazione azionaria e delle sue
vicende circolatorie. Non è un caso, infatti, se il legislatore si preoccupa di
disciplinare, attraverso il richiamo alla regole dettate per l’acquisto di azioni
proprie, l’eventualità che sia la società stessa – e non i soci – ad esercitare il
riscatto: ciò significa che, nel contesto della società per azioni, la società può
riservarsi la facoltà di esercitare il riscatto per i più svariati motivi che possono
certamente coincidere con la volontà di escludere un socio ma possono essere
molto più vaste sino a comprendere giustificazioni di tipo strategico (ad
esempio intraprendere un processo di restringimento della base azionaria prima
di presentarsi sul mercato), meramente finanziario (ad esempio riscattare le
azioni in funzione di sostegno ai corsi azionari, ove si ammetta il ricorso alle
azioni riscattabili nelle società quotate) o che coniughi entrambi i profili (ad
esempio riscattare le azioni di un partner finanziario – ad esempio un fondo di
investimento che, tramite la società di gestione del risparmio, ha manifestato la
propria intenzione ad uscire dalla compagine sociale). Da questo punto di vista,
pertanto, le azioni riscattabili si presentano come un istituto maggiormente
malleabile dall’autonomia privata. L’art. 2437 sexies c.c., infatti, nulla dice in
merito al contenuto della clausola statutaria o della delibera di emissione delle
azioni e, in particolare, ai presupposti o alle condizioni verificatisi i quali la
(86) Per cui lo schema dovrebbe corrispondere a quello della delegatio solvendi: i soci
risultano infatti creditori rispetto alla società della distribuzione delle riserve ma procederanno
ad indicare alla società il proprio creditore, ovvero il socio escluso. Sul punto si vedano le
considerazioni di C. ESPOSITO, L’esclusione, p. 290.
49
Azioni riscattabili
società o i soci possono esercitare il riscatto e consente il suo esercizio anche
da parte della società, da sola o congiuntamente ai soci.
Il risultato di questa breve analisi è il seguente. Sembra che l’esclusione
del socio possa riguardarsi come un istituto più simile al diritto di recesso che
non alle azioni riscattabili. I primi due meccanismi, infatti, sono in qualche
modo “speculari” (87), differenziandosi per il presupposto di funzionamento –
essendo esso riconducibile, nel primo caso, ad un atto volontario del socio e,
nel secondo caso, ad una iniziativa della società – e per la diversa incidenza sul
capitale sociale, posto che la disciplina dell’art. 2473 c.c. esclude «la possibilità
del rimborso della partecipazione mediante riduzione del capitale sociale»,
imponendo, in questo modo, che la quota del socio escluso sia liquidata,
alternativamente, con le risorse dei soci o con quelle derivanti da utili o da
riserve disponibili.
8. Azioni riscattabili e “obblighi di riscatto”.
L’esperienza di altri ordinamenti – e di quello inglese in particolare –
dimostra come gli istituti che poggiano su meccanismi che comportano
«obblighi di riscatto» (88) possano rivelarsi efficaci strumenti finalizzati ad
evitare che il socio resti “prigioniero” della propria partecipazione. Ciò, in
particolare, sia nel caso in cui la difficoltà del disinvestimento sia generata da
previsioni statutarie che impediscono o limitano una piana circolazione delle
azioni, sia nelle ipotesi in cui la “prigionia” del socio si accompagni a situazioni
di abusi perpetrati dalla maggioranza nei confronti della minoranza, sia, infine,
nel caso in cui le due situazioni si combinino tra loro (89).
(87) L’espressione è mutuata da D. GALLETTI, Il recesso, p. 47 e ss. e spec. p. 50 in nota
121, il quale, prima della riforma del 2003, si riferisce ad un «concetto di esclusione
caratterizzato dall’imprescindibile effetto della riduzione del capitale».
(88) Il riferimento è alle precisazioni terminologiche formulate supra, cap. I, sub § 2.
(89) A quest’ultimo scopo tende la procedura contro ogni forma di unfair prejudice già
regolata dalla sect. 459 del Companies Act 1985 e ora disciplinata dalle sect. 994 e ss. del Companies
Act 2006. Si tratta di una disposizione – tendenzialmente rimasta invariata dopo l’intervento
riformatore – in forza della quale un socio della società o il Segretario di Stato hanno il diritto
di avanzare al tribunale una richiesta di rimedio nei confronti di comportamenti abusivi da
parte della maggioranza o degli amministratori (ad esempio l’ingiustificata vendita di un cespite
strategico della società). In questo caso – ai sensi della sect. 669 – «1. If the court is satisfied that a
50
CAPITOLO I
La funzione assolta dagli obblighi di riscatto è stata tenuta presente dal
legislatore del 2003 quando, da una parte, ha previsto un meccanismo che
ponesse rimedio ai vincoli imposti dall’autonomia privata alla circolazione delle
azioni e, dall’altra parte, ha predisposto, nel caso di fusione di società posseduta
al novanta per cento, la possibilità di evitare il ricorso alla relazione degli esperti
richiesta dall’art. 2501-sexies c.c., attribuendo ai soci della società incorporata il
diritto di far acquistare la propria partecipazione dall’incorporante e,
nell’ambito delle regole dettate per la scissione uno strumento che consentisse
ai soci di una società scindenda l’uscita dalla stessa, ove il progetto di scissione
preveda un criterio di distribuzione delle azioni (o delle quote) non
proporzionale rispetto alla partecipazione originariamente detenuta.
Da un punto di vista formale, l’art. 2355-bis c.c. si differenzia
notevolmente rispetto all’art. 2506-bis c.c.: il primo, infatti, subordina l’efficacia
di clausole statutarie che richiedono il mero gradimento di organi sociali o di
altri soci al fine di trasferire le azioni alla previsione statutaria «…a carico della
società o degli altri soci, [di] un obbligo di acquisto» in alternativa al diritto di
recesso90; il secondo, invece, regola il contenuto del progetto di scissione
disponendo che qualora esso preveda «una attribuzione delle partecipazioni ai
soci non proporzionale alla loro quota di partecipazione originaria, il progetto
medesimo deve prevedere il diritto dei soci che non approvino la scissione di far
acquistare le proprie partecipazioni per un corrispettivo determinato alla stregua
dei criteri previsti per il recesso, indicando coloro a cui carico è posto l’obbligo
di acquisto»; meccanismo analogo a quest’ultimo è quello dettato dall’art. 2505bis c.c. per l’ipotesi di fusione per incorporazione di società posseduta al
petition under this Part is well founded, it may make such order as it thinks fit for giving relief in respect of the
matters complained of. 2. Without prejudice to the generality of subsection (1), the court's order may… (e)
provide for the purchase of the shares of any members of the company by other members or by the company itself
and, in the case of a purchase by the company itself, the reduction of the company's capital accordingly». Sul
punto, v. A. J. BOYLE, Minority Shareholders’ Remedies, Cambridge, 2002, 105 e ss.; P.L. DAVIES,
Introduction to Company Law, Oxford, 2002, p. 228 e ss.; R. HOLLINGTON, Shareholders’ Rights,
London, 2004, p. 241; e per una analisi della procedura con gli strumenti dell’analisi economica
del diritto, cfr. R. GODDARD, Enforcing the Hypothetical Bargain: Sections 459-461 of the Companies
Act 1985, in 1999, 20 Company Lawyer, p. 66; E.J. BORROS, Minority Shareholders’ Remedies,
Oxford, 1995, part II.
(90) Si vedano, da ultime, le considerazioni sul punti di N. DE LUCA, Circolazione delle
azioni e legittimazione dei soci, Milano, 2007, p. 168.
51
Azioni riscattabili
novanta per cento.
Dal punto di vista sostanziale, invece, le tre norme sono molto simili in
quanto contemplano un meccanismo che comporta il trasferimento coattivo
delle azioni da un soggetto ad un altro al fine di consentire al primo la
dismissione del proprio investimento. L’unica differenza in questo caso sembra
essere il punto di vista rispetto al quale le due regole sono dettate: ai sensi
dell’art. 2355-bis c.c., è previsto un obbligo per chi – avendo convenuto nel
contratto sociale limiti alla circolazione delle azioni funzionali alla
composizione della compagine sociale – si deve dimostrare disposto ad
acquistare le azioni degli altri soci; l’art. 2506-bis c.c. prende, viceversa, in
considerazione l’opposta visuale di chi subisce una attribuzione non
proporzionale delle partecipazioni e in capo al quale, pertanto, sorge un diritto:
ma anche in questo caso la disposizione precisa che il progetto di scissione
deve indicare «coloro a cui carico è posto l’obbligo di acquisto»; nel caso
dettato dall’art. 2505-bis c.c., analogamente, si prevede in capo ai soci della
società incorporanda un diritto a fare acquistare le proprie partecipazioni che,
tuttavia, può essere in questo caso esercitato solamente nei confronti della
società incorporante e non, invece, degli azionisti di quest’ultima (91).
A ben vedere, dunque, gli obblighi di riscatto nulla hanno a che spartire
con l’istituto delle azioni riscattabili da cui si distinguno oltre che sotto il
profilo effettuale anche per la natura legale che li contraddistingue. Nella prassi,
tuttavia, potrebbero registrarsi delle significative interferenze tra i due
(91) Secondo quanto previsto dal CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massime notarili
in materia societaria, Milano, 2007, p. 180 («Massima n. 58») «L’interpretazione teleologica della
norma induce a ritenere che l’impegno all’acquisto possa pervenire tanto dalla società quanto
dai soci della incorporante (se c’è il loro accordo) ovvero che la società possa anche indicare un
proprio socio o un terzo (sempre che gli altri soci della incorporante siano d’accordo) disposto
ad impegnarsi all’acquisto. Non sembra che tale estensione della norma pregiudichi i soci di
minoranza della o delle società incorporande il cui interesse tutelato è quello di conseguire una
congrua somma di denaro, apparendo irrilevante a questi fini il soggetto che effettuerà
l’acquisto e il relativo esborso.»; contra G. FERRI JR. - G. GUIZZI, Il progetto di fusione e i documenti
preparatori, in Il nuovo diritto societario. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P.
Abbadessa e G.B. Portale, 4, Milano, 2007, p. 249.
Si legga anche il commento di M.T. BRODASCA, Art. 2505-bis, in Commentario alla
riforma delle società (Trasformazione. Fusione. Scissione), a cura di L.A. Bianchi, diretto da P.
Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2006, p. 1001 e spec. p. 1005 ove l’a.
parla della previsione di una vera e propria «opzione «put» di vendita».
52
CAPITOLO I
meccanismi sulle quali è bene intrattenersi.
A tale riguardo, ci si potrebbe chiedere se, in primo luogo, una clausola
di riscatto (92) possa essere ritenuta idonea ad assolvere le funzioni perseguite
dagli artt. 2355-bis, 2505-bis e 2506-bis c.c.; e, in seconda battuta – con specifico
riferimento alla prima norma – siano legittime ed efficaci previsioni di clausole
di mero gradimento che non si accompagnino alla previsione del diritto di
recesso o di un obbligo di acquisto, ma abbiano ad oggetto solamente il
trasferimento di azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c..
Quanto al primo quesito, la risposta affermativa è piuttosto convincente
con riferimento all’art. 2355-bis c.c., in ragione di due argomenti. Il primo
consiste nel fatto che se l’esercizio del riscatto delle azioni viene subordinato
alla decisione del titolare di azioni riscattabili di trasferirle ad un terzo si
persegue perfettamente l’obiettivo cui è diretta la disposizione (93). Il secondo
invece dipende dalla somiglianza, quanto meno da un punto di vista effettuale,
del recesso al riscatto (94). Da questo punto di vista, il riscatto verrebbe ad
assumere una funzione alternativa-sostitutiva rispetto al diritto di recesso (95), pur
(92) Per le differenze con le azioni riscattabili, cfr. infra cap. II, sub § 2.5.
(93) D’altra parte anche la dottrina (v. L. STANGHELLINI, Art. 2355-bis, in Commentario
alla riforma delle società (Atto costitutivo. Conferimenti, Azioni), a cura di M. Notari, diretto da P.
Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, in corso di pubblicazione, Milano, p. 25 del
dattiloscritto) sostiene, correttamente, che, ad esempio, renderebbe efficace una previsione di
gradimento mero anche una clausola che preveda non un obbligo di acquisto a carico della
società o degli altri soci ma un obbligo per la società di procurare un terzo acquirente.
(94) Si riferisce esplicitamente all’alternatività tra gli obblighi di riscatto e il recesso,
anche D. GALLETTI, Il recesso, p. 126 e spec. pp. 131-132, ove l’A., dopo avere rilevato che il
recesso e il riscatto si distinguono in quanto nel primo caso i titoli azionari sarebbero sin
dall’inizio destinati all’estinzione con conseguente riduzione del capitale, nella seconda ipotesi
ben potrebbero essere rimessi in circolazione e quindi venduti a terzi (o ad altri soci) da parte
della società riscattante, nota ,con riferimento alla previsione di clausole statutarie di riscatto in
alternativa al recesso, che «Quanto al riscatto statutaria nelle materie dell’art. 2437, non
sembrano esserci particolari problemi: in fondo, l’acquisto delle azioni del socio recedente è
sempre stata considerata una valida modalità alternativa al procedimento di riduzione del
capitale. Tale clausola dell’atto costitutivo, quindi, può efficacemente sostituire la previsione del
recesso, che così viene ad essere completamente «assorbita»; anzi, a ben vedere, non si tratta
tanto di una disciplina «alternativa» al recesso: il riscatto a richiesta è proprio un recesso, sua
pure contraddistinto da un’autolimitazione originaria del potere di scelta della società circa il
modo di liquidare il socio, con vantaggio per quest’ultimo, che può confidare nell’adozione di
un certo comportamento, invece di dover attendere una decisione completamente
discrezionale (anche se si tratterebbe pur sempre di arbitrio «mero» ma «limitato»)».
(95) Affrontano tale profilo, P. MARCHETTI, Alcuni lineamenti generali della riforma,
consultabile su www.notarlex.it; ID., La costituzione, i conferimenti e le modifiche dell’atto costitutivo, in
53
Azioni riscattabili
AA.VV., La riforma del diritto societario. Il parere dei tecnici, a cura di R. Danovi, Milano, 2003, p.
120; R. SACCHI, La tutela obbligatoria degli azionisti nel nuovo art. 2377 c.c., in AA. VV., Il nuovo diritto
societario fra società aperte e società private, , a cura di P. Benazzo - S. Patriarca - G. Presti, Milano,
2003. In altre ipotesi è stato qualificato come il vero ed efficace strumento di tutela della minoranze,
che dimostrerebbe come il recesso è in realtà stato inteso come un mezzo con il quale le parti
del contratto sociale possono ridefinire la destinazione del proprio investimento più che
tutelare la propria posizione all’interno delle dinamiche societarie (v. A. PACIELLO, Il diritto di
recesso, pp. 420- 421). Sotto il primo profilo, si è così rilevato un restringimento dello spazio dei
diritti individuali e una sorta di “degradazione” della loro tutela da reale a obbligatoria: in tale
senso, infatti, per effetto della riforma del diritto societario si sarebbe passati da meccanismi di
protezione fondati sulla inefficacia, ad esempio, delle deliberazioni che tali diritti pregiudicano
ad un maggiore ricorso allo strumento del diritto di recesso (in tema di invalidità delle delibere
assembleari ma con affermazioni estensibili alla riforma del diritto societario in generale, v. R.
SACCHI, Tutela reale e tutela obbligatoria della minoranza, in Il nuovo diritto societario. Liber Amicorum
Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 2, Milano, 2006, pp. 135-137).
Pur se espresse nell’ambito della società a responsabilità limitata, di rilievo sono, a questo
proposito, le affermazioni di A. DACCÒ, «Diritti particolari», la quale, dopo avere constatato
come il recesso viene a sostituire il diritto di voice consentendo il passaggio dall’applicazione
del principio un animistico a quello – più consono alle dinamiche delle società di capitali –
maggioritario (p. 44-45), afferma che «…il legislatore intenda – non tanto sancire la scomparsa
dei diritti individuali, ma – unicamente sostituire, nel caso di loro lesione, uno strumento di
tutela reale…con uno obbligatorio. In altre parole preferisce riconoscere in capo al socio,
pregiudicato nel proprio diritto individuale, la facoltà di recedere dalla società, la quale viene
quindi a sostituire (almeno nelle intenzioni del legislatore) la possibilità di richiedere la
dichiarazione di inefficacia della delibera lesiva del diritto», il che induce comunque l’interprete
a chiedersi «…se sia effettivamente corretto (e finanche efficiente) imporre alla società…le
conseguenze negative di un comportamento non conforme alle regole posto in essere, ad es.,
dai soci di maggioranza e se non fosse stato invece, più opportuno prevedere (unicamente) una
azione di responsabilità nei confronti del socio che ha determinato il verificarsi della citata
patologia…; ovvero introdurre strumenti alternativi, come, ad es., obblighi di riscatto a carico
del socio suddetto, obblighi già conosciuti dalla prassi ed ora espressamente previsti anche dal
nuovo legislatore limitatamente a due casi…, ovvero, infine, ricorrere, nelle società a
responsabilità limitata, all’esclusione del socio cha ha posto in essere siffatti comportamenti»
(pp. 76-78); e, infine, a manifestare le proprie perplessità circa l’utilizzo di uno strumento quale
il recesso che «non tutela certamente l’interesse dello stesso a restare nella compagine
societaria, e a reagire attivamente, con strumenti di tutela reale, a comportamenti patologici».
Ma a tale proposito è stato sottolineato come l’ampliamento delle cause convenzionali di
recesso comporti inevitabilmente un impoverimento del patrimonio della società e rischi di
mettere in crisi la nozione stessa di causa del contratto di società (cfr. A. TOFFOLETTO,
L’autonomia privata, p. 380 che formulando la propria riflessione anche in termini di tipicità delle
società di capitali conclude nel senso che una indiscriminata previsione di clausole di recesso
convenzionali sarebbe sfuggita alla logica in cui si è mosso il legislatore e avrebbe comportato
un inaccettabile avvicinamento tra le società di capitali e i fondi comuni di investimenti aperti,
quali «meri contenitori di risparmio»). Proprio per tali motivi in letteratura si è sottolineata
l’opportunità di prevedere, in determinate situazioni, l’obbligo in capo ai soci di riscattare le
azioni del socio, quale valido sistema alternativo al recesso: nel senso della alternatività tra
riscatto e recesso si vedano: R. WEIGMANN, I diritti delle minoranze, in AA. VV., La corporate
governance nelle società quotate, a cura di S. Rossi e G. M. Zamperetti, Milano, 2001, p. 19; V.
AFFERNI, La tutela dei soci e dei terzi nella nuova s.r.l., in «Progetto Mirone» e modelli organizzativi per la
piccola e media impresa, a cura di V. Afferni e L. De Angelis, Milano, 2001, p. 172; A. DACCÒ,
«Diritti particolari», p. 77; nella letteratura straniera si veda anche H. KANDA- S. LEVMORE, The
appraisal remedy and the goals of corporate law, in UCLA Law Review, 1985, vol. 32, p. 429. A tale
affermazione potrebbe obiettarsi che le differenze con il diritto di recesso sarebbero
circoscritte alla fatto che – rispetto al recesso dove è la società, seppur in via residuale, a dover
54
CAPITOLO I
continuando a distinguersene per le modalità operative e per il momento
perfezionativo. Sotto il primo profilo, infatti, la società o i soci adempieranno
all’obbligo di acquisto solamente ove – in caso sia stato rifiutato il
trasferimento delle azioni in ragione di una clausola di mero gradimento – ne
abbiano proposto l’acquisto a chi sia l’effettivo titolare delle azioni in quel
determinato momento, verosimilmente, successivo, all’opposizione del rifiuto
al trasferimento (96). Per quanto riguarda l’aspetto concernente il
sostenere il rischio di liquidare le azioni e rimborsarne il valore al socio recedente – nel caso
delle azioni riscattabili mutano solamente i soggetti onerati a sostenere i costi del
disinvestimento, posto che l’art. 2437-sexies, c.c. chiaramente legittima una previsione statutaria
che oneri di tali costi esclusivamente gli altri soci, lasciando impregiudicata la posizione della
società.
La constatazione, tuttavia, che il profilo relativo all’individuazione dei soggetti
potenzialmente onerati non sia determinante per sostenere che i due istituti sono in realtà una
sorta di «doppione» e che, piuttosto, i due istituti possono essere intesi come aventi funzioni
diverse, discende dalle seguenti considerazioni.
La prima è di natura letterale e discende dalle formulazioni degli articoli 2355-bis e
2506-bis c.c.. Tali disposizioni – riferendosi sia al recesso sia al riscatto come ai meccanismi la
cui previsione nello statuto garantirebbe, rispettivamente, l’efficacia di clausole di gradimento
mero e di operazioni di scissione non proporzionale – non distinguono, infatti, i due istituti in
base ai soggetti onerati dal costo del disinvestimento. In questi casi, infatti, il legislatore si
riferisce semplicemente alla previsione del recesso o del riscatto a carico della società o degli
altri soci. Se il legislatore avesse inteso distinguere i due istituti sotto il profilo soggettivo,
avrebbe probabilmente formulato le due norme citate in modo tale da riferire, da una parte, la
previsione del diritto di recesso alla sola società e, dall’altra parte, l’obbligo di riscatto a carico
degli altri soci, mentre si è limitato ad affermare che tale ultimo obbligo può essere addossato
indistintamente all’una o agli altri. La seconda discende dalla ricostruzione che del diritto di
recesso ha fatto una parte della dottrina, la quale ha messo in evidenza come la previsione di
obblighi di riscatto di azioni rappresenterebbe, nel sistema del diritto societario riformato, un
vero e proprio sistema di tutela delle minoranze, molto più intenso rispetto alla scelta, operata
dal legislatore nell’art. 2437-quater, di concedere agli altri soci il diritto di essere preferiti
nell’acquisto delle azioni del socio recedente (v. A. PACIELLO, Il diritto di recesso, pp. 420-421,
per cui «…affidare la protezione delle minoranze alla contrattazione interna, ritenuta idonea ad
assicurare un più elevato tasso di democrazia, ma che punta soprattutto sull’effetto deterrente
di un esborso finanziaria di rilevante entità che i soci di maggioranza sono per primi chiamati a
sopportare – peraltro capace al più di costringerli a concordare le proprie strategie con le (sole)
minoranze organizzate – si risolve in un meccanismo che facilita l’azione societaria, più che
condizionare realmente quella contrattazione. Una composizione negoziale tra chi detiene il
potere, decisionale ed economico, e chi è per definizione minoranza è già orientata nell’esito:
quel costo, pari al corrispettivo necessario a assorbire le richieste di disinvestimento anticipato,
anche a volerlo considerare per la sua funzione di stimolo a compiere scelte ponderate in forza
del potenziale sacrificio economico che ne deriva, non può essere il parametro, ma al più un
parametro per giudicare se sia stato raggiunto il risultato di un effettivo bilanciamento degli
interessi coinvolti. Obiettivo questo, che non pare pienamente realizzato dinanzi alla scelta (art.
2437-quater, comma 1) si concedere agli altri soci il diritto a vedersi preferiti, piuttosto che
riconoscere al recedente la più efficacia tutela rappresentata dall’obbligo di acquisto delle
azioni,a carico degli altri soci o della società».
(96) Per L. STANGHELLINI, Art. 2351, p. 26 del dattiloscritto «L’offerta di acquisto
prevista dalla clausola in casodi rifiuto di gradimento sarà diretta a chi sia in concreto titolare
55
Azioni riscattabili
perfezionamento della fattispecie, invece, non sarà sufficiente, come nel caso
del recesso, il suo semplice esercizio, ma sarà necessario che – qualora i soci
aventi diritto inneschino tale meccanismo – i soggetti onerati dall’obbligo si
attivino per acquistare le azioni.
Più complesso invece è dare una risposta al quesito iniziale con
riguardo all’art. 2506-bis c.c.: in questo caso, infatti, il legislatore riferisce del
diritto di acquistare in capo ai soci dissenzienti ma precisa poi che il progetto di
scissione debba indicare «coloro a cui carico è posto l’obbligo di acquisto».
L’utilizzo di quest’ultima espressione non sembra, infatti, incompatibile con un
progetto di scissione che disponga un obbligo di riscatto a carico degli altri soci
(97). La medesima conclusione può essere raggiunta anche con riguardo all’altra
disposizione sopra richiamata, relativa alla fusione di società posseduta al
novanta per cento: a questo riguardo deve ritenersi che, in assenza di una
specifica indicazione al riguardo, la previsione del «diritto di far acquistare le
loro azioni o quote dalla società incorporante», eventualmente sostituita da un
obbligo di riscatto esercitabile ad opzione dei soci dell’incorporanda, dovrebbe
essere contenuto nel progetto di scissione.
Non sembra invece che si possa condividere una soluzione affermativa
con riguardo al secondo quesito (se il fatto che la clausola di mero gradimento
“colpisca” solamente il trasferimento di azioni emesse ai sensi dell’art. 2437sexies possa sostituire, in qualche modo, la previsione legale del riconoscimento
delle azioni. Essa perciò sarà diretta al socio alienante, se il negozio traslativo sia
sospensivamente condizionato al gradimento, mentre sarà diretta al suo avente causa se il
trasferimento fra le parti sia già produttivo di effetti (ad esempio, perché effettuato con girata).
Proprio la constatazione che l’exit è garantita a chi sia in concreto titolare delle azioni per cui è
stata rifiutata l’iscrizione sembra distinguere le prime due alternative (l’acquisto da parte della
società o degli altri soci, e varianti) dalla terza», ovvero il diritto di recesso dell’alienante.
(97) La lettera dell’art. 2506-bis c.c. conduce ad escludere, infatti, che il diritto di
alienare le azioni o le quote sia esercitabile nei confronti della società scindenda o delle società
beneficiarie. Piuttosto, ci si potrebbe interrogare sulle conseguenze derivanti
dall’inadempimento al riscatto nel caso disciplinato dall’art. 2355-bis c.c. e nell’ipotesi di cui
all’art. 2506-bis c.c.: con riferimento a quest’ultima norma si v. l’opinione di L. PICONE, Art.
2506-bis c.c., in Commentario alla riforma delle società (Trasformazione. Fusione. Scissione), a cura di
L.A. Bianchi, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2006, pp.
1133-1134 che sostiene la tesi della invalidà della scissione in caso di inadempimento del
soggetto indicato nel progetto di scissione quale acquirente della partecipazione dei soci; contra,
ante riforma, cfr. G. PALMIERI, Scissione di società e circolazione di azienda, Torino, 1999, p. 1514,
per cui le conseguenze dell’inadempimento resterebbero a carico del socio dissenziente.
56
CAPITOLO I
del diritto di recesso per il socio trasferente o per un obbligo di acquisto a
carico degli altri soci quando il riscatto sia subordinato proprio al trasferimento
di tali azioni ad un terzo). Sembra infatti che la struttura potestativa
presupposta dalle azioni riscattabili si ponga come un ostacolo in qualche
misura insormontabile rispetto all’accoglimento di una diversa soluzione: non
sarebbe infatti corretto equiparare il riconoscimento in capo al socio di un
diritto autonomamente esercitabile come il recesso o la previsione di un
obbligo in capo agli altri soci di attivarsi nel senso di rendersi disponibili ad
acquistare le azioni destinate ad essere alienate ad un terzo con il
riconoscimento a favore di questi ultimi di una facoltà. L’esercizio di
quest’ultima infatti dipenderebbe dall’esclusiva volontà dei soci – che la
disposizione di legge vuole invece obbligati – e finirebbe per frustrare la ratio
stessa della norma.
9. Azioni riscattabili ed azioni redimibili: cenni e rinvio.
L’indagine sull’istituto delle azioni riscattabili è stata sino ad ora
condotta cercando di tracciare una linea di confine tra la fattispecie regolata
dall’art. 2437-sexies c.c. ed altri istituti che – pur condividendo con il primo
l’effetto della liquidazione della partecipazione del socio – se ne distinguono
sotto i profili che si sono messi in luce nei paragrafi precedenti. E’ ora
opportuno soffermarsi su un’altra fattispecie che merita di essere confrontata
con le azioni riscattabili, ovvero le azioni redimibili. Con tale termine si sono
indicate quelle azioni che attribuiscono ai loro titolari il diritto di pretendere da
determinati soggetti – generalmente la società o gli altri soci – il riscatto delle
azioni liquidando, in questo modo, il loro investimento nella società (98). Da
una prospettiva comparatistica, si rileva che le legislazioni statali americane
riconoscono da tempo strumenti in grado di conseguire effetti analoghi a quelli
descritti. Ci si riferisce, in particolare, alla emissione delle c.d. «compulsory
redeeemable preferred shares» che – a differenza delle «callable shares» - prevedono un
impegno da parte della società di riscattare i titoli ad una scadenza prefissata o
(98) V. supra, cap. I, sub § 3.
57
Azioni riscattabili
al verificarsi di un certo evento e la cui disciplina è, a seconda dei casi,
contenuta negli statuti delle società, negli accordi di sottoscrizione («subscriptions
agreements») oppure, quando l’obbligo di riscatto incombe su una parte dei soci
senza coinvolgere la società, in appositi patti parasociali (99). Lo strumento non
(99) Si v., sul punto, la risalente ma completa indagine condotta da E.M. DODD JR.,
Purchase and redemption by a corporation of its own shares: the substantive law, in 89 U. Pa. L. Rev., p.
712, nella quale si può leggere «The most common type of such repurchase agreements is a
promise made to a prospective subscriber that if the latter will subscribe and pay for shares, the
corporation will subsequently repurchase them at the original price should the subscriber
become dissatisfied with this bargain» e, ancora, criticamente, «“Your money back if you are
not satisfuied with our product” is a promise wholly unsuited to a transaction in which “our
product” is a certificate representing ownership rights in a corporation and purporting to
involve a permanent contribution to its capital»; P.W. JONES, Redeemable Corporate Securities, in
(1931) 5 So. Cal. L. Rev., p. 83 che conferma come «At the time of the sale of stock a
corporation, by a separate agreement or in its subscription contract, may bind itself to
repurchase the stock upon a certain contingency. Often this is referred to as a “sale with the
right of return” or as a conditional sale with the option to revoke or rescind the purchase.
Generally it is held that when the condition is express and appears in the subscription
agreement, creditors, stockholders and other stock subscribers, as well as the corporation, are
bound by the terms of the contract»; J.M. JR, Redemption of Preferred Shares, in Un. Pennsylvania
Law Review And American Law Register, 83, 7, 19435, pp. 888-897.
Come riferito nel testo molte legislazioni statali disciplinano tale fattispecie: è il caso
della section 512 del New York Business Corporation Act che prevede che «(a) Subject to the
restrictions contained in section 513 (Purchase, redemption and certain other transactions by a
corporation with respect to its own shares) and paragraph (b) of this section, a corporation
may provide in its certificate of incorporation for one or more classes or series of shares which
are redeemable, in whole or in part, at the option of the corporation, the holder or another
person or upon the happening of a specified event. (b) No redeemable common shares, other
than shares of an open-end investment company, as defined in an act of congress entitled
"Investment Company Act of 1940", as amended, or of a member corporation of a national
securities exchange registered under a statute of the United States such as the Securities
Exchange Act of 1934, as amended, or of a corporation described in this paragraph, shall be
issued or redeemed unless the corporation at the time has outstanding a class of common
shares that is not subject to redemption. Any common shares of a corporation which directly
or through a subsidiary has a license or franchise to conduct its business, which license or
franchise is conditioned upon some or all of the holders of such corporation`s common shares
possessing prescribed qualifications, may be made subject to redemption by the corporation to
the extent necessary to prevent the loss of, or to reinstate, such license or franchise. (c) Shares
of any class or series which may be made redeemable under this section may be redeemed for
cash, other property, indebtedness or other securities of the same or another corporation, at
such time or times, price or prices, or rate or rates, and with such adjustments, as shall be
stated in the certificate of incorporation. (d) Nothing in this section shall prevent a corporation
from creating sinking funds for the redemption or purchase of its shares to the extent
permitted by section 513 (Purchase, redemption and certain other transactions by a
corporation with respect to its own shares)».
In modo assai simile, la legge del Delaware al § 151 (b) prevede «(b) Any stock of any
class or series may be made subject to redemption by the corporation at its option or at the
option of the holders of such stock or upon the happening of a specified event; provided
however, that immediately following any such redemption the corporation shall have
outstanding 1 or more shares of 1 or more classes or series of stock, which share, or shares
together, shall have full voting powers. Notwithstanding the limitation stated in the foregoing
58
CAPITOLO I
è ignoto neppure ad alcuni ordinamenti europei tra cui va ricordato il Regno
Unito, dove lo statuto può autorizzare l’emissione di azioni riscattabili ad
opzione del loro titolare ed il diritto spagnolo ove l’art. 92 della Ley de Sociedades
Anónimas prevede al 1 comma che «las sociedades anónimas cotizadas podrán emitir
acciones que sean rescatable a solicitud…del los titulares de estas acciones».
Si tratta dunque di una fattispecie che presuppone un rapporto
giuridico potestativo simmetrico ma opposto rispetto a quello contemplato
dall’art. 2437-sexies c.c.. Nel caso delle azioni redimibili, infatti, è il titolare delle
azioni a collocarsi in una posizione attiva e di poter quindi esercitare il diritto di
riscatto; la società o gli altri soci sono, al contrario, titolari di una posizione
passiva in quanto onerati dall’obbligo di riscattare le azioni.
Gli effetti conseguibili con l’emissione di azioni redimibili sono
evidenti, così come lampante è la differenza rispetto a quelli prodotti dalle
azioni riscattabili. Le azioni redimibili, infatti, potrebbero rappresentere un
importante strumento di exit dalla compagine sociale (100); schiuderebbero, a
beneficio di soci finanziatori, la via per un rapido smobilizzo dell’investimento
proviso: (1) Any stock of a regulated investment company registered under the Investment
Company Act of 1940 [15 U.S.C. § 80 a-1 et seq.], as heretofore or hereafter amended, may be
made subject to redemption by the corporation at its option or at the option of the holders of
such stock; (2) Any stock of a corporation which holds (directly or indirectly) a license or
franchise from a governmental agency to conduct its business or is a member of a national
securities exchange, which license, franchise or membership is conditioned upon some or all of
the holders of its stock possessing prescribed qualifications, may be made subject to
redemption by the corporation to the extent necessary to prevent the loss of such license,
franchise or membership or to reinstate it. Any stock which may be made redeemable under
this section may be redeemed for cash, property or rights, including securities of the same or
another corporation, at such time or times, price or prices, or rate or rates, and with such
adjustments, as shall be stated in the certificate of incorporation or in the resolution or
resolutions providing for the issue of such stock adopted by the board of directors pursuant to
subsection (a) of this section»; il tutto con i limiti imposti dalle regole dettate per l’acquisto
delle proprie azioni e contenute nel successivo § 160.
(100) Cfr. S. CARMIGNANI, Art. 2437-sexies, in La riforma delle società, a cura di M.
Sandulli e V. Santoro, 2/II, Torino, 2003, p. 903, la quale mette in luce come «la clausola di
riscatto è assimilabile sotto il profilo sostanziale al recesso, sul duplice versante sia del socio,
che, rivendendo le azioni alla società ha, tramite il riscatto, la garanzia dell’allocazione del
pacchetto, sia della società, la quale, tramite la clausola, si riserva il diritto di “recedere” dal
rapporto con il socio divenuto non più “utile” in seguito al verificarsi di determinati eventi
previsti dallo statuto». Pare necessario rilevare in ogni caso che la possibilità di emettere azioni
per le quali il socio possa pretendere il riscatto da parte della società è tutta da verificare, posto
che l’art. 2437-sexies non sembrerebbe ammettere – almeno in base al dato letterale – tale
possibilità in quanto alla società o agli altri soci può essere riconosciuto solamente un potere e
non un obbligo di riscatto.
59
Azioni riscattabili
nel capitale della società; ove poi il riscatto non fosse ancora esercitato, le
azioni redimibili rappresenterebbero per i loro titolari uno strumento
finanziario particolarmente appetibile per altri investitori interessati a
“subentrare” nella posizione dei primi e verosimilmente disposto a valorizzarli
proprio in ragione del fatto che essi incorporano un diritto di uscita opponibile
alla società o agli altri componenti della compagine sociale.
Alla luce del fatto che il tema del disinvestimento e dell’uscita
volontaria del socio caratterizza la riforma del diritto societario – se non altro
in quanto le regole che lo governano potrebbero incentivare il richiamo di soci
investitori – (101) è bene domandarsi se e quale spazio l’ordinamento interno
riservi alle azioni redimibili. L’interrogativo di fondo dovrebbe riguardare, in
(101) P. SPADA, C’era una volta la società…, in Riv. not., 2004, p. 13; U. TOMBARI, La
nuova struttura finanziaria della società per azioni – Corporate Governance e categorie rappresentative del
fenomeno societario, in Riv. Soc., 2004, p. 1084; si veda anche la recente ricerca monografica di L.
DELLI PRISCOLI, L’uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Milano, 2005, passim e spec. p. 6.
L’A., a tale proposito, rileva come le disposizioni in tema di recesso siano il risultato di un
tentativo di bilanciamento con altre disposizioni introdotte dalla riforma del diritto societario e
altresì come la riforma abbia previsto un nuovo equilibrio tra l’esigenza di perdere risorse nella
società e quelle di quest’ultima di attrarre finanziamenti. A tale proposito, il cit. A. afferma che
– pur conservando il recesso un certo disvalore a causa dell’effetto di impoverimento
patrimoniale che esso avrebbe sulla società una volta esercitato – uno dei motivi che
sancirebbero la non eccezionalità del diritto di recesso sarebbe rappresentata dal fatto che «il
capitale sociale conserva un ruolo importante, e le norme relative al lo stesso hanno ancora un
forte carattere di imperatività, ma la centralità del suo ruolo si è indubbiamente attenuata, non
solo in relazione all’aumento delle ipotesi legali di recesso ma soprattutto per la possibilità di
prevederne della altre statutariamente. La disciplina imperativa del capitale sociale è dunque
minata e condizionata dai «capricci» dell’autonomia statutaria, che nel caso dovesse decidere di
aumentare a dismisura le ipotesi di recesso provocherebbe il rischio di sottoporre il capitale
sociale a continue modifiche, con conseguente inevitabile crisi del principio di fissità del
capitale sociale»; contra L. ENRIQUES - S. SCIOLLA - A. VAUDANO, Il recesso di socio di s.r.l.: una
mina vagante nella riforma, in Giur. comm., 2004, p. 770 e ss. i quali – pur con riferimento alla
nuova disciplina del recesso nelle S.r.l. sostengono che «la crescita e la competitività delle
imprese, poi, non paiono certo agevolate dall’instabilità dell’organismo sociale inevitabilmente
prodotta dalla nuova disciplina del recesso. Tale precarietà, tra le altre cose, pregiudica la
capacità dell’impresa di ottenere finanziamenti e, quindi, di sviluppare appieno le proprie
potenzialità. I terzi finanziatori che intendano concedere un prestito alla società sono infatti
esposti al rischio che, nel frattempo, i soci (in particolare quelli di minoranza) recedano,
avvalendosi, strumentalmente o meno, di una delle numerose cause previste dalla legge o dallo
statuto e infliggendo in tal modo un colpo mortale alla capacità di produrre reddito della
società o alla sua stessa esistenza. Sarà allora imprescindibile per detti finanziatori per ottenere
garanzie specifiche a fronte di tale eventualità da parte della società e/o dei soci, con
l’inevitabile conseguenza di rendere le condizioni del finanziamento più onerose. Essi potranno
richiedere, ad esempio, garanzie reali o personali o un impegno da parte della società a
restituire immediatamente la somma mutuata se un determinato socio o più soci che
rappresentino una certa percentuale del capitale sociale recedano dalla società».
60
CAPITOLO I
generale, la compatibilità di una simile fattispecie con le norme e i principi di
diritto societario e, in caso di soluzione affermativa al primo quesito,
l’individuazione della disciplina di riferimento; ponendosi, quindi, una
alternativa tra l’applicazione – in via estensiva o analogica – dell’art. 2437-sexies
c.c. o la qualificazione delle azioni redimibili come fattispecie atipica. Per dare
una risposta a tali quesiti è, pertanto, inevitabile individuare gli elementi della
fattispecie azioni riscattabili per verificarne l’eventuale compatibilità con le
azioni redimibili (102).
(102) E’ bene sin da ora segnalare che la letteratura successiva alla introduzione dell’art.
2437-sexies c.c. ha manifestato una notevole incertezza nel rispondere ad una serie di quesiti
che la figura pone relativi in via generale alla legittimità di una siffatta previsione statutaria; e, in
particolare, in merito alla possibilità che le azioni redimibili costituiscano una fattispecie tipica –
con la conseguenza che anche esse, come le azioni riscattabili, sarebbero disciplinate dall’art.
2437-sexies c.c., in forza di una interpretazione estensiva della norma – oppure rappresentino
una fattispecie atipica, da ammettersi in base alla meritevolezza dell’interesse perseguito con
essa dalle parti e, per così dire, svincolata dalle regole che sovraintendono al funzionamento
delle azioni riscattabili. L’analisi delle azioni redimibili è affrontata infra, cap. IV.
61
CAPITOLO SECONDO
GLI ELEMENTI DELLA FATTISPECIE
SOMMARIO: 1. Introduzione: i temi strumentali per la delimitazione della fattispecie. –
2. La delimitazione della fattispecie: la distinzione tra «regolamentazione
sociale» e «regolamentazione parasociale» e le c.d. «clausole statutarie
parasociali». Sua rilevanza ai fini della individuazione della fattispecie oggetto
dello studio e della distinzione tra azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies
c.c. e clausole di riscatto. – 2.1 Le tesi relative ai criteri per determinare
l’efficacia reale o obbligatoria delle clausole statutarie parasociali. – 2.2. I
riflessi degli orientamenti relativi alla determinazione della natura delle
clausole statutarie parasociali sulla qualificazione delle clausole di riscatto. La
tesi della natura obbligatoria. Critica alla luce di un coinvolgimento costante
della società in tutti i casi di riscatto. La tesi della realità. Critica nella misura in
cui si fa dipendere la natura della clausola dalla qualificazione della
partecipazione azionaria, dai soggetti cui è attribuito il potere di riscattare le
azioni o dal tipo societario cui appartiene l’emittente. – 2.3 L’individuazione
di un criterio per qualificare la natura delle clausole di riscatto ne facilita una
distinzione rispetto alle azioni riscattabili. Le clausole di riscatto hanno una
efficacia “variabile”. Le azioni riscattabili hanno una efficacia (obbligatoria)
“costante”. – 2.4 Le opzioni di vendita («put») e di acquisto («call») di
partecipazioni. Distinzione rispetto alle azioni riscattabili. Difficoltà di
distinguere le opzioni dalle clausole di riscatto. – 2.5 Conclusioni: azioni
riscattabili, clausole di riscatto a efficacia obbligatoria e opzioni call. – 3. La
delimitazione della fattispecie: alcune riflessioni circa la nozione di «categoria
di azioni» utilizzata dall’art. 2437-sexies c.c. In particolare: il problema della
compatibilità tra i «diritti diversi» di cui all’art. 2348, comma 2, c.c. e
l’attribuzione di posizioni giuridiche «passive». – 3.1 Le tesi favorevoli ad una
lettura restrittiva della nozione di «diritti diversi». Loro riflessi sulla
qualificazione delle azioni riscattabili. – 3.2 Critica: alcuni indici consentono di
affermare che la nozione di «diritti diversi» include anche l’incorporazione
nelle azioni di posizioni soggettive passive. – 3.3 Brevi cenni all’esperienza
comparatistica con riferimento all’incorporazione di posizioni soggettive
(anche passive) in categorie di azioni. – 3.4 Conclusioni: lo statuto quale fonte
di «regole diverse» per le categorie di azioni create dall’autonomia privata. – 4.
La delimitazione della fattispecie: la natura del «potere» di riscatto ai sensi
dell’art. 2437-sexies c.c. – 4.1 La tesi che qualifica l’art. 2437-sexies c.c. come
espressa deroga, nel sistema del diritto delle società, al principio
dell’intangibilità della sfera giuridica altrui. Conseguenze applicative. Critica. –
4.2 La natura del potere di riscatto: tra “diritto particolare” dei soci e
diritto incorporato in azioni. – 5. Ricognizione delle conclusioni raggiunte.
1. Introduzione: i temi strumentali per la delimitazione della
fattispecie.
Delimitata l’area dello studio, la ricerca deve ora proseguire con l’analisi
degli elementi della fattispecie. Ai sensi dell’art. 2437-sexies, c.c., l’istituto delle
62
Azioni riscattabili
azioni riscattabili viene identificato principalmente da tre elementi il primo dei
quali è rappresentato dall’emissione di azioni o categorie di azioni. Il secondo
elemento invece consiste nel fatto che tali azioni si connotano per un potere di
riscattare altre azioni, i cui termini vengono disciplinati dallo statuto. Il terzo
elemento, infine, riguarda la legittimazione ad esercitare tale potere di riscatto
da parte della società o dei soci (1).
Tra gli elementi costitutivi della fattispecie un posto di rilievo è senza
dubbio rivestito dall’attribuzione del potere di riscatto da parte dello statuto
che – secondo lo schema dell’art. 2437-sexies c.c. – assurge a fonte della
disciplina delle azioni riscattabili. E’ pertanto da questo elemento che si intende
iniziare l’analisi contenuta nel presente capitolo, interrogandosi in merito alla
efficacia delle clausole statutarie che disciplinano l’emissione di azioni
riscattabili. Al riguardo, sebbene sia la stessa disposizione ad indicare qual è la
sede in cui disciplinare le condizioni e le caratteristiche del riscatto, potrebbe
comunque porsi il dubbio che tale disciplina non sia dotata di rilievo statutario,
soprattutto nel caso in cui lo statuto regoli un’ipotesi di riscatto tra i soli soci.
Il secondo elemento che merita di essere esaminato è rappresentato
dalla nozione «azioni riscattabili», intesa quale categoria autonoma ai sensi dell’art.
2348 c.c.. Si tratta di verificare, in primo luogo, se la riforma del diritto
societario del 2003 – accentuando l’autonomia contrattuale nell’ambito della
(1) Le questioni interpretative sollevate dalla fattispecie «azioni riscattabili» saranno
analizzate infra al cap. III.
63
CAPITOLO II
struttura finanziaria delle società (2) ed essendosi spinta oltre il principio di
atipicità apparente delle azioni (3) – abbia imposto qualche limite alla emissione
di categorie di azioni; e, in secondo luogo, di analizzare l’eventuale
compatibilità della “struttura” potestativa propria delle azioni riscattabili con la
nozione di «diritti diversi», con la quale l’art. 2348 tipizza l’istituto delle
categorie speciali di azioni.
Il terzo tema affrontato nel presente capitolo riguarda una riflessione
intorno alla nozione di «potere», con particolare riguardo alle sua modalità di
atteggiarsi luce della teoria della tipicità dei diritti potestativi. L’esame della
natura del “lato attivo”, presupposto dalla disciplina delle azioni riscattabili,
richiede inoltre la verifica di come esso operi: ci si chiede in particolare se si
traduca in una sorta di «diritto particolare» avente caratteristiche simili
all’istituto previsto per la società a responsabilità limitata (art. 2468, c.c.),
oppure se ne distinguano per il fatto di essere anch’essi incorporati nei titoli
azionari.
2. La delimitazione della fattispecie: la distinzione tra
«regolamentazione sociale» e «regolamentazione parasociale» e le c.d.
«clausole
statutarie
parasociali».
Sua
rilevanza
ai
fini
della
individuazione della fattispecie oggetto dello studio e della distinzione
(2) Al punto che la stessa letteratura italiana ha mutuato dalla dottrina anglosassone la
terminologia utilizzata in questi ordinamenti per segnalare come la riforma del diritto societario
e in particolare la disciplina della struttura finanziaria delle società per azioni sia ispirata al
metodo della libera contrattazione della parti: si parla, con riferimento alla possibilità di
emettere nuove categorie di azioni e di configurarle a seconda della esigenza specifica delle
società o degli investitori, di «free bargaining approach» e di «…deregulation [che potrebbe
condurre]…ad effetti controproducenti rispetto alla stessa auspicata estensione del ricorso al
mercato del capitale di rischio». Nel primo senso, si legga M. LAMANDINI, Società di capitali e
struttura finanziaria: spunti per la riforma; nonché N. ABRIANI, La struttura finanziaria delle società di
capitali nel progetto Mirone e nella legge delega per la riforma del diritto societario: un primo confronto,
entrambi pubblicati in ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Verso un nuovo diritto societario, Bologna,
2002, p. 278; si veda altresì di M. LAMANDINI, Struttura finanziaria; passim per un’analisi della
prospettiva contrattualistica prima della riforma del diritto societario, si legga G. B. BISOGNI,
Autonomia ed eteronomia nella disciplina dei rapporti associativi della “public held corporation”, in Riv.
Soc., 1997, pp. 649-712.
(3) Come correttamente sottolinea M. NOTARI, Le categorie speciali di azioni, in Il nuovo
diritto societario. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale
1, Milano, 2006, p. 593 e ss..
64
Azioni riscattabili
tra azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. e clausole di
riscatto.
L’emissione di azioni riscattabili è disciplinata ai sensi dell’art. 2437sexies c.c. da clausole statutarie, sebbene non tutte le clausole di riscatto
regolano l’emissione di azioni emesse ai sensi di questa disposizione.
L’individuazione della fattispecie contemplata dall’art. 2437-sexies c.c. richiede,
dunque, di procedere ad una verifica circa l’efficacia del primo tipo di clausola.
(4). A questo proposito pare legittimo chiedersi, infatti, se, per il solo fatto di
essere previste da disposizioni statutarie, possano considerarsi quale parte
integrante del contratto sociale, con il conseguente riconoscimento in capo ad
esse di efficacia reale (5); oppure se – quanto meno nelle ipotesi in cui lo statuto
preveda che il potere di riscattare le azioni sia attribuito ad alcuni soci nei
confronti delle azioni detenute da altri – rivestano natura parasociale (6).
(4) Per alcune indicazioni in merito alla terminologia adottata in questo studio, con
particolare riferimento all’uso delle espressioni «clausola di riscatto» e «azioni riscattabili», si
rinvia supra, cap. I, sub § 2. Rileva, peraltro, C. ANGELICI, La circolazione della partecipazione
azionaria, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 2 *, Torino,
1991, p. 191, che la formula «efficacia reale» manifesta «ambiguità implicite» e «dovrebbe
soprattutto indicare il particolare ruolo della regola statutaria nella disciplina della circolazione
delle azioni», mentre verrebbe anche utilizzata «per descrivere il tipo di tutela riconoscibile ad
un diritto dei soci: e ciò fino al punto, nelle formulazioni più estreme, da intenderla come un
attributo di esso stesso».
(5) La dottrina ha correttamente messo in luce come non debba confondersi il
documento statutario in cui viene inserita una pattuizione e il contratto sociale: sul punto, G.
RESCIO, Sulla natura e sulla forma degli statuti societari, in Riv. Soc., 2005, pp. 316 e 324.
(6) Vastissima la letteratura in tema di patti parasociali. Si veda tra le monografie
fondamentali per il tema in parola: G. OPPO, Contratti parasociali, Milano, 1942; G. COTTINO, Le
convenzioni di voto nelle società commerciali, Milano, 1958; G. SENA, Convenzioni voto e invalidità del voto,
in Riv. soc., 1959, p. 453; L. FARENGA, I Contratti parasociali, Milano, 1987; G. SANTONI, Patti
parasociali, Napoli, 1985.
Si vedano anche: V. BUONOCORE, Commento a un patto parasociale, in Giur. comm., 1975,
I, p. 437; G. OPPO, Le convenzioni parasociali tra diritto delle obbligazioni e diritto delle società, in Riv.
Not,. 1987, p. 650; P.G. JAEGER, Il problema delle convenzioni di voto, in Giur. comm., 1989, I, p. 201;
AA.VV., Sindacati di voto e sindacati di blocco, a cura di Bonelli e Jaeger, Milano, 1993; G.A.
RESCIO, I sindacati di voto, in Trattato delle Società per Azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B.
Portale, 3, tomo I, Torino, 1994, p. 652 ss. ; ID., La distinzione del sociale dal parasociale (sulle c.d.
clausole statutarie parasociali), in Riv. Soc., 1991, p. 596; A. MORANO, T. MUSUMECI, Brevi Note in
tema di patti parasociali, in Riv. Not., 1989, 4, p. 535; G. ALPA, Patto parasociale a favore della società,
in Riv. dir. comm., 1983, I, p. 407; F. MASSA FELSANI, Clausole atipiche e diversa qualificazione della
società, in Riv. dir. comm., 1989, I, p. 615; M. DE ACUTIS, Clausole atipiche e patti parasociali (Relazione
alla giornata di studio organizzata dal Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie sul tema:
“Statuti di società e patti parasociali: il ruolo del notaio”, Padova, 16 maggio 1992), in Vita Notarile, 1992,
p. 485; M. WEIGMANN, Gli strumenti per il controllo del patrimonio d'impresa in forma di società di
capitali: statuto sociale e patti parasociali (Relazione alla giornata di studio organizzata dall'Ordine dei dottori
65
CAPITOLO II
commercialisti di Vicenza sul tema: “Azienda di famiglia e passaggio generazionale”, 7 ottobre 1995), in Riv.
dott. comm., 1996, p. 903.
Per una trattazione del tema successiva alla introduzione degli articoli 2341-bis e 2341ter, si vedano i contributi di B. MEOLI - S. SICA, I patti parasociali nella riforma del diritto societario, in
Giur. comm., 2003, I, p. 590; G. LOMBARDI, I patti parasociali nelle società non quotate e la riforma del
diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, p. 267; ID., Alcune considerazioni sui patti parasociali nella
riforma del diritto societario, in Corr. Giur., 2003, p. 1673 e ss.; L. BRAGALINI, Il nuovo assetto dei patti
parasociali, in Foro Padano, 2003, 3-4, pt. 1, p. 587 e ss. ; V. SALAFIA, I patti parasociali nelle società
non quotate, in Le Società, 2005, p. 822; S. MAZZAMUTO, I patti parasociali: una prima tipizzazione
legislativa, in Contr. Impr., 2004, p. 1286 e ss..; G. SBISÀ, La disciplina dei patti parasociali nella riforma
del diritto societario, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, p. 481 e ss.; G. OPPO, Patti parasociali, patti
collaterali e qualità di socio nella società per azioni riformata, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 57 e ss.; M.
RUBINO SAMMARTANO, I patti parasociali, in Foro Padano, 2003, I, p. 127 e ss.; D. PROVERBIO, I
Patti parasociali, in Diritto delle Società e dei Mercati finanziari, diretta da S. Rossi, Milano, 2004;
PISELLI D., I patti parasociali tra diritto dei contratti e diritto societario, in Società, 2007, p. 1111, che
annota la recente Cass. 20 giugno 2006, n. 14267.
Con riferimento ad un particolare tipo di clausola statutaria parasociale, ovvero alla
clausola di prelazione, si veda G. RESCIO, La distinzione, p. 643 e ss. il quale, pur ricollegando
tali clausole, al problema delle clausole statutarie parasociali («Esiste un consenso pressoché
unanime intorno al riconoscimento che non ogni patto collocato nell’atto costitutivo o nello
statuto sin dall’inizio o per via di successiva modifica, nell’obbedienza alle pertinenti regole
procedimentali, ha carattere sociale: si postula dunque l’esistenza di clausole statutaria (o
dell’atto costitutivo) parasociali»), conclude, tuttavia, per la rilevanza e l’efficacia reale delle
clausole di prelazione («Il patto «corporativo» di prelazione certamente gode di efficacia reale
nel senso che ne sono vincolati, oltre ai soci che lo hanno voluto, anche i soci che
successivamente entreranno a far parte della compagine sociale e che per ciò solo saranno a
loro gravati dal medesimo obbligo»); nonché, L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 138, il quale
– pur giungendo alla medesima conclusione – ritiene che le clausole di prelazione non siano
riconducibili al tema della clausole statutarie parasociali, in quanto «l’art. 23553 e 24791
prevedendo espressamente la fattispecie, rendono queste clausole sempre sociali. Poiché queste
due norme autorizzano espressamente l’inserimento nello statuto di limiti alla circolazione delle
partecipazioni sociali, non può esistere una clausola statutaria che pur essendo valida (perché
non contraria a tale norma), non produce l’effetto tipico dell’«arricchimento» negoziale della
fattispecie legale di fronte alla quale la legge fa scattare l’obbligo di iscrizione…Nulla vieta,
ovviamente, che lo stesso statuto specifichi che la clausola opera su un piano diverso da quello
della legittimazione ad ottenere il transfert: l’esistenza di una competenza statutaria a disciplinare
i presupposti dell’iscrizione nel libro dei soci, risultante dagli artt. 23553 e 24791».
L’importanza del tema può essere chiarita da un esempio. Si pensi, infatti, all’ipotesi in
cui (i) lo statuto abbia riconosciuto a favore di alcuni soci un diritto di riscatto che li legittima a
riscattare le azioni di cui sia titolare un altro socio; (ii) il riscatto venga esercitato ed eseguito al
di fuori delle ipotesi in cui lo statuto ne riconosce l’esercizio (6); (iii) le azioni riscattate vengano
alienate dai nuovi titolari a un soggetto terzo, non socio, che entra in questo modo a fare parte
della compagine societaria. Solo qualora si riconosca natura ed efficacia reale alle clausole
statutarie di riscatto – il socio che vi è soggetto possa ottenere un livello di protezione
adeguato, tale da metterlo in grado, ad esempio, di impedire l’iscrizione a libro soci del terzo e
di recuperare le partecipazioni cedute a quest’ultimo dai soci che hanno illegittimamente
esercitato il riscatto. Un esempio ancor più significativo – anche alla luce della prospettiva
privilegiata nel presente studio e sulla quale ci si intratterrà infra nel testo (cfr. cap. IV, sub § 2.1)
– potrebbe essere quello del socio finanziatore che decide di investire una quantità consistente
di risorse finanziarie nel capitale della società per il fatto che gli vengono attribuite, a fronte del
conferimento, azioni riscattabili che, diversamente dall’esempio prospettato nel testo, sono
configurate in modo tale da attribuire al loro titolare un diritto a essere riscattate dagli altri soci.
La natura sociale di tale pattuizione metterebbe infatti il socio investitore al riparo da eventuali
inadempimenti da parte degli altri soci sotto forma di mancato riscatto e, quindi, di mancata
66
Azioni riscattabili
Optando per la prima soluzione l’efficacia di tali clausole dovrà ritenersi
estesa a tutti i soci: non solamente a quelli iscritti nel libro soci al momento
della emissione delle azioni ma anche a coloro che, in futuro, dovessero
divenire soci della stessa in seguito all’acquisto di azioni riscattabili; accogliendo
la seconda opzione, viceversa, gli effetti del riscatto dovranno intendersi
circoscritti ai soli soci direttamente interessati e, più precisamente, a quelli
individuati – anche su base nominativa – dallo statuto (7). Qualora, peraltro, si
accetti la conclusione per cui tali previsioni sono dotate di efficacia reale, ne
discenderà che la loro violazione non sarà limitata al piano risarcitorio, ma
verrà sanzionata – a seconda dei casi – o con l’invalidità e l’inefficacia dell’atto
compiuto in contrasto con le prescrizione che disciplinano il riscatto e la
restituzione delle azioni ai loro originari titolari o con il trasferimento delle
azioni riscattate dai soggetti che tale riscatto hanno subito (e che non hanno
dato trasferito le azioni) ai soci che hanno regolarmente lo hanno regolarmente
esercitato (8).
liquidazione (e uscita) dalla compagine societaria. Per l’esame della fattispecie qui esposta e per
i problemi connessi alla sua ammissibilità o meno alla luce dell’art. 2437-sexies, si veda infra, cap.
IV, sub § 3.2.
(7) Come chiaramente messo in luce da G. RESCIO, La distinzione, p. 598 il quale
afferma sul punto che «quando pertanto si contrappone la rilevanza o efficacia reale del sociale
alla rilevanza o efficacia obbligatoria del parasociale, innanzitutto si intende rimarcare – è
questo il primo significato della dicotomia – proprio la diversa estensione del vincolo, sopra
motivata, nelle due categorie: la sua tendenziale propagazione rispettivamente a tutti i soci
attuali e futuri (regola sociale) o ai soli (para)soci interessati (regola parasociale).
Secondariamente, la regola sociale gode rilevanza reale, a differenza della rilevanza obbligatoria
della regola parasociale, anche perché gli atti compiuti in violazione della regola sociale spesso
incontrano la sanzione dell’invalidità e/o dell’inefficacia, mentre quelli che violano la regola
parasociale restano perfettamente validi ed efficaci e danno luogo soltanto ad un
inadempimento, fonte di responsabilità contrattuale (art. 1218 ss. c.c.) e motivo di invocabilità
degli altri rimedi previsti dal diritto delle obbligazioni e contratti (eccezione di inadempimento,
risoluzione del contratto, ecc.)…In terzo luogo, e come ulteriore sviluppo del secondo
significato, per rilievo o rilevanza reale della regola sociale, diversamente da quella parasociale,
si intende denotare l’opponibilità della stessa ai terzi che entrano in contatto con la società: nel
senso che la violazione della regola sociale. Può comportare delle conseguenze pregiudizievoli
anche per costoro, i quali non possono addurre la loro posizione di terzi rispetto al patto
sociale per eludere tali conseguenze».
(8) E’ noto, infatti, che la principale conseguenza della natura parasociale e
dell’efficacia obbligatoria del riscatto si manifesta sul piano rimediale. La dottrina riconosce in
questi casi l’attribuzione di un diritto al risarcimento del danno: si veda sul punto, R. ALESSI,
Alcune riflessioni intorno alla clausola di prelazione, in Riv. dir. comm., 1987, I, p. 55; S. GATTI,
L’iscrizione nel libro dei soci, Milano, 1969, p. 113; F. MACCABRUNI, Clausole statutarie di prelazione,
in Giur. comm., 1989, II, p. 94; altri, in modo a dire il vero non chiarissimo, attribuiscono un
67
CAPITOLO II
Il quesito iniziale, peraltro, potrebbe essere ulteriormente articolato allo
scopo di verificare se il profilo relativo all’efficacia di tali previsioni possa
costituire un elemento di discrimine tra l’istituto delle azioni riscattabili e
previsioni contenute in clausole di riscatto (ma non disciplinanti azioni
riscattabili) sufficientemente sicuro per l’interprete. Anche ai fini pratici, infatti,
non è indifferente che una previsione contenuta nello statuto possa ritenersi
parte del contratto sociale, piuttosto che qualificarsi come accordo tra soci, in
quanto tale soggetto alle regole imposte dalla nuova disciplina dei patti
parasociali di cui agli artt. 2341-bis e ss. c.c..
In ogni caso, entrambi i quesiti possono essere affrontati
congiuntamente, richiamando sinteticamente le tesi elaborate, prima della
riforma del diritto societario, dalla dottrina e dalla giurisprudenza in merito alle
c.d. «clausole statutarie parasociali», alle quali la letteratura ha spesso accostato
le clausole di riscatto. Al riguardo, va precisato che, con il termine «clausole
statutarie parasociali», la dottrina si è generalmente riferita a disposizioni
statutarie che se si caratterizzano per il fatto di privilegiare la disciplina dei
rapporti tra soci, relegando invece in secondo piano i profili più strettamente
connessi con il funzionamento della società e dei suoi organi. Va peraltro
chiarito che – in assenza del riconoscimento della fattispecie oggi disciplinata
dall’art. 2437-sexies c.c. – le tesi che si passeranno in rassegna sono state
articolate con riferimento alle sole clausole di riscatto cui, pertanto, si farà
diritto di riscatto ai soci che non sono stati messi in grado di esercitare il diritto di prelazione
non del tutto compatibile con la natura e l’efficacia obbligatoria attribuita alle clausole di
riscatto: G. FERRI, Le società, in Trattato di diritto civile, diretto da F. Vassalli, X, 3, Torino, 1987,
p. 506 e G.L. NIGRO, Sull’efficacia del diritto di prelazione previsto nello statuto di una società a
responsabilità limitata, in Dir. fall., 1992, II, p. 610 ss.. Rileva questo contrasto, L. STANGHELLINI,
I limiti statutari, p. 130, in nota 5, ove rileva che «la tesi della riscattabilità delle azioni acquistate
in violazione [della prelazione] non rientra completamente in quella dell’efficacia meramente
obbligatoria, poiché è ben possibile concepire sul piano dei rapporti fra acquirenti e soci un
diritto di riscatto, che, sul piano dei rapporti fra acquirente e società, sia preceduta dalla
negazione del transfert, sì che il diritto di riscatto si ponga come ulteriore rafforzamento di un
effetto «reale» già prodottosi».
Il problema è stato di recente affrontato anche da L. STANGHELLINI, Art. 2355-bis, p.
38 del dattiloscritto, con riferimento alle violazione delle clausole statutarie: l’A. ha messo in
luce la possibilità di chiedere al giudice una condanna che comporti una reintegrazione in
forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c. in modo tale da assicurare «…proprio quell’utilità che
il comportamento illecito ha tolto».
68
Azioni riscattabili
riferimento.
2.1 Le tesi relative ai criteri per determinare l’efficacia reale o obbligatoria delle
clausole statutarie parasociali.
Al fine di identificare un criterio certo per distinguere – all’interno dello
statuto – tra le pattuizioni afferenti al contratto sociale e quelle circoscritte al
piano parasociale, un’autorevole dottrina ha suggerito l’applicazione di un
criterio fondato sulla c.d. «direzione del vincolo». L’esistenza di tale requisito
sarebbe riscontrabile – determinando la natura parasociale della pattuizione –
ogni volta in cui i suoi destinatari siano due o più soci, considerati uti singuli o,
al limite, anche un solo socio e un organo della società (9). Alla luce di tale
orientamento, una patto di riscatto assumerebbe efficacia diversa a seconda che
il relativo diritto sia attribuito a favore di uno o più soci, piuttosto che a favore
della società: mentre, infatti, nel primo caso rivestirebbe natura parasociale, nel
secondo caso, dovrebbe qualificarsi come pattuizione a rilevanza reale.
A risultati simili conduce anche un diverso orientamento che ha
fondato le proprie tesi avendo riguardo alla situazione soggettiva del socio: secondo
questa ricostruzione la natura parasociale di una clausola statutaria
dipenderebbe dalla circostanza che essa attribuisca ad uno o più soci una
determinata situazione soggettiva nei confronti di altri soci; mentre la natura
sociale caratterizzerebbe disposizioni statutarie in cui il socio è inteso come
parte del contratto di società (10). Anche ove si accogliesse tale soluzione le
clausole statutarie di riscatto assumerebbero sempre efficacia parasociale se
relative a rapporti tra soci – con il riconoscimento ad esempio di un diritto di
riscatto ad alcuni soci e della relativa posizione di soggezione ad altri – ed
efficacia reale qualora, ad esempio, il riscatto venisse riconosciuto in capo alla
società in quanto tale.
La letteratura registra poi un’ulteriore opinione, per la quale una
clausola statutaria può qualificarsi come “sociale” qualora la sua applicazione
(9) G. OPPO, Contratti, p. 41.
(10) D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971, p. 181.
69
CAPITOLO II
coinvolga l’organizzazione della società e non gli interessi individualistici dei soci
(11).Mentre secondo un diverso orientamento l’individuazione degli effetti delle
clausole statutarie passerebbe attraverso la verifica della compatibilità del patto con
la struttura organizzativa prevista per il tipo societario di volta in volta
considerato: qualora poi si riscontrasse incompatibilità ciò comporterebbe una
sorta di “indebolimento” della clausola contenuta nello statuto e un suo
“declassamento” ad un’efficacia obbligatoria e ad una natura parasociale.
2.2. I riflessi degli orientamenti relativi alla determinazione della natura delle
clausole statutarie parasociali sulla qualificazione delle clausole di riscatto. La tesi della
natura obbligatoria. Critica alla luce di un coinvolgimento costante della società in tutti i casi
di riscatto. La tesi della realità. Critica nella misura in cui si fa dipendere la natura della
clausola dalla qualificazione della partecipazione azionaria, dai soggetti cui è attribuito il
potere di riscattare le azioni o dal tipo societario cui appartiene l’emittente.
L’individuazione della natura delle clausole di riscatto è ovviamente
influenzata dalle incertezze emergenti dagli orientamenti sopra descritti: ciò
pare confermato dal fatto che, sul punto, si registrano due scuole di pensiero
opposte le cui conclusioni sono, per i motivi che verranno esposti, non
pienamente soddisfacenti.
Secondo un primo orientamento la clausola di riscatto avrebbe sempre
rilievo meramente parasociale: a tale proposito, è stato affermato che, nell’ipotesi
in cui il riscatto fosse contenuto nello statuto, avrebbe natura di accordo
limitato ai soci, senza distinguere l’ipotesi in cui esso sia attribuito a favore di
questi ultimi oppure a vantaggio della società (12). La tesi è fondata su due
argomentazioni: la prima, per cui il diritto di riscattare le azioni sarebbe in
qualche modo estraneo alle vicende circolatorie delle partecipazioni azionarie,
traducendosi piuttosto in uno strumento di espropriazione forzata che avrebbe
natura eccezionale rispetto al principio di libera circolazione delle azioni e che
quindi non sarebbe suscettibile di essere introdotto surrettiziamente nel sistema
(11) C. ANGELICI, La costituzione della società per azioni, in Tratt. dir. priv., diretto da P.
Rescigno, 16, II, Torino, 1985, p. 230.
(12) D. U. SANTOSUOSSO, Il principio, p. 309 e ss..
70
Azioni riscattabili
del diritto societario; la seconda, basata sul rilievo per cui il diritto azionario
riconosce una sostanziale libertà nelle decisioni di disinvestimento, con la
conseguenza che attribuire natura sociale a un patto che, se attivato,
imporrebbe l’uscita dalla società del socio che subisce il riscatto, mal si
concilierebbe con la posizione giuridica di azionista (13). Tale conclusione è
sostanzialmente condivisa anche da chi si è espresso nel senso della
parasocialità delle clausole di riscatto, fondando la sua conclusione sul rilievo
che le nozioni di «diritto» e di «obbligo» che connotano la posizione giuridica di
chi è titolare del, o di chi subisce il, riscatto sono estranee alla natura
organizzativa dello statuto di società (14).
Queste tesi non sembrano convincere completamente. Al riguardo,
potrebbe replicarsi che il riscatto innanzitutto non è un elemento estraneo alle
vicende delle azioni anche se – come si avrà modo di vedere nel corso dello
studio – non può nemmeno essere qualificato come limite alla loro
circolazione. Si tratta piuttosto di un meccanismo in grado di incidere sulla loro
titolarità promuovendone, semmai, il trasferimento. Una osservazione merita
anche la qualificazione del riscatto come strumento di espropriazione forzata:
al riguardo sembra corretto ritenere che l’esercizio del riscatto rappresenti, più
semplicemente, la fase esecutiva di un accordo i cui termini sono stati
verosimilmente convenuti tra i soci ex ante. Il riscatto infatti non può ritenersi
mai un evento sopravvenuto essendo pur sempre programmato. Ciò sembra,
peraltro, indebolire anche il secondo argomento utilizzato per relegare le
clausole di riscatto al piano parasociale ovvero quello che le ritiene contrarie al
(13) D. U. SANTOSUOSSO, Il principio, p. 309, per il quale «Se sono ammissibili
condizioni alla trasferibilità delle azioni, pur sempre libera, non potrebbero trovare cittadinanza
nel diritto azionario condizionamenti, e cioè imposizioni, alla stessa volontà di trasferire…Non
pare che una clausola di riscatto, sia pur vincolato a parametri specifici ed oggettivi, possa
essere introdotta nell’atto costitutivo, neppure all’unanimità, senza sfidare indebitamente i limiti
di tenuta del tipo societario. Un simile patto, ove esistente, potrà essere fonte di un rapporto
non tra la società e il socio espropriando, ma tra i soci che si dimostri abbiano espresso una
volontà univoca di sottostare al suo regolamento; dando adito alle conseguenze tipiche di un
rapporto obbligatorio, e precisamente di un patto di opzione subordinato a condizione
sospensiva». Si veda anche il contributo della dottrina tedesca con M. LUTTER, Kolner Kommentar
zum AktG, Band 5, 2. Aufl., sub § 241 ss., Köln-Berlin, Bonn-München, 1993, p. 784.
(14) C. ANGELICI, La circolazione della partecipazione azionaria, in Trattato delle società per
azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 1991, p. 208.
71
CAPITOLO II
principio di libertà nelle decisioni di disinvestimento: proprio il fatto di avere
“negoziato” a priori i termini e le condizioni di riscatto infatti sembra sancire,
piuttosto che smentire, tale principio. Quanto infine alla asserita estraneità del
riscatto all’organizzazione sociale, si può replicare notando come il riscatto di
azioni il più delle volte presuppone il coinvolgimento degli organi sociali ai
quali non è improbabile ritenere che lo statuto devolva la competenza ad
esercitarlo (15).
In dottrina, tuttavia, è stata prospettata anche la tesi della natura e della
efficacia reale dei patti di riscatto sebbene, all’interno di questo orientamento, si
sia registrata una certa difformità di vedute tra i vari autori.
Secondo una prima ricostruzione, tali pattuizioni si tradurrebbero in
regole organizzative in grado di vincolare anche i terzi sottoscrittori o
acquirenti delle azioni, in quanto patti qualificanti la partecipazione azionaria e,
quindi, in grado di trascendere le persone dei soci originari; in secondo luogo,
in considerazione del fatto che la natura di regole organizzative aventi efficacia
reale discenderebbe, per le clausole di riscatto azionario, dalla possibilità di
applicare ad esse la disciplina e i principi propri di altre fattispecie di riscatto
non azionario, contemplate da norme dettate nell’ambito del diritto civile, posto
che entrambi i tipi di riscatto sarebbero caratterizzati da un rapporto accessorio
potestativo (16). Questa soluzione pare piuttosto convincente ma si scontra con
(15) Come si vedà infra, cap. III, sub § 8.
(16) L. CALVOSA, La clausola, p. 160 e 172 e, in particolare, p. 167 laddove l’a. afferma
che «La sottoposizione del terzo alle clausole statutarie di riscatto può peraltro discendere, oltre
che dall’applicazione delle regole societarie – le quali prevalgono su quelle relative alla letteralità
dei titoli azioni e alla sicurezza della circolazione» – anche dal ricorso a norme espressamente
previste per fattispecie diverse, ma pur sempre in ordine ad ipotesi (tipiche) di riscatto, (da
ritenersi) applicabili in virtù della ricostruzione qualificativa precedentemente delineata». Risulta
di particolare interesse il fatto che l’a. applichi il medesimo criterio descritto anche all’ipotesi,
cui si fa cenno nel corpo del testo, relativo alla sussistenza di efficacia e rilevanza reale di patti
di riscatto stipulati tra soci; a tale proposito, si rileva che «…ove…si applichi anche all’ipotesi
del patto parasociale la disciplina disposta per la vendita con patto di riscatto relativamente agli
effetti rispetto ai subacquirenti (art. 1504 c.c.), sia pure, per ragioni di compatibilità con lo
schema riguardato, limitatamente al primo comma), può sostenersi che il socio che abbia
legittimamente esercitato il diritto di riscatto nei confronti di altro con il quale abbia stipulato il
vincolo può ottenere il rilascio delle azioni anche dai successivi acquirenti, quando il patto sia
ad essi opponibile; e ciò vale, analogamente, nell’ipotesi in cui il riscatto sia esercitato dalla
società o da un terzo. Si tratterà di valutare in concreto la effettiva opponibilità o meno del
patto parasociale di riscatto: ma, una volta risultato opponibile, esso dovrebbe operare anche
72
Azioni riscattabili
il fatto di non riuscire a chiarire sino in fondo quale sia il criterio di riferimento
per qualificare come obbligatorio o reale un patto di riscatto. Rimangono
infatti senza una risposta alcune situazioni peculiari quali quelli in cui il riscatto
non qualifichi propriamente le azioni attribuendo, ad esempio, la relativa
facoltà alla società nei confronti delle azioni di titolarità di un socio individuato
su base nominativa dallo statuto.
A tale tesi si è anche replicato criticando, in primo luogo, il fatto che
essa avrebbe «omesso, in altri termini di svolgere una compiuta dimostrazione
della pertinenza delle clausole di riscatto, ove risultanti dall’atto costitutivo,
all’area delle determinazioni propriamente statutarie, vale a dire delle regole di
portata organizzativa che complessivamente compongono, appunto, gli statuti
di società» (17); e, in seconda battuta, l’adozione di un criterio metodologico che
collega fattispecie tipiche, contemplate dal diritto civile, a una fattispecie atipica
del diritto societario (18); in terzo luogo, infine, in quanto non si
preoccuperebbe di individuare un criterio in grado di distinguere
effettivamente tra clausole statutarie e clausole parasociali di riscatto (19).
Secondo quanto sostenuto da questa seconda dottrina, infatti, le
nei confronti del terzo acquirente. Di qui la singolarità di un patto di tal genere che, ancorché
parasociale, finirebbe per dispiegare la propria efficacia oltre i confini strettamente individuali
degli stipulanti. Anche se poi un’efficacia siffatta è destinata, in realtà, a prodursi soltanto
quanto il terzo acquirente sia a conoscenza del patto stesso (ex art. 1504, comma 1, c.c.) e
mancherebbe la buona fede, in virtù della quale altrimenti (s’intende, unitamente, al possesso
delle azioni e al titolo astrattamente idoneo al trasferimento) egli potrebbe acquistare le azioni
(se non a titolo derivativo, quanto meno) a titolo originario (ex art. 1994 c.c.)…Per cui, attesa la
distinzione tra il piano degli effetti e quello dell’opponibilità, il patto parasociale di riscatto, pur
caratterizzato dall’efficacia obbligatoria propria dei patti parasociali, avrebbe tuttavia una
rilevanza reale, qualora il riscatto stesso sia stato legittimamente esercitato e sia opponibile ai
subacquirenti».
(17) M. PERRINO, Le tecniche, p. 351.
(18) La tesi veniva infatti sviluppata prima dell’introduzione nel nostro ordinamento
della fattispecie di cui all’art. 2437-sexies, c.c.
(19) M. PERRINO, Le tecniche, p. 352-353 per cui «Se il rilievo metaindividuale delle
clausole in oggetto deve farsi discendere non già dalla normativa societaria, bensì
dall’estensibilità alle stesse di regole che, pur se tratte dalla disciplina di fattispecie tipiche, si
ritengano suscettibili di applicazione ad ogni ipotesi convenzionale di riscatto, non si vede poi
la ragione per negare siffatta applicazione relativamente, non solo, in via generalizzata, a tutte le
clausole formalmente incluse nell’atto costitutivo, siano o mo riconosciute come genuinamente
organizzative; ma anche ai veri e propri patti parasociali di riscatto, la cui distinzione dalle
determinazioni propriamente statutarie dovrà a quel punto ricercarsi sotto altri profili, diversi
da quello attinente al rilievo inter- o metaindividuale di solito ricollegato, rispettivamente, agli
uni ed alle altre».
73
CAPITOLO II
clausole di riscatto avrebbero rilevanza organizzativa e quindi natura reale in
quanto in grado di esercitare una sorta di controllo sulla composizione della
compagine sociale, sia nel senso di svolgere tanto una funzione di
personalizzazione della società per azioni (20), quanto una di “chiusura del
sistema”. Sotto quest’ultimo profilo, le clausole di riscatto – analogamente
all’effetto perseguito da altre disposizioni statutarie come gradimento o
prelazione – consentirebbero di stabilizzare la compagine societaria in una
duplice direzione: in senso quantitativo, consentendo ai titolari del diritto di
riscatto di privare altri soci della titolarità delle loro azioni e, nello stesso
tempo, in senso qualitativo, conseguendo l’effetto di valorizzare le caratteristiche
personali dei soci (21).
Secondo questo orientamento, tuttavia, la conclusione circa la realità
delle clausole di riscatto non può essere generalizzata, dovendo differenziarsi a
seconda dei soggetti coinvolti dal meccanismo di riscatto e alla tipo di società il
cui statuto contempla tale previsione.
Sotto il primo profilo, dunque, la clausola di riscatto avrebbe natura
reale nel caso in cui titolare del relativo potere sia la società e obbligatoria
nell’ipotesi in cui lo siano singoli soci o terzi (22). Quanto all’esclusione della
(20) M. PERRINO, Le tecniche, p. 356, per cui «La tipologia di clausole di riscatto
proposta all’attenzione dell’interprete dall’esperienza societaria italiana, così come da quella di
altri ordinamenti giuridici, mostra in effetti come, pur nella notevole varietà delle ipotesi,
costante sia però la riconoscibilità di un interesse, che può in prima approssimazione
esprimersi come essenzialmente diretto ad assegnare un decisivo rilievo ai profili personali della
partecipazione sociale».
(21) M. PERRINO, Le tecniche, p. 358, per cui «la clausola di riscatto si rileva, allora, in
quest’ottica, quale mezzo tecnico di un interesse sostanzialmente diretto a realizzare un
rigoroso controllo sulla composizione della compagine sociale; e, più specificamente, a
garantire lo stabile mantenimento dei connotati personalistici impressi a particolari assetti di
s.p.a. o a peculiari categorie di rapporti sociali (relativi, ad esempio, a prestazioni accessorie
connesse alle azioni o all’azionariato dei dipendenti all’interno di questa. Si dimostra, in tal
senso quale strumento inteso…a svolgere una funzione complementare, e per certi versi
speculare a quella che assolvono le clausole limitative della circolazione delle azioni, erigendo
un limite generale alla conservazione, invece che all’acquisto – cui piuttosto si rivolgono le
clausole predette – della partecipazione azionaria da parte di soggetti, non idonei ad assumere
la richiesta posizione personalisticamente qualificata»
(22) M. PERRINO, Le tecniche, p. 364 e p. 237. Ciò in quanto «alle predette clausole
limitative l’art. 2355 comma 3° c.c. riconosce, indubitabilmente, efficacia sul piano
organizzativo; con ciò allora ammettendo la possibile rilevanza sul medesimo piano
dell’interesse…alla personalizzazione della s.p.a., o di particolari rapporti sociali in seno alla
società azionaria, di cui dette clausole sono strumento giuridico di emersione», mentre «ciò che
74
Azioni riscattabili
natura reale di clausole di riscatto riconosciute a favore dei singoli soci o terzi,
l’argomentazione utilizzata consiste nel ritenere che la relativa clausola avrebbe
efficacia meramente obbligatoria, posto che alla attribuzione dell’efficacia reale
osterebbe, in tale caso, la circostanza che il meccanismo di un riscatto a favore
di un socio non comporterebbe alcuna forma di coinvolgimento della società o
dei suoi organi, al contrario di quanto invece avviene nell’ipotesi di clausole di
prelazione (23). Anche in questo caso – come in quello precedentemente
esaminato – non è chiaro come si possa qualificare un accordo con il quale un
determinato socio abbia la facoltà di farsi riscattare le azioni nei confronti, ad
esempio, della società o della massa indistinta degli altri soci presenti e futuri.
Secondo questa ricostruzione, inoltre, la natura reale delle clausole di
riscatto inoltre verrebbe meno anche nel caso in cui il potere di riscatto sia
attribuito ad una società «aperta». Al riguardo, si sostiene che se, da una parte,
tali qualità derivano dal riconoscimento, da parte del diritto positivo, alla
efficacia (statutaria) di clausole che – analogamente a quelle di riscatto –
consentono di perseguire il fine di personalizzare la società (24); tale scopo,
dall’altra parte, potrebbe essere perseguito solamente nel contesto del sottotipo societario rappresentato dalla società per azioni «chiusa» (25). La natura
sembra generalmente mancare nelle ipotesi di riscatto [riconosciute a favore di soci o di terzi] è,
a ben vedere, una qualche forma di coinvolgimento dell’agire della società, una regola cioè della
sua attività, quale è al contrario senz’altro riconoscibile, ad esempio, appunto nel caso testé
ricordato delle clausole statutarie di prelazione».
(23) Per il cui funzionamento, invece, sarebbe richiesto il coinvolgimento di organi
sociali. Ciò almeno secondo l’opinione di M. PERRINO, Le tecniche, p. 361. Dello stesso avviso,
almeno parzialmente, è C. ANGELICI, La partecipazione, p. 196, per il quale la clausola di
prelazione avrebbe una duplice natura, ovvero di regola statutaria e di patto parasociale «…Il
primo, per cui si manifesta la sua pertinenza all’organizzazione societaria e che allora è dotato
di «efficacia reale»; il secondo, che attiene agli interessi individuali dei soci e che pertanto può
assumere un rilievo soltanto «obbligatorio»».
(24) Il riferimento è alla originaria formulazione dell’art. 2355 c.c..
(25) Si veda, ancora sul punto, M. PERRINO, Le tecniche, p. 364 e, in particolare, p. 370,
il quale sostiene che sembrerebbe «…piuttosto non azzardato ritenere che dette clausole
limitative costituiscano in realtà, non già soltanto il meccanismo giuridico principale – in
quanto espressamente regolato, e più diffuso nella prassi – di inserimento di istanze
personalistiche nella sintassi di interesse della società azionaria, bensì un vero e proprio mezzo
tecnico essenziale in tal senso, necessario cioè e sufficiente per potersi con certezza riconoscere
l’effettiva sussistenza e rilevanza di un assetto personalizzato di s.p.a.. Non a caso, invero, si
designa – in (aggiornata chiave tipologica) – il sottotipo azionario individuato da un tale
assetto, oltre che come s.p.a. “chiusa”, nei termini di società “con azioni a circolazione
limitata”». Pare interessante rilevare come il cit. a. pervenga poi a ritenere legittime solamente
75
CAPITOLO II
reale delle clausole statutarie di riscatto non potrebbe, quindi, essere
riconosciuta a pattuizioni inserite in statuti di società quotate sui mercati
regolamentati: in tali ipotesi, infatti, non sussisterebbe alcun interesse alla
chiusura del sistema, alla stabilizzazione degli assetti proprietari o alla
personalizzazione della società, in considerazione della presenza di un mercato
su cui poter liquidare e acquistare i titoli azionari in grado di rendere le
caratteristiche personali dei soci prive di alcun rilievo (26).
Anche questa conclusione potrebbe criticarsi sulla base del fatto che –
nonostante le clausole di riscatto possano certamente rispondere ad istanze
personalistiche della società per azioni – l’inclusione di una clausola di riscatto
nello statuto di una società per azioni non pare alternarne i tratti tipici.
L’affernazione trova oggi un conforto anche nella lettera dell’art. 2325-bis,
comma 1, c.c. dal quale si può evincere un principio di unitarietà della nozione
di società per azioni i cui sotto-tipi – «società aperte» e «società chiuse» –
vengono distinti in base al diverso grado di articolazione della struttura
finanziaria e, in particolare, del capitale di rischio (27).
quelle clausole di riscatto che – adottate da società per azioni ad azionariato concentrato – si
accompagnino ad altre previsioni statutarie coerenti con il medesimo scopo da esse perseguito,
consistenti nella stabilizzazione della compagine azionaria («Più congruo appare, in definitiva,
riconoscere l’efficacia sul piano organizzativo delle clausole di riscatto, soltanto però ove
coerentemente innestate in un assetto azionario, già tipologicamente individuato in termine di
personalizzazione e «chiusura» della compagine sociale dalla previsione statutaria dei
meccanismi giuridici a tal fine…essenziali, limitazioni cioè della circolabilità delle azioni; e,
quanto all’impiego di clausole di riscatto onde far valere istanze di personalizzazione di
particolari rapporti interni alla s.p.a. – anziché nel suo complesso – solo a condizione che il
dispiegamento di tali istanze a livello organizzativo risulti positivamente attestato
dall’imposizione ex lege di dette limitazioni (come nel caso di prestazioni accessorie), ovvero
dall’autorizzazione legislativa alla loro introduzione sul piano statutario…e in tal caso
unicamente ove la relativa facoltà dell’autonomia privata abbia trovato concreta attuazione su
quel medesimo piano. E’ entro questi limiti che può dunque ammettersi il ricorso alle clausole
di riscatto di azioni quale tecnica di esclusione del socio nell’ambito delle società azionarie»).
(26) Ovviamente tali elementi potranno essere oggetto di specifiche pattuizioni
parasociali.
(27) Va rilevata la peculiare tecnica legislativa – strutturata con una sequenza di rinvii
alla disciplina speciale e alla normativa regolamentare – con la quale viene determinata la soglia
di diffusione delle azioni rilevante ai fini dell’art. 2325-bis; ed infatti ai sensi dell’art. 111-bis
disp. att. trans. «La misura rilevante di cui all’art. 2325-bis del codice è quella stabilita a norma
dell’art. 116 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e risultante alla data del 11 gennaio
2004».
76
Azioni riscattabili
La previsione del riscatto negli statuti di società quotate inoltre non sembra
nemmeno collidere con quelle previsioni imposte dalla disciplina regolamentare
della società di gestione del mercato che impongono la libera circolazione del
titoli che vi vengono negoziati. In via del tutto generale sembra potersi dire che
il riscatto non costituisca un limite al trasferimento dei titoli e neppure
rappresenti un accordo di c.d. «lock up» che potrebbe ostacolarne la
negoziazione: cosa che è particolarmente evidente quanto esso venga
congegnato in modo tale da consentire il “richiamo” delle azioni a scadenze
Per un esame dell’art. 2325-bis, si permetta di rinviare a M. L. VITALI, Art. 2325-bis, in
Commentario alla riforma delle società (Atto costitutivo. Conferimenti. Azioni), a cura di M. Notari,
diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, in corso di pubblicazione.
Si veda, inoltre, per una ricostruzione dell’iter legislativo che ha portato a questa
differenziazione normativa, G. PRESTI, Riforma della s.p.a. e scalini normativi, in Società - Riforma
delle Società, 2003, p. 24. Il cit. A., con riferimento alla Relazione al disegno di legge delega della
commissione Mirone per la riforma delle società non quotate, afferma: «La relazione al
progetto Mirone spiegava che questa distinzione all’interno del tipo s.p.a. venne ipotizzata nel
momento in cui si rinunziò all’idea originaria di una bipartizione secca delle società di capitali:
la s.r.l. come forma giuridica della società chiusa e la s.p.a quale modello esclusivo dell’impresa
di grandi dimensioni caratterizzata dalla dissociazione tra proprietà e controllo e, in tal senso,
definibile come aperta. Rifiutata tale perentoria dicotomia, in quanto ritenuta eccessivamente
rigida in relazione alle caratteristiche del nostro sistema economico e alle esigenze di
competizione con gli ordinamenti stranieri, la commissione si orientò su modelli flessibili, “con
un tasso di imperatività crescente man mano che l’attività di impresa si muove verso forme più
complesse e aperte, in cui si avverte maggiormente l’esigenza di tutela dei terzi”»; ID., La riforma
e le società quotate, in Diritto della banca e del mercato fin., 2004, 1, p. 41 ss.. Si vedano altresì M.
AVAGLIANO, Società per azioni: disposizioni in generale, atto costitutivo, patti parasociali, in Riforma del
diritto societario - Prime Riflessioni a cura dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale Notarile, consultabile
sul sito www.notarlex.it; A. BLANDINI, Società quotate e società diffuse. Le società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da
P. Perlingeri, Napoli, 2005; S. CAPPIELLO, Art. 2325-bis, in Codice commentato delle Nuove Società, a
cura di G. Bonfante, D. Corapi, G. Marziale, R. Rordorf, V. Salaria, Milano, 2004, p. 23 e ss.;
G. MOSCO, Le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante fra definizione, norme imperative e
autonomia privata. Uno scalino sbeccato da riparare in fretta, in Riv. Soc., 2004, p. 862 ss.; P.
MONTALENTI, Commento sub articolo 2325-bis, in Commentario Cottino; ID., La riforma del diritto
societario: profili generali, in Il nuovo diritto societario, vol. I, a cura di Ambrosini; M. COSSU, Società
aperte e interesse sociale, Torino, 2006, p. 207 ss. e spec. p. 209.
Nel novero di queste società deve certamente includersi anche il tipo società in
accomandita per azioni, come sostiene correttamente A. BLANDINI, Società quotate, p. 34, sulla
base dell’argomento formale della previsione di cui all’art. 2, 1 comma, lett. f) della legge delega
3 ottobre 2001, la quale si riferisce a questo tipo di società come a una “variante” della società
per azioni e in base all’argomento sostanziale per cui «escludendo dal novero delle società
considerate dall’art. 2325-bis c.c. quelle in accomandita per azioni, si creerebbe ancora più
confusione nel mercato dei capitali e, comunque, una disparità priva proprio di qualsiasi
giustificazione: ciò che, evidentemente, si deve in qualsiasi modo scongiurare». Il cit. A. tuttavia
affronta tale problema interpretativo alla luce della prima formulazione dell’incipit dell’art. 2325bis (rectius: prima dell’approvazione del c.d. “decreto correttivo”, d. lgs. 37/2004): la norma
infatti prevedendo che «Ai sensi dell’applicazione del presente capo…» (ovvero il V),
legittimava il dubbio che il legislatore si fosse voluto riferire alle sole società per azioni
77
CAPITOLO II
predeterminate (28). D’altra parte, un meccanismo del genere, capace di tradursi
in un efficiente strumento di difesa contro offerte d’acquisto indesiderate, non
sembrerebbe contrastare con i principi contenuti nel testo unico
dell’intermediazione finanziaria (d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58). Esso, infatti,
nel disciplinare la contendibilità del controllo societario, non pare essere
ispirato ad un favor per l’offerente, essendo piuttosto caratterizzato da un
modello normativo equidistante rispetto a quest’ultimo e alla società target (29).
Peraltro, sembra potersi affermare che tanto il principio della parità di
trattamento quanto il perseguimento di fini efficientistici – con riguardo alla
possibilità di conseguire, per effetto dell’opa, il ricambio di amministratori non
virtuosi – siano preservati anche in presenza di difese preventive quali
(28) In questo senso, si esprime L. CALVOSA, La clausola, p. 6 e spec. p. 8. L’a., da una
parte, afferma l’astratta compatibilità del riscatto alle società, facendo tuttavia presente,
dall’altra parte, la necessità di analizzare le finalità da cui tale clausola è connotata, posto che
essa conserverebbe tale compatibilità solamente nel caso in cui non fosse diretta alla
stabilizzazione degli assetti proprietari («Per vero…il riferimento [alla] libera trasferibilità delle
azioni come requisito indefettibile per l’ammissione alla quotazione di borsa potrebbe anche
indurre l’interprete ad affermare la compatibilità delle clausole di riscatto con il regime della
quotazione…in quanto non implicanti limiti alla libera trasferibilità delle azioni. Il significato
della clausola verrebbe ad essere in tal caso di grande rilievo, soprattutto ove si potesse
pervenire ad affermare la stessa esercitabilità del riscatto in borsa...». Salvo poi affermare che «si
tratterà pertanto di valutare in concreto, in relazione alla singola previsione statutaria, se la
compatibilità con la disciplina dell’ammissione alla quotazione sussista o meno: se la clausola è
congegnata nel senso di prevedere il riscatto di determinate azioni a scadenza fisse, la
compatibilità sembrerebbe ammissibile»).
Il requisito della libertà di circolazione delle azioni è previsto dall’art. 2.2.2 del
Regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A. (Requisiti delle azioni),
deliberato dall’Assemblea di Borsa Italiana S.p.A. del 26 aprile 2007 e approvato dalla Consob
con delibera n. 15996 del 26 giugno 2007, reperibile nella versione pro-tempore vigente sul sito di
Borsa Italiana S.p.A. (www.borsaitaliana.it). La citata norma regolamentare prevede, infatti, che
ai fini dell’ammissione alla quotazione le azioni «devono avere una sufficiente diffusione per il
cui calcolo non vengono computate, tra l’altro, «[del]le partecipazioni azionarie di controllo, di
quelle vincolate da patti parasociali e di quelle soggette a vincoli alla trasferibilità delle azioni
(lock-up) di durata superiore ai 6 mesi».
Sul punto, v. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2004, p. 268;
A. BLANDINI, Società quotate, p. 43 e spec. in nota 85; R. COSTI, Il mercato mobiliare, Torino, 2006,
p. 252 il quale con riferimento alle caratteristiche richieste alle azioni al fine della negoziazione
esclude la possibilità di quotare titoli la cui circolazione sia sottoposta a clausole di gradimento
e prelazione, ma non nel caso di riscatto oppure di clausole che prevedano un tetto massimo
alla partecipazione sociale detenuta da un singolo socio.
(29) A differenza di quanto era previsto dalla pre-vigente disciplina contenuta nella
legge n. 149 del 1992: sviluppa l’argomento il lavoro di M. GATTI, Opa e struttura del mercato del
controllo societario, Milano, 2004, p. 342-343; si veda anche F. M. MUCCIARELLI, Società per azioni e
offerta pubblica d’acquisto (Le difese successive contro offerte pubbliche di acquisto di azioni quotate), Milano,
2004.
78
Azioni riscattabili
(sarebbero) le clausole di riscatto (30). Al riguardo, infatti, sembra doversi
sostenere che l’attivazione da parte della società del riscatto di azioni
eventualmente riconosciutole dallo statuto debba in ogni caso passare
attraverso l’autorizzazione assembleare di cui all’art. 104 del t.u.f. (31).
2.3 L’individuazione di un criterio per qualificare la natura delle clausole di riscatto
ne facilita una distinzione rispetto alle azioni riscattabili. Le clausole di riscatto hanno una
efficacia “variabile”. Le azioni riscattabili hanno una efficacia (obbligatoria) “costante”.
In seguito alla riforma del diritto societario e alla introduzione di regole
ad hoc per i patti parasociali (artt. 2341-bis e ss., c.c.), la dottrina si è divisa circa
l’opportunità di rimeditare le conclusioni raggiunte in merito alla
individuazione di un criterio per distinguere gli accordi afferenti al contratto
sociale da quelli che, pur inseriti nello statuto, producono i loro effetti solo nei
confronti dei soci (32). Un autore in particolare ha formulato una tesi con
(30) E ciò, parrebbe, sia quando il riscatto sia finalizzato alla successiva riduzione del
capitale con conseguente diminuzione del flottante, sia quando esso sia volto al preliminare
richiamo di un certo quantitativo di azioni e alla successiva alienazione delle stesse a una
società “amica” della target (c.d. “cavaliere bianco”) che ne possa in questo modo conquistare il
controllo; sia, infine, nel caso in cui il riscatto sia finalizzato al ritiro delle azioni dal mercato e
al successivo de-listing della target. Si veda sul punto, tra gli altri, R. WEIGMANN, Le offerte
pubbliche di acquisto, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale,
Torino, 1993, vol. 10, tomo 2, p. 599.
(31) C. MOSCA, Art. 104, in La Disciplina delle società quotate nel Testo Unico della Finanza, a
cura di P. Marchetti e A. L. Bianchi, Milano, 1999, p. 269; F. VELLA, La passivity rule nella legge
italiana sulle offerte pubbliche di acquisto e gli effetti sul mercato del controllo societario, in Banca, Impresa,
Società, 1993, p. 220, il quale a proposito osserva «…Se obbiettivo della norma era di imporre
alla società bersaglio un comportamento di assoluta passività affinchè fosse garantito il regolare
svolgimento dell’offerta, allora tale obbiettivo non poteva considerarsi pienamente realizzato,
sia per i dubbi interpretativi che sorgevano nell’identificazione delle operazioni in grado di
incidere significativamente sull’attivo e il passivo della società – nella difficoltà cioè di definire
un criterio univoco per procedere alla distinzione tra operazioni consentite ed operazioni
vietate – sia, soprattutto, in relazione alla circostanza che dalla norma rimanevano esclusi alcuni
comportamenti che, pur essendo diversi da quelli specificatamente indicati dall’art. 16, l.
149/92, erano, in ogni caso, idonei a ostacolare il trasferimento del controllo della società
oggetto dell’offerta»; P. MONTALENTI, Opa: la nuova disciplina, in BBTC, 1999, I, p. 151.
(32) A questo proposito mentre una parte della letteratura ritiene che il problema non
vada affrontato da una diversa prospettiva, un’altra parte della dottrina ha sottolineato la
necessità di riformulare le conclusioni cui si era pervenuti prima della riforma del 2003. Alla
prima corrente di pensiero appartengono G. SANTONI, Art. 2341-bis – Art. 2341-ter – Art.
223-unvicies att. trans., in La riforma delle società a cura di Sandulli-Santoro, I, Torino, 2003, p. 97; G.
OPPO, Patto sociale, p. 57 e ss. e spec. p. 59, per il quale «La distinzione tra sociale e parasociale,
ricondotta al fondamento richiamato, resta ferma malgrado l’interferenza determinata da ciò
che l’esistenza del patto parasociale deve essere dichiarata nel sociale (almeno nelle società
79
CAPITOLO II
riguardo all’efficacia delle clausole statutarie che – come nel caso delle
previsioni relative ai diritti di cui all’art. 2468, comma 3, c.c. – attribuiscono
posizioni giuridiche a soci individuati anche su base nominativa. In questo
caso, è stato correttamente messo in luce come – per potersi qualificare come
pattuizione afferente al contratto sociale dotata di efficacia reale – sia
sufficiente che «l’impersonalità del vincolo sia apprezzabile anche soltanto
unilateralmente, dal lato passivo (soggezione o obbligo) o dal lato attivo
(potere o diritto) del profilo del rapporto sociale regolato dal patto» (33).
Accogliendo questa teoria si possono trarre alcune interessanti
conseguenze in merito alla individuazione della fattispecie delle azioni
riscattabili e alla loro distinzione con i patti di riscatto. Applicando il criterio
prospettato a questi ultimi ne deriva che la clausola di riscatto è dotata di
efficacia reale ed è parte del contratto sociale quando viene formulata in modo
tale da (i) attribuire a tutti i soci (presenti e futuri) della società il potere di
riscattare le azioni di tutti gli altri soci (presenti e futuri) della medesima; (ii)
attribuire ad un determinato socio, individuato su base nominativa, il potere di
riscattare le azioni di tutti gli altri soci (o, in alternativa, le azioni proprie
detenute “in portafoglio” dalla società); (iii) attribuire a tutti i soci (presenti e
futuri) della società (o, in alternativa, a quest’ultima) il potere di riscattare le
azioni di un determinato socio, individuato su base nominativa. Ne discende
che l’unica ipotesi in cui la clausola di riscatto ha natura parasociale ed efficacia
meramente obbligatoria, anche se inserita nello statuto, è quella in cui ad un
aperte, limitazione che non va esente da critica) e, in difetto, incide sulla validità del
comportamento sociale, con la conseguente annullabilità della deliberazione adottata con il
voto determinante dei contravventori (art. 2341-ter)»; v. anche R. COSTI, I patti parasociali e il
collegamento negoziale, in Principi civilistici nella riforma del diritto societario, Milano, 2005, p. 69.
(33) Così G.A. RESCIO, I patti parasociali nel quadro dei rapporti contrattuali dei soci, in Il
nuovo diritto societario. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B.
Portale, 1, Milano, 2006, p. 447 e spec. pp. 478-479. E chiaro pertanto che «ne deriva che la
clausola statutaria contiene un patto parasociale solo quando manchino profili di afferenza ad
una qualsiasi partecipazione sociale. Il che accade quando essa circoscriva la propria integrale
efficacia – sia dal lato dei soci onerati sia dal lato dei soci beneficiati – solo ad alcuni dei soci
presenti. Nonché accade quando essa riconosca obblighi, diritti e situazione giuridiche attive e
passive tra tutti i soci attuali con esclusione dei soci futuri; esclusione, quest’ultima, da
apprezzarsi alla stregua di una interpretazione tendenzialmente oggettiva e quindi tale da
richiedere non equivoche formule testuali che impediscano il propagarsi del vincolo ad altri
soci in ipotesi di alterazione della compagine sociale».
80
Azioni riscattabili
determinato socio, individuato su base nominativa, sia riconosciuto il potere di
riscattare le azioni di un altro socio, anch’esso identificato secondo il medesimo
criterio.
Le conseguenze derivanti da questa impostazione possono apprezzarsi
su diversi piani e, in particolare, con riferimento alla circolazione delle azioni e
alla disciplina dei patti parasociali. Sotto il primo profilo, ne deriva che se un
socio trasferisse le azioni che, ai sensi dell’accordo, sono soggette al riscatto, il
suo avente causa non potrebbe in alcun modo ritenersi vincolato da
quest’ultimo e non dovrebbe temere di subire il “richiamo” delle proprie azioni
(34). E’ chiaro poi, sotto il secondo profilo, che a differenza delle azioni
riscattabili le clausole di riscatto confinate al piano parasociale non sono
vincolate dalle previsioni dell’art. 2437-sexies c.c. e, in particolare, dai criteri di
determinazione del valore delle azioni e dalle regole sul procedimento da
seguire per la loro liquidazione (35). Sempre avuto riguardo alla disciplina, va
(34) Si ricorda tuttavia che, secondo la dottrina richiamata supra in nota 33, la
previsione di clausole parasociali nello statuto si traduce sempre in un vincolo (indiretto) al
trasferimento delle azioni in quanto ostacola l’exit del socio dalla compagine sociale. Secondo
tale ricostruzione infatti il trasferimento delle azioni non ha effetti risolutivi sugli accordi
parasociali previsti nello statuto: con la conseguenza che il socio soggetto al riscatto non
potrebbe trasferire le proprie azioni in quanto se lo facesse risulterebbe inadempiente rispetto
alle obbligazioni previste dal patto di riscatto. L’acquirente infatti non vi sarebbe vincolato e
non potrebbe essere in alcun modo tenuto a trasferire le azioni.
(35) In effetti, il riscatto impatta sulla società sia nell’ipotesi in cui il relativo diritto sia
attribuito a quest’ultima, sia nel caso in cui esso venga riconosciuto agli altri soci, in quanto,
oltre a riverberare i propri effetti sulle risorse della società e degli altri soci, richiede
l’osservanza di un procedimento per quanto attiene alla liquidazione delle azioni. Tale
conclusione peraltro non sembra essere indebolita dalla presenza della clausole di compatibilità
nell’art. 2437-sexies posto che, al limite, essa comporterà dei necessari adattamenti e non una
totale disapplicazione delle disposizioni dettate in tema di recesso. Il punto sembra essere
condiviso da A. STAGNO D’ALCONTRES, Sub art. 2350, in Società di capitali - Commentario, a cura
di G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004, p. 296 secondo la cui opinione «…il
rinvio alle norme che regolano la liquidazione della partecipazione azionaria in sede di recesso,
di cui all’art. 2437-sexies, non riguarda esclusivamente le ipotesi in cui il diritto al riscatto sia
attribuito dallo statuto alla società, ma anche quelli in cui detto diritto sia riconosciuto ad uno o
più soci. La particolarità di tale disposizione è duplice. In primo luogo ed in via immediata, è da
rilevare come la norma ammetta il riconoscimento di rilevanza statutaria a norme pattizie che
regolano la disciplina di rapporti fra i soci e che non vanno direttamente ad incidere sul
funzionamento dell’organizzazione sociale. In secondo luogo, è da chiedersi, se essa apra la via
all’inserimento in statuto, oltre che di clausole di call, in favore dei singoli soci, anche di
clausole di put o, ancora più in generale, di altre clausole che, disciplinando, con efficacia
obbligatoria fra gli stessi, i rapporti relativi all’esercizio di diritti sociali da parte di alcuni soci o
di gruppi di soci, hanno trovato fin d’oggi collocazione propria in patti parasociali (e valutare la
compatibilità di tali clausole con il limite di durata di cui all’art. 2341-bis)».
81
CAPITOLO II
segnalato che, prima di applicare alla clausola in questione anche le disposizioni
dettate dagli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c. – con particolare riguardo ai limiti di
durata dell’accordo e, nel caso di statuto di società aperta, agli oneri pubblicitari
– bisogna stabilire se la clausola di riscatto possa rientrare in una delle
fattispecie elencate dalla prima norma (36).
A differenza dei patti di riscatto la cui efficacia è influenzata dalla
formulazione relativa clausola, dunque, le azioni riscattabili possono avere
solamente efficacia reale. Tale conclusione non deriva tanto dalla constatazione
che l’art. 2437-sexies c.c. ha tipizzato la sede in cui il meccanismo del riscatto
azionario deve essere disciplinato (37), posto che lo statuto – come si è visto – è
divenuto per effetto della riforma un “contenitore” in cui possono confluire
tanto le regole di funzionamento della società, quanto i patti tra soci. Non è
decisivo, peraltro, nemmeno l’evidente rilievo organizzativo che assumono le
azioni riscattabili, la cui disciplina presuppone evidentemente l’inevitabile
coinvolgimento dell’“agire della società” e dei suoi organi, come sembra
dimostrare anche il richiamo alle disposizioni in materia di liquidazione delle
azioni dettate nell’ambito del recesso (38). Ciò che invece assume forza
(36) Riveste un certo interesse, infatti, verificare se le clausole di riscatto possano farsi
rientrare nelle fattispecie tipizzate dal legislatore nell’art. 2341-bis c.c.. Tali clausole infatti non
riguardano certamente «l’esercizio del diritto di voto» [lett. a)], né «l’esercizio anche congiunto
di un’influenza dominante» [lett. b)]; residua, a questo punto, il caso previsto dalla lett. b)
relativo ai «…limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le
controllano». Come accennato una parte della dottrina qualifica le clausole di riscatto come
strumenti per limitare la circolazione delle azioni; altri (L. STANGHELLINI, Art. 2351, p. 10 del
dattiloscritto; ID., I limiti, p. 82) invece ritengono che esse si limitino a promuovere la
circolazione dei titoli piuttosto che a limitarla. Il problema della qualificazione del riscatto
come limite alla circolazione delle azioni sarà affrontato più avanti (cfr, infra, cap. III, sub § 4)
ma a questo proposito è bene segnalare che sebbene non siano qualificabili come limiti alla
circolazione delle azioni, le clausole di riscatto potrebbero farsi rientrare ugualmente nel
disposto di cui all’art. 2341-bis e ss. per effetto di una interpretazione estensiva e in base
all’argomentazione per cui il termine sia stato utilizzato dal legislatore per indicare qualsiasi
vicenda che influenzi – in una direzione o nell’altra – il principio di libera circolazione delle
azioni. Tanto più che è evidente come l’esercizio del riscatto possa evidentemente influenzare
«gli assetti proprietari o il governo della società» comportando variazioni nella composizione
della compagine sociale.
