SOMMARIO La polis Europa Al contrario: la scintilla dell’Unione scocca con il riconoscimento di una cittadinanza europea, affiancata a quella nazionale, e composta dai diritti economici-sociali, già menzionai dalla disciplina del mercato unico, ed insieme, beninteso, dai diritti politici e partecipativi ultimamente previsti dal Trattato di Maastricht. La base della cittadinanza europea sta nella libertà di circolazione che è, a sua volta, circolazione delle libertà, non solo di intrapresa ma anche di pensiero, diritto per ciascuno a fruire senza discriminazioni dello spazio europeo, anche nella propria formazione umana e professionale. Vi è così una polis in divenire, ordinata per la prima volta su scala sopranazionale, nella quale siamo tutti coinvolti. Sappiamo di doverla creare con il possesso di una nuova cittadinanza. Sarà una cerchia dell’esperienza politica nella quale, ancora una volta, può regnare la persona umana. E la conquista di un tale nuovo umanesimo ha la forza aggregante dei grandi moti spirituali che non conoscono frontiere. La cittadinanza comune significa molte cose, ma comincia in ogni caso con il vivere, crescere ed educarsi insieme. La cultura umanistica è una preziosa scuola di conoscenza: unisce i popoli europei pur facendo fecondare la ricchezza e diversità delle culture nazionali. È un patrimonio comune che dobbiamo, però, saper rimettere a frutto. Può l’unione ospitare una vera Comunità europea della ricerca, della scienza che non è un semplice scientismo? Nell’ottica della Comunità europea la ricerca è stata concepita come uno strumento che serve ad estendere le risorse tecnologiche, a migliorare la qualità dei prodotti, ad affilare le lame della concorrenza nel mercato. Ultimamente, però, si è aperta anche la prospettiva dei programmi diretti sotto più aspetti a promuovere le mobilità del corpo docente e degli studenti, cioè quella circolazione della cultura, che è il primo correttivo di una elezione grettamente mercantile dell’integrazione europea: ed abbiamo insistito perchè a tali iniziative si uniscano i popoli fratelli dell’Est europeo. Il fatto è che si tratta di programmi ancora frammentari e privi di mezzi adeguati. Non c’è stato il colpo d’ala di una filosofia, appunto, della nostra Comune cittadinanza culturale. Come diceva Erasmos, tuttavia, investire nella cultura è il segreto delle comunità più avvedute, la cui ricchezza non si appaga dell’oro sonante delle monete. Per questo vorrei, come Presidente della Commissione Cultura, esprimere il nostro concreto apprezzamento per l’iniziativa dell’Istituto napoletano. Il suo appello traccia la via maestra dell’europeismo più maturo. Il duplice appello dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici per la filosofia e la ricerca umanistica tocca le radici più profonde della nostra comune coscienza di europei. Il nostro Parlamento è chiamato a raccogliere le istanze della nostra società civile. Qui ci troviamo di fronte ad un autorevole messaggio dal mondo della cultura. Non possiamo lasciarlo inascoltato. L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici si rende interprete dell’esigenza che la nuova generazione, la futura classe dirigente, sia educata alla filosofia, al pensiero creativo, alla capacità di giudizio. Di qui anche il suo impegno nel promuovere una rinascita dell’umanesimo che possa vivificare ogni ramo della scienza e guidare lo sviluppo. L’uomo torna, imago Dei, al centro dell’universo quando riscopre il valore perenne della sua libertà e dignità, del suo diritto a governare la vita e lasciare, com’è accaduto nelle stagioni più felici della nostra civiltà, il segno della sua opera nella storia. L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha saputo dare il primo impulso a questa mobilitazione degli uomini di cultura per rivisitare l’umanesimo. E’ un disegno di largo respiro. La sua concreta realizzazione passa necessariamente attraverso la scuola, ma resta in definitiva affidata al sostegno dell’opinione pubblica, al favore che meritano le proposte illuminate e che deve maturare anche qui, a Strasburgo e nelle altre sedi delle istituzioni europee. L’appello, infatti, costituisce un importante contributo alla concezione di un’Europa che comincia finalmente coll’unirsi in aree diverse dal mercato e dall’economia. L’Istituto napoletano ha riacceso nella città di Vico e di Croce un punto focale dell’interesse alla diffusione del pensiero, alla riflessione sui temi centrali da cui non possiamo evadere. Guardiamo all’appello. La instancabile dedizione dell’Istituto napoletano alla causa del sapere, che desta l’ammirazione negli studiosi non importa di quale paese, è posto al servizio di una Weltanschauung che è anche saggezza politica. Diciamo di voler andare oltre il Mercato, verso l’unione promessa dal Trattato di Maastricht. La Comunità-Unione che viene dopo la Comunità-Mercato costituisce fin da ora un naturale polo d’attrazione per tutta l’Europa e si dispone ad accogliere come suoi componenti altre nazioni. Chi si lascia ciecamente dirigere dalla logica dell’utile individuale non vede che il mercato deve svilipparsi in nuova e progrediente struttura della società europea formata con il cemento dei valori etici, storici e culturali. L’unione sarà lo specchio dell’umanità che prepariamo: non un superstato che annienta le nostre identità nazionali, ma nemmeno una semplice lega fra sovrani, che non conosce l’individuo e ne ignora i bisogni ed i diritti. Intervento alla presentazione al Parlamento Europeo degli Appelli per la Filosofia e la Ricerca umanistica Strasburgo, 22 giugno 1993 2 On. Antonio La Pergola Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo SOMMARIO 5 INTERVISTA 5 Hölderlin in Jena. L’idea di una metafilosofia 39 NOTIZIARIO 41 CONVEGNI E SEMINARI 10 SAGGIO 41 ‘A fatto compiuto’: l’antropologia culturale di Geertz 10 Il pensiero metafisico. Note su Jacques Maritain e la filosofia dell’essere 42 Lo spazio dell’etica 45 Il moderno di Benjamin 46 Christoph Clavius 17 AUTORI E IDEE 47 Violenza e traduzione 17 L’invenzione delle forme 48 Tratti del moderno tra filosofia e teologia 17 L’Etica di fronte all’Estremo 49 Pensiero e verità in Adorno 18 Pensare gli esperimenti 50 Critica dell’ontoteologia 19 Simone Weil, l’impegno al femminile 50 Guglielmo Ferrero 19 Metafisica e mantica 51 Scritture del pensiero 20 Un’estetica a partire da Adorno 55 Ermeneutica: questioni di confine 22 Filosofia e interpretazione 55 Marcel Mauss e il “fatto sociale totale” 56 Il pensiero greco in Hegel 23 TENDENZE E DIBATTITI 23 Logica nella cultura 58 CALENDARIO 24 Spengler rivisitato 25 Primo piano: filosofia e computer 60 DIDATTICA Da Teuth a CAL: la didattica elettronica in filosofia 60 Manuali di filosofia a confronto (II parte) La logica e i “software” didattici 64 La filosofia nelle scuole sperimentali Due versioni informatiche dell’ “Eutifrone” di Platone 65 Interventi, proposte, ricerche 67 RASSEGNA DELLE RIVISTE 33 PROSPETTIVE DI RICERCA 33 Einstein: scienziato o filosofo? 71 NOVITÀ IN LIBRERIA 34 La mistica della ragione di Meister Eckhart 34 La libertà in F. M. Pagano 35 Passività sintetica 35 Heidegger, Aristotele e la metafisica 38 Husserl, Brentano e i segni 3 INTERVISTA Johann Gottlieb Fichte, Friedrich Heinrich Jacobi Friedrich Hölderin Karl Leonhard Reinhold, Friedrich Schiller 4 INTERVISTA Ricorre quest’anno il 150˚ anniversario della te tutte quelle “costellazioni” di problemi, ogni volta che si parla del sapere “Io” si deve morte di Friedrich Hölderlin e l’eredità teorie e persone, in mezzo alle quali Hölderlin intendere necessariamente una relazione di poetica e filosofica lasciataci dalla sua opera consegue consapevolmente, ancora all’om- autocoscienza, a partire dalla quale solo è sembra non cessare ancora di destare impor- bra della filosofia kantiana, una propria indi- possibile pensare l’Io. Ma l’autocoscienza tanti sollecitazioni al pensiero della modernità. pendente prospettiva di pensiero all’interno esprime un’unità che a sua volta è determinaLa vasta letteratura critica che accompagna la del dibattito sui fondamenti del sapere; da ta da una distanza e conseguentemente da un storia della ricezione di questo autore può questo punto di vista, osserva Henrich, l’Uni- certo modo di separazione reale degli eleoggi avvalersi di un contributo decisivo per il versità di Jena, quale centro del confronto con menti che costituiscono il caratteristico rapchiarimento e la comprensione della partico- Kant e luogo di sviluppo della filosofia post- porto di autocoscienza. Il pensiero in cui si lare prospettiva di pensiero che Hölderlin, in kantiana, possiede un significato decisivo per esprime l’unità che precede la costituzione modo frammentario, ma assolutamente origi- quanto riguarda il chiarimento dell’intenzio- dell’autocoscienza e a partire dal quale solo nario, seppe proporre agli inizi della filosofia ne originaria di Hölderlin di stabilirsi come l’autocoscienza può essere pensata, Hölderidealistica tedesca, precorrendo, nel momen- docente di filosofia nel luogo più significati- lin lo definisce, in rapporto e insieme in to stesso dell’affermarsi della dottrina fichtia- vo della Germania di allora. In Jena, infatti, opposizione al soggetto puro e assoluto fina, i primi abbozzi di sistema di Hegel e nel breve periodo che va dal gennaio all’ini- chtiano, “essere assoluto” (Seyn schlechthin), Schelling. Si tratta di due opere di Dieter zio del giugno 1795, Hölderlin non solo ap- conferendo a questo pensiero, inteso come il Henrich, una interamente dedicata alla rico- proda ad una propria autonomia di pensiero, più semplice e il più fondante, valenze prostruzione e interpretazione della concezione ma addirittura, secondo le lettere e altri docu- prie del concetto di “sostanza” di Spinoza, filosofica di Hölderlin maturata a Jena, Der menti biografici di quell’epoca, mostra l’in- quali si possono riscontrare in particolare in Grund im Bewusstsein. Untersuchungen zu tenzione di voler rendere in forma accademi- Jacobi. Essere assoluto è in tal senso il fondaHölderlins Denken 1794-1795 (Il fondamen- ca la sua teoria; e questo nello stesso momen- mento (Grund) in base al quale, in virtù dello to nella coscienza. Ricerche sul pensiero di to in cui Fichte consegna alle stampe, per la sviluppo interno di un uno e medesimo tutto, la coscienza si genera come un Hölderlin 1794-1795, Klett-Cotnuovo stato, una nuova condiziota, Stuttgart 1992), l’altra carattene di questo tutto. Il modo di tale rizzata dall’intento storico-critisviluppo è quello della “separaco di calare la proposta di pensiezione” (Theilung), laddove il priro hölderliniana nel contesto delmo stadio del processo di separale reazioni teoriche alla filosofia zione (Ur-Theilung) ha come ricritica di Kant, che Henrich intersultato l’Io individuale e pertanto preta nel suo lavoro con il titolo: la coscienza, una coscienza in cui Konstellationen. Probleme und è insieme compresa non solo la Debatte am Ursprung der idealipossibilità, ma anche la realtà delstischen Philosophie 1789-1795 l’autocoscienza. La formula “Io (Costellazioni. Problemi e dibatsono Io” è, secondo Hölderlin, titi all’origine della filosofia idel’esempio più calzante di tale “sealistica 1789-1795, Klett-Cotta, parazione originaria”, poiché esso Stuttgart 1991). Questi studi giunci dice che l’Io individuale signigono a seguito del compimento, con un’intervista a Dieter Henrich fica sempre autocoscienza e si almeno nella sua prima fase, di compie nel porsi in uno di un Io un programma di ricerca dal titocome soggetto con un Io come lo: “Jena-Programm”, condotto oggetto. Proprio il fatto che queda Henrich all’Università di Mosta coscienza scaturisca immenaco di Baviera a partire dal 1985, diatamente da una separazione che aveva come scopo il chiarioriginaria è ciò che rende possimento della situazione filosofica bile comprendere reciprocamene intellettuale all’Università di te sia la differenza dei due moJena negli anni dal 1789 al 1795. a cura di Riccardo Ruschi menti (soggetto e oggetto) che Da segnalare anche, come signicostituiscono l’Io individuale, sia ficativa integrazione di questo materiale critico, due nuove edizioni com- prima volta in forma unitaria, la sua Wissen- la loro necessaria identificazione: nel princimentate, in tre volumi, delle opere complete schaftslehre, Schiller compone le due ultime pio Io sono Io la separazione è già pensata di Hölderlin, pubblicate con il medesimo parti dei suoi Briefe über die ästhetische come separazione di ciò che in origine è uno. titolo: Sämtliche Werke und Briefe, l’una a Erziehung des Menschen e Niethammer pub- Alla luce di un tale contesto problematico, cura di Jochen Schmidt (Deutscher Klas- blica il primo fascicolo del suo “Philosophi- osserva Henrich, la concezione di Hölderlin espressa nel frammento Urtheil und Seyn, siker Verlag, Frankfurt a/M. 1992), l’altra a sches Journal”. cura di Michael Knaupp (Hanser Verlag, Il testo con cui Hölderlin s’impone in questo almeno per quanto riguarda la sua posizione München 1993), quest’ultima condotta sulla “scenario filosofico”, come appunto ci indica nel processo di fondazione filosofica e il suo base dei risultati editoriali ottenuti a seguito Henrich, è un breve frammento sui fonda- modo di argomentazione, sembra dichiaratadelle ricerche sui manoscritti operate nel- menti della filosofia, noto con il titolo: Ur- mente porsi in linea con il programma metol’ambito dell’ “Edizione francofortese” theil und Seyn (Giudizio ed essere), trascritto dico introdotto da Reinhold all’interno della (Frankfurter Ausgabe) delle opere complete probabilmente da Hölderlin sul risguardo di discussione sulla filosofia kantiana e succesdi Hölderlin, curata da Dietrich E. Sattler uno dei libri in suo possesso, forse addirittura sivamente sviluppato da Fichte: ricondurre la (Roter Stern Verlag, Frankfurt a/M. 1975-) la Wissenschaftslehre (Dottrina della scien- filosofia a un fondamento sicuro, affinché giunta attualmente, con l’edizione dei Briefe za) di Fichte, e risalente all’incirca all’aprile essa possa muovere da un unico “principio”, (Lettere), al penultimo dei 20 volumi previsti. del 1795. Il contenuto decisivo che secondo da cui sia deducibile il sapere filosofico nella Nel suo sforzo di ricostruzione della posizio- Henrich caratterizza questo testo è costituito sua totalità. Tuttavia, fà notare Henrich, nella ne di Hölderlin all’interno della filosofia post- da una critica, ancora concepita nei termini di sua critica alla versione fichtiana di una filokantiana Henrich individua tre ambiti proble- Fichte, del modo con cui quest’ultimo aveva sofia che si fonda sul principio fondamentale matici, in cui presupposti storici e filosofici posto il sapere che si esprime nel semplice “Io sono” o “Io sono Io”, Hölderlin abbandoinsieme confluiscono nella determinazione concetto di Io e nel principio “Io sono Io” na contemporaneamente il programma metodella particolare autonomia e complessità spe- come certezza ultima e assoluta, e come fon- dico proprio di una filosofia fondamentale. culativa che caratterizzano la concezione höl- damento nella costruzione della sua Wissen- Hölderlin piuttosto cerca di fondare un moniderliniana. In primo luogo vengono analizza- schaftslehre. In breve, secondo Hölderlin, smo del principio unico, senza cadere però Hölderlin in Jena. L’idea di una metafilosofia 5 INTERVISTA nello stesso tempo nel monismo metodico della deduzione di principi da quest’unico principio o dalla sua definizione di principio fondamentale. In altri termini la concezione hölderliniana concorda con le intenzioni di una filosofia fondamentale nella misura in cui essa designa un fondamento ultimo a partire dal quale si formano tutti i modi della coscienza e del sapere. Ma a ciò essa intende giungere mediante un ragionamento che dal punto di vista di una “metafilosofia”, cioè del concetto metodologico del filosofare, si distacca del tutto da una filosofia fondamentale. Un secondo ambito problematico individuato da Henrich in relazione ad una ricostruzione dell’itinerario di pensiero di Hölderlin all’interno delle tendenze filosofiche della sua epoca è quello che concerne le fonti, le cause dell’autonomia teoretica di questo itinerario dal punto di vista del progetto sia filosofico, sia poetico, che ne sta alla base. La ricerca inerente lo sviluppo storico dell’itinerario di pensiero hölderliniano rende ora comprensibile come le concezioni filosofiche maturate da Hölderlin a Jena devono essere poste in connessione con i problemi soggettivi, interiori ed esteriori, che egli si è trovato ad affrontare nel divenire della sua propria esistenza e che, nella misura in cui hanno potuto portare a una sempre maggiore comprensione dello svolgersi della sua vita, hanno di fatto accresciuto nello stesso Hölderlin la consapevolezza dell’essenziale autenticità e validità della sua concezione. Tra i presupposti che hanno condotto Hölderlin a una rapida formulazione di una propria concezione filosofica autonoma Henrich indica in primo luogo il periodo di studi all’Università di Tubinga e l’esperienza di precettorato a Waltershausen presso la famiglia von Kalb. Da questo punto di vista risulta particolarmente significativo il rapporto che lega lo sviluppo di pensiero di Hölderlin nella sua prima formazione alla composizione, nelle sue varie stesure, del poema Iperione, in cui traspare, filtrata dall’ispirazione poetica e convalidata da precise vicende esistenziali, l’assimilazione e rielaborazione della concezione fichtiana della formazione dell’uomo come “progresso infinito”. A ciò si aggiunge tutta una serie di riflessioni di estetica e di teoria dell’arte, proprie di questo periodo, che hanno il loro centro nel confronto di Hölderlin con l’opera teoretica di Schiller e che sfociano nella formulazione di un programma di “nuove lettere sull’educazione estetica dell’uomo”, di cui a tutt’oggi si presume facciano parte, tra gli scritti teoretici di Hölderlin, alcuni brevi frammenti raccolti in modo generico sotto il titolo di Philosophische Briefe (Lettere filosofiche). Un terzo ambito problematico è infine individuato da Henrich nell’interpretazione del significato contenutistico della proposta di pensiero hölderliniana, abbozzata in particolare nel frammento Urtheil und Seyn, nel suo porsi come una forma di “pensiero speculativo”. Secondo Henrich, la concezione di Hölderlin apporta un contributo decisivo alla questione dell’ “autocoscienza” nella fase storica iniziale della teoria della soggettività. La tesi di Jacobi di un presupposto dato nell’autocoscienza, per cui ogni esistenza finita ne presuppone una infinita, viene riformulata da Hölderlin, in relazione soprattutto alla dottrina di Fichte, nella tesi che la forma dell’autoriferirsi del pensiero a se stesso è ciò che propriamente implica un tale presupposto, un presupposto tuttavia che come tale non può essere concepito come nucleo o forma minimale del sapere di se stessi, dunque di un “Io”. In questo, osserva Henrich, Hölderlin, con la sua teoria, si avvicina di più prima ad una consistente fondazione del pensiero specula- tivo di quanto non facciano, con i loro successivi progetti di sistema, sia Schelling (1801) che Hegel (1804). A tale proposito Henrich dedica buona parte della sua trattazione all’analisi del contenuto speculativo della costruzione concettuale di Urtheil und Seyn, indicando in particolare come il concetto di “essere” (Seyn), qui utilizzato da Hölderlin nel senso del presupposto necessario insito dell’autoriferirsi del pensiero a sé stesso, derivi, sulla scia di sollecitazioni terminologiche provenienti da Jacobi e dalla sua cerchia, da una trasformazione in senso speculativo-concettuale del significato naturale della parola “essere” nel concetto guida di “Uno-Tutto”. Tuttavia con questo non è ancora interamente dischiusa la potenzialità concettuale della terminologia hölderliniana. Occorre, aggiunge Henrich, mettere in rapporto i termini di “autocoscienza” e “Uno-Tutto” con una analisi di quelle che sono le “forme” e le “dinamiche” della vita nella consapevolezza esistenziale del suo divenire. In tal senso particolare significato riveste, secondo Henrich, l’analisi della forma dell’autocoscienza in rapporto alle fasi del divenire della vita dell’uomo con i suoi conflitti, contraddizioni, cambiamenti di direzione; come anche particolarmente significativa appare l’analisi della forma della fondazione dell’esistenza umana nei suoi molteplici eventi, che sola può rendere possibile l’idea speculativa di un fondamento nella coscienza. La complessità problematica di una tale interpretazione dell’itinerario di pensiero che sta alla base dell’opera di Friedrich Hölderlin ci ha spinto a rivolgere a Dieter Henrich alcune domande su questioni centrali del suo lavoro interpretativo. I risultati di questo colloquio sono raccolti nell’intervista che segue. (Trascrizione della registrazione in lingua tedesca di L.C.) e anche con risultati finali, che non possiamo assumere come verità, o per meglio dire da nessuno di essi ci possiamo aspettare la segreta soluzione della problematica. In altre parole, i problemi di questo periodo e la correlazione complessiva degli stessi sono ancor sempre di grande rilevanza per noi, laddove sono le soluzioni vere e proprie raggiunte a costituire per noi un problema: a questa situazione di partenza dobbiamo e possiamo far riferimento. Questo è un motivo. Un secondo motivo è che ritengo si debba avere una maggiore capacità di chiarire a noi stessi, globalmente e in modo sinottico, mediante una visione di insieme, queste teorie e anche le figure che hanno agito nel movimento della filosofia post-kantiana, evitando così di concentrarci eccessivamente soltanto su singoli pensatori - questa deve, naturalmente, essere la premessa - e confrontando piuttosto il modo in cui vari pensatori hanno reagito ai problemi di quest’ambito di pensiero per suscitare con rinnovato interesse le argomentazioni che vi sono state esposte. Un terzo motivo infine è che in questo movimento filosofico colloqui personali, situazioni di discussione in singoli luoghi, intensi campi di tensione intellettuale, spiegabili sulla base di vicinanze spaziali e personali, hanno agito in quantità molto più elevata che in altri D. Vorrei prendere spunto da una delle Sue ultime pubblicazioni, Konstellationen. Probleme und Debatte am Ursprung der idealistischen Philosophie 1798-1795 (Costellazioni. Problemi e dibattiti all’origine della filosofia idealistica 1789-1795), che riporta importanti risultati del lavoro di ricerca da Lei condotto in questi ultimi tempi sulla genesi della “filosofia classica tedesca”, come appunto Lei denomina l’idealismo tedesco. Innanzittutto, vorrei chiederLe di chiarire il concetto di “costellazione”: che cosa intende per costellazione in relazione alla ricostruzione della filosofia classica tedesca? Quale significato gli attribuisce? R. Un primo motivo che mi ha spinto a usare questo termine sta nel fatto che io credo si sia arrivati al punto di dover tentare di discutere l’intero periodo della filosofia post-kantiana nel suo complesso, vale a dire diversamente dal modo usualmente adottato in riferimento allo schema hegeliano, che corrisponde a uno sviluppo conseguente del concetto. Ciò che intendo dire è che in questo periodo prende forma un qualcosa di profondamente unitario, non tanto come conseguenza di fasi proprie del processo di sviluppo, quanto piuttosto come reazione ad un ambito di pensiero, ad un gruppo di problemi fondamentali e alla loro correlazione, come sforzo di penetrare e chiarire tali problemi in modi diversi 6 INTERVISTA periodi. Questi sono i tre motivi che mi hanno condotto a utilizzare questo concetto. D. Vorrei passare ora direttamente alla vicenda filosofica di Hölderlin, prendendo spunto dal Suo ultimo lavoro dedicato a questo autore, Der Grund im Bewusstsein. Untersuchungen zu Hölderlins Denken 1794-1795 (Il fondamento nella coscienza. Ricerche sul pensiero di Hölderlin 1794-1795). Quanto Lei ha appena espresso a proposito del problema delle costruzioni teoriche nell’epoca della filosofia post-kantiana vale certamente anche per Hölderlin. In particolare Lei afferma che Hölderlin arriva a Jena con il chiaro proposito di occuparsi di filosofia e, nel confronto con Schiller e Fichte, ottenere una docenza. Ciò implicava di possedere una concezione della filosofia precisa e originale. Ma in che misura Hölderlin era allora consapevole di possedere una propria concezione filosofica? Lasciatosi alle spalle gli anni di Tubinga e superato il periodo dell’incarico di precettore a Waltershausen, Hölderlin giunge a Jena con una precisa idea: ascoltare Fichte, entrare in contatto con Schiller. Fino a che punto egli era consapevole della propria concezione filosofica da ritenere di potersi confrontare proprio con questi pensatori? R. Credo che Hölderlin ne fosse completamente consapevole. Già nel 1790 scriveva alle madre di avere dei progetti inerenti la filosofia. Nel 1794 a Waltershausen componeva un saggio di critica a Kant e Schiller. All’amico Neuffer scrive dei suoi speculativi pro e contra. Niethammer lo invita a collaborare al “Philosophisches Journal”; ed egli intende farlo. Bisogna considerare che allora non c’era in filosofia alcuno studio di tipo storico. Chiunque si presentasse come autore di filosofia doveva, in un modo o nell’altro, essere produttivo: non si poteva scrivere una dissertazione su Kant senza avere assunto una posizione filosofica. Si poteva lavorare storicamente su Platone; ma per quanto riguardava la filosofia contemporanea, bisognava in qualche modo avere un orientamento sistematico. Certo, a Jena si sentivano a casa propria tutta una serie di giovani studiosi che si credevano capaci di una propria posizione filosofica. Ma per quanto riguarda Hölderlin, si può sicuramente dire che ne era del tutto consapevole. Allora egli aveva anche in progetto il componimento di Nuove lettere sull’educazione estetica dell’uomo. Tale progetto dobbiamo cercare di immaginarcelo nella sua ambiziosa disposizione; un’idea che meravigliò Schiller, accanto a Goethe, il poeta più grande della nazione. Schiller era rispettato da Fichte come un filosofo di valore; Hölderlin prende il titolo del capolavoro filosofico di Schiller, un’opera che questi affermava essere la cosa migliore che egli avesse mai scritto, e mai l’avrebbe scritto meglio, e a questo titolo antepone “nuove”, con l’intenzione, in altre parole, di superare Schiller, alludendo chiaramente al fatto di potere lui stesso scrivere nuove lettere sull’educazione estetica migliori di quelle precedenti. Tale era la sua ambizione. D. Se non erro, dunque, i luoghi, in particolare, in cui queste correnti della filosofia post-kantiana vengono alla ribalta, sono sedi vere e proprie di costellazioni, nel significato più ampio di questo termine. R. Questo è un significato. Ho scelto questo termine perché ha più di un significato - ho appena accennato a tre di questi - anzi, ha molteplici significati che sono però correlati l’uno con l’altro; questi significati sono imparentati con luoghi. Forse bisogna piuttosto accennare al fatto che questo significato dei luoghi e delle conoscenze personali ha anche a che fare con l’esperienza di una generazione, vale a dire con ciò che era ritenuto importante da una certa generazione, quelle che erano le questioni particolarmente scottanti, quelli che erano gli autori generalmente letti, senza che fosse del tutto evidente come questa lettura, di cui anche si discuteva o si leggeva in comune, influisse sulla filosofia dei singoli. Anche questa è una costellazione, una costellazione che si pone sullo sfondo della formazione delle teorie. D. Il concetto di costellazione ha anche un significato storico-critico. Dobbiamo allora intendere il concetto di “costellazione” come criterio per uno studio storicocritico della filosofia classica tedesca, intesa, in tal senso, non più come sviluppo lineare da Kant a Hegel, secondo la formulazione di Richard Kroner, bensì come insieme di connessioni diverse di autori, di idee e, naturalmente, di quelle condizioni che hanno sviluppato il modo di pensare di un’epoca? R. C’è naturalmente questo sviluppo interno soprattutto nei grandi filosofi, soprattutto in Hegel e Fichte, e tale sviluppo non può essere assolutamente ignorato. Essi per molti anni hanno continuato intensivamente a rielaborare i loro problemi e sono così pervenuti a sorprendenti prestazioni teoriche - questa è la cosa più importante per quei tempi, e io non voglio in nessun caso negarla. Ma il modo in cui essi pensavano e in cui venivano posti i loro problemi è stato determinato molto prima in tali costellazioni. Ad esempio già nel Fichte della Dottrina della scienza del 1794 la disposizione dei problemi risulta dalla situazione del dibattito dell’epoca, sulla quale egli ha sempre continuato a riflettere con tentativi sempre nuovi e approfonditi di dominare la situazione. Lo stesso si potrebbe dire per Hegel. Sicché non direi che questa fase di formazione, o meglio di fondazione della filosofia postkantiana racchiuda in sé significative prestazioni teoriche - tali restano la tarda Dottrina della scienza di Fichte e la Scienza della logica di Hegel; ma il modo in cui queste teorie sono costruite, il tipo di fini che perseguono e le evidenze alle quali rispondono, tutto ciò è stato posto in questo periodo iniziale ed è in questo stesso periodo che ha avuto inizio l’allontanamento degli allievi più significativi di Kant dal proprio maestro, ragion per cui è indispensabile capire particolarmente bene questa fase di formazione, e non è possibile farlo partendo soltanto dalle opere dei singoli. D. Sembra quasi che qui Schiller compaia già dietro a Hölderlin, non davanti. Certo si tratta di interpretazioni del tutto semplificate; ma mi pare che Hölderlin a Jena avesse di mira in particolare Fichte. R. Sì, certamente ha preso molto più dalla filosofia di Fichte che non da quella di Schiller, laddove Schiller stesso si orientava verso Fichte. Ma le intenzioni fonda7 INTERVISTA Hölderlin definsce appunto anche come “essere” l’unificazione più intima di soggetto e oggetto, usando terminologie la cui conoscenza ci deriva soltanto dal nostro sapere. Vale a dire “essere” ha significato soltanto alla luce del nostro sapere, pur essendone il fondamento. Questo per Hölderlin è un programma diverso da quello di Fichte e ciò permette anche di capire perchè Hölderlin arrivi poi a dire che l’arte può superare la filosofia: il suo obiettivo è dimostrare perché l’arte possegga in sé una verità più profonda di quella della filosofia. Ciò non significa che la filosofia non raggiunga la verità: filosofia e arte hanno tratti in comune; ciò che fa l’arte è illuminare l’uomo nella condizione di separazione in cui si trova la sua vita rispetto alla natura - la quale anche proviene da quell’essere - rendendo manifesto un nesso unitario di reciproca appartenenza nella reciproca separazione, che non può essere dischiuso attraverso un programma di dimostrazione. Si tratta precisamente di una filosofia che pone come fondamento l’ “Uno-Tutto”; ma questo “UnoTutto” non è un concetto che possa porre liberamente per sé solo una fondazione teoretica. Si tratta allora di partire dalla propria situazione di autocoscienza e arrivare a deduzioni orientandoci verso l’esterno: di più la filosofia non può fare. Questo non è naturalmente il programma di Fichte. Fichte ha ripreso più tardi anche motivi di Hölderlin e ha enunciato i limiti entro cui il fondamento può essere penetrato, nella Dottrina della scienza del 1813. Certamente in modo diverso da Hölderlin; ma alla fine anche Fichte ha osservato che sussistevano delle dimensioni all’interno del sapere che dal nostro punto di vista, il punto di vista del sapere finito, non sono completamente penetrabili. Più tardi, anche se in modo del tutto diverso, Fichte ha oggettivamente reso giustizia, potremmo dire, a Hölderlin, sebbene Fichte non abbia mutato in senso drammatico il proprio modo di procedere. Questo è appunto il significato di Hölderlin anche per la nostra epoca, il fatto che egli si sia appropriato di tutti questi problemi, a cui la filosofia idealistica si è dedicata, cioè il problema della costituzione dell’autocoscienza, del fondamento unico dell’autocoscienza, del modo in cui possiamo chiarire il rapporto sapere-mondo, e così via. Tutti questi problemi egli li ha fatti suoi prima di poterli a suo modo promuovere, ma non ha accettato il concetto di metodo della filosofia idealistica. In fin dei conti, oggi possiamo identificarci molto più facilmente con Hölderlin che non forse con Fichte. mentali, queste le ha condivise con Schiller: non la pura autoaffermazione, non la pura azione, ma l’intenzione estetica, che richiedeva che l’uomo trovasse nel cammino verso il proprio compimento un equilibrio tra due tendenze opposte. Ciò che Schiller obietta a Kant, che l’inclinazione ha un suo diritto e che, quando si prendano contemporaneamente le mosse dalla ragione e dall’inclinazione e si aspiri poi a una sintesi, si produce una teoria dell’arte e soltanto così si può comprendere l’arte, tutto questo Hölderlin lo ha condiviso con Schiller. Solo che Hölderlin sosteneva che Schiller non avesse alcun mezzo teorico per fondare ciò. Ma egli voleva anche contrapporsi contemporaneamente a Fichte: non è mai stato fichtiano; ha letto Fichte e lo ha subito criticato. D. Lo scritto fondamentale di Hölderlin nel periodo di Jena è un breve frammento, noto con il titolo: Urtheil und Seyn (Giudizio ed essere), che nel modo in cui è composto, e come tale ci viene tramandato, si presenta, potremmo dire, come sistema di una filosofia della conoscenza. Potrebbe sembrare una espressione eccessiva; ma questa breve pagina, scritta su entrambi i lati, contiene in verità un sistema della filosofia e questo sistema è principalmente rivolto a Fichte, anche se vi compaiono parecchi motivi della discussione filosofica dell’epoca. Come Lei ha mostrato, in Urtheil und Seyn si esprime la ricerca di una ontologia come presupposto per una filosofia fondamentale. L’espressione “Seyn”, essere, è propriamente ciò che deve essere presupposto per poter porre soggetto e oggetto come opposti. La formula “Io sono Io”, nel linguaggio fichtiano, rimanda secondo Hölderlin a questo essere… R. In Fichte rimanda all’essere, in Hölderlin è un esempio, “il più calzante”, di “partizione originaria” (Urtheilung). D. Esattamente! In Hölderlin l’espressione “Io sono Io” è l’esempio di una partizione originaria in quanto rapporto di opposizione reciproco di soggetto e oggetto, in cui tuttavia è già presupposto l’intero, che appunto si esprime come essere. La domanda è questa: Lei ha definito metafilosofia questo metodo di costruzione del concetto. Come si può spiegare una tale definizione? R. Metafilosofia significa domandarsi in cosa consiste il sapere filosofico, come si costruiscono fondamenti filosofici. Hölderlin in tal senso non segue propriamente il programma fichtiano che si possa partire da un principio supremo che è anche principio fondante. Ciò che per noi è la cosa suprema è l’autoseparazione in sé, e dobbiamo pensare un fondamento di questo essere separati, senza avere nessun altra sonda nella ricerca di questo fondamento se non quella della separazione. Dobbiamo dunque pensare il fondamento dell’autocoscienza senza avere di esso alcuna certezza immediata, alcun sapere diretto, come pretendeva Jacobi - anche se c’e una comunanza tra la metodologia di Jacobi e quella di Hölderlin, che consiste nel fatto che non si può semplicemente raggiungere questo fondamento ultimo e, a partire da esso, costruire un sistema. Dobbiamo sempre sapere che possiamo arrivare a un fondamento ultimo solo in modo indiretto, a partire cioè da un qualcosa di fondato, laddove però non comprendiamo realmente il modo di questo essere fondato: per questo D. Una interessante conclusione... R. Ciò non significa ovviamente che Fichte non sia l’importante filosofo che è stato. Ma dobbiamo sempre chiederci come considerare questo periodo. Dobbiamo considerare che il sentimento è per noi ancor sempre importante da un punto di vista filosofico; e, d’altro canto, non potremmo certo essere semplicemente fichtiani, come anche sarebbe difficile essere hegeliani nel senso pieno che il termine ha nella Scienza della logica. E’ dunque per noi molto liberante avere un tale filosofo, che per un periodo è stato riconosciuto, almeno da parte di Hegel, di uguale valore, e che mostra un modo di pensare verso il quale ci sentiamo inclini, e che potremmo addirittura assumere o che, comunque, dovrebbe essere sperimentato. 