SOMMARIO
La polis Europa
Al contrario: la scintilla dell’Unione scocca con il riconoscimento di una cittadinanza europea, affiancata a quella
nazionale, e composta dai diritti economici-sociali, già
menzionai dalla disciplina del mercato unico, ed insieme,
beninteso, dai diritti politici e partecipativi ultimamente
previsti dal Trattato di Maastricht. La base della cittadinanza europea sta nella libertà di circolazione che è, a sua
volta, circolazione delle libertà, non solo di intrapresa ma
anche di pensiero, diritto per ciascuno a fruire senza
discriminazioni dello spazio europeo, anche nella propria formazione umana e professionale. Vi è così una
polis in divenire, ordinata per la prima volta su scala
sopranazionale, nella quale siamo tutti coinvolti. Sappiamo di doverla creare con il possesso di una nuova
cittadinanza. Sarà una cerchia dell’esperienza politica
nella quale, ancora una volta, può regnare la persona
umana. E la conquista di un tale nuovo umanesimo ha la
forza aggregante dei grandi moti spirituali che non conoscono frontiere.
La cittadinanza comune significa molte cose, ma comincia in ogni caso con il vivere, crescere ed educarsi
insieme. La cultura umanistica è una preziosa scuola di
conoscenza: unisce i popoli europei pur facendo fecondare la ricchezza e diversità delle culture nazionali. È un
patrimonio comune che dobbiamo, però, saper rimettere
a frutto. Può l’unione ospitare una vera Comunità europea della ricerca, della scienza che non è un semplice
scientismo?
Nell’ottica della Comunità europea la ricerca è stata
concepita come uno strumento che serve ad estendere le
risorse tecnologiche, a migliorare la qualità dei prodotti,
ad affilare le lame della concorrenza nel mercato. Ultimamente, però, si è aperta anche la prospettiva dei programmi diretti sotto più aspetti a promuovere le mobilità del
corpo docente e degli studenti, cioè quella circolazione
della cultura, che è il primo correttivo di una elezione
grettamente mercantile dell’integrazione europea: ed
abbiamo insistito perchè a tali iniziative si uniscano i
popoli fratelli dell’Est europeo. Il fatto è che si tratta di
programmi ancora frammentari e privi di mezzi adeguati.
Non c’è stato il colpo d’ala di una filosofia, appunto, della
nostra Comune cittadinanza culturale. Come diceva Erasmos, tuttavia, investire nella cultura è il segreto delle
comunità più avvedute, la cui ricchezza non si appaga
dell’oro sonante delle monete. Per questo vorrei, come
Presidente della Commissione Cultura, esprimere il nostro concreto apprezzamento per l’iniziativa dell’Istituto
napoletano. Il suo appello traccia la via maestra dell’europeismo più maturo.
Il duplice appello dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici per la filosofia e la ricerca umanistica tocca le
radici più profonde della nostra comune coscienza di
europei. Il nostro Parlamento è chiamato a raccogliere le
istanze della nostra società civile. Qui ci troviamo di
fronte ad un autorevole messaggio dal mondo della
cultura. Non possiamo lasciarlo inascoltato.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici si rende interprete dell’esigenza che la nuova generazione, la futura
classe dirigente, sia educata alla filosofia, al pensiero
creativo, alla capacità di giudizio. Di qui anche il suo
impegno nel promuovere una rinascita dell’umanesimo
che possa vivificare ogni ramo della scienza e guidare lo
sviluppo. L’uomo torna, imago Dei, al centro dell’universo quando riscopre il valore perenne della sua libertà
e dignità, del suo diritto a governare la vita e lasciare,
com’è accaduto nelle stagioni più felici della nostra
civiltà, il segno della sua opera nella storia.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha saputo dare
il primo impulso a questa mobilitazione degli uomini di
cultura per rivisitare l’umanesimo. E’ un disegno di largo
respiro. La sua concreta realizzazione passa necessariamente attraverso la scuola, ma resta in definitiva affidata
al sostegno dell’opinione pubblica, al favore che meritano le proposte illuminate e che deve maturare anche qui,
a Strasburgo e nelle altre sedi delle istituzioni europee.
L’appello, infatti, costituisce un importante contributo
alla concezione di un’Europa che comincia finalmente
coll’unirsi in aree diverse dal mercato e dall’economia.
L’Istituto napoletano ha riacceso nella città di Vico e di
Croce un punto focale dell’interesse alla diffusione del
pensiero, alla riflessione sui temi centrali da cui non
possiamo evadere. Guardiamo all’appello. La instancabile dedizione dell’Istituto napoletano alla causa del
sapere, che desta l’ammirazione negli studiosi non importa di quale paese, è posto al servizio di una Weltanschauung che è anche saggezza politica.
Diciamo di voler andare oltre il Mercato, verso l’unione
promessa dal Trattato di Maastricht. La Comunità-Unione che viene dopo la Comunità-Mercato costituisce fin da
ora un naturale polo d’attrazione per tutta l’Europa e si
dispone ad accogliere come suoi componenti altre nazioni. Chi si lascia ciecamente dirigere dalla logica dell’utile
individuale non vede che il mercato deve svilipparsi in
nuova e progrediente struttura della società europea
formata con il cemento dei valori etici, storici e culturali.
L’unione sarà lo specchio dell’umanità che prepariamo:
non un superstato che annienta le nostre identità nazionali, ma nemmeno una semplice lega fra sovrani, che non
conosce l’individuo e ne ignora i bisogni ed i diritti.
Intervento alla presentazione
al Parlamento Europeo
degli Appelli per la Filosofia
e la Ricerca umanistica
Strasburgo, 22 giugno 1993
2
On. Antonio La Pergola
Presidente
della Commissione Cultura
del Parlamento Europeo
SOMMARIO
5
INTERVISTA
5
Hölderlin in Jena. L’idea di una metafilosofia
39 NOTIZIARIO
41 CONVEGNI E SEMINARI
10 SAGGIO
41 ‘A fatto compiuto’: l’antropologia culturale di Geertz
10 Il pensiero metafisico.
Note su Jacques Maritain e la filosofia dell’essere
42 Lo spazio dell’etica
45 Il moderno di Benjamin
46 Christoph Clavius
17 AUTORI E IDEE
47 Violenza e traduzione
17 L’invenzione delle forme
48 Tratti del moderno tra filosofia e teologia
17 L’Etica di fronte all’Estremo
49 Pensiero e verità in Adorno
18 Pensare gli esperimenti
50 Critica dell’ontoteologia
19 Simone Weil, l’impegno al femminile
50 Guglielmo Ferrero
19 Metafisica e mantica
51 Scritture del pensiero
20 Un’estetica a partire da Adorno
55 Ermeneutica: questioni di confine
22 Filosofia e interpretazione
55 Marcel Mauss e il “fatto sociale totale”
56 Il pensiero greco in Hegel
23 TENDENZE E DIBATTITI
23 Logica nella cultura
58 CALENDARIO
24 Spengler rivisitato
25 Primo piano: filosofia e computer
60 DIDATTICA
Da Teuth a CAL: la didattica elettronica in filosofia
60 Manuali di filosofia a confronto (II parte)
La logica e i “software” didattici
64 La filosofia nelle scuole sperimentali
Due versioni informatiche dell’ “Eutifrone”
di Platone
65 Interventi, proposte, ricerche
67 RASSEGNA DELLE RIVISTE
33 PROSPETTIVE DI RICERCA
33 Einstein: scienziato o filosofo?
71 NOVITÀ IN LIBRERIA
34 La mistica della ragione di Meister Eckhart
34 La libertà in F. M. Pagano
35 Passività sintetica
35 Heidegger, Aristotele e la metafisica
38 Husserl, Brentano e i segni
3
INTERVISTA
Johann Gottlieb Fichte, Friedrich Heinrich Jacobi
Friedrich Hölderin
Karl Leonhard Reinhold, Friedrich Schiller
4
INTERVISTA
Ricorre quest’anno il 150˚ anniversario della te tutte quelle “costellazioni” di problemi, ogni volta che si parla del sapere “Io” si deve
morte di Friedrich Hölderlin e l’eredità teorie e persone, in mezzo alle quali Hölderlin intendere necessariamente una relazione di
poetica e filosofica lasciataci dalla sua opera consegue consapevolmente, ancora all’om- autocoscienza, a partire dalla quale solo è
sembra non cessare ancora di destare impor- bra della filosofia kantiana, una propria indi- possibile pensare l’Io. Ma l’autocoscienza
tanti sollecitazioni al pensiero della modernità. pendente prospettiva di pensiero all’interno esprime un’unità che a sua volta è determinaLa vasta letteratura critica che accompagna la del dibattito sui fondamenti del sapere; da ta da una distanza e conseguentemente da un
storia della ricezione di questo autore può questo punto di vista, osserva Henrich, l’Uni- certo modo di separazione reale degli eleoggi avvalersi di un contributo decisivo per il versità di Jena, quale centro del confronto con menti che costituiscono il caratteristico rapchiarimento e la comprensione della partico- Kant e luogo di sviluppo della filosofia post- porto di autocoscienza. Il pensiero in cui si
lare prospettiva di pensiero che Hölderlin, in kantiana, possiede un significato decisivo per esprime l’unità che precede la costituzione
modo frammentario, ma assolutamente origi- quanto riguarda il chiarimento dell’intenzio- dell’autocoscienza e a partire dal quale solo
nario, seppe proporre agli inizi della filosofia ne originaria di Hölderlin di stabilirsi come l’autocoscienza può essere pensata, Hölderidealistica tedesca, precorrendo, nel momen- docente di filosofia nel luogo più significati- lin lo definisce, in rapporto e insieme in
to stesso dell’affermarsi della dottrina fichtia- vo della Germania di allora. In Jena, infatti, opposizione al soggetto puro e assoluto fina, i primi abbozzi di sistema di Hegel e nel breve periodo che va dal gennaio all’ini- chtiano, “essere assoluto” (Seyn schlechthin),
Schelling. Si tratta di due opere di Dieter zio del giugno 1795, Hölderlin non solo ap- conferendo a questo pensiero, inteso come il
Henrich, una interamente dedicata alla rico- proda ad una propria autonomia di pensiero, più semplice e il più fondante, valenze prostruzione e interpretazione della concezione ma addirittura, secondo le lettere e altri docu- prie del concetto di “sostanza” di Spinoza,
filosofica di Hölderlin maturata a Jena, Der menti biografici di quell’epoca, mostra l’in- quali si possono riscontrare in particolare in
Grund im Bewusstsein. Untersuchungen zu tenzione di voler rendere in forma accademi- Jacobi. Essere assoluto è in tal senso il fondaHölderlins Denken 1794-1795 (Il fondamen- ca la sua teoria; e questo nello stesso momen- mento (Grund) in base al quale, in virtù dello
to nella coscienza. Ricerche sul pensiero di to in cui Fichte consegna alle stampe, per la sviluppo interno di un uno e medesimo tutto,
la coscienza si genera come un
Hölderlin 1794-1795, Klett-Cotnuovo stato, una nuova condiziota, Stuttgart 1992), l’altra carattene di questo tutto. Il modo di tale
rizzata dall’intento storico-critisviluppo è quello della “separaco di calare la proposta di pensiezione” (Theilung), laddove il priro hölderliniana nel contesto delmo stadio del processo di separale reazioni teoriche alla filosofia
zione (Ur-Theilung) ha come ricritica di Kant, che Henrich intersultato l’Io individuale e pertanto
preta nel suo lavoro con il titolo:
la coscienza, una coscienza in cui
Konstellationen. Probleme und
è insieme compresa non solo la
Debatte am Ursprung der idealipossibilità, ma anche la realtà delstischen Philosophie 1789-1795
l’autocoscienza. La formula “Io
(Costellazioni. Problemi e dibatsono Io” è, secondo Hölderlin,
titi all’origine della filosofia idel’esempio più calzante di tale “sealistica 1789-1795, Klett-Cotta,
parazione originaria”, poiché esso
Stuttgart 1991). Questi studi giunci dice che l’Io individuale signigono a seguito del compimento,
con un’intervista a Dieter Henrich
fica sempre autocoscienza e si
almeno nella sua prima fase, di
compie nel porsi in uno di un Io
un programma di ricerca dal titocome soggetto con un Io come
lo: “Jena-Programm”, condotto
oggetto. Proprio il fatto che queda Henrich all’Università di Mosta coscienza scaturisca immenaco di Baviera a partire dal 1985,
diatamente da una separazione
che aveva come scopo il chiarioriginaria è ciò che rende possimento della situazione filosofica
bile comprendere reciprocamene intellettuale all’Università di
te sia la differenza dei due moJena negli anni dal 1789 al 1795.
a cura di Riccardo Ruschi
menti (soggetto e oggetto) che
Da segnalare anche, come signicostituiscono l’Io individuale, sia
ficativa integrazione di questo
materiale critico, due nuove edizioni com- prima volta in forma unitaria, la sua Wissen- la loro necessaria identificazione: nel princimentate, in tre volumi, delle opere complete schaftslehre, Schiller compone le due ultime pio Io sono Io la separazione è già pensata
di Hölderlin, pubblicate con il medesimo parti dei suoi Briefe über die ästhetische come separazione di ciò che in origine è uno.
titolo: Sämtliche Werke und Briefe, l’una a Erziehung des Menschen e Niethammer pub- Alla luce di un tale contesto problematico,
cura di Jochen Schmidt (Deutscher Klas- blica il primo fascicolo del suo “Philosophi- osserva Henrich, la concezione di Hölderlin
espressa nel frammento Urtheil und Seyn,
siker Verlag, Frankfurt a/M. 1992), l’altra a sches Journal”.
cura di Michael Knaupp (Hanser Verlag, Il testo con cui Hölderlin s’impone in questo almeno per quanto riguarda la sua posizione
München 1993), quest’ultima condotta sulla “scenario filosofico”, come appunto ci indica nel processo di fondazione filosofica e il suo
base dei risultati editoriali ottenuti a seguito Henrich, è un breve frammento sui fonda- modo di argomentazione, sembra dichiaratadelle ricerche sui manoscritti operate nel- menti della filosofia, noto con il titolo: Ur- mente porsi in linea con il programma metol’ambito dell’ “Edizione francofortese” theil und Seyn (Giudizio ed essere), trascritto dico introdotto da Reinhold all’interno della
(Frankfurter Ausgabe) delle opere complete probabilmente da Hölderlin sul risguardo di discussione sulla filosofia kantiana e succesdi Hölderlin, curata da Dietrich E. Sattler uno dei libri in suo possesso, forse addirittura sivamente sviluppato da Fichte: ricondurre la
(Roter Stern Verlag, Frankfurt a/M. 1975-) la Wissenschaftslehre (Dottrina della scien- filosofia a un fondamento sicuro, affinché
giunta attualmente, con l’edizione dei Briefe za) di Fichte, e risalente all’incirca all’aprile essa possa muovere da un unico “principio”,
(Lettere), al penultimo dei 20 volumi previsti. del 1795. Il contenuto decisivo che secondo da cui sia deducibile il sapere filosofico nella
Nel suo sforzo di ricostruzione della posizio- Henrich caratterizza questo testo è costituito sua totalità. Tuttavia, fà notare Henrich, nella
ne di Hölderlin all’interno della filosofia post- da una critica, ancora concepita nei termini di sua critica alla versione fichtiana di una filokantiana Henrich individua tre ambiti proble- Fichte, del modo con cui quest’ultimo aveva sofia che si fonda sul principio fondamentale
matici, in cui presupposti storici e filosofici posto il sapere che si esprime nel semplice “Io sono” o “Io sono Io”, Hölderlin abbandoinsieme confluiscono nella determinazione concetto di Io e nel principio “Io sono Io” na contemporaneamente il programma metodella particolare autonomia e complessità spe- come certezza ultima e assoluta, e come fon- dico proprio di una filosofia fondamentale.
culativa che caratterizzano la concezione höl- damento nella costruzione della sua Wissen- Hölderlin piuttosto cerca di fondare un moniderliniana. In primo luogo vengono analizza- schaftslehre. In breve, secondo Hölderlin, smo del principio unico, senza cadere però
Hölderlin in Jena.
L’idea di
una metafilosofia
5
INTERVISTA
nello stesso tempo nel monismo metodico
della deduzione di principi da quest’unico
principio o dalla sua definizione di principio
fondamentale. In altri termini la concezione
hölderliniana concorda con le intenzioni di
una filosofia fondamentale nella misura in
cui essa designa un fondamento ultimo a
partire dal quale si formano tutti i modi della
coscienza e del sapere. Ma a ciò essa intende
giungere mediante un ragionamento che dal
punto di vista di una “metafilosofia”, cioè del
concetto metodologico del filosofare, si distacca del tutto da una filosofia fondamentale.
Un secondo ambito problematico individuato
da Henrich in relazione ad una ricostruzione
dell’itinerario di pensiero di Hölderlin all’interno delle tendenze filosofiche della sua epoca è quello che concerne le fonti, le cause
dell’autonomia teoretica di questo itinerario
dal punto di vista del progetto sia filosofico,
sia poetico, che ne sta alla base. La ricerca
inerente lo sviluppo storico dell’itinerario di
pensiero hölderliniano rende ora comprensibile come le concezioni filosofiche maturate
da Hölderlin a Jena devono essere poste in
connessione con i problemi soggettivi, interiori ed esteriori, che egli si è trovato ad
affrontare nel divenire della sua propria esistenza e che, nella misura in cui hanno potuto
portare a una sempre maggiore comprensione
dello svolgersi della sua vita, hanno di fatto
accresciuto nello stesso Hölderlin la consapevolezza dell’essenziale autenticità e validità
della sua concezione. Tra i presupposti che
hanno condotto Hölderlin a una rapida formulazione di una propria concezione filosofica autonoma Henrich indica in primo luogo il
periodo di studi all’Università di Tubinga e
l’esperienza di precettorato a Waltershausen
presso la famiglia von Kalb. Da questo punto
di vista risulta particolarmente significativo il
rapporto che lega lo sviluppo di pensiero di
Hölderlin nella sua prima formazione alla
composizione, nelle sue varie stesure, del
poema Iperione, in cui traspare, filtrata dall’ispirazione poetica e convalidata da precise
vicende esistenziali, l’assimilazione e rielaborazione della concezione fichtiana della
formazione dell’uomo come “progresso infinito”. A ciò si aggiunge tutta una serie di
riflessioni di estetica e di teoria dell’arte,
proprie di questo periodo, che hanno il loro
centro nel confronto di Hölderlin con l’opera
teoretica di Schiller e che sfociano nella
formulazione di un programma di “nuove
lettere sull’educazione estetica dell’uomo”,
di cui a tutt’oggi si presume facciano parte,
tra gli scritti teoretici di Hölderlin, alcuni
brevi frammenti raccolti in modo generico
sotto il titolo di Philosophische Briefe (Lettere filosofiche).
Un terzo ambito problematico è infine individuato da Henrich nell’interpretazione del significato contenutistico della proposta di pensiero hölderliniana, abbozzata in particolare
nel frammento Urtheil und Seyn, nel suo porsi
come una forma di “pensiero speculativo”.
Secondo Henrich, la concezione di Hölderlin
apporta un contributo decisivo alla questione
dell’ “autocoscienza” nella fase storica iniziale della teoria della soggettività. La tesi di
Jacobi di un presupposto dato nell’autocoscienza, per cui ogni esistenza finita ne presuppone una infinita, viene riformulata da
Hölderlin, in relazione soprattutto alla dottrina di Fichte, nella tesi che la forma dell’autoriferirsi del pensiero a se stesso è ciò che
propriamente implica un tale presupposto, un
presupposto tuttavia che come tale non può
essere concepito come nucleo o forma minimale del sapere di se stessi, dunque di un “Io”.
In questo, osserva Henrich, Hölderlin, con la
sua teoria, si avvicina di più prima ad una
consistente fondazione del pensiero specula-
tivo di quanto non facciano, con i loro successivi progetti di sistema, sia Schelling (1801)
che Hegel (1804).
A tale proposito Henrich dedica buona parte
della sua trattazione all’analisi del contenuto
speculativo della costruzione concettuale di
Urtheil und Seyn, indicando in particolare
come il concetto di “essere” (Seyn), qui utilizzato da Hölderlin nel senso del presupposto
necessario insito dell’autoriferirsi del pensiero a sé stesso, derivi, sulla scia di sollecitazioni terminologiche provenienti da Jacobi e
dalla sua cerchia, da una trasformazione in
senso speculativo-concettuale del significato
naturale della parola “essere” nel concetto
guida di “Uno-Tutto”. Tuttavia con questo
non è ancora interamente dischiusa la potenzialità concettuale della terminologia hölderliniana. Occorre, aggiunge Henrich, mettere
in rapporto i termini di “autocoscienza” e
“Uno-Tutto” con una analisi di quelle che
sono le “forme” e le “dinamiche” della vita
nella consapevolezza esistenziale del suo divenire. In tal senso particolare significato
riveste, secondo Henrich, l’analisi della forma
dell’autocoscienza in rapporto alle fasi del
divenire della vita dell’uomo con i suoi conflitti, contraddizioni, cambiamenti di direzione;
come anche particolarmente significativa appare l’analisi della forma della fondazione dell’esistenza umana nei suoi molteplici eventi,
che sola può rendere possibile l’idea speculativa di un fondamento nella coscienza.
La complessità problematica di una tale interpretazione dell’itinerario di pensiero che
sta alla base dell’opera di Friedrich Hölderlin ci ha spinto a rivolgere a Dieter Henrich
alcune domande su questioni centrali del suo
lavoro interpretativo. I risultati di questo
colloquio sono raccolti nell’intervista che
segue. (Trascrizione della registrazione in
lingua tedesca di L.C.)
e anche con risultati finali, che non possiamo assumere
come verità, o per meglio dire da nessuno di essi ci
possiamo aspettare la segreta soluzione della problematica. In altre parole, i problemi di questo periodo e la
correlazione complessiva degli stessi sono ancor sempre
di grande rilevanza per noi, laddove sono le soluzioni
vere e proprie raggiunte a costituire per noi un problema:
a questa situazione di partenza dobbiamo e possiamo far
riferimento. Questo è un motivo.
Un secondo motivo è che ritengo si debba avere una
maggiore capacità di chiarire a noi stessi, globalmente e
in modo sinottico, mediante una visione di insieme,
queste teorie e anche le figure che hanno agito nel
movimento della filosofia post-kantiana, evitando così di
concentrarci eccessivamente soltanto su singoli pensatori - questa deve, naturalmente, essere la premessa - e
confrontando piuttosto il modo in cui vari pensatori
hanno reagito ai problemi di quest’ambito di pensiero per
suscitare con rinnovato interesse le argomentazioni che
vi sono state esposte.
Un terzo motivo infine è che in questo movimento
filosofico colloqui personali, situazioni di discussione in
singoli luoghi, intensi campi di tensione intellettuale,
spiegabili sulla base di vicinanze spaziali e personali,
hanno agito in quantità molto più elevata che in altri
D. Vorrei prendere spunto da una delle Sue ultime
pubblicazioni, Konstellationen. Probleme und Debatte
am Ursprung der idealistischen Philosophie 1798-1795
(Costellazioni. Problemi e dibattiti all’origine della filosofia idealistica 1789-1795), che riporta importanti risultati del lavoro di ricerca da Lei condotto in questi
ultimi tempi sulla genesi della “filosofia classica tedesca”, come appunto Lei denomina l’idealismo tedesco.
Innanzittutto, vorrei chiederLe di chiarire il concetto di
“costellazione”: che cosa intende per costellazione in
relazione alla ricostruzione della filosofia classica tedesca? Quale significato gli attribuisce?
R. Un primo motivo che mi ha spinto a usare questo
termine sta nel fatto che io credo si sia arrivati al punto di
dover tentare di discutere l’intero periodo della filosofia
post-kantiana nel suo complesso, vale a dire diversamente dal modo usualmente adottato in riferimento allo
schema hegeliano, che corrisponde a uno sviluppo conseguente del concetto. Ciò che intendo dire è che in
questo periodo prende forma un qualcosa di profondamente unitario, non tanto come conseguenza di fasi
proprie del processo di sviluppo, quanto piuttosto come
reazione ad un ambito di pensiero, ad un gruppo di
problemi fondamentali e alla loro correlazione, come
sforzo di penetrare e chiarire tali problemi in modi diversi
6
INTERVISTA
periodi. Questi sono i tre motivi che mi hanno condotto
a utilizzare questo concetto.
D. Vorrei passare ora direttamente alla vicenda filosofica di Hölderlin, prendendo spunto dal Suo ultimo lavoro
dedicato a questo autore, Der Grund im Bewusstsein.
Untersuchungen zu Hölderlins Denken 1794-1795 (Il
fondamento nella coscienza. Ricerche sul pensiero di
Hölderlin 1794-1795). Quanto Lei ha appena espresso a
proposito del problema delle costruzioni teoriche nell’epoca della filosofia post-kantiana vale certamente
anche per Hölderlin. In particolare Lei afferma che
Hölderlin arriva a Jena con il chiaro proposito di occuparsi di filosofia e, nel confronto con Schiller e Fichte,
ottenere una docenza. Ciò implicava di possedere una
concezione della filosofia precisa e originale. Ma in che
misura Hölderlin era allora consapevole di possedere
una propria concezione filosofica? Lasciatosi alle spalle
gli anni di Tubinga e superato il periodo dell’incarico di
precettore a Waltershausen, Hölderlin giunge a Jena con
una precisa idea: ascoltare Fichte, entrare in contatto
con Schiller. Fino a che punto egli era consapevole della
propria concezione filosofica da ritenere di potersi confrontare proprio con questi pensatori?
R. Credo che Hölderlin ne fosse completamente consapevole. Già nel 1790 scriveva alle madre di avere dei
progetti inerenti la filosofia. Nel 1794 a Waltershausen
componeva un saggio di critica a Kant e Schiller. All’amico Neuffer scrive dei suoi speculativi pro e contra.
Niethammer lo invita a collaborare al “Philosophisches
Journal”; ed egli intende farlo. Bisogna considerare che
allora non c’era in filosofia alcuno studio di tipo storico.
Chiunque si presentasse come autore di filosofia doveva,
in un modo o nell’altro, essere produttivo: non si poteva
scrivere una dissertazione su Kant senza avere assunto
una posizione filosofica. Si poteva lavorare storicamente
su Platone; ma per quanto riguardava la filosofia contemporanea, bisognava in qualche modo avere un orientamento sistematico. Certo, a Jena si sentivano a casa
propria tutta una serie di giovani studiosi che si credevano capaci di una propria posizione filosofica. Ma per
quanto riguarda Hölderlin, si può sicuramente dire che ne
era del tutto consapevole. Allora egli aveva anche in
progetto il componimento di Nuove lettere sull’educazione estetica dell’uomo. Tale progetto dobbiamo cercare di immaginarcelo nella sua ambiziosa disposizione;
un’idea che meravigliò Schiller, accanto a Goethe, il
poeta più grande della nazione. Schiller era rispettato da
Fichte come un filosofo di valore; Hölderlin prende il
titolo del capolavoro filosofico di Schiller, un’opera che
questi affermava essere la cosa migliore che egli avesse
mai scritto, e mai l’avrebbe scritto meglio, e a questo
titolo antepone “nuove”, con l’intenzione, in altre parole,
di superare Schiller, alludendo chiaramente al fatto di potere
lui stesso scrivere nuove lettere sull’educazione estetica
migliori di quelle precedenti. Tale era la sua ambizione.
D. Se non erro, dunque, i luoghi, in particolare, in cui
queste correnti della filosofia post-kantiana vengono
alla ribalta, sono sedi vere e proprie di costellazioni, nel
significato più ampio di questo termine.
R. Questo è un significato. Ho scelto questo termine
perché ha più di un significato - ho appena accennato a tre
di questi - anzi, ha molteplici significati che sono però
correlati l’uno con l’altro; questi significati sono imparentati con luoghi.
Forse bisogna piuttosto accennare al fatto che questo
significato dei luoghi e delle conoscenze personali ha
anche a che fare con l’esperienza di una generazione, vale
a dire con ciò che era ritenuto importante da una certa
generazione, quelle che erano le questioni particolarmente scottanti, quelli che erano gli autori generalmente
letti, senza che fosse del tutto evidente come questa
lettura, di cui anche si discuteva o si leggeva in comune,
influisse sulla filosofia dei singoli. Anche questa è una
costellazione, una costellazione che si pone sullo sfondo
della formazione delle teorie.
D. Il concetto di costellazione ha anche un significato
storico-critico. Dobbiamo allora intendere il concetto di
“costellazione” come criterio per uno studio storicocritico della filosofia classica tedesca, intesa, in tal
senso, non più come sviluppo lineare da Kant a Hegel,
secondo la formulazione di Richard Kroner, bensì come
insieme di connessioni diverse di autori, di idee e, naturalmente, di quelle condizioni che hanno sviluppato il
modo di pensare di un’epoca?
R. C’è naturalmente questo sviluppo interno soprattutto nei grandi filosofi, soprattutto in Hegel e Fichte,
e tale sviluppo non può essere assolutamente ignorato.
Essi per molti anni hanno continuato intensivamente a
rielaborare i loro problemi e sono così pervenuti a
sorprendenti prestazioni teoriche - questa è la cosa più
importante per quei tempi, e io non voglio in nessun
caso negarla. Ma il modo in cui essi pensavano e in cui
venivano posti i loro problemi è stato determinato
molto prima in tali costellazioni. Ad esempio già nel
Fichte della Dottrina della scienza del 1794 la disposizione dei problemi risulta dalla situazione del dibattito dell’epoca, sulla quale egli ha sempre continuato
a riflettere con tentativi sempre nuovi e approfonditi
di dominare la situazione. Lo stesso si potrebbe dire
per Hegel. Sicché non direi che questa fase di formazione, o meglio di fondazione della filosofia postkantiana racchiuda in sé significative prestazioni teoriche - tali restano la tarda Dottrina della scienza di
Fichte e la Scienza della logica di Hegel; ma il modo
in cui queste teorie sono costruite, il tipo di fini che
perseguono e le evidenze alle quali rispondono, tutto
ciò è stato posto in questo periodo iniziale ed è in
questo stesso periodo che ha avuto inizio l’allontanamento degli allievi più significativi di Kant dal proprio maestro, ragion per cui è indispensabile capire
particolarmente bene questa fase di formazione, e non è
possibile farlo partendo soltanto dalle opere dei singoli.
D. Sembra quasi che qui Schiller compaia già dietro a
Hölderlin, non davanti. Certo si tratta di interpretazioni
del tutto semplificate; ma mi pare che Hölderlin a Jena
avesse di mira in particolare Fichte.
R. Sì, certamente ha preso molto più dalla filosofia di
Fichte che non da quella di Schiller, laddove Schiller
stesso si orientava verso Fichte. Ma le intenzioni fonda7
INTERVISTA
Hölderlin definsce appunto anche come “essere” l’unificazione più intima di soggetto e oggetto, usando terminologie
la cui conoscenza ci deriva soltanto dal nostro sapere. Vale
a dire “essere” ha significato soltanto alla luce del nostro
sapere, pur essendone il fondamento.
Questo per Hölderlin è un programma diverso da quello
di Fichte e ciò permette anche di capire perchè Hölderlin
arrivi poi a dire che l’arte può superare la filosofia: il suo
obiettivo è dimostrare perché l’arte possegga in sé una
verità più profonda di quella della filosofia. Ciò non
significa che la filosofia non raggiunga la verità: filosofia
e arte hanno tratti in comune; ciò che fa l’arte è illuminare
l’uomo nella condizione di separazione in cui si trova la
sua vita rispetto alla natura - la quale anche proviene da
quell’essere - rendendo manifesto un nesso unitario di
reciproca appartenenza nella reciproca separazione, che
non può essere dischiuso attraverso un programma di
dimostrazione. Si tratta precisamente di una filosofia che
pone come fondamento l’ “Uno-Tutto”; ma questo “UnoTutto” non è un concetto che possa porre liberamente per sé
solo una fondazione teoretica. Si tratta allora di partire dalla
propria situazione di autocoscienza e arrivare a deduzioni
orientandoci verso l’esterno: di più la filosofia non può fare.
Questo non è naturalmente il programma di Fichte.
Fichte ha ripreso più tardi anche motivi di Hölderlin e ha
enunciato i limiti entro cui il fondamento può essere
penetrato, nella Dottrina della scienza del 1813. Certamente in modo diverso da Hölderlin; ma alla fine anche
Fichte ha osservato che sussistevano delle dimensioni
all’interno del sapere che dal nostro punto di vista, il
punto di vista del sapere finito, non sono completamente
penetrabili. Più tardi, anche se in modo del tutto diverso,
Fichte ha oggettivamente reso giustizia, potremmo dire,
a Hölderlin, sebbene Fichte non abbia mutato in senso
drammatico il proprio modo di procedere. Questo è
appunto il significato di Hölderlin anche per la nostra
epoca, il fatto che egli si sia appropriato di tutti questi
problemi, a cui la filosofia idealistica si è dedicata, cioè
il problema della costituzione dell’autocoscienza, del
fondamento unico dell’autocoscienza, del modo in cui
possiamo chiarire il rapporto sapere-mondo, e così via.
Tutti questi problemi egli li ha fatti suoi prima di poterli
a suo modo promuovere, ma non ha accettato il concetto
di metodo della filosofia idealistica. In fin dei conti, oggi
possiamo identificarci molto più facilmente con Hölderlin che non forse con Fichte.
mentali, queste le ha condivise con Schiller: non la pura
autoaffermazione, non la pura azione, ma l’intenzione
estetica, che richiedeva che l’uomo trovasse nel cammino verso il proprio compimento un equilibrio tra due
tendenze opposte. Ciò che Schiller obietta a Kant, che
l’inclinazione ha un suo diritto e che, quando si prendano
contemporaneamente le mosse dalla ragione e dall’inclinazione e si aspiri poi a una sintesi, si produce una teoria
dell’arte e soltanto così si può comprendere l’arte, tutto
questo Hölderlin lo ha condiviso con Schiller. Solo che
Hölderlin sosteneva che Schiller non avesse alcun mezzo
teorico per fondare ciò. Ma egli voleva anche contrapporsi contemporaneamente a Fichte: non è mai stato fichtiano; ha letto Fichte e lo ha subito criticato.
D. Lo scritto fondamentale di Hölderlin nel periodo di
Jena è un breve frammento, noto con il titolo: Urtheil und
Seyn (Giudizio ed essere), che nel modo in cui è composto, e come tale ci viene tramandato, si presenta, potremmo dire, come sistema di una filosofia della conoscenza.
Potrebbe sembrare una espressione eccessiva; ma questa breve pagina, scritta su entrambi i lati, contiene in
verità un sistema della filosofia e questo sistema è principalmente rivolto a Fichte, anche se vi compaiono
parecchi motivi della discussione filosofica dell’epoca.
Come Lei ha mostrato, in Urtheil und Seyn si esprime la
ricerca di una ontologia come presupposto per una
filosofia fondamentale. L’espressione “Seyn”, essere, è
propriamente ciò che deve essere presupposto per poter
porre soggetto e oggetto come opposti. La formula “Io
sono Io”, nel linguaggio fichtiano, rimanda secondo
Hölderlin a questo essere…
R. In Fichte rimanda all’essere, in Hölderlin è un esempio,
“il più calzante”, di “partizione originaria” (Urtheilung).
D. Esattamente! In Hölderlin l’espressione “Io sono Io”
è l’esempio di una partizione originaria in quanto rapporto di opposizione reciproco di soggetto e oggetto, in
cui tuttavia è già presupposto l’intero, che appunto si
esprime come essere. La domanda è questa: Lei ha
definito metafilosofia questo metodo di costruzione del
concetto. Come si può spiegare una tale definizione?
R. Metafilosofia significa domandarsi in cosa consiste il
sapere filosofico, come si costruiscono fondamenti filosofici. Hölderlin in tal senso non segue propriamente il
programma fichtiano che si possa partire da un principio
supremo che è anche principio fondante. Ciò che per noi
è la cosa suprema è l’autoseparazione in sé, e dobbiamo
pensare un fondamento di questo essere separati, senza
avere nessun altra sonda nella ricerca di questo fondamento se non quella della separazione. Dobbiamo dunque pensare il fondamento dell’autocoscienza senza avere di esso alcuna certezza immediata, alcun sapere diretto, come pretendeva Jacobi - anche se c’e una comunanza
tra la metodologia di Jacobi e quella di Hölderlin, che
consiste nel fatto che non si può semplicemente raggiungere questo fondamento ultimo e, a partire da esso, costruire
un sistema. Dobbiamo sempre sapere che possiamo arrivare
a un fondamento ultimo solo in modo indiretto, a partire cioè
da un qualcosa di fondato, laddove però non comprendiamo
realmente il modo di questo essere fondato: per questo
D. Una interessante conclusione...
R. Ciò non significa ovviamente che Fichte non sia
l’importante filosofo che è stato. Ma dobbiamo sempre
chiederci come considerare questo periodo. Dobbiamo
considerare che il sentimento è per noi ancor sempre importante da un punto di vista filosofico; e, d’altro canto, non
potremmo certo essere semplicemente fichtiani, come anche sarebbe difficile essere hegeliani nel senso pieno che il
termine ha nella Scienza della logica. E’ dunque per noi
molto liberante avere un tale filosofo, che per un periodo
è stato riconosciuto, almeno da parte di Hegel, di uguale
valore, e che mostra un modo di pensare verso il quale ci
sentiamo inclini, e che potremmo addirittura assumere o
che, comunque, dovrebbe essere sperimentato.
8
INTERVISTA
Questa intervista a Dieter Henrich è stata condotta in occasione del convegno annuale della
Hölderlin-Gesellschaft tenutosi a Jena nel giugno del 1992. Un resoconto delle tematiche e
dei motivi sollevati in tale contesto di discussione e interpretazione dell’opera di Hölderlin
ci pare opportuno richiamare qui di seguito.
Al centro delle ricerche e delle relazioni esposte al convegno è stato il periodo trascorso da
Hölderlin a Jena, dal novembre del 1794 fino
al maggio dell’anno seguente, come momento
decisivo sia per la sua formazione filosofica
che per la sua attività poetica futura. Jena
rappresentava per il giovane Hölderlin una
meta: rappresentava la possibilità concreta di
conoscere personalmente Schiller, di frequentare i “Corsi” di Fichte e di partecipare a quel
dibattito filosofico forse unico tra professori e
studenti, nella città che in quegli anni era
ritenuta la capitale della filosofia europea.
Quando Hölderlin giunse a Jena, poteva confrontarsi con tre progetti filosofici: la Dottrina
della scienza di Fichte, le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo di Schiller e la pubblicazione del “Giornale filosofico” di Niethammer. Nella sua relazione Dieter Henrich ha
stabilito in essi i confini per orientare l’analisi
della formazione del pensiero di Hölderlin. La
sua posizione teoretica, in relazione ai problemi fondamentali della filosofia, viene formulata nel frammento Giudizio e Essere, scritto
probabilmente nell’aprile del 1795. A questo
proposito Henrich ha sostenuto che non è possibile riconoscere la precisa posizione filosofica di questo frammento all’interno della filosofia post-kantiana, se ci si limita a considerarlo
come un tentativo di ricondurre il pensiero di
Fichte dell’ “Io assoluto” a Jacobi. Bisogna
perciò interpretarlo come tentativo di andare
oltre Fichte anche sul terreno della metodologia filosofica. Se Hölderlin segue Fichte nella
ricerca di un unico principio per la filosofia dal
quale dedurre l’intera conoscenza, risale tuttavia a un fondamento ancora più “originario”
dell’ “Io sono Io” di Fichte - che solo dal punto
di vista del sapere rappresenta il principio
ultimo e indeducibile della “separazione originaria” (Ur-Teilung) da cui appunto il “giudizio” (Teil) - verso un’unità indivisa: l’ “essere
assoluto” (Seyn schlechthin). In questo modo il
suo pensiero si addentra in una “metafilosofia”
attraverso una metodologiadel filosofare: Hölderlinponecomefondamentodell’autocoscienza e di
tutto il nostro sapere un’ “originaria unitezza”, che
se è incommensurabile per il pensiero, è tuttavia la
sola che renda possibile il giudizio “Io sono Io”.
A questo proposito viene rilevata da Henrich,
nella terza stesura delle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, una traccia dell’influenza di Hölderlin laddove Schiller scrive: «l’autocoscienza nasce senza l’intervento del soggetto e la sua origine si trova al di là del nostro
orizzonte di conoscenza». In riferimento alla
“metafilosofia” di Hölderlin, Henrich ha considerato come paradigmatica una frase citata
da Jacobi e tratta dai Pensieri di Pascal, che
Hölderlin trascrive in una dedica all’amico
Camerer, dove viene affermato che esiste di
fatto una debolezza della ragione che i dogmatici non sono in grado di superare e che tuttavia
noi abbiamo un’idea della verità che lo scetticismo non è in grado di far vacillare. Hölderlin
accetta questa doppia asserzione, e ciò spiega
perché nel definire l’ “essere” come Seyn schlechthin, si ricolleghi all’ “assoluta certezza
dell’essere” come presupposto imprescindibile di ogni conoscenza, secondo l’asserzione di
Jacobi, dove però tale certezza non si lascia
inserire in un discorso in sé evidente o dimostrabile. A questo proposito, Henrich sottolinea inoltre l’apporto decisivo del pensiero di
Niethammer - considerato da Hölderlin il suo
“mentore filosofico” - per il quale la filosofia
non poteva trovare la soluzione ai suoi problemi di fondamento in un unico principio, né
condurre a una conclusione certa. Per Niethammer come per Hölderlin, il compito principale
della filosofia era quello di riunire quelle due
“aspirazioni” che orientano la vita degli uomini, in quello stato che viene definito nell’Iperione «il più bello e più alto raggiungibile
dall’uomo». Il progetto della filosofia nasce
quindi dal fondamento metafilosofico della
riconciliazione, nella consapevolezza di un progresso infinito della filosofia. In questo percorso
filosofico, che sarebbe stato impossibile senza il
confronto con i temi del dibattito che si svolgeva
a Jena, Hölderlin raggiunse anche la consapevolezza sul ruolo dell’arte nellavita: essoviene inteso
come possibilità di oltrepassare quella verità che si
lascia fondare filosoficamente in una più alta e
nella quale si compie l’effettiva riunificazione
delle opposte “aspirazioni” della nostra vita.
Sottolineando invece la totale integrazione dell’attività speculativa dei frammenti teorici di
Hölderlin con la sua prassi poetica, che sottende quindi l’assenza in Hölderlin di una riflessione filosofica autonoma, Gerhard Schulz si
è posto in opposizione a Henrich nell’attribuire
importanza al pensatore Hölderlin nella genesi
dell’Idealismo tedesco. Questa interpretazione
viene sostenuta paragonando la posizione di
Hölderlin a quella dei fratelli Schlegel o a
Novalis. Non esiste in Hölderlin, come in
Novalis, la volontà di creare un’ “enciclopedia
universale del sapere”: la ricerca filosofica è
subordinata alla sua attività di poeta, come
sembrano mostrare le sue liriche più tarde.
Schulz ha analizzato poi ulteriori differenze
rispetto al Circolo dei Romantici: Hölderlin
traduce Sofocle e non Shakespeare o Calderon,
e se nutre la speranza nel rinnovamento del
presente in un futuro di ritrovata armonia e
pace, questa speranza ha una dimensione tedesca
e non europea. Tutto questo accadeva in un’epoca
di circoli di amicizia e di imprese comuni. Hölderlin rimase un isolato, non provando alcuna gioia
nell’avere dei modelli o compagni di percorso.
Come scrisse a Neuffer già nei primi tempi del suo
soggiorno a Jena: «La vicinanza di spiriti veramente grandi e a cuori veramente grandi, indipendenti e intrepidi, ora mi abbatte, ora mi esalta».
L’analisi del rapporto estremamente problematico di Hölderlin nei confronti di Schiller,
manifestatosi in modo evidente nell’improvvisa fuga di Hölderlin da Jena, è stato analizzato
da Günter Mieth e Rolf-Peter Horstmann.
Mieth ha preso come punto di riferimento della
sua indagine lo scritto di Hölderlin Sulla Religione. Sostenendo che le «esperienze reali
sono sempre alla base dei concetti teorici di
Hölderlin», Mieth rileva come alcune formulazioni teoriche di questo testo possano essere
ricondotte alla lotta segreta di Hölderlin con il
“genio” di Schiller. Se il soggiorno a Jena, cui
egli aspirava per poter frequentare Schiller, è
9
stato fondamentale per la sua formazione, in
realtà di fronte al “grande poeta” Hölderlin
sembrava avere l’immagine della fuga e del
ritorno. Hölderlin cercò infatti, negli “anni più
difficili della sua vita” un riavvicinamento a
Schiller, credendo di aver finalmente raggiunto una sua indipendenza spirituale. Di fronte
alla querelle culturale promossa dagli epigrammi Xenien, pubblicati nella rivista di Schiller
“Musen-Almanach” del 1797, Hölderlin ricorda a
Schiller il programma della “Repubblica dei Saggi” parlando di un “più alto Illuminismo”, facendo
in ciò appello agli ideali della giovinezza di Schiller di una società repubblicana e democratica
fondata sulla tolleranza e sulla libertà dell’uomo.
Horstmann, riferendosi al progetto di Hölderlin di scrivere Nuove lettere sull’educazione
estetica dell’uomo, ha individuato nel suo modo
di intendere la Bellezza da un punto di vista
metafisico un modo di prendere le distanze da
Schiller, che invece aveva rivendicato la differenza tra la filosofia trascendentale e la metafisica, considerando la sua teoria degli “impulsi”
all’interno della filosofia trascendentale e il
fenomeno della bellezza come ciò che è in grado
di mediare tali “impulsi” dell’uomo. Hölderlin si
distanzia da Schiller poiché ritiene tale programma riduttivo: la Bellezza è legata all’ “essere nel
significato autentico della parola”, ne è la presentificazione, e dal principio di mediazione presente
in essa bisogna sviluppare una teoria metafisica.
Secondo Margarete Wegenast, la corrente di
ricerca sul pensiero di Hölderlin non ha finora
lambito che marginalmente il nodo dei rapporti
con la riflessione di Spinoza. Da qui l’esigenza
di un’indagine sugli “infiniti rimandi” presenti
nel pensiero di Hölderlin, considerando in particolare la Prefazione alla terza e “penultima
stesura” dell’Iperione, composta da Hölderlin
a Nürtingen subito dopo aver abbandonato
Jena. La chiave della soluzione ai problemi
rimasti aperti nelle due stesure di Jena del
romanzo, viene rinvenuta nel pensiero dell’
“Uno-Tutto”, di evidente connotazione spinoziana, nel quale gli estremi della soggettività
“eccentrica”, da una parte, e della Bellezza
dall’altra vengono riuniti. In queste implicazioni spinoziane Wegenast vede espressa l’immagine di Hölderlin come filosofo sia nella sua
critica a Schelling, sia nella chiara influenza
del suo pensiero in quello dell’amico Sinclair.
La Prefazione alla “penultima stesura” dell’Iperione deve essere perciò analizzata a partire dal retroterra culturale di Jena,e Hölderlintrova,
in modo apparentemente paradossale, la Bellezza
come paradigma di integrazione dell’Etica, della
filosofia critica e della teoria dell’azione di Fichte.
Considerando l’importante presenza di Platone, “il divino maestro” nel pensiero di Hölderlin, Michael Franz ha analizzato la lettura di
Hölderlin dei Dialoghi platonici in relazione ai
problemi inerenti alla ricerca dei principi per una
“filosofia dell’unificazione”. Nella sua interpretazione allegorica dell’insegnamento di Platone,
Hölderlin si rifà a Ficino, distanziandosi così da
quell’esigenza di accuratezza filologica che era
considerata un criterio ermeneutico fondamentale
dai suoi contemporanei. Ciò gli permette di trovare, nell’insegnamento platonico delle archai, quei
principi e figure diunità, distinzione e unità mediata che, posti in relazione col mito di Eros, gli
consentono di indicare proprio nella Bellezza un
principio diadico della mediazione. M.C.
SAGGIO
Note
1
Cfr. ad es. O. Spengler, Il tramonto dell’occidente (1922); N. Berdjaev, Un nouveau Moyen Age (1928); J. Benda, La trahison des clercs (1927); J. Ortega y Gasset,
La ribellione delle masse (1930); J. Huizinga, La crisi della civiltà (1935); E.
Husserl, La crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale (1936).
2
Sull’ampia recezione internazionale di
L’uomo e lo Stato cfr. l’accurata “Nota di
bibliografia ragionata” di Piero Viotto, in
appendice a L’uomo e lo Stato, Ed. Massimo-Vita e Pensiero, Milano 1992, pp. 259289. Sulle categorie centrali del volume ed
il suo rilievo nella filosofia politica moderna cfr. anche la mia introduzione allo
stesso, pp. X-LXXIX.
3
J. Maritain, Oeuvres complètes, Ed. Universitaires - Fribourg, ed Ed. Saint Paul Paris, 1982-1992. I tredici voll. editati
contengono le opere firmate solo dal filosofo. Ulteriori volumi sono previsti per
quelle scritte in collaborazione con la
moglie Raissa e per quelle ad opera solo di
quest’ultima.
4
I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia
1974, p. 19.
5
Avendo insegnato storia della filosofia
moderna per varie decine d’anni, Maritain
ne possedeva una conoscenza intima. Questo non gli precluse di stimare i pensatori
medievali, contrariamente perciò allo schema storiografico hegeliano, tanto diffuso
finora, per cui il Medio Evo rappresenterebbe rispetto al livello del pensiero greco
e a quello dell’idealismo una parentesi da
annullare come astratta o insignificante.
Uno schema che svariati manuali di filosofia oggi ripetono, sorvolando sul Medio
Evo con gli stivali delle sette leghe sulla
base di un motivo non poco capzioso: quel
periodo sarebbe esclusivamente teologico, non filosofico.
6
Lo strutturalismo assegna alla filosofia
un compito meramente residuale, quello di
attivarsi su ciò che le scienze umane le
offrono da pensare. Di questo atteggiamento è emblematico il seguente giudizio
di C. Lévi-Strauss: «La filosofia [è] condannata a vegetare, a meno che non accetti
di diventare riflessione sul sapere scientifico, il che sarebbe già molto» (L’uomo
nudo, Milano 1974, p. 605). Anche questo
“positivismo delle scienze umane” non è
mantenuto in piedi da J. Habermas, che in
Il pensiero post-metafisico (Laterza, RomaBari 1991) nega alla filosofia di possedere
un oggetto e un metodo propri (cfr. p. 41),
e di potersi fondare sul primato della teoria
(cfr. p. 52).
7
G. Gentile, Genesi e struttura della società, Mondadori, Milano 1954, p. 32.
8
La citazione esatta suona: «Entitas rei
praecedit rationem veritatis, sed cognitio
est quidam veritatis effectus» (De Veritate, q. 1, a. 1). Cfr. anche: «Veritas fundatur
in esse rei magis quam in ipsa quidditate,
sicut nomen entis ad esse imponitur» (In I
Sent. , d. 19, q. 5, a. 1).
9
«La funzione propria del giudizio consiste così nel far passare lo spirito dal piano
della pura essenza, o dall’oggetto presentato al pensiero, al piano della cosa o del
soggetto che possiede l’esistenza... Il giudizio restituisce al soggetto transoggettivo
quella unità che la semplice apprensione
(cogliendo in essa oggetti di pensiero diverso) aveva disgiunto» (J. Maritain, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente,
Morcelliana, Brescia 1965, p. 19 s.).
10
Secondo l’Aquinate: «Esse dupliciter
dicitur: uno modo significat actum essendi; alio modo significat compositionem
propositionis quam anima adinvenit coniungens praedicatur subiecto” (S. Th., I,
q. 3, a. 4; cfr. anche In Im peri Hermeneias,
lect. 5, n. 73).
11
Sull’essenza della verità, a cura di U.
Galimberti, La Scuola, Brescia 1973, p.
19.
12
Sistema dell’idealismo trascendentale,
Laterza, Bari-Roma 1990, p. 21.
13
Cfr. Ivi, p. 27 ss. E anche: «L’autocoscienza è il punto luminoso in tutto il
sistema del sapere... senza domandarci
punto se l’esistenza sia il necessario in
generale e il sapere soltanto l’accidente di
essa, - per la nostra scienza è certo che il
sapere si rende autonomo precisamente
per il fatto che noi lo prendiamo in considerazione solo in quanto trova la sua validità in se stesso, cioè in quanto è meramente subiettivo» (Ivi).
14
Lettera di Bergson a J. Chevalier (28
aprile 1920), pubblicata da questi nella sua
opera Bergson, Plon, Paris, 1926, p. 296.
per rimontare alla sua essenza. Ma la percezione non è richiesta per l’ideazione; è
sufficiente all’ideazione - ed è perfino preferibile - avere, come “esempio”, un oggetto nella immaginazione. “Appartiene
all’essenza generale dell’apprensione immediata delle essenze... d’essere compiuta
sulla base di una semplice ripresentazione
(Vergegenwärtigung) delle singolarità
esemplari”. Questo dà al fenomenologo la
libertà necessaria per potersi staccare da
ciò che realmente è dato, e per percorrere
la sfera delle possibilità» (La théorie de
l’intuition dans la phénoménologie de
Husserl, Alcan, Paris 1930, p. 201 s.. La
frase tra le virgolette [“ “] è di Husserl).
Anche il metafisico gode della libertà di
potersi staccare dalla datità e di poter enunciare leggi valide per tutto il dominio dell’essere reale; ma il suo compito non consiste nel “rimontare all’essenza”. Nell’epoché fenomenologica il filosofo procede a
mettere tra parentesi il problema dell’esistenza o della non-esistenza del mondo: è
pensabile qualcosa di simile in relazione
all’intuizione dell’essere? Il carattere laborioso dell’intuizione eidetica di Husserl,
il quale era consapevole della difficoltà di
praticare l’intuizione delle essenze perché
occorre vincere l’inclinazione naturale della vita spirituale ed operare una sorta di
conversione verso il centro dell’Io donatore di senso (E. Fink definiva addirittura
questa «un’opera di disumanizzazione»),
contrasta col carattere umano, spontaneo e
“comune” dell’intuizione dell’essere.
16
J. Maritain, Quattro saggi sullo spirito
nella sua condizione carnale, Morcelliana, Brescia, 1978, p. 171 s.
17
Cfr. Metafisica, l. VI, c. 1.
18
15
Cfr. ad es. Riflessioni sull’intelligenza,
Massimo, Milano 1987, pp. 273 ss.. Anche
nella fenomenologia husserliana si fa ampio ricorso alla intuizione eidetica, onde
pare legittimo domandare in che rapporto
essa sia con l’intuizione dell’essere. Osserviamo intanto che, mentre la fenomenologia è una scienza eidetica della conoscenza, che si costruisce nella riflessione
sulla “coscienza” e che mira nell’intuizione a cogliere le sue strutture aprioriche
(struttura del tempo, intenzionalità, correlazione di noema e noesi, etc.), la metafisica dell’essere è una scienza del reale, che
si costruisce a partire dagli enti attorno
alla conoscenza della “verità dell’essere”
e che nell’intuizione intellettuale afferra
l’esse e le sue proprietà universali (analogia e trascendentalità).
La fenomenologia husserliana recupera
certo il valore conoscitivo dell’intuizione,
che però ha per oggetto solo le essenze
(Wesensschau fenomenologica). Per cogliere la diversità tra l’intuizione dell’essere e l’intuizione eidetica della fenomenologia converrà ascoltare questo passo di
E. Lévinas: «La riflessione fenomenologica è una riflessione ideativa. Dirigendosi
sullo stato di coscienza concreto, percepito, essa se ne serve, come di un esempio,
15
Cfr. W. Jaeger, Aristotele, Firenze 1935;
P. Natorp, Themaund Disposition der aristotelischen Metaphysik, in “Philosophische Monatshefte”, 1888, n. 24; M.
Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Roma-Bari 1981.
19
Per uno svolgimento speculativo del
tema del nichilismo mi permetto rinviare
al mio scritto Sull’essenza del nichilismo
teoretico e la ‘morte della metafisica’, in
“Filosofia”, gennaio-aprile 1993, pp. 353.
20
La Chiesa del Cristo, Morcelliana, Brescia 1971, pp. 262 s.
21
Cfr., Essere e intellectus. Una Prefazione alla metafisica, “RFNS” n.3, 1991, pp.
385-429.
22
Contra Gentiles , l.I, c. 22.
SAGGIO
quale sapere sull’essere, che si esprime nell’unità scientifica
di ontologia e di teologia naturale, già sostenuta da Aristotele
ma successivamente non poche volte messa in dubbio17.
Come è noto, nel nostro secolo sono stati Natorp, Jaeger,
Heidegger ad allontanarsene18. Nell’opera maritainiana la
metafisica vale classicamente come ricerca sull’essere in
quanto essere, che comprende al proprio interno una dottrina sull’ente come tale (ontologia generale) ed una su Dio
inteso come l’Esse ipsum (teologia naturale). Quest’ultima
non è considerata da Maritain, come in qualche modo
accadeva invece in Aristotele, quale indagine sulla regione
più alta dell’ente e dunque sull’ente più alto (compreso
appunto ancora come ente), ma tentativo di ascendere verso
una qualche conoscenza dell’Essere stesso attraverso i suoi
riflessi creati, e seguendo le classiche vie ascensive dal
diveniente all’Indiveniente, dal contingente al Necessario,
dall’imperfetto al Perfetto. Alle cinque vie tomistiche il
filosofo francese aggiunge una “sesta via” che parte
dall’esperienza del pensare, discussa nel volume Approches de Dieu, e specifiche vie dell’intelletto pratico,
finora alquanto trascurate nella tradizione altamente intellettualizzata del tomismo.
Ontologia dell’esse/actus essendi e teologia naturale formano l’unità ontoteologica della metafisica, sotto la regia della
conoscenza dell’essere in quanto tale, ossia in tutta la sua
ampiezza trascendentale. In questa regione del pensare non
può giungere la critica heideggeriana dell’ontoteologia, a
cui sfugge che la filosofia dell’essere vale come metafisica
“transontica”, che non si arresta all’ente ma assume a
proprio oggetto l’essere come tale, e che di conseguenza si
eleva sulla verità principiale della differenza fra ente ed
essere. Questa differenza la metafisica dell’essere l’ha
tematizzata sotto un duplice profilo: 1) differenza o distinzione reale nella struttura stessa dell’ente finito fra esistenza/essere ed essenza, per cui esso non è il suo proprio
esistere; 2) differenza ontoteologica fra l’ente finito e l’Esse
ipsum, nel quale soltanto accade l’identità di essenza ed
esistenza. L’Atto puro aristotelico, ossia il Dio che è Atto
puro di Pensiero (cfr. Metafisica, l. XII), si palesa nella
metafisica transontica dell’essere più radicalmente come
Atto puro di Essere, un infinito oceano di Esistenza pura,
ingenerata ed eterna, che è identicamente il soggetto di ogni
altra perfezione: Vita, Pensiero, Amore, Spirito, Intelletto. In Dio viene meno la differenza ontologica per l’identità in lui di esistenza ed essenza, e ciò costituisce il
privilegio dell’Assoluto.
Con l’approfondimento maritainiano della Seinsphilosophie
come metafisica transontica, che non si arresta all’ente ma
si volge all’essere, due guadagni tra i vari possono ora
brevemente attirare la nostra riflessione. Viene debellato in
radice il nichilismo teoretico, largamente presente nella
filosofia del XX secolo, secondo cui la conoscenza non
sbocca su nulla di reale, onde la metafisica come scienza è
vana illusione. Il nichilismo teoretico viene appropriatamente denominato così, perché in esso ciò che va in nulla,
ossia viene nientificato, è la verità dell’essere19. In secondo
luogo viene mostrato che la tradizione della filosofia dell’essere è suscettibile di progresso, senza rinchiudersi nelle
forme del passato: «I miei maestri della scolastica mi hanno
insegnato una dottrina che amo e venero. Ma ho sempre
pensato che la forma dell’esposizione, lo svolgimento e lo
stile detti “scolastici” hanno fatto il loro tempo, perché sono
diventati un ostacolo alla vita e al progresso di quella grande
dottrina nella storia umana. Ciò di cui essa ha bisogno non
è più un approccio dottorale e cattedratico che scolpisca nel
marmo un maestoso sed contra e perentorie risposte numerate; ha invece bisogno di un approccio libero, indagatore,
umile e intrepido al tempo stesso; è di avanzare sotto lo
stendardo di Giovanna [d’Arco]; c’era qualcosa di simile
nello stile di Bergson»20.
Ora per Maritain la filosofia dell’essere è entrata in catalessi
nell’epoca moderna, in concomitanza con lo sviluppo di
filosofie empiristiche, idealistiche, materialistiche. La miglior difesa della metafisica è il suo sviluppo omogeneo,
mediante cui essa si conserva in atto, rimane capace di
giudizi, sa suscitare filosofi idonei a filosofare secondo la
sua forma, è in grado di svolgere il “virtuale inespresso”
(questo è qualcosa di rilevante per il progresso del pensiero).
Dal momento che l’organismo della filosofia è sinolo di
materia e di forma (la materia rappresentando il modo di
esprimere, l’assetto sistematico, le problematiche prese in
esame, ecc., mentre nella forma vengono inclusi la posizione metafisica fondamentale e i principi in cui questa si
esprime), lo sviluppo storico della filosofia dell’essere va
inteso come compresenza di “identità/permanenza” e di
“differenza/mutabilità”: identità della sua ragione formale e
mutabilità della sua ragione materiale. In questo modo si
adegua materialmente la filosofia alla cultura, al processo
storico, alle nuove questioni. L’identità transtemporale e
transculturale della metafisica si situa al livello della sua
ragione formale, ossia della concezione dell’essere; e vale
non come pura identità chiusa e dunque ripetizione, ma
come svolgimento del virtuale e rinnovamento materiale.
Il progresso della filosofia dell’essere è esattamente un’
“identità che cresce”.
Se con l’Aquintae la Seinsphilosophie penetra l’essente in
direzione dell’essere, portando a compimento ciò che altrove abbiamo chiamato la “terza navigazione nella storia della
metafisica”21, è perché essa è impregnata dal messaggio
biblico; di ciò che Gilson chiamava la “metafisica dell’Esodo”, Filone la “filosofia mosaica”, e Maritain l’assoluto
realismo della filosofia cristiana. Pensando alla luce di
Parmenide, ma soprattutto e in maniera decisiva in quella
della Bibbia e in specie di Esodo 3, 14, la filosofia dell’essere sfugge al destino dell’oblio dell’essere, non arrestandosi all’ente. Se si vuole intendere a quali idee uno scrittore
misurato come l’Aquinate attribuisca particolare rilievo, si
osservino i rari casi in cui il suo stile limpido e piano
raggiunge il massimo grado di eloquenza espressiva. Uno di
questi, forse il più significativo, ricorre quando egli parla di
haec sublimis veritas a proposito della rivelazione a Mosè
del più alto nome di Dio: Ego sum qui sum22. Con l’intendimento di questo Nome nasce la “metafisica cristiana” che
inizia molto presto e già prima di Agostino, nel quale il
rilievo di Esodo 3, 14 è onnipresente: essa nasce dall’alleanza tra Bibbia e grecità, in cui occorre riconoscere che per
quanto grande e decisivo sia stato l’apporto della filosofia
greca, quello dell’ “ontologia biblica” è stato ancor più
decisivo. Poiché nella Bibbia si dischiude più profondamente il senso dell’essere, la “metafisica cristiana” ha
proceduto ad una riforma delle categorie e quadri dell’ontologia greca proprio alla luce di quest’ultimo.