(37) Analogamente a quanto il legislatore ha previsto per altre clausole riguardanti le
azioni. Il riferimento è in particolare all’art. 2355-bis e alla disciplina della clausola di prelazione
e della clausola di gradimento ivi contenute.
(38) E’ questo il senso in cui alcuni autori intendono il rilievo organizzativo di alcune
clausole statutarie: si vedano a tale proposito le considerazioni di P. SPADA, La tipicità delle
società, Padova, 1974, p. 27 ss.; cfr. C. ANGELICI, La circolazione della partecipazione, p. 156, il quale
82
Azioni riscattabili
determinante per avallare la conclusione proposta è la constatazione che nelle
azioni riscattabili – a differenza delle clausole di riscatto – il meccanismo che
impone il trasferimento delle partecipazioni è indiscutibilmente legato alle
azioni che divengono pertanto la sede in cui sono incorporate le situazioni
potestative in cui il riscatto si articola (39). Con le azioni emesse ai sensi dell’art.
2437-sexies viene quindi “esaltato” dal legislatore la centralità della
partecipazione all’interno della disciplina della società per azioni, unitamente
alla sua funzione di “schermo” rispetto ai loro titolari che, da queste, ne
risultano quasi nascosti (40). Ciò peraltro sembra ulteriormente confermato dal
fatto che – come si avrà modo di vedere in occasione dell’analisi della disciplina
applicabile alle azioni riscattabili – l’art. 2437-sexies, c.c. presuppone che a
fronte della emissione di azioni riscattabili vengano emesse azioni incorporanti
il potere di esercitare tale riscatto: con la conseguenza che l’impersonalità del
vincolo sarà, in questo caso, completamente soddisfatta caratterizzando sia il
si pone il problema di «elaborare criteri idonei a distinguere tra ciò che del globale assetto
contrattuale può effettivamente assumere la portata organizzativa del fenomeno societario e
ciò che invece, rimanendogli esterno, rileva soltanto su un piano parasociale» e identifica il
rilievo organizzativo non solo nelle «…tecniche per l’esercizio delle posizioni sociali» ma lo
ritiene esteso anche «…ai presupposti per il loro acquisto»; v. M. PERRINO, Le tecniche, p. 361
per cui il concetto di organizzazione si traduce «…in quello di regola dell’attività, che
costituisce il presupposto per l’applicazione di una diversa disciplina rispetto a quella di diritto
comune, caratteristica quest’ultima dell’atto negoziale ed imperniata sul diritto soggettivo e
sull’obbligazione; una disciplina diversa, appunto, in quanto fra l’altro contrassegnata da
un’efficacia di ordine metaindividuale, dalla produzione cioè degli effetti in ogni caso eccedenti
la sfera giuridica delle parti e rilevanti per la generalità dei terzi, perciò anche designati come
effetti reali».
(39) Si veda C. ANGELICI, La circolazione della partecipazione, p. 131, per cui «l’azione
rileva…quale risultato di una decisione organizzativa della società ed in quanto, per effetto di un
connesso processo di «oggettivizzazione», viene considerata come un autonomo oggetto di
circolazione». In punto di qualificazione delle azioni riscattabili come categoria di azioni o meno,
si veda infra, cap. II, sub § 3; A. FERRUCCI - C. FERRENTINO, Le società di capitali, le società
cooperative e le mutue assicuratrici, Milano, 2005, tomo I, p. 438 per cui le clausole attinenti la
circolazione delle azioni avrebbero sempre efficacia reale posto che «Tale effetto è logica
conseguenza della stessa natura giuridica delle azioni: queste infatti incorporano la
partecipazione alla società, il cui contenuto è dato dalle clausole dell’atto costitutivo e dello
statuto…».
(40) Significative a questo proposito le osservazioni di G. OPPO, Patto sociale, pp. 61-62,
per cui «Il potere di riscatto della società è ovviamente sociale e si risolve in un acquisto delle
proprie azioni…Il potere di riscatto dei soci deve intendersi come potere inerente alle azioni
cui è connesso, trasferibile con esse, e non come potere dei soci (attuali)…Il titole del diritto e
delle soggezione è sociale perché inerente alle azioni».
83
CAPITOLO II
lato attivo sia il lato passivo del rapporto potestativo (41).
Nonostante, quindi, sia stato ritenuto in dottrina che il problema della
natura sociale o parasociale del riscatto sarebbe mal posto (42), dopo
l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 2437-sexies c.c. la questione pare
tornare attuale e caratterizzarsi per il fatto di poter contribuire in qualche
misura sia ai fini della individuazione della fattispecie di cui all’art. 2437-sexies
c.c., sia ai fini della sua differenziazione rispetto ai patti di riscatto, sia, infine,
avuto riguardo alla disciplina applicabile anche in caso di violazione delle
disposizioni che tale meccanismo regolano.
2.4 Le opzioni di vendita («put») e di acquisto («call») di partecipazioni.
Distinzione rispetto alle azioni riscattabili. Difficoltà di distinguere le opzioni dalle clausole
di riscatto.
Nella prassi degli affari è frequente imbattersi in opzioni di vendita (c.d.
«put») e di acquisto (c.d. «call») di partecipazioni, generalmente previste
nell’ambito di accordi di joint ventures, patti parasociali o contratti di acquisizione
di partecipazioni societarie (43). Con riferimento a questi ultimi contratti le
(41) Sul punto, si rinvia infra, cap. II, sub § 4.
(42) E ciò in quanto «…la società è tenuta ad eseguire il transfert, ad esempio, anche a
seguito del valido esercizio di un diritto di riscatto contenuto in un patto parasociale se di ciò è
data dimostrazione all’atto della richiesta di annotazione…nella misura in cui la clausola di
riscatto s’impone ai soci, essa s’impone anche alla società tenuta ad eseguire il transfert, e il
carattere «sociale» della clausola consiste unicamente nel gatto che essa rende «liquida» (cioè
evidente) per la società la prova del titolo del trasferimento», con la conseguenza condivisibile
che anche ove una clausola di riscatto avesse natura parasociale potrebbe essere dotata di
efficacia reale, intesa come efficacia erga omnes: così L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 85.
(43) D. BONVICINI, Le “Joint ventures”: tecnica giuridica e prassi societaria, Milano, 1977; e,
nella letteratura straniera il lavoro di HABIB M.A. - LJUNGQVIST A. - CHEMLA G., An Economic
Analysis
of
Joint
Venture
Contracts,
consultabile
sul
sito
http://dgf.univie.ac.at/papers/paper003.pdf.
Si v., altresì, V. DOTTI, Clausole p. 207; osserva peraltro L. STANGHELLINI, I limiti
statutari, p. 169, in nota 18 che la clausola di opzione «call» può in qualche modo essere
assimilata a quella di prelazione dal punto di vista della «struttura di potere», in quanto può
«attribuire il diritto di riscatto alla maggioranza…a ciascuno dei soci, o ad un terzo»; ma la
differenza rispetto alla prelazione consisterebbe nel fatto che «la clausola di prelazione «dirotta»
verso l’avente diritto una circolazione che è già iniziata o sta per iniziare, mentre la clausola di
riscatto «provoca» essa stessa la circolazione delle partecipazioni»; la «struttura di potere» è
invece del tutto diversa nella clausola di opzione «put» in quanto «…attribuisce ad un socio il
diritto di uscire dalla compagine medesima, che palesemente non ha niente a che fare con il
diritto di controllare l’ingresso in società e la composizione della compagine sociale».
84
Azioni riscattabili
opzioni put vengono generalmente stipulate nell’interesse del venditore: con
esse infatti egli si riserva la facoltà di trasferire all’acquirente una porzione del
capitale sociale ulteriore rispetto a quella già ceduta e l’acquirente si vincola, sin
da subito, a dare esecuzione a tale accordo a semplice richiesta del venditore.
Viceversa accade con le opzioni call, ove l’acquirente si riserva il diritto di
incrementare la propria partecipazione, con il conseguente obbligo del
venditore di cedere le azioni a prima richiesta dell’acquirente.
Ovviamente tale tipi di accordi possono indifferentemente avere ad
oggetto azioni, quote di società a responsabilità limitata o, al limite,
partecipazioni in società di persone, avendo un “raggio di azione”
considerevolmente più esteso rispetto a quello delle azioni riscattabili,
circoscritto all’ambito delle società per azioni e in accomandita per azioni (44).
Da un punto di vista funzionale, tuttavia, bisogna distinguere tra le due
tipologie di opzione: mentre infatti le opzioni call sono dirette al medesimo
scopo delle azioni riscattabili, in quanto comportano un trasferimento di
partecipazioni da un soggetto ad un altro per effetto dell’esercizio dell’opzione
medesima da parte di quest’ultimo; una conclusione diversa va formulata con
riguardo alle opzioni put la cui funzione – consistente nel consentire al soggetto
al quale l’opzione è riconosciuta la facoltà di dismettere la propria
partecipazione – non è assolta dalle azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies,
c.c. posto che il legislatore ha disciplinato – almeno testualmente – solo
l’ipotesi di attribuzione di un potere di riscattare le azioni e non quella,
simmetrica, di farsi riscattare le proprie partecipazioni (45).
(44) Il tema delle quote riscattabili è affrontato infra, cap. III, sub § 15.
(45) Cfr. supra, cap. I, sub § 2. Si veda, a tale proposito, l’interessante lavoro di E.
BARCELLONA, Clausole di put & call a prezzo predefinito. Fra divieto di patto leonino e principio di
corrispettività, Milano, 2004, pp. 3-12, e in nota 14. Secondo l’a., nel caso di cessione di pacchetti
di controllo, potrebbe aversi un contratto di vendita definitivo per una quota del capitale di
poco superiore al 50%; mentre, con riferimento alla partecipazione di minoranza residuata in
capo al venditore, si potrebbe poi prevedere un patto di put e call che consente al venditore il
diritto di cedere e al compratore il diritto di acquistare tale pacchetto, rispettivamente ad un
prezzo minimo garantito e ad un prezzo massimo predefinito. In questo modo il compratore
potrebbe «scaglionare nel tempo l’esborso finanziario necessario per acquistare il controllo
totalitario della società;…mitigare il rischio di un eccessivamente brusco “passaggio di
consegne” manageriale; …avere comunque la certezza di poter consolidare il controllo
totalitario prescindere da una nuova dichiarazione di consenso del cedente»; mentre il
85
CAPITOLO II
Anche avendo riguardo all’inquadramento del meccanismo, sia le azioni
riscattabili sia le opzioni call sono sostanzialmente riconducibili allo schema
utilizzato dal legislatore per disciplinare l’istituto dell’opzione di cui all’art. 1331
c.c.. A ben guardare, infatti, anche la struttura utilizzata dal legislatore per
disciplinare le azioni riscattabili presuppone il richiamo dell’opzione di diritto
comune per così dire «rafforzata» dall’inserimento della sua disciplina nello
statuto sociale (46). Anche sotto questo profilo, tuttavia, è rinvenibile una
differenza di cui pare opportuno tenere conto: mentre la struttura potestativa
del riscatto di azioni ex art. 2437-sexies c.c. si sostanzia in un negozio accessorio
al negozio principale di emissione delle azioni (47); la previsione di opzioni put e
call nasce e si esaurisce come accordo concluso tra alcuni (o tutti) i soci ma, in
ogni caso, ininfluente rispetto alle modalità di emissione delle azioni che,
rispetto alla società, sono emesse, circolano e vengono trasferite come se
l’accordo non fosse mai stato concluso. Va peraltro rilevato che un’ulteriore
differenza rispetto alle azioni riscattabili è tracciabile grazie alla distinzione che
la giurisprudenza ha messo in luce tra l’opzione e il contratto preliminare,
quando ha affermato che – a differenza di quest’ultimo – l’opzione non
necessita di una ulteriore espressione di volontà delle parti posto che «…il
proponente impegnandosi a tenere ferma la sua proposta ha già prestato il
venditore, da parte sua potrebbe soddisfare «l’esigenza di non essere più esposto al rischio
imprenditoriale relativo ad una società della quale si sono oramai perse le redini del controllo;
l’interesse ad un compenso “premiale” parametrato in ragione dell’esito più o meno favorevole
del passaggio di consegne managariale; l’esigenza di avere comunque la certezza di poter
dismettere l’intera partecipazione a prescindere da una nuova dichiarazione di consenso
dell’acquirente». Nel caso di partecipazione a scopo di finanziamento, invece, il socio
imprenditore potrebbe concedere al socio finanziatore una opzione put e, viceversa, il socio
finanziatore potrebbe concedere al socio imprenditore una opzione call. Nell’ultimo esempio
riportato nel testo, invece, le opzioni consentirebbero a «…colui che dispone dei mezzi
finanziari [di convincere] alla causa imprenditoriale colui che, pur sprovvisto o non
sufficientemente dotato di mezzi finanziari è perciò in grado di apportare quel patrimonio di
conoscenza, idee e professionalità che…rappresenta una componente decisiva e, per certi versi,
maggioritaria, dell’eventuale successo». Peraltro «L’accordo di put & call…non rappresenta
certo l’unica forma di un possibile incontro di reciproca convenienza tra “capitalista reale” e
“capitalista umano”. Esiste invero anche un’altra fattispecie …quella delle azioni riscattabili».
(46) L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 83.
(47) L. CALVOSA, La clausola, p. 155 parla, a questo proposito, di «nesso di dipendenzaaccessorietà unilaterale caratterizzato, per il negozio di emissione, dalla possibilità di
prescidnere dal negozio (accessorio, appunto) di riscatto, e per quest’ultimo, invece, dalla
impossibilità di prescindere dal primo, senza il quale per quanto contraddistinto da suoi propri
(ancorché neutri profili causali), il riscatto non avrebbe autonoma rilevanza».
86
Azioni riscattabili
consenso alla stipula del definitivo» (48). Ai sensi dell’art. 2437-sexies, c.c. infatti
la disciplina del riscatto non comporta l’impegno del socio che ha sottoscritto
le azioni a «tenere ferma la sua proposta», in quanto questo impegno si
risolverebbe in un vero e proprio divieto di alienazione delle azioni di cui
all’art. 2355-bis c.c.. In assenza di previsioni statutarie specifiche che limitino il
trasferimento delle azioni, il socio potrà dunque alienarle ad altri soci o a terzi
e, conseguentemente, su costoro si trasferirà l’impegno a cederle nel caso in cui
i soggetti legittimati eserciteranno il potere di riscatto riconosciuto loro dallo
statuto. Il titolare di azioni riscattabili, quindi, mantiene l’impegno a tener
ferma la propria proposta solo se e nella misura in cui non decida di alienare la
propria partecipazione; anche in quest’ultimo caso, infine, non potrà essere
considerato responsabile a differenza di quanto accade nell’ipotesi in cui il
concedente il diritto di opzione risulti inadempimente rispetto all’obbligazione
assunta nei confronti dell’opzionario (49).
Qualche riflessione potrebbe poi essere spesa in merito ai presupposti di
funzionamento ovverossia agli eventi che legittimano l’esercizio rispettivamente
del diritto di opzione o del riscatto statutario. Generalmente gli accordi in cui
sono disciplinate le opzioni ne consentono l’esercizio al verificarsi o al mancato
verificarsi di un determinato evento come, ad esempio, il mancato
(48) V. Appello Milano, 11 marzo 1997, in Corr. Giur., 1997, p. 805 e ss. con nota di G.
LOMBARDI, E’ valida l’opzione c.d. “gratuita”? e in Appello Milano, 11 marzo 1997, in Giur. it.,
1998, II, p. 488, con nota di F. PERNAZZA, Il corrispettivo nel patto di pzione tra causa e
“consideration”.
(49) In quest’ultimo caso si dibatte se si tratti di una responsabilità precontrattuale o
contrattuale: v. V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano,
2001, p. 163 e ss. che ricostruisce il dibattito in questi termini «Un indirizzo lo qualifica
precontrattuale e limita il risarcimento all’interesse negativo, argomentando che il contratto
finale non è ancora concluso ed è incerto se si sarebbe concluso ma esso trascura che è
certamente concluso di patto di pzione, il cui contenuto tipico (relativo alla futura conclusione
del contratto finale) è integrato e qualificato da un contenuto ulteriore. Questo più complesso
contenuto genera obbligazioni contrattuali, anche di salvaguardia dell’interesse dell’opzionario
in ordine al contratto finale; la loro violazione dà luogo a responsabilità contrattuale, in linea di
principio estesa al risarcimento dell’interesse positivo. La tesi trova indiretto sostegno nella
norma sulla finzione di avveramento della condizione (art. 1359 c.c.): il contraente deluso dal
mancato avveramento della condizione immutabile )…) ha diritto non al mero risarcimento,
ma a godere della pienezza degli effetti contrattuali. Non è molto diversa la posizione
dell’opzionario deluso verso il concedente infedele: qui la pienezza degli effetti contrattuali a
suo favore è preclusa dalla tutela del terzo; ma, fra le parti, è giusto accordargli la massima
tutela risarcitoria».
87
CAPITOLO II
perfezionamento della procedura di quotazione delle azioni o il mancato
raggiungimento o mantenimento di parametri finanziari individuati dalle parte
nel corso dei negoziati. Il punto sarà ripreso più oltre ma va sin da ora messo
in luce come la disposizione di cui all’art. 2437-sexies, c.c. non faccia invece
alcun riferimento a condizioni o presupposti per l’esercizio del riscatto (50).
Il profilo sotto il quale i due meccanismi divergono maggiormente
riguarda piuttosto la loro efficacia che ha natura costantemente reale per quanto
attiene alle azioni riscattabili. Diversamente accade invece per le opzioni call
che – per gli interessi che perseguono e per le tipologie di accordi in cui sono
inserite – hanno sempre natura obbligatoria. Applicando anche a questo
meccanismo il test dell’impersonalità unilaterale del vincolo, pertanto, l’esito è
soddisfacente: posto che, infatti, l’attribuzione dell’opzione avviene – almeno
se si ha riguardo all’ambito dei contratti di acquisizione – tra due o più soci
senza il coinvolgimento della società, ne consegue che tali accordi non possono
avere alcun tipo di efficacia reale e che la loro violazione non è opponibile alla
società.
Da tale conclusione e dal fatto che il potere di riscatto è una
caratteristica delle azioni ai sensi dell’art. 2437-sexies, c.c. discendono una serie
di conseguenze che si sono già in parte evidenziate in occasione dell’esame
dell’efficacia delle azioni riscattabili e delle clausole di riscatto nell’ipotesi in cui
queste ultime vengono articolate in modo tale da non essere compatibili con il
requisito dell’impersonalità unilaterale del vincolo (51). Se si concorda quindi
con il fatto che il potere di riscatto caratterizza le azioni e circola con esse,
(50) La questione del riscatto ad nutum viene affrontato infra, cap. III, sub § 7.3.
(51) L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 83, il quale spiegando quale sia il significato
dell’inserimento del riscatto nello statuto e come si distingua rispetto al patto di opzione di
diritto comune, afferma che «Tale significato è unicamente quello di rendere efficace erga omnes
il patto di opzione, il quale viene così a far parte dal lato attivo e/o passivo, del patrimonio di
qualunque successivo titolare delle partecipazioni»; v., anche, AA.VV., Sindacati, passim; sullo
specifico problema relativo alla predeterminazione del prezzo di esercizio delle opzioni di
acquisto e vendita e del problematico rapporto con il divieto del patto leonino, E.
BARCELLONA, Clausole, p. 15 e ss. e si veda anche la nota 55; nonché, M. SPERANZIN, Vendita
della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, 2006, p. 362 ss..
88
Azioni riscattabili
indipendentemente dalla identità del loro titolare (52), i patti di opzione, avendo
natura obbligatoria, dovranno tendenzialmente essere redatti in modo tale da
garantire al loro titolare l’effettiva possibilità di fare in modo che i i titoli
vengano trasferiti a proprio favore. E’ per questo motivo, infatti, che gli
accordi che regolano le opzioni prevedono generalmente articolate clausole che
impongono limiti alla circolazione delle azioni (53). Un’altra differenza inoltre
riguarda la determinazione del corrispettivo: sia nel senso di quello
riconosciuto a fronte della concessione del diritto di opzione sia con
riferimento a quello che risulta dalla determinazione del valore di liquidazione
delle azioni. Sotto quest’ultimo profilo le opzioni call non sono evidentemente
(52) Come sottolineato dalla letteratura anche il patto di opzione e i diritti patrimoniali
che da esso discendono sono ovviamente cedibili secondo la disciplina della cessione del
contratto di cui agli articoli 1406 e ss. c.c.. Alcuni autori hanno sottolineato come tale profilo
distinguerebbe la figura dall’istituto della proposta irrevocabile: v. G. GORLA, Note sulla
distinzione fra opzione e proposta irrevocabile, in Riv. Dir. Civ., 1962, p. 213 e ss. e spec. p. 222, in
nota 22; nonché M. BIANCA, Il contratto, p. 265. Ma a differenza delle azioni riscattabili ad essere
ceduto, in questo caso, sarebbe l’opzione stessa – e quindi il lato attivo del rapporto potestativo
– che divverebbe in questo modo esercitabile dal cessionario. Nel caso delle azioni riscattabili
invece la cessione è possibile, per così dire, bilateralmente, in quanto possono essere cedute
tanto le azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. quanto quelle che, simmetricamente,
incorporano il potere di riscatto.
(53) V., sul punto, l’esemplificazione proposta da P. MANGANELLI, Pattuizioni
particolari, in ASSOCIAZIONE ITALIANA GIURISTI DI IMPRESA, I contratti di acquisizione di società e
di aziende, a cura di U. Draetta e C. Monesi, Milano, 2007, p. 583 per cui «La Partecipazione
Call dovrà rimanere nella piena ed esclusiva proprietà e nella libera, piena e legittima
disponibilità del Venditore finchè non sarà scaduto il termine per l’esercizio della Call Option,
ovvero finchè l’Acquirente, non ancora scaduto il termine predetto, non dichiari per iscritto di
rinunciare all’esercizio della Call Option. Conseguentemente, per tutto il periodo compreso tra
la sottoscrizione del presente Contratto ed il termine ultimo sopra specificato per l’esercizio
della Call Option, il Venditore si impegna a non alienare a terzi, sotto qualsiasi forma
(proprietà, nuda proprietà, usufrutto, etc.) e per qualsiasi titolo (alienazione, conferimento,
permuta, etc.), in via definita o a termine, nonché a non conferire, concambiare o donare in
tutto o in parte la Partecipazione Call, e comunque a non disporne, neppure a titolo di pegno,
cessione in funzione di garanzia, sequestro convenzionale, e in generale a non effettuare su di
essa operazioni che comportino cessione del diritto di voto e dei diritti sociali in genere. La
presente clausola ha durata di anni cinque e sarà tacitamente rinnovata per uguale periodo alla
sua scadenza in mancanza di disdetta da comunicarsi all’altra parte a mezzo lettera
raccomandata a.r. con almeno sei mesi di preavviso». Secondo il parere dell’A. la previsione di
un divieto alla alienazione delle azioni comporta correttamente l’applicazione delle disposizioni
dettate per disciplinare i patti parasociali e di cui all’art. 2341-bis e ss. cc..: sul problema relativo
alla sottoposizione delle clausole di riscatto a tali regole, si rinvia supra in nota 36; ciò si collega
anche a quanto sostenuto in tema di rapporto tra accordi parasociali e diritto di exit da G.
RESCIO, I patti parasociali, p. 453 per cui «Viene…naturale giustificare alla luce della piena tutela
del diritto di exit del socio la limitazione quinquennale della durata dei patti parasociali (e
soltanto di questi), in quanto essa è coerente con l’identica limitazione quinquennale del blocco
del diritto di exit (cessione della partecipazione e recesso del socio) attuabile nella s.p.a. con
patti sociali in forza dell’art. 2355 bis, comma 1°, c.c.».
89
CAPITOLO II
vincolate all’applicazione dei criteri contemplati dall’art. 2437-ter c.c., c.c. cui
l’art. 2437-sexies c.c. fa espresso rinvio (54), lasciando libere le parti di
determinarlo in misura fissa ex ante o di stabilire i criteri da utilizzare al
momento dell’esercizio dell’opzione, prevedendo in quest’ultimo caso una
clausola di arbitraggio nel caso in cui esse non trovino un accordo sul valore
dei titoli (55). Quanto alla questione relativa al riconoscimento di un
corrispettivo o «premio» a fronte del mantenimento dell’offerta, va rilevato
che, con riferimento all’opzione, il punto è stato discusso da dottrina e
giurisprudenza che non sono tuttavia giunte a conclusioni univoche (56). Il
problema non sembra porsi invece con riferimento alle azioni ex art. 2437-sexies
(54) Come si avrà modo di spiegare infra, cap. III, sub § 10.
(55) La predeterminazione del corrispettivo delle azioni avrà evidentemente scopi
speculativi come sottolinea anche P. MANGANELLI, Pattuizioni, p. 582 ma potrebbe scontrarsi
con il divieto del patto leonino di cui all’art. 2265 c.c.: il tema è stato recentemente rivisitato da
E. BARCELLONA, Clausole, pp. 48-49 che ha concluso nel senso della compatibilità tra le due
fattispecie anche alla luce del fatto che «…non esiste, nel diritto delle società per azioni, un
principio di necessaria correlazione rischio/potere neppure nell’accezione “moderna” sostenuta
dalla dottrina esaminata (ovvero: presunta necessaria coincidenza fra titolarità del potere e
titolarità del corrispondente rischio – sia pure limitato - )»
(56) Per R. SACCO, Il contratto, in Trattato di dir. civ., diretto da R. Sacco, Milano, 1993,
II, p. 311 «L’opzione differisce dalla mera clausola di irrevocabilità della proposta perché si
appoggia ad una causa onerosa: perché in altri termini, è stata o sarà pagata con un prezzo o
corrispettivo a parte; si che, a questo specifico titolo, l’offerente consente all’opzionista di
ritardare la propria decisione, in modo da concludere o non concludere il contratto a seconda
dell’andamento del mercato. La differenza fra le due fattispecie non deve essere certo nel
numero di dichiarazioni ma nella presenza (o assenza) di una causa onerosa»; ID., La
preparazione del contratto, in Trattato di dir. priv., a cura P. Rescigno, 10, Torino, 2002, p. 526 e ss.;
in giurisprudenza, App. 20 luglio 1982, in Giust. civ., II, 1986, p. 1673; App. Milano, 11 marzo
1997, con nota di G. LOMBARDI, E’ valida l’opzione, p. 806 e ss., il quale – condividendo solo
parzialmente i risultati cui perviene la Corte di Appello – afferma che «L’assunzione di un
obbligo (quale quello dell’irrevocabilità) può quindi risultare diretto al conseguimento di un
interesse o vantaggio patrimonialmente rilevante – pur non concretantesi in una
controprestazione come il premio – e in tal modo superare indenne il controllo di
meritevolezza…ne consegue che l’interprete dovrà compiere un’analisi che non si arresti al
solo patto di opzione, ma si estenda all’intera operazione e al suo contesto, valutando tutte le
finalità in essa comprese. Potrà anche non essere convenuto un premio, ma la giustificazione
causale, ossia il titolo meritevole di tutela, potrà essere rinvenuto nell’interesse perseguito dal
concedente attraverso tale pattuizione; la stessa concessione dell’opzione potrà risultare
collegata a impegni in precedenza assunti, anche nei confronti di soggetti terzi»; ne consegue
che gli operatori «…nel predisporre il testo di contratti di opzione, dovranno avere particolare
cura nel far sì che, nel caso di opzione non onerosa, risulti dal contesto negoziale un interesse
giuridicamente rilevante…idoneo ad evitare qualsiasi dubbio circa la validità dell’atto sotto il
profilo in questione»; e con nota di F. PERNAZZA, Il corrispettivo, p. 488 e spec. p. 489 per cui
«essenziale, anche secondo la Corte di Appello di Milano, non è necessariamente un
corrispettivo, essendo sufficiente una qualche forma di beneficio del promittente o,
correlativamente, un qualche esborso, impegno o vincolo del titolare del diritto d’opzione, in
una parola una consideration, volendo prendere a prestito un termine di common law».
90
Azioni riscattabili
c.c., per le quali l’attribuzione delle azioni è conseguenza del conferimento
effettuato dal socio, mentre la caratteristica della riscattabilità è un profilo
liberamente negoziato dai membri della compagine sociale. Ciò non toglie,
ovviamente, che, anche al fine di incentivarne la diffusione – i soci decidano di
prevedere un «premio implicito» per chi sottoscrive azioni riscattabili,
connotandole – unitamente alla soggezione al riscatto – con altre caratteristiche
come, ad esempio, il riconoscimento di un privilegio di natura patrimoniale o la
postergazione nell’incidenza delle perdite.
2.5 Conclusioni: azioni riscattabili, clausole di riscatto a efficacia obbligatoria e
opzioni call.
Si possono ora trarre alcune conclusioni in merito al primo elemento
della fattispecie oggetto di studio. Al riguardo, si può innanzitutto rilevare
come meccanismi diretti a conseguire effetti sostanzialmente coincidenti –
come le azioni riscattabili, le clausole di riscatto e le opzioni call – ad una più
attenta analisi si distinguano tra di loro in modo più o meno marcato, quanto
meno sotto il profilo dell’efficacia rispetto all’organizzazione societaria.
E’ emerso chiaramente che l’istituto delle azioni riscattabili sia stato
dotato dal legislatore di efficacia reale costante, in conseguenza dell’incorporazione
nel titolo della situazione di soggezione al riscatto nel titolo azionario (57). In
questo modo si è probabilmente voluto introdurre nell’ordinamento uno
strumento che consentisse di attrarre capitale di rischio apportato da soggetti
non interessati ad incidere nel lungo termine sulle dinamiche dell’emittente e,
verosimilmente, disinteressati alla sua gestione, alla luce del fatto di poter
subire, da un momento all’altro, l’estromissione dalla stessa. Le azioni
riscattabili possono infatti essere descritte come uno strumento di investimento
a breve o, al massimo, medio termine che “sconta” la circostanza di non
mettere chi ne è titolare nella posizione per programmare e individuare il
momento in cui saranno costretti a disinvestire dalla società. Tale aspetto,
tuttavia, sembra compensato dal fatto che le azioni emesse ai sensi dell’art.
(57) Ma anche delle situazioni di potere, come si avrà modo di chiarire infra, cap. IV.
91
CAPITOLO II
2437-sexies c.c. possono circolare unitamente alla posizione di soggezione in
esse incorporate, consentendo pertanto al socio che ne è titolare di cederle ad
un terzo senza poter essere ritenuto inadempimente dai soggetti legittimati ad
esercitarlo e rispetto all’esecuzione del trasferimento delle azioni successivo
all’esercizio del riscatto. In questo modo quindi chi ne è titolare può in qualche
misura programmare il proprio disinvestimento che, ovviamente, sarà tanto più
facile quanto più la soggezione al riscatto si accompagni a vantaggi di natura
patrimoniale che ugualmente alla prima connotino l’azione. Senza contare,
peraltro, che anche ove lo statuto subordinasse l’esercizio del riscatto al
verificarsi di determinate condizioni, l’esercizio del riscatto non sarebbe certo
posto che sia la società, sia gli altri soci potrebbero rinunciarvi.
Le clausole di riscatto hanno invece una efficacia tendenzialmente reale anche
se essa può degradare ad obbligatoria qualora esse identifichino su base
nominativa sia la parte attiva, sia la parte passiva del rapporto. Peraltro,
analogamente a quanto accade nel caso di previsioni di opzioni call, la clausola
di riscatto può tradursi in un implicito limite alla circolazione delle azioni. Se,
infatti, lo statuto prevedesse che «alla società Alfa è attribuito il potere di
riscattare le azioni del socio Tizio», quest’ultimo non potrebbe cedere le
proprie azioni senza evitare di risultare inadempiente al proprio obbligo di
trasferire le azioni ove Alfa decidesse di esercitare il riscatto. Non così, invece,
accadrebbe nel caso delle azioni riscattabili, con riguardo alle quali lo statuto
potrebbe prevedere che «alla società Beta è attribuito il potere di riscattare le
azioni di categoria B emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.»: la posizione di
soggezione si trasferirà, infatti, insieme alle azioni vincolando gli attuali titolari
di tali azioni, così come quelli futuri.
Vi è piuttosto da interrogarsi sulle differenze che intercorrono tra le
clausole di riscatto formulate dallo statuto in modo tale che «a Tizio è
riconosciuto il potere di riscattare le azioni di Caio», rispetto a clausole di
opzione che, analogamente, individuano su base nominalistica le parti del
92
Azioni riscattabili
rapporto contrattuale (58). Se si concorda con il fatto che in questo caso
entrambe le previsioni hanno efficacia obbligatoria nei confronti della società e
che le opzioni manterrebbero tale natura anche nel caso in cui fossero
disciplinate all’interno degli statuti invece che in separati accordi, dovrebbe
concludersi nel senso della perfetta coincidenza tra i due meccanismi. Le
clausole di riscatto che si caratterizzano per il fatto di essere incompatibili con
il test dell’impersonalità bilaterale del vincolo rischiano dunque di differenziarsi
dalle opzioni solamente per il fatto di essere disciplinate negli statuti e non in
accordi stipulati ad hoc. Una ulteriore differenza può solamente emergere dalla
prassi: l’evidenza empirica (59) dimostra, infatti, come i patti di opzione si
(58) Diverso ancora è il caso dei contratti derivati è, in particolare, delle call options:
rispetto alla cui natura sono state formulate principalmente due tesi. La prima che le riconduce
allo schema dell’opzione di diritto comune ex art. 1331 c.c. (F. CAPUTO NASSETTI, Profili
civilistici dei contratti «derivati» finanziari, Milano, 1997, p. 191 e ss.); l’altra che ritiene che esse si
risolverebbero in una condizione sospensiva unilaterale a favore del titolare delle opzioni,
apposta ad un contratto definitivo: con la conseguenza che – come accade nella prassi dei
mercati regolamentati – l’opzione non richieda per il suo esercizio una ulteriore dichiarazione
di volontà, perfezionandosi nel momento stesso in cui si riveli economicamente vantaggiosa
per il titolare dell’opzione (c.d. «in the money») (v., A. PERRONE, La riduzione del rischio di credito
negli strumenti finanziari derivati, Milano, 1999, p. 24 e ss.. Per uno studio del rapporto tra
contratti derivati aventi ad oggetto l’acquisto delle azioni proprie, cfr. S. VANONI, Contratti
derivati su azioni proprie: profili di disciplina societaria, in Riv. Soc., 2004, p. 441 e spec. p. 459 e ss..
(59) La prassi, infatti, registra un frequente utilizzo delle opzioni di acquisto o di
vendita per disciplinare rapporti che coinvolgono (direttamente) i soci e (indirettamente) anche
gli organi sociali, specie quelli incaricati della gestione. Si pensi al seguente esempio: Alfa
possiede il 90% di Gamma, società attiva nel settore industriale, e decide di alienare la propria
partecipazione a Beta, investitore finanziario. Beta negozia l’acquisto parziale della
partecipazione di Alfa, nella specie il 70%, richiedendo ad Alfa di non uscire completamente
dalla compagine sociale ma di rimanervi, quale socio di minoranza per il residuo 20% (la
“Partecipazione Alfa”), per un certo periodo e, in ogni caso, fino all’avvio e alla finalizzazione
della quotazione delle azioni di Gamma sul mercato regolamentato. In questo modo: Beta si
garantirà la presenza di un socio industriale che già conosce le dinamiche di Gamma e gestirà,
con più facilità, il “passaggio di consegne”; Alfa si garantirà la possibilità di disinvestire sul
mercato la partecipazione di minoranza di cui rimane titolare dopo il trasferimento delle azioni
a Beta. Alfa, temendo che il consiglio di amministrazione, composto dai membri nominati dal
nuovo azionista di minoranza, le precluda la possibilità di liquidare la propria partecipazione sul
mercato, non votando a favore della quotazione, negozia un’opzione put da esercitarsi nel caso
in cui non le azioni non vengano ammesse alla negoziazione sul mercato. La clausola potrebbe
assumere il seguente tenore «1. Beta concede irrevocabilmente, ai sensi dell’art. 1331 cod. civ.,
ad Alfa, che accetta, il diritto potestativo di vendere a Beta medesima la Partecipazione Alfa,
alle condizioni e nei termini di cui al presente articolo (l’“Opzione Put”). 2. L’Opzione Put
potrà essere esercitata da Alfa esclusivamente nelle seguenti ipotesi: (a) nel caso in cui il
consiglio di amministrazione di Gamma non abbia conferito l’incarico il mandato agli advisor
finanziari entro il termine di cui all’articolo che precede; (b) nel caso in cui il consiglio di
amministrazione di Gamma non abbia deliberato l’avvio della procedura di quotazione entro il
termine di cui all’articolo che segue; (d) nel caso in cui, infine, non intervenga l’inizio della
93
CAPITOLO II
sostanzino
accordi
particolarmente
complessi
e
siano
generalmente
riconducibili solo a due o ad un numero limitato di azionisti oppure
coinvolgano interessi tali da richiedere un grado di riservatezza maggiore
rispetto a quello garantito dall’inclusione delle relative previsioni nello statuto,
oppure, ancora, prevedano sistemi di calcolo del prezzo di riacquisto delle
azioni che prescindono dai criteri richiamati dall’art. 2437-sexies che
potrebbero, per analogia, essere impiegati anche nell’articolazione delle clausole
di riscatto ad efficacia obbligatoria (60).
3. La delimitazione della fattispecie: alcune riflessioni circa la
nozione di «categoria di azioni» utilizzata dall’art. 2437-sexies c.c. In
particolare: il problema della compatibilità tra i «diritti diversi» di cui
all’art. 2348, comma 2 c.c. e l’attribuzione di posizioni giuridiche
«passive».
Analizzata la natura e la rilevanza reale delle previsioni statutarie che
regolano l’emissione di azioni riscattabili, è bene occuparsi del secondo tema
strumentale alla delimitazione della fattispecie oggetto di studio e relativo
all’incorporazione di una situazione soggettiva passiva nei titoli azionari. L’art.
2437-sexies c.c. sancisce, infatti, la facoltà, per lo statuto di una società per
azioni, di emettere, tra l’altro, «categorie di azioni» soggette al riscatto da parte
dell’emittente o degli altri soci. La formulazione della disposizione legittima,
negoziazione delle azioni di Gamma su di un mercato regolamentato e gestito da Borsa Italiana
S.p.A., entro 1 anno dall’assunzione della delibera di quotazione, qualora le Parti non abbiano
attivato la procedura di cui all’articolo che segue». Alfa e Beta peraltro negoziano anche la
formula per il calcolo del valore delle azioni oggetto dell’opzione put. La clausola tiene conto
del valore nominale delle azioni e di alcuni parametri finanziari che le parti avranno, più o
meno analiticamente, definito nell’accordo parasociale: «1. Il prezzo di esercizio dell’Opzione
Put sarà pari al maggiore tra (i) [(Bookvalue + IRR del (…) %)]; e (ii) l’Ebitda, moltiplicato per
(…); meno (iii) la Posizione Finanziaria Netta». Nell’ipotesi, infine, in cui la formula negoziata
dalle parti sia particolarmente favorevole al soggetto legittimato ad esercitarla (nell’esempio
proposto, Alfa) sarà opportuno prevedere anche una clausola di protezione del seguente
tenore: «1. Le parti dichiarano che l’Opzione Put rientra nella normale alea del contratto per gli
effetti di cui all’art. 1467, comma 2»: in questo modo Alfa si tutelerà rispetto ad eventuali
pretese di risolvere il contratto avanzate da Beta a titolo di eccessiva onerosità sopravvenuta.
(60) Si ricordi peraltro che, ai sensi dell’art. 2341-bis, i «patti strumentali ad accordi di
collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società
interamente possedute dai partecipanti all’accordo» sono sottratti alla disciplina dei patti
parasociali per quanto attiene alla durata ma non per quanto riguarda i profili pubblicitari.
94
Azioni riscattabili
dunque, la creazione di categorie di azioni non caratterizzate dall’attribuzione
di un diritto ma connotate dalla soggezione al riscatto (61); la situazione soggettiva
attiva viene viceversa riconosciuta a soggetti diversi dai titolari delle azioni
riscattabili ovvero alla società o agli altri soci (62).
(61) Per un inquadramento generale delle posizioni giuridiche si veda G. MESSINA, Sui
cosiddetti diritti potestativi, in Studi in onore di Fadda, VI, Napoli, 1906; F. SANTORO – PASSARELLI,
Dottrine generali, p. 72; N. IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato, Padova, 1990, p. 41, il
quale rileva la difficoltà di delimitare il confine tra diritto potestativo e diritto soggettivo
«…ovvero di stabilire il limite di compatibilità tra le note di specie e le note di genere».
Prendendo poi come termine di paragone la vendita con patto di riscatto, l’ultimo a. cit.
afferma che «lo stato di soggezione in cui si trova il compratore…non indica, a ben vedere, una
posizione giuridica corrispondente al diritto di riscatto, ma designa piuttosto la oggettiva
inevitabilità degli effetti, che la norma ricollega alla dichiarazione del venditore. Se – come si dice
dalla dottrina in esame – il diritto potestativo è potere di produrre un mutamento giuridico,
allora bisogna concludere che l’altra parte non è soggetta al potere del titolare, ma al
mutamento prodotto ossia ad un certo tipo di effetti giuridici…La teoria del diritto potestativo
appartiene, non già al capitolo delle situazioni giuridiche soggettive, ma al capitolo dei
comportamenti umani produttivi di effetti giuridici. Esso nasce dalla consueta conversione psicologica
dei fenomeni normativi: se l’[art. 1503] ricollega il riscatto alla dichiarazione del venditore, ecco
immaginare, come autonoma figura giuridica una possibilità del venditore di compiere la
dichiarazione, e di produrre da solo un certo effetto. Il lineare legame tra fattispecie ed effetto
(ossia tra dichiarazione del venditore e vicenda del rapporto di proprietà) viene tradotto in
termini psicologici, sicché il venditore è considerato titolare dello specifico potere di produrre il
mutamento giuridico. Ma questo potere…non ha alcuna rilevanza normativa. Esso serve
soltanto a designare una modalità della fattispecie, cioè che la dichiarazione di riscatto deve
provenire dal venditore, e non da altri soggetti. La descrizione degli elementi normativi viene
sostituita da un’immaginaria possibilità del privato; e così in luogo di dire che la fattispecie
dell’art. 1503 c.c. contiene la dichiarazione del venditore, si dice che il venditore ha il potere di
compiere la dichiarazione del riscatto».
(62) Come, peraltro, affermato anche dalla stessa relazione illustrativa al d. lgs 17
gennaio 2003, n. 6 la quale così recita «Ad una prospettiva di ampliamento dell’autonomia
statutaria si ispira il progetto di riforma anche nell’art. 4, comma 6, dedicato alla disciplina delle
azioni ed obbligazioni. Qui si è ravvisata l’esigenza di superare le attuali rigidità del sistema e di
consentire alle società per azioni, come già avviene in altri sistemi giuridici, l’utilizzo di una più
estesa gamma di prodotti finanziari utilizzabili per la raccolta di capitale di credito e di rischio».
L’affermazione è diffusa nella manualistica: M. NOTARI, Disposizioni generali, p. 138; F. FERRARA
JR. – F. CORSI, Gli imprenditori, p. 453 i quali osservano come «… con la riforma il legislatore
abbia inteso, rispetto al passato, lasciare in questo campo una ben più ampia discrezionalità
all’autonomia statutaria, consentendo di configurare categorie speciali di azioni dal contenuto
più vario»; così come in dottrina: antecedentemente alla entrata in vigore della riforma del
diritto societario e anche in un’ottica di analisi economia del diritto, M. LAMANDINI, Struttura
finanziaria, pp. 12-14 il quale, interrogandosi sulle possibili «articolazioni delle nozione di
“azione”» si chiede «quali tratti fisionomici rimangano essenziali alla fattispecie “azione” e che
spazio sia demandabile all’autonomia negoziale nell’articolare eventualmente lo strumento oltre
la tipizzazione fatta dal legislatore senza pregiudicare gli scopi per i quali la categoria è
imposta», concentrando, quindi, la propria analisi in merito allo «spazio [che]…possa essere
lasciato all’autonomia negoziale nel dettare regole – o derogare a regole – inerenti alla disciplina
dei rapporti di agenzia che si generano nella relazione societaria e quali tratti fisionomici –
specie sotto il profilo patrimoniale – rimangano viceversa essenziali alla fattispecie «azione»,
anche in relazione alle finalità di tutela dei creditori»; successivamente all’entrata in vigore delle
nuove disposizioni, si leggano i contributi di U. TOMBARI, La nuova struttura finanziaria della
95
CAPITOLO II
Si tratta quindi di verificare se la nozione di «diritti diversi» utilizzata
dall’art. 2348, c.c. nel disciplinare l’emissione di categorie di azioni risulti
compatibile con le regole dettate dall’art. 2437-sexies c.c. e, in particolare, con
l’utilizzo che, in questa norma, è stato fatto dell’espressione «categorie di
azioni». Il problema nasce dal fatto che il dato lettarale delle due disposizione
appare prima facie contraddittorio: mentre infatti la lettera dell’art. 2437-sexies
c.c., si riferisce esplicitamente alla nozione di «categoria» ma disciplina una
posizione di soggezione per i titolari della medesima; la lettera dell’art. 2348
c.c., viene frequentemente riferito a sole posizioni giuridiche attive idonee
pertanto a fondare una categoria di azioni in senso proprio. Se, pertanto,
questo contrasto non venisse risolto in modo tale da consentire una
interpretazione più flessibile dell’espressione utilizzata dall’art. 2348, c.c., ne
deriverebbero alcune conseguenze di cui tenere conto nel momento in cui i
soci decidano di prevedere una articolazione della struttura finanziaria della
società che contempli anche l’emissione di azioni riscattabili. E’ chiaro, infatti,
che sposare la tesi restrittiva e concordare con il fatto che la nozione di
«categorie di azioni» sia stata utilizzata in senso atecnico dal legislatore si
tradurrebbe nell’impossibilità di applicare alle azioni riscattabili la disciplina di
protezione dettata dall’art. 2376, c.c.. Il che a dire il vero sembrerebbe piuttosto
incongruo oltre che inefficiente rispetto alla “promozione” sul mercato dei
capitali di questi nuovi strumenti finanziari, considerando che l’ordinamento
non impone – come faceva il Companies Act 1929 – di premiare i sottoscrittori
di azioni riscattabili con un privilegio nella ripartizione degli utili (63).
3.1 Le tesi favorevoli ad una lettura restrittiva della nozione di «diritti diversi».
società per azioni (corporate governance e categorie rappresentative del fenomeno societario), in Riv. Soc.,
2004, p. 1082-1104; M. NOTARI, Le categorie, p. 46 e ss.; ID., Diritti particolari dei soci e categorie
“speciali” di partecipazioni, in AGE, 2003, p. 325 e ss.; ID., Problemi aperti in tema di struttura
finanziaria della s.p.a. (Relazione al Convegno organizzato dall'Osservatorio sulla riforma del diritto societario
della Camera di Commercio di Milano, in collaborazione con la Camera Arbitrale di Milano, Milano, 20
settembre 2004), in Società, 2005, pp. 5-8; ID., Azioni e strumenti finanziari: confini delle fattispecie e
profili di disciplina, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, pp. 542-558.
(63) Si intende invece rinviare ad un’altra parte dal lavoro l’analisi dei problemi relativi
a come una categoria di azioni riscattabili possa in concreto atteggiarsi ed essere configurata
dall’autonomia privata: sul punto si veda infra, cap. III, sub § 2.
96
Azioni riscattabili
Loro riflessi sulla qualificazione delle azioni riscattabili.
Ci si domanda, quindi, se la “struttura” delle azioni riscattabili –
configurate come una serie di azioni contraddistinte e differenziate, rispetto ad
altre, in quanto connotate da rapporto di soggezione – sia rispettoso di quanto
previsto dal citato art. 2348, comma 2, il quale dispone che «si possono tuttavia
creare con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di
azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne l’incidenza delle
perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente
determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie». La disposizione in
esame ruota, infatti, intorno a tre concetti: il primo è rappresentato dalla
nozione di diritti diversi di cui possono essere dotate le azioni, mentre il secondo
e il terzo elemento della fattispecie consistono, rispettivamente, nella libertà
concessa all’autonomia privata nella determinazione del contenuto delle
categorie di azioni e nel rispetto dei limiti previsti dalla legge (64). Proprio la
circostanza che l’art. 2348 si riferisca al fatto che le categorie di azioni siano
connotate dall’esistenza di diritti diversi, giustifica i dubbi interpretativi sopra
descritti e, in particolare, quello relativo all’eventualità che connotando una
categoria di azioni con una posizione giuridica passiva si potrebbero
oltrepassare i limiti cui la norma si riferisce.
La dottrina tradizionale ha suggerito una interpretazione per lo più
restrittiva della norma in esame. Se, infatti, da una parte, si è ritenuto che
l’autonomia statutaria può creare azioni fornite di diritti diversi, le quali –
proprio per il fatto di tale diversità nei confronti delle altre azioni già esistenti o
create contestualmente – vengono a formare delle categorie; dall’altra parte, si è,
in primo luogo, esclusa la possibilità di differenziare le azioni in base alla loro
(64) A. PISANI MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. Soc.,
2003 p. 1292 dove l’a. rileva come sarebbe necessario «verificare se e quali diritti la legge
impone a tutti gli strumenti finanziari denominati azioni; se e quali diritti non solo debbano
esserci, ma neppure possono essere modificati rispetto al canovaccio di legge. Neppure così,
tuttavia. Il compito potrebbe dirsi concluso. Perché i «i limiti imposti dalla legge» potrebbero
giocare non solo all’interno del territorio delle azioni, quale freno alla creazione, attraverso la
esclusione, l’attribuzione o la «combinazione» di diritti amministrativi e patrimoniali, di
categorie di esse, ma anche come confine esterno di quel territorio rispetto a quello degli
strumenti finanziari «altri»».
97
CAPITOLO II
modalità di circolazione, ritenendo che la legge di circolazione sia solamente un
elemento esterno proprio del documento azionario e non riguardi il diritto o i
diritti incorporati nell’azione; si è, inoltre, sostenuto che il contenuto delle
categorie di azioni – e quindi il diritto ad esse attribuito – debba essere
necessariamente un diritto “misurabile”, il che sarebbe ovviamente
incompatibile con la connotazione delle azioni con una qualsiasi posizione
giuridica, attiva o passiva che sia; si è inteso, infine, in senso particolarmente
restrittiva la nozione di «diritti diversi» che – stando alla lettera dell’art. 2348 c.c.
– rappresenterebbe l’elemento fondamentale in base al quale le azioni possono
essere differenziate (65).
(65) In effetti, nella letteratura ante riforma, si riscontra una certa tendenza a
restringere, piuttosto che ad ampliare, il concetto di categoria di azioni: A. MIGNOLI, Le
assemblee, p. 65 ss. il quale, come noto, in primo luogo, esclude dal concetto di categoria i c.d.
tipi azionari, rilevando che «occorre tenere distinte le categorie («Aktiengattungen») dai tipi di
azioni («Aktienarten»). Questa distinzione è di grande importanza, perché solo nel caso che si
tratti di una categoria potrà avere applicazione la norma dell’art. 2376 , ed è per questo che la
dottrina e la giurisprudenza tedesche hanno cercato di delimitare e restringere al massimo il
concetto di categoria. Le categorie si differenziano per la diversità del diritto incorporate
nell’azione (per il contenuto della «Berechtigung»), i tipi, come dice la dottrina tedesca, per
«caratteristiche esteriori» (in genere, del documento)». Con la conseguenze che le azioni il cui
trasferimento è soggetto a particolari condizioni – come a una clausola di gradimento o di
prelazione o, nel caso in cui la si ritenesse rientrare tra le clausole limitative della circolazione
delle azioni a una clausola di riscatto – apparterebbero a un tipo azionario e ciò in
considerazione del fatto che «Se «de iure condendo», una tale soluzione può anche essere
auspicabile, non sembra che vi si possa consentire sulla base del diritto vigente, La categoria,
come abbiamo detto, è individuata dal diritto incorporato nell’azione, che si presente diverso
dal diritto incorporato in altro titolo azionario della stessa società. Non ogni disuguaglianza fra
azioni fonda una categoria, ma solo la diseguaglianza che attenga al diritto ad esse collegato.
Ora, nel nostro caso, il contenuto azionario è identico per le une e per le altre; anche se la
circolazione del titolo e, di conseguenza il trasferimento del complesso dei diritti nel titolo
incorporato, sua nell’un caso libera, nell’altro soggetta a limiti. D’accordo che le azioni
liberamente circolabili saranno avvantaggiate nei confronti di quelle che tali non sono: ma non
mi sembra che si possa tecnicamente parlare di «privilegio»…cioè di grado diverso (per misura
o per intensità) di partecipazione, risolvendosi esso nel nostro caso in un vantaggio di natura
meramente economica. Del resto, si potrebbe sostenere…che, ove mancasse l’istituto delle
assemblee speciali, si renderebbe necessario il consenso individuale di ogni azionista,
pregiudicato, sia pure indirettamente, dalla deliberazione dell’assemblea generale, che abolisse
la clausola statutaria, limitatrice della circolazione delle azioni? Lo escluderei…»; nello stesso
senso, C. ANGELICI, Della società per azioni. Le azioni (artt. 2346-2356), in Il codice civile.
Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, p. 64, il quale a tale proposito ritiene che il
legislatore abbia utilizzato una peculiare tecnica organizzativa da cui discenderebbe la nozione
di partecipazione azionaria la quale consentirebbe di predeterminare – in termini oggetti e
senza prendere in considerazione la posizione individuale dei singoli soci – la partecipazionetipo, ovvero una sorta di unità di misura necessaria al fine di risolvere i “problemi quantitativi”
connessi con l’esercizio dei diritti sociali. Tale considerazione spiegherebbe, secondo il cit. a.,
«la possibilità [di creare] azioni fornite di diritti diversi: in quanto ciò che p veramente
98
Azioni riscattabili
La tendenza rilevata in letteratura, dunque, sembrerebbe dunque diretta
a limitare il campo di azione dell’autonomia privata nella configurazione di
categorie di azioni: in questo senso sembra doversi intendere sia il fatto che la
nozione di «diritti diversi» di cui all’art. 2348 c.c. venga solitamente riferita a
posizioni soggettive “misurabili”, con riferimento ai diritti patrimoniali,
amministrativi e a quelli c.d. «misti»; sia la circostanza che, in tale nozione, non
vengono generalmente incluse posizione giuridiche diverse da quelle c.d.
«attive» (66). In questo senso, ci si è limitati ad intendere il diritto diverso attribuito
essenziale per il modello organizzativo della società è il ruolo dell’azione quale unità di misura,
non necessariamente ed in ogni caso l’omogeneità dei diritti che con essa vengono misurati». Il
cit. a. chiedendosi poi quali limiti incontri l’autonomia statutaria nella creazione di categorie di
azioni e richiamando il pensiero del Mignoli, si chiede se «…alla possibilità di diversificazione
ad opera dell’autonomia privata non si pongono pure ulteriori limiti, per così dire interni e di
compatibilità, conseguenti al particolare significato dell’unità di misura azionaria», giungendo
poi alla conclusione che «…sintomatico è su questo piano, ritengo che la norma discorra
esclusivamente di diritti diversi e che se ne deduca l’impossibilità di configurare una categoria
di azioni sulla base di eventuali differenze nel loro modo di circolazione». Ciò, peraltro si
spiegherebbe «…non solo in quanto, come viene per lo più rilevato certamente scorretto
sarebbe interpretare quei modi di circolazione in termini soggettivi ed intenderli come “diritti”
del socio, ma anche in quanto, a ben guardare non si tratterebbe comunque di posizioni
suscettibili di misurazione»; M. BIONE, Le azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E.
Colombo e G.B. Portale, 2*, Torino, 1991, p. 44 ss., il quale pur rilevando che il termine
«categoria» designi una serie di azioni, tra loro omogenee e quindi fungibili l’una con l’altra che
presenti caratteri diversi da quelli di cui è dotata un’altra serie o gruppo di azioni e che la libertà
statutaria di creare azioni fornite di diritti diversi si esaurisca entro le categorie tipizzate dal
legislatore nota (p. 51) che «…eccezion fatta per un’eventuale, ancorché opinabile,
diversificazione delle partecipazioni sociali quanto alla spettanza ed alla misura del diritto di
opzione, la libertà statutaria di creare azioni fornite di diritti diversi sembra esaurirsi entro le
categorie nominate della azioni privilegiate, delle azioni a voto limitato e delle azioni
risparmio»; O. CAGNASSO, voce «Azioni di società», in Digesto delle discipline privatistiche (comm.), II,
Torino, 1987, p. 127 ss.; contra, si veda il pensiero di T. ASCARELLI, Sui limiti statutari alla
circolazione delle partecipazioni azionarie, in BBTC, 1953, I, p. 321, pubblicato, altresì, in Saggi di
diritto commerciale, Milano, 1955, p. 359 ss. che ammette che le azioni la cui circolazione sia
limitata rappresentino una autonoma categoria; in senso simile, L. MOSSA, Trattato del nuovo
diritto commerciale, IV, Padova, 1957, p. 316; ID., Sui limiti statutari alla circolazione delle partecipazioni
azionarie, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955; ID., Istituzioni di diritto commerciale, Milano,
1937.
(66) La possibilità di quantificare il diritto attribuito alle azioni sarebbe l’elemento
caratterizzante le categorie di azioni. In tale senso, in letteratura è stata ritenuta legittima la
creazione di azioni privilegiate che sarebbero dotate di un diritto che «…per intensità o misura
superi quello delle azioni ordinarie» (così, A. MIGNOLI, Le assemblee, p. 90), con la possibilità di
configurare il privilegio, a seconda dei casi, come diritto di priorità nel prelievo del dividendo o
in una semplice maggiore partecipazione allo stesso, o, ancora, come privilegio sul patrimonio
netto al momento della liquidazione; si è ammessa la possibilità di creare azioni prive del diritto
di voto o con diritto di voto limitato; mentre, per quanto attiene al diritto di opzione, inteso
come diritto misto amministrativo e patrimoniale, si è ammesso che esso possa caratterizzare
una autonoma categoria di azioni (in questo senso, A. MIGNOLI, Le assemblee, p. 99 ss. e spec.
103-105; contra si veda, T. ASCARELLI, Due questioni sul diritto di opzione, in BBTC, 1950, I, p. 82,
99
CAPITOLO II
a una categoria di azioni come un di più o, da parte dei sostenitori delle tesi
maggiormente liberali, anche come un di meno rispetto al “contenuto base” del
diritto attribuito alla categoria di azioni considerata (67). Ciò a cui non si fa mai
riferimento è, invece, alla possibilità di creare una categoria di azioni che si
connoti per il solo fatto che i suoi titolari si trovano in una posizione giuridica
passiva, di obbligo o – come nel caso del riscatto – di soggezione (68).
Prima della introduzione dell’art. 2437-sexies c.c., peraltro, gli argomenti
utilizzati dalla tesi più restrittiva sono stati spesi anche con riferimento alla
figura – in quel momento atipica – delle clausole di riscatto.
Chi si è occupato del tema anteriormente all’entrata in vigore della
pubblicato anche in Studi in tema di società, Milano, 1952, p. 276). Va rilevato che la
giurisprudenza ha mantenuto probabilmente un atteggiamento più lasco rispetto alla nozione di
categoria di azioni riscontrando un vero e proprio limite verso l’alto nel divieto di patto
leonino: si veda, ad esempio, Tribunale di Udine, 23 gennaio 1993, in Giur. it, 1994, I. p. 926 o
Tribunale di Udine 10 aprile 1981, in Giur. comm., 1982, II, p. 884; ma in alcuni casi inteso
limitare la nozione di categoria di azioni sotto un diverso profilo relativo ad una asserita
protezione degli elementi tipici del contratto associativo e pertanto si è affermato da parte del
Tribunale di Udine 5 dicembre 1997, in Vita Notarile, 1998, p. 1047 e in Società, 1998, p. 455
con nota di IANNELLO che «Non è omologabile lo statuto di una società per azioni contenente
una clausola che prevede la facoltà di emettere azioni privilegiate nella partecipazione alle
perdite (nel senso che la partecipazione alle perdite viene postergata interamente rispetto alle
azioni ordinarie) ed azioni privilegiate nel caso di liquidazione della società (nel senso che alle
stesse spetta, con priorità rispetto alle azioni ordinarie, il rimborso di quanto residui del
patrimonio sociale dopo il pagamento dei creditori sociali con esclusione del diritto di voto
nelle assemblee ordinarie) ed, inoltre, attribuisce agli azionisti ordinari, in caso di riduzione
parziale o totale del capitale per perdite, la facoltà di sottoscrivere, con preferenza sugli
azionisti titolati delle azioni privilegiate, gli aumenti di capitale deliberati a seguito della
riduzione, in quanto contrastante con il principio fissato dall'art. 2348, comma 2, c.c. il quale
prevede la sola creazione di categorie di azioni fondate su diritti diversi, mentre la
postergazione nelle perdite non è un diritto, ma un elemento essenziale nella struttura del
fenomeno associativo».
(67) In questo senso, la dottrina parla dei diritti diversi senza mai riferirsi a posizione
giuridiche passive (come la soggezione) e riferendo il tema in parola al criterio della misurabilità
dei diritti di cui possono essere connotate le azioni. Si è così rilevato che «…l’ampia formula
usata («diritti diversi») deve essere opportunamente precisata e circoscritta. Per certi diritti
l’eguaglianza non può venire meno o la diversità può riguardare solo la misura della
partecipazione (non il diritto di partecipazione) o non può superare certi limiti. Dalla diversità
dei diritti nasce dunque la nozione di categoria: nozione quindi del tutto relativa, la quale può
avere un significato solo in seno a una medesima società. La diversità non consisterà
necessariamente in “un di più aggiuntivo a quei diritti sociali che sono comuni a tutti gli
azionisti”: può consistere anche in un di meno, pur verificandosi quest’ipotesi con minor
frequenza per il carattere imperativo della maggior parte delle disposizioni legali, o in un
qualcosa di diverso» (in questo senso si esprime, A. MIGNOLI, Le assemblee, p. 63-64, il quale
richiama il pensiero della dottrina di inizio secolo, sviluppatesi sotto il vigore del codice di
commercio e, in particolare, di A. VIGHI, I diritti individuali degli azionisti, p. 181).
(68) F. SANTORO- PASSARELLI, Dottrine generali, p. 69 ss..
100
Azioni riscattabili
riforma societaria ha infatti sostenuto che le azioni riscattabili non si
atteggerebbero costantemente come categoria di azioni ai sensi dell’art. 2348 c.c.,
in quanto tale qualificazione dipenderebbe dalla concreta articolazione dei
diritti soggettivi incorporati nei titoli azionari (69). Tale conclusione è stata
giustificata in base al fatto che la previsione di un «diritto diverso» sarebbe
incompatibile con una “caratterizzazione” dei titoli in grado di incidere sul
rapporto sociale in maniera tale da farlo terminare del tutto. Rapportata al
nuovo dato positivo – e, quindi, all’art. 2437-sexies, c.c. – tale tesi non
consentirebbe di qualificare le azioni riscattabili come categoria, ancorché
emesse in serie e differenziate rispetto ad altre azioni già esistenti; viceversa
esse si potrebbero fare rientrare nella nozione di categoria solo qualora
attribuissero ai titolari il diritto di farsi riscattare dalla società o dagli altri soci
(70). Ne risulterebbe, pertanto, un trattamento giuridico differenziato applicabile
ad azioni che, fino a prova contraria, hanno la medesima natura, sebbene
caratterizzate da una struttura potestativa per così dire “simmetrica ma
(69) L. CALVOSA, La clausola, p. 227 ss. e spec. p. 229 la quale aderendo alle tesi del
Mignoli non concepisce l’equivalenza tra diritti diversi e «Rechtsverhaltnis» (“rapporti giuridici
diversi”) con ciò sostanzialmente dando una lettura particolarmente ristretta del concetto di
categoria di azioni. La conclusione viene giustificata in base alla considerazione che «Diversità
di diritti in senso stretto può pertanto sussistere solo quando le azioni riscattabili incorporino
un vero e proprio diritto al riscatto: ciò che – ripetesi – può verificarsi soltanto quando il
riscatto stesso sia concepito nella clausola come obbligo (in senso tecnico)…Per cui, ove le
azioni vengano emesse come riscattabili, il pregiudizio sussiste in re ipsa al momento della loro
emissione. Ove però le azioni incorporino (e solo ove incorporino) un vero e proprio diritto
soggettivo al riscatto, esse risulterebbero munite di diritti diversi rispetto a quelli propri delle
altre azioni e verrebbero quindi a costituire una categoria». Il che sarebbe coerente con la tesi di
chi (cfr. A. MIGNOLI, Le assemblee, p. 261) ha sostenuto che non sussisterebbe alcun pregiudizio
rilevante ai sensi dell’art. 2376 c.c. qualora il pregiudizio fosse stabilito ex ante nello statuto o
nella delibera di emissione delle azioni; contra si vedano le argomentazioni di L. BUZZI, Azioni
con prestazioni accessorie: agenti di cambio e SIM, in Riv. Soc., 1991, p. 247 ss, e spec. p. 261. Si
tratterebbe, in altri termini, di «clausole di riscatto a scadenza fissa…che legittimino la società al
ritiro delle azioni allo spirare di detto termine. Non sarebbe infatti inconcepibile la creazione
nello statuto di una categoria di azioni speciali, il cui elemento di «diseguaglianza» incida
sull’esistenza stessa del diritto azionario, stabilendo un termine finale, allorché caratteristica sia
stata espressamente stabilita ed autorizzata nello statuto come condizioni della loro creazione».
D’altra parte, tale impostazione era già stata prospettata da A. MIGNOLI, Le assemblee, p. 118119 in merito alla possibilità di configurare un privilegio con termine finale. Si veda altresì R.
NOBILI – M. S. SPOLIDORO, La riduzione p. 416 i quali sottolineano solamente la necessità che i
soci che sottoscrivono tali tipi di azioni ne siano a conoscenza già al momento della
sottoscrizione e dell’acquisto e, quindi, prima che il riscatto sia esercitato.
(70) Fattispecie che, peraltro sembrerebbe esulare dalla disciplina dettata dall’art. 2437sexies c.c.. Sul punto si rinvia, infra, cap. IV.
101
CAPITOLO II
opposta”. Secondo questa ricostruzione, infatti, solamente ove la clausola
statutaria che le disciplina o la delibera che le emette, configuri le azioni in
modo tale da prevedere un diritto al riscatto troverà applicazione l’art. 2376 c.c.
relativo alle assemblee speciali di categoria (71). Non sembra condivisibile,
peraltro, neppure un ulteriore assunto utilizzato da tale tesi, ovvero che i
titolari di azioni soggette al riscatto altrui non sarebbero nella posizione di
subire un pregiudizio in quanto il riscatto sarebbe stato negoziato ex ante dalle
parti. Al riguardo, due sembrerebbero i punti deboli: il primo deriva dal fatto
che le azioni possono essere emesse come riscattabili, ma nulla impedisce che
azioni emesse senza alcun vincolo di soggezione possano successivamente
esservi sopposte; la seconda critica discende invece dalla constatazione che il
pregiudizio che i titolari di azioni riscattabili potrebbero subire non si
concretizza nel momento dell’esercizio del riscatto: effettivamente il profilo
esecutivo è noto, sin dal momento dell’emissione, ai sottoscrittori di tali azioni.
Ciò che effettivamente può tradursi in un pregiudizio per questi ultimi è
piuttosto rappresentato dall’imposizione di un cambiamento delle condizioni di
emissione come – se previsti – i presupposti per esercitare il riscatto o, più
banalmente, i criteri per calcolare – in modo più svantaggioso – il valore di
liquidazione delle azioni.
3.2 Critica: alcuni indici consentono di affermare che la nozione di «diritti diversi»
include anche l’incorporazione nelle azioni di posizioni soggettive passive.•
Nonostante l’elaborazione di una parte della dottrina conduca a ritenere
che dei diritti diversi si debba dare una interpretazione restrittiva, sembra
corretto ritenere che le azioni riscattabili debbano qualificarsi come vera e
propria categoria di azioni soggetta, pertanto, alla disciplina delle assemblee
speciali prevista dall’art. 2376 c.c. (72).
(71) Segue questa impostazione anche P. GROSSO, Categorie di azioni ed assemblee speciali,
Milano, 1999, p. 43; v.,altresì, V. ALLEGRI , Categorie di azioni e strumenti finanziari partecipativi, in
Riv. dir. impr., 2004, p. 239.
(72) Almeno quando il riscatto differenzi un gruppo di azioni da altre, in quanto – a
differenza di ciò che accade in altre giurisdizioni, come ad esempio, il Regno Unito – il
legislatore non sembra avere escluso l’ipotesi che tutte le azioni siano riscattabili da parte della
102
Azioni riscattabili
L’affermazione pare avallata da alcuni incidi consistenti in parte in
istituti già noti al diritto societario e, in parte, da principi e regole di nuova introduzione
per effetto della riforma del 2003.
Sotto il primo profilo, una conferma discende dall’istituto delle azioni con
prestazioni accessorie la cui disciplina – già prevista dall’art. 2345 c.c. – è stata
sostanzialmente confermata dalla riforma, ad eccezione di un “ritocco”, di
natura meramente formale, al testo di legge. Con l’introduzione delle azioni
riscattabili, tornano a rivivere le problematiche e i temi sollevati in passato dalla
dottrina in relazione alla configurazione di tale istituto quale autonoma
categoria di azioni. Queste ultime, in effetti, sono assimilabili alle azioni
riscattabili sotto più profili che già in passato la dottrina aveva in qualche
misura messo in luce. La somiglianza tra i due istituti, peraltro, si incrementa
qualora si consideri l’ipotesi di azioni con prestazioni accessorie per le quali lo
statuto preveda una facoltà di riscatto esercitabile da parte della società per
l’ipotesi di inadempimento delle prestazioni medesime (73).
Le analogie sono evidenti, innanzitutto, da un punto di vista per così
società. Sembrerebbe confermare questa conclusione anche il tenore letterale dell’art. 237-sexies
c.c. il quale distingue l’ipotesi di emissione di una categoria di azioni riscattabili da quella di
azioni riscattabili tout cour. Sul punto, si leggano le osservazioni articolate infra, cap. III, sub § 5.
(73) Il collegamento tra l’istituto delle azioni con prestazioni accessorie e il riscatto è
infatti già stato messo in luce nel parere pro veritate di G. B. PORTALE, Azioni con prestazioni
accessorie, passim. Occasione del parere è, in particolare, la rifiutata omologazione da parte del
Tribunale di Milano di una clausola statutaria che attribuiva ad una società la facoltà di
riacquistare le proprie azioni nel caso di interruzione per qualsiasi causa di prestazioni
accessorie. La previsione del riscatto è secondo l’A. legittima e rispettosa dei principi
inderogabili della disciplina delle società per azioni in base alla considerazione che l’art. 2345
c.c. prevede la possibilità che lo statuto contempli sanzioni nel caso di inadempimento alle
prestazioni accessorie che possono concretizzarsi, per l’appunto, in clausole di riscatto. L’A.
fonda peraltro la sua conclusione nel senso che «non esista alcuna sorta di inconciliabilità logica
tra il riscatto senza riduzione del capitale (e annullamento delle azioni) e principi essenziali
dell’ordinamento della società per azioni» sul dato comparatistico, alla luce della tenore della
seconda direttiva CEE e di quanto affermato dalla giurisprudenza tedesca (il caso cui si
riferisce l’A. riguarda una risalente decisione del Tribunale Supremo del 17 febbraio 1928 [in
Entsch. Des Reichsger. in Zivilsachen, Bd. 120, 1928, p. 177] nella quale i giudici avevano giudicato
legittima una clausola che attribuiva ad un terzo – lo Stato di Amburgo – la potestà di riscattare
le azioni di soci privati di una società per azioni dopo un certo periodo di tempo); v. anche,
dopo la riforma, v. S.PATRIARCA, C’è un futuro per le prestazioni accessorie?, in BBTC, I, 2004, p.
341, per cui, con riferimento alla introduzione dell’art. 2437-sexies c.c. «se l’iniziativa del
riscatto è esclusivamente affidata alla società, l’eventuale combinazione della clausola con le
azioni emesse ex art. 2345 c.c. può appunto svolgere l’unica funzione di efficace sanzione a
fronte dell’eventuale inadempimento delle prestazioni accessorie».
103
CAPITOLO II
dire “strutturale”, alla luce del fatto che chi ne è titolare è posto in una
situazione soggettiva passiva – nel caso specifico di onere – accostabile a
quella, di soggezione, in cui versa chi può subire il riscatto; inoltre, sotto il
profilo sistematico, in quanto così come la disciplina del riscatto di azioni si trova
nella sezione X relativa alle modificazioni dello statuto, anche la disciplina delle
azioni con prestazione accessorie si trova per così dire “dislocata” nell’ambito
della sezione IV dedicata ai conferimenti e, quindi, al di fuori della sedes materiae
propria delle azioni (74); ancora, dal punto di vista della loro natura accessoria della
prestazione: tanto l’impegno di adempiere obbligazioni ulteriori rispetto ai
conferimenti quanto la soggezione al riscatto possono essere abbinati
all’attribuzione di diritti, in modo tale da “allieviare” la posizione dei loro
titolari, potendosi così avere ipotesi di azioni privilegiate con prestazioni
accessorie o di azioni riscattabili postergate nelle perdite (75); infine, per il fatto
che l’adempimento della prestazione accessoria, così come l’esercizio del
riscatto, si manifestano come atti successivi e ancillari rispetto al rapporto
obbligatorio principale rappresentato dal rapporto sociale (76). A tale proposito,
(74) L’onere va inteso come situazione giuridica in cui un soggetto deve tenere un dato
comportamento al fine di realizzare un interesse proprio e caratterizzantesi per il fatto che –
nel caso in cui tale comportamento non venga effettivamente tenuto – derivano al soggetto in
questione conseguenze negative: il che comporta la configurazione dell’onere come una
situazione doverosa. E proprio questo il caso delle azioni con prestazioni accessorie per le quali
lo statuto può prevedere un regime sanzionatorio ad hoc per la mancata esecuzione della
prestazione a favore della società.
(75) Come si avrà modo di vedere infra, cap. III, sub § 7.1, ove riscontri anche nel
diritto comparato.
(76) Parla di negozio caratterizzato da una causa esterna il lavoro, in chiave civilistica,
di P. DE MARTINIS, Le azioni riscattabili, in Nuova giur. civ. comm., 2006, p. 392-393, il quale dopo
avere affermato «la possibilità che un negozio traslativo possa essere casualmente atipico», si
interroga circa la possibilità di desumere la causa del negozio di riscatto anche per via indiretta,
giungendo infine alla conclusione che «Se, dunque, il supporto causale di un atto traslativo può
ricondursi…all’adempimento di un precedente obbligo, deve riconoscersi che nel nostro
sistema giuridico la causa del negozio può anche essere ad esso esterna…Il negozio di riscatto
rientra tra i negozi con causa esterna perché, rispetto al precedente rapporto obbligatorio, è
destinato a porsi come atto successivo caratterizzato da una causa che non emerge dalla sola
dichiarazione di riscatto, in quanto si identifica in un rapporto obbligatorio preesistente che è
fuori dal negozio di trasferimento, pur essendone in rapporto di funzionalità».
Osserva, peraltro, l’A. che il fatto di assimilare le azioni riscattabili alle azioni con
prestazioni accessorie non parrebbe smentito dalla diversa dinamica del rapporto intrattenuto
con la società dal titolare di azioni con prestazioni accessorie e quello di azioni riscattabili. Ciò
in quanto, mentre il riscatto verrebbe esercitato solo al verificarsi di determinate situazioni,
l’obbligo di fornire la prestazione accessoria al conferimento avrebbe una durata variabile nel
104
Azioni riscattabili
va rilevato che – sebbene sia stata ampiamente sostenuta la tesi negativa –
l’opinione ormai più diffusa (e convincente) è quella che configura le azioni
con prestazioni accessorie, quale vera e propria categoria (77).
Nonostante la formulazione dell’art. 2348, comma 2, c.c. sia rimasta
sostanzialmente invariata dopo l’intervento del 2003, altri indici depongono nel
senso di un ampliamento dell’autonomia privata nel configurare la struttura
tempo potendosi esaurire in un certo arco di tempo – ove la prestazione fosse di durata – o
essere costante nel tempo e perdurare durante societate, come nell’ipotesi in cui il socio fosse
tenuto a rendere la società destinataria della sua attività di consulente in uno specifico campo.
Tale diverso modo di atteggiarsi, non sembra incidere sul tipo di situazione soggettiva rivestita
dai primi. D’altro canto, la conseguenza cui possono condurre tali situazione di
soggezione/onere potrebbero addirittura coincidere, posto che l’esercizio del riscatto comporta
la perdita dello status socii così come l’applicazione delle sanzioni previste dallo statuto nel caso
di inadempimento della prestazione accessoria che, nella prassi, si sostanziano in un diritto di
riscatto delle azioni attribuito alla società.
(77) La tesi negativa viene argomentata in base a diverse considerazioni: a tale
proposito, si legga il contributo di M. BIONE, Le azioni, p. 47, sulla base del duplice rilievo che
con tale categoria verrebbe attribuito in obbligo più che un diritto diverso e che la disciplina
delle modificazioni delle prestazioni accessorie collegate alle azioni prevista dall’art. 2345, ult.
comma, sarebbe incompatibile con l’istituto delle assemblee speciali ex art. 2376; G. COTTINO,
Prestazioni accessorie e poteri dell’assemblea, in Riv. soc., 1962, p. 16 ss., in base alla diversa e
incompatibile formulazione degli artt. 2345 e 2376; A. PISANI MASSAMORMILE, I conferimenti
nelle società per azioni. Acquisti «pericolosi». Prestazioni accessorie, in Il Codice Civile, Commentario, diretto
da P. Schlesinger, Milano, 1994, p. 359; e, da ultimo, si veda anche P. GROSSO, Categorie di
azioni, p. 41-42 e spec. 96 ss. la quale dopo avere affermato che «…la categoria di cui all’art.
2348 si costruisce attorno a dei diritti, mentre chi sostiene l’opinione qui criticata fa leva sulle
“prestazioni accessorie” che costituiscono un onere», giunge ad ammettere che «…una
eventuale delibera di modifica pregiudizievole del compenso (che potrebbe rappresentare quel
diritto “diverso” richiesto dall’art. 2348, c. 2 perché si possa parlare di una categoria diversa di
azioni) non fa scattare l’applicazione dell’art. 2376, in quanto c’è già la norma più protettiva
dell’art. 2345 c. 3, che richiede l’unanimità» e che «la riconducibilità delle azioni con prestazioni
accessorie ad una “categoria di azioni” implica la negazione della caratteristica della “serialità”
intesa come omogeneità e fungibilità dei titoli; la quale cosa, secondo l’id quod plerumque accidit,
non dovrebbe verificarsi nelle azioni con prestazioni accessorie in quanto, prima di tutto, la
prestazione è personale, in secondo luogo, l’oggetto della prestazione stessa potrebbe variare
dal titolare di un’azione all’altro, ed infine perché anche il compenso potrebbe variare…»,
concludendo infine nel senso di ritenere che «…pur assumendo la nozione [di categoria di
azioni] nel senso più ampio possibile, di categoria possa parlarsi in presenza di azioni con
prestazioni accessorie soltanto nei limiti in cui ci sia un minimo di omogeneità e la eventuale
delibera della società intacchi negativamente quell’elemento comune: si faccia l’esempio dei
compensi di misura diversa, ma tutti quanti con priorità nella distribuzione degli utili e che la
delibera non tocchi la misura del compenso, bensì, in modo totale o parziale, il diritto di
priorità di soddisfacimento»; contra, innanzitutto, A. MIGNOLI, Le assemblee, p. 121 ss. e spec. p.
125 il quale pur ammettendo che i diritti diversi devono intendersi quale «rapporto giuridico»
legittima la configurabilità della categoria delle azioni con prestazioni accessorie alla luce del
fatto che esse si connotano per la presenza di un “diritto” quale sarebbe quello al compenso: in
questo senso si riaffermerebbe la nozione di categoria posto che «…all’obbligo del socio
tenuto alle prestazioni accessorie corrisponderà normalmente una sua maggior pretesa, in
stretto rapporto con l’obbligo anzidetto»; ma soprattutto il contributo di A. BARTALENA, Le
azioni con prestazioni accessorie come «categoria» di azioni, in Banca, borsa e tit. cred., 1998, I, p. 199 ss.
105
CAPITOLO II
finanziaria della società e nell’articolare il contenuto delle azioni. Il riferimento
è, in primo luogo, all’introduzione nella norma dell’avverbio «liberamente», quasi
a voler enfatizzare un incremento dell’autonomia privata nella creazione della
azioni; in seconda, istanza, al fatto che è venuto meno il principio della
necessaria compensazione tra diritti amministrativi e diritti patrimoniali, posto
che – fermo il divieto di emettere azioni a voto plurimo e all’obbligo di far sì
che almeno la metà del capitale sociale sia rappresentata da azioni con diritto di
voto «pieno» ai sensi dell’art. 2351 c.c. – vi è completa libertà di emettere azioni
per le quali una ridotta attribuzione di diritti amministrativi, come il diritto di
voto, non sia bilanciata, ad esempio, da privilegi di natura patrimoniali (78). Il
(78) In questo senso si esprime, ad esempio, M. NOTARI, Disposizioni generali, p. 143 per
cui «La legge non si fa pertanto carico del problema di compensare nell’ambito di ogni
tipologia di azioni il sacrificio della componente amministrativa delle azioni con un loro
beneficio sul piano dei diritti patrimoniali, funzione che viene pertanto affidata totalmente
all’autonomia negoziale ed al mercato.». Limiti all’autonomia privata sarebbero rappresentati
pertanto, da una parte, dalla nozione di società di cui all’art. 2247 per cui l’esercizio dell’attività
economica deve essere diretto «allo scopo di dividerne gli utili» e, dall’altra parte, dal divieto del
patto leonino ai sensi dell’art. 2265, per cui «è nullo il patto con il quale uno o più soci sono
esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite»; nello stesso senso, F. FERRARA JR – F.
CORSI., Gli imprenditori e le società, Milano, 2006, p. 453 ss. per cui «il nuovo inciso contenuto
nella norma…lascia chiaramente intendere come, con la riforma, il legislatore abbia intesto,
rispetto al passato, lasciare in questo campo una ben più ampia discrezionalità all’autonomia
statutaria, consentendo di configurare categorie speciali di azioni dal contenuto più vario»; F.
DI SABATO, Diritto delle Società, Milano, 2006, p. 199 ss.; C. ANGELICI, La riforma delle società di
capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2006, pp. 68-69, il quale – conducendo un’analisi
parallela tra società per azioni e società a responsabilità limitata – rileva che «tale modulazione
avviene, nelle società per azioni, predisponendo differenti categorie di azioni “fornite di diritti
diversi…; avviene invece nella società a responsabilità limitata, con l’ “attribuzione a singoli soci
di particolari diritti. Con la conseguenza, tra l’altro e soprattutto, che la circolazione dei diritti
diversi” consentiti dall’art. 2348 c.c. avviene necessariamente in connessione con quella delle
unità azionarie da cui derivano; mentre i “particolari diritti” attribuiti ai sensi dell’art. 2468 c.c.
spettano individualmente al singolo socio e non si trasferiscono all’acquirente della sua
partecipazione…Naturalmente il problema di maggior rilievo a questo riguardo concerne i
limiti entro i quali possono essere configurati i “diritti diversi” di cui all’art. 2348 c.c. (…): un
problema fondamentalmente di compatibilità delle scelte di autonomia privata con le
caratteristiche generali della fenomenologia societaria e con quelle particolari tipologiche del
singolo modello organizzativo in questione. Che anche e soprattutto queste ultime assumano
rilevanza sembra evidenziato dalla stessa formulazione letterale delle due disposizioni: l’art.
2348 c.c., che discorre di “diritti diversi”, ma in effetti pare riferirsi ad una graduazione in
concreto delle posizioni giuridiche tipiche del socio, quelle che si classificano come diritti
amministrativi e diritti patrimoniali; l’art. 2468 c.c. per il quale i “particolari diritti” del socio
possono, in termini più generici e quindi più ampi, riguardare l’ “amministrazione della società
o la distribuzione degli utili».
Per quanto attiene ad una più estensiva interpretazione del concetto “diritti diversi” di
cui all’art. 2348, 2 comma, si legga anche il contributo di M. NOTARI, Appunti sul diritto di
opzione nella riforma delle società, in Riv. Not., 2002, II, p. 841 e spec. 848, laddove l’a. rileva che
106
Azioni riscattabili
legislatore ha, peraltro, introdotto nell’ordinamento categorie di azioni che non
sembrano connotarsi per l’attribuzione di un diritto diverso, inteso come
posizione soggettiva attiva dei loro titolari e che, rispetto a tale concetto, si
attestano o su posizioni di “neutralità”, oppure si caratterizzano per una
compressione del diritto ad essi attribuito. Il riferimento è, innanzitutto, alla
disposizione di cui all’art. 2350, comma 2, il quale legittimando l’emissione di
azioni correlate ai risultati di uno specifico settore della società, beneficia le
società c.d. «multicomparto» in grado di soddisfare le esigenze dei propri
investitori, ma si spinge al limite della nozione stessa di «società» contenuta
nell’art. 2247 (79); si pensi, peraltro, alle categorie di azioni tipizzate sotto il
profilo dell’esercizio del diritto di voto che può ora risultare limitato,
condizionato, contingentato o scaglionato o, addirittura, escluso del tutto, ai
sensi dell’art. 2351, 2 e 3 comma (80).
una categoria di azioni potrebbe caratterizzarsi sia per l’attribuzione, sia per la limitazione ex
ante o addirittura l’esclusione del diritto di opzione, in considerazione del fatto che ciò sarebbe
consentito espressamente dalla seconda direttiva comunitaria e già permesso in altri
ordinamenti comunitari. Con riferimento alle diverse tipologie di azioni modulabili
dall’autonomia privata si vedano anche i seguenti contributi: quanto al diritto di voto, M.
CIVITELLI, Le azioni a voto limitato nella riforma, in Giur. comm., 2004 (suppl.), p. 467; M. GATTI,
Le azioni con voto subordinato all’effettuazione di un’opa e l’«autorizzazione di conferma», ivi, p. 511 ss..
(79) Sul punto, U. PATRONI GRIFFI, Le azioni correlate, in Diritto dell’impresa e del mercato,
diretto da Alpa, Belviso, Pardolesi e Sandulli, Napoli, 2005, il quale osserva che «Le società che
sono legittimate ad emettere azioni correlate, sono dunque necessariamente conglomerali. Vale
a dire operano in più settore economici, aventi ciascuno caratteristiche proprie tali da
differenziarli gli uni dagli altri. Tuttavia perché un settore di attività possa essere utilizzato
quale parametro per l’attribuzione di diritti patrimoniali ai titolari delle azioni correlate è
necessario…che le operazioni riferibili al settore possano essere contabilmente espresse in un
raggruppamento dei costi contrapposto ad un aggruppamento dei ricavi e ciò conduca alla
determinazione di un risultato lordo»; per la possibilità di configurare la correlazione con le
società controllate si vedano i dubbi, risolti per lo più positivamente, espressi da BORSA
ITALIANA S.P.A., Osservazioni di Borsa Italiana S.p.A., in Riv. Soc., 2002, p. 1568; A. PACIELLO, Le
azioni correlate, in AA.VV., Profili patrimoniali e finanziari della riforma, a cura di C. Montagnani,
Milano, 2004, p. 225.
(80) Si veda, sul punto, A. STAGNO D’ALCONTRES, Sub art. 2350, in Società di capitali Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004, p. 273 e spec. p. 279
e 282 «…un rilievo decisivo sotto il profilo della esplicitazione della volontà di rimuovere i
limiti all’autonomia statutaria che non siano espressamente posti dalla legge, si ricava, sul piano
sistematico, dalla scelta del legislatore di prendere posizione rispetto a tutte quelle possibili
configurazioni dei diritti inerenti alle azioni rispetto alle quali si sono posti o potrebbero porsi
in futuro problemi o dubbi interpretativi. Questa scelta, appare più significativa, poi, se posta in
correlazione con la prescrizione che la legge delega ha impartito al legislatore delegato di
modificare la disciplina delle azioni nel quadro di un generale ampliamento dell’ambito
dell’ambito dell’autonomia statutaria, in modo da favorire l’accesso delle società/imprese al
mercato dei capitali». L’a. peraltro rileva che l’analisi dell’articolazione dei diritti soggettivi
107
CAPITOLO II
Sempre sotto il profilo delle novità introdotte dal diritto societario non
ci si può esimere dall’esaminare – sotto il duplice profilo della nozione di
«diritti diversi» e di quella di «categoria di azioni» – l’art. 2437-sexies. La norma
pare sufficientemente chiara nel non limitarsi ad affermare che lo statuto può
creare azioni riscattabili tout court, ma nello spingersi a prevedere che il riscatto
possa qualificare anche categorie di azioni. D’altro canto, se non si fosse voluto
qualificare tali azioni come categoria, non si sarebbe dovuto operare tale
distinzione, né sarebbe accettabile un uso per così dire atecnico
dell’espressione. Peraltro, il principio di atipicità accolto nel nostro
ordinamento dall’art. 2348, comma 2 sembra legittimare l’emissione di
categorie di azioni caratterizzate dal fatto di essere, da una parte, riscattabili da
parte della società o degli altri soci, ma, dall’altra parte, ad esempio, privilegiate
sotto il profilo della ripartizione degli utili – ad esempio con il riconoscimento
di una percentuale annua di utile garantito – o, ancora, postergate nella
incidenza delle perdite. In una ipotesi come quella descritta, qualora l’interprete
accogliesse una nozione ristretta della nozione di «diritti diversi», gli sarebbe
particolarmente difficoltoso concludere nel senso della natura di categoria di
azioni (o meno); al contrario, l’adozione di una nozione ampia di questo
concetto consentirebbe di affermare pianamente che le azioni riscattabili
privilegiate (o postergate) rappresentino una categoria di azioni autonoma, con
rappresenta un passaggio obbligato per la comprensione della nuova disciplina; ed invero
«l’organizzazione della s.p.a., sul piano normativo non può essere connotata da alcune
prescrizioni di carattere inderogabile qualificative del tipo. A dette regole che, per espressa
indicazione della legge delega, sono connotate da un “maggiore grado di imperatività” con
riferimento alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, fanno riscontro
anche alcuni principi desumibili dalla disciplina societaria nel suo complesso…la cornice
normativa in cui il quadro di deregulation va incastonato può essere, dunque di non agevole
definizione…In mancanza di un’espressa indicazione della legge non può che percorrersi la via
della posizione di un’ipotesi e della verifica della congruità al dettato normativo della stessa. La
posizione di qualunque ipotesi presuppone, però, che si muova da un dato significante. L’unica
indicazione, peraltro indiretta, che si può desumere dal dato normativo è quella tipologica: alle
azioni costituenti categorie speciali può essere attribuito dall’autonomia statutaria, liberamente,
ogni possibile contenuto, a condizione che non perdano il loro connotato essenziale. A
condizione cioè che, per effetto della configurazione dei diritti di cui esse siano fornite o che ad
esse accedono, non cessino di essere azioni di società».
108
Azioni riscattabili
la conseguente applicazione della disciplina di categoria (81).
Se tutto ciò è condivisibile, ne discende che dei «diritti diversi» di cui
all’art. 2348, 2 comma, è possibile dare una lettura più ampia rispetto a quella
sopra prospettata. Alla luce dei principi e delle disposizioni introdotte
nell’ordinamento dal diritto societario non è quindi inconcepibile che la diversità
dei diritti possa esulare da quella attinenti ai soli diritti di natura patrimoniale,
amministrativa o “mista”; che, in secondo luogo, tale diversità possa essere
rappresentata anche da situazioni giuridiche non necessariamente attive ma da
qualsiasi situazione giuridica soggettiva, come parrebbe confermare il fatto che
anche le azioni ordinarie si possono qualificare come categoria – con la
conseguente applicazione dell’art. 2376 c.c. – in funzione di diritti o prerogative
riconosciute ad altre categorie di azioni o che possono essere emesse categorie
di azioni caratterizzate da particolari modalità di circolazione delle stesse (82).
In altri termini, il comma 2 dell’art. 2348 c.c. andrebbe letto come
segue: «si possono tuttavia creare…categorie di azioni caratterizzate da diversi
rapporti giuridici». I diritti diversi, pertanto, dovrebbe essere immaginati come un
insieme che, al suo interno, contempli, accanto alle situazioni giuridiche attive,
(81) Nella prassi di altri ordinamenti si registra la presenza di emissioni di azioni
riscattabili articolate in modo tale da “equilibrare” la posizione di soggezione del loro titolare
con un privilegio di natura patrimoniale: così in Spagna in cui «…las acciones rescatables tout
court se nos presentan, al menos en una primera proximación, como valores cualitativamente
postergados. Cierto que la articulación de la rescatabilidad sobre el régimen al que ha de
someterse el conjunto de elementos activos y pasivos que conforman la posición de la
categoría (o categorías) de rescatables se lleva a cabo a través del «derecho de rescate»...»: cfr. P.
YANES YANES, Las acciones rescatables, p. 1079; e anche nel Regno Unito per cui «Companies
were first allowed to issue redeemable preference shares by the 1929 companies legislation, and
in 1981 the permission was extended so as to allow ordinary shares also to be issued on that
basis»: cfr., E. F. FERRAN, Company law and corporate finance, Oxford, 1999, p. 327.
(82) Sul punto, cfr. CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massime, p. 283 («Massima n.
99»). La massima è anche consultabile, unitamente alla motivazione, anche sul sito
www.scuoladinotariatodellalombardia.org che conclude nel senso che la «riscattabilità può
concretare (anche l’unica) caratteristica idonea alla sussistenza di categoria azionaria: a tale
conclusione è possibile legittimamente pervenire accedendo alla tesi – già condivisa da questa
commissione – che interpreta in senso estensivo il concesstto di “diritti diversi”, quale
fondamento della nozione di categoria di azioni, ossia nel senso più generale di qualsiasi
situazione giuridica soggettiva (anche di soggezione, così) spettante al possessore delle azioni,
in dipendenza di una norma statutaria avente come destinatarie solo una parte e non tute le
aizoni emesse dalla medesima società».
109
CAPITOLO II
anche quelle passive come soggezione e onere (83).
3.3 Brevi cenni all’esperienza comparatistica con riferimento all’incorporazione di
posizioni soggettive (anche passive) in categorie di azioni.
Una lettura siffatta , d’altra parte, non è estranea neppure all’esperienza
comparatistica. Anche in altri ordinamenti, infatti, vi è una certa tendenza a
intendere la struttura finanziaria delle società di capitali nel modo più ampio
possibile e, conseguentemente, ad intendere in modo estremamente lato il
concetto di categoria. A prescindere dal rilievo per cui le giurisdizioni prese in
esami non contemplano una previsione analoga a quella dei «diritti diversi», va
comunque constatato che tale tendenza è riconducibile ad un atteggiamento
particolarmente “liberale” dei legislatori, della dottrina e della giurisprudenza:
gli uni che hanno dettato norme particolarmente “lasche” per disciplinare gli
omologhi dell’istituto delle categorie di azioni senza prevedere espressi limiti
alla possibilità di emettere tipi differenziati di azioni; gli altri che hanno avallato
una interpretazione particolarmente estensiva del concetto di categoria (84). Il
risultato è che laddove il diritto positivo non prevede espressamente la
possibilità di attribuire al titolare di una categoria di azioni una posizione
(83) Non ha peraltro fondamento l’obiezione che il meccanismo delle assemblee
speciali, previsto dall’art. 2376, c.c. come regola generale contro gli eventuali pregiudizi che i
loro titolari potrebbero subire per effetto di una deliberazione assunta dall’assemblea, sarebbe
in contrasto con il rinvio operato dall’art. 2437-sexies c.c. all’art. 2437-ter c.c. e, in particolare, al
comma 5, relativo alla determinazione del valore delle azioni riscattate. Tale affermazione non
sembra infatti condivisibile in base alla constatazione che la norma da ultimo citata trova
applicazione solo nella specifica ipotesi in cui il socio «riscattato» abbia contestato il valore con
il quale la società intende riacquistare le sue azioni e quindi il pregiudizio derivi dalla
circostanza che le azioni non siano state valorizzate in modo corretto. In tutte le altre ipotesi in
cui si possa prospettare un pregiudizio nei confronti dei titolari di azioni riscattabili troverà
applicazione l’istituto delle assemblee speciali.
(84) E’ quest’ultimo il caso del diritto inglese: la sec 121 del Companies Act 1985
prevede infatti che «the shares in a company may be divided into different classes». Si vedano
tra le pronunce degne di nota sul concetto in questione: Andrews v Gas Meter Co, 1897, 1 Ch,
361 (Court of Appeal e Birch v Cropper, 1889, 14, App. Cas., 525 (House of Lords). Per una
interessante panoramica relativa al modo di intendere le categorie di azioni in alcuni
ordinamenti europei si veda AA.VV., Nuovo diritto societario e analisi economica del diritto (Seminario
di studio Università Bocconi, 21 maggio 2004 – 11 giugno 2004), a cura di M. VENTORUZZO,
Milano, 2005; nonché, con riferimento alla riforma del diritto societario italiano ma in un’ottica
comparatistica, M. VENTORUZZO, Experiments in Comparative Corporate Law: The Recent Italian
Reform and the Dubious Virtues of a Market for Rules in the Absence of Effective Regulatory Competition,
41 Tex. Int’l L.J. 171 (2006).
110
Azioni riscattabili
giuridica passiva o le pronunce dei giudici o l’interpretazione della dottrina
riconosce che, anche in tale ipotesi, si sia in presenza di una categoria di azioni,
con l’applicazione della relativa disciplina di protezione(85). Di ciò si ha una
chiara percezione proprio con riferimento alla disciplina delle azioni riscattabili
che – almeno tendenzialmente – vengono ritenute una categoria di azioni
anche quando chi ne è titolare è soggetto al diritto potestativo del riscatto da
parte della società o di altri soci (86).
Nel diritto spagnolo – in mancanza di alcuna indicazione da parte degli
artt. 92-bis e 92-ter della Ley de Sociedades Anónimas – la dottrina è giunta alla
conclusione che le azioni riscattabili siano una vera e propria categoria di azioni
e non semplicemente un “tipo” di azioni caratterizzato da un particolare
regime di circolazione o da una situazione di soggezione di chi ne è titolare (87).
La conclusione viene argomentata in base alla considerazione che le «acciones
rescatables» vengono dotate dalla società di uno statuto proprio in grado di
differenziarle dalle altre azioni non tanto sotto il profilo della modulazione dei
diritti corporativi nella temporaneità della condizioni del socio «llamada a
extinguerse tras el rescate y amortizaci ó n de las acciones en las que tal posición se fundaba»;
(85) Anche se va precisato che, in alcuni ordinamenti, come quello statunitense, il
diritto per la società di esercitare la redemption viene considerato un vero e proprio privilegio,
classificabile tra i privilegi diversi da quelli relativi al “voting right”. Si veda W.A. KLEIN – J.C.
COFFEE, Business Organisation and Finance, 1993, p. 288; nonché KLEIN W.A. - COFFEE J.C.,
Business Organisation and Finance - Legal and Economic Principles’, Westbury NY, 1988.
(86) Coerentemente con l’impostazione adottata in questa parte del lavoro l’analisi di
diritto comparato riguarda il “se” le azioni riscattabili possano costituire una categoria di azioni
(e quindi se anche una situazione giuridica soggettiva passiva possa caratterizzare una categoria
azionaria). Per quanto attiene al “come” le azioni riscattabili possano rappresentare una categoria
di azioni autonoma, si veda infra cap. III, sub § 2.
(87) Si veda sul punto il lavoro monografico di P. YANES YANES, Las acciones rescatables,
pp. 104-106, nel quale, dopo essersi domandato «si constituyen una verdadera «categoria de
acciones» o si, por el contrario, no pasan de integrar más que un mero «tipo»…», l’A. giunge
alla conclusione che le azioni riscattabili, ancorchè incorporino una posizione di soggezione «A
nuestro modo de ver, un razonamento como el anterior no repara suficientemente en la
dualidad de fuentes reguladoras de la categoria de acciones. Porque el entendimento de las
rescatables come «clase» non necesita apoyarse en el contenido del acuerdo de emisión come
presupuesto inexcusabile para su reconducción hacia los dominios de la «categoria»…las
acciones rescatables representan – come las acciones sin voto, por ejemplo – una categoría
legalmente tipificada. Una categoría que, como tal, se define per relationem al resto de acciones –,
en la hipótesis más simple, frente a la categoría de acciones ordinaris -, identificando aquellos
elementos activoes y pasivos quem nen el genérico marco de la condición de socio, privilegian
a unas postergando a las otras, o viceversa».
111
CAPITOLO II
e, in secondo luogo, in quanto anche se la soggezione al riscatto comporta
evidentemente lo “svantaggio” di rendere la posizione di socio, per così dire,
“claudicante”, essa si traduce, da un diverso punto di vista, nell’essere “meno
prigioniero” della società rispetto agli altri soci titolari di azioni ordinarie (88).
Nel diritto inglese, la ricostruzione della nozione di «categoria di
azione» è particolarmente complessa in quanto non viene definita dal diritto
positivo ma affidata alla individuazione delle pronunce giurisprudenziali.
L’espressione «classes of share», con cui si indicano le categorie di azioni, è
utilizzata diffusamente nelle disposizioni del Companies Act 2006, a partire dalle
section 629 (89), 630 (90) relative, rispettivamente, alla facoltà di emettere
categorie di azioni differenziate e alla disciplina della procedura necessaria per
variare i diritti collegati alle azioni. Nella prima disposizione, in particolare, si
riscontra una espressione assimilabile, quanto a genericità, a quella contenuta
nell’art. 2348 c.c., posto che essa si riferisce a «rights attached to [shares]».
La dimostrazione del fatto che tale espressione debba essere intesa in
senso lato – includendo anche la possibilità di connotare le azioni con
posizione giuridiche passive – deriva proprio dalla disciplina delle azioni
riscattabili (c.d. «redeemable shares»): al riguardo, la section 684 del Companies Act
2006 (già sec. 159 del Companies Act 1985) prevede che le azioni emesse «on a
redeemable basis» possono, oppure debbono, essere riscattate dalla società o dagli altri
(88) Così P. YANES YANES, Las acciones rescatables, p. 107, per cui i soci titolari di azioni
riscattabili «…sono menos «prisioneros» que los socio titulares de acciones no rescatables, a
quienes – fuera de los supuestos en que el derecho de separación funciona, de los de
amortización forzosa (y aleatoria) de acciones, y de disolución de la compañía – no les quedaría
más alternativa que transmitir sus acciones poara recuperar (eventualmente) su inversíon y
abandonar el puesto de socio que aquellas representan».
(89) La quale prevede che «For the purposes of the Companies Acts shares of one if
the rights attached to them are in all respects uniform» (subs. [1]); ma la subs. 2 prevede che le
azioni non possono ritenersi appartenenti ad una diversa categoria qualora portino un diritto
all’utile diverso nei 12 mesi successivi alla loro emissione. La relazione accompagnatoria al
Companies Act 2006 rileva come, pur il termine «Classes of shares» essendo utilizzato «is not
defined in the 1985 Act but at common law this term is normally used where the rights that
attach to a particular share relate to matters such as voting rights, a right to dividends and a
right to return of capital when a company is wound-up. Rights attach to a particular class of
shares if the holders of shares in that class enjoy rights that are not enjoyed by the holders of
shares in another class».
(90) La quale prevede che «this section is concerned with the variation of rights
attached to a class of shares in a company having a share capital».
112
Azioni riscattabili
soci (91). La disposizione è chiara quindi nell’affermare che le azioni soggette al
(91) Tanto è vero che il Companies Act 1985 e 2006 e successive modificazioni non
prevedono né una definizione di azioni, né tipizzano categorie speciali di azioni, riconoscendo
così all’autonomia statutaria la massima liberà nell’emissione di titoli connotati in maniera tra
loro diversa. Il concetto di «azione» è stato quindi lasciato alla elaborazione giurisprudenziale:
così in Borland’s Trustee v Stell, commentata da R. PENNINGTON, Can shares in companies be
definied?, in Comp. Law., 1989, 10, p. 140, il giudice Farwell descrive l’azione come «…the
measure of a shareholder in the company measured by a sum of money, for the purpose of
liability in the first placem and of interest in the second, but also consisting of a series of
mutual covenants entered into by alla the shareholders inter se. The contract contained in the
articles is one of the original incidents of the share. A share is not a sum of money…but is an
interest measured by a sum of money and made up of the various rights contained in the
contract»; particolarmente significativa pare anche quanto affermato in Cumbrian Newspapers v
Cumberland Newspaper, in B.C.L.C., 1986, p. 286 laddove è stata riconosciuta la sussistenza di
una categoria di azioni anche in un’ipotesi in cui ad un particolare azionista, preventivamente
identificato dallo statuto, erano stati attribuito uno speciale “diritto di opzione” per ogni caso
di trasferimento delle azioni. Si è pertanto collegata la sussistenza di una categoria speciale di
azioni al fatto di attribuire un particolare diritto ad un socio, ancorché tale diritto non fosse per
così dire “ancorato” alle azioni, bensì alla persona del socio medesimo: assumendo come
termine di paragone il diritto interno potrebbe sostenersi che il diritto inglese legittima
l’emissione di categorie di azioni. In tale precedente, il giudice J. Scott commenta la sec. 125 del
Companies Act, relativa alla tutela dei titolari di categorie speciali di azioni, analizzando i diritti
che possono essere collegati alle azioni e distinguendone tre diverse tipologie (i) diritti collegati
a particolari azioni che, pertanto, costituiscono una vera e propria categoria di azioni; (ii) diritti
concessi a non azionisti che si trovano a detenere le azioni per scopi particolari come nel caso
di uno statuto che conferisca un particolare diritto a un soggetto che, pur non essendo
azionista, detenga le azioni per essere legittimato, ad esempio, a rappresentare la società in
giudizio. In tale ipotesi il giudice ha ritenuto che il soggetto in questione, in quanto detentore
delle azioni, dovrebbe essere equiparato ad un azionista anche se non potrebbe essere ritenuto
titolare di una categoria di azioni in forza della mera detenzione dei titoli; (iii) diritti attribuiti ad
azionisti ma non collegati alle azioni. Il giudice ha ritenuto che, nel caso di specie, il diritto di
opzione attribuito all’attore – pur non essendo elemento qualificante i titoli di sua proprietà –
costituiva ugualmente una categoria di azioni, con la conseguenza che tale “particolare diritto”
non avrebbe potuto essere modificato se non per effetto di una «special resolution» dell’assemblea
generale – e quindi con quorum rafforzato – ai sensi della sec. 125 del Companies Act. A tale
proposito commenta, R. HOLLINGTON, Shareholders’, p. che «It might be thought that “a
class” of shareholders would only exist if the articles expressly divided the shares into different
classes with different rights. Thus, there might be preference shares with a preferential right to
the receipt of dividends on the one hand and ordinary shares with no special rights on the
other hand. This is probably too narrow view. For example it may be wished to give a
particular shareholder special voting rights on some issues. So long as he held those shares, it
would appear correct to regard that shareholder as a separate class, for it would only have been
a matter of drafting to call his shares by a special name and to have attached special rights to
those shares so long as he held them».
Per quanto attiene, specificamente, le azioni riscattabili esse sono disciplinate dalla
sec. 159 del Companies Act 1985, il quale prevede che una società se il suo statuto lo prevede
può emettere azioni che siano riscattate dalla società o da un socio della stessa. La disposizione
viene generalmente letta in senso ampio, legittimando pertanto la previsione nello statuto di
clausole «put», a favore della società, o clausole «call», a favore del titolare di azioni riscattabili
che si vede così garantita l’uscita dalla società. In ogni caso, va segnalato che non è del tutto
chiaro come la «redemption» possa configurare una categoria autonoma di azioni nel diritto
inglese o se costituisca una qualifica per così dire aggiuntiva di categorie di azioni già speciali:
tale ambuiguità di fondo discende probabilmente dall’evoluzione storica che il diritto di riscatto
113
CAPITOLO II
potere di redemption da parte della società rientrano nella nozione di cui alla
section 629, con la conseguente applicazione della disciplina di protezione
dettata dalla section 630. L’ordinamento inglese, in altri termini, giudica
meritevole di tutela anche le posizioni giuridiche passive incorporate nelle
azioni.