8 INTERVISTA Questa intervista a Dieter Henrich è stata condotta in occasione del convegno annuale della Hölderlin-Gesellschaft tenutosi a Jena nel giugno del 1992. Un resoconto delle tematiche e dei motivi sollevati in tale contesto di discussione e interpretazione dell’opera di Hölderlin ci pare opportuno richiamare qui di seguito. Al centro delle ricerche e delle relazioni esposte al convegno è stato il periodo trascorso da Hölderlin a Jena, dal novembre del 1794 fino al maggio dell’anno seguente, come momento decisivo sia per la sua formazione filosofica che per la sua attività poetica futura. Jena rappresentava per il giovane Hölderlin una meta: rappresentava la possibilità concreta di conoscere personalmente Schiller, di frequentare i “Corsi” di Fichte e di partecipare a quel dibattito filosofico forse unico tra professori e studenti, nella città che in quegli anni era ritenuta la capitale della filosofia europea. Quando Hölderlin giunse a Jena, poteva confrontarsi con tre progetti filosofici: la Dottrina della scienza di Fichte, le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo di Schiller e la pubblicazione del “Giornale filosofico” di Niethammer. Nella sua relazione Dieter Henrich ha stabilito in essi i confini per orientare l’analisi della formazione del pensiero di Hölderlin. La sua posizione teoretica, in relazione ai problemi fondamentali della filosofia, viene formulata nel frammento Giudizio e Essere, scritto probabilmente nell’aprile del 1795. A questo proposito Henrich ha sostenuto che non è possibile riconoscere la precisa posizione filosofica di questo frammento all’interno della filosofia post-kantiana, se ci si limita a considerarlo come un tentativo di ricondurre il pensiero di Fichte dell’ “Io assoluto” a Jacobi. Bisogna perciò interpretarlo come tentativo di andare oltre Fichte anche sul terreno della metodologia filosofica. Se Hölderlin segue Fichte nella ricerca di un unico principio per la filosofia dal quale dedurre l’intera conoscenza, risale tuttavia a un fondamento ancora più “originario” dell’ “Io sono Io” di Fichte - che solo dal punto di vista del sapere rappresenta il principio ultimo e indeducibile della “separazione originaria” (Ur-Teilung) da cui appunto il “giudizio” (Teil) - verso un’unità indivisa: l’ “essere assoluto” (Seyn schlechthin). In questo modo il suo pensiero si addentra in una “metafilosofia” attraverso una metodologiadel filosofare: Hölderlinponecomefondamentodell’autocoscienza e di tutto il nostro sapere un’ “originaria unitezza”, che se è incommensurabile per il pensiero, è tuttavia la sola che renda possibile il giudizio “Io sono Io”. A questo proposito viene rilevata da Henrich, nella terza stesura delle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, una traccia dell’influenza di Hölderlin laddove Schiller scrive: «l’autocoscienza nasce senza l’intervento del soggetto e la sua origine si trova al di là del nostro orizzonte di conoscenza». In riferimento alla “metafilosofia” di Hölderlin, Henrich ha considerato come paradigmatica una frase citata da Jacobi e tratta dai Pensieri di Pascal, che Hölderlin trascrive in una dedica all’amico Camerer, dove viene affermato che esiste di fatto una debolezza della ragione che i dogmatici non sono in grado di superare e che tuttavia noi abbiamo un’idea della verità che lo scetticismo non è in grado di far vacillare. Hölderlin accetta questa doppia asserzione, e ciò spiega perché nel definire l’ “essere” come Seyn schlechthin, si ricolleghi all’ “assoluta certezza dell’essere” come presupposto imprescindibile di ogni conoscenza, secondo l’asserzione di Jacobi, dove però tale certezza non si lascia inserire in un discorso in sé evidente o dimostrabile. A questo proposito, Henrich sottolinea inoltre l’apporto decisivo del pensiero di Niethammer - considerato da Hölderlin il suo “mentore filosofico” - per il quale la filosofia non poteva trovare la soluzione ai suoi problemi di fondamento in un unico principio, né condurre a una conclusione certa. Per Niethammer come per Hölderlin, il compito principale della filosofia era quello di riunire quelle due “aspirazioni” che orientano la vita degli uomini, in quello stato che viene definito nell’Iperione «il più bello e più alto raggiungibile dall’uomo». Il progetto della filosofia nasce quindi dal fondamento metafilosofico della riconciliazione, nella consapevolezza di un progresso infinito della filosofia. In questo percorso filosofico, che sarebbe stato impossibile senza il confronto con i temi del dibattito che si svolgeva a Jena, Hölderlin raggiunse anche la consapevolezza sul ruolo dell’arte nellavita: essoviene inteso come possibilità di oltrepassare quella verità che si lascia fondare filosoficamente in una più alta e nella quale si compie l’effettiva riunificazione delle opposte “aspirazioni” della nostra vita. Sottolineando invece la totale integrazione dell’attività speculativa dei frammenti teorici di Hölderlin con la sua prassi poetica, che sottende quindi l’assenza in Hölderlin di una riflessione filosofica autonoma, Gerhard Schulz si è posto in opposizione a Henrich nell’attribuire importanza al pensatore Hölderlin nella genesi dell’Idealismo tedesco. Questa interpretazione viene sostenuta paragonando la posizione di Hölderlin a quella dei fratelli Schlegel o a Novalis. Non esiste in Hölderlin, come in Novalis, la volontà di creare un’ “enciclopedia universale del sapere”: la ricerca filosofica è subordinata alla sua attività di poeta, come sembrano mostrare le sue liriche più tarde. Schulz ha analizzato poi ulteriori differenze rispetto al Circolo dei Romantici: Hölderlin traduce Sofocle e non Shakespeare o Calderon, e se nutre la speranza nel rinnovamento del presente in un futuro di ritrovata armonia e pace, questa speranza ha una dimensione tedesca e non europea. Tutto questo accadeva in un’epoca di circoli di amicizia e di imprese comuni. Hölderlin rimase un isolato, non provando alcuna gioia nell’avere dei modelli o compagni di percorso. Come scrisse a Neuffer già nei primi tempi del suo soggiorno a Jena: «La vicinanza di spiriti veramente grandi e a cuori veramente grandi, indipendenti e intrepidi, ora mi abbatte, ora mi esalta». L’analisi del rapporto estremamente problematico di Hölderlin nei confronti di Schiller, manifestatosi in modo evidente nell’improvvisa fuga di Hölderlin da Jena, è stato analizzato da Günter Mieth e Rolf-Peter Horstmann. Mieth ha preso come punto di riferimento della sua indagine lo scritto di Hölderlin Sulla Religione. Sostenendo che le «esperienze reali sono sempre alla base dei concetti teorici di Hölderlin», Mieth rileva come alcune formulazioni teoriche di questo testo possano essere ricondotte alla lotta segreta di Hölderlin con il “genio” di Schiller. Se il soggiorno a Jena, cui egli aspirava per poter frequentare Schiller, è 9 stato fondamentale per la sua formazione, in realtà di fronte al “grande poeta” Hölderlin sembrava avere l’immagine della fuga e del ritorno. Hölderlin cercò infatti, negli “anni più difficili della sua vita” un riavvicinamento a Schiller, credendo di aver finalmente raggiunto una sua indipendenza spirituale. Di fronte alla querelle culturale promossa dagli epigrammi Xenien, pubblicati nella rivista di Schiller “Musen-Almanach” del 1797, Hölderlin ricorda a Schiller il programma della “Repubblica dei Saggi” parlando di un “più alto Illuminismo”, facendo in ciò appello agli ideali della giovinezza di Schiller di una società repubblicana e democratica fondata sulla tolleranza e sulla libertà dell’uomo. Horstmann, riferendosi al progetto di Hölderlin di scrivere Nuove lettere sull’educazione estetica dell’uomo, ha individuato nel suo modo di intendere la Bellezza da un punto di vista metafisico un modo di prendere le distanze da Schiller, che invece aveva rivendicato la differenza tra la filosofia trascendentale e la metafisica, considerando la sua teoria degli “impulsi” all’interno della filosofia trascendentale e il fenomeno della bellezza come ciò che è in grado di mediare tali “impulsi” dell’uomo. Hölderlin si distanzia da Schiller poiché ritiene tale programma riduttivo: la Bellezza è legata all’ “essere nel significato autentico della parola”, ne è la presentificazione, e dal principio di mediazione presente in essa bisogna sviluppare una teoria metafisica. Secondo Margarete Wegenast, la corrente di ricerca sul pensiero di Hölderlin non ha finora lambito che marginalmente il nodo dei rapporti con la riflessione di Spinoza. Da qui l’esigenza di un’indagine sugli “infiniti rimandi” presenti nel pensiero di Hölderlin, considerando in particolare la Prefazione alla terza e “penultima stesura” dell’Iperione, composta da Hölderlin a Nürtingen subito dopo aver abbandonato Jena. La chiave della soluzione ai problemi rimasti aperti nelle due stesure di Jena del romanzo, viene rinvenuta nel pensiero dell’ “Uno-Tutto”, di evidente connotazione spinoziana, nel quale gli estremi della soggettività “eccentrica”, da una parte, e della Bellezza dall’altra vengono riuniti. In queste implicazioni spinoziane Wegenast vede espressa l’immagine di Hölderlin come filosofo sia nella sua critica a Schelling, sia nella chiara influenza del suo pensiero in quello dell’amico Sinclair. La Prefazione alla “penultima stesura” dell’Iperione deve essere perciò analizzata a partire dal retroterra culturale di Jena,e Hölderlintrova, in modo apparentemente paradossale, la Bellezza come paradigma di integrazione dell’Etica, della filosofia critica e della teoria dell’azione di Fichte. Considerando l’importante presenza di Platone, “il divino maestro” nel pensiero di Hölderlin, Michael Franz ha analizzato la lettura di Hölderlin dei Dialoghi platonici in relazione ai problemi inerenti alla ricerca dei principi per una “filosofia dell’unificazione”. Nella sua interpretazione allegorica dell’insegnamento di Platone, Hölderlin si rifà a Ficino, distanziandosi così da quell’esigenza di accuratezza filologica che era considerata un criterio ermeneutico fondamentale dai suoi contemporanei. Ciò gli permette di trovare, nell’insegnamento platonico delle archai, quei principi e figure diunità, distinzione e unità mediata che, posti in relazione col mito di Eros, gli consentono di indicare proprio nella Bellezza un principio diadico della mediazione. M.C. SAGGIO Note 1 Cfr. ad es. O. Spengler, Il tramonto dell’occidente (1922); N. Berdjaev, Un nouveau Moyen Age (1928); J. Benda, La trahison des clercs (1927); J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse (1930); J. Huizinga, La crisi della civiltà (1935); E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1936). 2 Sull’ampia recezione internazionale di L’uomo e lo Stato cfr. l’accurata “Nota di bibliografia ragionata” di Piero Viotto, in appendice a L’uomo e lo Stato, Ed. Massimo-Vita e Pensiero, Milano 1992, pp. 259289. Sulle categorie centrali del volume ed il suo rilievo nella filosofia politica moderna cfr. anche la mia introduzione allo stesso, pp. X-LXXIX. 3 J. Maritain, Oeuvres complètes, Ed. Universitaires - Fribourg, ed Ed. Saint Paul Paris, 1982-1992. I tredici voll. editati contengono le opere firmate solo dal filosofo. Ulteriori volumi sono previsti per quelle scritte in collaborazione con la moglie Raissa e per quelle ad opera solo di quest’ultima. 4 I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 1974, p. 19. 5 Avendo insegnato storia della filosofia moderna per varie decine d’anni, Maritain ne possedeva una conoscenza intima. Questo non gli precluse di stimare i pensatori medievali, contrariamente perciò allo schema storiografico hegeliano, tanto diffuso finora, per cui il Medio Evo rappresenterebbe rispetto al livello del pensiero greco e a quello dell’idealismo una parentesi da annullare come astratta o insignificante. Uno schema che svariati manuali di filosofia oggi ripetono, sorvolando sul Medio Evo con gli stivali delle sette leghe sulla base di un motivo non poco capzioso: quel periodo sarebbe esclusivamente teologico, non filosofico. 6 Lo strutturalismo assegna alla filosofia un compito meramente residuale, quello di attivarsi su ciò che le scienze umane le offrono da pensare. Di questo atteggiamento è emblematico il seguente giudizio di C. Lévi-Strauss: «La filosofia [è] condannata a vegetare, a meno che non accetti di diventare riflessione sul sapere scientifico, il che sarebbe già molto» (L’uomo nudo, Milano 1974, p. 605). Anche questo “positivismo delle scienze umane” non è mantenuto in piedi da J. Habermas, che in Il pensiero post-metafisico (Laterza, RomaBari 1991) nega alla filosofia di possedere un oggetto e un metodo propri (cfr. p. 41), e di potersi fondare sul primato della teoria (cfr. p. 52). 7 G. Gentile, Genesi e struttura della società, Mondadori, Milano 1954, p. 32. 8 La citazione esatta suona: «Entitas rei praecedit rationem veritatis, sed cognitio est quidam veritatis effectus» (De Veritate, q. 1, a. 1). Cfr. anche: «Veritas fundatur in esse rei magis quam in ipsa quidditate, sicut nomen entis ad esse imponitur» (In I Sent. , d. 19, q. 5, a. 1). 9 «La funzione propria del giudizio consiste così nel far passare lo spirito dal piano della pura essenza, o dall’oggetto presentato al pensiero, al piano della cosa o del soggetto che possiede l’esistenza... Il giudizio restituisce al soggetto transoggettivo quella unità che la semplice apprensione (cogliendo in essa oggetti di pensiero diverso) aveva disgiunto» (J. Maritain, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, Morcelliana, Brescia 1965, p. 19 s.). 10 Secondo l’Aquinate: «Esse dupliciter dicitur: uno modo significat actum essendi; alio modo significat compositionem propositionis quam anima adinvenit coniungens praedicatur subiecto” (S. Th., I, q. 3, a. 4; cfr. anche In Im peri Hermeneias, lect. 5, n. 73). 11 Sull’essenza della verità, a cura di U. Galimberti, La Scuola, Brescia 1973, p. 19. 12 Sistema dell’idealismo trascendentale, Laterza, Bari-Roma 1990, p. 21. 13 Cfr. Ivi, p. 27 ss. E anche: «L’autocoscienza è il punto luminoso in tutto il sistema del sapere... senza domandarci punto se l’esistenza sia il necessario in generale e il sapere soltanto l’accidente di essa, - per la nostra scienza è certo che il sapere si rende autonomo precisamente per il fatto che noi lo prendiamo in considerazione solo in quanto trova la sua validità in se stesso, cioè in quanto è meramente subiettivo» (Ivi). 14 Lettera di Bergson a J. Chevalier (28 aprile 1920), pubblicata da questi nella sua opera Bergson, Plon, Paris, 1926, p. 296. per rimontare alla sua essenza. Ma la percezione non è richiesta per l’ideazione; è sufficiente all’ideazione - ed è perfino preferibile - avere, come “esempio”, un oggetto nella immaginazione. “Appartiene all’essenza generale dell’apprensione immediata delle essenze... d’essere compiuta sulla base di una semplice ripresentazione (Vergegenwärtigung) delle singolarità esemplari”. Questo dà al fenomenologo la libertà necessaria per potersi staccare da ciò che realmente è dato, e per percorrere la sfera delle possibilità» (La théorie de l’intuition dans la phénoménologie de Husserl, Alcan, Paris 1930, p. 201 s.. La frase tra le virgolette [“ “] è di Husserl). Anche il metafisico gode della libertà di potersi staccare dalla datità e di poter enunciare leggi valide per tutto il dominio dell’essere reale; ma il suo compito non consiste nel “rimontare all’essenza”. Nell’epoché fenomenologica il filosofo procede a mettere tra parentesi il problema dell’esistenza o della non-esistenza del mondo: è pensabile qualcosa di simile in relazione all’intuizione dell’essere? Il carattere laborioso dell’intuizione eidetica di Husserl, il quale era consapevole della difficoltà di praticare l’intuizione delle essenze perché occorre vincere l’inclinazione naturale della vita spirituale ed operare una sorta di conversione verso il centro dell’Io donatore di senso (E. Fink definiva addirittura questa «un’opera di disumanizzazione»), contrasta col carattere umano, spontaneo e “comune” dell’intuizione dell’essere. 16 J. Maritain, Quattro saggi sullo spirito nella sua condizione carnale, Morcelliana, Brescia, 1978, p. 171 s. 17 Cfr. Metafisica, l. VI, c. 1. 18 15 Cfr. ad es. Riflessioni sull’intelligenza, Massimo, Milano 1987, pp. 273 ss.. Anche nella fenomenologia husserliana si fa ampio ricorso alla intuizione eidetica, onde pare legittimo domandare in che rapporto essa sia con l’intuizione dell’essere. Osserviamo intanto che, mentre la fenomenologia è una scienza eidetica della conoscenza, che si costruisce nella riflessione sulla “coscienza” e che mira nell’intuizione a cogliere le sue strutture aprioriche (struttura del tempo, intenzionalità, correlazione di noema e noesi, etc.), la metafisica dell’essere è una scienza del reale, che si costruisce a partire dagli enti attorno alla conoscenza della “verità dell’essere” e che nell’intuizione intellettuale afferra l’esse e le sue proprietà universali (analogia e trascendentalità). La fenomenologia husserliana recupera certo il valore conoscitivo dell’intuizione, che però ha per oggetto solo le essenze (Wesensschau fenomenologica). Per cogliere la diversità tra l’intuizione dell’essere e l’intuizione eidetica della fenomenologia converrà ascoltare questo passo di E. Lévinas: «La riflessione fenomenologica è una riflessione ideativa. Dirigendosi sullo stato di coscienza concreto, percepito, essa se ne serve, come di un esempio, 15 Cfr. W. Jaeger, Aristotele, Firenze 1935; P. Natorp, Themaund Disposition der aristotelischen Metaphysik, in “Philosophische Monatshefte”, 1888, n. 24; M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Roma-Bari 1981. 19 Per uno svolgimento speculativo del tema del nichilismo mi permetto rinviare al mio scritto Sull’essenza del nichilismo teoretico e la ‘morte della metafisica’, in “Filosofia”, gennaio-aprile 1993, pp. 353. 20 La Chiesa del Cristo, Morcelliana, Brescia 1971, pp. 262 s. 21 Cfr., Essere e intellectus. Una Prefazione alla metafisica, “RFNS” n.3, 1991, pp. 385-429. 22 Contra Gentiles , l.I, c. 22. SAGGIO quale sapere sull’essere, che si esprime nell’unità scientifica di ontologia e di teologia naturale, già sostenuta da Aristotele ma successivamente non poche volte messa in dubbio17. Come è noto, nel nostro secolo sono stati Natorp, Jaeger, Heidegger ad allontanarsene18. Nell’opera maritainiana la metafisica vale classicamente come ricerca sull’essere in quanto essere, che comprende al proprio interno una dottrina sull’ente come tale (ontologia generale) ed una su Dio inteso come l’Esse ipsum (teologia naturale). Quest’ultima non è considerata da Maritain, come in qualche modo accadeva invece in Aristotele, quale indagine sulla regione più alta dell’ente e dunque sull’ente più alto (compreso appunto ancora come ente), ma tentativo di ascendere verso una qualche conoscenza dell’Essere stesso attraverso i suoi riflessi creati, e seguendo le classiche vie ascensive dal diveniente all’Indiveniente, dal contingente al Necessario, dall’imperfetto al Perfetto. Alle cinque vie tomistiche il filosofo francese aggiunge una “sesta via” che parte dall’esperienza del pensare, discussa nel volume Approches de Dieu, e specifiche vie dell’intelletto pratico, finora alquanto trascurate nella tradizione altamente intellettualizzata del tomismo. Ontologia dell’esse/actus essendi e teologia naturale formano l’unità ontoteologica della metafisica, sotto la regia della conoscenza dell’essere in quanto tale, ossia in tutta la sua ampiezza trascendentale. In questa regione del pensare non può giungere la critica heideggeriana dell’ontoteologia, a cui sfugge che la filosofia dell’essere vale come metafisica “transontica”, che non si arresta all’ente ma assume a proprio oggetto l’essere come tale, e che di conseguenza si eleva sulla verità principiale della differenza fra ente ed essere. Questa differenza la metafisica dell’essere l’ha tematizzata sotto un duplice profilo: 1) differenza o distinzione reale nella struttura stessa dell’ente finito fra esistenza/essere ed essenza, per cui esso non è il suo proprio esistere; 2) differenza ontoteologica fra l’ente finito e l’Esse ipsum, nel quale soltanto accade l’identità di essenza ed esistenza. L’Atto puro aristotelico, ossia il Dio che è Atto puro di Pensiero (cfr. Metafisica, l. XII), si palesa nella metafisica transontica dell’essere più radicalmente come Atto puro di Essere, un infinito oceano di Esistenza pura, ingenerata ed eterna, che è identicamente il soggetto di ogni altra perfezione: Vita, Pensiero, Amore, Spirito, Intelletto. In Dio viene meno la differenza ontologica per l’identità in lui di esistenza ed essenza, e ciò costituisce il privilegio dell’Assoluto. Con l’approfondimento maritainiano della Seinsphilosophie come metafisica transontica, che non si arresta all’ente ma si volge all’essere, due guadagni tra i vari possono ora brevemente attirare la nostra riflessione. Viene debellato in radice il nichilismo teoretico, largamente presente nella filosofia del XX secolo, secondo cui la conoscenza non sbocca su nulla di reale, onde la metafisica come scienza è vana illusione. Il nichilismo teoretico viene appropriatamente denominato così, perché in esso ciò che va in nulla, ossia viene nientificato, è la verità dell’essere19. In secondo luogo viene mostrato che la tradizione della filosofia dell’essere è suscettibile di progresso, senza rinchiudersi nelle forme del passato: «I miei maestri della scolastica mi hanno insegnato una dottrina che amo e venero. Ma ho sempre pensato che la forma dell’esposizione, lo svolgimento e lo stile detti “scolastici” hanno fatto il loro tempo, perché sono diventati un ostacolo alla vita e al progresso di quella grande dottrina nella storia umana. Ciò di cui essa ha bisogno non è più un approccio dottorale e cattedratico che scolpisca nel marmo un maestoso sed contra e perentorie risposte numerate; ha invece bisogno di un approccio libero, indagatore, umile e intrepido al tempo stesso; è di avanzare sotto lo stendardo di Giovanna [d’Arco]; c’era qualcosa di simile nello stile di Bergson»20. Ora per Maritain la filosofia dell’essere è entrata in catalessi nell’epoca moderna, in concomitanza con lo sviluppo di filosofie empiristiche, idealistiche, materialistiche. La miglior difesa della metafisica è il suo sviluppo omogeneo, mediante cui essa si conserva in atto, rimane capace di giudizi, sa suscitare filosofi idonei a filosofare secondo la sua forma, è in grado di svolgere il “virtuale inespresso” (questo è qualcosa di rilevante per il progresso del pensiero). Dal momento che l’organismo della filosofia è sinolo di materia e di forma (la materia rappresentando il modo di esprimere, l’assetto sistematico, le problematiche prese in esame, ecc., mentre nella forma vengono inclusi la posizione metafisica fondamentale e i principi in cui questa si esprime), lo sviluppo storico della filosofia dell’essere va inteso come compresenza di “identità/permanenza” e di “differenza/mutabilità”: identità della sua ragione formale e mutabilità della sua ragione materiale. In questo modo si adegua materialmente la filosofia alla cultura, al processo storico, alle nuove questioni. L’identità transtemporale e transculturale della metafisica si situa al livello della sua ragione formale, ossia della concezione dell’essere; e vale non come pura identità chiusa e dunque ripetizione, ma come svolgimento del virtuale e rinnovamento materiale. Il progresso della filosofia dell’essere è esattamente un’ “identità che cresce”. Se con l’Aquintae la Seinsphilosophie penetra l’essente in direzione dell’essere, portando a compimento ciò che altrove abbiamo chiamato la “terza navigazione nella storia della metafisica”21, è perché essa è impregnata dal messaggio biblico; di ciò che Gilson chiamava la “metafisica dell’Esodo”, Filone la “filosofia mosaica”, e Maritain l’assoluto realismo della filosofia cristiana. Pensando alla luce di Parmenide, ma soprattutto e in maniera decisiva in quella della Bibbia e in specie di Esodo 3, 14, la filosofia dell’essere sfugge al destino dell’oblio dell’essere, non arrestandosi all’ente. Se si vuole intendere a quali idee uno scrittore misurato come l’Aquinate attribuisca particolare rilievo, si osservino i rari casi in cui il suo stile limpido e piano raggiunge il massimo grado di eloquenza espressiva. Uno di questi, forse il più significativo, ricorre quando egli parla di haec sublimis veritas a proposito della rivelazione a Mosè del più alto nome di Dio: Ego sum qui sum22. Con l’intendimento di questo Nome nasce la “metafisica cristiana” che inizia molto presto e già prima di Agostino, nel quale il rilievo di Esodo 3, 14 è onnipresente: essa nasce dall’alleanza tra Bibbia e grecità, in cui occorre riconoscere che per quanto grande e decisivo sia stato l’apporto della filosofia greca, quello dell’ “ontologia biblica” è stato ancor più decisivo. Poiché nella Bibbia si dischiude più profondamente il senso dell’essere, la “metafisica cristiana” ha proceduto ad una riforma delle categorie e quadri dell’ontologia greca proprio alla luce di quest’ultimo. 14 SAGGIO invece da Bergson. In una lettera a J. Chevalier, quest’ul- raggiunge la massima penetrazione ontologica, essendo timo scriveva: «Voi avete perfettamente ragione di dire impossibile retrocedere verso un fondamento più origiche tutta la filosofia che espongo nel mio primo essai nario e universale dell’esse. afferma contro Kant la possibilità di un’intuizione sopra- Attraverso la dottrina dell’intuizione intellettuale astratsensibile. Prendendo la parola “intelligenza” nel senso tiva viene introdotta un’idea di filosofia come sapere di molto largo che le assegna Kant, potrei chiamare “intel- tipo percettivo che, mediante i suoi strumenti conoscitivi lettuale” l’intuizione di cui parlo»14. (i concetti, che sono determinazioni del concetto di Ammettendo la possibilità di un’intuizione intellettuale, essere; e i giudizi che si ricollegano ai primi principi), si viene a sostenere che l’intelletto è una facoltà percet- “vede” il reale attraverso l’idea di essere e le sue infinite tiva o di “visione” (un tema che richiama il platonico determinazioni. L’intuizione intellettuale dell’essere co“occhio dell’anima”), ossia l’idea che l’intelletto conce- stituisce la fondamentale percezione metafisica, che regpendo vede e vedendo concepisce. E’ per esso un unico ge originariamente ogni nostro pensiero, che è implicata in tutti i nostri atti di intelatto “concepire” un’idea e ligenza e che dischiude la “percepire” intellettualsfera del trans-sensibile, a mente una cosa, anzi l’idea partire dall’esistenza conrappresenta la cosa, è la cosa creta nella quale svolgono stessa sotto un determinato un compito primordiale i esponente di intelligibilità. sensi. Una tale intuizione Trattandosi tuttavia di un intellettuale non è poi prointelletto umano, che è duttiva, ma contemplativa, un’intelligenza in condizionel senso che non produce ne corporea e che perciò il suo oggetto ma lo coglie. funziona astrattivamente e «Se il positivismo, antico e non può prescindere dalnuovo, e il kantismo non l’apporto dei sensi, la sua comprendono che la metaintuitività non potrà essere fisica è autenticamente una completa come quella di un scienza, un sapere, è che intelletto puro, ma appunto essi non comprendono che legata all’astrazione: “inl’intelligenza vede. Per essi tuizione astrattiva” la desolo il senso è intuitivo, l’innomina Maritain15. In essa telligenza non ha che una l’essenziale non è costituifunzione di collegamento, to dal “togliere”, ossia dal di unificazione... E senza far cadere le note individubbio non c’è intuizione duanti, come accade in ogni intellettuale “angelista”, nel processo astrattivo, ma dalsenso di Platone e di la positiva percezione delCartesio, cioè che fa a meno l’essere a cui l’intelletto della mediazione del senperviene in una visualizzaso; senza dubbio non vi è zione eidetica, ossia in un nulla nell’intelletto che non “vedere” intellettuale traprovenga originariamente mite l’idea. Pur non essendall’esperienza sensibile. do una intuizione sopraMa precisamente l’attività sensibile del singolare esidell’intelletto libera da tale stente, e non sboccando Jacques Maritain esperienza e porta nel fuoperciò sull’esistenza singoco della visibilità immatela, l’intuizione astrattiva dell’essere tocca mediante l’astratto e l’universale l’esse- riale in atto gli oggetti che il senso non poteva decifrare nelle cose, e che invece l’intelligenza vede; è tutto il re in quanto essere. Tale intuizione, senza di cui secondo Maritain non si dà mistero della operazione astrattiva... Il problema della sapere filosofico in senso proprio, non è innata, ma metafisica si riconduce in definitiva al problema dell’inacquisita in un processo in cui essa si distende lungo varie tuizione astrattiva, e alla questione di sapere se, al vertice tappe, precisandosi e approfondendosi a partire da un dell’astrazione, l’essere stesso e in quanto essere, che momento esperienziale che resta fondamentale. Tale imbeve il mondo dell’esperienza sensibile, ma che traintuizione, intesa dapprima in senso lato, inizia con la bocca da tale mondo da tutte le parti, è o non è l’oggetto consapevolezza fenomenologica dell’esistere delle cose di una tale intuizione»16. e della loro densità reale . Si produce poi in e con un giudizio di esistenza, nel quale si esce dal piano nozionale La metafisica come “identità che cresce”. Veritas e si raggiunge quello esistenziale; e si compie con l’espli- sequitur esse rerum. Assumendo questo giudizio come citazione del concetto di “atto d’esistere” attraverso un guida, il pensiero ontologico di Maritain ha operato una processo di riflessione-comparazione-risoluzione. Esso più profonda penetrazione della natura della metafisica 13 SAGGIO oggetto di pensiero, una nozione, che pur richiamando il soggetto reale che essa significa, non esiste se non nello spirito. Solo con il giudizio si passa dall’oggetto nozionale al soggetto, all’esistenza9. E’ ciò che con Maritain possiamo denominare la funzione esistenziale del giudizio, nel senso che in esso il verbo “essere” non svolge solo o principalmente il compito di collegare come copula soggetto e predicato, ma denota lo stesso atto di esistere esercitato dalla cosa10. La metafisica, intendendo conoscere tutto quanto esiste e così come esiste, lo considera non secondo che è un oggetto A o B, ma in quanto essere, ossia in quanto esistente. Orbene “tutto quanto esiste”, ossia l’intera ampiezza trascendentale dell’esistenza si presenta come un’infinita repubblica di individui, che esercitano il loro atto d’esistere quale atto primo più radicale di ogni altro. Ciò non sfugge alla conoscenza: nel momento del giudizio l’intelletto raggiunge l’esse, l’esistenza esercitata dalle cose, e così contempla quel miracolo continuo che è il loro non-andare-in-niente. Il giudizio è possibile perché il pensiero è originaria apertura all’essere. Questo tema è stato toccato anche da Heidegger, ma nel quadro di un processo di pensiero che conduce in un’altra direzione rispetto all’assunto classico. Nel saggio Sull’essenza della verità il pensatore tedesco domanda esplicitamente come possa il giudizio, conservando la sua essenza per cui è un qualcosa diverso dalla cosa, adeguarsi ad altro, ossia alla cosa. Risponde che la natura dell’adeguazione va determinata a partire dal tipo di relazione che esiste tra il giudizio e la cosa. Esso secondo Heidegger è un rapportarsi che è uno stare aperto sull’ente, inteso come “ciò che è presente”. Tale apertura è la condizione previa della verità del giudizio, e viene fatta dipendere dalla libertà secondo un’opzione gravida di conseguenze decisive per l’essenza stessa della verità. Mentre la verità non ha la sua dimora originaria nella proposizione, «l’apertura del rapportarsi, che rende possibile intrinsecamente la conformità, si fonda nella libertà. “L’essenza della verità e la libertà”»11. Essa vale poi come lasciar-essere-l’ente, in un atteggiamento non contemplativo, bensì fondato in una decisione, per cui con l’abbandono del tema della adaequatio teoretica, l’essenza della verità è spostata verso la prassi. Se l’essenza della verità è la libertà e non l’adaequatio enunciativa che raggiunge l’atto d’essere dell’essente, che cosa sia l’essere rimane incognito. E’ nelle premesse più intime del pensiero di Heidegger che egli non abbia raggiunto in una visualizzazione eidetica la “conoscenza” dell’essere, che cercava con tutte le sue forze, ed abbia fatto vela verso un’ “esperienza” dell’essere (Erfahrung des Seins), la quale è di per sé di ordine metafilosofico. A questa profondità nasce il dramma specifico della ricerca di Heidegger: cercare nell’esperienza quasi-mistica e nella parola poetante un sostituto a quella conoscenza intellettuale o teoretica dell’esistere che non è stata attinta. Mentre in Heidegger l’essenza della verità è fraintesa, perché dislocata verso la decisione e la prassi, in Schelling lo è perché riportata verso la poiesi. Nel Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) il giovane Schelling introduce un’idea di filosofia (e metafisica) fondamentalmente antiteoretica, non assegnandole il compito di pensare le cose che sono e come sono, bensì di essere produttiva: «ogni filosofia è produttiva... perciò la filosofia dell’arte è il vero organo della filosofia»12. Secondo la sua concezione idealistico-poietica, una tale filosofia è intesa come sistema di tutto il sapere, che inizia solo dall’io, onde l’intera storia della filosofia è esclusivamente svolgimento progressivo dell’autocoscienza. Viene perciò rifiutato il “pregiudizio fondamentale” (è sempre Schelling che parla), a cui tutti gli altri si riconducono, che esistano cose al di fuori di noi: pertanto l’idealismo trascendentale cerca il principio del sapere non nell’essere, ma al di dentro del sapere stesso, dove coincide con la coscienza di noi stessi o autocoscienza. Che rimanga poi da spiegare se e come l’autocoscienza rinvii all’essere, Schelling lo intende, ma considera che tale compito giaccia fuori della filosofia trascendentale, che si limita al sapere, non all’essere. Completo è perciò lo scambio tra il trascendentale “essere” e il trascendentale “vero” (il termine“trascendentale” è qui impiegato nel senso della Seinsphilosophie, non dell’idealismo), per cui non il primo, ma il secondo è fondante. La filosofia è ormai intesa possibile solo come scienza del sapere (avente cioè per oggetto il sapere, non l’essere), onde il suo fondamento non sta in un principio dell’essere, ma in un principio del sapere, che è appunto l’Io13. Con lo scambio di priorità tra i trascendentali ens e verum, e la riconduzione di quest’ultimo all’attività produttiva dell’autocoscienza, la verità della proposizione non è più fondata sull’esse ma sull’io. Spingendo sino in fondo e senza tentennamenti il principio idealistico, il pensiero del giovane Schelling ha abbandonato il criterio, in cui si è prima riconosciuta l’essenza della verità: veritas sequitur esse rerum, provocando con ciò una specifica crisi della dottrina del sapere. Conoscenza dell’essere: l’intuizione intellettuale. Se c’è un messaggio speculativo che Maritain ha cercato di trasmettere, esso andrebbe individuato nell’idea che la conoscenza concettuale della metafisica, espressa in idee e giudizi, è preparata e sostenuta da un incontro decisivo, ad un tempo sperimentale ed intellettuale con l’esistenza: un incontro che inizia attraverso una percezione sensitiva la più acuminata possibile dell’esistenza e dei suoi conflitti (per questo un metafisico privo di sensi è un’assurdità), e che poi passa dal piano esperienziale, psicologico, emozionale a quello intellettuale, in cui la realtà dell’essere è espressa dall’intelligenza a se stessa in un’idea, in un’intuizione, che il filosofo francese denomina “intuizione intellettuale dell’essere”. Questa, che è dall’uomo posseduta a titolo precario, è per il metafisico da riattualizzare costantemente per evitare che scada nel banale o che si perda. Una tale intuizione intellettuale o eidetica (nel senso che si formula in un’idea) è il bene proprio dell’intelletto nel suo addentrarsi nel mistero ontologico ed esprimerlo nell’idea. Se ciò non accade, si cercherà di prendere contatto con l’essere per altre vie; ad esempio quella dell’analisi della soggettività, oppure quella dell’amore, che però conducono più ad una percezione affettiva che eidetica dell’esistenza. Nella tematica dell’intuizione intellettuale dell’essere è implicata quella più generale