14
SAGGIO
invece da Bergson. In una lettera a J. Chevalier, quest’ul- raggiunge la massima penetrazione ontologica, essendo
timo scriveva: «Voi avete perfettamente ragione di dire impossibile retrocedere verso un fondamento più origiche tutta la filosofia che espongo nel mio primo essai nario e universale dell’esse.
afferma contro Kant la possibilità di un’intuizione sopra- Attraverso la dottrina dell’intuizione intellettuale astratsensibile. Prendendo la parola “intelligenza” nel senso tiva viene introdotta un’idea di filosofia come sapere di
molto largo che le assegna Kant, potrei chiamare “intel- tipo percettivo che, mediante i suoi strumenti conoscitivi
lettuale” l’intuizione di cui parlo»14.
(i concetti, che sono determinazioni del concetto di
Ammettendo la possibilità di un’intuizione intellettuale, essere; e i giudizi che si ricollegano ai primi principi),
si viene a sostenere che l’intelletto è una facoltà percet- “vede” il reale attraverso l’idea di essere e le sue infinite
tiva o di “visione” (un tema che richiama il platonico determinazioni. L’intuizione intellettuale dell’essere co“occhio dell’anima”), ossia l’idea che l’intelletto conce- stituisce la fondamentale percezione metafisica, che regpendo vede e vedendo concepisce. E’ per esso un unico ge originariamente ogni nostro pensiero, che è implicata
in tutti i nostri atti di intelatto “concepire” un’idea e
ligenza e che dischiude la
“percepire” intellettualsfera del trans-sensibile, a
mente una cosa, anzi l’idea
partire dall’esistenza conrappresenta la cosa, è la cosa
creta nella quale svolgono
stessa sotto un determinato
un compito primordiale i
esponente di intelligibilità.
sensi. Una tale intuizione
Trattandosi tuttavia di un
intellettuale non è poi prointelletto umano, che è
duttiva, ma contemplativa,
un’intelligenza in condizionel senso che non produce
ne corporea e che perciò
il suo oggetto ma lo coglie.
funziona astrattivamente e
«Se il positivismo, antico e
non può prescindere dalnuovo, e il kantismo non
l’apporto dei sensi, la sua
comprendono che la metaintuitività non potrà essere
fisica è autenticamente una
completa come quella di un
scienza, un sapere, è che
intelletto puro, ma appunto
essi non comprendono che
legata all’astrazione: “inl’intelligenza vede. Per essi
tuizione astrattiva” la desolo il senso è intuitivo, l’innomina Maritain15. In essa
telligenza non ha che una
l’essenziale non è costituifunzione di collegamento,
to dal “togliere”, ossia dal
di unificazione... E senza
far cadere le note individubbio non c’è intuizione
duanti, come accade in ogni
intellettuale “angelista”, nel
processo astrattivo, ma dalsenso di Platone e di
la positiva percezione delCartesio, cioè che fa a meno
l’essere a cui l’intelletto
della mediazione del senperviene in una visualizzaso; senza dubbio non vi è
zione eidetica, ossia in un
nulla nell’intelletto che non
“vedere” intellettuale traprovenga originariamente
mite l’idea. Pur non essendall’esperienza sensibile.
do una intuizione sopraMa precisamente l’attività
sensibile del singolare esidell’intelletto libera da tale
stente, e non sboccando
Jacques Maritain
esperienza e porta nel fuoperciò sull’esistenza singoco della visibilità immatela, l’intuizione astrattiva
dell’essere tocca mediante l’astratto e l’universale l’esse- riale in atto gli oggetti che il senso non poteva decifrare
nelle cose, e che invece l’intelligenza vede; è tutto il
re in quanto essere.
Tale intuizione, senza di cui secondo Maritain non si dà mistero della operazione astrattiva... Il problema della
sapere filosofico in senso proprio, non è innata, ma metafisica si riconduce in definitiva al problema dell’inacquisita in un processo in cui essa si distende lungo varie tuizione astrattiva, e alla questione di sapere se, al vertice
tappe, precisandosi e approfondendosi a partire da un dell’astrazione, l’essere stesso e in quanto essere, che
momento esperienziale che resta fondamentale. Tale imbeve il mondo dell’esperienza sensibile, ma che traintuizione, intesa dapprima in senso lato, inizia con la bocca da tale mondo da tutte le parti, è o non è l’oggetto
consapevolezza fenomenologica dell’esistere delle cose di una tale intuizione»16.
e della loro densità reale . Si produce poi in e con un
giudizio di esistenza, nel quale si esce dal piano nozionale La metafisica come “identità che cresce”. Veritas
e si raggiunge quello esistenziale; e si compie con l’espli- sequitur esse rerum. Assumendo questo giudizio come
citazione del concetto di “atto d’esistere” attraverso un guida, il pensiero ontologico di Maritain ha operato una
processo di riflessione-comparazione-risoluzione. Esso più profonda penetrazione della natura della metafisica
13
SAGGIO
oggetto di pensiero, una nozione, che pur richiamando il
soggetto reale che essa significa, non esiste se non nello
spirito. Solo con il giudizio si passa dall’oggetto nozionale al soggetto, all’esistenza9. E’ ciò che con Maritain
possiamo denominare la funzione esistenziale del giudizio, nel senso che in esso il verbo “essere” non svolge solo
o principalmente il compito di collegare come copula
soggetto e predicato, ma denota lo stesso atto di esistere
esercitato dalla cosa10. La metafisica, intendendo conoscere tutto quanto esiste e così come esiste, lo considera
non secondo che è un oggetto A o B, ma in quanto essere,
ossia in quanto esistente. Orbene “tutto quanto esiste”,
ossia l’intera ampiezza trascendentale dell’esistenza si
presenta come un’infinita repubblica di individui, che
esercitano il loro atto d’esistere quale atto primo più
radicale di ogni altro. Ciò non sfugge alla conoscenza: nel
momento del giudizio l’intelletto raggiunge l’esse, l’esistenza esercitata dalle cose, e così contempla quel miracolo continuo che è il loro non-andare-in-niente.
Il giudizio è possibile perché il pensiero è originaria
apertura all’essere. Questo tema è stato toccato anche da
Heidegger, ma nel quadro di un processo di pensiero che
conduce in un’altra direzione rispetto all’assunto classico. Nel saggio Sull’essenza della verità il pensatore
tedesco domanda esplicitamente come possa il giudizio,
conservando la sua essenza per cui è un qualcosa diverso
dalla cosa, adeguarsi ad altro, ossia alla cosa. Risponde
che la natura dell’adeguazione va determinata a partire
dal tipo di relazione che esiste tra il giudizio e la cosa.
Esso secondo Heidegger è un rapportarsi che è uno stare
aperto sull’ente, inteso come “ciò che è presente”. Tale
apertura è la condizione previa della verità del giudizio,
e viene fatta dipendere dalla libertà secondo un’opzione
gravida di conseguenze decisive per l’essenza stessa
della verità. Mentre la verità non ha la sua dimora
originaria nella proposizione, «l’apertura del rapportarsi,
che rende possibile intrinsecamente la conformità, si
fonda nella libertà. “L’essenza della verità e la libertà”»11.
Essa vale poi come lasciar-essere-l’ente, in un atteggiamento non contemplativo, bensì fondato in una decisione, per cui con l’abbandono del tema della adaequatio
teoretica, l’essenza della verità è spostata verso la prassi.
Se l’essenza della verità è la libertà e non l’adaequatio
enunciativa che raggiunge l’atto d’essere dell’essente,
che cosa sia l’essere rimane incognito. E’ nelle premesse
più intime del pensiero di Heidegger che egli non abbia
raggiunto in una visualizzazione eidetica la “conoscenza” dell’essere, che cercava con tutte le sue forze, ed
abbia fatto vela verso un’ “esperienza” dell’essere (Erfahrung des Seins), la quale è di per sé di ordine metafilosofico. A questa profondità nasce il dramma specifico della
ricerca di Heidegger: cercare nell’esperienza quasi-mistica
e nella parola poetante un sostituto a quella conoscenza
intellettuale o teoretica dell’esistere che non è stata attinta.
Mentre in Heidegger l’essenza della verità è fraintesa,
perché dislocata verso la decisione e la prassi, in Schelling
lo è perché riportata verso la poiesi. Nel Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) il giovane Schelling introduce un’idea di filosofia (e metafisica) fondamentalmente antiteoretica, non assegnandole il compito di pensare
le cose che sono e come sono, bensì di essere produttiva:
«ogni filosofia è produttiva... perciò la filosofia dell’arte
è il vero organo della filosofia»12. Secondo la sua concezione idealistico-poietica, una tale filosofia è intesa come
sistema di tutto il sapere, che inizia solo dall’io, onde
l’intera storia della filosofia è esclusivamente svolgimento progressivo dell’autocoscienza. Viene perciò rifiutato il “pregiudizio fondamentale” (è sempre Schelling
che parla), a cui tutti gli altri si riconducono, che esistano
cose al di fuori di noi: pertanto l’idealismo trascendentale
cerca il principio del sapere non nell’essere, ma al di
dentro del sapere stesso, dove coincide con la coscienza
di noi stessi o autocoscienza. Che rimanga poi da spiegare
se e come l’autocoscienza rinvii all’essere, Schelling lo
intende, ma considera che tale compito giaccia fuori della
filosofia trascendentale, che si limita al sapere, non
all’essere. Completo è perciò lo scambio tra il trascendentale “essere” e il trascendentale “vero” (il
termine“trascendentale” è qui impiegato nel senso della
Seinsphilosophie, non dell’idealismo), per cui non il
primo, ma il secondo è fondante.
La filosofia è ormai intesa possibile solo come scienza
del sapere (avente cioè per oggetto il sapere, non l’essere), onde il suo fondamento non sta in un principio
dell’essere, ma in un principio del sapere, che è appunto
l’Io13. Con lo scambio di priorità tra i trascendentali ens
e verum, e la riconduzione di quest’ultimo all’attività
produttiva dell’autocoscienza, la verità della proposizione non è più fondata sull’esse ma sull’io. Spingendo sino
in fondo e senza tentennamenti il principio idealistico, il
pensiero del giovane Schelling ha abbandonato il criterio, in cui si è prima riconosciuta l’essenza della verità:
veritas sequitur esse rerum, provocando con ciò una
specifica crisi della dottrina del sapere.
Conoscenza dell’essere: l’intuizione intellettuale. Se
c’è un messaggio speculativo che Maritain ha cercato di
trasmettere, esso andrebbe individuato nell’idea che la
conoscenza concettuale della metafisica, espressa in idee
e giudizi, è preparata e sostenuta da un incontro decisivo,
ad un tempo sperimentale ed intellettuale con l’esistenza:
un incontro che inizia attraverso una percezione sensitiva
la più acuminata possibile dell’esistenza e dei suoi conflitti (per questo un metafisico privo di sensi è un’assurdità), e che poi passa dal piano esperienziale, psicologico,
emozionale a quello intellettuale, in cui la realtà dell’essere è espressa dall’intelligenza a se stessa in un’idea, in
un’intuizione, che il filosofo francese denomina “intuizione intellettuale dell’essere”. Questa, che è dall’uomo
posseduta a titolo precario, è per il metafisico da riattualizzare costantemente per evitare che scada nel banale o
che si perda. Una tale intuizione intellettuale o eidetica
(nel senso che si formula in un’idea) è il bene proprio
dell’intelletto nel suo addentrarsi nel mistero ontologico
ed esprimerlo nell’idea. Se ciò non accade, si cercherà di
prendere contatto con l’essere per altre vie; ad esempio
quella dell’analisi della soggettività, oppure quella dell’amore, che però conducono più ad una percezione
affettiva che eidetica dell’esistenza.
Nella tematica dell’intuizione intellettuale dell’essere è
implicata quella più generale della possibilità di una
intuizione soprasensibile, negata da Kant e sostenuta
12
SAGGIO
reale dell’essere, quest’ultimo circoscrive lo spazio teoretico entro cui non può nascere il nichilismo, il quale
possiede un’origine teoretica e si riassume nell’incapacità dell’intelletto di raggiungere la verità dell’essere: nel
suo senso ultimo il nichilismo è il processo di nientificazione, in cui il subjectum, volgendosi agli enti ed all’essere, li coglie come oggetti speculativamente insignificanti, e dove dell’essere non ne è più nulla (oblio dell’essere, sì, ma in un senso diverso da Heidegger). Con la tesi
sulla possibilità della metafisica il filosofo francese viene
a collocarsi in dialettica con le diffuse e ricorrenti diagnosi sulla morte della filosofia, che trovano una eco nello
strutturalismo, nel recente pensiero postmetafisico, e più
indietro nell’attualismo di Giovanni Gentile6. L’opzione
comune a queste pur così diverse espressioni filosofiche
è il rifiuto della teoria. Secondo Gentile «Conviene
lasciar da parte... il termine “teoria” che è meramente
metaforico e fantastico, come quello di “visione”, o
“intuizione”, e simili; suppone una rappresentazione così
ingenuamente realistica del rapporto tra soggetto e oggetto del conoscere, che nessuno può pigliare sul serio
almeno da più di duemila anni in qua»7.
Nella sua secchezza la frase non abbisogna di molti
commenti, salvo l’affermazione storiograficamente non
sostenibile sulla fine del realismo conoscitivo da oltre
duemila anni. Se però si potesse mostrare che alla teoria
è ancora e sempre riservato un compito attraverso la
capacità conoscitiva dell’intelletto quale facoltà dell’essere e dei principi, allora l’intera impostazione del problema ontologico muterebbe aspetto, e l’uomo sarebbe
già da sempre di fronte alla verità dell’essere. Nell’esplicitare questi elementi e nel fare esprimere alla tradizione
della filosofia dell’essere un massimo di rendimento
speculativo consiste il compito forse primario del pensiero ontologico maritainiano.
L’oggetto della metafisica. La metafisica intende conoscere tutto quanto esiste e così come esiste, risolvendolo
nel concetto di essere/esistenza. Il suo primo passo e in
certo modo il suo compimento stanno nell’idea che
l’esistenza non è cieca, ma è la fonte prima dell’intelligibilità. Questa è infatti massima là dove vi è un massimo
di energheia/atto (ogni cosa è intelligibile nella misura
stessa in cui è in atto). Ciò accade nell’esistenza, che
secondo la grande analisi o risoluzione ontologica di
Tommaso d’Aquino è actus essendi/esse. In ciò è forse
contenuto uno dei massimi guadagni della storia della
metafisica, quando cioè il pensiero ha voluto pensare non
solo l’essenza, verso la quale si dirigono le filosofie di
impronta platonica, ma l’ “esistenza stessa”. L’esistenza
è atto, e più esattamente atto d’essere, atto di tutti gli atti
e perfezione di tutte le perfezioni, perché tutti gli atti e
tutte le perfezioni dell’ente in tanto sono possibili in
quanto sono sostenuti e attivati dall’atto primo, che è
l’atto di esistere.
La metafisica dell’essere assume come proprio oggetto di
analisi e di indagine scientifica non il “concetto” di
esistenza (che sarebbe allora inteso nel modo di un’essenza), ma l’ “atto” stesso di esistere. “La metafisica non
verte sul concetto di esistenza, ma sull’esistenza stessa”.
Il suo oggetto è sì l’ente, ma inteso appunto come ciò il
cui atto è l’esistere. La metafisica è un sapere transontico,
perché oltrepassa l’ente per raggiungere l’essere stesso:
con ciò essa è al di là della critica heideggeriana all’oblio
dell’essere, poiché quanto intende conoscere è precisamente l’essere stesso e in quanto essere. Costituendosi
come scienza universale, essa astrae dalle condizioni
materiali dell’esistenza empirica, mai invece dall’esistenza, in funzione della quale conosce tutto ciò che
conosce. Costantemente esposta al rischio del nozionalismo e dell’essenzialismo, la filosofia è lontana dall’aver
tratto tutte le necessarie conseguenze dalla svolta decisiva impressale dallaSeinsphilosophie dell’Aquinate, che
rende impossibile concepirla come una filosofia delle
essenze secondo lo schema di Platone, di Cartesio, di
Wolff, di Kant. In una intenzionalità noetica diversa dalla
metafisica dell’essere, che cerca l’intelligibilità e la conoscenza nell’esistenza, si collocano quelle filosofie che
guardano verso l’essenza, e pertanto inclinano verso
forme più o meno marcate di oblio dell’essere -, come
pure le correnti dell’esistenzialismo, dove l’esistenza è stata
perlopiù oggetto di analisi fenomenologiche, morali, religiose, psicologiche, non propriamente ontologiche.
L’originalità della filosofia dell’essere si declina in una
impostazione più radicale dell’essenza della verità. Già
in Aristotele l’essere come vero è presentato come uno
dei quattro significati fondamentali dell’essere, che includono anche l’essere per sé, l’essere per accidente, e
l’essere come atto e potenza (Cfr. Metafisica, l. V, c. 7).
E sempre in Aristotele si trova, se non la formula, l’idea
che la verità è adeguazione dell’intelletto e della cosa ,
che accade nel giudizio. Affermando che veritas sequitur
esse rerum, ossia anche che esse rei, non veritas ejus,
causat veritatem intellectus8, Tommaso d’Aquino penetra più oltre nell’essenza della verità. Essa ultimamente si
fonda nella cosa esistente e più esattamente sul suo atto
di esistere/esse, colto nel giudizio. La verità enunciativa
o apofantica segue l’esistenza delle cose, e altro non è che
l’adeguazione dell’immanenza in atto del nostro pensiero, a ciò che esiste fuori di esso, ossia all’esistenza
esercitata dalle cose col loro proprio atto d’essere. Veritas sequitur esse rerum: il trascendentale fondante è
l’essere, non il vero, determinazione con la quale viene
evitato lo scoglio massimo contro il quale si sono infrante
le filosofie dell’idealismo trascendentale, basate sulla
riduzione dell’essere reale all’essere veritativo (tale è il
caso del primo Schelling, come vedremo tra poco). Ciò
pone la filosofia al riparo da ogni tentativo di ridurre
l’esistenza al pensiero oppure di sostituire la metafisica
con una sorta di antropologia trascendentale. Poiché
nella metafisica non viene cercato un discorso dell’uomo
sull’uomo, in cui l’essere entri solo in obliquo, ma un
discorso diretto sull’essere, essa non è una scienza umana. L’uomo è solo il soggetto e in certo modo il depositario di questo sapere, non l’oggetto.
Nell’accesso al vero il giudizio svolge un compito esistenziale: quando in esso si dichiara che una cosa è in un
certo modo, non si contempla un quadro di essenze ideali,
bensì si afferma che nell’esistenza reale quella tal cosa
esiste nel modo espresso dal giudizio. Pensare è originariamente apprendere un’idea e formare un giudizio. Il
termine della apprensione non è l’esistenza reale, ma un
11
SAGGIO
L
a presenza del pensiero di Jacques Maritain (1882- son a Thomas d’Aquin (1944), Court traité de l’existence et
1973) nella cultura italiana dura da oltre set de l’existant (1947), Approches de Dieu (1952), Approches
tant’anni, rimontando ai primi anni ’20. Dapprima sans entraves (1973). Non sembra perciò tempo perso
circola il Maritain filosofo dell’arte (cfr. Art et Scolasti- indugiare sul discorso metafisico di Maritain. Propiziano
que, 1919) e il pensatore tomista critico della filosofia l’approccio, oltre a motivi congiunturali quali la ricorrenza
moderna (cfr. Antimoderne, 1922; Trois Reformateurs, del ventennale della morte del filosofo e il completamento
1927). Successivamente negli anni ’30 e ’40, in rapporto della pubblicazione delle sue Oeuvres complètes in tredici
alla temperie culturale europea molto sensibile alla crisi volumi per oltre 17.000 pagine3, le valenze metafisiche e
dell’Occidente1, l’attenzione volge verso gli scritti mari- postmetafisiche della recente filosofia mondiale.
tainiani incentrati sul nesso tra cristianesimo e civiltà,
prospettanti una critica delle ideologie totalitarie moder- Il compito della metafisica. «Si potrebbe credere che la
ne (nazismo, fascismo, comunismo), e miranti a ripensa- metafisica, in epoche di impotenza speculativa, brilli
re il fondamento di una democrazia non scettica (come almeno per la modestia. Ma il tempo che ne ignora la
viceversa la voleva Kelsen), personalista e comunitaria. grandezza, ne ignora parimenti la miseria. La sua granSono gli anni in cui il filosofo francese pubblica opere dezza: essa è sapienza. La sua miseria: essa è scienza
quali Religion et culture (1930), Du régime temporel et umana; essa nomina Dio, sì: ma non con il Suo Nome»4.
de la liberté (1933), Humanisme intégral (1936), Chri- Con la sua elaborazione ontologica Maritain ha cercato di
stianisme et démocratie (1942), Les droits de l’homme et illustrare la grandezza e la miseria della metafisica (e
la loi naturelle (1942), che
forse soprattutto la prima,
culminano nel suo capolain un’età che poco la intenvoro di filosofia politica:
de), ricollegandosi espliciL’homme et l’Etat (1951).
tamente alla tradizione delQuesti scritti, che avranno
la metafisica dell’essere
ampia circolazione in vari
come espressa soprattutto
paesi e che non di rado dida Tommaso d’Aquino e al
venteranno un vademecum
lignaggio dei metafisici criper l’impegno storico-polistiani, che include
tico durante la Resistenza e
Agostino, Anselmo, Tomnella fase di ricostruzione
maso stesso, Bonaventura,
degli Stati democratici, conDuns Scoto, il Gaetano,
figurano un Maritain grande
Suarez, Rosmini5. Egli inpensatore politico e filosofo
tese la loro lezione non
Note su Jacques Maritain
cristiano della democrazia2.
come un apporto singolo,
e la filosofia dell’essere
Nell’epoca dell’immediato
ma un contributo corale a
post-Concilio vasta eco sucostruire la scienza dell’esscitò Le paysan de la Gasere quale “dottrina comuronne (1966), che è ad un
ne”, ossia propria dell’uotempo una convinta accetmo come tale. Esplorare la
tazione dell’insegnamento
possibilità della metafisica
di Vittorio Possenti
conciliare e una severa crie di una metafisica conotica delle correnti teologiscitiva che raggiunge l’esche cristiane tendenti verso il modernismo e la demitiz- sere (e che non vale perciò come vano protendersi della
zazione. Procedendo per larghi tocchi occorre infine ragione oltre i limiti che la rinserrano) fu forse il compito
citare l’influsso della maritainiana filosofia dell’educa- centrale della riflessione maritainiana, che per questo si
zione (Education at the Crossroads, 1943), dove viene presenta come ripresa della questione ontologica dopo il
svolto un personalismo pedagogico, dei suoi scritti sulla criticismo, l’idealismo, l’attualismo, il positivismo; e
spiritualità e la mistica (De la vie d’oraison, 1922), delle come capacità di resistere all’attacco ad ogni metafisica
ricerche sull’etica (Neuf leçons sur les notions premières avanzato nel nostro secolo da autori, correnti e prospetde la philosophie morale, 1951; La philosophie morale, tive diversissime quali sono il neopositivismo, lo scien1960). Nella brevissima scansione delineata, che andreb- tismo tecnologico, le correnti delle scienze umane, lo
be arricchita sotto tanti aspetti, c’è un elemento a prima strutturalismo, Heidegger.
vista problematico, ed è lo scarso accesso, che sembra Entro i limiti di una valutazione assai sintetica e che
sconfinare nel silenzio, della cultura italiana all’opera scarnifica la scena, si può sostenere che per quanto
metafisica e gnoseologica del filosofo francese. A rende- riguarda la possibilità della metafisica le posizioni sostere più forti le tinte del quadro cospira il fatto che essa nute nella filosofia contemporanea tendono a iscriversi in
costituisce una quota considerevole della sua vastissima uno spazio segnato da tre vertici: il no ad ogni ontologia
produzione (includente oltre sessanta opere), in cui si dell’empirismo logico; la critica heideggeriana a tutta la
annoverano titoli quali: Réflexions sur l’intelligence storia della metafisica per il suo preteso “oblio dell’esse(1924), Les degrés du savoir (1932), Sept leçons sur re”; l’elaborazione ontologica della scuola della filosofia
l’être (1934), Science et sagesse (1935), Quatre essais dell’essere, di cui Maritain è stato uno dei massimi
sur l’esprit dans sa condition charnelle (1939), De Berg- esponenti. Sostenendo la possibilità della conoscenza
Il pensiero
metafisico
10
AUTORI E IDEE
René Magritte, Le sang du monde, 1926
16
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
L’invenzione delle forme
Scienziato, allievo di Jean Petitot e
studioso di Heidegger, nel suo ultimo
lavoro, L’INVENTION DES FORMES (L’invenzione delle forme, Odile Jacob,
Parigi 1993), Alain Boutot si propone
di fornire un’introduzione al metodo
morfologico nell’analisi dei fenomeni, che si risolva in un’interrogazione
più generale sui modelli conoscitivi
della scienza.
Nel solco della riflessione di Petitot, Thom
e Prigogine, Alain Boutot presenta un
modello di sapere “qualitativo”, che si accosta alla singolarità dei fenomeni e ne
cerca le leggi regolative nel carattere “locale”, individuale, della loro produzione; leggi che sono espresse in modelli topologici.
In antitesi a qualsiasi intento di riduzione
positivistica della conoscenza, la morfologia difende il carattere conoscitivo della
scienza contro l’attuale interpretazione
pragmatica e manipolatoria della natura,
alla base di quel modello di intelligibilità
scientifica che ha preso le mosse da Galileo
e che ha prodotto i grandi successi della
“tecnoscienza”. Giunto alla soglia critica
della sua evoluzione, questo modello di
scienza “quantitativa” pone l’esigenza di
una nuova modellizzazione, che, registrati
i limiti del determinismo nella interpretazione dei sistemi dinamici, non rinunci a un
criterio di intelleggibilità.
Il morfologo è innanzitutto un geometra
attento alla singolarità delle manifestazioni del mondo sensibile, il cui intento è
quello di produrre una rappresentazione
geometrica delle leggi invarianti che stanno alla base di situazioni qualitativamente
simili, ovvero riconducibili, tramite modifiche non-strutturali, le une alle altre. La
teoria delle catastrofi di Thom, i frattali di
Mendelbrot, le strutture dissipative di
Prigogine sono convocate - nell’esposizione che ne dà Boutot - a illustrare nuovi
territori di indagine, dove le ipotesi morfologiche suppliscono alla inadeguatezza
delle scienze fisiche “forti”. Lontano, sullo
sfondo di un sapere che tiene ancora uniti
scienza e ontologia, torna a imporsi la figura di Aristotele; nella definizione di Boutot
la morfologia si presenta nei termini di un
vero e proprio neo-aristotelismo matematico. La filosofia delle “forme sostanziali” di
Leibniz si ripresenta qui nei nuovi teoremi
di classificazione che intendono ordinare
le logiche di evoluzione dei fenomeni secondo principi analogici, dove la forma è
considerata indipendentemente dal suo sostrato fisico. Scienza contemporanea e antica: si rinnova qui un’interrogazione potentemente metafisica. E.N.
Cosmologia matematica
Il vecchio interrogativo di sapore galileiano - perché le leggi di natura hanno
forma matematica? perché il mondo è
matematico? - è al centro del recente
studio di J. N. Islam, AN INTRODUCTION TO
MATHEMATICAL COSMOLOGY (Introduzione alla cosmologia matematica, Cambridge University Press, Cambridge
1992), che si presenta come un tentativo di introdurre problemi e risultati
della cosmologia moderna ad un pubblico preparato, ma non ancora
specializzato.
Grandi sono stati i risultati, soprattutto
osservativi, della cosmologia degli ultimi
anni, e grandi sono gli interrogativi che
ancora impegnano astronomi e fisici di
tutto il mondo. Il problema dell’inizio, la
storia dell’universo, il suo stato attuale, il
suo futuro: tutto oscilla ancora precariamente tra ipotesi azzardate, teorie matematiche e tentativi più o meno riusciti di
integrare il maggior numero possibile di
nuove osservazioni in un modello coerente
e possibilmente anche “elegante”.
Attualmente, le fondamenta della cosmologia sono costituite dalla teoria della relatività generale di Einstein; questo basta, da
solo, a dare a questa disciplina una forte
impronta matematica e a renderla di conseguenza inaccessibile a chiunque non abbia
una solida preparazione in questo senso.
Un problema non marginale che ostacola la
diffusione e l’incremento degli studi cosmologici è proprio la difficoltà di divulgazione di una scienza che parla matematicamente. Lo studio di J. N. Islam intende
17
collocarsi a un livello medio di difficoltà, al
di sotto comunque del livello specialistico
riservato ad astronomi ricercatori. In realtà
non sembra che l’autore riesca del tutto nel
suo intento; andando infatti i suoi interessi
prevalentemente in direzione delle applicazioni della relatività generale, questa introduzione mostra un carattere più matematico che astrofisico. Gli aspetti teorico
matematici sono enfatizzati fino a sovrastare quelli sperimentali, come l’osservazione della radiazione di fondo, o lo studio
di galassie e ammassi, che sono difatto
trascurati, con il risultato di un complessivo livello di lettura decisamente alto e
comunque riservato a coloro che abbiano
già ampiamente assimilato la relatività generale einsteiniana.
Al di là della questione della divulgazione,
e del grado di difficoltà auspicato e ottenuto dall’autore in questa introduzione, che
restano peraltro problemi intrinseci al contenuto teorico di questa disciplina, sono
comunque innegabili i pregi del lavoro di
Islam in termini di chiarezza e soprattutto
di sintesi. S.L.
L’Etica di fronte all’Estremo
Due studiosi dell’Europa orientale, il
semiologo bulgaro Tzvetan Todorov
con il suo DI FRONTE ALL’ESTREMO (trad. it.
di Elina Klersy Imberciadori, Garzanti,
Milano 1992) e il sociologo polacco
Zygmunt Bauman, autore di MODERNITÀ E OLOCAUSTO (trad. it. di M. Baldini,
Il Mulino, Bologna 1992), prendono
spunto dalle drammatiche vicende dei
campi di sterminio per sviluppare una
duplice riflessione, da un lato sulla
possibilità di un discorso etico intorno
a tali situazioni limite, dall’altro sul
rapporto tra queste ultime e il più
vasto orizzonte della “modernità”.
La prima questione da affrontare riguarda
la possibilità stessa del discorso etico in un
universo, come quello “concentrazionario”,
in cui ogni azione del prigioniero come
dell’aguzzino sembra obbedire ad un ordine superiore; infatti, secondo una convin-
AUTORI E IDEE
zione diffusa in tutta la tradizione filosofica occidentale, è la libertà il presupposto
imprescindibile di ogni comportamento che
voglia definirsi morale. A questo proposito
Zygmunt Bauman osserva che in ogni
regime dittatoriale lo Stato esercita un tale
predominio sul singolo da annullarne quasi
completamente la volontà, fino ad indurlo
ad accettare, come nel caso in questione,
che l’uccisione di un ebreo «per motivi
puramente politici» non fosse da considerarsi un assassinio (circolare di H. Himmler del 26 ottobre 1942). Tuttavia, obietta
Tzvetan Todorov che non ha conosciuto
direttamente l’esperienza del lager, ma che
pure, fino a ventiquattro anni, ha vissuto in
un paese totalitario , la costrizione non può
mai essere totale; con questo Todorov intende opporsi ad una visione deterministica della realtà come base di entrambe le
dottrine teorico-politiche che hanno prodotto nel nostro secolo i campi di sterminio, il sedicente “marxismo-leninismo”
staliniano e il “nietzscheanesimo” delirante di Hitler.
La libertà umana non può essere annullata
completamente; all’individuo, osserva Todorov, resta sempre una seppur minima
possibilità di scelta, se non altro quella
dell’ora e del modo della propria morte,
prima che siano altri ad imporgliela. Opporsi, a costo della vita, a un nemico soverchiante per riaffermare la propria libertà
(come fecero gli abitanti del ghetto ebraico
di Varsavia nel ’43) appare infatti a Todorov una “reazione sana” alla barbarie nazista, un atto di “eroismo quotidiano”. Appartengono d’altra parte a questa stessa
sfera di comportamenti altre virtù morali,
come l’altruismo e l’esperienza estetica e
intellettuale, che preserva gli esseri umani
dal totale abbrutimento. Si tratta, in fondo,
delle stesse virtù “normali” dei tempi di
pace, che Todorov, rifacendosi al Sartre
de L’esistenzialismo è un umanismo, contrappone (e preferisce) a quelle “eroiche”,
che hanno improntato ad esempio la seconda insurrezione di Varsavia, quella della
popolazione di origine polacca nel ’44, per
«salvare [...] un’astrazione chiamata Polonia» dalla duplice minaccia degli occupanti tedeschi, ormai in rotta, e dei futuri “liberatori” sovietici. Queste virtù si rifanno ad
un modello che ha origini arcaiche (i poemi
omerici) e non appare più adeguato al nostro tempo, in quanto presuppone un “mondo unidimensionale” in cui l’ideale prevale
sul reale, la morte sulla vita. All’astratto
Bene, in nome del quale si consuma l’inutile sacrificio della vita umana, Todorov
antepone la concreta bontà di migliaia di
uomini e donne, vittime dei campi di concentramento o loro compassionevoli soccorritori, «a metà strada tra eroismo e
quotidianità».
In quest’ambito di riflessione vale la pena
ricordare il recente volume di Alain Brossat, Ozerlag 1937-1964. Le système du
goulag: traces perdues, mémoires réveillées d’un camp sibérien (Ozerlag 1937-
1964. Il sistema del gulag: tracce scomparse, memorie ritrovate di un campo siberiano, Parigi 1991), che fa luce su analogie e
differenze tra i campi di sterminio tedeschi
e quelli “di lavoro” sovietici. In entrambi i
casi, osserva anche Todorov, le vittime non
furono «né eroi, né santi», così come gli
aguzzini non furono «né mostri, né bestie»,
come troppo spesso vengono definiti, ma
nella quasi totalità persone altrettanto “normali” e “banali”; come scrisse Primo Levi,
«i mostri esistono, ma sono troppo pochi
per essere veramente pericolosi; sono più
pericolosi gli uomini comuni» con il loro
atteggiamento egoistico. Per questo Todorov include nella categoria dei persecutori,
seppur attribuendo loro, a differenza di
Baumann, un grado di corresponsabilità
via via decrescente, anche i loro popoli di
appartenenza (tedeschi e russi), gli abitanti dei luoghi ove i lager sorsero (polacchi,
innanzitutto), ma anche coloro che per
“cecità volontaria” ne minimizzarono la
portata, quando non ne negarono addirittura l’esistenza (la maggioranza degli
occidentali).
Le cause di tutto ciò, a parere sia di Bauman
che di Todorov, sono da ricercarsi in alcune
caratteristiche della “modernità” che fanno
dello sterminio di massa non un episodio
circoscritto, per quanto tragico, della storia
del XX secolo, ma una minaccia costante
per la società contemporanea. Innanzitutto, nota Todorov, la modernità si basa su
un’estrema parcellizzazione del processo
produttivo, che comporta un’analoga frammentazione delle responsabilità, la stessa
che poi consente all’aguzzino di seviziare e
uccidere le proprie vittime, limitandosi a
«compiere il proprio dovere»: argomento
principe nelle autodifese ai processi per
crimini di guerra, come di recente ha rilevato anche Telford Taylor nel suo Anatomia dei processi di Norimberga (Rizzoli,
Milano 1993). Inoltre, il processo di spersonalizzazione e strumentalizzazione, conseguenza della moderna civiltà di massa, fa
sì che gli esseri umani appaiano al carnefice come cose, piuttosto che come persone.
Infine, la maggior parte dei delitti commessi nei lager possono essere attribuiti a semplice godimento del potere, un altro dei
“vizi quotidiani” che, secondo Todorov,
caratterizzano il nostro tempo.
A tutto questo Bauman aggiunge, per parte
sua, che la cosiddetta “soluzione finale”
presuppone le stesse ambizioni al “perfezionamento della realtà” che costituiscono
l’essenza del mondo moderno, anche se
hanno condotto alla barbarie: non è un caso
che ad analoghe, tragiche conseguenze,
abbia portato l’altro “moderno” tentativo
di palingenesi radicale della società, quello
sovietico, come ancora ha osserva Alain
Brossat in Le stalinisme entre histoire et
mémoire (Lo stalinismo tra storia e memoria, La Tour d’Aigues 1991).
Sia Todorov che Bauman si pongono infine
il problema di quale sia l’atteggiamento da
assumere “davanti al male”: occorre innan18
zitutto combatterlo in tempo e non rassegnarsi ad esso; ma, dopo averlo sconfitto,
quale trattamento riservare ai suoi responsabili? Todorov rifiuta sia la vendetta sia il
perdono, ritenendo estranea per entrambi
una “vera giustizia”. Tuttavia, il dovere
principale è quello di opporsi al rischio di
oblìo di tali drammatiche vicende, al quale
invece sarebbero portati, seppur per opposti motivi, i sopravvissuti, sia carnefici, sia
vittime, e più in generale l’intera società.
Quest’ultima, al contrario, ha il dovere di
conservare la memoria delle “situazioni
estreme”, in quanto esse «rivelano la verità
di situazioni normali», affinché l’umanità
sia preservata per sempre dal ripetersi di
simili tragedie. A tale scopo Bauman propone di por fine alla sottomissione della
legge morale individuale a quella generale
della società, almeno in tutte quelle situazioni in cui «comportarsi moralmente significa assumere un atteggiamento definito per decreto come antisociale o sovversivo dai poteri esistenti». G.C.
Pensare gli esperimenti
Quasi un’introduzione alla filosofia e
al dibattito sul potere dell’immaginazione, THOUGHT EXPERIMENTS (Esperimenti pensati, Oxford University
Press, Oxford 1992), di Roy A.
Sørensen, si immerge in un’amalgama di esperimenti, vecchi e nuovi,
famosi e non, scientifici e filosofici
per difenderne la validità, l’utilità ed il
fascino conoscitivo.
«Quando il filosofo geometra - scrive
Galileo nel famoso Dialogo - vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in
astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia...». Difalcare gli impedimenti della materia significava per Galileo
non solo crearsi in laboratorio le condizioni
più adatte all’esperimento, ma anche immaginarsi condizioni ideali, superfici perfettamente levigate, palle perfettamente
sferiche ecc. Galileo fantasticava gli esperimenti quando non li poteva realizzare, e li
pensava con lo stesso rigore, la stessa precisione, la stessa accortezza che usava in
laboratorio.
Se per Galileo gli esperimenti mentali erano legittimi e del tutto naturali, per quale
motivo, si chiede Roy A. Sørensen, noi
oggi continuiamo ostinatamente a considerarli con un certo imbarazzo e a parlarne
con la stessa distanza che solitamente teniamo di fronte a fenomeni misteriosi,
certo affascinanti, ma mai del tutto
convincenti.
Passando attraverso le trattazioni di Mach
e Kuhn, Sørensen propone un’apologia
degli esperimenti pensati, che sono per lui
semplicemente casi limite degli esperimenti
ordinari, e dunque prove empiriche e non
AUTORI E IDEE
astruse argomentazioni astratte. Se
Sørensen ha ragione, la scienza contemporanea, così come la filosofia, avrebbero
ancora di che imparare da Galileo, quello
stesso Galileo che ci ha insegnato a difalcare
gli impedimenti della materia con la potenza
della nostra immaginazione, ad esperire con
la mente e a pensare con l’esperienza. S.L.
Simone Weil,
l’impegno al femminile
Cinquant’anni fa, nell’agosto del 1943,
moriva Simone Weil. Figura femminile singolare, intellettuale scomoda,
“engageé”, apolide, assieme ad Hannah Arendt una delle rare pensatrici
del ‘900. Un’attualità che, a distanza di
mezzo secolo, rimane inalterata. Ne è
una conferma la pubblicazione della
traduzione italiana del quarto e ultimo
volume dei QUADERNI (Adelphi, Milano
1993), a cura di Giancarlo Gaeta. Di
Wanda Tommasi è invece la monografia SIMONE WEIL: SEGNI, IDOLI E SIMBOLI
(Angeli, Milano 1993), incentrata sul
tema dell’immaginazione, insistentemente presente nei QUADERNI.
Il completamento della traduzione dei Quaderni accompagna l’interesse per Simone
Weil sollevato nel nostro paese dalla recente pubblicazione, con il titolo: Simone Weil,
di biografie e antologie dei testi, una ad
opera di Giancarlo Gaeta (Ed. Cultura della
pace, Firenze 1992), l’altra di Georges
Hourdin (Borla, Roma 1992). Scritti durante il soggiorno a New York, tra luglio e
ottobre del 1942, i Quaderni sono costituiti
di frammenti, brevi capitoli, appunti disseminati in centinaia di pagine che compongono una imponente “architettura dell’anima”, dove emerge l’urgenza di pensare,
“ripensare” le possibilità di una nuova convivenza umana sulla terra, oltre e dopo la
tragedia della guerra. I temi mistici e religiosi non sottraggono Simone Weil alle
preoccupazioni del mondo, all’impegno
difficile di pensare la politica e la società al
di fuori degli schemi della tradizione occidentale. Ella nega la cultura occidentale,
fondamentalmente basata sulla guerra, sulla violenza e sulla forza, per ritrovare e
riattivare la parte più autentica della tradizione greca e cristiana.
In questi “Quaderni d’America”, dominati
dalla nozione di mistero, la problematica
religiosa è più direttamente investita, «ci si
trova immersi in una logica cui è stato
sottratto l’elemento costruttivo della dimostrazione» - osserva Giancarlo Gaeta nell’Introduzione. Una “nuova logica” che
crea effetti forti e sconcertanti, a cominciare dalla nozione di fede, definita in termini
di certezza e desiderio, connotati che tuttavia non vengono collegati a una qualche
rivelazione, ma all’esperienza della condi-
zione umana. Connotati non separabili e
neppure compiutamente distinguibili nel
movimento dell’anima, che riconosce l’impossibilità di amare incondizionatamente
alcunché in questo mondo, e insieme volge
il proprio desiderio verso l’unico oggetto
che possa essere amato incondizionatamente, poiché «è unicamente il bene», cioè
Dio. Una tematica, quella religiosa, che
accompagna l’intera esistenza di Simone
Weil, e ne caratterizza e contraddistingue
lo stesso impegno politico.
Francese di origine - era nata a Parigi nel
1909, da famiglia ebraica - Simone Weil
visse a Marsiglia e negli Stati Uniti; passò
poi in Inghilterra, dove morì, a soli trentaquattro anni, nel sanatorio di Ashford, a
seguito delle privazioni che aveva voluto
imporsi. Una vita breve ed intensa, folgorante, contrassegnata dall’impegno e dalla
ricerca di un ordine spirituale autentico.
Una posizione etica fondamentale: quella
di mettersi sempre dalla parte degli oppressi. E di viverne i medesimi problemi e
patimenti. Intorno agli anni ’30, lascia l’insegnamento per lavorare in fabbrica, allo
scopo di vivere la condizione operaia, di
conoscerla e di lottare con tutte le sue forze
per trasformarla. Nel 1936 partecipa alla
guerra civile spagnola. Nel ’40 abbandona
Parigi in seguito all’invasione tedesca: prima gli Stati Uniti; poi l’Inghilterra, e sempre engageé, al lavoro per l’organizzazione “France libre”. La critica al marxismo e
il ritrovamento di Platone sono espressione, in quegli anni, del medesimo impegno
militante.
Le basta un anno di esperienza sindacale
per cominciare a mettere in discussione la
fede di Marx nelle forze produttive. Non
esita, già nel ’33, a definire mitica l’idea di
una missione storica del proletariato e a
denunciare il vuoto teorico della società
contemporanea. Di Marx critica il materialismo, la riduzione delle idee a espressione
di un gioco sovrastrutturale di forze, la fede
nel bene del meccanismo sociale. Negando
la filosofia necessitaristica della storia, Weil
riafferma l’esigenza etica: la miseria umana, la sua lontananza dalla perfezione divina, contro ogni illusione che l’uomo possa
autoredimersi attraverso la dialettica. La
filosofia regna sovrana nella sua formazione intellettuale, ed è una filosofia dualista e
spiritualista, che ha in Platone, Cartesio e
Kant i suoi pilastri. È su queste idee che si
forma l’illusione di una verità pura, mistica
e religiosa, un’illusione che per Simone
Weil diviene un ideale regolatore che orienta
il suo progetto etico-politico. È l’idea del
lavoro come azione metodica di conoscenza e azione sul mondo, che la porta a
pensare un modello di uomo come ragione
insonne; modello che tuttavia si scontra
con un agire politico che va nella direzione
opposta. La realtà sociale è per eccellenza
ambiguità, mescolanza; è un male che “sporca le mani”, e contraddice il sogno della
trasparenza.
Il pessimismo nei confronti del mondo
19
orienta Weil verso l’ascetismo oltremondano, fino alla parabola della mistica conversione religiosa. È allora che comincia
ad elaborare, in quella massa di scritti che
compongono i Quaderni, una filosofia religiosa originale. Un pensiero che ritrova
nei suoi tratti fondamentali la versione più
tragica del cristianesimo, la Gnosi. L’esistenza diviene male, colpa, e la conoscenza
avviene attraverso la sofferenza. Una sofferenza che per Simone Weil è stata radicale, fino alla morte. E l’esperienza decisiva
è stata certamente il lavoro di fabbrica:
«Fino allora non avevo avuto l’esperienza
della sventura, se non della mia che, essendo mia, mi pareva poco importante... Sapevo, certo, che c’era molta sventura nel
mondo, ne ero ossessionata, ma non l’avevo mai constatata con un contatto prolungato. Essendo in fabbrica, confusa agli occhi di tutti e ai miei stessi occhi con la
massa anonima, la sventura degli altri è
entrata nella mia carne e nella mia anima».
Un’esistenza vissuta nel segno di un principio di realtà così forte, da impedire qualsiasi pensiero di fuga. «Bisogna preferire
l’inferno reale piuttosto che il paradiso
immaginario», affermava Simone Weil,
attuando una critica spietata dell’immaginazione. Critica alla quale, come mette in
evidenza Wanda Tommasi, faceva tuttavia da contrappeso un uso costante e insistito di immagini e di simboli: dal lavoro
decostruttivo degli idoli collettivi alla rilettura dei simboli del sacro, in cui si rivela la
tessitura segreta dell’universo. E.C.
Metafisica e mantica
In
METAPHYSIK UND MANTIK. DIE DEUTUNG-
SNATUR DES MENSCHEN (SYSTÈME ORPHIQUE
DE JÉNA)
(Metafisica e mantica. La natura interpretativa dell’uomo,
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993) Wolfram Hogrebe ripropone un concetto,
quello di “mantica”, che alle sue origini indicava l’arte della divinazione e
dell’interpretazione dei segni della
natura da parte dei veggenti, con l’intento di indicare una modalità “presemantica” dell’interpretazione, che
allude ad uno strato profondo, non
linguistico e non concettuale, della
natura umana.
Di Wolfram Hogrebe è già stato tradotto
in italiano, con il titolo: Per una semantica
trascendentale, lo studio del 1974, Kant
und das Problem einer transzendentalen
Semantik. Questo suo ultimo lavoro, Metaphysik und Mantik, in cui sono raccolti
saggi per la maggior parte pubblicati altrove, è dedicato a una modalità particolare
dell’interpretazione, che l’autore definisce
“mantica”. Originariamente questo concetto indicava, nella cultura greca, l’arte
divinatoria che partendo da segni traeva
AUTORI E IDEE
conclusioni su eventi passati, presenti o
futuri. «Questa arte - scrive Hogrebe risale nel profondo agli inizi dell’umanità e
può essere descritta come la prima forma di
interpretazione del mondo o di studio della
natura al servizio del nostro atteggiamento
di sicurezza». La mantica è così originariamente l’arte dell’interpretazione delle formazioni di senso “naturali”, degli eventi
naturali che vengono interpretati come una
espressione “mimica” dell’universo. Ma
anche oggi interpretiamo in senso mantico:
quando reagiamo di fronte a una situazione
affettiva, di fronte a “sostanze di senso” di
carattere “sotto” o “pre” semantico, non
traducibili a livello linguistico, che testimoniano di una “natura interpretativa” profonda dell’uomo.
Nella ricerca filosofica, osserva Hogrebe,
si annida un’ambivalenza o un’ambiguità
di fondo tra ricerca e perdità del senso: da
una parte essa cerca un senso, dall’altra ne
produce artificialmente la perdita, in quanto non può lasciar valere niente che non sia
stato sottoposto al suo vaglio analitico e
decostruttivo: «La possibilità della filosofia - scrive Hogrebe - è così ancorata a un
annullamento assoluto del senso e questo
semplicemente perché essa pone in questione per principio sostanze di senso (di
qualsiasi tipo esse siano) per poi cercarle in
quanto perdute». Il fatto stesso che il nonsenso, l’inconsistenza e la libertà stiano
alla base dell’esperienza del senso, significa, per Hogrebe, che il nichilismo semantico, da cui prende le mosse tanta parte della
filosofia contemporanea, non rappresenta
«la fine della storia del senso, bensì proprio
il suo presupposto».
Questa situazione di fondo, in cui nasce e si
sviluppa la filosofia, è stata articolata, in
diversi modi, nell’epochè fenomenologica
di Husserl (in quanto annullamento della
“tesi” del mondo), nell’analisi esistenziale
di Heidegger (non comprendiamo liberi
dal mondo ma nelle forme del nostro esistere) e nel “silenzio” che per Wittgenstein
costituisce il presupposto di un parlare dotato di senso.
Dalla necessità di analizzare questa situazione di fondo dell’uomo nel mondo nascono anche le analisi del linguaggio che
costituiscono tanta parte del pensiero contemporaneo: da Putnam a Carnap, da
Gadamer a Kuhn, da Quine a Rorty a
Habermas. Tali posizioni mancano però,
secondo Hogrebe, di un fondamento antropologico: esse analizzano l’uomo come
essere che interpreta secondo “cultura”, ma
trascurano la sua “natura interpretativa”,
cioè quello strato pre-linguistico e non ancora concettualizzato dell’esperienza che
ci fornisce «una rincorsa di significato a cui
le nostre preoccupazioni semantiche devono anzitutto attingere, senza poterlo mai
esaurire completamente. La pienezza di
significato della vista di una rosa non viene
mai raggiunta dalla sua descrizione, e di
questo si nutre la possibilità dell’arte».
L’idea di una “mantica” copre per Hogrebe
questo ambito problematico, e si configura come un ampliamento della semantica
con il compito di scavare negli strati prelinguistici della “natura” umana e della
sua capacità di significare. Una teoria di
tale natura è per Hogrebe una “metafisica”
chiarita e regolata nei suoi fondamenti,
una “metafisica povera”, ispirata alle riflessioni petrarchesche sulla filosofia: non
più una “metafisica nominale”, fondata su
essenze che possono essere colte e fissate
attraverso un nome, ma una “metafisica
pronominale”. Solo una teoria della nostra
“natura sottosematica” può carpire il significato di tale metafisica “pronominale”: essa mette in luce l’esistenza di zone
di “orientamento mantico” e con ciò «la
topologia di uno spazio indefinito, in cui
qualcuno da qualche parte, in qualche
momento e in qualche modo agisce». Questo indefinito orientamento pronominale
costituisce il presupposto di tutti i processi
di apprendimento. M.M.
Un’estetica a partire da Adorno
Oggetto dello studio di Christine Eichel VOM ERMATTEN DER AVANTGARDE ZUR
VERNETZUNG DER KÜNSTE. PERSPEKTIVEN EINER INTERDIZIPLINÄREN ÄSTHETIK IM SPÄTWERK THEODOR W . ADORNOS (Dallo svanire dell’avanguardia all’intreccio delle
arti. Prospettive di un’estetica interdisciplinare nella tarda opera di T. W.
Adorno, Suhrkamp, Frankfurt a. M.
1993) è la teoria estetica di Adorno nel
suo rapporto con la crisi delle avanguardie storiche, un rapporto che anticiperebbe alcune linee della discussione estetica affermatesi con l’avvento della tematica del “post-moderno”. Ulteriore segno di un interesse del mondo culturale tedesco per il
problema di un’estetica della modernità nell’ambito della Scuola di Francoforte è anche la traduzione dell’opera della studiosa americana Susan
Buck-Morss, DIALEKTIK DES SEHENS. WALTER BENJAMIN UND DAS PASSAGEN -WERK
(Dialettica del vedere. W. Benjamin e
l’opera sui Passages, trad. ted. di
Joachim Schulte, Suhrkamp, Frankfurt
a. M. 1993).
Dopo avere dedicato numerosi saggi e studi a questioni di estetica e poetica letteraria
e musicale, e dopo avere tenuto negli anni
’50 e ’60 diversi corsi universitari di estetica, Theodor W. Adorno inizia nel 1961
a dettare il testo dell’opera che sarebbe
stata pubblicata, dopo la sua morte, da
Gretel Adorno e Rolf Tiedemann con il
titolo: Teoria estetica. Frutto di diverse
stesure e rielaborazioni, l’opera non giunse
alla sua compiutezza formale, ma, interrotta dalla morte dell’autore nel 1969, rimase
allo stato di frammento. Essa ha però una
20
grande importanza nel pensiero di Adorno:
la sua elaborazione si intreccia con la stesura della Dialettica negativa, con studi di
sociologia e con lo studio sul compositore
Alban Berg; insieme alla Dialettica negativa e a un’opera di filosofia morale, progettata, ma non realizzata, la Teoria estetica doveva esporre, come ebbe a esprimersi
lo stesso Adorno, «ciò che ho da gettare
sulla bilancia».
Secondo Christine Eichel, punto di partenza storico e teorico della Teoria estetica
è «l’avanguardia artistica al punto zero
della propria auto-abolizione». Per esemplificare questo processo di “auto-abolizione” l’autrice si riferisce all’ambito della
musica, in cui, a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale, l’influenza delle riflessioni adorniane era stata
più che mai rilevante. Eichel cita come
esempio un pezzo per pianoforte del 1957
di Karlheinz Stockhausen, in cui 19 gruppi di note venivano suonati in sequenze
scelte arbitrariamente dall’esecutore. Risultava con ciò chiaro che l’avanguardia
musicale non aveva più alcun rapporto di
sviluppo logico con la “scuola viennese”
da cui aveva preso le mosse la rivoluzione
dodecafonica. Mutamenti di questo genere
non erano del resto limitati all’ambito della
musica: anche le altre arti avevano conosciuto nel frattempo una frammentazione
degli stili e delle opere in una dispersa
molteplicità. Questi sviluppi nel campo
della musica e delle altre arti costituiscono
per Adorno l’occasione di una revisione
della teoria estetica che aveva accompagnato le sue prime riflessioni sulla musica,
suscitando nuove domande: la musica, e le
arti in generale, sono ancora capaci di generare delle teorie? O, più radicalmente:
l’arte ha ancora bisogno di una riflessione
teorica? E, con l’esaurimento della pratica
e del concetto dell’avanguardia, non è diventata anacronistica l’idea stessa di
un’estetica filosofica che da quelle esperienze artistiche era nata?
Se il citato esempio di Stockhausen è indicativo di una rottura delle nuove forme
artistiche rispetto alla lezione delle avanguardie storiche, e con ciò delle aporie e dei
nuovi problemi di fronte a cui si trova una
teoria estetica contemporanea, esso indica
anche la via attraverso cui Adorno, secondo Eichel, cerca di uscire da queste aporie.
O meglio: la direzione in cui egli cerca di
renderle teoricamente feconde. La partitura di Stockhausen, con i suoi gruppi di note
disposti in maniera apparentemente casuale, ricorda un’opera grafica, e allude con
ciò a un riferirsi reciproco delle arti, che
oltrepassano i loro confini tradizionali e
indicano così alla riflessione alcune direzioni da seguire. Il problema a cui si trova
di fronte Adorno è così quello della possibilità di un’estetica filosofica nella situazione contemporanea e post-avanguardistica del fare artistico, e del modo in cui
essa può (ammesso che voglia o debba
farlo) dare ordine alla molteplicità dei fe-
AUTORI E IDEE
Marcel Duchamp, Scolabottiglie, 1914
21
AUTORI E IDEE
nomeni artistici che costituiscono lo stimolo della sua riflessione. Tale problema si
articola in una serie di sottoproblemi: quale
è il rapporto (se un’estetica filosofica implica il riferimento a un’idea di arte o di
“artisticità”) tra “l’arte e le arti”? Quale il
rapporto tra scienze particolari dell’arte
(storia dell’arte, critica letteraria, musicologia ecc.) e estetica generale o, per usare
una terminologia che più si confà all’orientamento filosofico adorniano, tra “particolare” e “universale”? In equilibrio tra questi due momenti, la filosofia dell’arte di
Adorno è per Eichel «al tempo stesso filosofia dell’arte e filosofia delle arti» e, al
punto di incrocio tra “sprofondamento micrologico” e “teoria sintetizzante”, essa
presenta «principi per una teoria della modernità artistica post-avanguardistica, che
hanno il significato di uno sviluppo, ma
anche di una revisione decisiva della sua
estetica». Dipende da ciò un segno distintivo della teoria estetica adorniana, il legame
delle sue categorie con la questione della
modernità. Nonostante il ruolo di primo
piano che in essa riveste la musica, la teoria
estetica di Adorno è, nel suo nucleo più
intimo, «una teoria della modernità artistica che va oltre i singoli generi», di una
modernità che non è per Adorno una categoria fissa, ma uno spettro di «criteri determinabili per la rilevanza estetica e sociale
delle opere d’arte».
A un’opera rimasta anch’essa allo stato di
frammento, il Passagen-Werk di Walter
Benjamin (un’opera di fronte alla quale
Adorno, come ricordano i curatori della
Aesthetische Theorie, non si rassegnò mai
al fatto che essa non potesse venire “salvata”) è dedicato lo studio di Susan BuckMorss, Dialektik des Sehens, disponibile
ora in traduzione tedesca. La studiosa americana si propone di ripercorrere “mimeticamente” l’insieme dei materiali che dovevano servire da base all’incompiuto progetto benjaminiano, cercando così di chiarire e ricostruire il mondo che Benjamin si
proponeva di descrivere con la propria opera. La base dello studio di Buck-Morss è
costituita da quell’insieme di materiali che,
alla morte di Benjamin, attendevano ancora di essere ordinati e collegati tra loro:
appunti sulla industria culturale nella Parigi del XIX secolo, citazioni derivanti da
fonti storiche disparate, annotazioni e commenti. Ricucendo tra loro questi materiali,
Buck-Morss costruisce un secondo testo in
cui si intrecciano due storie: quella della
Parigi del XIX secolo e quella dell’esperienza storica di Benjamin. L’ambizioso
obiettivo della studiosa è così di “richiamare in vita la forza conoscitiva e politica che
sonnecchia nelle stratificazioni dei dati storici che costituiscono il Passagen-Werk”.
Il lavoro di interpretazione dell’opera benjaminiana rinvia all’orizzonte della realtà
storica che in essa viene rappresentata, e le
annotazioni e gli appunti di Benjamin appaiono a Buck-Morss come didascalie e
commenti alle immagini della Parigi del-
l’industria culturale. Il testo di Benjamin
obbliga così il lettore a contribuire attivamente alla ricostruzione del suo progetto e
«a cercare immagini della realtà storicosociale che offrano la chiave per decifrare
il senso del suo commento - così come
anche il suo commento fornisce la chiave
del significato di queste immagini». In questo modo l’autrice intende ricostruire quella “dialettica del vedere” sviluppata da
Benjamin a partire dalla consapevolezza
del valore della cultura di massa in quanto
“fonte” della verità filosofica. M.M.
Filosofia e interpretazione
Nel volume PHILOSOPHIE UND INTERPRETATION. VORLESUNGEN ZUR ENTWICKLUNG
KONSTRUKTIONISTISCHER INTERPRETATIONSANSÄTZE (Filosofia e interpretazione.
Lezioni sullo sviluppo di principi costruzionistici dell’interpretazione,
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993) Hans
Lenk offre una introduzione alla problematica filosofica dell’interpretazione e presenta alcuni punti di vista
dell’attuale discussione su questo
tema, prendendo in considerazione,
oltre ad autori ormai classici nella storia della riflessione ermeneutica, pensatori appartenenti all’ambito della filosofia analitica.
Autore di numerosi studi sulla filosofia
analitica, sulle teorie dell’azione, sull’epistemologia delle scienze sociali, Hans Lenk
dedica attualmente le proprie energie a una
filosofia dell’interpretazione (dei “costrutti dell’interpretazione”) a cui egli attribuisce il compito di superare la tradizionale
divisione tra i metodi delle scienze sociali
e dello spirito e quelli delle scienze della
natura. Questo punto di vista dovrebbe
permettere, nelle sue intenzioni, di sviluppare un modello dell’interpretazione valido tanto al livello della comprensione dei
testi, quanto a quello delle azioni e dei
comportamenti. La dottrina dell’interpretazione potrebbe così entrare in un rapporto
attivo con l’ambito della prassi e della vita
quotidiana.
Secondo Lenk nell’interpretare si connettono azione e conoscenza, prassi e teoria.
Di conseguenza la filosofia viene da lui
intesa come la disciplina delle interpretazioni e delle meta-interpretazioni. Questa
concezione viene sviluppata nell’ultimo
capitolo di Philosophie und Interpretation,
intitolato “Progetto di una filosofia dei
costrutti dell’interpretazione”. Ben lungi
dal voler dissolvere la realtà nell’interpretazione, come fa a suo parere Günter Abel
nella sua lettura del “prospettivismo” di
Nietzsche, Lenk sostiene una concezione
critica del carattere interpretativo della conoscenza, e parla di un “interpretazionismo gnoseologico-metodologico” e di un
22
“idealismo quasi-trascendentale”. In base
a questo punto di vista l’interpretazione
non è una caratteristica per così dire “ontologica” del reale, ma è un principio trascendentale, che regola le conoscenze umane.
L’obiettivo di Lenk è dunque quello di far
valere, in senso critico, il carattere interpretativo della conoscenza umana (che non si
pone come una tabula rasa di fronte al
proprio oggetto ma è già sempre carica di
schematizzazioni) salvando al tempo stesso l’esistenza di oggetti reali della conoscenza e dell’esperienza. Preoccupato di
non risolvere l’ “interpretazionismo gnoseologico-metodologico” in una forma di
idealismo, Lenk discute questo problema
al termine di questo volume, e annuncia
una ricerca più dettagliata nella sua prossima opera, sotto il titolo “interpretazione e
realtà”.
Nell’Introduzione Lenk chiarisce, partendo dal mito platonico dell’invenzione della
scrittura nel Fedro, l’ambito problematico
che costituisce l’oggetto delle sue ricerche.
Egli ravvisa in questo dialogo di Platone
una diffidenza nei confronti della scrittura
in quanto fissazione e cristallizzazione della fluidità vivente del discorso. E individua
in tale posizione la presenza di questioni
attorno alle quali si sarebbero poi affaticate
tanto l’ermeneutica, quanto la filosofia
analitica: in che modo si dà, nella scrittura,
qualche cosa che possa venire fissato come
un senso univoco? Qual è il rapporto tra
significato, espressioni e comprensione?