Alcune pronunce delle corti inglesi peraltro non solo hanno
confermato la legittima previsione di categorie di azioni caratterizzate da
posizioni giuridiche passive ma hanno accolto un concetto talmente ampio di
categoria da ricomprendervi fattispecie che superano la stessa dicotomia tra
posizioni giuridiche attive e posizione giuridiche passive. Un esempio è
rappresentato dal caso Rayfield v Hands: l’attore, nel caso di specie, era un socio
che richiedeva l’attivazione di un diritto riconosciutogli dallo statuto di farsi
riscattare le azioni da parte degli amministratori; questi ultimi, che erano anche
soci, si erano infatti dimostrati inadempienti all’obbligo di riacquisto delle
azioni. Il complesso ragionamento del giudice – che non è in questa sede
neppure sintetizzabile – si concludeva con il riconoscimento di due categorie di
azioni o, meglio, di azionisti, in quanto l’obbligazione dei soci-amministratori
di riscattare le azioni era, da una parte, geneticamente connessa al ruolo di
responsabili della gestione ricoperto nella società da questi ultimi e, dall’altra,
parte, inevitabilmente collegata al fatto che essi fossero anche titolari di azioni
(92).
I principi espressi in tale decisione sono stati successivamente
richiamati anche in un’altra nota pronuncia, Cumbrian Newspaper, nella quale si è
ulteriormente estesa la nozione di diritto di categoria fino a ricomprendervi
situazioni che – nel nostro ordinamento – sarebbero assimilabili ai diritti
ha registrato nel Regno Unito. Ed infatti, mentre nel vigore del Companies Act 1929 la
«redemption» era possibile solo per le azioni privilegiate («preference share»), solo nel 1981 si è
previsto che il riscatto potesse qualificare anche categorie di azioni ordinarie («ordinary shares»).
Si vedano sul punto le osservazioni di E. F. FERRAN, Company law, p. 327; P. L. DAVIES, Gower
and Davies’, p. 248 ss. e anche a p. 625 ss.. Per una generale panoramica della riforma del diritto
societario inglese, approvata nel novembre 2006, si permetta di rinviare a VITALI M.L., I doveri
degli amministratori e la protezione degli azionisti alla luce del nuovo diritto societario inglese, in corso di
pubblicazione in Riv. Soc., 2007; ID., L’approvazione del Companies Act 2006, in Riv. Soc., 2007, p.
649.
(92) Rayfield v Hands [1960] Ch 1, [1958] 2 All ER 194 (Chancery Division).
114
Azioni riscattabili
particolari disciplinati dalle norme che regolano la società a responsabilità
limitata. In questo caso, infatti, il giudice giungeva alla conclusione che – per
poter applicare la disciplina di protezione dei diritti di categoria previsti dalla
section 125 del Companies Act – sarebbe stato sufficiente che diritti o obblighi,
anche ove non collegati a una categoria di azioni, fossero, attribuiti a un
soggetto in quanto semplicemente socio della società (93).
Anche l’ordinamento americano si connota, sul punto, per una certa
flessibilità. La legislazione federale accorda, infatti, alle società la facoltà di
emettere categorie di azioni, differenziate sotto il profilo amministrativo e
patrimoniale, con l’unico limite per cui dal bilancio deve risultare chiaramente
la differenza tra gli strumenti qualificati come «debt» da quelli rappresentanti
l’«equity» (94). In questo ordinamento piuttosto si erano prospettate due teorie
(93) Cumbrian Newspaper Group Ltd v Cumberland and Westmorland Herald Newspaper and
Printing Co Ltd [1987] Ch 1, [1986] 2 All ER 816 (Chancery Division); si veda, in senso analogo,
anche Re Hellenic and General Trust Ltd [1976] 1 WLR 123, [1975] 3 All ER 382 (Chancery
Division). La prima pronuncia è stato peraltro criticata da E. V. FERRAN, Company law, pp. 339340, la quale, richiamando il pensiero del giudice Scott, ha rilevato che «Since Scott J’s comment is
inconsistent with the tacit assumption underlying earlier cases and has a narrowing effect, it is suggested that it
should not be followed. Whilst uncertainty remains, in practice, it would be prudent for companies to assume
that proposals to vary dividend, capital or voting rights attaching to a class of shares would vary class rights even
where the rights are equally attached to more than one class of shares».
(94) La flessibilità del sistema statunitense nell’emissione di categorie di azioni («class or
series of shares») è rilevata da J.D. COX – T. HAZEN, Corporations, p. 521, i quali osservano «The
law does not limit the various classes, varieties, or combinations of preferred shares that may be authorizes, as
long as the distinction between debt and shares is observed…A corporation may thus issue such varieties of
preferred shares as the prospects and needs of the enterprise may call for and as the tastes of the investing public
may absorb. These classes of shares may differ as to priority of claim on dividends, as to limited or participating
dividend rights, as to conversion rights, voting rights, amounts payable on redemption, dissolution, or
liquidation, and in protection against dilution and changes of capital structure». Va, altresì, rilevato che la
legislazione di alcuni stati consente che il consiglio di amministrazione sia autorizzato a
determinare le condizioni e i termini di nuove categorie di azioni, azioni privilegiate («preferred
shares») o di creare categorie e addirittura di variarne condizioni e termini, senza che sia
necessario il vaglio assembleare (c.d. «blank stock statute») a condizione che la «condition of the
financial market and that of the corporation may seem to require for ready sale»: per tale
motivo «blanck stock can thus provide advantages similar to bonds with regard to flexibility of terms». Va
peraltro rilevato che il diritto statunitense riconosce una differenza tra categorie di «common
stock», da una parte, per cui «one being given full voting power and the other nonvoting or having only a
fractional vote for each share. If the distinction between classes of common stock is not in voting rights but in
priority is in effect a partecipating preferred stock as against other class»; e «preferred shares» o «compromise
securities», dall’altra parte, che invece occupano una posizione intermedia tra le azioni e titoli di
debito e che solitamente «have a specified limited rate of return or dividend and specified limited redemption
and liquidation price».
Peraltro, il sub § 6.01. (“Authorized shares”) del Model Business Corporation Act, adottato
dal Committee on Corporate Laws of the Section of Business Law congiuntamente all’American Bar
Foundation e a cui molte legislazioni statali si ispirano, prevede, a proposito delle categorie di
115
CAPITOLO II
circa la possibilità di emettere oltre che preferred anche common redeemable stocks,
ovvero azioni che fossero riscattabili ad opzione della società senza che,
tuttavia, la previsione di tale situazione di soggezione fosse compensata dal
riconoscimento di privilegi patrimoniali e, in particolare, di «liquidation
preference». L’indirizzo tracciato da alcuni tribunali statali a sostegno della tesi
negativa, fondato sulla constatazione che la soggezione al riscatto sarebbe
contraria ad un principio di ordine pubblico in quanto idonea a «destroy[s] the
independence of stakeholders» (95), è stato, tuttavia, successivamente superato da
altre pronunce. Nel caso Lewis v. H.P. Hood & Sons, ad esempio, si è messo in
luce come il riscatto non possa essere contrario a tale principio in quanto i
rischi di un esercizio oppressivo del riscatto, esclusivamente finalizzato
estromettere le minoranze dalla compagine sociale, sarebbe scongiurato dai
principi che regolano i doveri fiduciari degli amministratori a cui viene affidato
l’esercizio del riscatto attribuito alla società (96).
azioni e delle azioni riscattabili, che «(a) The articles of incorporation must set forth any classes of shares
and series of shares within a class, and the number of shares of each class and series, that the corporation is
authorized to issue. If more than one class or series of shares is authorized, the articles of incorporation must
prescribe a distinguishing designation for each class or series and must describe, prior to the issuance of shares of
a class or series, the terms, including the preferences, rights, and limitations, of that class or series. Except to the
extent varied as permitted by this section, all shares of a class or series must have terms, including preferences,
rights and limitations, that are identical with those of other shares of the same class or series. (b) The articles of
incorporation must authorize: (1) one or more classes or series of shares that together have unlimited voting
rights, and (2) one or more classes or series of shares (which may be the same class or classes as those with voting
rights) that together are entitled to receive the net assets of the corporation upon dissolution. (c) The articles of
incorporation may authorize one or more classes or series of shares that: (1) have special, conditional, or limited
voting rights, or no right to vote, except to the extent otherwise provided by this Act; (2) are redeemable or
convertible as specified in the articles of incorporation: (i) at the option of the corporation, the shareholder, or
another person or upon the occurrence of a specified event; (ii) for cash, indebtedness, securities, or other property;
and (iii) at prices and in amounts specified, or determined in accordance with a formula; (3) entitle the holders
to distributions calculated in any manner, including dividends that may be cumulative, non-cumulative, or
partially cumulative; or (4) have preference over any other class or series of shares with respect to distributions,
including distributions upon the dissolution of the corporation. (d) Terms of shares may be made dependent upon
facts objectively ascertainable outside the articles of incorporation in accordance with section 1.20(k). (e) Any of
the terms of shares may vary among holders of the same class or series so long as such variations are expressly set
forth in the articles of incorporation. (f) The description of the preferences, rights and limitations of classes or
series of shares in subsection (c) is not exhaustive».
(95) Si v., sul punto, la risalente pronuncia Starring v. American Hair & Felt Co., 21 Del.
Ch. 380, 191 Atl. 887 (Ch.), aff’d, 22 Del. Ch. 394, 2 A.2d 249 (Sup. Ct. 1937).
(96) La pronuncia segna il nuovo indirizzo della giurisprudenza sul tema, a partire dagli
anni sessanta: v. Lewis v. H.P. Hood & Sons, 331 Mass. 670, 121 N.E.2d 850 (1957). Sulla natura
del riscatto ad opzione della società, cfr. Corbett v. McClintic-Marshall Corp., 151 Atl. 218 (Del.
Ch. 1930), in cui si afferma che il titolare delle azioni riscattabili non è legittimato a pretendere
un prezzo superiore a quello deciso dagli amministratori. In questa ipotesi infatti i giudici non
116
Azioni riscattabili
Come confermato anche dal Model Business Corporation Act, gli Stati Uniti
si sono lasciati alla spalle la tradizionale distinzione tra common e preferred stocks,
per sposare una impostazione fondata sul contenuto effettivo e sostanziale
delle azioni e su una loro suddivisione in categorie basata, a sua volta, sul
diverso grado di partecipazione al rischio e agli utili di impresa. In linea di
massima, quindi, le azioni potranno quindi caratterizzarsi anche per una
posizione passiva del loro titolare rispetto ad altre categorie di azioni, anche se
la prassi registra una tendenza a “compensare” tale situazione di svantaggio
con un privilegio nella ripartizione agli utili (97).
3.4 Conclusioni: lo statuto quale fonte di «regole diverse» per le categorie di azioni
create dall’autonomia privata.
Al termine dell’esame del secondo elemento della fattispecie, sembra
potersi concludere nel senso che del concetto di «diritti diversi», previsto dall’art.
2348 c.c. debba darsi una lettura ampia, volta a comprendervi «qualsiasi
situazione giuridica soggettiva astrattamente attribuibile dallo statuto (e
pertanto compatibile sia con i limiti generali derivanti dalla causa societatis e dalla
disciplina inderogabile del tipo, sia con gli specifici divieti o limiti dettati dal
legislatore) ed astrattamente suscettibile di una diversa attribuzione ad una
parte delle azioni rispetto alle altre azioni, sia idonea a fondare una categoria
ritennero di compensare il prezzo determinato dalla società determinando un prezzo di riscatto
più alto ma concessero al socio un decreto per effetto del quale si neutralizzavano gli effetti del
riscatto consentendogli in questo modo di conservare la qualità di socio.
(97) Al riguardo è stato osservato che «Traditionally, common shares may not be made
redeemable at the option of the corporation» (J.D. COX - T. HAZEN, Corporations, New York, 2003, p.
581): il che significa, in altre parole, che ove la società sia titolare di un diritto a riscattare le
azioni (e il loro titolare si trovi, quindi, in una posizione di soggezione), tale categoria rientrerà
nella nozione di «preferred shares» sebbene releghi il proprio titolare in una posizione di
soggezione. Ciò è dovuto probabilmente alla circostanza che la possibilità di essere riscattati
dalla società (o dagli altri soci) viene intesa come un vantaggio in quanto chi è titolare di tali
azioni ha, ex ante, accettato di acquistare un titolo che gli consenta l’uscita dalla società e la
liquidazione della propria partecipazione «at a fair value», anche se il disinvestimento sarà
determinato da una decisione di terzi cui è riconosciuto il diritto di riscatto. Si veda, inoltre,
MBCA, vol. 1, sub § 6.01. Dà notizia di questa impostazione anche lo studio di P. GROSSO,
Categorie di azioni, p. 329.
117
CAPITOLO II
azionaria» (98). Con la conseguenza che la nozione di categoria di azioni, come
elaborata dalla riforma, si dimostra fondata non tanto sull’attribuzione di diritti
diversi, quanto, piuttosto sull’esistenza di regole diverse contenute nello statuto
caratterizzanti una determinata serie di azioni rispetto ad un’altra ed in grado di
giustificare l’applicazione della peculiare tutela dell’art. 2376 (99).
Ciò consente quindi di affermare la compatibilità dell’art. 2437-sexies –
ma anche, più in generale, da altre categorie di azioni caratterizzate anche solo da
posizioni di soggezione - con l’art. 2348, comma 2, con la conseguenza di accordare
ai loro titolari la protezione prevista dall’art. 2376.
I risultati cui si è sin qui pervenuti, peraltro, potrebbero tornare utili per
analizzare altri temi che, accennati solamente in questa sede, saranno
successivamente ripresi ed approfonditi. Ci si chiede, in particolare, se – in
considerazione del fatto che l’art. 2437-sexies c.c. riconosce all’autonomia
(98) In questo senso si veda l’approfondito studio di M. NOTARI, Le categorie speciali,
passim. L’a. tratteggia peraltro la differenza tra quelli che sono i “diritti diversi” caratterizzanti
una categoria di azioni dai “diritti di quota” «i quali, come i primi, non spettano sempre e
comunque a tutte le azioni, ma, a differenza di essi, possono in ogni momento della vita della
società spettare a qualsiasi azione. I diritti di quota, infatti, spettano a tutte le azioni allorché sia
superata, da parte di coloro che intendono esercitare il dritto, un determinato quorum rispetto
al capitale sociale totale…La nozione di categoria, all’opposto, presuppone che ad un gruppo
di azioni il diritto speciale spetti sempre e comunque, mentre non spetti mai ai restanti gruppi
azionari: i gruppi di azioni che compongono le categorie, in altre parole, sono individuati a
priori e non sono modificabili se non sono una modificazione dello statuto. Il che non esclude
poi, una volta individuate a priori le azioni della categoria, di attribuire loro un diritto diverso
che si atteggia come diritto di quota, ma che non spetta alle altre azioni o che spetta alle altre
azioni in misura diversa o con regole diverse». Si veda anche N. ABRIANI, Art. 2348, in Il nuovo
diritto societario. Commentario, diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso e P. Montalenti,
Bologna, 2004, pp. 262-263, il quale, dopo avere constatato che una categoria di azioni si
caratterizza per la omogeneità delle situazioni giuridiche soggettive rispetto ad un’altra
categoria, sottolinea come «…la riforma ha operato un’incisiva riscrittura della disciplina delle
categorie azionarie che s’impernia su due fondamentali nuclei normativi, costituiti, da un lato,
dalla enunciazione del principio generale di atipicità delle categorie azionarie e, dall’altro,
dall’ampliamento delle categorie di azioni tipiche e delle possibili articolazioni dei diritti in esse
incorporati. Si tratta di interventi che convergono verso l’attribuzione di un ruolo centrale
all’autonomia contrattuale in quanto, per un verso, assegnano una definitiva cittadinanza a
fattispecie sulle quali si erano appuntati dubbi e legittimità, a istituti presenti in altre esperienze
giuridiche e noti ai mercati finanziari ma di incerta trasposizione nel nostro ordinamento e a
figure che sino a ieri dovevano considerarsi senz’altro ammissibili; per altro verso, e
contestualmente, chiariscono che anche la più ampia gamma di categorie speciali di azioni ora
delineate dal codice novellato rappresenta comunque una serie aperta, non retta dal principio di
tipicità, ben potendo la libertà statutaria operate ulteriori modulazioni dei diritti incorporati
nelle azioni al fine di assecondare le richieste del mercato e rendere conseguentemente più
appetibili i titoli di nuova emissione».
(99) L’espressione è mutuata da M. NOTARI, Le categorie speciali, p. 605.
118
Azioni riscattabili
privata la possibilità di emettere azioni che si caratterizzano solamente sotto il
profilo di una situazione giuridica passiva – legittimi (e disciplini) anche azioni
che, viceversa, si connotino per attribuire a chi ne è titolare il diritto di
pretendere il riscatto dei titoli dalla società o dagli altri soci (100).
4. La delimitazione della fattispecie: la natura del «potere» di
riscatto ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c..
Sino ad ora si è cercato di individuare la fattispecie delle azioni
riscattabili partendo dall’analisi di due temi di portata generale, evocati dall’art.
2437-sexies c.c.. I primi due elementi della fattispecie, in particolare, ruotano
come si è visto intorno al c.d. lato passivo (di soggezione) caratterizzante le azioni
riscattabili. Si è, infatti, esaminata, da una parte, l’efficacia della disposizioni che
nello statuto regolano l’emissione delle azioni riscattabili e, dall’altra parte, la
compatibilità di situazioni giuridiche passive con la nozione di «diritti diversi»
contemplata dall’art. 2348 c.c.. L’ultimo elemento della fattispecie riguarda
invece il c.d. lato attivo (di potestà) del rapporto giuridico potestativo presupposto
dalla norma. Essa fa infatti espresso riferimento a un «potere di riscatto» che lo
statuto può riconoscere alla società o ai soci. Non precisa invece come tale
potere si atteggi sia rispetto a chi ne è titolare sia nei confronti di coloro che a
tale potere sono soggetti, ovvero i titolari delle azioni riscattabili.
4.1 La tesi che qualifica l’art. 2437-sexies c.c. come espressa deroga, nel sistema del
diritto delle società, al principio dell’intangibilità della sfera giuridica altrui. Conseguenze
applicative. Critica.
Cominciando l’analisi da quest’ultimo profilo, va ricordato come la
struttura dei diritti potestativi presupponga il riconoscimento, in capo ad un
soggetto, del potere di costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico
senza che la controparte abbia l’obbligo o l’onere di tenere un determinato
comportamento; a tale diritto corrisponde una posizione di soggezione rivestita
(100) Tali problemi saranno analizzati infra, cap. IV.
119
CAPITOLO II
da chi subisce gli effetti dell’esercizio di tale potere (101).
La letteratura civilistica ha recentemente avuto modo di domandarsi se
l’ordinamento contempli limiti nella predisposizione di un meccanismo
costruito in modo tale da legittimare una manifestazione unilaterale di volontà
che abbia l’effetto di trasferire un diritto di cui altri è titolare: il quesito, in
particolare, si giustifica alla luce del principio di tassatività degli atti unilaterali
recettizi, intesi come atti di esercizio dei diritti potestativi (102).
A tale quesito un autore ha risposto affermando che, per consentire
una deroga al divieto di incidenza nella sfera giuridica altrui previsto dall’art.
1372 c.c., sarebbe necessario, in ogni caso, prevedere una norma espressa: ciò
sarebbe evidente nell’ambito del diritto dei contratti ove, ad esempio, l’art.
1411 c.c. consente di stipulare un contratto a favore del terzo salvo il diritto di
quest’ultimo di respingere gli effetti del contratto (103). Secondo il descritto
orientamento l’art. 2437-sexies c.c. – che presuppone una struttura analoga a
quella sopra descritta ma che si colloca nell’ambito della disciplina dei rapporti
associativi e non nell’area del diritto dei contratti – rappresenterebbe una
espressa deroga al principio di intangibilità della sfera giuridica altrui con la
quale il soggetto titolare del potere ha la facoltà di imporre a suo favore il
trasferimento delle azioni (104).
Le conclusioni raggiunte dalla tesi esposta paiono, tuttavia, criticabili
sotto più profili. Non sembra meritare accoglimento l’affermazione per cui
l’art. 2437-sexies c.c. – derogando espressamente al principio dell’intangibilità
dell’altrui sfera giuridica – ha consentito l’emissione di azioni riscattabili che, in
assenza di tale disposizione, non sarebbe viceversa permessa. Al riguardo, ci si
(101) N. IRTI, Introduzione, p. 41.
(102) P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 389 il quale afferma che gli atti unilaterali di
esercizio in grado di incidere sulla sfera giuridica altrui sono tipici e – proprio in ragione del
loro riconoscimento da parte dell’ordinamento – sono gli unici a potere essere utilizzati
dall’autonomia privata.
(103) P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 389.
(104) P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 389 il quale conclude nel senso che «Se dunque i
diritti potestativi sono tipici ne consegue che il legislatore della riforma con l’art. 2437-sexies
cod. civ. non ha legittimato le azioni riscattabili già ritenute ammissibili nel nostro ordinamento
da una parte della dottrina, bensì ne ha reso possibile l’emissione, prevedendo espressamente e
necessariamente la norma che autorizza la deroga al principio dell’intangibilità dell’altrui sfera
giuridica».
120
Azioni riscattabili
potrebbe interrogare infatti sulla possibilità di emettere azioni soggette al
riscatto altrui anche in assenza della disciplina contemplata dall’art. 2437-sexies
c.c.. Se si concorda con le conclusioni raggiunte in precedenza circa il nuovo
ruolo assunto dallo statuto e la possibilità di regolare liberamente il contenuto
delle azioni potrebbe concludersi nel senso che – anche in mancanza della
previsione normativa – una società per azioni sarebbe legittimata ad emettere
azioni riscattabili. Si afferma, inoltre, che le azioni riscattabili configurate prima
dell’introduzione dell’art. 2437-sexies c.c. sarebbero «impropriamente definite
riscattabili [presupponendo] l’utilizzo di altre strutture negoziali, diverse
rispetto a quella del negozio unilaterale recettizio, quali veri e propri patti di
opzione, eventualmente a favore di terzi» (105): le azioni riscattabili emesse
prima dell’introduzione dell’art. 2437-sexies c.c. non rientrerebbero, in altre
parole, nella categoria dei negozi unilaterali recettizi, sostanziandosi in
compravendite di azioni perfezionate in seguito all’esercizio di un patto di
opzione subordinato al verificarsi di una determinata condizione sospensiva.
La conclusione non sembra del tutto condivisibile, posto che anche l’esercizio
del potere riconosciuto ai soggetti legittimati ad esercitare il riscatto è in
qualche misura riconducibile all’opzione di diritto comune ex art. 1331 c.c. (106).
Al fine della produzione degli effetti reali e, quindi, del trasferimento delle
azioni, è infatti sufficiente una manifestazione di volontà in tal senso da parte
di chi è titolare del potere di riscatto (107). L’orientamento descritto conclude,
infine, nel senso che non rientrerebbero nell’ambito di applicazione della
disciplina delle azioni riscattabili di cui all’art. 2437-sexies c.c. (108) fattispecie che
prevedano un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci.
L’argomentazione su cui poggia tale affermazione consiste nel ritenere che, in
assenza di una specifica norma, l’autonomia statutaria non sarebbe libera di
(105) Con l’ulteriore conseguenza che, per la loro introduzione e rimozione, sarebbe
necessario il consenso di tutti i soci: così, almeno, secondo il pensiero di P. DE MARTINIS, Le
azioni, p. 389, in nota 10.
(106) Sul punto, v. G. DE NOVA, Il diritto di recesso, p. 329.
(107) Diverso è, invece, il profilo relativo alla efficacia del trasferimento delle azioni nei
confronti della società.
(108) Cfr. P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 389.
121
CAPITOLO II
prevedere – e consentire l’emissione di – azioni riscattabili configurate in modo
tale da legittimare il loro titolare a pretendere che la società o gli altri azionisti
riscattino le sue azioni, con una evidente inversione delle posizione rivestite –
rispettivamente dal socio e dalla società o dagli altri soci – nella struttura
potestativa tipizzata dalla norma. Su questa conclusione si può concordare
solamente in parte, nei limiti in cui afferma che l’art. 2437-sexies, c.c. non
disciplina la diversa fattispecie delle azioni redimibili (ovvero riscattabili ad
opzione del loro titolare). Diverso è invece ritenere che l’autonomia privata
non possa disciplinare una fattispecie acquisitiva unilaterale «che preveda[no]
un obbligo all’acquisto, proprio per l’essenza stessa del riscatto data dalla
modificazione della sfera giuridica altrui mediante una dichiarazione unilaterale
che determina un effetto estintivo ed acquisitivo insieme» (109). Sul punto si
tornerà successivamente (110), ma per ora è sufficiente precisare che – ancorché
non vi sia una norma espressa – i principi ispiratori della riforma del diritto
societario e, in particolare, della struttura finanziaria della società per azioni,
non sembrerebbero impedire l’emissioni di azioni redimibili ad opzione dei
loro titolari (111).
(109) Cfr., ancora, P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 389.
(110) La questione delle azioni redimibili è affrontata, infra, cap. IV.
(111) Tale conclusione peraltro sembra essere in linea con quella già raggiunta da una
parte della dottrina prima della introduzione dell’art. 2437-sexies. Al riguardo si era infatti
osservato che anche in mancanza di una espressa previsione normativa, dovesse ritenersi
ammessa l’emissione di azioni riscattabili, comunque configurate: ciò in quanto gli istituti
giuridici, disciplinati nell’ambito del diritto civile e fondati sul meccanismo del riscatto,
rappresenterebbero una piattaforma «comune e transtipica» di elementi nonché un insieme di
principi e disposizioni applicabili per analogia a tutte le tipologie di riscatto, ivi compreso
quello di azioni. Sul punto, v. L. CALVOSA, La clausola, p. 147 e ss., la quale sottolineando
l’approccio metodologico del suo studio osserva che «…gli interessi di volta in volta riguardati
dal legislatore attraverso il meccanismo del riscatto non sono affatto omogenei. Ove pertanto
si ritenga che la qualificazione dei fenomeni giuridici non possa prescindere dall’analisi degli
interessi sottostanti, si dovrebbe rinunciare a considerare unitariamente le figure del riscatto sin
qui esaminate. Se tuttavia si ha riguardo alla circostanza che, previa astrazione dalla causa dei
singoli contratti nonché dalla considerazione degli interessi coinvolti, in tutti i casi si
prospettano elementi comuni sotto il profilo del funzionamento e dell’efficacia del
meccanismo utilizzato, può approfondirsi lo studio di tali elementi, al fine di verificare se gli
stessi possano essere in qualche modo caratterizzanti di una determinata (generale) figura
giuridica. Invero, l’esame degli effetti di un dato meccanismo consente di riguardare
quest’ultimo non soltanto nella sua connotazione tecnico-strutturale, ma anche nella sua
portate teleologico-funzionale». La principale conseguenza di tale approccio è l’individuazione
di alcuni elementi che caratterizzerebbero le diverse ipotesi di riscatto, ovvero (i) la
strumentalità del meccanismo che accede ad uno schema causale autonomo che verrebbe per
122
Azioni riscattabili
L’analisi della natura della potestà di riscatto porta quindi a ritenere che,
con la previsione dell’art. 2437-sexies c.c., il legislatore abbia in qualche misura
voluto precisare i confini in cui, nell’ambito dei fenomeni associativi, si pone la
regolamentazione delle situazioni giuridiche soggettive e della possibilità di
modificare la sfera giuridica altrui (112). Sul punto, potrebbe avanzarsi l’idea che
l’art. 2437-sexies c.c. sia stato introdotto per meglio precisare i confini in cui
opera una fattispecie del tutto peculiare (con particolare riguardo alle modalità
così dire “colorato” dal riscatto; (ii) il fatto di incidere sul rapporto principale in senso
estintivo; (iii) la circostanza di dispiegare efficacia ex nunc e di distinguersi nettamente sotto tale
profilo dalla condizione risolutiva; (iv) la natura reale, infine, la quale comporterebbe la
conseguenza che qualora la posizione contrattuale sia trasferita ad un terzo, quest’ultimo
rimanga gravato dalla posizione di soggezione al riscatto o dotato del diritto al riscatto che non
verrebbero meno per il solo fatto del trasferimento; contra, v. M. PERRINO, Le tecniche, p. 352 e
ss. il quale rileva come le obiezioni sollevabili a tale proposito siano molteplici «non solo per
via delle perplessità che suscita un argomentare, il quale s’impegni ad istituire collegamenti tra
fattispecie eterogenee, riunite a parte dall’identità della nomenclatura legislativa. Ben più
sembra doversi dubitare della reale adeguatezza , onde risolvere problemi specificamente
attinenti alla fattispecie societaria – qual è, infatti, quello ora in esame – dell’estensione a detta
fattispecie di norme o principi tratti da altre fenomenologie del diritto privato, ed in particolare,
dalla disciplina propria delle fattispecie contrattuali di scambio…L’obiezione, sembra,
veramente centrale è però che l’argomentazione suddetta manca in realtà di affrontare il
quesito circa l’appartenenza delle clausole di riscatto all’assetto organizzativo della società, ma
si preoccupa unicamente piuttosto di ravvisarne l’opponibilità ai successivi acquirenti della
partecipazione azionaria; e ponendosi da questo solo punto di vista, individua una soluzione
che non consente poi di discernere in ordine a quella stessa opponibilità, tra clausole statutarie,
da un lato, e clausole o patti parasociali di riscatto, dall’altro». Ma per L. CALVOSA, La clausola,
p. 228 «…poiché la clausola potrebbe anche prevedere in capo al soggetto riscattante un vero e
proprio obbligo (anziché una mera facoltà) di riscatto, potrebbe sussistere , in capo ai titolari
delle azioni riscattabili, un vero e proprio diritto (al riscatto)». Va rilevato, tuttavia, che l’a.
conclude poi per l’inclusione, nella nozione di «diritti diversi» di cui all’art. 2348, comma 2,
solamente di quest’ultima ipotesi: opinione questa che non si condivide per le ragioni riportate
supra, cap. II, sub § 3.
Sul punto, v. anche S. PATRIARCA, L’«exit» nella S.r.l., in Verso un nuovo diritto societario,
a cura dell’Associazione Disiano Preite, Bologna, 2002, p. 98. Sembrano peraltro assolutamente
legittime altre ipotesi registrate dalla prassi in cui i soci si trovino ad essere onerati di obblighi
ulteriori rispetto a quelli rappresentati dai conferimenti: si pensi al caso della delibera di
aumento di capitale senza esclusione del diritto di opzione ma con emissione delle azioni sopra
la pari e, quindi, con sovrapprezzo: sul punto si veda, F. MUCCIARELLI, Il sopraprezzo delle azioni,
Milano, 1997, p. 147 ss.; si veda anche G. VISENTINI, Compatibilità del soprapprezzo con il diritto di
opzione, in Banca, borsa e tit. cred., 1961, I, p. 26; M. ROTONDI, E’ compatibile col diritto di opzione la
emissione di azioni con sovrapprezzo?, in Riv. dir. comm., 1960, I, p. 81.
(112) Così anche M. NOTARI, Le categorie speciali, p. 602, il quale osserva come «un
esempio che in parte si discosta dalla figura tradizionale di “diritto diverso” è dato dal rapporto
fra potestà e soggezione, figure che ben si prestano, pur nella dimensione del fenomeno
associativo, a descrivere la situazione soggettiva che caratterizza coloro che, da un lato, hanno
il diritto di riscattare altrui azioni e, dall’altro, coloro che detengono azioni riscattabili»; nello
stesso senso, A. BRACCIODIETA, La nuova società per azioni, Milano, 2006, p. 157, il quale si
riferisce a una situazione di potere e a una di onere; G. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. Diritto
delle società, 2, Milano, 2006.
123
CAPITOLO II
di determinazione del prezzo delle azioni riscattate e al richiamo delle
disposizioni relative all’acquisto di azioni proprie); e che, nella nuova cornice
normativa, non sarebbe stato forse indispensabile prevederne la disciplina per
rispettare il principio di cui all’art. 1372 c.c.. La riforma sembra infatti aver
valorizzato l’autonomia delle parti ed accresciuto, nello stesso tempo, gli spazi
entro i quali i soci possono definire i propri rapporti. In questo senso non si
vede come possa essere subordinato alla previsione esplicita di una norma di
legge il fatto che la compagine sociale concordi sull’attribuzione alla società del
potere di riscattare le azioni detenute da alcuni soci e questi ultimi abbiano
prestato ex ante il proprio consenso sottoscrivendo e liberando queste azioni.
4.2 La natura del potere di riscatto: tra “diritto particolare” dei soci e diritto
incorporato in azioni.
Il secondo profilo da esaminare consiste nel verificare come si atteggi la
situazione soggettiva potestativa prevista dall’art. 2437-sexies c.c.. L’interesse
per questo tema sorge dal fatto che, se da una parte, la lettera della norma
“collega” la riscattabilità – e quindi la situazione di soggezione – alle azioni,
quando disciplina il «potere di riscatto» si limita a riferirlo «alla società o ai
soci».
Mentre nel caso in cui legittimata all’esercizio del potere sia la società
non si pongono particolari problemi di inquadramento113, non lo stesso si può
dire nell’ipotesi in cui tale potere venga riconosciuto in capo ai soci.
Appiattendosi sul dato letterale della disposizione, infatti, l’interprete potrebbe
essere indotto a ritenere che il legislatore abbia disciplinato l’istituto in modo
tale da incorporare il “lato passivo” del rapporto generato dal riscatto nei titoli
azionari ma non abbia voluto fare altrettanto con il “lato attivo”. Quest’ultimo,
(113) Sull’esame dei soggetti legittimati ad esercitare il riscatto, cfr. infra, cap. III, sub §
8. E’ chiaro che, quando il potere di riscattare le azioni viene attribuito alla società, non si pone
un problema di qualificazione di tale situazione soggettiva come “diritto particolare”. La
società, infatti, sarà semplicemente titolare di un potere esercitabile nei confronti dei titolari
delle azioni riscattabili ed, eventualmente, in concorso con altri soci. Né avrebbe senso ritenere
– come nel caso in cui il potere sia attribuito ai soci – che il potere di cui è titolare la società sia
incorporato in azioni.
124
Azioni riscattabili
pertanto, sarebbe riconosciuto direttamente in capo alla società o ai soci, al
limite individuati dallo statuto su base nominativa. A tale riguardo si è già
sottolineato come tale impostazione non consentirebbe di distinguere le vere e
proprie clausole di riscatto dall’istituto delle azioni riscattabili. Come alcuni
esempi sono forse in grado di chiarire, le conseguenze discendenti da una
interpretazione strettamente letterale della norma si manifesterebbero, con
particolare intensità, con riguardo alle modalità di circolazione delle azioni (114).
L’ipotesi di partenza è rappresentata da uno statuto che – in linea con la
lettera dell’art. 2437-sexies c.c. – prevede una clausola di riscatto con la quale sia
attribuito, a favore dei soci Tizio e Caio, il diritto di riscattare la categoria di
azioni “B”, emessa ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. e interamente detenuta da
Sempronio. Se ci si fermasse all’esame di questo scenario potrebbe pianamente
concludersi nel senso dell’attribuzione del potere di riscatto su base individuale
e nominativa. Bisogna, tuttavia, tenere in considerazione il fatto che la titolarità
delle azioni non si riduce un fenomeno statico, in quanto l’interesse dei soci
può concretizzarsi anche nella volontà di trasferire le proprie partecipazioni.
Per verificare se la norma vada interpretata secondo il suo dato letterale
è bene dunque procedere a complicare lo scenario iniziale. Si immagini ad
esempio che i soci Tizio e Caio – titolari del diritto di riscatto, non ancora
esercitato, nei confronti delle azioni “B” di Sempronio – decidano di alienare le
proprie azioni a Mevio, sino a quel momento estraneo alla compagine sociale.
E’ in questa situazione che si pone legittimo l’interrogativo circa la
sorte del diritto di riscatto attribuito di Tizio e Caio, prima e dopo il
perfezionamento del trasferimento della titolarità delle azioni.
Una prima soluzione potrebbe consistere nel trasferimento delle azioni in
capo a Mevio al quale, tuttavia, non verrebbe trasferito anche il diritto di
riscatto di cui erano caratterizzate le azioni di Tizio e Caio, suoi danti causa. A
questo punto, andrebbe poi stabilito se – nel caso in cui Tizio e Caio abbiano
ceduto tutte le partecipazioni di cui erano proprietari – la perdita della qualità
(114) Alcuni di questi profili sono già stati trattati supra, cap. II, sub § 11, quando si è
affrontato il tema dell’efficacia delle previsioni che disciplinano il riscatto ex art. 2437-sexies c.c.
nonché la distinzione tra le azioni riscattabili e le clausole di riscatto.
125
CAPITOLO II
di soci comporti anche la consumazione del diritto di riscatto in capo a loro,
oppure se tale diritto, per così dire, li segua anche una volta che essi siano usciti
dalla compagine sociale (115). La cessione delle azioni a Mevio, nella prima ipotesi,
renderebbe semplicemente Tizio e Caio terzi rispetto alla società emittente;
Mevio, dal canto suo, acquisterebbe le azioni con il contenuto proprio di quelle
di titolarità dei suoi danti causa (ad esempio se si trattava di azioni privilegiate,
conserverà il diritto a tale privilegio) ma prive di alcun diritto di riscatto, posto
che tale diritto non è sarebbe un elemento qualificante delle azioni oggetto del
trasferimento; nella seconda ipotesi, invece, il diritto di riscatto – dissociato dalle,
ed indipendente rispetto alle, azioni – rimarrebbe in capo a Tizio e a Caio,
indipendentemente dalla loro qualità di soci, così da consentire loro la
possibilità di eventualmente acquistare, in un secondo momento, le azioni di
Sempronio per mezzo dell’esercizio del riscatto, rientrando in questo modo
nella compagine sociale.
Una seconda soluzione prospettabile consiste nel ritenere che il potere di
riscatto non sia tanto attribuito – per richiamare l’esempio precedentemente
formulato – a Tizio e a Caio, quanto piuttosto nel sostenere che anche il lato
attivo del rapporto potestativo instaurato con l’emissione di azioni riscattabili
sia effettivamente incorporato nelle azioni di loro proprietà, analogamente a
quanto accade con la situazione di soggezione caratterizzante le azioni di
Sempronio. La soluzione sarebbe contraria al dato letterale ma probabilmente
sarebbe più coerente con il funzionamento del nuovo istituto. Ciò sembra
confermato anche dalle conseguenze che da essa discenderebbero. In via
generale si può osservare che, sul piano pratico, l’emissione di azioni riscattabili
dovrebbe, simmetricamente, comportare anche l’emissione di azioni
(115) Anche se con riferimento al rapporto tra trasferimento di quote di società a
responsabilità limitata e diritti particolari dei soci, pare interessante ricordare quanto sostenuto
da M. NOTARI, Diritti «particolari» dei soci e categorie «speciali» di partecipazioni, in An. Giur. Ec., 2,
2003, p. 333, per il quale «Si deve infatti ritenere che – in linea di principio…il trasferimento
dell’intera partecipazione del socio titolare dei diritti particolari comporti la loro estinzione: essi
non vengono acquisiti dal nuovo socio, in quanto non derivano dalla partecipazione ceduta, né
rimangono in capo all’alienante, in quanto non più socio e non più partecipante al contratto da
cui originano. Diversamente, essi dovrebbero permanere tali e quali (in capo al socio
originario) in caso di alienazione parziale della partecipazione, sempre che l’atto costitutivo non
ne disponga l’indivisibilità».
126
Azioni riscattabili
caratterizzate dal potere di riscattare le prime. In secondo luogo, la circostanza
che anche il diritto al riscatto sia incorporato nelle azioni, significherebbe che –
per riprendere l’esempio – Tizio e Caio sarebbero titolari di un «diritto diverso»
e, quindi, di una categoria speciale di azioni, con l’ulteriore conseguenza di
poter beneficiare della disciplina di tutela dettata dall’art. 2376 c.c. nell’ipotesi
in cui, ad esempio, gli altri azionisti vogliano modificare le condizioni di
riscatto in senso più sfavorevole rispetto a Tizio e Caio (ad esempio
prevedendo dei criteri di liquidazione delle azioni più favorevoli a Sempronio
rispetto a quelli legali o convenzionalmente concordati). La terza conseguenza
è relativa al profilo circolatorio delle azioni: accogliendo la soluzione descritta,
infatti, l’effetto pratico sarebbe quello di potere trasferire il diritto di riscatto
anche in capo a Mevio, qualora egli acquisti le azioni di Tizio e Caio; si
semplificherebbe, infine, la soluzione di problemi particolarmente complessi,
che potrebbero sorgere nell’ipotesi in cui Tizio e Caio decidessero di procedere
solo ad una cessione parziale dello loro azioni riscattanti: in questo modo, è
chiaro che il diritto di riscatto potrebbe continuare ad essere esercitato, nei
termini previsti dalla statuto sia da Tizio, sia da Caio, sia dal nuovo socio Mevio
rispetto alle azioni riscattabili di Sempronio, ciascuno in proporzione alle azioni
di rispettiva titolarità (116).
Non si nasconde una certa preferenza per questa seconda soluzione.
(116) Altri problemi potrebbe poi risolversi se si considerasse ammissibile la fattispecie
delle azioni redimibili (su cui, cfr. infra, cap. IV). In questo caso i titolari delle azioni (e, quindi
del diritto ad ottenere il riscatto da uno o più degli altri soci) potrebbero essere pregiudicati dal
tentativo dei soci onerati dal riscatto di sottrarsi all’obbligo di acquistare le azioni
semplicemente cedendo le proprie partecipazioni o, al limite, procedendo ad intestarle
fiduciariamente. La tesi che in questa sede si è ritenuto corretto respingere, infatti, condurrebbe
all’inaccettabile risultato che innanzitutto queste azioni potrebbero essere trasferite senza il
relativo obbligo di riscatto il quale, sostanzialmente, si esaurirebbe in capo ai titolari originari; e,
in secondo luogo, che il titolare delle azioni che avrebbero dovuto essere oggetto di riscatto
risulterebbe completamente sguarnito di tutela, posto che, da una parte, non potrebbe
pretendere che il riscatto sia esercitato dall’avente causa degli alienanti (non essendo stato
l’obbligo di riscatto trasferito con la proprietà dei titoli); e, dall’altra parte, nel caso in cui le sue
azioni non avessero i caratteri della «categoria», non sarebbe protetto dall’istituto di cui all’art.
2376 c.c., non richiedendo il trasferimento delle azioni l’assunzione di alcuna deliberazione e
non concretizzandosi pertanto il presupposto richiesto dalla citata norma per la convocazione
dell’assemblea speciale degli azionisti (è questa probabilmente una “ipotesi di scuola” in quanto
presuppone che tutte le azioni siano riscattabili ad opzione dei loro titolari nei confronti della
società).
127
CAPITOLO II
Anche se essa poggia su una interpretazione estensiva della norma, sembra
meritevole di accoglimento sia alla luce dei principi generali della società per
azioni, sia in considerazione del fatto che le regole che la governano non
paiono riconoscere la possibilità di configurare, per via convenzionale, diritti
individuali dei soci che siano indipendenti e autonomi rispetto alle unità (le
azioni) che tali diritti misurano (117).
A tale proposito, si osserva che sia la fattispecie «società per azioni» –
di cui all’art. 2325 c.c., in generale – sia i diversi “statuti” – intesi come insieme
di regole, ad essa applicabili ai sensi dell’art. 2325-bis c.c., in particolare – si
caratterizzano per la presenza di un’organizzazione corporativa fondata
sull’irrilevanza della persona fisica dei soci e sulla oggettivizzazione della
partecipazione sociale (118). D’altro canto, di tale impostazione vi è un’implicita
(117) Sul punto si veda efficacemente C. ANGELICI, La riforma, p. 66 per il quale azioni
e quote sono «…due tecniche organizzative che diversamente risolvono il problema del modo
in cui procedere ad una misurazione dei diritti del socio…con l’azione, il problema è risolto
mediante la definizione statutaria dell’unità di misura a tal fine utilizzabile. Il che avviene
individuando, come si dice a priori, frazioni standardizzate e quantitativamente omogenee del
capitale sociale…da queste due tecniche alternative…una serie di conseguenze di rilievo: come
quella della indivisibilità delle azioni…la loro fungibilità…ed una loro oggettivizzazione, se si vuol
dire reificazione, la possibilità cioè di pensare la singola azione come una “cosa” e di intenderne
le vicende prescindendo da quelle personali del socio che ne sia in un dato momento titolare: al
punto che è possibile la “incorporazione” in un titolo di credito o con altra tecnica di
legittimazione e circolazione ed è persino possibile un anonimato dei soci…Le implicazioni
operative di ciò si colgono ora con particolare chiarezza proprio con riferimento alla segnalata
esigenza di modulare, anche qualitativamente, quei diritti, allo scopo di adeguarsi alle concrete
ragioni economiche della partecipazione sociale» e per cui «tale modulazione [di diritti] avviene,
nella società per azioni, predisponendo differenti categorie di azioni “fornite di diritti diversi”;
avviene invece nella società a responsabilità limitata, con “l’attribuzione a singoli soci di
particolari diritti. Con la conseguenza, tra l’altro e soprattutto, che la circolazione dei “diritti
diversi” consentiti dall’art. 2348 c.c., avviene necessariamente in connessione con quella delle
unità azionarie da cui derivano; mentre i “particolari diritti” attribuiti ai sensi dell’art. 2468 c.c.
spettano individualmente al singolo socio e non si trasferiscono all’acquirente della sua
partecipazione»; si veda anche R. ROSAPEPE, Le quote e le loro vicende, in La nuova società a
responsabilità limitata, a cura di Miola, Napoli, 2005, p. 149 per il quale i diritti particolari
«…possono essere attribuiti ai singoli soci. Non dunque alla partecipazione tout court ma solo
al titolare di quella determinata partecipazione», il che induce l’a. a domandarsi se l’attribuzione
di questi particolari diritti consenta il trasferimento della quota privati delle particolari
attribuzioni riconosciute al socio o se si debba concludere nel senso della totale intrasferibilità
delle quote medesime e a concludere per la seconda più rigorosa soluzione avuto riguardo alla
necessità di conciliare la perdita del particolare diritto con le eventuali posizioni di altri soci.
(118) Affermazioni queste diffuse nella manualistica e in molti commenti alla riforma
del diritto societario: sul punto, M. NOTARI, Disposizioni generali, p. 117 e ss.; F. FERRARA JR. - F.
CORSI, Gli imprenditori, p. 360; C. ANGELICI, La riforma, p. 66.; P. ABBADESSA, Art. 2325, in
Società di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres, I, Napoli, 2004, p.
5; P. ABBADESSA - E. GINEVRA, Art. 2325-bis, in Società di capitali. Commentario, a cura di G.
128
Azioni riscattabili
conferma in alcune disposizioni di legge. Negli artt. 2342 e 2345 c.c.,
innanzitutto, con i quali, da una parte, viene confermato il divieto di conferire
«prestazioni d’opera o di servizi» e, dall’altra parte, viene ancora oggi consentita
la possibilità di apportare alla società prestazioni di natura accessoria rispetto al
conferimento. Nell’art. 2346, 6 comma, c.c., il quale prevede che la
contropartita per «l’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o di
servizi» sia costituita non da azioni ma da strumenti finanziari partecipativi che
siano forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi ad esclusione
del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti (119). Nell’art. 2351 c.c.,
infine, il quale dimostra come la disciplina della società per azioni, quando si
Niccolini e A. Stagno D’Alcontres, I, Napoli, 2004, p. 7 e ss.. Ricostruisce l’iter legislativo che
ha portato alla differenziazione tra società «aperte» – ovvero quotate o aventi titoli diffusi in
maniera rilevante – e società «chiuse», G. PRESTI, Riforma della s.p.a. e scalini normativi, in Società Riforma delle Società, 2003, p. 24. Il cit. a., con riferimento alla Relazione al disegno di legge
delega della commissione Mirone per la riforma delle società non quotate, afferma: «La
relazione al progetto Mirone spiegava che questa distinzione all’interno del tipo s.p.a. venne
ipotizzata nel momento in cui si rinunziò all’idea originaria di una bipartizione secca delle
società di capitali: la s.r.l. come forma giuridica della società chiusa e la s.p.a quale modello
esclusivo dell’impresa di grandi dimensioni caratterizzata dalla dissociazione tra proprietà e
controllo e, in tal senso, definibile come aperta. Rifiutata tale perentoria dicotomia, in quanto
ritenuta eccessivamente rigida in relazione alle caratteristiche del nostro sistema economico e
alle esigenze di competizione con gli ordinamenti stranieri, la commissione si orientò su
modelli flessibili, “con un tasso di imperatività crescente man mano che l’attività di impresa si
muove verso forme più complesse e aperte, in cui si avverte maggiormente l’esigenza di tutela
dei terzi”»; Si veda anche ID., La riforma e le società quotate, in Diritto della banca e del mercato fin.,
2004, 1, p. 41 ss., nonché M. AVAGLIANO, Società per azioni: disposizioni in generale, atto costitutivo,
patti parasociali, in Riforma del diritto societario – Prime Riflessioni a cura dell’Ufficio Studi del Consiglio
Nazionale Notarile; A. BLANDINI, Società quotate, passim. Per una prima analisi del c.d. «scalino
normativo» introdotto dall’art. 2325-bis si veda anche S. CAPPIELLO, Art. 2325-bis, p. 23 e ss.;
G. MOSCO, Le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante fra definizione, norme imperative e
autonomia privata. Uno scalino sbeccato da riparare in fretta, in Riv. Soc., 2004, p. 862 ss.; P.
MONTALENTI, Commento sub articolo 2325-bis, in Commentario Cottino; ID, La riforma del diritto
societario: profili generali, in Il nuovo diritto societario, vol. I, a cura di Ambrosini; M. COSSU, Società
aperte e interesse sociale, Torino, 2006, p. 207 ss. e spec. p. 209; F. VELLA, Diritto societario e modelli
di sviluppo delle piccole e medie imprese italiane: quale rapporto, in ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE,
Verso un nuovo diritto societario, Bologna, 1997, p. 17 ss.. Nello stesso senso, alla vigilia della
riforma, si vedano le considerazioni di R. COSTI, La riforma del diritto societario: le linee generali, in Il
nuovo diritto societario, Bologna, 2000, p. 17 per il quale: «si è intrapresa la strada
dell’abbassamento dell’ormai famoso scalino normativo poiché, in presenza di un ridotto
numero di società quotate rispetto a quelle potenzialmente quotabili, si è ritenuto necessario
favorire la quotazione delle imprese medio-grandi, riducendo il divario tra costi di
regolamentazione che, soprattutto dopo la riforma del t.u. sulla finanza, sussiste tra società
quotate e società che, pur presentando i caratteri propri delle società che dovrebbero quotarsi,
ritengono conveniente non farlo anche per non affrontare i relativi oneri».
(119) Cfr., sul punto, U. TOMBARI, La nuova struttura, p. 1082; M. NOTARI, Le categorie,
p. 46 e ss.; ID., Diritti particolari, p. 325 e ss.; ID., Problemi aperti, pp. 5-8; ID., Azioni e strumenti
finanziari, pp. 542-558.
129
CAPITOLO II
tratti di riconoscere specifici diritti in relazione, ad esempio, alla nomina degli
organi sociali, consideri l’azionista come un soggetto estraneo alla società e
richieda, al fine dell’attribuzione di tale particolare diritto, l’assunzione di una
posizione ulteriore rispetto a quella di socio e un rapporto giuridico diverso
rispetto a quella derivante dalla titolarità della partecipazione azionaria (120).
Se questi sono i caratteri della società per azioni; se per effetto della
riforma del 2003 la nozione di «socio» è passata in secondo piano rispetto a
quella di «investimento» e, quindi, nella partecipazione alla società per azioni si
può scorgere, in modo particolare, la prospettiva di “investimento” più che di
“partecipazione personale”; se, pertanto, in essa è facilmente riscontrabile il
carattere di oggettivizzazione della partecipazione al capitale; se, infine, il
riconoscimento di “particolari diritti” prescinde, come visto, dalla titolarità
delle azioni, sembra potersi azzardare una conclusione nel senso di ritenere che
delle due soluzioni prospettate quella più equilibrata e coerente sia con la
natura della società per azioni sia con la “nuova” nozione di «categoria di
azioni» consista nel ritenere che il riscatto, sia per quanto riguarda il lato attivo
(il diritto) sia per quanto riguarda quello passivo (la soggezione), sia
incorporato nel titolo azionario.
D’altro canto, il riconoscimento, nella disciplina della società per azioni,
(120) Si veda, C. ANGELICI, La riforma, p. 65 e ss. e spec. p. 71, il quale osserva che
«questo…pare il senso della previsione ora contenuta nel quinto comma dell’art. 2351 cod.
civ….e dell’art. 2349, secondo comma, c.c.…Si tratta infatti di strumenti finanziari diversi dalle
azioni e con riferimento ai quali entrambe le disposizioni escludono il diritto di voto
nell’assemblea generale degli azionisti; ed è proprio questa “diversità” che, a mio parere,
giustifica la possibile attribuzione di poteri in merito all’amministrazione che si concretizzino in
modalità diverse dal voto in assemblea e che non necessariamente quindi si risolvono in metodi
di conteggio del voto medesimo». Il che consente poi all’a. di osservare che il socio di società
per azioni riveste il ruolo di residual claimant che si articola, dopo la riforma, in una «…sorta di
continuum tra posizioni che sono classificate in termini di partecipazioni azionaria ed altre che
il legislatore inquadra invece sul piano del credito». Da ciò risulta quindi una particolare
prospettiva della società per azioni di cui il legislatore avrebbe sottolineato perlopiù il
significato finanziario «…di tecnica per l’acquisizione di mezzi finanziari da destinare
all’impresa». Per i commenti all’art. 2351 c.c. si veda: G. GIANNELLI., Obbligazioni. Strumenti
finanziari partecipativi. Patrimoni destinati, in AA. VV., Manuale Breve – Diritto delle società, Milano,
2006, p. 168-170; ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Il diritto delle società, a cura di G. Oliveri, G.
Presti, F. Vella, Bologna, 2006, pp. 130-133; A. STAGNO D’ALCONTRES, Art. 2351, a cura di
Niccolini e Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004, p. 2351; si permetta, infine, di rinviare a A.
ANGELILLIS – M. L. VITALI, Art. 2351, in Commentario alla riforma delle società (Atto costitutivo.
Conferimenti. Azioni), a cura di M. Notari, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M.
Notari, Milano, in corso di pubblicazione.
130
Azioni riscattabili
di un “diritto particolare” attribuito ad un socio e non incorporato nella
partecipazione, rappresenta certamente un’eccezione. Unico esempio in tal
senso sembra essere rappresentato dall’art. 2341 c.c. che disciplina le
condizioni alle quali i soci fondatori possono riservarsi una partecipazione agli
utili (principio previsto dall’art. 2340 c.c. anche con riferimento ai promotori
ma, in questa ipotesi, anche indipendentemente dalla circostanza che essi
rivestano la qualità di soci) (121). Nel sistema della società per azioni non sembra
pertanto esservi alcuno spazio per riconoscere a uno o più soci “diritti
particolari” – ulteriori rispetto a quello espressamente previsto dalla legge,
predeterminati nello statuto e autonomi rispetto alle partecipazioni azionarie –
quanto meno nei termini in cui tale istituto è stato riconosciuto all’interno della
disciplina della società a responsabilità limitata. Come noto, infatti, l’art. 2468,
3 comma, c.c. fa salva la possibilità che «…l’atto costitutivo preveda
l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione
della società o la distribuzione degli utili» (122). Contrariamente all’opinione di
(121) F. GALGANO, Art. 2340, in F. Galgano, P. Zanelli, G. Sbisà, Società per azioni,
Commentario al codice civile Scialoja-Branca, tomo I, Bologna, 2006, p. 196. Tale particolare diritto,
se riconosciuto nell’atto costitutivo, ha la natura di contratto parziario «nel quale il corrispettivo
per l’opera da essi svolta è dato da una loro partecipazione agli utili prodotti dall’impresa
sociale costituita per loro iniziativa, se ed in quanto, nel primo quinquennio, l’impresa abbia
procurato utili». Il riconoscimento di tale diritto, estendibile anche ai soci fondatori ai sensi
dell’art. 2341, rappresenta in ogni caso una previsione di natura eccezionale nella disciplina
della società per azioni se è vero, come pare, che tale norma non è interpretabile in senso
estensivo con il risultato che «[i promotori e i soci fondatori] neppure possono stipulare a
proprio vantaggio diritti sociali diversi dal diritto agli utili: non possono riservarsi, in
particolare, il diritto di voto o anche il solo diritto di intervento in assemblea, il diritto di essere
nominati amministratori, il diritto di esprimere il proprio gradimento all’ingresso di nuovi soci,
il diritto di impugnare le deliberazioni assembleari. Neppure può essere riservato loro il diritto
di opzione per il caso di aumento del capitale sociale»; ID., Le società per azioni, Principi generali, in
Il Codice Civile Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1996, p. 438.
(122) Sui diritti particolari dei soci si veda, innanzitutto, il lavoro monografico di A.
DACCÒ, “Diritti particolari” e recesso dalla S.r.l., Milano, 2004 (ed. provv.), passim, che ho potuto
consultare nella sua versione provvisoria grazie alla cortesia dell’a.; cfr. anche EA., I diritti
particolari del socio nella srl, in Il nuovo diritto delle società. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso,
diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Milano, 2007, p. 398. Dopo avere sottolineato come,
in questo caso, il legislatore abbia preso come modello di riferimento la disciplina delle società
di persone, l’a. riconosce come, anche le società di capitali, si prestino alla possibilità di
individuare, in capo ai singoli soci, particolari diritti non incorporati in azioni o in quote e che
non circolano pertanto con le stesse, con la peculiarità che ciò può accadere in due ipotesi
distinte, ovvero «…(i) quando l’attribuzione del diritto è avvenuta tra le parti e non può essere
opposta alla società (in questa ipotesi l’atto di «disposizione» del diritto non assume rilievo reale
e i suoi effetti si pongono all’esterno dell’organizzazione societaria: si pensi al caso in cui un
131
CAPITOLO II
chi, in letteratura, ha valutato inopportuna la configurazione di diritti particolari
attribuibili ai singoli soci e aventi valenza organizzativa all’interno della società
(123), il legislatore ha inteso configurare la società a responsabilità limitata come
socio si impegna, nell’ambito di un patto parasociale, ad attribuire il proprio diritto di voto ad
un altro socio, ove il primo socio ceda la propria partecipazione si ritiene che il trasferimento
della partecipazione non comporti anche l’automatico trasferimento dell’impegno assunto;
ovvero (ii) quando i diritti che vengono attribuiti si pongono al di fuori dell’ambito societario e
non contraddistinguono la posizione organizzativa del socio», divenendo una sorta di terzo,
creditore della società». Con l’istituto riconosciuto dall’art. 2468, invece, tali diritti particolari si
atteggerebbero in un modo diverso, attenendo alla posizione organizzativa del socio e
incidendo sul ruolo del socio all’interno della società: da ciò conseguirebbe la circostanza che
«…la regola di cui all’art. 2468, comma 3, c.c. (rectius la clausola che alla stregua della prima
potrà essere introdotta nell’atto costitutivo di una società a responsabilità limitata) sia dotata di
una efficacia reale, ma nello stesso tempo sia in grado di disciplinare i rapporti interindividuali
tra i soci, prevedendo a favore di alcuni di essi diritti particolari». Il nuovo istituto ha suscitato
in letteratura alcune interessanti problematiche, collegate anche al tema oggetto del presente
studio. Ci si è interrogati, innanzitutto, circa la possibilità di creare diverse categorie di quote: in
assenza di norme che disciplinassero il punto, prima della riforma si era data al quesito risposta
affermativa (su tutti A. MIGNOLI, Le assemblee, p. 348; G. SANTINI, Della società a responsabilità
limitata, in Commentario al c.c., a cura di Scialoja e Branca, (art. 2472-2497-bis), Bologna-Roma,
1997, p. 39 e ss.), ma la Relazione al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (cfr. sub § 11) sembrerebbe
deporre in senso contrario così come le opinioni di larga parte della dottrina (sul punto, D.U.
SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Autonomia privata e norme imperative nei dd. lgs. 17
gennaio 2003, nn. 5 e 6, Milano, 2003, p. 202; M. STELLA RICHTER JR., La società a responsabilità
limitata, in AA. VV., Manuale Breve – Diritto delle società, Milano, 2006, p. 288, il quale giunge alla
conclusione che non possano emettersi categorie speciali di quote se per tali si intenda una
serie di partecipazioni «dotate di particolari diritti a prescindere dalle persone che ne sono
titolari» la risposta non può che essere negativa, mentre la soluzione dovrebbe essere positiva
nel caso in cui si preveda statutariamente che «…alcune partecipazioni sociali, dotate di
particolari diritti e assegnate a certuni soci in sede di costituzione della società, possano anche
essere da costoro (più o meno liberamente) trasferite con il particolare diritto (per esempio agli
utili)»; così anche M. NOTARI, Diritti «particolari», p. 331 e ss..
Un altro problema che si è posto in dottrina è relativo all’ampiezza con cui
l’autonomia statutaria può riconoscere i diritti particolari ai singoli soci: ci si è chiesti, a tale
proposito, se (i) siano riconoscibili solamente diritti relativi alla distribuzione degli utili e, in
alternativa, a questi diritti relativi all’amministrazione; (ii) sia legittimo, al contrario, costruire
una clausola statutaria che comporti un’attribuzione “cumulativa” di entrambi i diritti (in tale
senso M. STELLA RICHTER JR., La società a responsabilità, p. 287); (iii) sia legittimo, dando della
norma una lettura ancora più estensiva, prevedere l’attribuzioni di diritti particolari diversi e
ulteriori rispetto a quelli relativi agli utili e all’amministrazione (in senso affermativo, M.
NOTARI, Diritti «particolari», p. 331; ID., Le categorie, passim). Ci si è chiesti inoltre se la
modificazione dei diritti particolari dei soci costituisca una modificazione dell’atto costitutivo
(pone il quesito A. DACCÒ, “Diritti particolari”, p. 116, in nota n. 46); e, ancora, quale sia la
disciplina applicabile nel caso di successiva introduzione o soppressione dei diritti particolari,
posto che il legislatore lascia all’interprete la facoltà di scegliere, in tali ipotesi, se applicare la
regola dell’unanimità o ritenere sufficiente l’applicazione del principio maggioritario.
(123) Si veda sul punto P. FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971 (rist. 2005),
p. 234 per il quale «Il fenomeno associativo, al contrario, rappresenta per definizione un
momento collettivo dell’esperienza, sociale e giuridica, e dalla sua costruzione non può
pervenirsi che attraverso una tecnica costruttiva oggettivistica…», per cui «…l’organizzazione
tipica e propria del fenomeno associativo tende, almeno in parte, ad assorbire l’individuo, o, il
che fa lo stesso, nell’ambito del fenomeno associativo viene meno, né ora interessa quanto e in
132
Azioni riscattabili
tipo societario in cui assume un rilievo centrale la figura del socio (124),
prevedendo un istituto funzionale a differenziare la posizione dei soci e
disponendo specifici strumenti di tutela in caso della violazione di tali
particolari diritti (125).
La soluzione accolta (incorporazione del potere di riscatto nelle azioni)
non sembra smentita neppure qualora – tra le diverse teorie formulate in
argomento – si accogliesse quella che ritiene che nella società a responsabilità
limitata possa configurarsi diritti particolari “atipici” rispetto a quelli di cui
all’art. 2468 c.c., caratterizzati dal fatto di poter circolare con le quote di
partecipazione e di poter dunque essere monetizzate dal loro titolare. Secondo
le ricostruzioni più autorevoli, infatti, l’essenza stessa del diritto particolare
verrebbe in questa ipotesi “snaturata” per divenire un elemento caratterizzante
le quote analogamente a quanto accade per i titoli azionari (126). Questa
che limiti, il principio caratteristico del diritto privato di reciproca indipendenza delle rispettiva
sfere individuali»; C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975, p. 139.
(124) Cfr., art. 3, comma 1, lett. a) della legge delega 366/2001 e sub § 11 della
Relazione al d. lgs 17 gennaio 2003, n. 6; nonché, in dottrina, M. PERRINO, La “rilevanza del
socio” nella s.r.l.: recesso, diritti particolari, esclusione, in AA.VV., La nuova disciplina della società a
responsabilità limitata, a cura di V. Sanoro, Milano, 2003, p. 105 e ss. e spec. p. 105; N.
SALANITRO, Profili sistematici della società a responsabilità limitata, Milano, 2005, pp. 1-5 e spec. 113114; AA.VV., La «nuova» società a responsabilità limitata, a cura di M. Miola, Napoli, 2005, passim.
(125) Nel caso delle azioni riscattabili, invece, la disciplina applicabile deve ritenersi
quella delle assemblee speciali di cui all’art. 2376 c.c. Si vedano le interessanti riflessioni svolte
da A. DACCÒ, Diritti particolari, p. 119 e spec. pp. 121-124 in tema di natura dei diritti particolari
e della loro violazione. Quanto al primo profilo, l’a. trae dal principio della unanimità sancito
dall’art. 2468 (ancorché derogabile dallo statuto) un «forte indizio nel senso della loro rilevanza
collettiva e, quindi, partecipazione all’assetto societario». Dopo avere ravvisato che nelle società
di persone si registra una situazione in cui è sostanzialmente possibile scomporre l’intera
vicenda del rapporto societario e che essa non può completamente prescindere «…dallo
schema del diritto soggettivo, ovvero dal tema dei rapporti intersoggettivi e dalla tecnica
negoziale» per cui non può che concludersi per la sussistenza di una «…concorrenza di una
duplice prospettiva, in termini di pluralità, sul piano quindi dei rapporti intersoggettivi tra i
soci, ed in termini di unità, trattandosi allora della partecipazione di ciascuno all’unitario agire
della società», l’a. conclude per la possibilità di trasportare tale modello anche nell’ambito della
società a responsabilità limitata, con l’effetto che «…il socio, titolare del suddetto diritto
particolare, trova tutela, una volta che il citato diritto partecipi all’agire societario – nell’ambito
dell’organizzazione e con gli strumenti da questa apprestati: in particolare qualora un atto lega il
suo diritto, violando la regola organizzativa che lo fissa e ne disciplina le modifiche, il socio
potrà far valere il vizio dell’atto, e non potrà, invece, chiedere il risarcimento del danno. In
sostanza, pur riconoscendo l’esistenza di un diritto, si traggono conseguenza ben diverse da
quelle consuete per l’ipotesi di sua violazione, essendo il diritto in questione inserito in una
vicenda organizzativa».
(126) Varie sono le proposte suggerite dalla letteratura con riferimento al tema della
circolazione dei “diritti particolari”: per M. NOTARI, «Diritti particolari», p. 333 e ss. e spec. pp.
133
CAPITOLO II
conclusione rispetta, dunque, la struttura potestativa del negozio di riscatto e,
in particolare, la sua natura di diritto «secondario», intrasferibile senza che sia
ceduta anche l’intera posizione contrattuale cui il diritto di riscatto accede (127).
5. Ricognizione delle conclusioni raggiunte.
In via provvisoria, si può cercare di trarre qualche parziale conclusione
335-336, i “diritti particolari” di cui all’art. 2468 c.c. non circolano con la quota del socio e
sono pertanto destinati ad estinguersi con essa; secondo la ricostruzione dell’a., tuttavia, ciò
non impedisce di creare partecipazioni «speciali» che – analogamente alle categorie di azioni –
incorporano diritti particolari (diritti, obblighi, facoltà azioni, potestà, soggezione etc.) ma che,
diversamente da quanto accade nella disciplina della società per azioni, risultano, in assenza di
una diversa previsione nell’atto costitutivo, soggetti alla regola dell’unanimità prevista dall’art.
2468 c.c.; su posizioni analoghe si attesta anche il pensiero di O. CAGNASSO, La societa’ a
responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Padova, 2007, p. 138 e
ss., che osserva come «l’ampia autonomia concessa ai soci parrebbe consentire una valutazione
in senso positivo dell’ammissibilità di tale previsione, che permette di costruire partecipazioni
con un contenuto particolare e quindi di far sì che i diritti in questione possano circolare
assime alla partecipazione, consentendo al suo titolare di poterli «monetizzare»in caso di
trasferimento»; il che, peraltro, comporterebbe dei costi per gli altri soci che non potrebbero ex
ante conoscere chi eserciterà i diritti trasferiti; nello stesso senso, si esprime anche A. DACCÒ,
“Diritti particolari”, passim per le cui considerazioni si rinvia supra alla nota 122; A. TRUOLI,
Sull’ammissibilità di quote di s.r.l. dotate di particolari diritti, in Riv. Dir. Comm., 2005, pp. 1028 e ss.;
cfr., anche, A. SANTUS - G. DE MARCHI, Sui “particolari diritti” del socio nella nuova S.r.l., in Riv.
Not., 2004, I, p. 78; M. MAUGERI, Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata,
in Riv. Soc., 2004, p. 1483 e ss..
Quando la dottrina ammette la possibilità che i “diritti particolari” circolino, lo fa,
generalmente, spostando il piano di osservazione alle caratteristiche delle quote.
L’incorporazione in queste ultime, dunque, è l’unico modo per legittimare la circolazione del
diritto unitamente a quella delle partecipazioni.
Diversa è, invece, la soluzione prospettata da M. MALTONI, La partecipazione sociale, in
La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2007, p. 220 e ss. per cui l’attribuzione ai
soci di particolari diritti «concorr[e] a costituire la partecipazione del socio alla stregua di
qualunque altra situazione giuridica attia o passiva». Tuttavia, secondo l’opinione dell’a., va
escluso che «”l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti” possa essere interpretata come
prerogativa riconosciuta al socio come persona anziché come privilegio connesso alla sua
partecipazione complessivamente consideraa, perché si finirebbe per riconoscere a quest’ultima
un rilievo autonomo, oggettivo, contraddetto dalle norma e dai principi che regolano la
materia, ed al diritto particolare una sorta di valenza parasociale».
(127) In questo senso, P. DE MARTINIS, Le azioni., pp. 395-396 per cui «la
«secondarietà» del riscatto ha, inoltre, implicazioni importanti anche in tema di forma e di
cedibilità del diritto…proprio perché diritto secondario, non è possibile la sua cessione
indipendentemente dall’intero rapporto giuridico cui inerisce. Come, infatti, la dottrina ha già
rilevato in tema di vendita con patto di riscatto, la trasmissione del diritto di riscatto è
ammissibile solo mediante cessione dell’intera posizione contrattuale cui il diritto di riscatto
accede. Dalla secondarietà del riscatto ne consegue, dunque, la sua accessorietà nel senso che
quest’ultimo, come si è visto, non può essere ceduto indipendentemente dal rapporto giuridico
cui inerisce. [Pertanto] il negozio di riscatto può essere qualificato come il negozio giuridico
unilaterale previsto dalla legge, forma e con causa esterna, incedibile separatamente dalla
posizione contrattuale cui inerisce, che determina un effetto acquisitivo derivativo
condizionato al pagamento di una somma di denaro, anche eventualmente a favore di terzi».
134
Azioni riscattabili
in merito alla individuazione degli elementi della fattispecie di cui all’art. 2437sexies c.c..
Le clausole di riscatto hanno certamente natura ed efficacia reale: il che
è confermato non solo dalla rilevanza organizzativa rivestita dalle stesse ma dal
fatto che le situazioni di diritto e/o soggezione sono incorporate nelle azioni.
Le azioni riscattabili, pertanto, si differenziano nettamente dalla clausole put e
call utilizzate frequentemente nella prassi degli affari e generalmente disciplinate
nel contesto di regolamentazioni parasociali.
La disciplina di cui all’art. 2437-sexies, inoltre, consente di leggere l’art.
2348, comma 2 e, in particolare, l’espressione «diritti diversi», in essa contenuta,
in modo particolarmente ampio, in modo tale da includere nel concetto di
«categoria di azioni» anche le situazioni giuridiche passive, come quelle di
soggezione, prese in considerazione dalla prima norma. Sotto questo profilo
sembra pertanto potersi concludere nel senso che le azioni riscattabili possono
costituire una categoria di azioni con la conseguente applicazione della
disciplina di protezione di cui all’art. 2376 cod. civ..
Il riscatto non è infine qualificabile come un «diritto particolare» dei
soci e, in ogni caso, non è riconducibile ai principi contenuti nell’art. 2468,
comma 3. Alcuni esempi hanno dimostrato come esigenze, connesse con la
protezione dei titolari delle azioni riscattabili, confortino tale conclusione.
E’ possibile ora analizzare la disciplina, i profili interpretativi e le
questioni sollevate dall’art. 2437-sexies, cercando, tra l’altro, di riprendere alcuni
delle problematiche e dei temi già considerati o solamente accennati nel
presente capitolo.
Quanto alla prima conclusione raggiunta, si tratterà, di verificare se sia
corretto parlare ancora di clausole di riscatto anche in presenza di una norma che
si riferisce solamente ad azioni o categorie di azioni riscattabili; o se, piuttosto,
non sia più corretto ritenere che di clausole di riscatto si possa parlare
esclusivamente con riferimento a clausole parasociali e che, quindi, le uniche
disposizioni destinate a trovare cittadinanza nello statuto sociale siano quelle
135
CAPITOLO II
che disciplinano l’emissione e i caratteri di azioni riscattabili (128).
Con riferimento alla seconda conclusione, si cercherà di individuare
come le azioni riscattabili si atteggino e possano configurarsi per essere
qualificabili come una autonoma categoria di azioni oppure come semplici
azioni non appartenenti ad alcuna categoria speciale.
In relazione alla terza conclusione, infine, si cercherà di approfondire il
tema relativo alla struttura potestativa del riscatto, verificando se la previsione
statutaria di azioni riscattabili comporti, in ogni caso, l’emissione di due
categorie di azioni: l’una incorporante il potere di riscatto e l’altra la soggezione
ad esso presupposta da tale potere. La soluzione a questo interrogativo
potrebbe peraltro differenziarsi a seconda che titolari del potere siano i soci
oppure la società emittente. Bisogna infatti verificare se nel sistema sia
ammissibile la previsione statutaria di un particolare diritto o dovere (al
riscatto) attribuito alla società emittente.
Saranno, infine, prese in considerazione ed approfondite alcune
questioni concernenti il rinvio operato dall’art. 2437-sexies c.c. alla disciplina del
recesso e al regime dell’acquisto di azioni proprie.
(128) Con la possibile conseguenza che di clausole di riscatto intese come disposizioni
pattuite al fine dell’attribuzione di un diritto di acquisto o di vendita si potrà parlare solamente
nell’ambito di accordi parasociali. In questo senso la differenza tra queste clausole e le opzioni
put e call potrebbe appiattirsi.
136
Azioni riscattabili
CAPITOLO TERZO
LA DISCIPLINA DELLE AZIONI RISCATTABILI
Sezione Prima
INTRODUZIONE
SOMMARIO: 1. Funzioni delle azioni riscattabili: sistema di chiusura e di “controllo”
della compagine sociale. – 2. L’evoluzione storica delle azioni riscattabili: dalla
normativa comunitaria alle pronunce giurisprudenziali dei giudici nazionali. –
3. La «struttura finanziaria» della società per azioni nella riforma del diritto
societario. L’introduzione dell’art. 2437-sexies c.c.. Rilievi sulla natura delle
azioni riscattabili e prime osservazioni di ordine generale. Articolazione dei
temi trattati.
1. Funzioni delle azioni riscattabili: sistema di chiusura e di
“controllo” della compagine sociale.
Al di là dell’ipotesi legale prevista dall’art. 2357-bis c.c. – relativa al
riscatto di azioni “finalizzato” (1) – il meccanismo del riscatto – e, in modo
particolare, le azioni riscattabili – possono, all’interno delle dinamiche
societarie, rivestire numerose funzioni analizzabili sia dal punto di vista
dell’organizzazione societaria, sia da quello degli azionisti.
Le azioni riscattabili possono innanzitutto rappresentare un’importante
(1) Cfr. supra, cap. I, § 1. Sul riscatto c.d. «finalizzato» si vedano anche le osservazioni
di L. CALVOSA, La clausola, cit., p. 28 ss.. L’a., dopo avere osservato che, in questa specifica
ipotesi, il riscatto assume valenza organizzativa in quanto assurgerebbe ad elemento integrativo
della fattispecie della riduzione del capitale presa in considerazione dall’art. 2357-bis, afferma
che «nel caso in esame, ancorché si realizzi l’effetto traslativo delle azioni dai socia alla società,
non è configurabile un acquisto in senso tecnico: manca la libertà di determinazione in ordine
all’an del trasferimento da parte dei soci i quali, stante la delibera (maggioritaria) di riduzione
del capitale, versano in posizione di pati; e manca il versamento di un “corrispettivo”, poiché
viene effettuato un mero “rimborso” della partecipazione…Si tratta di un acquisto “spurio”,
risolventesi in una mera modalità attuativa della delibera di riduzione del capitale sociale: il
disposto di cui all’art. 2357-bis, n. 1 deve pertanto integrarsi e coordinarsi con quello dell’art.
2445. In altri termini il punto di partenza dell’intero procedimento è costituito dalla delibera
assembleare di riduzione del capitale esuberante: l’assemblea, tenuto conto delle concrete
esigenze, può indicare come modalità attuativa della deliberata riduzione del capitale
esuberante quella, appunto, del riscatto delle azioni finalizzato al loro annullamento. In tal caso
l’esonero dall’osservanza dei vincoli e dei limiti fissati, in linea generale, per l’acquisto di azioni
proprie dall’art. 2357 si giustifica, non solo in virtù del nesso funzionale nella specie sussistente
tra l’ “acquisto” di azioni e il loro annullamento, ma anche in relazione al fatto che il riscatto
finalizzato non è inquadrabile, appunto, nella fattispecie dell’acquisto in senso tecnico». Si
vedano, anche G. PARTESOTTI, Le operazioni, p. 417 e, con riferimento al riscatto azionario, p.
464 ss.; L. ARDIZZONE, La riduzione, p. 639 e ss..
137
CAPITOLO III
strumento per conseguire una «personalizzazione» della società: in altri termini, la
previsione statutaria di meccanismi di riscatto – caratterizzanti titoli azionari o
un’intera categoria di azioni – può assumere la funzione di regolare peculiari
rapporti tra società e soci, così garantendo la stabilità della prima (2). A titolo
esemplificativo, si pensi: (i) alla possibilità di creare una categoria di azioni che
– similmente a quanto si registra nella prassi con riferimento alle azioni con
prestazioni accessorie ex art. 2345 c.c. – preveda che la riscattabilità sia
subordinatamente condizionata al verificarsi di un inadempimento della
prestazione dovuta alla società dall’azionista che risulti, ad esempio, legato a
quest’ultima da un particolare rapporto contrattuale, ad esempio, di consulenza
(3); (ii) alla emissione di azioni che vengano offerte ai dipendenti e che saranno
soggette al riscatto da parte della società, ad esempio, nel momento in cui cessi
il rapporto di lavoro subordinato con essa o che – come esplicitamente
previsto dall’art. 2349 c.c. – siano più semplicemente sottoposte a «…eventuali
cause di decadenza o di riscatto»; (iii) alla eventualità che le azioni divengano
riscattabili solo nell’ipotesi in cui un socio perda determinati requisiti soggettivi
ritenuti essenziali per la società, come nel caso di un socio, inizialmente entrato
(2) Cfr. le attuali osservazioni di L. CALVOSA, La clausola, p. 3 e ss. la quale – ancora
sotto il vigore della precedente disciplina che, come noto, non contemplava le azioni riscattabili
– sottolineava la funzione di personalizzazione della società assunta dalle azioni riscattabili
affermando che «in contrapposizione alle caratteristiche proprie della società per azioni e alla
progressiva “spersonalizzazione” e “capitalizzazione” della sua struttura organizzativa, si è
accentuato il ruolo della persona e della partecipazione della stessa alla società…In particolare,
attraverso la clausola di riscatto (inserita nello statuto in sede di costituzione o durante la vita
della società) o attraverso patti extrastatutari di riscatto, i soci introducono un meccanismo in
virtù del quale, al verificarsi di determinate condizioni, la società (per sé o per un terzo), oppure
i soci o un terzo possono (o debbono) “riscattare” la partecipazione del socio o dei soci in
ordine ai quali le condizioni stesse si siano verificate: in tal modo garantendo la stabilità
dell’assetto della compagine sociale. Mediante tali clausole e/o accordi inter partes la società per
azioni, istituzionalmente caratterizzata dalla piena libertà di circolazione delle partecipazioni, e
quindi dalla (potenzialmente) continua alternanza dei soci, è andata sempre più trasformandosi
– alla luce della emergente combinazione di interessi: quello all’uso di uno schema
organizzativo che consenta di beneficiare della responsabilità limitata e di fruire dei vantaggi (di
funzionamento) capitalistici, per un verso; e quello al maggiore rilievo delle caratteristiche
personali dei soci, per altro verso – in una struttura chiusa, tesa ad impedire l’ingresso di terzi
estranei e, soprattutto, ad evitare ingiustificate ed ostili prese di controllo»; nello stesso senso,
M. PERRINO, Le tecniche, p. 355 e ss..
(3) E’ questa l’ipotesi che è stata oggetto della sentenza di App. Milano, 14 luglio 1982
(decr.), in BBTC, 1983, II, p. 506 ss., con nota di G. CARCANO, Riscatto; e in Giur. comm., 1983,
II, p. 397, con nota di G. PRESTI, Le clausole di «riscatto» nella società per azioni. A tale proposito si
veda anche il parere pro veritate di G. B. PORTALE, Azioni con prestazioni accessorie, p. 703 e ss..
138
Azioni riscattabili
nella compagine quale finanziatore ma che, dopo un certo periodo, abbia
esaurito tale funzione (4).
Al di là delle suggestioni personalistiche che le azioni riscattabili
possono svolgere, già ampiamente indagate in letteratura, ci si potrebbe
piuttosto chiedere se l’impianto generale della «nuova» società per azioni sia
compatibile con istituti incentrati sulla persona del socio invece che sulla
partecipazione azionaria (5). In questo senso, l’interpretazione che in
precedenza si è proposta in merito agli elementi della fattispecie potrebbe
permettere di affrancare l’istituto delle azioni riscattabili da funzioni
esclusivamente personalistiche, più in linea con la filosofia della disciplina della
società a responsabilità limitata.
L’individuazione di alcune ulteriori funzioni potrebbe quindi costituire
un modo per dare vitalità all’istituto e consentirne una diffusione su larga scala.
A ben vedere, infatti, le azioni riscattabili sono suscettibili di svolgere
anche l’ulteriore funzione di stabilizzazione della compagine societaria. Sotto
questo profilo, l’importanza del ruolo giocato dalle azioni riscattabili può
apprezzarsi nel contesto di imprese a c.d. «base famigliare» o in ipotesi di
società partecipate pariteticamente da due soli soci. In queste situazioni la
prassi suggerisce che il rischio che si verifichino situazioni di stallo – che
(4) Come ben sottolineato da M. PERRINO, Le tecniche, p. 356 e spec. p. 358-360, per
cui «La tipologia di clausole di riscatto proposta all’attenzione dell’interprete dall’esperienza
societaria italiana, così come da quella di altri ordinamenti giuridici, mostra, in effetti come, pur
nella notevole varietà delle ipotesi, costante sia però la riconoscibilità di un interesse, che può
in prima approssimazione esprimersi come essenzialmente diretto ad assegnare un decisivo
rilievo ai profili personali della partecipazione sociale…La clausola di riscatto si rivela, allora, in
quest’ottica, quale mezzo tecnico di un ionteresse sostanzialmente diretto a realizzare un
rigoroso controllo sulla composizione della compagine sociale; e, più specificamente, a
garantire lo stabile mantenimento dei connotati personalistici impressi a partixcolari assetti di
s.p.a., o a peculiari categorie di rapporti sociali…all’interno di questa»; in senso analogo, anche
S. CARMIGNANI, Art. 2437-sexies, pp. 902-903, la quale afferma che lo schema in base al quale
il riscatto sarebbe esercitatile è riconducibile alla ipotesi di un «…contratto di compravendita di
azioni in seguito ad un patto di opzione tra azionisti società/soci, subordinato al verificarsi
della condizione sospensiva costituita dal venire meno di determinate caratteristiche
personali…[per cui] in tutte queste ipotesi, il concetto di riscatto evoca la nozione di
“riacquisto” delle azioni da parte della società, che può o meno rivenderle ad altri soci, dove la
clausola statutaria si connota come strumento diretto, da un lato, a consentire all’azionista un
veloce exit in fattispecie non coperte dal diritto del recesso, exit perseguito, altrimenti, solo con
la vendita delle azioni sul mercato, e, dall’altro, a consentire alla società di realizzare una
chiusura della compagine sociale verso terzi non graditi».
(5) Il rif. è a L. CALVOSA, La clausola, passim e a M. PERRINO, Le tecniche, passim.
139
CAPITOLO III
conducano all’impossibilità di funzionamento o alla continuata inattività
dell’assemblea e che siano, quindi, potenzialmente idonee a rappresentare una
causa di scioglimento della società – sia evitabile tramite la previsione di
meccanismi quali, ad esempio, la sottoscrizione, da parte di uno dei due soci di
un prestito obbligazionario convertibile in azioni che gli possa consentire di
provocare la diluizione della partecipazione dell’altro socio e di garantire in
questo modo il mantenimento in vita della società (6). Le azioni riscattabili si
(6) L’instabilità di alcune forme di esercizio in comune di attività di impresa è ben
presente a D. BONVICINI, Le “Joint ventures”, p. 398 e spec. pp. 426-427, il quale – a
proposito delle joint ventures – ha rilevato come «…benché gli aspetti positivi della formula della
joint ventures corporation siano notevoli, l’esperienza operativa statunitense ha dimostrato che tale
strumento è, per sua natura, instabile» ed è per questo motivo che, tra l’altro, vengono
predisposti strumenti giuridici volti a subordinare «…lo scioglimento della società al preventivo
esperimento del tentativo di rilevare le azioni dei consociati dissidenti. Ciò in genere, si ottiene
inserendo nell’accordo un buy-and-sell-agreement in base al quale possa prevenirsi la liquidazione
dell’affare attraverso reciproche offerte di acquisto o di vendita od altri patti che, sulla falsariga
delle più recenti leggi speciali, prevedano la possibilità di evitare lo scioglimento attraverso
l’acquisto a equo rezzo delle altrui partecipazioni»; anche se non direttamente con riferimento
al riscatto di azioni U. DRAETTA, Les clauses de force majeure et de hardship dans les contrats
internationaux - Le clausole di forza maggiore e di hardship nei contratti internazionali, in Dir. comm. int.,
2001, p. 297 e ss.; S. PATRIARCA, L’«exit» nella S.r.l., in Verso un nuovo diritto societario, a cura
dell’Associazione Disiano Preite, Bologna, 2002, p. 100, il quale con riferimento alla disciplina
della S.r.l. ha messo in luce che «Spostando l’angolo visuale sull’interesse dell’ente collettivo, è
ipotizzabile che il riscatto venga utilizzato per rimuovere situazioni di «stallo» decisionale», con
la conseguenza che ove al riscatto fosse attribuite questa funzione «il recesso/riscatto, ove
correttamente utilizzato, può risolversi, diversamente da quanto accade nella logica dell’art.
2437, in uno strumento idoneo a favorire la continuazione dell’attività di impresa»; ma per altri
autori il caso di stallo dovuto a una partecipazione paritetica sarebbe meglio risolvibile facendo
ricorso alla teoria dell’eccesso di potere: F. GALGANO, Contratto e persona giuridica nelle società di
capitali, in Contr. impr., 1996, p. 6 e ss.. In effetti, da un punto di vista pratico, il riscatto
azionario sembra poter conseguire più pianamente rispetto ad altri meccanismi, gli effetti della
stabilizzazione della compagine societaria in casi di stallo: si pensi, solo per fare qualche
esempio e per richiamare la prassi, alle clausole di «buy out» in cui generalmente si prevede, in
caso di stallo del consiglio di amministrazione, una cessione delle azioni facenti capo ai due
soci ad un soggetto terzo individuato da una banca d’affari indipendente: il cuore della clausola
è generalmente così articolato «Dalla consegna della valutazione della società effettuata dalla
società di revisione, incaricata ai sensi del paragrafo che precede, inizierà a decorrere un
termine di 30 giorni durante il quale i soci Tizio e Caio dovranno consultarsi e chiarire in
buona fede se (i) una delle due parti intenda risolvere la situazione di stallo accettando le
posizioni dell’altra parte; (ii) se una parte intenda comprare le quale dell’altra e quest’ultima
intenda cederla al valore di mercato; (iii) se non sia possibile raggiungere un accordo in
relazione alla cessione delle azioni. Nella prima ipotesi (i) la parte le cui posizioni verranno
accettate perderò il diritto di esercitare i diritti previsti dalla presente clausola, nel secondo caso
(ii) allo spirare del termine le parti dovranno concludere un’apposita compravendita delle azioni
ad un prezzo equivalente al valore di mercato; nel terzo caso (iii) le parti conferiranno un
mandato ad una banca d’affari indipendente affinché ricerchi un terzo acquirente delle azioni
dei soci Tizio e Caio ad un prezzo non inferiore al valore di mercato». Ancora più complicate
sono altre clausole utilizzate nella prassi quali la c.d. «Russian roulette» o «Texas shotgun»,
caratterizzata da «…un’alea di rischio ed imprevedibilità dovuta ad un sistema di offerte
140
Azioni riscattabili
incrociate molto simile ad un gioco d’azzardo. Tale clausola prevede infatti che ciascun socio
possa notificare all’altro un’offerta alternativa di vendita delle proprie quote ovvero di acquisto
delle quote della controparte al medesimo prezzo…La parte ricevente dovrà, entro un
determinato periodo, decidere se vendere le proprie quote o acquistare quelle del socio.
Decorso inutilmente suddetto termine la parte offerente potrà, decidere a sua discrezione se
vendere o acquistare» (sul punto si vedaG. CACCIAGUERRA, «Exit mechanisms», in Clausole
ricorrenti. Contenuto e durata, in I Nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, Il diritto privato nella
giurisprudenza, a cura di P. CENDON, , XXV, Torino, 2004, p. 124 e ss., da cui è parzialmente
tratta la clausola sopra riportata; V. DOTTI, Clausole relative ad acquisti parziali di pacchetti azionari,
in AA.VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, a cura di F. Bonelli – e M. De
Andrè, Milano, 1990, p. 207 e ss.; G. DAINO, Tecniche di soluzione del «deadlock»: la disciplina
contrattuale nell’accordo tra i soci nelle joint ventures paritarie, in Dir. comm. int., 1988. p. 161.
La prassi registra, soprattutto nell’ambito di accordi di joint venture, un frequente
ricorso alla «redemption» di partecipazioni. Nella clausola qui di seguito riportata – governata
dalla legge lussemburghese – l’oggetto del riscatto sono “certificati di debito” che potranno
essere riscattati per essere poi annullati o ceduti a terzi oppure convertiti in azioni:
«Redemption.(a) Redemption at maturity: (i) Unless previously converted into Conversion Shares or
optionally redeemed and cancelled as specified below, the Company shall redeem at Maturity all (but not some)
of the then outstanding [ ] CPECs at the Ordinary Redemption Price, provided that the Par Value of the then
outstanding [ ] CPECs will be payable only to the extent the Company will have sufficient funds available to
settle its liabilities to all other ordinary or even subordinated creditors, privileged, secured or unsecured, ranking
prior to the [ ] CPECs, after any such payment. (ii) The Ordinary Redemption Price shall be paid to the
Holder(s) of record on the Maturity Date, or, if that day is closed for business, the first following Business Day.
Payment of the Ordinary Redemption Price to any Holder on the Maturity Date in respect of any [ ] CPEC
shall be subject to the surrender to the Company of the certificate representing the [ ] CPEC, if any. (iii) If, for
any reason, the Company shall fail to discharge its mandatory redemption obligation pursuant to clause 3 (a)
(i), yield shall accrue on the undischarged amount at the Applicable Rate (subject to article 1154 of the civil
code). Such yield shall accrue daily and shall be calculated on the basis of a 365 days year.
(b) Optional Redemption. (i) Upon a Conversion Event, the Company, instead of giving notice of its
intention to convert and deliver Conversion Shares in accordance with clause 4(a), may decide and declare to
redeem any or all of the [ ] CPECs, by giving notice to the Holder(s) of [ ] CPECs not later than [ ] Business
Days before and [ ] Business Days after the Conversion Date, at a price equal to the Optional Redemption
Price. (ii) Any redemption pursuant to clause 3(b)(i) above can only be exercised by the Company, and not by
the Holder(s) of [ ] CPECs, and any such redemption may be carried out only upon a Conversion Event and
under the condition that the Company will not be insolvent after payment of the aggregate Optional Redemption
Price of the [ ] CPECs to be redeemed. (iii) The Company shall give notice of its intention to redeem the [ ]
CPECs not later than [ ] Business Days before and [ ] Business Days after the Conversion Event to each
Holder of record of the [ ] CPECs at such Holder’s address as recorded in the [ ] CPEC Register, but no
failure or defect in such notice shall affect the validity of the optional redemption. Each such notice shall state: (i)
the Optional Redemption Date, (ii) the Optional Redemption Price and (iii) the place or places where [ ]
CPECs are to be surrendered for delivery of the Optional Redemption Price. (iv) If the Company optionally
redeems less than all of the then outstanding [ ] CPECs, and subject to compliance with applicable law at the
moment of the partial redemption, the Company shall redeem a proportionate amount of the then outstanding [ ]
CPECs for each Holder of [ ] CPECs. In the case of this proportionate partial redemption of the [ ] CPECs
at the option of the Company, a list of the [ ] CPECs called for that early redemption will be communicated
under the form of an official notice given to all Holder(s) of [ ] CPECs.
(c) Redemption upon Liquidation of the Company. (i) In the event of any voluntary or involuntary
liquidation, dissolution or winding up of the affairs of the Company (a "Liquidation") on a certain date (the
"Liquidation Date"), the Holders shall be entitled to be paid, in each case before any payment shall be made or
any assets distributed to the holders of any Subordinated Securities but after payment (or providing reasonable
reserves for the future payment) of all other obligations of the Company to prior ranking ordinary or
subordinated creditors, whether privileged, secured or unsecured, subject to the restrictions set forth in clause
3(c)(iv), and upon surrender of the certificates of the [ ] CPECs (if any) so redeemed, a liquidation value equal
to the Par Value for such Holder's outstanding [ ] CPECs (the "Liquidation Price"). (ii) For purposes of this
141
CAPITOLO III
atteggiano in tale contesto come delle «obbligazioni convertibili al contrario»
come efficacemente è stato messo in luce dalla letteratura straniera le quali,
oltretutto, non incontrano i limiti previsti dalla disciplina delle obbligazioni
convertibili (7).
clause 3(c), neither the sale, conveyance, exchange or transfer (for cash, shares, stock, securities or other
consideration) of all or substantially all the property or assets of the Company nor the consolidation or merger of
the Company with one or more entities shall be deemed to be a Liquidation unless such sale, conveyance,
exchange or transfer shall be in connection with a dissolution or winding up of the business of the Company. (iii)
In the event that the proceeds to be distributed to the Holders of the [ ] CPECs upon a Liquidation or other
distribution are insufficient to pay each Holder the Liquidation Price, any payment will first be paid to each
Holder pro rata based on the aggregate Par Value of the [ ] CPECs held by such Persons. (iv) If on the
Liquidation Date the Company is unable, because it would be insolvent after payment of the aggregate
Liquidation Price of the [ ] CPECs to be redeemed and/or the Company will not have sufficient funds
available to settle its liabilities and any other liabilities to all other ordinary or even subordinated creditors,
privileged, secured or unsecured, ranking prior to the [ ] CPECs, after any such payment, to redeem the total
number of [ ] CPECs otherwise entitled to be redeemed on such date, then the Company shall redeem the
maximum possible number of [ ] CPECs pro rata according to the aggregate Liquidation Price of all [ ]
CPECs held by all Holders. [ ] CPECs not fully redeemed shall remain outstanding and shall be entitled to
all the rights and preferences provided therefore. At any time thereafter when the Company is permitted under
this clause 3(c) (iv) to redeem additional [ ] CPECs, the Company shall promptly redeem so many of the [ ]
CPECs otherwise entitled to redemption as may be permitted hereunder, pro rata according to the Liquidation
Price of the [ ] CPECs held by all Holders. The Company shall use reasonable efforts to have sufficient legally
available funds for any redemption hereunder. The provisions set forth in this Clause 3(c) (iv) will apply pro
rata to each Holder (based on such Holder's proportion of the aggregate Par Value of all outstanding [ ]
CPECs).
(d) No Redemption or Conversion at the Option of the Holders.Before the Maturity Date, no
Holder shall have any right or privilege to demand or sue for or otherwise make claims in respect of the
acceleration, conversion, redemption of the [ ] CPECs or any portion thereof other than in connection with a
Redemption upon Liquidation pursuant to clause 3 (c) or as provided under clause 3(e).
(e) Redemption upon an Event of Default. Upon the occurrence of an Event of Default pursuant
to clause 9, the Holders of [ ] CPECs shall have the right to ask for the redemption of all or part of their [ ]
CPECs at the Liquidation Price, (the Liquidation Date being replaced by reference to the date of redemption).»
(7) In questo caso è la dottrina spagnola a mettere in luce tale carattere delle azioni
riscattabili, si veda A. SANCHEZ ANDRÉS, Aumento y reducción de capital, in La reforma del Derecho
espanol de sociedades de capital. Reforma y adaptacion de la legislacion mercantil a la normativa comunitaria en
materia de sociedades, a cura di A. Ureba - C. Ortiz - L. Fernandez, Madrid, 1997; nello stesso
senso, P. YANES YANES, Las acciones rescatables, pp. 97-98 il quale dopo avere rilevato come le
differenze tra azioni riscattabili e obbligazioni vadano aumentando quando queste ultime
vengono emesse secondo particolari configurazioni. A tale proposito aggiunge, con riferimento
alle obbligazioni convertibili in azioni, che «La contraposición se muestra aún más neta cuando se piensa que
«acción resctable» y «obligación convertible» tienen en la hipótesis normales de desenvolvimiento un desenlace
radicalmente opuesto. Así, mientras la convertibilidad de la obligación determina el ingreso del obligacionista en
el estricto círculo societario, migrando desde la posición de tercero acreedor a la de socio, la amortizabilidad de la
acción consigue justo el efecto contrario: la salida del socio del accionariado de la compañia emisora con péerdida,
previo reembolso de sus títulos, de su condición de tal» e con le obbligazioni subordinate – ora ammesse
anche dal nostro ordinamento per effetto dell’art. 2411, 1 comma (v. A. GIANNELLI, Art. 2411,
in Commentario alla riforma delle società (Obbligazioni. Bilancio), a cura di L.A. Bianchi e M. Notari,
diretto da P. Marchetti, L. A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2006, p. 27 e ss.; e, anche
se con riferimento al quadro normativo ante riforma, S. VANONI, I crediti subordinati, Torino,
2000) – che «No puede olvidarse, a esre respecto, que en el tratamiento de las acciones rescatables algùn autor
ha creído haber visto una tendencia hacia el ensachameinto de la base del tradicional «capital social», ni que la
142
Azioni riscattabili
Un altro scopo cui le azioni riscattabili possono essere destinate è
relativo al funzionamento delle clausole di c.d. «change of control». Si tratta,
generalmente, di previsioni convenzionali utilizzate dalla prassi in contesti
diversi e per lo più finalizzate a tutelare una parte per l’ipotesi in cui muti
l’identità della società che controlla l’altra parte del rapporto contrattuale (8). Si
calificación de la dueda subordinada como «fondos propios» podría diluir precisamente su carácter de «deuda»
para resaltar un cierto maridaje con el capital social».
(8) Per l’esempio formulato nel testo si rinvia – ma con riferimento al diverso
meccanismo delle clausole di riscatto e non delle azioni riscattabili – a L. STANGHELLINI, Art.
2351, pp. 42-43 del dattiloscritto.
L’uso delle clausole di «change of control» è molto diffuso nella prassi degli affari. Ne è
frequente l’uso nell’ambito dei contratti di finanziamento, nei quali essa viene inserite per
volontà degli istituti finanziatori al fine di proteggersi da eventuali rischi legati all’insolvenza del
soggetto affidato: è infatti chiaro che, dal punto di vista di un creditore, è preferibile sapere che
il mutuatario è controllato da una società caratterizzata da una certa solidità patrimoniale,
piuttosto che da una società povera di risorse patrimoniali. La clausola in questione non
garantisce agli istituti finanziatori una protezione particolarmente “forte”, dovendo
generalmente essere strutturata come un impegno del fatto del terzo ai sensi dell’art. 1381 c.c.
in quanto la società controllante non è parte del rapporto obbligatorio principale (ovvero del
contratto di finanziamento); essa viene generalmente ricompresa tra la disciplina dei c.d.
“obblighi di fare” del mutuatario. Nel caso, ad esempio, di una società Gamma, beneficiaria del
finanziamento e della presenza nella sua compagine sociale di un socio Beta, la clausola
potrebbe assumere il seguente tenore «Gamma si impegna a far sì che Beta non ceda a
qualsivoglia titolo giuridico la partecipazione in Gamma in modo tale da ridurre la
partecipazione in Gamma medesima al di sotto del 51% del capitale sociale di Gamma
ovvero che Beta non ceda in ogni caso il controllo di Gamma».
La clausola di cambiamento del controllo viene anche utilizzata nell’ambito di
contratti di acquisizione di pacchetti azionari o di quote: in questa ipotesi si è soliti prevedere,
tra le clausole che governano la disciplina delle dichiarazioni e garanzie del venditore
(«representations and warranties»), che il trasferimento delle azioni o delle quote non rappresenti
una delle condizioni cui il venditore ha subordinato l’attivazione di clausole di change of control
contenute in accordi con terzi (ad esempio con banche) che rendano invalido il contratto di
compravendita. In altri casi, ancora, la clausola viene utilizzata proprio con riferimento al
cambiamento di controllo determinato dal trasferimento delle azioni: in questo caso
l’acquirente tenderà a farsi rilasciare dal venditore una apposita dichiarazione con cui si
garantisce che, ad esempio, il trasferimento di azioni all’acquirente non fa venire meno la
validità di licenze o permessi necessari per lo svolgimento dell’attività di impresa.
La letteratura americana (cfr. T. MARKO, An Argument for Invalidating Change of Control
Covenants, in 20, J. Corp. L., 475 (1994-1995)) ha analizzato anche l’utilizzo delle clausole di
change of control nel contesto di emissioni obbligazionarie da parte di società quotate: in questa
peculiare ipotesi, le società sono solite prevedere clausole che riconoscono agli obbligazionisti
una opzione put nei confronti della società (in modo tale da poter accelarare i termini del
rimborso del prestito) o il diritto a vedersi riconosciuta una maggiorazione nei tassi di interessi
nel caso in cui si verifichino determinati eventi quali, ad esempio, il lancio di offerte pubbliche
di acquisto non concordate con il management della società target). La clausola assume
generalmente il seguente contenuto «if a specified takeover-related event occurs, bondholders will either
have the right to put their bonds back to the company, or to have the interest rate on their bonds increased to
reflect the addition risk associated with the takeover-related event».
Chi fa ricorso a tali clausole dovrà ovviamente prestare particolare attenzione alla
redazione della definizione di controllo generalmente contenuta, insieme alle altre definizione,
143
CAPITOLO III
pensi, ad esempio, al caso in cui alcuni soci siano interessati al fatto che uno di
essi – per semplicità la società Beta – continui ad essere soggetto al controllo di
una importante società holding o di una nota società industriale – denominata
Alfa – per questioni legate alla solidità finanziaria di Alfa medesima o, più
semplicemente, per motivi dovuti al prestigio generato da tale situazione. In
questa ipotesi, l’interesse dei soci potrebbe essere soddisfatto attraverso la
sottoscrizione da parte di Beta di azioni, ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.,
riscattabili nel momento in cui la società controllante Alfa ceda la propria
partecipazione in Beta medesima ad un terzo.
Le azioni riscattabili potrebbero assolvere anche la funzione di
strumento di protezione del gruppo di controllo. Qualora si prendano in
considerazione le società per azioni c.d. «chiuse» – le cui azioni pertanto non
siano né quotate né diffuse tra il pubblico in maniera rilevante secondo quanto
indicato dall’art. 2325-bis cc. (9) – le azioni riscattabili potrebbero essere
utilizzate per escludere dalla compagine societaria un socio finanziatore che ne
sia originariamente entrato a far parte per effetto della sottoscrizione di un
aumento di capitale (10).
all’inizio del testo contrattuale. Per l’analisi delle molteplici definizioni di «controllo», v. M.
NOTARI, La nozione di «controllo», Milano, 1996.
(9) Si consenta di rinviare a M.L. VITALI, Art. 2325-bis. Ricostruisce l’iter legislativo
che ha portato a questa differenziazione normativa G. PRESTI, Riforma della s.p.a. e scalini
normativi, in Società - Riforma delle Società (suppl.), 2003, p. 24. Il cit. A. afferma, con riferimento
alla Relazione al disegno di legge delega della commissione Mirone per la riforma delle società
non quotate: «La relazione al progetto Mirone spiegava che questa distinzione all’interno del
tipo s.p.a. venne ipotizzata nel momento in cui si rinunziò all’idea originaria di una bipartizione
secca delle società di capitali: la s.r.l. come forma giuridica della società chiusa e la s.p.a quale
modello esclusivo dell’impresa di grandi dimensioni caratterizzata dalla dissociazione tra
proprietà e controllo e, in tal senso, definibile come aperta. Rifiutata tale perentoria dicotomia,
in quanto ritenuta eccessivamente rigida in relazione alle caratteristiche del nostro sistema
economico e alle esigenze di competizione con gli ordinamenti stranieri, la commissione si
orientò su modelli flessibili, “con un tasso di imperatività crescente man mano che l’attività di
impresa si muove verso forme più complesse e aperte, in cui si avverte maggiormente
l’esigenza di tutela dei terzi”»; nonché ID., La riforma e le società quotate, in Dir. banc. merc. fin.,
2004, 1, p. 41 e ss.; nonché M. AVAGLIANO, Società per azioni: disposizioni in generale, atto costitutivo,
patti parasociali, in www.notarlex.it; e G. MOSCO, Le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura
rilevante fra definizione, norme imperative e autonomia privata. Uno scalino sbeccato, da riparare in fretta, in
Riv. Soc., 2004, p. 863.
(10) L’utilizzo delle azioni riscattabili in funzione della esclusione del socio è oggetto
dello studio di M. PERRINO, Le tecniche, p. 357, laddove afferma che «lo strumento del riscatto,
in tutti questi casi, mira appunto a far valere il suddetto ancoraggio tra titolarità delle azioni e
profili personali della partecipazione, configurando un potere di privare coattivamente di detta
144
Azioni riscattabili
D’altra parte nelle società «aperte» – e in particolare nelle società
quotate in borsa – il riscatto delle azioni potrebbe essere funzionalizzato alla
difesa della società da scalate ostili o comunque non concordate con il
management: in questa ipotesi, infatti, la possibilità di riscattare le azioni
consentirebbe alla società di diminuire il flottante presente sul mercato
riducendo contestualmente la possibilità che il potenziale acquirente possa
rastrellare un numero di titoli sufficienti a garantire il controllo della società
acquirenda (11). Nell’ambito delle società quotate, peraltro, la prassi ha
utilizzato lo strumento delle azioni riscattabili anche con modalità
maggiormente sofisticate rispetto a quelle appena descritte prevedendo, ad
esempio, che il riscatto possa essere esercitato tra i soci di una società
controllante una società quotata, nell’ipotesi in cui venga lanciata, sulle azioni
di quest’ultima, un’offerta pubblica di acquisto (12).
L’emissione di azioni riscattabili può in un certo senso favorire anche il
titolarità il socio attuale, ogni qual volta taluno di quei profili personali risulti rispetto a
quest’ultimo sensibilmente alterato, venuto meno o in ogni modo – quindi anche
originariamente, come nel caso di successivo accertamento dell’insussistenza delle
caratteristiche personali esibite al tempo dell’acquisto della qualità di socio, o come nell’ipotesi
di acquisto della partecipazione, inter vivos o mortis causa, da parte di chi sia già in partenza privo
di tali caratteristiche (ovviamente, sempre che la clausola, in quanto propriamente “statutaria”
sia a questi opponibile) – in effetti mancante. Con il vantaggio, peraltro, rispetto alle tecniche di
esclusione precedentemente considerate, e con specifico riferimento le clausole di riscatto c.d.
“non finalizzato” alla riduzione del capitale, rappresentato per il soggetto di ci il potere è
attribuito dalla possibilità (non soltanto, come si diceva, di sottrarre al socio le partecipazioni
azionarie, bensì anche) di conseguire in tal modo la disponibilità delle azioni riscattate, quindi
anche di ricollocarle in seguito presso eventuali acquirenti, i quali appaiano in grado di
soddisfare i profili personali specificamente richiesti per assumere e conservare la titolarità della
partecipazione. La clausola di riscatto si rivela allora, in quest’ottica, quale mezzo tecnico di un
interesse sostanzialmente diretto a realizzare un rigoroso controllo sulla composizione della
compagine sociale…».