della possibilità di una intuizione soprasensibile, negata da Kant e sostenuta 12 SAGGIO reale dell’essere, quest’ultimo circoscrive lo spazio teoretico entro cui non può nascere il nichilismo, il quale possiede un’origine teoretica e si riassume nell’incapacità dell’intelletto di raggiungere la verità dell’essere: nel suo senso ultimo il nichilismo è il processo di nientificazione, in cui il subjectum, volgendosi agli enti ed all’essere, li coglie come oggetti speculativamente insignificanti, e dove dell’essere non ne è più nulla (oblio dell’essere, sì, ma in un senso diverso da Heidegger). Con la tesi sulla possibilità della metafisica il filosofo francese viene a collocarsi in dialettica con le diffuse e ricorrenti diagnosi sulla morte della filosofia, che trovano una eco nello strutturalismo, nel recente pensiero postmetafisico, e più indietro nell’attualismo di Giovanni Gentile6. L’opzione comune a queste pur così diverse espressioni filosofiche è il rifiuto della teoria. Secondo Gentile «Conviene lasciar da parte... il termine “teoria” che è meramente metaforico e fantastico, come quello di “visione”, o “intuizione”, e simili; suppone una rappresentazione così ingenuamente realistica del rapporto tra soggetto e oggetto del conoscere, che nessuno può pigliare sul serio almeno da più di duemila anni in qua»7. Nella sua secchezza la frase non abbisogna di molti commenti, salvo l’affermazione storiograficamente non sostenibile sulla fine del realismo conoscitivo da oltre duemila anni. Se però si potesse mostrare che alla teoria è ancora e sempre riservato un compito attraverso la capacità conoscitiva dell’intelletto quale facoltà dell’essere e dei principi, allora l’intera impostazione del problema ontologico muterebbe aspetto, e l’uomo sarebbe già da sempre di fronte alla verità dell’essere. Nell’esplicitare questi elementi e nel fare esprimere alla tradizione della filosofia dell’essere un massimo di rendimento speculativo consiste il compito forse primario del pensiero ontologico maritainiano. L’oggetto della metafisica. La metafisica intende conoscere tutto quanto esiste e così come esiste, risolvendolo nel concetto di essere/esistenza. Il suo primo passo e in certo modo il suo compimento stanno nell’idea che l’esistenza non è cieca, ma è la fonte prima dell’intelligibilità. Questa è infatti massima là dove vi è un massimo di energheia/atto (ogni cosa è intelligibile nella misura stessa in cui è in atto). Ciò accade nell’esistenza, che secondo la grande analisi o risoluzione ontologica di Tommaso d’Aquino è actus essendi/esse. In ciò è forse contenuto uno dei massimi guadagni della storia della metafisica, quando cioè il pensiero ha voluto pensare non solo l’essenza, verso la quale si dirigono le filosofie di impronta platonica, ma l’ “esistenza stessa”. L’esistenza è atto, e più esattamente atto d’essere, atto di tutti gli atti e perfezione di tutte le perfezioni, perché tutti gli atti e tutte le perfezioni dell’ente in tanto sono possibili in quanto sono sostenuti e attivati dall’atto primo, che è l’atto di esistere. La metafisica dell’essere assume come proprio oggetto di analisi e di indagine scientifica non il “concetto” di esistenza (che sarebbe allora inteso nel modo di un’essenza), ma l’ “atto” stesso di esistere. “La metafisica non verte sul concetto di esistenza, ma sull’esistenza stessa”. Il suo oggetto è sì l’ente, ma inteso appunto come ciò il cui atto è l’esistere. La metafisica è un sapere transontico, perché oltrepassa l’ente per raggiungere l’essere stesso: con ciò essa è al di là della critica heideggeriana all’oblio dell’essere, poiché quanto intende conoscere è precisamente l’essere stesso e in quanto essere. Costituendosi come scienza universale, essa astrae dalle condizioni materiali dell’esistenza empirica, mai invece dall’esistenza, in funzione della quale conosce tutto ciò che conosce. Costantemente esposta al rischio del nozionalismo e dell’essenzialismo, la filosofia è lontana dall’aver tratto tutte le necessarie conseguenze dalla svolta decisiva impressale dallaSeinsphilosophie dell’Aquinate, che rende impossibile concepirla come una filosofia delle essenze secondo lo schema di Platone, di Cartesio, di Wolff, di Kant. In una intenzionalità noetica diversa dalla metafisica dell’essere, che cerca l’intelligibilità e la conoscenza nell’esistenza, si collocano quelle filosofie che guardano verso l’essenza, e pertanto inclinano verso forme più o meno marcate di oblio dell’essere -, come pure le correnti dell’esistenzialismo, dove l’esistenza è stata perlopiù oggetto di analisi fenomenologiche, morali, religiose, psicologiche, non propriamente ontologiche. L’originalità della filosofia dell’essere si declina in una impostazione più radicale dell’essenza della verità. Già in Aristotele l’essere come vero è presentato come uno dei quattro significati fondamentali dell’essere, che includono anche l’essere per sé, l’essere per accidente, e l’essere come atto e potenza (Cfr. Metafisica, l. V, c. 7). E sempre in Aristotele si trova, se non la formula, l’idea che la verità è adeguazione dell’intelletto e della cosa , che accade nel giudizio. Affermando che veritas sequitur esse rerum, ossia anche che esse rei, non veritas ejus, causat veritatem intellectus8, Tommaso d’Aquino penetra più oltre nell’essenza della verità. Essa ultimamente si fonda nella cosa esistente e più esattamente sul suo atto di esistere/esse, colto nel giudizio. La verità enunciativa o apofantica segue l’esistenza delle cose, e altro non è che l’adeguazione dell’immanenza in atto del nostro pensiero, a ciò che esiste fuori di esso, ossia all’esistenza esercitata dalle cose col loro proprio atto d’essere. Veritas sequitur esse rerum: il trascendentale fondante è l’essere, non il vero, determinazione con la quale viene evitato lo scoglio massimo contro il quale si sono infrante le filosofie dell’idealismo trascendentale, basate sulla riduzione dell’essere reale all’essere veritativo (tale è il caso del primo Schelling, come vedremo tra poco). Ciò pone la filosofia al riparo da ogni tentativo di ridurre l’esistenza al pensiero oppure di sostituire la metafisica con una sorta di antropologia trascendentale. Poiché nella metafisica non viene cercato un discorso dell’uomo sull’uomo, in cui l’essere entri solo in obliquo, ma un discorso diretto sull’essere, essa non è una scienza umana. L’uomo è solo il soggetto e in certo modo il depositario di questo sapere, non l’oggetto. Nell’accesso al vero il giudizio svolge un compito esistenziale: quando in esso si dichiara che una cosa è in un certo modo, non si contempla un quadro di essenze ideali, bensì si afferma che nell’esistenza reale quella tal cosa esiste nel modo espresso dal giudizio. Pensare è originariamente apprendere un’idea e formare un giudizio. Il termine della apprensione non è l’esistenza reale, ma un 11 SAGGIO L a presenza del pensiero di Jacques Maritain (1882- son a Thomas d’Aquin (1944), Court traité de l’existence et 1973) nella cultura italiana dura da oltre set de l’existant (1947), Approches de Dieu (1952), Approches tant’anni, rimontando ai primi anni ’20. Dapprima sans entraves (1973). Non sembra perciò tempo perso circola il Maritain filosofo dell’arte (cfr. Art et Scolasti- indugiare sul discorso metafisico di Maritain. Propiziano que, 1919) e il pensatore tomista critico della filosofia l’approccio, oltre a motivi congiunturali quali la ricorrenza moderna (cfr. Antimoderne, 1922; Trois Reformateurs, del ventennale della morte del filosofo e il completamento 1927). Successivamente negli anni ’30 e ’40, in rapporto della pubblicazione delle sue Oeuvres complètes in tredici alla temperie culturale europea molto sensibile alla crisi volumi per oltre 17.000 pagine3, le valenze metafisiche e dell’Occidente1, l’attenzione volge verso gli scritti mari- postmetafisiche della recente filosofia mondiale. tainiani incentrati sul nesso tra cristianesimo e civiltà, prospettanti una critica delle ideologie totalitarie moder- Il compito della metafisica. «Si potrebbe credere che la ne (nazismo, fascismo, comunismo), e miranti a ripensa- metafisica, in epoche di impotenza speculativa, brilli re il fondamento di una democrazia non scettica (come almeno per la modestia. Ma il tempo che ne ignora la viceversa la voleva Kelsen), personalista e comunitaria. grandezza, ne ignora parimenti la miseria. La sua granSono gli anni in cui il filosofo francese pubblica opere dezza: essa è sapienza. La sua miseria: essa è scienza quali Religion et culture (1930), Du régime temporel et umana; essa nomina Dio, sì: ma non con il Suo Nome»4. de la liberté (1933), Humanisme intégral (1936), Chri- Con la sua elaborazione ontologica Maritain ha cercato di stianisme et démocratie (1942), Les droits de l’homme et illustrare la grandezza e la miseria della metafisica (e la loi naturelle (1942), che forse soprattutto la prima, culminano nel suo capolain un’età che poco la intenvoro di filosofia politica: de), ricollegandosi espliciL’homme et l’Etat (1951). tamente alla tradizione delQuesti scritti, che avranno la metafisica dell’essere ampia circolazione in vari come espressa soprattutto paesi e che non di rado dida Tommaso d’Aquino e al venteranno un vademecum lignaggio dei metafisici criper l’impegno storico-polistiani, che include tico durante la Resistenza e Agostino, Anselmo, Tomnella fase di ricostruzione maso stesso, Bonaventura, degli Stati democratici, conDuns Scoto, il Gaetano, figurano un Maritain grande Suarez, Rosmini5. Egli inpensatore politico e filosofo tese la loro lezione non Note su Jacques Maritain cristiano della democrazia2. come un apporto singolo, e la filosofia dell’essere Nell’epoca dell’immediato ma un contributo corale a post-Concilio vasta eco sucostruire la scienza dell’esscitò Le paysan de la Gasere quale “dottrina comuronne (1966), che è ad un ne”, ossia propria dell’uotempo una convinta accetmo come tale. Esplorare la tazione dell’insegnamento possibilità della metafisica di Vittorio Possenti conciliare e una severa crie di una metafisica conotica delle correnti teologiscitiva che raggiunge l’esche cristiane tendenti verso il modernismo e la demitiz- sere (e che non vale perciò come vano protendersi della zazione. Procedendo per larghi tocchi occorre infine ragione oltre i limiti che la rinserrano) fu forse il compito citare l’influsso della maritainiana filosofia dell’educa- centrale della riflessione maritainiana, che per questo si zione (Education at the Crossroads, 1943), dove viene presenta come ripresa della questione ontologica dopo il svolto un personalismo pedagogico, dei suoi scritti sulla criticismo, l’idealismo, l’attualismo, il positivismo; e spiritualità e la mistica (De la vie d’oraison, 1922), delle come capacità di resistere all’attacco ad ogni metafisica ricerche sull’etica (Neuf leçons sur les notions premières avanzato nel nostro secolo da autori, correnti e prospetde la philosophie morale, 1951; La philosophie morale, tive diversissime quali sono il neopositivismo, lo scien1960). Nella brevissima scansione delineata, che andreb- tismo tecnologico, le correnti delle scienze umane, lo be arricchita sotto tanti aspetti, c’è un elemento a prima strutturalismo, Heidegger. vista problematico, ed è lo scarso accesso, che sembra Entro i limiti di una valutazione assai sintetica e che sconfinare nel silenzio, della cultura italiana all’opera scarnifica la scena, si può sostenere che per quanto metafisica e gnoseologica del filosofo francese. A rende- riguarda la possibilità della metafisica le posizioni sostere più forti le tinte del quadro cospira il fatto che essa nute nella filosofia contemporanea tendono a iscriversi in costituisce una quota considerevole della sua vastissima uno spazio segnato da tre vertici: il no ad ogni ontologia produzione (includente oltre sessanta opere), in cui si dell’empirismo logico; la critica heideggeriana a tutta la annoverano titoli quali: Réflexions sur l’intelligence storia della metafisica per il suo preteso “oblio dell’esse(1924), Les degrés du savoir (1932), Sept leçons sur re”; l’elaborazione ontologica della scuola della filosofia l’être (1934), Science et sagesse (1935), Quatre essais dell’essere, di cui Maritain è stato uno dei massimi sur l’esprit dans sa condition charnelle (1939), De Berg- esponenti. Sostenendo la possibilità della conoscenza Il pensiero metafisico 10 AUTORI E IDEE René Magritte, Le sang du monde, 1926 16 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE L’invenzione delle forme Scienziato, allievo di Jean Petitot e studioso di Heidegger, nel suo ultimo lavoro, L’INVENTION DES FORMES (L’invenzione delle forme, Odile Jacob, Parigi 1993), Alain Boutot si propone di fornire un’introduzione al metodo morfologico nell’analisi dei fenomeni, che si risolva in un’interrogazione più generale sui modelli conoscitivi della scienza. Nel solco della riflessione di Petitot, Thom e Prigogine, Alain Boutot presenta un modello di sapere “qualitativo”, che si accosta alla singolarità dei fenomeni e ne cerca le leggi regolative nel carattere “locale”, individuale, della loro produzione; leggi che sono espresse in modelli topologici. In antitesi a qualsiasi intento di riduzione positivistica della conoscenza, la morfologia difende il carattere conoscitivo della scienza contro l’attuale interpretazione pragmatica e manipolatoria della natura, alla base di quel modello di intelligibilità scientifica che ha preso le mosse da Galileo e che ha prodotto i grandi successi della “tecnoscienza”. Giunto alla soglia critica della sua evoluzione, questo modello di scienza “quantitativa” pone l’esigenza di una nuova modellizzazione, che, registrati i limiti del determinismo nella interpretazione dei sistemi dinamici, non rinunci a un criterio di intelleggibilità. Il morfologo è innanzitutto un geometra attento alla singolarità delle manifestazioni del mondo sensibile, il cui intento è quello di produrre una rappresentazione geometrica delle leggi invarianti che stanno alla base di situazioni qualitativamente simili, ovvero riconducibili, tramite modifiche non-strutturali, le une alle altre. La teoria delle catastrofi di Thom, i frattali di Mendelbrot, le strutture dissipative di Prigogine sono convocate - nell’esposizione che ne dà Boutot - a illustrare nuovi territori di indagine, dove le ipotesi morfologiche suppliscono alla inadeguatezza delle scienze fisiche “forti”. Lontano, sullo sfondo di un sapere che tiene ancora uniti scienza e ontologia, torna a imporsi la figura di Aristotele; nella definizione di Boutot la morfologia si presenta nei termini di un vero e proprio neo-aristotelismo matematico. La filosofia delle “forme sostanziali” di Leibniz si ripresenta qui nei nuovi teoremi di classificazione che intendono ordinare le logiche di evoluzione dei fenomeni secondo principi analogici, dove la forma è considerata indipendentemente dal suo sostrato fisico. Scienza contemporanea e antica: si rinnova qui un’interrogazione potentemente metafisica. E.N. Cosmologia matematica Il vecchio interrogativo di sapore galileiano - perché le leggi di natura hanno forma matematica? perché il mondo è matematico? - è al centro del recente studio di J. N. Islam, AN INTRODUCTION TO MATHEMATICAL COSMOLOGY (Introduzione alla cosmologia matematica, Cambridge University Press, Cambridge 1992), che si presenta come un tentativo di introdurre problemi e risultati della cosmologia moderna ad un pubblico preparato, ma non ancora specializzato. Grandi sono stati i risultati, soprattutto osservativi, della cosmologia degli ultimi anni, e grandi sono gli interrogativi che ancora impegnano astronomi e fisici di tutto il mondo. Il problema dell’inizio, la storia dell’universo, il suo stato attuale, il suo futuro: tutto oscilla ancora precariamente tra ipotesi azzardate, teorie matematiche e tentativi più o meno riusciti di integrare il maggior numero possibile di nuove osservazioni in un modello coerente e possibilmente anche “elegante”. Attualmente, le fondamenta della cosmologia sono costituite dalla teoria della relatività generale di Einstein; questo basta, da solo, a dare a questa disciplina una forte impronta matematica e a renderla di conseguenza inaccessibile a chiunque non abbia una solida preparazione in questo senso. Un problema non marginale che ostacola la diffusione e l’incremento degli studi cosmologici è proprio la difficoltà di divulgazione di una scienza che parla matematicamente. Lo studio di J. N. Islam intende 17 collocarsi a un livello medio di difficoltà, al di sotto comunque del livello specialistico riservato ad astronomi ricercatori. In realtà non sembra che l’autore riesca del tutto nel suo intento; andando infatti i suoi interessi prevalentemente in direzione delle applicazioni della relatività generale, questa introduzione mostra un carattere più matematico che astrofisico. Gli aspetti teorico matematici sono enfatizzati fino a sovrastare quelli sperimentali, come l’osservazione della radiazione di fondo, o lo studio di galassie e ammassi, che sono difatto trascurati, con il risultato di un complessivo livello di lettura decisamente alto e comunque riservato a coloro che abbiano già ampiamente assimilato la relatività generale einsteiniana. Al di là della questione della divulgazione, e del grado di difficoltà auspicato e ottenuto dall’autore in questa introduzione, che restano peraltro problemi intrinseci al contenuto teorico di questa disciplina, sono comunque innegabili i pregi del lavoro di Islam in termini di chiarezza e soprattutto di sintesi. S.L. L’Etica di fronte all’Estremo Due studiosi dell’Europa orientale, il semiologo bulgaro Tzvetan Todorov con il suo DI FRONTE ALL’ESTREMO (trad. it. di Elina Klersy Imberciadori, Garzanti, Milano 1992) e il sociologo polacco Zygmunt Bauman, autore di MODERNITÀ E OLOCAUSTO (trad. it. di M. Baldini, Il Mulino, Bologna 1992), prendono spunto dalle drammatiche vicende dei campi di sterminio per sviluppare una duplice riflessione, da un lato sulla possibilità di un discorso etico intorno a tali situazioni limite, dall’altro sul rapporto tra queste ultime e il più vasto orizzonte della “modernità”. La prima questione da affrontare riguarda la possibilità stessa del discorso etico in un universo, come quello “concentrazionario”, in cui ogni azione del prigioniero come dell’aguzzino sembra obbedire ad un ordine superiore; infatti, secondo una convin- AUTORI E IDEE zione diffusa in tutta la tradizione filosofica occidentale, è la libertà il presupposto imprescindibile di ogni comportamento che voglia definirsi morale. A questo proposito Zygmunt Bauman osserva che in ogni regime dittatoriale lo Stato esercita un tale predominio sul singolo da annullarne quasi completamente la volontà, fino ad indurlo ad accettare, come nel caso in questione, che l’uccisione di un ebreo «per motivi puramente politici» non fosse da considerarsi un assassinio (circolare di H. Himmler del 26 ottobre 1942). Tuttavia, obietta Tzvetan Todorov che non ha conosciuto direttamente l’esperienza del lager, ma che pure, fino a ventiquattro anni, ha vissuto in un paese totalitario , la costrizione non può mai essere totale; con questo Todorov intende opporsi ad una visione deterministica della realtà come base di entrambe le dottrine teorico-politiche che hanno prodotto nel nostro secolo i campi di sterminio, il sedicente “marxismo-leninismo” staliniano e il “nietzscheanesimo” delirante di Hitler. La libertà umana non può essere annullata completamente; all’individuo, osserva Todorov, resta sempre una seppur minima possibilità di scelta, se non altro quella dell’ora e del modo della propria morte, prima che siano altri ad imporgliela. Opporsi, a costo della vita, a un nemico soverchiante per riaffermare la propria libertà (come fecero gli abitanti del ghetto ebraico di Varsavia nel ’43) appare infatti a Todorov una “reazione sana” alla barbarie nazista, un atto di “eroismo quotidiano”. Appartengono d’altra parte a questa stessa sfera di comportamenti altre virtù morali, come l’altruismo e l’esperienza estetica e intellettuale, che preserva gli esseri umani dal totale abbrutimento. Si tratta, in fondo, delle stesse virtù “normali” dei tempi di pace, che Todorov, rifacendosi al Sartre de L’esistenzialismo è un umanismo, contrappone (e preferisce) a quelle “eroiche”, che hanno improntato ad esempio la seconda insurrezione di Varsavia, quella della popolazione di origine polacca nel ’44, per «salvare [...] un’astrazione chiamata Polonia» dalla duplice minaccia degli occupanti tedeschi, ormai in rotta, e dei futuri “liberatori” sovietici. Queste virtù si rifanno ad un modello che ha origini arcaiche (i poemi omerici) e non appare più adeguato al nostro tempo, in quanto presuppone un “mondo unidimensionale” in cui l’ideale prevale sul reale, la morte sulla vita. All’astratto Bene, in nome del quale si consuma l’inutile sacrificio della vita umana, Todorov antepone la concreta bontà di migliaia di uomini e donne, vittime dei campi di concentramento o loro compassionevoli soccorritori, «a metà strada tra eroismo e quotidianità». In quest’ambito di riflessione vale la pena ricordare il recente volume di Alain Brossat, Ozerlag 1937-1964. Le système du goulag: traces perdues, mémoires réveillées d’un camp sibérien (Ozerlag 1937- 1964. Il sistema del gulag: tracce scomparse, memorie ritrovate di un campo siberiano, Parigi 1991), che fa luce su analogie e differenze tra i campi di sterminio tedeschi e quelli “di lavoro” sovietici. In entrambi i casi, osserva anche Todorov, le vittime non furono «né eroi, né santi», così come gli aguzzini non furono «né mostri, né bestie», come troppo spesso vengono definiti, ma nella quasi totalità persone altrettanto “normali” e “banali”; come scrisse Primo Levi, «i mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi; sono più pericolosi gli uomini comuni» con il loro atteggiamento egoistico. Per questo Todorov include nella categoria dei persecutori, seppur attribuendo loro, a differenza di Baumann, un grado di corresponsabilità via via decrescente, anche i loro popoli di appartenenza (tedeschi e russi), gli abitanti dei luoghi ove i lager sorsero (polacchi, innanzitutto), ma anche coloro che per “cecità volontaria” ne minimizzarono la portata, quando non ne negarono addirittura l’esistenza (la maggioranza degli occidentali). Le cause di tutto ciò, a parere sia di Bauman che di Todorov, sono da ricercarsi in alcune caratteristiche della “modernità” che fanno dello sterminio di massa non un episodio circoscritto, per quanto tragico, della storia del XX secolo, ma una minaccia costante per la società contemporanea. Innanzitutto, nota Todorov, la modernità si basa su un’estrema parcellizzazione del processo produttivo, che comporta un’analoga frammentazione delle responsabilità, la stessa che poi consente all’aguzzino di seviziare e uccidere le proprie vittime, limitandosi a «compiere il proprio dovere»: argomento principe nelle autodifese ai processi per crimini di guerra, come di recente ha rilevato anche Telford Taylor nel suo Anatomia dei processi di Norimberga (Rizzoli, Milano 1993). Inoltre, il processo di spersonalizzazione e strumentalizzazione, conseguenza della moderna civiltà di massa, fa sì che gli esseri umani appaiano al carnefice come cose, piuttosto che come persone. Infine, la maggior parte dei delitti commessi nei lager possono essere attribuiti a semplice godimento del potere, un altro dei “vizi quotidiani” che, secondo Todorov, caratterizzano il nostro tempo. A tutto questo Bauman aggiunge, per parte sua, che la cosiddetta “soluzione finale” presuppone le stesse ambizioni al “perfezionamento della realtà” che costituiscono l’essenza del mondo moderno, anche se hanno condotto alla barbarie: non è un caso che ad analoghe, tragiche conseguenze, abbia portato l’altro “moderno” tentativo di palingenesi radicale della società, quello sovietico, come ancora ha osserva Alain Brossat in Le stalinisme entre histoire et mémoire (Lo stalinismo tra storia e memoria, La Tour d’Aigues 1991). Sia Todorov che Bauman si pongono infine il problema di quale sia l’atteggiamento da assumere “davanti al male”: occorre innan18 zitutto combatterlo in tempo e non rassegnarsi ad esso; ma, dopo averlo sconfitto, quale trattamento riservare ai suoi responsabili? Todorov rifiuta sia la vendetta sia il perdono, ritenendo estranea per entrambi una “vera giustizia”. Tuttavia, il dovere principale è quello di opporsi al rischio di oblìo di tali drammatiche vicende, al quale invece sarebbero portati, seppur per opposti motivi, i sopravvissuti, sia carnefici, sia vittime, e più in generale l’intera società. Quest’ultima, al contrario, ha il dovere di conservare la memoria delle “situazioni estreme”, in quanto esse «rivelano la verità di situazioni normali», affinché l’umanità sia preservata per sempre dal ripetersi di simili tragedie. A tale scopo Bauman propone di por fine alla sottomissione della legge morale individuale a quella generale della società, almeno in tutte quelle situazioni in cui «comportarsi moralmente significa assumere un atteggiamento definito per decreto come antisociale o sovversivo dai poteri esistenti». G.C. Pensare gli esperimenti Quasi un’introduzione alla filosofia e al dibattito sul potere dell’immaginazione, THOUGHT EXPERIMENTS (Esperimenti pensati, Oxford University Press, Oxford 1992), di Roy A. Sørensen, si immerge in un’amalgama di esperimenti, vecchi e nuovi, famosi e non, scientifici e filosofici per difenderne la validità, l’utilità ed il fascino conoscitivo. «Quando il filosofo geometra - scrive Galileo nel famoso Dialogo - vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia...». Difalcare gli impedimenti della materia significava per Galileo non solo crearsi in laboratorio le condizioni più adatte all’esperimento, ma anche immaginarsi condizioni ideali, superfici perfettamente levigate, palle perfettamente sferiche ecc. Galileo fantasticava gli esperimenti quando non li poteva realizzare, e li pensava con lo stesso rigore, la stessa precisione, la stessa accortezza che usava in laboratorio. Se per Galileo gli esperimenti mentali erano legittimi e del tutto naturali, per quale motivo, si chiede Roy A. Sørensen, noi oggi continuiamo ostinatamente a considerarli con un certo imbarazzo e a parlarne con la stessa distanza che solitamente teniamo di fronte a fenomeni misteriosi, certo affascinanti, ma mai del tutto convincenti. Passando attraverso le trattazioni di Mach e Kuhn, Sørensen propone un’apologia degli esperimenti pensati, che sono per lui semplicemente casi limite degli esperimenti ordinari, e dunque prove empiriche e non AUTORI E IDEE astruse argomentazioni astratte. Se Sørensen ha ragione, la scienza contemporanea, così come la filosofia, avrebbero ancora di che imparare da Galileo, quello stesso Galileo che ci ha insegnato a difalcare gli impedimenti della materia con la potenza della nostra immaginazione, ad esperire con la mente e a pensare con l’esperienza. S.L. Simone Weil, l’impegno al femminile Cinquant’anni fa, nell’agosto del 1943, moriva Simone Weil. Figura femminile singolare, intellettuale scomoda, “engageé”, apolide, assieme ad Hannah Arendt una delle rare pensatrici del ‘900. Un’attualità che, a distanza di mezzo secolo, rimane inalterata. Ne è una conferma la pubblicazione della traduzione italiana del quarto e ultimo volume dei QUADERNI (Adelphi, Milano 1993), a cura di Giancarlo Gaeta. Di Wanda Tommasi è invece la monografia SIMONE WEIL: SEGNI, IDOLI E SIMBOLI (Angeli, Milano 1993), incentrata sul tema dell’immaginazione, insistentemente presente nei QUADERNI. Il completamento della traduzione dei Quaderni accompagna l’interesse per Simone Weil sollevato nel nostro paese dalla recente pubblicazione, con il titolo: Simone Weil, di biografie e antologie dei testi, una ad opera di Giancarlo Gaeta (Ed. Cultura della pace, Firenze 1992), l’altra di Georges Hourdin (Borla, Roma 1992). Scritti durante il soggiorno a New York, tra luglio e ottobre del 1942, i Quaderni sono costituiti di frammenti, brevi capitoli, appunti disseminati in centinaia di pagine che compongono una imponente “architettura dell’anima”, dove emerge l’urgenza di pensare, “ripensare” le possibilità di una nuova convivenza umana sulla terra, oltre e dopo la tragedia della guerra. I temi mistici e religiosi non sottraggono Simone Weil alle preoccupazioni del mondo, all’impegno difficile di pensare la politica e la società al di fuori degli schemi della tradizione occidentale. Ella nega la cultura occidentale, fondamentalmente basata sulla guerra, sulla violenza e sulla forza, per ritrovare e riattivare la parte più autentica della tradizione greca e cristiana. In questi “Quaderni d’America”, dominati dalla nozione di mistero, la problematica religiosa è più direttamente investita, «ci si trova immersi in una logica cui è stato sottratto l’elemento costruttivo della dimostrazione» - osserva Giancarlo Gaeta nell’Introduzione. Una “nuova logica” che crea effetti forti e sconcertanti, a cominciare dalla nozione di fede, definita in termini di certezza e desiderio, connotati che tuttavia non vengono collegati a una qualche rivelazione, ma all’esperienza della condi- zione umana. Connotati non separabili e neppure compiutamente distinguibili nel movimento dell’anima, che riconosce l’impossibilità di amare incondizionatamente alcunché in questo mondo, e insieme volge il proprio desiderio verso l’unico oggetto che possa essere amato incondizionatamente, poiché «è unicamente il bene», cioè Dio. Una tematica, quella religiosa, che accompagna l’intera esistenza di Simone Weil, e ne caratterizza e contraddistingue lo stesso impegno politico. Francese di origine - era nata a Parigi nel 1909, da famiglia ebraica - Simone Weil visse a Marsiglia e negli Stati Uniti; passò poi in Inghilterra, dove morì, a soli trentaquattro anni, nel sanatorio di Ashford, a seguito delle privazioni che aveva voluto imporsi. Una vita breve ed intensa, folgorante, contrassegnata dall’impegno e dalla ricerca di un ordine spirituale autentico. Una posizione etica fondamentale: quella di mettersi sempre dalla parte degli oppressi. E di viverne i medesimi problemi e patimenti. Intorno agli anni ’30, lascia l’insegnamento per lavorare in fabbrica, allo scopo di vivere la condizione operaia, di conoscerla e di lottare con tutte le sue forze per trasformarla. Nel 1936 partecipa alla guerra civile spagnola. Nel ’40 abbandona Parigi in seguito all’invasione tedesca: prima gli Stati Uniti; poi l’Inghilterra, e sempre engageé, al lavoro per l’organizzazione “France libre”. La critica al marxismo e il ritrovamento di Platone sono espressione, in quegli anni, del medesimo impegno militante. Le basta un anno di esperienza sindacale per cominciare a mettere in discussione la fede di Marx nelle forze produttive. Non esita, già nel ’33, a definire mitica l’idea di una missione storica del proletariato e a denunciare il vuoto teorico della società contemporanea. Di Marx critica il materialismo, la riduzione delle idee a espressione di un gioco sovrastrutturale di forze, la fede nel bene del meccanismo sociale. Negando la filosofia necessitaristica della storia, Weil riafferma l’esigenza etica: la miseria umana, la sua lontananza dalla perfezione divina, contro ogni illusione che l’uomo possa autoredimersi attraverso la dialettica. La filosofia regna sovrana nella sua formazione intellettuale, ed è una filosofia dualista e spiritualista, che ha in Platone, Cartesio e Kant i suoi pilastri. È su queste idee che si forma l’illusione di una verità pura, mistica e religiosa, un’illusione che per Simone Weil diviene un ideale regolatore che orienta il suo progetto etico-politico. È l’idea del lavoro come azione metodica di conoscenza e azione sul mondo, che la porta a pensare un modello di uomo come ragione insonne; modello che tuttavia si scontra con un agire politico che va nella direzione opposta. La realtà sociale è per eccellenza ambiguità, mescolanza; è un male che “sporca le mani”, e contraddice il sogno della trasparenza. Il pessimismo nei confronti del mondo 19 orienta Weil verso l’ascetismo oltremondano, fino alla parabola della mistica conversione religiosa. È allora che comincia ad elaborare, in quella massa di scritti che compongono i Quaderni, una filosofia religiosa originale. Un pensiero che ritrova nei suoi tratti fondamentali la versione più tragica del cristianesimo, la Gnosi. L’esistenza diviene male, colpa, e la conoscenza avviene attraverso la sofferenza. Una sofferenza che per Simone Weil è stata radicale, fino alla morte. E l’esperienza decisiva è stata certamente il lavoro di fabbrica: «Fino allora non avevo avuto l’esperienza della sventura, se non della mia che, essendo mia, mi pareva poco importante... Sapevo, certo, che c’era molta sventura nel mondo, ne ero ossessionata, ma non l’avevo mai constatata con un contatto prolungato. Essendo in fabbrica, confusa agli occhi di tutti e ai miei stessi occhi con la massa anonima, la sventura degli altri è entrata nella mia carne e nella mia anima». Un’esistenza vissuta nel segno di un principio di realtà così forte, da impedire qualsiasi pensiero di fuga. «Bisogna preferire l’inferno reale piuttosto che il paradiso immaginario», affermava Simone Weil, attuando una critica spietata dell’immaginazione. Critica alla quale, come mette in evidenza Wanda Tommasi, faceva tuttavia da contrappeso un uso costante e insistito di immagini e di simboli: dal lavoro decostruttivo degli idoli collettivi alla rilettura dei simboli del sacro, in cui si rivela la tessitura segreta dell’universo. E.C. Metafisica e mantica In METAPHYSIK UND MANTIK. DIE DEUTUNG- SNATUR DES MENSCHEN (SYSTÈME ORPHIQUE DE JÉNA) (Metafisica e mantica. La natura interpretativa dell’uomo, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993) Wolfram Hogrebe ripropone un concetto, quello di “mantica”, che alle sue origini indicava l’arte della divinazione e dell’interpretazione dei segni della natura da parte dei veggenti, con l’intento di indicare una modalità “presemantica” dell’interpretazione, che allude ad uno strato profondo, non linguistico e non concettuale, della natura umana. Di Wolfram Hogrebe è già stato tradotto in italiano, con il titolo: Per una semantica trascendentale, lo studio del 1974, Kant und das Problem einer transzendentalen Semantik. Questo suo ultimo lavoro, Metaphysik und Mantik, in cui sono raccolti saggi per la maggior parte pubblicati altrove, è dedicato a una modalità particolare dell’interpretazione, che l’autore definisce “mantica”. Originariamente questo concetto indicava, nella cultura greca, l’arte divinatoria che partendo da segni traeva AUTORI E IDEE conclusioni su eventi passati, presenti o futuri. «Questa arte - scrive Hogrebe risale nel profondo agli inizi dell’umanità e può essere descritta come la prima forma di interpretazione del mondo o di studio della natura al servizio del nostro atteggiamento di sicurezza». La mantica è così originariamente l’arte dell’interpretazione delle formazioni di senso “naturali”, degli eventi naturali che vengono interpretati come una espressione “mimica” dell’universo. Ma anche oggi interpretiamo in senso mantico: quando reagiamo di fronte a una situazione affettiva, di fronte a “sostanze di senso” di carattere “sotto” o “pre” semantico, non traducibili a livello linguistico, che testimoniano di una “natura interpretativa” profonda dell’uomo. Nella ricerca filosofica, osserva Hogrebe, si annida un’ambivalenza o un’ambiguità di fondo tra ricerca e perdità del senso: da una parte essa cerca un senso, dall’altra ne produce artificialmente la perdita, in quanto non può lasciar valere niente che non sia stato sottoposto al suo vaglio analitico e decostruttivo: «La possibilità della filosofia - scrive Hogrebe - è così ancorata a un annullamento assoluto del senso e questo semplicemente perché essa pone in questione per principio sostanze di senso (di qualsiasi tipo esse siano) per poi cercarle in quanto perdute». Il fatto stesso che il nonsenso, l’inconsistenza e la libertà stiano alla base dell’esperienza del senso, significa, per Hogrebe, che il nichilismo semantico, da cui prende le mosse tanta parte della filosofia contemporanea, non rappresenta «la fine della storia del senso, bensì proprio il suo presupposto». Questa situazione di fondo, in cui nasce e si sviluppa la filosofia, è stata articolata, in diversi modi, nell’epochè fenomenologica di Husserl (in quanto annullamento della “tesi” del mondo), nell’analisi esistenziale di Heidegger (non comprendiamo liberi dal mondo ma nelle forme