Che cosa è il significato, questa capacità,
che nella vita quotidiana assumiamo come
scontata, del nostro linguaggio di riferirsi a
qualche cosa?
Su questa base Lenk ripercorre i momenti
fondamentali della riflessione sull’interpretazione nell’antichità: l’ermeneutica
greca, che sviluppa una concezione “allegorica” dell’interpretazione, e quella ebraica, che sviluppa una concezione “letterale”
dell’interpretazione; il conflitto tra ermeneutica scolastica e protestante. Vengono
poi presi in considerazione, grazie anche ai
contributi di Ekaterini Kaleri (una collaboratrice di Lenk che firma diversi paragrafi del volume), alcuni momenti ormai
canonici nelle ricostruzioni della storia
dell’ermeneutica moderna: dalla lettura
demitizzante dei testi sacri in Spinoza alle
teorie settecentesche dell’interpretazione,
da Schleiermacher a Dilthey, da Nietzsche
a Heidegger, da Gadamer a Ricoeur.
Entrano poi in gioco prospettive metodologiche e gnoseologiche riconducibili all’ambito del pensiero anglosassone e alla
filosofia analitica: il problema di tradurre e
interpretare in condizioni di radicale estraneità e difficoltà in Quine e Davidson; le
“meta-condizioni dell’interpretazione” secondo Collin; l’interpretazione del concetto di cultura in Geertz e il contributo delle
psicologie cognitiviste alla definizione degli schemi attivi nei processi di interpretazione e comprensione. M.M.
TENDENZE E DIBATTITI
tende a zero in quanto l’esplorazione di
ipotesi alternative di sistemazione concettuale non si presta affatto all’elaborazione di forme di contro-indottrinamento. Per poter passare seduta stante dalla
percezione di ciò che non “funziona”
all’elaborazione di una proposta alternativa accettabilmente organica si richiederebbero, infatti, mediazioni talmente
elaborate e talmente estranee a ciò che si
può acquisire mentre si lavora con Dialog, da rendere l’impresa virtualmente
impossibile. Lo studente è quindi ben
tutelato, anche perché l’esito non è l’aporia, bensì una ricerca che è tutta da farsi.
Ne scaturiscono stimoli differenziati: un
invito a ragionare con la propria testa e
ad avventurarsi nella ricerca filosofica,
un addestramento all’esercizio di una
diffidenza intellettuale che non sia né vagabonda né irresponsabile, una metodologia
per la ricezione non frettolosa di nuclei
dottrinali, una metodologia per la lettura
vigile di unità testuali aventi spessore epistemico. A sua volta la multimedialità del
programma, che impone di riflettere prima
di digitare alcunché, e possibilmente di
riflettere insieme ad altri (si consiglia infatti la compresenza di più utenti davanti ad
ogni postazione), favorisce lo scambio di
idee tra studenti senza dar luogo ad una
competitività di dubbio gusto (l’esperienza
insegna che il fatto di porre gli studenti di
fronte alla fallacia latente puntualmente
annulla il vantaggio iniziale di chi ha maggiore dimestichezza con il computer e con
i video-giuochi).
Anche per il docente la multimedialità è
tale da risolversi in un’esperienza gratificante: in primo luogo perché, per una
volta, avrà modo di coinvolgere gli studenti al solo scopo di mettere in moto il
pensiero, senza proporsi di insegnare un
qualche altro mathema; in secondo luogo perché è grandemente agevolato nel
tentativo di liberare energie latenti; in
terzo luogo con l’occhio rivolto alla dinamica di gruppo.
Superfluo aggiungere che Dialog, specialmente se inteso come perturbato, richiede un docente-istruttore che, oltre
ad essersi preventivamente familiarizzato con specifiche fallacie, abbia una
idea non vaga degli obiettivi da perseguire e degli interventi presuntamente
appropriati. E’ ben per questo che è in
atto un processo di ulteriore definizione
delle strategie d’uso7.
Le potenzialità della formula qui delineata probabilmente devono ancora essere
compiutamente esplorate (ed esiste appunto un gruppo di lavoro ad hoc), ma si
intuisce che essa sia in grado di incidere
sulla concezione stessa dei supporti informatici per l’insegnamento. Prospetta
infatti qualcosa come una maieutica al
computer. L.R.
Note
1
Cf. G. R. Ledger, Re-counting Plato: A Computer Analysis of Plato’s Style, Oxford 1989; L.
Brandwood, The Chronology of Plato’s Dialogues, Cambridge 1990. Per una valutazione di
questi nuovi apporti v. T. M. Robinson, “Plato
and the Computer”, in “Ancient Philosophy”, n.
12, 1992, pp. 375-382.
2
S. A. F. Hubbard e E. S. Karnofsky, Plato’s
Protagoras: a Socratic Commentary, London 1982.
3
Un punto così essenziale meriterebbe di essere
debitamente documentato, ma in questa sede
può farsi solo per campione. Per esempio, nel
caso delle figg. 8-10, il programma assume che
Eutifrone debba in qualche modo giustificarsi
per aver esordito offrendo un esempio anziché
una definizione, ma non ci vuol molto per intuire che la scelta di esordire con un esempio è
perfettamente ammissibile, quindi che giustificandosi egli conceda già troppo a Socrate (tanto
più che nello stesso Eutifrone anche Socrate
esordisce volentieri con degli esempi). Analogamente nel caso delle figg. 5-6 si passa indebitamente da una possibilità rapportata agli assunti della religione olimpica ad una impossibilità decontestualizzata (formale), come se il
passaggio non avesse nulla di problematico. Per
qualche esplorazione (settoriale) di questi passaggi problematici, su cui i commentatori tuttora sorvolano quasi sempre, v. almeno C. Carabba, “I molti non sequitur dell’ Eutifrone
platonico”,in “Sandalion”, n. 5, 1982, pp. 9195; e due miei apporti: da un lato “Encore une
inconséquence dans Euthphr. 10”, in “Apei-
ron”, n. 18, 1984, pp. 26-30; dall’altro “La
versione informatica di un dialogo platonico:
l’Eutifrone”, in AICA 93, Congresso annuale,
22-24 sett. 1993, Gallipoli, Atti, vol. I (Bari
1993), pp. 771-781 (specialmente il 4).
4
In “Computer-Assisted Instruction for a Socratic Dialogue”, in “Philosophy and the Computer”, 1991, pp. 235-246, D. Barker e S. Scott
sono espliciti nello scrivere, in apertura, che
«The main thing we want a student to learn from
the program is the force of the substantive
arguments of Euthyphro».
5
In tal modo si deroga dagli obiettivi originariamente perseguiti nel compilare Dialog, e tuttavia si aderisce alla realtà del programma così
come esso è stato definito dai suoi compilatori.
6
Tanto studenti universitari di filosofia, quanto
studenti della Scuola secondaria superiore: questa è la gamma di destinatari sui quali si sta
tentando di commisurare Dialog, anche in vista
dell’approntamento di una versione italiana (in
corso di realizzazione con il supporto tecnico
del Centro di Calcolo Elettronico dell’Università di Perugia).
7
Col concorso dell’IRRSAE dell’Umbria
Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10
Figg. 8-10: una sequenza di Dialog
31
TENDENZE E DIBATTITI
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7
Figg. 5-7: una sequenza di Dialog
ponente interattiva che lo connota; ma
proprio qui si nascondono sia un’insidia sia
una potenzialità didattica di prim’ordine.
Vediamo l’insidia. L’operatore alla tastiera viene almeno in parte rispettato
nelle sue opinioni e comunque ampiamente gratificato. Ciò che “Socrate” gli
presenta, e su cui chiede il suo assenso,
è infatti un insieme di opinioni ragionate
e in generale ben argomentate. Il “Socrate” di Barker può quindi attendersi il
libero assenso dell’intelligenza dell’operatore, e questi, a meno di essere prevenuto o di voler esercitare di proposito
un’azione di disturbo (per vedere come
se la caverà il filosofo), a meno cioè di
optare di proposito e magari solo per
gioco, con falsa coscienza per l’opinione deviante, tenderà ad accordarglielo.
Di fatto l’operatore finisce per subire
una pressione psicologica pressoché irresistibile. Tutto gli appare ben argomentato e largamente plausibile, anche
perché supportato da schemi logici non
controversi. Ergo non si può non dar ragione a “Socrate”, e il tutto è perfettamente in linea sia con l’impatto che il dialogare di Socrate avrà per lo più avuto con
i suoi interlocutori in carne ed ossa, sia
con l’impatto che il dialogo platonico
per lo più instaura con il comune lettore.
Ma che ne sarà, in queste condizioni, del
libero assenso dell’intelligenza? Il dialogo platonico è tentatore, e la versione
informatica semmai accentua la capacità di strappare l’assenso, anche perché
l’itinerario deduttivo non è tradotto in
linguaggio-macchina: il linguaggio-macchina interviene solo nel prefigurare
quale debba essere la videata successiva
in base alla valutazione della bontà del
giudizio di merito formulato di volta in
volta dall’utente. Quindi, posto che qualche non sequitur si annidi nella singola
videata, il programma non è per nulla
protetto dal rischio di incorrervi.
Ora si dà il caso che alcuni importanti
passaggi siano veramente affetti da non
sequitur, tanto nel dialogo originale,
quanto nella sua simulazione al computer, e che le molte differenze che il passaggio dall’una all’altra versione inevitabilmente comporta non incidano, di
norma, sui non sequitur. Per di più questi
passaggi, pur essendo inequivocabilmente
fallaci3, passano facilmente inosservati, e il
programma non fa nulla, assolutamente
nulla per mettere in guardia l’utente.
In ciò verrebbe fatto di ravvisare un
difetto del programma, anche perché
Barker (e il suo collega Scott) neppure in
altra sede hanno fatto la minima messa
30
in guardia a questo proposito4. Barker e
i suoi collaboratori si discostano, invero, dall’ortodossia platonica in un punto
cruciale, allorché accreditano l’enunciato: «Religions based on faith are false»;
ma per il resto mostrano di ritenere che
l’itinerario argomentativo, così come
viene da loro stessi ricostruito, sia impeccabile, tale cioè da meritare un pieno
assenso intellettuale.
Posto però che svariati non sequitur siano effettivi, sia in rapporto al dialogo,
sia in rapporto alla sua versione informatica, si profila la suggestiva possibilità di trasformare il limite appena segnalato in un pregio impagabile. Nulla vieta
infatti di assumere che Dialog offra di
proposito una simulazione perturbata
(“truccata”) del percorso inferenziale e
induca scientemente a non notare tutta
una serie di passaggi ostensibilmente
fallaci, ma anzi faccia di tutto per non
farlo notare, e nulla vieta di raccogliere
la sfida5.
Una volta adottata l’idea che il programma sia perturbato e decettivo in più punti, scatta per il docente la possibilità
anzi, l’opportunità di aprire ogni tanto
delle “finestre” di discussione, mentre
gli allievi6 si cimentano a rispondere sì o
no: è la possibilità di invitarli ad essere
guardinghi ed accertarsi che in determinati punti non si nascondano per avventura dei non sequitur debitamente mimetizzati, per poi accordare al gruppo il
tempo di provare a frugare, ed eventualmente passare ad offrire qualche appropriato input.
Gli effetti sono decisamente interessanti: si delineano impensate opportunità di
dissentire a ragion veduta e in modo non
banale dalle posizioni difese da “Socrate”, così come da certe sequenze inferenziali che la stessa informatica è lì ad
avallare; diventa imperativo provare ad
avventurarsi nell’inesplorato e ricercare
delle formulazioni alternative alle idee
proposte; si dilatano quindi gli orizzonti
intellettuali, ma non più per gioco, e con
la possibilità di capitalizzare acquisizioni di qualche rilievo riguardo a certe non
trascurabili fallacie in cui Platone incorre con qualche facilità. L’esperienza fatta con Dialog si presta anzi ad essere
assunta a simbolo (o paradigma) dell’esigenza e della possibilità di decondizionarsi dalla pressione dei media.
Quanto al rischio di un indottrinamento
perfino temibile, questo è in effetti cospicuo, qualora una scolaresca si cimenti con Dialog senza essere indotta a sospettare l’introduzione di forzature (ad
esempio quando Dialog accredita l’enunciato «Religions based on faith are false» senza né marcare uno stacco rispetto
alle pagine di Platone, né distinguere tra
«formalmente falso» e «destituito di ogni
attendibilità»). Viceversa, qualora il docente inviti la classe a non fidarsi troppo
della lettera di Dialog, un simile rischio
TENDENZE E DIBATTITI
sare come Socrate si sta regolando con
Eutifrone e di rinviare all’avviso del
giudice ideale, non può non lasciare
perplessi).
Se simili quesiti venissero discussi in
classe, sarebbe probabilmente il docente
a trovarsi in imbarazzo, e ne inferisco
che gli studenti dovrebbero piuttosto cimentarsi da soli, anche perché i quesiti
non sono tali da consentire un giudizio
di merito sulla bontà delle scelte effettuate dall’utente. Si aggiunga il rischio
che Labyrinth finisca per accreditare
un’immagine della filosofia in cui tutto
risulti essere paurosamente labile, fluttuante, inafferrabile.
Con Labyrinth ci scostiamo già largamente dallo standard della ComputerAssisted Instruction, perché l’obiettivo
non è più un vero e proprio addestramento, con memorizzazione ed uso corretto
delle regole via via introdotte, che è
invece la norma nella generalità dei programmi CAI (ad esempio i CAI di logica
formale, o di matematica, o di apprendimento dell’ortografia, ma anche un recente CAI di filosofia prodotto in Italia
da Piero Carelli).
Sia pure con i limiti indicati, Labyrinth
sa mettere in moto le intelligenze (non
propriamente la cultura filosofica), insegna a scomporre e ricomporre l’unità testuale per fini analitici, induce ad avventurarsi in terrae veramente incognitae.
L’altra simulazione dell’Eutifrone di cui
si ha notizia si deve a Don Barker (Gonzaga University, Spokane, Washington)
e collaboratori, è denominata Dialog ed
è datata 1990. L’approccio è completamente diverso e, in prima approssimazione (ma solo in prima approssimazione), più prossimo allo standard CAI.
La novità davvero grande di Dialog è di
non porci ogni volta di fronte ad un
frammento di dialogo, con coppie di
domande e risposte dei due personaggi,
ma di offrire all’operatore alla tastiera
l’opportunità di rimpiazzare Eutifrone e
dialogare direttamente con Socrate. Per
di più l’operatore può accordare ma anche negare il suo assenso, e in tal caso il
programma propone un Socrate disposto
a seguire almeno per un po’ questo suo
interlocutore inatteso, ovviamente tentando di ricondurlo entro l’alveo del
dialogo così come questo è stato definito
da Platone nei suoi esiti parziali e complessivi.
Nulla di simile era mai stato offerto
finora, anche se si deve ricordare almeno
un singolare commento al Protagora
costituito unicamente da centinaia di
interrogativi proposti al lettore2. In effetti un dialogo come l’Eutifrone, per il
solo fatto di essere un testo ‘chiuso’
affidato alla lettura, non può non presupporre un lettore recettivo, se non addirittura un po’ passivo. La sola possibilità di
riviverlo è di impegnarsi in un processo
di interiorizzazione del gioco delle parti,
così da reintrodurvi una certa dinamicità, per poi valutare in interiore homine
l’opportunità di accordare o negare il
libero assenso della nostra intelligenza a
quanto Platone prospetta di volta in volta. Però, quali che siano le nostre valutazioni, il dialogo continua ad andare per
la sua strada, cioè ad ignorare le nostre
eventuali perplessità, e con ciò stesso
ottiene di forzarci un poco la mano inducendoci non solo ad entrare nel mondo
mentale di Socrate e Platone e ad accantonare per il momento il nostro, ma anche a simpatizzare con il protagonista e,
in definitiva, ad apprezzare le sue ragioni, cioè a rimpiazzare il giudizio di merito (en philosophe) con un approccio di
tipo storiografico (“Platone argomenta
così perché...”), aderendo senza troppe
remore al punto di vista platonico. Gentile violenza; ma anche temibile pressione psicologica.
Grazie a Dialog, invece, riguadagniamo
una inedita libertà di giudizio e, come si
è già detto, possiamo addirittura ottenere che sia Socrate a seguire, almeno per
un po’, i nostri pensieri, non sempre e
soltanto noi a seguirlo nelle sue argomentazioni.
Questo è un avvenimento, perché ha il
potere di reintrodurre un essenziale momento creativo altrimenti interdetto e di
‘scongelare’ il dialogo. Per rendersene
conto basta considerare che il momento
creativo risultava, finora, confinato ai
tempi ‘beati’ in cui Socrate ed Eutifrone
hanno forse trascorso per davvero un’ora
insieme in prossimità della Stoa Basileios, poi al giorno in cui Socrate ne ha
forse fatto ai suoi un dettagliato resoconto, e infine al periodo in cui Platone
ha posto il tutto per iscritto, assumendosi la responsabilità di decidere che cosa
far dire a ciascun interlocutore. Da allora il tutto, pur mantenendo una sua indubbia vitalità, si è definitivamente congelato finché non è comparso Dialog.
E’ precisamente con questo sostituto informatico che si determina per la prima
volta un sostanziale disgelo dell’originale platonico. Da qui il suo eccezionale
fascino, che a ben vedere travalica di
molto l’ambito della fruizione del programma a fini didattici, in quanto istituisce la possibilità di mettere in conto una
vasta gamma di percorsi definitòri alternativi che il dialogo platonico ha implacabilmente rimosso. Detto diversamente: posto di fronte ad un Eutifrone, Socrate ha buon giuoco, ma l’avrà ancora
(ovvero: l’avrebbe ancora) se Eutifrone
fosse appena un po’ meno remissivo? Ed
è tutt’altra cosa tentare mentalmente di
non cedere di fronte all’apparente linearità del dialogo così come noi lo leggiamo, o avere sistematiche opportunità sia
di accordare o negare l’assenso, sia di
avventurarsi almeno per un po’ su una
varietà di percorsi alternativi, per giunta
29
sotto forma di prese di posizione oggettivate in video.
La formula adottata è discreta e quanto
mai efficace. In prima approssimazione
all’utente non si chiede che di pronunciarsi sulla congruità delle valutazioni
proposte dall’interlocutore di Socrate,
ma non appena prende il via l’itinerario
inferenziale in base al quale le tesi di
Eutifrone vengono progressivamente
demolite, questi si fa da parte e spetta
quindi all’operatore di misurarsi con gli
argomenti di “Socrate”, accettando o
meno di seguirlo nel suo ragionamento,
cioè di pronunciarsi sulla pertinenza di
ogni passaggio.
Quanto all’itinerario argomentativo, questo viene opportunamente scomposto in
una cinquantina di passaggi, a ciascuno
dei quali corrispondono una o più videate. Esso viene inoltre razionalizzato
quanto basta per estrarne un nitido percorso inferenziale, e per tradurre i vari
passaggi in rudimenti di logica deduttiva (figg. 5-7). All’operatore alla tastiera
spetta di pronunciarsi letteralmente ogni
volta, cioè ad ogni videata: spesso deve
optare tra vero e falso; talvolta è posto di
fronte a risposte multiple; talaltra gli si
richiede di digitare un enunciato. Inoltre
per ogni risposta deviante è previsto un
apposito commento debitamente allineato sull’Eutifrone. “Socrate”, in altri termini, è preparato ad argomentare e subargomentare: qualche volta in modo un
po’ sbrigativo (con un sola videata) o più
ampiamente ovvero, se l’utente è proprio pertinace nel dissentire, accettando
persino di gettare la spugna e prendere
atto della riluttanza del suo moderno
interlocutore, come ad esempio con
un’espressione di questo genere: «Ho
letteralmente esaurito le mie risorse, non
saprei che altro dire. Vedo che non ci
capiamo proprio. Se è così, posso solo
consigliarti di uscire dal programma e
porre fine al nostro scambio di idee».
Rispetto allo standard dei programmi
CAI, Dialog non ha bisogno di discostarsene poi troppo, perché insegna pur
sempre ad aderire all’ortodossia socratico-platonica e, con l’occasione, introduce alcuni preziosi rudimenti di logica
formale.
La funzionalità didattica è senza dubbio
assicurata. Di un file di controllo non c’è
bisogno perché, a seconda delle risposte, il programma propone o l’approvazione di “Socrate” o sue ulteriori considerazioni atte ad indurre l’operatore a
ritornare sul giudizio di merito che ha
appena formulato. Il programma, in altri
termini, non va avanti se non a patto che
l’utente accetti, più o meno di buon grado, di aderire al punto di vista di “Socrate”.
Dialog consente insomma di fare
un’esperienza veramente fuori dal comune, non foss’altro per la vistosa com-
TENDENZE E DIBATTITI
cia incombente del minotauro che è sempre sul punto di ‘catturarlo’. Viene inoltre proposta una intelligente panoplia di
personaggi mitologici che intervengono
ad orientare/disorientare l’operatore ad
ogni passaggio cruciale, cioè ogniqualvolta l’utente è invitato ad effettuare una
opzione e pronunciarsi per un «sì» o per
un «no» di fronte a determinati quesiti
(figure 1-3). Coerentemente con l’immagine del labirinto, lo stesso dialogo
viene intelligentemente scompaginato,
in modo che lo si possa esplorare sulla
base di una varietà di percorsi alternativi
che partono tutti dall’ultima pagina: l’inatteso è, tutto sommato, assai gradevole.
Ai fini didattici, cioè con la prospettiva
di un uso in classe, è stato predisposto
anche un file di controllo che memorizza
e classifica (di fatto giudica) la pertinenza delle risposte date da ciascun utente.
Siamo dunque in presenza di un programma ‘chiuso’, che contempla però
una varietà di percorsi alternativi a seconda che si risponda «sì» o «no» a
ciascun quesito.
A parte questa funzione di controllo, ciò
che con ogni evidenza caratterizza Labyrinth è la scelta di mettere l’operatore
di fronte ad una situazione che non può
veramente controllare, fino a coinvolgerlo in una sorta di impegnativo Solitario (o partita a scacchi con il computer)
da cui ben difficilmente può sperare di
uscir vincitore. Lo studente che si cimenta con Labyrinth deve insomma potersi disorientare fino a soffrirne, fibrillare, quindi accanirsi, provare, riprovare
e tentare a più riprese di dis-impaniarsi
nella speranza, virtualmente vana, di riuscire prima o poi a districarsi e sfuggire
quindi alle grinfie del minotauro.
L’obiettivo è insopmma lo shock, più
che l’episteme.
L’obiettivo scientemente perseguito è
dunque il coinvolgimento, l’iniziazione
alla complessità del discorso filosofico,
alle insidie della teoresi. Il programma
include, invero, anche una componente
ludica, ma a titolo di sfida intellettuale,
allo scopo di instillare la perplessità,
quindi di indurre l’operatore a cimentarsi in un sostanziale salto di qualità rispetto al dichiarato che compare in video. Che l’esperienza possa risultare avvincente per chi abbia una minima sensibilità filosofica è pressoché inevitabile.
Il maggior limite di Labyrinth è costituito dalla natura dei quesiti, che spesso
propongono delle alternative improprie
(è il caso, per esempio, della fig. 4), e
talvolta si spingono fino alle soglie del
non-senso. Di fronte a simili quesiti
l’utente un po’ navigato spesso vorrebbe
poter non rispondere né “sì” né “no”
anche senza bisogno di appellarsi a Wittgenstein per sostenere che gli vengono
proposte domande alle quali non si può
propriamente rispondere (anche il quesito della fig. 3, per il fatto di non preci-
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
Figg. 1-4: una sequenza di Labyrinth
28
TENDENZE E DIBATTITI
Schachtner Christel, Geistmachine. Faszination und
Provocation am Computer, Suhrkamp, Frankfurt/
M. 1993.
Simon A. Herbert, Le scienze dell’artificiale, Il
Mulino, Bologna 1988 (ed. or. ing. 1969).
Skyrms B., The Dynamics of Rational Deliberation, (Harvard, U.P., Cambridge MA 1989.
Teschner George e McClusky Frank B., “Computer Alternatives to the History of Philosophy Classroom”, in “Teaching Philosophy”, n. 13, 1990, pp.
273-280. Dall’ articolo si intuisce che il courseware è orientato verso una visione della filosofia come
una serie di argomentazioni.
La logica
e i “software” didattici
L’uso di “courseware” per l’insegnamento della logica è così diffuso nei
paesi di lingua inglese che per alcuni è
oggi difficile immaginare come si sia
mai potuto fare senza di essi. Ovviamente tutti i processi inferenziali si
prestano facilmente ad essere strutturati in sequenze di problemi. Già nel
1956 Newell Shaw e Herbert Simon
avevano ideato il LOGIC THEORIST, un
programma che era in grado di costruire automaticamente le dimostrazioni
di semplici teoremi tratti dai PRINCIPIA
MATEMATICA di Whitehead e Russell.
A più di trenta anni di distanza, il mercato
offre molti prodotti, organizzabili in tre
generi.
1. Gli eserciziari elettronici come il Logical Text-Processing, creato alcuni anni or
sono da Geoff Keene, oppure Philo the
Logician (versione 2.0) o Barbara the Syllogizer, ideati da Robert Wengert alla fine
degli anni Ottanta. Si tratta di software
artigianali, molto economici, dalla grafica
assai modesta e dalla difficile fruizione.
Molto del lavoro simbolico e interpretativo
riguardante la gestione del programma è
lasciato all’utente (non sono user-friendly). La mancanza di manuali che accompagnino il software, di un menù di facile
utilizzo e di una funzione help on line rende
questi eserciziari ancor meno interessanti e
assai poco popolari tra gli studenti.
2. I software sviluppati per uno specifico
manuale di logica già esistente. Lemmi, per
esempio, è un programma studiato per svolgere gli esercizi contenuti in Beginning
Logic di E. J. Lemmon; mentre gli studenti dell’Università di Oxford si possono servire di Tableau, un programma accessibile
via network che affianca Logic, il manuale
di logica scritto da Wilfrid Hodges.
3. I più recenti programmi di addestramento, in cui manuale e software sono strettamente coordinati. Si tratta di prodotti decisamente innovativi, dal costo sempre piuttosto contenuto (in genere al di sotto dei
quaranta dollari tutto incluso) e dalla grafica a volte accattivante. Tra questi vale la
pena menzionare alcuni.
1. MacLogic: un software per Macintosh
che costruisce dimostrazioni per la logica
di primo ordine, la logica intuizionistica, e
le logiche modali S4 e S5. Roy Dyckhoff
ha depositato una “demo” di pubblico dominio nel file-server dell’Università di St.
Andrews (internet 138.251.192.40) al seguente indirizzo:
% ftp tamdhu.cs.st-and.ac.uk
Name: digitare anonymous
Password: digitare la propria e-mail
ftp> cd pub/malt/maclogic
ftp> get README.1
ftp> get README.2
ftp> get MACLOGIC.sea.Hqx
ftp> quit
%...
2. Bertie3: un software per lo studio delle
dimostrazioni per i sistemi di deduzione
naturale nella logica proposizionale e dei
predicati.
3. Twootie: uno strumento con cui si costruiscono alberi di derivazione per problemi di logica proposizionale e dei predicati.
4. The LogicWorks: un altro programma
per Macintosh dedicato al critical reasoning e alla logica simbolica.
5. The Logictutor: un software che accompagna il manuale The Art of Reasoning
with Symbolic Logic di David Kelley.
6. The Logic Coach VI.82: programma
ideato per il testo A Concise Introduction to
Logic di Patrick Hurley (di questo courseware è in via di realizzazione una versione italiana).
7. The Logic Works (versione 6.0): un software assai diffuso e molto flessibile, che
fornisce esercizi su tutti i temi principali
toccati da un corso di introduzione alla
logica formale ed è adattabile sia per macchine IBM compatibili che per macchine
Macintosh. Può essere adottato sia singolarmente sia in connessione con molti degli
attuali manuali oggi disponibili sul mercato editoriale di lingua inglese.
8. Tarski’s World 4.0: un corso di logica
molto originale, ideato da Jon Barwise e
John Etchemendy insieme al loro manuale,
The Language of First-order Logic. L.F.
Bibliografia
Barwise Jon e Etchemendy John, The Language of
First-order Logic (including the IBM-compatible
Windows version of Tarski’s World 4.0) CSLI,
Stanford 1992. Esiste anche una versione assai
diffusa che lavora in ambiente Macintosh.
French Steven e Hill Hammer, “Teaching with the
LogicWorks” in “Computers and Texts Newsletter” (CTI Centre for Textual Studies & Office for
Humanities Communication, Oxford), n. 3, 1992,
pp. 11-12.
Shagrin Morton L., Rapaport William J. e Dipert
Randall R., Logica e Computer, McGraw-Hill,
Milano 1986 (ed. or. ing. 1985).
Lancashire Ian (a cura di), The Humanities Computing Yearbook 1989-90, Oxford University Press,
New York 1991.
27
Due versioni informatiche
dell’ “Eutifrone” di Platone
Quando si parla di “Platone al computer” è normale pensare ad una
minuscola porzione dell’ormai largamente noto (e usato) THESAURUS
della lingua greca, il CD-ROM prodotto in California oltre dieci anni fa
e successivamente proposto al pubblico italiano dalla Scuola Normale
Superiore di Pisa, ovvero ad una
nuova fase delle indagini stilometriche che data appena dal 1989 1. Se si
cerca qualcosa di più specifico, vien
fatto di pensare, tutt’al più, ad un
apposito CD-ROM interamente riservato a Platone: un prodotto che,
peraltro, non risulta essere neppure
in preparazione e che comunque sarebbe funzionale per la sola ricerca
specialistica. Ma c’è anche dell’altro: due recenti moduli elaborati
negli Stati Uniti che simulano uno
dei dialoghi più brevi di Platone,
l’EUTIFRONE. La simulazione si materializza, in tutti e due i casi, in un
“floppy” da 3 pollici e mezzo che
“gira” su un normale personal computer, eventualmente anche su un
PC un po’ obsoleto. Sotto il profilo
della tipologia, in entrambi i casi ci
muoviamo nell’ambito della “Computer-Assisted-Instruction”, cioè
nell’ambito dei sussidi didattici di
tipo interattivo, sia pure con caratteristiche alquanto innovative rispetto allo standard corrente.
Il primo dei due programmi, denominato
Labyrinth, datato 1988, è stato ideato da
Daniel M. Lachenman (Seton Hill College, Greensburg, Pennsylvania). Il programma si propone di accostare l’utente
alla complessità del discorso che fa Platone e alle insidie del dichiarato, dunque
a quel tanto di intricato e di fluttuante
che connota il dialogo - ricordo le dispute sia sulla consequenzialità di determinati passaggi, sia sulla possibilità di
estrarre dall’Eutifrone una definizione
positiva della santità, definizione che
secondo alcuni come ad esempio Giovanni Reale si celerebbe appena in una
delle ultime sezioni, mentre l’opinione
prevalente vuole che Platone abbia rinunciato ad offrire una definizione veramente affidabile. A tenaci perplessità dà
adito soprattutto l’oscuro nesso che lega
le varie ipotesi definitorie, o almeno il
passaggio da «caro agli dei perché santo» a
«la santità è quella parte del giusto che...».
Assumendo la tesi della complessità
quasi inestricabile del percorso inferenziale, Lachenman ha addirittura scelto di
presentare il dialogo a mo’ di labirinto, e
non soltanto il programma si chiama
appunto Labyrinth, ma l’operatore alla
tastiera è formalmente collocato in un
labirinto dedalico e posto sotto la minac-
TENDENZE E DIBATTITI
scientifica dell’occultismo o del razzismo.
Si dovrà perciò fare attenzione alla “retorica” del computer come macchina infallibile.
Nonostante questi limiti, i vantaggi della
didattica elettronica sbandierati dal partito
del “Si” rimangono enormi (Müller [1989]
fornisce una panoramica storica, Karrer
[1989] contiene una rassegna della bibliografia degli ultimi trent’anni):(Ridgway
[1988] fornisce una loro rassegna, Schachtner [1993] indaga i problemi fronteggiati da coloro che lavorano giornalmente
con il computer).
1. L’utilizzo del computer è utile sia per
scardinare gli approcci abituali al tema
trattato, sia per sottrarre un testo o un argomento dalla bacheca ideale in cui lo ha
posto la tradizione culturale (per la descrizione di un caso specifico si veda l’articolo
che segue sul CAL dell’Eutifrone).
2. Mediante un courseware lo studente
partecipa in modo più attivo al processo di
apprendimento, formulando il proprio pensiero in modo preciso e sintetico.
3. I software didattici facilitano enormemente l’organizzazione della didattica. Lo
studente viene reso più indipendente dall’insegnante, responsabilizzato come autodidatta, e può personalizzare le modalità di
apprendimento. Da parte sua, l’insegnante
ha modo di trarre vantaggio dalla diagnosi
prodotta dal computer per individuare quali domande o problemi risultano più difficili ad una classe, e perciò adeguare meglio il
suo insegnamento alle necessità sempre
diverse dei gruppi di individui con cui si
confronta di anno in anno.
4. I CAL possono essere di grande aiuto nei
paesi in cui il numero degli insegnanti è
ridotto, nei corsi per portatori di handicap,
o nella didattica a distanza via cavo.
5. I CAL promuovono l’alfabetizzazione
informatica. L’uso dei software didattici
rompe con l’approccio monomediale, ancora tipico della didattica sia scolastica che
universitaria dei nostri anni, per introdurre
un contesto multimediale che è poi quello
abituale nella nostra cultura e negli ambienti di lavoro. Ciò si può tradurre in una
maggiore confidenza da parte degli studenti nei confronti degli strumenti attraverso
cui viene gestito il sapere (demitizzazione
del computer e sua de-antropomorfizzazione), ed in una minore attenzione da parte
degli insegnanti per l’approccio nozionistico ed enciclopedico.
6. Il computer in classe può essere la risposta migliore al dominio del piccolo schermo nel privato. Di per sé la mente è portata
a contemplare o a giocare. La prima funzione è passiva e trova la sua esaltazione
nella televisione, la quale rende la mente
acquiesciente nei confronti di un flusso
informativo continuo e difficilmente strutturabile; la seconda è attiva, e può oggi
essere soddisfatta anche valorizzando l’uso
dei courseware nel contesto dell’istruzione.
Visti i pro e i contra, si può dire che il
computer potrà trasformarsi in un ordinario ausilio didattico per l’insegnamento
della filosofia solo se verranno soddisfatte
le seguenti condizioni.
1. Dovrà essere promossa la funzione
“istruttiva” della didattica elettronica. Fino
ad oggi la filosofia analitica ed una certa
continuità con il modello medievale di insegnamento hanno valorizzato quasi esclusivamente la funzione di esercitazione. Ma
a fianco delle potenzialità di training vi
sono quelle, tutt’ora assai poco apprezzate,
di istruzione, ed è qui che subentra la storia
della filosofia. Primi tentativi di elaborare
software per l’insegnamento della storia
della filosofia sono già stati fatti (Teschner
e McClusky [1990] e ora Teacher, un courseware ideato da Piero Carelli e descritto in
Carelli [1993]), ma ancora non esiste un
courseware completo che copra la storia
del pensiero occidentale così come la si
studia al liceo. Nei prossimi anni questa
sarà una delle esigenze che la didattica
elettronica dovrà soddisfare, soprattutto se
in Italia il fine sarà quello di introdurre i
courseware filosofici nelle scuole secondarie superiori.
2. I CAL futuri non dovranno più essere
pensati solo sulla base dei testi cartacei già
esistenti. L’esempio di Tarski’s World, seppure ancora limitato alla logica è assai
indicativo. Si tratterà di sfruttare tutte le
potenzialità dello strumento (interazione,
visualizzazione, contemporaneità della presentazione delle informazioni su più finestre, navigazione ipertestuale, etc.) per valorizzare il contenuto, evitando di forzare
l’informatica a riprodurre l’esposizione di
un dato argomento solo per velocizzare o
magari abbellire ciò che è già stato fatto
sulla carta.
3. I docenti dovranno farsi carico del loro
ruolo di promotori di nuovi courseware.
Nonostante l’entusiasmo per le prime esperienze, risalenti alla fine degli anni Cinquanta, la delusione per i prodotti realizzati
negli anni Sessanta (i cosiddetti volta-pagina elettronici) ed il miglioramento del sistema PLATO negli anni Settanta, la didattica elettronica è ancora in una fase pionieristica. Solo negli anni Ottanta fattori come
l’enorme diffusione dei personal computer
e dei portatili, l’avvento delle serie avanzate dei microprocessori Motorola 680x0 e
Intel 80x86 e la creazione di sistemi operativi basati sulla funzione iconica hanno
reso possibile immaginare una reale permeazione capillare della didattica da parte
dei courseware. L’industria dell’informatica, tuttavia, non può creare ciò di cui il
mercato ha bisogno se il mercato stesso
non fornirà la duplice spinta sia della domanda economica proveniente dagli acquirenti, sia delle esigenze teorico-didattiche provenienti dai docenti. Lo squilibrio a
favore dei CAL di logica è comprensibile
solo in relazione ad una domanda alternativa ancora mancante.
4. Infine dovrà essere superata la diffidenza dei docenti nei confronti dei nuovi strumenti informatici, e si dovrà far apprezzare
agli utenti tutti i vantaggi dei courseware.
26
Accade infatti che un docente non conosca
l’argomento o non sia interessato alla didattica elettronica, trovi il computer troppo
difficile da usare o sospetti che gli studenti
possano metterlo in difficoltà (il computer
come sostituto dell’insegnante), non riesca
ad immaginare come potrebbe usare un
courseware nelle sue lezioni oppure abbia
visto solo qualche programma CAL poco
attraente o versatile, rimanendone deluso.
Gli studenti sono spesso più entusiasti nei
confronti della novità rappresentata dai
courseware. Si tratterà allora di instaurare
un circolo virtuoso tra produzione ed utenza, così da superare l’attuale situazione di
stallo, per cui una cattiva informazione,
relativa soprattutto a prodotti mediocri,
disincentiva lo studio e la produzione di
courseware migliori e a minor costo, produzione che a sua volta potrebbe promuovere l’ideazione di ulteriori possibili applicazioni dell’informatica alla didattica delle
discipline umanistiche.
Il successo della nona edizione di “Didamatica ’93" - la manifestazione sulle applicazioni del calcolatore nella didattica promossa dall’Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico e svoltasi a Genova dal 14 al 16 aprile scorso - sta
ad indicare che forse anche in filosofia il
computer potrebbe presto affiancare il gesso e la lavagna. L.F.
Bibliografia
Burkholder Leslie, Philosophy and the Computer,
Westview Press, Boulder CO 1992.
Burkholder Leslie, The PD WORLD Projects. 1.
PD WORLD: The Book; 2. PD WORLD: The Software, 1993. Si tratta di un progetto sia cartaceo,
che informatico, rivolto allo studio di varie teorie
dei giochi e della razionalità. Il lavoro è ancora in
fase di elaborazione.
Calvani Antonio, “Computer e cambiamento nell’educazione umanistica” in Epistemologia Informatica, una raccolta di testi pubblicata in “BioLogica”, n. 5, 1991, pp. 163-180.
Carelli Piero, “Computer e filosofia, un
binomio...blasfemo ?”, in “Sensate Esperienze”, n.
18, 1993, pp. 25-29.
Celi Fabio, “Le applicazioni del calcolatore nella
didattica”, in “MC Microcomputer”, n. 131, 1993,
pp. 194-196.
Gery Gloria, Making CBT Happen - Prescriptions
for succesful implementation of computer-based training in your organization, Weingarten, Boston 1987.
Karrer Urs, Computer-Assisted Learning: Toward
the Development and Use of Quality Courseware,
Lang, Frankfurt/M, New York, Paris 1989.
Marinof L., “Maximizing Expected Utilities in the
Prisoner’s Dilemma”, in “Journal of Conflict Resolution”, n. 36, 1992, pp. 183-216.
Müller W. Ekkehart, Computer im Curriculum Technische Innovation und Pädagogische Reflexion, (Kiel 1989, dissertazione).
Nievergelt J. et al., Interactive Computer Programs for Education - Philosophy, Techniques and
Examples (Reading, MA 1986).
Ridgway Jim, “Of Course ICAI is impossible...worse
though, it might be seditious”, in Self John (a cura
di), Artificial Intelligence and Human Learning Intelligent Computer Aided Instruction, Capman
and Hall, London e New York 1988, pp. 28-48..
TENDENZE E DIBATTITI
di cui la vita si serve per organizzare la
propria sopravvivenza e la lotta che quest’ultima comporta. Una tesi, questa, che
andrebbe confrontata con quanto, nel 1932,
andava pubblicando E. Jünger con il suo
Lavoratore. Dominio e forma.
Escono ora in Italia anche i “diari segreti”,
con il titolo: A me stesso. Frammenti, appunti autobiografici, che Spengler scrisse
con il progetto di tradurli in un libro, che
tuttavia non vide mai la luce, con il titolo
greco: Eis heauton (A se stesso). Si tratta di
un documento di grande interesse, in cui
Spengler stesso si mette impietosamente a
nudo, svelando gli angoli più reconditi della propria personalità. Ne traspare un’immagine del pensatore completamente rovesciata: all’uomo del destino, «dall’animo forte e del tutto ametafisico», si sovrappone l’uomo d’azione, che fonde in sé i
tratti del Romano e del Prussiano; all’uomo
d’acciaio si sovrappone una personalità
melanconica e timorosa, incline al tedio
della vita e alla fantasticheria, che recide
ogni legame con la realtà e si corazza entro
il proprio io.
Così annota Spengler il giorno dell’entrata
in guerra della Germania: «Talvolta il mio
terribile isolamento mi colpisce in modo
doloroso. Oggi, nel giorno più grande della
storia universale, che cade nella mia vita e
ha un così stretto rapporto con l’idea per la
quale fui messo al mondo - oggi, 1 agosto
1914, sto seduto a casa, da solo. Nessuno
pensa a me... Piango così facilmente...
Quanto ho già sofferto per questa mia debolezza! In seguito, per giorni interi, non
riesco a combinare nulla». Debolezza, solitudine, lacrime, paura: sono questi i sentimenti dell’uomo d’acciaio che ha gettato
la maschera: «Il tempo di guerra. La paura
folle. Evitare i giornali, chiudere gli occhi
- così prosegue Spengler - Non avere nessuno a cui importi qualcosa di te. Tutti si
occupano di qualcuno che non sei tu...
bisogno di un po’ d’interesse da parte degli
altri, per mendicare l’attenzione di qualcuno, la sensazione di essere sempre quello di
cui si può fare comunque a meno». Salvo
contraddirsi poche righe dopo: «È un bel
pensiero quello di poter vivere in una tenuta, sposato a una donna intelligente, raffinata... ma non potrei sopportarlo; il bisogno patologico di solitudine mi spingerebbe all’odio...» E ancora, la confessione
della propria vigliaccheria, i tormentosi
accessi di paura: «Sono un vigliacco, pavido, inerme... ho paura di prendere in affitto
un appartamento, di aprire una lettera, di
scrivere qualcosa... ho paura degli incontri,
delle donne (non appena si spogliano)...».
La personalità contraddittoria e contrastata
dell’uomo Spengler si sovrappone continuamente al pensatore forte, al teorico del
III Reich, in un intreccio complesso, intrigante che costringe a ripensare a fondo
l’intera sua opera. Sotto la maschera dell’uomo d’azione appare il figlio di un’epoca di transizione e di crisi. E.C.
Primo piano:
filosofia e computer
Da Teuth a CAL: la didattica
elettronica in filosofia
L’uomo ha iniziato a scrivere cinquemila anni fa. A circa metà di questo percorso, Platone suggerì che sarebbe stato
di gran lunga preferibile se il dio egizio
Teuth non avesse mai inventato l’alfabeto. Il testo scritto costringe il pensiero dialettico in strutture ad esso estranee, fissandolo in modo definitivo e
limitante. Non invita ad esercitare la
memoria ed instaura una fiducia presuntuosa in una multiscienza resa possibile solo da un accesso artificioso alla
massa delle informazioni codificate, ma
non fatte proprie. Oggi grazie ai “software didattici”, i cosiddetti COURSEWARE, noti anche come programmi CALCOMPUTER AIDED LEARNING, CAI-COMPUTER
AIDED INSTRUCTION, CBT-COMPUTER BASED
TRAINING, oppure CBI-COMPUTER BASED INSTRUCTION, la nozione di testo come qualcosa di chiuso in un “maestoso silenzio”, secondo la definizione platonica,
è entrata in crisi. Il concetto chiave
rimane quello dell’interazione, già identificato dal dialogo platonico. Ciò che è
cambiato sono gli strumenti tecnologici. Con un pizzico di ironia della sorte,
negli anni Sessanta gli ingegneri americani battezzarono il più noto e diffuso
dei sistemi per didattica elettronica con
il nome di PLATO I-PROGRAMMED LOGIC FOR
AUTOMATIC TEACHING OPERATION.
Un software didattico lavora come un istruttore personale. Una gerarchia di menù
invita l’utente a confrontarsi con delle
domande, o più in generale con dei problemi. Le varie opzioni/risposte determinano
le fasi successive in percorsi prestabiliti
(nuova domanda precodificata, nuova alternativa, nuovo problema, trasformazione delle coordinate concettuali etc.). Il
courseware può fornire istruzioni per l’uso
del software, suggerimenti riguardanti la
migliore strategia per affrontare il problema, spiegazioni relative al contenuto teorico da cui il problema scaturisce, o la
risposta giusta. Il software può inoltre essere disegnato in modo tale da registrare e
valutare i risultati ottenuti nel corso dell’esercitazione dal singolo operatore.
25
Gli argomenti trattati dai courseware vanno dalla matematica alle lingue naturali,
dalle tecniche di programmazione allo studio della fisica o della storia. Per ciò che
concerne la filosofia, sebbene il mercato
sia in continua espansione, la maggior parte delle decine di software oggi disponibili
continuano a riguardare lo studio della logica (si veda la scheda informativa che segue).
Più di recente sono apparsi anche courseware dedicati all’etica applicata. La teoria dei
giochi ha suggerito l’ideazione di simulazioni nel settore delle scelte razionali e delle
capacità decisionali, quindi la produzione di
programmi quali “Il dilemma del prigioniero” o “Right to die ?” (Il diritto di morire, un
software sul problema dell’eutanasia). Interessante notare che in questo caso i courseware sono stati in grado di fornire elementi
innovativi anche per la ricerca.
L’evoluzione dei programmi CAL indica
che presto la filosofia sarà insegnata dal
computer? La domanda è ingenua, ma può
aiutare a mettere in luce sia i limiti che i
vantaggi della didattica elettronica.
Le ragioni addotte dal partito del “No”
sono diverse (Ridgway [1988] fornisce una
loro rassegna, Schachtner [1993] indaga i
problemi fronteggiati da coloro che lavorano giornalmente con il computer).
1. Il grado di interazione raggiungibile dai
“docenti elettronici” non sarà mai neppure
vicino a quello ottenuto in un dialogo ordinario; non esiste un CAL che possa superare un test di Turing e la figura dell’istruttore
rimane indispensabile.
2. Per poter dare vita a percorsi precodificati, i contenuti oggetto di insegnamento
devono essere sottoposti ad una necessaria
strutturazione e standardizzazione. Discrezione (modularità) e computabilità (assemblabilità) vanno di pari passo con la chiarezza dell’esposizione, ma il processo di
riordinamento delle informazioni gestite
da un CAL può nuocere a testi filosofici
che abbiano uno scarso impianto argomentativo, oppure una scarsa coerenza nell’uso
della terminologia tecnica.
3. Saper manipolare e gestire non significa
ancora aver compreso. Fin dove la conoscenza procedurale è convertibile in conoscenza concettuale, i CAL richiedono la
guida di un insegnante, affinché la ripetitività del processo di apprendimento non
instauri dei meri automatismi, ma dia vita
ad una comprensione cosciente e critica
degli argomenti trattati.
4. Il computer può esercitare un pericoloso
ascendente su alcuni individui. Contenuti
che apparirebbero facilmente discutibili,
se presentati da un docente, possono a volta
godere di una forza di convincimento assai
maggiore per il solo fatto di essere veicolati
attraverso l’uso di una tecnologia avanzata.
Ora non c’è nulla di male nell’ideare un
software che elabori il mio oroscopo o
argomenti a favore dell’inferiorità genetica
dei portatori di occhiali. Il guaio sarebbe
quello di considerare l’implementazione di
questi programmi una prova della validità
TENDENZE E DIBATTITI
questo approccio; infine accenna agli
sviluppi delle logiche libere, polivalenti, e un approccio a tematiche gnoseologiche classiche. Il problema riguardante
la natura della logica rimane tuttavia
ancora aperto. E’ importante però che
nel mondo accademico italiano sia sempre maggiore il numero di coloro che si
pongono questa domanda e che considerano questa disciplina meritevole di uno
spazio, di un’attenzione e un’importanza adeguate al suo ruolo attuale e a quello nella storia del pensiero scientifico e
filosofico. M.P.
Spengler rivisitato
Pubblicati in prima mondiale i diari
segreti dell’autore del TRAMONTO DELL’OCCIDENTE . In A ME STESSO (trad. it. e
cura di G. Gurisatti, Adelphi, Milano
1993) emerge il vero volto di Spengler,
uomo melanconico e timoroso che il
giorno dell’entrata in guerra della Germania annota: «Nessuno pensa a me».
Oswald Spengler sta conoscendo in
Italia una riscoperta che richiama l’attenzione su di un pensatore complesso e coinvolgente. Stefano Zecchi, già
curatore dell’ANNUARIO DI ESTETICA 1991,
interamente dedicata a Spengler, ha
di recente curato l’edizione italiana
dell’opera di Spengler: L’UOMO E LA TECNICA. CONTRIBUTO A UNA FILOSOFIA DELLA
VITA (Guanda, Parma 1992).
Oswald Spengler, come è noto, ebbe in
vita uno straordinario successo di pubblico, per poi essere rapidamente dimenticato. Una certa ripresa di interesse per questo
autore c’è stata di recente con la pubblicazione della biografia critica di Detlev
Felken Oswald Spengler: konservativer
Denker zwischen Kaiserreich und Revolution, (Oswald Spengler: un pensatore conservativo tra impero e rivoluzione, 1988),
che inquadra la figura di Spengler nel travagliato clima di transizione che caratterizza la vita culturale tedesca dei primi decenni del secolo, fino all’avvento del nazionalsocialismo. A ciò si affiancava l’importante volume collettaneo Tramonto dell’Occidente?, a cura di G. M. Cazzaniga, L.
Sichirollo, D. Losurdo (1989).
Questa ripresa dell’interesse, a carattere
prettamente scientifico, ha riguardato non
solo l’opera maggiore, ma anche gli altri
scritti di Spengler. Uno di questi, particolarmente significativo per gli sviluppi teorico-filosofici che contiene, è L’uomo e la
tecnica. Contributo a una filosofia della
vita, oggi disponibile in edizione italiana a
cura di Stefano Zecchi. Si tratta di un
saggio, pubblicato originariamente nel
1931, nel quale Spengler interpreta il fenomeno della tecnica come “tattica della vita”,
cioè come quell’ “arte”, quello strumento
Oswald Spengler (disegno di R. Grossmann, 1942)
Manifesto di propaganda nazista
24
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Logica nella cultura
Un numero crescente di pubblicazioni, l’interesse specifico di alcune
case editrici sono il segno di un crescente affermarsi della logica matematica come disciplina matura, riconosciuta anche all’interno del panorama culturale italiano. STORIA DEL LA LOGICA (Garzanti, Milano 1993) di
Corrado Mangione e Silvio Bozzi;
COS ’ È LA LOGICA MATEMATICA (Muzio,
Milano 1992); LOGICA E LINGUAGGIO
(Pantograf, Genova 1993); DIMOSTRA ZIONI E SIGNIFICATO (Franco Angeli, Milano 1992): sono alcune delle più
recenti pubblicazioni degne di nota
nel campo di questa disciplina.
«Coloro che studiano la filosofia imparino anzitutto la logica, poi l’etica, quindi la fisica e, ultima fra tutte, la natura
degli dèi.» Questo è il precetto di Crisippo nel De repubblica Stoicorum di Plutarco. Non molto diversa è la ricetta di F.
Enriques in Scienza e razionalismo
(1990) contro il particolarismo filosofico, molto forte in Italia già nei primi anni
del secolo: «Anzitutto, una cultura logica rigorosa per mezzo di uno studio serio
ed assiduo della logica formale e dei
principii di tutte le scienze moderne,
della teoria della probabilità e di quella
dell’induzione. La seconda condizione
da realizzare sarebbe uno studio serio
delle scienze positive per approfondire i
loro rapporti e cogliere i loro metodi.
Non è che in terza o in quarta linea che
verrebbe, in un sistema regolare d’educazione filosofica, lo studio approfondito della storia della filosofia.»
La netta distinzione tra insegnamenti
scientifici e umanistici, risultato dell’operato gentiliano, non poteva aiutare
la logica, strumento indispensabile per
qualunque lavoro intellettuale rigoroso;
si creò così la separazione di questa
disciplina in due tronconi: una logica
formale, affiancata agli studi matematici, e una logica filosofica, che dovette
rinunciare a parte della propria natura
astratta per salvare l’umanista dalla vacuità del simbolismo. Le cose cambiarono in Italia a seguito del diffondersi di
una mentalità neo-positivistica nella filosofia, che agevolò di molto lo studio
della logica formale, nonché il dialogo
con gli ambienti scientifici. La situazione è ulteriormente migliorata dopo lo
sviluppo dell’informatica e dei contributi che questa scienza offre nell’affrontare i problemi gnoseologici classici della filosofia. Questa situazione, si può in
breve affermare, ha permesso un riavvicinamento tra discipline scientifiche e
discipline umanistiche, provocando anche uno sviluppo della logica, che diviene, per un verso, lo strumento più idoneo
per questo riavvicinamento, per l’altro,
una disciplina feconda di concettualizzazioni e metodi per nuove direzioni di
ricerca.
L’evoluzione di questa disciplina è l’oggetto del volume curato da Corrado
Mangione e Silvio Bozzi, Storia della
Logica, nel quale l’esposizione sistematica della logica, caratterizzata da un’evoluzione lineare fino ai primi anni del
secolo, diventa inevitabilmente frammentaria quando vuole essere un resoconto dello stato attuale di questa disciplina. Soprattutto dagli anni sessanta in
poi, si sviluppano, autonomamente tra
loro e in relazione con gli ambiti di
scienze diverse come la linguistica, la
geometria, la biologia e la fisica, sottodiscipline come la teoria dei modelli,
degli insiemi, della dimostrazione, logiche modali, deontiche, ecc... Gli stessi
autori, a fronte di questo sviluppo, si
sentono in dovere, nel capitolo conclusivo, di tirare le somme ed esprimere un
loro parere sull’importanza della logica
nella cultura contemporanea: «quello che
crediamo debba risultare dall’esame dello sviluppo della logica che abbiamo qui
tratteggiato è che proprio la logica matematica ha contribuito fortemente a colmare per certi aspetti quell’arbitraria e
improduttiva frattura che in varie culture veniva (e viene) operata fra filosofia e
matematica.»
Un prova di come siano correlate logica
matematica, informatica e matematica,
da una parte, logica e linguistica dall’altra, è fornito per un verso dallo studio di
Gabriele Lolli, Cos’è la logica matematica, per l’altro dalla raccolta Dimostra23
zioni e Significato, curata da Enrico
Moriconi, e dall’opera di Michele
Marsonet, Logica e Linguaggio.
Lolli vuole mettere in evidenza il carattere autonomo della logica matematica,
che a suo giudizio non va più considerata
una mera disciplina propedeutica per gli
studi filosofici e matematici, avendo assunto un ruolo e un obbiettivo più specifico. Essa ha perso ogni velleità normativa per acquisire un proprio ruolo a
fianco delle altre scienze, pur mantenendo la caratteristica peculiare di non avere un oggetto di studio ben definito: le
problematiche che la coinvolgono sono
«i grandi problemi del ragionamento,
delle dimostrazioni, del significato, dell’intelligenza, dove la logica interviene
in modo decisivo, come analisi e come
strumento.» Lo studio di Lolli si suddivide in tre capitoli concernenti le relazioni tra logica e matematica, intelligenza artificiale e scienze cognitive. La conclusione, se può essercene una, è che «la
logica ha un’autonomia e un interesse
intrinseco che deve coesistere con le
applicazioni e le inevitabili sovrapposizioni con le altre discipline competenti.»
Una conferma di ciò ci viene in particolare dal volume curato da Moriconi, che
affronta la filosofia della logica di tre
pensatori del calibro di Dummett, Martin-Löf, Prawitz, mostrando come alcune problematiche gnoseologiche e ontologiche, quali la natura dei numeri, il
concetto di verità, di ragionamento, di
significato, abbiano acquisito un carattere logico e come questo approccio sia
utile a quelle discipline interessate agli
stessi problemi per sviluppare nuove direzioni di ricerca. La linguistica in particolare ha un grosso debito con la logica, la cui
applicazione all’analisi della struttura del
linguaggio è ampiamente affrontata da
Marsonet in Logica e Linguaggio.
La domanda che apre il primo dei due
volumi di cui si compone l’opera è ancora la medesima: che cos’è la logica?
L’autore fornisce una risposta specialistica: espone l’applicazione vantaggiosa dell’analisi logica allo studio del linguaggio; elenca gli strumenti atti a risolvere problemi semantici presenti in questi studi; indica i risultati ottenuti con
PROSPETTIVE DI RICERCA
Albert Einstein
32
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Einstein: scienziato o filosofo?
L’importanza di Albert Einstein nella
storia della fisica è fuori discussione,
ma molto vi è da dire ancora sul ruolo
delle sue concezioni filosofiche e sull’influenza che queste hanno avuto
nel suo lavoro di scienziato. Nel volume EINSTEIN PHILOSOPHE (Einstein filosofo, PUF, Parigi 1993), recentemente
pubblicato in Francia, Michel Paty evidenzia il nucleo non esclusivamente
scientifico dei lavori di Einstein quando questi prende in esame il lavoro di
creazione della teoria scientifica e l’esigenza metafisica che ne è alla base.
Contemporaneamente Jacque Merleau-Ponty, nella sua biografia del fisico
dal titolo: EINSTEIN (Flammarion, Parigi
1993), dimostra come l’agire dell’intellettuale Einstein, impegnato a difendere una visione etica molto marcata, sia correlato ad una concezione
filosofica che influenza anche il suo
modo di intendere la fisica.
Si torna a parlare di Albert Einstein. Alle
numerose pubblicazioni sullo scienziato
tedesco, alle biografie scientifiche, agli
scritti commemorativi dei colleghi e a tutti
gli studi più o meno autorevoli sulla sua
fisica, si aggiungono ora due nuovi studi ad
opera di Michel Paty e Jacques MerlauPonty. Il punto di vista dal quale viene
affrontata l’analisi degli studi di Einstein è,
in entrambe le pubblicazioni, quello filosofico. Identica la tesi: mostrare come la
filosofia di Einstein abbia guidato l’attività
e gli interessi di Einstein scienziato.
Questi due nuovi studi non sono certo i
primi a trattare la natura intellettuale dell’ideatore della relatività generale; ricordiamo, a tal proposito, l’antologia di scritti
redatta da Paul A. Schilpp dal titolo indicativo: Einstein scienziato filosofo (ed. it.
Torino 1958). Ma, mentre in questi scritti si
tentava di dare un’immagine quanto più
completa possibile dell’uomo Einstein,
questi ultimi due studi sono opere a tesi:
l’oggetto dell’analisi non è tanto Einstein,
quanto il suo ruolo di scienziato teorico e di
intellettuale impegnato. E’ quindi il fisico
Albert Einstein che viene analizzato con
occhio filosofico, in un esame che prende
in considerazione gli anni di gestazione
della relatività ristretta e, in quel periodo, i
motivi che hanno determinato la scelta
della difesa del principio d’inerzia e della
costanza della velocità della luce e l’abbandono della meccanica newtoniana. In tal
senso viene analizzato l’imperativo estetico della simmetria che domina la costruzione razionale delle sue teorie, mettendo
in evidenza la scelta metafisica realista che
Einstein non abbandonerà mai e che sarà la
causa principale delle sue incomprensioni
con Bohr. La tesi che entrambi cercano di
provare è riassunta in una frase di Paty: «La
filosofia è nel seno della scienza, nel suo
movimento e nella sua trama, e non soltanto nella valutazione a posteriori dei suoi
risultati.» Viene così mostrato il ‘filosofo’
Einstein intento a costruire una “vasta opera filosofica” attraverso l’elaborazione di
quelli che sono gli strumenti a sua disposizione: i risultati della scienza totalitaria
dell’ottocento.
Nella sua celebre biografia di Galileo, Stillman Drake addita il diciassettesimo secolo
come il termine dell’egemonia filosofica
nella descrizione della natura. Dopo Galileo
colui che è incaricato di ordinare il mondo
esterno secondo ragione è un personaggio
che si distacca, per gli strumenti che adopera nella descrizione dell’ordine naturale,
dal filosofo della natura della classicità.
Giustificazioni religiose e metafisiche vengono man mano allontanate dalla descrizione dei fenomeni naturali a favore di una
descrizione formale: quella matematica.
Questa tendenza ha trovato pieno riscontro
nel nostro secolo: la descrizione matematica si è appropriata completamente della
realtà; le figure del fisico e dell’astrofisico
hanno sostituito quelle del metafisico e del
teologo; la filosofia si è ritirata in quei
campi che gli empiristi chiamavano le scienze dell’uomo, l’etica, la politica, e nella
sociologia. Sono le personalità carismatiche del mondo scientifico che si occupano
di descrivere e diffondere le nuove “visioni” del mondo: Hawcking, Penrose, Prigogine, Thom, Barrow, Weinberg, Sexl... Il
filosofo non può far altro che prendere atto
dei risultati, o discutere sulle metodologie
d’indagine corrette: il lavoro di costruzione è lasciato allo scienziato.
Il compito che Paty si prefigge in questo
33
suo lavoro è quello di restituire al filosofo
il ruolo attivo nella “costruzione” della
natura, rivendicando la natura filosofica
della scienza teorica. Lo scienziato teorico
è necessariamente filosofo. L’attività scientifica di Einstein, le sue dichiarazioni, gli
scambi epistolari con scienziati suoi contemporanei non fanno altro che dar credito
al giudizio di Koyré, secondo il quale «è
fuori dubbio che vi sia una meditazione
filosofica che ispira l’opera di Einstein.»
Einstein diventa quindi l’archetipo dello
scienziato teorico; dello studioso d’ingegno
che non può separare la tradizione filosofica dal suo lavoro di ricostruzione della
realtà. In tal senso acquistano grande importanza gli accenni di Einstein alle sue
letture di Spinoza, di Schopenhauer, di
Kant e i suoi debiti con Mach. Nella prospettiva adottata è meno importante sottolineare il debito di Einstein nei confronti
della tradizione scientifica.