(11) In questa ipotesi peraltro troverà applicazione l’art. 104 del d. lgs. 18 febbraio
1998, n. 58 TUF (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) per
effetto del quale l’autorizzazione a riscattare le azioni sarà subordinata alla deliberazione
dell’assemblea degli azionisti assunta con una maggioranza del 30% del capitale sociale.
(12) Si tratta, a quanto consta, del meccanismo disciplinato dallo statuto di Telco
S.p.A. (“Telco”) la società che controlla (direttamente e indirettamente, tramite Olimpia S.p.A.)
circa il 23,5% del capitale sociale di Telecom Italia S.p.A. (la “Partecipazione TI”). La struttura
finanziaria di Telco S.p.A. prevede l’emissione di due categorie di azioni “A” e “B”, entrambe
riscattabili e differenziate sotto altri profili. Lo statuto peraltro prevede che, nel caso in cui
l’assemblea di Telco abbia aderito ad una eventuale offerta pubblica di acquisto avente ad
oggetto la Partecipazione TI, il socio dissenziente che abbia fatto verbalizzare il proprio
dissenso ha la facoltà di riscattare tutte (e non solamente una porzione delle) azioni riscattabili
di categoria “A” e/o di categoria “B” di cui sono titolari i soci che hanno prestato il proprio
consenso ad aderire all’offerta.
145
CAPITOLO III
passaggio generazionale nella gestione di società di piccole dimensioni, laddove si
ammetta la partecipazione di una società di capitali come unico accomandatario
di una società in accomandita semplice: ci si riferisce all’ipotesi – recentemente
analizzata in letteratura – degli eredi di un socio accomandatario che, non
ancora pronto ad assumere la gestione della società, affidino tale compito a una
persona giuridica all’uopo costituita – la società di capitali, per l’appunto – che
sia titolare di azioni riscattabili da parte degli eredi dopo un certo periodo di
tempo (13).
Le azioni riscattabili così come disciplinate dall’art. 2437-sexies non
sembrano invece assolvere ad altre funzioni quali quelle relative di impedire al
socio di non restare “prigioniero della propria partecipazione” o di permettere
un rapido disinvestimento della propria partecipazione. Sul punto si tornerà, tra
breve, in occasione dell’esame delle azioni redimibili (14).
2. L’evoluzione storica delle azioni riscattabili: dalla normativa
comunitaria alle pronunce giurisprudenziali dei giudici nazionali.
Affrontato il tema della funzione del riscatto e richiamate alcune
considerazioni di stampo più strettamente economico, pare ora doveroso
trattare il tema alla luce della applicazione pratica che di esso è stato fatta dalla
giurisprudenza prima delle riforma del diritto societario. Ancor prima di
prendere in esame una delle poche (e più significative) pronunce che si sono
espresse sul punto, è bene ricordare che la normativa comunitaria ha giocato
un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’istituto, riconoscendolo in diversi
(13) Ha ispirato l’esempio formulato nel testo il recente intervento di U. TOMBARI, La
partecipazione di società di capitali in società di persone come «nuovo modello» di organizzazione dell’attività di
impresa, in Riv. Soc., 2006, p. 185, laddove a p. 204, viene rilevato che «[la partecipazione di una
società di capitali in una di persone nella qualità di socio-amministratore]…potrà essere
proficuamente utilizzato in realtà anche molto diverse l’una dall’altra, come il gruppo di
imprese o le società familiari. Al riguardo, si pensi, ad esempio, alla possibilità di utilizzare
questa figura per risolvere problemi dinastici e generazionali: dopo la morte di un
accomandatario gli eredi possono non essere pronti per assumere questo ruolo, potendosi
allora prospettare opportuno affidare l’amministrazione ad una GmbH & Co. appositamente
costituita, con l’accordo che l’erede potrà acquistare le quote dell’accomandatario-persona
giuridica dopo un certo numero di anni (ad esempio, mediante l’esercizio di una clausola di
riscatto o di una opzione c.d. call)».
(14) Cfr. infra, cap. IV.
146
Azioni riscattabili
ambiti sia con riferimento alle azioni riscattabili, sia intendendolo come obbligo
di riscatto o di riacquisto (obbligatorio) dei titoli.
Quanto al primo profilo il riferimento è all’art. 39 della seconda direttiva
che legittima l’emissione di azioni riscattabili prevedendo, in particolare, che
l’emissione di azioni riscattabili sia preventivamente autorizzata dallo statuto o
dall’atto costitutivo, il quale ne deve disciplinare le condizioni di emissione e le
modalità con cui eseguire il riscatto (15). Il legislatore comunitario ha tuttavia
previsto alcune limitazioni all’autonomia statutaria: che possano essere
riscattate solamente le azioni emesse successivamente all’introduzione della
previsione statutaria che autorizza il riscatto; che il prezzo di riscatto sia pagato
esclusivamente con le somme liberamente distribuibili dalla società o derivanti
dalla sottoscrizione di nuove azioni, non necessariamente riscattabili, emesse a
servizio del riscatto; che sia costituita una riserva indisponibile per un importo
pari al valore nominale delle azioni riscattate, fatta eccezione per l’ipotesi in cui
il corrispettivo del riscatto sia pagato con le somme raccolte in seguito alla
emissione di azioni a servizio; che il riscatto sia, infine, oggetto di pubblicità
secondo le previsioni di cui all’articolo 3 della prima direttiva (16).
A tale proposito merita attenzione il fatto che la disposizione, in primo
luogo, non prevede la possibilità che il riscatto possa essere configurato in
modo tale da consentire l’emissione di azioni che incorporino, per chi ne è
(15) Si vedano, in particolare, i commenti di G. FERRI, La seconda direttiva comunitaria in
materia di società, in Riv. dir. comm., 1997, I, p. 58 e ss.; nonché AA. VV., Un progetto di attuazione
della seconda direttiva CEE, a cura di Colombo, Liguori, Nobili, in Riv. Soc., 1978, p. 1678.
(16) L’art. 3 della Prima dir. soc. 68/151/CEE del 9 marzo 1968 (v. G. BENACCHIO,
Diritto privato della Comunità Europea, Padova, 2004, p. 221) disciplina le modalità di attuazione
della pubblicità prescritta dalle disposizioni della direttiva medesima e prevede due strumenti di
pubblicità: un fascicolo o registro, centrale o localizzato presso il registro di commercio
competente) nel quale vengono trascritti tutti gli atti e le indicazioni contenute nell’art. 2 (ai
sensi del quale la pubblicità deve consentire ai terzi di conoscere gli atti essenziali della società,
certe indicazioni che la concernono e le generalità delle persone che hanno il potere di
obbligarla); e un bollettino nazionale nel quale vengono pubblicati tutti gli atti e le indicazioni
soggetti alla pubblicità e che può essere sostituito dai singoli Stati membri con strumenti
equivalenti. Se segnala peraltro che per effetto delle modifiche introdotte dalla direttiva
2003/58/CE, gli Stati membri hanno l’obbligo di fare sì che, entro il 1 gennaio 2007, gli atti
oggetto di pubblicità possano essere registrati in via elettronica. Tale disposizioni troverà
applicazioni per gli atti e le informazioni registrati dopo il 31 dicembre 2006, mentre per quelli
registrati su supporto cartaceo prima di tale date gli Stati membri dovranno assicurare una
conversione su formato elettronico a fronte di specifica richiesta di pubblicità per via
elettronica.
147
CAPITOLO III
titolare, il diritto al riscatto e, quindi, in modo tale da relegare la società o gli
altri soci in una posizione di soggezione: la direttiva comunitaria, dunque, non
disciplina la diversa fattispecie delle azioni redimibili con riguardo alla cui
emissione potrebbe porsi dunque il dubbio della sua legittimità. Un altro
aspetto interessante è costituito dal fatto che nulla si dica in merito alla
valorizzazione delle azioni in sede di esercizio del riscatto: la disposizione si
preoccupa semplicemente di prevedere, da una parte, che il riscatto non sia di
eccessivo detrimento per il patrimonio sociale e, dall’altra parte, che i terzi
siano messi a conoscenza del fatto che le azioni oggetto di alienazione si
connotano per un onere a loro carico.
Sebbene la disposizione disciplinasse l’istituto in modo tale da tenere
conto sia della posizione degli azionisti - non essendo consentita l’introduzione
in via successiva di un diritto di riscatto avente ad oggetto azioni già emesse –
sia la tutela del patrimonio della società – avuto riguardo alle previsioni relative
al pagamento del corrispettivo per le azioni riscattate – sia, infine, la protezione
di terzi potenziali acquirenti delle azioni riscattabili, sino al 2003 il legislatore
interno non aveva ritenuto opportuno prevedere l’attuazione di questa
disposizione.
D’altro canto, anche in letteratura si era registrato un atteggiamento
non del tutto positivo rispetto alle previsioni dell’art. 39 (17). L’affermazione più
(17) Va peraltro rilevato che, accanto al meccanismo disciplinato dall’art. 39, il
meccanismo del riscatto è stato oggetto delle meditazioni di un gruppo di esperti che,
sollecitato dalla Commissione europea, ha avviato un esame per introdurre alcune modifiche
che rendano le regole contenute nella seconda direttiva maggiormente flessibili e che siano
caratterizzate da un favor verso la raccolta di risorse finanziarie da parte delle società. Si tratta
dell’iniziativa denominata «SLIM – Semplification of the Legislation on the Internal market» che ha
consentito a un gruppo di esperti appartenenti a vari Stati Membri (c.d «High Level Group of
Company Law Experts») di presentare, nel 2002, una Relazione Finale (Report of the High Level
Group of Company Law Experts on a Modern Regulatory Framework for Company Law in Europe) e di
mettere la Commissione in grado di proporre, nel 2004, una proposta di direttiva contenente
alcune modifiche alla seconda direttiva e attualmente all’esame del Parlamento e del Consiglio
Europeo. Si veda altresì COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO DEL
PARLAMENTO EUROPEO, Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell’Unione
europea – Un piano per progredire; nonché DIRECTORATE GENERAL FOR INTERNAL MARKET AND
SERVICES, Consultation on future priorities for the action plan on modernising company law and enhancing
corporate governance in the European Union, entrambi consultabili sul sito www.europa.eu.. In tale
frangente, il riscatto è stato inteso come strumento di tutela delle minoranze e se ne è sancita la
configurabilità non come diritto di riscatto di azioni da parte della società o dei soci diversi dai
148
Azioni riscattabili
frequente in dottrina era infatti diretta a ritenere che le azioni riscattabili
fossero già comprese nel sistema di regole del diritto societario, senza necessità
di ricorrere alla norma comunitaria. Se alcuni autori si limitavano ad avanzare
tale affermazione senza approfondire il tema (18), altri ritenevano che le azioni
riscattabili fossero implicitamente riconosciute nell’ordinamento in ragione
dell’art. 2357, commi 1 e 3 c.c. (l’attuale art. 2357 bis cc.) (19), mentre altri si
spingevano oltre, ritenendo che l’istituto in questione fosse una sorta di
doppione del meccanismo di ammortamento del capitale sociale mediante
attribuzione di azioni di godimento agli azionisti che hanno già ottenuto la loro
liquidazione, affermandone quindi un implicito riconoscimento nel sistema di
loro titolari, bensì come obbligo, per questi ultimi, di provvedere al riacquisto delle azioni
simmetricamente a quanto previsto dagli articoli 15 e 16 della tredicesima direttiva in materia di
offerte pubbliche di acquisto, riconoscendo pertanto un diritto al disinvestimento che completa
le previsioni di cui all’art. 39 e sancendo la compatibilità del riscatto anche con la struttura
aperta della società quotate.
Per una sintetica ricostruzione delle tappe che hanno condotto all’approvazione della
nuova versione della seconda direttiva si consenta di rinviare a M. L. VITALI, La nuova seconda
direttiva: conferimenti, assistenza finanziaria e tutela «standardizzata» dei creditori sociali, in Riv. Soc., 2006,
p. 1166.Si veda sul punto il commento di M. CASSOTTANA - A. NUZZO, Lezioni, pp. 87-89 i
quali rilevano «…per completare le disposizioni della Seconda dir. soc. relative alla riduzione
del capitale mediante ammortamento delle azioni nonché l’emissione di azioni riscattabili, la
proposta prevede, per le società con azioni quotate sui mercati regolamentati, l’introduzione
del diritto di «squeeze-out» e di «sell-out». Gli stati membri dovrebbero assicurare all’azionista che
detiene una quota del capitale di una società quotata tra il 90% e il 95% (denominato «azionista
di maggioranza») il diritto di esigere che gli altri azionisti (denominati «azionisti di minoranza»)
gli vendano le azioni ad un prezzo equo. Gli azionisti di minoranza possono pretendere che
l’equità del prezzo venga valutata da un’autorità amministrativa o giudiziaria indipendente o da
un esperto indipendente da esse nominato entro tre mesi dalla sollecitazione alla vendita con
comunicazione del prezzo (così il nuovo art. 39-bis). Simmetricamente il nuovo art. 39-ter
prevede che gli Stati membri assicurino agli azionisti di minoranza di una società con azioni
quotate sui mercati regolamenti il diritto di esigere singolarmente o congiuntamente, che
l’azionista di maggioranza acquisti le azioni da essi detenute ad un prezzo equo…Gli
istituti…potrebbero allora essere applicabili in tutti i casi in cui il raggiungimento della soglia
rilevante (90%-95% del capitale sociale) non dipenda da un’offerta pubblica di acquisto».
(18) G. MARASÀ, La seconda direttiva CEE in materia di società per azioni, in Riv. dir. civ.,
1978, II, p. 677.
(19) Per questa tesi si consulti AA. VV., Un progetto di attuazione, p. 1706 e ss.,
pubblicato altresì in La seconda direttiva CEE in materia societaria, a cura di L. Buttaro e A. Patroni
Griffi, Milano, 1984, p. 663 per cui sebbene si affermi che «il riscatto ex art. 39 è diverso da
quello dell’art. 2357, 3 comma attuale [ora, 2357-bis]» in quanto «…quest’ultimo può aver luogo
solo con riduzione del capitale a seguito di acquisto alla pari (o forse sotto la pari) delle azioni
da riscattare; l’art. 39 invece considera un riscatto che può essere effettuato anche sopra la pari
e senza riduzione del capitale. Per tutte queste ragioni i compilatori del Progetto ritengono che
anche la fattispecie considerata dall’art. 39 ricada, nel diritto italiano, o sotto l’art. 2357, 1°
comma attuale, o sotto l’art. 2357, 3° comma attuale [ora, art. 2357-bis], secondo le peculiari
caratteristiche del caso concreto. Dell’art. 39 pertanto non si è tenuto conto nel Progetto».
149
CAPITOLO III
assegnazione di azioni di godimento per effetto di una riduzione del capitale
sociale (20).
Sembra, tuttavia, che le opinioni sopra riportate tendano a confondere
l’oggetto delle loro critiche, in quanto una cosa è prevedere l’emissione di
azioni riscattabili, ovvero di azioni che incorporano una situazione soggettiva
di soggezione, un’altra è invece affermare che il diritto societario prevedeva
sistemi di riscatto finalizzati per lo più alla riduzione del capitale sociale. In altri
termini, sembra che la dottrina non abbia colto un elemento piuttosto rilevante
ovvero che la disposizione in esame regola uno specifico istituto – quello delle
azioni riscattabili – appartenente al diritto azionario, del tutto distinto da quelle
disposizioni richiamate a sostegno delle loro opinioni (21).
Va peraltro osservato che anche la recente approvazione della nuova
versione della secondadirettiva non ha modificato l’impianto originario dell’art.
39, né si è in qualche misura spinto a disciplinare il diverso – ma simmetrico –
istituto delle azioni riscattabili (22).
Venendo ad esaminare gli orientamenti dei tribunali nazionali in merito
(20) G. FERRI, La seconda direttiva, p. 62.
(21) Ovvero gli artt. 2357, comma 3 (ora 2357-bis) e 2357. Va rilevato che la
disposizione in esame non si riferisce alla possibilità di disciplinare tali azioni come «categoria»
con la conseguente applicazione delle disposizioni dettate a tutela dei titolari di categorie
speciali di azioni. La dottrina (v. M. CASSOTTANA – A. NUZZO, Lezioni di diritto commerciale
comunitario, Torino, 2006, p. 87) ha a tale proposito ravvisato che l’art. 39 non prevederebbe
«…in linea generale, una categoria autonoma»…posto che «…si ritiene che la riscattabilità
costituisca categoria idonea a far assurgere le azioni cui attiene al rango di categoria solo
quando dia luogo ad un vero e proprio diritto al riscatto incorporato nelle azioni medesime,
cioè quando il riscatto costituisca un obbligo del soggetto riscattante e non una mera facoltà»;
nel medesimo senso, L. CALVOSA, La riduzione del capitale, in Armonie e disarmonie del diritto
comunitario delle società di capitali, a cura di G. Campobasso, Milano, 2003, p. 892. Il punto non
pare condivisibile, posto che – come si è visto supra, cap. II, sub § 3 – la configurabilità o meno
delle azioni riscattabili come categoria non dipende dal tipo di situazione soggettiva in esse
incorporato bensì – anche secondo l’insegnamento della migliore dottrina – dal fatto che venga
emessa una pluralità di azioni, tra loro uguali ma diverse dalle altre e che «…proprio per il fatto
di questa diversità (nei confronti delle azioni già esistenti o contemporaneamente create)
veng[a] a formare una categoria» (così, A. MIGNOLI, Le assemblee speciali, Milano, 1960, p. 62),
con la conseguente applicazione di una disciplina di classe per quanto attiene in modo
particolare al pregiudizio dei diritti dei loro titolari.
(22) La nuova versione della norma comunitaria è stata approvata il 6 settembre 2006,
con direttiva 2006/68/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, è pubblicata sul GUCE del
29 settembre 2006 ed è consultabile, anche nella versione italiana, sul sito www.europa.eu.. Per
un primo commento si legga E. WYMEERSCH, The Directive amending the Second Company Law
Directive on Legal Capital, Universiteit Gent, November 2006, Working Paper Series, consultabile
sul sito www.law.ugent.be/fli.
150
Azioni riscattabili
all’ammissibilità o meno delle clausole di riscatto e delle azioni riscattabili va
ricordato che proprio la disciplina contenuta nell’art. 39 della seconda direttiva
rappresenta uno degli elementi decisivi per affermare la legittimità della loro
previsione negli statuti societari.
Facendo un passo indietro, è bene ricordare una fattispecie sottoposta
al vaglio del Tribunale e, successivamente, della Corte di Appello di Milano,
che si sono espressi sul punto in modo opposto (23).
Una società per azioni, al fine di garantirsi la collaborazione di un
proprio dirigente, provvedeva a deliberare l’acquisto di un determinato
quantitativo di azioni proprie e a trasformarle, con il consenso unanime dei
soci, in azioni con prestazioni accessorie aventi ad oggetto l’attività lavorativa
del collaboratore prestata a favore della società. Tra le modificazioni inserite
nello statuto sociale dalla delibera di cui veniva richiesta l’omologazione, si
segnala la disciplina prevista per tale categoria speciale di azioni per l’ipotesi di
inadempimento delle prestazioni accessorie da parte del socio-dirigente: a tale
proposito, si prevedeva, tra l’altro, che la società avesse la facoltà di riacquistare
le azioni in caso di interruzione per qualsiasi causa della prestazione accessoria.
Come rilevato anche dalla dottrina, la formulazione della clausola non
consentiva di stabilire se l’esercizio del riscatto rientrasse nell’originaria
formulazione dell’art. 2357, 3° comma (oggi art. 2357-bis) e se l’esercizio di tale
facoltà si sostanziasse in una forma di riscatto finalizzato oppure no (24).
Il Tribunale non omologava la delibera in base a tre argomentazioni: la
prima riconducibile alla natura eccezionale dell’esclusione del socio nella
disciplina della società per azioni che, secondo i giudici milanesi, poteva
(23) Le sentenze cui ci si riferisce sono quelle di Trib. Milano, 17 aprile 1982, (decr.),
che si oppose alla omologazione di una delibera introduttiva di una clausola di riscatto e quella
di App. Milano, 14 luglio 1982 (decr.), già richiamate supra, unitamente ai relativi commenti, alla
nota 3. Il Tribunale aveva peraltro già rigettato il ricorso per omologazione argomentando in
base al fatto che le azioni con prestazioni accessorie fossero state introdotte senza
l’approvazione dell’unanimità del capitale: ma, come rileva anche G. PRESTI, Le clausole di
«riscatto», p. 398, tale decisione era conseguenza di una svista posto che, per una parte delle
azioni, il diritto di voto era sospeso in forza del 2357- ter, comma 2, in quanto esse erano state
oggetto di acquisto da parte della medesima società emittente. Ma si ricordi anche Trib.
Genova 3 gennaio 1986, in BBTC, 1986, II, p. 427 e anche in Dir. fall., 1987, II, p. 191.
(24) Si veda sul punto il commento di G. CARCANO, Riscatto, p. 508; e anche di G.
PRESTI, Le clausole di «riscatto», p. 397.
151
CAPITOLO III
giustificarsi esclusivamente in base ad un inadempimento dell’obbligo di
effettuare i conferimenti ai sensi dell’art. 2344 o per l’ipotesi di inadempimento
di una prestazione accessoria quando ciò sia statutariamente previsto e non
quando, invece, presupposto dell’esclusione possa essere una qualsiasi causa di
interruzione della prestazione; la seconda, riguardante la dubbia ammissibilità
dell’istituto del riscatto nell’ordinamento interno, in base alla considerazione
che la formulazione dell’art. 2357, vigente all’epoca dei fatti, non prevedeva
una forma di riscatto in senso tecnico, bensì la generica possibilità di
riacquistare le azioni a seguito della riduzione del capitale sociale; il terzo
argomento,
infine,
veniva
formulato
in
relazione
alla
mancanza,
nell’ordinamento interno, di una «più precisa configurazione dell’istituto in
sede di attuazione della seconda direttiva CEE».
Una spinta decisiva verso la sanzione di ammissibilità del riscatto è
senza dubbio dovuta all’elaborazione della dottrina che, all’indomani
dell’emissione del decreto da parte dei giudici milanesi, aveva duramente
criticato la pronuncia. Contro le affermazioni del Tribunale, si sosteneva,
innanzitutto, che la clausola di riscatto non fosse in contrasto con i principi del
diritto azionario e con la lettera di alcune disposizioni, quali l’art. 2345, comma
1 in tema di azioni con prestazioni accessorie e l’art. 2610, comma 2 dettato per
disciplinare i consorzi e applicabile anche alle società consortili per azioni in
forza dell’art. 2620; che, in seconda istanza, il tentativo esperito dal Tribunale
di ricorrere alla teoria dei diritti individuali dei soci e, più in particolare, al
diritto al mantenimento dello status socii era scarsamente giustificato, ponendosi
il problema del riscatto su un piano ben diverso da quello della tutela dei diritti
dei soci nei confronti dell’esercizio del potere dispositivo dell’assemblea; che,
inoltre, la previsione di un patto di riscatto non diretto ad eseguire una
riduzione del capitale sociale fosse già implicita nel sistema; che, infine, la
legittimità dell’istituto era già stata sancita a livello comunitario dall’art. 39 della
seconda direttiva (25).
(25) Per tutti, si legga il commento di G.B. PORTALE, Azioni con prestazioni accessorie, p.
709.
152
Azioni riscattabili
In base ad argomentazioni simili a quelle utilizzate dalla dottrina, la
Corte di Appello sanciva, infine, l’ammissibilità della clausola di riscatto
prevista nello statuto della società emittente, omologando la delibera
modificativa dello statuto sociale. La decisione veniva in questo caso fondata in
base alla seguenti considerazioni: il riconoscimento dei diritti individuali dei
soci, innanzitutto, non escludeva la possibilità di prevedere statutariamente una
diversità di trattamento per alcuni di essi, fondata sulla particolare qualità della
partecipazione azionaria e rinvenibile, ad esempio, nelle azioni con prestazioni
accessorie ovvero la possibilità di assoggettare tali diritti individuali al principio
maggioritario: ciò in quanto un problema di tutela di questi diritti si pone
solamente nel caso di un «uso distorto dei poteri statutari da parte della
collettività dei soci» e, quindi, qualora il riscatto si trasformi in uno strumento
meramente espropriativo della partecipazione azionaria (26); l’individuazione da
parte dello statuto del presupposto del riscatto nell’interruzione del rapporto di
lavoro era da ritenersi coerente con l’esigenza di protezione dell’interesse
sociale perseguito tramite l’emissione di azioni riscattabili (27); la mancata
introduzione da parte del legislatore nazionale delle previsioni contenute
nell’art. 39 della seconda direttiva non era da ritenersi determinante per sancire
l’illegittimità del riscatto azionario, posto che, in ogni caso, la previsione
comunitaria aveva largamente sancito la compatibilità del riscatto con la
struttura della società azionaria: tanto più che alcuni autori avevano sostenuto
che fosse addirittura superfluo dare esecuzione alla norma, alla luce del fatto
che le disposizioni vigenti già consentivano di inserire legittimamente nello
statuto clausole idonee a garantire l’interesse sociale «mediante l’esercizio della
facoltà di ritiro forzato o di riscatto».
(26) Si legga quanto rilevato da G. PRESTI, Le clausole di «riscatto», p. 402.
(27) Così si pronuncia il collegio milanese: «Non è perciò ravvisabile alcuna
contraddizione fra la disciplina statutaria e quella prevista dall’art. 2345 c.c.. O meglio, la
possibilità di interventi di tipo genericamente sanzionatorio svincolati dai conferimenti e basati
in definitiva sulla condotta dell’inadempiente finisce per convalidare la tesi del reclamante circa
l’intuitus personae specificamente insito nel rapporto sociale, intuitus suscettibile di autonoma
protezione allorquando sia introdotta nella struttura la speciale categoria di azioni dell’art. 2345
c.c. e circa la compatibilità tra riacquisto forzato e norme cogenti».
153
CAPITOLO III
3. La «struttura finanziaria» della società per azioni nella riforma
del diritto societario. L’introduzione dell’art. 2437-sexies c.c.. Rilievi
sulla natura delle azioni riscattabili e prime osservazioni di ordine
generale. Articolazione dei temi trattati
La situazione è decisamente mutata dopo la riforma del diritto
societario che si è dichiaratamente orientata, tra l’altro, ad ampliare i canali di
finanziamento delle società per azioni (28). L’impostazione seguita dal
legislatore del 2003 si è, infatti, caratterizzata per un approccio alla struttura
finanziaria della società per azioni maggiormente flessibile rispetto al passato,
essendo diretta ad esaltare il profilo relativo alla “libera contrattazione” tra le
parti ed ispirata, infine, al concetto, d’importazione anglosassone, del «free
bargaining approach», consistente nel privilegiare norme derogabili dall’autonomia
statutaria (c.d. «default rules»), piuttosto che caratterizzate da un alto grado di
imperatività (c.d. «mandatory rules») (29). L’idea di fondo di tale mutato
(28) Si ricordi a tale proposito che la Legge 3 ottobre 2001, n. 366 - Delega al Governo
per la riforma del diritto societario (pubblicata sulla G.U. 8 ottobre 2001, n. 234) prevedeva per
l’appunto alla lett. e) dell’art. 2 che la Riforma provvedesse ad «adeguare la disciplina dei
modelli societari alle esigenze delle imprese, anche in considerazione della composizione
sociale e delle modalità di finanziamento, escludendo comunque l’introduzione di vincoli
automatici in ordine all’adozione di uno specifico modello societario».
(29) Tali principi ora paiono trovare esplicito accoglimento nell’art. 2348, 2 comma,
c.c., ispirato al principio della atipicità delle categorie di azioni Quanto al concetto di «free
bargaining» esso discende dalle teorie dell’analisi economica del diritto e si concretizza in un
modello in cui i principali “attori” della società o «key partecipants» (essenzialmente: azionisti,
creditori, lavoratori subordinati e amministratori) possono sostanzialmente “contrattare” con la
società medesima la propria posizione rispetto a quest’ultima. Nella prospettiva della analisi
economica, pertanto, gli azionisti possono negoziare la propria “protezione” all’interno della
società prevedendo, per esempio, particolari meccanismi di uscita dalla stessa nel caso in cui si
trovino in disaccordo con il management. Il concetto in commento si ispira a sua volta alla c.d.
«nexus of contracts theory» che configura la società come una rete di rapporti contrattuali, per
l’appunto negoziabili su base individuale, tra la società e i soggetti con i quali essa entra in
contatto. Per una lettura “economicista” del diritto delle società, si leggano le fondamentali
opera di F.H. EASTERBROOK - D. R. FISCHEL, L’economia, passim; B. CHEFFINS, Company Law:
Theory, Structure and Operation, Oxford, 1997, con particolare riferimento alle pp. 264-306;
nonché P.L. DAVIES, Introduction, passim; per i problemi legati alla tutela degli investitori, v.
l’imprescindibile lavoro di R. LA PORTA - F. LOPEZ DE SILANES - A. SHLEIFER - R. VISHNY,
Law and Finance, in Jour. Pol. Ec., 1998, (trad. it.), Analisi economica del diritto a cura di Fabbri,
Franzoni e Fiorentini, Roma, 1997; IID., Ownership Structure Around the World, in Jour. Fin., 1999.
In Italia, l’analisi economica del diritto è oggetto degli studi di F. DENOZZA, Norme efficienti,
passim; G. ALPA, Analisi economica del diritto privato, Milano, 1998; D. FABBRI - G. FIORENTINI - L.
FRANZONI, L’analisi economica del diritto, Roma, 1997; L.A. FRANZONI, Introduzione all’economia,
passim; nonché L. FRANZONI - D. MARCHESI, Economia e politica economica del diritto, Bologna,
154
Azioni riscattabili
atteggiamento è probabilmente riconducibile alla constatazione che le società
per azioni – sia quelle «chiuse» sia quelle «aperte», secondo la definizione
contenuta nell’art. 2325-bis c.c. – potrebbero reperire con maggiore facilità
risorse finanziarie sul mercato del capitale di rischio – con conseguente
abbattimento dei costi – in presenza di regole che consentano, con la massima
flessibilità possibile, di emettere strumenti finanziari tra loro differenziati e in
modo tale da soddisfare la più ampia gamma possibile delle esigenze degli
investitori.
Si inserisce in tale contesto il nuovo istituto delle azioni riscattabili. La
fattispecie viene disciplinata dall’art. 2437-sexies c.c., il quale, come visto,
dispone che (i) lo statuto possa prevedere, per azioni o categorie di azioni, un
potere di riscatto esercitabile da parte della società o degli altri soci; (ii) trovano
applicazione, se compatibili, alcune disposizioni dettate in tema di recesso
riguardanti, in particolare, i criteri di determinazione del valore delle azioni (art.
2437-ter cc.) e il procedimento di liquidazione (art. 2437-quater c.c.); (iii) resta
salva, infine, l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 2357 e 2357-bis
c.c., relative alla disciplina dell’acquisto delle azioni proprie.
Dalla formulazione della norma si trae pertanto che, in primo luogo, il
legislatore ha tipizzato le azioni riscattabili anche come categoria di azioni, senza
tuttavia provvedere a dettarne né una definizione, né ad individuarne la natura,
né infine a disciplinarne le modalità operative; che, in seconda battuta, è stata
valorizzata l’autonomia dei soci, in quanto un ruolo centrale è attribuito
2006; C. MARCHETTI, La «nexus of contracts theory». Teorie e visioni del diritto societario, Milano,
2000, riff. anche in C. ANGELICI, La riforma, p. 3.
Per un approfondito studio del rapporto tra «free bargaining» e strumenti finanziari
c.d. «ibridi» si veda il lavoro di M. LAMANDINI, Struttura finanziaria, p. 1 e ss. il quale, con
riferimento ai progetti di legge di riforma del diritto societario, osserva che «pur con una certa
cautela, sembra infatti potersi desumere – almeno nel metodo – un significativo
allontanamento dallo schema regolatorio di tradizione continentale, caratterizzato da una forte
componente di tipizzazione contrattuale e anelesticità della fattispecie tipizzata, a favore di
scelte maggiormente ispirate a un modello (pur temperato) di free bargaining. Ne è testimonianza
per esempio il costante richiamo al principio dell’ampliamento dell’autonomia statutaria seppur
con la previsione di limiti e condizioni, specie per le società che, pur non quotate, fanno
ricorso al mercato dei capitali»; anche M. NOTARI, Art. 2348, in Commentario alla riforma delle
società (Atto costitutivo. Conferimenti. Azioni), a cura di M. NOTARI, diretto da P. Marchetti, L.A.
Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, in corso di pubblicazione; ID., Disposizioni generali.
Conferimenti. Azioni, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale Breve, Milano, 2004.
155
CAPITOLO III
proprio allo statuto: è quest’ultimo infatti che può attribuire alla società o ai
soci (rectius: alle azioni da essi detenute) una posizione soggettiva di potere nei
confronti di altri soci, titolari di azioni riscattabili; che, in terzo luogo,
particolare attenzione è stata prestata dal legislatore alla valorizzazione delle
azioni in caso di esercizio del riscatto: in tale caso, infatti, le regole per la
determinazione del corrispettivo dovuto agli azionisti “riscattati” e la procedura
da seguire in caso di liquidazione coincidono, ove compatibili, con le
disposizioni dettate per il recesso; che, infine, il legislatore si è premurato di
prendere in considerazione anche gli interessi dei terzi, e in particolare dei
creditori sociali, avuto riguardo agli effetti che il riscatto esercitato dalla società
può produrre sul capitale: si applicano infatti – questa volta senza la necessità
di un test di compatibilità – le disposizioni contenute nella disciplina
dell’acquisto di azioni proprie (30).
A tale proposito, si possono fare alcune osservazioni.
La prima è di carattere generale: la fattispecie disciplinata dell’art. 2437sexies c.c. si presenta agli occhi dell’interprete come particolarmente complessa,
posto che il legislatore non ha offerto una disciplina completa di tale istituto,
limitandosi a predisporre alcuni limiti alla fattispecie facendo ricorso alla
tecnica del rinvio ad altre disposizioni; il legislatore, peraltro, ha richiamato le
disposizioni sul recesso e sull’acquisto di azioni proprie con modalità diverse,
prevedendo il “filtro” della clausola di compatibilità solamente nel primo caso.
Il secondo rilievo riguarda la natura delle azioni riscattabili. E’ stato
infatti osservato che, da un punto di vista finanziario, le azioni riscattabili si
presentano come uno strumento di finanziamento dell’impresa che comporta
una partecipazione al capitale della società a basso rischio e che esse –
(30) Nemmeno la Relazione al d. lgs 17 gennaio 2003, n. 6 consente all’interprete di
risolvere le suddette questioni posto che essa, da una parte, si limita a riferire quale sia stata la
filosofia sottesa alla introduzione delle azioni riscattabili nel nostro ordinamento (in merito alla
quale il legislatore sottolinea come tali azioni si siano rivelate particolarmente utili in
circostanze «come quelli in cui la partecipazione del socio si spiega alla luce di rapporti
extrasociali, per esempio di lavoro o di fornitura»); e, dall’altra parte, si premura di sottolineare
che il rinvio che l’art. 2437-sexies fa agli art. 2437-ter e quater, dettati nell’ambito della disciplina
del recesso, insieme con l’applicazione della disciplina dell’acquisto di azioni proprie, è diretto a
tutelare il capitale sociale.
156
Azioni riscattabili
soprattutto nell’ipotesi in cui si preveda che il riscatto sia esercitato in
determinati periodi o a date ex ante stabilite – si avvicinino a strumenti di debito
come le obbligazioni (31). In realtà le azioni riscattabili sono vere e proprie
azioni, rispettose del principio generale della partecipazione al rischio di
impresa e, di conseguenza, non idonee – almeno nell’ipotesi in cui i loro titolari
siano soggetti al riscatto – a violare il divieto del patto leonino (32). Accertata la
natura delle azioni riscattabili sotto questo profilo, è lecito interrogarsi anche
sulla natura del riscatto, quale diritto sociale caratterizzante azioni o una
categoria ai sensi dell’art. 2348 c.c.: a tale riguardo non è del tutto escluso che il
riscatto possa farsi rientrare tra i c.d. «diritti misti» che spartiscono alcune
caratteristiche comuni sia con i diritti di natura amministrativa sia con quelli di
natura patrimoniale (33). Con i primi il riscatto condivide, infatti, il fatto di
essere strettamente collegato con lo status socii, nel senso che, sino a quando
non viene esercitato, il titolare delle azioni riscattabili mantiene inalterata la sua
posizione all’interno dell’organizzazione sociale e può continuare ad esercitare i
diritti riconosciutigli dalla legge come, ad esempio, l’esercizio del diritto di
voto; forse più evidente è invece la caratterizzazione del riscatto dal punto di
(31) La riflessione assume particolare importanza alla luce di disposizioni quali il
comma 3 dell’art. 2411 che consente l’emissione di strumenti finanziari «comunque»
denominati per i quali il rimborso del capitale è condizionato all’andamento della società
emittente. Per l’accostamento tra azioni riscattabili e obbligazioni, si veda A. PACIELLO, Art.
2437-sexies, in Società di capitali - Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres,
Napoli, 2004, p. 1147. Il tema è stato anche affrontato dalla letteratura straniera, per la quale si
v. R. MC CORMICK - H. CREAMER, Hybrid Corporate Securities: international legal aspects, London,
1987, p. 1 ss.; J.W. HANSEN, Hybrid Securities: a Study of Securities which Combine Characteristic of
both Stocks and Bonds, in New York Un. Law Quarterly Rev., 1935-1936, p. 407 ss.; P.L. DAVIES,
Gower’s Principle of modern company law, London, 1997, p. 322; importante il risalente contributo di
H.L. WILSEY, The Use of Sinking Funds in Preferred Stock Issue, in The Jour. Of Fin., vol. 2, no. 2
(Oct., 1947), pp. 31-42, il quale sottolinea come l’utilizzo di fondi o riserve facoltative previsti
nell’accordo di emissione di azioni riscattabili garantisca ai soci titolari di tali azioni l’uscita
assicurata dal capitale sociale (in genere) ad un certo tempo data. In questo modo le azioni si
avvicinerebbero molto ai titoli di debito in quanto «When the preferred stock issue is now offered with
an dditional set of specific provisions that over a period of time guarantee that the issue will be retired the result
is to give this ownership security another of the aspects of bonded indebtedness and at the same time take from it
another of its ownership aspects. A program of this sort has as its ultimate result a shift to a common stock
financing».
(32) C.F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, Milano, 2004, pp. 170-178. In termini diversi
potrebbe invece porsi il rapporto con il divieto del patto leonino in caso di azioni redimibili,
ovvero di azioni in cui il riscatto è esercitabile ad opzione del socio garantendogli una uscita
dalla società: il tema verrà affrontato infra, cap. IV.
(33) M. NOTARI, Disposizioni generali, pp. 137-138.
157
CAPITOLO III
vista dei diritti patrimoniali: mentre, infatti, sino all’esercizio del riscatto il
titolare delle azioni continuerà ad avere diritto agli utili ed, eventualmente, alla
quota parte del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, successivamente
al suo esercizio spetterà all’azionista riscattato un corrispettivo per effetto della
liquidazione delle azioni.
Anche da un punto di vista sistematico, la disposizione lascia
l’interprete un po’ spiazzato, in quanto il legislatore non l’ha inclusa tra le
disposizioni dedicate alla disciplina del «diritto azionario», comprendendola
nella sezione X del capo V del codice civile, relativa alla disciplina delle
modificazioni statutarie (34). A questo proposito, si possono avanzare alcune
ipotesi circa le ragioni di tale scelta: si potrebbe ritenere, ad esempio, che il
legislatore abbia collocato in quella sede l’art. 2437-sexies c.c. allo scopo,
piuttosto modesto, di “facilitare” il coordinamento con gli artt. 2437-ter e quater
c.c. cui la prima norma fa rinvio; oppure si potrebbe sostenere che le azioni
riscattabili siano state accostate alla disciplina del recesso, in ragione del fatto
che ne condividerebbero la natura di meccanismo finalizzato a garantire l’uscita
dalla compagine sociale, sebbene le azioni riscattabili siano utilizzabili anche
quali strumento diretto alla esclusione del socio da parte della società medesima
(35); o, infine, che si siano voluti enfatizzare gli effetti cui il riscatto di azioni
(34) L’accostamento tra il diritto di recesso e le azioni riscattabili e l’inserimento di
queste ultime nell’ambito della disciplina delle modificazioni statutarie sembra non essere
giustificabile alla luce del fatto che – a differenza di quanto accade per il recesso – nel caso
delle azioni riscattabili, l’esercizio del riscatto non dipende dalla “condotta” della società, nel
senso che non è condizionata da una decisione assunta dall’assemblea dei soci che,
generalmente, costituisce l’evento tipico (ma non l’unico) individuato dal legislatore quale
presupposto per l’esercizio del recesso e che comporta, generalmente, una modificazione del
contratto sociale tale da giustificare l’uscita del socio. Si ricordi in ogni caso che, in una
formulazione della disciplina delle azioni riscattabili, elaborata durante i lavori preparatori,
l’istituto veniva regolato dall’art. 2351-ter c.c. unitamente alle regole dettate per le azioni: v.
AAVV., La riforma, p. 1089.
(35) In effetti prima della introduzione dell’art. 2437 cc., la fattispecie delle clausole di
riscatto è stata analizzata sia nella prospettiva di esclusione del socio dalla compagine azionaria,
sia in quella del disinvestimento. Nel primo senso, si veda sul punto, il lavoro di M. PERRINO,
Le tecniche, p. 26 ss. il quale, ante riforma, svolge interessanti osservazioni in ordine all’ambito di
applicazione della clausole di riscatto nelle società per azioni consortili e cooperative,
affermando: «Ora, è invero piuttosto diffusa nella prassi statutaria di tali società la previsione di
“clausole di riscatto”, che attribuiscono cioè alla società il potere di riacquistare coattivamente
le proprie azioni in qualsivoglia caso di interruzione della prestazione; clausole che hanno
recentemente attirato l’attenzione degli interpreti, formando oggetto di un vivace dibattito,
158
Azioni riscattabili
potrebbe provocare una volta esercitato, posto che il suo esercizio da parte
della società potrebbe comportare una riduzione del capitale sociale con la
conseguente necessaria modificazione dello statuto (36). Se la scelta tra tali
opzioni non è forse determinante per l’interpretazione della norma, la
questione non pare del tutto teorica, posto che anche le ragioni della
collocazione dell’art. 2437-sexies c.c. potrebbe costituire un’utile elemento per
affrontare alcune problematiche sollevate dalla norma.
Nel presente capitolo si prenderanno in considerazione alcuni profili
relativi alla disciplina e alla interpretazione della norma, cercando di analizzare
(i) la natura del riscatto incorporato in azioni; (ii) la questione relativa alle
insieme dottrinale e giurisprudenziale in ordine alla loro ammissibilità e, in caso di soluzione
affermativa, al tipo di loro efficacia…Ma vi è di più. Vi sono ulteriori fatti, diversi
dall’inesecuzione delle prestazioni accessorie, ma altrettanto idonei a sollecitare un interesse del
gruppo all’espulsione di uno dei suoi membri – quali la morte del socio, oppure la perdita o
comunque il difetto da parte di questi di requisiti d’ordine soggettivo (ad esempio familiare o
professionale) che ne esprimano l’appartenenza ad un medesimo gruppo sociale di riferimento
– che uno sguardo allargato sulla complessa fenomenologia societaria non solo italiana,
consente di riconoscere, rispetto ai quali altri ordinamenti giuridici predispongono, ovvero
ammettono come espressione di autonomia privata, meccanismi analoghi alle summenzionate
clausole di riscatto, per ciò stesso considerate quale strumento duttile e idoneo (nella società a
struttura organizzativa capitalistica) per una adeguata composizione degli interessi in gioco»;
contra la posizione assunta da L. CALVOSA, La clausola, p. 46 e ss..
Altri autori hanno invece sottolineato l’accostamento tra il riscatto di azioni e il
recesso: in questo senso, si legga D. GALLETTI, Il recesso, p. 282. Il cit. A. approfondisce il
problema relativo alla individuazione, nel diritto societario, di istituti alternativi al recesso, in un
ottica di tutela del capitale sociale, posto che con l’art. 2437 cc. il legislatore avrebbe risolto in
maniera particolarmente rigida il conflitto di interessi fra permanenza in vita
dell’organizzazione societaria e disinvestimento del socio. Nel fare ciò il cit. A., chiedendosi
cosa potrebbe impedire la previsione di una clausola statutaria di riscatto per situazione diverse
da quelle previste dall’art. 2437 cc. e rispettosa dei limiti imposti dall’art. 2357 cc., osserva che
«Il fatto è che in contrario militano diversi argomenti: la disciplina delle azioni proprie denota
un profilo di estrema pericolosità dell’istituto (ciò che ha giustificato per lungo tempo
l’opposizione ed il divieto in altri paesi, come il Regno Unito, di porre in essere l’operazione, al
di là delle suggestioni sulla “società socia di se stessa”), ed un’esigenza di tutelare i terzi non
solo e non tanto contro le riduzioni del capitale, quanto contro l’impiego delle risorse
patrimoniali in modo idoneo a sviare ricchezza in favore dei titolari dell’impresa; così si spiega
il limite all’acquisto nei limiti del 10% del capitale, che non è posto tanto a garanzia del capitale
stesso, già operando in tal senso il limite delle risorse distribuibili, bensì pone un argine
quantitativo all’utilizzo dello strumento. Se poi si considera che in tali situazioni la titolarità in
capo ai soci recedenti di una “opzione” ad uscire dalla società e l’oggettività della situazioni
anestetizza anche l’esigenza dell’autorizzazione assembleare ex art. 2357, ben si comprende
come la clausola statutaria in questione sarebbe non omologabile, essendo in sostanza diretta
ad eludere la norma imperativa di cui all’art. 2437 c.c.»
(36) Ma si può ipotizzare anche un riscatto di azioni non seguito da una riduzione
proporzionale del capitale sociale, bensì finalizzato alla ulteriore circolazione delle azioni
riscattate. Per l’analisi del problema si rinvia, infra, cap. III, sub §§ 8 e 11.
159
CAPITOLO III
condizioni e alle modalità di esercizio del riscatto; (iii) il problema attinente alla
individuazione dei soggetti legittimati al riscatto; (iv) alla applicazione delle
disposizioni dettate in tema di recesso cui l’art. 2437-sexies c.c. fa espresso
rinvio; (v) l’ambito di applicazione della disciplina delle azioni proprie; (vi)
l’analisi di alcune ulteriori questioni interpretative, tra le quali, la tutela dei soci
e dei terzi in ordine al mancato riscatto da parte della società.
160
Azioni riscattabili
Sezione Seconda
PROFILI SOSTANZIALI DELLA FATTISPECIE
SOMMARIO: 4. Le azioni riscattabili e la clausola di prelazione. Neutralità del riscatto
rispetto alla circolazione dei titoli. – 5. Le azioni riscattabili come «categoria di
azioni» o come «azioni»: premessa. – 5.1 Le tesi relative alla configurabilità
delle azioni riscattabili come «categoria di azioni». Le azioni riscattabili come
subcategoria o come categoria in dipendenza della situazione soggettiva
incorporata nei titoli o del soggetto legittimato ad esercitare il riscatto. Critica
e conclusioni. – 5.2 Interpretazione della espressione «azioni» contenuta
nell’art. 2437-sexies c.c.: l’ipotesi del riscatto totalitario. – 6. Il problema della
«consumabilità» del diritto o dell’onere di riscatto. – 7. Le modalità e le
condizioni di esercizio del riscatto. – 7.1 Le indicazioni contenute nell’art. 39
della seconda direttiva. L’esperienza anglosassone. – 7.2 Le tesi formulate
anteriormente e successivamente alla introduzione dell’art. 2437-sexies c.c. in
merito alla previsione delle condizioni di riscatto. – 7.3 In particolare: il
problema della riscattabilità ad nutum. Prevalenza delle tesi negative.
Ammissibilità in base ad argomentazioni sistematiche. Conseguenze sul piano
applicativo. – 7.4 Esemplificazione di alcuni presupposti cui può essere
subordinato l’esercizio del riscatto. – 7.5 Ulteriori osservazioni in merito alle
condizioni del riscatto. – 8. Una questione preliminare: i soggetti legittimati ad
esercitare il riscatto. Premessa: il problema del coordinamento con l’art. 2437ter (rinvio). – 8.1 L’attribuzione del riscatto «alla società». – 8.2 L’attribuzione
del riscatto «ai soci» : modalità di attribuzione e di esercizio. – 8.3 Azioni
riscattabili ad opzione dei loro titolari: rinvio. – 8.4 L’attribuzione del riscatto
a terzi estranei alla compagine sociale. L’attribuzione “diretta”. L’attribuzione
attraverso il ricorso a schemi contrattuali.
4. Le azioni riscattabili e la clausola di prelazione. Neutralità del
riscatto rispetto alla circolazione dei titoli.
Un primo aspetto della disciplina delle azioni riscattabili riguarda la loro
natura. Si potrebbe, infatti, far strada l’idea che – analogamente a quanto
ritenuto da una parte della letteratura in merito alle clausole di prelazione –
anche la previsione del riscatto si sostanzi in una limitazione alla circolazione
delle azioni, con alcune rilevanti conseguenze sul piano della disciplina
applicabile. Il tema è gia stato affrontato in occasione dell’esame delle clausole
di riscatto ma può riproporsi anche in occasione dell’esame delle azioni
riscattabili: in questo caso, peraltro, la limitazione alla circolazione deriverebbe
non tanto da una previsione statutaria, bensì da una caratteristica intrinseca dei
titoli azionari.
161
CAPITOLO III
Il tentativo di individuare una risposta a questo quesito può pertanto
passare attraverso un raffronto tra la clausola di prelazione e le azioni
riscattabili. E’ stato, infatti, sostenuto che la clausola di prelazione avrebbe
natura ed efficacia reali, in quanto rappresenterebbe un patto tra soci inserito
nella «sfera del sociale» (1). Anche le previsioni che disciplinano le modalità di
riscatto delle azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c., d’altro canto,
finiscono pur sempre per avere rilievo organizzativo e per perseguire un assetto
di interessi che va oltre a quelli meramente individualistici dei singolo soci (2).
Il raffronto tra i due istituti può essere condotto sotto diversi profili i
più interessanti dei quali sembrano quelli che riguardano la struttura, la
funzione, i presupposti di funzionamento e, per l’appunto, la natura giuridica.
Anticipando per un momento le conclusioni, vi sono indici che depongono nel
senso che – sebbene accomunate dalla medesima natura ed efficacia reale –
esse non possano dirsi del tutto coincidenti.
Dottrina e giurisprudenza non hanno opinioni comuni in merito alla
struttura giuridica della clausola di prelazione. Una corrente di pensiero piuttosto
(1) Si veda G. RESCIO, La distinzione, p. 644 per cui «Il patto «corporativo» di
prelazione certamente gode di efficacia reale nel senso che ne sono vincolati, oltre ai soci che lo
hanno voluto, anche i soci che successivamente entreranno a far parte della compagine sociale
e che per ciò solo saranno a loro volta gravati dal medesimo obbligo»; in termini non del tutto
conformi C. ANGELICI, La circolazione della partecipazione, p. 195 per il quale alla clausola di
prelazione dovrebbe attribuirsi «l’attributo della «realità» con riferimento alla sua portata
organizzativa»» e «un’efficacia soltanto «obbligatoria» per quanto concerne la tutela di quegli
interessi individuali»; contra, F. MACCABRUNI, Clausole statutarie, p. 100, per il quale le clausole di
prelazione hanno efficacia obbligatoria. Per un richiamo al problema delle clausole statutarie
parasociali in generale e alla clausole di prelazione in particolare si veda B. MEOLI - S. SICA, I
patti parasociali, p. 608 per cui dopo la riforma del diritto societario «…si privilegia, nel rapporto
societario, la regola corporativa rispetto a quella contrattuale. L’assorbimento nell’ambito
dell’atto costitutivo o dello statuto della pattuizione sul diritto di prelazione, se per un verso
consente di attribuirle efficacia reale, per l’altro l’assoggetta alla norma della modifica a
maggioranza…La questione [relativa all’efficacia o obbligatoria delle clausole di prelazione]
potrebbe essere rimeditata in considerazione del fenomeno di ampliamento dell’autonomia
privata indotto dalla riforma del diritto societario, soprattutto per quanto riguarda le società
meno orientate verso la raccolta del capitale di rischio, ed in particolare le società a
responsabilità limitata».
(2) Ed invero tanto il criterio della destinazione del vincolo che quello degli interessi
perseguiti dalla clausola sembrano essere due utili criteri per identificare la natura reale delle
pattuizioni contenute nello statuto.
162
Azioni riscattabili
risalente l’ha ricondotta all’opzione (3), ma a tale ricostruzione si è opposto che –
a differenza dell’art. 1331 c.c. – la prelazione comporta il diritto di essere
preferito rispetto ad un terzo e non, invece, il diritto di accettare una proposta
contrattuale, senza la necessità di una nuova manifestazione del consenso (4).
La giurisprudenza di legittimità e una parte della dottrina hanno invece
qualificato la prelazione come contratto preliminare unilaterale sottoposto a condizione
sospensiva potestativa: secondo tale ricostruzione il contratto preliminare avrebbe
ad oggetto la sottoscrizione di un futuro contratto, mentre l’evento dedotto
come condizione sarebbe rappresentato dalla volontà del promittente di
concludere quel contratto (5). Anche tale orientamento è stato fortemente
criticato atteso che la condizione si sostanzierebbe in una mera comunicazione
della volontà di concludere il contratto con il terzo e non – come invece
sarebbe più corretto ritenere – nella effettiva conclusione di tale contratto; se
così fosse, peraltro, si finirebbe per subordinare l’efficacia della prelazione al
suo stesso inadempimento e, per di più, si verrebbe a creare una situazione tale
per cui l’adempimento non sarebbe più possibile (6). L’opinione più
convincente sembra in ogni caso essere quella sostenuta da una parte della
dottrina e dalla Cassazione che ne hanno affermato la natura di contratto puro e
sui generis, avente ad oggetto l’obbligo di preferire il promissario a parità di
condizioni (7). Quest’ultima sembra la ricostruzione più rispettosa della natura
della clausola di prelazione. Come si è visto in precedenza il riscatto risulta
“incorporato in azioni” non solo con riferimento al lato passivo del rapporto,
(3) In giurisprudenza, si veda Cassazione 15 febbraio 1947, in Giur. compl. Cass. Civ.,
1944, XV, p. 67; in dottrina L. LORDI, Dei contratti speciali, in Comm. c.c., diretto da M. D’Amelio
– E. Finzi, Firenze, 1947, vol. II, parte I, p. 93, nota 1.
(4) D. RUBINO, La compravendita, in Trattato dir. civ. comm., a cura di A. Cicu e F.
Messineo, Milano, 1962, p. 63.
(5) Tra le più recenti pronunce si veda Cass. 24 marzo 1998, n. 3091, in Mass. Giust.
Civ., 1998, p. 647 e Cass. 13 maggio 1982, n. 3009, in Giur. it., 1983, I, 1, col. 1534; in dottrina,
F. MESSINEO, Il contratto in genere, in Trattato dir. civ. comm., a cura di A. Cicu e F. Messineo,
Milano, 1968, p. 499.
(6) La critica è di G. GABRIELLI, Il contratto preliminare, Milano, 1970, pp. 334-335.
(7) Si tratta della ricostruzione affermata da Cass. 12 aprile 1999, n. 3571, in Riv. not.
1999, II, p. 1283; F. SANTORO PASSARELLI, Struttura e funzione della prelazione convenzionale, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1981, p. 704; M. BIANCA, Il contratto, p. 267; G. TAMBURRINO, I vincoli
unilaterali nella formazione progressiva nel contratto, Milano, 1954, p. 130.
163
CAPITOLO III
ma anche quanto al lato attivo: ciò consente di concludere nel senso che le
azioni riscattabili rivestano i caratteri del patto di opzione di acquisto sottoposto a
condizione sospensiva: il contenuto del patto tuttavia caratterizza sia le azioni
riscattabili sia quelle cui è attribuito il potere di riscatto (8). L’evento dedotto
come condizione, peraltro, varierà a seconda dell’articolazione delle previsioni
statutarie e, ovviamente, degli interessi con esse perseguiti (9).
Ulteriore carattere distintivo tra i due istituti è rappresentato anche dai
presupposti di funzionamento. La clausola di prelazione opera nel momento in
cui un socio si determina a trasferire le proprie azioni a un terzo, facoltizzando
gli altri ad acquistare, alle medesime condizioni, la partecipazione oggetto del
(potenziale) trasferimento; nel caso delle azioni riscattabili, invece, il
trasferimento delle azioni è solamente una conseguenza dell’operatività della
relativa clausola, posto che, innanzitutto, il riscatto può dipendere da eventi
molto differenziati tra loro; in secondo luogo, tali eventi non possono essere
circoscritti all’ipotesi di trasferimento delle azioni a un terzo, essendo il più
delle volte subordinato ad eventi diversi dalla manifestazione di volontà di
alienare le azioni(10).
Ne consegue una differenziazione anche sotto il profilo della funzione.
La prelazione, infatti, sembra, almeno tendenzialmente, diretta a soddisfare un
interesse dei soci alla “chiusura” della compagine sociale e a consentire agli
azionisti diversi dall’alienante di incrementare pro quota la propria
partecipazione al capitale, piuttosto che “subire” l’ingresso da parte di un terzo
estraneo alla compagine sociale (11). Come si è visto in precedenza, invece, la
(8) L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 83; L. CALVOSA, La clausola, p. 123; si
consideri anche il recente contributo di G. DE NOVA, Il diritto di recesso, passim, il quale qualifica
il recesso cui il riscatto è frequentemente assimilato come «patto di opzione».
(9) In merito ai termini e alle condizioni del riscatto, si veda infra, cap. III, sub § 7.
(10) Come correttamente rilevato da L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 83.
(11) Va, in ogni caso, ricordato che la clausola di prelazione, nella prassi, può
articolarsi in modo diverso dall’ipotesi “standard” considerata nel testo. Se si adotta il criterio
delle condizioni di vendita, si potranno avere, ad esempio, clausole che prevedono il diritto dei
soci (diversi dall’alienante) di acquistare le azioni a parità di condizioni (c.d. clausola di
prelazione «propria»): è il caso esemplificato da Cassazione, 12 gennaio 1989, n. 93, in Corr.
giur., 1989, p. 293; oppure clausole che stabiliscono un “vincolo di prezzo”, predeterminando,
quindi, le condizioni cui deve avvenire il trasferimento (c.d. clausola di prelazione «impura»). Se
si adotta il criterio dei soggetti coinvolti dalla procedura conseguentemente all’esercizio della
164
Azioni riscattabili
chiusura della compagine sociale non è che uno degli obiettivi raggiungibili da
una emissione di azioni riscattabili (12). La maggiore flessibilità del riscatto
rispetto alla prelazione si manifesta, in effetti, anche sul piano normativo.
Mentre, infatti, con l’art. 2437-sexies c.c. il legislatore ha utilizzato il
meccanismo per caratterizzare le azioni, si è servito del riscatto anche per
perseguire altri fini che esulano da quelli della fattispecie in esame. Il
prelazione, si potranno avere clausole per le quali il socio deve comunicare alla società
l’intenzione di alienare le proprie azioni che riconoscono alla società la facoltà di indicare un
acquirente ad essa gradito (si combinano in questo caso i meccanismi di prelazione e
gradimento per la cui differenza si veda, L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 44, nota 20);
clausole che escludono la società dal procedimento, per effetto delle quali il diritto è
riconosciuto direttamente in capo ai soci; e, infine, clausole che riconoscono alla medesima
società il diritto ad esercitare la prelazione. Le clausole possono essere classificate, inoltre, a
seconda del soggetto acquirente: in alcuni casi, infatti, si prevede che la prelazione operi anche nel
caso di trasferimento tra soci o a favore di società del gruppo cui appartiene l’emittente;
mentre, nella maggior parte delle ipotesi, la prelazione opera solo nel caso di trasferimento a
terzi non soci.
Risultano ammesse dalla prassi e spesso (erroneamente) assimilate alla clausole di
prelazione, anche le c.d. clausole di «tag-along» (diritto di co-vendita) o di «drag along» (obbligo di
co-vendita) per effetto delle quali, nel primo caso, il socio di minoranza ha il diritto di chiedere
al socio che intende cedere le proprie di far sì che il terzo acquirente acquisti, alle stesse
condizioni, anche i titoli del primo; mentre nella seconda ipotesi, si conviene il diritto di un
azionista di cedere anche la partecipazione di altri soci nel caso in cui intenda alienare la
propria. In questa ipotesi, rispetto alla clausola di prelazione, i due meccanismi descritti
coincidono solamente per il presupposto di funzionamento (ovvero la volontà di cedere la
partecipazione), differenziandosi sotto il profilo del meccanismo (il socio non viene preferito al
terzo come alienante) e dell’effetto (la dismissione della partecipazione in luogo dell’acquisto).
Il diritto e l’obbligo di co-vendita si differenziano poi tra loro per gli interessi perseguiti: tutela
della minoranza al disinvestimento nel primo caso, meccanismo per conseguire un “premio di
maggioranza” nella seconda ipotesi.
(12) Ma anche per il perseguimento di tale scopo, il riscatto sembra essere uno
strumento più flessibile rispetto alla prelazione, in quanto la sua attivazione non sarà
subordinata alla volontà di alienare le azioni ma a qualsiasi evento (come, ad esempio, il
mantenimento di una certa qualifica professionale) predeterminato dalla autonomia privata.
Peraltro l’emissione di azioni riscattabili potrebbe risultare uno strumento alternativo
alla prelazione: il caso è quello in cui, al momento della costituzione della società, i soci siano
consapevoli del fatto di non avere, nel breve periodo, le risorse finanziarie necessarie per
acquistare le azioni qualora uno di essi si decida ad alienarle ad un terzo. In questo caso, infatti,
l’unica via sarebbe quella di subire la diluizione della propria partecipazione e di dare ingresso
al nuovo socio. L’emissione di azioni riscattabili potrebbe invece consentire di percorrere
un’altra soluzione: il socio che ne è titolare sarebbe libero di cedere le proprie azioni ad un
terzo, ma i soci titolari delle azioni incorporanti il potere di riscatto, sarebbero messi nelle
condizioni di esercitarlo nel momento più opportuno anche successivamente all’avvenuto
trasferimento. In questo senso le azioni riscattabili avrebbero un effetto “rimediale” rispetto
alla vicenda traslativa, consentendo ai soci di “recuperare” le proprie rispettive posizioni
all’interno della compagine sociale. Concretamente questa funzione potrebbe essere svolta
apponendo un termine all’esercizio del riscatto, in modo tale da consentire ai soci “riscattanti”
o di migliorare la propria posizione finanziaria per pagarne il corrispettivo o di reperire sul
mercato risorse alternative utilizzabili a tale scopo.
165
CAPITOLO III
riferimento è all’art. 2355-bis c.c., ove il legislatore ha eletto il riscatto quale
strumento – alternativo al recesso – di “compensazione” dei soci, a fronte
dell’introduzione nello statuto di clausole che subordinano il trasferimento
delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci, in modo tale da
garantire loro un vero e proprio diritto al disinvestimento (13).
Resta ora da individuare la natura del riscatto incorporato in azioni:
l’interrogativo riguarda la possibilità che la clausola di riscatto che disciplina le
azioni emesse ex art. 2437-sexies c.c. rappresenti un limite alla circolazione delle
azioni in grado di comportare un «declassamento», a posizione di mero
interesse legittimo, del diritto soggettivo dell’acquirente le azioni soggette ad un
limite statutario alla circolazione dei titoli alla iscrizione nel libro soci (14). Si è
in precedenza escluso che le azioni riscattabili possano in qualche modo
coincidere con le previsioni di riscatto previste dall’art. 2355-bis c.c.. La norma
consente infatti allo statuto di subordinare il trasferimento delle azioni e, al
limite, di vietarne l’alienazione per la durata massima di cinque anni dalla
costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto (15).
(13) La differenza tra le azioni riscattabili e la disciplina di cui all’art. 2355-bis c.c. è
tracciata supra, cap. I, sub § 8.
(14) Così L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 28-30 il quale, adottando, secondo la
sua stessa indicazione, una formula più che altro descrittiva, afferma che «La clausola limitativa,
comunque sia formulata, rende dunque più complessa la fattispecie a seguito della quale scatta
l’obbligo della società di iscrivere nel libro dei soci il nominativo dell’acquirente della
partecipazione, poiché il procedimento legale di iscrizione viene arricchito di un sub
procedimento di origine statutaria»; si veda anche IEVA M., Le clausole limitative della circolazione
delle partecipazioni societarie: profili generali e clausole di predisposizione successoria, in Riv. Not., 2003, I, p.
1361, il quale include tra le clausole limitate alla circolazione delle azioni solo le clausole di
prelazione di gradimento; S. MARICONDA, Il trasferimento delle partecipazioni sociali ed i vincoli alla
circolazione, ivi, p. 253; nonché AA.VV., Casi e Materiali di diritto commerciale, Società per azioni,
Milano, 1974, I, p. 269; G. ZUDDAS, I limiti alla trasferibilità delle azioni nella pratica statutaria, in
Riv. Soc., 1967, p. 905; ID., I limiti statutari alla circolazione delle azioni nella riforma del diritto societario,
in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, Milano, 2005, p. 4119.
(15) La norma – che trova applicazione nel caso di azioni nominative (anche se
«dematerializzate») e di mancata emissione dei titoli azionari – richiama esplicitamente solo il
divieto di trasferimento delle azioni (comma 1) e le clausole di c.d. «mero» gradimento (comma
2); secondo l’insegnamento della prima dottrina, tuttavia, devono tendenzialmente ritenersi
incluse, oltre alle predette clausole, anche quelle di gradimento e di prelazione, come ritiene, V.
MELI, Sub art. 2355-bis, in Società di capitali - Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno
D’Alcontres, Napoli, 2004, p. 336 e ss. e spec. p. 367; suggerisce una analisi caso per caso in
ordine alle clausole di prelazione che comunque rientrerebbero nell’ambito dell’art. 2355-bis, P.
DAL SOGLIO, Art. 2355-bis, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, I, Padova,
2005, p. 355 per cui «malgrado non siano tipizzate, per le clausole di prelazione, quelle
166
Azioni riscattabili
Una risposta positiva al quesito iniziale comporterebbe senza dubbio una
compressione dell’operatività delle clausole di riscatto di azioni: dal punto di
vista procedurale, troverebbe infatti applicazione l’ultimo comma dell’art. 2355bis, con la conseguente necessità di annotare la limitazione sui titoli (16); dal
punto di vista degli effetti, inoltre, in quanto una sua introduzione o rimozione a
maggioranza legittimerebbe i soci che non hanno concorso alle relative delibere
di recedere dalla società a meno che lo statuto disponga diversamente. A tale
proposito, va rilevato che una parte della dottrina ha ritenuto che il diritto al
riscatto non rappresenterebbe un limite alla circolazione delle azioni, in quanto
non sorgerebbe di fronte ad una vicenda circolatoria ma si sostanzierebbe in un
vero e proprio strumento di espropriazione forzata della qualità di socio (17).
Altri autori hanno rilevato che le azioni riscattabili non contrastano con il
principio della libera trasferibilità dei titoli e possono liberamente circolare,
almeno sino a quando non si siano verificate le condizioni del riscatto (18). Altri
limitative al possesso azionario e quelle che fissano obiettive condizioni per l’acquisto della
qualità di socio…il limite di validità dovrà ricavarsi in negativo, caso per caso: l’invalidità – o
l’inefficacia – colpirà le clausole che, per come articolate, produrranno l’effetto di rendere il
socio prigioniero del suo titolo»; a favore dell’inclusione delle clausole di prelazione si esprime
anche A. DENTAMARO, Sub Art. 2355-bis, in Il nuovo diritto societario, commentario diretto da
Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna, 2004, p. 382; A. FERRUCCI – C.
FERRENTINO, Le società, p. 442 e ss.. Per un inquadramento generale dei limiti alla circolazione
delle azioni si veda sul punto M. NOTARI, Disposizioni generali, p. 152.
Ai sensi dell’art. 2355-bis u.c., l’ambito della norma si estende anche all’ipotesi di
clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle
azioni, salvo che sia stato previsto e sia stato concesso il gradimento.
(16) La «limitazione» di cui all’ultimo comma dell’art. 2355-bis c.c. si riferisce,
evidentemente, alla previsione di limiti alla circolazione delle azioni o di clausole di gradimento,
anche mero. Più ampia è invece la nozione di «vincoli» spesso utilizzata nella prassi
contrattuale: sul punto, v. F. BRIOLINI, I vincoli sui titoli di credito, Torino, 2002, p. 344 e ss..
(17) In questi termini, D. U. SANTOSUOSSO, Il principio, p. 309.
(18) In questo senso, si esprime L. CALVOSA, La clausola, p. 44 e ss. e spec. p. 116, per
cui «La clausola di riscatto non si atteggia come vero e proprio limite (e tanto meno assoluto)
alla circolazione delle azioni: si consideri che, salvo che sia diversamente disposto in virtù di
una combinazione di clausole…le azioni, ancorché riscattabili, possono circolare
liberamente…La previsione del riscatto…non incide astrattamente sulla caratteristica della
libertà di circolazione delle azioni propria del tipo, e comunque non incide su di essa in misura
maggiore rispetto a quanto possa incidervi la previsione di clausole limitative ritenute
ammissibile. Del resto, il riscatto convenzionale, quale che sia la finalità cui esso sia
preordinato, mira per lo più a soddisfare l’interesse sociale, anche se poi quest’ultimo può
essere strumentalizzato dal gruppo di controllo che, mediante interventi statutari ed
extrastatutari, tende ad impedire l’avvicendamento di altre forze all’interno della società e a
mantenere inalterata la situazione di potere esistente». Peraltro, l’a. ritiene che «il vincolo
conseguente alla riscattabilità delle azioni risulta essere invero, per un verso più ampio e, per
167
CAPITOLO III
ancora, infine, hanno ritenuto che la clausola di riscatto non rappresenti un
limite alla iscrizione nel libro dei soci – e quindi un limite alla circolazione delle
azioni – bensì sia un meccanismo di impulso alla circolazione dei titoli (19). La
conclusione raggiunta in merito alle clausole di riscatto sembra valere, a
maggior ragione, per le azioni riscattabili (20). L’eventuale esercizio del riscatto
da parte di chi vi è legittimato non è infatti idoneo ad incidere sul
perfezionamento della vicenda traslativa dei titoli. Piuttosto, una volta che il
riscatto venga esercitato si verificherà un ulteriore trasferimento delle azioni del
tutto autonomo, tuttavia, rispetto al primo.
Si consideri, ad esempio, l’ipotesi in cui Tizio sia titolare di azioni di
categoria “A” emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. e Caio abbia a sua volta
sottoscritto azioni di categoria “B”, incorporanti il potere di riscattare le azioni
“A”. Si ipotizzi anche che Tizio trovi sul mercato un terzo disposto ad
acquistare le sue azioni. In attesa che si verifichi l’evento previsto dallo statuto
altro verso, più ristretto: più ristretto, perché appunto, come appena ricordato, esso non
esclude di per sé la libera circolabilità dell’azione; più ampio, perché, a differenza dei limiti
convenzionali alla circolazione che operano solo nel caso in cui il socio si determini al
trasferimento, il riscatto può verificarsi indipendentemente dal consenso del socio, dal quale
anzi sembra del tutto prescindere»; contra, F. FERRARA JR – F. CORSI, Gli imprenditori e le società,
2003, Milano, p. 478, i quali si riferiscono al riscatto come a una forma di limitazione della
circolazione delle azioni “relativa”, nel senso che comporta il trasferimento delle azioni a
favore di alcuni soggetti soltanto; ma si rilevi che, nell’edizione più recente (tredicesima), gli aa.
affermano che la clausola di riscatto rappresenterebbe «una forma non tanto di limitazione alla
circolazione quanto di vera e propria espropriazione».
(19) Così L. STANGHELLINI, I limiti statutari, p. 80, il quale giunge a tale conclusione in
base ad un esame dei tratti tipici delle clausole di riscatto osservando che «…a) un primo
elemento di qualificazione attiene ai presupposti di operatività della clausola di riscatto: vi sono
clausole in forza delle quali il trasferimento delle partecipazioni si produce in modo automatico
al verificarsi di un determinato evento e clausole in forza delle quali il trasferimento delle
partecipazioni avviene a seguito di una manifestazione di volontà dei soggetti interessarti; b) un
secondo elemento di qualificazione attiene all’evento preso in considerazione dalla clausola
come condizione di operatività: vi sono clausole che scattano a fronte di eventi al di là della
sfera di controllo delle parti al trasferimento…e clausole che scattano a fronte di eventi che si
trovano entro la sfera di controllo di una di esse…; c) un terzo elemento di
qualificazione…attiene al soggetto che manifesta la volontà: si distingue infatti a seconda che la
manifestazione provenga da colui che, secondo la clausola, ha diritto di acquistare le
partecipazioni (c.d. clausola «call») oppure provenga da colui che, secondo la clausola, ha diritto
di farsi acquistare le partecipazioni (clausola di «put»)»;
(20) Ben diverso è il problema, non trattato nel presente studio, relativo alla possibilità
di includere il riscatto nella nozione di «ogni altro vincolo» di cui all’art. 1997: pare corretto
sposare la soluzione negativa come sembra potersi concludere in base alle considerazioni,
elaborate in tema di clausole di prelazione e di gradimento, da parte di F. BRIOLINI, I vincoli, pp.
151-158.
168
Azioni riscattabili
per esercitare il riscatto sulle azioni “A”, il terzo ne diviene titolare, senza che si
possa registrare alcuna interferenza nella circolazione dei titoli compravenduti;
anzi, proprio per effetto dell’avvenuto trasferimento, il terzo è legittimato ad
opporre l’acquisto delle azioni alla società e a pretendere l’iscrizione nel libro
soci. Solo nell’ipotesi in cui – realizzatasi la condizioni di riscatto – Caio si
determini ad esercitare il riscatto, il terzo sarà costretto a ritrasferire i titoli
appena ceduti al titolare delle azioni “B”. Tale evento, tuttavia, è solo eventuale
in quanto la condizione prevista per l’esercizio del riscatto potrebbe non
verificarsi mai; oppure Caio potrebbe decidere di non “sfruttare” il carattere
per così dire “riscattante” delle sue azioni, attivatosi in seguito al verificarsi
dell’evento previsto in statuto.
Quanto detto, ovviamente, non esclude che lo statuto combini
l’emissione di azioni riscattabili con clausole comportanti una limitazione
effettiva delle circolazione dei titoli; né che le clausole di riscatto siano
configurate in modo tale da avere quale effetto quello di rendere più
difficoltosa la circolazione delle azioni cui esso accede. Un esempio che pare
ben rappresentare entrambe le situazioni è dato dall’ipotesi in cui uno statuto
preveda l’emissione di azioni riscattabili dalla società nel caso in cui i titolari
delle azioni superino – individualmente o in aggregato – determinate soglie
percentuali del capitale sociale oppure a predeterminate scadenze temporali (21).
Anche in queste due situazioni il riscatto non si “comporta” come un limite alla
circolazione delle azioni. Queste potranno essere liberamente trasferite dai
rispettivi titolari; l’ostacolo alla circolazione può dipendere invece dai concreti
interessi perseguiti dai potenziali acquirenti della partecipazione: questi ultimi
dovranno valutare con attenzione la circostanza di non poter superare i limiti
alla partecipazione al capitale della società previsti in statuto, senza il rischio di
subire il riscatto; e, ugualmente, dovranno tenere in conto di non poter
(21) La clausola potrebbe assumere il seguente tenore «La società Alfa potrà riscattare
le azioni detenute dai soci Tizio e Caio nelle seguenti ipotesi; (i) qualora la percentuale del
capitale sociale posseduta da ciascuno di essi superi il 12% e, in tale caso, il riscatto avrà ad
oggetto un numero di azioni di Tizio e Caio tale da consentire a ciascuno di essi di mantenere
inalterata detta soglia di partecipazione al capitale della società; (ii) in ogni caso alle scadenze
stabilite dal piano di riscatto di cui al comma successivo».
169
CAPITOLO III
mantenere la propria partecipazione oltre il periodo di tempo prescritto,
secondo il piano di ammortamento concordato con i soci.
Quest’ultimo effetto dunque, oltre ad essere eventuale è, a quanto
parrebbe, solamente indiretto, dipendendo più che dalla struttura del riscatto in
sé, dalla volontà degli acquirenti.
5. Le azioni riscattabili come «categoria di azioni» o come
«azioni»: premessa.
Nel capitolo II si è affrontato il problema relativo alla compatibilità
dell’espressione «diritti diversi», contenuta nell’art. 2348 c.c., con la
configurabilità delle azioni riscattabili intesta come autonoma categoria di
azioni. Ci si è, in particolare, interrogati circa la possibilità di interpretare tale
locuzione in modo ampio, tale, quindi, da potervi comprendere non solo
posizioni giuridiche attive ma anche posizioni passive come quella di
soggezione alla potestà altrui. E’, infatti, evidente che il titolare di azioni
riscattabili emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. si trovi in una posizione di
quest’ultimo tipo nei confronti – a seconda dei casi – della società o degli altri
soci cui sia stato riconosciuto dallo statuto un potere di riscatto – nel caso di
attribuzione ai soci incorporato nelle stesse azioni – e che, pertanto, solamente
una interpretazione analoga a quella suggerita potrebbe consentire di conciliare
la lettera dell’art. 2437-sexies c.c. con il principio contenuto nell’art. 2348,
comma 2, c.c.. Si è quindi concluso nel senso che una nozione ampia del
concetto «diritti diversi» sarebbe compatibile con la nozione di «categoria di
azioni», alla luce della circostanza che i diritti soggettivi si pongono, nell’ambito
del fenomeno associativo rappresentato dal contratto sociale, in modo del tutto
peculiare rispetto a quello del diritto generale dei contratti (22).
(22) Cfr. supra, cap. II, sub § 2. Si vedano sul punto P. FERRO-LUZZI, I contratti
associativi, Milano, 1971 e 2005 (rist.), p. 234 e ss. e spec. p. 239-240 per cui «A nostro avviso il
diritto soggettivo, proprio per quelle sue caratteristiche che assia chiaramente emergono ove
costruito obbiettivamente in termini di qualificazione, ma che sono proprie della figura
comunque intesa o costruita, di fenomeno in sé chiuso, perfetto e definito, il che è poi coerente
al momento individualistico dell’esperienza giuridica che il concetto stesso esprime
costantemente, è del tutto inidoneo a costituire non tanto la difesa, che in fondo porre un
170
Azioni riscattabili
Ciò detto, si intende svolgere qualche ulteriore considerazione circa
l’idoneità e l’effettiva praticabilità della configurazione del riscatto come elemento
idoneo a qualificare le azioni sia come categoria sia, semplicemente, come azioni
riscattabili.
5.1 Le tesi relative alla configurabilità delle azioni riscattabili come «categoria di
azioni». Le azioni riscattabili come subcategoria o come categoria in dipendenza della
situazione soggettiva incorporata nei titoli o del soggetto legittimato ad esercitare il riscatto.
Critica e conclusioni.
A differenza dell’art. 39 della seconda direttiva – il quale fa
semplicemente riferimento all’emissione di «azioni riscattabili», senza
specificare se possano essere emesse come un’autonoma categoria o come
azioni “singole” – la lettera dell’art. 2437-sexies c.c. lascia aperte entrambe le
opzioni: la norma, infatti, parla esplicitamente di azioni o categorie di azioni in
relazione alle quali lo statuto preveda un potere di riscatto in capo alla società o
ai soci.
Ad una prima analisi, pertanto, la norma non sembra lasciare spazio a
dubbi interpretativi in quanto parrebbe affermare che all’autonomia statutaria è
concessa un’alternativa secca in ragione della quale le azioni riscattabili possono,
ma non necessariamente debbono, costituire una categoria di azioni. Nonostante
questa impressione, va segnalato come la letteratura si sia pronunciata in modo
assolutamente difforme sulla questione.
Al riguardo le scuole di pensiero sul punto possono sostanzialmente
ricondursi a due gruppi: uno, che ricostruisce la disposizione in parola
problema di difesa è porsi a priori in una posizione rinunciataria, ma a rappresentare la stessa
posizione di base del partecipante all’organizzazione; in sintesi ove vi è il diritto soggettivo in
senso proprio si è per noi fuori o al termine del fenomeno associativo»; l’A. è anche citato da
M. NOTARI, Le categorie speciali, p. 602, per il quale la nozione di categoria di azioni «[è] volta
all’applicazione di un procedimento decisionale collegiale e maggioritario in tutti i casi in cui le
prerogative comuni ad un gruppo di azioni siano potenzialmente pregiudicate da una decisione
dell’assemblea (in tal senso) generale degli azionisti. Se questa è la ratio dell’istituto, e se più in
particolare esso è finalizzato a non vincolare la società al necessario consenso di ogni singolo
azionista titolare di azioni aventi diritti diversi, dovrebbe coerentemente ravvisarsi la medesima
finalità ogni qual volta la complessiva posizione giuridica insita in alcune partecipazioni
azionarie diverga da altre, sia in senso qualitativo, sia in senso quantitativo, tanto in melius
quanto in peius».
171
CAPITOLO III
basandosi sulla natura del riscatto e, in particolare, sulle diverse caratteristiche
di questo meccanismo rispetto ad altri “diritti” tipizzati dal legislatore e
concernenti, ad esempio, la diversa articolazione dei diritti patrimoniali (art.
2350, c.c.) e dei diritti amministrativi (art. 2351, c.c.); l’altra che, invece, fa leva
sul dato letterale dell’art. 2437-sexies c.c., verosimilmente influenzata dalla
visione contrattualista della società alla luce della quale qualsiasi tipo di
posizione giuridica, diritto, potestà, facoltà o soggezione potrebbe, in astratto,
essere contenuto nella partecipazione sociale.
Con riguardo al primo orientamento, si è infatti sostenuto che con le azioni
riscattabili ci si troverebbe sempre al di fuori della nozione di categoria di azioni,
indipendentemente dal soggetto a cui il potere di riscatto viene riconosciuto
dall’autonomia statutaria (23). Tale orientamento, probabilmente, intende la
norma nel senso che l’autonomia statutaria può prevedere un potere di riscatto
e che tale potere è esercitabile nei confronti di azioni la cui riscattabilità
costituisce un attributo ulteriore rispetto alle “caratteristiche base” di tali azioni.
In quanto tale la riscattabilità non sarebbe idonea a fondare una categoria.
A fondamento della tesi militano due argomenti di cui uno è
strettamente letterale: la norma non si riferisce mai – se non nella sua rubrica –
alle azioni riscattabili, affermando piuttosto che il potere di riscatto è attribuito
alla società o ai soci nei confronti di azioni o categorie di azioni. Si tratterebbe,
dunque, di qualsiasi categoria di azioni assoggettate per disposizioni dello
statuto al riscatto. E’ per questo motivo, infatti, che una parte della letteratura
si è riferita alle azioni riscattabili come a una «sub categoria» o «pseudo
categoria», intendendo la riscattabilità come una qualità per così dire
“trasversale” rispetto alle altre categorie di azioni (24).
(23) In questo senso, M. DE ACUTIS, Il finanziamento dell’impresa societaria: i principali tratti
caratterizzanti e gli «altri strumenti finanziari partecipativi», in Le grandi opzioni della riforma del diritto e
del processo societario, a cura di G. Cian, Padova, 2004 p. 258.
(24) In questo senso, F. FERRARA - F. CORSI JR., Gli imprenditori, p. 464; in senso
analogo si esprime, A. BRACCIODIETA, La nuova, p. 157 per cui «…la categoria in esame si
presenteacome composta da azioni di una qualunque altra categoria con l’aggiunta di un onere,
costituito dal potere di riscatto…sicché ciò che caratterizza questa categoria di azioni non è un
“diritto diverso” di cui siano eventualmente forniti i titoli in questione (che, pure, potrebbe
esservi), ma un onere al quale essi sono sottoposti…»; in senso analogo, A. STAGNO
172
Azioni riscattabili
Tale conclusione è confortata dal dato comparatistici. Un’impostazione
simile è stata infatti seguita anche da altri ordinamenti, i quali hanno concepito
la riscattabilità come elemento non in grado di caratterizzare una autonoma
categoria di azioni. E’ il caso del Regno Unito in cui la versione del 1929 del
Companies Act legittimava la sola emissione di «redeemable preference shares» (25).
Anche in seguito a pressioni della dottrina, il legislatore inglese ha, tuttavia,
provveduto a modificare tale disposizione nella successiva versione del 1981
del Companies Act, consentendo anche l’emissione di autonome categorie di
azioni riscattabili (26). Una soluzione analoga è stata per un certo periodo
seguita anche da alcune legislazioni statali dell’ordinamento americano ove la
«redeemibility», poteva essere attribuita esclusivamente a preference share (27).
Questa soluzione è stata peraltro confermata, dapprima, nel Companies Act 1985
e, da ultimo, dalla recente riforma del diritto societario sfociata nel Companies
Act 2006. Anche in altri ordinamenti, come quello olandese, la legge non vieta
l’emisisone di azioni riscattabili tout cour, ma la dottrina intende generalmente la
riscattabilità (Intrekking) come una qualità aggiuntiva di altre categorie di azioni
(28). In Portogallo, invece, è stata adottata una soluzione più rigida: è il
legislatore, infatti, che prevede che le azioni riscattabili debbano anche essere
privilegiate ovvero «acciones beneficiadas por algun privilegio patrimonial» (29).
All’interno del primo orientamento, si è anche registrata l’opinione di
chi ritiene che le azioni riscattabili possono certamente costituire una categoria
D’ALCONTRES, Art. 2350, p. 296 per cui «E’ superfluo chiedersi, a questo punto se sia corretto
ritenere che azioni qualificate esclusivamente dall’attribuzione del diritto di riscatto possano
costituire una speciale categoria. Alla luce di quanto detto la risposta dovrebbe essere
negativa…».
(25) Si veda E.V. FERRAN, Company Law and Corporate Finance, Oxford, 1999, p. 327.
(26) Ci si riferisce alle osservazioni formulate, a proposito della struttura finanziaria
delle piccole società, dalla commissione presieduta da Sir Harold Wilson e al documento
predisposto da quest’ultima intitolato Committee to review the functioning of financial institutions interim
report on the financing of small firms, 1979, sub § 17 e a quanto affermato dal Dipartimento del
Commercio e dell’Industria: si veda DEPARTMENT OF TRADE INDUSTRY, The purchase by a
company of its own shares, 1980 (Consultative document).
(27) Sul punto, si rinvia supra, cap. II, sub § 3.3, note 95 e 96.
(28) V. S.R. SCHUIT, Corporate Law and Practice of the Netherlands, The Hague, London,
Boston, 1998, p. 64.
(29) Cfr. P. OLAVO CUHNA, Os direitos especiais das sociedades anónimas: as acções
privilegiadas, Coimbra, 1993, pp. 201-202.
173
CAPITOLO III
autonoma di azioni, con la conseguente applicazione della disciplina di
protezione prevista dall’art. 2376, ma solamente nel caso in cui attribuiscano un
potere di pretendere il riscatto dei propri titoli. Non sarebbe questo dunque il
caso delle azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.: la fattispecie, infatti,
presuppone che lo statuto attribuisca il potere di riscattare e non, invece, il
diritto a vedere riscattate le proprie azioni.
Una variante di tale orientamento – spingendosi oltre al profilo relativo
alla posizione soggettiva rivestita dal titolare delle azioni e valorizzando anche
quello attinente il soggetto legittimato al riscatto – ha sostenuto che il riscatto
sia idoneo a contraddistinguere una categoria di azioni ad una duplice
condizione: che il riscatto sia configurato come potere di pretendere il riscatto delle
proprie azioni e che esso sia attribuito ai soli soci (30). La tesi, infatti, viene
argomentata considerando che – nelle ipotesi in cui il riscatto venisse attribuito
alla società – ci si troverebbe al di fuori dell’art. 2348, 2 comma, posto che il
diritto verrebbe riconosciuto ad un ente – la società per l’appunto – non preso
in considerazione dalla norma come potenziale destinatario dei «diritti diversi»
(30) Il problema è quello – analizzato supra, cap. II, sub § 3 – della compatibilità tra la
nozione di «diritti diversi» e posizioni giuridiche soggettive non attive: in questo senso, si
esprime, prima della riforma, L. CALVOSA, La clausola, p. 228, per cui «diversità di diritti in
senso stretto può pertanto sussistere solo quando le azioni riscattabili incorporino un vero e
proprio diritto al riscatto»; nonché, dopo l’introduzione dell’art. 2437-sexies, D. GALLETTI, Art.
2437-sexies, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, II, Padova, 2005, p. 1635
per cui il problema «…è destinato ad essere risolto con la constatazione per cui la
qualificazione in termini di categoria discende dallo stesso art. 2437-sexies, e l’applicazione
dell’art. 2376 c.c. si imporrà solo se il potere di riscatto è attribuito al socio, qualora l’assemblea
generale voglia modificarne la disciplina».
Nel senso della configurabilità delle azioni riscattabili come categoria, si veda F.
MAGLIULO, Categorie di azioni e strumenti finanziari, cit., p. 114, il quale si chiede se «quand’anche
il riscatto vada a connotare un determinato gruppo di azioni…se ciò valga necessariamente a
configurare una categoria di azioni in senso tecnico, con la conseguente applicazione delle
regole proprie di tale fenomeno, prima fra tutte quella di cui all’art. 2376 c.c. in tema di
assemblee speciali…Più ardua la soluzione del problema ove la legittimazione attiva al riscatto
competa alla società, poiché in tal caso le azioni non sono a rigore munite di diritti particolari,
ma sono assoggettate al relativo diritto potestativo della società. Nondimeno, deve
rilevarsi…che anche in tale ultima ipotesi potrebbe trovare applicazione la disciplina propria
delle azioni di categoria ed in particolare l’art. 2376. E’ infatti possibile che la società debba
assumere deliberazioni atte a pregiudicare i diritti dei soci assoggettati passivamente al riscatto,
come nel caso in cui si intenda modificare i criteri legali di determinazione del prezzo di
riscatto».
174
Azioni riscattabili
(31).
Nonostante le tesi descritte si contraddistinguano per l’apprezzabile
sforzo di interpretare in modo rigoroso i principi generali e le disposizioni
coinvolte nell’interpretazione della norma – in primis l’art. 2348, comma 2 c.c. –
e per il tentativo di escogitare soluzioni differenziate a seconda del soggetto
legittimato al riscatto (la società e gli altri soci) e la posizione giuridica
incorporata nelle azioni (soggezione o potere), le argomentazioni su cui si
fondano non sono pienamente condivisibili. Le motivazioni risiedono, in primo
luogo, nella constatazione che i ragionamenti sopra riportati sembrano contrari
alla lettera della legge la quale, innanzitutto, fa riferimento ad azioni riscattabili
che collocano chi le detiene in una posizione di soggezione; in seconda istanza, in
quanto la norma non pare giustificare un trattamento diversificato a seconda
che il potere di riscatto sia attribuito alla società piuttosto che ai soci (32); in
terza battuta, ancora, in ragione del fatto che esse sembrerebbero non tenere in
considerazione l’insegnamento della migliore dottrina in tema di qualificazione
dei diritti diversi di cui all’art. 2348, 2 comma: è, infatti, un dato ormai acquisito
in letteratura che le categorie di azioni possano anche essere dotate di diritti per
così dire “inferiori” rispetto a quelli di altre categorie (33); infine, l’accoglimento
(31) Sostiene questa tesi D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, p. 1635 per cui «…c’è da
domandarsi, sul piano della fattispecie, se l’esistenza in sé di un potere di riscatto faccia di un
gruppo di azioni una categoria speciale posto che gli artt. 2348 e 2376 sembrerebbero definire
l’istituto attraverso il riferimento a «diritti» diversi, laddove la soggezione ad un riscatto da parte
della società o di altri soci non sembra agevolmente inquadrabile in quest’ottica, ed anche la
stessa applicazione dell’organizzazione di categoria di cui all’art. 2376 potrebbe in questi casi
non avere utilità. Probabilmente il problema…è destinato ad essere risolto con la constatazione
per cui la qualificazione in termini di categoria discende dallo stesso art. 2437-sexies, e
l’applicazione dell’art. 2437-sexies, e l’applicazione dell’art. 2376 c.c. si imporrà solo se il potere
di riscatto è attribuito al socio, qualora l’assemblea generale voglia modificarne la disciplina».
Tale affermazione non convince del tutto: si consideri l’ipotesi in cui alla società sia
riconosciuto il potere di riscattare azioni riscattabili di cui sono titolari alcuni soci e si ipotizzi,
altresì, che lo statuto sia modificato dalla maggioranza del capitale – rappresentata da azioni
ordinarie – in modo tale da variare le condizioni di riscatto in senso più favorevole alla società:
non si vede per quale motivo in questo caso si debba negare l’applicazione dell’art. 2376
privando i titolari delle azioni soggette al riscatto della possibilità di opporsi alla decisione
assunta dall’assemblea generale.
(32) Sul problema si veda supra, cap. II, sub § 3.
(33) Si vedano a questo proposito le osservazioni di A. MIGNOLI, Le assemblee, pp. 6465 per il quale «Dalla diversità dei diritti nasce dunque la nozione di categoria: nozione quindi
del tutto relativa, la quale può avere un significato solo in seno a una sola e medesima società.
La diversità non consisterà necessariamente in un di più aggiunto a quei diritti sociali che sono
175
CAPITOLO III
di alcune delle soluzioni indicata comporterebbe un eccessivo restringimento
dell’area di tutela dei soci titolari di azioni riscattabili, che potrebbero vedersi
privati dello strumento delle assemblee speciali nel caso di modificazioni in
peius delle condizioni di riscatto (34).
In coerenza con quanto sostenuto in occasione della delimitazione della
fattispecie, sembra invece corretto sposare la tesi proposta da alcuni autori
volta a ritenere che, innanzitutto, le azioni riscattabili possono o meno costituire una
categoria autonoma; che, in seconda battuta, anche il solo requisito della riscattabilità
è idoneo a fondare una categoria autonoma di azioni; che tale circostanza,
infine, è indipendente sia dal soggetto legittimato ad esercitare il riscatto, sia dalla
posizione giuridica soggettiva – attiva o passiva – incorporata nelle azioni (35).
comuni a tutti gli azionisti: può consistere anche in un di meno, pur verificandosi quest’ipotesi
con minor frequenza per il carattere imperativo della maggior parte delle disposizioni legali o in
un qualcosa di diverso».
(34) Sarebbe questa, ad esempio, l’ipotesi di azioni riscattabili per le quali sia
riconosciuto un potere di riscatto in capo alla società, in quanto – seguendo una delle soluzioni
prospettate in lettaratura – i loro titolari non avrebbero la possibilità di usufruire dello
strumento delle assemblee speciali, non trattandosi, di una categoria di azioni.
(35) Sposa questa tesi A. PISANI MASSAMORMILE, Azioni e strumenti finanziari
partecipativi, in Riv. Soc., 2003, p. 1268 il quale afferma a tale proposito che «Più complesso,
invece, è decifrare il riferimento testuale alle “categorie di azioni”: la norma può così
sottintendere l’applicazione del potere di riscatto ad azioni che già costituiscano un’autonoma
categoria in virtù di altri aspetti del loro contenuto (ex art. 2348 cc.), ma non può escludersi che
determinate azioni diventino categoria proprio perché soggette, a differenza delle altre, al
potere di riscatto. D’altra parte, il riferimento alle “categorie” consente di affermare senz’altro
che non tutte le azioni emesse debbano essere soggette al riscatto e la soggezione ad esso,
allora, è di sicuro idonea a marcare, per le azioni che la subiscano, una specifica categoria»;
nello stesso senso, F. MAGLIULO, Le categorie, p. 114, per il quale «…quand’anche il riscatto
vada a connotare un determinato gruppo di azioni, ci si potrebbe chiedere se ciò valga
necessariamente a configurare una categoria di azioni in senso tecnico, con la conseguente
applicazione delle regole proprie di tale fenomeno, prima fra tutte quella di cui all’art. 2376 cc.
in tema di assemblee speciali. Si è visto infatti che l’art. 2348 seconda comma cc. richiedere che
le azioni di categoria siano munite di “diritti diversi”. Nessun dubbio pertanto dovrebbe porsi
al riguardo ove la legittimazione attiva al riscatto spetti al socio che deve subirlo il quale abbia
in sostanza un vero e proprio diritto al riscatto da parte della società. Più ardua è la soluzione
del problema ove la legittimazione attiva al riscatto competa alla società, poiché in tal caso le
azioni non sono a rigore munite di diritti particolari, ma sono assoggettate al relativo diritto
potestativo della società. Nondimeno deve rilevarsi diversamente da quanto sostenuto in
dottrina, che anche tale ultima ipotesi potrebbe trovare applicazione la disciplina propria delle
azioni di categoria ed in particolare l’art. 2376 cc.»; differente l’impostazione di M. NOTARI, Le
categorie speciali, p. 594 in nota 1 e spec. pp. 602-603, il quale, correttamente, afferma che si è al
di fuori della nozione di categoria solamente nell’ipotesi in cui la riscattabilità sia attribuita a
tutte le azioni, per cui «…non sempre la previsione statutaria del riscatto di azioni ai sensi
dell’art. 2437-sexies c.c. dà vita ad una o più categorie di azioni, in quanto ciò avviene solo
qualora: (i) la posizione giuridica attiva del riscatto (ossia il diritto potestativo di riscattare altre
176
Azioni riscattabili
Tale impostazione consente, infatti, di valorizzare l’autonomia statutaria delle
società per azioni sotto il profilo della struttura finanziaria e pare, allo stesso
tempo, rispettosa del dettato dell’art. 2437-sexies cc., oltre che coerente con
l’insegnamento della dottrina tradizionale in tema di categorie di azioni (36). Il
risultato pratico di tale conclusione sono i seguenti. L’autonomia statutaria ha
la possibilità di prevedere una categoria di azioni caratterizzata da una posizione
di soggezione al riscatto da parte di altri soci o della società; nel caso in cui il
riscatto venga attribuito ad un gruppo di soci, a fianco delle azioni riscattabili,
vi sarà un’altra categoria di azioni (questa volta “riscattanti”) connotata dalla
posizione attiva di riscatto, simmetrica ed opposta, rispetto a quella di chi detiene
azioni riscattabili; in entrambi i casi, poi, la riscattabilità o il potere di riscatto
potranno fondare una categoria di azioni o, in alternativa, potranno aggiungersi
ad altre caratteristiche di altre categorie di azioni (come nel caso di azioni
privilegiate nella riscossione degli utili che siano tuttavia soggette al riscatto da
parte degli altri azionisti) (37).
5.2. Interpretazione della espressione «azioni» contenuta nell’art. 2437-sexies c.c.:
l’ipotesi del riscatto totalitario.
L’art. 2437-sexies c.c. non esclude la possibilità di emettere «azioni
riscattabili» che non costituiscano una categoria. Al riguardo, ci si può chiedere
a quale situazione il legislatore abbia inteso riferirsi. Le soluzioni astrattamente
ipotizzabili sono almeno tre in quanto l’espressione della norma potrebbe
azioni) sia statutariamente attribuita solo da una parte delle azioni, ed in modo tra loro uguale,
sì da potersi configurare quale “diritto diverso” che contraddistingue la categoria; oppure
allorché (ii) la posizione giuridica passiva del riscatto (ossia la soggezione in cui versa la parte
che “subisce” il riscatto) caratterizzi non già tutte le azioni, o tutte le azioni che in un dato
momento si trovino in una data situazione, bensì un gruppo di azioni, oggettivamente
individuate a priori, le quali per ciò solo rappresentano una categoria, il cui “diritto diverso” è
per l’appunto rappresentato dalla soggezione al riscatto».
(36) Per tutti, A. MIGNOLI, Le assemblee, passim.
(37) Si veda, M. NOTARI, Le categorie speciali, pp. 602-603; anche A. PISANI
MASSAMORMILE, Azioni, p. 1307, per cui il concetto di «categorie di azioni» «…può così
sottintendere l’applicazione del potere di riscatto ad azioni che già costituiscano un’autonoma
categoria in virtù di altri aspetti del loro contenuto (ex art. 2348), ma non può escludersi che
determinate azioni diventino categoria proprio perché soggette, a differenza delle altre al potere
di riscatto».
177
CAPITOLO III
riferirsi all’emissione (i) di una singola azione riscattabile, nonostante il plurale
utilizzato nella norma; (ii) di singole azioni riscattabili “speciali”; o, infine, (iii) di
azioni tutte dotate dell’attributo della riscattabilità.
La prima opzione non sembra plausibile, in quanto non pare
configurabile una categoria di azioni composta da un unico titolo azionario
sebbene una nota dottrina abbia, in passato, prospettato tale possibilità (38).
Anche la seconda interpretazione peraltro avrebbe poco senso in
quanto comporterebbe: al contrario di quanto accade in altri ordinamenti,
come quello americano, dove è prassi emettere azioni suddivise in «classes» o
«series», la legittimazione di singole azioni “speciali” sarebbe contraria al
principio di uguaglianza dei titoli compresi in una medesima categoria e – come
recentemente è stato fatto rilevare – consentita esclusivamente qualora prevista
dalla legge (39).
Più convincente è invece la tesi per la quale, in tale ipotesi, il legislatore
avrebbe fatto riferimento ad una società che abbia emesso azioni tutte
(38) In questo senso, v. A. MIGNOLI, Le assemblee, p. 72, in nota 26 il quale ritiene che
«E’ indubbio, e pacifico in dottrina, che una categoria possa essere costituita da una sola
azione, anche se il fenomeno sia in pratica piuttosto rato»; sostiene tale soluzione anche C.
COSTA, Le assemblee speciali, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B.
Portale, 3**, Torino, 1993, p. 523, in nota 83, laddove viene respinto l’argomento letterale della
tesi contraria fondato sull’utilizzo del plurale «categorie di azioni» nell’art. 2348, comma 2 e si
rileva che «La creazione di categorie costituite da singole azioni può, viceversa, realizzare
interessi meritevoli di tutela sia dei soci che della società, quale quello, ad esempio, di
frazionare l’azionariato in gruppi «compatti» tramite la contitolarità da parte di più soci delle
singole azioni speciali. Ad ammettere tale possibilità appare consequenziale l’applicabilità
dell’art. 2376 c.c. in caso di delibere pregiudizievoli, in quanto non si capirebbe altrimenti
perché la società dovrebbe poter modificare con modalità diverse i diritti di una categoria
composta da più azioni e di una composta da una sola azione». La tesi era già stata avversata da
G. VISINTINI, voce «Azioni di società» in Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, IV, p. 983; e, anche,
da P. SPADA, Dalla nozione al tipo della società per azioni, in Riv. dir. civ., 1985, I, p. 95 e ss.; M.
BIONE, Le azioni, p. 45, in nota 4 il quale rileva che «…la diversità del contenuto, essendo
legata alla creazione di una categoria (id est: di una pluralità di azioni con carattere di
omogeneità e di serialità), non può in alcun modo riguardare singole azioni»; e, dopo la riforma
del diritto societario, cfr. altresì l’analisi di M. NOTARI, Le categorie speciali, p. 597 che conclude
nel senso della compatibilità dell’art. 2348, comma 2 solamente con «…l’ipotesi di una pluralità
di azioni fornite dei medesimi diritti, alcuni dei quali – o, al limite, anche uno soltanto dei quali
– diversi rispetto alle altre azioni».
(39) Così, ancora, M. NOTARI, Le categorie speciali, pp. 597-598 in nota 14, il quale
formula l’esempio delle azioni con prestazioni accessorie che potrebbero anche non
rappresentare una autonoma categoria di azioni a seconda di come vengano modulate dallo
statuto.
178
Azioni riscattabili
accomunate dal fatto di essere riscattabili (40).
Dal punto di vista teorico, la soluzione pare rispettosa della lettera
dell’art. 2437-sexies c.c., nel quale l’espressione «azioni» viene, infatti, utilizzata
al plurale; ciò risulterebbe peraltro compatibile anche con la regola contenuta
nell’art. 2351, comma 2, posto che le azioni riscattabili non sono evidemente
incluse nelle categorie di azioni ivi tipizzate per le quali si impone il rispetto del
limite della metà del capitale sociale. A differenza che in altri ordinamenti –
come quello spagnolo – l’ordinamento interno non prevede un limite
quantitativo all’emissione di azioni riscattabili (41); né, come accade nel Regno
Unito, si prevede un divieto di emissione di azioni riscattabili qualora non siano
in circolazione azioni diverse da queste ultime (42).
Piuttosto possono porsi alcune questioni in merito all’aspetto pratico che
tale conclusione comporterebbe. La prima: va rilevato che nel caso in cui la
(40) F. MAGLIULO, Le categorie, p. 114; D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, p. 1635; A.
PISANI MASSAMORMILE, Azioni, p. 1307 per cui «Probabilmente non era intenzione del
legislatore, ad onta della rubrica della norma, creare una specifica categoria di azioni
(“riscattabili”, appunto) e di categoria non potrà parlarsi, evidentemente, qualora tutte le azioni
della società siano soggette, in modo uniforme, al potere di riscatto, come la norma senz’altro
consente quando si riferisce genericamente alle “azioni”».
(41) V. artículo 47.o) LSA che limita l’emissione delle azioni riscattabili ad un quarto
del capitale sociale. Secondo la ricostruzione di una parte della dottrina ciò sarebbe dovuto alla
necessità di evitare «…la circunstancia de que la sociedad quedara descapitalizada al ir
procedendo al necessario rescate de las acciones»: cfr., sul punto, C. A. LEDESMA, La reforma de
la sociedad cotizada, in RdS, 12, 1999, p. 31; contra, tuttavia, P. YANES YANES, Las acciones, p. 122,
in nota 239; sempre con riferimento all’ordinamento spagnolo si segnalano gli interrogativi di
L.F. DEL POZO, La amortización de las acciones y las acciones rescatables, Madrid, 2002, p. 251 che si
chiede «¿ el limite sólo funciona en el momento de la emisión o, por el contrario, durante toda
la vida de la sociedad? ¿ Estamos ante un lìmite de emisión o ante una restricción a la forma de
financiación? La distinción no es baladì: puede muy bien occurrir que, con posterioridad a la
emisión, venga la sociedad en una situación tal que el importe nominal de las rescatables supere
el lìmite. Por ejemplo: mediante la amotización de acciones ordinarias». Anche la Commissione
del Governo Federale Tedesco sulla corporate governance e sulla riforma del diritto societario
nota come Commissione Baums ha suggerito di introdurre, in questo ordinamento, una soglia
del 50% per l’emissione di azioni riscattabili. Si ricorda che in sede di lavori preparatori alla
riforma del diritto societario (e specificamente nella seduta del 28 maggio 2002) si discusse se
introdurre nella formualzione finale della disciplina delle azioni riscattabili una soglia massima
alla loro emissione pari al 50% «in considerazione di fenomeni di venture capital»: v. AA.VV., La
riforma, p. 1089.
(42) V. già sect. 159 (2) Companies Act 1985, ora sect. 684 (3) Companies Act 2006; E.V.
FERRAN, Company Law, p. 328; P.L. DAVIES, Gower and Davies’, p. 248. Per quanto riguarda
l’ordinamento italiano il problema può essere forse risolto attraverso l’applicazione dell’art.
2357, richiamato dallo stesso art. 2437-sexies, con il conseguente richiamo del limite del dieci
per cento per l’acquisto delle azioni proprie: sul punto, D. GALLETTI, Art. 2437, p. 1635. Per
l’analisi della disciplina delle azioni proprie si veda altresì infra, cap. III, sub § 11.
179
CAPITOLO III
società emetta esclusivamente azioni riscattabili la disciplina di emissione non
potrà che legittimare al riscatto la sola società; una soluzione che ritenesse
possibile l’emissione di azioni tutte riscattabili ad eccezione di una – in grado di
riscattare tutte le altre – sarebbe in contrasto con quanto sopra affermato in
merito alla configurabilità di singole azioni “speciali” (43); né potrebbe
ammettersi uno scenario analogo a quello precedente ma con la variante
rappresentata dalla circostanza che delle azioni riscattabili una è anche dotata del
diritto di riscattare tutte le altre: ciò comporterebbe la creazione di due
categorie speciali di azioni, essendo la disomogeneità di caratteristiche
all’interno della medesima categoria incompatibile con i principi sopra
enunciati. La seconda: qualche problema potrebbe porsi in uno scenario che
veda l’emissione di azioni esclusivamente riscattabili ad opzione della società e
quest’ultima si determini nel senso di esercitare la facoltà riconosciutale
solamente per un certo quantitativo di azioni: in questo caso, al fine di evitare
abusi e di rispettare il principio della parità di trattamento degli azionisti, può
prospettarsi l’idea della necessità che il riscatto venga esercitato in proporzione
alle azioni possedute da ciascun azionista, a meno che si ritenga di ricorrere al
sistema del “sorteggio” (44). La terza: quali sono le conseguenze discendenti dal
riscatto di tutte le azioni da parte della società? Il quesito viene generalmente
liquidato dalla scarsa dottrina che se ne è occupata affermando che, in questa
ipotesi, si realizzerebbe un acquisto della società “da parte di se stessa” ma
quello che si verifica in concreto è che la società acquista, semplicemente, tutte
le azioni emesse rimanendo, in definitiva, una società priva di soci e di azioni
(45). A questo proposito, potrebbe avanzarsi una risposta così articolata (i) la
società può procedere, attraverso la deliberazione autorizzativa dell’assemblea
(43) Cfr. supra, nota 39.