del nostro esistere) e nel “silenzio” che per Wittgenstein costituisce il presupposto di un parlare dotato di senso. Dalla necessità di analizzare questa situazione di fondo dell’uomo nel mondo nascono anche le analisi del linguaggio che costituiscono tanta parte del pensiero contemporaneo: da Putnam a Carnap, da Gadamer a Kuhn, da Quine a Rorty a Habermas. Tali posizioni mancano però, secondo Hogrebe, di un fondamento antropologico: esse analizzano l’uomo come essere che interpreta secondo “cultura”, ma trascurano la sua “natura interpretativa”, cioè quello strato pre-linguistico e non ancora concettualizzato dell’esperienza che ci fornisce «una rincorsa di significato a cui le nostre preoccupazioni semantiche devono anzitutto attingere, senza poterlo mai esaurire completamente. La pienezza di significato della vista di una rosa non viene mai raggiunta dalla sua descrizione, e di questo si nutre la possibilità dell’arte». L’idea di una “mantica” copre per Hogrebe questo ambito problematico, e si configura come un ampliamento della semantica con il compito di scavare negli strati prelinguistici della “natura” umana e della sua capacità di significare. Una teoria di tale natura è per Hogrebe una “metafisica” chiarita e regolata nei suoi fondamenti, una “metafisica povera”, ispirata alle riflessioni petrarchesche sulla filosofia: non più una “metafisica nominale”, fondata su essenze che possono essere colte e fissate attraverso un nome, ma una “metafisica pronominale”. Solo una teoria della nostra “natura sottosematica” può carpire il significato di tale metafisica “pronominale”: essa mette in luce l’esistenza di zone di “orientamento mantico” e con ciò «la topologia di uno spazio indefinito, in cui qualcuno da qualche parte, in qualche momento e in qualche modo agisce». Questo indefinito orientamento pronominale costituisce il presupposto di tutti i processi di apprendimento. M.M. Un’estetica a partire da Adorno Oggetto dello studio di Christine Eichel VOM ERMATTEN DER AVANTGARDE ZUR VERNETZUNG DER KÜNSTE. PERSPEKTIVEN EINER INTERDIZIPLINÄREN ÄSTHETIK IM SPÄTWERK THEODOR W . ADORNOS (Dallo svanire dell’avanguardia all’intreccio delle arti. Prospettive di un’estetica interdisciplinare nella tarda opera di T. W. Adorno, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1993) è la teoria estetica di Adorno nel suo rapporto con la crisi delle avanguardie storiche, un rapporto che anticiperebbe alcune linee della discussione estetica affermatesi con l’avvento della tematica del “post-moderno”. Ulteriore segno di un interesse del mondo culturale tedesco per il problema di un’estetica della modernità nell’ambito della Scuola di Francoforte è anche la traduzione dell’opera della studiosa americana Susan Buck-Morss, DIALEKTIK DES SEHENS. WALTER BENJAMIN UND DAS PASSAGEN -WERK (Dialettica del vedere. W. Benjamin e l’opera sui Passages, trad. ted. di Joachim Schulte, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1993). Dopo avere dedicato numerosi saggi e studi a questioni di estetica e poetica letteraria e musicale, e dopo avere tenuto negli anni ’50 e ’60 diversi corsi universitari di estetica, Theodor W. Adorno inizia nel 1961 a dettare il testo dell’opera che sarebbe stata pubblicata, dopo la sua morte, da Gretel Adorno e Rolf Tiedemann con il titolo: Teoria estetica. Frutto di diverse stesure e rielaborazioni, l’opera non giunse alla sua compiutezza formale, ma, interrotta dalla morte dell’autore nel 1969, rimase allo stato di frammento. Essa ha però una 20 grande importanza nel pensiero di Adorno: la sua elaborazione si intreccia con la stesura della Dialettica negativa, con studi di sociologia e con lo studio sul compositore Alban Berg; insieme alla Dialettica negativa e a un’opera di filosofia morale, progettata, ma non realizzata, la Teoria estetica doveva esporre, come ebbe a esprimersi lo stesso Adorno, «ciò che ho da gettare sulla bilancia». Secondo Christine Eichel, punto di partenza storico e teorico della Teoria estetica è «l’avanguardia artistica al punto zero della propria auto-abolizione». Per esemplificare questo processo di “auto-abolizione” l’autrice si riferisce all’ambito della musica, in cui, a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale, l’influenza delle riflessioni adorniane era stata più che mai rilevante. Eichel cita come esempio un pezzo per pianoforte del 1957 di Karlheinz Stockhausen, in cui 19 gruppi di note venivano suonati in sequenze scelte arbitrariamente dall’esecutore. Risultava con ciò chiaro che l’avanguardia musicale non aveva più alcun rapporto di sviluppo logico con la “scuola viennese” da cui aveva preso le mosse la rivoluzione dodecafonica. Mutamenti di questo genere non erano del resto limitati all’ambito della musica: anche le altre arti avevano conosciuto nel frattempo una frammentazione degli stili e delle opere in una dispersa molteplicità. Questi sviluppi nel campo della musica e delle altre arti costituiscono per Adorno l’occasione di una revisione della teoria estetica che aveva accompagnato le sue prime riflessioni sulla musica, suscitando nuove domande: la musica, e le arti in generale, sono ancora capaci di generare delle teorie? O, più radicalmente: l’arte ha ancora bisogno di una riflessione teorica? E, con l’esaurimento della pratica e del concetto dell’avanguardia, non è diventata anacronistica l’idea stessa di un’estetica filosofica che da quelle esperienze artistiche era nata? Se il citato esempio di Stockhausen è indicativo di una rottura delle nuove forme artistiche rispetto alla lezione delle avanguardie storiche, e con ciò delle aporie e dei nuovi problemi di fronte a cui si trova una teoria estetica contemporanea, esso indica anche la via attraverso cui Adorno, secondo Eichel, cerca di uscire da queste aporie. O meglio: la direzione in cui egli cerca di renderle teoricamente feconde. La partitura di Stockhausen, con i suoi gruppi di note disposti in maniera apparentemente casuale, ricorda un’opera grafica, e allude con ciò a un riferirsi reciproco delle arti, che oltrepassano i loro confini tradizionali e indicano così alla riflessione alcune direzioni da seguire. Il problema a cui si trova di fronte Adorno è così quello della possibilità di un’estetica filosofica nella situazione contemporanea e post-avanguardistica del fare artistico, e del modo in cui essa può (ammesso che voglia o debba farlo) dare ordine alla molteplicità dei fe- AUTORI E IDEE Marcel Duchamp, Scolabottiglie, 1914 21 AUTORI E IDEE nomeni artistici che costituiscono lo stimolo della sua riflessione. Tale problema si articola in una serie di sottoproblemi: quale è il rapporto (se un’estetica filosofica implica il riferimento a un’idea di arte o di “artisticità”) tra “l’arte e le arti”? Quale il rapporto tra scienze particolari dell’arte (storia dell’arte, critica letteraria, musicologia ecc.) e estetica generale o, per usare una terminologia che più si confà all’orientamento filosofico adorniano, tra “particolare” e “universale”? In equilibrio tra questi due momenti, la filosofia dell’arte di Adorno è per Eichel «al tempo stesso filosofia dell’arte e filosofia delle arti» e, al punto di incrocio tra “sprofondamento micrologico” e “teoria sintetizzante”, essa presenta «principi per una teoria della modernità artistica post-avanguardistica, che hanno il significato di uno sviluppo, ma anche di una revisione decisiva della sua estetica». Dipende da ciò un segno distintivo della teoria estetica adorniana, il legame delle sue categorie con la questione della modernità. Nonostante il ruolo di primo piano che in essa riveste la musica, la teoria estetica di Adorno è, nel suo nucleo più intimo, «una teoria della modernità artistica che va oltre i singoli generi», di una modernità che non è per Adorno una categoria fissa, ma uno spettro di «criteri determinabili per la rilevanza estetica e sociale delle opere d’arte». A un’opera rimasta anch’essa allo stato di frammento, il Passagen-Werk di Walter Benjamin (un’opera di fronte alla quale Adorno, come ricordano i curatori della Aesthetische Theorie, non si rassegnò mai al fatto che essa non potesse venire “salvata”) è dedicato lo studio di Susan BuckMorss, Dialektik des Sehens, disponibile ora in traduzione tedesca. La studiosa americana si propone di ripercorrere “mimeticamente” l’insieme dei materiali che dovevano servire da base all’incompiuto progetto benjaminiano, cercando così di chiarire e ricostruire il mondo che Benjamin si proponeva di descrivere con la propria opera. La base dello studio di Buck-Morss è costituita da quell’insieme di materiali che, alla morte di Benjamin, attendevano ancora di essere ordinati e collegati tra loro: appunti sulla industria culturale nella Parigi del XIX secolo, citazioni derivanti da fonti storiche disparate, annotazioni e commenti. Ricucendo tra loro questi materiali, Buck-Morss costruisce un secondo testo in cui si intrecciano due storie: quella della Parigi del XIX secolo e quella dell’esperienza storica di Benjamin. L’ambizioso obiettivo della studiosa è così di “richiamare in vita la forza conoscitiva e politica che sonnecchia nelle stratificazioni dei dati storici che costituiscono il Passagen-Werk”. Il lavoro di interpretazione dell’opera benjaminiana rinvia all’orizzonte della realtà storica che in essa viene rappresentata, e le annotazioni e gli appunti di Benjamin appaiono a Buck-Morss come didascalie e commenti alle immagini della Parigi del- l’industria culturale. Il testo di Benjamin obbliga così il lettore a contribuire attivamente alla ricostruzione del suo progetto e «a cercare immagini della realtà storicosociale che offrano la chiave per decifrare il senso del suo commento - così come anche il suo commento fornisce la chiave del significato di queste immagini». In questo modo l’autrice intende ricostruire quella “dialettica del vedere” sviluppata da Benjamin a partire dalla consapevolezza del valore della cultura di massa in quanto “fonte” della verità filosofica. M.M. Filosofia e interpretazione Nel volume PHILOSOPHIE UND INTERPRETATION. VORLESUNGEN ZUR ENTWICKLUNG KONSTRUKTIONISTISCHER INTERPRETATIONSANSÄTZE (Filosofia e interpretazione. Lezioni sullo sviluppo di principi costruzionistici dell’interpretazione, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993) Hans Lenk offre una introduzione alla problematica filosofica dell’interpretazione e presenta alcuni punti di vista dell’attuale discussione su questo tema, prendendo in considerazione, oltre ad autori ormai classici nella storia della riflessione ermeneutica, pensatori appartenenti all’ambito della filosofia analitica. Autore di numerosi studi sulla filosofia analitica, sulle teorie dell’azione, sull’epistemologia delle scienze sociali, Hans Lenk dedica attualmente le proprie energie a una filosofia dell’interpretazione (dei “costrutti dell’interpretazione”) a cui egli attribuisce il compito di superare la tradizionale divisione tra i metodi delle scienze sociali e dello spirito e quelli delle scienze della natura. Questo punto di vista dovrebbe permettere, nelle sue intenzioni, di sviluppare un modello dell’interpretazione valido tanto al livello della comprensione dei testi, quanto a quello delle azioni e dei comportamenti. La dottrina dell’interpretazione potrebbe così entrare in un rapporto attivo con l’ambito della prassi e della vita quotidiana. Secondo Lenk nell’interpretare si connettono azione e conoscenza, prassi e teoria. Di conseguenza la filosofia viene da lui intesa come la disciplina delle interpretazioni e delle meta-interpretazioni. Questa concezione viene sviluppata nell’ultimo capitolo di Philosophie und Interpretation, intitolato “Progetto di una filosofia dei costrutti dell’interpretazione”. Ben lungi dal voler dissolvere la realtà nell’interpretazione, come fa a suo parere Günter Abel nella sua lettura del “prospettivismo” di Nietzsche, Lenk sostiene una concezione critica del carattere interpretativo della conoscenza, e parla di un “interpretazionismo gnoseologico-metodologico” e di un 22 “idealismo quasi-trascendentale”. In base a questo punto di vista l’interpretazione non è una caratteristica per così dire “ontologica” del reale, ma è un principio trascendentale, che regola le conoscenze umane. L’obiettivo di Lenk è dunque quello di far valere, in senso critico, il carattere interpretativo della conoscenza umana (che non si pone come una tabula rasa di fronte al proprio oggetto ma è già sempre carica di schematizzazioni) salvando al tempo stesso l’esistenza di oggetti reali della conoscenza e dell’esperienza. Preoccupato di non risolvere l’ “interpretazionismo gnoseologico-metodologico” in una forma di idealismo, Lenk discute questo problema al termine di questo volume, e annuncia una ricerca più dettagliata nella sua prossima opera, sotto il titolo “interpretazione e realtà”. Nell’Introduzione Lenk chiarisce, partendo dal mito platonico dell’invenzione della scrittura nel Fedro, l’ambito problematico che costituisce l’oggetto delle sue ricerche. Egli ravvisa in questo dialogo di Platone una diffidenza nei confronti della scrittura in quanto fissazione e cristallizzazione della fluidità vivente del discorso. E individua in tale posizione la presenza di questioni attorno alle quali si sarebbero poi affaticate tanto l’ermeneutica, quanto la filosofia analitica: in che modo si dà, nella scrittura, qualche cosa che possa venire fissato come un senso univoco? Qual è il rapporto tra significato, espressioni e comprensione? Che cosa è il significato, questa capacità, che nella vita quotidiana assumiamo come scontata, del nostro linguaggio di riferirsi a qualche cosa? Su questa base Lenk ripercorre i momenti fondamentali della riflessione sull’interpretazione nell’antichità: l’ermeneutica greca, che sviluppa una concezione “allegorica” dell’interpretazione, e quella ebraica, che sviluppa una concezione “letterale” dell’interpretazione; il conflitto tra ermeneutica scolastica e protestante. Vengono poi presi in considerazione, grazie anche ai contributi di Ekaterini Kaleri (una collaboratrice di Lenk che firma diversi paragrafi del volume), alcuni momenti ormai canonici nelle ricostruzioni della storia dell’ermeneutica moderna: dalla lettura demitizzante dei testi sacri in Spinoza alle teorie settecentesche dell’interpretazione, da Schleiermacher a Dilthey, da Nietzsche a Heidegger, da Gadamer a Ricoeur. Entrano poi in gioco prospettive metodologiche e gnoseologiche riconducibili all’ambito del pensiero anglosassone e alla filosofia analitica: il problema di tradurre e interpretare in condizioni di radicale estraneità e difficoltà in Quine e Davidson; le “meta-condizioni dell’interpretazione” secondo Collin; l’interpretazione del concetto di cultura in Geertz e il contributo delle psicologie cognitiviste alla definizione degli schemi attivi nei processi di interpretazione e comprensione. M.M. TENDENZE E DIBATTITI tende a zero in quanto l’esplorazione di ipotesi alternative di sistemazione concettuale non si presta affatto all’elaborazione di forme di contro-indottrinamento. Per poter passare seduta stante dalla percezione di ciò che non “funziona” all’elaborazione di una proposta alternativa accettabilmente organica si richiederebbero, infatti, mediazioni talmente elaborate e talmente estranee a ciò che si può acquisire mentre si lavora con Dialog, da rendere l’impresa virtualmente impossibile. Lo studente è quindi ben tutelato, anche perché l’esito non è l’aporia, bensì una ricerca che è tutta da farsi. Ne scaturiscono stimoli differenziati: un invito a ragionare con la propria testa e ad avventurarsi nella ricerca filosofica, un addestramento all’esercizio di una diffidenza intellettuale che non sia né vagabonda né irresponsabile, una metodologia per la ricezione non frettolosa di nuclei dottrinali, una metodologia per la lettura vigile di unità testuali aventi spessore epistemico. A sua volta la multimedialità del programma, che impone di riflettere prima di digitare alcunché, e possibilmente di riflettere insieme ad altri (si consiglia infatti la compresenza di più utenti davanti ad ogni postazione), favorisce lo scambio di idee tra studenti senza dar luogo ad una competitività di dubbio gusto (l’esperienza insegna che il fatto di porre gli studenti di fronte alla fallacia latente puntualmente annulla il vantaggio iniziale di chi ha maggiore dimestichezza con il computer e con i video-giuochi). Anche per il docente la multimedialità è tale da risolversi in un’esperienza gratificante: in primo luogo perché, per una volta, avrà modo di coinvolgere gli studenti al solo scopo di mettere in moto il pensiero, senza proporsi di insegnare un qualche altro mathema; in secondo luogo perché è grandemente agevolato nel tentativo di liberare energie latenti; in terzo luogo con l’occhio rivolto alla dinamica di gruppo. Superfluo aggiungere che Dialog, specialmente se inteso come perturbato, richiede un docente-istruttore che, oltre ad essersi preventivamente familiarizzato con specifiche fallacie, abbia una idea non vaga degli obiettivi da perseguire e degli interventi presuntamente appropriati. E’ ben per questo che è in atto un processo di ulteriore definizione delle strategie d’uso7. Le potenzialità della formula qui delineata probabilmente devono ancora essere compiutamente esplorate (ed esiste appunto un gruppo di lavoro ad hoc), ma si intuisce che essa sia in grado di incidere sulla concezione stessa dei supporti informatici per l’insegnamento. Prospetta infatti qualcosa come una maieutica al computer. L.R. Note 1 Cf. G. R. Ledger, Re-counting Plato: A Computer Analysis of Plato’s Style, Oxford 1989; L. Brandwood, The Chronology of Plato’s Dialogues, Cambridge 1990. Per una valutazione di questi nuovi apporti v. T. M. Robinson, “Plato and the Computer”, in “Ancient Philosophy”, n. 12, 1992, pp. 375-382. 2 S. A. F. Hubbard e E. S. Karnofsky, Plato’s Protagoras: a Socratic Commentary, London 1982. 3 Un punto così essenziale meriterebbe di essere debitamente documentato, ma in questa sede può farsi solo per campione. Per esempio, nel caso delle figg. 8-10, il programma assume che Eutifrone debba in qualche modo giustificarsi per aver esordito offrendo un esempio anziché una definizione, ma non ci vuol molto per intuire che la scelta di esordire con un esempio è perfettamente ammissibile, quindi che giustificandosi egli conceda già troppo a Socrate (tanto più che nello stesso Eutifrone anche Socrate esordisce volentieri con degli esempi). Analogamente nel caso delle figg. 5-6 si passa indebitamente da una possibilità rapportata agli assunti della religione olimpica ad una impossibilità decontestualizzata (formale), come se il passaggio non avesse nulla di problematico. Per qualche esplorazione (settoriale) di questi passaggi problematici, su cui i commentatori tuttora sorvolano quasi sempre, v. almeno C. Carabba, “I molti non sequitur dell’ Eutifrone platonico”,in “Sandalion”, n. 5, 1982, pp. 9195; e due miei apporti: da un lato “Encore une inconséquence dans Euthphr. 10”, in “Apei- ron”, n. 18, 1984, pp. 26-30; dall’altro “La versione informatica di un dialogo platonico: l’Eutifrone”, in AICA 93, Congresso annuale, 22-24 sett. 1993, Gallipoli, Atti, vol. I (Bari 1993), pp. 771-781 (specialmente il 4). 4 In “Computer-Assisted Instruction for a Socratic Dialogue”, in “Philosophy and the Computer”, 1991, pp. 235-246, D. Barker e S. Scott sono espliciti nello scrivere, in apertura, che «The main thing we want a student to learn from the program is the force of the substantive arguments of Euthyphro». 5 In tal modo si deroga dagli obiettivi originariamente perseguiti nel compilare Dialog, e tuttavia si aderisce alla realtà del programma così come esso è stato definito dai suoi compilatori. 6 Tanto studenti universitari di filosofia, quanto studenti della Scuola secondaria superiore: questa è la gamma di destinatari sui quali si sta tentando di commisurare Dialog, anche in vista dell’approntamento di una versione italiana (in corso di realizzazione con il supporto tecnico del Centro di Calcolo Elettronico dell’Università di Perugia). 7 Col concorso dell’IRRSAE dell’Umbria Fig. 8 Fig. 9 Fig. 10 Figg. 8-10: una sequenza di Dialog 31 TENDENZE E DIBATTITI Fig. 5 Fig. 6 Fig. 7 Figg. 5-7: una sequenza di Dialog ponente interattiva che lo connota; ma proprio qui si nascondono sia un’insidia sia una potenzialità didattica di prim’ordine. Vediamo l’insidia. L’operatore alla tastiera viene almeno in parte rispettato nelle sue opinioni e comunque ampiamente gratificato. Ciò che “Socrate” gli presenta, e su cui chiede il suo assenso, è infatti un insieme di opinioni ragionate e in generale ben argomentate. Il “Socrate” di Barker può quindi attendersi il libero assenso dell’intelligenza dell’operatore, e questi, a meno di essere prevenuto o di voler esercitare di proposito un’azione di disturbo (per vedere come se la caverà il filosofo), a meno cioè di optare di proposito e magari solo per gioco, con falsa coscienza per l’opinione deviante, tenderà ad accordarglielo. Di fatto l’operatore finisce per subire una pressione psicologica pressoché irresistibile. Tutto gli appare ben argomentato e largamente plausibile, anche perché supportato da schemi logici non controversi. Ergo non si può non dar ragione a “Socrate”, e il tutto è perfettamente in linea sia con l’impatto che il dialogare di Socrate avrà per lo più avuto con i suoi interlocutori in carne ed ossa, sia con l’impatto che il dialogo platonico per lo più instaura con il comune lettore. Ma che ne sarà, in queste condizioni, del libero assenso dell’intelligenza? Il dialogo platonico è tentatore, e la versione informatica semmai accentua la capacità di strappare l’assenso, anche perché l’itinerario deduttivo non è tradotto in linguaggio-macchina: il linguaggio-macchina interviene solo nel prefigurare quale debba essere la videata successiva in base alla valutazione della bontà del giudizio di merito formulato di volta in volta dall’utente. Quindi, posto che qualche non sequitur si annidi nella singola videata, il programma non è per nulla protetto dal rischio di incorrervi. Ora si dà il caso che alcuni importanti passaggi siano veramente affetti da non sequitur, tanto nel dialogo originale, quanto nella sua simulazione al computer, e che le molte differenze che il passaggio dall’una all’altra versione inevitabilmente comporta non incidano, di norma, sui non sequitur. Per di più questi passaggi, pur essendo inequivocabilmente fallaci3, passano facilmente inosservati, e il programma non fa nulla, assolutamente nulla per mettere in guardia l’utente. In ciò verrebbe fatto di ravvisare un difetto del programma, anche perché Barker (e il suo collega Scott) neppure in altra sede hanno fatto la minima messa 30 in guardia a questo proposito4. Barker e i suoi collaboratori si discostano, invero, dall’ortodossia platonica in un punto cruciale, allorché accreditano l’enunciato: «Religions based on faith are false»; ma per il resto mostrano di ritenere che l’itinerario argomentativo, così come viene da loro stessi ricostruito, sia impeccabile, tale cioè da meritare un pieno assenso intellettuale. Posto però che svariati non sequitur siano effettivi, sia in rapporto al dialogo, sia in rapporto alla sua versione informatica, si profila la suggestiva possibilità di trasformare il limite appena segnalato in un pregio impagabile. Nulla vieta infatti di assumere che Dialog offra di proposito una simulazione perturbata (“truccata”) del percorso inferenziale e induca scientemente a non notare tutta una serie di passaggi ostensibilmente fallaci, ma anzi faccia di tutto per non farlo notare, e nulla vieta di raccogliere la sfida5. Una volta adottata l’idea che il programma sia perturbato e decettivo in più punti, scatta per il docente la possibilità anzi, l’opportunità di aprire ogni tanto delle “finestre” di discussione, mentre gli allievi6 si cimentano a rispondere sì o no: è la possibilità di invitarli ad essere guardinghi ed accertarsi che in determinati punti non si nascondano per avventura dei non sequitur debitamente mimetizzati, per poi accordare al gruppo il tempo di provare a frugare, ed eventualmente passare ad offrire qualche appropriato input. Gli effetti sono decisamente interessanti: si delineano impensate opportunità di dissentire a ragion veduta e in modo non banale dalle posizioni difese da “Socrate”, così come da certe sequenze inferenziali che la stessa informatica è lì ad avallare; diventa imperativo provare ad avventurarsi nell’inesplorato e ricercare delle formulazioni alternative alle idee proposte; si dilatano quindi gli orizzonti intellettuali, ma non più per gioco, e con la possibilità di capitalizzare acquisizioni di qualche rilievo riguardo a certe non trascurabili fallacie in cui Platone incorre con qualche facilità. L’esperienza fatta con Dialog si presta anzi ad essere assunta a simbolo (o paradigma) dell’esigenza e della possibilità di decondizionarsi dalla pressione dei media. Quanto al rischio di un indottrinamento perfino temibile, questo è in effetti cospicuo, qualora una scolaresca si cimenti con Dialog senza essere indotta a sospettare l’introduzione di forzature (ad esempio quando Dialog accredita l’enunciato «Religions based on faith are false» senza né marcare uno stacco rispetto alle pagine di Platone, né distinguere tra «formalmente falso» e «destituito di ogni attendibilità»). Viceversa, qualora il docente inviti la classe a non fidarsi troppo della lettera di Dialog, un simile rischio TENDENZE E DIBATTITI sare come Socrate si sta regolando con Eutifrone e di rinviare all’avviso del giudice ideale, non può non lasciare perplessi). Se simili quesiti venissero discussi in classe, sarebbe probabilmente il docente a trovarsi in imbarazzo, e ne inferisco che gli studenti dovrebbero piuttosto cimentarsi da soli, anche perché i quesiti non sono tali da consentire un giudizio di merito sulla bontà delle scelte effettuate dall’utente. Si aggiunga il rischio che Labyrinth finisca per accreditare un’immagine della filosofia in cui tutto risulti essere paurosamente labile, fluttuante, inafferrabile. Con Labyrinth ci scostiamo già largamente dallo standard della ComputerAssisted Instruction, perché l’obiettivo non è più un vero e proprio addestramento, con memorizzazione ed uso corretto delle regole via via introdotte, che è invece la norma nella generalità dei programmi CAI (ad esempio i CAI di logica formale, o di matematica, o di apprendimento dell’ortografia, ma anche un recente CAI di filosofia prodotto in Italia da Piero Carelli). Sia pure con i limiti indicati, Labyrinth sa mettere in moto le intelligenze (non propriamente la cultura filosofica), insegna a scomporre e ricomporre l’unità testuale per fini analitici, induce ad avventurarsi in terrae veramente incognitae. L’altra simulazione dell’Eutifrone di cui si ha notizia si deve a Don Barker (Gonzaga University, Spokane, Washington) e collaboratori, è denominata Dialog ed è datata 1990. L’approccio è completamente diverso e, in prima approssimazione (ma solo in prima approssimazione), più prossimo allo standard CAI. La novità davvero grande di Dialog è di non porci ogni volta di fronte ad un frammento di dialogo, con coppie di domande e risposte dei due personaggi, ma di offrire all’operatore alla tastiera l’opportunità di rimpiazzare Eutifrone e dialogare direttamente con Socrate. Per di più l’operatore può accordare ma anche negare il suo assenso, e in tal caso il programma propone un Socrate disposto a seguire almeno per un po’ questo suo interlocutore inatteso, ovviamente tentando di ricondurlo entro l’alveo del dialogo così come questo è stato definito da Platone nei suoi esiti parziali e complessivi. Nulla di simile era mai stato offerto finora, anche se si deve ricordare almeno un singolare commento al Protagora costituito unicamente da centinaia di interrogativi proposti al lettore2. In effetti un dialogo come l’Eutifrone, per il solo fatto di essere un testo ‘chiuso’ affidato alla lettura, non può non presupporre un lettore recettivo, se non addirittura un po’ passivo. La sola possibilità di riviverlo è di impegnarsi in un processo di interiorizzazione del gioco delle parti, così da reintrodurvi una certa dinamicità, per poi valutare in interiore homine l’opportunità di accordare o negare il libero assenso della nostra intelligenza a quanto Platone prospetta di volta in volta. Però, quali che siano le nostre valutazioni, il dialogo continua ad andare per la sua strada, cioè ad ignorare le nostre eventuali perplessità, e con ciò stesso ottiene di forzarci un poco la mano inducendoci non solo ad entrare nel mondo mentale di Socrate e Platone e ad accantonare per il momento il nostro, ma anche a simpatizzare con il protagonista e, in definitiva, ad apprezzare le sue ragioni, cioè a rimpiazzare il giudizio di merito (en philosophe) con un approccio di tipo storiografico (“Platone argomenta così perché...”), aderendo senza troppe remore al punto di vista platonico. Gentile violenza; ma anche temibile pressione psicologica. Grazie a Dialog, invece, riguadagniamo una inedita libertà di giudizio e, come si è già detto, possiamo addirittura ottenere che sia Socrate a seguire, almeno per un po’, i nostri pensieri, non sempre e soltanto noi a seguirlo nelle sue argomentazioni. Questo è un avvenimento, perché ha il potere di reintrodurre un essenziale momento creativo altrimenti interdetto e di ‘scongelare’ il dialogo. Per rendersene conto basta considerare che il momento creativo risultava, finora, confinato ai tempi ‘beati’ in cui Socrate ed Eutifrone hanno forse trascorso per davvero un’ora insieme in prossimità della Stoa Basileios, poi al giorno in cui Socrate ne ha forse fatto ai suoi un dettagliato resoconto, e infine al periodo in cui Platone ha posto il tutto per iscritto, assumendosi la responsabilità di decidere che cosa far dire a ciascun interlocutore. Da allora il tutto, pur mantenendo una sua indubbia vitalità, si è definitivamente congelato finché non è comparso Dialog. E’ precisamente con questo sostituto informatico che si determina per la prima volta un sostanziale disgelo dell’originale platonico. Da qui il suo eccezionale fascino, che a ben vedere travalica di molto l’ambito della fruizione del programma a fini didattici, in quanto istituisce la possibilità di mettere in conto una vasta gamma di percorsi definitòri alternativi che il dialogo platonico ha implacabilmente rimosso. Detto diversamente: posto di fronte ad un Eutifrone, Socrate ha buon giuoco, ma l’avrà ancora (ovvero: l’avrebbe ancora) se Eutifrone fosse appena un po’ meno remissivo? Ed è tutt’altra cosa tentare mentalmente di non cedere di fronte all’apparente linearità del dialogo così come noi lo leggiamo, o avere sistematiche opportunità sia di accordare o negare l’assenso, sia di avventurarsi almeno per un po’ su una varietà di percorsi alternativi, per giunta 29 sotto forma di prese di posizione oggettivate in video. La formula adottata è discreta e quanto mai efficace. In prima approssimazione all’utente non si chiede che di pronunciarsi sulla congruità delle valutazioni proposte dall’interlocutore di Socrate, ma non appena prende il via l’itinerario inferenziale in base al quale le tesi di Eutifrone vengono progressivamente demolite, questi si fa da parte e spetta quindi all’operatore di misurarsi con gli argomenti di “Socrate”, accettando o meno di seguirlo nel suo ragionamento, cioè di pronunciarsi sulla pertinenza di ogni passaggio. Quanto all’itinerario argomentativo, questo viene opportunamente scomposto in una cinquantina di passaggi, a ciascuno dei quali corrispondono una o più videate. Esso viene inoltre razionalizzato quanto basta per estrarne un nitido percorso inferenziale, e per tradurre i vari passaggi in rudimenti di logica deduttiva (figg. 5-7). All’operatore alla tastiera spetta di pronunciarsi letteralmente ogni volta, cioè ad ogni videata: spesso deve optare tra vero e falso; talvolta è posto di fronte a risposte multiple; talaltra gli si richiede di digitare un enunciato. Inoltre per ogni risposta deviante è previsto un apposito commento debitamente allineato sull’Eutifrone. “Socrate”, in altri termini, è preparato ad argomentare e subargomentare: qualche volta in modo un po’ sbrigativo (con un sola videata) o più ampiamente ovvero, se l’utente è proprio pertinace nel dissentire, accettando persino di gettare la spugna e prendere atto della riluttanza del suo moderno interlocutore, come ad esempio con un’espressione di questo genere: «Ho letteralmente esaurito le mie risorse, non saprei che altro dire. Vedo che non ci capiamo proprio. Se è così, posso solo consigliarti di uscire dal programma e porre fine al nostro scambio di idee». Rispetto allo standard dei programmi CAI, Dialog non ha bisogno di discostarsene poi troppo, perché insegna pur sempre ad aderire all’ortodossia socratico-platonica e, con l’occasione, introduce alcuni preziosi rudimenti di logica formale. La funzionalità didattica è senza dubbio assicurata. Di un file di controllo non c’è bisogno perché, a seconda delle risposte, il programma propone o l’approvazione di “Socrate” o sue ulteriori considerazioni atte ad indurre l’operatore a ritornare sul giudizio di merito che ha appena formulato. Il programma, in altri termini, non va avanti se non a patto che l’utente accetti, più o meno di buon grado, di aderire al punto di vista di “Socrate”. Dialog consente insomma di fare un’esperienza veramente fuori dal comune, non foss’altro per la vistosa com- TENDENZE E DIBATTITI cia incombente del minotauro che è sempre sul punto di ‘catturarlo’. Viene inoltre proposta una intelligente panoplia di personaggi mitologici che intervengono ad orientare/disorientare l’operatore ad ogni passaggio cruciale, cioè ogniqualvolta l’utente è invitato ad effettuare una opzione e pronunciarsi per un «sì» o per un «no» di fronte a determinati quesiti (figure 1-3). Coerentemente con l’immagine del labirinto, lo stesso dialogo viene intelligentemente scompaginato, in modo che lo si possa esplorare sulla base di una varietà di percorsi alternativi che partono tutti dall’ultima pagina: l’inatteso è, tutto sommato, assai gradevole. Ai fini didattici, cioè con la prospettiva di un uso in classe, è stato predisposto anche un file di controllo che memorizza e classifica (di fatto giudica) la pertinenza delle risposte date da ciascun utente. Siamo dunque in presenza di un programma ‘chiuso’, che contempla però una varietà di percorsi alternativi a seconda che si risponda «sì» o «no» a ciascun quesito. A parte questa funzione di controllo, ciò che con ogni evidenza caratterizza Labyrinth è la scelta di mettere l’operatore di fronte ad una situazione che non può veramente controllare, fino a coinvolgerlo in una sorta di impegnativo Solitario (o partita a scacchi con il computer) da cui ben difficilmente può sperare di uscir vincitore. Lo studente che si cimenta con Labyrinth deve insomma potersi disorientare fino a soffrirne, fibrillare, quindi accanirsi, provare, riprovare e tentare a più riprese di dis-impaniarsi nella speranza, virtualmente vana, di riuscire prima o poi a districarsi e sfuggire quindi alle grinfie del minotauro. L’obiettivo è insopmma lo shock, più che l’episteme. L’obiettivo scientemente perseguito è dunque il coinvolgimento, l’iniziazione alla complessità del discorso filosofico, alle insidie della teoresi. Il programma include, invero, anche una componente ludica, ma a titolo di sfida intellettuale, allo scopo di instillare la perplessità, quindi di indurre l’operatore a cimentarsi in un sostanziale salto di qualità rispetto al dichiarato che compare in video. Che l’esperienza possa risultare avvincente per chi abbia una minima sensibilità filosofica è pressoché inevitabile. Il maggior limite di Labyrinth è costituito dalla natura dei quesiti, che spesso propongono delle alternative improprie (è il caso, per esempio, della fig. 4), e talvolta si spingono fino alle soglie del non-senso. Di fronte a simili quesiti l’utente un po’ navigato spesso vorrebbe poter non rispondere né “sì” né “no” anche senza bisogno di appellarsi a Wittgenstein per sostenere che gli vengono proposte domande alle quali non si può propriamente rispondere (anche il quesito della fig. 3, per il fatto di non preci- Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4 Figg. 1-4: una sequenza di Labyrinth 28 TENDENZE E DIBATTITI Schachtner Christel, Geistmachine. Faszination und Provocation am Computer, Suhrkamp, Frankfurt/ M. 1993. Simon A. Herbert, Le scienze dell’artificiale, Il Mulino, Bologna 1988 (ed. or. ing. 1969). Skyrms B., The Dynamics of Rational Deliberation, (Harvard, U.P., Cambridge MA 1989. Teschner George e McClusky Frank B., “Computer Alternatives to the History of Philosophy Classroom”, in “Teaching Philosophy”, n. 13, 1990, pp. 273-280. Dall’ articolo si intuisce che il courseware è orientato verso una visione della filosofia come una serie di argomentazioni. La logica e i “software” didattici L’uso di “courseware” per l’insegnamento della logica è così diffuso nei paesi di lingua inglese che per alcuni è oggi difficile immaginare come si sia mai potuto fare senza di essi. Ovviamente tutti i processi inferenziali si prestano facilmente ad essere strutturati in sequenze di problemi. Già nel 1956 Newell Shaw e Herbert Simon avevano ideato il LOGIC THEORIST, un programma che era in grado di costruire automaticamente le dimostrazioni di semplici teoremi tratti dai PRINCIPIA MATEMATICA di Whitehead e Russell. A più di trenta anni di distanza, il mercato offre molti prodotti, organizzabili in tre generi. 