Ancor più interessante la proposta di Merlau-Ponty, che dietro al “filosofo” Einstein
tenta di scorgere l’uomo curioso che vuole
innanzitutto intanto capire e che solo dopo
aver trovato una sua dimensione interiore,
un suo sens artistique, tenta di rintracciarlo
in tutto ciò che lo circonda e nei pensieri di
chi lo ha preceduto. Appartiene ad Einstein
una concezione naturale di creazione artistica, dove per arte si intende una tendenza
non necessariamente estranea a un’attività
razionale; in questo senso va intesa l’affermazione secondo cui «il fisico non è nientemeno che un filosofo che si interessa a
certi argomenti particolari; altrimenti non è
che una sorta di tecnico.» Un filosofo,
dunque, che vuole essere innanzitutto un
artista della conoscenza, che difende
l’«affermarsi del pensiero in sé stesso, come
la musica.» Un uomo che sogna coscientemente, come lo ha descritto Alan Lightman nel suo recente I sogni di Einstein
(Guanda, Parma 1993), dove il giovane
impiegato dell’ufficio brevetti di Berna,
spettinato e con un paio di calzoni troppo
larghi, “sogna” una concezione del tempo
diversa, si immagina molteplici situazioni
in cui il tempo ha significati diversi, esistenze fisiche diverse. Non è il filosofo in
primo piano, ma è l’uomo nella sua complessità, che cerca di non costringere la
propria natura all’interno dei binari morti
PROSPETTIVE DI RICERCA
del tecnicismo o del dogmatismo, ma di
vivere liberamente la propria esigenza
di conoscenza.
Scienziato di professione, musicista dilettante, filosofo per natura, pacifista
per scelta, perseguitato dalle contingenze storiche: a riassumere la biografia di
Einstein vale la frase di Abraham Pays,
suo biografo e amico, «è stato l’uomo
più libero che ho mai conosciuto». M.P.
La mistica della ragione
di Meister Eckhart
Per un totale di più di duecento pagine
il recente volume di Giorgio Penzo
MEISTER ECKHART. UNA MISTICA DELLA RAGIONE (Edizioni Messaggero, Padova
1992) è costituito, nella sua seconda
parte, da un’ampia antologia di alcune
delle più importanti opere del Maestro domenicano - sermoni tedeschi,
sermoni latini, commento alla “Genesi” -; comprende poi integralmente i
due “trattati”, anch’essi in volgare
tedesco, intitolati: LIBRO DELLA CONSOLAZIONE DIVINA e DELL ’UOMO NOBILE. Conclude il volume una cronologia essenziale e un’ampia nota bibliografica,
pressoché unica sull’argomento. Sotto questo aspetto l’opera sembra in
grado di dare una conoscenza sufficientemente articolata ed approfondita del pensiero eckhartiano, venendo
incontro a quelle esigenze di lettura
della “mistica tedesca”, nel suo più
grande rappresentante, che sempre
più si fanno sentire ai giorni nostri.
La prima parte del volume, ad opera di
Giorgio Penzo, consta di un’organica “Introduzione” alla vita e agli scritti di Meister Eckhart sullo sfondo della cultura del
suo tempo, mettendo in evidenza l’originalità della filosofia eckhartiana, incentrata
sulla dimensione dell’essere e sulla problematica del “distacco”. Particolarmente
interessante è il capitolo dell’Introduzione
intitolato: “Morte di Dio e nascita di Dio:
Eckhart filosofo e teologo dell’esistenza”.
Partendo dal fatto che la coscienza della
propria nientità da parte della creatura
rappresenta il punto di incontro tra creatura e Dio, giacché la coscienza della differenza è data dalla coscienza dell’essere
nulla senza Dio, mentre, a sua volta, la
coscienza dell’essere-nulla implica, anche
se indirettamente, la presenza del divino
nella parte più profonda dell’anima, che è
la ragione, Penzo osserva che Dio e nulla
sono due poli di una stessa dialettica esistenziale, dove nell’identità v’è la diversità e dove nella diversità v’è l’identità. In
questa dialettica esistenziale viene messo
tra parentesi il principio di non-contraddizione, che vale solo nell’ambito del temporale e non in quello dell’eterno.
Muovendo da questa preziosa intuizione
filosofica, che costituisce, secondo Penzo,
il nocciolo originale del pensiero eckhartiano, si sviluppa quella particolare ermeneutica che verrà portata avanti dai filosofi
dell’esistenza, come appunto Nietzsche,
Heidegger e soprattutto Jaspers, nonché
dai teologi dell’esistenza, come Barth,
Bultmann, Gogarten, Tillich, Bonhoeffer e
altri, ma che trova il suo antecedente contemporaneo in Kierkegaard. In effetti
Eckhart mette in luce i limiti di quel conoscere categoriale che è legato al rapporto
soggetto-oggetto, e va nella direzione di un
conoscere come non-conoscere - ovvero
come comprendere - libero dalla conoscenza legata all’oggetto. E’ qui, secondo Penzo, che si apre l’autentico conoscere, e,
nello stesso tempo, la dimensione del sacro: momento di fondo della realtà sacrale
è quello di essere liberi dal principio di
non-contraddizione, caratteristico invece
della realtà non sacrale, cioè ontica. La
dottrina teologica della continua nascita di
Dio nell’anima attraverso il “distacco”,
ovvero attraverso la liberazione da ogni
legame e da ogni “immagine” - che è come
noto, la dottrina centrale di Eckhart - si
rivela così cifra filosofico-teologica per
chiarire l’essere autentico.
Condividiamo pienamente l’insistenza con
cui Penzo sottolinea i profondi legami che
il Maestro domenicano ha con la filosofia
antica, medievale e - ovviamente sotto un
diverso profilo - moderna e contemporanea; d’altra parte parlare di “mistica della
ragione” non significa affatto negarne le
componenti etiche, sapienziali, spirituali
in senso ampio e forte, proprio perché “ragione” - come Penzo peraltro chiarisce - va
intesa nel significato più profondo come
quel “fondo dell’anima” che è ricco di tutte
le sue potenze, senza comunque identificarsi con nessuna di esse - anzi, tutte trascendendole. In questo senso la “mistica
della ragione” eckhartiana è prima di tutto
un’esperienza dello spirito, alla quale non
si giunge senza prima aver profondamente
esperito tutto l’umano, anche nelle sue dimensioni corporee e psichiche.
Che la “fortuna” di Eckhart in Italia sia
appena agli inizi è confermato dal fatto che
contemporaneamente alla pubblicazione del
volume curato da Penzo è apparsa l’edizione italiana del trattato di Meister Eckhart,
Commento al Vangelo di Giovanni (a cura
di Marco Vannini, Città Nuova, Roma
1992), che giungeva a seguito di una monografia sull’autore ad opera di Marco Vannini, Meister Eckhart e il Fondo dell’anima,
(Città Nuova, Roma 1991. M.V.
34
La libertà in F. M. Pagano
A metà del Settecento l’Illuminismo,
oltre che a Napoli, penetrò e si irradiò
nei più importanti centri della penisola, influenzò decisamente in modo
diretto o indiretto gli orientamenti
culturali, le idee politiche e sociali, gli
indirizzi, gli interessi e le forme della
vita letteraria. L’Illuminismo a Napoli
permise a personaggi come Genovesi, Galiani, Filangieri, Pagano, Delfico
di operare e di agire quali martiri,
apostoli e confessori della religione
del razionalismo, come ebbe a definirli Croce. E’ in questo contesto storico-politico-culturale che si inserisce
la vita e l’opera di Francesco Maria
Pagano, secondo quanto ci riferisce
Nunzio Campagna nel suo recente
studio: POTERE, LEGALITÀ, LIBERTÀ. IL PENSIERO DI F . M. PAGANO (presentazione di
Antimo Negri, Calice Editore, Rionero
in Vulture 1992).
Lo studio di Nunzio Campagna prende il
titolo da uno dei capitoli più significativi di
questo volume, “Libertà, legge, potere”. Questo tema ha una sua preminenza inequivocabile nell’opera di Francesco Maria Pagano
soprattutto perché qui egli si presenta in
veste di filosofo della politica. La sua grande
passione è la lotta politica, attraverso la quale
si dichiarò sempre apertamente ostile a qualsiasi forma di dispotismo e intolleranza, sin
dai tempi in cui difese in un processo alcuni
giacobini napoletani, una difesa che gli costò
la perdita della cattedra universitaria di diritto criminale, due anni di prigionia e l’espulsione dal Regno di Napoli.
L’aspetto interessante, stando a quanto scrive Campagna, è scoprire come lo spessore
della riflessione politica di Pagano sembri
«anticipare e ricalcare» alcune posizioni
che saranno assunte cent’anni dopo da
correnti di “riformismo liberal-socialista”
della storia politica europea: si pensi a
Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Norberto
Bobbio, che accetteranno anch’essi, come
unica garanzia, la stessa convinzione di
fondo di Pagano, che cioè «soltanto la
legge assunta a principio regolatore» di
tutte le vicende umane può realizzare o
avvicinarsi il più possibile ad un ideale di
giustizia sociale.
Il senso profondo della “democrazia liberale” di Pagano, osserva Campagna, è la
libertà, che al di fuori della legislazione è
forza e violenza; ma anche una legislazione
senza libertà è forza e violenza. E’ necessario, dunque, continua Campagna, che il
rapporto sia tale da conservarsi reciprocamente e concretamente nelle forme storiche di una nazione. L’uomo sul quale Pagano riflette è l’uomo politico della società
civile: l’uomo, cioè, che avendo superato
lo stato selvaggio e barbarico, deve improntare la sua esistenza ai fondamentali
valori del vivere civile: la libertà e la legge.
Sembra dunque che Pagano abbia chiara la
PROSPETTIVE DI RICERCA
“definizione minima di democrazia”, con
la quale, in regime democratico, si intende
primariamente un insieme di regole e di
procedure per la formazione di decisioni
collettive, in cui è prevista e facilitata la
partecipazione più ampia possibile degli
interessati. Pagano sostanzialmente riprende la vecchia idea che diritto e potere siano
due facce della stessa medaglia: solo il
potere può creare il diritto e solo il diritto
può limitare il potere. Ora, il problema è
che lo Stato dispotico è il tipo ideale di
Stato di chi si pone dal punto di vista del
potere; all’estremo opposto c’è lo Stato
democratico, che è il tipo ideale di Stato di
chi si pone dal punto di vista del diritto.
Per Pagano era necessario prender campo o
per l’uno o per l’altro. Egli sceglie la democrazia e dopo essersi rifugiato a Roma, una
volta espulso dal Regno di Napoli nel luglio del 1798, prende parte alla vita politica
di quella repubblica e tornerà a Napoli nel
1799 per partecipare al governo della Repubblica partenopea. La sua attività nel
comitato di legislazione, giudicata da qualcuno moderata, fu in realtà estremamente
concreta e rappresentò il tentativo di realizzare una costituzione capace di proteggere
il cittadino dall’autorità politica.
Il problema che resta ancora da considerare
è se il giusnaturalismo di Pagano, innervato da una profonda sensibilità storicistica,
fosse maturo a tal punto da saper affrontare
un problema così arduo come quello di una
possibile conciliazione tra liberalismo e
democrazia. Dobbiamo chiederci, cioè,
osserva Campagna, se nonostante la sua
inequivocabile scelta di campo a favore
della democrazia, il filosofo napoletano
fosse realmente cosciente dei contenuti e
dei problemi che il liberalismo e la democrazia presentano in sé e della possibile e
sempre concreta prospettiva di non riuscire
a conciliare libertà e uguaglianza. Evidentemente lo Stato dispotico, che Pagano
rifiutò, avrebbe potuto al massimo permettergli di «essere giusto per sentimento, ma
non per certezza di diritto». Il suo umano e
caldo entusiasmo fu infatti vergognosamente spento semplicemente per la paura
dei suoi pensieri e delle sue parole. M.Ma.
Passività sintetica
Dai manoscritti di Edmund Husserl,
relativi a tre corsi di lezioni, venne
tratto nel 1966 un volume, pubblicato
con il titolo: ANALYSEN ZUR PASSIVEN
SYNTHESIS . Quest’opera è ora tradotta
in italiano con il titolo : LEZIONI SULLA
SINTESI PASSIVA (trad. it. di Vincenzo
Costa, a cura di Paolo Spinicci, Guerini e Associati, Milano 1993) costituisce la proposta di una fenomenologia
della percezione, concepita come
momento e strumento della costruzione di una filosofia dell’esperienza.
Come sostiene Paolo Spinicci, curatore
dell’edizione italiana, queste Lezioni
sulla sintesi passiva costituiscono «una
lunga, analitica riflessione sulle condizioni originali di possibilità di un’esperienza di oggetti». D’altra parte, rispetto
all’intento husserliano degli anni Venti
e Trenta di dar luogo a una filosofia
fenomenologica, concepita come introduzione teoretica a metodo e presupposto dell’indagine fenomenologica, queste Lezioni si muovono in senso opposto: i materiali qui presentati costituiscono, infatti, proprio lo svolgersi di una
riflessione in medias res, dove la preoccupazione metodologica passa decisamente in secondo piano nei confronti
dell’articolarsi dell’indagine nel suo sviluppo. Si può dunque sostenere che qui
la “questione del metodo” non si ponga
come tale, cioè come “questione”, bensì
come pratica concreta.
Il testo originale, che trae origine da tre
corsi tenuti da Edmund Husserl a Friburgo su “Logica” (1920-21), “Questioni fenomenologiche scelte” (1923), “Problemi fondamentali della logica” (192526), trova la sua unità tematica nel tentativo di delineare una descrizione fenomenologica dell’esperienza concepita
come sistema di percezioni. L’essere
degli enti non può, in altri termini, essere considerato immediatamente ed esaustivamente riconducibile al loro essere
percepiti, perché, così facendo, si verrebbe a perdere proprio la dimensione
trascendentale, ovvero la dimensione a
priori, relativa alle condizioni di possibilità dell’esperienza, in quanto condizioni di unificazione delle percezioni.
Occorreva dunque, per Husserl, tener
fermo alla «fondamentale distinzione tra
ciò che viene percepito propriamente, e
ciò che non è propriamente percepito» e
che costituisce, nondimeno, il “senso
oggettuale” di ciò che viene percepito
propriamente: la cosa nella sua interezza, a fronte dell’irrimediabile unilateralità della percezione, superabile solo nel
momento della sintesi dei vari sguardi
prospettici unilaterali, cioè delle singole
percezioni. D’altra parte, è proprio ciascuna singola percezione, nella sua parzialità, a esigere il rinvio al continuum
percettivo, all’intreccio delle percezioni
possibili, che costituisce l’onnilateralità
dell’oggetto percepito; dimensione cui
attinge, appunto, la sintesi. «In altre parole, tutto ciò che si manifesta propriamente è una manifestazione di cosa solo
in quanto è intrecciato con, e attraversato da, un orizzonte intenzionale vuoto»;
orizzonte che costituisce, per Husserl,
l’ente percepito nella sua oggettualità.
E’ precisamente l’idea di tale orizzonte
uno dei caposaldi dell’analisi fenomenolo gica h usse rliana mutu ati da
Heidegger, quando Husserl - identificando anch’egli, non casualmente, il
momento della sorpresa, della rottura
35
del continuum percettivo che accade
nell’irrompere dell’inaspettato, dell’inusuale, del dubbio, con il momento critico
in cui il continuum medesimo si mostra
nel suo ruolo di orizzonte di ciò che
viene “percepito propriamente” - parla,
a questo proposito, dell’ “in-vista-dicui” della percezione come del luogo
originario del presentarsi dell’ente come
oggetto.
L’attività sintetica riveste, per Husserl,
un carattere processuale; da essa è quindi esclusa l’immediatezza. La ripresa
husserliana della determinazione dell’Io
penso kantiano ne comporta dunque una
riformulazione radicale: laddove l’appercezione kantiana si qualifica come frutto
della spontaneità dell’intelletto, la sintesi
fenomenologica di Husserl si presenta
come radicalmente passiva, intrinseca alla
dimensione materiale dell’esperienza. F.C.
Heidegger, Aristotele
e la metafisica
Mentre in Germania prosegue la pubblicazione, nell’ambito della “Gesamtausgabe”, di opere e corsi di lezioni di Martin Heidegger, in Italia si
segnala la traduzione di alcuni testi
del filosofo relativi a corsi e seminari.
E’ il caso delle lezioni del semestre
invernale 1929-1930, CONCETTI FONDAMENTALI DELLA METAFISICA: MONDO - FINITEZZA - SOLITUDINE (trad. it. di Paola Coriando, a cura di Carlo Angelino, Il
Melangolo, Genova 1992), di quelle
del semestre invernale 1931-1932, ARISTOTELE, IX, 1-3. SULL’ESSENZA E LA REALTÀ
DELLA FORZA (trad. it. di Ugo Maria Ugazio, Mursia, Milano 1992). A ciò si aggiunge la traduzione dell’intero contenuto del vol. XV della “Gesamtausgabe”, che comprende il seminario (19661967) dedicato a Eraclito, diretto da
Heidegger in collaborazione con Eugen Fink, pubblicato nel volume dal
titolo: DIALOGO INTORNO A ERACLITO (trad.
it. di Mario Nobile, a cura di Mario
Ruggenini, Coliseum, Milano 1992), e i
seminari di Le Thor (1966, 1968, 1969),
Zähringen (1973), e Zurigo (1951), raccolti nel volume: SEMINARI (trad. it. di
Massimo Bonola, a cura di Franco
Volpi, Adelphi, Milano 1992). Infine,
con il titolo: ERACLITO (trad. it. di Franco
Camera, Mursia, Milano 1993), è stato
tradotto il vol. LV della “Gesamtausgabe”, contenente i corsi dei semestri estivi del 1943 e del 1944.
Nel corso friburghese del 1931, Aristotele,
IX, 1-3. Sull’essenza e la realtà della forza,
la riflessione sul concetto di dynamis in
Aristotele rappresenta per Martin
Heidegger la chiave per penetrare nell’ambito della questione dell’essere conce-
PROSPETTIVE DI RICERCA
Martin Heidegger
pito come presenza. Da questo punto di
vista, a parere di Heidegger l’analisi aristotelica si muove sul terreno originario della
questione ontologica, proprio perché finisce per portare la domanda sull’essere,
pensato a partire dalla sua differenza dall’ente. La domanda su dynamis e energheia, sostiene infatti Heidegger, rientra in
quella sull’ente in quanto tale, alla stessa
stregua di quella relativa al categorein, con
la quale, però, non si identifica. Proprio
perché in Aristotele l’ente, al quale l’essere
viene equiparato, va inteso come l’ente in
quanto tale, una tale equiparazione, secondo Heidegger, è legittima nel filosofo greco; «ai giorni nostri», viceversa, essa è il
luogo di un’«insanabile confusione», perché parlando dell’essere si intende spesso
l’ente, e viceversa, dimostrando con ciò di
non comprendere né l’uno, né l’altro.
Secondo Heidegger, Aristotele ha ben chiaro che l’ente, in quanto tale, è altra cosa
dalla somma dei singoli enti, e proprio per
questo è posto come differente dall’essere.
La distinzione fra l’essere e l’ente risulta
dunque tanto antica quanto il linguaggio
che pronuncia, di un singolo ente, la copula
“è”, rendendo con ciò possibile la predicazione. Il progressivo oblìo di questa differenza rappresenta, nella prospettiva heideggeriana, il principale capo d’accusa nei
confronti della metafisica. Tale oblìo è
anzitutto conseguenza della “falsa dottrina” secondo la quale, a partire dall’identi-
ficazione tra predicazione e suo fondamento, viene teorizzato il risiedere dell’essere,
ovvero della verità, nel giudizio; laddove,
al contrario, essere e verità rendono possibile, secondo Heidegger, l’aprirsi dello
spazio per il giudizio, per il discorso apofantico, e non viceversa.
Questo corso friburghese deve essere letto
in stretta connessione con quello di Marburgo del 1925-26, tradotto in italiano con
il titolo: Logica. Il problema della verità
(Milano 1986), in cui, pure non casualmente, Aristotele appare come interlocutore di
rilievo per Heidegger. L’obiettivo interpretativo di quest’ultimo consisteva qui,
dichiaratamente, nel liberare il testo del
pensatore greco dalle incrostazioni e dai
“fraintendimenti” operati nei secoli successivi a partire dalla scolastica medioevale. Così nel corso del 1931 la meditazione
heideggeriana sul concetto di dynamis mira
a mostrare come la sua essenza non coincida con la realtà della sua esecuzione; mira
cioè, ancora, a mostrare come in Aristotele
venga prospettata la differenza tra una potenzialità ontologica e la sua realizzazione
sul piano ontico.
Anche nel corso del 1929-30, dedicato ai
Concetti fondamentali della metafisica.
Mondo - finitezza - solitudine, Aristotele
appare come un interlocutore decisivo per
Heidegger, proprio in sede di definizione
della nozione di metafisica. A parere di
Heidegger, attraverso il concetto di physis
36
Aristotele perviene a una determinazione
del filosofare autentico (riguardante, cioè,
l’essere dell’ente) in quanto, da un lato,
interrogazione concernente l’ente come
tale, dall’altro, questione dell’ente nella
sua totalità. Il tentativo di determinazione
dell’essenza della metafisica attraverso il
contemporaneo richiamarsi all’impostazione aristotelica e ad alcune tematiche (noia,
decisione, solitudine) tipiche della riflessione esistenzialista di ascendenza kierkegaardiana, indica, nel periodo del corso, un
interesse di Heidegger per un proseguimento delle ricerche di Sein und Zeit in una
direzione che, se è quella indicata dalla
“svolta” - la tematizzazione della centralità
della questione ontologica nel suo legame
con il logos - non è ancora orientata sui
sentieri che Heidegger percorrerà dagli anni
Trenta in poi. In altri termini, il progetto di
“ontologia fondamentale”, legato soprattutto agli scritti degli anni Venti, e più
direttamente connesso con il trascendentalismo kantiano (e, attraverso questo, con la
fenomenologia husserliana), pare già qui
cadere in sospetto di antropologismo, dal
quale ultimo Heidegger prende le distanze,
insistendo sulle possibilità di “decentramento” dell’essenza dell’uomo, offerte dall’analitica esistenziale. Come è noto, altre
e più originali risulteranno, in seguito, le
strade battute da Heidegger; e già nell’organizzazione di questo corso di lezioni,
dove il più ampio spazio e il carattere della
trattazione, dedicati al concetto di mondo,
conferiscono alla categoria della noia una
tonalità peculiare, lontana dalle elaborazioni dell’esistenzialismo, si annuncia il
cammino futuro.
In questo corso, lo spirito, più che la lettera,
del progetto di distruzione-fondazione della metafisica tradizionale, attraverso l’ “ontologia fondamentale”, si coniuga con la
tesi relativa a una possibile fine della filosofia, che non comporti quella del pensiero
e che preluda, invece, all’apertura di uno
spazio per un pensare non metafisico, “originario”, “iniziale”. E’ questa, come è noto,
una delle direzioni in cui si avviano le
ricerche heideggeriane degli anni successivi, che giungono talvolta a ipotizzare, nella
storia del pensiero, la realtà storica effettiva di un’epoca “non metafisica”.
In questo senso, come accade nel corso del
semestre estivo del 1944 dedicato a Eraclito
(raccolto, come quello del semestre estivo
del 1943, dedicato al medesimo pensatore,
nel volume LV della “Gesamtausgabe”), il
pensiero presocratico viene valutato come
“premetafisico”. Con Anassimandro e Parmenide, Eraclito appartiene appunto al
gruppo di «quei pensatori che pensano nell’ambito dell’ “inizio”, i pensatori iniziali». Il problema che si pone Heidegger è,
anzitutto, come determinare il rapporto tra
il pensiero “iniziale” e quello “metafisico”;
un rapporto che, nella prospettiva di un
futuro superamento della metafisica, va
considerato come storicamente determinato e si giustifica sulla base della tesi -
PROSPETTIVE DI RICERCA
sostenuta da Heidegger, come si è detto, in
questi corsi di lezioni - dell’effettiva esistenza storica, nel passato, di una fase “iniziale” del pensiero. L’inizio, nonché «ciò
che va inizialmente pensato», consiste per
Heidegger nella verità dell’essere, che viene alla luce nei concetti metafisici quando,
portati all’estremo del significato del loro
“detto”, fanno affiorare un senso non detto
che li colloca al limite della loro significanza, sull’orizzonte che li circoscrive e li
definisce. Questo metodo di lettura, che
Heidegger aveva rivendicato negli anni
Venti come “fenomenologico”, in quanto
consistente in un «lasciar essere le cose
stesse», all’epoca dei corsi su Eraclito si
presenta piuttosto come un ascolto del logos, in cui si attua lo spiazzamento di ogni
prospettiva antropologica e psicologica. Il
logos, in quanto “riunione delle cose che
sono”, e in ciò loro custodia, costituisce
l’accesso all’essere nella sua differenza
dall’ente. Il legein del logos pone infatti,
secondo Heidegger, la questione della totalità in quanto «riunificazione che salvaguarda originariamente»; nell’identità di
essere e logos, l’uomo che ascolta quest’ultimo diventa custode dell’essere, anziché
soggetto al quale il logos sarebbe riferibile
come sua “facoltà”. Il rapporto dell’uomo
con l’essere, dove «dominano l’appello e la
risposta», si identifica come evento (Ereignis) dell’essere; questa è la regione originaria della “logica”, ovvero della metafisica occidentale, il luogo di nascita del pensiero rappresentativo, che si muove chiuso
nell’orizzonte della relazione fra soggetto
e oggetto, e perciò impossibilitato a far
questione della propria genesi.
Il volume XV della “Gesamtausgabe” heideggeriana comprende anche il seminario,
dedicato a Eraclito, diretto da Heidegger e
Eugen Fink a Friburgo nel 1966-67, i
cosiddetti “Quattro seminari” (tenutisi a
Le Thor nel 1966, nel 1968 e nel 1969, e a
Zähringen nel 1973), e il resoconto relativo a un seminario zurighese risalente al
1951. La traduzione italiana di questi materiali ha seguito percorsi differenti: il seminario con Fink è stato tradotto con il
titolo Dialogo intorno a Eraclito, mentre
gli altri testi sono stati pubblicati con il
titolo di Seminari.
Discutendo di Eraclito, Fink rappresenta
per Heidegger un interlocutore non occasionale. Come ricorda infatti Mario Ruggenini nel suo saggio introduttivo al Dialogo intorno a Eraclito, l’interpretazione
finkiana di Eraclito è debitrice a Heidegger
del proprio motivo ispiratore, consistente
nel porre la questione dell’origine della
filosofia, presso i presocratici, come questione relativa alla sua origine non metafisica. Eraclito dunque, insieme ad Anassimandro e Parmenide, è pensatore “iniziale”, per Fink come per Heidegger, passibile
cioè di un’interpretazione liberata dalla
tradizione metafisica, inaugurata da Platone e Aristotele. Parmenide ed Eraclito sono,
entrambi, pensatori dell’essere in quanto
Aristotele(presuntoritratto)
37
PROSPETTIVE DI RICERCA
pensatori della differenza ontologica, ovvero dell’assoluta trascendenza e irriducibilità dell’essere agli enti nei quali esso si
manifesta. Per Heidegger, e così pure per
Fink, il carattere aristocratico del sapere
eracliteo mutua la propria ragion d’essere
dalla medesima fonte di quello parmenideo: il logos di Eraclito, così come la aletheia di Parmenide, rappresentano comprensioni di quella manifestatività dell’essere
che, in questo seminario, tanto Heidegger
quanto Fink qualificano come Lichtung.
Ma proprio su questo punto, rimarca Ruggenini, si divaricano le prospettive di lettura dei due pensatori: mentre Fink pensa la
determinazione della Lichtung a partire
dall’esemplificazione sensibile della luce,
e si trova così a insistere sul carattere “positivo” (che si traduce in una sorta di “illuminazione”) della manifestazione dell’essere, Heidegger invece, radicalizzando il
proprio tentativo di pervenire all’ “originario”, riconduce la determinazione della Lichtung a quella della aletheia, sottolineando, di conseguenza, l’originaria consustanzialità della dimensione della chiarezza e di
quella della non evidenza, del non ancora
chiarito. A partire da questa divergenza
Heidegger respinge l’impostazione cosmologica di Fink, nella quale egli legge una
non sufficiente sottolineatura della differenza ontologica, anche per l’eccessivo
credito concesso alle esemplificazioni
mutuate dall’ambito ontico. La differenza
ontologica, sostiene Heidegger nel seminario di Le Thor del 1969, non può essere
compresa a partire dall’ente, perché essa
consiste nel mantenere a distanza l’essere
dall’ente. Così il pensiero metafisico, che
pensa l’ente, non può comprendere la differenza ontologica; o, perlomeno, non può
comprenderla, come Heidegger spesso si
esprime, “tematicamente”.
Anche nei “Quattro seminari” emerge dunque il tema che, a partire dagli anni Trenta,
si impone progressivamente come dominante nella riflessione di Heidegger, quello
del rapporto tra pensare metafisico e pensare non metafisico, nonché quello di come si
configuri quest’ultimo. La questione del
linguaggio si delinea, a questo proposito,
come il terreno decisivo del confronto,
come la “cosa del pensiero”. L’interesse
non ultimo di questi seminari risiede nel
fatto che in essi appaiono accenti che, senza poter essere definibili come autocritici
da parte di Heidegger, costituiscono comunque precisazioni decisive nei confronti della sua riflessione. F.C.
Husserl, Brentano e i segni
Nasce da un interesse per il ruolo
della semiotica nel pensiero di
Husserl lo studio di Dieter Münch
INTENTION UND ZEICHEN. UNTERSUCHUNGEN ZU FRANZ BRENTANO UND ZU EDMUND
HUSSERLS FRÜHWERK (Intenzione e segno. Ricerche su Franz Brentano e
sulle prime opere di Edmund Husserl,
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993), che
intende mostrare come nelle RICERCHE LOGICHE, con la chiarificazione
della conoscenza in base al concetto
di intenzionalità, Husserl proponga
un’alternativa alla prospettiva di
carattere semiotico che aveva sviluppato un decennio prima nella FILOSOFIA DELL ’ ARITMETICA. I concetti di
intenzione e segno, chiavi di lettura
dell’interpretazione offerta da Münch della filosofia di Husserl, si trovano all’origine di due grandi correnti
parallele della filosofia contemporanea: la fenomenologia e la filosofia del linguaggio.
Punto di partenza delle ricerche di Dieter Münch sul rapporto tra intenzionalità e segno (o tra analisi della coscienza e
analisi del linguaggio) nella chiarificazione fenomenologica della conoscenza
è la questione relativa alla funzione della semiotica nell’opera husserliana: perché le ricerche semiotiche che si trovano
nella prima opera di Husserl, Filosofia
dell’aritmetica (1891), e nel manoscritto del 1890, pubblicato postumo, Zur
Logik der Zeichen (Semiotik) (Sulla logica dei segni. Semiotica) non trovano
prosecuzione (se si escludono le osservazioni sulla “funzione costitutiva” dei
segni che si trovano nel tardo manoscritto “Sull’origine della geometria”) nelle
opere successive?
Per l’autore la presa di distanza di Husserl
dalla semiotica è legata allo sviluppo del
concetto di intenzione: un concetto che
il fondatore della fenomenologia trova
nel suo maestro Brentano e che costituisce, liberato da quelli che a Husserl
apparivano i residui “psicologistici”
brentaniani, uno dei nuclei concettuali
centrali dell’analisi fenomenologica.
Sotto questo profilo, l’opera di Münch
vuole essere un’analisi della storia del
concetto di intenzione, e intende mettere
in luce le connessioni tra il concetto di
intenzione e quello di segno.
Se le Ricerche logiche husserliane rappresentano un’alternativa a una chiarificazione semiotica della conoscenza (in
quanto cercano di descrivere gli atti psichici che stanno alla base del segno e di
altri fenomeni linguistici), esse possono
anche essere intese, secondo Münch,
come un tentativo da parte di Husserl di
rispondere alla questione della “conoscenza simbolica”. Se nella Filosofia
dell’aritmetica Husserl stabiliva un’op38
posizione tra conoscenza intuitiva e dimensione segnica, nelle Ricerche logiche egli formula una teoria della conoscenza simbolica che - attraverso i concetti di “intenzione” e “rappresentazione” - intende la conoscenza come “intenzione riempita simbolicamente”. Interpretando le Ricerche logiche come soluzione di un problema posto nella Filosofia dell’aritmetica, Münch rovescia così
consapevolmente una prospettiva tradizionale degli studi sul pensiero di
Husserl: quella che interpreta il “primo”
Husserl delle Ricerche logiche alla luce
dell’ “ultimo” Husserl della “fenomenologia trascendentale”. Va però ricordato
che, come del resto osserva lo stesso
Münch, tale interpretazione trova sostegno in esplicite affermazioni husserliane,
che indicano nella fenomenologia una forma di “idealismo trascendentale”.
Con la sua analisi del rapporto tra “intenzione” e “segno”, analisi intenzionale e analisi linguistica nel pensiero di
Husserl, lo studio di Münch propone
anche l’analisi di un momento preciso
nella la storia di una polarizzazione concettuale, che svolge un ruolo centrale nel
dibattito filosofico contemporaneo. Se il
concetto di intenzionalità (e la sua discussione critica) sta alla base della fenomenologia non solo husserliana, ma
anche nei suoi sviluppi successivi in
Ingarden, Heidegger, Sartre, Scheler e
Merleau-Ponty, il concetto di segno costituisce uno degli strumenti e degli
ambiti di indagine privilegiati delle diverse modalità semiotiche e linguistiche
della filosofia, tra cui soprattutto la filosofia analitica del linguaggio. Si esprimono qui due diversi programmi filosofici, uno rivolto alle “cose stesse” e basato sull’analisi e la descrizione della
coscienza e del suo essere diretta intenzionalmente verso “qualche cosa”, l’altro che parte dall’intrascendibilità dell’orizzonte dei segni e del linguaggio ed
è persuaso che una chiarificazione del
pensiero può nascere solo da un’analisi
del linguaggio. Münch osserva però che
tali orientamenti talora si avvicinano,
nelle loro origini storiche e nell’ambito
problematico della loro ricerca: Husserl,
“padre della fenomenologia”, e Frege,
“antenato della filosofia analitica”, furono in contatto tra loro e si occuparono
di problemi simili; i segni e la coscienza
che li costituisce possono diventare un
tema dell’analisi fenomenologica, così
come la semiotica può cercare di trattare
i fenomeni intenzionali nel contesto di
una teoria dei segni. M.M.
NOTIZIARIO
Con il titolo di LE IPOTESI DEL
SOGGETTO & LA SCIENZA (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone dicembre 1993) prende avvio una nuova rivista, che nasce nell’ambito della collana “Il Soggetto
& la Scienza” delle Edizioni Biblioteca dell’Immagine, una collana che
ospita da alcuni anni opere quali i
Moralia di Plutarco (di cui sono disponibili i primi tre volumi - La
serenità interiore, L’educazione dei
ragazzi ed Etica politica), opere di
Marsilio Ficino, di Giordano Bruno,
di Paul Valèry ed altre. Si tratta di
testi per lo più inediti, di traduzioni
integrali di opere che, come nel caso
dei Moralia, sono assenti da secoli
dal panorama editoriale italiano, con
testo originale a fronte. Opere di
grande respiro filosofico e di rigoroso impegno filologico. Nella stessa
collana usciranno tra poco un’opera
di Joseph de Maistre, Chiarimento
sui sacrifici e un’opera rinascimentale di Leone Ebreo, Dialoghi d’amore; sono in preparazione inoltre le
Opere latine di Giordano Bruno (il
primo testo proposto sarà il De umbris idearum) e un trattato sul tempo
del V secolo d.C. di Simplicio, ultimo esponente dell’Accademia, il Corollarium de tempore. In questo contesto è nata l’esigenza di creare un
luogo di discussione vivo ed aperto
dove l’interesse per determinate aree
tematiche potesse esprimersi non
solo nella scelta di particolari opere,
perlopiù classici di indiscutibile rilievo filosofico, ma vivere anche nel
confronto aperto del dialogo e della
discussione.
Da questa esigenza nasce “Ipotesi”,
una rivista quadrimestrale di cultura
varia, dedicata volta per volta ad un
unico tema. Il tema del primo numero è L’apertura. che viene affrontato
sulla base di tre ambiti tematici. Il
primo, Il mito e l’apertura, contiene
i seguenti saggi: “Platone e il mito
della memoria”, di Roberto Melchiori; “Le ombre delle idee nell’arte
della memoria di Giordano Bruno”,
di Maddalena Maddamma. Il secondo ambito, Genesi delle Forme, presenta “Sull’interpretazione delle figure paleolitiche e in particolare sulle rappresentazioni umane dell’arte
rupestre occidentale”, di Jean Louis
Schefer; “Freud secondo natura.
Dalla psicanalisi alla fisiognomica
della psiche attraverso le illustrazioni del corpus freudiano”, di Moreno
Manghi; “Morire alla luce del sole.
Intorno alla clinica dell’autismo”, di
Sandra Pujatti; “Tecnica della grazia. A proposito di Oskar Schlemmer
e Heinrich von Kleist”, di Eric Michaud. Da ultimo, Vocazioni; un
ambito che annovera i saggi “Valery
e ‘il tempo del mondo’ “, di JeanMichel Rey; “La trasformazione interiore. La sventura e l’esperienza
d’amore nel pensiero di Simone
Weil”, di Grazia Giacomazzi.
NOTIZIARIO
La BIBLIOTECA SAN CARLO trae
la sua origine dalla antica “libreria”
della Congregazione della B. Vergine e San Carlo di Modena e del
Collegio dei nobili creato vari anni
prima della morte di Ludovico Vedriani (1670) e notevolmente arricchita dal lascito dei suoi libri. Istituita l’Università, nel 1778 i volumi
andarono a costituire il nucleo originario della biblioteca del nuovo ente.
Data però la persistenza della funzione educativa del Collegio, la Congregazione mantenne una sua biblioteca per gli studenti fino a tempi
recenti, quando le scuole vennero
statalizzate. Nel 1971, arricchito il
fondo moderno, venne riaperta al
pubblico; e infine nel 1976, dopo un
accurato restauro e riadattamento del
palazzo, venne definitivamente sistemata nella sua attuale configurazione. La Biblioteca San Carlo si
caratterizza per il grande patrimonio
di periodici e per la specializzazione
in filosofia, scienze sociali e religiose; negli ultimi anni la biblioteca ha
curato particolarmente l’aggiornamento dei materiali relativi a queste
discipline con l’acquisizione di riviste e saggi di studio, anche in lingua
straniera. Possiede 21000 volumi
moderni e 4300 antichi, nonché 1252
periodici italiani e stranieri di cui
oltre 700 in corso e 732 audiocassette relative a conferenze, lezioni, seminari e presentazioni di novità editoriali organizzati dalla Fondazione.
Tra le principali attività la Biblioteca presenta repertori di novità editoriali - volumi e riviste - e predispone
bibliografie su argomenti e autori
specifici, in genere a supporto delle
iniziative culturali della Fondazione; organizza anche visite guidate
per le Scuole Medie Superiori orientate all’utilizzo della biblioteca ed
alla impostazione di una ricerca bibliografica su temi concordati con
l’insegnante.
La Biblioteca è anche centro di coordinamento del Servizio Spoglio Periodici, progetto di catalogazione cooperativa a cui partecipano 6 diverse
biblioteche, il cui scopo è fornire
informazioni catalografiche su articoli apparsi in più di sessanta riviste
italiane presenti in biblioteca. Tra i
servizi offerti segnaliamo la disponibilità gratuita del catalogo dei periodici posseduti dalla Biblioteca
(Catalogo dei periodici della Biblioteca San Carlo, a cura di M. Bellei e
G.P. Turrini, Modena 1984 e Catalogo dei periodici. Aggiornamento
1989), delle liste di nuove accessioni (volumi e periodici) e delle bibliografie realizzate a partire dal 1988 in
occasione di iniziative del Centro
Culturale e del Centro Studi religiosi
della Fondazione.
A partire dal settembre 1993 la Biblioteca sarà aperta con il nuovo
orario dei servizi al pubblico: lunedì-venerdì ore 10-13 (Emeroteca,
Sala periodici, consultazione e prestito volumi); ore 15-21 (Emeroteca,
Sala periodici, consultazione e prestito volumi, Sala lettura). La Segreteria
è aperta dal lunedì al venerdì dalle ore
10 alle ore 13 e dalle 15 alle 18.30.
La DE MARTINIS & C. EDITORI si
è costituita a Catania (via Aloi 40,
tel. 095/530900, fax 095/274546),
nell’ottobre del 1992 con un progetto editoriale incentrato sulle culture
del bacino del Mediterraneo. Tale
progetto nasce dall’esigenza, in un
momento storico così travagliato e
soggetto a spinte disgreganti, di presentare insieme culture diverse tra
loro, ma tutte unite dal medesimo
denominatore comune: il Mediterraneo. Soltanto negli ultimi anni il
panorama editoriale italiano, a differenza di quello straniero, ha mostrato qualche segno d’interesse verso
paesi a noi così vicini geograficamente, sempre però in maniera sporadica e senza una volontà precisa di
presentarli legati alla nostra cultura
in un progetto comune.
La collana saggistica, diretta da
Manlio Sgalambro, si propone di contribuire al culto del lettore di saggi
con opere nelle quali l’idea di saggio
sia il più presente possibile e la tentazione della verità più sottilmente
costruita. Le Ispirazioni mediterranee di Paul Valéry, edito in cinquecento esemplari fuori commercio, è
da considerarsi come una sorta di
manifesto editoriale. Tra i titoli filosofici in catalogo segnaliamo: Borislav Pekic, Come placare il vampiro; Piero Martinetti, Dell’onore e
altre cose; Gabriele D’Annunzio, Su
Nietzsche; Julien Benda, Saggio di
un discorso coerente tra Dio e il
mondo; Giuseppe Rensi, La filosofia
dell’autorità; Giulio Cesare Vanini,
Confutazione delle religioni; Giuseppe De Lorenzo, La terra e l’uomo.
39
EPOCHÉ. A JOURNAL FOR THE
HISTORY OF PHILOSOPHY FROM
A CONTINENTAL PERSPECTIVE
(Brigham Young University, Provo,
Utah) è una nuova rivista americana
che si occupa prevalentemente di
problemi della filosofia continentale, andando incontro a un’attenzione
sempre più diffusa in America per il
pensiero europeo. Nel comitato di
redazione figurano, tra gli altri,
Jaques Derrida, Michel Haar, Dominique Janicaud, Mario Perniola e
Fanco Volpi. Tematica centrale della rivista è la storia della filosofia e i
suoi metodi. Questi gli articoli che
figurano nel primo numero: Limits
and Grounds of History: The Nonhistorical, di Michel Haar; Thinking
Non-Interpretively: Heidegger on
Technology and Heraclitus, di Charles Scott; Paramodern Strategies of
Philosophical Historiography, di
Steven Daniel; Nihilism and Beatitude, di Henri Birault; The Will as
the genuine Postscript of Modern
Thought: At the Crossroads of an
Anomaly, di Frank Schalow.
La collana FARE L’EUROPA nasce
dall’iniziativa di cinque editori europei di lingua e nazionalità differenti: Beck (Germania), Basil
Blackwell (Inghilterra), Crìtica (Spagna), Laterza (Italia), Seuil (Francia). I volumi che vengono proposti
sono dovuti ai migliori storici del
momento e affronteranno i temi essenziali della storia europea nei diversi campi: economico, politico,
sociale, religioso, culturale. Avranno come orizzonte problematico la
ricerca dell’identità collettiva dell’Europa attraverso le peripezie della sua storia e la pluralità delle sue
componenti. I volumi prescelti non
costituiranno una collana “accademica”, ma si indirezzeranno a un
pubblico più vasto, esigente nelle
proprie richieste culturali, ma non
specialistico. Tra i volumi pubblicati: La città nella storia d’Europa, di
Leonardo Benevolo; L’Europa e il
mare, di Michel Mollat du Jardin; La
fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, di Massimo
Montanari; L’Europa dell’Illuminismo, di Ulrich Im Hof; La ricerca
della lingua perfetta nella cultura
europea, di Umberto Eco; Le rivoluzioni europee. 1492-1992, di Charles Tilly. In preparazione: I contadini nella storia d’Europa, di Werner
Rösener.
CONVEGNI E SEMINARI
messo in relazione da Gadamer alla dottrina greca della reminiscenza. Questa è, per
Gadamer, metafora dell’intersoggettività
linguistica in cui noi da sempre viviamo.
In tal modo, il problema della verità viene
a coincidere con quello del linguaggio
come universo di relazioni. A tal proposito
Gadamer ha sottolineato la vicinanza della
Logica di Hegel al Parmenide platonico,
ritenuto da Hegel stesso la più grande
opera dialettica dell’antichità. Il fatto che
questo dialogo non abbia una conclusione
indica, per Gadamer, che il linguaggio non
ha fine, conclusione, ma è sempre capace
di formare nuove combinazioni di parole,
di idee per esprimere le nostre intenzioni.
In una tale prospettiva la filosofia non può
ridursi alla scienza, al progresso della tecnica. Il linguaggio che noi adoperiamo ci
precede, per cui la “cosa” non è l’oggetto
che si trova nelle nostre mani, ma è “fra”
noi, espressa dal linguaggio. A differenza
delle scienze, il “metodo” filosofico è qui
“ascolto” che non forza il dato per ottenere
“certezze”. Filosofare è ascoltare la logica
delle cose. La scienza, ha proseguito
Gadamer, deve superare il “cartesianismo”
moderno riappropriandosi dell’idea-guida
della logica antica: nella filosofia greca, l’
“evidenza” della matematica non viene
sancita da chi indaga la natura, ma è insita
nelle cose stesse. Tale evidenza è detta dai
greci aletheia, disvelamento, evento che si
esprime.
L’ideale della luce che rischiara come
aletheia è alla base dell’autocoscienza in
Hegel; mentre Heidegger prende le distanze dall’idea di uno spirito “trasparente”,
nel quale non resta niente di oscuro, di
velato, e riferendosi ad un modello di coscienza di stampo psicanalitico, rifiuta la
riduzione della vita alla totalità della coscienza. Dopo i progressi della modernità,
nei secoli XVIII e XIX, anche il concetto
di aletheia acquista una nuova attualità:
essa ha a che fare con “l’entrata della
luce”, non intesa come perfezione e possesso della verità, ma come un discorso
interrotto e ripreso nella temporalità della
nostra coscienza. E.V.
58
CONVEGNI E SEMINARI
Parmenide e Georg Wilhelm Friedrich Hegel
57
CONVEGNI E SEMINARI
no Martelli, per quanto riguarda Mauss,
in particolare, non si trattò di un’adesione
supina alle tesi del fondatore della scuola
durkheimiana. Proprio su un tema di fondamentale importanza per la sociologia
della religione si verifica la divergenza di
interpretazione: secondo Mauss i sentimenti che hanno per oggetto il sacro non
sono distinguibili da altri e, questo è il
punto centrale, la stessa categoria di sacro
si dimostra utilizzabile solo in riferimento
alle religioni basate sulla dicotomia puro/
impuro. Le ricerche di Mauss, condotte
assieme ad altri studiosi, quali il sinologo
Marcel Granet o l’etnologo Robert Hertz, furono volte all’approfondimento di
una nozione più comprensiva e più duttile,
applicabile a culture religiose non fondate
su schemi binari o dicotomici, efficacemente trans-culturale, quale quella di mana.
Mauss, dunque, non condivise la cosiddetta “svolta essenzialistica” di Durkheim e
cercò invece di mostrare come il sacro
fosse una specie di cui il mana era il
genere, aprendo un dibattito sul ruolo e sul
significato del sacro, che è proseguito fino
ai giorni nostri.
L’effetto di relativizzazione storico-antropologica della “società di mercato” e
della sua morale, accomuna il prodotto
delle ricerche di due studiosi tra loro, per
altri versi, molto differenti, quali Mauss e
Polany. Alfredo Salsano ha ripercorso in
parallelo i loro lavori, mettendone in evidenza le diversità. Mentre Polany utilizza
un comparativo “sostanziale” e guarda alla
forma della redistribuzione, Mauss si riferisce al principio euristico del “fatto sociale totale” e mostra preferenze per forme di
reciprocità. I punti di contatto tra i due
riconducevano invece ad un comune programma, culturale e politico a un tempo,
che, a partire dalla diagnosi di eccezionalità della forma di vita della società capitalistica, tenta di individuare strade possibili
per ristabilire il primato della società sull’economia, senza per questo rinunciare
allo scambio di mercato. L’analisi polanyana delle forme di integrazione (reciprocità, redistribuzione, scambio), così come
lo studio maussiano del dono, prendono
origine da un comune riconoscimento della valenza sociale dell’agire economico:
da un rifiuto di letture economicistiche o
utilitaristiche dei moventi dell’azione sociale, che in questi due autori ha una sua
prima legittimazione, prende origine un
percorso di ricerca che nelle scienze sociali contemporanee ridiscute, anche in termini empirici, l’organizzazione della vita
economica e dei problemi che ne derivano
(in questa direzione si muovono, ad esempio, gli studi di un gruppo di ricercatori che
ruotano attorno al M.A.U.S.S. (Mouvement Anti-Utilitariste dans les Sciences
Sociales).
L’ambivalenza del dono è sempre presente nelle analisi di Mauss, che, in particolare nel suo saggio su “L’espressione obbligatoria dei sentimenti” (contenuto in
Mauss-Granet, Il linguaggio dei sentimenti,
1975), ma anche nel suo “Saggio sul dono”
(in M. Mauss, Teoria generale della magia ed altri saggi, 1965), ne fa un nodo di
decisiva importanza per la sua interpretazione del contratto sociale. Paola Bora ha
in tal senso preso in considerazione elementi del discorso maussiano quali l’impossibilità nelle lingue indeuropee di distinguere tra dono e scambio, la capacità di
creare a un tempo alleanza o rivalità di
certe forme di scambio (il potlàc come
prestazione totale antagonistica), l’espressione obbligatoria dei sentimenti di lutto e
di dolore e, più in generale, le analisi di
Mauss e dei suoi collaboratori delle forme
di contratto sociale, basate sulla osservazione delle strutture delle società studiate
e non sul dibattito filosofico del Sei-Settecento. Da qui Bora è approdata al problema di fondo, che Mauss lascia in eredità a
molte successive ricerche, vale a dire il
problema di come si istituisce l’obbligazione sociale prima della costruzione del
diritto: una riflessione questa che sfocia
nella comprensione dell’obbligatorietà del
dono intesa come fondamento della reciprocità sociale nei sistemi a prestazione totale.
Sulla base anche di una grandissima mole
di lettere e documenti, molti dei quali
finora inediti, Marcel Fournier, che ha
appena concluso la stesura di un nuovo
studio su Mauss (previsto per il 1994 presso l’editore Fayard di Parigi), ha messo a
fuoco, tra l’altro, il duplice aspetto con cui
si presenta in Mauss il tema del sacrificio,
in quanto utilità ed obbligazione ad un
tempo: «Se il sacrificante dona qualcosa di
sé - scrive Mauss, e anche Hubert - non
dona se stesso; si risparmia con prudenza.
E se dona è, in parte, per ricevere». Da ciò
Mauss fa, in qualche modo, discendere
anche una conclusione più propriamente
politica: si deve donare di sé, senza donarsi. Nel richiamare l’attenzione sull’importanza delle nozioni di “sacrificio”, “dono”,
“reciprocità”, sia nell’opera che nella vita
di Marcel Mauss, Fournier ha fatto emergere come entrambe siano infatti attraversate da questioni politiche, che stanno al
fondo dell’impegno dello studioso nel
“caso Dreyfuss”, della sua attività di pubblicista militante e, allo stesso tempo, delle sue ricerche sul concetto di “nazione”,
sul bolscevismo, ma, in fondo, anche del
suo più celebre Saggio sul dono, nelle cui
conclusioni troviamo scritto: «Si adotti,
dunque, come principio della nostra vita,
ciò che è stato e sarà sempre un principio:
uscire da se stessi, dare, liberamente e per
obbligo; non c’è il rischio di sbagliare».
Tuttavia questa sua passione politica non
sembrò andare a scapito della correttezza
scientifica: al contrario, il suo porre al
centro delle ricerche le forme concrete,
storiche, della reciprocità gli fornì un ancoraggio pragmatico delle sue posizioni
politiche, oltre che sostanziosi materiali
per la critica dell’utilitarismo delle teorie
economiche. V.B.
56
Il pensiero greco in Hegel
Il seminario dal titolo: HEGEL E IL SUO
RETROTERRA GRECO, tenuto da Hans Georg Gadamer dal 4 al 9 gennaio 1993
nella sede dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli, ha avuto
come tema centrale la definizione della portata del pensiero greco nella
filosofia di Hegel e Heidegger.
Muovendo dal rapporto che lega Hegel e
Heidegger alla cultura greca, Hans Georg Gadamer ha affrontato il problema
del compito della filosofia nel nostro tempo. Il punto di partenza della riflessione è
stato il contrasto che, a partire dal processo
di matematizzazione della scienza moderna, si è venuto a creare tra scienza ed
esperienza: in tale contesto, ha osservato
Gadamer, Hegel e Heidegger si presentano come due grandi pensatori della modernità che tentano di produrre un ravvicinamento fra scienza ed esperienza, riprendendo i temi fondamentali della filosofia
greca.
Il concetto che caratterizza in modo essenziale la filosofia hegeliana è quello di
“dialettica”. Gadamer ha analizzato il termine nelle sue due radici: una di origine
greca, in cui esso assume il significato di
“arte del dialogare”, l’altra di stampo hegeliano, in cui si connota come rielaborazione della contraddizione. Lo sviluppo di
tale argomento esige che si prenda le mosse dal problema dell’ “inizio”.
Nei presocratici, l’inizio è ricercato come
archè, principio dell’essere e del pensiero.
In Parmenide, infatti, l’essere coincide
col pensiero; il noein parmenideo, a differenza di quello aristotelico-platonico, che
distingue il pensiero dalla percezione, è la
percezione stessa intesa in senso passivo
rispetto a ciò che si presenta. Alla luce di
una tale prospettiva Gadamer ha illustrato
la posizione heideggeriana come già presente al fondo dell’ontologia parmenidea,
considerando invece Hegel come “l’ultimo greco”. In Hegel, infatti, il concetto di
soggetto è svincolato dal “miracolo della
presenza” per esporsi alla presentazione
della verità. In tal senso la Logica hegeliana, ha inizio col superamento del soggettivismo; la certezza sensibile implica, in
quanto principio della fenomenologia, la
certezza del reale come vero. La verità, in
Platone ed Aristotele, di cui Hegel parla
nel primo libro della Logica, è fatta coincidere con l’eidos: l’idea, in quanto visibile e presentantesi con questo aspetto e
non con un altro. Qui, ha fatto osservare
Gadamer, è in gioco la dimostrazione
argomentativa, caratteristica del metodo
matematico, a cui Hegel si riferisce nella
costituzione del metodo dialettico-speculativo, in vista dell’elaborazione del
sistema.
Il tentativo hegeliano di elevare la filosofia dal desiderio di sapere a vera scienza
attraverso la dialettica speculativa, è stato
CONVEGNI E SEMINARI
Ermeneutica:
questioni di confine
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli si è svolto, dal
24 al 26 maggio 1993, un seminario
tenuto da Gianni Vattimo, dal titolo
ERMENEUTICA: QUESTIONI DI CONFINE. In questi incontri Vattimo ha percorso la storia dell’ermeneutica, in senso tematico
più che cronologico, puntualizzando i
rapporti della filosofia ermeneutica con
la scienza, la religione e l’etica.
Filosofia dell’interpretazione con vocazione nichilistica: così Gianni Vattimo ha
definito l’ermeneutica. Infatti, muovendo
dalla lezione di Heidegger della differenza ontologica e quindi dell’impossibilità
d’identificare l’essere con la semplice presenza, l’ermeneutica contemporanea si
muove in un campo sempre aperto all’interpretazione: la verità non è più intesa
come corrispondenza al dato. Il senso dell’essere, ha osservato Vattimo, si annuncia in modo sottrattivo: l’essere non si dà
nella presenza, ma solo nell’oblio; può
essere colto dal pensiero rammemorante
(An-denken) come un problema che inerisce la trasmissione, il tramandare, e va
quindi ricollegato al problema della provenienza, al senso della verità.
A tal proposito, Vattimo ha chiamato in
causa l’esperienza della verità dell’arte,
rivendicata da Gadamer in Verità e metodo. L’esperienza estetica è vera esperienza
in quanto evento che implica il cambiamento storico del mondo. Per Vattimo, qui
si opera uno spostamento da una argomentazione di stampo fenomenologico, in cui
l’esperienza storica viene epochizzata, a
una ermeneutica, posta come vero e proprio tramandamento interpretativo. Lo
sfondo che legittima l’ermeneutica è il
nichilismo di Nietzsche, che non si pone
come tentativo di nullificazione dell’essere, ma come movimento, interpretazione
radicale, circolo ermeneutico.
Tra le “questioni di confine” il tema della
scienza emerge, per Vattimo, come problema della relazione fra ermeneutica e
modernità.
L’ermeneutica di Gadamer e Habermas,
ha rilevato Vattimo, è sostenuta dal tentativo di ricondurre i vari sistemi al mondo
della vita; questo tentativo di sfuggire al
relativismo culturale porta entrambi ad
identificare ancora l’essere come presenza. Negando la separazione fra scienze
dello spirito e scienze della natura,
Gadamer e Habermas rivendicano la superiorità delle scienze dello spirito. In
Heidegger, invece, l’interrogazione sulla
scienza non è più posta in termini di contraddizione fra scienze della natura e dello
spirito, ma sulla base delle trasformazioni
che la scienza stessa ha prodotto riguardo
al senso dell’essere nel nostro presente.
Riferendosi al saggio L’epoca dell’immagine del mondo, Vattimo ha mostrato come
Heidegger descriva qui lo spostamento
della scienza moderna in direzione di una
dissoluzione del senso stesso dell’immagine del mondo, cioè del divenire irrappresentabile del mondo a causa del conflitto
delle interpretazioni; a partire dal processo di matematizzazione della scienza moderna, non si può più parlare di esperienza
diretta della realtà, ma solo di sedimenti
interpretativi.
Da questo punto di vista, ha notato Vattimo,
l’ermeneutica di stampo nichilistico risulta essere il compimento della modernità;
essa stessa fu considerata da Dilthey come
sfondo della modernità.
Per Vattimo, la filosofia ermeneutica non
poteva che nascere nell’Occidente cristiano: essa ha radici di stampo religioso ed è
legata al pensiero ebraico-cristiano, dove
l’essere è pensato come accadimento interpretativo, con un insuperabile elemento
di deiettività. Concetto chiave è per Vattimo
quello di “secolarizzazione”: l’ermeneutica secolarizza la storia della salvezza, attuando il cristianesimo nella modernità, e
optando maggiormente per motivazioni
etiche (quali ad esempio il rifiuto della
violenza), più che teoretiche, essa rivela le
proprie radici cristiane.
Infine, Vattimo ha analizzato il rapporto
tra ermeneutica ed etica prendendo in esame tre diversi modelli etici: “l’etica della
comunicazione” di Habermas e Apel,
“l’etica della continuità” di Gadamer e
“l’etica della riconoscibilità” di Rorty,
individuando nella mancanza di un’articolazione meta-narrativa la loro comune insufficienza. Vattimo ha sottolineato, infatti, la necessità di dare un contenuto alla
nostra provenienza attraverso il ripercorrere la storia dell’essere a partire dal nichilismo, consapevoli che l’ontologia interpretativa nichilista è anch’essa un’interpretazione. E.V.
Marcel Mauss
e il “fatto sociale totale”
Tra aprile e maggio 1993, presso il
Centro Culturale della Fondazione
Collegio San Carlo di Modena, si è
tenuto un seminario di studio sul
tema: MARCEL MAUSS, IL “FATTO SOCIALE
TOTALE”. All’interno di questo contesto tematico si sono succedute le lezioni di Riccardo Di Donato, su “Introduzione all’opera di Marcel Mauss:
dalla sociologia all’antropologia”;
Stefano Martelli, su “Mana o sacro? Il
contributo della scuola durkheimiana
alla fondazione della ‘sociologie religieuse’ “; Alfredo Salsano, “Il dono
come forma di integrazione sociale:
Marcel Mauss e Karl Polany”; Paola
Bora, “Marcel Mauss: il dono e l’obbligo dei sentimenti”; Marcel Fournier, “Marcel Mauss o il dono di sé”.
55
Il seminario si è posto in ideale continuità
col precedente, tenutosi tra ottobre e dicembre 1992, che aveva come oggetto
l’opera di Emile Durkheim: “Emile
Durkheim. Società, sacro, individuo”. Si
tratta, più complessivamente, della prosecuzione in ambito francese dell’attività di
discussione e di ricerca svolta negli ultimi
anni dal Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo sulla teoria delle
istituzioni di Gehlen, sul conflitto tra vita
e forme in Simmel, sulla relazione tra
condotta di vita e ordinamenti sociali in
Weber e sulle strutture del mondo della
vita in Schutz, mantenendo al centro dell’interesse l’ambito tematico comune delle “Istituzioni del senso” (seminari, la cui
rielaborazione comparirà, sotto forma di
una serie di volumi, a partire dal 1994).
Riccardo Di Donato ha introdotto l’opera
e la vita di Marcel Mauss, legato a Durkheim non solo da vincoli di parentela o di
ambiente familiare e culturale, ma da un
più profondo programma di ricerca comune. Fu, infatti, proprio lo zio ad indirizzare
Mauss, una volta che questi ebbe ottenuto
l’agrégation, verso lo studio della sociologie religieuse, ed a introdurlo all’impresa
dell’ “Année sociologique”. E’ con il precoce approdo all’insegnamento, presso
l’Ecole Pratique des Hautes Etudes, che ha
forse inizio un processo di emancipazione
dalla dominante personalità di Durkheim:
nei suoi corsi, coerentemente con la lezione inaugurale, Mauss parla di psicologia
ed antropologia e dà corpo al chiaro orientamento etnologico che le sue ricerche
prenderanno successivamente. Grande
peso, nell’attività intellettuale di Mauss,
ebbe poi il suo impegno politico, e in
questo senso la coincidenza non solo temporale dei suoi studi sul bolscevismo e
delle sue riflessioni sul dono - ricerche che
fissano l’attenzione alle forme dello scambio come struttura fondamentale sia delle
società non dotate di scrittura, sia delle
altre - può costituire una chiave di lettura
dell’appassionato intrecciarsi di interessi
di studio e militanza politica. Purtroppo,
l’edizione delle Ouevres (Minuit, Parigi
1968-69, 3 voll. a cura di V. Karady) al
momento disponibile non comprende proprio nessuno dei più importanti lavori di
carattere politico, che pure ebbero collocazioni anche scientificamente prestigiose, come - è il caso dell’Appréciation sociologique du Bolchevisme - la “Revue de
Métaphysique et de Morale”. Nel mettere,
infine, in evidenza le enormi potenzialità
delle nozioni di homme totale e di civilisation come oggetti di ricerca e non come
concetti definiti una volta per sempre, Di
Donato ha approfondito la grande significatività del rapporto, spesso trascurato,
che Mauss intrattenne con lo psicologo
Ignace Meyerson.
Mauss, Hubert, Bouglé, Siamiand, Fauconnet, per ricordare solo i più noti, costituirono un aiuto fondamentale al lavoro di
Durkheim. E tuttavia, ha ricordato Stefa-
CONVEGNI E SEMINARI
emerge dunque il duplice ordine dell’hegelismo diltheyano: il presupposto relativo all’autotrasparenza del soggetto, da una
parte, e quello relativo all’ “epigonismo”,
esemplificato dalla nottola di Minerva (per
cui solo il compimento dà senso alla totalità dello sviluppo), dall’altra.