(44) Sul problema, si veda F. MAGLIULO, Le categorie, p. 114. Il meccanismo del
“sorteggio” è utilizzato anche per procedere alla riduzione del capitale esuberante che
comporta l’emissione di azioni di godimento ai sensi dell’art. 2353: sul punto, si veda M.
BIONE, Le azioni, p. 93.
(45) Sebbene con riferimento ad una diversa questione, questa suggestione è stata
recentemente evocata da G. OPPO, Quesiti in tema di azioni e strumenti finanziari, in Il nuovo diritto
societario. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale
Milano, 2006, p. 715.
180
Azioni riscattabili
ai sensi dell’art. 2357 c.c., ad esercitare il riscatto (46); (ii) le azioni così
acquistate chiaramente superano il limite prescritto dal 3 comma del medesimo
articolo; (iii) ma la norma consente di mantenere in portafoglio le azioni per un
anno (comma 4), termine entro il quale devono essere alienate dalla società,
verosimilmente, a nuovi soci provvedendo in questo modo ad un completo
rinnovamento della compagine sociale; (iv) chiaramente, entro questo periodo
annuale, manca l’organo assembleare per l’assenza dei soci e potrebbe quindi
ritenersi realizzata una causa di scioglimento della società (arg. ex art. 2484,
comma 1, n. 3); (v) potrebbe prospettarsi pertanto l’idea che la stessa assemblea
dei soci che autorizza il riscatto “totalitario” e di cui al punto (i) determini
anche le modalità di alienazione dei titoli riscattati.
L’utilizzo del termine «azioni» da parte del legislatore potrebbe dunque
consentire all’istituto di perseguire una ulteriore funzione, ovvero quella di
consentire un completo e rapido ricambio dei soci attraverso la vendita delle
azioni riscattate.
6. Il problema della «consumabilità» del diritto o dell’onere di
riscatto.
Un tema di fondamentale importanza per comprendere l’operatività
delle azioni riscattabili riguarda la questione della «consumabilità» del potere
(lato attivo) o della soggezione al riscatto (lato passivo) incorporato nelle
azioni.
Un esempio può chiarire i termini del problema. Il capitale della società
Alfa si articola in tre categorie di azioni: la categoria “A” è composta da azioni
che attribuiscono tutti i diritti previsti dalla legge; la categoria “B” si
caratterizza per i medesimi diritti delle azioni di categoria “A” oltre al fatto di
incorporare il potere di riscattare le azioni di una terza categoria, denominata
“C”; quest’ultima – ad eccezione del fatto di relegare il proprio titolare in una
posizione di soggezione – sono identiche, quanto al contento, alle azioni di
categoria “A”. Tizio è titolare sia di azioni “A”, sia di azioni “B”; Caio è titolare
solamente di azioni di categoria “C”; Sempronio, invece, non è socio della
(46) V. infra, cap. III, sub § 11.
181
CAPITOLO III
società.
Prendendo come termine di riferimento uno scenario analogo a quello
appena descritto, una dottrina ha sostenuto che l’esercizio del riscatto
comporta la consumazione del relativo potere e che, pertanto, le azioni che vi
sono soggette cesserebbero di far parte della categoria disciplinata dall’art.
2437-sexies c.c. per rientrare in quelle alle quali i diritti di cui sono dotate le
fanno appartenere (47). Applicando questa conclusione all’esempio, qualora
Tizio esercitasse la potestà derivantegli dalla titolarità delle azioni “B” rispetto
alle azioni di categoria “C” appartenenti a Caio, la caratteristica peculiare delle
azioni di categoria “B” – il potere di riscatto – si esaurirebbe, facendo
conseguentemente venire meno anche quella che connota le azioni di categoria
“C”. L’ulteriore riflesso di tale soluzione – di estrema importanza pratica –
comporta rilevanti conseguenze anche rispetto all’ipotesi in cui, dopo
l’esercizio del riscatto, Tizio trasferisse a Sempronio le azioni “C” che – per
effetto dell’esercizio del riscatto – non sarebbero più qualificabili come
riscattabili.
Tale orientamento non sembra del tutto condivisibile, almeno ove
venga inteso nel senso che, in ogni ipotesi di esercizio del riscatto, il relativo
potere (o soggezione) si consumi(no). E’ bene infatti chiarire che la
consumabilità o meno della posizione soggettiva collegata alle azioni dipende
innanzitutto dal contenuto della clausola statutaria. Peraltro, in assenza di una
indicazione in senso contrario, sembra corretto ritenere che il potere di
riscattare (o l’onere di subire tale riscatto) non siano consumabili e che le azioni
conservino tale qualità anche nelle loro successive vicende circolatorie.
7. Le modalità e le condizioni di esercizio del riscatto.
Il tema relativo alla determinazione ex ante delle modalità e delle
condizioni di esercizio del riscatto delle azioni rappresenta senza dubbio un
(47) In questo senso si esprime A. BRACCIODIETA, La nuova, p. 158, anche sulla base
della constatazione che le azioni riscattabili non possano essere concepite come un’autonoma
categoria, bensì come una sub categoria capace di connotare con il riscatto categorie di azioni
già esistenti. Sul punto, si veda supra, cap. III, sub §§ 2.1 e 2.2..
182
Azioni riscattabili
nodo cruciale per il tema oggetto di studio, coinvolgendo vuoi profili relativi al
mantenimento dello status socii da parte dei titolari delle azioni riscattabili (48),
vuoi aspetti connessi con l’abuso o l’eccesso di potere da parte dei soci cui sia
riconosciuto il potere di riscattare le azioni (49), vuoi, ancora, elementi
riguardanti la discrezionalità dell’organo amministrativo nel caso in cui si
aderisca alla tesi che lo ritiene competente ad esercitare tale diritto, in luogo
dell’assemblea dei soci (50).
L’art. 2437-sexies tace al riguardo, nulla disponendo in merito al
contenuto che la clausola statutaria dovrebbe assumere per disciplinare il
riscatto (51). Ci si potrebbe in particolare domandare se la norma debba essere
intesa nel senso di (i) consentire che le azioni possano essere riscattate a
piacimento della società o dei soci senza che lo statuto specifichi le condizioni
cui subordinare il riscatto, ammettendo, pertanto, la configurazione di un
riscatto ad nutum; o (ii) di vincolare l’autonomia privata all’adozione di formule
di riscatto analitiche; oppure, adottando una soluzione intermedia, di (iii)
(48) Si veda, sul punto, V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive, p. 170 e ss. e spec. p.
185, laddove l’A. riconosce che si tratti di «un vero e proprio diritto soggettivo…opponibile
erga omnes»; contra cfr. A. MIGNOLI, Reintegrazione del capitale azionario per perdita totale e diritti
individuali degli azionisti, in Riv. dir. comm., 1955, II, p. 223, il quale articola la propria tesi avendo
riguardo ad una ipotesi di deliberazione di riduzione a zero e contestuale reintegrazione del
capitale assunta a maggioranza.
(49) V. D. PREITE, L'abuso di maggioranza, in Trattato delle società per azioni, a cura di G.E.
Colombo e G.B. Portale, 3 **Torino, 1993, p. 3 e ss. dove si può leggere una nozione di abuso
della regola della maggioranza («……l’impiego del termine «abuso» sarà qui compiuto in senso
del tutto atecnico e convenzionale, e sarà riferito semplicemente alla «regola» di maggioranza,
per indicare in modo generico un suo uso non conforme a quei limiti all’applicazione di tale
regola, che siano desumibili o da un principio implicito nell’ordinamento, oppure da un
enunciato normativo espresso, nella legislazione non societaria, avente carattere di principio
espresso o cluasola generale o standard, in una delle varie accezioni dottrinali di questi
termini…»); cfr., anche M. CASSOTTANA, L'abuso di potere a danno della minoranza assembleare,
Milano, 1991; A. MAISANO , L'eccesso di potere nelle deliberazioni assembleari di società per azioni,
Milano, 1968, p. 52; T. ASCARELLI, Sulla protezione delle minoranze nelle società per azioni, in Riv. dir.
comm., 1930, I, p. 737; F. CARNELUTTI, Eccesso di potere nelle deliberazioni dell’assemblea delle anonime,
in Riv. dir. comm., 1926, I, p. 180; A. GAMBINO, Il principio di correttezza nell’ordinamento della società
per azioni (Abuso di potere nel procedimento assembleare), Milano, 1987; F. DI SABATO, Manuale delle
società, Torino, 1995, p. 473-476; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale - Diritto delle società, a cura
di M. Campobasso, Torino, 2006.
(50) Ovviamente ci si riferisce all’ipotesi in cui sia stato attribuito un potere di riscatto
alla società. Per la disamina del problema si veda infra, cap. III, § 7.2.
(51) Va tuttavia ricordato che durante i lavori preparatori alla riforma del diritto
societario la disciplina delle azioni riscattabili regolata, in una bozza dell’articolato, dall’art.
2351-ter c.c. prevedeva tra l’altro che «L’atto costitutivo determina le condizioni e le modalità
di riscatto»: v. AA.VV., La riforma, p. 3027.
183
CAPITOLO III
legittimare la redazione di clausole che, ancorché contenenti le condizioni di
riscatto, possano anche essere generiche.
Pertanto, dopo aver brevemente richiamato le soluzioni adottate a
livello comunitario e descritto quale sia stata, sul punto, la peculiare esperienza
dell’ordinamento inglese, si procederà all’analisi degli orientamenti seguiti dalla
dottrina; per affrontare, successivamente, il problema del c.d. riscatto ad nutum
e procedere all’individuazione dei presupposti cui l’autonomia statutaria
potrebbe subordinare l’esercizio del riscatto; prendendo in considerazione
alcuni problemi di natura operativa come, ad esempio, le modalità con le quali
il riscatto possa realizzarsi; ed, infine, l’eventuale procedura che lo statuto
potrebbe prevedere al fine di regolare l’accertamento degli eventi
eventualmente individuati come condizione di esercizio del riscatto.
7.1 Le indicazioni contenute nell’art. 39 della seconda direttiva. L’esperienza
anglosassone.
Un riferimento al dato comparatistico e, in particolare modo, alla
disciplina comunitaria e all’evoluzione che, sul punto, si è registrata
nell’ordinamento inglese dimostra l’alto grado di incertezza che si registra in
tema di previsione di condizioni di riscatto.
L’art. 39 della seconda direttiva – rimasto immutato anche dopo il
recente intervento riformatore della direttiva 2006/68/CE – è solamente un
poco più preciso rispetto alla norma interna. Si prevede, infatti, che «i termini e
le condizioni del riscatto devono essere previsti dallo statuto o nell’atto di
costituzione della società». Il legislatore comunitario non sembra essersi spinto
a specificare il grado di analiticità delle relative previsioni, non avendo dettato
alcun criterio cui lo statuto si debba informare nel disciplinare le azioni
riscattabili; piuttosto si potrebbe fare strada l’idea che il riferimento alla
previsioni delle «condizioni di riscatto» non debba necessariamente intendersi
nel senso di presupposti cui l’esercizio della facoltà di riscatto sia subordinato,
potendo riferirsi anche alle condizioni economiche – e quindi al valore di
liquidazione – cui i titoli potrebbero essere acquistati.
184
Azioni riscattabili
Anche l’esperienza inglese può essere portata ad esempio di una
graduale apertura del sistema verso una impostazione più “liberale” del riscatto.
L’evoluzione di questo ordinamento può essere idealmente suddivisa in tre
tappe successive, l’ultima delle quali rappresentata dalle modificazioni
introdotte dal Companies Act 2006 all’originario impianto normativo.
La prima è rappresentata dalla section 160 (3) del Companies Act 1985, il
quale prevedeva che «(…) redemption of shares must be effected on such terms and in
such manner as may be provided by the company’s articles». La disposizione non era di
immediata comprensione, tanto è vero che, in letteratura, si riscontravano al
proposito due diversi modi di intenderla. Secondo un primo orientamento,
infatti, l’article (atto costitutivo) avrebbe dovrebbe prevedere, in modo analitico,
i termini e i presupposti ai quali le azioni, a seconda dei casi, potevano o
dovevano essere riscattate (52); si era, peraltro, fatta largo anche una tesi più
liberale secondo la quale la norma concedeva un certo spazio di discrezionalità
agli amministratori: ciò si traduceva, da una parte, nella possibilità che lo
statuto si limitasse ad autorizzare l’emettibilità delle azioni riscattabili,
prevedendo, in termini estremamente generici, l’esercitabilità del riscatto; e,
dall’altra parte, in ampi margini di manovra per l’organo amministrativo il quale
avrebbe potuto, per così dire, determinare i confini delle condizioni di riscatto
solo in un momento successivo, coincidente con l’emissione delle redeemable
shares (53).
In occasione dell’approvazione di alcune modifiche al Companies Act
1985 (54), al fine di chiarire la portata della disposizione, veniva inserita una
nuova section 133, la quale avrebbe ulteriormente ampliato il potere degli
(52) DEPARTMENT OF TRADE INDUSTRY - COMPANY LAW REVIEW, Terms and Manners
of Redemption of Redeemable Shares. Section 159[A] e 169 [3] of the Companies Act 1975 (Consultative
Document).
(53) E.V. FERRAN, Company law, p. 450 la quale propende per questa seconda
interpretazione della norma alla luce del fatto che «it allows for fine-tuning of the terms on
which shares are issued to reflect the market conditions at the time of issue», essendo l’altra,
più rigida soluzione, da scartare anche in ragione degli oneri procedurali che essa imporrebbe
alla società: si tratterebbe, infatti, di una interpretazione «…inflexible because it would require
the terms to be fixed far in advance of the issue date in order to be set out precisely in the
circular sent with the notice convening the general meeting to consider the alteration to the
articles».
(54) La modifica è stata introdotta nell’ambito del Companies Act 1989.
185
CAPITOLO III
amministratore. Si prevedeva, infatti, la facoltà per i soci di delegare agli
amministratori sia il potere di determinare le date a cui esercitare il riscatto, sia
quello di fissare il redemption price sulla base di una formula matematica
contenuta nello statuto, alternativa rispetto alla preventiva fissazione del valore
di liquidazione delle azioni (55). La nuova disposizione, pertanto, enfatizzava la
possibilità di prevedere che le azioni fossero riscattabili più che al verificarsi di
un dato evento, al raggiungimento di scadenze temporali affidate alla
determinazione degli organi di gestione. Tale soluzione, tuttavia, ha suscitato le
critiche del Department of Trade and Industry (DTI): secondo la soluzione
suggerita dal Dipartimento, infatti, gli elementi della nuova fattispecie – tra cui,
in particolare, la fissazione preventiva della data di riscatto – avrebbero dovuto
essere stabiliti dagli amministratori ancora prima che le azioni riscattabili
fossero emesse, in modo tale da mettere gli investitori nella posizione di
conoscere preventivamente il momenti in cui il riscatto si sarebbe potuto
verificare. Se si fosse applicata la nuova disposizione, infatti, sarebbe stata più
difficoltosa l’emissione di azioni ai sensi della section 159(1) dell’allora vigente
Companies Act 1985, con la conseguenza che non si sarebbero più potute
emettere azioni riscattabili da parte della società o dei loro titolari o prevedere
che il riscatto fosse subordinato al verificarsi di determinati eventi previsti nello
statuto; , per le società non quotate, inoltre, sarebbe stato più difficoltoso
determinare il prezzo del riscatto, in quanto le formule generalmente adottate
dagli statuti avrebbero considerato i prezzi medi delle azioni negoziate sul
mercato; la necessità, infine, di fissare una data avrebbe avuto per le banche un
(55) Varie sono le formule adottate per calcolare il prezzo delle azioni riscattate. Una,
piuttosto diffusa, è nota con il nome di «Spens Formula» la quale consente di riconoscere il
pagamento di un corrispettivo al di sopra del valore nominale delle azioni nel caso di riscatto o
nel caso di liquidazione della società. Tale “premio” è riconosciuto a condizione che «during a
defined period prior to the repayment, the shares have been standing in the market at a figure
in excess of par. The premium is usually ascertained by reference to the average middle –
market quotation in excess of par during the relevant period subject to adjustments to take
account of any accrued arrears of dividend which is reflected in the market price of shares» (v.
E.V. FERRAN, Company law, pp. 324-325; nonchè, cfr. OFFICE OF GOVERNMENT COMMERCE,
OCG Guidance on certain financing issues in pfi contracts, consultabile sul sito www.hmtreasury.gov/uk).
186
Azioni riscattabili
impatto negativo sui criteri di adeguatezza del capitale (56). Per questi motivi il
DTI aveva con successo proposto di non implementare la norma ma di
espungerla dal sistema alla prima occasione utile (57).
Con l’approvazione del Companies Act 2006, nel novembre del 2006,
tuttavia, si è ritornati ad una formulazione della disposizione che si potrebbe
definire “intermedia”. La disciplina delle redeemable shares è ora collocata nella
Part XVIII, relativa all’acquisto di azioni proprie, e contenuta nel Chapter 3,
nelle sections da 684 a 689. La sect. 689 (1) prevede, in particolare, che gli
amministratori possano determinare i termini e le condizioni cui sono
riscattabili le azioni, se sono a tale scopo delegati dallo statuto o da una
deliberazione dell’assemblea ordinaria della società anche qualora essa abbia
l’effetto di modificare lo statuto; la subsection (3) prevede, peraltro, che gli
amministratori debbano fissare le condizioni e le modalità del riscatto prima
dell’emissione delle azioni in modo tale che gli investitori possano
anticipatamente conoscere il “contenuto” dei titoli sottoscritti; si prevede,
infine, alla subsection (4), che nel caso in cui la società non abbia attribuito la
delega agli amministratori «…the terms, conditions and manner of redemption of any
redeemable share must be stated in the company’s article». Ma è presumibile ritenere che
le società inglesi cercheranno di rendere il sistema più fluido e flessibile,
consentendo
pertanto
all’organo
amministrativo
di
determinare
le
caratteristiche delle azioni riscattabili e, in particolare, le condizioni di esercizio
(56) Si veda, sul punto, BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, International
Convergence of Capital Measurement and Capital Standards, July 1988; nonchè BASEL COMMITTEE
ON BANKING SUPERVISION, International Convergence of Capital Measurement and Capital Standards,
July 2006.
(57) Si veda DTI - COMPANY LAW REVIEW, Terms and Manners. La dottrina inglese ha
cercato tuttavia di ricostruire il sistema contraddittorio generato dalla presenza, all’interno del
Companies Act, delle sec. 159(1) e 133. Si è a tale proposito rilevata l’opportunità di prevedere
che le modalità e le condizioni di riscatto siano inserite nello statuto prima del suo esercizio ma
non necessariamente dell’emissione dei titoli; che tali modalità e condizioni siano disciplinate in
modo sufficientemente analitico, anche in ragione di quanto previsto dalla seconda direttiva;
che mentre previsioni statutarie che prevedano il riscatto «at any time at the option of the
company and/or the holder or after the occurance of specified events» sono senza dubbio
compatibili con la sec. 160(3) del Companies Act, clausole che prevedano che il riscatto sia
esercitabile a un determinata data o durante un certo periodo potrebbero contrastare con tale
norma; che, infine, rimane il dubbio della legittimità di modalità di determinazione del prezzo
delle azioni riscattate affidate a formule matematiche che comportino un esercizio di
discrezionalità da parte degli amministratori: cfr. E.V. FERRAN, Company law, p. 329.
187
CAPITOLO III
del riscatto con riferimento alle quali, peraltro, la norma di legge non pare
escludere la possibilità di prevedere un piano di ammortamento delle azioni a
scadenze fisse.
7.2 Le tesi formulate anteriormente e successivamente alla introduzione dell’art.
2437-sexies c.c. in merito alla previsione delle condizioni di riscatto.
Tornando
all’ordinamento
interno
va
rilevato
che,
prima
dell’introduzione dell’art. 2437-sexies c.c., la dottrina si era espressa nel senso
che lo statuto dovesse contemplare condizioni specifiche, oggettive,
predeterminate e, comunque, non dipendenti dall’arbitrio della società al
verificarsi delle quali le azioni avrebbero potuto essere riscattate. Pur
condividendo il principio della necessaria analiticità di tali previsioni statutarie,
gli autori che si sono occupati del problema non la hanno fatto tuttavia in
modo uniforme. Un autore ha infatti ritenuto che il riscatto non possa essere
collegato a comportamenti o condotte del titolare delle azioni, dovendo
piuttosto “agganciarsi” a specifiche qualità e caratteristiche personali dei soci
(58); secondo un altro orientamento, più liberale, andrebbe affermata la
legittimità di previsioni che áncorano la partecipazione ad un più ampio spettro
di presupposti (59).
La prima tesi si caratterizza per il fatto di essere animata dalla
preoccupazione di conferire il maggiore rilievo organizzativo possibile alle
(58) M. PERRINO, Le tecniche, p. 370-384, ove un ampia rassegna delle possibili cause di
riscatto. Sostiente l’A. cit. infatti che «Di ostacolo al riconoscimento della portata organizzativa
delle clausole in esame è, piuttosto, il fatto che si pretenda con esse di ricollegare l’effetto
dell’esclusione, appunto, a comportamenti del socio. Laddove il fondamento sistemativo che si
è creduto di poter individuare al significato propriamente sociale delle clausole statutarie di
riscatto risiede, invece, conviene ribadire, nell’esplicita attribuzione legislativa di quel medesimo
significato alle regole di autonomia privata – inserite nell’atto costitutivo e con esso pubblicate
– espressive di un interesse alla personalizzazione del rapporto sociale, nel senso, però, non già
di assegnare rilevanza ai comportamenti, bensì semmai alle caratteristiche ed alle qualità
(professionali., familiari o altro) personali dei soci…».
(59) L. CALVOSA, La clausola, p. 231, per la quale «astrattamente infinite possono infatti
essere le previsioni che ancorano la partecipazione sociale alla sussistenza (o all’insussistenza)
di determinati requisiti soggettivi o al verificarsi (o al mancato verificarsi) di determinati eventi
oggettivi» e che conclude nel senso che «…l’appena delineata distinzione – basata sulla
rilevanza dei requisiti soggettivi dei soci o sul verificarsi di eventi oggettivi – riveste un valore
meramente empirico, poiché in realtà assume comunque rilievo il profilo personale (e, quindi,
soggettivo) della partecipazione (anche quanto la stessa sia ancorata ad eventi oggettivi».
188
Azioni riscattabili
clusole di riscatto intende, pertanto, queste ultime esclusivamente come
strumento di “chiusura” e “personalizzazione” della compagine societaria; tale
impostazione sembra essere, tuttavia, eccessivamente restrittiva dell’autonomia
privata. Seguendo tale orientamento, infatti, si preclude alle parti del contratto
sociale la possibilità di disciplinare il riscatto in modo tale da utilizzarlo per
scopi diversi da quello della personalizzazione e del controllo della
composizione della società ma, come questi, altrettanto leciti e meritevoli di
tutela: si esclude, in particolare, la possibilità di prevedere che le azioni siano
riscattate al verificarsi di determinati eventi oggettivi o a scadenze
predeterminate previste nello statuto.
Parrebbe, quindi, più corretto seguire la seconda interpretazione
descritta che, peraltro sembra avere influenzato anche la letteratura che si è
pronunciata sul punto successivamente alla introduzione dell’art. 2437-sexies c.c..
La dottrina maggioritaria, infatti, ritiene che anche l’art. 2437-sexies c.c.
imponga che la previsione del riscatto sia prevista nello statuto e che il suo
esercizio sia condizionato ad elementi oggettivi e funzionali al perseguimento
dell’interesse sociale (60); un autore limita il riscatto alle sole caratteristiche
personali del socio (61); isolata dottrina, invece, sostiene che il riscatto possa
anche non essere ancorato a situazioni specifiche, oggettive e predeterminate,
potendo quindi essere attribuito alla società o agli altri soci anche in modo
arbitrario ed insindacabile (62).
(60) Si vedano, M. CALLEGARI, Art. 2437-sexies, in Il nuovo diritto societario. Commentario,
diretto da G. Cottino e da G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, p. 1444 e
spec. p. 1445, per la quale il riscatto può essere condizionato a tutti gli eventi e le ipotesi
comunque compatibili con il tipo societario e purchè meritevoli di tutela, chiedendosi tuttavia
se il riscatto sia compatibile con il sotto-tipo «società quotate», secondo la definizione
contenuta nell’art. 2325-bis; v. M. CENTONZE, Riflessioni, pp. 51-55; non si esprime, sul punto,
A. PACIELLO, Art. 2437-sexies, p. 1145; S. CAPPIELLO, Art. 2437-sexies, in Codice commentato delle
nuove società, a cura di G. Bonfante, D. Corapi, G. Marziale, R. Rordorf, V. Salafia, Milano,
2004, p. 863; cfr., anche, A. PAOLINI, Recesso nelle s.p.a., in Riforma del diritto societario. Prime
riflessioni, a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, consultabile sul sito www.notarlex.it;
cfr., anche, P. GROSSO, Categorie di azioni, assemblee speciali, strumenti finanziari non azionari: le novità
della riforma, in Società, 2003, p. 1310.
(61) Così, S. CARMIGNANI, Art. 2437- sexies, p. 902.
(62) In questo senso, F. MAGLIULO, Le categorie, p. 111 il quale, da una parte, critica la
tesi contraria (v., sul punto, L. CALVOSA, La clausola, p. 275 e ss. per la quale «le clausole di
riscatto…devono comunque essere ancorate a criteri obiettivi e determinati») in ragione del
189
CAPITOLO III
7.3 In particolare: il problema della riscattabilità ad nutum. Prevalenza delle tesi
negative. Ammissibilità in base ad argomentazioni sistematiche. Conseguenze sul piano
applicativo.
L’ultimo degli orientamenti descritti pone un quesito – cui si è fatto
cenno in occasione della comparazione delle azioni riscattabili con quello
dell’esclusione del socio ex art. 2473-bis c.c. (63) – di importanza fondamentale
per comprendere le regole che governano le azioni riscattabili. Si tratta, infatti,
di capire se lo statuto possa consentire alla società o agli altri soci di riscattare
le azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. incondizionatamente,
legittimando una clausola del seguente tenore «Le azioni di categoria “A” sono
soggette all’esercizio della facoltà di riscatto da parte della società, che potrà
esercitarlo a proprio insindacabile giudizio». Rispondere al quesito in un senso
piuttosto che in un altro significherebbe o riconoscere, nel sistema delle regole
della società per azioni, un modo per poter privare il socio del suo status in
modo indiscriminato e, in un certo senso, più “violento” rispetto all’istituto
dell’esclusione del socio previsto dall’art. 2474-bis c.c. per la società a
responsabilità limitata, essendo svincolato anche dalla presenza di una «giusta
causa» di riscatto; o mettere il socio, titolare di azioni riscattabili, nella
condizione di poter conoscere ex ante le cause idonee a provocarne l’uscita dalla
compagine sociale o, – nel caso in cui sia prevista una riscattabilità a “termine”
– a programmare il momento in cui riceverà la liquidazione delle sue azioni.
A questo proposito, si è visto che il panorama comparatistico è, sul
punto, alquanto frammentario e non contribuisce a dare una risposta
all’interrogativo. Le stesse legislazione statali americane disciplinano questo
aspetto del riscatto in modo differente: la flessibile normativa societaria del
fatto che ciò non sarebbe contrario al principio di correttezza e buona fede, in quanto tale
principio ha senso di essere richiamato solo nell’ipotesi in cui tutte le azioni siano riscattabili e
quindi la società possa riscattare alcuni soci e non altri; in senso dubitativo circa l’ammissibilità
del riscatto ad nutum si esprime, invece, D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, p. 1637, il quale finisce
sostanzialmente per negare tale possibilità alla luce del contenuto dell’art. 39 della seconda
direttiva.
(63) V. supra, cap. II, sub § 7.
190
Azioni riscattabili
Delaware prevede, ad esempio, che il riscatto ad opzione della società possa, ma
non necessariamente debba, essere subordinato al verificarsi di un particolare
evento (64). Anche il diritto canadese lascia ampi margini di libertà alle parti,
senza vincolarle alla previsione di una condizione di riscatto (65). Quetst’ultima,
inoltre, non è un requisito previsto dal diritto spagnolo, ma la situazione
cambia se si prendono in considerazione la legge francese o quella olandese.
Nell’ordinamento interno, la posizione della dottrina è sicuramente
sbilanciata a favore della soluzione più “conservativa”, che si traduce
nell’ammissibilità delle sole disposizioni statutarie che riconducono il riscatto a
presupposti predeterminati dallo statuto (66). I sostenitori di questo
orientamento, affermano dunque la necessità di sanzionare con la nullità
clausole che legittimino un esercizio del riscatto arbitrario o che si connotino
per una eccessiva genericità (67) e ritengono che il trasferimento delle azioni
riscattabili, realizzato in assenza dei presupposti previsti al riguardo dallo
statuto, dovrebbe essere ritenuto inefficace (68).
Tale impostazione tuttavia non sembra del tutto condivisibile. Vi sono
infatti, alcuni indici a fondamento della soluzione contraria e, quindi, a
(64) V. s. 151 (b) Del. Code.
(65) Cfr. s. 2(1) Canada Business Corporations Act [CBCA].
(66) Sul punto, già prima della riforma L. CALVOSA, La clausola, p. 275 e ss. («Le
clausole di riscatto, quale che sia il loro concreto atteggiarsi (in favore della società, in favore
dei soci o in favore di un terzo), e quali che siano le condizioni in esse dedotte (relative a
requisiti soggettivi p ad eventi oggettivi) e il tipo di azioni riguardate (ordinarie, con prestazioni
accessorie, etc.) devono comunque essere ancorate a criteri obiettivi e predeterminati»); riff.
anche in S. PATRIARCA, C’è un futuro, p. 340; G. PRESTI, Le clausole, p. 404; G.B. PORTALE,
Azioni con prestazioni accessorie, p. 763; M. PERRINO, Le tecniche, p. 339 («E’ necessario però
preoccuparsi altresì – ma in realtà il problema non può che porsi e procedere insieme con il
precedente – dell’individuazione dei limti entro i quali possa ritenersi detta ammissibilità»).
Successivamente all’introduzione dell’art. 2437-sexies, c.c., si rinvia supra, nota 60.
(67) Così anche M. CENTONZE, Riflessioni, p. 53, il quale prospetta, in alternativa, anche
la sanzione dell’inefficacia.
(68) V. M. CENTONZE, Riflessioni, p. 53, in nota 11; D. GALLETTI, Il recesso, p. 137, ove
l’A. afferma che la «clausola statutaria di riscatto non è infatti invalida, ma soltanto inefficace
per le situazioni che eccedono il suo ambito di applicazione, sicchè il principi odi
conservazione degli effetti, fissato dall’art. 2367 c.c., impone di interpretarla in modo utile»; v.,
anche, G. PARTESOTTI, Le operazioni, p. 466 per cui «l’abuso è perciò ipotizzabile solo in casi
affatto eccezionali e troverà la sua sanzione nell’efficacia dell’atto di riacquisto oltreché nella
normativa di responsabilità degli amministratori»; L. CALVOSA, La clausola, p. 221 per cui «il
riscatto…può operare o in virtù della clausola o in virtù della delibera autorizzativa: ove
manchino l’una e l’altra, lo stesso non può essere in alcun modo esercitato, perché difetterebbe
il titolo legittimante…».
191
CAPITOLO III
sostegno della riscattabilità ad nutum.
Al di là dell’argomento letterale offerto dall’art. 2437-sexies c.c. – che
non fa cenno alcuno alla necessità di subordinare il riscatto ad un evento o ad
una condizione – è stato sostenuto che non vi sarebbe alcuna ragione per
impedire la previsione (e l’esercizio) di un riscatto ad nutum in quanto esso –
venendo esercitato nei confronti di tutti i soci titolari di azioni riscattabili –
rispetterebbe il principio di buona fede e non violerebbe il principio di parità di
trattamento degli azionisti (69). Tale conclusione è certamente apprezzabile,
anche se, forse, si concentra solamente su un aspetto del riscatto ad nutum,
ovver l’eventualità che la società riscatti solamente alcune delle azioni dei soci,
“selezionandoli” dalla categoria dei titolari delle azioni riscattabili e
consentendo, pertanto, solo ad alcuni di essi di beneficiare della liquidazione
delle azioni. E’ questo, in effetti, uno dei problemi maggiormente sentiti in altre
giurisdizioni, caratterizzate da una legislazione particolarmente liberale in tema
di riscatto (70).
L’argomento più forte per giustificare la riscattabilità ad nutum
sembrerebbe essere di natura sistematica. Ad esso si è già fatto cenno in
precedenza, quando si è condotto il raffronto tra le azioni riscattabili e le regole
(69) V., ancora, F. MAGLIULO, Le categorie, p. 111. Il principio di parità di trattamento
sarà rispettato sia nell’ipotesi in cui il riscatto venga esercitato nei confronti di tutti i titolari di
azioni riscattabili, sia nel caso in cui esso sia esercitato nei confronti di questi ultimi in
proporzione della frazione di capitale da ciascuno di essi detenuta. Si può, a tale proposito,
immaginare una clausola statutaria del seguente tenore «Il capitale sociale è di Euro (…)
suddiviso in due categorie di azioni aventi tutte valore nominale pari a Euro (…) cadauna e
precisamente: la categoria “A” le cui azioni sono dotate di tutti i diritti patrimoniali e
amministrativi riconosciuti dalla legge e la categoria “B” le cui azioni sono dotate dei medesimi
diritti delle azioni appartenenti alla categoria “A” ma sono soggette al riscatto da parte della
società ove si verifichino i seguenti eventi (…). Resta inteso che la società avrà la facoltà di
esercitare il riscatto (i) nei confronti di tutte le azioni appartenenti alla categoria B; oppure (ii)
secondo un quantitativo delle azioni appartenenti alla categoria B che verrà di volta in volta
determinato dalla società e preventivamente comunicato ai titolari delle azioni medesime; la
società provvederà, in quest’ultima ipotesi, a riscattare le azioni in proporzione alle azioni da
ciascuno detenute».
(70) «One element of particolar importance to the corporation is the method or methods of selecting the
particolar securities to be redeemed. Ascertainment may be made my lot, numerical order, tender at the lowest
price or the exercise of an unrestricted choice by the trustee or corporation»: v. P.W. JONES, Redeemable, p.
91; in giurisprudenza, cfr. la risalente pronuncia della Corte dello stato di New York, Missouri,
Kansas & Texas Railway v. Union Trust Company, 156 N.Y. 59, 51 N.E. 309 (1898).
192
Azioni riscattabili
che disciplinano l’esclusione del socio nella società a responsabilità limitata (71).
Dal confronto con tale istituto, infatti, si era già tratta la conclusione della
maggiore centralità della partecipazione azionaria rispetto alla persona del
socio, valorizzata, invece, nella società a responsabilità limitata. L’art. 2437sexies, c.c. è dunque “neutrale” rispetto al socio: ciò che rileva per il
sottoscrittore delle azioni riscattabili è, infatti, la valorizzazione del proprio
investimento e non, invece, l’individuazione del momento in cui potrà
“monetizzare” la sua partecipazione alla società. Per chi sottoscrive azioni
riscattabili, il rischio non è dunque quello di vedersi escluso dalla società in
quanto questa è la caratteristica principale dei titoli acquistati, nota sin
dall’inizio del rapporto con la società. Il che potrebbe spiegare perché la
riscattabilità può essere esercitata, come si vedrà, anche in modo parziale,
mentre il socio che viene escluso dalla compagine di una società a
responsabilità limitata ne viene estromesso in modo totale e definitivo.
A sostegno della soluzione contraria, peraltro, non paiono potersi
richiamare nemmeno altre disposizioni previste dalla riforma nell’ambito della
società per azioni. Si potrebbe, infatti, ritenere che il riscatto ad nutum vada
escluso alla luce del fatto che – tutte le volte in cui le regole del diritto
societario hanno dato la possibilità alla società o, meglio, al gruppo di controllo
di incidere sulla partecipazione o sullo status degli altri soci – lo ha fatto in
modo tale da consentire a questi ultimi di manifestare in modo particolarmente
pregnante il proprio dissenso. Sarebbe questo il caso di disposizioni come l’art.
2355-bis c.c., in cui l’efficacia delle clausole di mero gradimento è subordinata
alla previsione di un obbligo di riscatto o del diritto di recesso per il socio che
voglia trasferire la propria partecipazione (72); o, ancora, come l’art. 2506-bis,
(71) Cfr. supra, cap. I, sub § 8.
(72) Un parallelismo tra la clausola di gradimento e quella di riscatto è stato condotto,
prima dell’introduzione dell’art. 2437-sexies, da L. CALVOSA, La clausola, p. 275 la quale ha
rilevato come «…il parallelismo funzionale tra la clausola di riscatto ela cosula di gradimento –
volte, entrambe, a limitare la circolazione dell apartecipazione azionaria, rispettivamente
all’uscita dalla e all’ingresso nella società – potrebbe ulteriormente confermare la citata
necessità di determinazione puntuale delle condizioni di riscatto, nel senso di escludere la
legittimità di clausola di…«mero riscatto», non ancorate a circostanze obiettive, e quindi
suscettibili di essere utilizzate in modo distorto ed abusivo».
193
CAPITOLO III
c.c., che disciplina il contenuto del progetto di scissione non proporzionale in
modo tale da concedere ai soci dissenzienti il diritto di far acquistare le proprie
partecipazioni ad un valore determinato secondo i criteri previsi per il recesso.
Si tratta, come visto, di fattispecie caratterizzate da una ratio diversa da quella
che ispira le azioni riscattabili e che non sono sovrapponibili a quest’ultima.
Peraltro, la possibilità di riscattare ad nutum un socio potrebbe anche
fondarsi su un altro indice tratto dalle regole della società per azioni. Il comma
3 dell’art. 2437, c.c. concede infatti la facoltà di recesso nel caso di società non
quotata contratta a tempo indeterminato. E se, in quel caso, l’estensione
analogica della disposizione e la possibilità di prevedere ipotesi convenzionali
di recesso ad nutum ulteriori rispetto a quella legale e per società non contratte a
tempo indeterminato è osteggiata dal fatto che in questo modo si aprirebbe una
pericolosa breccia rispetto alla protezione del patrimonio sociale (73), la
medesima preoccupazione non avrebbe senso di trasmettersi nel caso del
riscatto, ove l’iniziativa dello stesso sarebbe lasciata alla società che
verosimilmente si spingerà ad esercitarlo solamente nell’ipotesi in cui sia in
grado di affrontare l’esborso patrimoniale conseguente alla liquidazione delle
(73) In questo senso, v. A. TOFFOLETTO, L’autonomia privata, p. 380 per il quale
«…nessuna ipotesi di recesso di pentimento appare ammissibile: il recesso convenzionale
sembra configurabile esclusivamente quando fondato sulla medesima ratio che ha ispirato
l’ingresso del diritto di recesso nella società di capitali»; pur ammettendo che il recesso ad
nutum potrebbe rappresentare per le società costituite a tempo determinato, sposa la
conclusione negativa anche A. BARTOLACELLI, Profili del recesso ad nutum nelle società per azioni, in
Contr. Impr., 2004, p. 1126 e spec. p. 1162 e ss.. in base alla considerazione che «La situazione
che si verrebbe a creare attraverso l’apposizione di clausole di recesso ad nutum sarebbe
estremamente pericolosa proprio perché istituzionalizzerebbe un giogo sul collo delle società
che…avessero adottate [clausole di recesso ad nutum], ma nolo per il pericolo che in questo
senso correrebbe la società, quanto per il pregiudizio che un suo eventuale dissesto potrebbe
causare alla platea dei fornitori, dei creditori, degli investitori, dei consumatori» e in quanto ciò
potrebbe consentire al socio di maggioranza di tenere in scacco la società nel caso in cui
prospetti l’adozione di una delibera a lui sgradita; ID., Brevi note su forma e modalità di esercizio del
diritto di recesso. in Giur. comm., 2005, II, p. 339; cfr., anche S. CARMIGNANI, Art. 2437-bis, in La
riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, 2/II, Torino, 2003, p. 886; M. MALTONI,
Prime riflessioni in ordine alla nuova disciplina del recesso nelle S.p.A., Consiglio Notarile di Bologna (6
dicembre 2002), Convegno – La nuova disciplina delle società di capitali: prime indicazioni
operative, consultabile sul sito www.notarlex.it; contra, per la soluzione più permissiva, v. S.
CAPPIELLO, Art. 2437, in Codice commentato delle Nuove Società, a cura di G. Bonfante, D. Corapi,
G. Marziale, R. Rordorf, V. Salaria, Milano, 2004, p. 847 e D. GALLETTI, Art. 2437, in Il nuovo
diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, II, Padova, 2005, p. 1530; ma S. CAPPIELLO, Recesso
ad nutum e recesso “per giusta causa” nelle s.p.a., in Riv. dir. comm., 2004, I, p. 497 e ss. e spec. p. 506
e ss..
194
Azioni riscattabili
azioni.
Ammettere la legittimità di clausole statutarie che prevedano un
esercizio del riscatto ad nutum, dunque, non avrebbe l’effetto di sovvertire gli
«equilibri sociali» come pure è stato sostenuto (74) ma, viceversa, esalterebbe
alcuni degli aspetti con i quali il legislatore ha voluto caratterizzare la società
per azioni, ovvero la centralità delle partecipazioni azionarie, l’anominato
dell’investimento, l’insensibilità verso la persona del socio e la libera
contrattazione tra le parti (75). In questo senso, il legislatore sembra essersi
preoccupato di tutelare con particolare enfasi gli interessi patrimoniali del socio
che ha sottoscritto azioni riscattabili, più che quelli connessi con la sua
permanenza all’interno della compagine sociale. E’ in questo senso che
andrebbe inteso quindi il rinvio alle disposizioni sul recesso previsto dalla
norma e che saranno successivamente analizzate.
Da ciò conseguono due importanti conseguenze sul piano applicativo.
Se si concorda con la lettura più permissiva dell’art. 2437-sexies, c.c. si deve
anche concludere nel senso che le azioni riscattabili non sono uno strumento
adatto a tutti i tipi di investitori, ma a quelli che valorizzano – con la
partecipazione alla società – solamente il profilo patrimoniale, piuttosto che
quello decisionale. La seconda conseguenza è che l’eventuale abuso
perpetrabile da parte della società o dei soci con azioni dotate del potere di
riscatto si realizzerà, più che sul piano delle cause di riscatto, su quello della
valorizzazione delle azioni riscattate, specialmente nel caso in cui ai criteri legali
previsti dall’art. 2437-quater c.c. lo statuto sostituisca criteri convenzionali per
calcolare il valore delle azioni (cfr. art. 2437-ter, c.c.) (76); oppure su quello della
(74) V. G. OPPO, Le grandi opzioni, p. 27.
(75) Si può in questa sede richiamare quanto sottolineato, prima della riforma, da G.
FERRI JR., Investimento, p. 73 per il quale «…la partecipazione ad una società non solo
assume…il significato economicoo di investimento, ma proprio in tali termini…viene prese in
considerazione dall’ordinamento giuridico»; dopo la riforma, v. C. ANGELICI, La riforma, passim
ove l’a. sottolinea come il raffronto tra la disciplina della s.p.a. e quella della s.r.l. si esaurisca,
nel primo caso, in un investimento e, nel secondo, nella partecipazione all’attività
imprenditoriale; sul punto, si rinvia anche supra, cap. II, nota 78.
(76) Si potrebbe, a tale proposito, prospettare la previsione di una clausola che, a
fronte dell’attribuzione alla società dell’esercizio arbitrario del riscatto, riconosca ai titolari delle
azioni riscattabili un incremento nel valore di liquidazione delle azioni. Tale soluzione, tuttavia,
195
CAPITOLO III
introduzione del riscatto ad nutum nei confronti di azioni emesse e già in
circolazione. Se, infine, si ammette il riscatto “senza causa”, deve ritenersi
legittimo subordinare il riscatto ad un termine preventivamente fissato nello
statuto o al verificarsi di determinate condizioni ed eventi.
7.4 Esemplificazione di alcuni presupposti cui può essere subordinato l’esercizio del
riscatto.
Si può dunque procedere alla esemplificazione di alcune clausole che
disciplinano le azioni riscattabili con particolare riferimento ai presupposti cui
la loro attivazione potrebbe essere subordinata. Il problema è già stato
ampiamente affrontato dalla dottrina prima dell’introduzione dell’art. 2437sexies c.c. e, quindi, con riferimento alla previsione di clausole di riscatto (77).
Anche la letteratura successiva alla riforma del diritto societario ha peraltro
avuto modo di trattare il punto: le opinioni di una parte della dottrina, pur
differenziandosi tra loro per alcune sfumature, sembrano tuttavia condividere
la tendenza ad estendere, all’istituto delle azioni riscattabili, le soluzioni già
tratteggiate e suggerite prima della riforma (78).
sembrerebbe in contrasto con quanto sottolineato da G. OPPO, Le grandi opzioni della riforma e la
società per azioni, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a cura di G. Cian,
Padova, 2004, p. 26-27 il quale, dopo avere constatato che «nulla dice la norma sui presupposti
della attribuzione, alla società o ai soci, del «potere di riscatto»» rileva che, al riguardo,
«provvederà lo statuto, anche qui rispettando un minimo di giustificazione causale e di
garanzia, non solo patrimoniale, degli azionisti esposti al riscatto».
(77) Il problema è stato già oggetto di approfondito esame da parte di L. CALVOSA, La
clausola, p. 235 e ss.; e, con specifico riferimento all’evento «morte del socio», cfr., in particolare,
EA., Morte del, p. 637 e ss.; EA., Clausola di riscatto, p. 164 e ss.; EA., Clausole di riscatto, p. 635;
anche M. PERRINO, Le tecniche, p. 370 e ss..
(78) Così: M. CALLEGARI, Art. 2437-sexies, pp. 1145-1146; D. GALLETTI, Art. 2437sexies, p. 1637; S. CARMIGNANI,Art. 2437-sexies, p. 903, che si riferisce espressamente alla
«clausola statutaria» di riscatto più che alle azioni riscattabili.; G. COTTINO, Diritto societario,
Padova, 2006, p. 292; ma G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, p. 248 si riferisce a
«…clausole statutarie che prevedono un potere di riscatto delle azioni da parte della società o
dei soci al verificarsi di determinati eventi». Non prende invece posizione sul punto A.
PACIELLO, Art. 2437-sexies, p. 1146.
Sottolineano, invece, la differenza tra clausola di riscatto e azioni riscattabili F.
FERRARA JR – F. CORSI, Gli imprenditori, p. 464 per cui si rinvia a quanto già si è avuto modo di
argomentare, supra, cap. I, nota 12; M. NOTARI, Disposizioni generali, p. 144 per cui l’art. 2437sexies tipizza l’istituto delle «azioni riscattabili (corsivo dell’A.), caratterizzate dal fatto di essere
assoggettate al potere di riscatto»; F. DI SABATO, Diritto delle società, Milano, 2005, p. 202, per
cui l’art. 2437-sexies si riferisce ad azioni per le quali «…lo statuto prevede un potere di
riscatto»;
196
Azioni riscattabili
A tale proposito, sembra opportuno procedere distinguendo, da una
parte, tra eventi e condizioni che l’autonomia statutaria può prevedere con
riferimento, rispettivamente, alla società, ai titolari di azioni riscattabili e agli
altri soci; e, precisando, dall’altra parte, qualora necessario, se le soluzioni
prospettate ante riforma possano mutuarsi anche per l’istituto disciplinato
dall’art. 2437-sexies c.c..
A) Per quanto riguarda la previsione di circostanze riferite alla società,
potrebbe prevedersi, ad esempio, che la società o i soci diversi dai titolari delle
azioni riscattabili abbiano il potere di riscattare le azioni nel caso in cui (i) sia
superato oppure non sia stato raggiunto un determinato livello del patrimonio
netto o del fatturato entro un predeterminato arco temporale (ad esempio: due
esercizi sociali); (ii) si registrino determinati cambiamenti nella struttura del
gruppo cui appartiene la società emittente (79); (iii) sul mercato sulle quali sono
quotate le azioni della società, si verifichino particolari circostanze, quali il
lancio di un’offerta pubblica di acquisto ostile sulla società medesima (80); (iv) si
concretizzi una situazione di stallo degli organi societari (c.d. «deadlock»),
potenzialmente idonea a comportare lo scioglimento della società (81).
B) Lo statuto potrebbe anche prevedere che l’esercizio del riscatto sia
subordinato al verificarsi di un fatto connesso con la situazione soggettiva del
titolare delle azioni riscattabili. Al riguardo non sembrano porre molti problemi
alcune ipotesi – già prospettate con riferimento all’operatività di clausole di
riscatto – quali quelle che subordinano l’operatività di questo meccanismo
(79) Come nella fattispecie affrontata dalla Corte di Rouen, 8 febbraio 1974, in Rev. Soc.,
1974, p. 507, sulla quale si sofferma L. CALVOSA, La clausola, p. 103 in nota 99 e 240 e relativa
alla previsione di una clausola che attribuiva al consiglio di amministrazione di una società
controllata il potere di riscattare le proprie azioni «à l’encontre de toute société actionnaire dans laquelle
interviendraient des modifications dans l’administration, la direction générale ou la gérance révelées par la
publicité commerciale susceptible d’amener une prise de contrôle de ladite société par un groupe de personnes qui
ne seraient pas susceptible d’être agrées en tant que cessionaire des actions de la presente société».
(80) Si rinvia alle considerazioni svolte supra, al cap. II, sub § 2.
(81) Si potrebbe ad esempio prevedere una clausola del seguente tenore «Il capitale
sociale è di Euro (…) suddiviso in due categorie di azioni aventi tutte valore nominale pari a
Euro (…) cadauna e precisamente: la categoria “A” le cui azioni sono dotate di tutti i diritti
patrimoniale e amministrativi riconosciuti dalla legge e la categoria “B” le cui azioni sono
dotate dei medesimi diritti delle azioni appartenenti alla categoria “A”, ma sono soggette al
riscatto da parte del/dei titolari della categoria A qualora si verifichino gli eventi di cui all’art.
2484, n. 3 c.c.».
197
CAPITOLO III
all’assunzione oppure alla perdita di una qualità personale dei soci titolari delle
azioni medesime (82); all’inadempimento di un impegno assunto da questi ultimi
nei confronti della società (83); o, ancora, alla morte degli stessi (84). In tutti
questi casi, infatti, l’evento deducibile come condizione del riscatto pare infatti
compatibile con il fatto di essere incorporati nei titoli azionari.
Alcune fattispecie, tuttavia, meritano di essere analizzate separatamente.
(a) Alcuni problemi potrebbe suscitare, innanzitutto, l’emissione di
azioni a favore dei lavoratori secondo lo schema previsto dall’art. 2349, comma
1 c.c. – e, quindi, mediante l’imputazione di utili a capitale e l’emissione delle
azioni per un importo corrispondente – unitamente alla previsione che tali
azioni siano riscattabili nel momento in cui cessi il rapporti di lavoro con la
società. Il problema è stato già affrontato dalla dottrina prima dell’introduzione
dell’art. 2437-sexies c.c. ed è stato risolto nel senso della piena legittimità di
un’operazione del genere, essendo stato ritenuto meritevole di tutela l’interesse
dell’emittente a far sì che la partecipazione alla società fosse condizionata dalla
conservazione del rapporto di lavoro (85).
(82) V., ad esempio, M. PERRINO, Le tecniche, p. 371 il quale riferendosi all’ipotesi di
clausole di riscatto e non alla fattispecie azioni riscattabili ritiene correttamente che tali qualità
o requisiti «…trovino ragionevole giustificazione nelle caratteristiche oggettive dell’attività
comune»; nello stesso senso, L. CALVOSA, La clausola, p. 232, che paragona le clausole di
riscatto così configurate a clausole di gradimento «rigide, completate dal meccanismo del
riscatto».
(83) Si sono già svolte alcune considerazioni in merito all’utilizzo del riscatto associato
all’emissione di azioni con prestazioni accessorie, per le quali si rinvia alle considerazioni svolte
supra, cap. II, § 3. Si veda, peraltro, M. PERRINO, Le tecniche, p. 372; L. CALVOSA, La clausola, p.
248 e ss. Dopo la riforma del diritto societario si v., in particolare, M. CALLEGARI, Art. 2437sexies, p. 1145; e, anche, S. CARMIGNANI, Art. 2437-sexies, p. 903.
(84) Si veda, sul punto specifico, L. CALVOSA, La clausola, p. 281 e ss. e spec. p. 295
laddove l’A. argomenta a favore della compatibilità tra tale tipo di previsioni e il divieto di patti
sucessori.
(85) La legittimità di tale fattispecie è stata sostenuta da L. CALVOSA, La clausola, in
base alla considerazione che (i) l’evento “mantenimento del rapporto di lavoro” si atteggerebbe
come qualsiasi altro evento deducibile nello statuto quale condizione di riscatto; (ii) il
meccanismo del riscatto consentirebbe di evitare che il negozio di emissione (a “causa mista”
in quanto giustificato sia dal negozio di emissione vero e proprio sia dal rapporto di lavoro) si
caduchi e vengano, di conseguenza, annullate le azioni posto che consentirebbe lo
sganciamento delle azioni da uno dei due profili causali del negozio di emissioni e, in
particolare, da quello relativo al rapporto di lavoro. Afferma l’A. che «…la clausola potrebbe
prevedere che il socio prestatore di lavoro che per qualsiasi causa abbia cessato la propria
attività lavorativa debba trasferire le proprie azioni ad altri prestatori di lavoto (soci o non soci)
o alla società, o anche che i soci o la società (per sé o per altri) possano o debbanom alla
198
Azioni riscattabili
Ci si potrebbe al riguardo domandare se, anche in seguito alla riforma
del diritto societario, non vi siano ostacoli all’emissione di azioni riscattabili da
parte della società nel caso di interruzione del rapporto lavorativo. Il quesito
deriva dalla circostanza che se, da una parte, il legislatore della riforma ha
mantenuto inalterata la previsione del comma 1, per cui le azioni attribuite ai
dipendenti possono essere connotate da particolari norme relative, tra l’altro,
alle loro modalità di trasferimento; ha introdotto, dall’altra parte, un comma 2,
relativo alla attribuzione ai prestatori di lavoro dipendenti della società o di
società controllate di strumenti finanziari partecipativi diversi dalle azioni,
prevedendo esplicitamente che lo statuto possa prevedere norme particolari
riguardo alle eventuali cause di riscatto. L’interprete sembrerebbe quindi
legittimato a chiedersi se – per effetto del ricorso a due formule differenti – il
legislatore abbia in qualche misura voluto consentire all’autonomia statutaria di
prevedere la riscattabilità dei soli strumenti finanziari emessi ai sensi del
comma 2. Nonostante il differente tenore letterale dei due commi, non pare,
tuttavia, potersi giustificare la tesi più restrittiva, sembrando piuttosto più
plausibile sposare una soluzione che consenta di assegnare anche ai dipendenti
azioni riscattabili al momento della interruzione del rapporto di lavoro. Questa
conclusione sembra essere confortata da alcune considerazioni: innanzitutto,
dalla circostanza che il legislatore abbia fatto ricorso, nella comma 2, a una
cessazione del rapporto di lavoro, riscattare, appunto le azioni», pur riconoscendo che «una
clausola disposta in favore degli altri soci-prestatori di lavoro potrebbe invero comportare un
accentramento delle azioni nelle mani di alcuni di essi, con alterazione dell’assetto della
compagine azionaria: sembrerebbe quindi più idonea, sotto tale profilo, la rimessione del
potere-obbligo di riscatto in capo alla società»; contra, R. FRANCESCHELLI, Momenti e profili
giuridici dell’azionariato popolare, in Riv.dir. comm., 1962, I, p. 1 e ss.; si veda anche N. GASPERONI,
Le azioni a favore dei prestatori di lavoro, in Riv. Soc., 1985, p. 1255 e ss.; F. CESARINI, Le offerte ai
dipendenti: aspetti economici e tecnici nella recente esperienza delle società italiane quotate, in Riv. Soc., 1986,
p. 1225; M. BIONE, Le azioni, p. 87 e ss.; si veda anche il lavoro di G. ACERBI, Osservazioni sulle
stock options e sull’azionariato dei dipendenti, in Riv. Soc., 1998, p. 1193 e ss. e spec. p. 1248 che si
intrattiene sulla ratio della previsione di cui all’art. 133, comma 3 del d.lgs. 58/1998 che
contempla una deroga all’obbligo, previsto dai primi due commi, di effettuare l’acquisto di
azioni proprie o della controllante tramte il lanio di un’opa o sul mercato per l’ipotesi in cui tale
acqusto abbia ad oggetto azioni possedute dai dipendneti per effetto di assegnazioni ex art.
2349, comma 1 o di sottoscrizione ex art. 2442, comma 8: si tratterebbe, in particolare, di una
ipotesi “impropria” di riscatto «…perché la parola evoca efficacemente scopo e risultato, ma è
ovvio che nulla vi è in comune con il riscatto-rimborso quale modalità attuativa della riduzione
del capitale per esuberanza…la via del (facoltativo) riscatto-exit a favore dei dipendenti
azionisti…è dunque l’acquisto di proprie azioni ex art. 2357, ss., c.c..».
199
CAPITOLO III
locuzione più precisa non esclude la possibilità che abbia inteso ricomprenderla
nella più generale espressione «modalità di trasferimento» utilizzata nell’ambito
della disciplina delle azioni (86); in secondo luogo, in quanto una soluzione
contraria
comporterebbe
una
eccessiva
ed
ingiustificata
limitazione
dell’autonomia statutaria (87); in terza istanza, infine, dalla constatazione che le
azioni emesse ai sensi del comma 1 dell’art. 2349 c.c. non rappresentano di per
sé una categoria speciale di azioni (88): ben potrebbe sostenersi, quindi, che, in
assenza di una previsione che ne limitino l’ambito di applicazione, l’art. 2437sexies c.c. possa anche essere utilizzato per l’emissione di azioni assegnate ai
lavoratori ai sensi del comma 1 dell’art. 2349 c.c..
Ammessa la possibilità di emettere azioni riscattabili ai sensi del
combinato disposto di cui agli articoli 2349, comma 1 e 2437-sexies c.c. e di far
dipendere il riscatto dalla interruzione del rapporto di lavoro, ci si potrebbe poi
chiedere come debba qualificarsi tale riscattabilità e, in particolare, se essa
debba essere configurata solamente come un potere della società o degli altri
soci – seguendo in questo modo l’impostazione dell’art. 2437-sexies c.c. –
oppure se il sistema riconosca come meritevole di tutela anche il simmetrico
interesse del dipendente ad uscire dalla società, con la conseguente previsione
di un obbligo di riscatto in capo a quest’ultima o ai soci non titolari di queste
azioni (89).
(86) Come già sostenuto supra, cap. II, § 5, in nota 65 il riscatto si sostanzia in una
peculiare modalità di trasferimento ma non in un vincolo al pari delle clausole di prelazione.
(87) Così A. STAGNO D’ALCONTRES, Art. 2349, in Società di capitali. Commentario, a cura
di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, II, Napoli, 2004, p. 291 per cui «Il fatto che, a
differenza di quanto è stato fatto con riferimento agli strumenti finanziari partecipativi, a
lcomma 2 dell’art. 2349, non si faccia menzione della possibilie attribuzione agli azionisti di un
diritto al riscatto o alla società di una pretesa analoga (la previsione di diritti di put e di call, per
intendersi), non vale a limitare l’ambito di esplicazione dell’autonomia statuaria in materia»
(88) Sul punto, v. M. NOTARI, Disposizioni generali, p. 144 per cui «L’operazione…può
sia dar vita a nuove categorie speciali di azioni, sia comportare l’emissione di azioni ordinarie o
di azioni di categorie speicali già esistenti. Il contenuto delle azioni assegnate ai dipendenti in
altre parole, viene liberamente stabilito dall’assemblea al momento dell’emissione e il semplice
fatto di essere destinate ai lavoratori non implica necessariamente che si tratti di una categoria
speciale di azioni»; nello stesso senso, G. COTTINO, Diritto societario, p. 288; F. FERRARA JR - F.
CORSI, Gli imprenditori, p. 460.
(89) Parrebbe ammettere questa soluzione anche la Consob: a tale proposito si legga la
l’Audizione della Consob sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risultati d’impresa
tenutasi, in data 15 maggio 2003, presso l’XI Commissione lavoro pubblico e privato della
200
Azioni riscattabili
(b) Un discorso a parte merita, inoltre, la previsione del riscatto a fronte
del superamento di una determinata soglia percentuale nel possesso azionario.
La dottrina che ha trattato la questione prima della introduzione dell’art. 2437sexies c.c. ha esaminato la fattispecie della “partecipazione eccedente”
suggerendo di sanzionare – attraverso la previsione di una clausola di riscatto –
il superamento della soglia rilevante prevista nello statuto (90). Alla luce di tale
Camera dei Deputati. A tale proposito, la Commissione ha messo in luce come l’assegnazione
di azioni ai dipendenti avrebbe il fine di massimizzare i profitti derivanti dalla detenzione e
dismissione dei titoli attraverso l’adozione «…anche in concorrenza tra loro, di una pluralità di
soluzione che variano dall’attenuazione del vincolo di inalienabilità delle azioni, a meccanuismi
di gestione professionale delle stesse, alla previsione di un obbligo di riscatto delle azioni in
capo alla società medesima». Il tema è stato affrontato anche dalla dottrina straniera, in
particolare, statunitense: si veda, sul punto, il risalente scritto di E.M. DODD JR., Purchase and
redemption, p. 697 (1940-1941) che ha messo in luce, da una parte, come il riacquisto di azioni al
termine del rapporto di lavoro possa configurarsi sia come un diritto dell’azionista-dipendente
sia come un diritto della società, analizzando, dall’altra parte, quali possano essere per l’uno o
per l’altra gli interessi sottesi a tale tipo di operazione («…repurchase agreements are also
frequently entered into as part of an arrangement by which an employee of a corporation
subscribes to some of its shares with an agreement that, on termination of his employment, he
will resell his shares to the company. The agreement may obligate the corporation to buy, as
well as the employee to sell. In some cases it is in th eform of an option to the employee to sell
on terminating his employement, without his being obligated to do so…The primary purpose
of sich plans is to give the employees a stake in the enterprise in which they are employed.
Generally speaking, neither party desires that the stake continue if the employement
relationship cases to exist. One who has formerly worked for, but is now no longer connected
with a corporation and who originally invested in its shares because of his eimployment may
well feel that the continuation of this investment under the changed conditions is
undesiderable, particularly if the shares have no ready market. The corporation, on its side, is
likely for several reasons to desire the power to repurchase the shares on termination of the
employment. It may be reluctant to have them remain in the hands of one who may now be in
the employ of a competitor»); v., anche, la Note, Corporate Stock Repurchases under the Federal
Securities Laws, in Columbia Law Review, Vol. 66, No. 7. (Nov., 1966), pp. 1292-1321.
(90) Il fenomeno della c.d. «partecipazione eccedente» è stato oggetto dell’interessante
studio monografico di L. CALVOSA, La partecipazione eccedente (e i limiti al diritto di voto), Milano,
1999, passim e spec. a p. 53 e ss., laddove l’A. rileva come «Le finalità cui la clausola limitativa
del possesso azionario può essere preordinata sono numerose e mutano in relazione, oltre che
alla misura (maggiore o minore) del limite, all’assetto della compagine sociale che essa regola e
su cui di volta in volta va ad incidere…La finalità di porsi come strumento di realizzazione
della democrazia azionaria, venuta alla ribalta in tempi recenti nei procedimenti di dismissione
di società in mano pubblica, è soltanto una delle possibili funzioni che la clausola in esame può
perseguire»; EA., La clausola, pp. 236-237; accoglie le tesi esposti dalla Calvosa, anche M.
PERRINO, Le tecniche, p. 373-374; sul punto si è epresso anche C. ANGELICI, La circolazione, pp.
208-209, il quale si domanda «…se può ritenersi compatibile con il modello organizzativo della
società azionaria una soluzione statutaria la quale, superando in tal modo la prospettiva delle
singole unità azionarie, si volge a considerare direttamente la «quota» personalmente spettante a
ciascun socio…», concludendo per la natura parasociale di tali previsioni per cui «…mi
sembra…più tranquillizzante riconoscere a quella cui ora si accenna un valore soltanto
«parasociale», nel senso quindi che essa, pur se formalmente inserita nello statuto, non attiene
in realtà ai problemi organizzativi della società ed individua quindi esclusivamente un vincolo,
201
CAPITOLO III
orientamento doveva – e tutt’ora deve – ritenersi ammissibile una clausola del
seguente tenore «Alla società è attribuito il diritto di riscattare le azioni
detenute da Tizio che, per effetto dell’acquisto di ulteriori azioni da parte di
altri soci o della sottoscrizione di aumenti di capitale, eccedano,
complessivamente, la soglia del 15% del capitale della società». In questo
modo, sostanzialmente, si consente alla società di monitorare l’accrescimento
della partecipazione in capo ad uno o più soci individuati dallo statuto evitando
allora di tipo obbligatorio, dei singoli soci: l’impegno in sostanza di astenersi da operazioni di
acquisto che facciano loro superare il previsto limite del possesso azionario». Come si è già
avuto modo di argomentare non si condivide quest’ultima opinione (cfr., supra, cap. II, § 2)
condividendo piuttosto la tesi per cui «…la clausola statutaria, ma solo parasociale non esiste:
esistono tutt’al più clausole nulle o inefficaci» (v. L. STANGHELLINI, I limiti, p. 140); v. anche G.
PARTESOTTI, Le operazioni, p. 463, per cui tali previsioni sarebbero «…difficilmente a nostro
avviso armonizzabili col principio della libertà di circolazione dei titoli e con le stesse regole
sulla legittimazione cartolare all’iscrizione nel libro soci»; D.U. SANTOSUOSSO, Il principio, p. 307
il quale distingue tra l’ipotesi in cui la partecipazione in esubero sia conseguita in seguito al
trasferimento di azioni già esistenti che si presenterebbe come una situazione «analoga a quella
determinata da una clausola di gradimento preventivo che si renda operativa in occasione di
una cessione fra azionisti nel senso che in entrambi i casi all’alienante viene impedito il libero
commercio delel sue partecipazioni a favore di un altro azionista, in base a condizioni
predeterminate nello statuto»; dal caso in cui il superamento della soglia rilevanti sia l’effetto
della sottoscrizione di nuove azioni emesse a fronte di un aumento del capitale per cui è
«chiaro l’accostamento con la fattispecie dell’aumento di capitale con esclusione o limitazione
del diritto di opzione, nella misura in cui venga negata la possibilità di raggiungere e superare i
limiti partecipativi predeterminati»; v., anche, S. D’ANGELO, Sulle clausole limitative al possesso
azionario, in Riv. dir. civ., 1996, pp. 579-596.
Con specifico riguardo al problema alle soglie di partecipazione previste dalla legge
sulle privatizzazioni (d.l. 332/1994) si vedano gli interventi di P.G. JAEGER, Privatizzazioni;
“public companies”; problemi societari, in Giur. comm., 1995, I pp. 5-19; B. LIBONATI, La faticosa
“accelerazione” delle privatizzazioni, in Giur. comm., 1995, I, pp. 20-76; R. COSTI, Privatizzazione e
diritto delle società per azioni, in Giur. comm., 1995, I, pp. 77 -100; G. ROSSI, Privatizzazioni e diritto
societario, in Riv. Soc., 1994, pp. 385-401.
In giurisprudenza, cfr. Tribunale Milano 6 febbraio 1992, in Riv. dir. comm. 1993, II, p.
131 che, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di una clausola statutaria che imponeva una
soglia al possesso della partecipazione azionaria, ha affermato «Nell’interpretazione di uno
statuto societario occorre fare riferimento ai principi dettati in materia contrattuale, avuto
riguardo alla natura di pattuizioni di diritto privato propria delle singole disposizioni. È
legittima la clausola statutaria secondo la quale, salvo il consenso unanime dato per iscritto
dagli altri soci, nessuno di essi o dei loro aventi causa per qualsiasi titolo può essere intestatario,
sia individualmente sia cumulativamente col dante causa o fra di loro, di un numero di azioni
superiore al 50% del capitale sociale. Questa pattuizione tende, infatti, ad impedire non tanto la
facoltà del socio di alienare le proprie azioni quanto quella di trasferirle a determinati soggetti
in vista del mantenimento tra due distinti gruppi di soci di un certo assetto di organizzazione
societaria».
La fattispecie della partecipazione eccedente non deve essere confusa con la
previsione di soglie o “contingentamente” all’esercizio del diritto di voto ai sensi dell’art. 2351,
comma 3, sul quale si intrattiene sempre L. CALVOSA, La partecipazione, p. 157; dopo la riforma
del diritto societario, v. A. ANGELILLIS - M.L. VITALI, Art. 2351.
202
Azioni riscattabili
che uno o alcuni di essi possano aumentare il proprio peso all’interno della
società (91). Più difficoltoso, invece, sembra configurare una simile pattuizione
con riferimento all’art. 2437-sexies c.c., in ragione del fatto che essa dovrebbe,
per così dire, “accedere” e caratterizzare, tra le azioni emesse, solamente quelle
eccedenti il tetto partecipativo previsto dallo statuto. In altre parole, parrebbe
inconciliabile il fatto che le azioni (tutte) siano emesse ai sensi dell’art. 2437sexies c.c. e che, in seguito all’avveramento dell’evento dedotto in condizione –
nel caso di specie il superamento della soglia rilevante – possano essere
(91) La clausola che “sanzioni” con il riscatto il superamento di determinate soglie al
possesso azionario si pone quale valida alternativa ad altri meccanismi contemplati dalla legge o
utilizzati nella prassi. Ci si riferisce, in particolare, da una parte, al ricorso alla nuova disciplina
contenuta nell’art. 2351, comma 3 che consente alle società che non fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio di prevedere negli statuti che il diritto di voto sia limitato ad una misura
massima o di disporne scaglionamenti (si veda, per una distinzione tra la clausola di limite al
possesso azionario e l’emissione di azioni il cui diritto di voto sia limitato in relazione ad una
data oercentuale di azioni possedute, si permetta di rinviare ancora a A. ANGELILLIS - M.L.
VITALI, Art. 2351). e, dall’altra parte, alla previsioni di clausole che affianchino alla previsione
di limiti al possesso azionario una sorta di “congelamento” del diritto di voto e dei diritti per i
quali rilevi la percentuale di azioni possedute con riferimento alla porzione di titoli detenuti in
eccedenza rispetto al limite consentito (ne suggerisce l’utilizzo L. CALVOSA, La partecipaizone, p.
138 e ss. e spec. p. 145). A dire il vero le tre ipotesi non sono pienamente coincidenti. Nel primo
caso, infatti, il riscatto avverrà a titolo definitivo, avrà una connotazione marcatamente
“sanzionatoria” e potrebbe consentire di evitare gli eventuali inconvenienti derivanti dalla
sospensione dell’esercizio dei diritti sociali come, ad esempio, quelli legati alla verifica della
legittimazione ad esercitare il voto che l’art. 2371 affida al presidente dell’assemblea. E’ questo
l’orientamento di L. CALVOSA, La clausola, p. 238-240, la quale, dopo avere rilevato che «…la
previsione statutaria del riscatto potrebbe fungere da sanzione più idonea rispetto a quelle del
«congelamento» dell’esercizio dei diritti sociali o dell’inefficacia dell’acquisto eccedente» ha
successivamente (cfr. L. CALVOSA, La partecipazione, p. 127, p. 138 e ss. e spec. p. 145 e 155)
riveduto la sua posizione in merito al meccanismo da applicarsi in caso di superamento della
soglia imposta al possesso azionario in base alla constatata scindibilità e dissociazione dei diritti
partecipativi rilevando la «…sempre maggiore propensione del legislatore vero forme di
«scissione» del diritto di voto dalla partecipazione sociale…anche in chiave, per così dire, di
«scomposizione-contrazione», mediante paralisi del diritto di voto e dei diritti corporativi in
capo ad un medesimo soggetto» e concludendo nel senso che il congelamento del diritto di
voto e degli altri diritti corporativi misurabili «…non intaccano, come precisato, il «contenuto
essenziale» della proprietà azionaria, individuabile nelle prerogative patrimoniali direttamente
discendenti dall’investimento». Nella seconda ipotesi, invece, il superamento del limite al possesso
azionario avrà l’effetto di impedire la legittimazione all’esercizio del diritto di voto per le azioni
eccedenti, anche se probabilmente non comporterà il congelamento dell’esercizio degli altri
diritti connessi a tali azioni, quali quelli della percezione degli utili e dell’esercizio del diritto di
opzione; l’emissione di azioni ai sensi dell’art. 2351, comma 3 pare, invece, avvicinabile alla seconda
ipotesi descritta, anche se deve ritenersi che in questo caso restino congelati tutti i diritti
commisurati alla percentuale del capitale sociale rilevante.
203
CAPITOLO III
riscattate solo le azioni detenute in surplus (92). Un esempio può contribuire a
chiarire la questione: poniamo che (i) la società Alfa abbia un capitale di 1.000,
articolato in 800 azioni di categoria “A” e in 200 azioni di categoria “B”
riscattabili, del valore nominale di 1 cadauna; (ii) lo statuto preveda che le
azioni della categoria “B” siano riscattabili qualora il loro titolare ecceda la
soglia quantitativa delle 200 azioni; (iii) le 200 azioni vengano sottoscritte e
liberate da Tizio. Dall’esempio emergono, chiaramente le problematiche sopra
messi in luce. Dalla previsione statutaria dell’esempio non risulta chiaro, infatti,
se (i) le azioni passibili di essere riscattate siano – oltre a quelle che hanno
avuto l’effetto di comportare il superamento della soglia rilevante – anche tutte
le altre (200 azioni), con la conseguente uscita di Tizio dalla compagine sociale;
oppure se (ii) oggetto del riscatto possano essere – come parrebbe più coerente
con la ratio delle c.d. clausole di “partecipazione eccedente” – solamente le
azioni acquistate in violazione della disposizioni statutaria. In questo secondo
caso, sembrerebbe poi porsi un ulteriore problema, posto che le azioni che
comportano il superamento del limite potrebbero ben appartenere ad una
categoria diversa da quelle delle 200 azioni riscattabili originariamente
sottoscritte da Tizio potendo, ad esempio, trattarsi di azioni ordinarie detenute
da altri soci e da questi ultimi cedute a Tizio. Ci si potrebbe dunque domandare
come azioni emesse dalla società al di fuori dello schema previsto dall’art.
2437-sexies c.c., possano diventare tali solo in conseguenza del fatto che il loro
titolare è anche proprietario di 200 azioni riscattabili.
Questi problemi non sono tuttavia insormontabili. Sono probabilmente
prospettabili almeno due meccanismi che consentano di conciliare l’istituto
delle azioni riscattabili con l’esigenza di controllare la percentuale partecipativa
di uno o più soci.
La prima: rispetto all’ipotesi base sopra descritta, potrebbe ad esempio
immaginarsi una clausola statutaria che preveda che la soglia si considera
superata solamente nell’ipotesi in cui oltre alle 200 azioni riscattabili già
(92) Né sembrerebbe avere senso l’emissione di azioni che, al verificarsi della soglia di
sbarramento prevista dallo statuto, siano tutte riscattabili ad opzione della società o degli altri
soci.
204
Azioni riscattabili
detenute da Tizio, quest’ultimo acquisti ulteriori azioni della stessa categoria. In
questo modo, tuttavia, si introdurrebbe un correttivo che, da una parte,
avrebbe l’effetto di limitare in modo significativo l’operatività della clausola di
“partecipazione eccedente” e che, dall’altra parte, imporrebbe l’inserimento
nello statuto di una ulteriore ipotesi, condizione o evento cui sia subordinato il
riscatto delle 200 azioni già di titolarità di Tizio. La clausola potrebbe articolarsi
come segue: «Il capitale sociale è pari a 1000 e si articola in 800 azioni di
categoria “A” e 200 azioni di categoria “B”. Alle azioni di categoria “A” sono
attribuiti tutti i diritti, patrimoniali ed amministrativi, previsti dalla legge ed,
inoltre, il diritto di riscattare le azioni di categoria “B”, anch’esse dotate dei
medesimi diritti, per l’ipotesi in cui il titolare di quest’ultima categoria non
consegua la qualifica di …entro il termine di …. Per l’ipotesi in cui il titolare
delle azioni di categoria “B” superi la soglia partecipativa delle 200 azioni per
effetto dell’acquisto di ulteriori azioni riscattabili eventualmente emesse dalla
società, queste potranno essere immediatamente riscattate dagli altri soci».
La seconda: la conciliazione dell’art. 2437-sexies c.c. con la previsione di
una clausola avente ad oggetto uno sbarramento quantitativo alla
partecipazione potrebbe anche passare attraverso l’introduzione del riscatto,
quale elemento accessorio delle azioni in eccedenza, successivamente al
realizzarsi di tale eventualità. In altre parole, si potrebbe costruire una clausola
che preveda che le azioni in eccedenza, indipendentemente dalla categoria alla
quale appartengono diventino riscattabili solo se aggregate alla partecipazione
originariamente detenuta dal loro titolare. Tale scopo sarebbe probabilmente
conseguibile per effetto dell’adozione di una delibera – che secondo quanto
indicato dalla dottrina dovrebbe poter essere assunta a maggioranza – avente
ad oggetto la conversione delle azioni in eccedenza in azioni riscattabili. In
effetti, il fenomeno della conversione di azioni in titoli appartenenti ad altra
categoria è compatibile con i principi del diritto societario, traducendosi in una
novazione volontaria del titolo azionario senza che, tuttavia, ne sia modificato
205
CAPITOLO III
lo schema causale (93). L’istituto della conversione delle azioni è stato, infatti,
tipizzato dal legislatore, in generale, nell’ambito della disciplina delle azioni
correlate (art. 2350) (94) e, per le sole società quotate, con riferimento alla
disciplina delle azioni di risparmio (95); esso è stato ritenuto inoltre legittimo da
alcune pronunce giurisprudenziali (96); e prospettato, infine, dalla letteratura
anche nella versione di conversione “forzosa” delle azioni imposta dalla
maggioranza dei soci, oltre che nell’ipotesi di conversione automatica o
volonaria (97).
(c) L’ultima questione da affrontare con riferimento ad eventi o
(93) Come, invece, accade nell’ipotesi delle obbligazioni convertibili in azioni ove a
essere novato è il rapporto creditorio tra obbligazionista e società che si trasforma in
partecipazione azionaria al capitale di rischio: sposano la tesi della natura novativa della
conversione G.F. CAMPOBASSO, Le obbligazioni, in Trattato delle società per azioni, 5, Torino, 1998,
p. 445 per cui tale tesi «…inquadra in modo più lineare il contestuale effetto stintivo (del
rapporto obbligatorio) – costitutivo (del rapporto societario) che consegue all’unitaria
manifestazione di volontà delòl’obbligaionista che converte, Presenta inoltre il pregio di
liberare l’interprete da alcuni (pseudo) problemi, quali quello se si sia in cpresenza di
compensazione volontaria o legale, se il conferimento effettuato dall’obbligazionista sia un
conferimento in denaro o in natura (conferimento dei titoli o del credito incorporato) e se in
quest’ultimo caso si debba procedere ad un controllo (sia pure solo successivo) del relativo
valore ex art. 2343»; v. anche G. DOMENICHINI, Le obbligazioni convertibili, Milano, 1993, p. 265 e
ss.; parzialmente contraria R. CAVALLO BORGIA, Società per azioni. Artt. 2410-2420-ter., RomaBologna, 2005, p. 321; contra F. DI SABATO, Manuale delle Società, Torino, 1995, p. 422 nel testo
e in nota 39, il quale opta per l’inquadramento della fattispecie nello schema del contratto di
mutuo cui accede un patto di opzione.
(94) L’art. 2350 prevede, infatti, al comma 2, 2 prop. che «Lo statuto stabilisce i criteri
di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti
attribuiri a tali azioni, nonché le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di
altra categoria». In letterarura, peraltro, si è riconosciuta la legittimità dell’emissione di azioni
correlate riscattabili, ove la riscattabilità viene utilizzata quale strumento alternativo proprio alla
conversione in azioni di altra categoria e, in particolare, con funzione liquidatoria «…della
partecipazione azionaria quando l’attività settoriale non sia più (per volontà dell’organo
gestorio o per altre circostanze) proseguibile. Quale ad esempio l’emissione di azioni correlate
riscattabili (art. 2437 sexies)» (v., sul punto, U. PATRONI GRIFFI, Le azioni correlate, p. 77; per un
esame aggiornato delle diffusione delle azioni correlate, cfr. P.F. MONDINI, Le azioni correlate ai
sensi dell’art. 2350, comma 2, c.c.: brevi considerazioni sulle prime esperienze applicative, in Riv. Soc., 2007,
p. 899).
(95) Prima con l’art. 14, comma 2, l. 216/74 e, successivamente, con l’art. 145, comma
7 d. lgs. 58/1998.
(96) V. Tribunale Milano 15 luglio 1982, in BBTC, 1983, II, p. 474 con nota di C.
COSTA, Conversione di azioni privilegiate a voto limitato in ordinarie: assemblee speciali, poteri e limiti;
anche Tribunale di Udine, 13 dicembre 1997, in Vita Notarile, 1998, p. 1047; in Società, 1998, p.
455, con nota di B. IANNELLO, Inammissibili le azioni privilegiate nelle perdite.
(97) M. NOTARI, Art. 145, in Commentario al Testo unico dell’intermediazione finanziaria, a
cura di P. Marchetti e L.A. Bianchi, Milano, 1999, p. 1558-1562, anche se con qualche
perplessità rispetto all’applicazione di tale meccanismo alle azioni di risparmio prive del diritto
di voto nell’assemblea che decide di procedere alla conversione dei titoli.
206
Azioni riscattabili
circostanze riferibili al titolare delle azioni riscattabili riguarda, infine, il caso in
cui la condizione cui venga subordinato l’esercizio del riscatto possa in qualche
modo contrastare con i tratti tipologici della società per azioni. Al riguardo,
qualche perplessità suscita l’idea che l’attivazione del riscatto possa essere
subordinata ad eventi connessi con il comportamento tenuto dal titolare delle
azioni riscattabili nei confronti della società medesima. E’ questa l’ipotesi in
cui, ad esempio, si preveda che la società o gli altri soci possano riscattare le
azioni nel caso in cui il loro titolare abbia svolto attività in concorrenza con
l’emittente. Se è vero, infatti, che l’introduzione di meccanismi di riscatto nello
statuto può rivestire, tra le altre, anche la funzione di “personalizzare” la
compagine sociale, ciò non legittima ad importare nel sistema delle società per
azioni specifici istituti – quale quello rappresentato dall’art. 2301 c.c. – elaborati
dal legislatore per la disciplina delle società di persone (98). Un’altro caso
riguarda l’ipotesi in cui le azioni riscattabili siano state attribuite ai sensi dell’art.
2349 c.c. o sottoscritte dagli amministratori e si preveda che il riscatto sia
esercitabile nel momento in cui il socio-amministratore cessi dalla carica per
qualsivoglia
motivo.
Questo
meccanismo
consentirebbe
di
stabilire
convenzionalmente un rapporto tra la partecipazione al capitale della società e
quello di amministrazione ma, probabilmente, potrebbe essere suscettibile di
divenire uno strumento di abuso nei confronti degli amministratori e idoneo,
peraltro, ad alterare il funzionamento di istituti tipici della disciplina delle
società per azioni (99). Proprio per evitare tale situazione e ferma restando
l’opportunità di valutare, caso per caso, la legittimità di singole clausole,
potrebbe avanzarsi l’idea che siano ammissibili quelle previsioni che
subordinino il riscatto delle azioni detenute dagli amministratori solamente in
seguito alla perdita di tale qualità secondo le regole dettate dalla legge per la
(98) L’ipotesi criticata nel testo è invece avanzata da L. CALVOSA, La clausola, p. 236
sulla base della considerazione che in questo caso «…le parti hanno inteso avvalersi dello
schema capitalistico e delle sue regole di funzionamento, senza peraltro rinunciare ad elementi
(di disciplina) personalistici»; sembra ammettere la legittimità di una tale previsione anche F.
MAGLIULO, Le categorie, p. 112.
(99) Si pensi, a quest’ultimo proposito, alla possibilità di servirsi del riscatto delle azioni
degli amministratori al fine di evitare il ricorso all’applicazione dell’art. 2383, in tema di revoca
degli stessi.
207
CAPITOLO III
cessazione del rapporto di amministrazione e non, invece, di quelle che
attribuiscono alla società o ai soci di servirsi del riscatto per privare
ingiustificatamente gli amministratori della carica rivestita (100).
C) Residua, infine, l’ipotesi in cui l’evento a cui è condizionato il potere
di riscatto sia collegato ai soci diversi dai titolari delle azioni riscattabili. La
formulazione di clausole che subordinino il potere di riscatto alla volontà dei
soci che – per effetto dell’esercizio del riscatto – otterrebbero il trasferimento
delle azioni rischierebbero, infatti, di conseguire il medesimo effetto di una
condizione sospensiva meramente potestativa, nulla ai sensi dell’art. 1355 c.c. (101). Si
consideri, ad esempio, la seguente clausola «Alle azioni di categoria “A” è
attribuito il potere di riscattare le azioni della categoria “B” nell’ipotesi in cui i
titolari delle azioni “A” esercitino il diritto di opzione ai sensi dell’art. 2441 c.c.
in occasione di una delibera di aumento di capitale». La clausola consentirebbe
infatti di conseguire la titolarità di titoli ulteriori rispetto a quelli derivanti
dall’esercizio del diritto di opzione. Peraltro, l’evento «esercizio del diritto di
opzione» cui viene subordinato il riscatto dipende dalla volontà dell’azionista
titolare della categoria “A” (se non approva l’aumento di capitale e non esercita
(100) Per L. CALVOSA, La clausola, p. 266 e ss. la quale ammette la legittimità della
fattispecie sia nell’ipotesi in cui agli amministratori siano attribuite azioni con prestazioni
accessorie; sia nel caso in cui essi siano destinatari di azioni ordinarie; sia, infine, quando le
azioni vengano attribuite a titolo di compenso, non senza avvertire che «si tratta in ogni caso di
ipotesi complesse, le quali implicano che il riscatto e le vicende inerenti alla partecipazione
sociale incidano sulla disciplina propria del rapporto di amministrazione: occorrerà quindi
congegnare le clausole in modo che le stesse mantengano comunque fermi i principi e non
alterino le regole che presiedono all’attribuzione dei poteri agli amministratori e alla ripartizione
delle competenze fra i diversi organi sociali»; v., anche G. MUCCIARELLI, L’acquisto delle azioni
proprie in una sentenza tedesca, in Riv. Soc., 1993, p. 422, in cui si commenta la decisione assunta il
6 gennaio 1992 dal Landgericht di Göttingen in relazione alla validità di un accordo concluso tra
una società, un suo amministratore e la società controllante la prima nella quale, peraltro,
l’amministratore deteneva un pacchetto di azioni. Per effetto dell’accordo, al momento della
cessazione del rapporto di amministrazione, la società controllante avrebbe dovuto riscattare le
proprie azioni che l’amministratore non fosse riuscito ad alienare a terzi.
(101) Per alcune osservazioni relative all’introduzione di clausole che subordinano il
trasferimento della partecipazione al mero gradimento si veda infra, § 5.1. D’altra parte il
legislatore ha vietato il ricorso a condizioni meramente potestative anche nella fattispecie di
azioni a voto condizionato ai sensi dell’art. 2351, comma 2 e ciò nonostante abbia comunque
consentito la possibilità di escludere del tutto tale diritto. Il che sottolinea probabilmente una
sorta di “idiosincrasia” del legislatore nei confronti di situazioni che possano dipendere dalla
sola volontà di alcuni soci e che, contestualmente, possano avere rilevanti riflessi sia
sull’organizzazione sociale sia sulla posizione dei singoli soci.
208
Azioni riscattabili
il diritto di opzione, infatti, non potrà nemmeno riscattare le azioni “B”) il che
potrebbe risultare in contrasto con la richiamata disposizione. Nella pratica,
tuttavia, non essendo del tutto agevole valutare questa come altre simili ipotesi,
sarà probabilmente necessario compiere una valutazione caso per caso con
riferimento alla legittimità della previsione statutaria in questione e alla
meritevolezza degli interessi con essa perseguiti. Nell’esempio riportato, infatti,
l’assunzione della deliberazione di aumento di capitale potrebbe anche non
essere l’effetto esclusivo dell’esercizio dei suoi voti qualora, ad esempio, la
partecipazione del titolare di azioni di categoria “A” non raggiunga, da solo, i
quorum richiesti per le modificazioni dello statuto.
7.5 Ulteriori osservazioni in merito alle condizioni del riscatto
Residuano alcune osservazioni in merito al grado di analiticità delle
clausole che disciplinano i presupposti del riscatto; alle modalità di accertamento di
tali presupposti; e, infine, alle conseguenze derivanti sia dalla introduzione di
clausole statutarie di riscatto che non indichino (oppure prevedano in termini
estremamente generici) le condizioni oggettive che ne consentano l’esercizio,
sia dall’esercizio del riscatto in assenza dei presupposti previsti dallo statuto.
Quanto al primo profilo, va condivisa l’opinione di chi ha sostenuto che
per rispettare l’art. 2437-sexies c.c. non sia necessario prevedere clausole dotate
di un grado di analiticità estremamente elevato come, invece, sembrerebbe
imporre l’art. 2473-bis c.c. in tema di esclusione del socio di società a
responsabilità limitata; più equilibrata sembra una interpretazione che non
vincoli eccessivamente l’autonomia privata, fermo restando che – ove non sia
previsto un riscatto ad nutum – la previsione statutaria dovrà essere redatta in
modo tale da consentire al socio una precisa individuazione, ex ante, delle cause
di riscatto (102).
(102) In questo senso, v. M. CENTONZE, Riflessioni, p. 55 per cui «…un simile risultato,
oltre che ovviamente con un metodo redazionale di tipo casistico, può essere conseguito anche
costruendo la fattispecie di esclusione/riscatto con il ricorso a concetti sintetici, purché la
precisazione ha rilievo fondamentale, i termini di cui è composta la clausola statutaria, pur in sé
comprensivi di un gran numero di casi, facciano comunque rinvio a parametri valutativi (o
209
CAPITOLO III
La
seconda
questione
è
rappresentata
dalle
modalità
relative
all’accertamento dell’evento cui il riscatto è subordinato. Sul punto l’art. 2437sexies c.c. è totalmente silente, per cui si deve ritenere che il legislatore abbia
lasciato ampio spazio all’autonomia statutaria per articolare clausole statutarie
che disciplinino tale profilo. Si tratta, più in particolare, di individuare chi sia
deputato a verificare l’avveramento dell’evento e, in secondo luogo, come la
procedura di accertamento possa effettuarsi. Quanto all’individuazione del
soggetto incaricato a compiere tale accertamento, pare corretto ritenere che esso
possa essere individuato – a seconda della articolazione degli organi di gestione
– nell’amministratore unico, nel consiglio di amministrazione oppure, nel caso
di adozione del sistema c.d. «dualistico», nel consiglio di gestione (103). Negli
ultimi
due
casi,
peraltro,
pare
più
equilibrato
rispetto
all’effetto
dell’accertamento – ovvero l’esercizio del riscatto e il richiamo delle azioni –
ritenere che sia un organo collegiale a verificare se la condizione dedotta nella
clausola statutaria si sia avverata o meno, piuttosto che attribuire questo potere
ai singoli membri del consiglio, di amministrazione o di gestione, rischiando di
generare in quest’ultimo caso incertezze circa l’esito dell’accertamento
medesimo (104). In assenza di alcun riferimento normativo, tuttavia, non si può
escludere che lo statuto attribuisca anche ai soci il diritto di determinare
l’avveramento della condizione; le stesse ragioni che hanno portato ad
escludere la possibilità di attribuire tale potere a singoli membri degli organi di
gestione, conducono a ritenere che tale verifica debba passare, in questo
secondo caso, attraverso il procedimento assembleare. Al riguardo, dovrà
compiersi un’attenta valutazione in merito ai soggetti legittimati ad esercitare il
diritto di voto. Nell’ipotesi in cui il potere di riscatto sia attribuito alla società,
criteri di selezione) oggettivi, univoci e suscettibili di effettivo controllo (anche in sede
giudiziale».
(103) La questione non si pone in termini molti diversi rispetto alle modalità di
accertamento delle condizioni cui è subordinato l’esercizio del diritto di voto nell’ipotesi
prevista dall’art. 2351, comma 2: sul punto si rinvia a N. ABRIANI, Art. 2351, in Il nuovo diritto
societario. Commentario, diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti,
Bologna, 2004, p. 316; nonché e a A. ANGELILLIS - M.L. VITALI, Art. 2351, in corso di
pubblicazione.
(104) Tale problema, ovviamente, non sorge nel caso in cui la società abbia un
amministratore unico.
210
Azioni riscattabili
pare plausibile ritenere che trovi applicazione il disposto di cui all’art. 2373 c.c.,
in quanto i titolari delle azioni riscattabili potrebbero essere ritenuti portatori di
un interesse in conflitto con quello della società. A fronte dell’interesse della
società a riscattare le azioni in quanto se ne sono verificati i presupposti – ad
esempio: i titolari delle azioni hanno perduto le caratteristiche personali
originarie che erano funzionali al perseguimento delll’oggetto sociale – si
registra l’interesse dei titolari delle azioni riscattabili a mantenere la propria
partecipazione. Nel diverso caso, invece, in cui il potere di riscatto sia attribuito
ai soci, diversi dai titolari delle azioni riscattabili, la norma dettata in tema di
conflitto di interessi non parrebbe trovare spazio, posto che essa disciplina
solamente l’ipotesi del conflitto tra gli interessi della società e quello dei soci,
senza prendere in considerazione il caso in cui la situazione conflittuale si
verifichi tra i soci medesimi. In questa seconda ipotesi, pertanto, potrebbe
suggerirsi una previsione che attribuisca agli amministratori, in formazione
eventualmente collegiale, di esprimersi sul punto al fine di evitare rilevanti
incertezze interpretative così come problemi di natura operativa.
Ragioni pratiche portano ad escludere una competenza concorrente di
entrambi gli organi; mentre lo statuto potrebbe prevedere una clausola che
legittimi l’assemblea dei soci a compiere questa valutazione subordinatamente
all’ipotesi in cui non si sia attivato in tale senso l’organo di gestione entro un
certo termine, o viceversa. In entrambe le soluzioni prospettate, poi, lo statuto
dovrà cercare di disciplinare anche le modalità con cui vengano comunicate le
determinazioni dell’organo di gestione o dell’assemblea: potrà adottarsi,
peraltro, una soluzione differenziata a seconda che la società sia «aperta»
oppure «chiusa» potendosi optare, nel primo caso, per una comunicazione
individuale in forma scritta e, nella seconda, per una comunicazione
“collettiva”, prevedendo, ad esempio, la pubblicazione del contenuto della
delibera su uno o più quotidiani nazionali oppure, ancora, applicando per
analogia il disposto di cui all’art. 2437-bis c.c. e, dunque, prevedendo che venga
comunicato agli azionisti l’esercizio del riscatto entro un certo termine (ad
esempio quindici giorni) decorrenti dal deposito della delibera di esercizio del
211
CAPITOLO III
riscatto medesimo presso il competente registro delle imprese (105).
Qualora, infine, le azioni riscattabili rappresentino una categoria, non
sembra plausibile ritenere che essi siano legittimati ad approvare – in sede di
assemblea speciale ex art. 2376 c.c. – la delibera con la quale i soci abbiano
accertato la sussistenza del presupposto che legittima l’esercizio del riscatto nei
loro confronti. E’ evidente, infatti, che il carattere della riscattabilità è – a
partire dal momento della loro emissione – un connotato “genetico” delle
azioni riscattabili che consente di qualificarle come categoria e che, quindi, non
è suscettibile di essere oggetto di pregiudizio ai sensi dell’art. 2376 c.c. (106).
8. Una questione preliminare: i soggetti legittimati ad esercitare il
riscatto. Premessa: il problema del coordinamento con l’art. 2437- ter
(rinvio).
La definizione della fattispecie «azioni riscattabili» passa anche
attraverso l’individuazione dei soggetti cui lo statuto può attribuire il «potere di
riscatto». Si è visto, a questo proposito, che questa attribuzione si realizza, in
concreto, in maniera diversa, a seconda che i destinatari siano la società oppure
i soci: destinatari rispettivamente o di una posizione soggettiva di potestà o di
azioni incorporanti il potere di riscatto. La norma lascia, peraltro, intendere che
l’assegnazione all’una o agli altri sia del tutto libera e rimessa alla volontà dei
soci e, inoltre, che i titolari delle azioni riscattabili sono soggetti al potere della
società o degli altri soci.
L’art. 2437-sexies c.c. è formulato in modo tale da porre all’interprete
una serie di problemi per cui si intende procedere, qui di seguito, ad un esame
delle ipotesi di attribuzione del potere di riscatto legalmente previste, nonché
degli ulteriori casi di attribuzione del potere di riscatto che potrebbero essere
elaborati dall’autonomia statutaria al fine di verificare le problematiche
(105) Cfr. infra, cap. III, sub § 9.3.
(106) I titolari di azioni riscattabili, piuttosto, saranno legittimati a riunirsi
nell’assemblea speciale nella diversa ipotesi in cui, ad esempio, tramite una modificazione dello
statuto, vengano cambiati in senso a loro più svantaggioso i criteri di liquidazione delle loro
azioni.
212
Azioni riscattabili
sollevate dalle prime e la legittimità dei secondi.
8.1 L’attribuzione del riscatto «alla società».
La prima ipotesi non sembra comportare problemi di particolare
rilevanza. Sarà, pertanto, possibile attribuire il potere di riscatto alla società
eventualmente subordinandone l’esercizio ad una condizione dedotta nello
statuto (107).
Al riguardo, vale la pena di fare solo un cenno ad alcune fattispecie
particolari che potrebbero essere sottoposte all’attenzione dell’interprete.
La prima: quando il potere di riscattare le azioni viene attribuito alla
società, le problematiche di maggior interesse si pongono con riferimento alla
disciplina applicabile che, ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c., riguarda
l’applicazione delle disposizioni dettate in tema di acquisto di azioni proprie e
di recesso. Si tratterà del punto specifico nei paragrafi successivi, ove si
approfondirà anche il tema relativo all’organo competente ad esercitare il
riscatto (108).
La seconda: si è detto che – analogamente allo schema delle clausola di
riscatto – l’emissione di azioni riscattabili richiede il rispetto della natura
potestativa del rapporto giuridico che si instaura per effetto di detto
meccanismo. Tuttavia si è al riguardo precisato che – a differenza delle clausole
di riscatto – a fronte di azioni riscattabili detenute da alcuni soci, vi saranno
“corrispondenti” azioni “riscattanti” detenute da altri membri della compagine
sociale (109); nel caso in cui, però, titolare del potere di riscatto sia la società,
(107) La dottrina è conforme sul punto: v. L. CALVOSA, La clausola, passim; D.
GALLETTI, Art. 2437-sexies, p. 1635; S. CARMIGNANI, Art. 2437-sexies, p. 902; M. CALLEGARI,
Art. 2437-sexies, p. 1446; F. MAGLIULO, Le categorie, pp. 120-121; M. CENTONZE, Riflessioni, p.
51; A. PACIELLO, Art. 2437-sexies, p. 1146; A. PISANI MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti,
p. 1308; M. NOTARI, Le categorie speciali, p. 602 e ss.; l’affermazione è ovviamente diffusa anche
nella manualistica: ID., Disposizioni generali, p. 144; F. FERRARA JR - F. CORSI, Gli imprenditori, p.
464; A. FERRUCCI - C. FERRENTINO, Le società, p. 356-358.
(108) Cfr., infra, cap. III, § 11.1.
(109) Il punto è ben chiarito da F. FERRARA JR - F. CORSI, Gli imprenditori, p. 464, i quali
tratteggiano la differente struttura ed articolazione della clausola di riscatto rispetto alla
situazione in cui la società emetta azioni riscattabili; nello stesso senso, M. NOTARI, Le categorie
speciali, p. 602 per il quale, nel caso di categoria di azioni riscattabili, anche la posizione giuridica
attiva del riscatto è attribuita ad una parte delle azioni nei confronti di un’altra parte delle
213
CAPITOLO III
non avrebbe senso attribuire ad essa delle azioni “riscattanti” idonee a
“richiamarne” altre. La società – coerentemente con la circostanza di rivestire,
rispetto ai soci, una diversa natura e di essere l’emittente delle azioni – potrà
semplicemente avvantaggiarsi di una situazione giuridica attiva che la
legittimerà ad esercitare il riscatto (110). In questo senso, la fattispecie di azioni
riscattabili con potere di riscatto attribuito alla società e quella di clausole di
riscatto a favore di quest’ultima manifestano una certa somiglianza con la
differenza che, nel primo caso, probabilmente sussiste il vincolo del rispetto
delle disposizioni dettate in tema di recesso e di acquisto di azioni proprie
prescritto dall’art. 2437-sexies c.c..
8.2 L’attribuzione del riscatto «ai soci»: modalità di attribuzione e di esercizio.
L’art. 2437-sexies c.c. consente di attribuire il potere di riscatto «ai soci».
Vanno preliminarmente richiamate le considerazioni svolte in occasione
dell’analisi del c.d. “lato attivo” del rapporto potestativo presupposto dalla
disposizione (111); si è, infatti, sostenuto che – al contrario di quanto potrebbe
fare ritenere il suo tenore letterale – anche il potere di riscatto è incorporato in
azioni.
Non si è invece approfondito il tema relativo alle modalità con cui si
realizzi questa incorporazione. Bisogna innanzitutto tenere conto di quando
avvenga l’emissione di azioni riscattabili: se nel momento costitutivo della
società o successivamente. Il tema delle fasi dell’emissione dei titoli sarà
azioni; A. PISANI MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti, p. 1308 che parla chiaramente di
azioni “riscattanti” e di “azioni riscattabili”, domandandosi come mai il legislatore non abbia
voluto introdurre siffatta previsione.
(110) La clausola in questione potrebbe assumere il seguente tenore «Il capitale società
è di Euro e si articola in due categorie di azioni aventi valore nominale di Euro 1 ciascuna ,
quindi (…). Le azioni di categoria “B” sono dotate di tutti i diritti patrimoniali ed
amministrativi previsti dalla legge ma sono assoggettatte al potere di riscatto da parte della
società nelle ipotesi in cui si verifichino gli eventi indicati al paragrafo successivo. La società
potrà esercitare il riscatto sia totalmente sia parzialmente, in proporzione della parte di capitale
sociale detenuta da ciascun socio titolare delle azioni di categoria “B”». Per la verifica e la
comunicazione della realizzazione dell’evento e per i riferimenti al rispetto del principio di
parità di trattamento nel caso in cui l’esercizio del riscatto sia solo parziale, si veda supra, cap.
III, § 7.
(111) Si considerino anche le riflessioni svolte supra, cap. III, § 3.
214
Azioni riscattabili
affrontato più avanti nel corso dello studio (112); in questa sede pare sufficiente
soffermarsi sull’ipotesi di azioni emesse in seguito ad una delibera di aumento
del capitale sociale.
Al riguardo, sembra corretto ritenere che l’emissione di azioni
riscattabili ex art. 2437-sexies c.c. presupponga sempre un’altra emissione di
azioni, questa volta, “riscattanti”. Ciò può, ovviamente, realizzarsi quando
l’aumento di capitale a servizio della emissione delle azioni riscattabili consenta
anche la “copertura” della seconda emissione: in questo caso, tuttavia,
l’operazione si rivela poco conveniente e particolarmente onerosa da un punto
di vista economico. Più semplice sembra invece ritenere che, contestualmente
all’emissione di azioni riscattabili, gli altri soci – o meglio quelli individuati quali
destinatari del potere di riscatto – vedano convertite le proprie azioni in azioni
di altra categoria, caratterizzata dal fatto di conferire il potere di riscattare le
azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.. Un esempio può essere utile: la
società Alfa ha due categorie di azioni “A” e “B”: la categoria “A” (2000
azioni) è dotata di tutti i diritti attribuiti alle azioni dalla legge, mentre la
categoria “B” (1000 azioni) è composta da titoli con voto limitato a particolari
argomenti. Viene deliberato un aumento di capitale a fronte del quale verranno
emesse 1000 azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.; ci si determina
inoltre nel senso di attribuire il potere di riscatto ai soci e, tra questi, ai titolari
delle azioni “B” che, in questo modo, vengono “compensati” per il fatto di
potere esercitare il diritto di voto in misura limitata. L’operazione non sembra
suscitare grandi preoccupazioni ad eccezione del delicato profilo relativo alla
“conversione forzosa” delle azioni “B”. Al riguardo, infatti, ci si potrebbe
chiedere se l’operazione di conversione dei titoli in azioni “riscattanti” richieda
la necessaria approvazione da parte dei rispettivi titolari. L’opzione più
prudente è certamente quella di richiedere a questi ultimi di prestare il proprio
consenso all’operazione. Ad una più attenta analisi non sembra tuttavia che
questo tipo di conversione si risolva in un pregiudizio ai sensi dell’art. 2376 c.c.,
quanto piuttosto in un vantaggio: i proprietari delle azioni “B”, infatti,
(112) Cfr. infra, cap. III, sub § 9.
215
CAPITOLO III
potranno decidere se esercitare o meno il riscatto e accrescere la propria
partecipazione nella compagine sociale, ma potranno anche determinarsi a
cedere le azioni e di monetizzare, in questo modo, il nuovo “carattere” ad esse
attribuito. Ovviamente la delibera dell’assemblea straordinaria con la quale
venga aumentato il capitale sociale, deve tenere conto di tutte queste
circostanze oltre del fatto che le azioni convertite non possono ovviamente
superare il numero delle azioni riscattabili: se così non fosse, infatti, si
incorrerebbe nel rischio che i titolari di azioni “riscattanti” che esercitino per
primi il riscatto esauriscano il “monte” di azioni riscattabili disponibili,
pregiudicando in questo modo i titolari delle azioni della medesima categoria.
La circostanza che alcuni soci siano titolari di azioni dotate del potere
di riscatto, non esclude a priori la possibilità che l’autonomia statutaria
attribuisca tale potere cumulativamente ai soci e alla società prevedendone, ad
esempio, la conversione delle azioni detenute dai primi subordinatamente al
mancato esercizio del riscatto da parte della seconda, o viceversa; oppure anche
congiuntamente agli uni e all’altra secondo le proporzioni indicate nello statuto
(113).
Quanto alle concrete modalità di esercizio del riscatto, nella pratica
potrebbero porsi alcuni problemi che dovranno essere opportunamenti
disciplinati dallo statuto, tenendo conto delle modalità di emissione delle azioni
dotate del potere di riscatto. Ci si potrebbe, ad esempio, interrogare circa le
effettive modalità di esercizio dello stesso: al riguardo il solo autore che si è
occupato del punto ha accennato, in via dubitativa, alla possibilità che il riscatto
venga in questo caso esercitato collegialmente, per effetto dell’assunzione di
una delibera dell’assemblea speciale degli azionisti riscattanti. La principale
conseguenza di questa proposta interpretativa si sostanzia nel fatto che la
decisione di richiamare le azioni – e quindi anche di sostenere l’onere
finanziario dovuto al versamento del corrispettivo per il loro acquisto –
(113) In quanto «…in un contesto in cui l’autonomia statutaria è fortemente rivalutata
ed in cui è liberamente determinabile il contenuto delle azioni, il dato testuale ora in esame
sembra proprio voler consentire ad ogni società un’ulteriore possibilità di «manovra»»: così
A.P. MASSAMORMILE, Azioni, p. 1308.
216
Azioni riscattabili
dipenderebbe dalla volontà della maggioranza (114). In questo caso, parrebbe
tuttavia che l’assemblea speciale sarebbe convocata al di fuori dell’ipotesi tipica
dell’art. 2376 c.c. e, in ogni caso, in assenza del presupposto – espressamente
richiesto dalla norma – di «deliberazioni dell’assemblea che pregiudicano i
diritti» di categoria. Sembra più plausibile, invece, sostenere una soluzione che
consenta ai soci di agire individualmente al fine di ottenere il riscatto delle
azioni. Richiamandosi all’esempio formulato in precedenza, se le azioni “B”
sono detenute da due soci, ognuno di essi potrà individualmente procedere al
riscatto delle azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c. in proporzione alle
sole azioni riscattanti di cui ciascuno di essi è titolare. In questo caso
ovviamente lo statuto potrà disciplinare le modalità con cui venga comunicato
l’esercizio del riscatto: la soluzione più corretta consiste nel ritenere che tutti i
titolari di azioni riscattabili debbano subire il riscatto provvedendo, quindi, a
trasferire le proprie azioni nel rispetto del principio della proporzionalità.
Resta ferma in ogni caso la possibilità che l’assemblea speciale degli
azionisti “riscattanti” si riunisca ove, ad esempio, sia intervenuta una modifica
dello statuto che comporti una variazione dei criteri di liquidazione spettanti
agli azionisti riscattati tale da incrementare l’onere finanziario che i primi
dovrebbero sostenere in ragione dell’esercizio del riscatto.