1. Gli eserciziari elettronici come il Logical Text-Processing, creato alcuni anni or sono da Geoff Keene, oppure Philo the Logician (versione 2.0) o Barbara the Syllogizer, ideati da Robert Wengert alla fine degli anni Ottanta. Si tratta di software artigianali, molto economici, dalla grafica assai modesta e dalla difficile fruizione. Molto del lavoro simbolico e interpretativo riguardante la gestione del programma è lasciato all’utente (non sono user-friendly). La mancanza di manuali che accompagnino il software, di un menù di facile utilizzo e di una funzione help on line rende questi eserciziari ancor meno interessanti e assai poco popolari tra gli studenti. 2. I software sviluppati per uno specifico manuale di logica già esistente. Lemmi, per esempio, è un programma studiato per svolgere gli esercizi contenuti in Beginning Logic di E. J. Lemmon; mentre gli studenti dell’Università di Oxford si possono servire di Tableau, un programma accessibile via network che affianca Logic, il manuale di logica scritto da Wilfrid Hodges. 3. I più recenti programmi di addestramento, in cui manuale e software sono strettamente coordinati. Si tratta di prodotti decisamente innovativi, dal costo sempre piuttosto contenuto (in genere al di sotto dei quaranta dollari tutto incluso) e dalla grafica a volte accattivante. Tra questi vale la pena menzionare alcuni. 1. MacLogic: un software per Macintosh che costruisce dimostrazioni per la logica di primo ordine, la logica intuizionistica, e le logiche modali S4 e S5. Roy Dyckhoff ha depositato una “demo” di pubblico dominio nel file-server dell’Università di St. Andrews (internet 138.251.192.40) al seguente indirizzo: % ftp tamdhu.cs.st-and.ac.uk Name: digitare anonymous Password: digitare la propria e-mail ftp> cd pub/malt/maclogic ftp> get README.1 ftp> get README.2 ftp> get MACLOGIC.sea.Hqx ftp> quit %... 2. Bertie3: un software per lo studio delle dimostrazioni per i sistemi di deduzione naturale nella logica proposizionale e dei predicati. 3. Twootie: uno strumento con cui si costruiscono alberi di derivazione per problemi di logica proposizionale e dei predicati. 4. The LogicWorks: un altro programma per Macintosh dedicato al critical reasoning e alla logica simbolica. 5. The Logictutor: un software che accompagna il manuale The Art of Reasoning with Symbolic Logic di David Kelley. 6. The Logic Coach VI.82: programma ideato per il testo A Concise Introduction to Logic di Patrick Hurley (di questo courseware è in via di realizzazione una versione italiana). 7. The Logic Works (versione 6.0): un software assai diffuso e molto flessibile, che fornisce esercizi su tutti i temi principali toccati da un corso di introduzione alla logica formale ed è adattabile sia per macchine IBM compatibili che per macchine Macintosh. Può essere adottato sia singolarmente sia in connessione con molti degli attuali manuali oggi disponibili sul mercato editoriale di lingua inglese. 8. Tarski’s World 4.0: un corso di logica molto originale, ideato da Jon Barwise e John Etchemendy insieme al loro manuale, The Language of First-order Logic. L.F. Bibliografia Barwise Jon e Etchemendy John, The Language of First-order Logic (including the IBM-compatible Windows version of Tarski’s World 4.0) CSLI, Stanford 1992. Esiste anche una versione assai diffusa che lavora in ambiente Macintosh. French Steven e Hill Hammer, “Teaching with the LogicWorks” in “Computers and Texts Newsletter” (CTI Centre for Textual Studies & Office for Humanities Communication, Oxford), n. 3, 1992, pp. 11-12. Shagrin Morton L., Rapaport William J. e Dipert Randall R., Logica e Computer, McGraw-Hill, Milano 1986 (ed. or. ing. 1985). Lancashire Ian (a cura di), The Humanities Computing Yearbook 1989-90, Oxford University Press, New York 1991. 27 Due versioni informatiche dell’ “Eutifrone” di Platone Quando si parla di “Platone al computer” è normale pensare ad una minuscola porzione dell’ormai largamente noto (e usato) THESAURUS della lingua greca, il CD-ROM prodotto in California oltre dieci anni fa e successivamente proposto al pubblico italiano dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, ovvero ad una nuova fase delle indagini stilometriche che data appena dal 1989 1. Se si cerca qualcosa di più specifico, vien fatto di pensare, tutt’al più, ad un apposito CD-ROM interamente riservato a Platone: un prodotto che, peraltro, non risulta essere neppure in preparazione e che comunque sarebbe funzionale per la sola ricerca specialistica. Ma c’è anche dell’altro: due recenti moduli elaborati negli Stati Uniti che simulano uno dei dialoghi più brevi di Platone, l’EUTIFRONE. La simulazione si materializza, in tutti e due i casi, in un “floppy” da 3 pollici e mezzo che “gira” su un normale personal computer, eventualmente anche su un PC un po’ obsoleto. Sotto il profilo della tipologia, in entrambi i casi ci muoviamo nell’ambito della “Computer-Assisted-Instruction”, cioè nell’ambito dei sussidi didattici di tipo interattivo, sia pure con caratteristiche alquanto innovative rispetto allo standard corrente. Il primo dei due programmi, denominato Labyrinth, datato 1988, è stato ideato da Daniel M. Lachenman (Seton Hill College, Greensburg, Pennsylvania). Il programma si propone di accostare l’utente alla complessità del discorso che fa Platone e alle insidie del dichiarato, dunque a quel tanto di intricato e di fluttuante che connota il dialogo - ricordo le dispute sia sulla consequenzialità di determinati passaggi, sia sulla possibilità di estrarre dall’Eutifrone una definizione positiva della santità, definizione che secondo alcuni come ad esempio Giovanni Reale si celerebbe appena in una delle ultime sezioni, mentre l’opinione prevalente vuole che Platone abbia rinunciato ad offrire una definizione veramente affidabile. A tenaci perplessità dà adito soprattutto l’oscuro nesso che lega le varie ipotesi definitorie, o almeno il passaggio da «caro agli dei perché santo» a «la santità è quella parte del giusto che...». Assumendo la tesi della complessità quasi inestricabile del percorso inferenziale, Lachenman ha addirittura scelto di presentare il dialogo a mo’ di labirinto, e non soltanto il programma si chiama appunto Labyrinth, ma l’operatore alla tastiera è formalmente collocato in un labirinto dedalico e posto sotto la minac- TENDENZE E DIBATTITI scientifica dell’occultismo o del razzismo. Si dovrà perciò fare attenzione alla “retorica” del computer come macchina infallibile. Nonostante questi limiti, i vantaggi della didattica elettronica sbandierati dal partito del “Si” rimangono enormi (Müller [1989] fornisce una panoramica storica, Karrer [1989] contiene una rassegna della bibliografia degli ultimi trent’anni):(Ridgway [1988] fornisce una loro rassegna, Schachtner [1993] indaga i problemi fronteggiati da coloro che lavorano giornalmente con il computer). 1. L’utilizzo del computer è utile sia per scardinare gli approcci abituali al tema trattato, sia per sottrarre un testo o un argomento dalla bacheca ideale in cui lo ha posto la tradizione culturale (per la descrizione di un caso specifico si veda l’articolo che segue sul CAL dell’Eutifrone). 2. Mediante un courseware lo studente partecipa in modo più attivo al processo di apprendimento, formulando il proprio pensiero in modo preciso e sintetico. 3. I software didattici facilitano enormemente l’organizzazione della didattica. Lo studente viene reso più indipendente dall’insegnante, responsabilizzato come autodidatta, e può personalizzare le modalità di apprendimento. Da parte sua, l’insegnante ha modo di trarre vantaggio dalla diagnosi prodotta dal computer per individuare quali domande o problemi risultano più difficili ad una classe, e perciò adeguare meglio il suo insegnamento alle necessità sempre diverse dei gruppi di individui con cui si confronta di anno in anno. 4. I CAL possono essere di grande aiuto nei paesi in cui il numero degli insegnanti è ridotto, nei corsi per portatori di handicap, o nella didattica a distanza via cavo. 5. I CAL promuovono l’alfabetizzazione informatica. L’uso dei software didattici rompe con l’approccio monomediale, ancora tipico della didattica sia scolastica che universitaria dei nostri anni, per introdurre un contesto multimediale che è poi quello abituale nella nostra cultura e negli ambienti di lavoro. Ciò si può tradurre in una maggiore confidenza da parte degli studenti nei confronti degli strumenti attraverso cui viene gestito il sapere (demitizzazione del computer e sua de-antropomorfizzazione), ed in una minore attenzione da parte degli insegnanti per l’approccio nozionistico ed enciclopedico. 6. Il computer in classe può essere la risposta migliore al dominio del piccolo schermo nel privato. Di per sé la mente è portata a contemplare o a giocare. La prima funzione è passiva e trova la sua esaltazione nella televisione, la quale rende la mente acquiesciente nei confronti di un flusso informativo continuo e difficilmente strutturabile; la seconda è attiva, e può oggi essere soddisfatta anche valorizzando l’uso dei courseware nel contesto dell’istruzione. Visti i pro e i contra, si può dire che il computer potrà trasformarsi in un ordinario ausilio didattico per l’insegnamento della filosofia solo se verranno soddisfatte le seguenti condizioni. 1. Dovrà essere promossa la funzione “istruttiva” della didattica elettronica. Fino ad oggi la filosofia analitica ed una certa continuità con il modello medievale di insegnamento hanno valorizzato quasi esclusivamente la funzione di esercitazione. Ma a fianco delle potenzialità di training vi sono quelle, tutt’ora assai poco apprezzate, di istruzione, ed è qui che subentra la storia della filosofia. Primi tentativi di elaborare software per l’insegnamento della storia della filosofia sono già stati fatti (Teschner e McClusky [1990] e ora Teacher, un courseware ideato da Piero Carelli e descritto in Carelli [1993]), ma ancora non esiste un courseware completo che copra la storia del pensiero occidentale così come la si studia al liceo. Nei prossimi anni questa sarà una delle esigenze che la didattica elettronica dovrà soddisfare, soprattutto se in Italia il fine sarà quello di introdurre i courseware filosofici nelle scuole secondarie superiori. 2. I CAL futuri non dovranno più essere pensati solo sulla base dei testi cartacei già esistenti. L’esempio di Tarski’s World, seppure ancora limitato alla logica è assai indicativo. Si tratterà di sfruttare tutte le potenzialità dello strumento (interazione, visualizzazione, contemporaneità della presentazione delle informazioni su più finestre, navigazione ipertestuale, etc.) per valorizzare il contenuto, evitando di forzare l’informatica a riprodurre l’esposizione di un dato argomento solo per velocizzare o magari abbellire ciò che è già stato fatto sulla carta. 3. I docenti dovranno farsi carico del loro ruolo di promotori di nuovi courseware. Nonostante l’entusiasmo per le prime esperienze, risalenti alla fine degli anni Cinquanta, la delusione per i prodotti realizzati negli anni Sessanta (i cosiddetti volta-pagina elettronici) ed il miglioramento del sistema PLATO negli anni Settanta, la didattica elettronica è ancora in una fase pionieristica. Solo negli anni Ottanta fattori come l’enorme diffusione dei personal computer e dei portatili, l’avvento delle serie avanzate dei microprocessori Motorola 680x0 e Intel 80x86 e la creazione di sistemi operativi basati sulla funzione iconica hanno reso possibile immaginare una reale permeazione capillare della didattica da parte dei courseware. L’industria dell’informatica, tuttavia, non può creare ciò di cui il mercato ha bisogno se il mercato stesso non fornirà la duplice spinta sia della domanda economica proveniente dagli acquirenti, sia delle esigenze teorico-didattiche provenienti dai docenti. Lo squilibrio a favore dei CAL di logica è comprensibile solo in relazione ad una domanda alternativa ancora mancante. 4. Infine dovrà essere superata la diffidenza dei docenti nei confronti dei nuovi strumenti informatici, e si dovrà far apprezzare agli utenti tutti i vantaggi dei courseware. 26 Accade infatti che un docente non conosca l’argomento o non sia interessato alla didattica elettronica, trovi il computer troppo difficile da usare o sospetti che gli studenti possano metterlo in difficoltà (il computer come sostituto dell’insegnante), non riesca ad immaginare come potrebbe usare un courseware nelle sue lezioni oppure abbia visto solo qualche programma CAL poco attraente o versatile, rimanendone deluso. Gli studenti sono spesso più entusiasti nei confronti della novità rappresentata dai courseware. Si tratterà allora di instaurare un circolo virtuoso tra produzione ed utenza, così da superare l’attuale situazione di stallo, per cui una cattiva informazione, relativa soprattutto a prodotti mediocri, disincentiva lo studio e la produzione di courseware migliori e a minor costo, produzione che a sua volta potrebbe promuovere l’ideazione di ulteriori possibili applicazioni dell’informatica alla didattica delle discipline umanistiche. Il successo della nona edizione di “Didamatica ’93" - la manifestazione sulle applicazioni del calcolatore nella didattica promossa dall’Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico e svoltasi a Genova dal 14 al 16 aprile scorso - sta ad indicare che forse anche in filosofia il computer potrebbe presto affiancare il gesso e la lavagna. L.F. Bibliografia Burkholder Leslie, Philosophy and the Computer, Westview Press, Boulder CO 1992. Burkholder Leslie, The PD WORLD Projects. 1. PD WORLD: The Book; 2. PD WORLD: The Software, 1993. Si tratta di un progetto sia cartaceo, che informatico, rivolto allo studio di varie teorie dei giochi e della razionalità. Il lavoro è ancora in fase di elaborazione. Calvani Antonio, “Computer e cambiamento nell’educazione umanistica” in Epistemologia Informatica, una raccolta di testi pubblicata in “BioLogica”, n. 5, 1991, pp. 163-180. Carelli Piero, “Computer e filosofia, un binomio...blasfemo ?”, in “Sensate Esperienze”, n. 18, 1993, pp. 25-29. Celi Fabio, “Le applicazioni del calcolatore nella didattica”, in “MC Microcomputer”, n. 131, 1993, pp. 194-196. Gery Gloria, Making CBT Happen - Prescriptions for succesful implementation of computer-based training in your organization, Weingarten, Boston 1987. Karrer Urs, Computer-Assisted Learning: Toward the Development and Use of Quality Courseware, Lang, Frankfurt/M, New York, Paris 1989. Marinof L., “Maximizing Expected Utilities in the Prisoner’s Dilemma”, in “Journal of Conflict Resolution”, n. 36, 1992, pp. 183-216. Müller W. Ekkehart, Computer im Curriculum Technische Innovation und Pädagogische Reflexion, (Kiel 1989, dissertazione). Nievergelt J. et al., Interactive Computer Programs for Education - Philosophy, Techniques and Examples (Reading, MA 1986). Ridgway Jim, “Of Course ICAI is impossible...worse though, it might be seditious”, in Self John (a cura di), Artificial Intelligence and Human Learning Intelligent Computer Aided Instruction, Capman and Hall, London e New York 1988, pp. 28-48.. TENDENZE E DIBATTITI di cui la vita si serve per organizzare la propria sopravvivenza e la lotta che quest’ultima comporta. Una tesi, questa, che andrebbe confrontata con quanto, nel 1932, andava pubblicando E. Jünger con il suo Lavoratore. Dominio e forma. Escono ora in Italia anche i “diari segreti”, con il titolo: A me stesso. Frammenti, appunti autobiografici, che Spengler scrisse con il progetto di tradurli in un libro, che tuttavia non vide mai la luce, con il titolo greco: Eis heauton (A se stesso). Si tratta di un documento di grande interesse, in cui Spengler stesso si mette impietosamente a nudo, svelando gli angoli più reconditi della propria personalità. Ne traspare un’immagine del pensatore completamente rovesciata: all’uomo del destino, «dall’animo forte e del tutto ametafisico», si sovrappone l’uomo d’azione, che fonde in sé i tratti del Romano e del Prussiano; all’uomo d’acciaio si sovrappone una personalità melanconica e timorosa, incline al tedio della vita e alla fantasticheria, che recide ogni legame con la realtà e si corazza entro il proprio io. Così annota Spengler il giorno dell’entrata in guerra della Germania: «Talvolta il mio terribile isolamento mi colpisce in modo doloroso. Oggi, nel giorno più grande della storia universale, che cade nella mia vita e ha un così stretto rapporto con l’idea per la quale fui messo al mondo - oggi, 1 agosto 1914, sto seduto a casa, da solo. Nessuno pensa a me... Piango così facilmente... Quanto ho già sofferto per questa mia debolezza! In seguito, per giorni interi, non riesco a combinare nulla». Debolezza, solitudine, lacrime, paura: sono questi i sentimenti dell’uomo d’acciaio che ha gettato la maschera: «Il tempo di guerra. La paura folle. Evitare i giornali, chiudere gli occhi - così prosegue Spengler - Non avere nessuno a cui importi qualcosa di te. Tutti si occupano di qualcuno che non sei tu... bisogno di un po’ d’interesse da parte degli altri, per mendicare l’attenzione di qualcuno, la sensazione di essere sempre quello di cui si può fare comunque a meno». Salvo contraddirsi poche righe dopo: «È un bel pensiero quello di poter vivere in una tenuta, sposato a una donna intelligente, raffinata... ma non potrei sopportarlo; il bisogno patologico di solitudine mi spingerebbe all’odio...» E ancora, la confessione della propria vigliaccheria, i tormentosi accessi di paura: «Sono un vigliacco, pavido, inerme... ho paura di prendere in affitto un appartamento, di aprire una lettera, di scrivere qualcosa... ho paura degli incontri, delle donne (non appena si spogliano)...». La personalità contraddittoria e contrastata dell’uomo Spengler si sovrappone continuamente al pensatore forte, al teorico del III Reich, in un intreccio complesso, intrigante che costringe a ripensare a fondo l’intera sua opera. Sotto la maschera dell’uomo d’azione appare il figlio di un’epoca di transizione e di crisi. E.C. Primo piano: filosofia e computer Da Teuth a CAL: la didattica elettronica in filosofia L’uomo ha iniziato a scrivere cinquemila anni fa. A circa metà di questo percorso, Platone suggerì che sarebbe stato di gran lunga preferibile se il dio egizio Teuth non avesse mai inventato l’alfabeto. Il testo scritto costringe il pensiero dialettico in strutture ad esso estranee, fissandolo in modo definitivo e limitante. Non invita ad esercitare la memoria ed instaura una fiducia presuntuosa in una multiscienza resa possibile solo da un accesso artificioso alla massa delle informazioni codificate, ma non fatte proprie. Oggi grazie ai “software didattici”, i cosiddetti COURSEWARE, noti anche come programmi CALCOMPUTER AIDED LEARNING, CAI-COMPUTER AIDED INSTRUCTION, CBT-COMPUTER BASED TRAINING, oppure CBI-COMPUTER BASED INSTRUCTION, la nozione di testo come qualcosa di chiuso in un “maestoso silenzio”, secondo la definizione platonica, è entrata in crisi. Il concetto chiave rimane quello dell’interazione, già identificato dal dialogo platonico. Ciò che è cambiato sono gli strumenti tecnologici. Con un pizzico di ironia della sorte, negli anni Sessanta gli ingegneri americani battezzarono il più noto e diffuso dei sistemi per didattica elettronica con il nome di PLATO I-PROGRAMMED LOGIC FOR AUTOMATIC TEACHING OPERATION. Un software didattico lavora come un istruttore personale. Una gerarchia di menù invita l’utente a confrontarsi con delle domande, o più in generale con dei problemi. Le varie opzioni/risposte determinano le fasi successive in percorsi prestabiliti (nuova domanda precodificata, nuova alternativa, nuovo problema, trasformazione delle coordinate concettuali etc.). Il courseware può fornire istruzioni per l’uso del software, suggerimenti riguardanti la migliore strategia per affrontare il problema, spiegazioni relative al contenuto teorico da cui il problema scaturisce, o la risposta giusta. Il software può inoltre essere disegnato in modo tale da registrare e valutare i risultati ottenuti nel corso dell’esercitazione dal singolo operatore. 25 Gli argomenti trattati dai courseware vanno dalla matematica alle lingue naturali, dalle tecniche di programmazione allo studio della fisica o della storia. Per ciò che concerne la filosofia, sebbene il mercato sia in continua espansione, la maggior parte delle decine di software oggi disponibili continuano a riguardare lo studio della logica (si veda la scheda informativa che segue). Più di recente sono apparsi anche courseware dedicati all’etica applicata. La teoria dei giochi ha suggerito l’ideazione di simulazioni nel settore delle scelte razionali e delle capacità decisionali, quindi la produzione di programmi quali “Il dilemma del prigioniero” o “Right to die ?” (Il diritto di morire, un software sul problema dell’eutanasia). Interessante notare che in questo caso i courseware sono stati in grado di fornire elementi innovativi anche per la ricerca. L’evoluzione dei programmi CAL indica che presto la filosofia sarà insegnata dal computer? La domanda è ingenua, ma può aiutare a mettere in luce sia i limiti che i vantaggi della didattica elettronica. Le ragioni addotte dal partito del “No” sono diverse (Ridgway [1988] fornisce una loro rassegna, Schachtner [1993] indaga i problemi fronteggiati da coloro che lavorano giornalmente con il computer). 1. Il grado di interazione raggiungibile dai “docenti elettronici” non sarà mai neppure vicino a quello ottenuto in un dialogo ordinario; non esiste un CAL che possa superare un test di Turing e la figura dell’istruttore rimane indispensabile. 2. Per poter dare vita a percorsi precodificati, i contenuti oggetto di insegnamento devono essere sottoposti ad una necessaria strutturazione e standardizzazione. Discrezione (modularità) e computabilità (assemblabilità) vanno di pari passo con la chiarezza dell’esposizione, ma il processo di riordinamento delle informazioni gestite da un CAL può nuocere a testi filosofici che abbiano uno scarso impianto argomentativo, oppure una scarsa coerenza nell’uso della terminologia tecnica. 3. Saper manipolare e gestire non significa ancora aver compreso. Fin dove la conoscenza procedurale è convertibile in conoscenza concettuale, i CAL richiedono la guida di un insegnante, affinché la ripetitività del processo di apprendimento non instauri dei meri automatismi, ma dia vita ad una comprensione cosciente e critica degli argomenti trattati. 4. Il computer può esercitare un pericoloso ascendente su alcuni individui. Contenuti che apparirebbero facilmente discutibili, se presentati da un docente, possono a volta godere di una forza di convincimento assai maggiore per il solo fatto di essere veicolati attraverso l’uso di una tecnologia avanzata. Ora non c’è nulla di male nell’ideare un software che elabori il mio oroscopo o argomenti a favore dell’inferiorità genetica dei portatori di occhiali. Il guaio sarebbe quello di considerare l’implementazione di questi programmi una prova della validità TENDENZE E DIBATTITI questo approccio; infine accenna agli sviluppi delle logiche libere, polivalenti, e un approccio a tematiche gnoseologiche classiche. Il problema riguardante la natura della logica rimane tuttavia ancora aperto. E’ importante però che nel mondo accademico italiano sia sempre maggiore il numero di coloro che si pongono questa domanda e che considerano questa disciplina meritevole di uno spazio, di un’attenzione e un’importanza adeguate al suo ruolo attuale e a quello nella storia del pensiero scientifico e filosofico. M.P. Spengler rivisitato Pubblicati in prima mondiale i diari segreti dell’autore del TRAMONTO DELL’OCCIDENTE . In A ME STESSO (trad. it. e cura di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 1993) emerge il vero volto di Spengler, uomo melanconico e timoroso che il giorno dell’entrata in guerra della Germania annota: «Nessuno pensa a me». Oswald Spengler sta conoscendo in Italia una riscoperta che richiama l’attenzione su di un pensatore complesso e coinvolgente. Stefano Zecchi, già curatore dell’ANNUARIO DI ESTETICA 1991, interamente dedicata a Spengler, ha di recente curato l’edizione italiana dell’opera di Spengler: L’UOMO E LA TECNICA. CONTRIBUTO A UNA FILOSOFIA DELLA VITA (Guanda, Parma 1992). Oswald Spengler, come è noto, ebbe in vita uno straordinario successo di pubblico, per poi essere rapidamente dimenticato. Una certa ripresa di interesse per questo autore c’è stata di recente con la pubblicazione della biografia critica di Detlev Felken Oswald Spengler: konservativer Denker zwischen Kaiserreich und Revolution, (Oswald Spengler: un pensatore conservativo tra impero e rivoluzione, 1988), che inquadra la figura di Spengler nel travagliato clima di transizione che caratterizza la vita culturale tedesca dei primi decenni del secolo, fino all’avvento del nazionalsocialismo. A ciò si affiancava l’importante volume collettaneo Tramonto dell’Occidente?, a cura di G. M. Cazzaniga, L. Sichirollo, D. Losurdo (1989). Questa ripresa dell’interesse, a carattere prettamente scientifico, ha riguardato non solo l’opera maggiore, ma anche gli altri scritti di Spengler. Uno di questi, particolarmente significativo per gli sviluppi teorico-filosofici che contiene, è L’uomo e la tecnica. Contributo a una filosofia della vita, oggi disponibile in edizione italiana a cura di Stefano Zecchi. Si tratta di un saggio, pubblicato originariamente nel 1931, nel quale Spengler interpreta il fenomeno della tecnica come “tattica della vita”, cioè come quell’ “arte”, quello strumento Oswald Spengler (disegno di R. Grossmann, 1942) Manifesto di propaganda nazista 24 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Logica nella cultura Un numero crescente di pubblicazioni, l’interesse specifico di alcune case editrici sono il segno di un crescente affermarsi della logica matematica come disciplina matura, riconosciuta anche all’interno del panorama culturale italiano. STORIA DEL LA LOGICA (Garzanti, Milano 1993) di Corrado Mangione e Silvio Bozzi; COS ’ È LA LOGICA MATEMATICA (Muzio, Milano 1992); LOGICA E LINGUAGGIO (Pantograf, Genova 1993); DIMOSTRA ZIONI E SIGNIFICATO (Franco Angeli, Milano 1992): sono alcune delle più recenti pubblicazioni degne di nota nel campo di questa disciplina. «Coloro che studiano la filosofia imparino anzitutto la logica, poi l’etica, quindi la fisica e, ultima fra tutte, la natura degli dèi.» Questo è il precetto di Crisippo nel De repubblica Stoicorum di Plutarco. Non molto diversa è la ricetta di F. Enriques in Scienza e razionalismo (1990) contro il particolarismo filosofico, molto forte in Italia già nei primi anni del secolo: «Anzitutto, una cultura logica rigorosa per mezzo di uno studio serio ed assiduo della logica formale e dei principii di tutte le scienze moderne, della teoria della probabilità e di quella dell’induzione. La seconda condizione da realizzare sarebbe uno studio serio delle scienze positive per approfondire i loro rapporti e cogliere i loro metodi. Non è che in terza o in quarta linea che verrebbe, in un sistema regolare d’educazione filosofica, lo studio approfondito della storia della filosofia.» La netta distinzione tra insegnamenti scientifici e umanistici, risultato dell’operato gentiliano, non poteva aiutare la logica, strumento indispensabile per qualunque lavoro intellettuale rigoroso; si creò così la separazione di questa disciplina in due tronconi: una logica formale, affiancata agli studi matematici, e una logica filosofica, che dovette rinunciare a parte della propria natura astratta per salvare l’umanista dalla vacuità del simbolismo. Le cose cambiarono in Italia a seguito del diffondersi di una mentalità neo-positivistica nella filosofia, che agevolò di molto lo studio della logica formale, nonché il dialogo con gli ambienti scientifici. La situazione è ulteriormente migliorata dopo lo sviluppo dell’informatica e dei contributi che questa scienza offre nell’affrontare i problemi gnoseologici classici della filosofia. Questa situazione, si può in breve affermare, ha permesso un riavvicinamento tra discipline scientifiche e discipline umanistiche, provocando anche uno sviluppo della logica, che diviene, per un verso, lo strumento più idoneo per questo riavvicinamento, per l’altro, una disciplina feconda di concettualizzazioni e metodi per nuove direzioni di ricerca. L’evoluzione di questa disciplina è l’oggetto del volume curato da Corrado Mangione e Silvio Bozzi, Storia della Logica, nel quale l’esposizione sistematica della logica, caratterizzata da un’evoluzione lineare fino ai primi anni del secolo, diventa inevitabilmente frammentaria quando vuole essere un resoconto dello stato attuale di questa disciplina. Soprattutto dagli anni sessanta in poi, si sviluppano, autonomamente tra loro e in relazione con gli ambiti di scienze diverse come la linguistica, la geometria, la biologia e la fisica, sottodiscipline come la teoria dei modelli, degli insiemi, della dimostrazione, logiche modali, deontiche, ecc... Gli stessi autori, a fronte di questo sviluppo, si sentono in dovere, nel capitolo conclusivo, di tirare le somme ed esprimere un loro parere sull’importanza della logica nella cultura contemporanea: «quello che crediamo debba risultare dall’esame dello sviluppo della logica che abbiamo qui tratteggiato è che proprio la logica matematica ha contribuito fortemente a colmare per certi aspetti quell’arbitraria e improduttiva frattura che in varie culture veniva (e viene) operata fra filosofia e matematica.» Un prova di come siano correlate logica matematica, informatica e matematica, da una parte, logica e linguistica dall’altra, è fornito per un verso dallo studio di Gabriele Lolli, Cos’è la logica matematica, per l’altro dalla raccolta Dimostra23 zioni e Significato, curata da Enrico Moriconi, e dall’opera di Michele Marsonet, Logica e Linguaggio. Lolli vuole mettere in evidenza il carattere autonomo della logica matematica, che a suo giudizio non va più considerata una mera disciplina propedeutica per gli studi filosofici e matematici, avendo assunto un ruolo e un obbiettivo più specifico. Essa ha perso ogni velleità normativa per acquisire un proprio ruolo a fianco delle altre scienze, pur mantenendo la caratteristica peculiare di non avere un oggetto di studio ben definito: le problematiche che la coinvolgono sono «i grandi problemi del ragionamento, delle dimostrazioni, del significato, dell’intelligenza, dove la logica interviene in modo decisivo, come analisi e come strumento.» Lo studio di Lolli si suddivide in tre capitoli concernenti le relazioni tra logica e matematica, intelligenza artificiale e scienze cognitive. La conclusione, se può essercene una, è che «la logica ha un’autonomia e un interesse intrinseco che deve coesistere con le applicazioni e le inevitabili sovrapposizioni con le altre discipline competenti.» Una conferma di ciò ci viene in particolare dal volume curato da Moriconi, che affronta la filosofia della logica di tre pensatori del calibro di Dummett, Martin-Löf, Prawitz, mostrando come alcune problematiche gnoseologiche e ontologiche, quali la natura dei numeri, il concetto di verità, di ragionamento, di significato, abbiano acquisito un carattere logico e come questo approccio sia utile a quelle discipline interessate agli stessi problemi per sviluppare nuove direzioni di ricerca. La linguistica in particolare ha un grosso debito con la logica, la cui applicazione all’analisi della struttura del linguaggio è ampiamente affrontata da Marsonet in Logica e Linguaggio. La domanda che apre il primo dei due volumi di cui si compone l’opera è ancora la medesima: che cos’è la logica? L’autore fornisce una risposta specialistica: espone l’applicazione vantaggiosa dell’analisi logica allo studio del linguaggio; elenca gli strumenti atti a risolvere problemi semantici presenti in questi studi; indica i risultati ottenuti con PROSPETTIVE DI RICERCA Albert Einstein 32 PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Einstein: scienziato o filosofo? L’importanza di Albert Einstein nella storia della fisica è fuori discussione, ma molto vi è da dire ancora sul ruolo delle sue concezioni filosofiche e sull’influenza che queste hanno avuto nel suo lavoro di scienziato. Nel volume EINSTEIN PHILOSOPHE (Einstein filosofo, PUF, Parigi 1993), recentemente pubblicato in Francia, Michel Paty evidenzia il nucleo non esclusivamente scientifico dei lavori di Einstein quando questi prende in esame il lavoro di creazione della teoria scientifica e l’esigenza metafisica che ne è alla base. Contemporaneamente Jacque Merleau-Ponty, nella sua biografia del fisico dal titolo: EINSTEIN (Flammarion, Parigi 1993), dimostra come l’agire dell’intellettuale Einstein, impegnato a difendere una visione etica molto marcata, sia correlato ad una concezione filosofica che influenza anche il suo modo di intendere la fisica. Si torna a parlare di Albert Einstein. Alle numerose pubblicazioni sullo scienziato tedesco, alle biografie scientifiche, agli scritti commemorativi dei colleghi e a tutti gli studi più o meno autorevoli sulla sua fisica, si aggiungono ora due nuovi studi ad opera di Michel Paty e Jacques MerlauPonty. Il punto di vista dal quale viene affrontata l’analisi degli studi di Einstein è, in entrambe le pubblicazioni, quello filosofico. Identica la tesi: mostrare come la filosofia di Einstein abbia guidato l’attività e gli interessi di Einstein scienziato. Questi due nuovi studi non sono certo i primi a trattare la natura intellettuale dell’ideatore della relatività generale; ricordiamo, a tal proposito, l’antologia di scritti redatta da Paul A. Schilpp dal titolo indicativo: Einstein scienziato filosofo (ed. it. Torino 1958). Ma, mentre in questi scritti si tentava di dare un’immagine quanto più completa possibile dell’uomo Einstein, questi ultimi due studi sono opere a tesi: l’oggetto dell’analisi non è tanto Einstein, quanto il suo ruolo di scienziato teorico e di intellettuale impegnato. E’ quindi il fisico Albert Einstein che viene analizzato con occhio filosofico, in un esame che prende in considerazione gli anni di gestazione della relatività ristretta e, in quel periodo, i motivi che hanno determinato la scelta della difesa del principio d’inerzia e della costanza della velocità della luce e l’abbandono della meccanica newtoniana. In tal senso viene analizzato l’imperativo estetico della simmetria che domina la costruzione razionale delle sue teorie, mettendo in evidenza la scelta metafisica realista che Einstein non abbandonerà mai e che sarà la causa principale delle sue incomprensioni con Bohr. La tesi che entrambi cercano di provare è riassunta in una frase di Paty: «La filosofia è nel seno della scienza, nel suo movimento e nella sua trama, e non soltanto nella valutazione a posteriori dei suoi risultati.» Viene così mostrato il ‘filosofo’ Einstein intento a costruire una “vasta opera filosofica” attraverso l’elaborazione di quelli che sono gli strumenti a sua disposizione: i risultati della scienza totalitaria dell’ottocento. Nella sua celebre biografia di Galileo, Stillman Drake addita il diciassettesimo secolo come il termine dell’egemonia filosofica nella descrizione della natura. Dopo Galileo colui che è incaricato di ordinare il mondo esterno secondo ragione è un personaggio che si distacca, per gli strumenti che adopera nella descrizione dell’ordine naturale, dal filosofo della natura della classicità. Giustificazioni religiose e metafisiche vengono man mano allontanate dalla descrizione dei fenomeni naturali a favore di una descrizione formale: quella matematica. Questa tendenza ha