Se in Dilthey è dunque possibile rilevare la
connessione tra autobiografismo, istanza
della totalità e intimità del soggetto con sé
medesimo, Ferraris ha allora affrontato la
posizione heideggeriana alla luce del rapporto, da essa istituito, fra le nozioni di
autobiografia, totalità, morte, finitezza,
autenticità. Ma questo legame non si dà
mai effettivamente come tale, perché
l’esperienza autentica della morte, la nostra, non si dà mai. La morte degli altri non
può, dal punto di vista dell’esperienza autentica, surrogare la propria. Emerge qui,
ha osservato Ferraris, il pregiudizio antioculare che Heidegger mutua dal conte
Yorck, secondo il quale ciò che si vive
rimane ineluttabilmente differente, e di
valore superiore, rispetto a ciò che si vede.
Il tema dell’autobiografismo nella scrittura filosofica è emerso anche nella relazione che Rocco De Biasi (“Il metalogo”) ha
dedicato alla riflessione di Bateson. Contestando la tesi secondo la quale gli ultimi
sviluppi del pensiero batesoniano avrebbero abbandonato l’epistemologia, per
giungere a una fase di misticismo e di
narrativismo autobiografico, De Biasi ha
ricordato che per Geertz la scrittura dell’etnografo dà spesso luogo a un testo di
tipo narrativo, romanzesco, ricco di elementi retorici e, appunto, autobiografico.
Per De Biasi, Bateson rappresenta un esempio di ciò, e la difficoltà a introdurre il
proprio sé nel discorso rinvia a quella di
inserire l’ “altro” nel discorso etnografico.
Il cosiddetto “autobiografismo” imputato
a Bateson rappresenta, dunque, la difficoltà insita nel tentativo di definire l’oggetto
antropologico. In questo parlare di sé, infatti, il parlare medesimo riguarda altro.
Per Bateson, dunque, la scrittura etnografica si qualifica anzitutto come un pensiero autoreferentesi, e in secondo luogo, in quanto “pensare per storie”, come
narrativo. Il suo carattere “ecologico”
rinvia all’approccio sistemico, olistico
di Bateson, secondo il quale l’appartenenza dell’uomo alla natura, espressa
dalla religione, viene tradita dalla volontà di potenza della tecnica, che ne
costituisce una degenerazione.
La questione dell’autobiografismo viene
messa in gioco anche dalla relazione di
Gianfranco Gabetta (“La lettera e la scienza della scrittura in Montaigne”), che in un
clima di profonda costernazione e rimpianto è stata letta da altri, a causa della
prematura scomparsa del suo autore. La
questione della possibilità della scrittura,
secondo Gabetta, costituisce in Montaigne
il caso di un’opera consustanziale al proprio autore, un ritratto di sé, dove lo scrittore parla di sé medesimo. In questa dina-
mica ha luogo una sorta di contrazione,
come se l’opera promettesse una risposta
che viene di continuo elusa: ciò che non
viene esibito, ma solo enunciato, può continuare a essere scritto proprio e solo in
forza del fatto che esso è, appunto, annunciato, ma non esibito. E’ questa, in realtà,
una condizione interna al testo, ha rilevato
Gabetta, che consente al testo di perpetuarsi senza fissarsi. Proprio attraverso
questo limite, che impedisce alla scrittura
di diffondersi, essa si itera.
A questo scacco della scrittura, che ne
costituisce l’essenza, si perviene anche, ha
aggiunto Gabetta, esaminando il tentativo
di Montaigne di esprimere il rapporto che
lo legava all’amico Etienne de la Boétie.
Montaigne si dichiara incapace di esprimere le motivazioni del proprio affetto per
l’amico «se non rispondendo: perché era
lui, perché ero io». C’è qui, secondo Gabetta, una sospensione della natura denotativa del linguaggio, e un’attenzione al
suo carattere puramente connotativo, cioè
inerente al fatto che qualcosa è.
Edoardo Greblo (“Benjamin, immagine
e scrittura”) ha enucleato, all’interno della
prospettiva di Benjamin, alcune specificità e caratteri della scrittura filosofica. In
primo luogo la sua non sistematicità, che si
manifesta nella non linearità dell’argomentazione. La “prosaica sobrietà” della
scrittura benjaminiana riposa sulla contiguità, e sull’affinità, fra la scrittura medesima e la cosa che essa esprime. Questa
concezione della scrittura filosofica, sottolinea Greblo, si muove in una filosofia
del linguaggio, estranea all’idea di un carattere strumentale della lingua, in quanto
parole e scrittura non vengono concepiti
come veicoli inerti di significazione. Nel
collocarsi al di qua della distinzione fra
significante e significato, nella prospettiva benjaminiana immagine e linguaggio risultano avere in comune il carattere metaforico.
Emerge inoltre un carattere frammentario
dell’argomentazione, in cui ciascun frammento è “micrologico” e “monadologico”,
e pone in primo piano l’esigenza del “montaggio” paratattico: l’oggetto storico non è
dato, bensì costruito, e questo è il compito,
musivo e micrologico, dello storico. D’altra parte, per Benjamin non si deve tentare
di dire, occorre bensì mostrare; ma in questo programma, nota Greblo, Benjamin
abdica dal compito monadologico e finisce per condividere con il suo antagonista,
Heidegger, la passione per l’ “autentico”.
Giampiero Comolli (“Figura e scrittura
in Oriente”) ha identificato nella possibilità, attribuita al soggetto, di raggiungere
l’assoluto attraverso la coincidenza con
esso quel minimo comune denominatore
che unifica varie correnti, raggruppabili
sotto la dizione di “pensiero orientale”.
L’ontologia si determina qui come soteriologia, in quanto tale coincidenza implica la beatitudine. Occorre, in questa prospettiva, abbandonare l’articolazione del54
le categorie per attingere all’inarticolato,
che non rappresenta però un annullamento
della coscienza, ma una sorta di surplus
rispetto a essa. Il mantra, il testo, valgono
non di per sé, ma per come essi vengono
correttamente pronunciati o eseguiti: l’assoluto non viene rappresentato, bensì manifestato. L’ideogramma non rinvia a un
significato altro da sé, ma rappresenta,
invece, una sorta di autoscrittura da parte
del cosmo. Ciò che conta è dunque (si
pensi all’importanza della calligrafia, o ai
gesti “esemplari” dei maestri zen) l’esecuzione, non il “contenuto”, scisso dalla sua
“espressione”.
Al contrario, in Occidente la scrittura si
pone come pratica di trascrizione di una
verità che la trascende, in quanto proveniente da un altrove rispetto a essa; per
questo essa richiede, stante l’inattingibilità della verità nella sua interezza,
un’interpretazione, e la dimensione oracolare costituisce l’archetipo della scrittura occidentale.
Il dibattito che ha concluso il ciclo seminariale ha avuto come tema la questione della
filosofia come genere letterario. Pier Aldo
Rovatti ha messo in evidenza come la
risposta risulti, di necessità, ambigua: in
prima istanza negativa, in quanto nella
filosofia non si presentano elementi specifici nel senso di una tale qualificazione. In
secondo luogo, la questione della scrittura
appare inscindibile da quella del pensiero,
e occorre dunque determinare l’una e l’altro. Pensiero e scrittura emergono allora
come relativi a ciò che non è padroneggiabile, che per Rovatti coincide con il
dominio della soggettività. Per accostarsi a questo terreno Rovatti ha indicato
come compito della scrittura la salvaguardia del silenzio.
Ricorrendo all’esempio degli Essais montaigneani, laddove essi si pongono come
commento di un’opera, quella di La Boétie,
che non c’è, Giampiero Comolli ha sostenuto che questa salvaguardia del silenzio
appare come un’iperfecondazione: il testo
nasce da un “fuori testo” che non si dà. La
scrittura appare così articolata come il
tentativo di riempire un vuoto, in quanto
commento a qualcosa che non si dà;
organizzata cioè intorno a un centro che,
in quanto non padroneggiabile, è per
essa un vuoto.
Rosella Prezzo, richiamando il nesso
fra scrittura e pensiero, ha infine osservato come nella scrittura sia in gioco la
pretesa alla continuità sostenuta dal pensiero. La scrittura mostra infatti la discontinuità, l’intermittenza del pensiero
medesimo; in ciò emerge, e si rende
esperibile, un senso che trascende le intenzioni di colui che scrive. F.C.
CONVEGNI E SEMINARI
ge. In tal senso “le parole mancano”
l’inconscio, cioè non lo colgono in quanto
loro oggetto; nel contempo, però, dicono
anche questa mancanza. Per rappresentare il tentativo di scrittura dell’inconscio si rivela, dunque, adeguata la metafora, che fa riferimento a ciò che sta
dietro le quinte, nella messa in scena del
“teatro filosofico”. Così, al di là dell’indubbio debito di Lacan nei confronti di
Heidegger, ha concluso Rovatti, se il
filosofo tedesco, con la grande narrazione dell’oblìo dell’essere, mette in scena
una tragedia, la rappresentazione lacaniana mostra piuttosto le caratteristiche
della commedia.
Attraverso l’esame di testi di Platone,
Kierkegaard e Nietzsche, Rosella Prezzo (“La narrazione del femminile nel testo
filosofico”) ha preso in considerazione
l’ampio uso, da parte della scrittura filosofica, di rappresentazioni immaginali, che
risultano avere un ruolo ambiguo: necessarie all’argomentazione da un lato, per
ciò che concerne il loro significato risultano però incompatibili con il sistema del
pensiero in quanto tale. In questo, secondo
Prezzo, l’immagine del femminile diventa, in filosofia, archetipo del ruolo dell’immagine: una presenza che è tale in quanto
assenza, un’assenza che è presente nel
discorso filosofico.
Nell’erotica platonica il femminile cade
nella differenza fra il modello e la copia,
fra il mondo delle idee e quello dei corpi:
l’immagine del femminile è, appunto, immagine, cioè copia del modello ideale, in
quanto incarnazione del momento genetico della nascita. Ma la nascita propriamente filosofica, quella delle idee provenienti
dall’anima gravida del filosofo, è, per l’appunto, ideale, differente e opposta a quella
corporea, frutto del parto femminile. La
dialettica hegeliana, con il suo tentativo di
riappropriazione e dominio, da parte del
logos e della verità, dell’apparenza, del
caduco, del non sufficientemente reale,
sviluppa ulteriormente la contrapposizione platonica fra maschile e femminile. A
essa si sottrae invece, ha rilevato Prezzo,
tanto l’ironia kierkegaardiana, che “lascia
essere” l’apparenza, quanto, e ancor più, la
denuncia nietzscheana della metafisica
come storia di contrapposizioni, che rimandano a quella fondamentale tra verità e
menzogna, come lotta antitetica di valori.
Al testo di Nietzsche è stata appunto dedicata la relazione di Fabio Polidori (“Il
testo di Nietzsche”). Polidori, anzitutto, ha
ricordato che Nietzsche individua, come
propri obiettivi polemici, verità e soggetto. La nozione di verità, dal punto di vista
del pensiero, rappresenta un errore, per
quanto necessario alla vita umana: essa
rimanda infatti al concetto di permanenza
(dell’io, della sostanza), e si fonda nel
linguaggio. Il rapporto tra filosofia e linguaggio costituisce così, ha osservato Polidori, il tema principale della filosofia, il
suo soggetto. C’è linguaggio anche laddo-
ve non c’è filosofia; ma non c’è filosofia
senza linguaggio. La filosofia è il luogo
della verità; proprio per questo non è oltrepassabile, come afferma Heidegger: non si
dà linguaggio che non pretenda la verità;
non c’è linguaggio che non sia irretito (la
menzogna, in massimo grado) nella “volontà di verità”.
Emerge qui, ha notato Polidori, la questione del rapporto fra linguaggio e tempo: il
linguaggio fornisce stabilità e permanenza
a ciò che viene nominato, alle cose e a noi
stessi. L’effetto di verità è la presenza in
quanto sottrazione al tempo, e nel luogo
della presenza si producono gli oggetti e il
soggetto. Ma, con particolare riferimento
a Nietzsche, emerge qui anche, all’inverso, la questione del rapporto fra tempo e
linguaggio: la dottrina dell’eterno ritorno
si qualifica come impronunciabile, e
Nietzsche tenta appunto di sottrarsi alla
volontà di verità, evitando di dire. In
Nietzsche, di fatto, non si chiarisce che
cosa sia il tempo, ma come esso è, e ciò
spiega l’impossibilità di dire il tempo nella
sua verità. Così, la dottrina dell’eterno
ritorno è indicibile, ha ribadito Polidori,
proprio perché essa non consiste solo in un
pensiero dell’eternità, bensì in un pensare
come tempo. L’indicibilità del tempo rimanda dunque, in modo speculare, all’intemporalità del linguaggio; l’una e l’altra
pongono capo alla reciproca negazione di
tempo e linguaggio.
Alessandro Dal Lago (“La scrittura etnografica”) ha prefigurato la possibilità, attraverso la scrittura etnografica, di sfuggire al discorso metafisico sull’Altro, attraverso l’introduzione, all’interno della presunta identità con sé di colui che scrive,
della reale alterità che egli stesso è. Per
giungere a ciò, ha osservato Dal Lago,
occorre però ripensare la prospettiva della
scrittura etnografica tradizionale, quella
che ricopriva il ruolo di ancilla anthropologiae. Per quanti meriti essa abbia avuto
nella costruzione di un’antropologia scientifica, liberata cioè dalle affabulazioni
mitologizzanti - e mitologizzate - intorno
ai “popoli selvaggi”, la scrittura etnografica novecentesca, che ha dato luogo all’antropologia intesa come “scienza dell’uomo”, non ha intaccato il pregiudizio fondamentale dell’interesse antropologico per
l’altro. Esso consiste nel fatto che quest’ultimo viene ridotto a elemento speculare di fondo di una scena dove l’attore è
sempre colui che scrive, che pretende di
parlare dell’ “altro”. Questo perché a siffatto sguardo etnologico, “scientifico” o
meno che fosse, veniva sempre, di principio, sottratto l’osservatore: gli “altri” sono
costituiti in culture da indagare, con strumenti che riterremmo però inadeguati per
studiare la nostra realtà. Per rovesciare la
prospettiva che cerca negli altri sempre
l’immagine di sé, ha concluso Dal Lago,
occorre dunque sospendere questo pregiudizio; occorre considerare noi stessi come
possibili altri, scoprire, anziché il sé (ov53
vero il “noi”) dell’altro, l’altro che è insito
nell’identità del “noi”.
Riccardo De Benedetti (“I ‘Quaderni’ di
Simone Weil”) ha inteso in primo luogo
evitare il rischio di ridurre la riflessione
della Weil alla sua biografia, per quanto
sia stato spesso sottolineato, legittimamente, il parallelismo fra il carattere di incompiutezza dell’opera da un lato, e quello di
una vita marcata da un “azionismo”, tanto
febbrile quanto impotente, dall’altro. Lo
stile dei Quaderni non è d’altra parte, per
De Benedetti, casuale, poiché esso a suo
parere intende riflettere il carattere di “non
finito” della stessa riflessione weiliana;
nel paludarsi del punto di vista dell’autore
dietro la selva di citazioni c’è il desiderio
di “esporsi”, di farsi portatore di istanze
altrui, piuttosto che della propria identità.
L’onnivoricità della Weil, in campo spirituale e religioso, giustappone suggestioni
e citazioni provenienti da tradizioni e misticismi diversi e alquanto eterogenei. Non
si può tuttavia parlare, ha osservato De
Benedetti, di contaminatio fra diverse tradizioni, perché nella prospettiva della Weil
esse rivestono tutte, consapevoli o meno
che siano di ciò, un ruolo anticipatore nei
confronti della figura del Cristo.
Il risvolto teologico dei Quaderni esce
comunque dal solco del pensiero teologico
tradizionale, se inteso come riflessione sul
rapporto fra uomo e Dio. I tentativi di
comunicazione con Dio, che innervano la
meditazione weilliana, approdano alla più
radicale alterità fra i due poli. Di qui la sua
posizione antinomica, rispetto alla metafisica religiosa ebraica. Non si dà infatti per
la Weil, in senso proprio, né lettura, né
interpretazione né, quindi, riflessione:
l’unico autentico lettore, in grado di cogliere il senso vero, è Dio; ma con ciò la
filosofia viene annichilita.
A partire dall’esperienza della monumentale Storia dell’autobiografia di Georg
Misch, risalente al primo decennio del
secolo, Maurizio Ferraris (“Lutto e autobiografia”) ha rilevato che l’autobiografia
non appartiene, originariamente, al novero dei generi filosofici, bensì a quello dei
generi letterari, di cui costituisce una delle
manifestazioni più antiche. Perché l’autobiografia divenga un genere filosofico (o,
almeno, perché possa essere interpretata
come tale) occorre la presenza di una filosofia che metta in primo piano il concetto
di vita. Questo accade con Dilthey (suocero di Misch), il cui storicismo rinvia, con
una forma radicale di hegelismo, all’idea
che il senso della vita risieda nella postumità. In primo luogo, la comprensione non
può, per Dilthey, essere altrimenti che
empatica: si comprende, in senso proprio,
solo ciò in cui ci si traspone. La comprensione storica di un personaggio, o di un
evento, è “biografica” in quanto comporta
il comprendere la “vita” che vi pulsa; per
questo l’autobiografia rappresenta il caso
limite, e ottimale, di comprensione. Nel
carattere senile dell’opera autobiografica
CONVEGNI E SEMINARI
Max Ernst, The Illustrious Forger of Dreams, 1959
52
CONVEGNI E SEMINARI
Se il nome di Guglielmo Ferrero può
essere per molti sconosciuto, sono invece
molto note alcune sue tesi, come ad esempio quelle sulla decadenza di Roma, sulla
legittimità del potere politico, sulla debolezza della democrazia italiana, su cesarismo e banapartismo, e altre ancora, che
sono state spesso fatte oggetto di studio.
Personaggio dagli interessi alquanto compositi, Ferrero ebbe altresì una certa notorietà in Europa, così come anche nel continente americano, grazie ai suo soggiorni
e alle sue costanti collaborazioni a giornali
e riviste.
Guglielmo Ferrero nasce a Portici, Napoli,
nel 1871. L’influenza dell’incontro a Torino con Cesare Lombroso si ripercuote
nei suoi primi lavori; nelle Cronache criminali, mirando a conferire al diritto una
base positiva, Ferrero sostiene la necessità
di una radicale riforma della giustizia e del
sistema carcerario. Successivamente emerge nei suoi studi un interesse più propriamente sociologico che lo distanzierà progressivamente dalla scuola positiva di Torino e quindi da una criminologia naturalistica che si limita a spiegare in chiave di
patologia criminale - e non in chiave storica e sociopolitica - i delitti politici. Coinvolto nei processi crispini contro il partito
socialista, processato col Treves e condannato a due mesi di domicilio coatto, Ferrero lascia l’Italia e viaggia per due anni in
Europa: Francia, Inghilterra, Germania,
Russia e Scandinavia, scrivendo una serie
di articoli dapprima pubblicati sul Corriere della Sera e poi raccolti ne L’Europa
giovane (1897), primo esempio di reportage politico-psicologico e sociale con cui
Ferrero si impone all’attenzione della cultura italiana. Tra il 1902 e il 1906 escono
i 5 volumi di Grandezza e decadenza di
Roma, risultato di lunghe ricerche sul tema
della decadenza, avviate dal 1898. Questa
opera monumentale gli conferisce vasta
notorietà, soprattutto all’estero; da Albert
Sorel viene invitato a tenere un corso a
Parigi al Collège de France e da Edouard
Rod una conferenza a Ginevra sulla storia
romana. A New York, gli viene conferita
la laurea honoris causa presso la Columbia University.
Nel 1913 Ferrero pubblica Fra i due mondi, una sorta di dialogo filosofico scritto al
rientro del viaggio in America, in cui elabora la teoria delle due civiltà e la filosofia
del limite, mettendo a confronto la moderna civiltà quantitativa con l’antica civiltà
qualitativa.
A partire dagli anni ’20 si interessa quasi
esclusivamente del problema della legittimità. I totalitarismi al potere e la maturazione della filosofia del limite attraverso la
lettura dell’opera di Talleyrand, lo portano
ad elaborare una teoria della legittimità la
cui interpretazione impegna tutt’ora validi
studiosi italiani e stranieri. Alla pubblicazione di scritti come Da Fiume a Roma
(1923), Le dittature in Italia (1924) e La
democrazia in Italia (1925), nei quali vie-
ne sviluppata la tesi della continuità tra il
fascismo ed i precedenti regimi politici, la
risposta del regime fascista è il sequestro
de La democriazia in Italia e l’inizio della
persecuzione. Nel 1930 riesce ad avere,
grazie a innumerevoli intercessioni, fra
cui quella del re del Belgio, il passaporto e
si trasferisce a Ginevra nella cui Università gli viene conferito il duplice incarico di
tenere un corso di storia moderna in qualità di professore ordinario alla Facoltà di
Lettere e uno all’Institut des Hautes Etudes Internationales. A Ginevra insegna
per dieci anni, fino alla morte sopraggiunta il 3 agosto 1942, a Mont-Pèlerin. Lo
stesso anno esce postuma a New York la
sua ultima opera, Potere.
L’elemento che ha di fatto più colpito i
partecipanti alle giornate di studio di Roma
e Napoli è stato il radicale anticonformismo di Ferrero, che gli permise di rivolgersi ad un più vasto pubblico mondiale, anche quando fu costretto all’esilio dal fascismo. Nonostante la vastità degli interessi
culturali, la sua produzione scientifica può
essere in ogni caso raccolta sotto quattro
filoni particolari, che sono poi stati gli assi
portanti del convegno, assieme all’esposizione dell’attuale stato delle ricerche sull’autore e la sua opera. Il primo filone può
essere individuato nella riflessione di carattere sociologico e filosofico-politico, il
cui nucleo centrale è costituito dalla teoria
della legittimità e del potere; su questo
tema sono intervenuti tra gli altri: C.
Mongardini, G. Sorgi, D. Settembrini,
L. Pellicani, R. Baldi, D. Pacelli. Il
secondo riguarda in particolare gli studi
e la critica di Ferrero alla civiltà contemporanea, anche come civiltà della paura;
a questo hanno fatto riferimento le relazioni di A. Negri , L. Battaglia ,
V.Frosini. All’interno di questa riflessione non vanno dimenticati gli scritti
ferreriani di antropologia criminale,
scritti assieme, o sotto la diretta influenza del suocero, Cesare Lombroso (come
ha rilevato da N. Zapponi), a cui sono
direttamente connessi alcuni studi sulla
“questione femminile” (come hanno ricordato G. Conti Odorisio e M. Calloni). Il terzo filone d’interesse del lavoro
di Ferrero riguarda il pensiero storicopolitico e istituzionale, con particolare
attenzione per l’antichità romana e per la
Rivoluzione francese, su cui sono intervenuti: F. Amarelli, L. Dondoli, L.
Campagna, D. Cofrancesco. L’ultimo
filone di riflessione è stato quello rappresentato dall’antifascismo di Ferrero
e dall’analisi delle sue ragioni, su cui
hanno relazionato: P. Ungari, E. Jacchia, H. Ulrich, A. Sarubbi, A. M.
Isastia, G. Ceci, M. P. Paternò. Alla
fine delle due dense giornate di studio, è
stata proposta e approvata la fondazione
dell’ “Associazione Internazionale di
Studi su Guglielmo Ferrero”, i cui presidenti onorari saranno gli eredi, Bogdan
Raditsa e Leo Raditsa. M.Cal./L.Ce.
51
Scritture del pensiero
Organizzato dalla rivista «aut-aut» e
dall’Ufficio Cultura dell’ISU, si è svolto a Milano, a partire dal 27 gennaio
1993, un ciclo di incontri seminariali
con cadenza settimanale, dedicato al
tema: SCRITTURE DEL PENSIERO. Il presupposto ispiratore dell’iniziativa consiste nell’affermazione della rilevanza
decisiva, in filosofia, di forma e stile
del testo. Ciascun incontro si è articolato in una relazione, nel commento,
da parte del relatore, di alcuni brani di
testi filosofici precedentemente distribuiti agli intervenuti, e in un dibattito conclusivo.
Per Pier Aldo Rovatti (“Lacan, scrivere
l’inconscio?”), che ha aperto il ciclo seminariale introducendone le motivazioni, la
questione della scrittura rinvia a quella
della pratica filosofica in quanto tale. Prendendo le mosse dall’esame del testo relativo a un seminario di Lacan del 1955-56, e
assumendo come metafora della pratica
filosofica il tentativo di scrivere l’inconscio, Rovatti ne ha enucleato alcuni elementi a suo parere essenziali. In primo
luogo, l’elemento della “scena”, cioè dell’aspettativa rispetto alla quale, nel soggetto “in ascolto” del linguaggio, della
scrittura, si verifica una “sorpresa”: una
frase, un concetto inaspettati, vengono improvvisamente alla mente. Si pongono a
questo punto, ha evidenziato Rovatti, due
questioni. La prima è relativa alla determinazione della modalità dell’ “ascolto”, la
seconda riguarda invece la comprensione
di che cosa accada quando, nella modalità
dell’ascolto, emerge l’inconscio, per esempio quando “viene in mente” una frase. Ma
questo, ha osservato Rovatti, non è altro
che il problema di “scrivere l’inconscio”
che riguarda ogni linguaggio, in particolare quello filosofico. In generale, la questione di Lacan, “come scrivere l’inconscio”, si pone nei termini di “come scrivere la sorpresa”; proprio questo “scrivere la
sorpresa”, cioè l’inconscio, costituisce il
senso, e l’essere, della scrittura.
Rovatti ha inoltre evidenziato il carattere
fenomenologico della questione relativa
all’ascolto del linguaggio, consistente in
un vissuto che non è, però, quello fenomenico. Per collocarsi nell’apertura dell’ascolto occorre infatti operare, nei confronti del mondo, quell’epoché che consiste in una chiusura. Al carattere di significante dell’ascolto (che si fa chiaro nel suo
essere sorpresa) è infatti connesso il fatto
di non identificarsi con l’attesa di quel
linguaggio che ci viene come significante.
Per poter ascoltare occorre dunque operare una chiusura, che si rivela, in un senso
più profondo, un’apertura.
In merito alla questione relativa a ciò
che accade al momento dell’irrompere
dell’inconscio, Rovatti ha ricordato come
per Lacan l’essenziale sia ciò che sfug-
CONVEGNI E SEMINARI
tismo e relativismo. A proposito, invece,
del problema di Dio, le perplessità rilevate di
fronte alle posizioni adorniane sono state
ricondotte a quelle già riscontrate nelle argomentazioni kantiane in merito, di cui Adorno
riprende i passaggi fondamentali. G.F.
Critica dell’ontoteologia
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli si è svolto
dal 5 all’8 aprile 1993 un seminario
tenuto da Massimo Cacciari dal titolo: “CUR DEUS ESSE”. CRITICA DELL’ONTOTEOLOGIA, in cui la filosofia teologica
classica è stata messa a confronto
con il pensiero di Heidegger, soprattutto quello espresso nei BEITRÄGE ZUR
PHILOSOPHIE, dove compare appunto il
tema ontoteologico e la posizione critica di Heidegger stesso nei confronti
di ogni teologia.
Per Heidegger, ha esordito Massimo
Cacciari, bisogna ripensare un inizio che
non è l’origine, segnata da Platone, della
tradizione metafisico-teologica, ma quell’inizio cosiddetto presocratico che non è
mai cominciato e non ha dunque mai prodotto effetti. Nei Beiträge viene riformulato il tema della differenza ontologica già
aperto da Sein un Zeit: tornare all’altro
inizio significa tornare alla domanda riguardante l’Essere e la differenza tra l’Essere e la totalità dell’essente, il Dasein in
generale, e, superando la posizione di Sein
und Zeit, chiamare l’eccedenza dell’essere rispetto all’ente Ereignis, evento, termine che sta ad indicare proprio l’impossibilità di rispondere alla domanda su che cosa
è l’Essere; l’impossibilità cioè di rappresentare l’Essere, a meno di non rendere di
nuovo l’Essere il Deus Esse della filosofia
teologica.
Per Heidegger l’Ereignis è un adveniens
che non potrà mai farsi fatto, avvento; è
avvenire appropiantesi che sottolinea la
distanza da ogni rappresentazione teologica. L’Essere “avviene”, appropiandosi dell’uomo, chiamandolo ad una apertura radicale, per la quale appunto rinuncia ad
ogni contenuto determinato. Il Dasein di
Sein und Zeit è qui chiamato al compito,
offertogli dall’Ereignis, di restare aperto,
di disporsi a questa chiamata. Chiaramente, ha sottolineato Cacciari, non si tratta di
un’apertura all’evento in quanto effimero,
ma di un’apertura all’assenza di contenuti
determinati, alla mancanza di ogni religio,
di ogni rappresentazione. L’essere come
Ereignis è il tutt’altro eccedente rispetto
ad ogni rappresentazione, è il tutt’altro che
Heidegger chiama anche “ultimo Dio”
come quel Dio che non è più concettualizzabile metafisicamente, non è più rappresentabile, non può più rivelarsi. L’ultimo
Dio è radicalmente diverso dal Dio del-
l’ontoteologia, dal Dio della metafisica,
ma anche dal Dio della religione cristiana.
In effetti, ha rilevato Cacciari, la differenza
dei Beiträge rispetto a Sein und Zeit consiste
nel pensare l’apertura non più come un semplice progetto dell’uomo, ma come possibilità offerta all’uomo dall’Ereignis stesso.
Bisogna cioè appartenere all’Ereignis perché l’uomo possa aprirsi. I Beiträge sono il
testo in cui si sviluppa in maniera più radicale la critica dell’ontoteologia.
Secondo lo schema heideggeriano possiamo constatare nella nostra tradizione tutta
una serie di differenze di tono all’interno
della proposizione fondamentale che considera l’arché, l’inizio, come Ente, la cui
straordinarietà rispetto agli enti consiste
nel fatto che questo Ente è causa sui e
coimplica in sé la totalità degli enti. E’
cioè, in termini heideggeriani, dimenticanza dell’Essere rispetto all’Ente. Ma
questa posizione del discorso heideggeriano è, secondo Cacciari, ulteriormente problematizzabile soprattutto se la confrontiamo con la tradizione neoplatonica, secondo la quale il problema non riguarda
più la differenza tra l’Ente Sommo e gli
Enti, ma tra l’Ente in generale e l’Uno. La
tradizione neoplatonica non interroga più
la differenza nell’ambito degli enti, del
Dasein, ma la differenza tra l’Ente in generale e l’Uno.
Per Plotino, ha rilevato Cacciari, il punto
di confronto è la teologia aristotelica che
pensa il Dio come Primo Intelletto, e in
quanto Dio stabilisce l’unità tra il pensiero
e il pensato. Il Dio aristotelico è dunque
pensiero di pensiero, e questo primo pensiero è per Plotino identico a quello della
seconda ipotesi del Parmenide di Platone,
all’ “Uno che è”, in cui l’Uno è pensato
identico e differente insieme all’Essere. L’
“Uno che è” è identità di pensiero e pensato, identità che risolve in sé la differenza,
e in quanto tale è insieme Uno ed Essere.
Per Cacciari, Plotino è dunque il primo ad
indicare lo spostamento dall’indagine all’interno dell’essente all’indagine sulla
differenza tra l’Uno e l’essente. L’ “UnoUno” della prima ipotesi del Parmenide è
l’Uno-Bene platonico, il quale non è lo
stesso dell’Essere come totalità dell’essente. Questa differenza tra Unum-Unum
e Unum-Esse, ha fatto notare Cacciari, è
avvicinabile proprio al tema della differenza ontologica che riguarda l’eccedenza
dell’essere, nell’accezione heideggeriana,
rispetto ad ogni predicazione di essenza,
rispetto ad ogni ente.
Il pensiero della teologia cristiana dell’arché, ha poi proseguito Cacciari, presuppone una causa necessariamente legata a un
effetto; questa teologia è cioè legata necessariamente ad una rivelazione, ad una
scrittura, e deve dunque pensare il principio come causa e determinarlo, rappresentarlo, proprio come indicava Heidegger.
D’altra parte, fa notare Cacciari, questa
teologia non può limitarsi allo schema
ontoteologico, giacché se si limitasse a
50
questo, non solo determinerebbe la causa,
ma la collegherebbe anche all’effetto, facendo di Dio, a-priori, un Deus sive natura, causa immanente all’effetto e rappresentabile nell’effetto; un Dio necessitato
all’effetto. Ma se per la teologia cristiana
non si può ammettere un Dio necessitato,
questa non può che rivolgersi alla tradizione platonica, all’idea di una divinità totalmente libera dall’essere causa, anche se
così facendo incorre nel problema della
relazione tra Unum-Unum, l’indefinibile,
e l’Uno-che è. La tradizione neoplatonica
salva la differenza ontologica, ma non
spiega questa relazione; la tradizione cristiana invece corre il rischio opposto di
spiegare profondamente la relazione tra causa ed effetto, ma di perdere la differenza.
Cacciari ha rilevato come queste due tradizioni siano continuamente intrecciate tra
loro ed entrambe si interroghino sul problema dell’ontoteologia, disegnando, col
problema dell’Uno e dell’Essere, un circolo vizioso. Se infatti viene posto l’UnoBene al di là di ogni predicazione d’essenza, ha osservato Cacciari, non si può considerare la molteplicità, ma si è costretti a
ricorrere alla mitologia. Se viceversa l’Uno
è Trinitas, pensa la moltitudine e necessita
Dio all’effetto. Nella VII Lettera di Platone appare, sotto forma di mito, il problema
dell’Uno, che qui viene chiamato matema,
in quanto scienza che non è comunicabile
in alcun modo. Si tratta di una “Cosa”, di
un pragma che sfugge al logos in quanto
episteme, in quanto discorso della scienza.
Si tratta dunque dell’uno stesso in quanto
indefinibile nella sua singolarità rispetto
alla quale la ragione, l’episteme, è insufficiente. E’ il matema dell’istante e della sua
paradossalità, rispetto al quale il pensiero
ammutolisce e insieme lo indica nell’istante
appunto in cui esso appare. A.C.
Guglielmo Ferrero
A cinquant’anni dalla sua scomparsa,
Guglielmo Ferrero è stato ricordato a
Roma e a Napoli con due Giornate
Internazionali di studio (3-4-5 dicembre 1992), organizzate dall’Università
Luiss, Facoltà di Scienze Politiche, e
dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, grazie anche al contributo del CNR. Il convegno ha avuto
come scopo non solo di tracciare - per
quanto possibile - gli itinerari culturali di un intellettuale assolutamente
atipico per la sua epoca, grazie all’utilizzo degli inediti conservati alla Columbia University di New York, ma
anche di comporre una visione d’insieme dell’enorme produzione di lavori antropologici, storici, sociologici, politici, letterari, giornalistici di
questo autore, che rimane un interessante interlocutore del nostro secolo.
CONVEGNI E SEMINARI
con gli insegnamenti di Agostino e Lutero,
denunciando il fallimento di una teologia
incapace di confrontarsi con la modernità.
Sulla base di Calvino, egli può ricordare
che Dio è alterità e Cristo è totalmente
coinvolto: la causa del Vangelo è la proposizione di questi due aspetti, che si raccolgono nel tema della fedeltà di Dio.
Il tema filosofico-teologico della crisi è
presente in altri due maestri della teologia
cristiana, Rahner e Bultmann, in cui il
problema della modernità e dell’emancipazione, si pone al di là degli scenari
deludenti dell’ideologia. Bultmann si riferisce al “primo” Heidegger e parla dell’uomo come essere posto nella decisione;
Rahner, nella sua antropologia trascendentale, parte dalla rivisitazione della Scolastica per aprirsi ad un dialogo con la
soggettività moderna.
Bultmann, ha rilevato Forte, porta con sé
l’eredità della teologia dialettica e della
teologia liberale, nel tentativo di cogliere
l’alterità nell’autenticità dell’esperienza
esistenziale: l’essere si manifesta nell’esserci e l’esserci è possibilità di autenticità
e inautenticità, come testimoniano le pagine del Vangelo. La storia, per Bultmann,
non è una serie di fatti bruti, ma la possibilità di un incontro, che non è stato contemplato né dalla concezione greca dell’uomo, né dagli esiti nichilisti del pensiero
contemporaneo. In campo religioso, ha
fatto notare Forte, Bultmann critica l’im-
missione del concetto non teologico di
natura e di essenza, giacché Dio non è una
forma, bensì un pungolo che ci spinge a
decidere di noi stessi. Rahner parte invece
da una sostanziale dedizione alla fede della sua Chiesa, ma non si accontenta di una
riproposizione asettica dell’oggettivismo
classico, avendo ben presente che la teologia e la filosofia contemporanee devono
fare i conti con il problema della soggettività. Egli teorizza la concezione della trascendentalità come incontro tra oggettività e soggettività: l’a-priori è segno della
trascendenza dell’uomo.
Il complesso e fecondo rapporto tra filosofia e teologia ha condotto Forte ad un’attenta analisi anche del pensiero di Bloch;
è emersa qui l’immagine di un Hegel pensatore della rivoluzione, ma anche quella
di un Hegel filosofo della restaurazione.
L’analisi della problematica di Moltmann
ha condotto invece Forte al tema dell’escatologia e alla prospettiva della speranza come
forma del pensiero: la trascendenza è la
dimensione dell’incontro personale col Dio
vivente perché, in ciascuno di noi, è viva
l’inquietudine della promessa e dell’attesa.
Il confronto tra teologia e filosofia ha
indotto, infine, Forte ad interrogarsi sulle
varie e intricate vie della filosofia di
Heidegger, di cui non va proposta una
fuorviante teologizzazione. Heidegger ha
insistito sul tema dell’ascolto, che si differenzia nettamente dall’atteggiamento spe-
culativo di un Occidente segnato dall’oblio
del senso dell’Essere: nella dimensione
dell’ascolto non si tratta di rinunciare alla
domanda, ma al protagonismo della domanda, consentendo al linguaggio di divenire dimora dell’Essere. L’Essere si dice
nel linguaggio, perché l’evento del dire
originario è composizione ed amore, glorificazione e lode. Il rifiuto della teologia
in Heidegger, ha osservato Forte, è legato
alla constatazione che la stessa dimensione teologica non ha saputo resistere alla
violenza di spiegare l’essere con l’ente,
l’alterità con l’identità. D’altra parte, l’impostazione teologica autentica, in quanto
ermeneutica, è consapevolezza dell’alterità e della differenza: la teologia può anche
essere vicina alla consapevolezza dell’impossibilità di scambiare l’ente con l’Essere, alla coscienza che l’Essere non va
dominato, ma accompagnato. Inoltre, per
Heidegger, la poesia è luogo di un avvento
che non si estingue neppure nel tempo della
povertà e della notte del mondo; tale tensione
ontologica trova riscontro in due tappe fondamentali del pensiero teologico, quella dello Pseudo-Dionigi e quella di Lutero, in cui
vive profondamente il senso di un approccio
diverso al Divino e al linguaggio. F.deC.
Pensiero e verità in Adorno
Con il titolo
PENSIERO E VERITÀ NELLA
DIALETTICA DI T. W . ADORNO ,
si è svolto a
Chieti nei giorni 22 o 23 aprile 1993,
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, una conferenza organizzata dai
Cattolici Popolari con la partecipazione di Massimo Nardi, autore del volume: PENSARE NELLA VERITÀ. L’ITINERARIO
DELLA RAGIONE DIALETTICA IN TH. W. ADORNO (Ed. Studium, Roma 1993).
La conferenza si è articolata in due momenti, il primo dei quali è stato dedicato
all’approfondimento del problema della
conoscenza e della verità, col delinearsi
del rapporto tra soggetto ed oggetto alla
luce di tre componenti fondamentali, che
Massimo Nardi individua nel pensiero di
Adorno, vale a dire quella fenomenologico-trascendentale, quella linguistico-ermeneutica e quella esistenzialistico-dialettica. In secondo luogo l’attenzione è stata
rivolta al rapporto controverso di Adorno
con Kierkegaard, rapporto caratterizzato
da un forte contrasto critico, in termini teoretici, a cui corrisponde una sostanziale dipendenza genetico-strutturale tra i due autori.
Sempre in relazione alla tematica gnoseologica è stata messa in evidenza la portata
antropologica dell’originale definizione
che Adorno dà dell’io umano: insieme di
logos e mimesis. E’ da questa connessione
originaria che scaturisce il legame fondamentale tra filosofia ed arte e la possibilità
di uscire dalla contrapposizione di dogma-
Karl Barth
49
CONVEGNI E SEMINARI
Karl Rahner, Ernst Bloch
siano solo un contenitore, prive di contenuto proprio; dall’altro un’attrazione, che
fa da “contrappeso”, per i testi originali,
per quanto fittizi, come quelli di Ossian.
A proposito di stratagemmi di traduzione, Yves Hersant ha ricordato il dibattito in Francia sul “nome” del traduttore
(XVI secolo). Nel momento in cui, uscendo dalla pratica anonima del Medio-Evo,
il traduttore acquista una sua “identità”,
egli fa in qualche modo pagare all’autore la sua identità per procura: la figura
ricorrente del traduttore è in quest’epoca
quella del servitore fedele pronto a ribaltare il ruolo di dipendenza.
Uno sguardo più attento ai problemi contemporanei della traduzione ha preoccupato altri relatori: Georgy Katzarov,
traduttore in bulgaro di Derrida, si è
pronunciato sul “nome tradotto”, sui rapporti conflittuali e di scambio reciproco
fra traduttore e autore; Vladimir Trendafilov si è espresso sui “collages” postmoderni e sui reciproci “furti” fra le
lingue, evocando una soglia di traducibilità feconda sulla “medesima linea di
differenza”; Karel Thein ha analizzato
il testo di Benjamin sui compiti del traduttore; André Lyotard-May ha testimoniato delle difficoltà della ricezione
di Freud nell’America puritana. F.M.Z.
Tratti del moderno
tra filosofia e teologia
Dal 22 al 26 marzo, presso l’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli,
si è tenuto un seminario condotto da
Bruno Forte sul tema: FIGURE E MOMENTI
DEL DIALOGO “MODERNO” TRA FILOSOFIA E
TEOLOGIA, in cui, attraverso l’opera di
autori come Barth, Bultmann, Rahner,
sono stati messi in evidenza i problemi
di un dibattito culturale, che permette
di comprendere molti dei tratti salienti
del nostro tempo e delle inquietudini
del mondo contemporaneo.
Uno dei pensatori più significativi della
modernità, anche in campo teologico, è
certamente Hegel, che in nome di una
rivisitazione del pensiero cristiano individua il carattere della filosofia nel desiderio
di totalità, dispiegamento della ragione e
dell’Assoluto. Hegel, ha notato Bruno
Forte, parla di Dio come spirito e riconciliazione della coscienza; la manifestazione progressiva dell’Idea, fino allo Spirito
Assoluto, è il cammino di Dio. Diversamente da quest’impostazione, Barth vive
invece profondamente l’esperienza della
totale alterità di Dio, rinvenendo una via
nuova per scoprire l’umanità di Dio nella
divinità del Cristo. In Barth, ha osservato
Forte, è presente il problema della “crisi”
epocale novecentesca, contrassegnata dalle crepe del mondo liberale e dalla doloro48
sa esperienza della guerra mondiale. Barth
comprende la difficoltà di cogliere le direttrici del cambiamento, soprattutto perché l’uomo contemporaneo, più che appartenere ad un tempo, vive tra i tempi e tra
diverse esperienze; il problema del tempo
induce alla questione del silenzio, dell’inquietudine, della nostalgia. Di fronte alle
sfide epocali crolla la possibilità di un
ottimismo teologico-filosofico, l’idea di
una ragione che superi i conflitti.
Riguardo all’idea che il cambiamento sia
legato al dominio della ragione, Barth non
accetta più le impostazioni della teologia
liberale: le tesi di Schleiermacher e dei
teologi liberali, sottomettendo l’annuncio
alla ragione interpretante, finiscono per
applicare il metodo di Hegel alla teologia
e rendono la fede una provincia dello Spirito. Occorre, dunque, mettere in discussione la religione dello Spirito, che non
cambia le contraddizioni dell’esistenza, e
che pone Dio come proiezione dell’umano
su un piano più elevato. Barth, ha rilevato
Forte, introduce in tal senso le categorie
della differenza e dell’alterità: Dio è infinitamente altro dalla finitezza; pone in
crisi i valori e i concetti umani. E’ dunque
necessaria una teologia del Verbo; Dio va
pensato come sconosciuto e rivelato. Eppure, ha osservato Forte, il Dio totalmente
altro di Barth non è lontano da noi; Egli è
l’impossibile possibilità, la differenza che
può anche condurre all’identità. Barth rinnova di fatto il legame del cristianesimo
CONVEGNI E SEMINARI
nente variabile-individuale che nella comunicazione verbale è responsabile delle variazioni all’interno del “sistema”
linguistico. Ma questo punto di vista
appare del tutto inadeguato a chi, come
Bréal e de Saussure, affermava che la
linguistica non è descrizione di forme
ma è frutto dell’uomo, delle sue diversità e a lui deve ritornare.
Questa stessa complessità nativa degli approcci metodologici allo studio del linguaggio è responsabile, secondo Federico
Albano Leoni, della difficoltà di reperire
un ruolo definito per la fonetica. E’ infatti
accaduto che le diverse correnti teoriche,
di volta in volta dominanti nel panorama
scientifico complessivo, fossero scarsamente interessate alle manifestazioni esteriori del linguaggio e che perciò alla fonetica stricto sensu subentrassero poi la fonematica e la fonologia. Per una serie di
contingenze, però, che vanno dalla rivalutazione nell’ambito dell’analisi linguistica del linguaggio parlato, alla messa a
punto di tecniche e strumenti più raffinati
per la rilevazione dei dati, fino alle esigenze pratiche dell’industria informatica, si è
giunti ai nostri giorni a una effettiva rivalutazione dello studio fonetico.
Peirce rappresenta una delle voci più autorevoli e significative del pensiero logico-matematico del nostro secolo. Massimo Bonfantini ha sottolineato la stretta
contiguità teorica del pensatore americano
con le problematiche dell’incomunicabilità e del valore del senso che sono rivalutate
da Peirce sulla scorta dell’influenza delle
Untersuchungen wittgensteiniane.
Nel considerare le radici neolatine della
questione linguistica, Giovanni Polara
ne ha sottolineato soprattutto gli aspetti
filologici e ha focalizzato l’attenzione sui
problemi storico-culturali legati alla nascita della tradizione sulla scorta dei testi
grammaticali del tardo impero romano. A
partire dai secoli II e III d.C., l’indagine
del fatto linguistico diviene esclusiva pertinenza dei retori e dei grammatici, di
coloro, cioè, che consapevoli della funzionalità burocratica e politica della lingua
rimangono interessati agli aspetti meramente grammaticali, più che poetici, del
discorso. Di fatto, una preoccupazione di
natura squisitamente filosofica sull’essenza del nome, tratto speculativo che ancora
ricorreva nell’opera varroniana, ricompare solo verso la fine del VI secolo con
Isidoro di Siviglia. L’analisi della parola si
fa studio del significato, indagine della
struttura profonda della comunicazione, e
il linguaggio non viene considerato più
come strumento da utilizzare, ma anche
come uno scrigno di valori semantici da
comprendere e da trasmettere.
Ora, proprio intorno alla problematica nascita della “significatività” del discorso
(quale testimonianza della messa a confronto di due parlanti, di due soggetti di
langue), la riflessione di Ricoeur recupera, riallacciandovisi idealmente, il baga-
glio culturale della tradizione scolastica
medievale. Domenico Iervolino ha sottolineato, infatti, come la semplice datità del
fatto linguistico che, per uno studioso di
problemi del linguaggio costituisce un fenomeno (su cui poi stabilire una serie
teorica), rappresenti già invece per Ricoeur
un problema. Questionare intorno al linguaggio comporta inevitabilmente che si
assuma la difficoltà del rapporto intersoggettivo: il discorso è superamento delle
individualità, contatto fra le alterità, pensiero comune di identità ed alterità; non a
caso, come più avanti ha notato Iervolino,
un momento cruciale nella riflessione di
Ricoeur è rappresentato dall’analisi del
problema dell’intersoggettività in Hegel e
Husserl. Il valore della comunicazione discende allora proprio da questa originaria
tensione monadica che separa e isola i
soggetti nelle loro individualità irripetibili, ma che li mette in questione nella loro
molteplicità quando essi divengono altrettanti momenti di un discorso. Il discorso è
dunque il «momento dell’incomunicabilità superata», afferma Ricoeur, ed è già una
risposta al problema della comunicazione:
dalla semplice messa a confronto degli
unici si potrà giungere a una definizione
multivoca delle individualità. Ma al Discorso Trionfante si arriva solo percorrendo una lunga strada, infinita, quasi asindoto della comprensione; ed in effetti noi
ancora vaghiamo negli sterrati del “discorso militante”. M.P.R.
Violenza e traduzione
A Melnik, in Bulgaria, si è tenuta una
tavola rotonda franco-bulgara sul
tema: VIOLENZA E TRADUZIONE. L’incontro
è nato come bilancio e apertura: bilancio di un gruppo di lavoro in seno al
“Centre Europe” di Parigi, che si è
occupato quest’anno del carattere
“violento” della traduzione; apertura
a dei colleghi bulgari che della violenza, in particolare ideologica e politica
hanno una cognizione concreta e dolorosa. I lavori si sono svolti dal 7 al 10
maggio 1993 con il concorso dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di
Napoli.
Il termine stesso di violenza è stato al
centro delle discussioni, durante le quali
le posizioni si sono scontrate ma anche
poco per volta “raffinate”, assottigliate.
Per alcuni, violenza è termine “macroscopico”: indica le procedure di lavoro
di una lingua sull’altra, le torsioni del
traduttore sull’autore, le invenzioni linguistiche, che tanto cercano di essere
fedeli al testo, quanto mistificano, deviano il senso. Per altri, violenza è termine
“microscopico”: contrassegna la presenza di un potere che censura, manipola,
47
tace o nega. E’ la mancanza di voce e non
solo la sua torsione.
Sulla violenza della traduzione connessa al potere, soprattutto gli ospiti bulgari
hanno portato numerose testimonianze:
Stoyan Atanassov ha raccontato gli ostacoli incontrati per la pubblicazione di
un’antologia degli scritti di R. Barthes;
Dimiter Zachev, invece, si è occupato
della traduzione di Jaspers in russo. Vladimir Gradev ha ricordato, d’altro canto, la volontà politica di “normalizzazione” dei testi in Bulgaria, centrando il suo
intervento su una “cattiva traduzione” di
Pascal.
Ma sul nesso violenza-potere è intervenuta anche Camilla Cederna, con un
intervento sulle strategie di traduzione
in Sicilia, alla fine del XVIII secolo.
Cederna ha ricostruito il doppio filo di
attrazione e repulsione che la cultura
siciliana ha intrattenuto con le lingue
“straniere”, atteggiamento composito
ben espresso dal motto “nutrire l’altro e
divorare se stesso” con cui il popolo
siciliano sembra essersi identificato.
Pierre Penisson ha invece indagato le
ragioni ideologiche e pregiudiziali, secondo cui la traduzione di Kant in francese fu considerata a lungo impossibile,
a causa di una netta contrapposizione
culturale fra la Germania, profonda e
oscura, e la Francia, cartesiana e leggera. Un caso particolarmente interessante
di violenza, metà giudiziaria, metà letteraria, è stato quello presentato da Guillaume Monsaingeon: trattasi di un processo intentato da Victor Hugo a Mennier che ha tradotto la sua Lucrezia Borgia dall’italiano per farne un libretto
musicale. Attraverso l’accusa e la difesa
viene sollevato il problema del rapporto
fra teatro e opera, e sulla differenza (di
stile, di pubblico, di livello) fra rappresentazione e letteratura.
Della traduzione interna alla lingua si è
occupato Philippe Roussin, analizzando il rapporto di Céline con la traduzione, in particolare riguardo alla tensione
fra lingua morta e lingua, viva nel seno
della lingua poetica. Sulla traduzione
invece fra due lingue estremamente lontane si è pronunciata Viviane Alleton,
specialista di lingue orientali, con un
brillante intervento sulla trascrizione dal
cinese al francese.
Alcuni partecipanti hanno insistito sul
ruolo fecondo della traduzione e della
sua inevitabile violenza: tradurre nel
XVI-XVII secolo, afferma Nuccio Ordine, un autore antico, cioè un “classico”, significa entrare in competizione
con l’o riginale e impa dronirsi d i
un’auctoritas altra per rivendicare la
propria originalità. Philippe Roger ha
invece individuato nell’epoca della Rivoluzione francese due tendenze contraddittorie: da un lato la parola d’ordine
dell’esportazione della lingua francese e
la convinzione che le lingue straniere
CONVEGNI E SEMINARI
noto, Benjamin contrappone all’approccio classicista, all’idea di un mondo senza turbamenti, allo sguardo solare e panoramico della totalità, la prospettiva “barocca”, connotata invece dalla Vergänglichkeit, dal senso di caducità di tutte le
cose, dalla riflessione sulla morte, che
trova nell’allegoria la più adeguata manifestazione della mentalità “barocca”,
nel loro comune procedere e porre a
tema il momento dello scacco, del naufragio, del frammento. A partire dall’equazione di Benjamin per cui «le allegorie sono, nel regno del pensiero, quello che sono le rovine nel regno delle
cose», Agazzi ha concluso sottolineando in Benjamin l’assimilazione di verità
allegorica e “archeologismo”. P.C.
Christoph Clavius
Un convegno internazionale dal titolo: CRISTOPH CLAVIUS E L’ATTIVITÀ SCIENTIFICA DEI GESUITI NELL ’ETÀ DI GALILEO, si è
tenuto dal 28 al 30 aprile 1993, organizzato dall’Istituto di Filosofia dell’Università di Chieti con il contributo
particolare di Ugo Baldini, autore del
volume, recentemente pubblicato,
STUDI SU FILOSOFIA E SCIENZA DEI GESUITI IN
ITALIA, 1540-1632 (Bulzoni, Roma 1993).
Il convegno è nato dal proficuo rapporto di
collaborazione internazionale tra le Università di Chieti e Bamberga, dove nacque
Cristoph Clavius. L’avvio ai lavori è stato dato dalla relazione di E. Pastine che ha
evidenziato l’eredità dell’umanesimo nella cultura gesuitica, mostratasi una forza
religiosa altamente riformatrice. A riferire
sulle innovazioni della cosmologia dei
gesuiti nella Rosa Ursina di Scheiner, si è
presentato C. Dollo, che ha sottolineato la
convergenza delle tesi di Galilei e Scheiner nel convalidare la regola di Agostino
secondo la quale, quando vi è contrasto sui
dati osservabili, è l’interpretazione del
Testo Sacro che deve adattarsi ai fatti
certificati, non viceversa.
Le relazioni di A.Garibaldi e di S.Corradino hanno trattato rispettivamente la problematica della risoluzione della quadratrice da parte dei gesuiti e l’assiomatica
euclidea nel Cinquecento. Clavius inizia
infatti un’opera di riorganizzazione e liberazione della matematica euclidea dalle
“strettoie” dell’antefatto letterario, nel rispetto della specificità scientifica, ristabilendo definitivamente l’avvio assiomatico
della deduzione geometrica. C. Casadio
ha parlato della risolubilità delle prove
matematiche in sillogismi nell’opera di
Clavius e nella filosofia della matematica
tra Cinquecento e Seicento ed ha riproposto la tesi di Clavius dell’inutilità di ridurre in forma sillogistica le dimostrazioni
matematiche. G. Lucchetta ha invece in-
dividuato tracce di platonismo e di aristotelismo nella filosofia della matematica di
Clavius, sottolineando l’abuso che molto
spesso si fa dei due termini.
Delle fonti medievali dell’ontologia di
Suarez ha parlato L. Gentile, che ha spiegato le due modalità dell’analogia, quella
di attribuzione e quella di proporzionalità;
quest’ultima ritenuta da Suarez poco idonea, perché include qualità metastoriche.
L’analogia è propria in primo luogo del
concetto di ente, per cui Dio è ente per
essenza e le creature per partecipazione.
La relazione di P. Casini ha delineato la
complessa personalità del gesuita Tiraboschi ed il suo contributo per il progresso
della scienza. Nella Storia della letteratura, Tiraboschi si è ispirato agli enciclopedisti francesi; pur esaltando la genialità di
Galileo, Tiraboschi fa notare la testardaggine del pisano nel pretendere il riconoscimento ufficiale delle proprie teorie e nell’ammettere la fallibilità del tribunale che
lo condannò nel 1633.
Dopo aver ricordato il contributo di padre
Clavius alla riforma del calendario, l’astronomo J. Casanovas ha sottolineato l’impegno dei gesuiti nella promozione dell’insegnamento dell’astronomia o della matematica. Clavius non riscrisse mai completamente le sue opere, però lasciò un
folto gruppo di discepoli ben addestrati
alla ricerca scientifica.
Tra i relatori stranieri H. Enszenberg ha
parlato del rapporto società-religione nel
‘500 e ‘600 a Bamberga, mettendo in luce
le deficienze dell’egemonia vescovile che
si rivelò poco attenta alla causa cristiana.
E. Knobloch ha mostrato la poliedricità
della speculazione di Clavius, soffermandosi sulla tematica della quadratura del
cerchio; A. Ziggelaar ha invece illustrato
la corrispondenza tra diversi studiosi gesuiti europei che non ammisero la validità
delle teorie di Galileo, non perché erano
ideologicamente contrari, ma perché (non
avendo un cannocchiale perfetto) non riscontravano la certezza empirica dei postulati galileiani.
P. Tabarroni ha riferito sul ruolo della
scuola di Clavius in una situazione di degrado dell’astronomia tolemaica, ridottasi ad
ancella dell’astrologia giudiziaria, mettendo
in luce l’esattezza del sistema ticoniano oltre
a proporre la rivalutazione del Biancani,
allievo di Clavius e studioso delle maree.
Dei rapporti che istaurò la Compagnia di
Gesù con le città in cui essa operò tra il
Cinquecento e Seicento, hanno riferito diversi relatori. R. Moscheo ha messo in
evidenza la precarietà culturale della Sicilia e il rapporto guardingo e poco fiducioso
del matematico messinese Maurolico nei
confronti dei gesuiti; A. Romano ha invece riferito sulla situazione, tra il 1560 e il
1643, della Francia, tormentata dalle guerre di religione; nel 1594 venne infatti soppresso il collegio di Parigi. Clementi ha
ricordato l’impegno di Bellarmino a Acquaviva per l’istituzione di collegi gesuiti
46
a l’Aquila, superando l’opposizione dei
signori aquilani. A Napoli invece, come ha
riferito R. Gatto, si istaurò un buon rapporto tra la cittadinanza e i gesuiti, che
mostrarono (almeno a livello teorico) molta
sensibilità verso le nuove teorie copernicane anche se Clavius si mostrò, verso di
esse, sempre cauto e ritenne il vecchio
sistema solare il più “probabile”.
I gesuiti non operarono soltanto in Europa,
ma addirittura in Oriente; ad illustrare il
contributo scientifico della scuola di Clavius in Cina è stato I. Iannacone, che ha
riferito dell’opera dei missionari gesuiti,
in particolare di Rho, Schall e Terrentius,
che riuscirono a creare uno scambio significativo tra la cultura rinascimentale europea e quella cinese. Gli allievi di Clavius
introdussero un tipo di sperimentazione
laica, priva di dogmatismo teologico, ed il
loro impegno si rivolse prevalentemente
all’ambito scientifico piuttosto che a quello religioso. A.S.
Linguistica,
semiotica, ermeneutica
Un ciclo seminariale in cinque lezioni
sul tema: LA PLURALITÀ DEGLI ASPETTI LINGUISTICI. LINGUISTICA, SEMIOTICA, ERMENEUTICA, si è svolto dal 9 marzo al 6 aprile
presso il dipartimento di Filosofia dell’Università “Federico II” di Napoli. Organizzata da Domenico Iervolino, che
ne ha concluso il ciclo, la serie di appuntamenti settimanali ha visto alternarsi
docenti e studiosi di diversa formazione scientifica, da Rosanna Sornicola e
Federico Albano Leoni, a Giovanni Polara, a Massimo Bonfantini.
Nel sottolineare la sequenza di discontinuità che definisce la pluralità strutturale
dello studio del linguaggio, Rosanna Sornicola ha puntualizzato le difficoltà oggettive che si incontrano nel tentativo di
tradurre reciprocamente modelli linguistici afferenti alle diverse discipline scientifiche e, richiamandosi alla distinzione
chomskyana tra adeguatezza descrittiva e
adeguatezza esplicativa, ha posto l’accento sulla sostanziale incompatibilità della
modellistica teorica con l’oggettualità “bruta” del fatto linguistico. E’ tuttavia possibile rintracciare una seria problematica
comune all’interno delle diverse teorie che,
sicuramente, presentano una divergenza
fondamentale nella descrizione linguistica, ma che condividono però un obiettivo
epistemologico unico, quello di fornire
una buona descrizione di una lingua. Ora è
chiaro, ha osservato Sornicola, che uno
strutturalista, sulla scorta di Bloomfield e
Mathesius, darà rilievo soprattutto alla
forma linguistica per spiegare le ragioni e
le economie di funzionamento del linguaggio, trascurando con ciò la compo-
CONVEGNI E SEMINARI
Il moderno di Benjamin
Si è svolto a Milano nel marzo 1993,
presso la Casa della Cultura, un dibattito, coordinato da Marina Calloni, sul
tema: WALTER BENJAMIN. LO SPAZIO DELLA
MODERNITÀ, con la partecipazione di
Elena Agazzi, Gianfranco Bonola, Giuliano Della Pergola, Ubaldo Fadini,
Ugo Perone.
L’incontro, come ha ricordato Marina
Calloni che lo ha organizzato e coordinato, ha inteso focalizzare due zone differenti, interessate dalla riflessione di Walter
Benjamin: quella degli scritti di filosofia
della storia, in qualche modo legati a Angelus novus, e quella costituita dalle teorizzazioni estetiche riferite all’ambiente urbano.
Gianfranco Bonola (“Metafore di salvezza”) ha focalizzato le tesi benjaminiane
relative alla filosofia della storia, sottolineando in esse il legame intercorrente fra
la riflessione più propriamente filosofica e
i testi di carattere “narrativo”. La storia,
più che materia di scienza, è oggetto di
“rammemorazione”, e ciò vieta di poterla
pensare prescindendo da una dimensione
teologica. Quest’ultima diventa così una
sorta di nuovo inquadramento, in funzione
ancillare e insieme direttiva, del materialismo storico. Tra un determinato presente,
e altrettanto determinati segmenti di passato, si stabiliscono, per il materialista
storico, nessi che fanno di presente e passato significanti reciproci, per cui solo
alcuni passati sono significativi per alcuni
presenti, e viceversa. E’ così che il passato
viene “redento”, strappato com’è, prima
ancora che all’oblìo, a una considerazione
museale, ovvero alla sua fruizione sotto le
spoglie dell’ “eredità”.
La funzione redentrice del presente nei
confronti del passato, cioè la funzione
della prassi storica della classe operaia,
distingue per Benjamin l’autentico materialista storico dal socialdemocratico positivista. Per questo Benjamin privilegia,
nella considerazione storica, il motivo del
“salto”, la discontinuità, l’intermittenza,
la contraddizione. L’ “attualizzazione”
(Jetztheit) ha valore, dunque, solo in una
prospettiva funzionalizzante rivoluzionaria; d’altro canto, ha sottolineato Bonola,
tale attualizzazione è possibile solo ipotizzando una giustizia superiore, trascendente, o “redentrice”, rispetto al presente da
cui si parte.