8.3 Azioni riscattabili ad opzione dei loro titolari: rinvio.
Per l’esame delle questioni relative all’emissione di azioni riscattabili ad
opzione del loro titolare, si rinvia al capitolo IV.
8.4 L’attribuzione del riscatto a terzi estranei alla compagine sociale.
L’attribuzione “diretta”. L’attribuzione attraverso il ricorso a schemi contrattuali.
Una questione già affrontata dalla dottrina precedente alla riforma (115)
(114) Propone la questione, D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, p. 1637, in nota 10.
(115) V. L. CALVOSA, La clausola, p. 270 e ss. che riconosce come clausole che
riconoscano la facoltà di riscatto in capo ad un terzo «…potrebbero avere un’ampia
applicazione nella pratica, in conformità di quanto avviene nell’ordinamento francese per le
clausole di gradimento, in relazioni alle quali la società deve, in caso di riufiuto del gradimento,
indicare o riservarsi di indicare il terzo acquirente gradito. Attraverso questo sistema potrebbe
217
CAPITOLO III
e che si ripropone con l’art. 2437-sexies c.c., , riguarda la possibilità che lo
statuto riconosca il potere di riscatto in capo ad un soggetto estraneo alla
compagine sociale. Tale situazione – qualora venisse ritenuta ammissibile –
consentirebbe di scansare l’applicazione degli articoli 2438 c.c. e, soprattutto,
2441 c.c. rispettivamente relativi agli aumenti di capitali e al diritto di opzione.
In questo modo l’ingresso del terzo non sortirebbe alcun impatto né sul
capitale sociale, posto che le azioni di cui diverrebbe titolare in seguito
all’esercizio del riscatto sarebbero titoli già emessi e in circolazione; né sulle
percentuali di partecipazione degli altri soci, in quanto l’operazione, dal loro
punto di vista, sarebbe neutrale, non dando luogo ad alcun effetto diluitivo
(116). L’effetto più evidente sarebbe, dunque, quello di una sostituzione tra soci
(gli originari detentori delle azioni riscattabili, da una parte, e il terzo, dall’altra
parte). Da un punto di vista pratico, non si vede altra possibilità se non quella
che lo statuto designi nominativamente (117) il terzo che conseguirebbe in
questo modo la facoltà di esercitare il riscatto nel momento in cui si verifichino
le condizioni prestabilite; l’acquisto dovrebbe peraltro realizzarsi direttamente e
originariamente tra il socio riscattato e il terzo acquirente (118).
Il ricorso a tale schema ha suscitato qualche perplessità già nell’ambito
delle clausole di riscatto e sembra sollevarne ancora di più nel contesto della
fattispecie delle azioni riscattabili, se non altro per la circostanza di dover
includere nel contratto sociale una parte (il terzo) che non solo vi è –
originariamente – del tutto estranea ma che per effetto di tale previsione
risulterebbe attributario di una potestà esercitabile nei confronti di chi, invece,
è già socio (119). Un secondo argomento contrario ad ammettere tale schema, è
realizzarsi l’ingresso in società di terzi senza ricorrere ad aumenti di capitale sociale e a
conseguenti, necessarie esclusioni del diritto di opzione dei soci…».
(116) V. L. CALVOSA, La clausola, p. 270 e ss..
(117) Con riferimento alla clausola che regola le azioni riscattabili, ci si interroga, in
dottrina, anche sulla necessità di inviduare, nominativamente, nello statuto i soci destinatari del
potere di riscatto e quelli collocati in una posizione di mera soggezione: così, M.S. SPOLIDORO,
Gli aumenti, p. 295.
(118) Oppure, nel caso in cui si ammetta il riscatto ad nutum, a suo insindacabile
piacimento; per l’analisi di tale fattispecie, si veda supra, cap. III, § 7.3.
(119) In questa sede può solamente essere accennato il problema relativo al ruolo
assunto dopo la riforma dal “tipo” societario e alle c.d. clausole “atipiche” le quali, secondo la
218
Azioni riscattabili
traibile dal fatto che l’attribuzione diretta del riscatto in capo al terzo – non
titolare, per definizione, di alcuna partecipazione sociale – mal si concilierebbe
con quanto si è sin qui sostenuto ovvero che, nell’ipotesi in cui il riscatto sia
attribuito ai soci, esso si concretizzi in un «diritto diverso» incorporato nelle
loro azioni piuttosto che in una posizione giuridica ad essi attribuita su base
individuale (120). La lettera dell’art. 2437-sexies c.c. sembra, infine, chiara
nell’escludere che la legittimazione al riscatto sia riconoscibile in capo a soggetti
diversi dalla società e dai soci. Adottando lo schema della designazione diretta
del terzo ci si chiede poi quale tutela possa essere accordata al socio riscattando
in considerazione del fatto che il terzo non sarebbe vincolato a rispettare i
criteri di liquidazione previsti dall’art. 2437-quater non essendo parte del
contratto sociale (121).
Esclusa tale possibilità, non pare del tutto ingiustificato verificaresi vi
siano strade alternative che consentano di perseguire effetti simili a quelli
derivanti da un’attribuzione diretta della facoltà di riscatto. Ci si riferisce in
particolare alla possibilità di ricorrere agli istituti del contratto per persona da
ricostruzione dottrinaria tradizionale sarebbe nulle ai sensi dell’art. 1419, comma 2. Il tema è
stato recentemente ed esaustivamente affrontato da G. ZANARONE, Il ruolo del tipo societario dopo
la riforma, in Il nuovo diritto societario. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P.
Abbadessa e G.B. Portale, 1, Milano, 2006, p. 57 e ss. il quale ha correttamente rilevato come
«…la funzione del tipo come limite all’autonomia statutaria rischia di essere, se non messa in
forse, quantomeno seriamente ridimensionata dalla notevole apertura che il legislatore della
riforma ha fatto a quest’ultima» e che «saranno allora essenziali al tipo quegli elementi
normativi che abbiano carattere primigenio nell’economia di quest’ultimo, vale a dire che,
indipendentemente dalla natura degli interessi cui prestano implicito riconoscimento, appaiono
fondamentalmente diretti a distinguere il tipo cui si riferiscono dagli altri e a giustificare le
ulteriori norme appartenenti alla disciplina del medesimo»; il problema stato oggetto di studi
anche da parte di P. SPADA, Dalla nozione al tipo della società per azioni, in Riv. dir. civ., 1985, I, p.
100; M. SCIUTO - P. SPADA, Il tipo della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, a cura di
G.E. Colombo e G.B. Portale, 1*, Torino, 2004, p. 2 e ss.; D. CORAPI, Gli statuti delle società per
azioni, Milano, 1971, passim.
(120) Per alcune considerazioni in merito alla struttura del rapporto generato dalle
azioni riscattabili, si veda supra, cap. II, § 4
(121) L’argomento letterale è utilizzato anche da P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 398, per
il quale «…il diritto di riscatto deve essere necessariamente previsto da una norma giuridica che
consente ai soggetti di farvi ricorso nell’estrinsecazione della loro autonomia negoziale.
Pertanto, nionc’è alcun dubbio che il riscatto non possa essere riconosciuto a terzi, proprio per
la chiara dizione della norma che ha consentito solo alla società e ai soci di utilizzare questa
particolare tecnica di acquisto coattivo; in ozssequio anche al carattere della normale
accessorietà del diritto al riscatto – che evidentemente mancherebbe nel caso in cui venga
riconosciuto al terzo siffatto potere – e al principio dell’intangibilità dell’altrui sfera giuridica ,se
non nei limiti in cui al terzo derivino effetti favorevoli per il suo patrimonio».
219
CAPITOLO III
nominare (art. 1401 e ss.) e a favore del terzo (art. 1411 e ss.). In via del tutto
astratta, infatti, potrebbe immaginarsi che, ad esempio, il terzo sia un creditore
della società e che quest’ultima decida di “convertire” il proprio debito in
capitale di rischio attraverso l’attribuzione delle azioni riscattate; non sarebbe
difficile riscontrare in questa ipotesi la sussistenza di un interesse in capo alla
società-stipulante ai sensi dell’art. 1411 c.c. (122). A tale proposito, è bene
solamente accennare al problema, in considerazione sia delle difficoltà suscitate
dal tema nell’ambito della letteratura civilistica sia da quelle, ulteriori, derivanti
dalla particolare natura del contratto di società e delle azioni riscattabili (123).
Ad una accurata analisi, l’estensione della struttura del contratto per
persona da nominare e a favore del terzo all’ambito delle azioni riscattabili,
comporta alcune difficoltà che, tuttavia, non sembrano insormontabili. A
prescindere da alcuni rischi derivanti dall’impatto del riscatto del terzo sulla
società (124), bisognerebbe, in ogni caso, chiarire se (i) il terzo – per effetto della
(122) La dottrina prevalente sostiene la teoria della c.d. “causa esterna” per cui la causa
dell’attribuzione non dovrebbe essere identificata in quella richiesta in generale per ogni
obbligazione (così, G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. Cod. Civ., Torino, 1980, p.
440) ma o in una causa donandi oppure in una causa solvendi (cfr., U. MAJELLO, voce «Contratto a
favore di terzo», in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Torino, 1989, p. 240; ID., L’interesse dello stipulante nel
contratto a favore di terzi, Napoli, 1962, p. 5 e ss.).
(123) Significativa pare la constatazione espressa, nell’ambito della vendita con patto
riscatto, da A. LUMINOSO, La vendita, p. 319 e ss., per cui «La difficoltà del tema – testimoniata
significativamente dalal grande varietà di opinioni espresse al riguardo in dottrina e in
giurisprudenza – nasce dalla necessità di combinare assieme soluzioni relative ad una
molteplicità di problemi di carattere più generale, taluni dei quali, a loro volta, controversi.
Alludiamo, in particolare, all’interrogativo, ancora irrisolto, circa l’auotnoma trasferibilità dei
diritti potestativi; ai persistenti dubbi in ordine al carattere strettamente personale o meno del
potere di riscatto del venditore; al congegno effettuale e alla natura del riscatto, come si è visto,
estremamente incerti; ai limiti entro i quali piò ammettersi la cessione di un contratto
(sinallagmatico) che abbia già ricevuto, in tutto o in parte, esecuzione. Interrogativi che,
ripetesi, interferiscono in maniera rilevante con il problema relativo alla circolazione del diritto
di riscatto, oltre tutto intrecciandosi e condizionandosi l’uno con l’altro.». Secondo autorevole
dottrina «…nessun ostacolo sussiste a riconoscere un patto di riscatto a favore di un terzo…il
riscatto è situazione soggettiva accessoria alla vendita nel senso che non può sussistere senza di
questa, che il rapporto di riscatto, cioè, presuppone necessariamente un rapporto di vendita.
Ma accessorietà (in senso oggettivo) non significa anche inseparabilità (in senso soggettivo),
tanto che i soggetti del rapporto di riscatto possono non coincidere con i soggetti del rapporto
di vendita, non solo nel corso dello svolgimento di tali rapporti, ma sin dal loro sorgere. Il
patto a beneficio del terzo – che richiede verosimilmente anche il consenso di costui –
comporterà l’attribuzione sia dell’aspettativa reale al riacuisto del diritto venduta sia del dirtto
di riscatto» (cfr. A. LUMINOSO, La vendita, p. 338).
(124) Il rischio di azioni surrogatorie e revocatorie è ben presente a F. GAZZONI,
Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, p. 1046; F. SANTORO-PASSARELLI, pp. 262 e 293; M.
220
Azioni riscattabili
nomina da parte della società o come conseguenza della stipulazione a suo
favore (125) – veda trasferito in capo a sé il diritto potestativo di riscatto, con la
possibilità di esercitarlo alle condizioni previste nello statuto ma con la
conseguenza di sottoporre l’ipotesi in parola alle medesime censure della prima
ipotesi analizzata (assegnazione diretta del riscatto); oppure se (ii) il terzo risulti
semplicemente assegnatario delle azioni dopo che la società abbia esercitato il
riscatto a suo favore o in suo nome ai sensi degli articoli 1401 e ss. e 1411 e ss.
c.c., con la conseguenza che il rapporto potestativo presupposto dalle azioni
riscattabili si esaurisca tra la società e i soci riscattati.
Con riferimento ad entrambe le ipotesi bisognerebbe prendere in
dovuta considerazione la natura del diritto di riscatto e del rapporto che lo
origina. Secondo quanto si è sostenuto in precedenza, infatti, tale rapporto è
BIANCA, Il contratto, passim; il punto è anche trattato da R. CARAVAGLIOS, Il contratto per persona
da nominare (artt. 1401-1405), in Il Codice Civile Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano,
1998, p. 167, il quale esclude il rischio di un’azione surrogatoria attivata dai creditori «…per
l’impossibilità di rinvenire il necessario interesse dei creditori» ma anche la possibilità di
revocatoria «…sia perché non si è in presenza di una dismissione, ma di un’omissio adquirendi
– come tale non suscettibile di un simile rimedio – sia perché il retroattivo operare della
dichiarazione di nomina eliminerebbe ogni traccia del negozio nella sfera giuridica dello
stipulante, «facendo venir meno il presupposto dell’azione stessa». In generale, sulla struttura
del contratto per persona da nominare, v. R. CARAVAGLIOS, Il contratto, passim; E. ENRIETTI, Il
contratto per persona da nominare, Torino, 1950, passim; M. PENNASILICO, Profili della «contrattazione
per persona da nominare, Napoli, 1995, passim.
(125) F. SANTORO-PASSARELLI, p. 237; M. BIANCA, Il contratto, p. 567. In generale sulla
struttura del contratto a favore del terzo v. G. GORLA, Contratto a favore di terzi e nudo patto, in
Riv. dir. civ., 1959, I, p. 585 e ss.; F. GIRINO, Studi in tema di stipulazione a favore di terzi, Milano,
1965, passim; C. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, p. 128 e ss.; G.
MACCARONE, Contratto con «prestazioni al terzo», Napoli, 1997. V., ad esempio, L.V. MOSCARIN,
Il contratto a favore di terzi (Art. 1411-1413), in Il Codice Civile Commentario, a cura di P. Schlesinger,
Milano, 1997, p. 58-59 per cui «la presenza o meno del potere di revoca, nel quadro dei
rapporti giuridici che dal negozio a favore di terzi traggono fonte, mentre riveste precipuo
interesse sotto il profilo della giustificazione causla dell’attribuzione del diritto al terzo, non
incide sul contenuto, e quindi sulla natura, della posizione giuridica spettante al terzo prima che
l’acquisto del diritto da parte del medesimo perde il carattere di caducità. Sia infatti che la
riversibilità di tale acquisto dipenda da un solo tipo di vicenda (il rifiuto) commessa all’iniziativa
dello stesso terzo, sia che essa dipenda da due tipi di vicende (e cioè anche dalla revoca),
l’acquisto del diritto da parte del terzo costituisce un effetto immediato del negozio da altri
compiuto in suo favore: tale immediatezza forma oggetto di sanzione espressa nell’art. 1411.
L’apparente contraddizione tra l’immediatezza dell’acquisto e la caducità dell’attribuzione
costituisce l’occasione remota di un dubbio fortemente radicato che ha indotto certa dottrina a
perdere di vista l’essenza stessa del contratto a favore di terzo ed a costruire la figura,
intrinsecamente contraddittoria, del contratto a favore di terzo con adesione, secondo la quale
l’attribuzione del diritto al terzo avrebbe sempre la sua fonte primaria nel contratto stipulato
inter alios ma la sua operatività sarebbe soggetta ad una condicio iuris costituita dall’adesione del
terzo…».
221
CAPITOLO III
pur sempre riconducibile al diritto di opzione ex art. 1331 c.c., il quale ha
natura contrattuale. Dal richiamo di tale schema, discende la conseguenza che
– oggetto del contratto a favore del terzo o per persona da nominare – sarebbe
il medesimo riscatto (opzione sub i]) che, in forza della convenzione,
risulterebbe poi esercitabile dal terzo nei confronti del socio titolare delle azioni
riscattabili (126). In questo modo, pertanto, si eviterebbe un duplice
trasferimento delle azioni dal socio riscatto alla società e da quest’ultima al
terzo a favore del quale è stata convenuta l’opzione o, in alternativa, al terzo
nominato dalla società ai sensi dell’art. 1411 c.c..(127).
(126) Chiara sul punto la giurisprudenza: v. Cass. 1 dicembre 2003, n. 1821, per cui
«Nella considerazione del carattere generale del riconoscimento che la norma dell'art. 1411 cod.
civ. ha dato del contratto a favore di terzo, dottrina e giurisprudenza sono del tutto concordi
nel ritenere che la prestazione a vantaggio del terzo può essere riferita alle varie situazioni
consistenti in un dare, in un "facere" ovvero in un "non facere", sicché, per la diversità di
contenuto che può assumere l'obbligazione del promittente nei confronti dello stipulante ed a
favore del terzo, sino a consentire a quest'ultimo anche l'acquisto di un diritto reale, è ormai
risalente l'affermazione di questo giudice di legittimità (v. Cass., 3 aprile 1974, n. 967; Cass., 5
dicembre 1987, n. 9034), secondo cui deve ritenersi ammissibile il contratto preliminare di
compravendita a favore di un terzo, trattandosi, in tal caso, di una particolare forma di
“facere”, che si realizza con la prestazione di consenso alla stipulazione del futuro negozio
traslativo della proprietà. Allo stesso modo, ed a maggior ragione, deve ritenersi ammissibile il
contratto di opzione a favore di un terzo, nel caso in cui il soggetto promittente, piuttosto che
obbligarsi soltanto (nella forma del contratto preliminare bilaterale o unilaterale) con l'altro
stipulante a prestare il suo consenso alla definitiva vendita di un suo bene a favore di un terzo,
resti già vincolato, per effetto del negozio bilaterale di opzione, alla propria dichiarazione di
irrevocabile proposta contrattuale, sicché al terzo beneficiario, libero o meno di accettarla,
basta la semplice accettazione perché a suo favore si producano gli effetti del contratto, per la
conclusione del quale l'opzione è stata accordata. Dottrina e giurisprudenza, del resto,
ammettono concordemente che l'opzione può essere pattuita anche per persona da nominare,
per cui, non ravvisandosi ostacoli (di ordine logico o sistematico all'ammissibilità della
stipulazione di opzione a favore del terzo, deve ritenersi del tutto corretta la qualificazione di
contratto a favore del terzo del patto con cui il ricorrente rimaneva obbligato al trasferimento
della porzione del terreno a beneficio del soggetto favorito». Peraltro, in questo modo, il terzo
potrebbe agire nei confronti del socio titolare di azioni riscattabili ove non gli venissero
trasferite: la Suprema Corte infatti ha ritenuto che «Il terzo, a favore del quale sia stato
convenuto il diritto di opzione per l'acquisto di un bene immobile e che di detto autonomo
diritto non può realizzare l'attuazione con la doverosa collaborazione del promittente, è
direttamente legittimato a far valere nei confronti dello stesso promittente la pretesa della
stipulazione del contratto di vendita, per il quale l’opzione è stata concessa. La conclusione
suddetta costituisce applicazione particolare della generale regola, del tutto pacifica in dottrina
in tema di contratto ex art. 1411 cod. civ., secondo cui il terzo acquista verso il promittente un
personale diritto, dotato di autonomia e direttamente da lui azionabile, con la conseguenza che,
nel caso di inadempimento della controparte, egli è protetto da analoga autonoma azione,
senza la necessità di chiedere l'ausilio dello stipulante, controparte del promittente»; cfr. anche
F. ANGELONI, Del contratto a favore di terzi, in Commentario del Codice Civile Scialoja - Branca,
Bologna – Roma, 2004, pp. 264 -265.
(127) V., sul punto, L. CALVOSA, La clausola, p. 271 e ss..
222
Azioni riscattabili
Sezione Terza
PROFILI PROCEDURALI DELLA FATTISPECIE
SOMMARIO: 9. L’emissione di azioni riscattabili. - 10. Il rinvio alle disposizioni sul
recesso e la loro applicazione nei limiti della compatibilità: premessa. – 10.1
L’applicazione dei criteri di determinazione del valore delle azioni previsti
dall’art. 2437-ter c.c.. – 10.2 L’applicazione delle regole relative al
procedimento di liquidazione delle azioni di cui all’art. 2437-quater c.c.. –
10.3 L’applicabilità di altre parti della disciplina del recesso non richiamate
espressamente dall’art. 2437-sexies c.c.. – 11. Ambito e termini di
applicazione della disciplina relativa all’acquisto delle azioni proprie:
premessa. – 11.1 L’applicazione dell’art. 2357 c.c.. L’individuazione
dell’organo competente ad esercitare il riscatto. Il contenuto della delibera.
Il limite del decimo del capitale sociale. – 11.2 L’applicazione dell’art. 2357bis c.c.. – 11.3 L’applicabilità di altre parti della disciplina dell’acquisto di
azioni proprie non richiamate espressamente dall’art. 2437-sexies c.c..
9. L’emissione di azioni riscattabili
Si può ora procedere all’esame della fattispecie da un punto di vista
“dinamico”, relativo, quindi, ai suoi aspetti procedurali. Di seguito si
prenderanno in esame i profili relativi all’emissione delle azioni, alla
liquidazione delle azioni del socio riscattato ed, infine, al rinvio alle norme
sull’acquisto di azioni proprie, applicabili nell’ipotesi in cui il potere di riscatto
sia riconosciuto in capo alla società.
Quanto all’emissione delle azioni, va constatato che, anche sotto questo
profilo, l’art. 2437-sexies, c.c. è povero di indicazioni, limitandosi a richiedere
che l’emissione delle azioni riscattabili sia preventivamente autorizzata dallo
statuto. Al riguardo, possono immaginarsi tre possibili modalità di emissione
delle azioni, ovvero (i) al momento della costituzione della società; (ii) in
seguito ad un aumento di capitale sociale; (iii) per effetto della conversione in
azioni riscattabili di azioni già in circolazione.
L’emissione di azioni nella fase genetica della società, non sembra
suscitare problemi particolari. Diversamente da quanto accade in altre
giurisdizioni, l’art. 2437-sexies c.c. non sembra richiedere né una preventiva
223
CAPITOLO III
autorizzazione statutaria, né prescrivere altre condizioni di emissione (1).
Peraltro, al contrario di quanto suggerito da esperienze di altri ordinamenti e
discusso in sede di redazione finale del testo della disciplina delle azioni
riscattabili, l’art. 2437-sexies c.c. non dispone neppure una soglia rispetto al
numero totale delle azioni riscattabili emettibili dalla società (2).
Lo stesso vale anche per il procedimento di emissione tramite aumento
di capitale, per il quale possono essere richiamate le considerazioni svolte in
precedenza (3). Vale solo la pena di ricordare che le azioni riscattabili dovranno
essere offerte in opzione ai sensi dell’art. 2441 c.c. a chi è già socio della
società. L’esercizio di questo diritto e l’assegnazione delle azioni emesse ai sensi
dell’art. 2437-sexies c.c. consentirà, peraltro, di individuare i possibili destinatari
del potere di riscatto, secondo le modalità descritte in precedenza:
verosimilmente si tratterà infatti di soci che non hanno esercitato il diritto di
opzione.
Più interessante sembra invece soffermarsi sul caso indicato sub (iii) che
raggruppa tutte le ipotesi di emissione “indiretta” comprendendo la
conversione facoltativa, automatica e forzosa di azioni, appartenenti ad altra
categoria, in azioni riscattabili (4). La prima sub-ipotesi non richiede particolari
(1) Come invece accade nel diritto spagnolo, ove le azioni riscattabili possono essere
emesse solamente se la società ha azioni quotate su mercati regolamentati. Si rammenta
peraltro che la formulazione dell’art. 2351-ter c.c. che, in una bozza di articolato della riforma
del diritto societario avrebbe dovuto disciplinare le azioni riscattabili, prevedeva esplicitamente
che l’emissione di azioni riscattabili dovesse essere comunque subordinata alla preventiva
autorizzazione dell’atto costitutivo: cfr. AA.VV., La riforma, p. 1089.
(2) L’originaria formulazione dell’art. 2351-ter c.c., che avrebbe dovuto contenere la
disciplina delle azioni riscattabili disponeva, infatti, al comma 1 che «Se l’atto costitutivo lo
consente, possono essere emesse, in misura non superiore al quarto del capitale sociale, azioni
riscattabili su richiesta della società emittente, dei titolari di queste azioni o di entrambi»: cfr.
AA.VV., La riforma, p. 1089.
(3)V., supra, cap. III, sub § 8.3.
(4) Il tema è già stato affrontato dalla dottrina ante riforma: cfr., sul punto, L.
CALVOSA, La clausola, p. 219 e ss. e spec. p. 222, ove l’a. afferma che «…ben può la
maggioranza assembleare deliberare di introdurre una clausola di riscatto che possa operare
anche con riferimento alle azioni già emesse ed in circolazione, quando la funzione sociale di
una clausola siffatta possa giustificare l’incidenza (negativa) sulla posizione soggettiva del
singolo, Una tale delibera produrrebbe una modifica tanto sul piano societario quanto su quello
cartolare. E del resto, com’è stato sottolineato, l’emissione del titolo azionario rappresenta un
fatto organizzativo e, in quanto tale, il suo contenuto, può venire modificato, in alcuno dei suoi
elementi – quale è, appunto, quello relativo alla riscattabilità o meno dei titoli emessi – secondo
la regola organizzativa della maggioranza».
224
Azioni riscattabili
spiegazioni: il socio avrà la facoltà di trasformare le proprie azioni e di renderle
soggette al riscatto altrui (5). Quanto alla conversione automatica, si è trattato
del problema in occasione dell’analisi delle azioni riscattabili e delle clausole di
limitazione al possesso azionario: in questo caso qualsiasi azione può divenire
riscattabile al superamento di determinati limiti quantitativi previsti dallo
statuto (6). In questo modo il riscato diviene strumentale rispetto al controllo
della composizione della compagine sociale ed dei rapporti di forza interni ad
essa. Assimilabile a questa situazione è quella – registratasi, ad esempio,
nell’esperienza spagnola – di obbligazioni convertibili in azioni riscattabili: per
questa via si consentirebbe di realizzare in modo meno brusco il passaggio
dalla qualità di creditore a quella di azionista (7).
Diversa è invece la situazione in cui la conversione in azioni riscattabili
dovesse essere imposta: si tratta di un caso diverso da quello descritto in
occasione dell’analisi delle modalità di attribuzione del potere di riscatto e della
conversione in azioni “riscattanti”. In quel caso, infatti, la conversione è un
effetto necessario per consentire la riscattabilità di altre azioni: essa si sostanzia
in un vantaggio per chi la subisce e, per questo motivo, si è ritenuto che non
richieda alcuna approvazione in quanto deve essere immaginata più come un
privilegio che come un pregiudizio. In questo caso, invece, chi subisce la
Secondo una parte della dottrina la conversione forzata delle azioni in azioni di altra
categoria dovrebbe essere ammessa in ragione del «…principio generale…secondo cui di
regola esistono nelle società di capitali diritti dei soci che non siano modificabili dalla
maggioranza, salvo il rispetto dei principi di buona fede e di parità di trattamento tra i soci e
salva l’applicazione dell’art. 2376 c.c. ove ne ricorrono i presupposti»: il tema affrontato in
generale dalla dottrina post riforma del diritto societario (F. MAGLIULO, Le categorie, p. 124), ha
avuto un considerevole sviluppo con riferimento alla conversione delle azioni di risparmio in
ordinarie: cfr. M. NOTARI, Art. 145, passim; GUERRA, La convertibilità tra azioni ordinarie e azioni di
risparmio: clausole e modalità, in Notariato, 1996, p. 50; in giurisprudenza, Trib. Vicenza, 10
febbraio 2003, in BBTC, 2004, II, p. 574, con nota di L. PURPURA, Assemblee speciali e pregiudizio
rilevante ai diritti di una categoria di azioni; Trib. Genova, 15 gennaio 1994, in Società, 1994, p. 527 e
ss., con nota di V. SALAFIA, Conversione di azioni di risparmio in ordinarie.
(5) Il che dovrà avvenire con le maggioranze normalmente richieste per le
modificazioni statutarie, come indicato anche dal CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massime,
p. 283.
(6) V. supra, cap. III, sub § 7.4; cfr. anche CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massime,
p. 283, per cui sono necessarie le maggioranze richieste per le modificazioni statutarie qualora
«la riscattabilità sia prevista quale condizione in cui qualsiasi azione può incorrere al verificarsi
di particolari situazioni e – al momento dell’inserimento – nessuno degli azionisti si trovi in tali
situazioni».
(7) Cfr., P. YANES YANES, Las acciones, p. 135.
225
CAPITOLO III
conversione rischia, tra l’altro, l’estromissione della società. La manovra si
presta in effetti ad abusi da parte della maggioranza, come si è avuto modo di
notare quando ci si è soffermati sull’ammissibilità del riscatto ad nutum. Come è
stato correttamente indicato, pertanto, per la conversione in azioni riscattabili
non è sufficiente l’adozione di una deliberazione secondo le maggioranze
richieste per le modificazione dello statuto, non potendosi prescindere dalla
volontà dei soci che ne subiscono gli effetti (8). In caso contrario, l’emissione
per effetto di una conversione forzosa dovrebbe considerarsi nulla.
10. Il rinvio alle disposizioni sul recesso e la loro applicazione nei
limiti della compatibilità: premessa
Un altro aspetto che merita di essere considerato riguarda le regole che
governano sia la posizione del socio riscattando, relative quindi al profilo
liquidatorio della partecipazione riscattata, sia quelli riguardanti il trasferimento
delle azioni dal socio alla società. Prendendo in considerazione, in prima
(8) «In tema di emissione di azioni riscattabili (ovvero di introduzione del carattere
della riscattabilità rispetto ad azioni già in circolazione), la massima aderisce (al più prudente)
indirizzo che, sostanzialmente, esclude che ciò possa avvenirein mancanza del consenso del
destinatario, fatto riferimento – tra l’altro – alla discussa materia della cosiddetta “conversione
forzosa” in azioni di altra categoria», tema rispetto al quale la materia de qua comporta l’ancor
più delicato effetto della potenziale estromissione dalla compagine sociale»: v. CONSIGLIO
NOTARILE DI MILANO, Massime, p. 283; v., anche, la tesi formulata da F. MAGLIULO, Le
categorie, pp. 121-122, il quale tuttavia giustifica la possibilità di modificare le caratteristiche delle
azioni il base alla considerazione – peraltro non del tutto condivisa in questo studio (v., supra,
cap. III, § 4 e l’orientamento espresso sul punto da L. STANGHELLINI, I limiti, p. 82) – che il
legislatore della riforma ha previsto all’art. 2437 c.c. «…la possibilità per la maggioranza di
introdurre o sopprimere vincoli alla circolazione delle azioni, ma ha ritenuto di provvedere alla
protezione degli interessi dei soci di minoranza mediante l’attribuzione agli stessi del diritto di
recesso, peraltro derogabile dall’atto costitutivo».
Il tema si riconnette peraltro a quello, più ampio, della introduzione di clausole
limitative della circolazione delle azioni e, in particolare, delle clausole di gradimento e di
prelazione: per cui mentre, da una parte, si richiedeva che l’introduzione delle stesse fosse
subordinata al consenso di tutti i soci; dall’altra riteneva sufficiente una deliberazione assunta
dalla maggioranza dei soci. Più di recente la questione della introduzione della clausola di
gradimento è stata affrontata anche dal COMITATO INTERREGIONALE DEI CONSIGLI NOTARILI
DELLE TRE VENEZIE, Orientamenti del comitato Triveneto dei notai in materia di atti societari, «Massima
H.I.8» la quale prevede che «Salvo che lo statuto di una spa non disponga diversamente,
l’introduzione, la modifica e la soppressione della clausola di gradimento è deliberata
dall’assemblea straordinaria con le maggioranze e le modalità per essa normalmente previste.
Non è pertanto necessaria l’unanimità. I soci che non hanno concorso all’approvazione delle
delibere riguardanti il vincolo del gradimento hanno diritto di recesso, salvo che lo statuto
disponga diversamente.».
226
Azioni riscattabili
battuta, la prospettiva del socio, si procederà qui di seguito ad analizzare il
grado di estensione con cui intendere il rinvio, operato dall’art. 2437-sexies c.c.,
alle disposizioni dettate in materia di recesso prendendo in considerazione,
dapprima, le norme relative alla determinazione del valore delle azioni (art.
2437-ter c.c.) e, in secondo luogo, la disciplina dettata per la loro liquidazione
(art. 2437-quater c.c.).
Al fine di consentire una più agevole lettura si intende organizzare
l’esposizione in modo tale da analizzare le varie parti in cui si articolano le due
disposizioni richiamate applicando ad ognuna di esse il test di compatibilità
contemplato dall’art. 2437-sexies c.c.. Si dedicheranno, infine, alcune brevi
riflessioni in merito alla possibilità di applicare alle azioni riscattabili le
disposizioni previste per il recesso ma non richiamate dall’art. 2437-sexies c.c.
10.1 L’applicazione dei criteri di determinazione del valore delle azioni previsti
dall’art. 2437-ter c.c.
Prima della introduzione dell’art. 2437-sexies c.c., nell’ipotesi di una
clausola di riscatto inserita nello statuto, si poneva il problema della
determinazione del corrispettivo dovuto al socio riscattato. In letteratura, era
diffusa l’opinione che tale corrispettivo dovesse essere determinato o,
comunque, determinabile in base al tenore della relativa previsione statutaria; in
merito ai criteri da adottare per la fissazione del corrispetivo si faceva
generalmente riferimento al valore reale delle azioni; per quanto riguardava,
infine, l’individuazione dei soggetti legittimati a stabilire il valore delle azioni si
registrava un sostanziale accordo nel ritenere che esso non potesse essere
devoluto ad una soltanto delle parti del rapporto potestativo, instaurato per
effetto del riscatto, al fine di evitare situazioni di conflitto di interessi e fonti di
potenziali abuso (9). Altri ordinamenti si distinguono sul punto per una certa
(9) Il punto è stato oggetto di approfondimento da parte di L. CALVOSA, La clausola, p.
275 e ss. che ha escluso l’applicabilità dei criteri dettati dall’art. 2437 per il recesso prima che ne
venisse modificato il testo, rilevando, sul punto, che «…il problema che in generale si pone
attiene non tanto all’an dell’indennità (su cui non sembra, appunto, potersi dubitare), quanto
all’adeguatezza della medesima; fermo restando, in ogni caso, che il suo ammontare deve essere
comunque determinato o determinabile, da chiunque (società, soci o terzi) il riscatto venga
227
CAPITOLO III
flessibilità nelle soluzione normative adottate. Tale tratto non caratterizza
solamente il diritto statunitense, nel quale la determinazione del prezzo è
lasciata sostanzialmente alla negoziazione delle parti, ma anche ordinamenti più
vicini a quello interno. Nel caso della Spagna, infatti, la norma che disciplina le
azioni riscattabili trascura di disciplinare il punto, tant’è che si registra una
tendenza volta a ricorrere alla nozione di «valor razonable» cui ricorre l’artículo
147 LSA nel contesto della disciplina del diritto di recesso. La dottrina ha in
particolare suggerito che, ove non sia possibile raggiungere un accordo sul
valore di liquidazione, le parti incarichino un revisore che fissi il valore di
liquidazione dei titoli tenendo conto del loro valore di negoziazione o,
congiuntamente, dell’attivo netto, della capitalizzazione degli utili e
dell’attualizzazione dei flussi di cassa (10). Diversamente, il diritto portoghese
prevede che le azioni debbano essere riscattate al valore nominale ma che lo
statuto possa prevedere un premio per i soci riscattati (artículo 345.4 CSC) (11).
La determinazione del valore delle azioni riscattate è effettivamente un
nodo cruciale della disciplina in quanto da essa può dipendere la diffusione o
meno di questo nuovo strumento. L’art. 2437-ter c.c., al quale l’art. 2437-sexies
esercitato. E’ pertanto necessario che la clausola contenga criteri obiettivi per la determinazione
dell’ammontare dell’indennità di riscatto…In questa prospettiva, la soluzione preferibile
sembra essere quella che in ogni caso l’indennità di riscatto sia conforme al valore reale delle azioni
riscattande…Non sembra pertanto potersi condividere l’opinione di chi assume come criterio
di determinazione dell’indennità di riscatto quello fissato, per il caso di recesso del socio,
dall’art. 2437 c.c., in quanto in tal caso non si terrebbe in debito conto la diversa posizione
soggettiva assunta dal socio». Alla luce di tali considerazioni e di quelle già svolte nel testo con
riferimento alla differenza tra il diritto di recesso e il diritto di riscatto, ci si potrebbe chiedere
se il rinvio operato dal legislatore con l’art- 2437-sexies ai criteri di liquidazione delle azioni
dettati per il recesso abbia un senso e consideri la differente posizioni in cui si trovano il socio
recedente rispetto a quello che subisce il riscatto delle proprie azioni; il punto è stato affrontato
anche da G. PRESTI, Le clausole, p. 408 per cui «Opportuno sarebbe il riferimento ai criteri
stabiliti dalla legge per il caso di recesso: media delle quotazioni dell’ultimo semestre se le
azioni sono quotate in borsa o, in caso contrario, patrimonio risultante dal bilancio dell’ultimo
esercizio. Si tratta di due criteri, soprattutto il secondo, non esattamente equi da un punto di
vista oggettivo, ma comunque tali ritenuti nella discrezionale valitazione interessi compiuta dal
legislatore»; v., anche, G. CARCANO, L’acquisto delle proprie azioni in un libro verde britannico, in Riv.
Soc., 1980, p. 1300; G.B. PORTALE, Azioni, p. 774 il quale sottolinea la necessità di evitare
eventuali situazioni di conflitto nella determinazione del prezzo delle azioni; anche A.
TOFFOLETTO, Le azioni proprie e il bilancio di esercizio, in
(10) V. J.J. VEGA JIMÉNEZ- P. MONGE LOZANO- J. DOMÍNGUEZ CASADO, Acciones
rescatables: aspectos normativos, financieros y contables, in AF, 1999, 9, pp. 51-59.
(11) «»
228
Azioni riscattabili
c.c. rinvia, prevede che il socio ha diritto alla liquidazione delle azioni per cui
esercita il diritto di recesso (riscatto) (1 comma); il valore delle azioni è
determinato dagli amministratori, sentito il collegio sindacale e il soggetto
incaricato delle revisione contabile prendendo in considerazione (i) la
consistenza patrimoniale della società, (ii) le sue prospettive reddituali, nonché
(iii) l’eventuale valore di mercato delle azioni (comma 2); (iv) qualora la società
sia quotata in borsa si dovrà fare riferimento alla media aritmetica dei prezzi del
semestre che precede la pubblicazione o la ricezione dell’avviso di
convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano al recesso (comma
3); l’autonomia statutaria può in ogni caso stabilire criteri di determinazione del
valore di liquidazione diversi da quelli contemplati dalla legge (comma 4); i soci
hanno il diritto di conoscere anticipatamente il valore di liquidazione delle
azioni nei quindici giorni che precedono l’assemblea (comma 5), oltre al diritto
di contestarne la determinazione, affidandola, eventualmente, ad un arbitratore,
ai sensi dell’art. 1349 c.c. (comma 6).
(A) Il comma 1 pare affermare un principio – quello per cui in capo al
socio che esercita il recesso sorge il diritto ad ottenere la liquidazione delle
azioni per le quali esso è esercitato – certamente mutuabile nell’ambito della
disciplina delle azioni riscattabili, essendo evidente che a fronte del
trasferimento delle azioni oggetto del riscatto a favore della società o dei soci,
debba essere riconosciuto un corrispettivo al socio o ai soci riscattati (12). Al
riguardo, ci si può limitare a formulare due considerazioni rispettivamente
relative alle modalità e alla legittimazione dell’esercizio del riscatto. Sotto il
primo profilo, infatti, sembra corretto concludere nel senso che il riscatto –
analogamente al recesso – possa essere esercitato anche per una parte soltanto
delle azioni riscattabili. La peculiare struttura del riscatto imporrà pertanto che
– tanto nell’ipotesi in cui il potere di riscattare le azioni sia attribuito alla società
quanto in quella in cui esso sia esercitabile da parte dei soci – l’organo
(12) V. L. CALVOSA, La clausola, p. 276, la quale, già prima della riforma del diritto
societario e dell’introduzione dell’art. 2437-sexies, affermava che «…l’indennità di riscatto
costituisce un elemento indefettibile della fattispecie in tutte le ipotesi di riscattodi azioni. Non
potrebbe giustificarsi nel nostro ordinamento un riscatto gratuito».
229
CAPITOLO III
competente ad esercitare il riscatto specifichi nella delibera di esercizio del
riscatto e renda, contestualmente, nota ai soci riscattandi il numero delle azioni
che dovranno essere trasferite, rispettivamente, in capo alla società o ai soci (13).
Per quanto, invece, riguarda la legittimazione ad esercitare il riscatto, va rilevata
la diversa natura delle azioni riscattabili rispetto all’istituto del recesso, posto
che, nel caso del riscatto ai sensi dell’art. 2437- sexies c.c., si verifica una sorta di
dissociazione tra chi lo esercita e chi, invece, lo subisce, vedendosi riconosciuto
il diritto alla liquidazione delle azioni. Nella prima ipotesi il socio che esercita il
recesso avrà il diritto alla liquidazione delle relative azioni; al contrario, il
riscatto esercitato dalla società (o dai soci) produce l’effetto di conferire al
socio titolare di azioni riscattabili il diritto alla liquidazione delle azioni per le
quali tale meccanismo è stato attivato: in altri termini non vi sarebbe, in questo
secondo caso, coincidenza tra i soggetti che attivano il riscatto e quelli che
ottengono la liquidazione. Adattando pertanto la formulazione del comma 1
alla disciplina delle azioni riscattabili, la disposizione andrebbe letta come segue
«il socio ha diritto alla liquidazione per le azioni per le quali la società o gli altri
soci esercitano il riscatto» (14).
(B) Per quanto attiene l’applicazione della parte dell’art. 2437-ter c.c.
dedicata ai criteri di valutazione delle azioni (commi 2, 3 e 4), in linea di principio,
non sembrano esservi problemi particolari nell’estenderli anche alla fattispecie
delle azioni riscattabili, sebbene alcune precisazioni siano tuttavia necessarie
alla luce della clausola di compatibilità di cui all’art. 2437-sexies c.c.. Il comma 2
esordisce affermando che «il valore di liquidazione delle azioni è determinato
dagli amministratori»; la competenza dell’organo di gestione deve in particolare
ritenersi estesa anche ai commi 3 e 4 che riguardano gli altri criteri previsti dal
legislatore per la determinazione del valore delle azioni senza, tuttavia,
(13) Resta poi da verificare, a seconda di come sia stata articolata la relativa clausola
statutaria, se le azioni riscattate perdano o meno tale loro intrinseca qualità. Sul problema della
c.d. «consumabilità» del riscatto, v. supra, cap. III, sub § 3.
(14) Qualora si sposasse la tesi per cui in capo alla società o agli altri soci possa essere
riconosciuto un obbligo di riscattare le azioni attivabile da parte dei titolari delle azioni riscattabili
il 1 comma dell’art. 2437-ter non necessiterebbe di alcun adattamento posto che il socio o i soci
avrebbero diritto alla liquidazione delle azioni per le quali hanno esercitato il diritto di riscatto.
230
Azioni riscattabili
specificare chi sia il soggetto deputato a stabilirli (15). L’incipit del comma 2 non
sembra in ogni caso applicabile tout cour all’art. 2437-sexies. La disciplina delle
azioni riscattabili infatti sembra valorizzare la circostanza che i soci le cui azioni
sono passibili di essere riscattate debbano conoscere in anticipo, rispetto al suo
effettivo momento di esercizio, il valore (e non solo i criteri di valutazione) per
il quale i titoli verranno richiamati. L’indicazione del valore di liquidazione,
quindi, dovrebbe essere già contenuto nello statuto o specificato nella delibera
di aumento di capitale che emette le azioni riscattabili; ciò, d’altro canto, rientra
nella logica del riscatto che pone i titolari di tali azioni in una posizione di
soggezione, tale, quindi, da non consentire loro alcun controllo in merito al
momento del riscatto (16). Se così non fosse, infatti, l’appetibilità di questa
tipologia (o categoria) di azioni si ridurrebbe a tal punto da non giustificarne
nemmeno la relativa previsione normativa, oppure da privarla della possibilità
di trovare un’effettiva applicazione nella prassi degli affari. Gli investitori,
infatti, non solo si troverebbero nella situazione di vedersi ricomperare le
azioni al verificarsi di un certo evento ma verrebbero a conoscenza della
valorizzazione delle loro azioni solo in prossimità del trasferimento a favore
della società o degli altri soci. La determinazione del valore di riscatto
sembrerebbe doversi rimettere alla negoziazione tra la società o i soci e i
sottoscrittori delle azioni destinate ad essere riscattate. Ciò non deve indurre
tuttavia a ritenere che i riferimenti alla disciplina sul recesso operati dall’art.
2437-sexies rimangano lettera morta. Al riguardo, sembra doversi ritenere che,
(15) Secondo quanto sottolineato dalla dottrina aziendalistica il riferimento al «valore
di liquidazione» non sarebbe casuale e si distinguerebbe chiaramente dal concetto di «prezzo
non solo sotto il profilo etimologico, ma anche sostanziale. Nella fattispecie il legislatore
avrebbe potuto utilizzare la nozione di prezzo, considerate almeno due delle tre possibili
destinazioni delle azioni del socio che intende recedere: il collocamento (cioè la cessione) delle
azioni del socio recedente agli altri soci o a terzi e l’acquisto di azioni proprie da parte della
società emittente»: così P. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005,
p. 459 e spec. p. 464; si veda anche il lavoro di M. VENTORUZZO, I criteri di valutazione delle
azioni in caso di recesso del socio, ivi, p. 309 e ss.; al riguardo, v., anche, P. MARANO, Mercati di
capitali e strumenti finanziari, in Il rapporto banca-impresa nel nuovo diritto societario, a cura di S. Bonfatti
e G. Falcone, Milano, 2004, p. 101 e ss..
(16) Laddove invece il recesso è frutto delle autonome determinazioni del socio a
fronte del verificarsi di uno dei presupposti per il suo esercizio previsto dalla legge o dallo
statuto.
231
CAPITOLO III
innanzitutto, la clausola statutaria o la delibera di emissione debbano stabilire
ex ante il prezzo che verrà riconosciuto agli azionisti riscattandi tenendo in ogni
caso conto delle indicazioni dettate dall’art. 2437-ter c.c.. Da un punto di vista
pratico, ciò potrà avvenire o prevedendo uno specifico valore di liquidazione
per ogni azione oppure indicando una formula matematica il cui utilizzo,
peraltro, è piuttosto ricorrente anche nella prassi di altri ordinamenti (17). Nel
primo caso, la fissazione del valore di liquidazione dovrà essere il risultato
dell’applicazione dei criteri legali stabiliti dai commi 2 e 3 (a seconda nella
natura
quotata
o
meno
delle
azioni)
oppure
di
criteri
diversi,
convenzionalmente stabiliti ai sensi del comma 4 e basati sui «valori risultanti
dal bilancio» o su «altri elementi suscettibili di valutazione» eventualmente
rettificati. Nel secondo caso – da un punto di vista operativo, forse quello
maggiormente praticabile – la formula contenuta nello statuto dovrà essere
articolata in modo tale da tenere conto dei parametri indicati dalla legge o
stabiliti dalle parti (18).
(17) Nel Regno Unito, ove nemmeno il Companies Act 2006, approvato nel novembre
2006 prevede una specifica disciplina per il caso di recesso, è diffusa la previsione negli statuti
della c.d. «formula di Spens» la cui essenza «…is that, on a repayment of capital in a liquidation or on a
reduction of capital, the holders of the share capital concerned are expressly entitled to a premium if, during a
defined period prior to repayment, the shares have been standong in the market at a figure in excess of par. The
premium is usually ascertained by reference to the average middle-market quotation in excess of par during the
relevant period subject to adjustment to take account of any accrued arrears of dividend which is reflected in the
market price of the shares»: così, E.V. FERRAN, Company law, p. 324-325; ma il DEPARTMENT OF
TRADE INDUSTRY, Consultative Document, ha messo in luce come anche l’applicazione di una
formula non elimini del tutto il rischio di comportamenti abusivi da parte della società
nell’ipotesi in cui richieda l’applicazione discrezionale di criteri prestabiliti.
(18) Da un punto di vista pratico la previsione di una formula ha il vantaggio di poter
calcolare tempo per tempo il valore (variabile) di liquidazione delle azioni: d’altro canto gli
accordi di investimento che contengono la disciplina di clausole di opzione put o call
prevedono generalmente formule che consentono di determinare il valore di vendita o di
acquisto delle azioni. Un esempio di formula utilizzata per “prezzare” le azioni oggetto
dell’opzione potrebbe essere il seguente: il maggiore tra (i) [(Bookvalue + IRR del (…)%) e (ii)
Ebitda, moltiplicato per (…) (meno) la PFN; dove: per “Bookvalue” si intende il valore a cui le
azioni sono iscritte a bilancio; per “IRR” si intende il c.d. «internal rate of return», ovvero il tasso
che viene utilizzato al fine di decidere se attuare investimenti a medio-lungo termine
(l’investimento sarà tanto più efficiente e vantaggioso quanto più l’IRR sarà maggiore rispetto
all’interesse che potrebbe essere conseguito per effetto di altre forme di investimento); e,
infine, per “Ebitda” si intende, con riferimento al bilancio di esercizio o consolidato, laddove
esistente, approvato e certificato della società emittente, a seconda dei casi, l’utile operativo
lordo calcolato come somma delle seguenti voci di Conto economico di cui all’art 2425 codice
civile:
Differenza tra valore e costi della produzione (A-B)
232
Azioni riscattabili
I commi 2 e 3 dell’art. 2437 c.c. sono peraltro oggetto di un ulteriore
quesito: alcuni autori si sono, infatti, domandati se i criteri di valutazione
indicati da tali disposizioni debbano applicarsi alle sole ipotesi di riscatto
convenzionale – come nel caso delle azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437sexies c.c. – oppure possano estendersi anche ai casi di riscatto legale delle
azioni quali, ad esempio, quello effettuato per effetto di una riduzione
volontaria del capitale (19). La questione è stata per lo più risolta in senso
positivo, in base all’argomento letterale tratto dall’art. 2359-ter c.c. che – dettato
per disciplinare l’ipotesi di alienazione delle azioni acquistate in violazione
dell’art. 2359-bis c.c. – espressamente rinvia alle disposizioni che disciplinano il
diritto di recesso e, in particolare, a quella relativa alla determinazione del
valore e alla liquidazione delle azioni (20). Sebbene il tema del riscatto
finalizzato – in cui rientra anche l’ipotesi di riduzione del capitale «da attuarsi
mediante riscatto» ai sensi dell’art. 2359-bis c.c. – non sia oggetto del presente
studio, pare che a questa fattispecie non siano applicabili i criteri di liquidazione
previsti per il recesso, in quanto del tutto diversa da quella prevista dall’art.
2359-ter c.c.. L’art. 2357-bis, comma 1, n. 1 c.c. presuppone, innanzitutto, che vi
sia stata una deliberazione assembleare di riduzione del capitale e che sussista
nei soci la volontà di cedere le proprie azioni alla società al fine di procedere al
loro annullamento e alla conseguente riduzione del capitale (21); l’assemblea,
peraltro, potrà liberamente fissare il corrispettivo cui le azioni vengono
riacquistate in quanto – se è vero che l’art. 2357-bis c.c. esclude l’applicazione
delle «limitazioni contenute nell’art. 2357» – altrettanto vero è che la
determinazione del valore cui riacquistare le azioni da parte dell’assemblea
+ ammortamento delle immobilizzazioni immateriali (voce 10, lettera a))
+ ammortamento delle immobilizzazioni materiali (voce 10, lettera b))
+ altre svalutazioni delle immobilizzazioni (voce 10, lettera c))
+ svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide
(voce 10, lettera d)).
(19) Il dubbio è sollevato da S. CARMIGNANI, Art. 2437- sexies, p. 903 -904, la quale lo
risolve nel senso di ritenere applicabili i criteri di determinazione dettati per il recesso anche ai
casi di riscatto legali, in base alla duplice constatazione che l’art. 2357-bis prevede, i
(20) In questo senso S. CARMIGNANI, Art. 2437, p. 903; nello stesso senso anche M.
CALLEGARI, Art. 2437-sexies, p. 903.
(21) V. M. BIONE, Art. 2357-bis, in Società di capitali. Commentario, a cura di G.
NICCOLINI e A. STAGNO D’ALCONTRES, Napoli, 2004, I, p. 368.
233
CAPITOLO III
prevista da quest’ultima norma non sembra costituire un limite, quanto
piuttosto un aspetto, delle modalità con cui l’acquisto di azioni proprie viene
attuato. Ne conseguirebbe, pertanto, che il termine «riscatto», contenuto
nell’art. 2357-bis c.c., non sia stato utilizzato dal legislatore nel senso di
riconoscere in capo alla società una situazione soggettiva di potere, bensì
presupponendo che la riduzione del capitale si realizzi per effetto della
sottoscrizione di un normale contratto di compravendita tra i soci e la società
(22).
(C) Anche l’applicazione del comma 5 va vagliata alla luce della
particolare disciplina delle azioni riscattabili e della clausola di compatibilità. La
disposizione stabilisce il principio in base al quale il socio recedente deve essere
preventivamente informato – nei quindi giorni precedenti l’assemblea – circa la
determinazione del valore di liquidazione delle azioni. Al riguardo un autore ha
precisato che tale regola trova – nell’ambito della disciplina del recesso – la sua
(22) Ed infatti «…la stretta correlazione, in termini di regola ad eccezione, tra l’art.
2357 e la norma in esame [l’art 2357-bis], resa palese dalla formulazione stessa della rubrica
(«casi speciali di acquisto delle proprie azioni») induce a ritenere che il termine «riscatto» vada
inteso in senso lato e, sostanzialmente, come sinonimo di acquisto»: così M. BIONE, Art. 2357bis, p. 368; nello stesso senso, F. BOCHICCHIO, «Buy back», pp. 43-44, il quale, con riferimento
all’orientamento che intende l’uso del termine «riscatto» nel senso di acquisto forzoso e
discrezionale delle azioni da parte della società, conclude nel senso della residualità delle ipotesi
di riscatto (legale) forzoso. L’A., pur criticando tale interpretazione del termine, ha tuttavia
ritenuto che «…si deve rimarcare la natura affatto residuale delle ipotesi di acquisto forzoso,
tale da pregiudicare la valorizzazione ottinale dell’uinvestimento in capitali del socio, per
l’appunto obbligato a dismettere la partecipazione su scelta della società che potrà quindi
individuare le situazioni, anche se caratterizzate dalle notevoli possibilità lucrative della società:
il socio, quindi, mentre corre tutti i rischi dell’investimento, si può vedere privato, a scelta
totalmente discrezionale della società, delle possibilità lucrative in casi individuati, anch’essi in
termini di assoluta discrezionalità, proprio dalla società. Evidenti i profili di, almeno potenziale,
illegittimità: tali profili non tanto sono legati al divieto del c.d. patto leonino…tali profili sono
piuttosto connessi alla tutela, imperativa ed inderogabile, delle ragioni legate all’investimento
del risparmio di massa»; nello stesso senso, v. S. PATRIARCA, Le azioni, p. 85 e ss. che svaluta il
dato lettale dell’art. 2357, bis, n. 1 c.c.; pur prospettando la lettura restrittiva del termine
«riscatto» («nella sua formulazione letterale, la disposizione fa riferimento ad una deliberazione
di riduzione del capitale da «attuarsi» mediante «riscatto» e annullamento delle
azioni»…l’acquisto deve avvenire mediante «riscatto», e cioè, a rigore, attraverso un atto con
cui la società, senza il consenso del proprietario, acquista la proprietà di certe azioni; ciò può
verificarsi…solo se esita una clausola dello statuto che autorizza appunto il riscatto»),
concludono nel senso dell’applicazione estensiva dell’art. 2357, n. 1 c.c. anche nell’ipotesi di
acquisto delle azioni mediante compravendita (o permuta), con lo scopo di annullarle, R.
NOBILI - M.S. SPOLIDORO, La riduzione, p. 420 e ss.; contra, L. CALVOSA, La clausola, passim, che
riconduce l’ipotesi prevista dall’art. 2357-bis ad un caso di acquisto forzoso di azioni da parte
della società.
234
Azioni riscattabili
ragion d’essere nella constatazione che essa attiene esclusivamente alla scelta
del socio se esercitare o meno il diritto di recesso e che, quindi, non avrebbe
senso applicarla all’ipotesi del riscatto (23); un altro, invece, ha ritenuto che la
regola della preventiva conoscenza del valore di liquidazione vada applicata
anche nel caso in cui sia esercitato il riscatto, pur limitandone l’ambito alle sole
società non quotate, presumibilmente, in base alla considerazione che, in caso
contrario, il socio avrebbe a disposizione un mercato di riferimento per
procedere al calcolo del valore di liquidazione (24). Entrambi gli orientamenti
descritti necessitano qualche chiarimento. Il primo, in quanto non pare che il
socio che subisce il riscatto delle proprie azioni possa ricevere un trattamento
deteriore rispetto a quello del socio recedente che decide unilateralmente lo
scioglimento del vincolo sociale; per quest’ultimo peraltro si applicherebbe una
disciplina più favorevole rispetto a quella che troverebbe spazione nel caso in
cui il socio subisce l’esclusione della compagine sociale. Il secondo, in quanto –
anche se la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 2437 c.c. è dettata per il
recesso da società quotate – non si vede il motivo per cui non dovrebbe essere
applicata anche nel caso di riscatto: la tesi sopra riferita, infatti, sembra
differenziare due ipotesi che, in sostanza, sono assolutamente analoghe, posto
che entrambe presuppongono un mercato di riferimento e in tutte e due
sussiste l’esigenza che il socio conosca la determinazione del valore di
liquidazione. E’ difficile peraltro potere ipotizzare che, nella realtà, quest’ultimo
calcoli autonomamente tale valore in base al criterio indicato dal comma 3.
Va quindi ritenuto che il principio della conoscenza anticipata del
valore di liquidazione delle azioni, contenuto nel comma 5 dell’art. 2437-quater
c.c., trovi applicazione anche nella disciplina delle azioni riscattabili; anche se
una applicazione letterale della norma si scontrebbe con alcune difficoltà di
ordine pratico (25) e con la particolare ratio di tale norma nell’ambito del recesso
(23) Cfr., D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, p. 1638.
(24) V., A. PACIELLO, Art. 2437-sexies, p. 1148.
(25) Tra le quali la circostanza per cui il valore delle azioni riscattabili dovrebbe
essere predeterminato rispetto alla fase di verifica delle condizioni di esercizio del
235
CAPITOLO III
(26). La questione sembrerebbe, in ogni caso, risolversi alla luce delle
considerazioni svolte in precedenza con riferimento ai commi 3 e 4 dell’art.
2437-ter c.c.. Se si concorda, infatti, con la conclusione sopra raggiunta per cui
il socio passibile di vedersi privato delle proprie azioni deve conoscere in
anticipo il valore al quale esse verranno liquidate, ne consegue che la
disposizione di cui al comma 5 non possa essere applicata all’ipotesi delle
azioni riscattabili. Ne consegue, inoltre, che anche le questioni sollevate da
parte della dottrina in merito alla decorrenza del termine di quindici giorni
entro i quali il socio riscattando deve essere messo a conoscenza del valore di
liquidazione delle azioni non avrebbero ragione d’essere: il socio conoscerà
quanto gli sarà dovuto fin dalla costituzione della società o dalla delibera di
aumento di capitale (27). Questa lettura sembra infatti valorizzare al massimo il
principio dell’informazione preventiva che, contenuto nel comma 5 dell’art.
2437-ter, viene in questo modo riadattato al diverso ambito della disciplina delle
azioni riscattabili, consentendo peraltro all’investitore di potere assumere ex
ante una decisione ponderata in merito alla sottoscrizione delle azioni
riscattabili.
(D) Il comma 6 prevede infine la possibilità che la determinazione del
valore delle azioni sia oggetto di contestazione «da proporre contestualmente
alla dichiarazione di recesso». Qualora si verifichi tale ipotesi, il nuovo valore di
riscatto e dell’assunzione della decisione di esercitarlo lasciate dal legislatore alla
autonoma regolazione dei soci.
(26) Non bisogna infatti dimenticare che tale previsione, nell’ambito della disciplina del
recesso, ha la funzione di rendere il socio edotto della valorizzazione delle azioni in un
momento antecedente rispetto alla deliberazione assunta la quale sarebbe legittimato ad
esercitarlo. Il legislatore ha pertanto voluto che il socio giungesse in assemblea pienamente
informato e in grado di valutare razionalmente se «concorrere» alla deliberazione mantenendo
le proprie partecipazioni o se, invece, recedere dalla società. Nel riscatto, pertanto, la
disposizione di cui al comma 5 viene ad assumere un significato parzialmente diverso che
giustifica, probabilmente, quanto si è cercato di indicare supra, cap. III, sub § 10 in merito al
fatto che il socio che subisce il riscatto non ha la necessità di essere informato prima
dell’assemblea quanto, piuttosto, di conoscere il valore delle sue azioni nel momento in cui
verrà deciso da parte della società o degli altri soci di esercitare il riscatto e di escluderlo dalla
compagine sociale.
(27) Ai sensi dell’art. 2370, infatti, il diritto di intervenire in assemblea va riconosciuto
solamente in capo agli azionisti e, tra questi, solo a quelli titolari di azioni con diritto di voto:
sul punto, v. C. MONTAGNANI, Art. 2370, in Società di capitali - Commentario, a cura di G.
Niccolini e A. Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004, pp. 495-497.
236
Azioni riscattabili
liquidazione sarà determinato da un esperto nominato dal tribunale «entro
novanta giorni dall’esercizio del diritto di recesso»; l’esperto sarà tenuto a
rispettare la disciplina di cui all’art. 1349 c.c..
Se si accoglie quanto si è affermato in precedenza – circa la possibilità
che il socio riscattando conosca fin dall’inizio il valore di liquidazione o, per lo
meno, i criteri per giungere ad una sua corretta quantificazione – non sembra
che, nella prassi, vi sia molto spazio per l’applicazione di tale norma nell’ambito
delle azioni riscattabili. E’ infatti evidente che qualora il socio non avesse
concordato con tali valori non avrebbe probabilmente nemmeno sottoscritto le
azioni. Non è tuttavia da escludere che il titolare di azioni riscattabili,
inizialmente d’accordo con la valutazione delle proprie azioni, decida, in un
secondo momento, che essa non è più in linea con le sue aspettative. In
considerazione del richiamo operato dall’art. 2437-sexies c.c., pare dunque
corretto ritenere che il comma 6 possa trovare applicazione anche nel caso del
riscatto. Al riguardo è sufficiente osservare come sia necessario un unico
adattamento, imposto dalla clausola di compatibilità e riguardante il momento
di decorrenza del termine di novanta giorni prescritto dalla norma: si potrebbe
ritenere, infatti, che tale termine decorra dal momento in cui il socio
riscattando abbia avuto conoscenza dell’esercizio del riscatto, secondo le
modalità sopra descritte e contemplate dallo statuto (28).
Va peraltro verificata l’ammissibilità di una eventuale contestazione
promossa dai soci le cui azioni attribuiscano il diritto di riscatto. Ci si potrebbe
chiedere al riguardo se anche essi – non condividendo la valutazione della
azioni ma non volendo rinunciare a riscattare le azioni emesse ai sensi dell’art.
2437-sexies – siano legittimati ad accedere alla procedura prevista dal comma 6
dell’art. 2437-quater. La lettera della norma, in effetti, non aiuta ad individuare i
soggetti legittimati a «contestare» il valore di liquidazione, limitandosi a
disciplinare il momento in cui tale contestazione va proposta. Sebbene i primi
commenti sulla disposizioni abbiano in generale limitato l’ambito della
legittimazione al solo socio recedente, non pare potersi escludere l’eventualità
(28) V. supra, cap. III, sub § 7.
237
CAPITOLO III
che anche i soci tenuti per primi a sostenere la liquidazione delle azioni e –
mutatis mutandis – i soci riscattanti possano richiedere che il valore delle azioni
sia nuovamente determinato «con equo apprezzamento» nei casi in cui esso
risulti eccessivamente oneroso (29).
10.2 L’applicazione delle regole relative al procedimento di liquidazione delle azioni
di cui all’art. 2437-quater c.c.
A) L’art. 2437-quater c.c. – richiamato, con il limite della compatibilità,
dall’art. 2437-sexies c.c. – individua una serie di soggetti su cui – in via di
gradato subordine – grava l’obbligo di liquidare le azioni del socio recedente.
Le azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato, infatti, devono essere
offerte dagli amministratori innanzitutto ai soci (diversi dal recedente) nel
rispetto del principio della proporzionalità (1-3 comma); qualora i soci non
acquistino le azioni del recedente, gli amministratori possono collocarle presso
terzi oppure – nell’eventualità che i titoli siano quotati su mercati regolamentati
– offrirle al mercato (4 comma); in caso di mancato collocamento, infine, le
azioni devono essere rimborsate dalla società, la quale procede al loro
riacquisto utilizzando riserve disponibili, anche in deroga alle previsione
dell’art. 2357, 3 comma c.c. (5 comma); la disposizione si chiude prevedendo
che, nel caso in cui manchino utili e riserve disponibili, l’assemblea
straordinaria dovrà essere convocata per deliberare la riduzione del capitale
sociale o, in alternativa, lo scioglimento della società (6 comma), applicandosi
alla delibera di riduzione del capitale la procedura dettata dall’art. 2445, 2, 3 e 4
(29) Cfr. P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 400; contra A. PACIELLO, Art. 2437-ter, p. 1130;
anche A. BRACCIODIETA, La nuova, p. 348. Non si intende indugiare nel testo su un altro
problema che potrebbe sorgere nell’ambito della disciplina del recesso per poi riflettersi in
quello delle azioni riscattabili: ci si riferisce in particolare all’ipotesi in cui la valutazione delle
azioni sia oggetto di revisione da parte dell’esperto e al quesito se la nuova determinazione
debba valere non solo per le azioni per la quale essa è stata richiesta ma anche per tutte le altre
(v., sul punto, anche A. PACIELLO, Art. 2437-ter, p. 1130, il quale tuttavia conclude nel senso
che «ciascun recesso è apprezzato in piena autonomia rispetto agli altri»). Peraltro ove si
sposasse la tesi positiva si creerebbe l’ulteriore problema di dovere modificare anche lo statuto
ove – se si condivide l’impostazione relativa alla conoscenza anticipata del valore di riscatto
delle azioni – dovrebbero essere inclusi fin dall’inizio la quantificazione o i criteri di
quantificazione dei titoli.
238
Azioni riscattabili
comma, c.c. (30).
In generale la dottrina ha manifestato notevoli riserve in merito alla
estensione delle disposizioni relative alla liquidazione delle azioni in caso di
esercizio del diritto di recesso alla disciplina delle azioni riscattabili. Tale
orientamento si fonda in particolare vuoi su considerazioni relative alla natura
convenzionale della disciplina del riscatto di azioni prevista dall’art. 2437-sexies
c.c. rispetto alla struttura dell’istituto del recesso (31); vuoi al fatto che, nel caso
del riscatto, è assolutamente indifferente l’identità del soggetto che acquista le
azioni; vuoi, ancora, in quanto il riscatto non giustica la subordinazione della
società quale soggetto (ultimo) legittimato a richiamare le azioni riscattabili (32).
Da quanto consta, un solo autore ha sostenuto la tesi contraria, affermando,
pertanto, l’applicabilità delle disposizioni sulla liquidazione delle azioni anche
all’istituto delle azioni riscattabili (33): quest’ultimo orientamento sembra, da
una parte, ispirarsi alla tradizionale preoccupazione di tutelare il patrimonio
sociale dal pericolo di depauperamento derivante dall’acquisto delle azioni
(30) La nuova norma si ispira alla «…tutela dell’integrità del capitale» per cui «la scelta
è stata alla fine quella di utilizzare la riduzione del capitale solo in via residuale»: così E.
BELLEZZA, La nuova disciplina del recesso, in CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO - SCUOLA DEL
NOTARIATO DELLA LOMBARDIA - FEDERNOTIZIE, Il nuovo ordinamento delle società, a cura di S.
ROSSI, Milano, 2003, p. 263; M. VENTORUZZO, I criteri, p. 488 il quale sottolinea, con
riferimento alla previgente disciplina il timore del legislatore nei confronti degli «…effetti
destabilizzanti del recesso sulla società e sui creditori sociali»; A. TOFFOLETTO, i, passim; M.
STELLA RICHTER JR., Diritto di recesso, p. 389 e ss..
(31) Si legga in primo luogo, A. PACIELLO, Art. 2437-sexies, p. 1148 il quale qualifica
come «sbrigativo» il richiamo all’art. 2437-quater; v., anche, D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, p.
1639, il quale sottolinea la sua perplessità di fronte all’importazione di una disciplina dettata per
la disciplina del recesso, nella quale la liquidazione della quota è una necessità per la società che
subisce una decisione esterna rispetto all’ipotesi alla situazione in cui sia riconosciuto in capo
alla società il poterei di riscattare le azioni, in cui è la società medesima ad adottare
discrezionalmente la decisione del riscatto; manifesta le proprie perplessità anche M.
CENTONZE, Riflessioni, p. 59-60.
(32) Le ultime due considerazioni sono mutuate da M. CENTONZE, Riflessioni, pp. 5960, con la cui impostazione si concorda.
(33) Questa conclusione sembra potersi trarre dalle affermazioni di D. GALLETTI, Art.
2437-sexies, p. 1639 per cui «L’inderogabilità dell’art. 2437-quater non parrebbe discutibile,
dato che i soci non sembrerebbero in grado di trattare efficacemente per la ridistribuzione dei
titoli riscattati (in fondo è la stessa ratio che fonda il diritto di opzione), e quanto alla
«gradualità» delle soluzioni liquidative che prima esplorano la possibilità di utilizzare risorse
disponibili, e soltanto dopo attingono al capitale, la norma afferisce anche a situazioni
giuridiche soggettive «esterne» alla società, e come tale non è tangibile»; pur ammettendo alla
nota (15) che «l’alterazione delle sequenze in cui è articolato il procedimento di liquidazione
sembrerebbe invece possibile qualora l’onere di liquidare in denaro i soci «riscattati» non spetti
alla società, ma ai soci residui, perché in tal modo l’esborso non incide sul patrimonio sociale».
239
CAPITOLO III
conseguente al recesso; ma, dall’altra parte, pare trascurare il fatto che –
nell’ipotesi di azioni riscattabili ad opzione della società – è pur sempre
quest’ultima (e, in particolare, l’organo competente ad esercitare il riscatto) a
decidere se vi sono le condizioni per procedervi. La società, infatti, si trova in
una situazione diversa rispetto al recesso in cui, invece, la liquidazione delle
azioni viene imposta dal socio recedente (34).
Se si condividono queste considerazioni, vanno probabilmente ritenuti
incompatibili con l’art. 2437-sexies c.c. i commi da 1 a 4 dell’art. 2437-quater c.c.,
in quanto impongono una griglia predefinita di soggetti onerati dall’obbligo di
acquistare le azioni del recedente, mentre la disciplina delle azioni riscattabili
prevede che sia lo statuto a determinare, liberamente, se il riscatto possa essere
esercitato «da parte della società o dei soci». L’autonomia privata dunque
potrebbe prevedere che il riscatto sia esercitabile esclusivamente dalla prima,
oppure solamente dai secondi; ancora, sembra plausibile ipotizzare anche una
clausola che – mutuando (parzialmente) lo schema contemplato dall’art. 2437quater c.c. – attribuisca il riscatto innanzitutto ai soci e, nel caso in cui questi
non lo esercitino entro un certo periodo di tempo, alla società oppure
viceversa. Al limite, potrebbe anche prospettarsi una disposizione dello statuto
che renda le azioni riscattabili dalla società e dai soci contemporaneamente ma
in proporzioni tra loro diverse. Può a questo punto articolarsi qualche
riflessione, a seconda del soggetto ad esercitare il riscatto.
(34) D’altro canto proprio la preoccupazione di tutelare l’integrità del capitale sociale
animava parte della dottrina e della giurisprudenza espressasi in tema di cause convenzionale di
recesso prima della riforma del diritto societario le quali negavano la possibilità di ampliare
convenzionalmente le ipotesi di “uscita” dalla società. Ma non tutti gli autori erano concordi
sul punto: per la tesi contraria all’estensione analogica della fattispecie si v., in particolare, G:
COTTINO, Diritto Commerciale, I, 2, Padova, 1994, op. 647; L. DE ANGELIS, La trasformazione delle
società, Milano, 1998, p. 149, in nota 178; C. GANDINI, Modificazioni dell’atto costitutivo nelle società
dicapitali: recesso, aumento di capitale e diritto di opzione, in Giur. comm., 1988, I, pp. 731; U. BELVISO,
Le modificazione dell’atto costitutivo, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 15, Torino, 1985, p.
86; F. GALGANO, Le società per azioni, in Tratt. Dir. comm. dir. pubbl. econ., Padova, 1988, p. 367;
anche parte della giurisprudenza si era espressa in senso contrario: v. Cass. 28 ottobre, n. 5790,
in Mass. giust. civ., 1980, p. 2427; Cass. 20 settembre 1995, n. 9975, in Giur. it., 1996, I, 1, c. 164;
App. Milano, 16 ottobre 2001 (decr.), in Società, con nota di G. ZAGRA, Assunzione di
partecipazioni, modifica dell’oggetto sociale e diritto di recesso, 2002, p. 449; App. Milano, 16 settembre
2001, in Giur. mer., 2002, p. 400; App. Milano 13 ottobre 2000, in Società, 2001, p. 207; Trib.
Milano, 2 maggio 1996, in Riv. dir. comm., 1998, II, p. 129 e ss.; Trib. Como, 11 ottobre 1993
(decr.), in Società, 1994, p. 248 e ss..
240
Azioni riscattabili
(a) Quando lo statuto riconosce ai soci il potere di riscatto non
necessariamente troverà applicazione il principio di attribuzione proporzionale
delle azioni riscattate, contemplato dal comma 1 dell’art. 2437-quater c.c.. Anche
in questo caso, infatti, devono essere valorizzate le decisioni dei soci e il
contenuto dello statuto. Quest’ultimo potrebbe anche prevedere che le azioni
siano riscattabili dai soci secondo un criterio diverso da quello proporzionale: a
tale riguardo sembra perfettamente in linea con l’art. 2437-sexies c.c. che il
potere sia attribuito – tra chi non è titolare di azioni riscattabili – solo ad alcuni
soci e non ad altri; legittima sembra, peraltro, anche la previsione di una
riscattabilità “a scaglionamenti” che, ad esempio, consenta per ogni dieci azioni
incorporanti il potere di riscatto di riscattarne cinque.
Anche le previsioni contenute nel comma 2, volte ad assicurare –
tramite il deposito presso il registro delle imprese – la pubblicità dell’offerta in
opzione ai soci delle azioni paiono avere uno scarso significato ove rapportate
al diverso ambito del riscatto. La fattispecie di cui all’art. 2437-sexies c.c. non
sembra richiedere alcuna offerta in opzione per la sua esecuzione, in quanto
l’iniziativa del riscatto è “attivata” dagli stessi soci che acquisteranno le azioni
(35). Lo statuto dovrebbe, semmai, disciplinare le modalità con le quali i soci
“riscattanti” possano comunicare ai titolari delle azioni riscattabili la propria
volontà di esercitare il riscatto, in modo tale da porli nella condizione di
mettere a disposizione i propri titoli per il loro trasferimento (36).
Le medesime considerazioni sembrano valere anche avuto riguardo alla
disciplina del diritto di prelazione prevista dal comma 3 dell’art. 2437-quater c.c.
in quanto, nel caso azioni riscattabili, non pare configurabile uno scenario ove
vi siano dei titoli non acquistati successivamente all’esercizio del riscatto (37).
L’ipotesi in cui il riscatto venga esercitato e poi rinunciato comporterà
semplicemente il mantenimento delle azioni in capo al socio inizialmente
(35) Ma si veda quanto affermato a proposito del diritto di opzione, infra alla lett. (b).
(36) Le concrete modalità di trasferimento delle azioni, dipendono ovviamente dal
fatto che esse siano state emesse oppure no ai sensi dell’art. 2355, comma 1, c.c..
(37) Nell’ipotesi in cui le azioni non vengano trasferite, infatti, esse rimarranno di
titolarità del proprio originario titolare.
241
CAPITOLO III
riscattato che, in questo modo, avrà salva la propria permanenza nella società.
(b) Quanto all’ipotesi in cui la società sia titolare del potere di riscatto,
possono richiamrsi le considerazioni già espresse in merito alla natura
facoltativa del riscatto. Le preoccupazioni manifestate dalla dottrina con
riguardo al recesso e alla tutela del patrimonio sociale, non sembrano infatti
porsi con riguardo a questa ipotesi. Con tutta probabilità, infatti, il riscatto
verrà esercitato – dagli amministratori o dall’assemblea, a seconda della tesi che
si voglia accogliere in ordine all’individuazione dell’organo competente (38) –
solamente in presenza di utili e riserve disponibili, il che renderebbe del tutto
inutili le precisazioni disposte dalla norma in merito alle risorse patrimoniali da
utilizzare per il recesso, nonché quelle che richiamano le regole relative alla
riduzione del capitale o allo scioglimento della società. E’ infatti evidente che la
società, in questo caso, non assume alcuna obbligazione nei confronti dei
titolari delle azioni riscattabili potendo disporre, piuttosto, di un diritto
potestativo. Differente sarebbe invece l’ipotesi inversa che veda la società
soggiacere ad un obbligo di riscatto da parte di alcuni (o tutti) i soci: la
questione sarà affrontata più avanti, nel contesto dell’analisi delle azioni
redimibili (39).
Esperienze di altri ordinamenti mettono bene in luce proprio l’aspetto
legato alla facoltatività del riscatto che viene generalmente esercitato solamente
nel caso in cui la società abbia risorse finanziarie sufficienti per liquidare le
azioni riscattate. Negli Stati Uniti, le corti di molti stati non autorizzano
l’esercizio della redemption da parte della società quando essa è in stato di
insolvenza o quando vi è ragione di ritenere che tale situazione si possa
concretizzare proprio per effetto dell’acquisto delle azioni (40); nella prassi
societaria americana, peraltro, è frequente la previsione in bilancio di una sorta
(38) Cfr., infra, cap. III, sub § 11.1.
(39) V., infra, cap. IV.
(40) V., ad esempio, alcuni risalenti casi quali Hurley v. Boston R.H. Co., 54 N.E.2d 183
(Mass. 1944); Mueller v. Kreauter & Co., 25 A2d 874 (N.J. Ch. 1942); contra, tuttavia, Mc. Creery v.
RSA Management, Inc., 287 S.E. 2d 203 (Ga. 1982) nella quale si è affermato che «purchase by
insolvent corporation pursuant to power to acquire shares at book value doe not violate statute when shares have
negative book value, so their acquisition does not require transfer of assets.».
242
Azioni riscattabili
di riserva facoltativa (c.d. «sinking funds»), utilizzabile nel caso in cui la società
decida di riscattare le azioni: le modalità di formazione e di utilizzo del fondo
sono generalmente determinate tra soci e la società, mentre la disciplina è
contenuta nelle disposizioni dello statuto (41). La nuova section 687 del Companies
Act 2006 – recentemente approvato dal Parlamento inglese – dispone al
riguardo che il pagamento delle azioni riscattate può essere eseguito dalla
società solamente ove essa abbia a disposizione utili distribuibili o somme
derivanti dalla sottoscrizione di azioni emesse per far fronte al riacquisto dei
titoli (42). Anche in questo caso pertanto la società potrebbe esercitare il riscatto
(41) «A redemption fund, often loosely termed a “sinking fund”, may be provided for the purchase or
retirement of preferred shares; it is thus similar to a sinking fund used for the gradual or partial retirement of
bonds»: così, J.D. COX - T.L. HAZEN, Corporations, p. 530; anche H.L. WILSEY, The Use, p. 34 e
ss. che descrive alcune modalità con le quali tale riserva può essere costituita cme quella per cui
generalmente viene previsto che vi siano da parte della società «…annual payments sufficient to
retire a given percentage of the maximum amount of the stock ever issued» oppure che la società «is required
to pay onto the sinking fund annually a sum sufficent to redeem 2 per cent of the largest number of shares ever
issued». In particolare previsioni che richiedano alla società emittente di versare nel fondo percentuali determinate
su base annua «…can be objected to primarily because there is no relationship between the requirements and the
ability of the corporation to meet them. The chief advantage, however, is that the earnings in good years are made
availabel to the common staockholders after a minimum requirements has been met»; cfr., anche il risalente
studio di C.M. KEYS, Bond Redemption and Sinking Funds, in Annals of the American Academy of Pol.
And Soc. Science, vol. 30, Bonds as Investment Securities, (Sep. 1907), pp. 21-37 dove l’istituto viene
analizzato nel contesto delle emissioni di obbligazioni per cui esso avrebbe la funzione «…to
reduce the outstanding liabilities against the property of the corporation, and hence to enhance the value of the
equity represented by the stoch of that corporation».
(42) Si replica in sostanza il contenuto della previgente section (160) (1). La nuova
disposzione prevede al proposito che «686 Payment for redeemable shares (1) Redeemable shares in a
limited company may not be redeemed unless they are fully paid; (2) The terms of redemption of shares in a
limited company may provide that the amount payable on redemption may, by agreement between the company
and the holder of the shares, be paid on a date later than the redemption date. (3) Unless redeemed in
accordance with a provision authorised by subsection (2), the shares must be paid for on redemption.». Va
rilevato che, nel vigore del Companies Act 1985, la disciplina per le «private companies» era
diversificata rispetto a quella prevista per le «limited liability companies» (rispetto alla quale trova
applicazione la sopra riportata section (686), già section 160 (1)). Per le prime infatti si prevedeva
la possibilità di procedere al riscatto «otherwise than out of its distributable profits or proceeds of a pfresh
issue of shares», ma solamente se ciò era preventivamente previsto dallo statuto; la riforma del
2006, invece, ha eliminato tale requisito dalla nuova section (709): va tuttavia ricordato, come ha
già avuto modo di fare anche un autore (v. D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, p. 1639, in nota 16),
che nel caso in cui una private company desideri procedere al riscatto di azioni secondo le
modalità sopra descritte (e quindi operando sul capitale) i suoi amministratori saranno tenuti a
predisporre una «fully enquiry into the affairs and prospects of the company and are required, under section
173, to make a statutory declaration, confirming that: as regards the company’s situation immediately after the
date on which the payment out of capital is made, there will be no grounds on which the company could then be
found unable to pay its debts; and as regards the company’s prospects for the year immediately following that
date, the company will be able to pay its debts as thet fall due in the year immediately following the date on
which the payment out of capital is made», precisandosi poi che sarà necessario applicare un vero e
proprio insolvency test avente ad oggetto la capacità patrimoniale della società di fare fronte al
243
CAPITOLO III
solo quando sussistano le condizioni per non pregiudicare il capitale sociale e i
creditori.
Al fine di valorizzare il richiamo operato dall’art. 2437-sexies c.c. all’art.
2437-quater c.c., si potrebbe in ogni caso ipotizzare che le disposizioni relative
all’offerta in opzione ai soci (commi 2, 3) e, subordinatamente, ai terzi (comma
4) possano trovare uno spazio applicativo nell’ipotesi in cui il potere di
riscattare le azioni sia attribuito alla società e questa lo eserciti in misura
superiore alla decima parte del capitale sociale in violazione di quanto disposto
dall’art. 2357, comma 3 c.c. (43): in questa situazione, non pare infatti del tutto
scorreto ritenere che gli amministratori possano offrire in opzione ai soci le
azioni riscattate in eccedenza dalla società, per poi collocarle eventualmente
presso un terzo, nell’ipotesi di mancato collocamento ai soci (44).
(B) Ci si potrebbe poi domandare se il comma 5 dell’art. 2437-quater c.c.
superi il test di compatibilità previsto dall’art. 2437-sexies c.c., almeno nella parte
in cui prevede che si possano utilizzare le riserve disponibili, anche derogando
alla misura di un decimo del capitale sociale detatta dal comma 3 dell’art. 2357
c.c. (45). Per risolvere questo problema interpretativo pare corretto prendere in
considerazione le seguenti circostanze (i) l’art. 2437-sexies c.c. richiama
esplicitamente le regole dettate per l’acquisto di azioni proprie e, in particolare,
gli artt. 2357 e 2357-bis c.c., senza prevedere il filtro della clausola di
riscatto («In forming their opinion on the compnay’s solvency and prospects, the directors must take into
account the same liabilities (including contingent and prospective liabilities) as would be relvant under saction
122 of the Insolvency Act 1986 (winding up by the court) to the question whether a company is unable to pay
its debts»): così la relazione accompagnatoria al Companies Act 2006 (DEPARTMENT OF TRADE
INDUSTRY, Companies Act 2006, Explanatory Notes, consultabile sul sito
http://www.opsi.gov.uk/acts/en2006/ukpgaen_20060046_en.pdf).
(43) Sul punto si tornerà infra, cap. III, sub § [•]
(44) Sembra sul punto da condividere l’opinione espressa al riguardo da P. DE
MARTINIS, Le azioni, p. 400 il quale ha ritenuto che «Se non è dunque possibile, per l’essenza
del diritto di riscatto e quindi per le sue peculiarità, ritenere direttamente applicabili alle azioni
riscattabili le disposizioni di cui all’art. 2437-quater cod. civ., occorre domandarsi che senso ha il
rinvio che a tale norma fa, sia pure «in quanto compatibile» l’art. 2437-sexies cod. civ. In realtà,
il rinvio opera solo nel caso in cui l’esercizio del diritto di riscatto, previsto dallo statuto in
favore della società, determini un acquisto superiore al dieci per cento del capitale sociale: per
l’eccedenza quindi non si avrebbe alcun acquisto coattivo di azioni ma solo un’offerta di queste
ai soci – a tutti i soci – in opzione, con il meccanismo previsto dall’art. 2437 quater cod. civ.».
(45) «In nessun caso il valore nominale delle azioni acquistate a norma dei commi
precedenti può eccedere la decima parte del capitale sociale, tenendosi conto a tal fine anche
delle azioni possedute da società controllate».
244
Azioni riscattabili
compatibilità (46); (ii) l’art. 2437-sexies c.c. richiama inoltre anche l’art. 2437quater c.c. e, quindi, anche il suo comma 5; (iii) quest’ultima disposizione,
tuttavia, deroga all’art. 2357 c.c.. Questa complessa serie di rinvii e deroghe a
norme di legge sembra risolversi ove si applichi la regola generale prevista dalla
disciplina dell’acquisto delle azioni proprie, con conseguente imposizione del
limite quantitativo del decimo del capitale sociale alla società riscattante (47).
Alla medesima conclusione potrebbe peraltro pervenirsi applicando la clausola
di compatibilità dell’art. 2437-sexies c.c.: in effetti, una attenta lettura del comma
5 dell’art. 2437-quater c.c. rende più chiaro che tale norma disciplina una
fattispecie dotata sia del carattere della residualità, rispetto alla procedura di
liquidazione disciplinata dai commi da 1 a 4, sia di quello della specialità, in
quanto la derogabilità all’art. 2357 c.c. sembra in ogni caso giustificata
solamente in «caso di mancato collocamento ai sensi delle disposizioni
precedenti». Un altro argomento interpretativo consiste nel prendere atto della
diversità delle fattispecie in esame: con l’art. 2347-quater, comma 5 si prevede
infatti una ipotesi specifica di acquisto delle azioni finalizzata a ridurre il
capitale sociale tale da giustificare – in assenza di sufficienti utili e/o riserve per
procedere alla liquidazione – l’esenzione dal limite quantitativo prescritto
dall’art. 2357, comma 3, c.c. (48); il riscatto di azioni ha invece una diversa
natura e non comporta necessariamente una riduzione del capitale conseguente
all’annullamento delle azioni riscattate: l’art. 2437-sexies c.c. non si occupa
infatti del destino delle azioni riscattate né quando l’esercizio è eseguito dalla
società, né quando avviene per iniziativa dei soci e sembra quindi lasciare
spazio perché al riscatto segua, ad esempio, l’alienazione delle azioni da parte
(46) Per l’analisi del richiamo della disciplina dell’acquisto di azioni proprie da parte
dell’art. 2437-sexies, v. infra, cap. III, sub § 11.
(47) Peraltro anche prima della introduzione dell’art. 2437-sexies era opinione comune
che nel caso di riscatto esercitato da parte della società fosse necessario rispettare i limiti, anche
quantitativi, previsti dall’art. 2357 e ss.: v. sul punto G. PARTESOTTI, Le operazioni, p. 465 per
cui «Si può perciò ritenere che la previsione statutaria di un «riscatto», nel senso di un acquisto
non libero per il scio «uscente» e non finalizzato alla riduzione del capitale, sia assorbita, nel
senso di piena legittimità, dalla previsione dell’art. 2357, fermi s’intende i requisiti voluti dalla
norma, superabili invece nel caso di acquisto finalizzato alla riduzione [art. 2357 bis, 1° comma,
n. 1]».
(48) Per alcune considerazioni relative al termine «riscatto» utilizzato nell’art. 2357-bis
si veda supra cap. I, sub § 1; e infra, cap. III, sub § 11.2.
245
CAPITOLO III
della società a terzi o anche ai soci.
(C) L’art. 2437-quater, 6 comma c.c. prevede che – in alternativa alla
riduzione del capitale finalizzata alla liquidazione delle azioni – la società
deliberi il proprio scioglimento. Anche questa parte della disposizione non
sembra trovare spazio nell’ambito della disciplina delle azioni riscattabili. Si
tratta, pur sempre, di un riscatto ad opzione della società dal quale
sembrerebbe iniquo e contrario al principio di conservazione dell’impresa far
discendere la dissoluzione dell’organizzazione sociale (49). L’inconciliabilità tra
la facoltà di riscatto esercitabile dalla società, da una parte, e la conseguenza
dello scioglimento prevista dal comma 7 dell’art. 2437-quater per effetto del
richiamo alla norma che regola la riduzione volontaria del capitale (art. 2445
c.c.) nel caso di opposizione vittoriosa dei creditori, dall’altra parte, è resa
ancora più evidente qualora si abbia riguardo al fatto che la disciplina del
recesso risulta più severa e penalizzante per la società rispetto alla fattispecie di
riduzione volontaria del capitale, ai sensi dell’art. 2445 c.c., che non fa
conseguire
lo
scioglimento
del
vincolo
sociale
all’esito
positivo
dell’opposizione dei creditori (50).
(49) Si concorda pertanto con M. CENTONZE, Riflessioni, pp. 61-62; interessanti anche
le considerazioni svolte in punto di scioglimento della società da C. ANGELICI, La riforma, p. 89
e ss. il quale sottolinea come lo scioglimento previsto dal comma 5 dell’art. 2437-quater sia una
conseguenza della volontà di due gruppi di interessi diversi in quanto «…si verifica in una
situazione in cui chi controlla la società decide il compimento di un’operazione che altre,
coloro ch eesercitano il diritto di recesso, non ritengono conveniente per i propri interessi; in
cui il primmo non intende acquistare le partecipazioni dei secondi e neppure è in grado di
trovare terzi a tal fine disponibili, in cui inoltre la società non dispone di altri mezzi se non
quelli corrispondentio al capitale sociale ed i creditori ritengono, con opinione considerata
giustificata dal giudice, che la sua riduzione pregiudicherebbe i loro interessi…Legittimo è in
tale situazione ritenre che sia il “mercato”, quello interno alla società rappresentato dai soci, ma
anche pià ampiamente quello esterno cui ci si può rivolgere per proporre l’acquisto delle
partecipazioni o per chiedere il finanziamento del medesimo, a formulare un giudizio di
inefficienza ruiguardo all’impresa societaria ed all’operazione che s’intende compiere. Ed ‘
evidente che, quando è questa la situazione e lo scioglimento della società si vuole evitare, ne
deriva la necessità di una negoziazione tra i soci».
(50) A. PACIELLO, Art. 2437-quater, p. 1137; P. PISCITELLO, Riflessioni, p. 518 e ss.;
come peraltro sottolineato da F. FERRARA JR. - F. CORSI, Gli imprenditori, pp. 685-686, nota (9),
si tratterebbe di un modo per «…forzare la mano ai soci intenzionati a proseguire nell’attività
perché si facciano carico del disinteressamento del recedenti»; diversa, invece, la disciplina
dettata per le s.r.l. dall’art. 2473-bis, ai sensi del quale nel caso di esclusione del socio non si
giunge alla riduzione del capitale: sul punto v., F. MAGLIULO, Le categorie, p. 115, in nota 134, si
veda F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, Padova, 1990, p. 135.pò
246
Azioni riscattabili
(D) Residua infine un cenno alle modalità con cui si conclude la
procedura di riscatto e, in particolare, (i) alla individuazione del momento in cui
debba effettuarsi la liquidazione delle azioni; e (ii) al tipo di corrispettivo.
Il primo profilo, non è risolto né dall’art. 2437-sexies c.c., né dall’art.
2437-quater c.c. che, sul punto, non dettato alcuna regola. La questione è,
invece, affrontata in altri sistemi giuridici: è il caso del Companies Act 2006 il
quale, nella nuova section 686, prevede la regola di default per cui – in mancanza
di un diverso accordo tra la società e il sottoscrittore di azioni riscattabili – il
corrispettivo per queste ultime deve essere pagato al momento del riscatto,
coincidente non tanto come il momento dell’esercizio, bensì con quello
dell’effettivo trasferimento dei titoli (subs. (3)); ai sensi della subs. (2), tuttavia,
può essere raggiunto anche un accordo “diverso” – ugualmente incluso nello
statuto – che consenta alla società non solo di dilazionare il pagamento per le
azioni riscattate, ma anche di anticiparlo rispetto al momento dell’effettivo
esercizio del riscatto (51).
Anche per quanto riguarda il secondo tema – ovvero il tipo di
corrispettivo – bisogna senz’altro ritenere che il pagamento delle azioni debba
essere effettuato in denaro anche se la prassi di altri ordinamenti si è, in alcune
circostanze, orientata diversamente (52).
(51) V. BDG Roof Bond v. Douglas, [2000] 1 B.C.L.C. 401; [2000] B.C.C. 770; [2000]
Lloyd’s Rep. P.N. 273, commentata da D. CABRELLI, BDG Roof Bond Ltd v. Douglas: Further
Observations on the Application of Re Duomatic Principle, in Comp. Law., 2001, 22(5), 130-133 che
osserva «The court held that this [ovvero il fatto che «the payment could only be made when the repurchase
agreement was executed, and accordingly the contract was invalid as payment had been made prior to the
execution of the contract and the cancellation of the shares»] was too literal construction to place on section 159
(3). Park J. preferred the countervailing argument that the prior payment would be rendered conditional on the
agreement being concluded and the sale proceedings as planned. If the sale was not effected because negotiations
had broken down, the prior payment of cash would be returned to the company by virtue of the operaion of the
construct of conditionality».
(52) Nel caso BDG Roof Bond v. Douglas il corrispettivo dovuto in seguito al riscatto di
azioni era formato solo parzialmente da denaro e la residua parte in assets della società. Il
problema sottoposto all’attenzione della corte in questo caso discendeva dall’interpretazione
della section 159(3) del Companies Act 1985 il quale prevedeva che «the terms of redemption must
provide for payment on redemption»: mentre una delle parti in causa interpretava tale disposizione nel
senso che «…the whole of the purchase money must be paid for on completion. It does not permit payment on
deferred terms and in particular payment by two instalments such as occurred in the case of Sulakhan Dale», il
giudice ha affermato che «I do not agree that, even if the money was transferred to Mr Douglas in
anticipation of the company purchasing his shares, that would invalidate the transaction. Sucj payment would
onluy be conditional, and woukld be repayable to the company if for some reason the sale fell through at the last
247
CAPITOLO III
10.3 L’applicabilità di altre parti della disciplina del recesso non richiamate
espressamente dall’art. 2437-sexies c.c..
A conclusione di questo excursus in merito alla compatibilità degli
articoli 2437-ter e quater c.c. alla fattispecie delle azioni riscattabili, pare
opportuno svolgere qualche ulteriore riflessione in merito alla possibilità di
applicare a quest’ultima anche le altre regole previste per il recesso, sebbene
non direttamente richiamate dalla norma che regola la fattispecie.
(A) Quanto all’art. 2437, che disciplina le cause di recesso, basti
richiamare quanto già affermato in merito alle condizioni di riscatto. Qualche
interesse potrebbe suscitare la previsione di cui al comma 6, ai sensi della quale
«è nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del
diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma del presente articolo».
La disposizione sanziona con la nullità quelle disposizioni statutarie articolate
in modo tale da rendere più oneroso per il socio recedente il disinvestimento,
limitando tuttavia l’ambito di tale “reazione” al solo caso in cui la
legittimazione al recesso discenda dalle ipotesi previste dalle lettere da a) a g)
del comma 1. Nell’ambito del recesso la norma sta a significare che, nei casi
ritenuti inderogabili dalle legge, vi sono precisi limiti per l’autonomia privata
nella determinazione delle modalità e dei termini di esercizio, tali da consentire
che il socio recedente riceva un grado particolarmente intenso di protezione.
La trasposizione di tale norma nell’ambito delle azioni riscattabili potrebbe
comportare qualche difficoltà. Andrebbe, innanzitutto, verificato se vi sono
spazi per una applicazione analogica del comma 6 e quindi se, nel caso delle
azioni riscattabili, ricorra la medesima ratio legis che anima la disposizione
moment.». Come sostenuto da D. CABRELLI, BDG Roof, p. 3 «…if one applies the same principles
adopted by the court in BDG Roof Bond and invokes the conditionality concept, it is arguable that payment by
instalment or by way of deferred consideration/loabn notes shoudl be permissible. In effect, if all of the
instalments in terns of the condition subsequent are not paid, the conditionality construct will dictate that the
contract is deemed not to have been purified and will fall. Corporations should be afforded the right of flexibility
in relation to payment. Again, it is submitted that the courts should adopt a liberal interpretation and
pronounce that trepurchase contracts providing for payment post execution as a condition subsequent be
permitted. This is only sensible, and provide for a practival solution and flexibility for companies in their
payment arrangements.»; per un caso simile a quello analizzato si veda anche Pena v. Dale, [2004], 2
BCLC, p. 508; [2003] EWHC, p. 1065; [2003] WL 1822940.
248
Azioni riscattabili
dettata per il recesso; andrebbe, peraltro, stabilito se la norma vada letta con
riferimento alla «società» o «ai soci» cui sia riconosciuto il diritto di riscatto –
essendo, in definitiva, questi i soggetti che esercitano tale potere – oppure se
essa debba essere intesa (come parrebbe più opportuno) a protezione di chi è
titolare delle azioni riscattabili e rischia, quindi, di essere estromesso dalla
compagine sociale. Basti in questo frangente rilevare che un’interpretazione
volta a ritenere applicabile il comma 6 alla fattispecie delle azioni riscattabili
non pare essere pienamente convincente vuoi in ragione del mancato richiamo
da parte dell’art. 2437-sexies c.c.; vuoi alla luce del fatto che la previsione è
dettata per lo specifico caso delle ipotesi legali di recesso; vuoi per il fatto che
probabilmente il legislatore ha ritenuto che il socio titolare di azioni riscattabili
fosse sufficientemente protetto dal rinvio operato alla disposizione relative ai
criteri di determinazione del valore di liquidazione delle azioni. Nel caso delle
azioni riscattabili, dunque, situazioni in grado di rendere «più gravoso»
l’esercizio del diritto di riscatto non sembrano avere alcun effetto su eventuali
accordi intercorsi tra i soci e la società, né sulla regolamentazione statutaria; nè
si può parlare di gravosità rispetto a chi detiene azioni riscattabili, destinati a
subire comunque l’esclusione dalla società.
(B) Non può peraltro escludersi a priori l’applicazione della disciplina
contenuta nell’art. 2437-bis, comma 1, relativa ai termini ed alle modalità di
esercizio del recesso. La norma stabilisce al riguardo che la volontà di recedere
sia oggetto di una comunicazione con lettera raccomandata spedita nel termine
di quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese delle delibera che
legittima al recesso, con l’indicazione degli elementi necessari per procedere alla
liquidazione delle azioni; nel caso in cui il fatto che legittima il recesso non si
concretizzi in una deliberazione assembleare il termine è di trenta giorni dal
momento in cui si ha conoscenza del fatto da parte del socio. Ad integrazione
delle osservazioni svolte in merito alle condizioni e modalità di esercizio del
riscatto (53), si può aggiungere come l’autonomia statutaria potrebbe
liberamente prevedere che la società o gli altri soci esercitino il riscatto a
(53) Cfr. supra cap. III, sub § 7.
249
CAPITOLO III
condizione che – entro un termine prestabilito decorrente dal momento in cui
è stata assunta la delibera relativa all’esercizio del medesimo (54) – il socio sia
informato del fatto che le sue azioni saranno riscattate (55).
(C) Una questione distinta è invece rappresentanta dalla applicabilità
per analogia del comma 2 dell’art. 2437-bis, il quale dispone che «Le azioni per
le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono
essere depositate presso la sede sociale». Al riguardo un autore ha ritenuto che
tale disposizione non potrebbe essere invocata nell’ambito della disciplina delle
azioni riscattabili, sia in ragione del mancato richiamo da parte dell’art. 2437sexies c.c., sia alla luce del fatto che l’art. 2437-bis c.c. presuppone il
comportamento del soggetto attivo – ovvero del socio recedente – mentre la
disciplina del riscatto riguarda il soggetto passivo «che, volutamente, si sottrae
all’effetto della privazione coattiva delle azioni con la successiva loro
alienazione» (56). Viene, pertanto, suggerito – al fine di mettere la società e/o i
soci che esercitano il riscatto al riparo dal rischio di alienazioni effettuate dal
titolare delle azioni riscattabili nelle more del perfezionamento della procedura
di riscatto – di prevedere nello statuto un diverso sistema di circolazione delle
azioni, che renda inefficace un trasferimento delle azioni riscattabili successivo
all’esercizio del riscatto: secondo questa prospettiva, pertanto, solo in questo
modo potrebbe conseguirsi l’efficacia reale del riscatto, rendendola, pertanto
(54) Il che presuppone logicamente che sia stata assunta anche la delibera che accerti le
condizioni di esercizio del riscatto ove richiesta dallo statuto.
(55) La soluzione è suggerita anche da P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 398, per il quale
«sarebbe anzi opportuno prevedere che il deposito sia unico, per tutte le dichiarazioni di
riscatto, da effettuarsi a cura dell’organo amministrativo entro un determinato lasso di tempio,
una volta che sia decorso il termine precisto per l’esercizio del diritto di riscatto: in tal modo si
avrebbe un unico momento in cui avverrebbero i singoli trasferimenti coattivi, com evidente
semplificazione delle fattispecie, per nulla improbabili, di esercizio del diritto di riscatto
congiuntamente da parte di più soci». Il cit. A. accoglie peraltro anche la possibilità che la
decisione del riscatto venga depositata presso il registro delle imprese, con ciò sostenendo una
tesi contraria a quella sposata da D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, p. 1637, in nota 9 («Non
sembra chiaramente detto che il riscatto dev’essere oggetto di pubblicazione nel Registro delle
Imprese, come prescrive l’art. 39, lett. h), della Seconda Direttiva; in forza del principio di
tipicità delle iscrizioni, di conseguenza, è possibile che il riscatto non sia mai pubblicato (come,
ad es., se sono i soci a riscattare, e quindi non viene applicato l’art. 2437-quater, che di fatto
dovrebbe rendere la situazione ostensibile ai terzi.»).
(56) Così P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 398.
250
Azioni riscattabili
opponibile a terzi (57). Tale ricostruzione, tuttavia, non appare condivisile
qualora si consideri che, nell’ipotesi in cui le azioni siano state trasferite dopo
l’esercizio del riscatto, la società potrà ben rifiutare l’iscrizione dell’acquirente
nel libro dei soci e, in seconda battuta, che il «diritto diverso», consistente nella
riscattabilità “segue” l’azione in tutte le sue vicende circolatorie. La
riscattabilità, infatti, è il «diritto diverso» che caratterizza la categoria di azioni
in questione, costituendone, pertanto, una qualità intrinseca che non viene
meno per il solo fatto che le azioni siano state trasferite. Ne consegue che
l’effettività del riscatto è già di per sé assicurata dalla circostanza che chiunque
venga in possesso di tali titoli sarà soggetto alla potestà della società e/o degli
altri soci.
(D)
Sembra,
infine,
porsi
qualche
problema
con
riguardo
all’applicazione del comma 3 dell’art. 2437-bis c.c. con cui si prevede che il
recesso non possa essere esercitato e, qualora già esercitato, perda di efficacia
se la società revoca la delibera che lo legittima, oppure se viene deliberato lo
scioglimento della società.
Possono essere qui richiamate le considerazioni già espresse in merito
alla differente struttura del riscatto rispetto al recesso (58). E’ chiaro che
l’estensione di tale disposizione nell’ambito della disciplina delle azioni
riscattabili perderebbe probabilmente di significato: qualora, ad esempio, il
potere di riscatto fosse attribuito ai soci e lo statuto avesse regolato il
meccanismo in modo tale da prevedere che essi debbano assumere una
decisione in merito all’accertamento delle condizioni che li legittimano al
riscatto essi potranno ben decidere di non procedere al riscatto, anche dopo
l’assunzione di tale delibera; così come nel caso in cui il riscatto sia attribuito
alla società, l’organo competente ad esercitarlo potrà determinarsi nel senso di
non richiamare le azioni. In entrambi i casi, infatti, la legittimazione al riscatto
(57) Con la conseguenza che la previsione statutaria relativa alle azioni riscattabili
«proprio allo scopo di assicurare una reale efficacia al riscatto in tal modo previsto, deve
opportunamente essere accompagnata dalla esclusione dell’emissione dei titoli azionari ovvero
dalla previsione di tecniche di legittimazione e circolazione diverse che siano compatibili con il
meccanismo del riscatto come sopra delineato»: v. P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 398.
(58) Si veda supra, cap. II, sub § 6.
251
CAPITOLO III
non può ritenersi strettamente dipendente dalla assunzione di una
deliberazione, come nel caso del recesso (59).
11. Ambito e termini di applicazione della disciplina relativa
all’acquisto delle azioni proprie: premessa.
L’art. 2437-sexies c.c. afferma che «resta salva in tal caso l’applicazione
della disciplina degli artt. 2357 e 2357-bis». La prima norma richiamata
disciplina come noto i limiti entro cui può realizzarsi un’operazione di acquisto
di azioni proprie da parte della società (commi 1 e 3), il contenuto della
delibera dell’assemblea che ne autorizza l’acquisto (comma 2) e, infine, gli
obblighi che sorgono in capo alla società nell’ipotesi in cui le disposizioni dei
commi da 1 a 3 siano violate; l’art. 2357-bis c.c. riguarda, invece, i casi speciali
di acquisto di azioni proprie che giustificano l’esenzione dall’osservanza delle
previsioni dell’art. 2357 c.c.. Il legislatore – al fine di completare la disciplina
delle azioni riscattabili anche sotto il profilo del rapporto tra riscatto e
patrimonio sociale (60) – ha ritenuto dunque opportuno sfruttare le regole
dettate per l’acquisto di azioni proprie, pur trattandosi di due fattispecie del
tutto diverse, posto che mentre quest’ultima presuppone evidentemente un
contratto di acquisto dei titoli tra società e azionista, quella disciplinata dall’art.
2437-sexies c.c., invece, si articola in un atto unilaterale della società e in una
corrispondente posizione di soggezione del titolare delle azioni (61).
Il rinvio agli articoli 2357 e 2357-bis c.c. pone all’interprete non pochi
problemi. In via del tutto generale può, innanzitutto, rilevarsi come l’art. 2437sexies c.c. contempli un richiamo integrale e generalizzato delle due norme,
posto che non prevede – diversamente da quanto fa per le norme sul recesso –
il filtro della clausola di compatibilità. Conseguirebbe, pertanto, una
(59) Nel cui ambito peraltro l’evento che legittima al recesso potrebbe anche non
dipendere dall’assunzione di una deliberazione, come ampiamente riconosciuto dalla dottrina.
(60) In merito alla funzione delle regole che disciplinano l’acquisto di azioni proprie
rispetto al patrimonio sociale, v., su tutti, F. DI SABATO, Capitale e responsabilità, p. 150 per cui
esse «tendono ad evitare che appaia esistente un patrimonio inesistente e pertanto l’interesse
protetto non attiene alla composizione e alla consistenza del patrimonio, ma solo alla
rilevazione della reale situazione patrimoniale della società».
(61) V., R. NOBILI, La riduzione, p. 339.