trovato pieno riscontro nel nostro secolo: la descrizione matematica si è appropriata completamente della realtà; le figure del fisico e dell’astrofisico hanno sostituito quelle del metafisico e del teologo; la filosofia si è ritirata in quei campi che gli empiristi chiamavano le scienze dell’uomo, l’etica, la politica, e nella sociologia. Sono le personalità carismatiche del mondo scientifico che si occupano di descrivere e diffondere le nuove “visioni” del mondo: Hawcking, Penrose, Prigogine, Thom, Barrow, Weinberg, Sexl... Il filosofo non può far altro che prendere atto dei risultati, o discutere sulle metodologie d’indagine corrette: il lavoro di costruzione è lasciato allo scienziato. Il compito che Paty si prefigge in questo 33 suo lavoro è quello di restituire al filosofo il ruolo attivo nella “costruzione” della natura, rivendicando la natura filosofica della scienza teorica. Lo scienziato teorico è necessariamente filosofo. L’attività scientifica di Einstein, le sue dichiarazioni, gli scambi epistolari con scienziati suoi contemporanei non fanno altro che dar credito al giudizio di Koyré, secondo il quale «è fuori dubbio che vi sia una meditazione filosofica che ispira l’opera di Einstein.» Einstein diventa quindi l’archetipo dello scienziato teorico; dello studioso d’ingegno che non può separare la tradizione filosofica dal suo lavoro di ricostruzione della realtà. In tal senso acquistano grande importanza gli accenni di Einstein alle sue letture di Spinoza, di Schopenhauer, di Kant e i suoi debiti con Mach. Nella prospettiva adottata è meno importante sottolineare il debito di Einstein nei confronti della tradizione scientifica. Ancor più interessante la proposta di Merlau-Ponty, che dietro al “filosofo” Einstein tenta di scorgere l’uomo curioso che vuole innanzitutto intanto capire e che solo dopo aver trovato una sua dimensione interiore, un suo sens artistique, tenta di rintracciarlo in tutto ciò che lo circonda e nei pensieri di chi lo ha preceduto. Appartiene ad Einstein una concezione naturale di creazione artistica, dove per arte si intende una tendenza non necessariamente estranea a un’attività razionale; in questo senso va intesa l’affermazione secondo cui «il fisico non è nientemeno che un filosofo che si interessa a certi argomenti particolari; altrimenti non è che una sorta di tecnico.» Un filosofo, dunque, che vuole essere innanzitutto un artista della conoscenza, che difende l’«affermarsi del pensiero in sé stesso, come la musica.» Un uomo che sogna coscientemente, come lo ha descritto Alan Lightman nel suo recente I sogni di Einstein (Guanda, Parma 1993), dove il giovane impiegato dell’ufficio brevetti di Berna, spettinato e con un paio di calzoni troppo larghi, “sogna” una concezione del tempo diversa, si immagina molteplici situazioni in cui il tempo ha significati diversi, esistenze fisiche diverse. Non è il filosofo in primo piano, ma è l’uomo nella sua complessità, che cerca di non costringere la propria natura all’interno dei binari morti PROSPETTIVE DI RICERCA del tecnicismo o del dogmatismo, ma di vivere liberamente la propria esigenza di conoscenza. Scienziato di professione, musicista dilettante, filosofo per natura, pacifista per scelta, perseguitato dalle contingenze storiche: a riassumere la biografia di Einstein vale la frase di Abraham Pays, suo biografo e amico, «è stato l’uomo più libero che ho mai conosciuto». M.P. La mistica della ragione di Meister Eckhart Per un totale di più di duecento pagine il recente volume di Giorgio Penzo MEISTER ECKHART. UNA MISTICA DELLA RAGIONE (Edizioni Messaggero, Padova 1992) è costituito, nella sua seconda parte, da un’ampia antologia di alcune delle più importanti opere del Maestro domenicano - sermoni tedeschi, sermoni latini, commento alla “Genesi” -; comprende poi integralmente i due “trattati”, anch’essi in volgare tedesco, intitolati: LIBRO DELLA CONSOLAZIONE DIVINA e DELL ’UOMO NOBILE. Conclude il volume una cronologia essenziale e un’ampia nota bibliografica, pressoché unica sull’argomento. Sotto questo aspetto l’opera sembra in grado di dare una conoscenza sufficientemente articolata ed approfondita del pensiero eckhartiano, venendo incontro a quelle esigenze di lettura della “mistica tedesca”, nel suo più grande rappresentante, che sempre più si fanno sentire ai giorni nostri. La prima parte del volume, ad opera di Giorgio Penzo, consta di un’organica “Introduzione” alla vita e agli scritti di Meister Eckhart sullo sfondo della cultura del suo tempo, mettendo in evidenza l’originalità della filosofia eckhartiana, incentrata sulla dimensione dell’essere e sulla problematica del “distacco”. Particolarmente interessante è il capitolo dell’Introduzione intitolato: “Morte di Dio e nascita di Dio: Eckhart filosofo e teologo dell’esistenza”. Partendo dal fatto che la coscienza della propria nientità da parte della creatura rappresenta il punto di incontro tra creatura e Dio, giacché la coscienza della differenza è data dalla coscienza dell’essere nulla senza Dio, mentre, a sua volta, la coscienza dell’essere-nulla implica, anche se indirettamente, la presenza del divino nella parte più profonda dell’anima, che è la ragione, Penzo osserva che Dio e nulla sono due poli di una stessa dialettica esistenziale, dove nell’identità v’è la diversità e dove nella diversità v’è l’identità. In questa dialettica esistenziale viene messo tra parentesi il principio di non-contraddizione, che vale solo nell’ambito del temporale e non in quello dell’eterno. Muovendo da questa preziosa intuizione filosofica, che costituisce, secondo Penzo, il nocciolo originale del pensiero eckhartiano, si sviluppa quella particolare ermeneutica che verrà portata avanti dai filosofi dell’esistenza, come appunto Nietzsche, Heidegger e soprattutto Jaspers, nonché dai teologi dell’esistenza, come Barth, Bultmann, Gogarten, Tillich, Bonhoeffer e altri, ma che trova il suo antecedente contemporaneo in Kierkegaard. In effetti Eckhart mette in luce i limiti di quel conoscere categoriale che è legato al rapporto soggetto-oggetto, e va nella direzione di un conoscere come non-conoscere - ovvero come comprendere - libero dalla conoscenza legata all’oggetto. E’ qui, secondo Penzo, che si apre l’autentico conoscere, e, nello stesso tempo, la dimensione del sacro: momento di fondo della realtà sacrale è quello di essere liberi dal principio di non-contraddizione, caratteristico invece della realtà non sacrale, cioè ontica. La dottrina teologica della continua nascita di Dio nell’anima attraverso il “distacco”, ovvero attraverso la liberazione da ogni legame e da ogni “immagine” - che è come noto, la dottrina centrale di Eckhart - si rivela così cifra filosofico-teologica per chiarire l’essere autentico. Condividiamo pienamente l’insistenza con cui Penzo sottolinea i profondi legami che il Maestro domenicano ha con la filosofia antica, medievale e - ovviamente sotto un diverso profilo - moderna e contemporanea; d’altra parte parlare di “mistica della ragione” non significa affatto negarne le componenti etiche, sapienziali, spirituali in senso ampio e forte, proprio perché “ragione” - come Penzo peraltro chiarisce - va intesa nel significato più profondo come quel “fondo dell’anima” che è ricco di tutte le sue potenze, senza comunque identificarsi con nessuna di esse - anzi, tutte trascendendole. In questo senso la “mistica della ragione” eckhartiana è prima di tutto un’esperienza dello spirito, alla quale non si giunge senza prima aver profondamente esperito tutto l’umano, anche nelle sue dimensioni corporee e psichiche. Che la “fortuna” di Eckhart in Italia sia appena agli inizi è confermato dal fatto che contemporaneamente alla pubblicazione del volume curato da Penzo è apparsa l’edizione italiana del trattato di Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni (a cura di Marco Vannini, Città Nuova, Roma 1992), che giungeva a seguito di una monografia sull’autore ad opera di Marco Vannini, Meister Eckhart e il Fondo dell’anima, (Città Nuova, Roma 1991. M.V. 34 La libertà in F. M. Pagano A metà del Settecento l’Illuminismo, oltre che a Napoli, penetrò e si irradiò nei più importanti centri della penisola, influenzò decisamente in modo diretto o indiretto gli orientamenti culturali, le idee politiche e sociali, gli indirizzi, gli interessi e le forme della vita letteraria. L’Illuminismo a Napoli permise a personaggi come Genovesi, Galiani, Filangieri, Pagano, Delfico di operare e di agire quali martiri, apostoli e confessori della religione del razionalismo, come ebbe a definirli Croce. E’ in questo contesto storico-politico-culturale che si inserisce la vita e l’opera di Francesco Maria Pagano, secondo quanto ci riferisce Nunzio Campagna nel suo recente studio: POTERE, LEGALITÀ, LIBERTÀ. IL PENSIERO DI F . M. PAGANO (presentazione di Antimo Negri, Calice Editore, Rionero in Vulture 1992). Lo studio di Nunzio Campagna prende il titolo da uno dei capitoli più significativi di questo volume, “Libertà, legge, potere”. Questo tema ha una sua preminenza inequivocabile nell’opera di Francesco Maria Pagano soprattutto perché qui egli si presenta in veste di filosofo della politica. La sua grande passione è la lotta politica, attraverso la quale si dichiarò sempre apertamente ostile a qualsiasi forma di dispotismo e intolleranza, sin dai tempi in cui difese in un processo alcuni giacobini napoletani, una difesa che gli costò la perdita della cattedra universitaria di diritto criminale, due anni di prigionia e l’espulsione dal Regno di Napoli. L’aspetto interessante, stando a quanto scrive Campagna, è scoprire come lo spessore della riflessione politica di Pagano sembri «anticipare e ricalcare» alcune posizioni che saranno assunte cent’anni dopo da correnti di “riformismo liberal-socialista” della storia politica europea: si pensi a Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Norberto Bobbio, che accetteranno anch’essi, come unica garanzia, la stessa convinzione di fondo di Pagano, che cioè «soltanto la legge assunta a principio regolatore» di tutte le vicende umane può realizzare o avvicinarsi il più possibile ad un ideale di giustizia sociale. Il senso profondo della “democrazia liberale” di Pagano, osserva Campagna, è la libertà, che al di fuori della legislazione è forza e violenza; ma anche una legislazione senza libertà è forza e violenza. E’ necessario, dunque, continua Campagna, che il rapporto sia tale da conservarsi reciprocamente e concretamente nelle forme storiche di una nazione. L’uomo sul quale Pagano riflette è l’uomo politico della società civile: l’uomo, cioè, che avendo superato lo stato selvaggio e barbarico, deve improntare la sua esistenza ai fondamentali valori del vivere civile: la libertà e la legge. Sembra dunque che Pagano abbia chiara la PROSPETTIVE DI RICERCA “definizione minima di democrazia”, con la quale, in regime democratico, si intende primariamente un insieme di regole e di procedure per la formazione di decisioni collettive, in cui è prevista e facilitata la partecipazione più ampia possibile degli interessati. Pagano sostanzialmente riprende la vecchia idea che diritto e potere siano due facce della stessa medaglia: solo il potere può creare il diritto e solo il diritto può limitare il potere. Ora, il problema è che lo Stato dispotico è il tipo ideale di Stato di chi si pone dal punto di vista del potere; all’estremo opposto c’è lo Stato democratico, che è il tipo ideale di Stato di chi si pone dal punto di vista del diritto. Per Pagano era necessario prender campo o per l’uno o per l’altro. Egli sceglie la democrazia e dopo essersi rifugiato a Roma, una volta espulso dal Regno di Napoli nel luglio del 1798, prende parte alla vita politica di quella repubblica e tornerà a Napoli nel 1799 per partecipare al governo della Repubblica partenopea. La sua attività nel comitato di legislazione, giudicata da qualcuno moderata, fu in realtà estremamente concreta e rappresentò il tentativo di realizzare una costituzione capace di proteggere il cittadino dall’autorità politica. Il problema che resta ancora da considerare è se il giusnaturalismo di Pagano, innervato da una profonda sensibilità storicistica, fosse maturo a tal punto da saper affrontare un problema così arduo come quello di una possibile conciliazione tra liberalismo e democrazia. Dobbiamo chiederci, cioè, osserva Campagna, se nonostante la sua inequivocabile scelta di campo a favore della democrazia, il filosofo napoletano fosse realmente cosciente dei contenuti e dei problemi che il liberalismo e la democrazia presentano in sé e della possibile e sempre concreta prospettiva di non riuscire a conciliare libertà e uguaglianza. Evidentemente lo Stato dispotico, che Pagano rifiutò, avrebbe potuto al massimo permettergli di «essere giusto per sentimento, ma non per certezza di diritto». Il suo umano e caldo entusiasmo fu infatti vergognosamente spento semplicemente per la paura dei suoi pensieri e delle sue parole. M.Ma. Passività sintetica Dai manoscritti di Edmund Husserl, relativi a tre corsi di lezioni, venne tratto nel 1966 un volume, pubblicato con il titolo: ANALYSEN ZUR PASSIVEN SYNTHESIS . Quest’opera è ora tradotta in italiano con il titolo : LEZIONI SULLA SINTESI PASSIVA (trad. it. di Vincenzo Costa, a cura di Paolo Spinicci, Guerini e Associati, Milano 1993) costituisce la proposta di una fenomenologia della percezione, concepita come momento e strumento della costruzione di una filosofia dell’esperienza. Come sostiene Paolo Spinicci, curatore dell’edizione italiana, queste Lezioni sulla sintesi passiva costituiscono «una lunga, analitica riflessione sulle condizioni originali di possibilità di un’esperienza di oggetti». D’altra parte, rispetto all’intento husserliano degli anni Venti e Trenta di dar luogo a una filosofia fenomenologica, concepita come introduzione teoretica a metodo e presupposto dell’indagine fenomenologica, queste Lezioni si muovono in senso opposto: i materiali qui presentati costituiscono, infatti, proprio lo svolgersi di una riflessione in medias res, dove la preoccupazione metodologica passa decisamente in secondo piano nei confronti dell’articolarsi dell’indagine nel suo sviluppo. Si può dunque sostenere che qui la “questione del metodo” non si ponga come tale, cioè come “questione”, bensì come pratica concreta. Il testo originale, che trae origine da tre corsi tenuti da Edmund Husserl a Friburgo su “Logica” (1920-21), “Questioni fenomenologiche scelte” (1923), “Problemi fondamentali della logica” (192526), trova la sua unità tematica nel tentativo di delineare una descrizione fenomenologica dell’esperienza concepita come sistema di percezioni. L’essere degli enti non può, in altri termini, essere considerato immediatamente ed esaustivamente riconducibile al loro essere percepiti, perché, così facendo, si verrebbe a perdere proprio la dimensione trascendentale, ovvero la dimensione a priori, relativa alle condizioni di possibilità dell’esperienza, in quanto condizioni di unificazione delle percezioni. Occorreva dunque, per Husserl, tener fermo alla «fondamentale distinzione tra ciò che viene percepito propriamente, e ciò che non è propriamente percepito» e che costituisce, nondimeno, il “senso oggettuale” di ciò che viene percepito propriamente: la cosa nella sua interezza, a fronte dell’irrimediabile unilateralità della percezione, superabile solo nel momento della sintesi dei vari sguardi prospettici unilaterali, cioè delle singole percezioni. D’altra parte, è proprio ciascuna singola percezione, nella sua parzialità, a esigere il rinvio al continuum percettivo, all’intreccio delle percezioni possibili, che costituisce l’onnilateralità dell’oggetto percepito; dimensione cui attinge, appunto, la sintesi. «In altre parole, tutto ciò che si manifesta propriamente è una manifestazione di cosa solo in quanto è intrecciato con, e attraversato da, un orizzonte intenzionale vuoto»; orizzonte che costituisce, per Husserl, l’ente percepito nella sua oggettualità. E’ precisamente l’idea di tale orizzonte uno dei caposaldi dell’analisi fenomenolo gica h usse rliana mutu ati da Heidegger, quando Husserl - identificando anch’egli, non casualmente, il momento della sorpresa, della rottura 35 del continuum percettivo che accade nell’irrompere dell’inaspettato, dell’inusuale, del dubbio, con il momento critico in cui il continuum medesimo si mostra nel suo ruolo di orizzonte di ciò che viene “percepito propriamente” - parla, a questo proposito, dell’ “in-vista-dicui” della percezione come del luogo originario del presentarsi dell’ente come oggetto. L’attività sintetica riveste, per Husserl, un carattere processuale; da essa è quindi esclusa l’immediatezza. La ripresa husserliana della determinazione dell’Io penso kantiano ne comporta dunque una riformulazione radicale: laddove l’appercezione kantiana si qualifica come frutto della spontaneità dell’intelletto, la sintesi fenomenologica di Husserl si presenta come radicalmente passiva, intrinseca alla dimensione materiale dell’esperienza. F.C. Heidegger, Aristotele e la metafisica Mentre in Germania prosegue la pubblicazione, nell’ambito della “Gesamtausgabe”, di opere e corsi di lezioni di Martin Heidegger, in Italia si segnala la traduzione di alcuni testi del filosofo relativi a corsi e seminari. E’ il caso delle lezioni del semestre invernale 1929-1930, CONCETTI FONDAMENTALI DELLA METAFISICA: MONDO - FINITEZZA - SOLITUDINE (trad. it. di Paola Coriando, a cura di Carlo Angelino, Il Melangolo, Genova 1992), di quelle del semestre invernale 1931-1932, ARISTOTELE, IX, 1-3. SULL’ESSENZA E LA REALTÀ DELLA FORZA (trad. it. di Ugo Maria Ugazio, Mursia, Milano 1992). A ciò si aggiunge la traduzione dell’intero contenuto del vol. XV della “Gesamtausgabe”, che comprende il seminario (19661967) dedicato a Eraclito, diretto da Heidegger in collaborazione con Eugen Fink, pubblicato nel volume dal titolo: DIALOGO INTORNO A ERACLITO (trad. it. di Mario Nobile, a cura di Mario Ruggenini, Coliseum, Milano 1992), e i seminari di Le Thor (1966, 1968, 1969), Zähringen (1973), e Zurigo (1951), raccolti nel volume: SEMINARI (trad. it. di Massimo Bonola, a cura di Franco Volpi, Adelphi, Milano 1992). Infine, con il titolo: ERACLITO (trad. it. di Franco Camera, Mursia, Milano 1993), è stato tradotto il vol. LV della “Gesamtausgabe”, contenente i corsi dei semestri estivi del 1943 e del 1944. Nel corso friburghese del 1931, Aristotele, IX, 1-3. Sull’essenza e la realtà della forza, la riflessione sul concetto di dynamis in Aristotele rappresenta per Martin Heidegger la chiave per penetrare nell’ambito della questione dell’essere conce- PROSPETTIVE DI RICERCA Martin Heidegger pito come presenza. Da questo punto di vista, a parere di Heidegger l’analisi aristotelica si muove sul terreno originario della questione ontologica, proprio perché finisce per portare la domanda sull’essere, pensato a partire dalla sua differenza dall’ente. La domanda su dynamis e energheia, sostiene infatti Heidegger, rientra in quella sull’ente in quanto tale, alla stessa stregua di quella relativa al categorein, con la quale, però, non si identifica. Proprio perché in Aristotele l’ente, al quale l’essere viene equiparato, va inteso come l’ente in quanto tale, una tale equiparazione, secondo Heidegger, è legittima nel filosofo greco; «ai giorni nostri», viceversa, essa è il luogo di un’«insanabile confusione», perché parlando dell’essere si intende spesso l’ente, e viceversa, dimostrando con ciò di non comprendere né l’uno, né l’altro. Secondo Heidegger, Aristotele ha ben chiaro che l’ente, in quanto tale, è altra cosa dalla somma dei singoli enti, e proprio per questo è posto come differente dall’essere. La distinzione fra l’essere e l’ente risulta dunque tanto antica quanto il linguaggio che pronuncia, di un singolo ente, la copula “è”, rendendo con ciò possibile la predicazione. Il progressivo oblìo di questa differenza rappresenta, nella prospettiva heideggeriana, il principale capo d’accusa nei confronti della metafisica. Tale oblìo è anzitutto conseguenza della “falsa dottrina” secondo la quale, a partire dall’identi- ficazione tra predicazione e suo fondamento, viene teorizzato il risiedere dell’essere, ovvero della verità, nel giudizio; laddove, al contrario, essere e verità rendono possibile, secondo Heidegger, l’aprirsi dello spazio per il giudizio, per il discorso apofantico, e non viceversa. Questo corso friburghese deve essere letto in stretta connessione con quello di Marburgo del 1925-26, tradotto in italiano con il titolo: Logica. Il problema della verità (Milano 1986), in cui, pure non casualmente, Aristotele appare come interlocutore di rilievo per Heidegger. L’obiettivo interpretativo di quest’ultimo consisteva qui, dichiaratamente, nel liberare il testo del pensatore greco dalle incrostazioni e dai “fraintendimenti” operati nei secoli successivi a partire dalla scolastica medioevale. Così nel corso del 1931 la meditazione heideggeriana sul concetto di dynamis mira a mostrare come la sua essenza non coincida con la realtà della sua esecuzione; mira cioè, ancora, a mostrare come in Aristotele venga prospettata la differenza tra una potenzialità ontologica e la sua realizzazione sul piano ontico. Anche nel corso del 1929-30, dedicato ai Concetti fondamentali della metafisica. Mondo - finitezza - solitudine, Aristotele appare come un interlocutore decisivo per Heidegger, proprio in sede di definizione della nozione di metafisica. A parere di Heidegger, attraverso il concetto di physis 36 Aristotele perviene a una determinazione del filosofare autentico (riguardante, cioè, l’essere dell’ente) in quanto, da un lato, interrogazione concernente l’ente come tale, dall’altro, questione dell’ente nella sua totalità. Il tentativo di determinazione dell’essenza della metafisica attraverso il contemporaneo richiamarsi all’impostazione aristotelica e ad alcune tematiche (noia, decisione, solitudine) tipiche della riflessione esistenzialista di ascendenza kierkegaardiana, indica, nel periodo del corso, un interesse di Heidegger per un proseguimento delle ricerche di Sein und Zeit in una direzione che, se è quella indicata dalla “svolta” - la tematizzazione della centralità della questione ontologica nel suo legame con il logos - non è ancora orientata sui sentieri che Heidegger percorrerà dagli anni Trenta in poi. In altri termini, il progetto di “ontologia fondamentale”, legato soprattutto agli scritti degli anni Venti, e più direttamente connesso con il trascendentalismo kantiano (e, attraverso questo, con la fenomenologia husserliana), pare già qui cadere in sospetto di antropologismo, dal quale ultimo Heidegger prende le distanze, insistendo sulle possibilità di “decentramento” dell’essenza dell’uomo, offerte dall’analitica esistenziale. Come è noto, altre e più originali risulteranno, in seguito, le strade battute da Heidegger; e già nell’organizzazione di questo corso di lezioni, dove il più ampio spazio e il carattere della trattazione, dedicati al concetto di mondo, conferiscono alla categoria della noia una tonalità peculiare, lontana dalle elaborazioni dell’esistenzialismo, si annuncia il cammino futuro. In questo corso, lo spirito, più che la lettera, del progetto di distruzione-fondazione della metafisica tradizionale, attraverso l’ “ontologia fondamentale”, si coniuga con la tesi relativa a una possibile fine della filosofia, che non comporti quella del pensiero e che preluda, invece, all’apertura di uno spazio per un pensare non metafisico, “originario”, “iniziale”. E’ questa, come è noto, una delle direzioni in cui si avviano le ricerche heideggeriane degli anni successivi, che giungono talvolta a ipotizzare, nella storia del pensiero, la realtà storica effettiva di un’epoca “non metafisica”. In questo senso, come accade nel corso del semestre estivo del 1944 dedicato a Eraclito (raccolto, come quello del semestre estivo del 1943, dedicato al medesimo pensatore, nel volume LV della “Gesamtausgabe”), il pensiero presocratico viene valutato come “premetafisico”. Con Anassimandro e Parmenide, Eraclito appartiene appunto al gruppo di «quei pensatori che pensano nell’ambito dell’ “inizio”, i pensatori iniziali». Il problema che si pone Heidegger è, anzitutto, come determinare il rapporto tra il pensiero “iniziale” e quello “metafisico”; un rapporto che, nella prospettiva di un futuro superamento della metafisica, va considerato come storicamente determinato e si giustifica sulla base della tesi - PROSPETTIVE DI RICERCA sostenuta da Heidegger, come si è detto, in questi corsi di lezioni - dell’effettiva esistenza storica, nel passato, di una fase “iniziale” del pensiero. L’inizio, nonché «ciò che va inizialmente pensato», consiste per Heidegger nella verità dell’essere, che viene alla luce nei concetti metafisici quando, portati all’estremo del significato del loro “detto”, fanno affiorare un senso non detto che li colloca al limite della loro significanza, sull’orizzonte che li circoscrive e li definisce. Questo metodo di lettura, che Heidegger aveva rivendicato negli anni Venti come “fenomenologico”, in quanto consistente in un «lasciar essere le cose stesse», all’epoca dei corsi su Eraclito si presenta piuttosto come un ascolto del logos, in cui si attua lo spiazzamento di ogni prospettiva antropologica e psicologica. Il logos, in quanto “riunione delle cose che sono”, e in ciò loro custodia, costituisce l’accesso all’essere nella sua differenza dall’ente. Il legein del logos pone infatti, secondo Heidegger, la questione della totalità in quanto «riunificazione che salvaguarda originariamente»; nell’identità di essere e logos, l’uomo che ascolta quest’ultimo diventa custode dell’essere, anziché soggetto al quale il logos sarebbe riferibile come sua “facoltà”. Il rapporto dell’uomo con l’essere, dove «dominano l’appello e la risposta», si identifica come evento (Ereignis) dell’essere; questa è la regione originaria della “logica”, ovvero della metafisica occidentale, il luogo di nascita del pensiero rappresentativo, che si muove chiuso nell’orizzonte della relazione fra soggetto e oggetto, e perciò impossibilitato a far questione della propria genesi. Il volume XV della “Gesamtausgabe” heideggeriana comprende anche il seminario, dedicato a Eraclito, diretto da Heidegger e Eugen Fink a Friburgo nel 1966-67, i cosiddetti “Quattro seminari” (tenutisi a Le Thor nel 1966, nel 1968 e nel 1969, e a Zähringen nel 1973), e il resoconto relativo a un seminario zurighese risalente al 1951. La traduzione italiana di questi materiali ha seguito percorsi differenti: il seminario con Fink è stato tradotto con il titolo Dialogo intorno a Eraclito, mentre gli altri testi sono stati pubblicati con il titolo di Seminari. Discutendo di Eraclito, Fink rappresenta per Heidegger un interlocutore non occasionale. Come ricorda infatti Mario Ruggenini nel suo saggio introduttivo al Dialogo intorno a Eraclito, l’interpretazione finkiana di Eraclito è debitrice a Heidegger del proprio motivo ispiratore, consistente nel porre la questione dell’origine della filosofia, presso i presocratici, come questione relativa alla sua origine non metafisica. Eraclito dunque, insieme ad Anassimandro e Parmenide, è pensatore “iniziale”, per Fink come per Heidegger, passibile cioè di un’interpretazione liberata dalla tradizione metafisica, inaugurata da Platone e Aristotele. Parmenide ed Eraclito sono, entrambi, pensatori dell’essere in quanto Aristotele(presuntoritratto) 37 PROSPETTIVE DI RICERCA pensatori della differenza ontologica, ovvero dell’assoluta trascendenza e irriducibilità dell’essere agli enti nei quali esso si manifesta. Per Heidegger, e così pure per Fink, il carattere aristocratico del sapere eracliteo mutua la propria ragion d’essere dalla medesima fonte di quello parmenideo: il logos di Eraclito, così come la aletheia di Parmenide, rappresentano comprensioni di quella manifestatività dell’essere che, in questo seminario, tanto Heidegger quanto Fink qualificano come Lichtung. Ma proprio su questo punto, rimarca Ruggenini, si divaricano le prospettive di lettura dei due pensatori: mentre Fink pensa la determinazione della Lichtung a partire dall’esemplificazione sensibile della luce, e si trova così a insistere sul carattere “positivo” (che si traduce in una sorta di “illuminazione”) della manifestazione dell’essere, Heidegger invece, radicalizzando il proprio tentativo di pervenire all’ “originario”, riconduce la determinazione della Lichtung a quella della aletheia, sottolineando, di conseguenza, l’originaria consustanzialità della dimensione della chiarezza e di quella della non evidenza, del non ancora chiarito. A partire da questa divergenza Heidegger respinge l’impostazione cosmologica di Fink, nella quale egli legge una non sufficiente sottolineatura della differenza ontologica, anche per l’eccessivo credito concesso alle esemplificazioni mutuate dall’ambito ontico. La differenza ontologica, sostiene Heidegger nel seminario di Le Thor del 1969, non può essere compresa a partire dall’ente, perché essa consiste nel mantenere a distanza l’essere dall’ente. Così il pensiero metafisico, che pensa l’ente, non può comprendere la differenza ontologica; o, perlomeno, non può comprenderla, come Heidegger spesso si esprime, “tematicamente”. Anche nei “Quattro seminari” emerge dunque il tema che, a partire dagli anni Trenta, si impone progressivamente come dominante nella riflessione di Heidegger, quello del rapporto tra pensare metafisico e pensare non metafisico, nonché quello di come si configuri quest’ultimo. La questione del linguaggio si delinea, a questo proposito, come il terreno decisivo del confronto, come la “cosa del pensiero”. L’interesse non ultimo di questi seminari risiede nel fatto che in essi appaiono accenti che, senza poter essere definibili come autocritici da parte di Heidegger, costituiscono comunque precisazioni decisive nei confronti della sua riflessione. F.C. Husserl, Brentano e i segni Nasce da un interesse per il ruolo della semiotica nel pensiero di Husserl lo studio di Dieter Münch INTENTION UND ZEICHEN. UNTERSUCHUNGEN ZU FRANZ BRENTANO UND ZU EDMUND HUSSERLS FRÜHWERK (Intenzione e segno. Ricerche su Franz Brentano e sulle prime opere di Edmund Husserl, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993), che intende mostrare come nelle RICERCHE LOGICHE, con la chiarificazione della conoscenza in base al concetto di intenzionalità, Husserl proponga un’alternativa alla prospettiva di carattere semiotico che aveva sviluppato un decennio prima nella FILOSOFIA DELL ’ ARITMETICA. I concetti di intenzione e segno, chiavi di lettura dell’interpretazione offerta da Münch della filosofia di Husserl, si trovano all’origine di due grandi correnti parallele della filosofia contemporanea: la fenomenologia e la filosofia del linguaggio. Punto di partenza delle ricerche di Dieter Münch sul rapporto tra intenzionalità e segno (o tra analisi della coscienza e analisi del linguaggio) nella chiarificazione fenomenologica della conoscenza è la questione relativa alla funzione della semiotica nell’opera husserliana: perché le ricerche semiotiche che si trovano nella prima opera di Husserl, Filosofia dell’aritmetica (1891), e nel manoscritto del 1890, pubblicato postumo, Zur Logik der Zeichen (Semiotik) (Sulla logica dei segni. Semiotica) non trovano prosecuzione (se si escludono le osservazioni sulla “funzione costitutiva” dei segni che si trovano nel tardo manoscritto “Sull’origine della geometria”) nelle opere successive? Per l’autore la presa di distanza di Husserl dalla semiotica è legata allo sviluppo del concetto di intenzione: un concetto che il fondatore della fenomenologia trova nel suo maestro Brentano e che costituisce, liberato da quelli che a Husserl apparivano i residui “psicologistici” brentaniani, uno dei nuclei concettuali centrali dell’analisi fenomenologica. Sotto questo profilo, l’opera di Münch vuole essere un’analisi della storia del concetto di intenzione, e intende mettere in luce le connessioni tra il concetto di intenzione e quello di segno. Se le Ricerche logiche husserliane rappresentano un’alternativa a una chiarificazione semiotica della conoscenza (in quanto cercano di descrivere gli atti psichici che stanno alla base del segno e di altri fenomeni linguistici), esse possono anche essere intese, secondo Münch, come un tentativo da parte di Husserl di rispondere alla questione della “conoscenza simbolica”. Se nella Filosofia dell’aritmetica Husserl stabiliva un’op38 posizione tra conoscenza intuitiva e dimensione segnica, nelle Ricerche logiche egli formula una teoria della conoscenza simbolica che - attraverso i concetti di “intenzione” e “rappresentazione” - intende la conoscenza come “intenzione riempita simbolicamente”. Interpretando le Ricerche logiche come soluzione di un problema posto nella Filosofia dell’aritmetica, Münch rovescia così consapevolmente una prospettiva tradizionale degli studi sul pensiero di Husserl: quella che interpreta il “primo” Husserl delle Ricerche logiche alla luce dell’ “ultimo” Husserl della “fenomenologia trascendentale”. Va però ricordato che, come del resto osserva lo stesso Münch, tale interpretazione trova sostegno in esplicite affermazioni husserliane, che indicano nella fenomenologia una forma di “idealismo trascendentale”. Con la sua analisi del rapporto tra “intenzione” e “segno”, analisi intenzionale e analisi linguistica nel pensiero di Husserl, lo studio di Münch propone anche l’analisi di un momento preciso nella la storia di una polarizzazione concettuale, che svolge un ruolo centrale nel dibattito filosofico contemporaneo. Se il concetto di intenzionalità (e la sua discussione critica) sta alla base della fenomenologia non solo husserliana, ma anche nei suoi sviluppi successivi in Ingarden, Heidegger, Sartre, Scheler e Merleau-Ponty, il concetto di segno costituisce uno degli strumenti e degli ambiti di indagine privilegiati delle diverse modalità semiotiche e linguistiche della filosofia, tra cui soprattutto la filosofia analitica del linguaggio. Si esprimono qui due diversi programmi filosofici, uno rivolto alle “cose stesse” e basato sull’analisi e la descrizione della coscienza e del suo essere diretta intenzionalmente verso “qualche cosa”, l’altro che parte dall’intrascendibilità dell’orizzonte dei segni e del linguaggio ed è persuaso che una chiarificazione del pensiero può nascere solo da un’analisi del linguaggio. Münch osserva però che tali orientamenti talora si avvicinano, nelle loro origini storiche e nell’ambito problematico della loro ricerca: Husserl, “padre della fenomenologia”, e Frege, “antenato della filosofia analitica”, furono in contatto tra loro e si occuparono di problemi simili; i segni e la coscienza che li costituisce possono diventare un tema dell’analisi fenomenologica, così come la semiotica può cercare di trattare i fenomeni intenzionali nel contesto di una teoria dei segni. M.M. NOTIZIARIO Con il titolo di LE IPOTESI DEL SOGGETTO & LA SCIENZA (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone dicembre 1993) prende avvio una nuova rivista, che nasce nell’ambito della collana “Il Soggetto & la Scienza” delle Edizioni Biblioteca dell’Immagine, una collana che ospita da alcuni anni opere quali i Moralia di Plutarco (di cui sono disponibili i primi tre volumi - La serenità interiore, L’educazione dei ragazzi ed Etica politica), opere di Marsilio Ficino, di Giordano Bruno, di Paul Valèry ed altre. Si tratta di testi per lo più inediti, di traduzioni integrali di opere che, come nel caso dei Moralia, sono assenti da secoli dal panorama editoriale italiano, con testo originale a fronte. Opere di grande respiro filosofico e di rigoroso impegno filologico. Nella stessa collana usciranno tra poco un’opera di Joseph de Maistre, Chiarimento sui sacrifici e un’opera rinascimentale di Leone Ebreo, Dialoghi d’amore; sono in preparazione inoltre le Opere latine di Giordano Bruno (il primo testo proposto sarà il De umbris idearum) e un trattato sul tempo del V secolo d.C. di Simplicio, ultimo esponente dell’Accademia, il Corollarium de tempore. In questo contesto è nata l’esigenza di creare un luogo di discussione vivo ed aperto dove l’interesse per determinate aree tematiche potesse esprimersi non solo nella scelta di particolari opere, perlopiù classici di indiscutibile rilievo filosofico, ma vivere anche nel confronto aperto del dialogo e della discussione. Da questa esigenza nasce “Ipotesi”, una rivista quadrimestrale di cultura varia, dedicata volta per volta ad un unico tema. Il tema del primo numero è L’apertura. che viene