In un medesimo ambito di riflessione, Ugo
Perone (“Redenzione del moderno”) si è
soffermato sul nesso-tensione tra materialismo storico e teologia, proponendo la
metafora del manichino giocatore di scacchi, il materialismo storico, i cui fili sono
mossi da un abilissimo nano nascosto, la
teologia. L’intreccio, ha sottolineato Perone, è inscindibile, non resolubile nei termini di una distinzione di aspetti, né tantomeno in quelli di una successione di fasi
all’interno dell’evolversi della riflessione
benjaminiana. Questi due aspetti sono in
realtà reciprocamente escludentisi, negantisi: il materialismo storico intende “assorbire” la teologia, risolverla in sé; ma il
momento del riscatto qualifica teologicamente, e rovescia, il materialismo medesimo, messianizzandolo. La fedeltà alla storia costringe d’altra parte nell’immanenza, come solo orizzonte del riscatto, il
messianismo ebraico; quest’ultimo si connota così non come compimento ma, al
contrario, come frammentazione, come
rottura della continuità, come arresto del
movimento della storia. Contro Marx, la
società senza classi, o il Messia, non arrivano alla fine della storia, al termine del
suo sviluppo, ma si qualificano invece
come loro rottura, loro interruzione. Il
messianesimo è un riscatto della storia e
dalla storia; ma tale riscatto può avvenire
solo nella storia.
Partendo dal concetto di esperienza, Ubaldo Fadini (“I luoghi comuni di Benjamin”)
ha preso in considerazione la svalutazione
di questo concetto nella prospettiva benjaminiana, in cui l’ “esperienza” è intesa
come patrimonio, eredità del passato. La
tecnica, mentre getta l’uomo in un’opprimente povertà, in quanto lo priva del sostegno dell’esperienza, al contempo lo arricchisce, in questa povertà, di un’altrettanto opprimente ricchezza, ampollosa di
false idee e false speranze. Quanto più
l’esperienza non si collega (e non ci collega) più a un patrimonio culturale, quanto
più si è, in questo senso, poveri di esperienze - sia private, sia “politiche”, riferite
cioè all’umanità in generale - tantopiù si
cerca rifugio nella dispersione, nel guazzabuglio, nel barocchismo. Nasce così, e
va superata, la fase, peraltro necessaria,
della “nuova barbarie”, intesa come annientamento dei resti soggettivi, delle scorie immaginali (ovvero, marxianamente,
“ideologiche”), distaccate dalla corporeità
reale, quali le nozioni di “uomo interiore”,
“psiche”, “individualità”, e così via. Laddove, per converso, l’azione reale produce
l’immagine, ed è quest’immagine, non c’è
posto per le scorie immaginali, per la menzogna, per l’ideologia; resta il corporeo, la
fisicità che si realizza nella tecnica, nell’oggettività, dove corporeità e attività immaginale si compenetrano. La tecnica
diventa protesi di uno spazio corporeo
collettivo che produce il proprio spazio
immaginale.
Giuliano Della Pergola (“La Parigi di
Benjamin”) ha ricordato le riflessioni benjaminiane contenute in Parigi capitale del
XIX secolo, dove la capitale francese viene
interpretata come luogo privilegiato dell’affermarsi della modernità nell’Ottocento. Le teorizzazioni di Benjamin hanno,
insieme, la caratteristica di riflessione estetica e politica, come individuazione delle
forme di sviluppo della metropoli, nel momento in cui essa si evolve dal localismo al
cosmopolitismo. L’essenza del cosmopolitismo, che è cifra della modernità, consi45
ste in quel processo di fatuità di cui la
metropoli è spazio principe: consiste nella
sovrabbondanza, nell’apparire contrapposto all’essere, nell’ostentatività, nella moda,
che è «la ricerca sempre vana, spesso ridicola, talvolta pericolosa, di una superiore
bellezza ideale». Dal punto di vista antropologico la vita viene strutturata dalla velocità: la conoscenza diviene essenzialmente
strumentale, rimane al livello dell’informazione. Il tipo di sapere dell’uomo metropolitano è finalizzato alla comunicazione:
non è un sapere per sé, ma un sapere “per
altri”, ripetitivo e massivo.
Relativamente a Parigi, Benjamin ha come
obiettivo polemico la ricostruzione ottocentesca attuata da Haussmann, che ripensò una metropoli dell’ordine e della
geometria urbana. Fu attuato, nel contempo, un riordino sociale attraverso una selezione antropologica improntata alla razionalità pianificatoria, tipica caratteristica dei
ceti emergenti post-rivoluzionari, e all’odio
profondo per l’individualità. In un’accezione tipica della Scuola di Francoforte,
nel progetto urbanistico di Parigi si manifesta per Benjamin la “dialettica della razionalità”: un progetto geometrico che scompare come senso generale, per riemergere
solo come aggregato di funzioni urbane
manipolate. Nella società di cui la Parigi
ottocentesca è prefigurazione, l’individualità diventa un feticcio, privata di un autentico rapporto con la realtà, ricacciata nella
dimensione onirica. Parigi medesima diventa, ha sottolineato Della Pergola, il prodotto onirico di un’individualità schiacciata in esso: dal sogno della città imperiale di
Napoleone III alla Parigi delle fogne è
possibile parlare di una città sognata che si
sovrappone a quella reale; un sogno che
racchiude l’Arco di Trionfo e le cloache.
Elena Agazzi (“Walter Benjamin: verità
del frammento e culto delle rovine”) ha
infine incentrato il proprio intervento a
partire dalla polemica che Benjamin ingaggia nei confronti del mondo classico, e
dal suo rapporto con la figura di Winckelmann. Agazzi rileva un’ambivalenza fra
la netta condanna espressa nei confronti
del classicismo, dove Benjamin vede rilucere la falsa apparenza della totalità, e il
più sfumato giudizio su Winckelmann, nel
cui approccio estetico il filosofo tedesco
individua invece l’emergere delle istanze,
totalmente aclassiche, del frammento e
dell’espressione allegorica, riguadagnata
alla dignità di espressione artistica, con
valenza “gnoseologica”, al di là del suo
mero aspetto di tecnica.
Benjamin si richiama esplicitamente alla
componente “rinascimentale” dell’opera
winckelmanniana, quando evidenzia il carattere euristico e “poietico” dell’allegoria: l’allegoria insegna all’artista a inventare, al di là e contro l’atteggiamento mimetico che contraddistingue, invece, l’approccio classicista. Quest’ultimo si instaura
a partire da uno sguardo simbolico, che si
esplica sotto gli auspici del mito. Come è
CONVEGNI E SEMINARI
Walter Benjamin nella Bibliothèque Nationale a Parigi (1937)
44
CONVEGNI E SEMINARI
sazione dei confini della discussione filosofica sull’etica, Magri si è soffermato in
primo luogo sulla registrazione dell’esclusione, in questo fascicolo di “Paradigmi”,
della prospettiva analitica, ad eccezione di
un saggio. Si tratta di una scelta che, per
Magri, può essere in qualche modo discussa indicando le ragioni di un’ “etica” analitica come soggetto del dibattito filosofico-morale contemporaneo. Quattro “ambiti” o “aree” di impostazione analitica,
hanno compiuto notevoli sviluppi nella
discussione della moralità. In primo luogo, le discussioni sul significato del linguaggio morale, sui modi in cui si possono
formulare e difendere linguaggi morali; si
è passati qui da una visione atomistica di
discussione dei singoli enunciati morali ad
un approccio molto più ampio e più radicale, con una crescita dell’oggetto della metaetica nel campo più importante degli
esami dei procedimenti di costruzione e di
controllo di argomentazioni di più singoli
enunciati e addirittura di intere teorie morali. In secondo luogo, un passaggio di
filosofi analitici dalla semplice analisi logico-linguistica ad un altro tipo di analisi
dichiaratamente metafisico. In terzo luogo, il convincimento che in filosofia morale si può aspirare a giungere a delle conclusioni normative, a delle vere e proprie
prese di posizione. Da ultimo lo studio del
rapporto tra norme morali ed azioni. I
problemi dell’etica sono problemi che devono essere affrontati e definiti sulla base
di una costruzione teorica razionale fortemente controllata; è proprio in tale prospettiva che la nuova filosofia analitica
offre uno sfondo di discussione.
Per Arnalo Petterlini vi è una convinzione che fa da sfondo e che collega i contributi presenti nel fascicolo monografico
Paradigmi: il venir meno di una realtà
assoluta in campo etico, non solo rende
problematico il “tu devi”, ma carica l’uomo stesso del peso e della responsabilità
delle proprie scelte. Oggi assistiamo molto spesso ad un richiamo all’etica della
solidarietà e al collegamento tra la negazione dell’assolutezza da un lato e l’assunzione di responsabilità dall’altro. Si è pervenuti a dire, ha osservato Petterlini, che la
morte di Dio è il prezzo più o meno elevato
per l’autentica emancipazione dell’uomo.
Se la garanzia teologica o metafisica è
venuta meno non si può che assistere al
dispiegarsi dell’effettualità, dell’indifferenza; assistere a quello che è stato detto il
“politeismo dei valori”, secondo cui per
ognuno sono sacri i propri valori, non solo,
ma la realizzazione di un valore nella prassi è ottenuta contro altri valori. La prassi
si rivela, così, come il luogo dell’intolleranza, il luogo della violenza, nel senso
che l’impossibilità di determinare in
maniera decisiva il valore della scelta
comporta, per ciò stesso, l’impossibilità
di determinare il disvalore delle scelte
opposte: la violenza è il necessario appannaggio del problema della condizio-
ne umana, in quanto conseguenza di un
impossibile fondamento teorico. Ciò che
si realizza con la determinazione di un
valore è un puro fatto, che si impone, che
prevarica. Se il luogo dell’etica, della
prassi è il luogo della violenza si tratta
allora, ha ribadito Petterlini, di collocarvi, ove è possibile, una ragione pratica,
intesa in termini contemplativi, come
una regola del gioco utile anche se non
vera, utile sino a quando non prevarranno altre regole e altri giochi.
Augusto Ponzio ha proposto di ricercare
una specie di filo conduttore della raccolta
di saggi nella domanda: «C’è ancora tempo, c’è ancora spazio per l’etica nella cultura contemporanea?» Ma se il tempo non
è il tempo lineare, continuo, il tempo di
Kant, di Hegel, della predizione, della
filosofia della storia, ma è il tempo della
rottura, della divisione, della discontinuità: «C’è ancora spazio per l’altro? C’è
ancora spazio per la politica?» Nel fascicolo di “Paradigmi” la temporalità è tematica esplicita del saggio di Giuseppe Barletta (“La vertigine del cominciamento.
Congetture (meta) etiche sul tempo e la
morale”), che sembra paradigmatico della
lettura di Ponzio proprio perché sottolinea
la discontinuità della situazione storica
dell’ Homo temporalis come essere vacuo;
la nascita e dall’altra parte la procreazione
come momento di separazione tra due tempi, il procreante e il procreato, che malgrado la loro connessione, sono in due tempi
completamente separati, per cui il tempo è
quello della discontinuità, apre immediatamente al problema dell’alterità e dunque
al problema della responsabilità e quindi
al tema della comprensione.
Questo nesso tra temporalità, alterità, responsabilità si ritrova con implicazioni
pedagogiche nel saggio di Bertolini La
crisi della contemporaneità: possibilità e
limiti dell’etica e della pedagogia. L’etica
come obbligo di trascendere il presente,
che è un’altra versione della dimensione
temporale, è uno dei temi del saggio di
Franco Bianco, Complessità dell’agire e
sua comprensione. Un altro saggio importante, in tale prospettiva, è quello di Giovanni Cera, Agire razionale e agire morale. Sulla coalterità come fatto e come
valore, dove si parte dal comprendere,
collegandosi con il significato dell’esserci
come poter-essere, che in quanto tale è
apertura, trascendenza, progetto, distinto
dalla semplice presenza chiusa, rappresa.
Se l’essere dell’esserci è un poter-essere,
comprendere è quindi comprendersi. Nel
saggio di Ferruccio De Natale si evidenzia che l’epoché husserliana non è un fatto
gnoseologistico, ma è un fatto prettamente
etico. L’epoché rappresenta la fuoriuscita
dalla continuità spazio-temporale e la possibilità di immaginare e di comprendere
spazi diversi. Quello di Mario Manfredi
è un saggio incentrato sull’altro, sulla responsabilità, sull’apprensione per l’altro,
sulla paura per/dell’altro connessa alla tem43
poralità come futuro. Nel saggio di Sergio
Moravia, Esistenza, etica e complessità
ritorna la problematica della discontinuità
temporale, là dove l’autore mostra come
all’interno dello stesso individuo, dello
stesso io ci sia una molteplicità di io; si
delinea così all’interno del singolo una
discontinuità temporale, che pone all’interno dello stesso io la domanda dell’alterità. Infine, la problematica della temporalità si piega in quella de La scelta, che è il
titolo del saggio di Giuseppe Semerari.
La temporalità della scelta concerne il suo
rapporto con la necessità, non ci può essere scelta se c’è soltanto una libertà. Il
rapporto tra necessità e libertà è di natura
temporale.
Franca Pinto Minerva è intervenuta sul
“bisogno dell’etica” nella società contemporanea, che è società aperta al possibile per tutti, caratterizzata dalla comparsa sulla scena di nuovi soggetti di
diritto e da un ampliamento di riconoscimento di diritti e dalla possibilità per
tutti di intraprendere percorsi di autoaffermazione; ma che contemporaneamente è il teatro della negazione di diritti,
dell’espansione della violenza. E’ intorno al tema della differenza e dei diritti
della differenza, ha osservato Pinto Minerva, che si pone per la pedagogia il
problema dello spazio dell’etica. In tale
prospettiva la pedagogia si presenta come
un discorso antinomico, un discorso di
fini ma anche di mezzi; di fatti ma anche
di valori; di analisi ma anche di progetti
per costruire il futuro. Il discorso dell’etica in pedagogia è, da una parte, quello
di una ridefinizione continua dei fini
dell’educazione. Dall’altra parte, la parola
etica si carica in pedagogia di significato
empirico, perché il problema non è solo
quello di individuare le dimensioni del
possibile, ma è anche quello di attivare
realmente dei comportamenti etici che
devono diventare fatti nella prassi di ciascuno. Le sollecitazioni derivanti dall’etica per la pedagogia riguardano l’esclusione di qualsiasi monocentrismo, antropocentrismo, logocentrismo, bloccocentrismo e il riconoscimento di una ragione
problematica e pluriculturale.
Giuseppe Semerari, direttore di “Paradigmi”, ha concluso il dibattito soffermandosi sulle caratteristiche della rivista che più la caratterizzano: la dimensione pluralistica e il rifiuto di ogni prospettiva “orto-scolastica”. L’inserimento e la dimensione locale è sempre stata
complementare ad una apertura nazionale e ad una collaborazione con studiosi di altre culture, di altre nazioni. Infine
Semerari ha ricordato il significato “celebrativo” di questo fascicolo monografico con il compimento, nel 1992, del primo
decennio di vita della rivista, rendendo
giusto ringraziamento al coraggio imprenditoriale dell’editore Nunzio Schena il cui
impegno organizzativo si è rivelato essenziale per la vita della rivista. F.R.C.
CONVEGNI E SEMINARI
base di ciò che essi ci raccontano. La traduzione diventa allora un operazione fondamentale perché in questo modo ci sforziamo di rendere ciò che i nativi dicono di se
stessi in un idioma differente da quello che
essi usano. Molti antropologi descrivono la
loro attività come traduzione di un’altra cultura - dei suoi segni e dei suoi simboli - nella
nostra lingua e nella nostra forma di vita; io
arrivo addirittura a sostenere che il modo con
cui la traduzione è concepita e realizzata sia
il vero nocciolo dell’antropologia.
D. Un presupposto fondamentale del suo
approccio alla realtà dei nativi è quello di
considerarla come un testo da decifrare. Il
suo collega Kevin Dwyer ha definito questa strategia interpretativa una sorta di
contemplative pattern e ad essa ha contrapposto il pattern of dialogical fieldwork,
che considera il momento discorsivo sul
campo, con le sue dinamiche interattive,
più adeguato per la comprensione dell’Altro, pur nella consapevolezza dei limiti di
ogni operazione interpretativa.
R. Questa discussione con Dwyer dura da
parecchio tempo e non sono d’accordo con
il suo punto di vista. Ritengo infatti che
l’interpretazione del testo - di qualsiasi tipo
di testo - sia molto attiva e la distinzione tra
i due modelli non sia valida. Il metodo di
lavoro che sviluppa Dwyer, e che mi sembra interessante, consiste nella costruzione
del testo antropologico in base all’interazione dialogica con l’informatore; ma sinceramente non vedo in che cosa si distingua
specificamente dal mio tipo di lavoro. Anch’io faccio quello che fa lui; ovvero parlare con i nativi, cercare di capirli, di comunicare e di costruire un testo che descriva la
loro realtà. Tuttavia Dwyer pensa che la
rappresentazione di un incontro basato sul
dialogo consista nella pura e semplice registrazione di esso, mentre ciò richiede necessariamente un’interpretazione, contro
la presupposizione che di per sé la registrazione sia più reale e diretta. In ogni caso
sono convinto che l’interpretazione sia necessariamente limitata e che non sia possibile né per mezzo del dialogo, né con altri
strumenti catturare pienamente l’esperienza altrui; ciò che possiamo fare è di fornire
un’interpretazione dotata di senso sulla base
delle differenze tra la nostra forma di vita e
quella dei nativi.
D. Lei ha ribadito con forza di essere contrario alle generalizzazioni affrettate e all’individuazione di categorie e sistemi classificatori astratti. Tuttavia, vi sono criteri
teorici in base ai quali ha condotto le sue
ricerche e le sue comparazioni?
R. Sono d’accordo che vi siano comparazioni che si possono fare; anzi, uno dei
motivi per cui ho fatto la scelta di studiare
la realtà del Marocco, dopo il mio soggiorno in Indonesia, è stato proprio di indagare
un’altra società plasmata dalla tradizione
islamica, riservandomi quindi la possibilità di individuare sia le affinità che le differenze. Questo confronto non l’ho limitato
esclusivamente al campo della religione,
ma l’ho esteso ad altri campi, quali l’economia e il sistema politico. Il mio modo
principale di procedere nelle generalizzazioni è di fare un assiduo avanti-indietro tra
i due oggetti di studio e di costruire una
sorta di struttura di comparazione, in modo
da riuscire a parlare di entrambe le realtà,
tenendo conto dell’individualità di ciascuna ed evidenziando il tipo di rapporto che
può essere istituito tra di esse. E’ un tipo di
generalizzazione delimitata in base all’incrocio di diversità ed analogie, per cui ho
sostenuto che il sapere antropologico si costituisce in tal senso come local knowledge.
Faccio un esempio per chiarire questo concetto: il confronto tra il Marocco e l’Indonesia mette in evidenza come una religione
- essenzialmente la medesima religione possa assumere una specifica fisionomia in
una realtà sociale rispetto all’altra. In primo luogo, il Marocco è un paese quasi
totalmente islamico, mentre in Indonesia
accanto all’islamismo coesistono differenti altri riti e strutture religiose. Inoltre, per
i marocchini l’islamismo è la base tradizionale costitutiva della loro società, mentre
per gli indonesiani quella religione è arrivata ad insediarsi relativamente tardi, per
cui i primi sono prevalentemente preoccupati di difendere la loro tradizione a differenza dei secondi, più inclini ad adattare e
conciliare l’islamismo con il contesto storico precedente. Se qualcuno trascura o
attenua queste differenze, che si estendono
oltre il campo prettamente religioso, finisce per operare generalizzazioni troppo
astratte e superficiali.
D. Lei ha indicato strade nuove di ricerca
con la sua proposta di un’ “antropologia
interpretativa” ed ha prospettato un incontro tra antropologia e filosofia. Per il
futuro della sua ricerca ritiene più importante lo sviluppo dei suoi rapporti con i
filosofi o con gli antropologi?
R. Certo, la mia è una strada di ricerca
possibile e promettente, anche se non posso sbilanciarmi nel dire che sia del tutto
nuova, perché in realtà è stata indicata già
da altri prima di me. Su certe direttrici è
possibile, a mio parere, procedere ulteriormente, studiare culture diverse, raccogliere serie di interpretazioni e collegarle l’una
con l’altra, è quanto stanno già facendo
molti degli antropologi contemporanei.
Per quanto riguarda la seconda parte della
domanda, non voglio operare una distinzione, in quanto qualsiasi antropologo deve
tenere rapporti con i suoi colleghi per reciproci scambi di lavoro; ma devo ammettere
che le intenzioni e gli obiettivi dell’antropologia sono fondamentalmente filosofici,
per questo intendo mantenere stretti rapporti con i filosofi. Ritengo tuttavia importante lavorare sia con gli uni che con gli
altri, senza discriminazioni, e, personalmente, ho cercato di stabilire sulla base di
analisi e ricerche antropologiche alcune
posizioni filosofiche nello studio delle relazioni all’interno delle culture e tra le
differenti culture.
42
Lo spazio dell’etica
Per iniziativa dell’Accademia Pugliese delle Scienze il 27 aprile 1993, nell’Aula Magna dell’Università di Bari,
ha avuto luogo una Tavola rotonda,
coordinata da G. Dotoli e da Francesco Tateo, per la presentazione e discussione del fascicolo monografico
n. 31 della rivista “Paradigmi”, dedicato al tema: LO SPAZIO DELL’ETICA NELLA
CULTURA CONTEMPORANEA. Sono intervenuti, F. Tateo, D. Bigalli, T. Magri, A.
Petterlini, F. Pinto Minerva, A. Ponzio.
«C’è spazio per l’etica nella cultura contemporanea?» L’etica non si risolve nella
politica, nell’economia? Non è ancora
scomparsa come principio dell’azione?
Non si è ridotta ad un oggetto della storia
della cultura? Francesco Tateo ha considerato i diversi saggi presenti in “Paradigmi” come risposte a tali questioni. Riprendendo le argomentazioni della Presentazione del fascicolo a cura di Giuseppe
Semerari, Tateo ha indicato le ragioni
storiche che fanno dell’etica il banco di
prova della filosofia e le difficoltà in cui si
imbatte la scienza condizionata dal persistere di reazioni nichilistiche e conferme
dogmatiche. La riflessione etica, ha osservato Davide Bigalli, si trova in un bilico
tra una specializzazione tecnico-disciplinare e uno spazio che fa riferimento ad una
generalità. Da un lato, si delinea un’etica
in situazione, che porta alla riflessione, a
saperi particolari, alla disseminazione dell’etica nelle etiche (questo è un prezzo che
il moderno sta pagando). Dall’altro lato si
tende a considerare l’etica non “disseminata” come qualcosa che appartiene al
passato, come una metanarrazione. L’esaurirsi di una figura dell’attività filosofica
non significa, immediatamente, per Bigalli, il venir meno dell’esigenza di totalità.
Forse si sta assistendo ad una dimissione
del grande spazio dedicato all’etica all’interno della storia della filosofia, che va dal
Rinascimento a Cartesio, sino al bon ton
seicentesco, settecentesco, fino alle grandi
pagine da Kant a Husserl, che si caratterizzano soprattutto come etica nei termini di
una scienza dei costumi, come progetto,
quindi, di umanizzazione dell’uomo e ridefinizione moderna del magnum miraculum della scienza occidentale. Il dramma dell’etica e della filosofia è la dialettica
irrisolta tra il filosofo come “spettatore
disinteressato” e il filosofo come “funzionario dell’umanità”.
Tito Magri ha invece sottolineato come
nella cultura filosofica contemporanea,
proprio lo spazio dell’etica è tanto più
esteso di quanto non fosse nei decenni
trascorsi, così da essere, probabilmente,
uno dei pochi spazi rimasti autonomi. Nello
stesso tempo si tratta di uno spazio estremamente complesso, che si configura con
aspetti di tendenziale contradditorietà.
Come elemento di integrazione e di preci-
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
‘A fatto compiuto’:
l’antropologia culturale di Geertz
Per il ciclo di lezioni “Questioni del
tradurre” il Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena
ha organizzato il 21 maggio 1993 una
lezione di Clifford Geertz dal titolo: RIFLESSIONI SULLO STUDIO DELLA CULTURA. A
FATTO COMPIUTO, in cui il noto antropologo, introdotto da Maurizio Viroli, ha
presentato alcuni passaggi dell’opera a
cui da alcuni anni sta lavorando con
l’intento di raccogliere oltre quarant’anni di esperienze di lavoro antropologico sul campo e nella discussione teorica, intervenendo su problemi fondamentali dell’antropologia culturale,
come quelli della comprensione, dell’argomentazione, della verifica del punto di vista, della concettualizzazione
teorica. Hanno partecipato al dibattito
Silvana Borutti, Alessandro Dal Lago,
Franco La Cecla, Steven Lukes.
Dopo aver presentato Clifford Geertz come
un cultore dell’arte dell’interpretazione,
Maurizio Viroli ha richiamato l’attenzione sulla possibilità di ricercare significati,
e non leggi, e di considerare l’elaborazione
concettuale meno importante della comprensione dei processi di vita. Negli scritti
di Geertz sono di fatto innumerevoli gli
spunti che conducono in tale direzione. In
primo luogo, ha fatto notare Viroli, ci troviamo sempre più a dover fare i conti con
aree di ricerca per noi oscure e minacciose,
che richiedono non di rinunciare al nostro
punto di vista, ma di avviare un processo di
interpretazione in cui i diversi parlano con
la loro voce, non con la nostra. In tale
situazione, non capire le differenze significa precluderci la possibilità di allargare i
nostri orizzonti mentali e di diventare visibili a noi stessi: l’interpretazione delle culture risulta in tal senso un presupposto fondamentale per comprendere chi siamo noi.
Per convalidare la sua nozione di comprensione in antropologia Clifford Geertz ha
esordito citando una frase di Kierkegaard:
«La vita è vissuta in avanti, ma è compresa
all’indietro.» Ricercare in prima istanza i
fatti, per poi passare all’interpretazione
come effetto della configurazione degli
elementi raccolti in fase di ricerca: sono
questi i presupposti con cui Geertz sta
raccogliendo la sua esperienze di studioso
di antropologia in un opera dal titolo: After
the fact (A fatto compiuto), che vuole essere nel contempo una sintesi delle sue ricerche su due paesi da molti decenni sotto la
sua osservazione, il Marocco e l’Indonesia,
ed una riconsiderazione riflessiva dell’antropologia come disciplina appartenente
all’ambito delle scienze sociali. Il volume,
suddiviso nei capitoli: Paesi, Culture, Egemonie, Discipline, Modernità, si presenterà come uno studio comparativo che a
partire dall’analisi di due cittadine, Pare,
che si trova a est di Giava, e Sefrou in
Marocco, si sviluppa in una considerazione
più allargata della cultura di questi due paesi.
La domanda fondamentale a cui Geertz
cerca in quest’opera di dare una risposta
riguarda il problema della descrizione delle realtà assunte come oggetto di osservazione. La tentazione dello studioso della
cultura è di ingabbiare la realtà nei suoi
postulati teorici, costruendo modelli, processi, teorie, in base ai quali distingue stadi
(Tradizionale/Moderno, Feudalesimo/Colonialismo/Nazione), individua tendenze
(ad esempio: maggior individualismo, minore religiosità, benessere crescente), postula mete di riferimento (ad esempio la
realizzazione dello Stato).
Ciò porta, secondo Geertz, alla illusione
della quiddità, alla presunzione di inquadrare le realtà osservate all’interno di boriose categorie, che occultano il lungo ed
ininterrotto processo di sedimentazione che
le ha formate, ovvero una sorta di paesaggio storico.
Contro questa impostazione Geertz solleva
forti obiezioni; il ricercatore raccoglie materiali eterocliti (storie confuse, resoconti
intuitivi, collegamenti instabili, sciami di
eventi e di inserti biografici) che scorrono
su una superficie temporale non lineare,
percorsa da correnti che ora viaggiano in
parallelo, ora deviano e si separano per poi
incrociarsi e dividersi di nuovo. L’esattezza, il parametro dell’oggettività, la sicurezza della verità diventano delle pure chimere. In realtà, l’antropologo è un bricoleur,
che lavora ad hoc e ad interim per mostrare
come elementi particolari possano essere
intrecciati in una interpretazione che pro41
duce un senso: la configurazione di una
certa realtà secondo un’ipotesi descrittiva
resta dunque una decisione dello studioso,
la cui validità dipende dalla capacità di tale
configurazione di render conto di tutte le
implicazioni successive e degli ulteriori
resoconti destinati ad ampliare l’orizzonte
rappresentativo in essa implicito. In tal
senso descrivere una cultura significa caratterizzare una forma di vita, mostrarla
sotto una certa luce e cercare di indurre
qualcun altro a guardarla allo stesso modo,
assumendosi tutte le responsabilità della
prospettiva adottata.
Queste posizioni teoriche rappresentano il
punto di arrivo di oltre quarant’anni di
studi e ricerche; Geertz ne fa il punto nel
momento in cui la cultura occidentale ha
radicalmente mutato il suo atteggiamento
nei confronti delle altre culture e ha abbandonato la certezza della sua superiorità e
della continuità dei cambiamenti in atto.
Già nel corso degli anni ’50 questo processo di revisione delle relazioni tra le nostre
rappresentazioni delle culture indigene e le
loro realtà iniziò a svilupparsi. Parallelamente, cominciò a declinare l’immagine
romantica dell’antropologo come esploratore solitario ai margini della civiltà. In
questo scenario il ruolo dell’antropologo
può diventare quello di voce per altre voci,
di narratore di altri discorsi, i discorsi appunto “degli altri”. F.S.
Alla luce di questa prospettiva Franco
Sarcinelli ha rivolto a Clifford Geertz le
seguenti domande in occasione della sua
conferenza alla Fondazione Collegio San
Carlo di Modena.
D. Sulla base delle presupposizioni di
Wittgenstein, possiamo definire l’oggetto
dell’antropologia come una forma di vita
con le sue regole, che sono di tipo linguistico. In tal senso possiamo considerare legittima l’affermazione secondo la quale la
traduzione costituisce il principale mezzo
di accesso all’oggetto antropologico?
R. Certamente! Ritengo che la traduzione
sia il principale strumento per il materiale
fornitoci dai nostri informatori; il che significa che dobbiamo riuscire a interpretare ciò che dicono, non avendo un modo
diretto di accedere alla loro vita se non sulla
CONVEGNI E SEMINARI
CliffordGeertz
40
CALENDARIO
CALENDARIO
Nell’ambito delle attività culturali
della Casa della Cultura di Milano
ha preso avvio nell’ottobre 1993 un
ciclo di seminari a cura di Fulvio
Papi con il titolo: La filosofia mo-
● Informazioni: Centro Culturale
Polivalente, Piazza della Repubblica 31, 47033 Cattolica, 0541/967802.
derna. Verità e destino dei classici. Questo il calendario degli in-
In occasione della presentazione del
libro di Umberto Eco, La ricerca
contri: 14 ottobre, Carlo Sini:
“Cartesio”; 21 ottobre, Fulvio Papi:
“Bruno”; 4 novembre, Valerio Verra: “La filosofia moderna. Verità e
destino dei classici”; 11 novembre,
Fulvio Papi: “La filosofia moderna.
Verità e destino dei classici. Marx”;
18 novembre, Mario Ruggenini:
“Kant”; 25 novembre, Giorgio Pasqualotto: “Nietzsche”; 2 dicembre,
Salvatore Veca: “Hume”; 16 dicembre, Giuseppe Semerari: “Spinoza”.
Sempre presso la Casa della Cultura, il giorno 15 novembre 1993, in
occasione della presentazione della
pubblicazione della rivista “Nuova
civiltà delle macchine”, Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri,
Luca Bianchi, Giulio Giorello, Mario Vegetti intervengono sul tema:
Le età della scienza.
● Informazioni: Casa della Cultura, Via Borgogna 3, 20122 Milano,
tel. 02/795567.
della lingua perfetta nella cultura europea (Laterza, Roma-Bari
Il Centro Culturale Polivalente di
Cattolica, in collaborazione con
l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, ha organizzato una
serie di colloqui dal titolo: Libri in
cerca di gloria. Letture. Queste
letture sono iniziate nell’ottobre
1993 con un seminario introduttivo
di Ezio Raimondi, La retorica d’oggi, che ha avuto il seguente svolgimento: 18 ottobre, “La comunicazione inautentica”; 19 ottobre, “I
topoi nella letteratura e nell’arte”;
20 ottobre, “Per un’antroplogia della retorica”; 21 ottobre, “La rinascita della retorica”. Nel novembre
1993 si è tenuto il seminario di Andrea Battistini, La scienza nuova
di Vico: un farmaco per la fantasia, con il seguente calendario: 10
novembre, “Vico, filosofo dell’alba: la teoria antropologica delle origini”; 11 novembre, “Gli strumenti
genetici di mito, metafora, etimologia”; 12 novembre, “Robusti sensi e
vigorosissima fantasia. Per un’ermeneutica delle passioni”; 13 novembre, “Vico in USA, ovvero la
terapia dell’ingegno enciclopedico”.
58
1993), il 26 ottobre 1993, alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, sono intervenuti: Maria Corti,
Raffaele Simone, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri.
● Informazioni: Editori Laterza,
Via di Villa Sacchetti 17, 00197
Roma.
Nell’ambito delle attività del Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena ha preso avvio nell’ottobre 1993 il ciclo
di lezioni: La Prova dello straniero. Figure per il confronto
fra le culture. Questo il program-
ma degli incontri fino a febbraio
1994: 29 ottobre, Romano Màdera:
“L’ombra dello straniero”; 17 novembre, Francesco Remotti, “Cannibali, schiavi e sovrani. Il ricorso
allo straniero in una prospettiva
antropologica”; 3 dicembre, Giovanni Filoramo: “Pellegrino, straniero, senza patria. Figure dell’estraneità al mondo nel Cristianesimo antico”; 28 gennaio, Pierre
Rosanvallon (introd. Paolo Pombeni): “Straniero e cittadino. I confini della politica”; 11 febbraio,
Francisco Jarauta: “Abitare la frontiera. Riflessioni su meticciato e
interculturalità”; 25 febbraio, Simonetta Tabboni: “Lo straniero e
la modernità. Dall’uguaglianza del
diritto al riconoscimento della differenza”.
Sempre nell’ambito della Fondazione Collegio San Carlo, il Centro
di Studi Religiosi ha organizzato a
partire da ottobre 1993 il ciclo di
lezioni: In cammino verso Dio.
La metafora del viaggio nell’esperienza religiosa . Questo il
calendario degli incontri fino a
gennaio 1994: 7 ottobre, Raimon
Panikkar: “La metafora del viaggio nelle religioni”; 28 ottobre,
Filippo Gentiloni: “Abramo contro Ulisse”; 11 novembre, Amalia
Pezzali: “Il viaggio spirituale di
Siddharta, il Buddha”; 9 dicembre,
CALENDARIO
Ermenegildo Manicardi: “Il cammino di Gesù e la via di Dio”; 13 gennaio
1994, Paolo Branca: “Le vie di Allah”.
Infine è da ricordare che in occasione
della presentazione del volume di Hans
Blumenberg, Passione secondo Matteo (Il Mulino, Bologna 1992), tenutasi il 22 ottobre 1992 con la partecipazione di Sergio Givone, Pierangelo
Sequeri e Carlo Gentili, è stato organizzato un Seminario di studio su Hans
Blumenberg. Metafora, mito, modernità, che prevede i seguenti inter-
venti: 19 gennaio 1994, Vincenzo
Vitiello; 16 febbraio, Barnaba Maj; 2
marzo, Michele Cometa; 23 marzo,
Bruno Accarino. Infine per il 10 maggio 1994 è in programma una Giornata
di studio su Hans Blumenberg, con
la partecipazione di Remo Bodei, Gianni Carchia, Pier Aldo Rovatti e Francesca Rigotti.
● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5,
41100 Modena, tel. 059/222315.
Il Centro culturale “Casa Zoiosa” di
Milano ha organizzato nei mesi di
novembre e dicembre 1993 un ciclo
di lezioni dal titolo: Il ‘900: il Secolo dei Limiti. Questo il programma
degli incontri: 8 novembre, Enrico
Bellone: “La fisica come violazione
dei limiti”; 15 novembre, Giuliano
Toraldo di Francia: “Limitazioni nell’indagine del mondo fisico”; 22 novembre, Giorgio Lunghini: “I limiti
dell’economia”; 29 novembre, Aldo
Gargani: “I limiti del dicibile:
Wittgenstein e la filosofia contemporanea”; 6 dicembre, Francesco
Moiso: “I limiti della ragione e i
limiti della corporeità”; 13 dicembre, Maurizio Mori: “Limiti etici per
la medicina e la biologia? Un punto
di vista bioetico”; 20 dicembre, Corrado Mangione: “Aspetti della teorizzazione umana”.
● Informazioni: La Casa Zoiosa,
C.so di Porta Nuova 34, 20121 Milano, tel. 02/6551813.
Il 13 novembre 1993, in occasione
della pubblicazione del volume di
AA.VV., Dio nella Filosofia del Novecento (a cura di Giorgio Penzo e
Rosino Gibellini, Queriniana, Brescia 1993), presso il Centro Italiano
di Ricerche Fenomenologiche di
Roma, Francesca Brezzi, Aniceto
Molinaro, Pietro Coda, Giorgio Penzo e Rosino Gibellini, hanno parlato
su Dio nella Filosofia del Novecento. Il giorno 11 dicembre 1993 è
previsto un incontro con Bruno Callieri, Aldo Masullo, Bianca M. d’Ippolito e Alberto Gaston su: La psichiatria come scienza dell’uomo,
in occasione della pubblicazione dell’omonima opera di L. Binswanger
(Ponte delle Grazie, Firenze 1992).
● Informazioni: Centro Italiano di
Ricerche Fenomenologiche, Via dei
Serpenti 100, 00100 Roma.
A cura dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore, nei giorni 15-16-17
novembre si è svolto un seminario di
fenomenologia e ontologia dal titolo: L’idea di persona. Gli incontri
hanno avuto il seguente svolgimento: 15 novembre, Paul Beauchamps:
“Dimensioni della persona nell’antropologia biblica”; 16 novembre,
Aldo Masullo: “Persona e tempo”;
Jean-François Courtine: “La persona nella fenomenologia di E.
Husserl”; Philibert Secretan: “Il personalismo di E. Stein”; 17 novembre, Nicolas Grimaldi: “Lo statuto
dell’interiorità”; Michele Lenoci:
“Prospettive scheleriane sulla persona”; Ada Lamacchia: “Il personalismo americano tra Ottocento e
Novecento”; Roberta Corvi: “La
persona nella filosofia analitica”.
● Informazioni: Università Cattolica del Sacro Cuore, largo Gemelli
1, 20100 Milano.
Nell’ambito del ciclo: La filosofia
in Germania oggi, che ha preso
avvio nel marzo 1992 grazie alla
collaborazione tra l’Università degli
Studi di Milano e il Goethe Institut
di Milano, il 16 novembre 1993 ha
avuto luogo un incontro con Dieter
Heinrich, introdotto da Franco Volpi.
● Informazioni: Goethe Institut,
Via S. Paolo 10, 20100 Milano, tel.
02/76005571.
Il Centro di Studi Semiotici e Cognitivi dell’Università di San Marino ha
organizzato il 29-30 novembre 1993
un seminario di studio alla presenza
di Richard C. Lewontin sul tema: The
Genetics, Evolutionary Theory
and the Genome Project. Alle due
relazioni di Richard C. Lewontin della prima giornata (ore 10.00, “Inside
and Outside - Gene, Environment and
Organism”; ore 15.30, “Fitness, Optimality and the Evolution of Cognition”) ha fatto seguito, nella seconda
giornata, una Tavola rotonda con
Giorgio Bignami, Edoardo Boncinelli, Aldo Fasolo, Vittorio Sgaramella,
Pietro Corsi.
● Informazioni: Centro di Studi
Semiotici e Cognitivi, Contrada
Omerelli 77, 47031 San Marino, tel.
0549 882516.
Nell’ambito dell’attività convegnistica organizzata dalla casa editrice
“Il Saggiatore” di Milano in occasione della pubblicazione del volume di Alain Touraine, Critica della
modernità, (Il Saggiatore, Milano
1993), si è tenuto il 1 dicembre 1993,
presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’I.S.U., un convegno
sul tema: Quale modernità. Questo il programma degli interventi:
ore 15.00, Alain Touraine: “La crisi
della modernità”; ore 15.30, Carlo
Sini: “Il transito”; ore 16.30, Severino Salvemini: “Organizzare senza
organizzare: i dilemmi e paradossi
del management contemporaneo”;
ore 17.00, Fulco Pratesi: “La questione ecologica: un ostacolo o un
contributo alla modernità?”; ore
17.30, Discussione.
● Informazioni: Il Saggiatore, via
Bianca Maria 26, 20100 Milano.
Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici
Via Monte di Dio 14, Napoli
29 novembre-3 dicembre
Mario Agrimi
10-13 gennaio 1994
Adriaan Peperzak
L’unità della filosofia di Vico
Lineamenti di un’etica
Vico e la tradizione “platonica” - Il
De antiquissima e le polemiche con il
“Giornale de’ Letterati d’Italia”.
17-19 gennaio
Gian-Carlo Rota
L’intelligenza dall’illuminismo
alla fenomenologia
6-10 dicembre
Alessandro Ghisalberti
Forme e figure
dell’aristotelismo Medievale
17-21 gennaio
Giorgio Agamben
Gli inizi dell’aristotelismo scolastico
- L’aristotelismo mediato - Dall’averroismo latino all’averroismo bolognese - Aristotelismo e Nominalismo.
Esperimentum potentiae:
verso un’ontologia della potenza
13-17 dicembre
Saverio Ricci
Il pensiero come esperienza della
potenza - Aristotele e la potenza del
pensiero.
24-27 gennaio
Andrew Packard
Una ‘filosofia milizia’.
L’Accademia dei Lincei
Le origini lincee tra alchimia e astronomia - Lo svolgimento della vita
accademica - L’idea lincea a Napoli.
10-14 gennaio
Sanja Roic
Poetica e oratoria in Vico
Eclettismo e fantasia: il poetico o
tracce di una poetica vichiana
La poesia vichiana fra tradizione e
Barocco.
L’uomo biologico
nel mondo progettuale
31 gennaio-3 febbraio
Girolamo Cotroneo
Il metodo storico
e i suoi problemi.
Hegel e i “tipi della considerazione storica”
Dalla filosofia della storia alla storiografia - La storiografia “originaria” La storiografia “riflettente”.
59
Organizzata dal Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo e
dall’Università degli Studi di Palermo, il 10 dicembre 1993 si tiene una
giornata di studio su Wladislaw Tatarkiewicz. Storia dell’estetica Storia delle idee, in occasione del-
la pubblicazione del volume di W.
Tatarkiewicz, Storia di sei idee. L’Arte, il Bello, la Forma, la Creatività,
l’Imitazione, l’Esperienza estetica
(Aesthetica Edizioni, Palermo 1993).
● Informazioni: Centro Internazionale Studi di Estetica, Università
degli Studi, Via delle Scienze, 90128
Palermo.
Organizzato dalla Scuola Europea di
Psicanalisi in collaborazione con
l’Università degli Studi di Milano,
l’11 dicembre 1993, presso la Sala
Incontri I.S.U., si tiene un convegno
dal titolo: Jacques Lacan. La psicanalisi, l’ermeneutica, il reale.
Intervengono, nell’ordine: Massimo
Recalcati: “Il reale di lacan”; Pier
Aldo Rovatti: “Ciò che sfugge”; Igino Domanin: “Lacan e la scena della
scrittura”; Ettore Perrella: “Individuazione e fine della psicanalisi”;
Adone Brandalise: “Perfezione e
realtà”; Laura Fragasso: “Il reale
nello spazio lacaniano”; Maria Teresa Maiocchi: “Ascesi della scrittura”; Marco Focchi: “L’ostacolo”; Carlo Viganò: “La differenza
reale”; Graziano Senzolo: “L’anima e il numero: Lacan e il tempo
del significante”; Francesca Bonicalzi: “Lacan versus Cartesio: il
soggetto della scienza”; Fabrizio
Palombi: “Cartesio e il vaso di fiori rovesciato”; Domenico Cosenza: “La causa del desiderio: Lacan
tra Spinoza e Marx”; Riccardo Massa: “Desiderio, struttura, formazione”.
● Informazioni: I.S.U. Università
degli Studi di Milano, Ufficio Cultura, C.so di Porta Romana 19, Milano, tel. 02 809431 int. 162/186.
Il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Genova organizza, il 14 dicembre 1993 a Palazzo
Cambiaso, una Giornata di studio
sul tema: Jacques Maritain 19731993. Vent’anni dopo la morte.
Intervengono Giuseppe Goisis (“Jacques Maritain: dall’interpretazione
della storia all’impegno sociale”),
Angelo Campodonico (“Esperienza
e metafisica”), Letterio Mauro (“Il
problema di Dio”), Ignazio Semino
(“Il problema delle scienze”), Francesco Botturi (“Ragion pretica e politica nel personalismo di Jacques
Maritain”), Edilia Cassani Traverso
(“Legge naturale e legge eterna”),
Gianni Baget Bozzo (“Jacques Maritain ‘contadino della Garonna’”).
● Informazioni: Dipartimento di
Filosofia, Via Balbi 4, 16126 Genova, tel. 010 2099857.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Manuali di filosofia a confronto
(II parte)
La TAVOLA III riassume l’apparato didattico dei diversi manuali. Quattordici sono gli indicatori prescelti per
questo esame e non tutti sono ugualmente significativi. In questo caso il
confronto non è quantitativo, limitandosi a segnalare la sola presenza
di alcuni sussidi e descrivendone brevemente le caratteristiche.
La prima colonna registra la presenza di
una “introduzione” alla storia della filosofia vera e propria. La maggior parte dei
manuali preferisce iniziare direttamente
da Talete o dalla cultura della Grecia arcaica, inserendo eventualmente all’interno di
questa descrizione qualche considerazione sulla natura della riflessione filosofica.
Molti docenti invece amano dedicare le
loro prime lezioni a un’introduzione teorica alla nuova materia, soffermandosi su
concetti, metodi e problemi che caratterizzeranno il lavoro successivo. In questo
senso ben pochi testi vengono loro in aiuto. Solo due manuali (Lacchini-Rivoltella e Merker) hanno una vera e propria
unità didattica di introduzione teoricometodologica alla nuova materia di studio,
con indicazioni molto concrete per il lavoro degli studenti. Sono state però inserite
in questa colonna anche presentazioni di
altro genere. Berti e Severino introducono la materia con un discorso prevalentemente teoretico legato alla ricostruzione
delle origini della filosofia. Più o meno
analogo è l’intento di Firrao-Cambi, che
affida il compito ad alcune letture critiche
come è nello stile del manuale; orientata in
senso filologico è l’introduzione di Giannantoni, mentre la prefazione di CasiniBenvenuti, per la sua dimensione e l’impegno contenutistico può essere destinata
anche alla lettura degli studenti. Metodologicamente interessante è la soluzione di
Trombino, che suddivide l’introduzione
teoretica ai diversi problemi della filosofia
nel corso del volume, in unità didattiche
che preparano alla trattazione di periodi e
autori di specifica rilevanza.
La “bibliografia” è un sussidio presente in
quasi tutti i manuali. Si tratta sempre di
suggerimenti bibliografici di base, anche
se insieme ai classici viene talora indicata
una letteratura di difficile reperibilità, ma
non siamo voluti entrare nel merito delle
scelte. E’ stata invece segnalata la collocazione della bibliografia e la sua impaginazione (la formula “ben leggibile” indica
una bibliografia in cui i libri sono ordinatamente elencati su righe separate in modo
da individuarne facilmente titolo e autori).
Non si sono distinte le bibliografie dedicate solo alla letteratura critica da quelle che
riportano sia le edizioni delle opere dei
filosofi che (magari a parte) i saggi critici.
L’obiettivo è quello di evidenziare la presenza di uno strumento di semplice avvio
a studi ulteriori; e in tal senso sembra più
funzionale la collocazione della bibliografia alla fine di ciascun capitolo, anziché
alla fine del volume dove solo lo studente
già motivato avrà la pazienza di andare a
ricercare ciò che lo interessa in mezzo a
pagine piene di riferimenti. Alcuni manuali offrono preliminarmente una sintesi
sugli strumenti di consultazione generale
in ambito storico-filosofico: le proposte
più significative ci sembrano quelle di Giannantoni, Merker e Perone-Ferretti-Ciancio. In qualche caso si trovano bibliografie
ragionate che orientano brevemente le scelte
dei lettori. Nel caso di Voltaggio c’è un
vero e proprio saggio critico (dovuto alla
collaborazione di E. Ronchetti) che ricostruisce l’evoluzione della letteratura principale sui vari argomenti.
Il “sommario” è la sintesi del contenuto di
un capitolo. La sua utilità è piuttosto discutibile, ma può servire per un ripasso
veloce o per riassumere argomenti che non
si ritiene di dover trattare in maniera diffusa. Di solito è alla fine di un capitolo, ma
può trovarsi all’inizio, con la diversa funzione di preparare allo studio delle pagine
seguenti. Merker propone entrambe le
versioni, con uno schema conclusivo intelligentemente elaborato. Originale è anche l’idea di Abbagnano-Fornero di riepilogare il contenuto di un capitolo attraverso un glossario finale.
La “paragrafazione a margine” è presente
in numerosi manuali, non solo di filosofia.
Si tratta di un accorgimento che sostituisce
o accompagna la titolazione dei paragrafi
nel corso del testo ed è caratterizzato so60
prattutto dalla collocazione all’esterno del
testo scritto, in posizione di facile evidenza per rintracciare argomenti o per ripercorrere la materia. Per lo più si tratta di
brevi indicazioni, segnalate come “titoli”
nel nostro quadro riassuntivo; nel caso di
Geymonat e Moravia troviamo invece
articolati riassunti dei vari argomenti, con
funzione simile a quella di un sommario
(che peraltro Moravia ha già). L’impostazione grafica di Giannantoni potrebbe far
segnalare in questa sede l’uso del neretto
nel testo quale strumento di riconoscimento dei temi in corso di trattazione. Trombino usa invece i margini del testo per
ampie citazioni di testi che documentano
la ricostruzione storica.
La “cronologia” è un sussidio didattico
non troppo frequente, ma che sarebbe logico attendersi in descrizioni storiche. Un
quadro sinottico della storia filosofica, civile, artistico-letteraria consente di stabilire correlazioni spesso interessanti, ma va
detto che un simile espediente è adottato di
rado dai docenti e ancor meno dagli studenti, soprattutto se questi prospetti sono
inseriti alla fine dei singoli volumi in posizione di non frequente consultazione. Solo
sette manuali, e non dei più recenti, presentano sinossi del genere: si segnalano
per originalità di impostazione le tavole
cronologiche tematiche del Berti, che isolano singoli periodi o autori stabilendo
analitici confronti, utili anche per impostare delle lezioni. Mancini- MarzocchiPicinali propone solo per i filosofi maggiori una cronologia della vita, però senza
alcun confronto sinottico. L’ “iconografia” è un elemento che non ci si aspetterebbe di trovare in un manuale di filosofia, ma
da qualche tempo anche in questo campo
comincia ad affacciarsi l’uso di questo
strumento comunicativo. Fatta eccezione
per qualche grafico riassuntivo, presente
in quasi tutti i testi, si segnalano qui i
manuali che ospitano almeno un numero
ridotto di disegni e qualche rara cartina
geografica. Più interessante è invece la
presenza di foto, che solo in cinque manuali è dato ritrovare. Se usate in maniera
intelligente, le foto possono essere (con
didascalie opportune) una vera integrazione al testo e non solo un riempimento
decorativo. Risultano un po’ estempora-
DIDATTICA
nei gli inserti fotografici di Casini-Benvenuti e purtroppo isolati fuori testo quelli
più problematici e monografici di Severino. Solo Reale-Antiseri riesce in qualche
caso a far dialogare le immagini con il
manuale, ma è chiaro che per questo risultato non ci si può limitare a riprodurre i
ritratti o i busti dei filosofi, anche se vedere
il volto di un filosofo può renderlo più
concreto e vicino agli studenti abituati a
una comunicazione iconica altrove sempre più spinta. Mancini-Marzocchi-Picinali accompagna le cronobiografie dei
maggiori con piccoli ritratti.
Gli “indici” sono il complemento essenziale di ogni libro. Non sono qui in discussione gli indici generali, ma solo quelli
analitici, che permettono di usare un testo
come strumento di consultazione e ricerca. In questo senso, un indice analitico è
pressoché indispensabile in un manuale
scolastico e stupisce constatarne l’assenza
in quattro casi. Di solito questi manuali
propongono un indice dei nomi, del resto
il più facile da realizzare. Solo PeroneFerretti-Ciancio e Santinello-PierettiCapecci aggiungono un indice dei concetti o degli argomenti, che si presta ad essere
usato anche per approfondimenti tematici.
Merker addirittura presenta tre indici: dei
nomi, dei concetti e delle schede monografiche (piuttosto numerose). Anche Vegetti-Alessio-Papi aggiunge l’indice delle
schede lessicali, ma si tratta di poche unità.
Mancini-Marzocchi-Picinali ha appositi
indici degli autori e delle opere nei volumi
antologici.
La presenza di un “glossario” può essere
ritenuta importante in un testo scolastico
che deve introdurre anche all’uso di un
linguaggio tecnico piuttosto complesso.
Invece solo pochi manuali propongono
questo utile sussidio didattico. La soluzione più originale è quella di AbbagnanoFornero che riepiloga il contenuto di ogni
capitolo alla fine con un ampio glossario
specifico. Gli altri preferiscono collocare
un dizionario più o meno sintetico (solo
brevissime definizioni in Dolci) alla fine
del volume, posizione che in questo caso
può però rivelarsi utile se il dizionario è
destinato a una consultazione rapida per
ritrovare parole di uso poco frequente.
Geymonat offre un vero e proprio dizionario (discendente dalla consolidata tradizione Garzanti) in un fascicolo a parte
allegato al primo volume.
Le “note” sono un altro elemento caratteristico dei testi scolastici. In questo caso
però solo pochi manuali le adoperano, e di
solito per spiegare le letture inserite nel
volume. E’ infatti più logico attendersi un
apparato di note per commentare un classico che non per accompagnare una parte
manualistica che ha già il compito di essere chiara da sé. Alle note sono per lo più
affidate osservazioni marginali, ma Adorno-Gregory-Verra preferisce destinarle
sistematicamente alla trattazione di autori
e argomenti minori. Ne fa ampio uso Vol-
taggio, ma in ciò assume talvolta l’aspetto
di un vero testo scientifico, disorientando
forse lo studente secondario che è ancora
abituato alle sole note esplicative e non
comprende sempre la funzione del riferimento bibliografico.
Per “schede” si intendono quelle porzioni
di testo, di solito graficamente identificate
da una cornice, che sviluppano un argomento a parte nella pagina. Servono a
movimentare l’impaginazione, ma anche
a fornire informazioni che altrimenti interromperebbero il filo del discorso svolto
dal testo. Isolando queste informazioni, ne
fanno intendere la diversa importanza rispetto al resto del discorso, favorendone
una lettura concentrata ed estemporanea.
Il manuale che ne fa maggiore uso è quello
di Merker, che le distribuisce ampiamente nel testo, utilizzandole per piccole monografie e raccordi tematici. Sono chiamate schede e ne hanno l’aspetto, ma occupano talvolta più di una pagina, quelle di
Firrao-Cambi, raggruppate alla fine dei
capitoli per sviluppare argomenti minori o
collaterali. Altrettanto ampie, ma destinate a contenuti diversi, quelle di Trombino
(biografiche, critiche e antologiche). Negli altri quattro casi alle schede è affidata
l’informazione sulla vita degli autori. Già
ricordate, infine, le schede lessicali di
Vegetti-Alessio-Papi.
Le “letture di testi” sono il necessario
complemento di ogni ricostruzione manualistica. Al posto di una antologia separata, molti manuali propongono una sezione antologica al proprio interno per rispondere all’esigenza di documentazione
contenendo i prezzi. Andrebbe valutata la
funzione di queste letture, ora usate solo
come conferma di quanto già esposto nel
manuale, ora proposte come itinerario alternativo o integrativo alla ricostruzione
storica. In entrambi i casi sembra però
necessario che la lettura di un testo non si
riduca a poco più di una citazione. Occorre
che lo studente possa apprezzare la capacità argomentativa e lo stile di un autore,
imparando a dialogare con esso. Perciò si
è cercato di segnalare anche la lunghezza
delle letture e l’eventuale introduzione che
(comunque quasi sempre molto sintetica)
mira a commentare e contestualizzare il
testo. Le sezioni antologiche sono quasi
sempre inserite alla fine di ogni capitolo.
Solo in Badaloni-Pompeo Faracovi occupano la seconda metà di ogni volume,
mentre in Moravia sono raccolte in tre
volumi a parte, inseparabili dal resto del
manuale. Del tutto originale la proposta di
Mancini-Marzocchi-Picinali che, in aggiunta a quello di storia, hanno tre volumi
di sole letture raccolte per argomenti che
consentono un diverso uso del manuale in
senso teoretico e problematico.
Le “interpretazioni critiche” sono un altro
capitolo controverso. Ogni storia della filosofia è un’interpretazione ed anche i
manuali scolastici non sfuggono a questa
regola, ma qui si vuol parlare della lettera61
tura critica più consolidata, che dovrebbe
costituire un importante complemento della
mera informazione su autori e problemi.
Invece questa integrazione manca significativamente in quasi tutti i manuali esaminati, come forse manca nella didattica di
molti insegnanti, riproponendo così una
forma neanche tanto aggiornata di nozionismo nella preparazione “scolastica”, che
gli studenti per lo più acquisiscono. Certo,
c’è il rischio che l’aggiunta di una rassegna delle interpretazioni anche divergenti
di filosofi e filosofie possa ingenerare il
sospetto di un fondamentale relativismo
storicistico nello studente già abituato alla
dossografia dei filosofi che si succedono
contestandosi l’un l’altro. Ma una fondata
analisi comparativa dell’ermeneutica costruitasi su ogni argomento potrebbe arricchire e rinnovare positivamente lo studio
della materia. L’uso delle letture critiche è
invece di solito - in quei pochi casi in cui
è presente - quasi sostitutivo della ricostruzione manualistica, senza proporsi
come prospettiva autonoma ed originale.
Del resto lo spazio dedicato a queste letture è assai ridotto; solo Firrao-Cambi ne fa
una sezione ampia e costante del manuale,
abituando a conoscere quanto meno gli
autori della più consolidata storiografia
filosofica sui vari argomenti. Anche Trombino affida spesso in apposite schede agli
autori più accreditati la trattazione di alcuni problemi o proposte interpretative, aggiungendo alla fine di ogni volume brevi
cenni biografici sugli autori utilizzati. In
questa colonna sono stati anche segnalati
gli unici due casi di vera e propria storia
della critica, proposti alla fine di ogni
capitolo da Dolci e Perone-Ferretti-Ciancio. Probabilmente non si tratta dei paragrafi più consultati di questi manuali, ma
sono due utili repertori delle principali
interpretazioni succedutesi sui diversi argomenti: più didascalica quella di Dolci,
più scientifica e ragionata quella di Perone-Ferretti-Ciancio. Va infine ricordato il
saggio critico bibliografico di Voltaggio.
Per “guide alla ricerca” si intendono quelle indicazioni, per lo più di carattere bibliografico, che cercano di orientare approfondimenti tematici, suggerendo letture e collegamenti tra gli argomenti studiati. Se un manuale scolastico va inteso principalmente come uno strumento di lavoro,
è legittimo attendersi la presenza di questi
incoraggiamenti allo studio personale o di
suggerimenti per lo stesso lavoro dell’insegnante. Invece, solo due manuali (Adorno-Gregory-Verra e Merker) presentano questa integrazione, mentre in altri due
casi si hanno solo bibliografie orientate
praticamente in questo senso: da un lato il
già citato saggio critico-bibliografico di
Voltaggio, dall’altro le bibliografie di Lacchini-Rivoltella che comprendono anche
una specie di esercitazioni di approfondimento.
L’ultima colonna è praticamente vuota,
poiché è dedicata alla presenza di “que-
DIDATTICA
AUTORI
INTRODUZIONE
BIBLIOGRAFIA
SOMMARIO
PARAGRAFI
A MARGINE
Abbagnano-Fornero
ben leggibile
a fine capitolo
glossario
riepilogativo
a fine capitolo
sintesi
e titoli
Adorno-Gregory-Verra
ben leggibile
a fine capitolo
Badaloni- Pompeo Faracovi
a fine capitolo
nella sezione
antologica
Balducci
Berti
CRONOLOGIE
a fine volume
titoli
introduttivo
al capitolo
storico-teoretica
ben leggibile
a fine volume
premessa teorica
ben leggibile
a fine capitolo
Merker
storico-teorica
(letteratura
critica)
storico-filologica
teorica
e metodologica
teorica
e metodologica
teorica
e metodologica
Moravia
Perone-Ferretti-Ciancio
Plebe-Emanuele
dei nomi
(v. sommario)
riepilogativo
a fine capitolo
pochi disegni
dei nomi
pochi disegni
dei nomi
poche cartine
dei nomi
a fine volume
dei nomi
a fine volume
Mancini-Marzocchi-Picinali
Merker
foto ad inizio
dei capitoli
dei nomi
dei nomi
Geymonat
Giannantoni
Lacchini-Rivoltella
GLOSSARIO
schemi
e cartine
tavole b/n
fuori testo
titoli
Ciancio-Ferretti
Pastore-Perone
Dolci
Firrao-Cambi
INDICI
tematiche
a fine volume
Bontempelli-Bentivoglio
Casini-Benvenuti
ICONOGRAFIA
ben leggibile
a fine capitolo
titoli
a fine volume
sintesi
a fine volume
ragionata
per ricerche
a fine capitolo
ben leggibile
a fine volume
ben leggibile
a fine capitolo
ben leggibile
a fine capitolo
a fine capitolo
ragionata
a fine capitolo
premessa teorica
e concettuale
Reale-Antiseri
Santinello-Pieretti-Capeci
Severino
storico-teoretica
Trombino
capitoli teorici
e problematici
introduttivo
al capitolo
titoli
titoli
biografia
degli autori
maggiori
introduttivo
al capitolo
e prospetto sintetico
a fine capitolo
a fine capitolo
titoli
a fine volume
prospetti analitici
e sintetici
titoli
Vegetti-Alessio-Papi
ben leggibile
a fine capitolo
Voltaggio
saggio critico
di bibliografia
ragionata
a fine volume
a fine volume
a fine volume
sintetico
a fine volume
dei nomi
in volumetto
separato
schemi
dei nomi
dei nomi
ritratti
dei maggiori
filosofi
dei nomi
degli autori
delle opere
a fine volume
dei nomi
dei concetti
delle
schede
dei nomi
dei nomi
dei concetti
dei nomi
sintesi
titoli
a fine volume
ragionata
a fine capitolo
a fine capitolo
dei nomi
foto nel testo
dei nomi
dei nomi
dei concetti
tavole a colori
fuori testo
titoli
a fine capitolo
titoli
sintetiche
all'inizio di
ogni sezione
foto nel testo
dei nomi
alcune schede
su parole chiave
dei nomi
TavolaIII
stionari” che solo Giannantoni contiene
nella sua ultima edizione (curati da F.