252
Azioni riscattabili
applicazione completa di entrambe le disposizioni che, come si avrà modo di
vedere, sembra non essere sempre pienamente conciliabile e compatibile con la
peculiare fattispecie delle azioni riscattabili. Con riferimento, inoltre, all’ambito
di applicazione della norma, va rilevato che l’espressione «in tal caso», con cui
esordisce la seconda parte dell’art. 2437-sexies c.c., non sia riferibile all’ipotesi in
cui il potere di riscatto sia attribuito ai soci – come suggerirebbe una
interpretazione letterale essendo questo l’ultimo sostantivo prima del punto –
ma, più verosimilmente, al caso in cui il potere di riscatto sia riconosciuto in capo
alla società. Aiuta a sgomberare il campo da eventuali dubbi la constatazione
che, ove il riscatto fosse esercitabile dagli altri soci, il richiamo alle disposizioni
dettate in tema di acquisto di azioni proprie non avrebbe alcun significato, alla
luce del fatto che l’operazione di riscatto e il successivo acquisto dei titoli
sarebbe del tutto neutrale rispetto al patrimonio sociale (62).
Sembra opportuno procedere, a questo punto, ad affrontare la portata
del richiamo alla disciplina dell’acquisto delle proprie azioni con particolare
riguardo sia alle condizioni cui sarebbe soggetto il riscatto nel caso di suo
esercizio da parte della società, sia all’individuazione dell’organo competente a
deliberarlo, sia, infine, al significato del rinvio all’art. 2357-bis c.c..
11.1 L’applicazione dell’art. 2357 c.c.. L’individuazione dell’organo competente ad
esercitare il riscatto. Il contenuto della delibera. Il limite del decimo del capitale sociale.
(A) Trasposto nell’ambito della disciplina delle azioni riscattabili, il
comma 1 dell’art. 2357 c.c. dovrebbe suonare più o meno così «La società non
può riscattare azioni se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve
disponibili quali risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Possono essere
riscattate soltanto azioni interamente liberate». L’applicazione della norma non
sembra porre particolari problemi, confermando semmai il principio stabilito
dall’art. 2437-quater, comma 5 c.c. – anch’esso richiamato, ma nei limiti della
compatibilità, dall’art. 2437-sexies c.c. – nella parte in cui dispone che le azioni
(62) Cfr. A. PACIELLO, Art. 2437-sexies, cit., p. 1147; nello stesso senso F. MAGLIULO,
Categorie di azioni, p. 113, nonché, con riferimento alla diversa ipotesi di riscatto esercitata da un
terzo, L. CALVOSA, La clausola, p. 270.
253
CAPITOLO III
devono essere rimborsate utilizzando riserve disponibili (63). Quanto alla
integrale liberazione delle azioni, si tratta di un requisto che non può essere
evidentemente valutato al momento dell’emissione delle azioni, ma che dovrà
risultare soddisfatto al momento dell’esercizio del riscatto (64). Da un punto di
vista pratico, questa parte della disposizione potrebbe suscitare qualche
problema posto che – nell’ipotesi in cui le azioni riscattabili non siano state
integralmente liberate – gli amministratori dovranno richiedere la porzione di
denaro mancante per la integrale liberazione dei titoli a quei soci che sono
prossimi ad essere riscattati. In sostanza, in questo modo, si fa dipendere l’
operatività dell’art. 2437-sexies c.c. e della riscattabilità da parte della società
dalla condotta dei soci che sono destinati a subire. Sarebbe sufficiente quindi
che questi ultimi opponessero il rifiuto a liberare le azioni per impedire –
almeno temporaneamente – il riscatto, sebbene, in questo modo, si
esporrebbero all’applicazione dell’art. 2344 c.c.. E’ per questo motivo, infatti,
che altre legislazioni hanno prescritto che il momento dell’integrale liberazione
delle azioni riscattabili sia anticipato a quello della loro sottoscrizione (cfr.
Artículo 92 bis, 2° apartado LSA) (65).
(63) Per il rapporto tra gli art. 2437-sexies, 2437-quater, comma 5 e 2357, comma 3 si
veda supra, cap. III, §§ 10 e 11, nonché quanto affermato da F. MAGLIULO, Le categorie, p. 119,
in nota 141 che, al riguardo, afferma come «…sembra che nella specie debba prevalere
l’integrale applicazione dell’art. 2357 c.c. poiché da un lato l’art. 2437-sexies c.c. fa salva in ogni
caso l’applicazione integrale dell’art. 2357 c.c. e dall’altro rinvia all’art. 2347-quater quinto
comma c.c. nei limiti della compatibilità. Il motivo di tale deroga alla deroga è percebile in
special modo in relazione al riscatto operato ad iniziativa della società. In tal caso quest’ultima,
diversamente da quanto avviene nel recesso del socio, che deriva dall’iniziativa di questi ed è
ancorato a determinati presupposti, decide di fatto sull’acquisto delle proprie azioni in modo
potenzialmente arbitrario. Orbene se nella specie la società fosse svincolata dalle condizioni
dell’art. 2357 c.c. ed in particolare dal limite del decimo del capitale, verrebbero vanificate le
finalità di tale norma, che mira a limitare la possibilità della società di incidere sul mercato dei
propri titoli».
(64) Cfr. F. MAGLIULO, Le categorie, p. 119, in nota 142. La soluzione adottata dal
legislatore inglese nella section 686 del Companies Act 2006 è assolutamente identica in quanto si
richiede che «redeemable shares in a limited company may not be redeemed unless they are fully paid»; anche
l’art. 39, lett. b) della seconda direttiva peraltro prevede che le azioni riscattabili debbano essere
interamente liberate.
(65) La dottrina spagnola si è peraltro divisa sulla bontà di tale disposizione tra gli
autori che l’hanno ritenuta un utile «instrumento a fin de evitar manipulaciones y situaciones no deseadas»
come nel caso di una «posible compensación entre el dividendo pasivo y las cantidades derivadas del rescate»
(cfr. J.A. GARCÍA-CRUCES GONZÁLES, Las acciones rescatables, in La Ley, num. 4802, 24 maggio
1999, p. 6 e in nota 72) ed altri che invece lo ritengono in requisito ingiustificato e ne hanno
sostenuto la contrarietà al processo di semplificazione del diritto societario (v., L.F. DEL POZO,
254
Azioni riscattabili
(B) L’applicazione del comma 2, invece, pone all’interprete qualche
interrogativo in più rispetto al comma 1. La sua applicazione richiederebbe che
il
riscatto
sia
esercitato
solamente
dopo
l’autorizzazione
accordata
dall’assemblea dei soci e che la relativa delibera autorizzativa abbia il contenuto
minimo dettato dalla disposizione medesima.
Al riguardo, sembra utile suddividere l’esame del comma 2 in due parti
distinte: la prima, relativa alla individuazione dell’organo competente a deliberare
l’esercizio del riscatto e la seconda, riguardante il contenuto della delibera
autorizzativa.
Prima della introduzione dell’art. 2437-sexies c.c., la dottrina riteneva
che l’esercizio del riscatto fosse un atto dotato di una spiccata natura gestionale
e, in quanto tale, destinato a rientrare nella competenza dell’organo
amministrativo (66). L’orientamento, in particolare, si basava, innanzitutto,
sull’assunto che la disciplina statutaria relativa al riscatto risultasse assorbente
rispetto ad una delibera assunta dall’assemblea. In altre parole, ciò che era stato
previsto nello statuto dava sufficiente garanzia per l’esercizio del riscatto da
parte degli amministratori. La tesi si esponeva tuttavia ad alcune critiche, in
quanto l’esercizio del riscatto comporta pur sempre l’esborso di una parte di
utile corrispondente al valore di liquidazione delle azioni riscattate; il
superamento di tale rilievo critico, anche in questo caso, passava attraverso la
constatazione che si trattava di un profilo ugualmente contemplato dallo
statuto (67). D’altro canto, anche dopo l’introduzione dell’art. 2437-sexies c.c.,
La amortización, pp. 246-248; nel medesimo senso, anche F. VICENT CHULIÁ - C. SALINAS
ADELANTADO, Derecho des sociedades y mercado de valores (cambios en la Ley de Sociedades Anónimas
introducidos por la Leyes 37/1998, de 16 de noviembre, de reformade la Ley 24/1988 de 28 julio, del
Mercado de Valores y 50/1998, de 30 de diciembre, de Medidas Fiscales, Administrativas y del Orden
Social), in La Ley, num. 4779, 21 abril 1999, p. 5).
(66) V., L. CALVOSA, La clausola, p. 22 e ss..
(67) Cfr., L. CALVOSA, La clausola, p. 23 per cui se, da una parte, «…gli amministratori
agiscono in esecuzione, appunto della clausola la quale, a ben vedere, costituisce in linea
generale un quid pluris rispetto alla delibera dell’assemblea, tanto più ove si consideri che la
clausola stessa, come si vedà in seguito, può ritenersi legittima solo se operante in relazione a
situazioni specifiche, obiettive e predeterminate, che non lascino spazio alla discrezionalità
degli amministratori, e quindi a possibili loro comportamenti abusivi»; dall’altra parte «la
conclusione dell’attribuzione della competenza relativa all’esercizio del riscatto di azioni
previsto statutariamente non sembrerebbe contrastare neppure con la competenza esclusiva
dell’assemblea a decidere in ordine all’impiego di utili. E ciò, non solo in quanto in tale caso
255
CAPITOLO III
un non trascurabile elemento a favore di tale interpretazione potrebbe essere
rappresentato dall’art. 39 della seconda direttiva comunitaria: la disposizione si
limita, infatti, a prevedere che il riscatto sia autorizzato preventivamente dallo
statuto (lett. a)), nel quale sono anche fissate le condizioni del suo esercizio
(lett. c)), ma non fa alcun cenno alla necessità di un’autorizzazione assembleare.
Anzi, proprio sotto tale profilo, il legislatore comunitario ha differenziato la
disciplina delle azioni riscattabili da quella dettata in tema di acquisto di azioni
l’impiego è già fissato nello atto costitutivo, ma anche perché potrebbe sostenersi che l’esborso
da parte della società per l’acquisto di azioni proprie non sarebbe qualificabile come
distribuzione di utili in senso tecnico»; prima della riforma del diritto societario, sembra
concludere nel medesimo senso anche, v. D. GALLETTI, Il recesso, p. 133 e ss. il quale si
domanda se la predeterminazione statutaria possa soddisfare la condizioni dell’autorizzazione
assembleare richiesta dall’art. 2357, giustificando poi la risposta negativa alla luce del fatto che
«…la vera ratio della norma è da rinvenire nella discrezionalità degli amministratori
nell’adottare un atto strutturalmnte affine ad un’operazione di gestione, ma suscettibile di
compromettere ed alterare l’organizzazione sociateria ben al di là di quella che è la loro natura
legittimazione- E dovrebbe seguirne che quando quella discrezionalità non esiste, per essere le
condizioni di ammissibilità e i requisiti dell’operazione ben individuati anche sotto il profilo
temporale, sicchè gli amministratori abbiano solo un potere vincolato di procedere all’acqusito
in certi casi, o su richiesta dei soci, oppure siano completamente sprovvisti di alun potere,
come quanto il socio goda di vero e proprio diritto di opzione, tale da produrre l’acquisto in
capo alla società per effetto di una sua semplice manigestazione di volontà, allora
quall’autorizzazione non ha motivo di essere, risultando «assorbita» dalle prescrizioni statutarie,
e se ne può prescindere senza timori». E’ stato a tale proposito sottolineato che l’esercizio del
riscatto collegato a circostanze oggettive non lascerebbe spazio alla discrezionalità degli
amministratori: si vedano in tale senso le considerazioni di anche G. PARTESOTTI, Le operazioni,
p. 466.
Anche l’esperienza straniera peraltro sembrerebbe deporre nel senso della
competenza dell’organo di gestione: a parte il § 237, abs, 6 AktG, le section 684 ss. del Companies
Act 2006 non richiede l’approvazione dell’assemblea, essendo sufficiente che l’emissione di
azioni riscattabili sia autorizzata dallo statuto così come i termini e le condizioni di riscatto (v.
section 685 subs.[1]): saranno poi gli amministratori a decidere se e in quale momento procedere
a riscattare le azioni. Anche il diritto statunitense propende per questa soluzione, certamente
più flessibile, per cui «The option to redeem is exercised by the board of directors. A resolution
adopted in accordance with the charter provisions calling certaint shares for redemption
creates a contract and, unless expressly conditional, the board’s action may not be rescinded or
modified» (cfr., J.D. COX - T.L. HAZEN, Corporations, p. 581); in questo senso, si orientano
anche le corti americane: si veda al riguardo Taylor v Axton Fisher Tobacco Co 173 S.W. (2d) 377
(Ky. 1943) commentata nella nota Corporations - Power of directors to rescind or modify action calling
stock for redemption, in 42 Mich. L. Rev. 530 (1943) in merito alla facoltà degli amministratori
convenuti (negata dai giudici) che la risoluzione del consiglio di amministrazione che esercita il
riscatto, ove non sottoposta ad alcuna condizione, possa essere revocata in quanto essa
avrebbe irreversibilmente «changed the entire corporate structure, and the substantial
advantage in the elimination of class A preferences and management controlo thereby accrued
to the class B stockholders». Il diritto australiano, dal canto suo, prevede che gli amministratori
possano anche fissare le condizioni e i termini del riscatto (oltre a poterlo esercitare): è il
principio affermato nel caso TNT Australia Pty Ltd v Normandy Resources NL (1990) 1 ACSR 1,
SA SC.
256
Azioni riscattabili
proprie che prevede comunque l’approvazione dei soci (68).
All’indomani dell’introduzione dell’art. 2437-sexies c.c., si è proposto di
adottare una soluzione differenziata a seconda del tenore della clausola
statutaria che regola le azioni riscattabili (69). Nel caso in cui la clausola sia
sufficientemente articolata nel determinare le condizioni verificatesi le quali il
riscatto può essere esercitato, viene suggerito che la competenza ad esercitare il
riscatto sia devoluta agli amministratori, pur nel rispetto dei limiti prescritti
dall’art. 2357, commi 1 e 3 c.c., a tutela del patrimonio sociale; per il diverso
caso in cui la clausola sia formulata in modo generico oppure – ove lo si
ritenga ammissibile – venga previsto un riscatto ad nutum da parte della società,
(68) Dispone l’art. 39 della direvva 77/91/CEE che «Qualora la legislazione di uno
Stato membro autorizzi le società ad emettere delle azioni riscattabili, essa stabilisce per il
riscatto di tali azioni almeno il rispetto delle condizioni seguenti:
a) il riscatto deve essere autorizzato dallo statuto o l’atto costitutivo prima della
sottoscrizione delle azioni riscattabili;
b) queste azioni devono essere interamente liberate;
c) le condizioni e le modalità del riscatto sono fissate dallo statuto o dall’atto
costitutivo;
d) il riscatto può essere effettuato soltanto con le somme distribuibili in conformità
dell’articolo 15, paragrafo 1 o con i proventi di una nuova emissione effettuata per tale riscatto;
e) un importo pari al valore nominale o, in mancanza di valore nominale, al valore
contabile di tutte le azioni riscattate deve essere incorporato in una riserva che non può essere
distribuita agli azionisti , tranne in caso di riduzione del capitale sottoscritto ; questa riserva può
essere utilizzata solo per aumentare il capitale sottoscritto mediante incorporazione di riserve;
f) la lettera e ) non si applica quando il riscatto è avvenuto mediante i proventi di una
nuova emissione effettuata ai fini di tale riscatto;
g) quando , in seguito al riscatto, è previsto il versamento di un premio agli azionisti,
tale premio può essere prelevato soltanto dalle somme distribuibili in conformità dell’articolo
15, paragrafo 1, o da una riserva diversa da quella di cui al punto e) che non può essere
distribuita agli azionisti , tranne in caso di riduzione del capitale sottoscritto ; questa riserva può
essere utilizzata solo per aumentare il capitale sottoscritto mediante incorporazione di riserve,
per coprire le spese di cui all’articolo 3, lettera j) o quelle delle emissioni di azioni o di
obbligazioni o per effettuare il versamento di un premio a favore dei detentori delle azioni o
delle obbligazioni da riscattare;
h) il riscatto è oggetto di pubblicità effettuata secondo le modalità previste dalla
legislazione di ciascuno Stato membro, in conformità dell’articolo 3 della direttiva
68/151/CEE».
(69) Per tale orientamento, v. A. BRACCIODIETA, La nuova, p. 158, per cui
«Ovviamente, qualora il riscatto sia collegato al verificarsi di una determinata condizione, il
relativo avveramento ne consente l’esercizio da parte dell’organo amministrativo; qualora, per
contro, sia sottoposto al verificarsi di situazioni che comportano una valutazione di maggiore
ampiezza, deve reputarsi che l’esigenza di tutelare il corretto svolgimento della vita societaria,
iponga l’adozione di una decisione dell’assemblea dei soci»; anche S. CARMIGNANI, Art. 2437sexies, p. 904 la quale, tuttavia, limita l’ipotesi della competenza degli amministratori al caso di
azioni riscattabili ad opzione del loro titolare e di obbligo di acquisto in capo alla società. Per
l’analisi di tale tema, si veda infra, cap. IV.
257
CAPITOLO III
la competenza dovrebbe tornare in capo all’assemblea dei soci.
Tale orientamento, tuttavia, non sembra pienamente soddisfacente, ove
si considerino le difficoltà pratiche derivanti, innanzitutto, dalla assenza di criteri
per valutare se la clausola statutaria che regola le azioni riscattabili sia
sufficientemente analitica per garantire un apprezzabile livello di limitazione
della discrezionalità degli amministratori (70); in secondo luogo, dalla non semplice
individuazione del soggetto deputato a compiere tale valutazione.
Se il primo dei due problemi individuati – identificazione dei criteri per
discriminare l’ipotesi di competenza assembleare da quelle di competenza
gestionale – non sembrano insormontabili, qualora si consideri che gli
amministratori potrebbero essere legittimati ad esercitare il riscatto qualora la
clausola dello statuto o la delibera di emissione delle azioni riscattabili sia
strutturata in modo tale da contemplare quanto meno gli elementi costitutivi
della fattispecie disciplinata dall’art. 2357, comma 2, c.c.; più complicato pare
risolvere il problema relativo alla individuazione dell’organo competente a
compiere tale verifica: l’alternativa è, anche in questo caso, tra gli
amministratori (e allora tanto vale che ad essi sia riconosciuta fin da subito e
senza alcun “filtro” la facoltà di riscattare) e l’assemblea (conseguendo in
questo modo un risultato analogo a quello della delibera autorizzativa prevista
dall’art. 2357, c.c.).
Sembra invece più convincente la soluzione proposta da altra parte
della letteratura, ovvero che, se il riscatto viene esercitato dalla società, sia
necessaria la preventiva autorizzazione dell’assemblea. Le argomentazioni spese
a conforto di tale orientamento sono differenziate a seconda dell’autore che
l’ha propugnata ma tutte sembrano essere, pur in diverso grado, condivisibili.
(70) Il tenore leterale della clausola statutaria è stato oggetto delle attenzioni della
dottrina spagnola: sul punto, v. A. SÁNCHEZ, Sentido general de la reforma y su conexión con la Ley de
Sociedades Anónimas, p. 31 della relazione presentata il 5 febbraio 1999 al convegno dal titolo
“La reforma del mercato de valores español”, organizzato presso la facoltà di diritto del’Università di
Saragoza che richiede un «diseño estatutario completo y anterior al acuerdo de emisión»; contra, L.F. DEL
POZO, La amortización, p. 233, che ritiene legittima una semplice clausola di riscatto «susceptibles
de ser completadas con posterioridad a la emisión y subscripción de los valores por decisión (unilateral) de la
Junta general»; tale soluzione è oggetto delle critiche di P. YANEZ YANES, Las acciones, p. 112, in
nota 213.
258
Azioni riscattabili
Si è così valorizzata l’espressione «fatte salve» riferita alle disposizioni dettate
per la disciplina dell’acquisto di azioni proprie (71); si è preso in considerazione
il fatto che – analogamente a quanto accade con l’acquisto di azioni proprie – il
riscatto di azioni comporta sia una modificazione della proprietà azionaria, sia
l’introduzione di un vincolo di indisponibilità su una porzione degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili che non può essere lasciato alla
discrezionalità degli amministratori (72).
A questo punto, è possibile passare a trattare della seconda questione
che ci si è proposti di esaminare, relativa al contenuto della delibera autorizzativa
dell’assemblea. Anche in questo caso ci si chiede se l’art. 2357 c.c. possa essere,
anche sotto tale profilo, interamente trasposto nella disciplina delle azioni
riscattabili oppure se sia necessario qualche “ritocco” ed adattamento. L’art.
2357 c.c. è chiaro nel richiedere che la delibera autorizzativa dell’acquisto ne
disciplini le modalità indicando, in particolare, il numero massimo di azioni da
acquistare, la durata per la quale è accordata l’autorizzazione (non superiore a
diciotto mesi), nonché la “forbice” entro la quale deve essere determinato il
corrispettivo per l’acquisto delle azioni (73).
Passando in rassegna i singoli elementi elencati nell’art. 2357, comma 2,
potrebbe rilevarsi quanto segue.
Con riferimento al «numero massimo delle azioni da acquistare», è
presumibile ritenere che la clausola statutaria o la delibera di emissione indichi
(71) Così S. CARMIGNANI, Art. 2437-sexies, p. 903; A. PACIELLO, Art. 2437-sexies, p.
1147; F. MAGLIULO, Le categorie, p. 119.
(72) La tesi della competenza assembleare è sostenuta fortemente anche da M.
CENTONZE, Riflessioni, p. 64 e ss., il quale fonda la propria tesi, tra l’altro, sul fatto che
l’intervento assembleare sarebbe giustificato in base alla modificazione patrimoniale che
consegue alla formazione della riserva azioni proprie di cui all’art. 2357-ter (a tale proposito è
richiamata la tesi di F. CARBONETTI, L’acquisto, p. 65 e di G.E. COLOMBO, La «riserva» di azioni
proprie, in Riserve e fondi nel bilancio di esercizio, a cura di G. Castellano, Milano, 1987, p. 172, per
cui più che di una riserva si tratterebbe di un fondo avente la funzione di rettificare il
patrimonio netto). Ma, si ricorda, che l’art. 2357-ter, il quale prevede l’accontamento e
l’iscrizione in bilancio di una riserva di importo pari a quello delle azioni proprie, non è in
alcun modo richiamato dall’art. 2437-sexies, nonostante l’art. 39 della direttiva preveda la
predisposizione di tale riserca ai sensi della lettera e).
(73) V. G. PARTESOTTI, Le operazioni, p. 394 e ss..
259
CAPITOLO III
già il numero totale delle azioni riscattabili emesse (74); in presenza di una
clausola così articolata è evidente che i soci abbiano riconosciuto – fin dal
momento della costituzione della società – la facoltà per la società di riscattare
anche tutte le azioni riscattabili (75). Potrebbe quindi ipotizzarsi che se la
determinazione dei soci sia quella di procedere al riscatto di tutti i titoli in
circolazione non sia necessario che la delibera autorizzativa specifichi il tetto
massimo in quanto già indicato nello statuto. Nel caso in cui la società desideri
riscattare solamente una parte del monte totale di azioni riscattabili sarà invece
necessario procedere ad una indicazione nel numero dei titoli coinvolti
nell’operazione (76). A tale proposito, si ricorda solamente che dovrà essere
rispettato il principio proporzionalistico: i titolari di azioni emesse ai sensi
dell’art. 2437-sexies, c.c. saranno infatti riscattati in proporzione al quantitativo
detenuto di tale categoria di azioni (77).
Quanto al requisito della durata della autorizzazione, il comma 2 dell’art.
2357 c.c. prescrive che essa non possa essere superiore a diciotto mesi. Sul
punto è stato sostenuto che – nell’ambito delle azioni riscattabili e, più in
(74) Prevedendo ad esempio che «Il capitale sociale è pari a Euro (…), suddiviso in
due categorie di azioni A e B. La categoria di azioni A è rappresentata da numero (…) azioni,
di valore nominale Euro (…) cadauna. La categoria di azioni B è rappresentata da numero (…)
azioni, di valore nominale Euro (…) cadauna. Alla categoria A sono attribuiti tutti i diritti
riconosciuti dalla legge alle azioni. Alla categoria B sono attribuiti i medesimi diritti della
categoria A, oltre ad un privilegio nella distribuzione degli utili tale da garantire una percentuale
pari al (…)%, ma possono essere riscattate dalla società, ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c., al
verificarsi delle condizioni di cui al comma che segue…».
(75) Quello che invece pare meno probabile è la possibilità di prevedere una clausola
che disciplini, tempo per tempo, il numero delle azioni da riscattare cosa che, nella disciplina
dell’acquisto di azioni proprie non sembra del tutto da escludere posto che l’assemblea
potrebbe – stando ad una nota dottrina – anche stabilire il numero esatto delle azioni da
acquistare: v. G. PARTESOTTI, Le operazioni, p. 395.
(76) Se d’altra canto viene riconosciuto ai soci il potere di determinare il numero
massimo delle azioni da riscattare non si vede perché non possano limitarsi ad indicare un
preciso quantitativo di titoli: la soluzione viene sposata anche da G. PARTESOTTI, Le operazioni,
p. 394 per cui «La questione sembra risolversi in quella più ampia di stabilire se l’assemblea
possa dettare, in generale o un questo caso particolare, un ordine agli amministratori
vincolandoli all’esecuzione. Limitando la risposta al quesito specifico, ci sembra che i dati
testuali («autorizzato» «numero massimo») valorizzati, come doveroso, nel contesto generale
del tema poc’anzi ricordato del controllo assembleare sugli amministratori – e pur ricordata la
possibile responsabilità, quanto meno verso i terzi ex art. 2394 c.c. ove l’acquisto possa risultare
finanziariamente passivo – conduca ad una risposta tendenzialmente affermativa»
(77) Ma, come si è visto supra, cap. III, sub § 10.2, il principio proporzionalistico è
derogabile nel caso di attribuzione delle azioni dotate del potere di riscatto.
260
Azioni riscattabili
generale, dei diritti potestativi – la previsione di un termine oltre il quale la
società non sia più facoltizzata al riscatto sia assolutamente necessaria, ma non
debba necessariamente coincidere con il periodo temporale prescritto dal
comma 2 (78). Anzi, secondo l’orientamento riportato, quest’ultima indicazione
comporterebbe la previsione di un termine «mobile», non in grado di
«comprimere nel tempo la libertà della società di procedere all’acquisto, perché
gli amministratori sono comunque liberi di decidere quando convocare
l’assemblea per ottenerne la prescritta autorizzazione, e perché la sua durata è
comunque rinnovabile alla scadenza da una successiva delibera assembleare»
(79). Al riguardo, viene pertanto suggerito di fare riferimento alle disposizioni
dettate in materia di recesso e, in particolare, al comma 5 dell’art. 2437-quater
c.c. per cui la società deve procedere al rimborso delle azioni del socio entro
centottanta giorni dall’esercizio del recesso (80). Non sembra tuttavia che
quest’ultimo termine possa essere applicato in tale situazione, in quanto si
tratta di un termine riferito ad un momento successivo all’effettivo esercizio del
riscatto, venendo inteso quale periodo entro il quale la società o gli altri soci
devono corrispondere il valore di liquidazione ai soci riscattati (81). Peraltro
ritenere che il termine semestrale previsto dal comma 5 dell’art. 2437-sexies c.c.
comporti la decadenza della società dalla facoltà di esercitare il riscatto, pare
inconciliabile con la natura del riscatto quale «diritto diverso» qualificante le
(78) Così M. CENTONZE, Riflessioni, pp. 67-69, per cui la previsione di un termine
decadenziale sarebbe sostanzialmente connaturata con la struttura del diritto potestativo;
peraltro alla nota (61) può leggersi che «la natura decadenziale del termine per l’esercizio del
riscatto di azioni, anche in mancanza di un’espressa qualificazione legale in tal senso, si deduce
sia per analogia con gli istituti della vendita con patto di riscatto e dell’opzopme; sia dalla
considerazione che la «decadenza opera in situazioni incerte, che si vogliono definire, in un
modo o nell’altro, entro un termine perentorio» [riportando il pensiero di Saraceni, Il termini e
le sue funzioni, Milano, 1979, p. 68]».
(79) V. M. CENTONZE, Riflessioni, p. 67, in nota 62.
(80) Vero è che la norma potrebbe essere intesa come riferibile esclusivamente
all’ipotesi di mancato collocamento delle azioni (disciplinata dallo stesso comma 5), ma pare
condivisibile ritenere che, in realtà, tale indicazione possa ritenersi quale termine finale per la
chiusura della procedura di recesso e, pertanto, da tenere in considerazione indipendentemente
dal soggetto tenuto a liquidare le azioni; come correttamente ricorda M. CENTONZE, Riflessioni,
p. 68, la Relazione al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 parla, infatti, di termine finale «entro cui deve
avvenire il rimborso del socio receduto».
(81) Questa impostazione metterebbe peraltro in dubbio il fatto che il termine abbia
una natura decadenziale.
261
CAPITOLO III
azioni posto che – accogliere la prospettiva qui criticata – significherebbe
“degradarlo” ad attributo “consumabile” delle azioni e a non riconoscerne la
qualità di attributo permamente dei titoli (82).
In alternativa, potrebbero proporsi due altre soluzioni interpretative. Si
potrebbe, anzitutto, avanzare l’idea che il termine prescritto dall’art. 2357 c.c.
sia esportabile anche nell’ambito delle azioni riscattabili e che, quindi, gli
amministratori siano autorizzati a procedere al riscatto dal momento di
assunzione della delibera sino al diciottesimo mese successivo: verò è che tale
termine sarebbe «mobile» e che per gli amministratori sarebbe sufficiente
procedere ad una nuova convocazione dell’assemblea per richiedere una nuova
autorizzazione, ma è vero anche che i titolari delle azioni riscattabili conoscono
la loro situazione di soggezione fin dal momento della sottoscrizione delle
azioni e hanno contezza del fatto di potere essere esclusi dalla compagine
sociale sin dal momento del verificarsi delle condizioni di esercizio. Peraltro,
sino al momento della liquidazione delle azioni – e quindi al pagamento del
corrispettivo dovuto a fronte del riscatto – gli azionisti conservano la loro
posizione di soci e restano legittimati ad esercitare i propri diritti. Con la
conseguenza, quindi, che una serie di rinvii e di nuove convocazioni
dell’assemblea chiamata per concedere l’autorizzazione al riscatto non
sarebbero idonei ad incidere sulla loro posizione.
Ancora più coerente con la natura delle azioni riscattabili è ritenere che
il termine finale entro il quale esercitare il riscatto sia rappresentato dalla durata
della società e sia pertanto rinvenibile nello statuto nella clausola che la
disciplina.
Tale
soluzione
peraltro parrebbe
anche
confortata
dalla
considerazione che la riscattabilità caratterizza le azioni emesse ai sensi dell’art.
2437-sexies c.c. dal momento della loro emissione e per tutta la durata
dell’organizzazione sociale, così come accade per le azioni senza diritto di voto,
le azioni privilegiate o altre categorie di azioni che restano tali finchè dura
l’organizzazione sociale oppure fino al momento in cui intervenga una
modifica statutaria. Se si accoglie questa interpretazione, non sarà necessario
(82) Cfr. supra, cap. III, sub § 6.
262
Azioni riscattabili
che i soci specifichino nella delibera autorizzativa il termine fino al quale
l’autorizzazione è accordata agli amministratori: una volta verificata la
sussistenza delle condizioni di esercizio e ricevuta l’autorizzazione dai soci, gli
amministratori potranno ritenersi legittimati ad esercitare il riscatto in ogni
momento.
Per quanto riguarda l’indicazione del corrispettivo minimo e massimo di
acquisto, possono richiamarsi le considerazioni già espresse quando si è trattato
della applicazione alle azioni riscattabili delle norme dettate in materia di
recesso e, in particolare, delle previsioni dell’art. 2437-ter (83).
(C) Il comma 4 dell’art. 2357 c.c. prevede che il valore nominale delle
azioni acquistate non possa eccedere la decima parte del capitale sociale,
prendendo in considerazione anche le azioni possedute da società controllate.
Anche nel caso delle azioni riscattabili non vi è dubbio che tale previsione
debba essere rispettata anche se tale limite – unitamente al requisito previsto
dal comma 1 dell’art. 2357 c.c. e relativo alla integrale liberazione delle azioni –
non può essere oggetto di valutazione al momento dell’emissione delle azioni ai
sensi dell’art. 2437-sexies c.c. (84). Se, ad esempio, la società ha un capitale pari a
(83) In quel frangente, infatti, si è avuto modo di affermare che lo statuto dovrebbe
consentire al titolare di azioni riscattabili di conoscere sin dal momento della sottoscrizione dei
titoli l’importo cui essi potranno essere riscattati dalla società senza aspettare l’effettivo
momento della loro liquidazione. La applicazione dell’art. 2437-quater non rimane, in ogni
caso, lettera mora in considerazione del fatto che tale determinazione, anche se contenuta nello
statuto, dovrà essere rispettosa dei criteri dettata dalla norma richiamata.
(84) F. MAGLIULO, Le categorie, p. 119, il quale dopo aver descritto l’ipotesi del riscatto
esercitato dalla società e finalizzato alla vendita delle azioni a terzi afferma «le azioni riscattabili
possono essere emesse anche per un ammontare superiore al decimo del capitale sociale e
anche ove esse non siano interamente liberate» alla luce del fatto che, tra l’altro, il requisito del
decimo del capitale sociale e quello della integrale liberazione delle azioni non potrebbero
essere comunque valutati al momento della emissione delle azioni riscattabili dovendo
sussistere al momento dell’esercizio del riscatto. Aggiunge, inoltre, l’A. «Peraltro se in concreto
dovesse precedersi al riscatto di dette azioni mediante acquisto di azioni proprie, la necessità di
rispettare dette condizioni farebbe sì che il riscatto sarà in concreto esercitabile solo nella
misura in cui dette condizioni siano rispettate»; pertanto «ci si potrebbe chiedere come si debba
procedere nel caso in cui, non avendo dato risultati la procedura diretta a far acquistare le
azioni riscattate agli altri soci o a terzi ai sensi dell’art. 2437-quater commi da 1 a 4 e sussistendo
riserve disponibili sufficienti ad effettuare il riscatto mediante acquisto di azioni proprie da
parte della società, le azioni da acquistare eccedano il decimo del capitale sociale. Al riguardo è
infatti dubbio che si possa procedere alla riduzione del capitale sociale per la parte di azioni che
eccedano il decimo del capitale sociale poiché l’art. 2437-quater comma 6 cc. prevede la
riduzione del capitale sociale solo in assenza di riserve disponibili».
263
CAPITOLO III
1000 ed ha emesso 150 azioni riscattabili, il quantitativo massimo di azioni
riscattabili sarà di 100 azioni. Per procedere al riscatto delle restanti 50 azioni la
società dovrà provvedere ad aumentare il capitale sociale in modo tale da
variare il primo termine del rapporto prescritto dalla norma (85), oppure ad
alienare a soci (o a terzi) tutte o parte delle azioni riscattate.
Con riferimento all’ipotesi di alienazione delle azioni riscattabili
possono svolgersi due brevi riflessioni. La prima riguarda il caso in cui le azioni
riscattate per l’eccedenza siano alienate ai soci: al fine di valorizzare il richiamo
operato dall’art. 2437-sexies c.c. all’art. 2437-quater c.c., potrebbe ipotizzarsi che
tale operazione si concretizzi non tanto in una alienazione delle azioni quanto
in una vera e propria offerta in opzione dei titoli in eccedenza ai soci, con la
conseguente applicazione della procedura prevista per il recesso (86). Quanto al
caso di alienazione a terzi, è stato sostenuto che se le modalità di esecuzione del
riscatto da parte della società si concretizzano in una alienazione a terzi le
limitazioni prescritte dall’art. 2357 c.c. non dovrebbero trovare applicazione
(87). Tale conclusione non sembra pienamente condivisibile, posto che
l’alienazione delle azioni riscattabili a terzi si collocherebbe in un momento
cronologicamente posteriore rispetto a quello dell’esercizio del riscatto dei titoli
da parte della società: prima, infatti, deve perfezionarsi – per effetto del
rimborso del valore di liquidazione delle azioni – la vicenda traslativa delle
azioni a favore delle società; poi le azioni potranno essere cedute da
(85) Senza emettere ovviamente ulteriori azioni riscattabili ad opzione della società.
(86) Al riguardo si vedano le considerazioni espresse, supra, cap. III, sub § 10; oltre alle
riflessioni svolte da P DE MARTINIS, Le azioni, p. 400.
Si è già accennato al problema della deroga del comma 3 dell’art. 2357 prevista
dall’art. 2437-quater e della difficoltà di conciliare il richiamo integrale all’art. 2357 (e quindi
anche al limite del decimo del capitale sociale) con quello, nei limiti della compatibilità, all’art.
2437-quater che a tale limite consente di derogare. Quest’ultima norma prevede infatti che
«…anche in deroga a quanto previsto dal 3 comma dell’art. 2357…» le azioni del recedente –
nell’ipotesi in esame il socio “riscattato” – vengono rimborsate mediante l’acquisto da parte
della società utilizzando riserve disponibili; in altri termini, l’art. 2437-sexies richiama sia l’art.
2357 sia l’art. 2437-quater il quale, tuttavia, prevede che non trovi applicazione la disciplina
dettata dal 3 comma dell’art. 2357 che fissa nella decima parte del capitale sociale il limite del
valore nominale delle azioni acquistate (riscattate). Sembra ragionevole ritenere che tra le due
norme richiamate dall’art. 2437-sexies debba prevalere l’art. 2357, posto che il rinvio a
quest’ultima disposizione è stato concepito dal legislatore senza prevedere lo sbarramento della
clausola di compatibilità che invece caratterizza quello all’art. 2437-quater.
(87) Questa è l’opinione di F. MAGLIULO, Le categorie, p. 119.
264
Azioni riscattabili
quest’ultima ad un terzo. La successiva circolazione delle azioni non sembra
infatti giustificare una deroga alle limitazioni prescritte dall’art. 2357 c.c.. Se si
concorda con tale conclusione dovrebbe allora coerentemente ritenersi che, nel
caso in cui venga sottoscritto un contratto di vendita delle azioni tra la società
ed un terzo, dovrà essere prevista una condizione sospensiva all’efficacia del
trasferimento, consistente nel previo ottenimento della autorizzazione
assembleare e del rispetto di quanto previsto dall’art. 2357 c.c. (88).
(D) Nulla quaestio invece per quanto attiene alla disciplina contenuta nei
commi 4 e 5: nel caso in cui vengano superati i limiti prescritti dall’art. 2357 c.c.
dovrà infatti procedersi alla alienazione dei titoli o al loro annullamento con
conseguente riduzione del capitale sociale.
11.2 L’applicazione dell’art. 2357-bis c.c.
Alcune perplessità suscita il rinvio all’art. 2357-bis c.c. che regola alcune
particolari ipotesi di acquisto di azioni proprie. Al riguardo, è stato sostenuto
che tale rinvio non sembrerebbe aggiungere alcunché alla disciplina delle azioni
riscattabili, così come prevista dall’art. 2437-sexies c.c. ed integrata dagli artt.
2437-ter, 2437-quater e 2357 cc. (89); in altra occasione ci si è limitati a rilevare
(88) Pur con riferimento alla clausola di riscatto – e non all’istituto di cui all’art. 2437sexies – è stato correttamente ritenuto che «[la società], nel ritrasferire le azioni riscattate al
terzo, dovrebbe comunque seguire il procedimento legale previsto per il trasferimento di azioni
proprie»: così L. CALVOSA, La clausola, p. 271.
(89) Ma vedi l’opinione di S. CAPPIELLO, Art. 2437-sexies, in Codice commentato, pp. 863864 che avanza l’ipotesi che il rinvio sia stato effettuato dal legislatore allo scopo di riconoscere
implicitamente la legittimità di una clausola che, predeterminando i criteri di fissazione del
prezzo, consenta il riscatto delle azioni mediante acquisto e annullamento contestuale delle
stesse. In punto di predeterminazione del prezzo di opzioni di acquisto o vendita di azioni, si
legga il recente contributo di E. BARCELLONA, Clausole, p. 1 ss., per il quale «A dispetto di una
loro larghissima diffusione nella prassi commerciale, non po’ certo ritenersi ancora superata o
definitivamente risolta la questione della validità – sotto il profilo del divieto di patto leonino
(art. 2265 cc.) – delle clausole di put & call a prezzo predeterminato (aventi ad oggetto, per lo
più, partecipazioni azionarie). Se, anzi, si dovesse individuare, nel panorama della nostra
dottrina, l’opinione prevalente, tale parrebbe semmai essere non quella di coloro che
affermano, bensì quella di coloro che negano la validità di simili clausole. E ciò sulla base della
seguente constatazione: la previa determinazione, già al moment della stipula del prezzo
dell’opzione, a seconda del caso, di vendita (put) e/o di acquisto (call), senza la previsione di un
meccanismo di rettifica in funzione dell’effettivo valore delle azioni al momento del successivo
(eventuale) trasferimento, comporterebbe quale effetto indiretto, rispettivamente,quello della
(sostanziale) esenzione del socio cedente dalle eventuali perdite determinatesi medio tempore
ovvero quello della sua (sostanziale) esclusione dagli eventuali utili conseguiti medio tempore».
265
CAPITOLO III
come l’acquisto di azioni riscattabili debba aggiungersi al catalogo dei casi
speciali previsti dall’art. 2357-bis c.c. che esonerano dal rispetto dei limiti
contenuti nell’art. 2357 (90); un altro autore, invece, ha analizzato il rinvio all’art.
2357-bis c.c., avendo riguardo alla particolare ipotesi del riscatto operato sulla
base di presupposti diversi dalla esuberanza del capitale e indipendentemente
da una precedente delibera di riduzione del capitale (91).
(90) Cfr. P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 401.
(91) Il pensiero di questo autore (M. CENTONZE, Riflessioni, p. 80 e ss.) si articola
nell’analisi di una particolare ipotesi di riscatto finalizzato alla riduzione del capitale sociale che
non è, come si è detto, oggetto principale del presente studio (cfr. supra, cap. I, § 1): si tratta di
un riscatto (finalizzato) «antecedente» alla riduzione del capitale che comporta sì
l’annullamento delle azioni ma non presuppone – come elemento logicamente necessario –
l’esistenza di una preventiva delibera di riduzione del capitale. Tale scopo infatti sarebbe
raggiungibile, semplicemente, riscattando le azioni e successivamente annullandole senza
passare attraverso la procedura di cui all’art. 2445. Al riguardo, la dottrina cit. afferma, da una
parte, la necessaria preventiva autorizzazione dell’assemblea ordinaria, posto che in questo caso
non sarebbero presenti gli elementi della fattispecie derogatoria prevista dall’art. 2357-bis
(mancherebbe in particolare il presupposto del riscatto come modalità esecutiva della della
delibera di riduzione del capitale); e, dall’altra parte, l’efficacia dell’atto traslativo di riscatto
anche in mancanza del successivo annullamento delle azioni, fermo restando tuttavia l’obbligo
di alienazione delle azioni acquistate in violazione dei limiti previsti dall’art. 2357 (così può,
infatti, leggersi a p. 84, in nota 107 «L’impermeabilità della sorte della vicenda traslativa rispetto
agli sviluppi della vicenda attinente la modificazione statutaria può essere fondata direttamente
sull’art. 2437-sexies»…la norma circoscrive la rilevanza giuridica del collegamento tra i due
negozi (riscatto e susseguente riduzione del capitale) unicamente al profilo concernente le
condizioni per l’acquisto delle azioni proprie da parte della società, disponendo essa, a cagione
proprio della finalizzazione dell’operazione di annullamento delle azioni riscatate, l’esonero del
riscatto dalla disciplina ordinaria…Nessun indizio normativo induce viceversa ad ipotizzare
che detto collegamento si rifletta anche sulla produzione degli effetti del negozio di riscatto, nel
senso di elvare l’inosservanza dell’obbligo di annullamento delle azioni a condizione (risolutiva)
dell’efficacia del trasferimento».).
Sul punto si vedano, prima della riforma, anche L. CALVOSA, La clausola, p. 27 e ss.
che qualifica il riscatto finalizzato come «acquisto spurio» in quanto si sostanzierebbe in una
mera modalità attuativa della delibera di riduzione del capitale sociale; e, anche, R. NOBILI M.S. SPOLIDORO, La riduzione, p. 414. Dopo la riforma del diritto societario, si leggano le
considerazioni di R. NOBILI, La riduzione, p. 338 e ss.; M. BIONE, Art. 2357 –bis, p. 366 e ss.;
ID., Art. 2357, in Società di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres,
I, p. 350 e ss.; M.S. SPOLIDORO, La riduzione del capitale sociale, in CONSIGLIO NOTARILE DI
MILANO, SCUOLA DEL NOTARIATO DELLA LOMBARDIA, FEDERNOTIZIE, Il nuovo ordinamento
delle società, a cura di S. Rossi, Milano, 2003, p. 289 e in particolare a p. 295.
Il problema è anche affrontato dalla letteratura straniera e, in particolare americana, la
quale si è interrogata sulla seguente circostanza «Is a redemption equivalent to a reduction of capital, so
that the corporation may pay dividends upon the basis of the readjustment in its capital structure?» (v., J.M.
JR., Redemption, p. 892. La risposta dipende in quell’ordinamento dalla soluzione adottata dalla
legislazione statale per cui le azioni riscattate dalla società avrebbero lo status di «authorized but
unissued shares»; in altri casi il riscatto comporta la riduzione del capitale sociale; in altri ancora, il
riscatto è ritenuto equivalente ad una riduzione del capitale se lo statuto che le azioni riscattate
«may not be reissued». Anche la giurisprudenza è divisa sul punto. Per alcune corti, il riscatto
comporta riduzione del capitale sociale: v. Civil Service Investment Ass’n v. Thomas, 138 Tenn. 77,
266
Azioni riscattabili
Quello che forse potrebbe sostenersi al proposito è che mentre il rinvio
all’art. 2357 c.c. presuppone che la società riscatti le azioni per tenerle in
portafoglio ed, eventualmente, per destinarle successivamente alla circolazione
(ad esempio alienandole ad un terzo); il rinvio all’art. 2357-bis c.c. sta
semplicemente a significare che, ove la società abbia emesso azioni riscattabili,
queste ultime potranno essere richiamate al fine di dare esecuzione ad una
delibera di riduzione del capitale sociale e che, anche in questa sola ipotesi, si
possa derogare ai limiti di cui all’art. 2357 c.c. (92). Deve prestarsi, tuttavia,
attenzione al fatto che l’art. 2357-bis c.c. nulla a che fare con la fattispecie delle
azioni riscattabili. Il riscatto di cui parla il comma 1, n. 1) dell’art. 2357-bis c.c.
può infatti avere ad oggetto ogni altra categoria di azioni (oltre a quelle emesse
ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.) che non devono essere necessariamente
riscattabili per poter essere riscattate ed annullate dalla società
Un interessante quesito riguarda piuttosto il valore di rimborso delle
azioni: esso è sollevato dall’intreccio degli articoli 2357-bis e 2437-ter c.c. come
richiamati dall’art. 2437-sexies c.c.. Ci si chiede in particolare se, quando le
azioni ex art. 2437-sexies c.c., vengono riscattate per essere annullate, il
rimborso possa avvenire al valore nominale o, in alternativa, mediante
assegnazione di azioni di godimento ai sensi dell’art. 2353 (93). Al riguardo
potrebbe infatti proporsi una lettura che valorizzi la fattispecie “riduzione del
capitale sociale” e che quindi prescinda dai criteri di valutazione previsti
dall’art. 2437-quater c.c. che sono, per di più, richiamati dall’art. 2437-sexies c.c.
nei limiti della compatibilità. D’altra parte, potrebbe anche affermarsi che uno
dei motivi per i quali un investitore ha sottoscritto azioni riscattabili sia
rappresentato dalla valorizzazione dei titoli al momento del riscatto. Peraltro,
195 S. W. 775 (1917); Hildreth v. Western Realty Co., 62 N. D. 233, 246-247, 242 N. W. 679, 683
(1932) ; Wetherill v. Arasapha hffg. Co., 24 Pa. Dist. 1045, 1048 (1915) ; It2 re De Decido Pier
Co., [1891] 2 Ch. 354. 358-59; contra, cfr. Hackett v. Northern Pac. Ry., 36 hfisc. 583, 73 N. Y.
Supp. 1087 (Sup. Ct. 1901) ; see Weidenfeld v. Northern Pac. Ry., 129 Fed. 305, 309 (C. C. A. 8th,
1904); Mannington v. Hocking Valley Ry., 183 Fed. 133, 142 (C. C. S. D. Ohio 1910) ; In re
Culbertson’s, 54 F. (ad) 753, 758-59 (C. C. A. gth, 1932).
(92) Si tratta quindi di una fattispecie distinta da quella descritta supra, cap. III, nota 84.
(93) V., G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, pp. 512-513; il quesito viene in
particolare proposto da M.S. SPOLIDORO, Aumenti, p. 296, il quale auspica, sul punto, un
intervento del legislatore.
267
CAPITOLO III
forse, la prima delle due vie interpretative si scontrerebbe, da un punto di vista
pratico, con la circostanza che – come si è avuto modo di vedere in precedenza
– il valore di liquidazione delle azioni riscattabili dovrebbe essere conosciuto o
conoscibile dal socio fin dal momento della sottoscrizione delle azioni: ne
conseguirebbe pertanto una sorta di “sterilizzazione” di quella porzione della
clausola statutaria che regola il profilo economico del riscatto. Il problema
sembra allo stato rimanere aperto in considerazione della validità degli
argomenti utilizzabili per sostenere l’una piuttosto che l’altra soluzione.
Non sembra infine condivisibile l’opinione di chi ha giustificato il
contestuale richiamo agli articoli 2357 e 2357-bis c.c., ritenendo che in questo
modo il legislatore avrebbe voluto chiarire che il termine per alienare le azioni
riscattate in eccedenza sarebbe quello triennale previsto dall’ultimo comma
dell’art. 2357-bis c.c. invece di quello annuale dell’art. 2357, comma 4 (94). Pare
infatti plausibile ritenere che in nessun caso possa trovare spazio l’eccezione
del termine lungo in quanto l’ultimo comma dell’art. 2357-bis c.c. ne limita
l’ambito di applicazione alla sola ipotesi di «acquisti avvenuti a norma dei
numeri 2), 3) e 4)» e, quindi, per fattispecie che non presuppongono il riscatto
delle azioni da parte della società, nemmeno in esecuzione di una delibera di
riduzione del capitale sociale. Resta, pertanto, applicabile il termine ordinario
previsto dall’art. 2357, comma 4 c.c..
11.3 L’applicabilità di altre parti della disciplina dell’acquisto di azioni proprie
non richiamate espressamente dall’art. 2437-sexies c.c..
Nonostante il mancato richiamo da parte dell’art. 2437-sexies c.c., non
sembrano porsi dubbi in merito all’applicazione alla disciplina delle azioni
risattabili dei commi 1 e 2 dell’art. 2357-ter c.c.. La disposizione delle azioni
riscattate da parte degli amministratori deve quindi essere autorizzata
dall’assemblea che ne autorizza l’acquisto; mentre il diritto all’utile e quello di
opzione (a meno che ne sia stato autorizzato l’esercizio dalla delibera
medesima) vengono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni e, quindi,
(94) E’ questa la proposta interpretativa avanzata da M. BIONE, Art. 2357-bis, p. 371.
268
Azioni riscattabili
anche a quelle riscattabili per le quali non sia stato ancora esercitato il riscatto;
il diritto di voto è invece sospeso, secondo le indicazioni dell’ultima parte del
comma 2 c.c..
Una soluzione analoga merita anche il quesito relativo all’applicabilità di
quella parte della norma (comma 3) relativa alla predisposizione di una riserva
indisponibile pari all’importo delle azioni riscattate. Coerentemente con la
funzione di tale previsione sembra corretto ritenere che tale appostamento in
bilancio debba essere effettuato al momento dell’esercizio del riscatto e che
non sia necessario nell’ipotesi di immediata cessione delle azioni ad altri soci o
ad un terzo.
269
CAPITOLO III
Sezione Quarta
ULTERIORI QUESTIONI INTERPRETATIVE DELLA FATTISPECIE
SOMMARIO: 12. Gli effetti dell’esercizio del riscatto. – 13. La tutela in caso di
emissione di azioni riscattabili. – 14. Le garanzie costituite sulle azioni
riscattate. – 15. La riscattabilità delle quote di società a responsabilità
limitata. – 16. Ulteriori problemi interpretativi: azioni riscattabili emesse da
società quotate e strumenti finanziari partecipativi riscattabili.
12. Gli effetti dell’esercizio del riscatto
Sia nell’ipotesi in cui venga esercitato dai soci, sia quando dipenda dalla
volontà della società, il riscatto comporta la perdita della qualità di socio da
parte di chi lo subisce. Come si è visto il riscatto è accomunabile al diritto di
opzione di diritto comune previsto dall’art. 1331 c.c.. L’esercizio del riscatto si
perfeziona, dunque, senza necessità di alcuna ulteriore manifestazione di
volontà realizzando immediatamente gli effetti cui è diretto ovvero l’uscita dalla
società del socio. Ci si potrebbe tuttavia interrogare circa le conseguenze
derivanti dall’esercizio del riscatto sul rapporto tra socio e società: il quesito
non è peregrino in quanto, dal momento in cui il socio perde il proprio status,
non sono più esercitabili i diritti ad esso connessi, né egli è più legittimato a
pretendere, ad esempio, privilegi di natura patrimoniale già riconosciuti dallo
statuto alle sue azioni.
A questo proposito si possono proporre due diverse soluzioni. La
prima consiste nel ritenere che l’esercizio del riscatto comporti una vera e
propria novazione oggettiva della causa del rapporto ai sensi dell’art. 1230 c.c.
rispetto al quale, tuttavia, sembra difettare nel caso di specie la sussistenza «non
equivoca» di un animus novandi. Accogliendo questa tesi si finirebbe per ritenere
che, una volta esercitato, il riscatto trasformi il rapporto tra socio e società in
uno tra quest’ultima e creditore. Più consona alla natura delle azioni riscattabili
e rispettosa della posizione dei loro titolari sembra quella di ritenere che il
riscatto non privi il socio del suo status sino al momento in cui le azioni
vengano liquidate ed il socio riceva il corrispettivo per i titoli. Con l’importante
conseguenza che, sino a quel momento, il socio può continuare ad esercitare i
270
Azioni riscattabili
propri diritti – tra cui quello di voto – ed a ricevere privilegi eventualmente
previsti nello statuto. Tutto ciò ovviamente ha importanti riflessi con riguardo
al profilo della tutela del titolare di azioni riscattabili e dei mezzi a sua
disposizione nel caso di inadempimento della società alla corresponsione del
valore delle azioni. Tali temi verranno affrontati nel paragrafo successivo.
13. La tutela in caso di emissione di azioni riscattabili
L’emissione di azioni riscattabili pone anche alcuni problemi in termini
di tutela, sia per il titolare delle azioni riscattabili, sia per chi esercita il potere di
riscatto, sia, infine, per chi acquista azioni emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies
c.c.
Il primo aspetto è stato già trattato nel corso dello studio, quando si è
esaminata la dinamica dell’emissione delle azioni riscattabili e, in particolare, il
procedimento di conversione “forzosa” delle azioni. Altri rischi si possono,
tuttavia, profilare per il titolare di azioni riscattabili. In particolare, quello di
non percepire un corretto valore di liquidazione delle azioni dovrebbe essere
scongiurato dalla procedura prevista dal comma 6 dell’art. 2437-ter c.c. che si è
ritenuta applicabile in ragione del richiamo effettuato dal’art. 2437-sexies c.c. (1).
Quanto all’esercizio del riscatto al di fuori dei presupposti eventualmente
previsti dallo statuto, bisogna invece ritenere che il trasferimento delle azioni
debba essere colpito dalla sanzione della nullità, con la conseguente
retrocessione delle azioni al legittimo titolare.
Particolare interesse suscita anche l’analisi della prospettiva dei soggetti
legittimati ad esercitare il riscatto. Ci si chiede, infatti, quali rimedi essi possano
esperire nell’ipotesi in cui a fronte del suo esercizio non segua il trasferimento
dei titoli. Il terreno su cui si muove questa analisi è particolarmente fragile e
merita di essere ancora “dissodato” dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Provvisoriamente si può, tuttavia, ritenere che essi siano legittimati a chiedere
all’autorità giudiziaria una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. o, in alternativa,
una condanna in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c. che consenta il
(1) V.supra, cap. III, sub § 10.1.
271
CAPITOLO III
trasferimento dei titoli (2). Ciò non esclude, peraltro, la possibilità di ricorrere a
procedimenti di urgenza attraverso lo strumento del ricorso ex art. 700 c.p.c..
Resta, piuttosto, da esaminare l’aspetto della tutela dell’acquirente di
pacchetti azionari. Nella prassi dei contratti di acquisizione di pacchetti azionari
è diffuso l’uso di c.d. «legal warranties», ovvero di clausole con le quali il
compratore viene garantito dal venditore contro la sussistenza di determinate
situazioni da cui la partecipazione oggetto del contratto potrebbe essere affetta
(3). Ci si riferisce a quelle garanzie con le quali il venditore dichiara l’assenza di
vincoli, gravami o diritti di terzi sulle azioni, così come l’esistenza di eventuali
limiti alla loro circolazione o, ancora, la loro appartenenza ad una determinata
categoria. Alla luce della introduzione nell’ordinamento dell’art. 2437-sexies c.c.
sarà dunque opportuno che – nel caso in cui l’acquirente voglia evitare di
acquistare azioni caratterizzate dalla soggezione ad una altrui potestà – il
redattore del contratto si preoccupi di integrare il contenuto, per lo più
standardizzato, di tali clausole con la previsione che le azioni oggetto del
contratto non sono azioni riscattabili dalla società o da altri soci.
Questa ipotesi si attaglia a situazioni in cui l’acquirente non sia a
conoscenza delle caratteristiche della società, in quanto, esempio, la redazione
del contratto non è stata preceduta da una due diligence che abbia fatto emergere
l’esistenza di categorie di azioni, tra cui quelle riscattabili. Può, tuttavia,
concretizzarsi uno scenario differente in cui l’acquirente desideri acquistare un
pacchetto di azioni; la società abbia emesso, tra le altre, anche azioni ai sensi
(2) Soluzioni queste suggerite anche dalla dottrina nel caso di violazione della clausola
di prelazione e come strumenti alternativi al riscatto: così, L. STANGHELLINI, Art. 2355-bis, p.
35-38 del dattiloscritto.
(3) Sul tema v., da ultimi, M. SPERANZIN, Vendita, p. 71 e ss. e spec. pp. 75-76 («Le
clausole…garantiscono, dunque, situazioni che sono oggetto di tutela legale (da cui la loro
denominazione), ai sensi degli artt. 1478 ss., 1490 e 1497 c.c., o del c.d. aliud pro alio. La
disciplina del contratto di vendita permette infatti di offrire una duplice tutela all’acquirente di
partecipazioni sociali in una s.p.a.; da un lao con riferimento ai vizi e ai difetti di qualità relativi
all’azione in sé» quale titolo di partecipazione, nei casi in cui le quote risultino incorporate in un
titolo; dall’altro con riferimento ai vizi o ai difetti di qualità relativi alla posizione di parte nel
contratto di società, e quindi al diritto o al complesso dei diritti che le partecipazioni
attribuiscono»; cfr. anche p. 76, nota [175]; G. IORIO, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia
nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2006; nonché A. TINA, Il contratto di acquisizione di
partecipazioni societarie, Milano, 2007.
272
Azioni riscattabili
dell’art. 2437-sexies c.c.; e la volontà dell’acquirente sia quella di non rimanere
soggetto al potere di riscatto di altri soci, le cui azioni non sono oggetto del
contratto di compravendita. In questo caso due sono le soluzioni prospettabili.
Si potrebbe al riguardo contemplare la previsione di una condizione sospensiva
al closing, consistente nella convocazione, da parte degli amministratori della
società le cui azioni sono oggetto della vendita, di una assemblea straordinaria
con cui le azioni riscattabili vengano convertite in azioni di un’altra categoria in
modo tale da privarle del requisito della riscattabilità. Una alternativa – tuttavia
più complicata – potrebbe invece consistere nel fare assumere al venditore, ai
sensi dell’art. 1381 c.c., un impegno per il fatto del terzo e, in particolare, dei
soci che non alienano le proprie azioni e che restano, pertanto, titolari del
potere di riscattare i titoli emessi ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.. L’impegno
dovrebbe comportare la sottoscrizione di un patto parasociale con il quale i
terzi si obblighino a non esercitare il riscatto nei confronti delle azioni. Nel
caso in cui si ritenga poi che tale accordo ricada sotto l’ombrello degli artt.
2341-bis e ter c.c. esso non potrà che avere una durata limitata a cinque anni (tre
nel caso in cui l’emittente sia quotata), oltre che una efficacia meramente
obbligatoria. E’ chiaro, quindi, che tale tipo di soluzione potrebbe soddisfare
gli interessi di acquirenti che vogliano programmare il disinvestimento dalla
società nei brevi termine previsti dalla disciplina sui patti parasociali.
14. Le garanzie costituite sulle azioni riscattate
Un
problema
particolarmente
delicato
è
rappresentato
dalla
costituzione di garanzie reali – e in particolare del pegno – su azioni che siano
state emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c.. Al riguardo ci si chiede, in
particolare, se, una volta esercitato il riscatto, la garanzia già costituita continui
ad persistere sul titolo azionario oppure si “consumi” per effetto del suo
trasferimento alla società o ai soci, a seconda di chi sia titolare della potestà di
riscatto.
Si immagini il seguente esempio. Alfa ha un capitale articolato in due
categorie di azioni: la categoria “A” è rappresentata da azioni aventi tutti i
273
CAPITOLO III
diritti di legge oltre a quello di riscattare le azioni di categoria “B”; queste
ultime hanno i medesimi caratteri della categoria “A” ma sono soggette al loro
potere di riscatto. A fronte della concessione all’emittente di un finanziamento
erogato dalla banca Gamma, quest’ultima chiede ai titolari delle azioni “B” di
costituirle in pegno a proprio favore. Il pegno viene regolarmente costituito e
iscritto nel libro soci di Alfa.
Il quesito consiste nel chiedersi cosa accada alle azioni “B” oggetto di
pegno qualora venga esercitato il riscatto da parte dei soci titolari della
categoria “A”. A questo proposito si è sostenuto che chiunque eserciti il
riscatto acquista le azioni «libere da qualsiasi diritto o peso di cui il socio
riscattato possa averle gravate»; e ciò in forza della «efficacia reale e non
meramente obbligatoria del riscatto, allo stesso modo in cui non si dubita ad
esempio che abbiano efficacia reale le clausole statutarie che prevedano il
diritto di prelazione degli altri soci in caso di vendita delle azioni» (4).
Tale soluzione non sembra condivisibile alla luce del fatto che, in primo
luogo, comporterebbe per i creditori il rischio di vedersi sottratto l’oggetto
della garanzie per il semplice esercizio del riscatto oltre che favorire condotte
collusive tra il socio titolare delle azioni riscattabili costituite in pegno e i soci
che abbiano esercitato il riscatto; in seconda istanza, in quanto se il riscatto
fosse effettivamente in grado di “consumare” il pegno, si porrebbe l’ulteriore
problema di stabilire se tale garanzia si trasferisca sulle somme ricevute quale
corrispettivo ottenute per effetto del riscatto ed in forza di una surrogazione
reale, come nei casi offerti dal diritto successorio (art. 535, comma 2) e dalla
disciplina della responsabilità patrimoniale (art. 2742) (5).
(4) V. F. MAGLIULO, Le categorie, p. 116.
(5) Peraltro, lo stesso F. MAGLIULO, Le categorie, p. 117, in nota 137, ammette
l’eccezionalità dell’istituto della surrogazione reale. Per un inquadramento dell’istituto si rinvia a
F. SANTORO-PASSARELLI, La surrogazione reale, in Riv. it. sc. giur., 1926, p. 428 e ss. il quale ha
sostenuto la tesi della configurabilità della surrogazione reale solo nell’ipotesi in cui l’oggetto
che sostituisce quello originario è con esso omogeneo; ma, secondo altri, si dovrebbe avere
surrogazione reale ogni volta in cui possa dirsi sussistente e meritevole l’interesse al valore
economico della cosa sostituita dal denaro (v., L.V. MOSCARINI, voce «Surrogazione reale», in
Noviss. dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 975); si legga anche la ricostruzione dogmatica che
dell’istituto offre A. MAGAZZÙ, voce «Surrogazione reale», in Enc. Dir., Milano, 1990, p. 1497 e ss.
e spec. pp. 1507-1508, il quale sottolinea l’eccezionalità dell’istituto per cui vanno accolte con
274
Azioni riscattabili
Sembrerebbe, peraltro, più coerente con la circostanza che il riscatto è
un «diritto diverso» ai sensi dell’art. 2348, comma 2 c.c. incorporato nelle azioni
emesse ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c., ritenere che, ove venga costituita una
garanzia reale su tali azioni, il riscatto non ne comporti la consumazione. Vero
è che, in questo modo, i titolari del diritto al riscatto perderebbero interesse ad
esercitarlo ma – una necessaria operazione di bilanciamento degli interessi –
non consentirebbe di giustificare – sotto il profilo della meritevolezza degli
effetti – una situazione in cui il creditore perda l’oggetto della propria garanzia
in seguito all’esercizio di un diritto potestativo da parte della società o degli altri
soci (6). Rispetto allo scenario proposto, pertanto, sembra corretto ritenere che,
per effetto dell’esercizio del riscatto, le azioni “B” si trasferiscono nel
patrimonio dei soci titolari di azioni “A”; in considerazione, poi, della
coincidenza soggettiva tra titolari di azioni dotate di potestà al riscatto e
soggette ad esso, le azioni “A” e le azioni “B” perdono “temporaneamente” le
loro rispettive caratteristiche (7); il trasferimento delle azioni in capo ai soci
titolari delle azioni “A” non incide, infine, sulla garanzia costituita a favore di
Gamma.
15. La riscattabilità delle quote di società a responsabilità limitata
Si è in precedenza rilevato come tra le funzioni cui le azioni riscattabili
cautela affermazioni volte a configurare un’applicazione generalizzata dell’istituto, cit. anche da
F. MAGLIULO, Le categorie, p. 117, in nota 137.
(6) Al medesimo risultato giunge anche P. DE MARTINIS, Le azioni, p. 395, in base alla
considerazione che, nel caso del riscatto, si tratterebbe di un acquisto coattivo a titolo
derivativo che – proprio sotto tale profilo – si distinguerebbe dal trasferimento coattivo (il
quale, invece, sarebbe a titolo originario) per cui «…da ciò discende che il riscattante acquista il
bene nel medesimo stato in cui si trova nel patrimonio del riscattante, e cioè con ogni peso
eventualmente gravante su di esso»; una soluzione analoga è quella adottata anche nell’ambito
delle società a responsabilità limitata per i diritti particolari riconosciuti ai soci ai sensi dell’art.
2468, comma 3: il diritto particolare, infatti, dovrebbe andare a vantaggio dei titolari di diritti
parziari sulle partecipazioni, fatta eccezione per quei diritti particolari che si sostanziano nel
riconoscimento della qualità di amministratori e nel diritto di esprimere il gradimento nel caso
di cessione delle partecipazioni ai sensi dell’art. 2469. Sul punto MALTONI M., La partecipazione
sociale, in C. CACCAVALE - F. MAGLIULO - M. MALTONI - F. TASSINARI, La riforma della società a
responsabilità limitata, Milano, 2007, p. 198; C. ZAGANELLI, Art. 2468, in La riforma delle società, a
cura di M. Sandulli – V. Santoro, 3, Torino, 2003, p. 62.
(7) Per riacquistarle, in un secondo momento, qualora, i soci vendessero ad altri soci o
a terzi una delle due categorie di azioni.
275
CAPITOLO III
possono essere dirette, vi è anche quella consistente nella personalizzazione
della compagine sociale. Ciò può in particolare accadere nel momento in cui lo
statuto subordina l’esercizio del riscatto al verificarsi di particolari condizioni
legate alla persona del socio. E’ naturale quindi chiedersi se il riscatto sia
compatibile con il tipo della società a responsabilità limitata, in modo tale da
incentivarne i già spiccati caratteri personalistici.
Già in passato la dottrina ha affrontato la questione, analizzando
separatamente l’ipotesi di riscatto finalizzato alla riduzione del capitale e quella
di riscatto non finalizzato, giungendo, peraltro, a conclusioni opposte nell’uno
e nell’altro caso (8). Il riscatto di quote finalizzato alla riduzione del capitale
sociale è stato, infatti, ritenuto legittimo in forza dell’articolo 2496 c.c., vigente
prima della riforma, e della natura del riscatto: quest’ultimo, infatti, si
risolverebbe in un vero e proprio trasferimento delle quote di partecipazione dai
soci alla società (9); la legittimità della seconda ipotesi, invece, è stata esclusa alla
luce del fatto che il riscatto si tradurebbe in un vero e proprio acquisto delle
partecipazioni, a fronte del pagamento di un corrispettivo da parte della società
e con il conseguimento di un risultato vietato dalla legge (art. 2474 c.c.) (10).
Così come è avvenuto per la società per azioni, il fenomeno è stato studiato da
questa dottrina prendendo in esame le clausole di riscatto piuttosto che come
requisito incorporato nelle quote di partecipazione (11).
Il tema può oggi essere affrontato avendo presente l’introduzione
dell’art. 2437-sexies c.c. e della possibilità, quindi, di incorporare la
(8) V., sul punto, L. CALVOSA, La clausola, p. 11 e ss..
(9) Oggi la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 2482 il cui comma 1 prevede
che «La riduzione del capitale sociale può avere luogo, nei limiti previsti dal numero 4)
dell’articolo 2463, mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione di essi
dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti».
(10) Secondo la ricostruzione offerta da L. CALVOSA, La clausola, p. 116 e ss. la tesi
contraria non potrebbe essere argomentata in base alla stregua dei «…principi desumibili da
alcune previsioni normative rinvenibili, appunto, in materia di responsabilità limitata: ed in
particolare, dalla previsione dell’art. 2480 c.c., relativa alla espropriazione della quota, nella
parte in cui la stessa contempla il potere della società di presentare «un altro acquirente»
rispetto all’aggiudicatario, potere da taluno configurato come «una specie di diritto di riscatto»
che la società «può esercitare per mezzo di persona di suo gradimento»» (il rif. è a V.
ANDRIOLI, Misure cautelari ed esecutive su quote di società a responsabilità limitata, in Foro it., 1948, I, p.
444 e ss.).
(11) Vari i riferimenti in L. CALVOSA, La clausola, pp. 12, 13 e 17.
276
Azioni riscattabili
“riscattabilità” nei titoli azionari. La questione si intreccia, in particolare, sia
con la fattispecie dell’acquisto delle proprie quote – nell’ipotesi in cui il diritto
di riscatto sia attribuito alla società – sia con il noto problema della categorie di
quote.
A quest’ultimo riguardo, pur suggerendo diverse soluzioni teoriche, la
letteratura ante riforma ha ritenuto compatibile con la disciplina della società a
responsabilità limitata l’emissione di quote differenziate quanto al contenuto,
giungendo ad ammettere la loro configurabilità quale categoria autonoma e la
previsione – regolata dall’autonomia statutaria – di un’organizzazione di
categoria (12). La configurabilità di categorie di quote ha ricevuto un rinnovato
interesse anche dopo la riforma, in seguito alla introduzione nell’ordinamento
dell’art. 2468 c.c. e dell’istituto dei «diritti particolari» (13). La letteratura, infatti,
si è interrogata sulla possibilità di andare oltre il dato letterale della disposizione
la quale, per l’appunto, consente di attribuire ai soci, su base personale,
particolari diritti connessi con la distribuzione degli utili, l’amministrazione
della società e, secondo la soluzione più plausibile, anche legati ad altri aspetti
delle organizzazione societaria (14). Senza la pretesa di approfondire il problema
(12) «Anche se l’art. 2348, c. 2° non è richiamato, nessun dubbio che il principio della
possibilità di una pluralità di categorie valga anche per la società a responsabilità limitata: dove
la legge stessa prevede una categorie speciale, quando all’art. 2478 parla di qutoe «a cui è
connesso l’obbligo di prestazioni accessorie», dichiarando ad esse applicabili le disposizioni del
!à e del 3° comma dell’art. 2345…mi sembra che nulla si oppopnga, nella struttura della società
a responsabilità limitata o nella natura della quota, a che l’atto costitutivo possa prevedere
un’assemblea speciale di categoria di quote pregiudicate dalla deliberazione dell’assemblea
generale. Mancando questa previsione statutaria, la deliberazione pregiudizievole dovrebbe
evidentemente ottenere l’approvazione di ogni singolo socio pregiudicato»: così, A. MIGNOLI,
Le assemblee, pp. 349-350; v., anche, G. SANTINI, Società a responsabilità limitata, in Commentario del
Codice Civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1992, pp. 39-40 per il quale «Il
mancato richiamo [all’art. 2376] non consente di deduree che il legislatore ha escluso l’esistenza
di categorie speciali di quote in seno alla società a responsabilità limitata. Molto probabilmente,
invece, trattandosi di società con una «struttura più intima» (rel. Al re, n. 1015), si è ritenuto
superfluo prevedere un’organizzazione particolare per i titolari di quote speciali, preferendo
lasciare, dunque, alla volontà di ciascuno di essi le decisioni in materie che pregiudichino i loro
diritti»; altri autori invece hanno ritenuto che, nonostante sia possibile diversificare le quote in
base ai diritti ad esse “assegnati” ciò non legittimerebbe a parlare di “categorie” di quote e di
un’organizzazione di categoria: cfr., G. RIVOLTA, La società a responsabilità limitata, in Trattato
Cicu-Messineo, XXX, 1, Milano, 1982.
(13) Cfr. supra, cap. II, sub § 4.2 e nota 122.
(14) La soluzione è quella adottata dal CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massime, p.
131 («Massima n. 39»), il quale ha, tra l’altro, argomentato la soluzione adottata in base alla
considerazione pratica che «Anche da un punto di vista funzionale, una lettura della norma che
277
CAPITOLO III
in questa sede, pare condivisibile l’orientamento che ha recentemente
prospettato la possibilità che l’autonomia statutaria “costruisca” i diritti
particolari in modo tale da legarli alla partecipazione, piuttosto che alla persona
del socio autorizzando, quindi, anche l’emissione di categorie speciali di quote
(15). Prima di potere concludere nel senso della legittima previsione di categorie
di quote riscattabili, va verificato anche un altro aspetto, relativo al contenuto
dei «diritti diversi» di cui è può essere connotata la partecipazione sociale. Ci si
circoscriva la facoltà di attribuire particolari diritti ai soli temi dell’amministrazione della società
e della distribuzione degli utili, infine, mostra il fianco a non pochi argomenti contrari. Si pensi
ad esempio alla scarsa efficacia di un privilegio sugli utili, in ipotesi attribuito ad un socio di
minoranza, che non sia accompagnato vuoi dal diritto di ottenere la distribuzione dell’utile a
prescindere dalla volontà della maggioranza di mandare l’utile d’esercizio a dividendo, suoi dal
diritto di godere del medesimo privilegio anche in sede di distribuzione delle riserve formatesi
con accantonamento dell’utile, sia durante la vita della società che in sede di liquidazione». Per
cui «I “particolari diritti” che l’atto costitutivo di s.r.l. può attribuire a singoli soci, ai sensi
dell’art. 2468, comma 3, c.c., possono avere ad oggetto materie non strettamente “riguardanti
l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili”, cui espressamente si riferisce la
norma, bensì ulteriori “diritti diversi”, dovendosi ritnere concessa all’autonomia negoziale, al
pari di quanto dispone l’art. 2348 c.c. per la s.p.a., la facoltà di “liberamente determinare il
contenuto” delle partecipazioni sociali”, “nei limiti imposti dalla legge”»; sull’individuazione dei
diritti particolari dei soci, cfr. anche M. MAUGERI, Quali diritti particolari per il socio di società a
responsabilità limitata, in Riv. Soc., 2004, p. 1483 e ss..
(15) La tesi è sostenuta da M. NOTARI, Diritti particolari, pp. 332-335 che argomenta la
propria soluzione prendendo in considerazione il profilo relativo alla trasferibilità dei
particolari diritti che, se connessi con la persona del socio, comporterebbe la loro estinzione in
quanto «…essi non vengono acquisiti dal nuovo socio, in quanto non derivano dalla
partecipazione ceduta, né rimangono in capo all’alienante, in quanto non più socio e non più
partecipante al contratto da cui originano»; peraltro «…non vi sono ragioni plausibili per
impedire all’autonomia negoziale di configurare diversamente tali particolari diritti,
includendoli nel contenuto della partecipazione sociale, anziché legarli esclusivamente alla
persona del socio cui sono attribuiti»; in senso dubitativo, A. DACCÒ, I “particolari diritti”, p. 102
e ss. ; v., però, EA., I diritti particolari, p. 402 la quale, a tale proposito, afferma che «Impedire ai
soci di prevedere e di scegliere una matrice «capitalistica», e di configurare delle quote dotate di
diritti particolari, potrebbe essere letto come un illecito restringimento di tale
autonomia…contrario ad uno dei principi ispiratori della stessa riforma»; O. CAGNASSO, La
società, p. 139 e ss. e spec. p. 141, per il quale «E’ possibile, almeno astrattamente, ipotizzare una
differente fattispecie di diritto particolare, inserita nell’ambito del contenuto della
partecipazione e quindi destinata a circolare insieme ad essa…L’ampia autonomia concessa ai
soci parrebbe consentire una valutazione in senso positivo dell’ammissibilità di tale previsione,
che permette di costruire partecipazioni con un contenuto particolare e quindi di far sì che i
diritti in questione possano circolare assieme alla partecipazione, consentendo al suo titolare di
poterli «monetizzare» in caso di trasferimento»; il che ovviamente avrebbe riflessi sulla tecnica
redazionale degli statuti in quanto «…al fine di evitare dubbi in ordine al collegamento dei
particolari diritti alla persona del socio o alla loro inerenza alla partecipazione sociale, sarebbe
certamente opportuno che i soci, in sede di redazione dell’atto costitutivo, esprimessero con
chiarezza la loro scelta nell’uno o nell’altro senso»; contra M. PERRINO, La rilevanza del socio nella
S.r.l., in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, Milano, 2003,
pp. 133-135.
278
Azioni riscattabili
chiede, in particolare, se l’espressione utilizzata nell’art. 2468, comma 3, c.c.
possa essere intesa non solo nel suo significato letterale e nemmeno limitata al
riconoscimento – al socio o alla partecipazione a seconda dei casi – di posizioni
giuridiche attive, come potrebbe far pensare il riferimento all’«amministrazione
della società o [al]la distribuzione degli utili». Si è in precedenza affermato che
la locuzione «diritti diversi» utilizzata dall’art. 2348, comma 2, c.c. per
disciplinare le categorie di azioni deve per l’appunto intendersi in senso lato, in
modo tale da ricomprendervi anche posizioni giuridiche passive quali quelle di
soggezione (16). La medesima soluzione parrebbe adottabile anche nel caso
dell’art. 2468, comma 3 c.c. vuoi in considerazione dell’ampia autonomia della
parti riconosciuta dal legislatore nella società a responsabilità limitata in grado
ancora maggiore rispetto alle società per azioni (17); vuoi alla luce del
riconoscimento – anche in altre regole dettate per il primo tipo di società – di
posizioni giuridiche diverse da quelle attive (18); sia, infine, in quanto
l’emissione di quote riscattabili potrebbe essere funzionale ad istituti di nuova
introduzione quali l’esclusione del socio (art. 2473-bis) (19).
(16) Cfr. supra, cap. II, sub § 3.
(17) La Relazione accompagnatoria alla riforma del diritto societario afferma al § 11 che
la società a responsabilità limitata «…pur godendo del beneficio della responsabilità
limitata…può essere sottratta alle rigidità di disciplina richieste per la società per azioni». La
dottrina pare uniforme nel riconoscere alla “nuova” società a resposabilità limitata tale carattere
ma come correttamente fa rilevare O. CAGNASSO, La società, p. 39 se da una parte «…la
caratteristica della società a responsabilità limitata che immediatamente e per prima balza
evidente…è sicuramente l’ampio margine di autonomia concesso dal legislatore ai soci»;
dall’altra parte va anche constatata «…la presenza di rigorosi connotati di rigidità, spesso più
accentuati rispetto al «vecchio» modello».
(18) V. M. NOTARI, Diritti «particolari», p. 334 («Che vi possano essere partecipazioni
caratterizzate da un diverso contenuto, inteso come insieme dei diritti, obblighi, facoltà, azioni,
potestà, soggezioni e situazioni giuridiche soggettive in generale, è d’altronde fenomeno
connaturato al sistema, se solo si pensa, sul fronte delle situazioni giuridiche «passive», agli
obblighi che gravano sulle partecipazioni non interamente liberate (art. 2472) o sulle
partecipazioni da liberare con prestazioni d’opera (art. 2464, comma 6) o ancora sulle
partecipazioni con prestazioni accessorie (vecchio art. 2478, la cui mancata riproduzione non
sembra valido motivo per negare l’ammissibilità dell’istituto anche dopo la riforma»).
(19) Sul punto si veda P. PISCITELLO, Recesso ed esclusione, p. 735 e ss.; M. PERRINO, La
rilevanza, p. 143 e ss.; più recentemente v. la ricostruzione offerta da C. ESPOSITO, L’esclusione, p.
261 e spec. pp. 289 e 291, il quale afferma che «collegato alla clausola di esclusione – vi sia un
contratto di opzione di vendita stipulato dal socio escluso e dagli altri soci che agiscono «per sé
o per persona da nominare»» il che potrebbe consentire un accostamento dell’istituto
dell’esclusione a quello del riscatto di azioni o di partecipazioni di società a responsabilità
limitata; ma, a differenza di quest’ultimo, nel caso dell’esclusione l’acquisto delle partecipazioni
279
CAPITOLO III
La soluzione proposta da chi ha analizzato il rapporto tra le clausole di
riscatto e l’acquisto di proprie quote pare condivisibile: non sembra, infatti,
superabile il divieto – confermato dopo la riforma – di procedere all’acquisto
delle proprie quote sancito dall’attuale art. 2474 c.c. (20). Come peraltro è stato
osservato la riscattabilità di quote ad opera della società non rappresenterebbe
una soluzione più efficiente rispetto al mero riconoscimento del diritto di
recesso nell’ipotesi in cui si aderisse all’orientamento che suggerisce
l’immediato annullamento delle azioni successivamente all’esercizio del riscatto
(21).
Ci si potrebbe inoltre interrogare sulla previsione di quote di
partecipazione riscattabili ad opzione dei loro titolari nei confronti della società
o dei soci. Quest’ultima soluzione pare senz’altro praticabile, innanzitutto, alla
luce di quanto sopra affermato in merito all’accentuazione dell’autonomia
statutaria (22); avendo, inoltre, riguardo agli ampi margini di manovra consentiti
dalle nuove regole sul recesso del socio; in considerazione, ancora, della
previsione delle «relative modalità» con cui esso deve essere disciplinato dallo
statuto (23); e, infine, con riferimento alla circostanza che, in ogni caso, il
legislatore ha già previsto un eventuale onere dei soci di rimborsare la
partecipazione del socio receduto o escluso senza prevedere, in quest’ultimo
caso, la possibilità di procedere alla liquidazione per effetto dell’abbattimento
è evidente nel fatto che «…qui i soci superstiti utilizzano sempre proprie risorse attinte però da
somme disponibili esistenti all’interno del patrimonio sociale».
(20) Su cui, tra gli altri, G. SANTINI, La società, p. 178 e ss. il quale limita l’operatività
del divieto all’ipotesi in cui l’acquisto avvenga a fronte di un corrispettivo «…ossia quando
l’estinzione del rapporto sociale produca effettivamente una restituzione larvata del capitale».
(21) Cfr. S. PATRIARCA, L’«exit», p. 98.
(22) Cfr. S. PATRIARCA, L’«exit», p. 98 per cui «In definitiva, in ordine alla s.r.l. sono
soltanto i soci a potersi fare carico dell’obbligo di acquisire la quota del recedente. A tale
riguaredo ci si dve peraltro domandare se l’assunzione di un siffatto impegno possa
eventualmente porsi in contrasto cin i principi delle società di capitali, in particolare con il
principio generalissimo del divieto di «augmenter les engagements» del socio…L’aumento
dell’impegno economico è comunque funzione di un corrispondente accrescimento della quota
di partecipazione in società; inoltre, perché il rischio connesso a detto maggiore impegno è
esplicitamente accettato dai soci al momento dell’adesione a un ente collettivo il cui statuto
preveda la clausola di riscatto…».
(23) V. Art. 2473, comma 1, c.c. per cui «L’atto costitutivo determina quando il socio
può recedere dalla società e le relative modalità»: il che non esclude quindi che il recesso sia
attuato tramite esercizio del riscatto nei confronti dei soci.
280
Azioni riscattabili
del capitale sociale. Le medesime ragioni che militano contro la possibilità di
riconoscere il diritto di riscatto in capo alla società valgono, infine, anche con
riferimento alla previsione di un obbligo di acquisto a suo carico sebbene si
potrebbe configurare, ai sensi dell’art. 1381, un impegno di quest’ultima ad
adoperarsi per individuare un acquirente della partecipazione del socio che
esercita il riscatto (24).
Restano peraltro aperti gli ulteriori problemi collegati al riscatto di
quote di partecipazione quali i criteri di rimborso, per i quali sembra possibile
prospettare l’adozione del parametro del «valore di mercato» utilizzato nella
disciplina del recesso; nonché la possibilità di procedere ad un riscatto parziale
rispetto al quale potrebbe profilarsi qualche dubbio alla luce della lettera
dell’art. 2473 c.c. (25).
16. Ulteriori problemi interpretativi: azioni riscattabili emesse da
società quotate e strumenti finanziari partecipativi riscattabili.
L’analisi della fattispecie può concludersi con qualche ulteriore rilievo.
(A) Quanto alla possibilità per le società quotate di emettere azioni
riscattabili, non pare che la formulazione dell’art. 2437-sexies c.c. ne circoscriva
l’ambito di applicazione alle sole società «chiuse» o «diffuse»; né tale
conclusione è autorizzata dalla circostanza che le azioni riscattabili possano
essere utilizzate in funzione di chiusura della compagine sociale, posto che
l’emissione può essere diretta anche ad altri scopi (26).
(24) Ma la soluzione non sarebbe probabilmente efficiente – quanto meno dal punto di
vista del socio che voglia uscire dalla compagine sociale – alla luce del meccanismo indennitario
previsto dall’art. 1381 c.c. in caso di inadempimento del terzo: sul punto si leggano le
considerazioni di S. PATRIARCA, L’«exit», p. 98.
(25) Ma, secondo P.PISCITELLO, Recesso ed esclusione, p. 737, l’esclusione parziale sarebbe
ammissibile in forza della «…necessaria correlazione dell’esclusione all’esistenza di una giusta
causa [la quale] non induce nececssariamente ad escludere l’ammissibilità di un’esclusione
parziale. Ed invero, la giusta causa che legittima l’esclusione potrebbe essere compatibile con
una permanenza del socio in società, sia pur potrebbe essere compatibile con una permanenza
del socio in società, sia pur con una partecipazione meno consistente di quella posseduta in
precedenza.». Tale situazione, peraltro, potrebbe realizzarsi qualora «il socio chje ha effettuato
un conferimento in danaro, obbligandosi nel contempo ad effetuare un conferimento d’opera,
diviene successivamente inabile a conferire l’opera promessa».
(26) Sembra opportuno rinviare alle considerazioni già svolte supra, cap. I, sub § 4 e
cap. III, sub § 1.
281
CAPITOLO III
Anzi, proprio affermato in merito alla convertibilità in azioni riscattabili
potrebbe risultare utile a società quotate che intendono limitare il rischio del
lancio di offerte d’acquisto non concordate con il gruppo di controllo
dell’emittente. Lo statuto potrebbe infatti prevedere preventivamente che la
conversione dei titoli in azioni riscattabili si attui al verificarsi di una
determinata condizione consistente nel lancio di un’offerta pubblica di acquisto
ai sensi degli artt. 102 e ss. d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF) e che questa
operazione di conversione passi attraverso l’approvazione dell’assemblea
straordinaria «con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano almeno il
trenta per cento del capitale», come dispone l’art. 104 TUF in tema di passivity
rule.
La conclusione è suffragata da alcune circostanze tra le quali il fatto che
il dato letterale dell’art. 2437-sexies c.c. legittima uno scenario in cui tutti i titoli
in circolazione siano assoggettati al riscatto e la società possa pertanto
ricomperare “se stessa” (27); se, inoltre, si concorda con il fatto che il riscatto
incorporato in azioni non comporti un vincolo alla loro circolazione ne
consegue la loro compatibilità anche con il regolamento di borsa (28).
(B) Una questione considerata solo di “striscio” dai primi commenti
alla norma, riguarda l’emissione di strumenti finanziari riscattabili, la cui
disciplina è racchiusa negli articoli 2346, ult. comma e 2349, comma 2, ult.
prop., c.c.. Dalla lettura delle disposizioni che regolano tale figura emerge con
chiarezza che, in questo caso, ci si colloca al di fuori della fattispecie delle
azioni riscattabili ma sembra ugualmente rivestire un certo interesse verificare
se vi sia qualche interazione tra i due istituti (29).
La prima disposizione citata disciplina la fattispecie degli strumenti
finanziari partecipativi, prevedendo, tra l’altro, che «lo statuto ne disciplina le
(27) Eventualità questa radicalmente esclusa, ad esempio, dall’ordinamento inglese.
(28) Cfr. art. 1.2.3 del Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana
S.p.A. Deliberato dall’Assemblea di Borsa Italiana S.p.A. del 20 aprile 2006 e approvato dalla
Consob con delibera n. 15451 del 7 giugno 2006.
(29) Si ricordi anche che ai sensi della lett. e) dell’art. 2447- ter è possibile emettere
strumenti finanziari di partecipazione all’affare collegati alla costituzione di un patrimonio
destinato. Tali strumenti, tuttavia, non avrebbero la medesima natura di quelli emessi ai sensi
dell’art. 2346, 6 comma: cfr. M. NOTARI, Le categorie, p. 74 e ss.
282
Azioni riscattabili
modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in
caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di
circolazione»; l’art. 2349, comma 2, ult. prop., c.c. dispone invece che «In tal
caso [ovvero nell’ipotesi in cui l’assemblea straordinaria abbia deliberato
l’assegnazione ai prestatori di lavoro di strumenti finanziari, diversi della azioni]
possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio
dei diritti attribuiti, alla possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di
decadenza o riscatto».
Secondo una delle più convincenti ricostruzioni formulate dalla
dottrina, tali fattispecie si porrebbero in un rapporto di genus ad species, nel senso
che gli elementi della fattispecie regolata dall’art. 2349, comma 2 c.c. sarebbero
gli stessi previsti dall’art. 2346, 6 comma c.c.: il primo istituto si distinguere
solamente per la peculiare genesi del rapporto con i loro destinatari (30).
A tale riguardo ci si potrebbe domandare (i) se, anche l’emissione di
strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, 6 comma c.c. possa –
analogamente a quanto accade per gli strumenti finanziari assegnati ai
lavoratori – prevedere «particolari norme» consistenti nella previsione del
riscatto; (ii) con particolare riguardo agli strumenti finanziari partecipativi ex
art. 2349, 2 comma, ult. prop., c.c. – e anche a quelli di cui all’art. 2346 c.c. nel
caso in cui si dia una risposta affermativa al quesito sub (i) – come possa
disciplinarsi il riscatto: se, in particolare, esso sia una caratteristica incorporata
nello strumento finanziario, in grado quindi di circolare con lo stesso; a chi
(30) E’ stato infatti rilevato che «Si tratta a mio avviso dei medesimi strumenti
finanziari partecipativi previsti dall’art. 2346, sesto comma, Codice civile, dei quali vengono
ribaridi quasi letteralmente gli stessi connotati essenziali, ragion per cui ogni riflessione che
verrà in prosieguo svolta relativamente a questi ultimi dovrà estendersi anche ai primi. Tuttavia,
per ciò che concerne l’apporto, non è chiaro come si realizzi la fattispecie dell’art. 2349,
seconda comma, Codice civile» e che «Al pari di quanto avviene per le azioni emesse ai sensi
dell’art. 2349, primo comma, Codice civile, quindi, gli strumenti finanziari assegnati ai
dipendneti ai sensi dell’art. 2349, seconda comma, Codice civile, si differenziano fagli altri
strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, sesto comma, codice civile, per la loro genesi,
fondata su una “gratuità” collegata al rapporto di lavoro, ma non necessariamente per il
contenuto e per le altre caratteristiche. Solo eventualmente, infatti, le azioni emesse a favore dei
prestatori di lavori e gli strumenti finanziati partecipativi emessi a favore dei prestatori di
lavoro conferiscono diritti diversi, per scelta della società emittente, rispetto alle azioni
ordinarie o agli altri strumenti finanziari partecipativi (casomai) emessi dalla società»: così M.
NOTARI, Le categorie, pp. 52-53.
283
CAPITOLO III
possa essere attribuito il potere di riscatto; come dovrebbe essere regolato il
profilo legato alla liquidazione degli strumenti finanziari una volta che il
riscatto sia stato esercitato.
Quanto al primo quesito, una dottrina ha sostenuto – probabilmente
non a torto – che l’art. 2346 c.c. presupporrebbe «…evidentemente anche la
possibilità per la società emittente d’indicare le cause di decadenza o di
riscatto», ammettendo, di conseguenza, «…anche la possibilità, per la società
emittente d’indicare le cause di decadenza o di riscatto e…che tali eventi
possano essere liberamente disciplinati» (31). A favore di tale soluzione peraltro
potrebbe essere speso anche l’argomento che la possibilità di riscatto rientri
nelle «…sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni» che possono
essere previste – e liberamente articolate – dall’autonomia statutaria. Se, infatti,
i due “tipi” di strumenti finanziari partecipativi condividono la medesima
natura e si differenziano solamente per il fatto di essere assegnati gratuitamente
o meno ad una particolare categoria di soggetti, non si vede allora alcuna
ragione per negare che – anche per gli strumenti finanziari partecipativi ex art.
2346, comma 6 c.c. – possa essere eventualmente prevista una «causa di
(31) Questa è la posizione assunta da A. STAGNO D’ALCONTRES, Art. 2349, p. 292;
nello stesso senso si esprime anche da M. MIOLA, I conferimenti in natura, in Trattato delle società per
azioni, a cura di G.E. Colombo e G.B. Portale, 1***, Torino, 2004, p. 298 e ss. e spec. p. 301.
Le soluzioni prospettate dal cit. A. per l’ipotesi, ad esempio, di mancata esecuzione degli
apporti sia per causa imputabile al sottoscrittore di strumenti finanziari, sia per impossibilità
sopravvenuta della prestazione sono rappresentate, nel primo caso, da un’azione di
adempimento o, in alternativa, in quella di risoluzione con richiesta di risarcimento degli
ulteriori danni subiti dalla società; oppure, nella seconda ipotesi alla risoluzione per
impossibilità sopravvenuta per le quali tuttavia si porrebbe «l’esigenza di un indennizzo per le
prestazioni già eseguite», il che avrà, come conseguenza, «…lo scioglimento del rapporto tra
portatore di strumenti finanziari e l società e la sostanziale estromissione di costui dalla società,
con conseguente annullamento dei corrispondenti strumenti finanziari «partecipativi»». Peraltro
viene suggerito anche il ricorso ad una clausola di riscatto che attribuisca alla società il diritto
potestativo di riacquistare gli strumenti finanziari partecipativi per cui «L’impiego nel caso in
esame di tali calusole è da porre in diretto rapporto con quello che ha luogo nelle azioni con
prestazioni accessorie e che è stato definitivamente ammesso dall’art. 2437-sexies c.c.»; v.,
anche, L. CALVOSA, L’emissione di azioni riscattabili come tecnica di finanziamento, in Riv. dir. comm.,
2006, pp. 206-207, per la quale «l’art. 2349, comma 2, c.c. nel prevedere l’assegnabilità ai
prestatori di lavoro della società o di società controllate di strumenti finanziari diversi dalle
azioni, forniti di diritti patrimoniali o di diritti amministrativi (escluso il diritto di voto
nell’assemblea generale degli azionisti), contempla espressamente l’eventualità che siano
disposte norme particolari con riguardo (anche) al riscatto…ma non v’è ragione di dubitare, in
chiave sistemativca, che al riscatto possa farsi ricorso anche con riferimento agli altri strumenti
finanziari».
284
Azioni riscattabili
riscatto». Il fatto che tale ultima previsione sia stata esplicitamente contemplata
dal legislatore nel testo della norma che governa una ipotesi più specifica
rispetto a quella dell’art. 2346, 6 comma, c.c. non sembra determinante ai fini
della interpretazione della due norme. Essa può forse leggersi o come una
“svista” del legislatore, oppure come una specificazione richiesta dalla
particolare destinazione degli strumenti finanziari di cui all’art. 2349, comma 2,
c.c..
Il secondo gruppo di interrogativi sembra invece di più ardua
soluzione, anche se qualche considerazione di ordine generale può forse aiutare
a chiarire il ruolo giocato dal riscatto nell’ambito degli strumenti finanziari
partecipativi. Si deve, innanzitutto, constatare che il legislatore ha lasciato una
certa autonomia alle parti nel plasmare le modalità con cui la «causa di riscatto»
può essere disciplinata, posto che le lettere delle due disposizioni (artt. 2346, 6
comma e art. 2349, comma 2, c.c.) nulla dicono al riguardo. A differenza di
quanto prescritto dal legislatore in merito alle azioni riscattabili, tuttavia, non
pare che – nel caso degli strumenti finanziari partecipativi – la riscattabilità
possa essere inteso come un elemento intrinseco, alla stregua di quanto accade
per le azioni dotate di «diritti diversi» ai sensi dell’art. 2348, c.c.. Più che di
strumenti finanziari partecipativi riscattabili, la fattispecie dovrebbe in concreto
atteggiarsi come una clausola statutaria di riscatto (32), che legittimi il
“richiamo” degli strumenti finanziari, al verificarsi di particolari condizioni,
anch’esse previste nello statuto. Non sembra peraltro contrastare con tale
lettura l’affermazione per cui il riscatto verrebbe ad assumere – in questo
particolare ambito – una colorazione “più decisa” rispetto a quella, “sfumata”,
(32) Va notato che mentre l’art. 2346, comma 6 prevede che «In tal caso lo statuto»
provvede a disciplinare le caratteristiche degli strumenti finanziari; l’art. 2349, comma 2 non
contiene una simile indicazione in quanto l’incipit della disposizione si riferisce alla
deliberazione assunta dalla assemblea straordinaria e, a quest’ultima, sembra doversi riferire
l’espressione «In tal caso possono essere previste norme particolari» nelle quali rientrano anche
le «cause di decadenza o riscatto». Ne conseguirebbe, quindi, che la necessità di una previsione
statutaria sia richiesta solo in caso di emissione di strumenti finanziari partecipativi emessi ai
sensi dell’art. 2346, comma 6 e che il riscatto possa essere disciplinato nella sola delibera di
emissione quando gli strumenti finanziari vengono attribuiti ai prestatori di lavori su base
gratuita: sul punto, si leggano, le considerazioni di F. FERRARA JR - F. CORSI, Gli imprenditori, p.
486.
285
CAPITOLO III
che lo caratterizza nell’ambito delle azioni riscattabili. Quando, infatti, il
riscatto diviene un rapporto accessorio a quello sottostante l’emissione di
strumenti finanziari partecipativi, esso parrebbe perdere tutte quelle funzioni
che si sono messe in rilievo all’inizio del presente studio (33), per rivestire quella
– prettamente sanzionatoria – nei confronti del titolare degli strumenti
finanziari. Potrebbe infatti immaginarsi che la legittimazione al riscatto sorga in
concomitanza di eventi quali il mancato apporto promesso alla società
nell’ipotesi di strumenti finanziari partecipativi emessi ai sensi dell’art. 2346,
comma 6 c.c. e di interruzione del rapporto di lavoro nel caso di assegnazione
gratuita «ai prestatori di lavoro dipendenti» ai sensi dell’art. 2349, 2 comma, ult.
prop., c.c..
Restano, infine, da chiarire il profilo relativo ai soggetti legittimati al
riscatto degli strumenti finanziari partecipativi (34) e quello attinente alle
modalità operative dello stesso. Con riguardo al primo tema si potrebbe forse
prospettare
una
legittimazione
circoscritta
alla
società,
mentre
al
riconoscimento del riscatto ad opzione di altri titolari di strumenti finanziari
partecipativi sembrano opporsi tanto ragioni di opportunità – in quanto si
incrementerebbero, in questo modo, le possibilità di escludere i titolari di
strumenti finanziari – quanto motivazioni giuridiche legate sia al rapporto
instaurato tramite l’emissione di tali strumenti – il quale pare nascere ed
esaurirsi nella relazione società-portatore di strumenti finanziari – sia alle
concrete modalità di liquidazione dell’«apporto» sulle quali ci si intratterà qui di
seguito (35). Per quanto riguarda la procedura e gli effetti dell’esercizio del
riscatto sembra doversi sottolineare come una parte degli interrogativi avanzati
(33) Per un’analisi delle possibili funzioni assunte dalle azioni riscattabili, v. supra, cap.
I, sub § 4 e cap. III, sub § 1.
(34) Per l’analisi del tema relativo all’emissione di strumenti finanziari partecipativi con
diritto di riscatto azionabile dal loro titolare, cfr., infra, cap. IV, sub § 5.
(35) Parzialmente contraria, tuttavia, sembrerebbe l’opinione di M. MIOLA, I
conferimenti, p. 301, il quale se, da una parte, riconosce che il potere di riscatto possa essere
attribuito alla società; afferma dall’altra che ciò possa avvenire «a favore di altri portatori di
strumenti finanziari o degli azionisti». Se tale espressione deve essere intesa nel senso che il
riscatto possa essere direttamente esercitato da tali soggetti, l’orientamento riportato non pare
condivisibile per le ragioni espresse nel testo; se, invece, può essere letto nel senso che la
società eserciti il riscatto trasferendo poi gli strumenti finanziari partecipativi ad azionisti o ad
altri titolari dei medesimi strumenti pare, allora, che possa essere condivisa.
286
Azioni riscattabili
in merito a questi due profili possano trovare una risposta considerando la
diversa natura degli strumenti finanziari rispetto alle azioni e, in particolare, la
circostanza che i primi sono emessi a fronte di apporti – e non di conferimenti
– consistenti, eventualmente, anche in prestazioni d’opera o di servizi e,
pertanto, non imputabili a capitale (36).
Al riguardo, va innanzitutto ritenuto che il riscatto di strumenti
finanziari partecipativi non possa essere equiparato all’acquisto di azioni
proprie, in considerazione del fatto che la prima operazione non ha alcun
impatto sul capitale della società. Ne consegue, quindi, che l’art. 2357 c.c. non
possa trovare applicazione né per quanto attiene alla procedura di
autorizzazione assembleare, né in relazione al limite del dieci per cento del
capitale sociale, mentre qualche dubbio potrebbe porsi per quella porzione
della disciplina relativa al “congelamento” dei diritti amministrativi (art. 2357ter c.c.): quest’ultima dovrebbe, probabilmente, ritenersi applicabile alla
fattispecie in esame (37).
(36) Tale caratteristica, peraltro, sarebbe riconducibile, tra l’altro, alla neutralità causale
degli strumenti finanziari partecipativi. Conforme la dottrina sul punto: M. NOTARI,
Disposizioni, p. 168 («Il tenore letterale della norma fa ritenere che l’apporto di opere o di servizi
non sia l’unica a fronte del quale possono essere emessi strumenti partecipativi, potendovi
essere contemplati apporti di diversa natura, aventi ad oggetto sia altre prestazioni non
imputabili a capitale, sia entità astrattamente imputabili a capitale. Essi possono pertanto
consistere anche in valori o utilità non quantificabili o di difficile quantificazione sul piano
patrimoniale (ad esempio, prestazioni a carattere continuativo o periodico, prestazioni
professionali, know how, prestazioni di garanzie, etc.). In ogni caso, tali apporti non vengono
imputati a capitale; che questo sia l’elemento (negativo) che li accomuna è confermato non solo
dall’impossibilità di imputare a capitale opere e servizi (art. 2342, comma 3), ma anche dal
raffronto con il principio tassativamente affermato nell’art. 2346, comma 5, laddove si
stabilisce che, in nessun caso, il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore
all’ammontare globale del capitale sociale: delineandosi, così, una contrapposizione tra
conferimenti, imputati a capitale (art. 2346, comma 5), e apporti, non imputati a capitale (art.
2346, comma 6)»); F. FERRARA JR - F. CORSI, p. 489 per i quali «Sicuramente non
rappresentano una partecipazione al capitale»; conforme G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale,
p. 224; cfr. anche l’esteso commento di M. MIOLA, I conferimenti, p. 277 e p. 259 per cui
«L’inammissibilità di azioni non rappresentative di una frazione del capitale nominale, e tuttavia
attributive dello status di socio, non è di per sé preclusiva dell’emissione a tale fine da parte della
società di titoli di diversa natura. Ne costituisce conferma proprio la previsione, nell’art. 2346,
ult. comma. c.c., attraverso cui si consente alla società di ottenere apporti che siano utili per
l’esercizio dell’impresa sociale, ma non imputabili a capitale sociale, a fronte dell’emissione di
strumenti finanziari «partecipativi» diversi dalle azioni».
(37) Si condivide, sul punto, l’opinione espressa da M. NOTARI, Le categorie, p. 85; ID.,
Azioni e strumenti finanziari, p. 557 per il quale «la regola della sterilizzazione dei diritti
amministrativi spettanti ai titoli acquistati dalla stessa società emuttente – regola dettata mutatis
287
CAPITOLO III
Più complicato è invece offrire una risposta in merito alle concrete
modalità di attuazione del riscatto, con particolare riguardo all’ipotesi di
rimborso del valoreo degli strumenti finanziari partecipativi (38). Mentre, infatti,
nel caso delle azioni riscattabili, vi è l’inequivocabile richiamo alle disposizioni
dettate per il recesso del socio (39), nell’ipotesi degli strumenti finanziari
partecipativi non sembra possibile applicare per analogia tali disposizioni, in
quanto non pare sussistere la eadem ratio (40). Per cercare di offrire una risposta
bisogna forse procedere per ipotesi, considerando le varie tipologie di «apporti»
eseguiti dai singoli titolari di strumenti finanziari partecipativi (41). Nel caso in
cui sia stato apportato denaro, la società riscattante dovrebbe essere tenuta a
rimborsare la medesima somma originariamente apportata, in quanto non vi è
spazio per valorizzare l’investimento del portatore di strumenti finanziari
partecipativi alla luce dei criteri di liquidazione previsti dall’ art. 2437-quater c.c..
Più complessa è la soluzione relativa all’ipotesi in cui l’apporto abbia avuto ad
oggetto un bene: si potrebbe ipotizzare che la società restituisca l’apporto a
condizione che il bene sia ancora nella sua disponibilità (a titolo di proprietà, di
godimento o in forza di altro titolo) e vi sia anche un accordo tra quest’ultima e
il titolare di strumenti finanziari, posto che nel caso in esame non
sussisterebbero le medesime ragioni che si oppongono alla restituzione dei
mutandis sia per le azioni che per le obbligazioni – appare applicabile in via analogica anche
per il caso di acqusito di strumenti finanziari ex art. 2346, comma 6° c.c., mentre non si
riscontrano, a prima vista, ragioni per interrogarsi sull’opportunità di estendere a tale fattispecie
il limite quantitativo del 10 per cento pre visto dall’art. 2357 c.c. per il caso di acquisto di azioni
proprie»; nello stesso senso si esprime L. ENRIQUES, Quartum non datur: appunti in tema di
«strumenti finanziari partecipativi» in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia, in BBTC, I, 2005 p. 166 e
ss. e spec. p. 175.
(38) E’ chiaro infatti che tale problema non si pone nel caso in cui gli strumenti
finanziari partecipativi siano stati emessi ai sensi dell’art. 2349, comma 2 e, quindi, attribuiti
gratuitamente ai prestatori di lavoro. In questo caso, infatti, nulla sarà dovuto dalla società al
titolare dei medesimi, in seguito all’esercizio del riscatto da parte della prima.
(39) Con il limite della clausola di compatibilità: v. supra, cap. III, sub § 10.
(40) Il tema è affrontato, con toni dubitativi, da A. PAOLINI, Recesso nelle s.p.a., in Il
nuovo diritto societario. Prime riflessioni, a cura dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del
Notariato, Milano, 2003, p. 254 e ss.; e, anche, da M. CALLEGARI, Art. 2437-sexies, p. 1448, per
la quale la risoluzione del problema «…è tutt’altro che scontata».
(41) Si potrà trattare infatti di apporti imputabili astrattamente al capitale oppure non
imputabili a capitale oltre a opere e servizi: cfr. supra nota 214.