affrontato sulla base di tre ambiti tematici. Il primo, Il mito e l’apertura, contiene i seguenti saggi: “Platone e il mito della memoria”, di Roberto Melchiori; “Le ombre delle idee nell’arte della memoria di Giordano Bruno”, di Maddalena Maddamma. Il secondo ambito, Genesi delle Forme, presenta “Sull’interpretazione delle figure paleolitiche e in particolare sulle rappresentazioni umane dell’arte rupestre occidentale”, di Jean Louis Schefer; “Freud secondo natura. Dalla psicanalisi alla fisiognomica della psiche attraverso le illustrazioni del corpus freudiano”, di Moreno Manghi; “Morire alla luce del sole. Intorno alla clinica dell’autismo”, di Sandra Pujatti; “Tecnica della grazia. A proposito di Oskar Schlemmer e Heinrich von Kleist”, di Eric Michaud. Da ultimo, Vocazioni; un ambito che annovera i saggi “Valery e ‘il tempo del mondo’ “, di JeanMichel Rey; “La trasformazione interiore. La sventura e l’esperienza d’amore nel pensiero di Simone Weil”, di Grazia Giacomazzi. NOTIZIARIO La BIBLIOTECA SAN CARLO trae la sua origine dalla antica “libreria” della Congregazione della B. Vergine e San Carlo di Modena e del Collegio dei nobili creato vari anni prima della morte di Ludovico Vedriani (1670) e notevolmente arricchita dal lascito dei suoi libri. Istituita l’Università, nel 1778 i volumi andarono a costituire il nucleo originario della biblioteca del nuovo ente. Data però la persistenza della funzione educativa del Collegio, la Congregazione mantenne una sua biblioteca per gli studenti fino a tempi recenti, quando le scuole vennero statalizzate. Nel 1971, arricchito il fondo moderno, venne riaperta al pubblico; e infine nel 1976, dopo un accurato restauro e riadattamento del palazzo, venne definitivamente sistemata nella sua attuale configurazione. La Biblioteca San Carlo si caratterizza per il grande patrimonio di periodici e per la specializzazione in filosofia, scienze sociali e religiose; negli ultimi anni la biblioteca ha curato particolarmente l’aggiornamento dei materiali relativi a queste discipline con l’acquisizione di riviste e saggi di studio, anche in lingua straniera. Possiede 21000 volumi moderni e 4300 antichi, nonché 1252 periodici italiani e stranieri di cui oltre 700 in corso e 732 audiocassette relative a conferenze, lezioni, seminari e presentazioni di novità editoriali organizzati dalla Fondazione. Tra le principali attività la Biblioteca presenta repertori di novità editoriali - volumi e riviste - e predispone bibliografie su argomenti e autori specifici, in genere a supporto delle iniziative culturali della Fondazione; organizza anche visite guidate per le Scuole Medie Superiori orientate all’utilizzo della biblioteca ed alla impostazione di una ricerca bibliografica su temi concordati con l’insegnante. La Biblioteca è anche centro di coordinamento del Servizio Spoglio Periodici, progetto di catalogazione cooperativa a cui partecipano 6 diverse biblioteche, il cui scopo è fornire informazioni catalografiche su articoli apparsi in più di sessanta riviste italiane presenti in biblioteca. Tra i servizi offerti segnaliamo la disponibilità gratuita del catalogo dei periodici posseduti dalla Biblioteca (Catalogo dei periodici della Biblioteca San Carlo, a cura di M. Bellei e G.P. Turrini, Modena 1984 e Catalogo dei periodici. Aggiornamento 1989), delle liste di nuove accessioni (volumi e periodici) e delle bibliografie realizzate a partire dal 1988 in occasione di iniziative del Centro Culturale e del Centro Studi religiosi della Fondazione. A partire dal settembre 1993 la Biblioteca sarà aperta con il nuovo orario dei servizi al pubblico: lunedì-venerdì ore 10-13 (Emeroteca, Sala periodici, consultazione e prestito volumi); ore 15-21 (Emeroteca, Sala periodici, consultazione e prestito volumi, Sala lettura). La Segreteria è aperta dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 13 e dalle 15 alle 18.30. La DE MARTINIS & C. EDITORI si è costituita a Catania (via Aloi 40, tel. 095/530900, fax 095/274546), nell’ottobre del 1992 con un progetto editoriale incentrato sulle culture del bacino del Mediterraneo. Tale progetto nasce dall’esigenza, in un momento storico così travagliato e soggetto a spinte disgreganti, di presentare insieme culture diverse tra loro, ma tutte unite dal medesimo denominatore comune: il Mediterraneo. Soltanto negli ultimi anni il panorama editoriale italiano, a differenza di quello straniero, ha mostrato qualche segno d’interesse verso paesi a noi così vicini geograficamente, sempre però in maniera sporadica e senza una volontà precisa di presentarli legati alla nostra cultura in un progetto comune. La collana saggistica, diretta da Manlio Sgalambro, si propone di contribuire al culto del lettore di saggi con opere nelle quali l’idea di saggio sia il più presente possibile e la tentazione della verità più sottilmente costruita. Le Ispirazioni mediterranee di Paul Valéry, edito in cinquecento esemplari fuori commercio, è da considerarsi come una sorta di manifesto editoriale. Tra i titoli filosofici in catalogo segnaliamo: Borislav Pekic, Come placare il vampiro; Piero Martinetti, Dell’onore e altre cose; Gabriele D’Annunzio, Su Nietzsche; Julien Benda, Saggio di un discorso coerente tra Dio e il mondo; Giuseppe Rensi, La filosofia dell’autorità; Giulio Cesare Vanini, Confutazione delle religioni; Giuseppe De Lorenzo, La terra e l’uomo. 39 EPOCHÉ. A JOURNAL FOR THE HISTORY OF PHILOSOPHY FROM A CONTINENTAL PERSPECTIVE (Brigham Young University, Provo, Utah) è una nuova rivista americana che si occupa prevalentemente di problemi della filosofia continentale, andando incontro a un’attenzione sempre più diffusa in America per il pensiero europeo. Nel comitato di redazione figurano, tra gli altri, Jaques Derrida, Michel Haar, Dominique Janicaud, Mario Perniola e Fanco Volpi. Tematica centrale della rivista è la storia della filosofia e i suoi metodi. Questi gli articoli che figurano nel primo numero: Limits and Grounds of History: The Nonhistorical, di Michel Haar; Thinking Non-Interpretively: Heidegger on Technology and Heraclitus, di Charles Scott; Paramodern Strategies of Philosophical Historiography, di Steven Daniel; Nihilism and Beatitude, di Henri Birault; The Will as the genuine Postscript of Modern Thought: At the Crossroads of an Anomaly, di Frank Schalow. La collana FARE L’EUROPA nasce dall’iniziativa di cinque editori europei di lingua e nazionalità differenti: Beck (Germania), Basil Blackwell (Inghilterra), Crìtica (Spagna), Laterza (Italia), Seuil (Francia). I volumi che vengono proposti sono dovuti ai migliori storici del momento e affronteranno i temi essenziali della storia europea nei diversi campi: economico, politico, sociale, religioso, culturale. Avranno come orizzonte problematico la ricerca dell’identità collettiva dell’Europa attraverso le peripezie della sua storia e la pluralità delle sue componenti. I volumi prescelti non costituiranno una collana “accademica”, ma si indirezzeranno a un pubblico più vasto, esigente nelle proprie richieste culturali, ma non specialistico. Tra i volumi pubblicati: La città nella storia d’Europa, di Leonardo Benevolo; L’Europa e il mare, di Michel Mollat du Jardin; La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, di Massimo Montanari; L’Europa dell’Illuminismo, di Ulrich Im Hof; La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, di Umberto Eco; Le rivoluzioni europee. 1492-1992, di Charles Tilly. In preparazione: I contadini nella storia d’Europa, di Werner Rösener. CONVEGNI E SEMINARI messo in relazione da Gadamer alla dottrina greca della reminiscenza. Questa è, per Gadamer, metafora dell’intersoggettività linguistica in cui noi da sempre viviamo. In tal modo, il problema della verità viene a coincidere con quello del linguaggio come universo di relazioni. A tal proposito Gadamer ha sottolineato la vicinanza della Logica di Hegel al Parmenide platonico, ritenuto da Hegel stesso la più grande opera dialettica dell’antichità. Il fatto che questo dialogo non abbia una conclusione indica, per Gadamer, che il linguaggio non ha fine, conclusione, ma è sempre capace di formare nuove combinazioni di parole, di idee per esprimere le nostre intenzioni. In una tale prospettiva la filosofia non può ridursi alla scienza, al progresso della tecnica. Il linguaggio che noi adoperiamo ci precede, per cui la “cosa” non è l’oggetto che si trova nelle nostre mani, ma è “fra” noi, espressa dal linguaggio. A differenza delle scienze, il “metodo” filosofico è qui “ascolto” che non forza il dato per ottenere “certezze”. Filosofare è ascoltare la logica delle cose. La scienza, ha proseguito Gadamer, deve superare il “cartesianismo” moderno riappropriandosi dell’idea-guida della logica antica: nella filosofia greca, l’ “evidenza” della matematica non viene sancita da chi indaga la natura, ma è insita nelle cose stesse. Tale evidenza è detta dai greci aletheia, disvelamento, evento che si esprime. L’ideale della luce che rischiara come aletheia è alla base dell’autocoscienza in Hegel; mentre Heidegger prende le distanze dall’idea di uno spirito “trasparente”, nel quale non resta niente di oscuro, di velato, e riferendosi ad un modello di coscienza di stampo psicanalitico, rifiuta la riduzione della vita alla totalità della coscienza. Dopo i progressi della modernità, nei secoli XVIII e XIX, anche il concetto di aletheia acquista una nuova attualità: essa ha a che fare con “l’entrata della luce”, non intesa come perfezione e possesso della verità, ma come un discorso interrotto e ripreso nella temporalità della nostra coscienza. E.V. 58 CONVEGNI E SEMINARI Parmenide e Georg Wilhelm Friedrich Hegel 57 CONVEGNI E SEMINARI no Martelli, per quanto riguarda Mauss, in particolare, non si trattò di un’adesione supina alle tesi del fondatore della scuola durkheimiana. Proprio su un tema di fondamentale importanza per la sociologia della religione si verifica la divergenza di interpretazione: secondo Mauss i sentimenti che hanno per oggetto il sacro non sono distinguibili da altri e, questo è il punto centrale, la stessa categoria di sacro si dimostra utilizzabile solo in riferimento alle religioni basate sulla dicotomia puro/ impuro. Le ricerche di Mauss, condotte assieme ad altri studiosi, quali il sinologo Marcel Granet o l’etnologo Robert Hertz, furono volte all’approfondimento di una nozione più comprensiva e più duttile, applicabile a culture religiose non fondate su schemi binari o dicotomici, efficacemente trans-culturale, quale quella di mana. Mauss, dunque, non condivise la cosiddetta “svolta essenzialistica” di Durkheim e cercò invece di mostrare come il sacro fosse una specie di cui il mana era il genere, aprendo un dibattito sul ruolo e sul significato del sacro, che è proseguito fino ai giorni nostri. L’effetto di relativizzazione storico-antropologica della “società di mercato” e della sua morale, accomuna il prodotto delle ricerche di due studiosi tra loro, per altri versi, molto differenti, quali Mauss e Polany. Alfredo Salsano ha ripercorso in parallelo i loro lavori, mettendone in evidenza le diversità. Mentre Polany utilizza un comparativo “sostanziale” e guarda alla forma della redistribuzione, Mauss si riferisce al principio euristico del “fatto sociale totale” e mostra preferenze per forme di reciprocità. I punti di contatto tra i due riconducevano invece ad un comune programma, culturale e politico a un tempo, che, a partire dalla diagnosi di eccezionalità della forma di vita della società capitalistica, tenta di individuare strade possibili per ristabilire il primato della società sull’economia, senza per questo rinunciare allo scambio di mercato. L’analisi polanyana delle forme di integrazione (reciprocità, redistribuzione, scambio), così come lo studio maussiano del dono, prendono origine da un comune riconoscimento della valenza sociale dell’agire economico: da un rifiuto di letture economicistiche o utilitaristiche dei moventi dell’azione sociale, che in questi due autori ha una sua prima legittimazione, prende origine un percorso di ricerca che nelle scienze sociali contemporanee ridiscute, anche in termini empirici, l’organizzazione della vita economica e dei problemi che ne derivano (in questa direzione si muovono, ad esempio, gli studi di un gruppo di ricercatori che ruotano attorno al M.A.U.S.S. (Mouvement Anti-Utilitariste dans les Sciences Sociales). L’ambivalenza del dono è sempre presente nelle analisi di Mauss, che, in particolare nel suo saggio su “L’espressione obbligatoria dei sentimenti” (contenuto in Mauss-Granet, Il linguaggio dei sentimenti, 1975), ma anche nel suo “Saggio sul dono” (in M. Mauss, Teoria generale della magia ed altri saggi, 1965), ne fa un nodo di decisiva importanza per la sua interpretazione del contratto sociale. Paola Bora ha in tal senso preso in considerazione elementi del discorso maussiano quali l’impossibilità nelle lingue indeuropee di distinguere tra dono e scambio, la capacità di creare a un tempo alleanza o rivalità di certe forme di scambio (il potlàc come prestazione totale antagonistica), l’espressione obbligatoria dei sentimenti di lutto e di dolore e, più in generale, le analisi di Mauss e dei suoi collaboratori delle forme di contratto sociale, basate sulla osservazione delle strutture delle società studiate e non sul dibattito filosofico del Sei-Settecento. Da qui Bora è approdata al problema di fondo, che Mauss lascia in eredità a molte successive ricerche, vale a dire il problema di come si istituisce l’obbligazione sociale prima della costruzione del diritto: una riflessione questa che sfocia nella comprensione dell’obbligatorietà del dono intesa come fondamento della reciprocità sociale nei sistemi a prestazione totale. Sulla base anche di una grandissima mole di lettere e documenti, molti dei quali finora inediti, Marcel Fournier, che ha appena concluso la stesura di un nuovo studio su Mauss (previsto per il 1994 presso l’editore Fayard di Parigi), ha messo a fuoco, tra l’altro, il duplice aspetto con cui si presenta in Mauss il tema del sacrificio, in quanto utilità ed obbligazione ad un tempo: «Se il sacrificante dona qualcosa di sé - scrive Mauss, e anche Hubert - non dona se stesso; si risparmia con prudenza. E se dona è, in parte, per ricevere». Da ciò Mauss fa, in qualche modo, discendere anche una conclusione più propriamente politica: si deve donare di sé, senza donarsi. Nel richiamare l’attenzione sull’importanza delle nozioni di “sacrificio”, “dono”, “reciprocità”, sia nell’opera che nella vita di Marcel Mauss, Fournier ha fatto emergere come entrambe siano infatti attraversate da questioni politiche, che stanno al fondo dell’impegno dello studioso nel “caso Dreyfuss”, della sua attività di pubblicista militante e, allo stesso tempo, delle sue ricerche sul concetto di “nazione”, sul bolscevismo, ma, in fondo, anche del suo più celebre Saggio sul dono, nelle cui conclusioni troviamo scritto: «Si adotti, dunque, come principio della nostra vita, ciò che è stato e sarà sempre un principio: uscire da se stessi, dare, liberamente e per obbligo; non c’è il rischio di sbagliare». Tuttavia questa sua passione politica non sembrò andare a scapito della correttezza scientifica: al contrario, il suo porre al centro delle ricerche le forme concrete, storiche, della reciprocità gli fornì un ancoraggio pragmatico delle sue posizioni politiche, oltre che sostanziosi materiali per la critica dell’utilitarismo delle teorie economiche. V.B. 56 Il pensiero greco in Hegel Il seminario dal titolo: HEGEL E IL SUO RETROTERRA GRECO, tenuto da Hans Georg Gadamer dal 4 al 9 gennaio 1993 nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, ha avuto come tema centrale la definizione della portata del pensiero greco nella filosofia di Hegel e Heidegger. Muovendo dal rapporto che lega Hegel e Heidegger alla cultura greca, Hans Georg Gadamer ha affrontato il problema del compito della filosofia nel nostro tempo. Il punto di partenza della riflessione è stato il contrasto che, a partire dal processo di matematizzazione della scienza moderna, si è venuto a creare tra scienza ed esperienza: in tale contesto, ha osservato Gadamer, Hegel e Heidegger si presentano come due grandi pensatori della modernità che tentano di produrre un ravvicinamento fra scienza ed esperienza, riprendendo i temi fondamentali della filosofia greca. Il concetto che caratterizza in modo essenziale la filosofia hegeliana è quello di “dialettica”. Gadamer ha analizzato il termine nelle sue due radici: una di origine greca, in cui esso assume il significato di “arte del dialogare”, l’altra di stampo hegeliano, in cui si connota come rielaborazione della contraddizione. Lo sviluppo di tale argomento esige che si prenda le mosse dal problema dell’ “inizio”. Nei presocratici, l’inizio è ricercato come archè, principio dell’essere e del pensiero. In Parmenide, infatti, l’essere coincide col pensiero; il noein parmenideo, a differenza di quello aristotelico-platonico, che distingue il pensiero dalla percezione, è la percezione stessa intesa in senso passivo rispetto a ciò che si presenta. Alla luce di una tale prospettiva Gadamer ha illustrato la posizione heideggeriana come già presente al fondo dell’ontologia parmenidea, considerando invece Hegel come “l’ultimo greco”. In Hegel, infatti, il concetto di soggetto è svincolato dal “miracolo della presenza” per esporsi alla presentazione della verità. In tal senso la Logica hegeliana, ha inizio col superamento del soggettivismo; la certezza sensibile implica, in quanto principio della fenomenologia, la certezza del reale come vero. La verità, in Platone ed Aristotele, di cui Hegel parla nel primo libro della Logica, è fatta coincidere con l’eidos: l’idea, in quanto visibile e presentantesi con questo aspetto e non con un altro. Qui, ha fatto osservare Gadamer, è in gioco la dimostrazione argomentativa, caratteristica del metodo matematico, a cui Hegel si riferisce nella costituzione del metodo dialettico-speculativo, in vista dell’elaborazione del sistema. Il tentativo hegeliano di elevare la filosofia dal desiderio di sapere a vera scienza attraverso la dialettica speculativa, è stato CONVEGNI E SEMINARI Ermeneutica: questioni di confine Nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli si è svolto, dal 24 al 26 maggio 1993, un seminario tenuto da Gianni Vattimo, dal titolo ERMENEUTICA: QUESTIONI DI CONFINE. In questi incontri Vattimo ha percorso la storia dell’ermeneutica, in senso tematico più che cronologico, puntualizzando i rapporti della filosofia ermeneutica con la scienza, la religione e l’etica. Filosofia dell’interpretazione con vocazione nichilistica: così Gianni Vattimo ha definito l’ermeneutica. Infatti, muovendo dalla lezione di Heidegger della differenza ontologica e quindi dell’impossibilità d’identificare l’essere con la semplice presenza, l’ermeneutica contemporanea si muove in un campo sempre aperto all’interpretazione: la verità non è più intesa come corrispondenza al dato. Il senso dell’essere, ha osservato Vattimo, si annuncia in modo sottrattivo: l’essere non si dà nella presenza, ma solo nell’oblio; può essere colto dal pensiero rammemorante (An-denken) come un problema che inerisce la trasmissione, il tramandare, e va quindi ricollegato al problema della provenienza, al senso della verità. A tal proposito, Vattimo ha chiamato in causa l’esperienza della verità dell’arte, rivendicata da Gadamer in Verità e metodo. L’esperienza estetica è vera esperienza in quanto evento che implica il cambiamento storico del mondo. Per Vattimo, qui si opera uno spostamento da una argomentazione di stampo fenomenologico, in cui l’esperienza storica viene epochizzata, a una ermeneutica, posta come vero e proprio tramandamento interpretativo. Lo sfondo che legittima l’ermeneutica è il nichilismo di Nietzsche, che non si pone come tentativo di nullificazione dell’essere, ma come movimento, interpretazione radicale, circolo ermeneutico. Tra le “questioni di confine” il tema della scienza emerge, per Vattimo, come problema della relazione fra ermeneutica e modernità. L’ermeneutica di Gadamer e Habermas, ha rilevato Vattimo, è sostenuta dal tentativo di ricondurre i vari sistemi al mondo della vita; questo tentativo di sfuggire al relativismo culturale porta entrambi ad identificare ancora l’essere come presenza. Negando la separazione fra scienze dello spirito e scienze della natura, Gadamer e Habermas rivendicano la superiorità delle scienze dello spirito. In Heidegger, invece, l’interrogazione sulla scienza non è più posta in termini di contraddizione fra scienze della natura e dello spirito, ma sulla base delle trasformazioni che la scienza stessa ha prodotto riguardo al senso dell’essere nel nostro presente. Riferendosi al saggio L’epoca dell’immagine del mondo, Vattimo ha mostrato come Heidegger descriva qui lo spostamento della scienza moderna in direzione di una dissoluzione del senso stesso dell’immagine del mondo, cioè del divenire irrappresentabile del mondo a causa del conflitto delle interpretazioni; a partire dal processo di matematizzazione della scienza moderna, non si può più parlare di esperienza diretta della realtà, ma solo di sedimenti interpretativi. Da questo punto di vista, ha notato Vattimo, l’ermeneutica di stampo nichilistico risulta essere il compimento della modernità; essa stessa fu considerata da Dilthey come sfondo della modernità. Per Vattimo, la filosofia ermeneutica non poteva che nascere nell’Occidente cristiano: essa ha radici di stampo religioso ed è legata al pensiero ebraico-cristiano, dove l’essere è pensato come accadimento interpretativo, con un insuperabile elemento di deiettività. Concetto chiave è per Vattimo quello di “secolarizzazione”: l’ermeneutica secolarizza la storia della salvezza, attuando il cristianesimo nella modernità, e optando maggiormente per motivazioni etiche (quali ad esempio il rifiuto della violenza), più che teoretiche, essa rivela le proprie radici cristiane. Infine, Vattimo ha analizzato il rapporto tra ermeneutica ed etica prendendo in esame tre diversi modelli etici: “l’etica della comunicazione” di Habermas e Apel, “l’etica della continuità” di Gadamer e “l’etica della riconoscibilità” di Rorty, individuando nella mancanza di un’articolazione meta-narrativa la loro comune insufficienza. Vattimo ha sottolineato, infatti, la necessità di dare un contenuto alla nostra provenienza attraverso il ripercorrere la storia dell’essere a partire dal nichilismo, consapevoli che l’ontologia interpretativa nichilista è anch’essa un’interpretazione. E.V. Marcel Mauss e il “fatto sociale totale” Tra aprile e maggio 1993, presso il Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena, si è tenuto un seminario di studio sul tema: MARCEL MAUSS, IL “FATTO SOCIALE TOTALE”. All’interno di questo contesto tematico si sono succedute le lezioni di Riccardo Di Donato, su “Introduzione all’opera di Marcel Mauss: dalla sociologia all’antropologia”; Stefano Martelli, su “Mana o sacro? Il contributo della scuola durkheimiana alla fondazione della ‘sociologie religieuse’ “; Alfredo Salsano, “Il dono come forma di integrazione sociale: Marcel Mauss e Karl Polany”; Paola Bora, “Marcel Mauss: il dono e l’obbligo dei sentimenti”; Marcel Fournier, “Marcel Mauss o il dono di sé”. 55 Il seminario si è posto in ideale continuità col precedente, tenutosi tra ottobre e dicembre 1992, che aveva come oggetto l’opera di Emile Durkheim: “Emile Durkheim. Società, sacro, individuo”. Si tratta, più complessivamente, della prosecuzione in ambito francese dell’attività di discussione e di ricerca svolta negli ultimi anni dal Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo sulla teoria delle istituzioni di Gehlen, sul conflitto tra vita e forme in Simmel, sulla relazione tra condotta di vita e ordinamenti sociali in Weber e sulle strutture del mondo della vita in Schutz, mantenendo al centro dell’interesse l’ambito tematico comune delle “Istituzioni del senso” (seminari, la cui rielaborazione comparirà, sotto forma di una serie di volumi, a partire dal 1994). Riccardo Di Donato ha introdotto l’opera e la vita di Marcel Mauss, legato a Durkheim non solo da vincoli di parentela o di ambiente familiare e culturale, ma da un più profondo programma di ricerca comune. Fu, infatti, proprio lo zio ad indirizzare Mauss, una volta che questi ebbe ottenuto l’agrégation, verso lo studio della sociologie religieuse, ed a introdurlo all’impresa dell’ “Année sociologique”. E’ con il precoce approdo all’insegnamento, presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes, che ha forse inizio un processo di emancipazione dalla dominante personalità di Durkheim: nei suoi corsi, coerentemente con la lezione inaugurale, Mauss parla di psicologia ed antropologia e dà corpo al chiaro orientamento etnologico che le sue ricerche prenderanno successivamente. Grande peso, nell’attività intellettuale di Mauss, ebbe poi il suo impegno politico, e in questo senso la coincidenza non solo temporale dei suoi studi sul bolscevismo e delle sue riflessioni sul dono - ricerche che fissano l’attenzione alle forme dello scambio come struttura fondamentale sia delle società non dotate di scrittura, sia delle altre - può costituire una chiave di lettura dell’appassionato intrecciarsi di interessi di studio e militanza politica. Purtroppo, l’edizione delle Ouevres (Minuit, Parigi 1968-69, 3 voll. a cura di V. Karady) al momento disponibile non comprende proprio nessuno dei più importanti lavori di carattere politico, che pure ebbero collocazioni anche scientificamente prestigiose, come - è il caso dell’Appréciation sociologique du Bolchevisme - la “Revue de Métaphysique et de Morale”. Nel mettere, infine, in evidenza le enormi potenzialità delle nozioni di homme totale e di civilisation come oggetti di ricerca e non come concetti definiti una volta per sempre, Di Donato ha approfondito la grande significatività del rapporto, spesso trascurato, che Mauss intrattenne con lo psicologo Ignace Meyerson. Mauss, Hubert, Bouglé, Siamiand, Fauconnet, per ricordare solo i più noti, costituirono un aiuto fondamentale al lavoro di Durkheim. E tuttavia, ha ricordato Stefa- CONVEGNI E SEMINARI emerge dunque il duplice ordine dell’hegelismo diltheyano: il presupposto relativo all’autotrasparenza del soggetto, da una parte, e quello relativo all’ “epigonismo”, esemplificato dalla nottola di Minerva (per cui solo il compimento dà senso alla totalità dello sviluppo), dall’altra. Se in Dilthey è dunque possibile rilevare la connessione tra autobiografismo, istanza della totalità e intimità del soggetto con sé medesimo, Ferraris ha allora affrontato la posizione heideggeriana alla luce del rapporto, da essa istituito, fra le nozioni di autobiografia, totalità, morte, finitezza, autenticità. Ma questo legame non si dà mai effettivamente come tale, perché l’esperienza autentica della morte, la nostra, non si dà mai. La morte degli altri non può, dal punto di vista dell’esperienza autentica, surrogare la propria. Emerge qui, ha osservato Ferraris, il pregiudizio antioculare che Heidegger mutua dal conte Yorck, secondo il quale ciò che si vive rimane ineluttabilmente differente, e di valore superiore, rispetto a ciò che si vede. Il tema dell’autobiografismo nella scrittura filosofica è emerso anche nella relazione che Rocco De Biasi (“Il metalogo”) ha dedicato alla riflessione di Bateson. Contestando la tesi secondo la quale gli ultimi sviluppi del pensiero batesoniano avrebbero abbandonato l’epistemologia, per giungere a una fase di misticismo e di narrativismo autobiografico, De Biasi ha ricordato che per Geertz la scrittura dell’etnografo dà spesso luogo a un testo di tipo narrativo, romanzesco, ricco di elementi retorici e, appunto, autobiografico. Per De Biasi, Bateson rappresenta un esempio di ciò, e la difficoltà a introdurre il proprio sé nel discorso rinvia a quella di inserire l’ “altro” nel discorso etnografico. Il cosiddetto “autobiografismo” imputato a Bateson rappresenta, dunque, la difficoltà insita nel tentativo di definire l’oggetto antropologico. In questo parlare di sé, infatti, il parlare medesimo riguarda altro. Per Bateson, dunque, la scrittura etnografica si qualifica anzitutto come un pensiero autoreferentesi, e in secondo luogo, in quanto “pensare per storie”, come narrativo. Il suo carattere “ecologico” rinvia all’approccio sistemico, olistico di Bateson, secondo il quale l’appartenenza dell’uomo alla natura, espressa dalla religione, viene tradita dalla volontà di potenza della tecnica, che ne costituisce una degenerazione. La questione dell’autobiografismo viene messa in gioco anche dalla relazione di Gianfranco Gabetta (“La lettera e la scienza della scrittura in Montaigne”), che in un clima di profonda costernazione e rimpianto è stata letta da altri, a causa della prematura scomparsa del suo autore. La questione della possibilità della scrittura, secondo Gabetta, costituisce in Montaigne il caso di un’opera consustanziale al proprio autore, un ritratto di sé, dove lo scrittore parla di sé medesimo. In questa dina- mica ha luogo una sorta di contrazione, come se l’opera promettesse una risposta che viene di continuo elusa: ciò che non viene esibito, ma solo enunciato, può continuare a essere scritto proprio e solo in forza del fatto che esso è, appunto, annunciato, ma non esibito. E’ questa, in realtà, una condizione interna al testo, ha rilevato Gabetta, che consente al testo di perpetuarsi senza fissarsi. Proprio attraverso questo limite, che impedisce alla scrittura di diffondersi, essa si itera. A questo scacco della scrittura, che ne costituisce l’essenza, si perviene anche, ha aggiunto Gabetta, esaminando il tentativo di Montaigne di esprimere il rapporto che lo legava all’amico Etienne de la Boétie. Montaigne si dichiara incapace di esprimere le motivazioni del proprio affetto per l’amico «se non rispondendo: perché era lui, perché ero io». C’è qui, secondo Gabetta, una sospensione della natura denotativa del linguaggio, e un’attenzione al suo carattere puramente connotativo, cioè inerente al fatto che qualcosa è. Edoardo Greblo (“Benjamin, immagine e scrittura”) ha enucleato, all’interno della prospettiva di Benjamin, alcune specificità e caratteri della scrittura filosofica. In primo luogo la sua non sistematicità, che si manifesta nella non linearità dell’argomentazione. La “prosaica sobrietà” della scrittura benjaminiana riposa sulla contiguità, e sull’affinità, fra la scrittura medesima e la cosa che essa esprime. Questa concezione della scrittura filosofica, sottolinea Greblo, si muove in una filosofia del linguaggio, estranea all’idea di un carattere strumentale della lingua, in quanto parole e scrittura non vengono concepiti come veicoli inerti di significazione. Nel collocarsi al di qua della distinzione fra significante e significato, nella prospettiva benjaminiana immagine e linguaggio risultano avere in comune il carattere metaforico. Emerge inoltre un carattere frammentario dell’argomentazione, in cui ciascun frammento è “micrologico” e “monadologico”, e pone in primo piano l’esigenza del “montaggio” paratattico: l’oggetto storico non è dato, bensì costruito, e questo è il compito, musivo e micrologico, dello storico. D’altra parte, per Benjamin non si deve tentare di dire, occorre bensì mostrare; ma in questo programma, nota Greblo, Benjamin abdica dal compito monadologico e finisce per condividere con il suo antagonista, Heidegger, la passione per l’ “autentico”. Giampiero Comolli (“Figura e scrittura in Oriente”) ha identificato nella possibilità, attribuita al soggetto, di raggiungere l’assoluto attraverso la coincidenza con esso quel minimo comune denominatore che unifica varie correnti, raggruppabili sotto la dizione di “pensiero orientale”. L’ontologia si determina qui come soteriologia, in quanto tale coincidenza implica la beatitudine. Occorre, in questa prospettiva, abbandonare l’articolazione del54 le categorie per attingere all’inarticolato, che non rappresenta però un annullamento della coscienza, ma una sorta di surplus rispetto a essa. Il mantra, il testo, valgono non di per sé, ma per come essi vengono correttamente pronunciati o eseguiti: l’assoluto non viene rappresentato, bensì manifestato. L’ideogramma non rinvia a un significato altro da sé, ma rappresenta, invece, una sorta di autoscrittura da parte del cosmo. Ciò che conta è dunque (si pensi all’importanza della calligrafia, o ai gesti “esemplari” dei maestri zen) l’esecuzione, non il “contenuto”, scisso dalla sua “espressione”. Al contrario, in Occidente la scrittura si pone come pratica di trascrizione di una verità che la trascende, in quanto proveniente da un altrove rispetto a essa; per questo essa richiede, stante l’inattingibilità della verità nella sua interezza, un’interpretazione, e la dimensione oracolare costituisce l’archetipo della scrittura occidentale. Il dibattito che ha concluso il ciclo seminariale ha avuto come tema la questione della filosofia come genere letterario. Pier Aldo Rovatti ha messo in evidenza come la risposta risulti, di necessità, ambigua: in prima istanza negativa, in quanto nella filosofia non si presentano elementi specifici nel senso di una tale qualificazione. In secondo luogo, la questione della scrittura appare inscindibile da quella del pensiero, e occorre dunque determinare l’una e l’altro. Pensiero e scrittura emergono allora come relativi a ciò che non è padroneggiabile, che per Rovatti coincide con il dominio della soggettività. Per accostarsi a questo terreno Rovatti ha indicato come compito della scrittura la salvaguardia del silenzio. Ricorrendo all’esempio degli Essais montaigneani, laddove essi si pongono come commento di un’opera, quella di La Boétie, che non c’è, Giampiero Comolli ha sostenuto che questa salvaguardia del silenzio appare come un’iperfecondazione: il testo nasce da un “fuori testo” che non si dà. La scrittura appare così articolata come il tentativo di riempire un vuoto, in quanto commento a qualcosa che non si dà; organizzata cioè intorno a un centro che, in quanto non padroneggiabile, è per essa un vuoto. Rosella Prezzo, richiamando il nesso fra scrittura e pensiero, ha infine osservato come nella scrittura sia in gioco la pretesa alla continuità sostenuta dal pensiero. La scrittura mostra infatti la discontinuità, l’intermittenza del pensiero medesimo; in ciò emerge, e si rende esperibile, un senso che trascende le intenzioni di colui che scrive. F.C. CONVEGNI E SEMINARI ge. In tal senso “le parole mancano” l’inconscio, cioè non lo colgono in quanto loro oggetto; nel contempo, però, dicono anche questa mancanza. Per rappresentare il tentativo di scrittura dell’inconscio si rivela, dunque, adeguata la metafora, che fa riferimento a ciò che sta dietro le quinte, nella messa in scena del “teatro filosofico”. Così, al di là dell’indubbio debito di Lacan nei confronti di Heidegger, ha concluso Rovatti, se il filosofo tedesco, con la grande narrazione dell’oblìo dell’essere, mette in scena una tragedia, la rappresentazione lacaniana mostra piuttosto le caratteristiche della commedia. Attraverso l’esame di testi di Platone, Kierkegaard e Nietzsche, Rosella Prezzo (“La narrazione del femminile nel testo filosofico”) ha preso in considerazione l’ampio uso, da parte della scrittura filosofica, di rappresentazioni immaginali, che risultano avere un ruolo ambiguo: necessarie all’argomentazione da un lato, per ciò che concerne il loro significato risultano però incompatibili con il sistema del pensiero in quanto tale. In questo, secondo Prezzo, l’immagine del femminile diventa, in filosofia, archetipo del ruolo dell’immagine: una presenza che è tale in quanto assenza, un’assenza che è presente nel discorso filosofico. Nell’erotica platonica il femminile cade nella differenza fra il modello e la copia, fra il mondo delle idee e quello dei corpi: l’immagine del femminile è, appunto, immagine, cioè copia del modello ideale, in quanto incarnazione del momento genetico della nascita. Ma la nascita propriamente filosofica, quella delle idee provenienti dall’anima gravida del filosofo, è, per l’appunto, ideale, differente e opposta a quella corporea, frutto del parto femminile. La dialettica hegeliana, con il suo tentativo di riappropriazione e dominio, da parte del logos e della verità, dell’apparenza, del caduco, del non sufficientemente reale, sviluppa ulteriormente la contrapposizione platonica fra maschile e femminile. A essa si sottrae invece, ha rilevato Prezzo, tanto l’ironia kierkegaardiana, che “lascia essere” l’apparenza, quanto, e ancor più, la denuncia