Aronadio). Un’interpretazione tradizionale dell’insegnamento filosofico, fatto di
sola comunicazione verbale, fatica ad accettare l’ingresso di questi nuovi strumenti di verifica dell’apprendimento, ma il
rinnovamento generale della didattica inizia a suggerire anche nel nostro campo
l’adozione di queste tecniche valutative
(cfr. i programmi “Brocca” per il triennio).
La proposta di Giannantoni-Aronadio
precorre quindi soluzioni non troppo lontane e si fa apprezzare per una certa cura
nel distinguere quasi tassonomicamente i
diversi livelli dei test. Anche Trombino
propone alcune esercitazioni nel suo testo,
ma si tratta di un supporto pensato più per
l’esercizio e lo studio degli alunni che per
la valutazione dell’apprendimento. Vale
la pena di segnalare a questo proposito
alcuni testi appositamente costruiti come
eserciziari di filosofia: Marco Cerasti,
Prove di controllo graduate di filosofia, 3
voll., Nuove Edizioni del Giglio, Genova
1992, e R. Ameruso-S. Tangherlini-M.
Vigli, Esercizi di filosofia, 3 voll., Lucarini, Roma 1990. Nel primo caso si tratta di
un sussidio abbinabile a qualunque manuale; nel secondo invece gli esercizi sono
un supporto specifico al già citato manuale
degli stessi autori, I percorsi del pensiero,
non compreso in questa rassegna.
Si possono aggiungere a questo punto solo
delle brevi note informative per completa62
re la descrizione di ciascun manuale.
Il manuale di Abbagnano-Fornero è il
risultato di un’indovinata operazione editoriale, consistita nell’utilizzazione di parti della grande Storia della filosofia di
Abbagnano (Utet), che molti insegnanti
hanno utilizzato o quanto meno conoscono ed apprezzano. E’ un manuale tradizionale, ricco di un’informazione analitica
dedicata soprattutto agli argomenti maggiori della storia della filosofia (cfr. gli
indici del testo effettivo e dei classici). La
chiarezza espositiva è confermata da un
alto indice di leggibilità e la seconda edizione ha arricchito il supporto didattico.
Il manuale di Adorno-Gregory-Verra non
è più recentissimo e la stessa casa editrice
gli ha affiancato di recente un nuovo pro-
DIDATTICA
dotto. Ma la diffusione di cui continua a
godere conferma la novità dell’impostazione registrata all’epoca della sua prima
uscita: ogni volume era curato da uno
specialista e ogni capitolo era accompagnato da un’ampia sezione antologica. Il
testo effettivo è piuttosto ridotto e i capitoli sono per lo più monografie sui singoli
autori. Ne risulta un manuale pratico e
agile, pur se di complessa leggibilità.
L’impostazione di Badaloni-Pompeo Faracovi è altrettanto tradizionale, anche se
si tratta di un’edizione recente. La caratteristica principale è di aver concentrato la
sezione antologica nella seconda metà di
ciascun volume. La ricostruzione storica è
essenziale, ma leggibile e accompagnata
da un apparato didattico piuttosto articolato. L’antologia è chiara e ben curata.
Il manuale di Balducci presenta alcune
peculiarità interessanti dal punto di vista
del contenuto. Fin dal titolo tende a prestare attenzione al “pensiero umano”, senza
circoscriversi al solo ambito filosofico e
alla sola area occidentale. Sono sistematicamente presenti capitoli dedicati alla “filosofia” orientale e ad aree culturali solitamente trascurate (cfr. infatti il basso indice
dei classici). La veste tipografica è piuttosto povera, ma l’informazione è ricca: si
tratta di un manuale “tutto-testo”, che lascia poco spazio agli apparati didattici.
Il manuale di Berti è firmato anche da
Volpi nel terzo volume. Si caratterizza per
le dimensioni contenute, anche se una verifica più attenta scopre che le pagine estremamente dense racchiudono un testo effettivo piuttosto abbondante. L’impostazione è tradizionale e sono ben valorizzati
tipograficamente i pochi sussidi didattici
presenti, tra i quali si segnala soprattutto
l’originale uso delle tavole cronologiche
tematiche.
Bontempelli-Bentivoglio è un altro manuale “tutto-testo”, praticamente privo di
apparati didattici, come è anche nello stile
del corrispondente manuale di storia (Bontempelli-Bruni). Il testo è abbondante e
leggibile, nettamente suddiviso per ogni
capitolo in una prima parte, che ricostruisce il contesto storico-culturale, e una seconda, dedicata all’elaborazione della filosofia vera e propria. Il titolo metafisicoheideggeriano non trova piena conferma
nel contenuto sostanzialmente tradizionale dei primi due volumi, mentre emerge
una scelta teoretica più originale nel terzo
volume attraverso l’ampia trattazione di
alcuni autori contemporanei.
Il manuale di Casini-Benvenuti è ancora
un manuale “tutto-testo”. Il sottotitolo indica una particolare attenzione alla ricostruzione delle atmosfere storico culturali
in cui si inserisce l’attività filosofica vera
e propria (cfr. il bassissimo indice dei
classici). Leggibile e chiaro, ha una strumentazione didattica limitata all’essenziale. E’ interessante, per il lettore esperto, la
segnalazione delle fonti critiche utilizzate
per la stesura di ogni capitolo, poiché con-
sente una rapida identificazione degli orientamenti storiografici, culturali e ideologici
degli autori.
Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone è forse l’equipe più collaudata di autori in questo settore. Si esaminano qui due loro
prodotti, mentre un terzo è rimasto fuori da
questa analisi. Questo Profilo si propone
soprattutto come supporto al più voluminoso e recente manuale antologico, ma
può vivere autonomamente soprattutto se
si ricerca un testo maneggevole e un’informazione essenziale. Praticamente privo di
qualsiasi apparato didattico, è il risultato
dei sostanziosi tagli operati sul precedente
manuale tradizionale (sul quale v. oltre).
Si distingue dagli altri il manuale di Dolci,
che riprende in un certo senso la formula
del vecchio Dolci-Piana. Pensato soprattutto dalla parte dell’alunno per la chiarezza dell’impostazione, la schematicità della trattazione e le dimensioni ridotte dell’insieme, non sempre ha riscosso la stima
dei docenti. L’apparato didattico è discreto e arricchito da soluzioni originali come
l’apprezzabile storia della critica. Disturba un po’ l’uso ormai superato di italianizzare i nomi di battesimo degli autori moderni e contemporanei.
Il recente Firrao-Cambi mantiene la promessa fatta con il sottotitolo. Si tratta effettivamente di una raccolta di “materiali
didattici” per l’insegnamento della filosofia, ordinatamente ripartiti tra una sezione
storica, una di letture antologiche, una di
letture critiche, una di schede monografiche e una di bibliografia. Gli autori lasciano spesso la parola alla letteratura critica
più autorevole per sviluppare argomenti
anche di una certa importanza; perciò si è
ritenuto di calcolare le letture critiche all’interno del testo effettivo, altrimenti si
sarebbe avuto un valore notevolmente più
basso. La leggibilità è stata invece calcolata sul solo testo degli autori.
Il manuale di Geymonat può contare su
una trentennale sperimentazione scolastica, sostenuta dalla fama dell’autore e
della sua grande Storia del pensiero filosofico e scientifico. Si presenta in veste
completamente rinnovata, ma con un
impianto sostanzialmente tradizionale,
arricchito solo dalla sezione antologica
e dal dizionario filosofico aggiunto in un
volumetto separato.
Il manuale di Giannantoni è un altro veterano della scuola. Arrivato alla sua quarta edizione rinnovata, conserva sempre
l’attenzione al dato storico, alla completezza dell’informazione (cfr. la bassa percentuale dei classici) e alla dimensione
filologica. In questa ultima edizione sono
stati diversamente suddivisi i capitoli ed è
stata aggiunta l’originale appendice di
questionari. Sono state anche diversamente utilizzate le letture, inserite - con dimensioni minori - in schede sparse nel corso
del testo.
Il testo di Lacchini-Rivoltella è una novità particolarmente attenta alla dimensione
63
didattica, curata con una serie articolata di
sussidi e con un’impaginazione chiara che
ha sempre presenti le esigenze del lettore
studente. Gli argomenti principali sono
accompagnati da schematizzazioni molto
utili e l’informazione è piuttosto ampia (v.
testo effettivo). Ridotta la trattazione dei
minori e dei panorami storici riassuntivi.
Il manuale di Mancini-Marzocchi-Picinali è diretto da Salvatore Veca e si avvale della collaborazione di alcuni altri specialisti. La caratteristica principale è data
dall’aver raccolto in un unico grosso volume la storia della filosofia, riservando a tre
volumi più piccoli i materiali antologici
che sono riuniti per argomenti (verità, etica, politica, bellezza, linguaggio, storiatempo, ecc. ), consentendo anno per anno
una lettura trasversale dei filosofi e uno
studio per problemi della materia. Un indice per autori dei testi antologizzati consente però anche un uso più tradizionale.
Il manuale di Merker, era originariamente pubblicato presso gli Editori Riuniti.
Riproposto in versione aggiornata presso
Giunti-Marzocco, non ha ottenuto il successo che avrebbe meritato per la cura
dedicata all’apparato didattico (il più ricco
tra quelli esaminati). L’autore ha scritto
solo una metà del manuale, affidando il
resto a una ventina di specialisti, ma il
risultato finale è omogeneo e caratterizzato da un taglio teorico peculiare.
Quello di Moravia è tra i manuali più
ricchi in termini quantitativi. Costituito da
sei volumi (tra storia e antologia), ha il
maggior numero di pagine senza però eccedere nel prezzo. Anche il testo effettivo
è tra i più vasti e presenta un’informazione
ampia (pur se non di facilissima lettura),
che tocca enciclopedicamente quasi tutti i
possibili campi della cultura filosofica. E’
alla terza edizione (in soli otto anni) e in
alcuni capitoli si è avvalso della collaborazione di alcuni specialisti.
Quasi ventennale la vita del Perone-Ferretti-Ciancio, che viene oggi presentato
anche nell’edizione minore già segnalata.
Si è ritenuto di dar conto anche della versione originaria, ancora in circolazione,
data la chiarezza espositiva (cfr. l’indice
di Flesch) e l’informazione attenta anche
alla dimensione critico-teoretica.
La coppia Plebe-Emanuele ha realizzato
un manuale piuttosto essenziale, il cui testo è semplicemente arricchito da validi
prospetti analitici e sintetici che rispondono all’intento di sviluppare anche la dimensione critica dei lettori, già stimolati
da alcune discussioni teoretiche presenti
nelle sue pagine.
Il manuale di Reale-Antiseri - affiancato
recentemente da una buona antologia sempre a cura degli stessi autori, accompagnati da M. Baldini - si caratterizza per l’informazione ricchissima e chiara (ha valori
elevati sia nel testo effettivo che nella
leggibilità). L’ampiezza del testo ha suggerito all’editore di pubblicarne un’edizione ridotta con il titolo: La filosofia nel
DIDATTICA
suo sviluppo storico, ma si è preferito qui
esaminare l’edizione maggiore, che ha
proprio nell’estensione il suo pregio principale. E’ da ritenere il maggior esempio
di manuale “tutto-testo”, povero di sussidi
didattici.
Santinello-Pieretti-Capecci è un manuale non più recentissimo, che si è fatto
apprezzare a suo tempo per la maneggevolezza e l’impostazione, al tempo stesso
tradizionale e nuova, caratterizzata da una
dimensione problematica che lo stesso titolo lascia supporre. La veste tipografica
appare oggi un po’ dimessa, ma l’essenziale - informazione e apparato didattico è presente ed è anche esposto chiaramente.
Il manuale di Severino è la rielaborazione scolastica delle fortunate sintesi di
storia della filosofia pubblicate negli
ultimi anni dall’autore presso Rizzoli.
L’apparato didattico è ridotto all’essenziale e anche il testo effettivo è il più
breve. Ogni capitolo è articolato in una
ricostruzione storico-teorica, una breve
sintesi bibliografica e una sezione antologica. Chi sceglie questo testo lo fa
soprattutto per l’impostazione teoretica
che l’autore gli ha dato, senza tuttavia
nuocere alla sua leggibilità e chiarezza.
Particolarmente originale il recentissimo
testo di Trombino, soprattutto per la disposizione del contenuto. Il primo volume
si ferma a S. Agostino, mentre la filosofia
medievale è trattata sinteticamente per problemi all’inizio del secondo. Il terzo volume si divide in due tomi, di cui il secondo
(più piccolo) è dedicato a undici autori del
novecento. L’apparato didattico è discreto
e l’impaginazione movimentata da schede
e citazioni. Caratteristici i capitoli di introduzione ai principali problemi filosofici.
Il manuale di Vegetti-Alessio-Papi è la
terza edizione di un testo che in precedenza si era avvalso anche della collaborazione di R. Fabietti e che ha finora goduto di
ampia diffusione. Nell’edizione attuale (in
cui il secondo volume è dovuto alla stesura
completamente nuova di F. Alessio e il
terzo è ampiamente rimaneggiato) si conferma l’impostazione teorica che già il
titolo lasciava trasparire. E’ tra i testi più
vasti quanto al numero di pagine, ma contiene al suo interno un ricco repertorio
antologico.
Infine, Voltaggio è un manuale “tuttotesto” in cui ci sembra di avvertire
l’esperienza didattica dell’autore, anche
se i sussidi sono piuttosto ridotti. L’impostazione è tradizionale, con trattazioni analitiche degli argomenti principali
(cfr. l’indice dei classici) e rapide sintesi
sui minori. S.C.
La filosofia
nelle scuole sperimentali
La prima indagine empirica su base
nazionale riguardante l’insegnamento della filosofia nelle scuole italiane
fu prodotta nel 1985-86 e pubblicata
con il titolo: L’INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA. RAPPORTO DELLA SOCIETÀ FILOSOFICA
ITALIANA (a cura di L. Vigone e C. Lanzetti, Laterza, Roma-Bari 1987). L’indagine fu condotta da un gruppo di
ricercatori, diretto da Clemente Lanzetti, nell’ambito di un programma di
ricerca voluto dalla Società Filosofica
Italiana con l’obiettivo di una messa a
fuoco del reale stato dell’insegnamento della filosofia nelle scuole. Il volume L’INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA NELLE SCUOLE SPERIMENTALI. RAPPORTO DELLA
SOCIETÀ FILOSOFICA ITALIANA (a cura di C.
Lanzetti e C. Quarenghi, di prossima
pubblicazione presso Laterza, RomaBari), offre ora una prosecuzione e un
completamento di quella inchiesta,
con riguardo all’insegnamento della
filosofia negli istituti sperimentali.
Peraltro il tempo intercorso (con la
crescita del credito dell’insegnamento filosofico presso l’opinione pubblica e con la proposta, contenuta nei
programmi “Brocca”, di generalizzare
la presenza della filosofia in quasi tutti
gli istituti superiori) e la peculiarità
del campione non potevano evitare di
proporre anche un nuovo obiettivo,
insieme a quello documentario: raccogliere eventuali indicazioni, modelli, innovazioni utili al miglioramento
dell’insegnamento filosofico italiano.
Quest’ultima ricerca, condotta dal ’90 al
’92, col patrocinio della S. F. I. e per
iniziativa di un progetto dei Dipartimenti
di filosofia dell’Università di Messina (Girolamo Cotroneo), dell’Università Cattolica di Milano (Virgilio Melchiorre) e
del Dipartimento di pedagogia dell’Università Statale di Milano (Luciano Corradini), è stata finanziata dal C. U. N. (Ministero dell’Università) e curata da Clemente Lanzetti e Cesare Quarenghi. Il volume,
attualmente in corso di stampa, apparirà in
libreria presumibilmente a partire da febbraio del 1994.
L’indagine vera e propria, di tipo quantitativo, è stata preceduta da una ricerca condotta qualitativamente, come studio dei
casi, sui seguenti quattro istituti: l’Istituto
Magistrale “Stefanini” di Mestre, l’I. T. I.
S. di Bollate (Milano), l’I. T. I. S. “Cobianchi” di Verbania (Novara), l’I. T. C. a
indirizzo linguistico di Paderno Dugnano
(Milano). Essa ha permesso le opportune
integrazioni e modifiche del questionario
dell’’85-’86 e la redazione di due distinti
questionari, per docenti e presidi, inviati
per via postale.
I punti focalizzati dal questionario sono
stati i seguenti:
- tipologia d’istituto e di indirizzi in cui è
presente la filosofia;
- aspetti organizzativi e strutturali della
scuola;
64
- collocazione, significato ed importanza
dell’insegnamento della filosofia nell’area
comune e nell’area d’indirizzo;
- compiti assunti dalla filosofia all’interno
del curriculum sperimentale;
- taglio metodologico adottato;
- argomenti trattati e importanza riservata
al pensiero del ’900;
- innovazioni introdotte negli ultimi anni;
- legame tra indirizzi scelti e programma di
filosofia;
- valenza formativa e professionalizzante
della filosofia;
- aspetti relativi alla pratica d’insegnamento (uso dei testi classici, del manuale,
criteri di selezione del manuale, altri strumenti utilizzati, tipo di orientamento filosofico sostenuto, lavoro di gruppo, ecc. );
- verifica e valutazione;
- collegamenti con le altre discipline;
- aggiornamento effettuato e richiesto;
- valutazioni personali su aspetti innovativi dell’insegnamento;
- dati generali sulla scuola e sui docenti.
Interessate all’indagine sono state sia
scuole statali che non statali dei settori
classici, scientifici, magistrali (molte
delle quali trasformate in istituti linguistici) e tecnici.
Per quanto concerne gli istituti statali
sono state privilegiate le cosiddette maxisperimentazioni (328 al maggio del
1990), anche se le minisperimentazioni
non sono state affatto escluse dal campione. Queste ultime hanno costituito
l’universo di riferimento pressoché esclusivo degli istituti non statali, in quanto in
essi le maxisperimentazioni sono molto
rare.
Complessivamente si sono raggiunti 562
istituti (con un’elaborazione conclusiva
dei dati riferita a 174 istituti, quota che
rappresenta circa il 50% delle scuole sperimentali dell’universo potenziale, cioè
dell’insieme delle scuole con la filosofia
presente nel curriculum e toccata dall’innovazione) dell’intero territorio nazionale, con una soddisfacente rappresentatività sia dei vari indirizzi, sia delle varie aree
geografiche. A quest’ultimo proposito,
però, va precisato che, in rapporto alla più
diffusa presenza di esperienze sperimentali al Nord rispetto al Centro e al Sud,
risulta anche nel campione più rappresentata la scuola del Nord rispetto a quella
delle altre regioni d’Italia.
Come già detto, l’ottica che ha guidato la
presente indagine è di tipo essenzialmente
operativo. Infatti, fermo restando lo scopo
di dare un’immagine per quanto possibile
completa dell’insegnamento filosofico nelle sperimentazioni, si è fatta una ricognizione di tale insegnamento con l’obiettivo
di trarre dalle esperienze in atto stimoli e
proposte per un aggiornato insegnamento
della filosofia. A tale scopo l’indagine ha
riservato una particolare cura ai seguenti
tre poli del comportamento didattico dei
docenti: il rapporto coi testi, il rapporto coi
diversi saperi, lo spazio dato al pensiero
filosofico contemporaneo (o del ’900), cioè
DIDATTICA
i temi che, per molti studiosi, costituiscono i più significativi requisiti di qualità
dell’insegnamento filosofico. D’altro canto sono esattamente questi i fronti sui quali
i nuovi programmi “Brocca” di filosofia
intendono attestare l’insegnamento della
filosofia nella scuola superiore.
Il resoconto dettagliato dei risultati sfugge
di necessità all’economia di questa nota.
Essi, comunque, sono destinati a produrre
pessimismo o ottimismo. Pessimismo in
chi pensi (ma esiste?) a proposito delle
sperimentazioni tutto il bene possibile,
indipendentemente dai travagli che le hanno attraversate e le attraversano e dalla
cronica incapacità del Ministero a fornire
indirizzi, supporti e, soprattutto, “governo”, intendendo con tale concetto, beninteso, quanto di meglio si possa e si debba
intendere. Ottimismo, invece, in quanti
ben conoscono i caratteri di vischiosità
della scuola italiana, cioè l’immobilismo e
quella sorta di a-storicità che la contraddistinguono o, per lo meno, i tempi lunghi
dei suoi processi modificativi. Da questo
punto di vista ci si trova di fronte ad una
complessiva dinamicità che, seppur con
lentezza e forse non senza qualche staticità, disloca comunque l’insegnamento filosofico in atto certamente più avanti sul
segmento ideale della qualità. Ciò vale per
tutti e tre i nodi citati, vale per lo stile
didattico, fattosi certamente più vario e
flessibile rispetto alla metà degli anni ’80
- per quanto sia improprio un raffronto
stretto fra le due immagini, data la diversità dei campioni e il tempo trascorso - e vale
soprattutto per la consapevolezza che dimostrano di avere i docenti stessi a proposito di quelli che essi stessi considerano
difetti o limiti da superare.
Emergono, a questo proposito, le carenze
della formazione di base fornita dall’Università, le quali, se possono essere in qualche modo affrontate e forse superate con
un aggiornamento mirato per quanto concerne il pensiero del ’900, più difficilmente possono venir eliminate con tale sistema
a proposito del rapporto coi saperi, in specie fisico-matematici e naturalistici.
La tavola rotonda, tenuta al termine dell’indagine proposta nella forma di interventi organici di Enrico Berti, Virgilio
Melchiorre, Pietro Rossi, Carlo Sini,
Carlo Lazzerini e Cesare Quarenghi, si
è occupata specificamente di questi problemi, contestualizzandovi i risultati della
ricerca, tanto più importanti in un momento di potenziale espansione dell’insegnamento filosofico anche in curricoli tecnici.
Il volume è aperto da una prefazione di
Girolamo Cotroneo, presidente della S.
F. I. dal 1986 al 1989, e da una introduzione di Luciana Vigone, curatrice dell’indagine sull’insegnamento della filosofia
del 1985-86. C.Q.
Interventi, proposte, ricerche
Due recenti interventi sulla rivista “Paradigmi” (n. 32, maggio-agosto 1993),
l’uno di M. L. Gavuzzo, l’altro di L.
Podini Alano, hanno messo in rapporto il problema dell’insegnamento della filosofia nelle scuole con il problema delle motivazioni o dell’interesse
(tutt’altro che scontato) dei giovani
per la disciplina. Sulla rubrica “insegnamento e programmazione” di
“Nuova Secondaria” (n. 1, settembre
1993) F. Minazzi, F. Bottin e A. Girotti
avanzano proposte concrete per la
didattica della filosofia.
Nel suo intervento su “Paradigmi”, dal
titolo: Insegnamento filosofico e metafilosofia, Maria Luisa Gavuzzo (III Università di Roma) prende spunto dalla diffusa
e pressante ricerca, da parte degli insegnanti, di metodologie adeguate e di forme
nuove di didattica, per sottolineare come
essa celi in realtà un disagio profondo,
relativo al declino dell’interesse degli studenti per il programma di filosofia. «Assistiamo così a questa situazione assurda: in
tempi in cui era scarsissimo, se non nullo,
l’interesse per la didattica (vedi ad esempio G. Gentile), l’insegnamento della filosofia era sostanzialmente adeguato e riscuoteva vivo interesse negli allievi, mentre oggi le metodologie più moderne e
stimolanti lasciano gli allievi indifferenti e
spesso del tutto demotivati». Questo affievolimento dell’interesse degli studenti per
la filosofia non discende tanto, secondo
l’autrice dell’articolo, da una inadeguatezza della didattica o dei manuali in uso,
bensì dalla incertezza circa lo statuto e
l’identità della disciplina stessa. Ne deriva
un compito che è quello di discutere non
tanto intorno alle tecniche d’insegnamento, quanto al problema della legittimità
della filosofia nel panorama odierno dei
saperi.
La proposta di Gavuzzo è quella di una
nuova chiave di lettura della filosofia, vale
a dire, come proponeva P. Filiasi Carcano in alcuni suoi studi divenuti oggi quasi
irreperibili (Introduzione alla metafilosofia, Roma 1968-69; Genesi psicologica
della problematica filosofica, ivi, 196970; Analisi metafilosofica e storia della
filosofia, ivi, 1973-74) di assumere nei
riguardi della filosofia un atteggiamento
autonomo e distaccato, in modo da considerarla come un oggetto di indagine al pari
di ogni altra attività culturale, nell’ottica
di indagare sui caratteri dell’attività filosofica e sulla sua funzione culturale. Ciò
richiede una metodologia più ampia di
quella tradizionale, ossia una metodologia
di tipo storico-genetico, che rimanga aperta a tutte le sollecitazioni che vengono da
altre discipline. L’autrice esemplifica questa prospettiva in una sintetica considerazione circa la «storia della progressiva
carenza della capacità partecipativa», che
65
contraddistingue la storia del pensiero filosofico come pensiero che privilegia la
conoscenza logico-formale. Conoscenze
tratte dall’ambito della biologia (E. Neumann), dalla psicologia genetica (Piaget),
dalla psicologia storica (J. -P. Vernant)
aiutano a focalizzare la “mutazione mentale” che stiamo vivendo e che impone alla
filosofia, oggi, di non essere più soltanto la
coscienza critica della cultura, ma della
crisi della cultura stessa.
Leonella Podini Alano (Istituto Magistrale “Virgilio” - Milano), nel suo intervento su “Paradigmi, dal titolo: La didattica della filosofia, invita a «fare i conti...
con quel “principio di realtà”, che è l’attuale utenza della Scuola Secondaria».
Occorre non dare affatto per scontato il
bisogno di filosofia nei giovani, almeno
nel senso in cui gli insegnanti sono abituati
a riconoscerlo. L’intervento di Alano, che
prende spunto dal tema dell’apertura del
disagio in cui si gioca l’identità culturale
dell’insegnante di filosofia, precedentemente messo a fuoco da F. Papi (“Paradigmi”, n. 26, 1991; cfr. questa rivista, n. 5,
1991), avanza la tesi che insegnare oggi
filosofia richiede «di dover scalzare una
sorta di renitenza, di sorda riluttanza a...
correre il rischio cui l’esercizio del “pensare” inevitabilmente ci espone». L’approccio alla filosofia porta inevitabilmente ad una esplorazione di orizzonte simbolici diversi e “altri” rispetto a quelli soliti,
abituali, ed impegna ad aperture mentali e
“revisioni” talora costose. Da qui la necessità di una «regia duttile e accorta dello
spazio didattico», cioè una impostazione
dell’insegnamento che non miri alla semplice ripetizione-memorizzazione e che
valorizzi invece lo sforzo euristico-interpretativo, facendo inoltre i conti con lo
statuto aperto della disciplina.
Fabio Minazzi (Istituto “L. Geymonat” Milano), nel suo intervento su “Nuova
Secondaria”, dal semplice titolo: Filosofia, pone il problema di distinguere, nell’ambito della programmazione didattica
di inizio anno, fra l’avviamento dell’insegnamento della filosofia ed il suo regolare
proseguimento. In entrambi i casi il metodo più opportuno per tale insegnamento
consiste, secondo Minazzi, in quello che
già Kant aveva indicato con il nome di
metodo erotematico o dialogico-socratico, basato sul costante confronto critico
fra il docente e il discente. Tale metodo
appare infatti il più atto a sviluppare in
quest’ultimo autonome capacità criticodialettiche ed un autonomo punto di vista,
suscettibile di essere confrontato con altre
prospettive. Minazzi indica alcuni obiettivi che si pongono all’interno di una strategia dell’educazione al dialogo e alla libera
discussione critica, ma avverte anche come
i possibili confronti che possono essere
avviati fra discenti e docenti devono essere sempre vincolati, come punto di partenza, dai testi filosofici, in modo da superare
ogni rischio di genericità culturale e da
DIDATTICA
abituare i discenti a storicizzare sistematicamente argomenti delimitati e problemi
ben specifici.
Fra gli obiettivi indicati nell’articolo, acquista particolare rilievo quello di abituare
lo studente ad individuare i differenti concetti cui può far riferimento un medesimo
termine del lessico filosofico e ad inserire
ciascuno di questi differenti significati nella
tradizione di pensiero che gli è più appropriata. Inoltre, sottolinea Minazzi, «di fronte alla polimorfa varietà del testo filosofico bisogna sviluppare nel discente la capacità di compiere letture diversificate di una
stessa pagina filosofica...; di saper individuare il tema fondamentale affrontato dall’autore, ricollegandolo, eventualmente,
con il suo tipico orizzonte filosofico, nonché con altre - e conflittuali - tradizioni di
pensiero».
Francesco Bottin (Università di Padova)
e Armando Girotti (Liceo scientifico
“Cornaro” - Padova) avanzano, sul medesimo numero di “Nuova Secondaria”, un
progetto articolato per l’insegnamento della
filosofia (“Filosofia: proposta per una didattica”). Convinzione degli autori è che
l’insegnamento filosofico, pur interagendo ed integrandosi con le altre discipline
curricolari, non deve mai mancare di caratterizzarsi in maniera autonoma, in base
alla sua finalità fondamentale che è quella
di sviluppare lo spirito critico proprio della razionalità contemporanea. La proposta
degli autori si traduce poi in una ipotesi di
definire la struttura e le fasi sequenziali in
cui articolare le lezioni di filosofia, secondo uno schema basato sui seguenti titoli
principali: premessa generale (definizione
degli obiettivi, scelta dei metodi e degli
strumenti), argomento specifico (tesi portante, selezione dei contenuti, strutturazione delle sequenze di approfondimento,
preparazione dei materiali), attuazione, verifica e questionari.
nonché delle discussioni e degli approfondimenti in classe. Gli obiettivi del test,
presentato sulla rivista, riguardano la comprensione terminologica, la comprensione
dei problemi, la verifica della capacità di
analisi delle risposte kantiane, della capacità di generalizzazione, di trasformazione e di adattamento dei risultati. Si sono
utilizzati quesiti a scelta multipla, quesiti
del tipo Vero/Falso (anche con correlazione logica), quesiti del tipo “corrispondenze”, e infine quesiti del tipo “saggio breve”. Vengono poi specificate le istruzioni
per l’analisi e la valutazione esatta dei
risultati.
Su “Il tempo della scuola”, n. 3 (1993),
compare un articolo di Ennio d’Amico,
che propone un test di verifica dell’apprendimento del criticismo kantiano.
La proposta nasce dal tentativo di
misurarsi con i problemi relativi alla
valutazione dei processi di apprendimento in itinere.
Secondo Ennio d’Amico il docente deve,
per una sua seria riqualificazione professionale, maturare competenze relative alla
conoscenza dei processi di apprendimento, alla valutazione e alla verifica dei livelli di apprendimento dei propri allievi, alla
costruzione di strumenti di verifica. Il test
approntato intende individuare i livelli di
apprendimento di una classe quinta di liceo scientifico, in relazione alla problematica epistemologica, così come si presenta
nel criticismo kantiano. Nel costruire gli
items si è tenuto conto non solo del programma svolto, ma anche dei testi utilizzati (manuale e antologia di scritti kantiani)
66
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
n. 1, gennaio-marzo 1993
Giuffrè editore, Milano
Questo numero della rivista è dedicato alla
figura di Renato Treves.
a proposito di critica della conoscenza e
critica della metafisica: la critica hegeliana, pur muovendo dalle posizioni kantiane,
si propone come un vero e proprio superamento di Kant.
I principi dell’etica biomedica e il personalismo, di P. Cattorini.
Renato Treves (1907-1992), di N. Bobbio.
Renato Treves filosofo del diritto, di M. A.
Cattaneo.
Renato Treves sociologo del diritto, di V.
Ferrari.
La schiavitù in Aristotele, di L. Bagolini:
l’articolo prende spunto dalla tesi che la
teoria aristotelica della schiavitù inerisca al
problema morale e riguardi quindi la questione della perfettibilità dello schiavo.
Integrità, tradizione, interpretazione, di B.
Pastore: la riflessione di Dworkin, in L’impero del diritto (1986), sulla nozione di
integrità alla luce dei concetti di pratica
sociale e tradizione.
Bioetica y poder, di J. M. Serrano RuizCalderon.
AQUINAS
Anno XXXVI, n. 1, gennaio-aprile 1993
Pontificia Università Lateranense
L’archeologia del post-moderno: Bataille,
Lacan, Derrida, di P. Pellecchia: determinante per la comprensione del pensiero
della post-modernità non è tanto Nietzsche,
quanto le letture di Nietzsche, soprattutto a
partire dall’interpretazione heideggeriana.
Christian anthropological conceptions and
their foundation in the ‘Holy Scripture’
and the ‘Magisterium’, di G. Blandino.
Hegel e Kant: critica della conoscenza e
critica della metafisica, di L. Messinese:
analisi della critica hegeliana alla filosofia
teoretica di Kant, con particolare attenzione ai rapporti intercorrenti tra i due filosofi
La recuperacion de la politica como cienca
pratica y Santo Tomas de Aquino, di J. M.
Barrera.
Aristotele in Hegel secondo G. R. G. Mure,
di M. Demofonti: lo studioso inglese Mure
e la sua interpretazione di Hegel alla luce di
un effettivo rapporto con Aristotele.
Ontosemantica en el umbral de la metafisica, di L. V. Burgoa.
Wittgenstein e la natura felice del colore,
di G. Cascione: la riflessione su spazio,
colore e immagine nello sviluppo del pensiero di Wittgenstein.
Wittgenstein e Peirce sull’esperienza interna, di R. M. Calcaterra: la riflessione di
Wittgenstein e Peirce sui “fatti interni” rappresenta un aspetto significativo della impostazione anti-coscienzialista di entrambi.
Dalla macchina intelligente alla macchina
socializzata, di D. Sparti: una critica filosofica dell’intelligenza artificiale.
La critica dei pregiudizi in D’Holbach, di
D. Di Iasio.
Il ritmo del pensiero nei ‘Quaderni del
carcere’, di G. Baratta.
Compare inoltre un ricordo di C. Luporini, recentemente scomparso, a cura di
D. Bigalli.
NOVECENTO
Vol. 3, n. 7, 1993
Centro di Studi Italiani, Roma
L’autonomia scientifica della linguistica:
intervista di F. Casadei a Raffaele Simone
sul suo recente libro: Il sogno di Saussure
(Laterza, Bari, 1992).
Un enigma platonico, di F. Fronterotta: la
questione della dottrine non scritte e la
storiografia platonica.
Verso una sistemazione del concetto di
immagine corporea, di F. Castellana.
Tra ambiguità e conflittualità permanente,
di M. Gracceva: note a Die Betrogene di
Thomas Mann.
PARADIGMI
Vol. XI, n. 32, maggio-agosto 1993
Schena Editore, Brindisi
La filosofia delle forme simboliche di
Cassirer e il suo significato per il presente,
di E. W. Orth.
67
STUDI KANTIANI
n. 6, 1993
Giardini Editori e Stampatori, Pisa
Del criticismo kantiano o della filosofia
come “riflessione trascendentale”, di F.
Barone: testo dell’intervento di Barone a
Napoli nel 1991 in occasione della presentazione dell’opera di Kant, Epistolario filosofico (1761-1800) (Il Melangolo, Genova 1990).
Spontaneità e libertà nella filosofia pratica
di Kant, di K. Düsing: un’analisi accurata
della teoria kantiana della libertà nella Fondazione della metafisica dei costumi, in cui
è ancora ben presente la riflessione degli
anni Settanta, per poi rivolgersi al rapporto
tra legge morale e libertà nella Critica della
ragion pura. In questa evoluzione si registra un passaggio da una concezione della
libertà vicina a quella dell’idealismo fichtiano alla dottrina propriamente kantiana della libertà, in cui pur sempre permane
un significato teoretico.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Pietro Siciliani Lettore “positivista” di
Kant, di L. Bellatalla.
Luigi Pareyson ad un anno dalla scomparsa, di S. Givone.
Il significato “ecologico” di alcune pagine
kantiane della ‘Critica del Giudizio’, di S.
Marcucci: un’analisi del cap. 63 della Critica del Giudizio teleologico.
Il ritorno di Hermann Cohen a Marburg, di
P. Fiorato.
Filosofia della natura e soggettività in Kant.
Alcuni punti di vista, di P. Vasconi: una
rassegna di testi recenti sulla filosofia della
natura di Kant in rapporto ad alcuni temi
della riflessione epistemologica odierna e
ai progressi delle scienze empiriche.
La Kant-Forschungsstelle dell’Università
di Magonza, di C. La Rocca.
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXV, n. 1, gennaio-marzo 1993
Vita e Pensiero, Milano
Il Gaetano e l’ente “primum cognitum”, di
F. Riva: la questione dell’ente come primum cognitum è al centro della riflessione
di Tommaso de Vio Card. Gaetano (14691534), il quale non può essere considerato
semplicisticamente come il prodotto di una
certa tradizione filosofica di stampo aristotelico-tomista. Questa problematica assume infatti una curvatura problematica che,
oltre all’ambito ontologico, investe anche
l’area teoretica.
Il problema del “dovere” nel pensiero di
Moritz Schlick e di Ludwig Wittgenstein, di
S. Marini.
Per una interpretazione fenomenologica
di Jonas, di S. Mancini: riesame di alcuni
temi etici della filosofia di Jonas, connessi
anche a problematiche teoretiche; infatti il
contributo più importante che Jonas ha
lasciato alla riflessione del nostro secolo è
appunto incentrata sulle tematiche etiche,
legate anche a problemi di ordine economico ed ecologico, a partire soprattutto dal
1979.
che cosa consiste il post del Postmoderno.
AUT AUT
n. 254-255, marzo-giugno 1993
La Nuova Italia, Firenze
Tema della rivista: “Il soggetto di Leibniz”
Il fascicolo si apre con un contributo di H. G.
Gadamer del 1946, in occasione del trecentesimo anniversario della nascita di Leibniz,
in cui viene delineato un profilo storicoteoretico del grande filosofo moderno.
Seguono poi interventi che indagano su
aspetti particolari del pensiero leibniziano:
Lineamenti fondamentali del “senso interno”, di A. Robinet, sul problema del “senso
interno” della monade; La teoria leibniziana della relatività di spazio e tempo, di H.
Poser, sul contesto teoretico di spazio e
tempo della monade; Relazioni intramonadiche e percezioni, di M. Mugnai, sul rapporto di relazione nelle percezioni monadiche; Il proscritto del re. Leibniz “gentilhomme de coeur”, di G. Zingari, sul ruolo
di Leibniz come impiegato di corte; Il lato
notturno della filosofia di Leibniz, di V.
Mathieu, sull’aspetto non rigorosamente
razionale del pensiero di Leibniz; Un incontro monadologico tra Oriente ed Occidente. La recezione di Leibniz nel poeta
giapponese Kenji Miyazawa, di K. Sakai;
“Perché qualcosa piuttosto che niente?”
Leibniz e l’onto-teo-logia moderna, di M.
Ruggenini, sulla domanda metafisica fondamentale che lega Leibniz a tutta la storia
della metafisica occidentale; Su Leibniz, di
G. Deleuze; Leibniz, paradigma di sistematicità. Intorno alla lettura di Michel
Serres, di A. Delcò; Che cos’è il neobarocco filosofico?, di M. Perniola; La camera
oscura. Implicazioni e complicazioni del
soggetto in Leibniz, di R. Cristin.
Lo sforzo di tutti questi interventi è quello
di porre in rilievo il tema del soggetto, tema
che, al di là di una specifica ricerca, rappresenta senz’altro un tentativo di risposta ad
una delle questioni che più caratterizzano
la nostra epoca. In questo senso l’attualità
di Leibniz si coglie soprattutto nello sforzo
di ridimensionamento del ruolo del soggetto , alla ricerca di un nuovo rapporto organico con il mondo che ben si lega alle esigenze
ecologiche da più parti emergenti.
D’altra parte, se senz’altro risultano innegabili i contributi forniti dal filosofo alla
scienza, degna di attenzione è anche la sua
prospettiva politica di stampo europeista,
che rappresenta un’anticipazione di problematiche proprie del nostro tempo.
Gadda e il caleidoscopio dell’euresi, di G.
Gabetta
Di un gatto (Malraux e la gloria) di J. F.
Lyotard.
La città aperta ed i suoi emblemi, di H. D.
Bahr: l’immagine della città nella storia
della filosofia.
La verità del cercare, di F. Rella e O.
Cecchi: una corrispondenza tra i due amici.
Filologia col botto, di M. Ferraris: ancora
un intervento sul dibattito relativo alla recente pubblicazione della Volontà di potenza, a cura di Ferraris e Kobau, con
particolare riferimento all’ambito della
denazificazione di Nietzsche.
Per un’epistemica costruttiva, di A. Sciacchitano.
ZEITSCHRIFT
FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG
Vol. 47, n. 2, aprile-giugno 1993
Klostermann Verlag, Frankfurt a/M
Formale Semantik im Verhältnis zur
Erkenntnistheorie, di H. Hrachovec.
Die Konsequenzialistische Begründung des
Lebensschutzes, di G. Pöltner.
Zwischen Wissenschaftskritik und Hermeneutik: Foucaults human Wissemschaften,
di D. Teichert: una riflessione sull’evoluzione del pensiero di Foucault.
Freiheit und Determinismus (2), di G. Seebass.
ZEITSCHRIFT
FUR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG
Klostermann, Frankfurt a/M
Vol. 47, n. 3, luglio-settembre 1993
Interkulturalität und inter-Intentionalität,
di E. W. Orth: gli articoli di Husserl del
1923-24 (Kaizo- Artikel).
Prove elènchiche relative all’immaterialità ed immortalità dell’anima, di F. Rivetti
Barbò.
AUT-AUT
Il senso di presenza e la concezione postfenomenistica dell’essere (il problema di
una semantizzazione elementare dell’essere), di M. Mangiagalli.
L’ospitalità, di P. A. Rovatti: alcune pagine sull’ospitalità di E. Jabès.
n. 256, luglio-agosto 1993
La Nuova Italia, Firenze
Jenseits von Cartesianismus und Skeptizismus, di W. Lütterfelds: il paradosso wittgensteiniano della certezza del contingente.
Il postmoderno come parte del Moderno,
di O. Marquard: l’autore sostiene, in modo
originale, che Moderno e Postmoderno non
sono in contraddizione, indicando anche in
Die Fäden im Gewebe der Natur, di W.
Lübbe: determinismo e probabilismo nella
teoria della causalità di J. Stuart Mill.
68
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Kants Theorie der formalen Bestimmung
des Willens, di F. Schroeter.
lità probabilistica in J. von Kries (1888).
What is species?, di M. Mahner: un’analisi
dell’ontologia di Mario Bunge.
DEUTSCHE ZEITSCHRIFT FÜR
PHILOSOPHIE
Vol. 41, n. 4/1993
Akademie Verlag, Berlin
Der Tod des Subjeckts, di A. Heller: la
questione della soggettività nella filosofia
contemporanea.
Habermas liest Humbolt, di J. Trabant: un
confronto tra Habermas e Humbolt intorno
al problema del linguaggio.
Was Computer noch immer nicht können,
di H. L. Dreyfus.
Und noch einmal: “Ob Computer denken
können?”, di K. Meyer-Drawe.
Die umfassende Rolle des Körpergefühls
im Denken und Sprechen, di E. T. Gendlin.
Werfen wie ein Mädchen, di I. M. Young:
la corporeità e la riflessione di MerleauPonty.
Die Situiertheit des Denkens, Wissens und
Sprechens im Handeln, di H. J. Schneider:
gli orizzonti di pensiero aperti dalla riflessione dell’ultimo Wittgenstein.
ZEITSCHRIFT FÜR ALLGEMEINE
WISSENSCHAFTSTHEORIE
Vol. 24, n. 1, 1993
Kluwer Academic Publishers,
Dordrecht, Boston, London
Nachruf auf Wolfgang Stegmüller, di R.
Kleinknecht.
The seven sins of pseudo-science, di A. A.
Derksen: il criterio di demarcazione tra
scienza e non-scienza e le riflessioni di
Laudan e Lugg.
Mathematical progress: between reason
and society (I), di E. Glas: esame dello
statuto epistemologico della matematica;
alla luce anche della riflessione di Lakatos;
ci si chiede se la matematica sia una conoscenza svincolata da ogni condizionamento storico, culturale, sociale o temporale, o
non sia piuttosto un prodotto storicamente
contingente della cultura umana.
Is there an incommensurability between
superseding theories?, di A. Polikarov:
alcune considerazioni sul concetto di incommensurabilità.
za del ruolo di Sartre per la nascita del poststrutturalismo.
Discontinuous becomings. Deleuze on the
becoming-woman of philosophy, di R.
Braidotti.
Philosophy of science in Finlaand: 19701990, di I. Niiniluoto.
Gilles Deleuze: the aesthetics of force di R.
Bogue: una ricostruzione della riflessione
estetica di Deleuze a partire da Francis
Bacon: logique de la sensation (1981) e dai
suoi scritti sul cinema e sulla musica.
JOURNAL OF THE HISTORY
OF PHILOSOPHY
Making it whit death: remarks on thanatos
and desiring-production, di N. Land:
Deleuze come emblema dello spinozismo trascendentale di molti pensatori
contemporanei.
Vol. XXXI, n. 2, aprile 1993
Washington University, St. Louis
The moral status of “the Many” in Aristotle, di J. E. Garrett: sul significato dei termini hoi polloi, hoi fauloi e le loro implicazioni, legate alla riflessione dell’Etica nicomachea e della Retorica II, 12-17.
Language games, expression and desire in
the work of Deleuze, di J. M. Heaton.
Nomads and revolutionaries, di S. Plant:
la riflessione politica di Deleuze e Guattari in Mille Plateaux: capitalisme et
schizophrénie (1980).
Burudan and skepticism, di J. Zupko: il
confronto tra Buridano e le tesi scettiche di
Nicola di Autrecourt.
J. B. S. P.
Mathematical demonstration and deduction in Descartes’s early methodological
and scientific writings, di D. A. Recker.
Vol. 24, n. 2, maggio 1993
University of Manchester, Manchester
Tema della rivista: “Io, Politica, Metodo”.
The rational warrant for Hume’s general
rules, di M. A. Martin: dopo una breve
rassegna dei più significativi interventi sul
tema humeano delle leggi generali e un
esame preventivo di questa teoria, viene
analizzato il rapporto tra leggi generali e
autorità normativa.
Limiting reason’s empire: the early reception of Hegel in France, di B. Baugh: Hegel
in Francia, ovvero il “concreto universale”
nell’epistemologia francese e il ritorno dall’epistemologia alla storia.
The question of the transcendental Ego:
Sartre’s critique of Husserl, di J. M. Edie:
a partire da La trascendenza dell’ego (1936)
di Sartre, l’articolo ricostruisce il rapporto
tra Sartre e Husserl sulle nozioni di “io
trascendentale” e di intenzionalità; tali nozioni, se da un lato consentono a Sarte di
abbandonare la fenomenologia dei suoi
maestri francesi, come Brunschvicg, Lalande, Meyerson, dall’altro gli appaiono
inficiate da una profonda irrazionalità.
A question concerning Heidegger’s involvement in national socialism , di F.
Schalow.
J. B. S. P.
Vol. 24, n. 1, gennaio 1993
University of Manchester, Manchester
Tema della rivista: “Il pensiero di Gilles
Deleuze”.
The system and its fractures: Gilles Deleuze
on otherness, di T. G. May: la riflessione
dell’ultimo Deleuze.
Physical constants and reference dynamics, di B. Lauth.
Deleuze and empiricism di B. Baugh: la
particolarità dell’empirismo di Deleuze,
venato di metafisica ed ispirato da Hume.
Die Theorie der adäquaten Verursachung, di W. Lübbe: il concetto di causa-
Foreclosure of the other. From Sartre to
Deleuze, di C. V. Boundas: sull’importan69
Recent american perspectives on Nietzsche’s political significance, di H. Weiss:
distinguendo tra una Destra, un Centro ed
una Sinistra nietzscheana, l’articolo affronta
alcune questioni centrali nella critica americana al filosofo tedesco: l’olismo ermeneutico, l’integrità logica, il postmoderno.
Marx’s ‘Capital’ from the viewpoint of
transcendental philosophy, di K. Hartmann:
una valutazione dell’aspetto teoretico del
Capitale a partire dalla filosofia trascendentale.
Towards a unified epistemology of the human and natural sciences, di S. Glynn.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
THE PHILOSOPHICAL REVIEW
Vol. 102, n. 2, aprile 1993
Cornell University, Ithaca, New York
Descartes on mind-body interaction and
the conservation of motion, di P. McLaughlin: la questione cartesiana del rapporto
anima-corpo e l’interpretazione di Leibniz.
Spinoza’s argument of the identity theory,
di M. Della Rocca: la questione del rapporto anima-corpo in Spinoza.
Anomalism, uncodifiability and psychophysical relations, di W. Child.
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN
Vol. 91, maggio 1993
Institut supérieur de philosophie
Louvain la Neuve
Socratic questioning, logic and rhetoric, di
J. Hintikka: l’articolo indaga l’origine della teoria logica, metodologica e retorica di
Aristotele.
Persuasion and moral reform in Plato and
Aristotle, di G. Klosko: l’importanza della
riflessione platonica sulla retorica nel Fedro e nel Gorgia per lo sviluppo della teoria
aristotelica, in funzione anche del forte
legame tra retorica e politica.
Style & sense in Aristotle’s rhetoric BK 3,
di S. Halliwell.
La possibilità di una formalizzazione della
logica aristotelica degli entimemi, di A.
Plebe: la logica aristotelica degli entimemi
dei cap. 23-24 della Retorica dà la possibilità di una formalizzazione di una logica
della scelta, gli entimemi dimostrativi, da
un lato, e di una logica paralogica, gli
entimemi apparenti, dall’altro.
perte sono state di recente rivalutate (Dalla
logica contemporanea alla logica medievale, di A. Maierù). Troviamo inoltre interventi sul rapporto tra fede, scienza e concezione della storia (Scienza ed epistemologia nell’Islam medievale, di M. Campanini; La concezione del tempo e della storia
nell’Islam. L’interpretazione fenomenologica di H. Corbin, di R. Silva). Numerosi
interventi anche sulla medicina medievale,
sull’aritmetica e sulla concezione scientifica di Dante.
INTERSEZIONI (Vol. XIII, n. 2, agosto
1993, Il Mulino, Bologna) dedica un numero monografico al tema: “La tecnica alla
fine del millennio”.
PROSPETTIVA PERSONA (N. 1-2, lugliodicembre 1992, Demian Edizioni, Teramo) presenta un intervento di P. Ricoeur
dal titolo: Il nuovo ethos per l’Europa.
MERKUR (Vol. 47, n. 6, giugno 1993, Klett
Événement et destinée chez Schelling, di
M. Maesschalck: nella fase finale dello
sviluppo della sua filosofia Schelling tenta
di superare le aporie relative alla questione
dei principi primi dell’esistenza in rapporto all’Assoluto; le difficoltà interpretative
proprie di questa fase della riflessione schellinghiana hanno determinato un certo oblio
storiografico che solo di recente ha recuperato la portata ontologica di una filosofia
essenziale per la comprensione dell’esito
finale dell’idealismo tedesco.
Anthropologie et philosophie: un double
retour au fondement, di P. Watté: la questione, posta da Cassirer, delle condizioni
di oggettività e dello statuto epistemologico dell’antropologia sociale negli studi più
recenti.
La sagesse de l’histoire. Jean Baptiste Vico
et la philosophie pratique, di M. R. Natale;
recensione dell’omonimo volume di F.
Botturi (Vita e Pensiero, Milano 1991).
Hegel, des années de jeunesse à la fondation
du premier système. Aperçu de la littérature
récente sur le jeune Hegel, di O. Depré.
Sur la spécificité philosophique du Japon,
di B. Stevens: recensione di N. Kitarô: La
culture japonaise en question (Publications Orientalistes de France, 1991).
Penser l’Autre: théologie négative et “postmodernité”, di P. W. Rosemann.
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
Vol. 47, n. 1, 1993
Universa, Wetteren
Tema della rivista: “La retorica di Aristotele”.
Remarks on induction in Aristotle’s dialectic and rhetoric, di S. Knuuttila.
Cotta, Stuttgart) presenta interventi su
Shakespeare, Stendhal ed una conversazione tra Duby, Geremek e Sainteny sul
ruolo delle donne nel Medioevo
TEOLOGIA (Anno XVIII, n. 2, giugno 1993,
ER, REVISTA DE FILOSOFIA (n. 14, 1992/
1, Er editorial, Sevilla) presenta un numero
monografico dedicato a Friedrich
Nietzsche.
LES ÉTUDES PHILOSOPHIQUES (gennaio-marzo 1993, Paris, PUF) dedica il fascicolo a Revaisson, l’intelligence de l’habitude.
REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE (Vol. 98, n. 1-2, gennaio-giugno
1993, Armand Colin, Paris) è dedicata al
centenario della fondazione della rivista.
In questo numero speciale vengono raccolti articoli significativi per la storia della
rivista e dei suoi importanti collaboratori
ed un elenco degli articoli pubblicati dal
1893 al 1992.
NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE
(anno XI, n. 2, aprile-giugno 1993, Nuova
Eri, Torino), presenta un fascicolo monografico dedicato al tema: “Scienza e tecnica nel Medioevo”, in ideale continuità con
un analogo fascicolo del 1991 dal titolo:
“Scienza e tecnica nel mondo classico”. Il
Medioevo cristiano, anche grazie all’apporto della cultura araba, integrò la concezione greca dell’universo e dell’ordine cosmico attraverso l’idea dell’origine divina
di esso, pur non rinunciando ad un’analisi
razionale che potesse allargare il campo
delle nostre conoscenze. Questo è quanto
afferma M. T. Beonio Brocchieri Fumagalli (Teologia e scienza nel pensiero medievale), che con ciò dimostra l’infondatezza
dell’opposizione, nel Medioevo, tra religione e scienza naturale. Rilevante anche
l’apporto dei logici medievali, le cui sco70
Glossa, Milano) presenta un intervento di
P. Gilbert dal titolo: La ragione teologica
nel sec. XIII: a proposito di figure medievali della teologia, a proposito del volume
di I. Biffi: Figure medievali della teologia
(Milano, Jaka Book, 1992)
CULTURA E LIBRI (n. 86, maggio-giugno
1993, Dante Alighieri, Roma) è dedicata al
tema: “Epistemologia contemporanea (II):
Popper e Kuhn” e propone una rilettura
critica delle opere di Popper e Kuhn, segnalazioni bibliografiche e recensioni dei principali testi di critica epistemologica ed un
glossario dei termini fondamentali per capire la moderna filosofia della scienza.
RIVISTA ROSMINIANA (Anno LXXXVII,
n. 2, aprile-giugno 1993) presenta un articolo di W. A. Daros: Ser y verdad en la
filosofia de Rosmini, che propone un confronto tra il pensiero di Rosmini e quello di
Heidegger.
RIVISTA ROSMINIANA (Anno LXXXVII,
n. 3, luglio-settembre 1993 presenta l’articolo di G. Giannini: La nozione di mondo
nella Teosofia di Rosmini.
SCHERIA (Anno I, n. 3, settembre-dicem-
bre 1992, Valentino Editore, Casamicciola
Terme) presenta un intervento di K. O.
Apel dal titolo: La dimensione ermeneutica delle scienze sociali e la sua fondazione
normativa; compare inoltre Raffaello Franchini: la filosofia come vocazione, di G.
Cotroneo.
NOVITÀ IN LIBRERIA
NOVITÀ IN LIBRERIA
AA.VV.
Filosofia e cultura nell’Europa
di domani
a cura di Battista Mondin
Città Nuova, settembre 1993
pp.224, L. 20.000
Nell’Europa “da fare” la sintesi classico-cristiana rimane esemplare e
orientatrice, ma essa deve restare aperta alle necessità e urgenze dell’oggi e
del domani: per esempio, la cultura
della solidarietà e dell’ “altro” deve
prendere il sopravvento sull’attuale
disgregante modello edonistico.
AA.VV.
Interiorità e comunità.
Esperienze di ricerca in filosofia
a cura di A. Rigobello
Studium, settembre 1993
pp. 339
Il volume raccoglie diversi saggi che
affrontano la filosofia dal punto di
vista della ricerca e del ricercare come
domande fondamentali della filosofia e, sotto questo profilo, prendono
in esame varie forme in cui questo
ricercare della filosofia si concretizza
nell’esperienza comunitaria: dal dialogo al seminario, dalla lectio alla
disputatio.
AA.VV.
Chaos- das schöpferische Prinzip?
a cura Engadiner Kollegium
Herder, maggio 1993
pp. 240, DM 38
Abel, Günther
Interpretationswelten.
Gegenwartsphilosophie jenseits
von Essentialismus und Relativismus
Suhrkamp, maggio 1993
pp. 535. DM 64
Abosch, Heinz
Das Ende der großen Visionen.
Plädoyer für eine skeptische Kultur
Junius, maggio 1993
pp. 180, DM 34
Albertazzi, L. - Poli, R.
Brentano in Italia
Guerini, settembre 1993
pp.350, L. 54.000
Il volume tratta della complessa influenza che il filosofo tedesco Franz
Brentano ha esercitato sulla cultura
del nostro secolo, in particolare su
quella italiana.
sul problema dell’essere; discussioni
polacche sul reismo.
Alighieri, Dante
Convivio
Rizzoli, settembre 1993
pp. 376, L. 14.000
La grande enciclopedia filosofica di
Dante, mista di versi allegorici e prose esplicative, per la nuova aristocrazia spirituale degli italiani, fu scritta
fra il 1304 e il 1307.
Baas, Bernard
Le Désir pur: parcour philosophique
dans les parages de J. Lacan
Peeters, luglio-agosto 1993
pp. 219, F. 123
Il nostro secolo filosofico ha fatto
della finitezza l’oggetto di dibattito
intorno al pensiero. Le prospettive
aperte dalla comprensione lacaniana
ci invitano ad una rilettura dei filosofi, a cominciare da Platone. Ai filosofi restano molte cose da scoprire del
pensiero di Lacan, che troppo spesso
si è voluto ridurre alle motivazioni
liguistiche della sua ricerca.
Alverny, Marie-Thérèse d’
Aviecienne en Occident:
receuil d’articles
de Marie Thérèse d’Alverny réunis
en hommage a l’auteur
Vrin, luglio-agosto 1993
pp. 272, F 320
La redazione degli articoli raccolti in
questo volume accompagnò l’elaborazione e la pubblicazione da parte di
M. T. d’Alverny del catalogo metodico del Avicenna latinus, apparso negli Archivi di storia dottrinale e letteraria del Medioevo tra il 1961 e il
1972. I manoscritti di Avicenna vanno a controbilanciare, nella nostra
conoscenza della vita intelletuale
medioevale, il peso dell’aristotelismo.
Balibar, Etienne
La Philosophie de Marx
La Découverte, luglio-agosto 1993
pp. 128, F 45
Allievo e collaboratore di Louis
Althusser, l’autore tenta una doppia
scommessa: rendere accessibili i temi
ed i problemi propriamente filosofici
che sono stati trattati da Marx o che
possono essere suscitati dalle sue
opere, e proporre gli elementi di un
bilancio e di un pronostico.
Antony, Louise M. (a cura di)
A Mind of one’s own.
Feminist Essays on Reason
and Objectivity
Westview Press, maggio 1993
pp. 330, £ 12
Tredici femministe discutono se riservare o meno un posto agli ideali
tradizionali di razionalità ed obiettività, all’interno del modo femminista
di vedere la filosofia ed il mondo.
Baruzzi, Arno
Die Zukunft der Freiheit
Wissenschaftl. Buch., maggio 1993
pp. 370, DM 69
Si riflette sul futuro della libertà attraverso la sua origine: libertà classica,
libertà cristiana, Liberalismo, Idealismo tedesco, Socialismo, Liberalismo postmoderno. Nel capitolo finale viene posta la domanda sulla dignità umana in relazione alla libertà.
Aubenque, Pierre
La Prudence chez Aristote
PUF, luglio-agosto 1993
pp. 224, F. 62
La prudenza aristotelica rappresenta,
secondo P. Aubenque, la fortuna ed il
rischio dell’azione umana.
Bayertz, K. (a cura di)
Evolution und Ethik
Reclam, giugno-luglio 1993
pp. 375, DM 14
Augustynek, Z. - Jadacki, J.J.
Possible Ontologies
Edition Rodopi, giugno-luglio 1993
p. 193, Fr. Ol. 100
Rassegna di una certa ontologia; il
minimo ontologico; Carnap e Leibniz
Bell, David (a cura di)
Wissenschaft und Subjektivität.
Der Wiener Kreis
und die Philosophie des 20.
Jahrhunderts
Akademie Verlag, luglio 1993
pp. 160, DM 98
71
Bianchi, L. - Randi E.
Vérité dissonantes:
Aristotes à la fin du Moyen Age
pref. M. Fumagalli
Beonio Brocchieri
trad. dall’italiano di C. Pottier
Ed. Univ. de Fribourg, giugno 1993
pp. 266, F 45
Gettando uno sguardo nuovo sulla
storiografia medievale, quest’opera
affronta diversi problemi relativi al
quadro filosofico e culturale dei secoli XIII e XIV: onnipotenza divina,
pluralità dei mondi possibili, calculationes, armonia dell’universo
Borreil, Jean
La Raison nomade
a cura di C. Buci-Glucksman,
J. Fraisse, G. Rancière
pref. J. Rancière
Payot, giugno 1993
pp. 264, F. 160
Lo scrittore e filosofo Jean Borreil,
nato nella Catalogna francese nel
1938, rintraccia il suo percorso paziente, dalla fondazione della rivista
“Rivolte logiche” (nel 1975) fino alla
sua scomparsa nel 1992.
Bos, E. P. - Krop H., A.
(a cura di)
Franco Burgersdijk (1590-1635).
Neo-Aristotelian in Leiden
Edition Rodopi, giugno-luglio 1993
pp. 185, Fior. Ol. 60
Bourg, Dominique (a cura di)
Les Sentiments de la nature
La Découverte, luglio-agosto 1993
F 120
Per superare il mito di una simbiosi
uomo-natura che sarebbe propria delle società africane, in opposizione
all’essenza predatrice che caratterizzerebbe le società cristiane occidentali, questo libro offre un’informazione rigorosa sulle interpretazioni
della natura nelle grandi civiltà.
Bourgeois, Bernard
D’Hondt, Jacques
La philosophie
et la Révolution française
Vrin, luglio-agosto 1993
pp. 313, F 240
Con l’intento di aiutare a forgiare una
concezione meditata della Rivoluzione, questo Convegno internazionale
NOVITÀ IN LIBRERIA
(Société française de philosophie, 31
maggio- 1˚ e 2 giugno 1989) permette
di chiarire il ruolo e la funzione della
filosofia nella storia.
Breadzeale, D.
Janke, W.- Krämer, F.
Hiltscher, R.
Theorethische Vernunft
Edition Rodopi, luglio 1993
pp. 244, Fior. OL. 80
Brykman, Geneviève
Berkeley et le voile des mots
Vrin, luglio-agosto 1993
pp. 445, F 280
Fondato sulla critica dell’astrazione,
l’immaterialismo di Berkeley si evolse privilegiando il carattere metaforico delle forme del discorso degli uomini. In effetti il velo delle parole è
una realtà doppia: il primo velo è
nella polvere sapiente dei partigiani
delle idee astratte; il secondo si mostra nel carattere indicibile di ciò di
cui non abbiamo idea e di cui parliamo per analogie e metafore.