288
Azioni riscattabili
conferimenti in natura (42). Qualche problema ulteriore è infine sollevato dal
caso di apporto d’opera o di servizi, con riferimento al quale potrebbe
prospettarsi che la società che esercita il riscatto sia tenuta ad un obbligo
restitutorio sotto forma, presumibilmente, di denaro (43), il cui importo sia stato
(42) Il tema, di ampio respiro, non può essere affrontato nella presente sede, per cui si
rinvia a F. DI SABATO, Capitale, passim e spec. p. 286 e ss. («Posto che i beni sono conferiti alla
società per ricavarne un utile, sarebbe logico…che il socio potesse concorrere con gli stessi
creditori sociali per la restituzione del conferimento, al termine della società; ma, poiché il
credito di restituzione del socio è invece postergato nei confronti dei creditori sociali, e anzi
l’obbligo dei conferimenti persiste anche quando la funzione di produttività è esaurita, si
dovrebbe dedurre che la funzione del conferimento non è solo quella di produttività, ma anche
di garanzia nei confronti dei creditori sociali.»); G.B. PORTALE, Capitale sociale e conferimenti nelle
società per azioni, in Riv. Soc. 1970, p. 33; ID., Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in
Riv. Soc., 1991, p. 3 ss.; ID., Conferimenti in natura ed effettività del capitale nella «società per azioni in
formazione», in Riv. Soc., 1994, p. 1 ss.; G. OLIVIERI, I conferimenti in natura nelle società per azioni,
Padova, 1989, passim; E. RIMINI, La mancata attuazione dei conferimenti nelle società per azioni, Milano,
1993, passim; si veda anche con riferimento alla modalità di riduzione del capitale tramite
restituzione dei conferimenti in natura A. FERRUCCI - C. FERRENTINO, Le società, p. 1125, i
quali sostengono la tesi negativa in ragione del tenore letterale dell’art. 2445 che, con
l’espressione «rimborso del capitale ai soci», si riferirebbe al denaro, quale bene fungibile,
ammettendo la possibile restituzione del conferimento solo qualora «…i beni da assegnare ai
soci sono fungibili ed hanno un prezzo corrente (ad esempio le azioni di società quotata)
risultanti da listini di borsa o da mercuriali e che tali beni siano valutati, ai fini del rimborso,
secondo tali valori…Una tale modalità risulta ammissibile soltantio se nello statuto della società
è previsto come modalità di estinzione dei debiti verso i soci da parte della società la
assegnazione di beni diversi dal denaro (obbligazione alternativa). In alternativa è possibile che
il socio creditore e l’organo amministrativo, a sua volta autorizzato dai soci, possano prevedere
una sorta di datio in solutum». Si ricorda, peraltro, che l’indebita restituzione dei conferimenti
«…fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale» è presidiata dalla norma penale di
cui all’art. 2626 c.c..
(43) Tale obbligo dovrà in ogni caso essere regolato nello statuto e comporterà
peraltro un riflesso di n atura contabile con la necessaria evidenziazione di un debito verso
l’apportante (cfr. M. NOTARI, Le categorie, p. 55-56; F. FERRARA JR - F. CORSI, Gli imprenditori, p.
482; M. LAMANDINI, Struttura finanziaria, p. 151 e ss.; G. MIGNONE, Art. 2346, in in Il nuovo
diritto societario. Commentario, diretto da Cottino e da Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna,
2004, p. 238). Sembra invece da escludere l’applicazione analogica dell’art. 2464, comma 6
dettato nell’ambito della disciplina della società a responsabilità limitata e riguardante la
possibilità di conferire opere o servizi garantiti «…mediante la prestazione di una polizza di
assicurazione o di una fideiussione bancaria» in quanto tale applicazione implicherebbe che per
ottenere l’emissione di strumenti finanziari partecipativi ai sensi dell’art. 2346, comma 6,
sarebbe necessario fornire tali garanzie che potrebbero essere poi l’oggetto della restituzione
operata dalla società riscattante. Non sembra tuttavia che possa porsi tale condizioni al rilascio
degli strumenti finanziari emessi a fronte dell’apporto di prestazioni d’opera o di servizi, in
quanto non sussiste, in questa ipotesi, la medesima ratio che invece anima l’art. 2464 per cui il
legislatore ha voluto «tutelare l’effettiva formazione del capitale imponendo al socio d’opera
una garanzia assicurativa o bancaria (ovvero, ove consentito dallo statuto) una cauzione)
rispetto all’obbligazione principale di conferimento» (cfr. V. SANTORO, I conferimenti e le quote
nella società a responsabilità limitata, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di
V. Santoro, Milano. 2003, p. 97); secondo M. MIOLA, I conferimenti, p. 650, in nota 650 il quale
rileva che «…quando l’apporto abbia ad oggetto una prestazione d’opera o di servizi, ma
anche, ad esempio, diritti di godimento obbligatori, rischia di riprodursi, in mancanza di una
289
CAPITOLO III
preventivamente negoziato e determinato tra la società e il titolare di strumenti
finanziari riscattati.
Esaurite le considerazioni relative ai due gruppi di quesiti proposti in
apertura potrebbe infine procedersi ad effettuare qualche rilievo in merito a
due ipotesi particolari, domandandosi se gli strumenti finanziari che vengano
fatti circolare dalla società successivamente al riscatto mantengano tale loro
caratteristica anche nei confronti dei loro nuovi titolari; se, inoltre, la
conversione, in azioni rappresentative di capitale di rischio, di strumenti
finanziari per i quali sia prevista una clausola di riscatto comporti la loro
“trasformazione” in azioni riscattabili ai sensi dell’art. 2437-sexies c.c., oppure se
tale conversioni comporti la perdita della caratteristica della riscattabilità. Si può
forse rispondere congiuntamente agli interrogativi proposti, affermando che gli
esiti dipendono dalla articolazione della clausola statutaria o dalla delibera di
emissione degli strumenti finanziari. Resta ovviamente inteso, in ogni caso, che,
nella prima ipotesi, dovrà trattarsi di strumenti finanziari emessi a fronte di
apporti fungibili, in quanto altrimenti non sarebbe possibile attribuirli ad un
soggetto diverso dal loro titolare (44); e che, nella seconda ipotesi, l’esercizio
della conversione in azioni sarà subordinato alla copertura del capitale per cui
potrà essere utilizzato l’apporto già destinato alla società, a condizione che esso
abbia una natura compatibile con quella delle entità conferibili nella società per
azioni: la possibilità poi che il riscatto “sopravviva” alla conversione dipenderà
dunque da come tale aspetto è stato disciplinato nello statuto.
loro imputazione al capitale sociale, il dibattito sorto in relazione alle società di persone circa la
rimborsabilità del valore di tali conferimenti in occasione della liquidazione della società».
(44) Cfr. M. MIOLA, I conferimenti, p. 300.
290
CAPITOLO QUARTO
LE AZIONI REDIMIBILI
SOMMARIO: 1. Premessa. Nozione di «azioni redimibili» e sua coerenza con altri
istituti introdotti dalla riforma del diritto societario. Il rapporto tra le azioni
redimibili e le azioni riscattabili. – 2. Le funzioni delle azioni redimibili:
premessa. – 2.1 Le operazioni di «private equity»: le azioni redimibili come
strumento alternativo al ricorso ad accordi di smobilizzo aventi natura
obbligatoria. – 2.2 Le azioni redimibili come strumento di copertura
finanziaria dei piani di «stock options» e in funzione di integrazione societaria. –
3. L’inquadramento della fattispecie: premessa. – 3.1 Le azioni redimibili nella
dottrina precedente e successiva alla riforma del diritto societario. – 3.2
L’emissione di azioni redimibili non è impedita dal silenzio dell’art. 2437-sexies
c.c.. L’individuazione della disciplina applicabile alle azioni redimibili. La tesi
dell’applicazione (analogica) dell’art. 2437-sexies c.c..Critica. – 3.3. Le azioni
redimibili come fattispecie tipica. Critica. Le azioni redimibili come fattispecie
atipica. I limiti discendenti dall’applicazione dell’art. 2348 c.c.. – 4. La
disciplina delle azioni redimibili: premessa. – 4.1 Le azioni redimibili come
«categoria» e come «azioni». – 4.2 I presupposti ai quali può essere richiesto il
riscatto delle azioni redimibili. – 4.3 Il rapporto con la disciplina del recesso:
la natura atipica della fattispecie ne consente la disapplicazione. – 4.4 La
disciplina dell’acquisto delle azioni proprie. La tutela dei creditori nel caso di
riscatto nei confronti della società. L’esperienza comparatistica. Error!
Bookmark not defined.– 5. Le azioni redimibili “ad tempus”: impostazione
del problema. Un confronto con i c.d. patti di «smobilizzo» della
partecipazione. – 5.1 Argomenti contrari alla violazione del divieto del patto
leonino. – 5.2 L’emissione di azioni redimibili e loro “combinazione” con le
limitazioni al diritto di voto. – 6. Le azioni con diritto al riscatto emesse da
società quotate. Gli strumenti finanziari partecipativi con diritto al riscatto.
1. Premessa. Nozione di «azioni redimibili» e sua coerenza con
altri istituti introdotti dalla riforma del diritto societario. Il rapporto tra le
azioni redimibili e le azioni riscattabili.
Nel corso del I capitolo, si è avuto modo di constatare come la
letteratura economica – in particolare di matrice anglosassone– abbia, in più
occasioni, enfatizzato l’efficienza di forme convenzionali di disinvestimento
della partecipazione azionaria (1); in occasione dell’analisi dell’art. 2437-sexies
c.c. si è cercato invece di mettere in luce come – tra le funzioni astrattamente
iscrivibili alle azioni riscattabili – non rientri quella di smobilizzo
dell’investimento, in quanto il potere di riscatto è riconoscibile in capo a
(1) Si veda, supra, cap. I, § 3.
291
CAPITOLO IV
soggetti diversi dai titolari delle azioni riscattabili (2). Si è anche osservato come
l’incremento del grado di autonomia statutaria e la possibilità di articolare il
capitale sociale attraverso l’emissione di tipologie differenziate di azioni (3)
dovrebbe consentire un più facile e meno costoso reperimento delle risorse
necessarie alla nascita e allo sviluppo delle imprese. E’ d’altro canto questo lo
scopo perseguito da alcuni istituti di nuova introduzione che spaziano dalla
facoltà di alterare, in diversa misura, il principio di proporzionalità della
partecipazione (artt. 2346, comma 4 e 2351, c.c.) (4), alla facoltà di emettere
strumenti finanziari partecipativi a fronte di apporti non imputabili a capitale
(artt. 2346 e 2349 c.c.).
A questo riguardo, si può dunque prendere in considerazione la
fattispecie delle c.d. «azioni redimibili». Con tale termine si vogliono indicare
titoli rappresentativi di capitale di rischio configurati in modo tale da attribuire,
ai loro rispettivi titolari, la potestà di farseli riscattare; al contrario, di quanto accade
nella fattispecie regolata dall’art. 2437-sexies c.c., quindi, a ritrovarsi in una
posizione di soggezione sarebbero la società o i soci diversi dai titolari di queste
(2) Si veda, supra, cap. II, § 4.
(3) Sul punto, C.F. GIAMPAOLINO, Le azioni, p. 1 e ss. e spec. p. 5 il quale ha ben
presente il rapporto tra fonti di finanziamento dell’impresa e categorie speciali di azioni,
laddove rileva che «La novella consente ora alla società di modulare il reperimento di mezzi
finanziari tramite emissioni di azioni e altri titoli in quanto consente di prevedere, anche non
nella stessa emissione, l’abolizione o l’alterazione del diritto di voto e l’attribuzione di diritti
patrimoniali speciali», anche se tale nuova impostazione potrebbe determinare «una potenziale
crisi della relazione fiduciaria con gli amministratori, per i casi di contrasto tra gli interessi degli
azionisti delle singole categorie, sia del vincolo giuridico tra i soci derivante dalle deliberazioni,
fondato sull’omogeneità dell’interesse determinato in assemblea mentre, in caso di emissioni
speciali, la situazione soggettiva patrimoniale e quella organizzativa possono essere
diversamente regolate rispetto a quelle previste nel codice civile»; solleva qualche critica nei
confronti di una eccessiva libertà nella articolazione del capitale, M. DE ACUTIS, Il finanziamento,
p. 260.
(4) Ad esempio attraverso l’assegnazione di azioni in misura non proporzionale ai
conferimenti (2346, comma 4): v. P. FERRO-LUZZI, La «diversa ssegnazione delle azioni» (art. 2346,
comma 4°, c.c.), in Il nuovo diritto societario. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P.
Abbadessa e G.B. Portale, 1, Milano, 2006, p. 583 e spec. p. 584 il quale riconosce che la
norma in questione «ha…causa in rapporti tra soci cui la società resta estranea, di tal che non
riguardano la società, ma soltanto i soci, le successive vicende che tale diversa assegnazione
può comportare, quale ad esempio il venir meno dei presupposti sulla base dei quali i soci
decisero una assegnazione non proporzionale, così come la rilevanza che la diversa
assegnazione può assumere sotto il profilo di un atto di liberalità (tra soci) o anche,
ipotizziamo, un atto di violazione dei diritti dei legittimari; si tratta di problemi cui la società
resta estranea»; o, ricorrendo ad una modulazione del diritto di voto differenziata (art. 2351): si
consenta il rinvio a A. ANGELILLIS- M.L. VITALI, Art. 2351.
292
Azioni riscattabili
azioni. Gli elementi della fattispecie in questo caso sono rappresentati da un
potere, incorporato in azioni (redimibili) e consistente nell’imporre il riscatto
delle azioni alla società o ai soci; analogamente a quanto visto per le azioni
riscattabili, le azioni di questi ultimi sarebbero a loro volta caratterizzate
dall’obbligo di dovere acquistare, al verificarsi di una determinata condizione, le
azioni redimibili detenute dagli altri soci.
L’emissione di azioni redimibili dovrebbe per l’appunto essere
finalizzata al richiamo di nuovi investimenti, consentendo ai sottoscrittori, in
un primo momento, di finanziare la società e, successivamente, di smobilizzare
rapidamente le proprie azioni. A prima vista essi si avvicinano ad ipotesi di
finanziamenti, senza tuttavia comportare per la società gli alti costi di
transazione connessi con la negoziazione finalizzata all’erogazione di credito e
al rilascio di garanzie (5).
Oggetto del presente capitolo è pertanto lo studio della fattispecie delle
azioni redimibili, rispetto alla quale si pongono alcune questioni di un certo
interesse. La prima riguarda le funzioni che possono essere perseguite dalle
azioni redimibili. Si tratta poi di ripercorrere brevemente le opinioni registratesi
sulla fattispecie prima e dopo la riforma del diritto societario; e, inoltre, di
individuare la disciplina che regola la fattispecie, chiedendosi, in particolare, se
le azioni redimibili siano governate dall’art. 2437-sexies c.c. oppure se la sua
disciplina debba essere “derivata” da principi generali insiti nel sistema.
Per chiarezza si precisa che, in considerazione della schema secondo il
quale le azioni redimibili dovrebbero funzionare – simmetrico, ma opposto,
rispetto a quello delle azioni riscattabili – verranno opportunamente richiamati,
di tanto in tanto, alcuni temi che sono già stati esaminati in occasione
dell’analisi della fattispecie di cui all’art. 2437-sexies c.c., ma che potrebbero
(5) I costi sopportati dalle imprese derivanti dalla sottoscrizione di contratti di
finanziamento messa in luce dalla dottrina straniera: v. R. CRANSTON, Principles of banking law,
Oxford, 2003, p. 296 e ss, che descrive tutti le fasi della negoziazione (individuazione della
banca finanziatrice, redazione del documento preliminare (c.d. «offer document», «heads of
agreement» o «committed letter»), conferimento dell’incarico alla banca arranger per sindare il
finanziamento, negoziazione delle clausole del contratto di finanziamento e concessione di
garanzie; anche P. WOOD, International Loans, Bonds and Securities Regulation, London, 1995,
passim.
293
CAPITOLO IV
risultare utili anche per la presente analisi.
2. Le funzioni delle azioni redimibili: premessa
Una tipologia di azioni che consenta un rapido disinvestimento della
partecipazione rivestirebbe importanti effetti pratici, evidenti, in modo
particolare, nell’ambito di operazioni di investimento a medio termine. Al
riguardo, si è visto nello svolgimento del capitolo I come le teorie sviluppate
nell’ambito dell’analisi economica del diritto abbiano riguardato tali tipi di
strumenti (compulsory redemption shares, puttable shares, preferred convertible stocks, put
options) come mezzi in grado di conciliare gli interessi degli imprenditori e degli
investitori. Il principale beneficio di strumenti finanziari finalizzati allo
smobilizzo della partecipazione sarebbe infatti quello di abbattere i costi di
agenzia connessi alla necessità degli azionisti di monitorare la condotta del
management; quest’ultimo potrebbe infatti essere “sanzionato” attraverso
l’esercizio di una opzione che comporti l’acquisto forzoso dei titoli da parte del
gruppo di controllo (di cui gli amministratori “inefficienti” sono espressione) o
della stessa società. Un altro effetto sarebbe rappresentato dall’abbattimento
dei costi di transazione: non vi sarebbe infatti la necessità di negoziare tra le parti
ove ad una di esse fosse assicurato uno strumento per liquidare il proprio
investimento. La concessione al socio finanziatore di una via di uscita
preferenziale “compenserebbe”, infine, l’esistenza di asimmetrie informative in
quanto è chiaro che il socio imprenditore ha il controllo dei flussi informativi e
una maggiore padronanza delle conoscenze tecniche strumentali ad un buon
funzionamento dell’impresa.
Questi aspetti ben si manifestano nell’ambito di operazioni finanziarie
anche molto complesse e per lo più attuate da fondi comuni di investimento.
2.1. Le operazioni di «private equity»: le azioni redimibili come strumento
alternativo al ricorso ad accordi di smobilizzo aventi natura obbligatoria.
Il ruolo strategico rivestito da una categoria di azioni che incorpori il
diritto al disinvestimento potrebbe essere innanzitutto apprezzato nel contesto
294
Azioni riscattabili
di operazioni di c.d. «private equity» (6), sia quando l’investimento si traduca nella
formula del «venture capital» e sia quindi legato all’avvio di un’impresa, sia
quando esso viene effettuato a favore di realtà aziendali più mature e collegato
allo sviluppo o alla ristrutturazione di imprese (7). La sottoscrizione di azioni
(6) Il mercato del private equity in Italia sta registrando forti incrementi sia dal punto di
vista delle risorse investite, sia da quello delle operazioni effettuate, sia, infine, sotto il profilo
del numero di imprese coinvolte. Dati aggiornati al 2003 (anno in cui sono iniziate le
rilevazioni ufficiali di settore) riportano un investimento complessivo di 3 miliardi di euro a
fronte del perfezionamento di 336 operazioni con il coinvolgimento di 266 imprese (i dati sono
tratti da R. DEL GIUDICE, L’evoluzione recente del mercato italiano ed internazionale del private equity e
venture capital, in A. GERVASONI - F.L. SATTIN, Private equity e venture capital, Milano, 2004,
p. 50. Secondo i dati raccolti dall’Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, il
primo semestre del 2006 ha registrato una lieve flessione rispetto al 2003, anche se il totale
degli investimenti ammonta a poco meno di 1 miliardo di euro a fronte di circa 120 operazioni
(e ciò senza considerare le operazioni di c.d. «buy out», conteggiate nella statistica di Del
Giudice); mentre l’ammontare dei disinvestimenti e del valore delle partecipazioni cedute,
calcolate al costo di acquisto, ha raggiunto un ammontare superiore ai 500 milioni di euro, con
un incremento di circa il 71% rispetto al primo semestre del 2005. Di tale percentuale
solamente il 22% dei disinvestimenti è stato effettuato tramite il ricorso al mercato borsistico.
Tutti i dati riportati sono consultabili sul sito www.aifi.it. Anche a livello comunitario si
riscontra una certa sensibilità per il finanziamento delle imprese attraverso investimenti operati
da fondi: si vedano, sul punto, Final Report of the EU-US Working Group on Venture Capital e Best
practices in early stage equity-financing, entrambi consultabili sul sito www.ec.europa.eu.
Significativo pare anche un passaggio del documento di BANCA DI ITALIA,
Considerazioni Finali – Assemblea Ordinaria dei Partecipanti del 1 maggio 2007, consultabile sul
sito www.bancaditalia.it, che mette in luce le funzioni svolte dai fondi di investimento, con
particolare riferimento alla struttura proprietaria delle imprese italiane «La presenza in Italia del
private equity si sta ampliando, sebbene il volume delle operazioni resti molto inferiore a quello
degli altri principali paesi europei. Tra il 2003 e il 2006 il numero delle società di gestione
italiane è salito da 26 a 49; i mezzi fi nanziari per i fondi da 3 a 6 miliardi. Cresce soprattutto la
presenza degli operatori non appartenenti a gruppi bancari o assicurativi, che nel 2006 hanno
superato la metà del totale dei mezzi investiti. Gli intermediari specializzati nel capitale di
rischio possono agevolare la crescita delle piccole e medie imprese, contribuire al
rafforzamento della struttura manageriale, favorire l’accesso ai mercati di borsa, accompagnare
il ricambio generazionale. La proprietà familiare è un asse portante del nostro capitalismo;
l’identifi cazione dell’imprenditore con l’impresa è un motore di sviluppo. Proprio per questo
sono essenziali gli strumenti che ne agevolano il ricambio, se necessario. Quando la proprietà
familiare perde il gusto del rischio creativo, quando la ricchezza investita nell’azienda comincia
a essere vista solo come fonte di rendite o di benefi ci privati del controllo, l’immobilismo
proprietario può diventare un freno alla crescita dell’impresa, la avvia al declino. È allora che
maggiore diviene per l’impresa il bisogno di questi intermediari; massimo il guadagno
potenziale che tutti realizzerebbero con un cambio della guardia; massima, a volte, anche la
resistenza dei proprietari. Vi è uno stretto legame tra la diff usione degli intermediari
specializzati e lo sviluppo della borsa. Oltre un terzo delle aziende italiane che si sono quotate
tra il 1995 e il 2006 è stato assistito da operatori di private equity, ampliando un accesso al
mercato borsistico che in Italia è fi nora rimasto per lo più limitato alle imprese di grandi
dimensioni, ed è molto al di sotto, per capitalizzazione, rispetto agli altri paesi industriali».
(7) Per una chiara distinzione terminologica si rinvia a A. GERVASONI, Inquadramento,
p. 15 e ss. che segnala come «…con l’espressione «venture capital» si definiva l’apporto di capitale
azionario, o la sottoscrizione di titoli convertibili in azioni, da parte di operatori specializzati, in
un’ottica temporale di medio-lungo termine, effettuati nei confronti di imprese non quotate e
295
CAPITOLO IV
redimibili garantirebbe al titolare una sorta di garanzia rispetto all’investimento
effettuato e all’emittente l’afflusso di risorse finanziarie a un costo più basso
rispetto al ricorso al credito (8). Si considerino, a questo riguardo, i seguenti
esempi.
Il primo. Il business plan della società Alfa contempla lo sviluppo di un
nuovo prodotto, brevettabile, nel settore delle biotecnologie. Il socio di
maggioranza – che detiene il know how per lo sviluppo del prodotto – necessita
di reperire in breve tempo risorse finanziarie per la costruzione di nuovi
laboratori oltre che per l’ingaggio di tecnici di fama. Un fondo di investimento
è interessato ad entrare nella compagine sociale con una partecipazione di
minoranza ma desira, nello stesso tempo, proteggersi dal rischio economico
potenzialmente derivante sia dalla novità dell’iniziativa imprenditoriale sia dalla
difficoltà di disinvestimento dovuto alla scarsa appetibilità delle azioni, non
ancora quotate (9).
con elevato potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie,
nuove concezioni di mercato. Nell’ambito di tale definizione, la partecipazione veniva
generalmente intesa come temporanea, minoritaria e finalizzata, attraverso il contributo
congiunto di know how non solo finanziario, allo sviluppo dell’impresa, all’aumento del suo
valore e alla possibilità di realizzazione di un elevato capital gain in sede di dismissione»;
peraltro l’attività di private equity «… viene suddivisa, in funzione della tipologia di operatore
che la pone in essere, tra venture capital e operazioni di buy out. All’interno dell’attività svolta dai
venture capital funds è possibile individuare due sottoclassi, che identificano a loro volta
numerose tipologie di investimenti. Si parla, infatti, di early stage financing per indicare il
finanziamento delle imprese nei primi stadi di vita, mentre si fa riferimento all’expansion financing
per indicare gli interventi effettuati in imprese già sviluppate e mature, che necessitano di
capitali per consolidare la crescita». L’attività di venture capital, dunque, si sostanzierebbe in una
sorta di sotto insieme del più ampio ambito del private equity finalizzata, generalmente, al
finanziamento di investimenti all’inizio della vita delle imprese; riff. anche in B. SZEGO, Il
venture capital, p. 16, dove si sottolinea come «L’apporto finanziario del venture capitalist è
indirizzato verso imprese non quotate, giovani o ancora da costituire, generalmente orientate a
business particolarmente innovativo e ad alto potenziale di sviluppo tali da consentire, in
prospettiva, un considerevole aumento del valore dell’investimento»; EA., Finanziare
l’innovazione: il venture capital dopo la riforma del diritto societario, in Riv. dir. comm., 2005, p. 821 e
ss. e spec. p. 861-862, ove l’A. riprende le considerazioni svolte nel lavoro precedentemente
citato valutandole alla luce della riforma del 2003 ove si afferma, pur in via dubitativa, che le
azioni riscattabili “al contrario” potrebbero rappresentare un efficace strumento di liquidazione
dell’investimento.
(8) V., E.M. DODD JR., Purchase and Redemption, p. 730 il quale rileva che «…tolerable
where the corporation i san investment company whose business is merely to purchase and hold a pool of liquid
securities, such provisions are loaded with dynamite when mase use in the financing of industrial enterprises
which cannot function successfully if a substantial part of their capital is subject to sudden withdrawal».
(9) Per alcune considerazioni in merito al ruolo giocato dai fondi di private equity nello
sviluppo di nuove tecnologie e dell’innovazione in generale, anche in un’ottica di analisi
296
Azioni riscattabili
Il secondo. Un fondo di investimento sottoscrive una quota parte del
capitale sociale della società Beta il cui azionista di controllo ha espresso, sin
dalle prime fase della negoziazione, la volontà di intraprendere la procedura di
quotazione in borsa. La negoziazione dei titoli sul mercato chiaramente
garantirebbe al fondo una via per liquidare la propria partecipazione (10).
Nella prima situazione, la sottoscrizione di azioni riscattabili redimibili
rappresenterebbe – in particolare per il fondo di investimento – una valida
alternativa al ricorso alla tecnica del c.d. «stage financing» le cui caratteristiche si
sono sviluppate nell’ambito di operazioni di finanza straordinarie effettuate
nell’ordinamento americano. In quest’ultimo, infatti, è possibile per un fondo
comune di investimento erogare un finanziamento a favore della società; il
contratto prevede generalmente la concessione a quest’ultima di più linee di
credito e dispone, peraltro, che le erogazioni successive alla prima siano
sospensivamente condizionate al raggiungimento di determinati obiettivi fissati
nel business plan e nel term sheet sottoscritto dalla parti e, in ogni caso, oggetto di
una valutazione periodica da parte del creditore. Nonostante quest’ultimo
possa limitare la propria esposizione al rischio decidendo di non erogare le
ulteriori tranches del finanziamento, è stato recentemente messo in luce come
questa modalità di investimento sia progressivamente sostituita da altre forme
di investimento rappresentando, da un punto di vista economico, una
economica del diritto, si rinvia al lavoro di R.J. GILSON, Engineering a Venture Capital Market:
Lessons fron the American Experience, in 55 Stan. L. Rev., 2002-2003, p. 1067 e ss., per cui «The
venture capital market and firms whose creatuin and early stages were financed by venture
capital…have been a major force in commercializing cutting-edge science, whether through
their impact on existing industries as with the radical changes in pharmaceuticals catakyzed by
venture-backed firms’ industries as with the emergence of the Internet and World Wide Web»
il che non impedisce ai fondi di investimento e agli imprenditori di incorrere nei tre tipici
problemi che affrontano tutti gli attori di un rapporto contrattuale ovvero «uncertanty,
information asymmetry, and opportunism in the form of agency costs» con l’unica differenza
che «investing in early stage, high technology companies presents these problems in an extreme
form»; v., anche, S. KORTUM - J. LERNER, Assessing the Contribution of Venture Capital to Innovation,
31 Rand J. Econ., 2000, p. 674 e ss.; cfr. L. BOTTAZZI - M. DA RIN, Venture Capital in Europe and
the Financing the Innovative Companies, 17, Econ. Pol., 2002, p. 231.
(10) Cfr., R. DEL GIUDICE, Il processo di disinvestimento, in A. GERVASONI E F. SATTIN,
Private equity e venture capital, Milano, 2004, p. 339 e ss.; J.A. MC CAHERY - E.P.M.
VERMEULEN, Corporate Governance, p. 47; C.J. MAILANDER, Searching for Liquidity: United Stated
Exit Strategies for International Private Equity Investment, 13 Am. U. Int’l L. Rev., 71, 1997-1998;
R.D. STILLMAN, Alternate Exit Strategies for International Private Equity, ivi, p. 133.
297
CAPITOLO IV
potenziale fonte di effetti negativi sia per il creditore sia per la società
beneficiaria del finanziamento (11). Nel caso in cui, ad esempio, l’assemblea
della società deliberi un aumento di capitale riservato al socio investitore ai
sensi dell’art. 2441, comma 5 c.c. per effetto del quale siano emesse azioni
riscattabili ad opzione di quest’ultimo alla maturazione di determinate scadenze
i vantaggi sarebbero evidenti. Rispetto allo scenario sopra prospettato, si
garantirebbe al venture capitalist di incidere sulle strategie dell’impresa tramite
l’esercizio del diritto di voto, di monitorare, in maniera più diretta, la condotta
del socio di controllo (cui probabilmente sarà anche affidata la gestione); di
alienare la partecipazione ad un altro fondo di investimento anche prima che
maturino i periodi previsti dalla delibera di emissione per l’esercizio del riscatto
(12); e, infine, di uscire dalla compagine sociale liquidando il proprio
investimento
in
tempi
predeterminati
e,
quindi,
indipendentemente
dall’apprezzamento del titolo.
Anche nel secondo esempio, peraltro, le azioni redimibili potrebbero
giocare un ruolo determinante nella protezione dell’investitore per l’ipotesi di
mancata quotazione delle azioni (13). Gli accordi di investimento, che
(11) Tanto è vero che «convertible preferred stock can attenuate the window dressing problem» e
che «syndicating investments can serve to alleviate the hold up problem of the venture capital» ovvero i
problemi connessi, rispettivamente, con le politiche di breve termine adottate dall’imprenditore
e con l’eventuale rapida dismissione della partecipazione da parte del ventur capitalist: sul
punto, v. J.A. MC CAHERY - E.P.M. VERMEULEN, Corporate Governance, pp. 44-45, per i quali il
ricorso alla tecnica dello «stage financing» incentiverebbe comportamenti opportunistici
dell’imprenditore il quale, al fine di garantirsi erogazioni delle linee del finanziamento
successive alla prima, sarebbe pronto a «…manipulate short-term performance either by emphasizing the
conditions that affect the valuation more favourably or by focusing on short-term goals», sia dell’investitore il
quale, potendo influenzare la valutazione del merito di credito del proprio debitore presso altri
potenziali finanziatori, «…can misuse his bargaining power by extracting additional returns at the expense
of the entrepeneur. Moreover, if the expected return is not sufficient to cover the opportunity costs of time,
knowledge, and capital, the venture capitalist can choose to prematurely liquidate a venture that has economic
value»; anche P.A. GOMPERS, Optimal Investment, Monitoring, and the Staging of Venture Capital, in
The Journal of Finance, Vol. 50, No. 5. (Dec., 1995), pp. 1461-1489.
(12) La liquidazione totale dell’investimento (c.d. «write off») tramite la cessione ad un
altro fondo di private equity «…rappresenta di fatto una tipologia di cosiddetto secondary buy out» il
quale generalmente si verifica «…[alla] conclusione della fase di un ciclo di vita dell’azienda e
dalla necessità da parte di questa di intraprendere un nuovo percorso, con un nuovo partner»: v.
R. DEL GIUDICE, Il processo, p. 363.
(13) La preoccupazione per il socio imprenditore è quella di giungere il più
rapidamente possibile alla quotazione in quanto «…a successful IPO allows the young venture
capitalists to send a quality signal about their ability to potential investors»: così J.A.
MCCAHERY - E.P.M. VERMEULEN, Corporate Governance, p. 48.
298
Azioni riscattabili
generalmente vengono sottoscritti tra un socio imprenditore e un socio
investitore in vista dell’ingresso di quest’ultimo nella compagine sociale (14),
prevedono tra l’altro la nomina congiunta, entro un certo periodo di tempo, di
un advisor incaricato di gestire la procedura di quotazione delle azioni della
società; contemplano inoltre anche clausole di opzione put che attribuiscono la
facoltà per il socio finanziatore di alienare le proprie azioni al socio
imprenditore (15). La prassi dimostra come – specialmente nelle ipotesi di
(14) Con tali accordi il soggetto destinato a rivestire il ruolo di socio-investitore si
impegna generalmente a sottoscrivere l’aumento di capitale deliberato dal socio di controllo e
riservato al primo per effetto dell’esclusione del diritto di opzione ai sensi dell’art. 2441,
comma 6, c.c.. In altre ipotesi, invece, oggetto del contratto è la cessione dei diritti di opzione
di un socio ad un soggetto terzo rispetto alla compagine sociale, previa rinuncia degli altri soci
al diritto di prelazione spettante sulle azioni rimaste inoptate. Si pensi, ad esempio, ad una
fattispecie in cui alcuni soci originari desiderino sottoscrivere parzialmente il capitale sociale,
rinunciando tuttavia ad esercitare parte dei diritti di opzione sulle azioni di nuova emissione
che intendono cedere a un nuovo soggetto. In questo caso i soci originari dovranno
impegnarsi, in primo luogo, a sottoscrivere parte delle azioni emesse a fronte dell’aumento di
capitale (prevedendo, ad esempio, una pattuizione del genere «A seguito della delibera di
Aumento di Capitale di cui al precedente paragrafo (…), i Soci, ad eccezione dei signori (…) e
(…), si impegnano, ciascuno per quanto di propria competenza, a sottoscrivere parzialmente e
versare l’Aumento di Capitale secondo le modalità e nella misura di cui ai successivi paragrafi.
La sottoscrizione ed il versamento dovranno essere effettuati entro e non oltre il giorno (…)»).
E’ poi necessario prevedere la rinuncia al diritto di prelazione spettante per le azioni rimaste
inoptate: la clausola potrebbe essere così articolata «Nell’assemblea di cui al precedente
articolo(…), i soci si impegnano: (i) a rinunciare al deposito presso il Registro delle Imprese
competente dell’offerta di opzione di cui all’articolo 2441, secondo comma, codice civile; e (ii)
a rinunciare, con riferimento ai diritti di opzione esercitati, al diritto di prelazione loro spettante
sulle azioni rimaste inoptate ai sensi dell’articolo 2441, terzo comma, codice civile, anche al fine
di favorire l’ingresso del socio (…) nel capitale sociale della Società. Di entrambe tali rinunce si
darà atto nel verbale dell’Assemblea Straordinaria». L’accordo deve ovviamente contemplare
anche la cessione del diritto di opzione e il corrispondente obbligo di esercitarlo per il neo
socio: tale fine sono raggiungibili prevedendo, ad esempio, che «Nei termini e alle condizioni
infra specificate, i soci (…) e (…) si impegnano, ciascuno per quanto di propria competenza, a
cedere a (…), che si impegna ad acquistare, i diritti di opzione non esercitati ai sensi del
precedente paragrafo (…) secondo le modalità e nei termini qui di seguito indicati. La cessione
dovrà avvenire contestualmente alla parziale sottoscrizione dell’Aumento di Capitale di cui al
precedente paragrafo (…) da parte del socio (…) e del socio (…) e comunque entro e non oltre
il (…)».
(15) Un esempio di clausola contrattuale attributiva di un’opzione put esercitabile
nell’ipotesi di mancato perfezionamento della procedura di quotazione potrebbe assumere il
seguente tenore «L’opzione di vendita ai sensi dell’art. 1331 potrà essere esercitata dal Tizio
esclusivamente nelle seguenti ipotesi (a) nel caso in cui il consiglio di amministrazione della
società non abbia conferito all’advisor un incarico preliminare finalizzato a vagliare le
possibilità per iniziare la procedura di quotazione; (b) nel caso in cui il consiglio di
amministrazione della società non abbia conferito il mandato all’advisor finanziario entro il
termine di cui al paragrafo (…); (c) nel caso in cui il consiglio di amministrazione della società
non abbia deliberato l’avvio della procedura di quotazione entro il termine di cui al paragrafo
(…); (d) nel caso in cui non intervenga l’inizio della negoziazione delle azioni della società su di
299
CAPITOLO IV
società neo costituite – l’ammissione delle azioni alla quotazione – e quindi alla
negoziazione – richieda un termine più lungo di quello generalmente previsto
nell’accordo e che potrebbe pregiudicare il socio investitore (16). L’emissione di
azioni redimibili, consentirebbe a quest’ultimo la possibilità di dismettere la
propria partecipazione anche per il caso di mancata quotazione delle azioni sul
mercato e, soprattutto, anticipatamente rispetto alla maturazione del termine
finale negoziato dalle parti per il perfezionamento della procedura di
quotazione.
La
legittima
emissione
di
azioni
riscattabili
al
contrario
rappresenterebbe pertanto uno strumento – dotato di efficacia reale e
svincolato dai limiti temporali di durata previsti dalla disciplina dei patti
parasociali (art. 2341- bis e 2341-ter) (17) – di estrema utilità tanto per gli
un mercato regolamentato e gestito da Borsa Italiana S.p.A., entro (…) anno/i dall’assunzione
della delibera di quotazione».
Quando le parti si sono vincolate a non trasferire le proprie azioni per un certo
periodo (accordi di c.d. «lock up») trascorso il quale, tuttavia, desiderano identificare meccanismi
di disinvestimento la clausola può essere formulata nei seguenti termini: «Le Parti riconoscono
e convengono che, decorso il periodo di lock up, si dovrà favorire ed attuare una soluzione volta
a consentire a tutte o ad alcune delle Parti di dismettere, in tutto o in parte, i propri Titoli nella
Società. Tale soluzione si articolerà, alternativamente, in una delle seguenti ipotesi: (a) richiesta
di ammissione della Società alla quotazione in un mercato regolamentato (la “Quotazione”);
ovvero (b) acquisto congiunto da parte del socio Tizio e del socio Caio delle azioni detenute da
tutte le altre parti nella Società; ovvero (c) acquisto da parte di una delle parti delle azioni
detenute da tutte le altre Parti nella Società a seguito di gara; (d) dismissione del 100% delle
azioni rappresentanti il capitale sociale della Società; (e) esercizio dell’opzione put da parte del
socio Sempronio»
Nella letteratura straniera si veda D.J CUMMING - J.G. MACINTOSH, A Cross Country,
p. 11-12; descrive ed analizza l’articolata procedura di quotazione, M. DE MARI, La quotazione di
azioni nei mercati regolamentati:profili negoziali e rilievo organizzativo, Torino, 2004, p. 1 e ss.
(16) Descrive ed analizza l’articolata procedura di quotazione, M. DE MARI, La
quotazione di azioni nei mercati regolamentati:profili negoziali e rilievo organizzativo, Torino, 2004, p. 1 e
ss.
(17) V. le considerazioni di M. NOTARI, Le categorie speciali, p. 611 ove si afferma che
«…è proprio la disciplina dei patti parasociali che funge da energetico propulsore di questa
«migrazione» dal parasociale al sociale: è di immediata evidenza, infatti, che in tutti i casi in cui
sussiste – in fatto e in diritto – l’alternativa tra il patto parasociale e la clausola statutaria,
quest’ultima beneficia della possibilità di essere pattuita per l’intera durata della società, mentre
il patto parasociale è ora soggetto al termine massimo quinquennale imposto in via
inderogabile dal nuovo art. 2341-bis, comma 1°, c.c. E quando la preferenza volge al sociale in
lugo del parasociale…è assai frequente, sebbene non scontato, che la modalità per
«statutarizzare» il patto parasociale sia proprio quello della creazione di categorie speciali di
azioni – ciascuna delle quali assegnata ad una parte del patto – cui vengono in sostanza
attribuiti i diritti e le prerogative spettanti (o che sarebbero spettate) ai contraenti del patto
parasociale». E’ proprio questo il meccanismo che consente, probabilmente, di raggiungere i
medesimi effetti dei patti parasociali che, come noto, riconoscono determinati diritti o
300
Azioni riscattabili
investitori quanto per gli imprenditori: per i primi, in quanto consentirebbe una
rapida liquidazione dell’investimento che – rispetto allo strumento dei patti
parasociali – non comporterebbe limiti temporali (18); per i secondi, in quanto
garantirebbe una equilibrata riallocazione del controllo sulla società
consentendo di ritrasferire in capo al socio imprenditore la partecipazione
inizialmente ceduta al socio investitore o diluitosi in seguito alla sottoscrizione
di un aumento di capitale riservato a quest’ultimo (19).
prevedono determinati obblighi per i soci paciscenti individuando i destinatari degli uni e degli
altri su base nominativa. Medesime pattuizioni, infatti, possono essere previste negli statuti ove,
invece di individuare nominativamente i soci, si potranno disciplinare diverse azioni o categorie
di azioni incorporanti diritti o obblighi, attribuendole poi ad un socio piuttosto che ad un altro.
(18) Il punto è ben chiarito da G. RESCIO, I Patti parasociali, pp. 453-454. L’a.
sottolinea, in particolare, il rischio di interferenze tra accordi parasociali nei quali non sia
prevista una clausola di cessazione nel vincolo in caso di uscita di uno o più soci paciscenti
dalla società ed esercizio del diritto di exit in quanto «il vincolo derivante dal patto
parasociale…resta in capo a chi lo assume anche quando questi non fosse più socio. Quel
vincolo, infatti, non inerisce alla partecipazione sociale e si traduce in un obbligo assunto a
titolo personale rispetto al quale la disponibilità della partecipazione e dei diritti che essa
assicura si pone quale mezzo o condizioni per l’adempimento. Se in tal modo ci si obbliga a
votare per un aumento di capitale…occorre disporre di una partecipazione dotata del diritto di
voto…per poter adempiere».
(19) Lo squilibrio nel rapporto risorso finanziarie investite/potere decisionale è
ricollegabile al fatto che il socio investitore viene spesso “compensato” per la sua
partecipazione al capitale della società tramite l’attribuzione di un peso nell’assemblea dei soci
sproporzionato rispetto alla frazione del capitale effettivamente detenuta: la sua uscita dalla
compagine sociale comporta chiaramente un riequilibrio degli assetti. Il punto è ben presente a
R.J. GILSON, Engineering a Venture, p. 1073, il quale sottolinea la circostanza per cui «A critical
feature of the governance structure created by the venture capital fund’s investment in the portfolio company is the
disproportionate allocation of control to the fund. In direct contrast to the familiar Berle-Means governance
structure of outside investors having disproportionately less control than equity, the governance structure of a
venture capital-backed early stage, high technology company allocates to the venture capital investors
disproportionately greater control than equity. It is common for venture capital investors to have the right to
name a majority of a portfolio company’s directors even though their stpck represents less than a majority of the
portfolio company’s voting power»; cfr., anche, P. GOMPERS, Ownership and Control in Entrepreneurial
Firms: an Examination of Convertible Securities in Venture Capital Investments, 2, p. 314-315, in
Harvard Business School, 1997, (Working Paper), p. 3 il quale afferma che «While many theories of
financial instruments have been developed around optimal control allocation, the use of cash flow allocation to
determine control right allocation may not be optimal in a venture capital setting. Other contractual measures
can address the issue of control rights. Contracts often give the venture capitalist the right to control the board of
directors, approve major expenditures, and limit new security issuances. I examine these explicit control rights
and explore how they alleviate various conflicts between venture capitalists and entrepreneurs» e con specifico
riferimento al riscatto di azioni «Covenants and restrictions in the convertible preferred documents showed
considerable variation. In each contract, acquisitions were treated like liquidations. Convertible preferred
shareholders would receive highest priority and receive the return of their total investment before the common
shareholders receive anything in all cases. Over half (66%) combined the claims of the convertible preferred and
common in any claim after the initial amount given back to the convertible shareholder, essentially superpriority.
4 54% of the contracts gave the common some specified pay off before the residual claims of the preferred and
common were lumped together. In addition, over half of the contracts (68%), gave the venture investors optional
redemption rights. These optional redemption rights give venture investors the ability to put the stock to the
301
CAPITOLO IV
2.2 Le azioni redimibili come strumento di copertura finanziaria dei piani di
«stock options» e in funzione di integrazione societaria.
Se lo scopo ultimo dell’emissione di azioni redimibili dovrebbe
consentire ai sottoscrittori un rapido smobilizzo della partecipazione, la prassi
registra anche alcune operazioni in cui lo strumento è stato utilizzato al fine di
ottenere la copertura di piani di «stock options», oppure per facilitare operazioni
di integrazione tra due o più società.
Quanto al primo caso, si consideri il seguente esempio (20). L’assemblea
straordinaria dei soci di Alfa approva un aumento di capitale consistente
nell’emissione di azioni redimibili ad opzione esclusiva dei loro titolari che va a
costituire la categoria “B”; la categoria “A” è invece costituita da azioni
company, forcing them to repay the face value of the convertible plus any accrued but unpaid dividends»; anche
W.A. SAHLMAN, The Structure and Governance of Venture - Capital Organizations, in J. Fin. Econ., 27,
1990, p. 473.
(20) Quella che segue nel testo è, essenzialmente, la struttura dell’operazione attuata
nel 2000 dalla società di diritto spagnolo «Indra Sistemas S.A.» con «BNP- Paribas» e descritta nei
documenti societari reperibili sul sito internet della società (www.indra.es). L’accordo
prevedeva tra l’altro che BNP non esercitasse i diritti amministrativi attribuiti dalle azioni
riscattabili di categoria “B”, impegnandosi a non presenziare alle riunioni assembleari; Indra, da
parte sua, si impegnava a depositar esu un conto corrente vincolato nell’interesse di BNP il
corrispettivo per il riscatto nell’ipotesi in cui BNP lo avesse attivato in funzione di garanzia. Il
verbale dell’assemblea straordinaria con il quale è stato aumentato il capitale con esclusione del
diritto di opzione (v.: «The issue is resolved with the exclusion of the pre-emptive subscription right and its
purpose is to be used as coverage for the Year 2000 Options Plan on Company shares, intended generally for all
of the employees and professionals in the Company, as approved by the General Meeting of Shareholders. The
shares will be offered for subscription to the financial institution(s) designated by the Board of Directors,
depending on the terms and conditions offered for the coverage of the Option Plan») ha tra l’altro previsto la
disciplina dell’esercizio del riscatto i cui presupposti sono contenuti e meglio precisati
nell’accordo di emissione sottoscritto tra le parti («The shares issued may be redeemed in accordance
with the provisions of Sections 92 bis and 92 ter of the LSA. The redemption right shall only correspond to the
holders of the shares, who may exercise the same by notification to the Company within the deadline determined
by the Board of Directors (“Redemption Term”), to be counted from the fourth anniversary (“Redemption
Date”) of the date on which the period for subscribing the capital increase is closed as agreed by the Board of
Directors. The Redemption Date shall be recorded on the deed for the capital increase entered on the Companies’
Register and in the informative leaflet for the admission of the shares issued for listing on the Stock Exchange.
The notification of the execution of the redemption right shall be effected directly by the holder of the shares or by
the institution acting as the depositary thereof to the agent bank published for the purpose by the Company by
means of the announcement referred to immediately below. The exercise of the said right must always be effected
for a whole number of shares. Once the Redemption Period has concluded, the shares with respect to which no
redemption right has been exercised shall become ordinary shares, with the subsequent disappearance of the
Class B of shares and with a new drafting being given to the text of Section 5 of the Company’s Articles of
Association»). Per una analitica descrizione dell’operazione, cfr. anche P. YANEZ YANEZ, Las
acciones, pp. 74-75 il quale si sofferma anche su quella (di tenore analogo) attuata nel 2001dalla
«Sociedad General de Aguas de Barcelona, SA».
302
Azioni riscattabili
ordinarie, già in circolazione. L’aumento di capitale viene deliberato con
esclusione del diritto di opzione e riservato alla sottoscrizione della banca Beta.
In questo modo il nuovo socio garantisce ad Alfa la copertura finanziaria
necessaria per adempiere alle obbligazioni assunte dalla società per effetto
dell’approvazione di un piano di stock options offerto ai dipendenti della società
e avente ad oggetto azioni ordinarie di Alfa e non, invece, sulle azioni di
categoria “B”. Tra Alfa e Beta viene sottoscritto un accordo che, tra gli altri,
regola anche l’aspetto relativo alla detenzione delle azioni “B” per tutta la
durata del piano di opzione: si prevede, in particolare, che le azioni riscattabili
rimangano nell’esclusiva disponibilità di Beta sino a che non vengano esercitati
i diritti di opzioni medesimi previsti dal piano di stock options. Si prevede poi
che, solo in quel momento, Beta debba rinunciare ad esercitare il diritto di
riscatto nei confronti della società; che le azioni riscattabili, inoltre, siano
convertite in azioni ordinarie; e che, infine, una volta che Beta è divenuta
titolare delle azioni ordinarie le trasferisca – a fronte di un corrispettivo – ai
dipendenti di Alfa che hanno esercitato il diritto di opzione.
Le azioni redimibili potrebbero essere utilizzate anche a servizio di
operazioni di integrazione societaria (21). Si immagini che l’assemblea
straordinaria di Alfa deliberi di aumentare il capitale con l’emissione di azioni
redimibili; l’operazione di emissione viene eseguita a fronte del conferimento,
da parte della società Gamma, di un pacchetto di azioni corrispondente al
50,42% del capitale sociale di Beta. L’aumento di capitale viene effettuato in
esecuzione di un accordo quadro sottoscritto da Alfa e da Gamma, in qualità di
socio di Beta, con il quale le parti disciplinano l’integrazione di parte delle
rispettive attività mediante il trasferimento ad Alfa, a titolo di compravendita,
delle azioni rappresentative il 49,58% delle azioni di Beta; e mediante il
conferimento ad Alfa medesima delle azioni di Beta rappresentative la residua
(21) Il caso che viene descritto nel testo è quello dell’operazione posta in essere in
Spagna dalla società «Campofrío Alimentación SA» (indicata nel testo come società Alfa) e «Grupo
Navidul SA» (indicata nel testo come società Beta) unitamente ai soci di quest’ultima («Inmo-3
SA.» e «HST Holding B.V.» (indicate nel testo, congiuntamente e per semplicità, come
Gamma).
303
CAPITOLO IV
parte del capitale sociale. La riscattabilità delle azioni ad opzione di Gamma
viene peraltro condizionata all’andamento dei corsi di quotazione delle azioni
di Alfa, prevedendosene l’esercizio nel caso in cui la quotazione delle stesse, ad
una certa data, sia inferiore ad un prezzo base determinato nello statuto (22).
Nel caso in cui, invece, il prezzo delle azioni di Alfa fosse uguale o superiore al
prezzo base, si prevede che il diritto di riscatto in capo a Gamma si estingua
per effetto di una conversione automatica – rispetto alla quale Gamma ha
anticipatamente prestato il proprio consenso – delle azioni redimibili in azioni
ordinarie. In questo modo, il nuovo socio Gamma viene messo al riparo da
eventuali perdite dovute ad improvvisi ribassi dei corsi azionari; Gamma,
infatti, esercitando il riscatto può ottenere la differenza tra il prezzo base e il
prezzo di quotazione delle azioni. Dal canto suo, Gamma si impegna, sino alla
data di riferimento, a mantenere e non trasferire le azioni oggetto dell’aumento
di capitale (23).
In altri casi, registratisi in particolare nella prassi dell’ordinamento
americano, sono stati emessi particolari strumenti (c.d. «adjustable tender preferred
stock») riscattabili, ad opzione dei rispettivi titolari, dalla società nel caso in cui
(22) Nel caso di specie si autorizzava il riscatto nel caso in cui il prezzo per azione
fosse stato inferiore ad Euro 15,05.
(23) V. il commento di P. YANEZ YANEZ, Las acciones, p. 72 il quale mette in luce i
vantaggi discendenti dalla emissione di azioni riscattabili rispetto alla previsione di un semplice
patto di riscatto («…no es difícil concluir que la utilidad de la acciones rescatable se halla ya acreditada entre
nosotros en operaciones de integracíon empresarial. La articulacíon de la completa operacíon a que se ha hecho
referenzia pudo haberse realizado con emisíon de acciones ordinarias y un pacto de ricompra yuxtaapuesto. Sin
embargo, parece que la rescatabilidad quiso insertarse en el estatuto jurídico el bien, para que así pudiera operar
reseco a tercerso adquirentes, no agitando de esa manera su virtualidad en las relaciones inter partes meramente.
Y, habiéndose optado por esta articulacíon, es claro que el mecanismo de rescate, a opción exclusiva de los
tenedores, pretendía funcionar come garantía de los nuevos socio de «Campofrío» frente a una posible caída de
la cotizacíon bursátil de las acciones ordinarias por debajo de un precio base asignado a la acción rescatables en
el momento de su emisión, y que era el resultado de la valoracíon de las acciones de «Campofrío» tras la
integracíon de negocios y actividades con «Navidul.»». Peraltro, il caso in esame preveda che una volta
esercitato il riscatto avrebbe avuto quale corrispettivo (i) una quantità di denaro pari al prezzo
di riferimento per ogni azione; oppure (ii) (a) una nuova emissione di azioni ordinarie di valore
nominale pari ad Euro 1 ciascuna con un prezzo di emissione pari al “prezzo di riferimento” e
secondo il rapporto di cambio di una nuova azione ordinaria per ogni azione riscattabile
consegnata; oltre (b) a un corrispettivo pari alla differenza tra il “prezzo base” meno il “prezzo
di riferimento” corrispondente ad ogni azione riscattate con un “tetto” di Euro 4,50 per azione
(per l’ipotesi in cui la data di riferimento fosse il 31 dicembre 2001) o di Euro 4,48 per azione
(per l’ipotesi in cui la data di riferimento fosse il 30 giugno 2002). Successivamente ad un
pessimo andamento del titolo, il costo dell’operazione stimato nell’ordine di circa 50 milioni di
pesetas crebbe del 5% circa.
304
Azioni riscattabili
quest’ultima non sia in grado di mantenere un patrimonio, pari a una
determinata percentuale dell’ammontare totale dell’emissione, in grado di
garantire agli investitori il rendimento del titolo e per un prezzo superiore al
valore dell’emissione medesima ma decrescente con l’andare del tempo (24).
3. L’inquadramento della fattispecie: premessa
Individuati gli elementi della fattispecie e verificata, in astratto, la
possibilità di perseguire interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento
utilizzando quindi le azioni redimibili a servizio di un ampio spettro di
situazioni verificabili nella prassi degli affari, è bene ora analizzare in concreto la
fattispecie. Dopo avere brevemente ripercorso le opinioni della dottrina circa
l’ammissibilità di azioni fondate su uno schema che contempli un potere –
invece che una soggezione – al riscatto, qui di seguito vengono affrontate
alcune questioni relative all’inquadramento della fattispecie. Ci si chiede, in
primo luogo, se il silenzio dell’art. 2437-sexies c.c. possa tradursi in un ostacolo
alla emissione di azioni redimibili; se, in secondo luogo, e ove si desse risposa
negativa alla prima questione, la disciplina delle azioni redimibili possa in
qualche misura essere ricavata da quella delle azioni riscattabili; se, infine, le
azioni redimibili siano una figura tipica oppure atipica del diritto societario.
3.1 Le azioni redimibili nella dottrina precedente e successiva alla riforma del
diritto societario.
Prima della riforma del diritto societario, la dottrina ha ritenuto
ammissibile una previsione statutaria articolata in modo tale da prevedere un
obbligo di acquisto delle azioni – a carico della società oppure di tutti (o alcuni)
soci – che si attivasse al momento dell’esercizio di un’opzione da parte dei
titolari delle azioni. La fattispecie, in particolare, veniva considerata legittima in
(24) E’ il caso dell’emissione posta in essere dala American Savings Bank, descritto da C.
WRAY- S. VEILLEUX, Innovative Corporate Financing Tecniques, Washinghton, 1990, cit. anche da
C.F. GIAMPAOLINO, Le azioni, p. 174, in nota 47; v. anche JOHN D. FINNERTY, Financial
Engineering in Corporate Finance: An Overview Financial Management, Vol. 17, No. 4 (Winter, 1988),
pp. 14-33.
305
CAPITOLO IV
base alla meritevolezza degli effetti perseguiti ed alla circostanza per cui tale
meccanismo avrebbe «favori[to] l’utilizzazione delle azioni riscattabili come
strumento di finanziamento» (25). Peraltro, quando ci si è spinti ad analizzare il
problema della configurabilità delle azioni riscattabili come categoria, l’ambito
di applicazione della disciplina di protezione delle assemblee speciali è stato
limitato proprio alle azioni redimibili in base ad una lettura restrittiva della
nozione dei «diritti diversi» contenuta nell’art. 2348 c.c. (26).
L’introduzione nell’ordinamento dell’art. 2437-sexies c.c. non ha d’altra
parte contribuito a confermare tale orientamento, anche in considerazione del
tenore letterale della disposizione che regola una fattispecie ai sensi della quale
le azioni non attribuiscono alcuna posizione di potere ma sono soggette al
riscatto altrui. Piuttosto, le opinioni della letteratura sul punto sono ondivaghe
e incerte, posto che alcuni autori non hanno preso posizione sull’ammissibilità
di azioni redimibili ad opzione dei loro titolari (27); altri hanno dubitato della
possibilità di prevedere un dovere di riscatto in capo alla società o ai soci,
giungendo ad escluderne in radice la legittimità (28); solo pochi autori, infine,
(25) Così, L. CALVOSA, La clausola, pp. 242-244; nello stesso senso, anche sulla base
delle considerazioni svolte dalla prima A., v. D. GALLETTI, Il recesso, p. 123 e ss. e spec. p. 131 –
133 che sembra ammettere tale ipotesi laddove afferma che «quanto al riscatto statutario nelle
materie dell’art. 2437, non sembrano esserci particolari problemi: in fondo l’acquisto delle
azioni del socio recedente è sempre stata considerata una valida modalità alternativa al
procedimento di riduzione del capitale. Tale clausola dell’atto costitutivo, quindi, può
efficacemente sostituire la previsione del recesso che viene ad essere completamente
«assorbita»; anzi, a ben vedere, non si tratta tanto di una disciplina «alternativa» al recesso: il
riscatto a richiesta è proprio un recesso sia pure contraddistinto da un’autolimitazione
originaria del potere di scelta della società circa il modo di liquidare il socio, con vantaggio per
quest’ultimo, che può confidare nell’adozione di un certo comportamento, invece di dover
attendere una decisione completamente discrezionale»; R. WEIGMANN, I diritti delle minoranze, in
La corporate governance nelle società non quotate, a cura di S. Rossi e G.M. Zamperetti, Milano, 2001,
p. 19.
(26) Così, L. CALVOSA, La clausola, passim.
(27) Ad esempio, v. F. MAGLIULO, Le categorie, p. 126; cfr., anche A. PISANI
MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti, p. 1308; e A. PACIELLO, Art. 2437-sexies, p. 1146.
(28) D. GALLETTI, Art. 2437-sexies, pp. 1635-1636; e, anche, M. CENTONZE,
Riflessioni, p. 52, ove alla nota (8) ammette che in seguito all’introduzione delle clausole
convenzionali di recesso per le società «chiuse» sia venuto meno uno dei principali argomenti
(quello della tassatività delle ipotesi di recesso) prima utilizzato dai sostenitori della tesi
contraria alla ammissibilità del riscatto al contrario; B. SZEGO, Finanziare l’innovazione, p. 821 e
ss. e spec. pp. 861-862, ove l’A. riprende ed aggiorna alla luce della riforma societaria le
osservazioni già svolte in EA., Il venture capital, passim; sembra escluderlo A. BRACCIODIETA,
La nuova, p. 156.
306
Azioni riscattabili
hanno ritenuto ammissibile addossare sulla società o su un gruppo di soci
l’onere di riacquistare le azioni detenute da altri membri della società (29). Le
argomentazioni cui fa ricorso quest’ultimo orientamento mutuano alcune delle
considerazioni espresse in letteratura prima della riforma, senza tuttavia
spingersi a definire con precisione i contorni della fattispecie delle azioni
riscattabili al contrario.
3.2 L’emissione di azioni redimibili non è impedita dal silenzio dell’art. 2437sexies c.c.. L’individuazione della disciplina applicabile alle azioni redimibili. La tesi
dell’applicazione dell’art. 2437-sexies c.c.. Critica.
In considerazione della incertezza registratasi sul punto in letteratura, è
necessario verificare se e su quali basi possa fondarsi l’emissione di azioni
redimibili nell’ordinamento.
Sul punto è innanzitutto condivisibile l’opinione di chi ha recentemente
sottolineato come – dalla sola circostanza che l’art. 2437-sexies c.c. non
disciplina azioni che dotino il loro titolare di azioni del potere di riscatto, bensì
azioni che lo assoggettino al potere riscatto altrui – non possa farsi discendere
l’illegittimità della emissione di azioni redimibili (30). Nel contesto di
incentivazione dell’autonomia privata e delle forme di finanziamento
dell’impresa attuato dalla riforma societaria, l’ingresso delle azioni redimibili
deve essere vagliato alla luce della loro (eventuale) compatibilità con i principi
(29) Così S. CARMIGNANI, Art. 2437-sexies, p. 904 affermano che il riacquisto di azioni
può essere configurato non come una facoltà ma come un obbligo; M. CALLEGARI, Art. 2437sexies, p. 1447, in quanto il legislatore ha riconosciuto forme di disinvestimento alternative alle
azioni, come nell’ipotesi dell’art. 2325-bis; nello stesso senso sembra debba intendersi anche M.
NOTARI, Le categorie speciali, p. 612, dove ammette l’emissione di azioni incorporanti il diritto di
recesso; L. CALVOSA, L’emissione, p. 195 e ss. che sostiene che «…dal silenzio del legislatore non
può desumersi, sulla scorta del solo argomento a contrario, un divieto implicito di creazione di
quest’ultima tipologia di azioni riscattabili. In altri termini, dal fatto che la norma disciplini dei
due schemi-base propri dell’istituto solo quello connotato dal potere di riscatto, e non anche
quello caratterizzato dall’obbligo di riscatto, non può appunto inferirsi un divieto implicito di
emissione di tale tipo di azioni con finalità diversa da quella (espressamente considerata
sanzionatoria».
(30) Così L. CALVOSA, L’emissione, p. 198, in base alle considerazioni già svolte nel
precedente studio dedicato al tema delle clausole di riscatto (v. EA, La clausola, passim).
307
CAPITOLO IV
generali e con le regole della società per azioni (31).
Piuttosto, è da chiedersi se, al contrario, l’art. 2437-sexies c.c. possa
essere utilizzato dall’interprete al fine di trarne principi da applicare anche alle
azioni redimibili. D’altro canto, il dato comparatistico dimostra come quando il
legislatore ha voluto disciplinare azioni che fossero riscattabili ad opzione del
loro titolare lo abbia fatto nella stessa sede in cui ha dettato le regole per le
azioni riscattabili: in altre parole, i due istituti vengono generalmente
disciplinati congiuntamente in quanto suscitano le medesime problematiche. E’
questo il caso, ad esempio, del diritto spagnolo, ma anche dello stesso diritto
inglese – ove la redemption, a seconda dei casi, può essere “attivata” dalla società
o dai soci diversi dai titolari delle azioni oppure da questi ultimi nei confronti
dei primi due – e del diritto americano in cui la normativa societaria statale
prevede generalmente che le azioni possano essere «callable» (e, quindi,
riscattabili), oppure oggetto di una «compulsory redemption» nei confronti della
società o degli altri soci (e, quindi, redimibili). Questa strada tuttavia non pare
percorribile per diverse ragioni. Innanzitutto, alla luce del fatto che l’art. 2437sexies c.c. è stato formulato in modo sintetico ma, probabilmente, anche
sufficientemente preciso quanto meno avuto riguardo all’individuazione dei
soggetti (società o soci), ai quali una determinata fonte (lo statuto) può
riconoscere una certa posizione soggettiva (di potere) nei confronti di un
oggetto determinato (azioni o categorie di azioni); peraltro anche una lettura
analogica o estensiva dell’art. 2437-sexies c.c., parrebbero da escludersi. Nel
primo caso, infatti, si rischierebbe di applicare una norma che disciplina una
certa fattispecie ad una ipotesi diversa sia sotto il profilo delle posizioni
(31) V., L. CALVOSA, L’emissione, pp. 196-197, per cui «…uno degli obiettivi perseguiti
dalla riforma del diritto societario è quello di garantire alle imprese un ampio spettro di sistemi
di reperimento delle risorse finanziarie attraverso lo strumento societario: tanto che la società
per azioni, com’è stato rilevato, assurge ormai, più che a struttura di esercizio dell’impresa, a
struttura di finanziamento (per l’esercizio) dell’impresa…La legittimazione legale ora attribuita
all’istituto del riscatto di azioni e alla figura delle azioni riscattabili consente finalmente
all’interprete di rivolgere la propria attenzione ai profili funzionali e di modulare la disciplina in
relazione ad essi. Ed in questa sede, nell’ambito del nuovo, rilevante ruolo assegnato al
finanziamento dell’impresa azionaria, l’obiettivo è proprio quello di analizzare la (sia pure
scarna) disciplina dettata dal legislatore e la regolmantazione (che potrà essere stabilita dagli
statuti alla luce (ed in funzione) di una siffatta finalità per delineare i tratti che meglio
consentono alle azioni riscattabili di assolvere, appunto, alla detta funzione di finanziamento.».
308
Azioni riscattabili
soggettive in cui versano i soci titolari di azioni riscattabili o di azioni redimibili
(rispettivamente di soggezione e di potere) (32), sia sotto il profilo degli effetti
provocati dall’esercizio del riscatto (esclusione e disinvestimento volontario).
Anche un’interpretazione estensiva sembrerebbe ostacolata dalla constatazione
che, con l’art. 2437-sexies c.c., il legislatore non sembra aver voluto affermare
un principio generale di riscattabilità delle azioni, modellabile secondo
l’intenzione dei soci come soggezione al riscatto o come potere di provocarlo;
né il legislatore sembra avere detto meno di quello che avrebbe voluto in
considerazione del fatto che la potestà di riscatto viene individuata come un
elemento della fattispecie senza lasciare alcuno spazio alla previsione di altre
posizioni giuridiche (33).
3.3. Le azioni redimibili come fattispecie tipica. Critica. Le azioni redimibili come
fattispecie atipica. I limiti discendenti dall’applicazione dell’art. 2348 c.c..
La ricerca di un fondamento normativo per le azioni redimibili richiede
un confronto con il sistema delle regole e dei principi del diritto della società
per azioni. A questo riguardo, due sembrano essere le strade percorribili.
Secondo
una
prima
ricostruzione
le
azioni
redimibili
rappresenterebbero una fattispecie tipica: si tratterebbe, in altre parole, di una
forma convenzionale di recesso ai sensi dell’art. 2437, comma 4, c.c.. Per
effetto di una previsione statutaria ad hoc, il diritto di recesso sarebbe
incorporato, in una categoria di azioni, con la conseguenza che solamente i
suoi titolari potrebbero beneficiarne (34); troverebbe inoltre applicazione il
regime di protezione previsto dall’art. 2376 c.c., qualora per i titolari di azioni
(32) E ciò sia sotto il profilo dell’individuazione dei titolari delle azioni riscattabili, sia
dal punto di vista della posizione giuridica ricoperta sia, infine, con riguardo agli effetti della
fattispecie che comportano, nell’ipotesi di cui all’art. 2437-sexies una sorta di esclusione dalla
compagine sociale e nel caso delle azioni riscattabili al contrario l’esercizio del diritto di recesso
per volontà degli stessi titolari delle azioni.
(33) G. TARELLO, L’interpretazione della legge, in Trattato Cicu Messineo, Milano, 1980.
(34) Pare diretta in questo senso anche la lettura che delle azioni riscattabili al contrario
dà M. NOTARI, Le categorie speciali, p. 608 laddove riconosce la possibilità di prevedere una
categoria di azioni che incorpora il diritto di recesso con il conseguente obbligo di acquisto, in
primis, agli altri soci; v. il tema già sviluppato da ID., Disposizioni generali, p. 413; nello stesso
senso, v. M. STELLA RICHTER JR, Diritto di recesso, p. 394.
309
CAPITOLO IV
redimibili si prospettasse il rischio di subire un pregiudizio per effetto
dell’approvazione di una deliberazione dell’assemblea.
Da questo tipo di qualificazione discendono ovviamente importanti
conseguenze le quali, ad una prima analisi, sembrerebbero limitare
notevolmente il campo di azioni dell’istituto. Si pensi, ad esempio, alle
difficoltà che potrebbero prospettarsi qualora si volessero emettere azioni
redimibili ad nutum. La disciplina del recesso prevede, infatti, che tale soluzione
sia praticabile solo nell’ambito di società non quotate costituite a tempo
indeterminato (art. 2437, comma 3, c.c.) e la dottrina è decisamente divisa circa
la legittimità della previsione di altre cause convenzionali di recesso senza
giusta causa (35). L’emissione di azioni redimibili sarebbe peraltro impedita alle
società le cui azioni sono quotate su mercati regolamentati, in ragione della
lettera del comma 3 dell’art. 2437 c.c.. Anche questa conseguenza lascia quanto
meno perplessi se si ha riguardo alle funzioni che le azioni redimibili possono
svolgere: se è vero infatti che l’investimento di fondi di private equity o di soci
finanziatori è generalmente prodromico alla quotazione e si conclude con
l’ammissione delle azioni alla negoziazione, non si vede per quale motivo anche
società quotate non possano utilizzare questo strumento che si potrebbe
rivelare utile qualora l’investimento non sia condizionato alla quotazione ma
connesso ad altre ragioni come, ad esempio, il raggiungimento di determinati
parametri finanziari; qualora, peraltro, il soggetto obbligato ad acquistare le
azioni redimibili non sia la società bensì un socio o un gruppo di soci,
l’emittente non subirebbe alcuna ripercussione dal punto di vista patrimoniale.
Sposando questa impostazione, peraltro, anche l’applicazione dei criteri legali
di liquidazione delle azioni previsti dall’art. 2437-ter c.c. sarebbe in qualche
modo imposta: l’autonomia statutaria potrebbe spingersi, al massimo, a
contemplare criteri «diversi» da quelli legali. Questi ultimi peraltro non
sembrano lasciare un sufficiente spazio di manovra per la determinazione del
prezzo delle azioni da riscattare. La determinazione del valore delle azioni
varia, infatti, a seconda degli interessi perseguiti dalle parti e potrebbe essere
(35) Si rinvia supra, cap. III, nota 73.
310
Azioni riscattabili
influenzato dalla forza contrattuale delle stesse. Non è un caso, infatti, che la
prassi statunitense consenta alle parti di negoziare liberamente il prezzo a cui le
azioni debbano essere acquistate: quando le azioni sono riscattate ad opzione
della società viene generalmente corrisposto un premio quasi a voler
compensare l’esclusione dei soci dalla società; mentre, viceversa, quando le
azioni sono redimibili a carico della società, quest’ultima fa sì che sia previsto,
negli accordi di sottoscrizione, uno “sconto” a fronte dell’imposizione da parte
dei soci finanziatori del disinvestimento dalla società (36).
Le regole della società per azioni offrono probabilmente per le azioni
redimibili un fondamento giuridico alternativo, rispetto a quello appena
descritto. Ciò, ovviamente, non significa escludere la possibilità di emettere
categorie di azioni incorporanti cause convenzionali di recesso: ciò sembra
perfettamente in linea con la lettera dell’art. 2348, c.c. ed il principio di atipicità
delle categorie di azioni (37). Se infatti i «diritti diversi» possono essere intesi
come una sorta di “contenitore” nel quale possono includersi anche posizioni
soggettive passive, a maggior ragione tali diritti possono sostanziarsi
nell’attribuzione del diritto di recedere dalla società.
Piuttosto, si può ritenere che – al fianco di azioni incorporanti cause
convenzionali di recesso – l’art. 2348 c.c. conceda all’autonomia statutaria spazi
di manovra ancora più ampi, autorizzando anche l’emissione di azioni
redimibili. Se così fosse, le azioni redimibili dovrebbero qualificarsi come
fattispecie atipica, non “derivata” dall’art. 2437-sexies c.c., né dalla disciplina del
diritto di recesso. D’altro canto, le funzioni che, come visto, potrebbero essere
svolte da una siffatta tipologia di azioni dimostrano la meritevolezza della
(36) V., P.W. JONES, Redeemable, p. 91; J.M. JR., Redemption, p. 891.
(37) M. NOTARI, Le categorie speciali, pp. 594-595 per cui «il riconoscimento della
atipicità delle categorie speciali di azioni risiede essenzialmente nella nuova disposizione
aggiunta nel comma 2° dell’art. 2348, c.c., là dove il legislatore si premura di affermare che,
qualora si vogliano creare categorie di azioni fornite di diritti diversi, «la società, nei limti
imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie»;
si giunge, in questo senso, alle stesse conclusioni di L. CALVOSA, L’emissione, p. 201, per la quale
«La delimitazione dell’art. 2347-sexies c.c. non è dunque diretta a selezionare, entro l’ampia
tipologia del genus, le diverse figure in ragione della loro meritevolezza secondo l’alternativa
ammissibilità/inammissibilità; ma è più semplicemente volta a definire i tratti della fattispecie
nell’ottica dell’applicazione di quella specifica disciplina dettata dall’art. 2437-sexies c.c. secondo
l’alternativa fra tipico e atipico».
311
CAPITOLO IV
fattispecie: i sottoscrittori sarebbero infatti messi nella condizione di potere
programmare ex ante il proprio disinvestimento e di gestire al meglio le proprie
risorse finanziarie. Questa soluzione potrebbe essere ostacolata solamente dalla
portata dei «limiti imposti dalla legge» di cui allo stesso articolo 2348 c.c.. Di
questo aspetto ci si occuperà nei prossimi paragrafi, ove verrà presa in esame la
disciplina applicabile alle azioni redimibili e al rapporto con il divieto di patto
leonino.
4. La disciplina delle azioni redimibili: premessa.
Tra le due opzioni interpretative proposte nel precedente paragrafo,
non si nasconde una certa preferenza per la seconda che sembrerebbe
maggiormente valorizzare le azioni redimibili come strumento innovativo di
finanziamento dell’impresa. Se si concorda con questa conclusione va
coerentemente ritenuto che esse non possono trovare la propria disciplina di
riferimento né nell’art. 2437-sexies c.c., nè nella disciplina del recesso (38). Ciò
non toglie, tuttavia, che al fine di individuare i contorni della disciplina della
fattispecie e gli eventuali «limiti» di cui all’art. 2348 c.c. vanno analizzati i
presupposti cui il riscatto può essere condizionato, nonché l’applicazione delle
regole già richiamate dall’art. 2437-sexies c.c. in ordine all’acquisto di azioni
proprie ed al diritto di recesso.
4.1 Le azioni redimibili come «categoria» e come «azioni»
Come in occasione dell’esame delle azioni riscattabili, anche in questa
sede l’interprete pare autorizzato a chiedersi se le azioni redimibili possano
essere emesse come categoria o semplicemente come azioni.
Per la soluzione di questo problema possono richiamarsi le
considerazioni già svolte con riferimento alla fattispecie tipica dell’art. 2437-
(38) Corretta pare dunque l’affermazione di L. CALVOSA, L’emissione, p. 201, per cui
«...Se infatti l’alternativa posta dall’art. 2437-sexies c.c., è quella fra tipicità e atipicità, ne
discende che le figure di azioni riscattabili non rientranti nella fattispecie ivi prevista non
andranno soggette alla relativa disciplina (ferma restando, in caso di acquisto da parte della
società, l’applicabilità della disciplina in tema di acquisto di azioni proprie)».
312
Azioni riscattabili
sexies, c.c. (39). Certamente se il diritto al riscatto viene configurato in modo tale
da contraddistingure un gruppo di azioni rispetto ad altre che di questo diritto
non sono dotate, si deve ritenere che esse rappresentino una categoria speciale
ai sensi dell’art. 2348, c.c., con la conseguente possibilità di applicare la
disciplina di protezione prevista dall’art. 2376 c.c. nel caso in cui si profili il
rischio di un pregiudizio dei diritti in esse incorporate. Nel corso dell’esame
dell’art. 2437-sexies c.c. si è inoltre affermato che quando il legislatore ha fatto
riferimento alla emissione di «azioni riscattabili» si è presumibilmente riferito
alla circostanza che il capitale della società sia rappresentato totalmente ed
esclusivamente da azioni caratterizzate dalla soggezione al riscatto (40). Tale
conclusione sembra potersi estendere anche al caso di azioni redimibili, anche
se, al riguardo, va osservato che una simile soluzione rappresenta
probabilmente più un caso di scuola che uno scenario concretamente
verificabile.
Per le ragioni già esposte, non sembra invece potersi accogliere
quell’orientamento che sostiene la possibilità di emettere azioni, singolarmente
individuate, dotate di tale caratteristica essendo incompatibile con la nozione di
categoria l’emissione di una singola azione (41)
4.2 I presupposti ai quali può essere richiesto il riscatto delle azioni redimibili.
Anche con riguardo ai presupposti in forza dei quali il diritto al riscatto
possa essere esercitato, possono in parte richiamarsi le considerazioni svolte
con riferimento all’art. 2437-sexies, c.c.. I soci potranno prevedere che il loro
diritto al disinvestimento dipenda dagli eventi più vari, connessi, ad esempio, al
maturare di eventi legati all’andamento della società oppure al verificarsi di
determinate situazioni come, ad esempio, l’individuazione di un nuovo socio
“strategico” o l’ammissione a quotazione delle azioni della società.
(39) V. supra, cap. III, sub § 5.
(40) Cfr. supra., cap. III, sub § 5.
(41) Parrebbe di diverso avviso L. CALVOSA, L’emissione, p. 205 quando afferma che la
caratteristica della riscattabilità «…può incidere su singole azioni individualmente considerate».
L’emissione di azioni speciali «singole» è infatti legittima solo «…nei casi eccezionalmente
previsti dalla legge»: cfr., sul punto, M. NOTARI, Le categorie, p. 597 nel testo e in nota 14.
313
CAPITOLO IV
Analogamente a quanto rilevato in merito alle azioni riscattabili, si pone
la necessità di verificare la tenuta di un diritto di riscatto ad nutum esercitabile
nei confronti della società o dei soci oppure di entrambi. Il problema non è
stato sino ad ora affrontato dalla letteratura, anche se si potrebbe supporre che
quegli autori che hanno escluso la riscattabilità ad nutum con riferimento alla
disciplina delle azioni emesse ex art. 2437-sexies (42), siano propensi ad estendere
le proprie conclusioni anche alla fattispecie delle azioni redimibili. Se tuttavia si
concorda con la possibilità di emettere questi titoli indipendentemente dalla
disciplina del recesso, non sembrano porsi ostacoli all’ammissibilità di azioni
che debbano essere liquidate subordinatamente ad una manifestazione di
volontà dei propri titolari. Le parti devono essere tenute libere di negoziare e
fissare le modalità di riscatto senza ancorarle a condizioni specifiche: tale
ipotesi potrebbe, ad esempio, verificarsi nel caso in cui alcuni soci decidessero
di addossarsi il rischio di un partner finanziario la cui presenza nella compagine
sociale è assolutamente necessaria in un determinato momento della vita
dell’impresa ma che decide di condizionare il proprio investimento alla libertà
di pianificare il proprio investimento e, quindi, anche il momento della sua
realizzazione. A ben vedere, peraltro non vi sono indici che possano ostacolare
tale soluzione: non ve ne sono di natura giuridica, in quanto il legislatore stesso
ha riconosciuto ai soci la possibilità di recedere, in ogni momento, nelle ipotesi
in cui la società sia contratta a tempo indeterminato (art. 2437, comma 3, c.c.) o
nel caso di previsioni di clausole di gradimento mero (art. 2355-bis, comma 2,
c.c.); ma non ve ne sono neanche di economici, in quanto al rischio di un
disinvestimento immediato da parte dei soci o di fondi di investimento si
oppongono motivi di ordine reputazionale particolarmente enfatizzati dalla
letteratura (43).
(42) V. supra, cap. III, sub § 7.3, laddove si è criticata la tesi, sostenuta da una parte
della dottrina maggioritaria, con cui si è esclusa la legittima riscattabilità ad nutum delle azioni.
(43) Significative, a questo proposito, le parole di R.J. GILSON, Engineering, p. 1092, per
cui «Because the fund is unlikely to engage in repeated deals with any particulat entrepeneurm,
the reputation market constraint instead grows out ot the investor-venture capital fund
contract. Because the G[eneral] P[artner] needs to raise successor funds, it will have to make
investments in new portfolio companies run by other entrepeneuyrs. If a GP behaves
314
Azioni riscattabili
4.3 Il rapporto con la disciplina del recesso: la natura atipica della fattispecie ne
consente la disapplicazione.
L’atipicità
delle
azioni
redimibili
dovrebbe
comportare
la
disapplicazione delle disposizioni relative al recesso. A questo riguardo è
tuttavia opportuno svolgere qualche ulteriore considerazione anche attraverso
un confronto con le azioni incorporanti il diritto di recesso.
Rispetto a quest’ultima fattispecie, una prima conseguenza sembra
derivare in punto di soggetti onerabili con il riscatto di azioni. Se, infatti, le
azioni incorporano il diritto di recesso ne consegue la necessità di rispettare la
“griglia” dei soggetti previsti dall’art. 2437 c.c. con la conseguenza che il
riscatto dovrà essere esercitato in primo luogo nei confronti dei soci (commi 1,
2 e 3), in secondo battuta offerti a terzi tramite collocamente effettuato dagli
amministratore e, infine, riscattate dalla società. Al contrario, se è vero che le
azioni redimibili non sono disciplinate dall’art. 2437-sexies c.c. – che richiama le
disposizioni sul recesso – né rappresentano una fattispecie tipica fondata su
questo istituto, ne discende la possibilità per lo statuto di determinare chi siano
i soggetti tenuti a riscattare le azioni redimibili: solo la società, solo i soci,
entrambi in gradato subordine, e così via.
Una riflessione merita anche il delicato aspetto della determinazione del
valore di liquidazione delle azioni, cui si è fatto cenno nel momento in cui si è
affrontato il tema della individuazione del fondamento giuridico per le azioni
redimibili. Anche in questo caso, è la natura atipica della fattispecie a suggerire
una risposta. Deve ritenersi, quindi che le parti devono ritenersi assolutamente
libere nel determinare il prezzo delle azioni da riscattare o, quantomeno,
opportunistically toward entrepreneurs in connection with previous portfolio company
investment, it will lose access to the best new investments, This, in turn, will make raising
successor funds more difficult. The impact of the GP’s behaviour toward current portfolio
companies on the success of its future fund raising efforts serves to police the venture capital
fund’s exercise of the discretion transferred to it in the venture capital fund-portfolio company
contract.»; cfr., supra, cap. I, sub § 4.
315
CAPITOLO IV
nell’individuare i criteri per determinarlo (44). Peraltro, l’autonomia statutaria
potrebbe prevedere una soluzione analoga a quella già prospettata in occasione
dell’analisi della azioni riscattabili, quando si è sostenuto che è, in un certo
senso, connaturata alla emissione di questa tipologia di azioni la possibilità di
prevedere fin da subito, fissandole nello statuto, le condizioni economiche di
disinvestimento, senza la necessità di lasciare agli amministratori la
determinazione del valore delle azioni (analogamente a quanto accade nel caso
di applicazione dell’art. 2437-ter, c.c.) (45).
Alla luce del fatto che il riscatto esercitato dai titolari di azioni
redimibili comporta il medesimo effetto di disinvestimento dalla compagine
sociale che si realizza con il recesso, potrebbe infine ritenersi applicabile per
analogia il comma 6 dell’art. 2437-ter c.c., al fine di assicurare al socio titolare di
azioni redimibili un soddisfacente grado di tutela in merito alla possibilità di
dare esecuzione all’accordo di disinvestimento intervenuto con la società (46).
(44) Questa è anche la conclusione cui giunge L. CALVOSA, L’emissione, p. 200, che
osserva, a tale proposito, che «Ciò stante, dalla possibilità di svincolarsi dai criteri dettati dal
legislatore per il recesso, e di modulare quindi il prezzo di riscatto alle caratteristiche stesse
dell’operazione, potrà discendere, nelle ipotesi di emissione di azioni riscattabili quale
strumento di finanziamento, una predeterminazione del prezzo alla scadenza prefissata,
secondo quanto orami da tempo si verifica nella prassi in ordine ad operazioni di c.d.
finanziamento partecipativo».
(45) Cfr., supra, cap. III, sub § 10, ove si è ritenuto che in questo caso l’art. 2437-ter c.c.
non superi lo sbarramento posto dalla clausola di compatibilità di cui all’art. 2437-sexies, c.c..
(46) Quello dell’adempimento agli accordo di riscatto è un tema particolarmente
sentito in altri ordinamenti. A tale proposito, si ricordi che nel diritto inglese alla società è
accordata una disciplina di protezione rispetto al depauperamento del capitale conseguente alla
redemption: la nuova sect. 735 del Companies Act 2006 (che sostituisce la sect. 178 del Companies Act
1985) prevede infatti che la società non possa essere ritenuta responsabile per i danni subiti
dall’azionista che non è stato “riscattato” ma che ciò non pregiudica ogni altro diritto degli
azionisti (subs. [2]): come osserva al riguardo la dottrina (v. E.V. FERRAN, Company Law, p. 452)
il socio potrà tuttavia richiedere al giudice di condannare la società ad una «specific performance».
Ma, anche in questo caso, la società è, per così dire, “tutelata” dalla subs. (3), in quanto «The
court shall not grant an order for specific performance of the terms of redemption or purchase if the company
shows that it is unable to meet the costs of redeeming or purchasing the shares in question out of distributable
profits». Tuttavia nel caso in cui la società abbia iniziato la procedura di liquidazione e le azioni
non siano state ancora riscattate, il riscatto «…may be enforced against the company» (subs.
[4]).
Diversa sembra, invece, l’impostazione seguita dall’ordinamento americano. Anche in
questo caso, la letteratura osserva che «Redemption are subject of course to the general restriction in favor
of the priority of creditors and may not be made when a corporation is insolvent or when the redemption would
result in insolvency or inability to meet debts and liabilities as they accrue» (cfr. J.D. COX - T.L. HAZEN,
Corporations, p. 582). Tuttavia, va rilevato che altra parte della dottrina ha sottolineato come
«…redemption agreement are enforceable contracts. Assuming that no injury to creditors is threatened by
316
Azioni riscattabili
4.4 La disciplina dell’acquisto delle azioni proprie. La tutela dei creditori nel caso
di riscatto nei confronti della società. L’esperienza comparatistica.
Se nell’ipotesi in cui lo statuto prevede che del riscatto siano onerati
uno o più socio non si pongono problemi di sorta posto che il suo esercizio
inciderà esclusivamente sul patrimonio di questi ultimi, non si può giungere alla
medesima conclusione quando tale onere incomba sulla società. L’esercizio del
riscatto si tradurrebbe infatti in un esborso finanziario di quest’ultima tale da
eventualmente pregiudicarne il patrimonio e da nuocere agli interessi dei
creditori sociali. Dalle soluzioni adottate da altri ordinamenti si trae, in effetti,
la sensazione che questa ipotesi venga percepita con una certa circospezione
dai legislatori i quali cercano in vari modi di arginarne gli effetti. Infatti, come
ha messo bene in luce la letteratura economica americana il detentore di azioni
redimibili è portato ad esercitare il riscatto in situazioni in cui la società è in
difficoltà finanziarie; quest’ultima quindi rischierebbe di vedere intaccato il
redemption, the courts have permitted stockholders to compel it», pur rilevando che «…if the provision does
not prescribe the assets out of which the redemption shall be made, there is an ambiguity: the corporation may
contend that it cannot be compelled to redeem if it has to liquidate all or part of its property in order to do so»
(v. A.C. BECHT, Changes in the Interests of Classes of Stockholders by Corporate Charter Amendments
Reducing Capital, and Altering Redemption, Liquidation and Sinking Fund Provisions, in 36 Cornell L. Q.,
1, 1950-1951, p. 1 e ss.). La questione è stata affrontata anche da alcune corti statali in alcune
risalenti decisioni: cfr., Westerfiled-Bonte Co. v. Burnett, 176 Ky. 188, 195 S.W. 477 (1917), in cui la
corte dello stato del Kentucky ha ritenuto che il contratto di “riscatto” sia eseguibile nonostante
la società sia costretta a vendere i cespiti di propria titolarità al fine di adempiere alla propria
obbligazione (la corte, in particolare, ha respinto l’interpretazione offerta dalla società
convenuta relativa alla interpretazione del contratto nel senso di ritenere sussistente l’obbligo di
riscatto solamente nel caso in cui vi fossero utili distribuibili da destinare al pagamento del
corrispettivo per le azioni riscattate); v. Mueller v. Krauter & Co., Inc., 131 N.J. Eq. 475, 25 A.2d
874 (ch. 1942) in cui si è affermato che la società è tenuta ad adempiere all’obbligo di riscatto
nonostante ciò richieda la cessione delle partecipazioni detenute dalla società in una società
controllata; nel caso Crimmins and Peirce v. Kidder Peabody Corp., 282 Mass. 367, 185 N.E. 383
(1933), è stata portata all’attenzione della corte dello stato del Massachussets una fattispecie in cui
una società aveva emesso due categorie di azioni, “A” e “B”, entrambe riscattabili ad opzione
dei loro titolari ma per le quali il diritto di costringere la società al riscatto (c.d. «right to compel»)
veniva riconosciuto solo in capo ai titolari della categoria “B”; un caso simile è stato affrontato
dalla corte dello stato del Nebraska che è stata chiamata a giudicare un caso in cui una società
aveva emesso due categorie di azioni, “A” e “B”, entrambi riscattabili ad opzione dei loro
titolari, ma in tempi diversi: dopo un periodo di attività la società era incorsa in perdite
significative, così che dopo il riparto dell’attivo a favore dei creditori, il residuo non era
sufficiente a soddisfare la liquidazione delle azioni dovuta al riscatto da parte dei titolari di
entrambe le categorie di azioni. I titolari delle categoria di azioni postergate nel riscatto
avevano chiesto al giudice di concorrere pari passu nel riparto del residuo insieme ai soci titolari
della categoria cui era riconosciuto il privilegio di essere riscattata per prima: v. Miller v. Smith
Building Co., 118 Neb. 5, 223 N.W. 277 (1929).
317
CAPITOLO IV
proprio patrimonio in un momento in cui esso necessiterebbe di essere
salvaguardato, anche nell’interesse dei terzi (47). Negli Stati Uniti, peraltro, si è
anche messo in risalto il profilo relativo alla protezione di quei risparmiatori
che acquistano strumenti finanziari redimibili assumendo di rivestire in questo
modo la posizione di creditore sociale e non quella di azionista (48). Le corti
statali hanno dunque elaborato il principio per cui il riscatto non può essere
oggetto di una richiesta di adempimento da parte del socio che richieda la
liquidazione delle azioni nel caso in cui vi sia il rischio di pregiudicare i creditori
sociali: si è in questo modo fatta strada l’idea di applicare un vero e proprio
«solvency test» autorizzando l’esercizio del riscatto nei confronti della società e
indipendentemente dalle previsioni statutarie solo nel caso in cui, al momento
del suo esercizio, la società fosse in grado di adempiere alle proprie
obbligazioni nei confronti dei creditori sociali (49).
Per
quanto
riguardo
l’ordinamento
interno
l’unica
disciplina
richiamabile al fine di proteggere il patrimonio e i creditori sociali sembra
quella dettata per l’acquisto delle proprie azioni. D’altro canto, come per le
azioni riscattabili, anche in questo caso l’effetto è quello di un trasferimento dei
titoli alla società in cambio di un corrispettivo. Nel caso delle azioni redimibili,
tuttavia, l’acquisto delle azioni non dipende da una proposta degli
(47) Così, v. E.M. DODD, Purchase and redemption, p. 730.
(48) In effetti, in questo ordinamento è molto sentito il problema della qualificazione
dell’investimento. Al fine di procedere a verificare se si tratti di debt o di equity, le corti sono
solite investigare il contenuto degli statuti e i certificati azionari. A tale proposito si ricorda la
regola cristallizzata dalla pronuncia nel caso In re Hicks-Fuller Co., 9 F. (2d) 492, 494 (C.C.A.
8th, 1925), in 28 Col. L. Rev. 65, 66 per cui «[It is the] rule of construction that an instrument having
[many attributes and qualities commonly attaching to preferred stock as such] will, when the rights
of creditors are involved, be construed as stock unless it clearly appears that a different intention was pesent in
the mind of the contracting parties».
(49) Ancorché risalenti, varie sono le pronunce giurisprudenziali che hanno impedito
ad un socio di ottenere la liquidazione delle proprie azioni da una società insolvente o non in
grado di dimostrare la propria solvibilità: v., per una ipotesi di riscatto nei confronti di una
società per la quale era stata dichiarata la bancarotta, Spencer v. Smith, 201 Fed. 647 (C. C. A.
8th, 1912); Rider v. Delker & Sons Co., I45 Ky. 634, I40 S. W. 1011 (1911) riguarda invece il
caso di un socio che si è visto opporre alla sua richiesta di riscatto lo stato di insolvenza della
società; Booth v. Union Fibre Co., I42 Minn. 127, 171 N. W. 307 (1919); Koeppler v. Crocker Chair
Co., ZOO Wis. 476, 228 N. W. 130 (1930), nella quale viene affermato il principio per cui è
onere del socio che richiede il riscatto provare l’esistenza di attivo patrimoniale con il quale la
società possa soddisfare la sua richiesta; cfr. anche Warren v. Queen & Co., 240 Pa. 154 160,87
Atl. 595 (1913).
318
Azioni riscattabili
amministratori e da una conseguente scelta in tale senso degli azionisti, bensì di
una situazione di soggezione in cui è relegata la società. A ben vedere, quindi,
ci si trova lontani dai presupposti per i quali il legislatore richiede la preventiva
autorizzazione assembleare prima di procedere all’acquisto delle azioni (cfr. art.
2357 c.c.)(50). Se così non fosse e se, quindi, si ritenesse necessario il
“passaggio” assembleare, i soci titolari delle azioni redimibili potrebbero
incontrare non poche difficoltà sulla strada della realizzazione del loro
investimento. Basterebbe, a tale proposito, immaginare una situazione in cui al
socio finanziatore sia riservata una ridotta percentuale del capitale sociale,
rappresentata da azioni redimibili, mentre il controllo sia stabilmente in mano
all’imprenditore. In questa ipotesi, infatti, quest’ultimo potrebbe non accordare
l’autorizzazione all’acquisto delle azioni, bloccando di fatto l’uscita del socio
finanziatore dalla compagine sociale e rendendosi inadempiente all’obbligazioni
di riscatto. Il riscatto delle azioni e le modalità con cui esso si possa realizzare
quindi devono essere fissate anticipatamente nello statuto.
Per quanto riguarda le risorse finanziarie da destinare alla liquidazione
delle azioni riscattate si pone il problema dell’incertezza dell’esistenza di utili
distribuibili e riserve disponibili nel momento in cui il socio decida di attivare
l’opzione di riscatto delle sue azioni; la questione non può che essere risolta
prevedendo l’appostazione di una riserva “da riscatto” analogamente a quanto
accade quando la società delibera l’acquisto di azioni proprie e a quanto si
registra in altri ordinamenti come quello americano ove all’emissione di puttable
stocks si associa la costituzione di un c.d «sinking fund» ottenuto con
l’accantonamento di una percentuale dei ricavi netti oppure in base al numero
delle azioni da riscattare e alla loro scadenza (51).
339.
(50) Sostiene invece l’applicazione dell’art. 2357 c.c., S. PATRIARCA, C’è un futuro, p.
(51) Ma si vedano le osservazioni di C.F. GIAMPAOLINO, Le azioni, p. 175, in nota 49 e
nel testo, ove l’a. rileva che «Se infatti viene costituito un fondo per procedere all’acquisto delle
azioni, si determina che sono state appostate riserve risultanti dall’ultimo bilancio approvato
destinate al successivo acquisto delle azioni in esecuzione del piano di rimborso. La società è
quindi impegnata ad acquistare le proprie azioni, ha accantonato fondi per procederee e
l’acquisto non viene sospeso dall’andamento negativo dell’esercizio in corso. Anche in caso di
andamento negativo dell’esercizio, l’azionista viene quindi rimborsato ad un prezzo
319
CAPITOLO IV
Anche se non è questa la sede per approfondire la questione potrebbe
avanzarsi l’idea che l’emissione di azioni redimibili sia eseguita nel rispetto del
limite quantitativo del dieci per cento del capitale sociale previsto dal comma 3
dell’art. 2357 c.c., analogamente a quanto accade per quella di azioni con voto
limitato o escluso. Il che, ovviamente, potrebbe comportare alcuni problemi di
natura pratica ove le azioni redimibili venissero emesse con voto limitato
secondo le indicazioni previste dall’art. 2351, comma 2 c.c., in quanto in questo
caso bisognerebbe decidere se il limite del decimo del capitale sociale assorba e
prevalga rispetto a quello della metà del capitale sociale dettato da quest’ultima
norma. Se così fosse, la peculiarità delle azioni redimibili potrebbe imporre
l’adozione di una soluzione differenziata rispetto a quella proposta durante
l’esame della disciplina delle azioni riscattabili. Questa proposta sembra
giustificata dal fatto che l’esercizio del riscatto non dipende dalla volontà della
società e che ciò non possa in ogni caso autorizzare la deroga del principio
stabilito dal comma 3.
5. Le azioni redimibili “ad tempus”: impostazione del problema.
Un confronto con i c.d. patti di «smobilizzo» della partecipazione.
Se l’individuazione della disciplina applicabile alle azioni redimibili non
sembra fare emergere situazioni tali ritenere che la fattispecie superi i «limiti
imposti dalla legge» di cui all’art. 2348, c.c. qualche dubbio potrebbe a questo
proposito porsi con riferimento ad una peculiare ipotesi. Ci si riferisce, in
particolare, al caso in cui le azioni redimibili non siano riscattabili al verificarsi
di determinate condizioni, inerenti il socio o la società, quanto al trascorrere del
tempo. In queso modo si consentirebbe al socio di chiedere il riscatto delle
proprie azioni ad una data prestabilita o entro una determinata finestra
temporale oppure, ancora, in più momenti ma, ogni volta, per una porzione
soltanto delle azioni, fino al completo riscatto dei titoli. Ovviamente la scelta
dell’una piuttosto che dell’altra configurazione del diritto al riscatto dipenderà
predeterminato, risultando esonerato dalle perdite dell’esercizio. Tale eventualità introduce la
possibilità della restituzione dell’investimento iniziale, oltre ad un eventuale premio».
320
Azioni riscattabili
dagli interessi che si intendono soddisfare, ma anche dalla volontà e dalla forza
negoziale delle parti. In tutte le ipotesi, comunque, l’effetto sarà quello di
programmare ex ante, dal punto di vista del socio, l’uscita dalla società e, dal
punto di vista di coloro che sono soggetti al riscatto (gli altri soci o la società),
l’onere finanziario necessario per la liquidazione delle azioni (52). Il meccanismo
è stato oggetto di analisi da parte della letteratura americana che ha sottolineato
come, in questo caso, si verificherebbe una sorta di “migrazione” delle azioni
da fattispecie rappresentativa dell’investimento nel capitale di rischio a
strumento di finanziamento dell’impresa avvicinabile alle obbligazioni
(«unsecured quasi-bond») (53). Il tema, peraltro, non è stato trascurato neppure da
una parte della dottrina italiana che lo ha affrontato con riferimento alla
peculiare fattispecie delle c.d. «clausole di smobilizzo» contenute in accordi di
finanziamento a scopo partecipativo, per effetto dei quali è stato, in passato,
riconosciuto in capo ad enti pubblici sia il diritto di cedere ad un prezzo
prefissato e ad una determinata data le proprie azioni, sia l’esonero da eventuali
perdite e l’esclusione da possibili utili a fronte del riconoscimento di un
interesse (54). Rispetto a questi accordi, tuttavia, le azioni redimibili si
(52) Si veda sul punto l’interessante studio di N. PARODI, L’uscita programmata, p. 1 e ss.
e, per quanto attiene all’analisi dei profili di diritto societario, p. 101 e ss..
(53) Cfr. H.L. WILSEY, The use, p. 32; v. anche il COMMENT, Status of Holders, p. 907 e
ss.; sul punto si è espressa anche la dottrina spagnola che parla di «rescate a término»: cfr. P.
YANES YANES, Las Acciones, p. 154; nella letteratura italiana ha affrontato il tema, anche in
chiave comparata, M. LAMANDINI, Struttura finanziaria, passim.
(54) Si trattava, in ogni caso, di accordi contenuti in patti parasociali sottoscritti da
imprenditori e da società finanziarie regionali. Il tema si collega evidentemente alla eventuale
violazione del divieto del patto leonino: sul punto, cfr. il risalente studio di A. SRAFFA, Patto
leonino e nullità del contratto sociale, in Riv. dir. comm., 1915, I, p. 956 e spec. p. 959; G. MINERVINI,
Partecipazioni a scopo di finanziamento e patto leonino, in Contr. Impr., 1988, p. 771 e ss. e spec. p. 777
e ss., laddove l’a. osserva che «Negli ultimi anni si sono andate diffondendo tecniche di
finanziamento delle imprese, che vengono attuate d associetà finanziarie o da istituti di credito
tramite l’acquisto temporaneo di azioni. Queste sono invero destinate a essere ritrasferite
all’alienante, o collocate presso terzi e in mancanza ritrasferite egualmente all’alienante. Questi
è un «socio imprenditore» ; lanatura finanziaria dell’operazione è denotata da ciò, che
l’acquirente temporaneo delle azioni viene esonerato dal rischio di impresa (sotto forma di
partecipazione così agli utili come alle perdite), e remunerato con un interesse ad tempus. Tutto
ciò forma oggetto, ovviamente di patti extra-sociali»; N. ABRIANI, Il divieto del patto leonino,
Milano, 1994, p. 138 e ss., per il quale sarebbe irrilevante la natura parasociale del negozio
(«Nelle convenzioni in esame, infatti, l’autonomia del patto di esonero rispetto al
contrattosociale riveste un carattere meramente formale»); andrebbe, inoltre, esclusa anche la
natura di negozio a causa mista (associativa e di credito) nonché quella aleatoria («…si deve
ribadire che le convenzioni in esame producono il risultato obiettivo di attribuire alla società
321
CAPITOLO IV
distinguerebbero per il fatto di non prevedere vincoli all’utilizzo delle somme
versate per la liberazione dei titoli, né di richiedere che la partecipazione alla
società sia di minoranza (55).
finanziaria la titolarità di un determinato numero di azioni ed i potesi che ne discendono,
escludendola da ogni rischio. E sostenere che la finanziaria è soggetta, per così dire, all’«alea
dell’utile» è, in questo quadro irrilevante»); andrebbe respinta, infine, la tesi volta a sostenere la
convestione del patto parasociale nullo per violazione del divieto del patto leonino in un
contratto di mutuo («La tesi della conversione rappresenta l’estremo tentativo di esalvare dalle
ceneri del negozio nullo la sostanza economica dell’operazione. L’esattezza di tale soluzione
sembra, tuttavia, seriamente revocabile in dubbio»); contra, si v. il parere pro veritate di G.
PIAZZA, Patti parasociali e smobilizzo di partecipazioni delle finanziarie regionali, e di G. SBISÀ,
Circolazione delle azioni e patto leonino, entrambi pubblicati in Contr. Impr., 1987, p. 803: i due aa.
hanno analizzato una fattispecie avente ad oggetto la validità di una proposta irrevocabile di
acquisto a prezzo predeterminato di azioni della società SV.A.M. di proprietà della FIME,
formulata da AERITALIA e accettate dalla FIME; AERITALIA contestava, infatti, la validità
della obbligazione assunta nei confronti della FIME asserendo che il negozio era nullo in
quanto assunto in violazione del divieto del patto leonino ai sensi dell’art. 2265 c.c.; A. CIAFFI,
Finanziaria regionale e patto leonino, in Giur. comm., 1995, II, p. 486; D. BATTI, Il patto leonino
nell’ambito delle partecipazioni a scopo di finanziamento, in Società, 1995, p. 178; C. CERONI,
Simulazione e patti parasociali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, p. 1111 e ss.; anche E. BARCELLONA,
Clausole, p. 1 e ss.; M. TORSELLO, Partecipazione a scopo di finanziamento e patto leonino parasociale, in
Contr. e Impr., 2000, p. 896.
La giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi sul punto in più occasioni: si v. la
risalente pronuncia di Cass. 14 giugno 1939, n. 2029, in Foro it., 1940, I, c. 94, con nota di A.
ARENA, Patto leonino e autonoma convenzione di esonero dalle perdite; Cass. 30 maggio 1941, n. 1618, in
Riv. Dir. comm., 1942, II, p. 305 che hanno negato la configurabilità della violazione del
divieto di patto leonino in ragione che la pattuizione era stata perfezionata attraverso un patto
parasociale e pertanto le parti dovevano considerarsi terzi rispetto alla società («[è] valido il
patto con cui i soci di una società per azioni abbiano, in qualità di terzi e fuori dell’atto
costitutivo, garantito ad altro socio di tenerlo indenne da qualunque genere di danno
proveniente dai risultati della gestione sociale, senza che tale patto risulti dai titoli azionari»);
ma successivamente Cass. 29 ottobre 1994, n. 8927, in Riv. Not., 1995, p. 244, con nota di LA
PORTA, Patti parasociali e patto leonino ha affermato che «se la legge ha sottoposto un rapporto a
norme imperative, ed ha imposto degli obblighi ai contraenti, non è certo perché questi
debbano rispettarli come parti del contratto sociale, ma possano al tempo stesso contraddirli
come terzi»
(55) V. lo studio di A.M. LEOZAPPA, Le partecipazioni a scopo di finanziamento, in Riv. dir.
comm., 1998, p. 263 e ss., che descrive gli elementi costitutivi della fattispecie dei finanziamenti a
scopo partecipativo alla luce della disciplina pubblicistica (art. 2 legge 5 ottobre 1991, n. 317;
artt. 3 e 28 dello Statuto approvato dal Consiglio dei Governatori della Banca Europea per gli
Investimenti – BEI; art. 2, comma 100, lett. A) legge 23 dicembre 1996, n. 662): (i)
l’utilizzazione vincolata («il finanziamento partecipativo è quel patto di acquisto e retrocessione
di titolo azionari attraverso il quale si mettono a disposizione dell’imprenditore, per un tempo
determinato, mezzi finanziari con utilizzazione vincolata: così nella prassi contrattuale
l’operazione si articola in un primo negozio di acquisto da parte del soggetto finanziatore di
una quota azionaria della società da ricapitalizzare da parte di quest’ultima; quindi in un
negozio di vendita della quota medesima alla società finanziata, ai suoi soci ovvero a terzi, a un
prezzo predeterminato, eventualmente comprensivo della remunerazione dell’investimento»);
(ii) la temporaneità dell’assunzione della partecipazione («…il negozio di smobilizzo a mio
avviso non può che configurare un elemento necessitato della fattispecie negoziale nei termini
in cui lo stesso risponde all’esigenza di assicurare la ripetizione dei mezzi finanziari concessi. In
questa logica, non può ammettersi che il negozio di smobilizzo costituisca una appendice al
322
Azioni riscattabili
5.1 Argomenti contrari alla violazione del divieto del patto leonino.
Si tratta quindi di verificare se le azioni con diritto di riscatto ad un
certo tempo data possano in qualche misura comportare la violazione del
divieto del patto leonino di cui all’art. 2265 c.c.; e ciò specialmente nell’ipotesi
in cui il regolamento di emissione determini ex ante il prezzo di riscatto. A
questo riguardo, una dottrina ha sostenuto che «il riscatto da parte dei soci può
determinare una esenzione di fatto dalle perdite ma anche quello da parte della
società può determinare la stessa conseguenza» (56).
Al di là della meritevolezza della fattispecie, sulla quale ci si è già
soffermati in occasione dell’analisi delle operazioni finanziarie di private equity,
possono rilevarsi vari indici che consentono di concludere nel senso della piena
legittimità di azioni redimibili ad tempus.
La causa societatis, infatti, sembra svilita nei suoi tratti essenziali in
seguito alla introduzioni di alcuni istituti da parte della riforma del diritto
societario. Ci si riferisce, in particolare, all’istituto della partecipazione non
proporzionale al conferimento (art. 2346, comma 4, c.c.) che in alcune, più
negozio di finanziamento. Esso all’opposto assurge a momento costitutivo della fattispecie
negoziale nei termini in cui ha una specifica rilevanza non solo ai fini della realizzazione della
funzione economico-sociale del negozio, ma anche ai fini della realizzazione delle finalità di
ordine generale sottese all’istituto»); (iii) il vincolo minoritario della partecipazione,
generalmente imposto dalla normativa di riferimento [v. delibera CIPE 10 maggio 1995, come
successivamente modificata dalla delibera CIPE 21 marzo 1997, punto 22](«Nel finanziamento
partecipativo, il vincolo minoritario assurge a elemento caratterizzante della fattispecie
negoziale e, a mio avviso, vale a identificare lo schem