Buccianti, Giovanni
1989: idoli infranti,
fantasmi di guerra
Giuffrè, settembre 1993
pp.172, L. 18.000
Il crollo dell’impero sovietico, l’abbattimento del muro di Berlino, il
fallimento dell’ideologia comunista,
la fine della guerra fredda: i grandi
avvenimenti del 1989 che hanno chiuso definitivamente un’epoca, al vaglio di uno storico delle relazioni internazionali.
Burbage, Frank
Chouchan, Natalie
Leibniz et l’infini
PUF, luglio-agosto 1993
pp.128, F 280
Leibniz è uno degli inventori del calcolo infinitesimale. Qual’è il senso di
questa invenzione? Si tratta del punto
di ancoraggio di una filosofia nuova
che farebbe della comprensione razionale dell’infinito la sua preoccupazione principale?
C. Chalier, M. Abensour (a cura di)
Cahier de l’Herne
Emmanuel Lévinas
LGF, giugno 1993
pp. 626, F 70
Contiene dei testi di filosofia, tra i
quali: Trascendenza e tempo; La coscienza non intenzionale; Socialità e
danaro. Diversi autori, tutti operanti
in ambito universitario, e specialisti
stranieri apportano il loro contributo
a questo studio dell’asse portante del
pensiero di Lévinas.
Cabibbo, Paola
Lo spazio
e le sue rappresentazioni: stati
modelli, passaggi
ESI, settembre 1993
pp.190, L. 26.000
Punti di vista e competenze eterogenee si confrontano, ragionando intorno al multivalente concetto di Spazio:
artistico, urbanistico, teatrale, testuale, cognitivo, estetico, letterale e metaforico; visibile e invisibile; referenziale e ideologico.
Caputo, Cosimo
Su Hjelmslev
La nuovola di Amleto: segno, senso
e filosofia del linguaggio
E.S.I., settembre 1993
pp.168, L. 22.000
L’esigenza di determinare l’orizzonte semiotico generale della ricerca di
Louis Hjelmslev (1899-1965) finora
non pienamente focalizzata nei numerosi studi che la considerano in
funzione di un interesse strettamente
linguistico, fa emergere così un “altro
Hielmslev”. La problematica dell’interpretazione non è dunque estranea
al linguista- danese, non è il tema più
evidente, ma scavando nei suoi scritti, nella sua pratica teorica e storiografica se ne rintraccia la presenza.
Cassirer, Ernst
Erkenntnis, Begriff, Kultur
a cura di R.A. Bast
Meiner, maggio 1993
pp. 302, DM 38
Questo volume riunisce sei importanti saggi scritti fra gli anni 1913 e
1939 - altrimenti difficilmente raggiungibili in originale - nei quali
Cassirer presenta i tratti fondamentali del concetto della conoscenza sviluppato nelle sue opere principali e
respinge i fraintendimenti dei suoi
contemporanei.
Cavallari, Giorgio
La forma, l’immaginario, l’uno.
Saggi sull’analogia e il simbolismo
Guerini, settembre 1993
pp.239, L. 35.000
Insegnare che l’albero simboleggia i
molteplici stati dell’essere, o che la
montagna è simbolo del cosmo, o che
il sole rimanda ai principi intelleggibili dell’universo, significa mettere
in evidenza come le varie forme della
vita siano intrecciate in modo indissolubile con le immagine archetipe
scaturite dai miti dell’Origine.
Cavazzani, Guido
Interpretazioni di Weber
e teorie della società
Franco Angeli, settembre 1993
pp.160, L. 24.000
I temi weberiani della politica, della
burocrazia e della razionalizzazione
nella società moderna sono visti
come interpretazioni di Habermas e
di Luhmann e di un particolare marxismo italiano di forte rilevanza sociologica.
Cavinez, Patrice
Le Politique et sa logique
dans l’oeuvre d’Eric Weil
Kimé, luglio-agosto 1993
pp. 296, F 180
Eric Weil (1904-1977), filosofo francese d’origine tedesca e di religione
ebraica, ha elaborato una concezione
ed una pratica della filosofia interamente rivolte al problema della violenza. Si tratta di una filosofia politica che ci permette di interrogare la
nostra realtà, segnata dal post-comunismo.
Ceynowa, Klaus
Zwischen Pragmatismus
und Funktionalismus.
Hans Vaihimgers
Philosophie des Als Ob
Königshausen & Neumann
maggio 1993
pp. 250, DM 50
Cicerone
Plaisir et vérité:
De finibus, livre I et II
du souverain bien et du mal suprême
a cura di e trad. di Chantal Labre
Arléa, luglio-agosto 1993
pp. 153, F 95
Una nuova traduzione di una delle
maggiori opere dell’autore, consacrata ai temi cari agli epicuristi.
Cohn, Jonas
Théorie de la dialectique:
doctrine des formes philosophiques
Age d’homme, luglio-agosto 1993
pp. 349, F 180
Dopo un excursus sulla storia del
pensiero occidentale, quest’opera propone un inventario sistematico delle
contraddizioni contro cui urta ogni
coscienza al momento della ricerca di
un discorso coerente.
Colli, G. - Montinari, M.
Miller, N. - Pieper, A. (a cura di)
Nietzsche-Briefwechsel.
Kritische Gesammtausgabe
Briefe von und an Friedrich
Nietzsche Oktober 1849-April 1869
(Sez. I, vol. 4)
de Gruyter, giugno-luglio 1993
pp. 960, DM 360
La prima opera con i resoconti aggiuntivi all’edizione critica completa
delle lettere di Nietzsche.
Coniglione, F.(a cura di)
Polish Scientific Philosophy.
The Lvov- Warsaw School.
Edition Rodopi, giugno-luglio 1993
pp. 358, Fior. Ol. 150
Scritti su Twardowski, Adjukiewicz,
Kotarbinski, Tarski e Lukasiewicz,
come pure sull’etica, sulla scienza, il
nominalismo e la metodologia della
psicologia.
Coombs, Jerrold R. - Winkler, Earl
Applied Ethics. A Reader
Blackwell, giugno-luglio 1993
pp. 450, £ 15
Qual’è la natura dell’etica applicata?
Qual’è il rapporto tra l’etica applicata, la scienza e la tecnologia? Può
l’etica applicata essere criticamente
sovversiva e riformare la moralità
72
convenzionale? Il testo indaga su
queste questioni e fa il punto sull’etica del commercio, dell’ambiente e
della biomedica.
Coreth, Friedrich
Der Zeitbaum. Grundlegung
einer allgemeinen Zeittheorie
Insel-Vlg, maggio 1993
pp. 288, DM 38
Courcelles, Dominique de
La Parole risquée de Raymond Lulle:
entre judaïsme, christianisme
et islam
Pref. A. De Libera
Vrin, luglio-agosto 1993
pp. 192, F 162
Il volume propone una lettura dinamica di alcuni grandi testi nei quali
Lulle parla di se stesso e rivela diverse convinzioni fondamentali della
propria esistenza. La tesi centrale è
che Lulle, nato tra il mondo ebraico,
cristiano e musulmano nel XIII secolo, si sia convertito al Cristianesimo
in linea con le interpretazioni talmudiche e midrasciche.
D’Holbach, Paul Thiry
Saggio sul pregiudizio
Guerini, settembre 1993
pp.246, L. 38.000
Il pregiudizio, afferma D’Holbach, è
tutto ciò che ingombra la strada della
verità, è l’errore che occorre sradicare dalla metodologia politica di governo: è l’inganno, la menzogna,
l’ideologia di cui il regime si serve
come sistema per reprimere i popoli
governanti.
Derrida, Jacques
Khôra
Galilée, giugno 1993
pp. 90, F. 100
Khôra fa riferimento alla famosa
materia informe di cui dispone il
demiurgo nel Timeo di Platone per
formare il mondo sensibile sul modello del mondo intellegibile. J.
Derrida commenta il testo di Platone
alla luce dell’analisi di J.-P. Vernant
e presenta Khôra come il modello di
un nome di cui sottolinea la femminilità essenziale.
Derrida, Jacques
Passions
Galilée, giugno 1993
pp. 90, F. 98
Meditazione sui paradossi dell’educazione, sul senso del «dovere» e sul
«segreto» che riveste i nomi propri.
Derrida, Jacques
Sauf le nom
Galilée, giugno 1993
pp. 115, F.100
Due interlocutori discutono di ciò che
ruota intorno al nome: dal nome dei
nomi e dal nome di Dio che viene
presentato come una realtà spirituale
che non si può nominare. Dio diventa
allora un SopraNome, che «conta di
NOVITÀ IN LIBRERIA
più del nome» ma che viene al «suo
posto».
Descombes, Vincent
The Barometer of Modern Reason.
On the Philosophies
of Current Events
Oxford University
giugno-luglio 1993
pp. 224, £ 25
L’autore esplora e mette in discussione i mezzi di misurazione - “il barometro” - che vengono utilizzati dai filosofi per valutare lo spirito del tempo e/o
la natura della ragione moderna.
Di Gennaro, Antonio
L’ermeneutica idealistica
Filosofia politica neoidealistica
italiana e interpretazione
ESI, settembre 1993
pp.172, L. 22.000
Una storia del pensiero giuridico presuppone un valore delle varie e successive formulazioni in una loro considerazione nel tempo. Questa possibilità sorgerà solo superando la dicotomia tra un diritto e una interpretazione che ne è specchio.
Dorschel, A. (a cura di)
Transzendentalpragmatik.
Ein Symposium für Karl-Otto Apel
Suhrkamp, giugno-luglio 1993
pp. 456, DM 30
Duchesneau, François
Leibniz et la méthode
de la science
PUF, giugno 1993
pp. 424, F. 258
Al di là del regno, poi l’eclisse, dal
paradigma newtoniano, si pone l’opera filosofica e scientifica di questo
pensatore che inventò il calcolo infinitesimale, la dinamica e dei nuovi
modelli per la teoria dell’organismo e
fornì un punto di ancoraggio privilegiato all’analisi epistemologica.
Ebbinghaus, Julius
Gesammelte Schriften
Vol.IV: Studien zum Deutschen
Idealismus. Schriften 1909-1924
a cura di H. Oberer e G. Geisman
Bouvier, maggio 1993
pp. 430, DM 85
Il quarto ed ultimo volume dell’opera
raccoglie lavori del periodo precedente al 1924, principalmente gli Studien zum Deutschen Idealismus. Contiene l’attesa prima pubblicazione
della tesi per l’abilitazione alla libera
docenza, Die Grundlagen der Hegelschen Philosophie 1793-1803 del
1921.
Ebeling, Hans
Das Subjekt in der Moderne.
Rekonstruktion der Philosophie
im Zeitalter der Zerstörung
Rowohlt, giugno-luglio 1993
DM 22,90
L’autore fa riferimento alla dibattuta
questione se ci si debba o meno ac-
contentare dell’autodeterminazione
dell’essere umano come essere umano. Nessuna realtà esterna può decidere rispetto a questa questione, solo
l’essere umano stesso.
Ehrlich, L. H. - Wisser, R.
Karl Jaspers.
Philosopher Among Philosophers.
Edition Rodopi, giugno-luglio 1993
pp. 357, Fior. Ol. /5
Ehrlich, Leonhard H.
Fraglichkeit der jüdische Existenz.
Philosophische Untersuchungen
zum modernen Schicksal der Juden
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 366, DM 78
La domanda sul futuro dell’Ebraismo
viene sviluppata in tre parti: 1. l’incontro dell’Ebraismo con l’epoca moderna ed il suo ingresso in essa; 2. la
distruzione della comunità ebraica
europea da parte della Germania nazista; 3. la necessità di assicurare l’esistenza delle comunità ebraiche attraverso i moderni mezzi di esercizio del
potere .
Eichel, Christine
Vom Ermatten der Avantguarde
zur Vernetzung der Künste.
Perspektiven einer
interdisziplinären Ästhetik
im Spätwerk Theodor W. Adornos
Suhrkamp, maggio 1993
pp. 360, DM 48
Elster, Jon
Argomentare e negoziare
Anabasi, settembre 1993
pp.141, L. 20.000
Il centro teorico di questo mirabile
saggio di filosofia politica è l’indagine su due tipi di atto linguistico: l’argomentare - che rinvia all’uso della
ragione e al principio di imparzialità
- e il negoziare - in cui l’egoismo
scoperto si esprime mediante promesse, avvertimenti e minacce.
Enderle, G. (a cura di)
Lexikon der Wirtschaftsethik
Herder, giugno-luglio 1993
pp. 704, DM 158
Il testo offre una conoscenza orientativa per coloro i quali cercano delle
risposte affidabili nel campo problematico dei rapporti tra economia e
morale.
Engelen, Eva Maria
Zeit, Zahl und Bild.
Studien zur Verbindung
von Philosophie und Wissenschaft
bei Abbo von Fleury
de Gruyter, maggio 1993
pp. 171, DM 42
In un dialogo interdisciplinare rappresentanti di diverse discipline (teologia, filosofia, geografia, pedagogia, psicologia e scienza comportamentale) discutono in maniera rappresentativa diverse questioni etiche
sul rapporto dell’uomo con la natura
e l’ambiente.
Fischer, Hubert
Einführung in die Philosophie.
Grundlegende Begriffe
und Vorstellungen im Rahmen
einer essentiellen Philosophie
Kovac, giugno-luglio 1993
pp. 200, DM 79,80
Fisher, K. R. - Wimmer, Fr. M.
(a cura di)
Der geistige Anschluß.
Philosophie und Politik
an der Universität Wien 1930-1950
Wiener Universität, maggio 1993
pp. 250, ÖS 248
Foley, Richard
Working Without A Net.
A Study of Egocentric Epistemology
Oxford University, maggio 1993
pp. 256, £ 27.50
In questo libro, l’autore offre un’importante nuova teoria sulla razionalità. Il suo scopo è di sottrarsi alla
“malinconia di Cartesio”, abbassando il livello di ciò che è razionale
dall’impossibile livello di richiesta di
certezza preteso da Cartesio.
Freimuth, Frank
Wie kultiviere ich die Freiheit
bei dem Zwange?
Zum Bildungsverständnis
Friedrich Albert Langes
Centaurus-Verl.-Ges., maggio 1993
pp. 176, DM 38
Freistetter, W. - Weiler, R.
(a cura di)
Die Einheit der Kulturethik
in vielen Ethosformen
Duncker & Humbolt, maggio 1993
pp. 360, DM 98
Friedrich, Janette
Der Gehalt der Sprachform.
Paradigmen von Bachtin
bis Vygotskij
Akad. Verlag, maggio 1993
pp. 224, DM 68
Gadamer, Hans-Georg
Hermeneutik - Ästhetik
praktische Philosophie.
Hans-Georg Gadamer im Gespräch
a cura di C. Dutt
Winter, maggio 1993
pp. 48, DM 24
Erdmann, K.-H.
Perspektive menschlichen Handelns:
Umwelt und Ethik
Springer, giugno-luglio 1993
pp. 216, DM 48
73
Gauthier, D. - Sugden, R.
(a cura di)
Rationality, Justice
and the Social Contract.
Themes from Morals by Agreement
Harvester Wheatssheaf
giugno-luglio 1993
pp 192, £ 35
Filosofi, economisti e teorici politici
discutono l’opera di David Gauthier,
il quale cerca di dimostare che individui razionali sarebbero disposti ad
accettare certe costruzioni morali sulle
loro scelte. Vengono analizzate possibilità e limitazioni di un approccio contrattuale su questioni giudiziarie.
Gesche, Astrid
Johann Gottfried Herder:
Sprache und die Natur des Menschen
Königshausen & Neumann
maggio 1993
pp. 172, DM 38
Lo scopo del lavoro è di stabilire, in
maniera il più possibile riassuntiva,
la posizione di Herder all’interno della discussione filosofica e del dibattito sulle scienze naturali a lui coevi
tesi a stabilire la motivazione antropologica della lingua.
Giorello, Giulio - Regge Tullio
Veca Salvatore
Europa Universitas
Feltrinelli, settembre 1993
pp.128, L. 20.000
I tre saggi che compongono questo
libro, frutto di una originale e inedita
collaborazione tra un filosofo della
scienza, uno scienziato e un filosofo
della politica, intendono mettere a
fuoco, da tre diverse angolazioni prospettiche, questa specificità europea.
In particolare, Giulio Giorello ricostruisce nel suo saggio alcuni momenti cruciali del percorso storico
dell’ “Europa dei saperi” e spiega
come si è costituita ed evoluta e quali
effetti di lunga durata ha prodotto la
comunità degli scienziati europei.
Gloy, K - Burger P. (a cura di)
Die Naturphilosophie
im deutschen Idealismus
Frommann-holzboog
giugno-luglio 1993
pp. 399, DM 142
Atti del convegno tenutosi presso la
“Reimers Stiftung” di Bad Homburg
nell’aprile 1992. Questo volume viene promosso dallo “Hegel-Archiv”
della Ruhr-Universität di Bochum.
Graham, George
Philosophy of Mind. An Introduction
Blackwell Publishing, maggio 1993
pp. 224, £ 11
Un’introduzione alla filosofia della
mente, che copre argomenti quali
mente/corpo, identità personale, coscienza, intenzionalità e libertà della
volontà. Il libro include anche argomenti come “l’esperienza dopo la
morte”, le menti degli animali e di
Dio, la malattia mentale e la felicità.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Grätzel, Stefan
Organische Zeit.
Zur Einheit von Erinnerung
und Vergessen
Karl Alber, maggio 1993
pp. 150, DM 48
L’autore concepisce il rapporto, fondato dal punto di vista esistenzialeontologico, tra spazio e tempo ricorrendo al principio del “Gestaltskreis”
(V. v. Weisäcker) come regolazione
organica di ricordo e oblio. Sotto questo aspetto egli indaga i criteri dell’accesso e della disponibilità di passato presente e futuro.
Grethlein, Thomas
Reservate der Geltung.
Untersuchungen zum Verhältnis
von Transzendentalphilosophie
zu Hermeneuthik und Pragmatik
Königshausen & Neumann
giugno-luglio 1993
pp. 200, DM 38
Il lavoro verifica come potrebbe realizzarsi un’ulteriore “espansione” del
programma della filosofia trascendentale rispetto a quanto già tematizzato da Kant come Gegenstandsbereiche, o se esistano delle pretese di
validità in un’operazione di questo
tipo.
Greven, M.Th. - Koop D.
(a cura di)
War der Wissenchaftliche
Kommunismus eine Wissenschaft?
Leske u. Budr., giugno-luglio 1993
pp. 180, DM 28
Großheim, M. - Waschkies, H. J.
(a cura di)
Rehabilitierung des Subjektiven.
Festschrift für Hermann Schmitz
Bouvier, giugno-luglio 1993
pp. 540, DM 180
Hermann Schmitz ha presentato negli ultimi decenni una concezione
completamente nuova della filosofia attraverso il metodo di una lucida
fenomenologia empirica. Invece di
lavorare con le dicotomie tradizionali (corpo-anima, mondo interioremondo esteriore), Schimtz prende in
considerazione il coinvolgimento affettivo, la sensualità, i sentimenti
come atmosfere, le situazioni, le sensazioni.
Guyer, Paul (a cura di)
Kant and the Experience of Freedom.
Essays on Aesthetics and Morality
Cambridge University, maggio 1993
pp. 480, £ 45
Questa raccolta di saggi si propone di
trasformare il nostro modo di concepire l’estetica e l’etica di Kant. Guyer
mostra che al centro della teoria estetica di Kant il disinteresse per il gusto
diventa un’esperienza di libertà e
quindi un accompagnamento indispensabile alla moralità stessa.
Hager, Fritz-P.
Aufklärung, Platonismus
und Bildung bei Shaftesbury
Haupt, giugno-luglio 1993
pp. 240,, DM 48
Haller, Rudolf
Neopositivismus.
Eine historische Einfürung
in die Philosophie
des Wiener Kreises
Wissenschaftl. Buch., maggio 1993
pp. 308, DM 59
Il libro non fornisce solamente una
panoramica delle premesse del Neopositivismo, della sua evoluzione interna ed esterna, ma corregge anche
l’immagine steoreotipata dell’Empirismo logico.
Hansen, Chad
A Taoist Theory of Chinese Thought.
A Philosophical Interpretation
Oxford Univ., giugno-luglio 1993
pp. 496, £ 50
Nel tentativo di abbattere le barriere
tra la filosofia cinese e la filosofia del
resto del mondo, questo studio si propone di presentare una teoria unificata del pensiero classico cinese. L’autore utilizza il Taoismo, invece del
Confucianesimo, come principio centrale ed unificante.
Haug, Wolfgang Fritz
Elemente einer Theorie
des Ideologischen.
Mit einer Einleitung
in die ideologietheoretische
Fragestellung von Juha Koivistu
und Veikko Pietilä
Argument-Verlag, maggio 1993
pp. 176, DM 18,50
Hausman, Carl R.
Charles S. Peirce’s
Evolutionary Philosophy
Cambridge University, maggio 1993
pp. 288, £ 30
Il testo pone l’attenzione su quattro
dei concetti fondamentali per Peirce:
il pragmatismo e la sua evoluzione in
quello che Peirce chiama “pragmatismo”; la sua teoria del segno; la sua
fenomenologia e la sua teoria che la
continuità è di importanza primaria
per la filosofia.
Heidegger, Martin
Eraclito
1. L’inizio del pensiero
occidentale
2. Logica. La dottrina
eraclitea del Logos
Mursia, settembre 1993
pp.272, L. 45.000
I due corsi universitari tenuti rispettivamente nel semestre estivo del 1943
e del 1944, costituiscono un ampio
materiale su cui si basano gli scritti su
Eraclito già pubblicati dallo stesso
Martin Heidegger.
Herbart, Johann Friedrich
Lehrbuch zur Einleitung
in die Philosophie
a cura di W. Henckmann
Meiner, giugno-luglio 1993
pp. 408, DM 78
Questa seconda edizione, riveduta e
corretta criticamente, è un’importante opera di confronto con l’Idealismo
tedesco ed è contemporaneamente un
paradigma della didattica filosofica.
Hersch, Jeanne
L’Etonnement philosphique:
une histoire de la philosophie
Gallimard, giugno 1993
pp. 464, F. 44,50
Lo stupore è quella capacità di interrogarsi su di una evidenza accecante,
che ci impedisce cioè di vedere e di
comprendere il mondo. E’ attraverso
la storia di questo stupore, di continuo ripreso, che J. Hersch ci racconta
come la filosofia sia sempre stata
attuale.
Hinske, N (a cura di)
Kant und die Aufklärung
Meiner, giugno-luglio 1993
pp. 134, DM 58
Hinterberger, Norbert
Der philosophische Aberglaube
des Antirealismus
Bouvier, giugno-luglio 1993
pp. 260, DM 58
In questa raccolta di saggi e critiche
vengono analizzati - all’interno della
parte critica - sia due autori contemporanei (Baudrillard e Niklas Luhmann), sia un classico del cosiddetto
Idealismo “oggettivo” (Hegel); questo avviene tramite i mezzi della logica utens in relazione ad un confronto
con i modelli di realtà critici realistici.
Höckmayr, Karl
Die Evolution des menschlichen
Geistes zwischen Haben und Sein
Profil Vlg., maggio 1993
pp. 140, DM 35
Hoeres, Walter
Offenheit und Distanz.
Grundzüge einer phänomenologische
Anthropologie
Duncker & Humbolt, maggio 1993
pp. 456, DM 98
Höffe, Otfried
Moral als Preis der Moderne.
Ein Versuch über Wissenschaft,
Technik und Umwelt
Suhrkamp, giugno-luglio 1993
pp. 320, DM 24
Hogrebe, W. von (a cura di)
Philosophie in Jena.
Reden anläßlich der Neugründung
des Philosophischen Instituts
der Friedrich-Schiller-Universität
Palm und Elke, maggio 1993
pp. 40, DM 20
74
Hornung, E. von - Schabert T.
(a cura di)
Auferstehung und Unsterblichkeit
W. Fink, giugno-luglio 1993
pp. 300, DM 48
Sulla possibilità di sperimentare la
vita nella morte esistono diversi percorsi di riflessione. In questo volume
vengono mostrati i più importanti: la
psicologia spirituale, i riti socio-religiosi, la meditazione filosofica, la
purificazione dell’anima, la dottrina
della Redenzione, la conoscenza razionale, i culti sacrificali tesi alla riconciliazione con il mondo spirituale
e naturale.
Hüsser, Heinz
Natur ohne Gott. Aspekte
und Probleme
von Ludwig Feuerbachs
Naturverständnis
Königshausen & Neumann
giugno-luglio, 1993
pp.164, DM 38
L’esautorazione della teologia e del
Dio monoteistico vengono realizzati
da Feuerbach ricorrendo alla natura
fisico-matematica. Questo fa sorgere
la domanda se questa natura senza
Dio significhi una rivalutazione della
natura o se questa venga abbandonata
definitivamente alla prassi umana.
Husserl, Edmund
Idées directrices
pour une phénoménologie
et une philosophie
phénoménologique pures
Vol. 3 La Phénoménologie
et les fondements des sciences
a cura di D. Tiffeneau
PUF, giungo 1993
pp. 320, F. 298
Ottanta anni fa Husserl terminava la
redazione del Manuscrit au crayon.
Ma furono necessari ancora diversi
lavori prima che il terzo volume delle
Idee si staccasse dal tronco comune
del secondo libro e che l’opera venisse pubblicata nel 1952. Il volume
contiene anche la Postfazione alle
Idées directrices pour une phénoménologie pure di Husserl (a cura e
tradotto dal francese da Arion L.
Kelkel).
Jacobs, W. G. - Schieche, W.
(a cura di)
Fichte in zeitgenössischen
Rezensionen (4 voll.)
Frommann-holzboog
giugno-luglio 1993
pp.1600, DM 200 (1 vol.)
Jacobs, Wilhelm G.
Gottesbegriff
und Geschichtsphilosophie
in der Sicht Schellings
Frommann-Holzboog, maggio 1993
pp. 88, DM 105
NOVITÀ IN LIBRERIA
Hueber
UniversitätsBuchhandlung
Amalienstraße 77-79
D-80799 München
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NOVITÀ IN LIBRERIA
Janich, Peter
Erkennen als Handeln.
Von der konstruktiven
Wissenschaftstheorie
zur Erkenntnistheorie
Palm & Enke, giugno-luglio 1993
pp. 30, DM 18
Jonas, Hans
Das Prinzip Verantwortung.
Versuch einer Ethik
für technologische Zivilisation
Suhrkamp, giugno-luglio 1993
pp. 426, DM 24,80
Kauffmann, Clemens
Ontologie und Handlung.
Untersuchungen zur Platons
Handlungstheorie
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 490, DM 128
Il libro tratta di un modello, finora
non rivelato, significativo sia nella
prospettiva sistematica che in quella
storica. Si tratta del modello della
teoria dell’azione di Platone.
Kaufman, Arthur
Über Gerechtigkeit.
Dreißig Kapitel praxisorientierter
Rechtsphilosophie
Haymann, giugno-luglio 1993
pp. 544, DM 240
Kissling, Christian
Gemeinwohl und Geregtigkeit.
Ein Vergleich von traditioneller
Naturrechtsethik und kritischer
Gesellschaftstheorie
Herder, maggio 1993
pp. 520, DM 96
Klein, H.-D. (a cura di)
Systeme im Denken der Gegenwart
pp. 290, DM 85
Una recente tematizzazione del concetto di sistema filosofico è di nuovo
attuale, anche se poteva sembrare facilmente accantonabile. Questa attualità pone il sistema non come dogma, ma come problema. Nel primo
volume della serie: “Studien zum
System der Philosophie” viene proposto un bilancio generale.
Klueting, H. - Hinske, N.
Hangst, K. (a cura di)
Katholische Aufklärung.
Aufklärung im katholischen
Deutschland
Meiner, giugno-luglio 1993
pp. 424, DM 128
Kober, Michael
Gewißheit als Norm. Wittgensteins
erkenntnistheoretische
Untersuchungen in Über Gewißheit
de Gruyter, maggio 1993
pp. 429, DM 198
Diversamente rispetto alle interpretazioni correnti di Über Gewißheit,
viene rivelato come Wittgenstein non
riesca a sgretolare lo scetticismo filosofico. Egli ha però sviluppato una
strutturazione concettuale del sapere
in una comunità.
Kobusch, Theo
Die Entdeckung der Person.
Metaphysik der Freiheit
und modernes Menschenbild
Herder, maggio 1993
pp. 300, DM 48
Köhler, Dietmar
Schematisierung des Seinssinnes
als temporale Interpretation.
Untersuchungen zur Thematik
des dritten Abschnittes
von Heideggers Sein und Zeit
Bouvier, maggio 1993
pp. 168, DM 48
L’autore ricostruisce la tematica centrale del terzo capitolo - progettato e
non pubblicato - della prima grande
opera di Heidegger Sein und Zeit, che
in realtà avrebbe dovuto essere il fulcro sistematico della trattazione.
Kolmer, P. - Korten, H.
Grenzbestimmungen der Vernunft.
Philosophische Beiträge
zur Rationalitätsdebatte
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 500, DM 90
Il volume, dedicato a Hans Michael
Baumgarten per il suo sessantesimo
compleanno, offre una vivace immagine speculare delle definizioni contemporanee del concetto di ragione.
Koslowski, Peter
Postmoderne Kultur und Wirtschaft.
Eine Auseinandersetzung
Schulz-Kirchner, luglio 1993
pp. 216, DM 32
Krüger, Hans-P.
Perspektivenwechsel.
Autopoiese, Moderne
und Postmoderne
im kommunikationsorientierten
Vergleich
Akademie-Vlg, maggio 1993
pp. 256, DM 68
Lea, F. A.
The Tragic Philosopher:
Friedrich Nietzsche
The Athlone, giugno-luglio 1993
pp. 354, £ 16.95
Basato su fonti letterarie e biografiche originali, questo libro traccia lo
sviluppo del pensiero di Nietzsche
attraverso le sue fasi principali e sottolinea la sua importanza per i nostri
tempi.
Leger, François
Monsieur Taine
Critérion, giugno 1993
pp. 520, F. 159
Un esame minuzioso dell’esistenza
intima dello storico e del filosofo,
destinato a riabilitare la memoria di
questo grande umanista.
Lennon, Thomas M.
The Battle of the Gods and Giants.
The Legacies of Descartes
and Gassendi
Princenton UP, giugno-luglio 1993
pp. 456, $ 74,50
Questa monografia mostra come il
più importante dibattito filosofico
della seconda metà del XVIII secolo
fosse la disputa tra i sostenitori di
Cartesio e quelli di Gassendi, nel tentativo di stabilire quale immagine
scientifica sarebbe succeduta al modello aristotelico.
Lequier, Jules-Clair, André
La Recherche d’une première verité:
et autres textes
a cura di A. Clair
pref. C. Renouvier
PUF, giugno 1993
pp. 384, F. 250
Jules Lequier (1814-1862), precursore del neocriticismo, ha un pensiero
unico: impiantare stabilmente la libertà. La libertà, che è indimostrabile, si afferma attraverso un atto di
auto-posizione e, attraverso il gesto
più semplice, mette già in scacco la
necessità. La libertà, parteggiando
solo per se stessa, si scopre come
incondizionale.
Kühn, Rolf
Französische Reflexions
und Geistesphilosophie.
Profile und Analysen
Hain, giugno-luglio 1993
pp. 224, DM 74
Liessmann, Konrad Paul
Philosophie der modernen Kunst.
Eine Einführung
WUV-Univ.-Vlg.
giugno-luglio 1993
pp. 200, ÖS 238
Kutschera, Franz von
Die falsche Objektivität
de Gruyter, maggio 1993
pp. 314, DM 48
Il materialismo, con le sue implicazioni per la concezione dei fenomeni
del pensiero, in particolare del riconoscere e dell’agire, è al centro della
prima parte, di impostazione critica,
del volume. Nella seconda parte, di
impostazione costruttiva, viene trattato il concetto di persona ed il problema corpo-anima.
Lo Schiavo, A.
Il segno della distinzione
Biblipolis, settembre 1993
pp.256, L. 35.000
Lucas, J.R.
Responsibility
Clarendon , giugno-luglio 1993
pp. 288, £ 30
Questo volume presenta un’ampia ed
accessibile discussione sulla responsabilità in vari settori della vita umana, dai rapporti personali e sessuali
alla politica. J.R. Lucas discute della
76
libertà del volere, critica l’utilitarismo ed offre al lettore una guida alle
attuali teorie della punizione.
Lyotard, Jean-Francois
Letture d’infanzia
Anabasi, settembre 1993
pp. 190, L. 24.000
L’arte e l’etica, la legge e il mito
rinviano all’infanzia, intesa non come
età della vita, ma come luogo dell’esperienza originaria, inarticolata,
del corpo, della differenza sessuale,
della voce.
Mac-Beath, Murray (a cura di)
The Philosophy of Time
Oxford University maggio 1993
pp. 232, £ 10
Il testo presenta una serie di letture
che introducono gli argomenti centrali della “filosofia del tempo”. Due
di questi saggi sono stati scritti appositamente per questo volume. I
curatori riassumono i punti salienti
del dibattito e dimostrano come gli
argomenti della filosofia del tempo
si rapportano ad altre branche della
filosofia.
MacIntyre, Alasdair
Enciclopedia, genealogia
e tradizione
Massimo, settembre 1993
pp.200, L. 35.000
Breve storia del tomismo, inteso come
genere specifico di ricerca morale: il
paragone tra il modo enciclopedistico di ricerca che dominava la cultura
accademica a cavallo tra i due secoli,
e il modo genealogistico di ricerca
sviluppato per la prima volta da
Nietzsche.
Mader, Johann
Philosophie in die Revolte.
Das Ende des Idealismus
im 19. Jahrhundert
WUV-Universität-Vlg, maggio 1993
pp. 400, ÖS 348
Maerker, Peter
Konservatorismus - noch modern?
Theorie des konservativen Denkens
Bouvier, giugno-luglio 1993
pp. 220, DM 58
La teoria del pensiero conservativo
spiega il conservatorismo, al di là
delle sue manifestazioni storiche ed
antropologiche, come un pensiero
dell’essere, che nella soggettività concreta cerca di tenere in perenne equilibrio il pensiero determinato dalle
idee e che ha la sua stessa origine.
Maier, W - Zoglaurer, Th.
(a cura di)
Technomorphe Organismuskonzepte.
Modellübertragungen zwischen
Biologie und Technik
Frommann holzboog, maggio 1993
pp. 350, DM 38
NOVITÀ IN LIBRERIA
Majer, U - Schmidt, H. J.
(a cura di)
Sematical aspect
of Spacetime Theories
B. I. Wissenschaftsverlag
maggio 1993
pp. 300, DM 48
Non esiste preticamente nessun’altro
settore scientifico in cui la fisica e la
filosofia si compenetrino come accade nelle teorie dello spazio e del tempo. La domanda riguardante che cosa
si intenda per “spazio-tempo” è fondamentale per la semantica delle teorie fisiche.
Mannella, Maria Amelia
Owen e Rousseau
Pacini Fazzi, settembre 1993
pp.112, L. 18.000
Le somiglianze e le differenze tra il
filosofo inglese Robert Owen e il
ginevrino Jean-Jacques Rousseau sul
piano della morale, della scienza, della
società e di una prospettiva essenzialmente pedagogica, nel tentativo di
spiegare come due pensatori così diversi abbiano assunto posizioni simili in relazione al mondo loro contemporaneo.
Marcus, Ruth Barcan
Modalities. Philosophical Essays
Oxford UP, giugno-luglio 1993
pp. 288, £ 30
Una raccolta degli scritti più importanti di questo filosofo e logico americano, comprendente i suoi primi e
più significativi scritti di logica modale e la sua opera più recente sulla
filosofia morale e la razionalità.
Mascolo, Dyonis
Haine de la philosophie:
Heidegger comme modèle
bassesse et profondeur
J.-M. Place, giugno 1993
pp. 184, F. 120
Il pensiero ed i testi di Heidegger
sono il pretesto per un pamphlet sulla
filosofia, nella misura in cui questa è
sempre in scarto, se non in contraddizione, con il metodo di vita. Per l’autore la teoria e la pratica possono
essere d’accordo.
Mayer, Hans
Walter Benjamin
Congetture su un contemporaneo
Garzanti, settembre 1993
pp.88, L. 16.500
Viene ripercorsa l’esistenza di
Benjamin ed evidenziati i nessi profondi che legano la sua esperienza a
quella dei suoi contemporanei, Bloch,
Hofmannsthal, Brecht, Lukàcs,
Adorno e Horkheimer, e viene ricostruito il rapporto con Berlino, Parigi, Mosca.
McNeill, Paul M.
The Ethics and Politics
of Human Experimentation
Cambridge UP, giugno-luglio 1993
pp. 328, £ 37.50
Il testo tratta della sperimentazione
sugli esseri umani ed anche della ricerca medica, di quella sulla droga e
nel campo delle scienze sociali. Il
libro riflette sull’etica di tale sperimentazione e chide: chi difende gli
interesse di questi soggetti umani ed
assicura che non vengano danneggiati?
Metzinger, Thomas
Subjekt und Selbstmodell.
Die Perspektivität phänomenalen
Bewußteins vor dem Hintergrund
einer naturalistischen Theorie
mentaler Repräsentation
Schöhning, maggio 1993
pp. 320, DM 48
Michel, Romain
Du Dieu des philosophes au Dieu
des chrétiens:au delà du catéchisme
Quinquet, giugno 1993
pp. 171, F. 124.
L’autore riflette sul Dio della metafisica arrivando al Dio delle religioni
cristiane.
Millet, Louis - Mourral, Isabelle
Petite encyclopédie de philosophie
Ed. universitaire, giugno 1993
pp. 300, F. 220
L. Millet e I. Mourral, professori aggregati di filosofia, sono entrambi
membri dell’Associazione degli scrittori cattolici, dell’Accademia di educazione e di studi sociali e fondatori
dell’Associazione dei filosofi cristiani.
Mongardini, Carlo
La cultura del presente.Tempo
e storia nella tarda modernità
Franco Angeli, settembre 1993
pp.160, L. 24.000
Per recuperare i valori e gli ideali
della cultura moderna occorre ripensare il senso, le funzioni e i limiti
delle istituzioni che l’hanno prodotta
e ne rappresentano la struttura portante. Solo dalla ripresa della coscienza storica e dalla consapevolezza critica del presente può derivare un recupero del progetto moderno e dei
suoi ideali.
Moore, A. W. (a cura di)
The Theory of Meaning
Oxford University, maggio 1993
pp. 320, £ 10
Questo volume presenta una selezione dei maggiori scritti relativi al dibattito sulla natura del senso e del
referente che iniziò cento anni fa con
il saggio di Frege On Sense and Reference. Un argomento che è di primaria importanza per la filosofia del
linguaggio.
Moore, Adrian (a cura di)
Infinity
Dartmouth, maggio 1993
pp. 500, £ 60
Quest’opera affronta gli aspetti filosofici del concetto di infinità, passando da Aristotele a Zeno, attraverso
Hume, Berkeley e Kant e poi ai compiti e ai supercompiti, alle promesse
ed ai paradossi di Skolem, ai modelli
ed alla realtà, al caso Makropolus ed
al tedio dell’immortalità.
Moore, Edward C. (a cura di)
Charles S. Peirce
and the Philosophy of Science.
University of Alabama
pp. 512, £ 39.95
Una selezione delle relazioni tenute
durante il Centocinquantesimo Congresso Internazionale su Charles S.
Peirce a Harvard nel settembre 1989.
Si tratta della filosofia della scienza e
della sua logica in Peirce.
Müller, Christof
Geschichtsbewußtsein
bei Augustinus. Ontologische,
antropologische
und universalgeschichtlichheilgeschichtliche Elelemente
einer augustinischen
”Geschichtstheorie”
Augustinus-Vlg., maggio 1993
pp. 368, DM 87.
Münkler, Herfried
Thomas Hobbes
Campus Vlg., maggio 1993
pp. 150, DM 17,80
L’autore presenta il pensiero politico
di Hobbes sullo sfondo della guerra
civile inglese e mette in relazione la
teoria di Hobbes con i grandi progetti
di sistema della filosofia politica.
Nathanson, Stephen
Patriotism, Morality and Peace
Rowman & Littlefield, maggio 1993
pp. 220, £ 18
Questo testo offre un dibattito intorno alle domande: Il patriottismo è
un’idea valida, un’idea che si dovrebbe promuovere e sostenere? Oppure
si tratta di una idea pericolosa e distruttiva che porta alla guerra e all’ostilità? Vengono definite forme di
patriottismo pericolose, preziose e
costruttive.
Natoli, Salvatore
L’incessante meraviglia
Lanfranchi, giugno 1993
pp.184, L. 28.000
Un’attenta indagine sulla “verità”, che
viene qui a coincidere con quel che si
cerca piuttosto che con quel che si
trova. Gli scritti qui raccolti si soffermano sulla “verità” senza pretendere
di darne un’esposizione sistematica,
ma al contrario, ne mostrano le diverse sfacettature, i molteplici volti.
Naumann, Ralf
Das Realismusproblem
in der analytischen Philosophie.
Studien zu Carnap und Quine
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 560, DM 168
L’argomento centrale di questo libro
è la filosofia di W. V. Quine. Il lavoro
non è da intendersi come un’ulteriore
77
monografia sulla sua filosofia, ma
come un contributo alla interrogazione sulla questione della possibilità di
una concezione empirica sia all’interno della filosofia del linguaggio
sia nella teoria scientifica.
Neurath, Otto
Anti-Spengler
Palomar, settembre 1993
pp.194, L. 26.000
Un pamphlet critico contro l’autore
del Tramonto dell’Occidente.
Neveu, B.
L’erreur et son juge.
Remarques sur les censures
doctrinales à l’époque moderne
Biblipolis, settembre 1993
pp.624, L. 160.000
E’ difficile oggigiorno, sia allo storico che al teologo, riprendere i principi e le applicazioni dell’ “ars censoria” praticata dall’autorità teologica
nei secoli XVII e XVIII. L’individuazione dell’errore associato a un testo
e ad un autore mette in gioco delle
realtà storiche e dottrinali complesse.
Noichl, Franz
Gewissen und Ideologie.
Zur Möglichkeit der Rekonstruktion
eines unbedingten Sollens
Herder, maggio 1993
pp. 330, DM 49
Noll, Wulf
Sloterdijk auf der ‘Bühne’
Zur philosophischen
und zur philosophiekritischen
Positionsbestimmung des Werkes
von P. Sloterdijk
im Zeitraum von 1978-1991
Vlg. Die Blaue Eule
giugno-luglio 1993
pp. 258, DM 48
Nuttal, Jon
Moral Questions
An Introduction to Ethics
Polity Press, maggio 1993
pp. 240, £ 12
Questo testo discute valori e giudizi,
esamina l’educazione morale e religiosa e la punizione. Nuttal prende in
considerazione la moralità sessuale,
con capitoli sulla pornografia, sull’aborto, sulla ricerca fetale, sui bambini; esamina argomenti morali realitivi alla morte, ai diritti degli animali
ed alle teorie morali.
Oberrauch, Marta Maria
Aspekte der Operationalität.
Untersuchungen zur Struktur
des Cusanischen Denkens
R.G. Fischer, giugno-luglio 1993
pp. 258, DM 68
Ott, Konrad
Ökologie und Ethik.
Ein Versuch praktischer Philosophie
Attempo Vlg., maggio 1993
pp. 188, DM 38
NOVITÀ IN LIBRERIA
Questo libro presenta molto di più del
semplice resoconto della discussione
e tratta invece di come poter finalmente arrivare a risultati praticabili
attraverso l’etica applicata.
Otto, Marcus
Ästhetische Wertschätzung.
Bausteine zu einer Theorie
des Ästhetischen
Akad.-Vlg., maggio 1993
pp. 336, DM 64
Paetzold, Heinz
Ernst Cassirer zur Einführung
Junius, maggio 1993
pp. 160, DM 17,80
Pareyson, Luigi
Prospettive di filosofia
contemporanea
Mursia, settembre 1993
pp.380, L. 40.000
Questi saggi lasciano trasparire quella profondità e quel rigore che sono i
tratti caratteristici della filosofia pareysoniana: nell’insieme si rivelano
un’ottima introduzione ad essa, consentendo una facile collocazione delle sue proposte speculative nel quadro della filosofia contemporanea e
un documento estremamente significativo della vivacità di un pensiero
che non ha cessato di confrontarsi
con gli aspetti più importanti della
cultura filosofica del nostro tempo.
Pauthier, Gillaume (a cura di)
Confucius.
Le Ta Hio ou la Grande Etude
Trad. dal cinese di G. Pauthier
Ed. du Prieuré, luglio-agosto 1993
pp. 114, F 105
Il primo dei quattro libri di filosofia
morale e politica della Cina.
Petrarca, Francesco
Über seine und vieler
anderer Unwissenheit De sui ipsius et multorum ignorantia
a cura di A. Buck
Meiner, giugno-luglio 1993
pp. 201, DM 68
Alla Scolastica, che si preoccupa della comprensione concettuale dell’ordine dell’essere, Petrarca contrappone una nuova “ars vivendi” umanistica orientata al superamento dell’esistente, i cui principi vengono da lui
esaminati in un’esposizione non sistematica.
Platone
Werke.
Übersetzungen und Kommentar
Vol. III, 4: Phaidros
a cura di E. Heitsch - C.W. Müller
Trad. di Ernst Haitsch
Vandenhoeck & Ruprecht
maggio 1993
pp. 280, DM 66
Pöggler, Otto
Hegels Idee einer Phänomenologie
des Geistes
Karl Alber, maggio 1993
pp. 450, DM 89
Il libro è stato pubblicato per la prima
volta nel 1973; in questa seconda
edizione, riveduta ed ampliata, una
postfazione include nella discussione
anche gli ultimi risultati della ricerca
in questo campo.
Pöggler, Otto
Schritte zu einer hermeneutischen
Philosophie
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 550, DM 120
Queste trattazioni e conferenze tendono a dimostrare, in quali condizioni il far filosofia in quanto formazione ermeneutica può separarsi dalla
filosofia analitica e dialettica. Il percorso da Hegel, Bergson e Dilthey,
attraverso Scheler e Heideger fino a
Gadamer ed alla filosofia dialogica
viene così discusso criticamente.
Popkin, R. H. - Vanderjagt, A.
(a cura di)
Sceptisism and Irreligion
Brill, giugno-luglio 1993
Fior. Ol. 125
Reif, A. - Reif R. R.
(a cura di)
Grenzgespräche. Dreizehn Dialoge
über Wissenschaft
und Weltverständnis
Wiss. Verl- Ges., maggio 1993
pp. 154, DM 29,90
Rensi, Giuseppe
Spinoza
Guerini, settembre 1993
pp.112, L. 20.000
L’impegno filosofico di Giuseppe
Rensi fu innanzitutto finalizzato all’indagine aperta, senza dogmi, mettendo in crisi i fondamenti di tutte le
regioni del sapere.
Robinson, Howard (a cura di)
Objections to Physicalism
Clarendon Press, maggio 1993
pp. 288, £ 32.50
Questi saggi mettono in discussione
l’adeguatezza delle contemporanee
teorie materialiste, specialmente per
quanto riguarda la filosofia della
mente. Le forme di materialismo qui
discusse sono state alla ribalta nel
recente dibattito, sebbene da esso
emerga quanti problemi queste teorie
devono affrontare.
Portales, Gonzalo
Hegels frühe Idee der Philosophie
frommann-holzboog
giugno-luglio 1993
pp. 220, DM 105
Rohr, Susanne
Über die Schönheit des Findens.
Die Binnenstruktur menschlichen
Verstehens nach Charles S. Peirce.
Abduktionslogik und Kreativität
M & P, maggio 1993
pp. 200, DM 39,80
Putnam, Hilary
Rappresentazione e realtà
Garzanti, settembre 1993
pp.180, L. 36.000
Hilary Putnam è stato uno dei primi
filosofi a rendere plausibile l’ipotesi
del computer come modello adeguato alla mente umana. Questo è possibile mediante la proposta di una visione “funzionalista”: per capire cos’è la mente non abbiamo bisogno di
riprodurre dei processi materiali, ma
dobbiamo specificare soltanto le sue
funzioni. Da allora, tutti i filosofi
della mente sono funzionalisti.
Rombach, Heinrich
Phänomenologie des sozialen Lebens.
Grundzüge einer
phänomenologischen Soziologie
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 220, DM 48
Rombach descrive ed analizza gli
ordini trascendentali, la creatività, la
sociogenesi ed il senso civico come
fenomeni sociali fondamentali e in
questo modo rivela le condizioni per
la costituzione di qualsiasi comunità
vivente.
Putnam, Hilary
Renewing Philosophy
Harvard University, maggio 1993
pp. 224, $ 29.95
Con il.proposito di rinnovare la filosofia, Putnam passa in rassegna un
ampio spettro di problemi primari
che vanno dall’intelligenza artificiale alla selezione naturale e propone
un approccio nuovo ben definito, un
“atteggiamento”, alle questioni filosofiche.
Quante, Michael
Hegels Begriff der Handlung
froomann-holzboog
giugno-luglio 1993
pp. 270, DM 110
Rose, Ulrich
Friedrich Heinrich Jacobi.
Eine Bibliographie
Metzler, maggio 1993
pp. 160, DM 34
Questa bibliografia personale evidenzia l’orizzonte di discussione storico
e quello attuale, in cui si trovava e si
trova la figura di Friedrich Heinrich
Jacobi (1743-1819)
Rota, Gian Carlo
Pensieri discreti
Garzanti, settembre 1993
pp.200, L. 35.000
Le tappe essenziali del percorso intellettuale di un matematico che è
riuscito a coniugare la ricerca scientifica e la speculazione filosofica. Ritratti di alcuni grandi matematici del
nostro secolo.
78
Ruprecht, E. - Ruprecht A.
(a cura di)
Tod und Unersterblichkeit.
Texte aus Philosophie,
Theologie und Dichtung
vom Mittelalter
bis zur Gegenwart (3 voll.)
Vol. 2: Goethezeit und Romantik
Vlg. Urachhaus, giugno-luglio 1993
pp. 600, DM 128
Salmeri, Giovanni
Doppia verità, doppio errore
La questione dell’uomo nell’Etica
di Spinoza
Studium, settembre 1993
pp.216
Il libro considera il problema antropologico come tema fondamentale
dell’Etica spinoziana e ne rivela anche la complessità, laddove impostato come problema della “doppia verità”, la via sentimentale e quella razionale, si rivela anche un “doppio errore” per l’impossibile contemporanea
coesistenza dell’una e l’altra.
Schaefer, Alfred
Die Anonymität des Denkens.
Agnostischer Essay
Berlin Verlag Spitz, maggio 1993
pp. 160, DM 32
Scheler, Max
Schriften aus dem Nachlaß
Vol. V: Inedita et Varia
Bouvier, maggio 1993
pp. 450, DM 110
Schickel - Bakker - Nagel
Indische Philosphie
und Europäische Rezeption
Pref. Hans Heinz Holz
Dinter, maggio 1993
pp. 90, DM 24,80
Schiller, Friedrich
Kallias, o della bellezza
a cura di Cesare Marchi
Mursia, settembre 1993
pp.128, L. 13.000
I tre testi di Schiller qui presentati:
kallias, o della bellezza, pensieri sull’uso volgare e del basso nell’arte, e
Lezioni di estetica. Frammenti da una
trascrizione, contengono il nucleo del
pensiero estetico del grande autore
classico tedesco: essi affrontano in
modo rigorosamente teorico il problema di una definizione del bello
d’arte.
Schnädelbach H. - Keil, G.
(a cura di)
Philosophie der Gegenwart
Gegenwart der Philosophie
Junius, maggio 1993
pp. 400, DM 68
NOVITÀ IN LIBRERIA
Schneider, Martin
Das mechanistische Denken
in der Kontroverse.
Descartes’ Beitrag
zum Geist-Maschine-Problem
Steiner, maggio 1993
pp. 480, DM 148
Schönherr, Hartmut
Einheit und Werden.
Goethes Newton-Polemik
als systematische Konsequenz
seiner Naturkonzeption
Königshausen & Neumann
giugno-luglio 1993
pp. 208, DM 58
L’autore dimostra che la teoria di
Goethe sulla luce pura come fulcro
della sua polemica contro Newton è
comprensibile solo sulla base delle
concezioni speculative sulla natura e
di quelle sulla teoria dell’unità.
Schuller, A. - Rahden, W von
(a cura di)
Die andere Kraft.
Zur Renaissance des Bösen
Akademie Verl., maggio 1993
pp. 370, DM 38
Schütt, Rolf
Martin Heidegger
Versuch einer Psychoanalyse
seines Seyns
Vlg. Die Blaue Eule
giugno-luglio 1993
pp. 240, DM 68
Seo, Djeong-Uk
Logik und Methaphysik
der Erkenntnis.
Kritischer Vergleich
von Hermann Cohens und Nicolai
Hartmanns philosophischen
Grundpositionen
Haag & Herchen, giugno-luglio 1993
pp. 332, DM 48
Seung, T. K.
Intuition and Construction.
The Foundation of Normative Theory
Yale University, maggio 1993
pp. 240, $ 30
Molti teorici normativi hanno prodotto tre tipi di construttivismo che
corrispondono a tre concezioni della
razionalità: quella formale (Hare e
Gerwirth), quella strumentale (Gauthier) e quella ideale (Rawls). Seung
esamina questi tre tipi e sostiene la
posizione di Rawls, secondo il quale
solo il construttivismo della razionalità ideale - che ha alla sua base gli
ideali kantiani - è praticabile.
Simkin, Colin
Popper’s Views on Natural
and Social Science
E. J. Brill, maggio 1993
pp. 196, FR. OL. 75
Un chiaro resoconto delle idee di Sir
Karl Popper sulla metodologia scientifica che vanno da Logik der Forschung nel 1934, a A world of Propensities nel 1990. L’autore si occupa sia del trattamento della interrelazioni tra metafisica e scienza sia dei
problemi delle scienze sociali.
Simmel, Georg
Saggi di cultura filosofica
L’estetica, le religione, la moda
e la filosofia dei sensi
Guanda, settembre 1993
pp.256, L. 30.000
Saggi scritti tra il 1903 e il 1911, che
affrontano la questione femminile, la
sessualità come momento conoscitivo, la moda e la civetteria, il problema di Dio e la religione.
Simon, René
Etique de la responsabilité
Cerf, giugno 1993
pp. 354, F. 160
E’ il concetto della responsabilità che
fornisce il principio di intellegibilità
dell’etica esposta in questo libro ed
esaminata, salvaguardando tutte le
differenze, sia nel suo statuto secolare che nella sua ripresa nella dipendenza dalla fede.
Sosa, Ernest (a cura di)
Causation
Oxford University, maggio 1993
pp. 264, £ 10
Il volume presenta una selezione delle più influenti e recenti discussioni
sulla questione metafisica cruciale:
che cosa significa per un evento causarne un altro? Il tema della causalità
porta con sé altri argomenti, come il
tempo, la spiegazione, gli stati mentali, le leggi della natura e la filosofia
della scienza.
Spet, Gustav G.
Die Hermeneuthik
und ihre Probleme
a cura di A. Haardt et al.
Trad. dal russo
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 360, DM 86,40
Spet (1879-1937), il più importante
rappresentante del movimento fenomenologico in Russia, fornisce un
quadro della problematica ermeneutica.
Stamm, M. - Bernecker, Sv.
Elementarphilosophie.
Gründe und Folgen der Systemkrise
K. L. Reinholds (1790-1792)
Intr. D. Heinrich
Klett-Cotta, giugno-luglio 1993
pp. 650, DM 96
Stenzel, Jürgen
Kein Recht auf Leben.
Peter Singers Kritik
des Lebensrechte im Lichte
der Philosophie Constntin Brunners
Vlg. Die Blaue Heule, maggio 1993
pp. 116, DM 21
Thönges, Bernd
Das Genie des Herzens.
Über das Verhältnis
von aphoristischem Stil
und dionysischer Philosophie
in Nietzsches Werken
M & P, maggio 1993
pp. 400, DM 49,80
Tierceline, Claudine
La Pensée-signe:
étude sur C.S. Peirce
J. Chambon, giugno 1993
pp. 399, F. 150
Il volume introduce a certi aspetti del
pensiero di Charles Sanders Peirce
(1839-1914), il filosofo americano
fondatore del pragmatismo e della
semiotica, in particolare attraverso
un’analisi dei legami che Peirce stabilì tra la logica (o semiotica), la
psicologia e la filosofia della conoscenza.
Titze, Hans
Das philosophische Gesammtwerk
Vol.IV: Theorie der Information
Schäuble, maggio 1993
pp. 94, DM 58
Tortolone, Gian Michele
Invito al pensiero di Sartre
Mursia, settembre 1993
pp.256, L. 15.000
Ueding, G (a cura di)
Zutrauen zur Wahrheit.
Große Tübinger Reden
aus fünf Jahrzehnten
Attempto Verlag,giugno-luglio 1993
pp. 308, DM 44
Questo volume documenta in modo
imponente il ruolo dell’Università di
Tübingen dal dopoguerra ad oggi,
simile a quello di un sensibile seismografo delle modificazioni storiche, sociali e culturali. Si tratta di una
raccolta di diversi discorsi di Bloch,
Bollnow, Jens, Jüngel, Küng, Schmid, Schulz, Spranger e altri.
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Suggerimenti
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79
Valenti Cesare
La svolta emotiva
E.S.I., settembre 1993
pp.98, L. 13.000
L’intenso sviluppo tecnologico ha
esaurito le possibiltà di un’etica oggettiva e sistematica, sia nell’ordine
empirico che in quello razionale e
ideologico. Si impone oggi una ricognizione e revisione della convivenza umana su una più ampia base emotiva, una svolta emotiva. Di questa il
presente lavoro indaga e profila la
struttura di fondamento, la condizione filosofica originaria.
Vico, Giambattista
La science nouvelle: 1725
Pref. P. Raynaud
Trad. dall’italiano C. Trivulzio
Gallimard, giugno 1993
pp. 434, F. 85
Questo testo segna il momento in cui,
alla fine dell’Illuminismo, la riflessione si emancipa dalle presunte leggi
eterne per riconoscere il suo radicamento nello spirito umano e la sua
dipendenza dalla storia. Questo diventa del resto l’oggetto della scienza. Si
tratta di scoprirne le leggi, poiché essa
non è né un destino né un prodotto del
caso, ma un processo razionale.
Voss, Stephen (a cura di)
Essays on Philosophy and Science
of Rene Descartes
Oxford University
giugno-luglio 1993
pp. 336, £ 15
Questi saggi di prominenti studiosi di
Cartesio, finora non pubblicati in inglese, rappresentano un compendio
della ricerca contemporanea sulla filosofia e la scienza di Cartesio.
Wagner-Döbler, R. - Berg, J.
Mathematische Logik von 1847
bis zur Gegenwart.
Eine bibliometrische Untersuchung
de Gruyter, giugno-luglio 1993
pp.271, DM 148
Un’analisi statistica esemplare nell’ambito della logica matematica.
Base statistica: 55000 pubblicazioni
di logica.
Weinheimer, Joel C.
Eighteenth-century Hermeneutics.
Philosophy of Interpretation
in England from Locke to Burcke
Yale University, giugno-luglio 1993
pp. 272, $ 35
Esaminando le opere di Swift, Locke,
Toland, Bolingbroke, Hume, Reid,
Blackstone e Burke, J.C. Weinsheimer discute i comuni problemi filosofici della comprensione, concentrandosi specialmente sulle loro teorie
riguardanti l’utilizzo del gusto per
distinguere la verità interpretativa.
Wetz, Franz J.
Hans Blumenberg zur Einführung
Junius, giugno-luglio 1993
pp. 200, DM 19,80
Wetzel, Manfred
Praktisch-politische Philosophie:
Grundlegungen
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 570, DM 148
In un’impostazione etica integrativa
vengono accostate - sulla base della
funzione guida delle Idee del Bene di
Platone - le posizioni dell’utilitarismo sociale, di Aristotele, di Kant e
dell’etica del discorso e del procedimento. Un’analisi critica dei tentativi
dogmatici di impossessarsi del discorso politico e di quelli scettici di
esautorazione della forza del discorso politico.
Wickham, L. R. (a cura di)
Christian Faith
and Greek Philosophy
in Late Antiquity. Essays in Honour
of Pr. Stead’s 80th Birthday
Brill, giugno-luglio 1993
pp. 300, Fior. Ol. 125
Wielad, J. (a cura di)
Wirtschaftsethik und Theorie
der Gesellschaft
Suhrkamp, giugno-luglio 1993
DM 18
filosofica. Propone una nuova piattaforma di discussione sulle posizioni
di quei realisti che credono la verità
pienamente oggettiva e quelli che non
lo credono.
Wilson, John E.
Schellings Mythologie.
Zur Auslegung der Philosophie
der Mythologie und der Offenbarung
Kohlhammer, maggio 1993
pp. 330, DM 138
Yolton, John
A Locke Dictionary
Blackwell, giugno-luglio 1993
pp. 224, £ 15
Presenta e spiega le parole-chiave ed
i concetti del pensiero di Locke e dei
suoi libri.
Winter, Michael
Ende eines Traums.
Blick zurück auf das utopische
Zeitalters Europas
Metzler, maggio 1993
pp. 230, DM 48
Winter nel suo saggio tira il lucido
bilancio di quattro secoli di sviluppo
culturale e filosofico, nel corso dei
quali è stato dimostrato che le utopie
sociali non raggiungono il loro scopo
di fondare una società ideale se vengono considerate come indicazioni
operative concrete.
Winter, Stefan
Heideggers Bestimmung
der Metaphysik
Karl Alber, giugno-luglio 1993
pp. 260, DM 76
Questa analisi si confronta con la concezione di Heidegger di una continuità
della conoscenza metafisica passando
per la posizione hegeliana e fino a
Nietzsche, dimostrando che questa
continuità è pensabile solo sulla base
di una deformazione della metafisica.
Wright, Crispin
Truth and Objectivity
Harvard University
giugno-luglio 1993
pp. 224, $ 29.95
Basandosi sulle conferenze Waynflete, tenute a Oxford nel 1991, Wright offre una prospettiva originale sul
ruolo del “realismo” nell’indagine
Zarone, Giuseppe
Pensiero e verità
ESI, settembre 1993
pp.212, L. 28.000
Nell’epoca post-moderna caratterizzata da fenomeni diffusi di frammentazione sociale, politico-nazionalistica, culturale e religiosa, un’epoca
priva di fiducia in verità diverse da
quelle relative e provvisorie delle
scienze positive, che senso ha parlare
di Verità? Il libro intende mostrare
come e perchè filosofia e teologia
possano e debbano riconsiderare questo tema essenziale per il pensiero.
Zea, Leopoldo
Filosofia latinoamericana
Pacini Fazzi, settembre 1993
pp.152, L. 20.000
Le linee fondamentali del percorso
storico della filosofia del Sudamerica.
Zecher, Reihard
Wahrer Mensch und heile Welt.
Untersuchungen zur Bestimmung
des Menschen und zum Heilsbegriff
bei Ludwig Feuerbach
M & P, maggio 1993
pp. 370, DM 49,80
a cura di A.M.; trad. it. di L.T.
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