nietzscheana della metafisica come storia di contrapposizioni, che rimandano a quella fondamentale tra verità e menzogna, come lotta antitetica di valori. Al testo di Nietzsche è stata appunto dedicata la relazione di Fabio Polidori (“Il testo di Nietzsche”). Polidori, anzitutto, ha ricordato che Nietzsche individua, come propri obiettivi polemici, verità e soggetto. La nozione di verità, dal punto di vista del pensiero, rappresenta un errore, per quanto necessario alla vita umana: essa rimanda infatti al concetto di permanenza (dell’io, della sostanza), e si fonda nel linguaggio. Il rapporto tra filosofia e linguaggio costituisce così, ha osservato Polidori, il tema principale della filosofia, il suo soggetto. C’è linguaggio anche laddo- ve non c’è filosofia; ma non c’è filosofia senza linguaggio. La filosofia è il luogo della verità; proprio per questo non è oltrepassabile, come afferma Heidegger: non si dà linguaggio che non pretenda la verità; non c’è linguaggio che non sia irretito (la menzogna, in massimo grado) nella “volontà di verità”. Emerge qui, ha notato Polidori, la questione del rapporto fra linguaggio e tempo: il linguaggio fornisce stabilità e permanenza a ciò che viene nominato, alle cose e a noi stessi. L’effetto di verità è la presenza in quanto sottrazione al tempo, e nel luogo della presenza si producono gli oggetti e il soggetto. Ma, con particolare riferimento a Nietzsche, emerge qui anche, all’inverso, la questione del rapporto fra tempo e linguaggio: la dottrina dell’eterno ritorno si qualifica come impronunciabile, e Nietzsche tenta appunto di sottrarsi alla volontà di verità, evitando di dire. In Nietzsche, di fatto, non si chiarisce che cosa sia il tempo, ma come esso è, e ciò spiega l’impossibilità di dire il tempo nella sua verità. Così, la dottrina dell’eterno ritorno è indicibile, ha ribadito Polidori, proprio perché essa non consiste solo in un pensiero dell’eternità, bensì in un pensare come tempo. L’indicibilità del tempo rimanda dunque, in modo speculare, all’intemporalità del linguaggio; l’una e l’altra pongono capo alla reciproca negazione di tempo e linguaggio. Alessandro Dal Lago (“La scrittura etnografica”) ha prefigurato la possibilità, attraverso la scrittura etnografica, di sfuggire al discorso metafisico sull’Altro, attraverso l’introduzione, all’interno della presunta identità con sé di colui che scrive, della reale alterità che egli stesso è. Per giungere a ciò, ha osservato Dal Lago, occorre però ripensare la prospettiva della scrittura etnografica tradizionale, quella che ricopriva il ruolo di ancilla anthropologiae. Per quanti meriti essa abbia avuto nella costruzione di un’antropologia scientifica, liberata cioè dalle affabulazioni mitologizzanti - e mitologizzate - intorno ai “popoli selvaggi”, la scrittura etnografica novecentesca, che ha dato luogo all’antropologia intesa come “scienza dell’uomo”, non ha intaccato il pregiudizio fondamentale dell’interesse antropologico per l’altro. Esso consiste nel fatto che quest’ultimo viene ridotto a elemento speculare di fondo di una scena dove l’attore è sempre colui che scrive, che pretende di parlare dell’ “altro”. Questo perché a siffatto sguardo etnologico, “scientifico” o meno che fosse, veniva sempre, di principio, sottratto l’osservatore: gli “altri” sono costituiti in culture da indagare, con strumenti che riterremmo però inadeguati per studiare la nostra realtà. Per rovesciare la prospettiva che cerca negli altri sempre l’immagine di sé, ha concluso Dal Lago, occorre dunque sospendere questo pregiudizio; occorre considerare noi stessi come possibili altri, scoprire, anziché il sé (ov53 vero il “noi”) dell’altro, l’altro che è insito nell’identità del “noi”. Riccardo De Benedetti (“I ‘Quaderni’ di Simone Weil”) ha inteso in primo luogo evitare il rischio di ridurre la riflessione della Weil alla sua biografia, per quanto sia stato spesso sottolineato, legittimamente, il parallelismo fra il carattere di incompiutezza dell’opera da un lato, e quello di una vita marcata da un “azionismo”, tanto febbrile quanto impotente, dall’altro. Lo stile dei Quaderni non è d’altra parte, per De Benedetti, casuale, poiché esso a suo parere intende riflettere il carattere di “non finito” della stessa riflessione weiliana; nel paludarsi del punto di vista dell’autore dietro la selva di citazioni c’è il desiderio di “esporsi”, di farsi portatore di istanze altrui, piuttosto che della propria identità. L’onnivoricità della Weil, in campo spirituale e religioso, giustappone suggestioni e citazioni provenienti da tradizioni e misticismi diversi e alquanto eterogenei. Non si può tuttavia parlare, ha osservato De Benedetti, di contaminatio fra diverse tradizioni, perché nella prospettiva della Weil esse rivestono tutte, consapevoli o meno che siano di ciò, un ruolo anticipatore nei confronti della figura del Cristo. Il risvolto teologico dei Quaderni esce comunque dal solco del pensiero teologico tradizionale, se inteso come riflessione sul rapporto fra uomo e Dio. I tentativi di comunicazione con Dio, che innervano la meditazione weilliana, approdano alla più radicale alterità fra i due poli. Di qui la sua posizione antinomica, rispetto alla metafisica religiosa ebraica. Non si dà infatti per la Weil, in senso proprio, né lettura, né interpretazione né, quindi, riflessione: l’unico autentico lettore, in grado di cogliere il senso vero, è Dio; ma con ciò la filosofia viene annichilita. A partire dall’esperienza della monumentale Storia dell’autobiografia di Georg Misch, risalente al primo decennio del secolo, Maurizio Ferraris (“Lutto e autobiografia”) ha rilevato che l’autobiografia non appartiene, originariamente, al novero dei generi filosofici, bensì a quello dei generi letterari, di cui costituisce una delle manifestazioni più antiche. Perché l’autobiografia divenga un genere filosofico (o, almeno, perché possa essere interpretata come tale) occorre la presenza di una filosofia che metta in primo piano il concetto di vita. Questo accade con Dilthey (suocero di Misch), il cui storicismo rinvia, con una forma radicale di hegelismo, all’idea che il senso della vita risieda nella postumità. In primo luogo, la comprensione non può, per Dilthey, essere altrimenti che empatica: si comprende, in senso proprio, solo ciò in cui ci si traspone. La comprensione storica di un personaggio, o di un evento, è “biografica” in quanto comporta il comprendere la “vita” che vi pulsa; per questo l’autobiografia rappresenta il caso limite, e ottimale, di comprensione. Nel carattere senile dell’opera autobiografica CONVEGNI E SEMINARI Max Ernst, The Illustrious Forger of Dreams, 1959 52 CONVEGNI E SEMINARI Se il nome di Guglielmo Ferrero può essere per molti sconosciuto, sono invece molto note alcune sue tesi, come ad esempio quelle sulla decadenza di Roma, sulla legittimità del potere politico, sulla debolezza della democrazia italiana, su cesarismo e banapartismo, e altre ancora, che sono state spesso fatte oggetto di studio. Personaggio dagli interessi alquanto compositi, Ferrero ebbe altresì una certa notorietà in Europa, così come anche nel continente americano, grazie ai suo soggiorni e alle sue costanti collaborazioni a giornali e riviste. Guglielmo Ferrero nasce a Portici, Napoli, nel 1871. L’influenza dell’incontro a Torino con Cesare Lombroso si ripercuote nei suoi primi lavori; nelle Cronache criminali, mirando a conferire al diritto una base positiva, Ferrero sostiene la necessità di una radicale riforma della giustizia e del sistema carcerario. Successivamente emerge nei suoi studi un interesse più propriamente sociologico che lo distanzierà progressivamente dalla scuola positiva di Torino e quindi da una criminologia naturalistica che si limita a spiegare in chiave di patologia criminale - e non in chiave storica e sociopolitica - i delitti politici. Coinvolto nei processi crispini contro il partito socialista, processato col Treves e condannato a due mesi di domicilio coatto, Ferrero lascia l’Italia e viaggia per due anni in Europa: Francia, Inghilterra, Germania, Russia e Scandinavia, scrivendo una serie di articoli dapprima pubblicati sul Corriere della Sera e poi raccolti ne L’Europa giovane (1897), primo esempio di reportage politico-psicologico e sociale con cui Ferrero si impone all’attenzione della cultura italiana. Tra il 1902 e il 1906 escono i 5 volumi di Grandezza e decadenza di Roma, risultato di lunghe ricerche sul tema della decadenza, avviate dal 1898. Questa opera monumentale gli conferisce vasta notorietà, soprattutto all’estero; da Albert Sorel viene invitato a tenere un corso a Parigi al Collège de France e da Edouard Rod una conferenza a Ginevra sulla storia romana. A New York, gli viene conferita la laurea honoris causa presso la Columbia University. Nel 1913 Ferrero pubblica Fra i due mondi, una sorta di dialogo filosofico scritto al rientro del viaggio in America, in cui elabora la teoria delle due civiltà e la filosofia del limite, mettendo a confronto la moderna civiltà quantitativa con l’antica civiltà qualitativa. A partire dagli anni ’20 si interessa quasi esclusivamente del problema della legittimità. I totalitarismi al potere e la maturazione della filosofia del limite attraverso la lettura dell’opera di Talleyrand, lo portano ad elaborare una teoria della legittimità la cui interpretazione impegna tutt’ora validi studiosi italiani e stranieri. Alla pubblicazione di scritti come Da Fiume a Roma (1923), Le dittature in Italia (1924) e La democrazia in Italia (1925), nei quali vie- ne sviluppata la tesi della continuità tra il fascismo ed i precedenti regimi politici, la risposta del regime fascista è il sequestro de La democriazia in Italia e l’inizio della persecuzione. Nel 1930 riesce ad avere, grazie a innumerevoli intercessioni, fra cui quella del re del Belgio, il passaporto e si trasferisce a Ginevra nella cui Università gli viene conferito il duplice incarico di tenere un corso di storia moderna in qualità di professore ordinario alla Facoltà di Lettere e uno all’Institut des Hautes Etudes Internationales. A Ginevra insegna per dieci anni, fino alla morte sopraggiunta il 3 agosto 1942, a Mont-Pèlerin. Lo stesso anno esce postuma a New York la sua ultima opera, Potere. L’elemento che ha di fatto più colpito i partecipanti alle giornate di studio di Roma e Napoli è stato il radicale anticonformismo di Ferrero, che gli permise di rivolgersi ad un più vasto pubblico mondiale, anche quando fu costretto all’esilio dal fascismo. Nonostante la vastità degli interessi culturali, la sua produzione scientifica può essere in ogni caso raccolta sotto quattro filoni particolari, che sono poi stati gli assi portanti del convegno, assieme all’esposizione dell’attuale stato delle ricerche sull’autore e la sua opera. Il primo filone può essere individuato nella riflessione di carattere sociologico e filosofico-politico, il cui nucleo centrale è costituito dalla teoria della legittimità e del potere; su questo tema sono intervenuti tra gli altri: C. Mongardini, G. Sorgi, D. Settembrini, L. Pellicani, R. Baldi, D. Pacelli. Il secondo riguarda in particolare gli studi e la critica di Ferrero alla civiltà contemporanea, anche come civiltà della paura; a questo hanno fatto riferimento le relazioni di A. Negri , L. Battaglia , V.Frosini. All’interno di questa riflessione non vanno dimenticati gli scritti ferreriani di antropologia criminale, scritti assieme, o sotto la diretta influenza del suocero, Cesare Lombroso (come ha rilevato da N. Zapponi), a cui sono direttamente connessi alcuni studi sulla “questione femminile” (come hanno ricordato G. Conti Odorisio e M. Calloni). Il terzo filone d’interesse del lavoro di Ferrero riguarda il pensiero storicopolitico e istituzionale, con particolare attenzione per l’antichità romana e per la Rivoluzione francese, su cui sono intervenuti: F. Amarelli, L. Dondoli, L. Campagna, D. Cofrancesco. L’ultimo filone di riflessione è stato quello rappresentato dall’antifascismo di Ferrero e dall’analisi delle sue ragioni, su cui hanno relazionato: P. Ungari, E. Jacchia, H. Ulrich, A. Sarubbi, A. M. Isastia, G. Ceci, M. P. Paternò. Alla fine delle due dense giornate di studio, è stata proposta e approvata la fondazione dell’ “Associazione Internazionale di Studi su Guglielmo Ferrero”, i cui presidenti onorari saranno gli eredi, Bogdan Raditsa e Leo Raditsa. M.Cal./L.Ce. 51 Scritture del pensiero Organizzato dalla rivista «aut-aut» e dall’Ufficio Cultura dell’ISU, si è svolto a Milano, a partire dal 27 gennaio 1993, un ciclo di incontri seminariali con cadenza settimanale, dedicato al tema: SCRITTURE DEL PENSIERO. Il presupposto ispiratore dell’iniziativa consiste nell’affermazione della rilevanza decisiva, in filosofia, di forma e stile del testo. Ciascun incontro si è articolato in una relazione, nel commento, da parte del relatore, di alcuni brani di testi filosofici precedentemente distribuiti agli intervenuti, e in un dibattito conclusivo. Per Pier Aldo Rovatti (“Lacan, scrivere l’inconscio?”), che ha aperto il ciclo seminariale introducendone le motivazioni, la questione della scrittura rinvia a quella della pratica filosofica in quanto tale. Prendendo le mosse dall’esame del testo relativo a un seminario di Lacan del 1955-56, e assumendo come metafora della pratica filosofica il tentativo di scrivere l’inconscio, Rovatti ne ha enucleato alcuni elementi a suo parere essenziali. In primo luogo, l’elemento della “scena”, cioè dell’aspettativa rispetto alla quale, nel soggetto “in ascolto” del linguaggio, della scrittura, si verifica una “sorpresa”: una frase, un concetto inaspettati, vengono improvvisamente alla mente. Si pongono a questo punto, ha evidenziato Rovatti, due questioni. La prima è relativa alla determinazione della modalità dell’ “ascolto”, la seconda riguarda invece la comprensione di che cosa accada quando, nella modalità dell’ascolto, emerge l’inconscio, per esempio quando “viene in mente” una frase. Ma questo, ha osservato Rovatti, non è altro che il problema di “scrivere l’inconscio” che riguarda ogni linguaggio, in particolare quello filosofico. In generale, la questione di Lacan, “come scrivere l’inconscio”, si pone nei termini di “come scrivere la sorpresa”; proprio questo “scrivere la sorpresa”, cioè l’inconscio, costituisce il senso, e l’essere, della scrittura. Rovatti ha inoltre evidenziato il carattere fenomenologico della questione relativa all’ascolto del linguaggio, consistente in un vissuto che non è, però, quello fenomenico. Per collocarsi nell’apertura dell’ascolto occorre infatti operare, nei confronti del mondo, quell’epoché che consiste in una chiusura. Al carattere di significante dell’ascolto (che si fa chiaro nel suo essere sorpresa) è infatti connesso il fatto di non identificarsi con l’attesa di quel linguaggio che ci viene come significante. Per poter ascoltare occorre dunque operare una chiusura, che si rivela, in un senso più profondo, un’apertura. In merito alla questione relativa a ciò che accade al momento dell’irrompere dell’inconscio, Rovatti ha ricordato come per Lacan l’essenziale sia ciò che sfug- CONVEGNI E SEMINARI tismo e relativismo. A proposito, invece, del problema di Dio, le perplessità rilevate di fronte alle posizioni adorniane sono state ricondotte a quelle già riscontrate nelle argomentazioni kantiane in merito, di cui Adorno riprende i passaggi fondamentali. G.F. Critica dell’ontoteologia Nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli si è svolto dal 5 all’8 aprile 1993 un seminario tenuto da Massimo Cacciari dal titolo: “CUR DEUS ESSE”. CRITICA DELL’ONTOTEOLOGIA, in cui la filosofia teologica classica è stata messa a confronto con il pensiero di Heidegger, soprattutto quello espresso nei BEITRÄGE ZUR PHILOSOPHIE, dove compare appunto il tema ontoteologico e la posizione critica di Heidegger stesso nei confronti di ogni teologia. Per Heidegger, ha esordito Massimo Cacciari, bisogna ripensare un inizio che non è l’origine, segnata da Platone, della tradizione metafisico-teologica, ma quell’inizio cosiddetto presocratico che non è mai cominciato e non ha dunque mai prodotto effetti. Nei Beiträge viene riformulato il tema della differenza ontologica già aperto da Sein un Zeit: tornare all’altro inizio significa tornare alla domanda riguardante l’Essere e la differenza tra l’Essere e la totalità dell’essente, il Dasein in generale, e, superando la posizione di Sein und Zeit, chiamare l’eccedenza dell’essere rispetto all’ente Ereignis, evento, termine che sta ad indicare proprio l’impossibilità di rispondere alla domanda su che cosa è l’Essere; l’impossibilità cioè di rappresentare l’Essere, a meno di non rendere di nuovo l’Essere il Deus Esse della filosofia teologica. Per Heidegger l’Ereignis è un adveniens che non potrà mai farsi fatto, avvento; è avvenire appropiantesi che sottolinea la distanza da ogni rappresentazione teologica. L’Essere “avviene”, appropiandosi dell’uomo, chiamandolo ad una apertura radicale, per la quale appunto rinuncia ad ogni contenuto determinato. Il Dasein di Sein und Zeit è qui chiamato al compito, offertogli dall’Ereignis, di restare aperto, di disporsi a questa chiamata. Chiaramente, ha sottolineato Cacciari, non si tratta di un’apertura all’evento in quanto effimero, ma di un’apertura all’assenza di contenuti determinati, alla mancanza di ogni religio, di ogni rappresentazione. L’essere come Ereignis è il tutt’altro eccedente rispetto ad ogni rappresentazione, è il tutt’altro che Heidegger chiama anche “ultimo Dio” come quel Dio che non è più concettualizzabile metafisicamente, non è più rappresentabile, non può più rivelarsi. L’ultimo Dio è radicalmente diverso dal Dio del- l’ontoteologia, dal Dio della metafisica, ma anche dal Dio della religione cristiana. In effetti, ha rilevato Cacciari, la differenza dei Beiträge rispetto a Sein und Zeit consiste nel pensare l’apertura non più come un semplice progetto dell’uomo, ma come possibilità offerta all’uomo dall’Ereignis stesso. Bisogna cioè appartenere all’Ereignis perché l’uomo possa aprirsi. I Beiträge sono il testo in cui si sviluppa in maniera più radicale la critica dell’ontoteologia. Secondo lo schema heideggeriano possiamo constatare nella nostra tradizione tutta una serie di differenze di tono all’interno della proposizione fondamentale che considera l’arché, l’inizio, come Ente, la cui straordinarietà rispetto agli enti consiste nel fatto che questo Ente è causa sui e coimplica in sé la totalità degli enti. E’ cioè, in termini heideggeriani, dimenticanza dell’Essere rispetto all’Ente. Ma questa posizione del discorso heideggeriano è, secondo Cacciari, ulteriormente problematizzabile soprattutto se la confrontiamo con la tradizione neoplatonica, secondo la quale il problema non riguarda più la differenza tra l’Ente Sommo e gli Enti, ma tra l’Ente in generale e l’Uno. La tradizione neoplatonica non interroga più la differenza nell’ambito degli enti, del Dasein, ma la differenza tra l’Ente in generale e l’Uno. Per Plotino, ha rilevato Cacciari, il punto di confronto è la teologia aristotelica che pensa il Dio come Primo Intelletto, e in quanto Dio stabilisce l’unità tra il pensiero e il pensato. Il Dio aristotelico è dunque pensiero di pensiero, e questo primo pensiero è per Plotino identico a quello della seconda ipotesi del Parmenide di Platone, all’ “Uno che è”, in cui l’Uno è pensato identico e differente insieme all’Essere. L’ “Uno che è” è identità di pensiero e pensato, identità che risolve in sé la differenza, e in quanto tale è insieme Uno ed Essere. Per Cacciari, Plotino è dunque il primo ad indicare lo spostamento dall’indagine all’interno dell’essente all’indagine sulla differenza tra l’Uno e l’essente. L’ “UnoUno” della prima ipotesi del Parmenide è l’Uno-Bene platonico, il quale non è lo stesso dell’Essere come totalità dell’essente. Questa differenza tra Unum-Unum e Unum-Esse, ha fatto notare Cacciari, è avvicinabile proprio al tema della differenza ontologica che riguarda l’eccedenza dell’essere, nell’accezione heideggeriana, rispetto ad ogni predicazione di essenza, rispetto ad ogni ente. Il pensiero della teologia cristiana dell’arché, ha poi proseguito Cacciari, presuppone una causa necessariamente legata a un effetto; questa teologia è cioè legata necessariamente ad una rivelazione, ad una scrittura, e deve dunque pensare il principio come causa e determinarlo, rappresentarlo, proprio come indicava Heidegger. D’altra parte, fa notare Cacciari, questa teologia non può limitarsi allo schema ontoteologico, giacché se si limitasse a 50 questo, non solo determinerebbe la causa, ma la collegherebbe anche all’effetto, facendo di Dio, a-priori, un Deus sive natura, causa immanente all’effetto e rappresentabile nell’effetto; un Dio necessitato all’effetto. Ma se per la teologia cristiana non si può ammettere un Dio necessitato, questa non può che rivolgersi alla tradizione platonica, all’idea di una divinità totalmente libera dall’essere causa, anche se così facendo incorre nel problema della relazione tra Unum-Unum, l’indefinibile, e l’Uno-che è. La tradizione neoplatonica salva la differenza ontologica, ma non spiega questa relazione; la tradizione cristiana invece corre il rischio opposto di spiegare profondamente la relazione tra causa ed effetto, ma di perdere la differenza. Cacciari ha rilevato come queste due tradizioni siano continuamente intrecciate tra loro ed entrambe si interroghino sul problema dell’ontoteologia, disegnando, col problema dell’Uno e dell’Essere, un circolo vizioso. Se infatti viene posto l’UnoBene al di là di ogni predicazione d’essenza, ha osservato Cacciari, non si può considerare la molteplicità, ma si è costretti a ricorrere alla mitologia. Se viceversa l’Uno è Trinitas, pensa la moltitudine e necessita Dio all’effetto. Nella VII Lettera di Platone appare, sotto forma di mito, il problema dell’Uno, che qui viene chiamato matema, in quanto scienza che non è comunicabile in alcun modo. Si tratta di una “Cosa”, di un pragma che sfugge al logos in quanto episteme, in quanto discorso della scienza. Si tratta dunque dell’uno stesso in quanto indefinibile nella sua singolarità rispetto alla quale la ragione, l’episteme, è insufficiente. E’ il matema dell’istante e della sua paradossalità, rispetto al quale il pensiero ammutolisce e insieme lo indica nell’istante appunto in cui esso appare. A.C. Guglielmo Ferrero A cinquant’anni dalla sua scomparsa, Guglielmo Ferrero è stato ricordato a Roma e a Napoli con due Giornate Internazionali di studio (3-4-5 dicembre 1992), organizzate dall’Università Luiss, Facoltà di Scienze Politiche, e dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, grazie anche al contributo del CNR. Il convegno ha avuto come scopo non solo di tracciare - per quanto possibile - gli itinerari culturali di un intellettuale assolutamente atipico per la sua epoca, grazie all’utilizzo degli inediti conservati alla Columbia University di New York, ma anche di comporre una visione d’insieme dell’enorme produzione di lavori antropologici, storici, sociologici, politici, letterari, giornalistici di questo autore, che rimane un interessante interlocutore del nostro secolo. CONVEGNI E SEMINARI con gli insegnamenti di Agostino e Lutero, denunciando il fallimento di una teologia incapace di confrontarsi con la modernità. Sulla base di Calvino, egli può ricordare che Dio è alterità e Cristo è totalmente coinvolto: la causa del Vangelo è la proposizione di questi due aspetti, che si raccolgono nel tema della fedeltà di Dio. Il tema filosofico-teologico della crisi è presente in altri due maestri della teologia cristiana, Rahner e Bultmann, in cui il problema della modernità e dell’emancipazione, si pone al di là degli scenari deludenti dell’ideologia. Bultmann si riferisce al “primo” Heidegger e parla dell’uomo come essere posto nella decisione; Rahner, nella sua antropologia trascendentale, parte dalla rivisitazione della Scolastica per aprirsi ad un dialogo con la soggettività moderna. Bultmann, ha rilevato Forte, porta con sé l’eredità della teologia dialettica e della teologia liberale, nel tentativo di cogliere l’alterità nell’autenticità dell’esperienza esistenziale: l’essere si manifesta nell’esserci e l’esserci è possibilità di autenticità e inautenticità, come testimoniano le pagine del Vangelo. La storia, per Bultmann, non è una serie di fatti bruti, ma la possibilità di un incontro, che non è stato contemplato né dalla concezione greca dell’uomo, né dagli esiti nichilisti del pensiero contemporaneo. In campo religioso, ha fatto notare Forte, Bultmann critica l’im- missione del concetto non teologico di natura e di essenza, giacché Dio non è una forma, bensì un pungolo che ci spinge a decidere di noi stessi. Rahner parte invece da una sostanziale dedizione alla fede della sua Chiesa, ma non si accontenta di una riproposizione asettica dell’oggettivismo classico, avendo ben presente che la teologia e la filosofia contemporanee devono fare i conti con il problema della soggettività. Egli teorizza la concezione della trascendentalità come incontro tra oggettività e soggettività: l’a-priori è segno della trascendenza dell’uomo. Il complesso e fecondo rapporto tra filosofia e teologia ha condotto Forte ad un’attenta analisi anche del pensiero di Bloch; è emersa qui l’immagine di un Hegel pensatore della rivoluzione, ma anche quella di un Hegel filosofo della restaurazione. L’analisi della problematica di Moltmann ha condotto invece Forte al tema dell’escatologia e alla prospettiva della speranza come forma del pensiero: la trascendenza è la dimensione dell’incontro personale col Dio vivente perché, in ciascuno di noi, è viva l’inquietudine della promessa e dell’attesa. Il confronto tra teologia e filosofia ha indotto, infine, Forte ad interrogarsi sulle varie e intricate vie della filosofia di Heidegger, di cui non va proposta una fuorviante teologizzazione. Heidegger ha insistito sul tema dell’ascolto, che si differenzia nettamente dall’atteggiamento spe- culativo di un Occidente segnato dall’oblio del senso dell’Essere: nella dimensione dell’ascolto non si tratta di rinunciare alla domanda, ma al protagonismo della domanda, consentendo al linguaggio di divenire dimora dell’Essere. L’Essere si dice nel linguaggio, perché l’evento del dire originario è composizione ed amore, glorificazione e lode. Il rifiuto della teologia in Heidegger, ha osservato Forte, è legato alla constatazione che la stessa dimensione teologica non ha saputo resistere alla violenza di spiegare l’essere con l’ente, l’alterità con l’identità. D’altra parte, l’impostazione teologica autentica, in quanto ermeneutica, è consapevolezza dell’alterità e della differenza: la teologia può anche essere vicina alla consapevolezza dell’impossibilità di scambiare l’ente con l’Essere, alla coscienza che l’Essere non va dominato, ma accompagnato. Inoltre, per Heidegger, la poesia è luogo di un avvento che non si estingue neppure nel tempo della povertà e della notte del mondo; tale tensione ontologica trova riscontro in due tappe fondamentali del pensiero teologico, quella dello Pseudo-Dionigi e quella di Lutero, in cui vive profondamente il senso di un approccio diverso al Divino e al linguaggio. F.deC. Pensiero e verità in Adorno Con il titolo PENSIERO E VERITÀ NELLA DIALETTICA DI T. W . ADORNO , si è svolto a Chieti nei giorni 22 o 23 aprile 1993, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, una conferenza organizzata dai Cattolici Popolari con la partecipazione di Massimo Nardi, autore del volume: PENSARE NELLA VERITÀ. L’ITINERARIO DELLA RAGIONE DIALETTICA IN TH. W. ADORNO (Ed. Studium, Roma 1993). La conferenza si è articolata in due momenti, il primo dei quali è stato dedicato all’approfondimento del problema della conoscenza e della verità, col delinearsi del rapporto tra soggetto ed oggetto alla luce di tre componenti fondamentali, che Massimo Nardi individua nel pensiero di Adorno, vale a dire quella fenomenologico-trascendentale, quella linguistico-ermeneutica e quella esistenzialistico-dialettica. In secondo luogo l’attenzione è stata rivolta al rapporto controverso di Adorno con Kierkegaard, rapporto caratterizzato da un forte contrasto critico, in termini teoretici, a cui corrisponde una sostanziale dipendenza genetico-strutturale tra i due autori. Sempre in relazione alla tematica gnoseologica è stata messa in evidenza la portata antropologica dell’originale definizione che Adorno dà dell’io umano: insieme di logos e mimesis. E’ da questa connessione originaria che scaturisce il legame fondamentale tra filosofia ed arte e la possibilità di uscire dalla contrapposizione di dogma- Karl Barth 49 CONVEGNI E SEMINARI Karl Rahner, Ernst Bloch siano solo un contenitore, prive di contenuto proprio; dall’altro un’attrazione, che fa da “contrappeso”, per i testi originali, per quanto fittizi, come quelli di Ossian. A proposito di stratagemmi di traduzione, Yves Hersant ha ricordato il dibattito in Francia sul “nome” del traduttore (XVI secolo). Nel momento in cui, uscendo dalla pratica anonima del Medio-Evo, il traduttore acquista una sua “identità”, egli fa in qualche modo pagare all’autore la sua identità per procura: la figura ricorrente del traduttore è in quest’epoca quella del servitore fedele pronto a ribaltare il ruolo di dipendenza. Uno sguardo più attento ai problemi contemporanei della traduzione ha preoccupato altri relatori: Georgy Katzarov, traduttore in bulgaro di Derrida, si è pronunciato sul “nome tradotto”, sui rapporti conflittuali e di scambio reciproco fra traduttore e autore; Vladimir Trendafilov si è espresso sui “collages” postmoderni e sui reciproci “furti” fra le lingue, evocando una soglia di traducibilità feconda sulla “medesima linea di differenza”; Karel Thein ha analizzato il testo di Benjamin sui compiti del traduttore; André Lyotard-May ha testimoniato delle difficoltà della ricezione di Freud nell’America puritana. F.M.Z. Tratti del moderno tra filosofia e teologia Dal 22 al 26 marzo, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, si è tenuto un seminario condotto da Bruno Forte sul tema: FIGURE E MOMENTI DEL DIALOGO “MODERNO” TRA FILOSOFIA E TEOLOGIA, in cui, attraverso l’opera di autori come Barth, Bultmann, Rahner, sono stati messi in evidenza i problemi di un dibattito culturale, che permette di comprendere molti dei tratti salienti del nostro tempo e delle inquietudini del mondo contemporaneo. Uno dei pensatori più significativi della modernità, anche in campo teologico, è certamente Hegel, che in nome di una rivisitazione del pensiero cristiano individua il carattere della filosofia nel desiderio di totalità, dispiegamento della ragione e dell’Assoluto. Hegel, ha notato Bruno Forte, parla di Dio come spirito e riconciliazione della coscienza; la manifestazione progressiva dell’Idea, fino allo Spirito Assoluto, è il cammino di Dio. Diversamente da quest’impostazione, Barth vive invece profondamente l’esperienza della totale alterità di Dio, rinvenendo una via nuova per scoprire l’umanità di Dio nella divinità del Cristo. In Barth, ha osservato Forte, è presente il problema della “crisi” epocale novecentesca, contrassegnata dalle crepe del mondo liberale e dalla doloro48 sa esperienza della guerra mondiale. Barth comprende la difficoltà di cogliere le direttrici del cambiamento, soprattutto perché l’uomo contemporaneo, più che appartenere ad un tempo, vive tra i tempi e tra diverse esperienze; il problema del tempo induce alla questione del silenzio, dell’inquietudine, della nostalgia. Di fronte alle sfide epocali crolla la possibilità di un ottimismo teologico-filosofico, l’idea di una ragione che superi i conflitti. Riguardo all’idea che il cambiamento sia legato al dominio della ragione, Barth non accetta più le impostazioni della teologia liberale: le tesi di Schleiermacher e dei teologi liberali, sottomettendo l’annuncio alla ragione interpretante, finiscono per applicare il metodo di Hegel alla teologia e rendono la fede una provincia dello Spirito. Occorre, dunque, mettere in discussione la religione dello Spirito, che non cambia le contraddizioni dell’esistenza, e che pone Dio come proiezione dell’umano su un piano più elevato. Barth, ha rilevato Forte, introduce in tal senso le categorie della differenza e dell’alterità: Dio è infinitamente altro dalla finitezza; pone in crisi i valori e i concetti umani. E’ dunque necessaria una teologia del Verbo; Dio va pensato come sconosciuto e rivelato. Eppure, ha osservato Forte, il Dio totalmente altro di Barth non è lontano da noi; Egli è l’impossibile possibilità, la differenza che può anche condurre all’identità. Barth rinnova di fatto il legame del cristianesimo CONVEGNI E SEMINARI nente variabile-individuale che nella comunicazione verbale è responsabile delle variazioni all’interno del “sistema” linguistico. Ma questo punto di vista appare del tutto inadeguato a chi, come Bréal e de Saussure, affermava che la linguistica non è descrizione di forme ma è frutto dell’uomo, delle sue diversità e a lui deve ritornare. Questa stessa complessità nativa degli approcci metodologici allo studio del linguaggio è responsabile, secondo Federico Albano Leoni, della difficoltà di reperire un ruolo definito per la fonetica. E’ infatti accaduto che le diverse correnti teoriche, di volta in volta dominanti nel panorama scientifico complessivo, fossero scarsamente interessate alle manifestazioni esteriori del linguaggio e che perciò alla fonetica stricto sensu subentrassero poi la fonematica e la fonologia. Per una serie di contingenze, però, che vanno dalla rivalutazione nell’ambito dell’analisi linguistica del linguaggio parlato, alla messa a punto di tecniche e strumenti più raffinati per la rilevazione dei dati, fino alle esigenze pratiche dell’industria informatica, si è giunti ai nostri giorni a una effettiva rivalutazione dello studio fonetico. Peirce rappresenta una delle voci più autorevoli e significative del pensiero logico-matematico del nostro secolo. Massimo Bonfantini ha sottolineato la stretta contiguità teorica del pensatore americano con le problematiche dell’incomunicabilità e del valore del senso che sono rivalutate da Peirce sulla scorta dell’influenza delle Untersuchungen wittgensteiniane. Nel considerare le radici neolatine della questione linguistica, Giovanni Polara ne ha sottolineato soprattutto gli aspetti filologici e ha focalizzato l’attenzione sui problemi storico-culturali legati alla nascita della tradizione sulla scorta dei testi grammaticali del tardo impero romano. A partire dai secoli II e III d.C., l’indagine del fatto linguistico diviene esclusiva pertinenza dei retori e dei grammatici, di coloro, cioè, che consapevoli della funzionalità burocratica e politica della lingua rimangono interessati agli aspetti meramente grammaticali, più che poetici, del discorso. Di fatto, una preoccupazione di natura squisitamente filosofica sull’essenza del nome, tratto speculativo che ancora ricorreva nell’opera varroniana, ricompare solo verso la fine del VI secolo con Isidoro di Siviglia. L’analisi della parola si fa studio del significato, indagine della struttura profonda della comunicazione, e il linguaggio non viene considerato più come strumento da utilizzare, ma anche come uno scrigno di valori semantici da comprendere e da trasmettere. Ora, proprio intorno alla problematica nascita della “significatività” del discorso (quale testimonianza della messa a confronto di due parlanti, di due soggetti di langue), la riflessione di Ricoeur recupera, riallacciandovisi idealmente, il baga- glio culturale della tradizione scolastica medievale. Domenico Iervolino ha sottolineato, infatti, come la semplice datità del fatto linguistico che, per uno studioso di problemi del linguaggio costituisce un fenomeno (su cui poi stabilire una serie teorica), rappresenti già invece per Ricoeur un problema. Questionare intorno al linguaggio comporta inevitabilmente che si assuma la difficoltà del rapporto intersoggettivo: il discorso è superamento delle individualità, contatto fra le alterità, pensiero comune di identità ed alterità; non a caso, come più avanti ha notato Iervolino, un momento cruciale nella riflessione di Ricoeur è rappresentato dall’analisi del problema dell’intersoggettività in Hegel e Husserl. Il valore della comunicazione discende allora proprio da questa originaria tensione monadica che separa e isola i soggetti nelle loro individualità irripetibili, ma che li mette in questione nella loro molteplicità quando essi divengono altrettanti momenti di un discorso. Il discorso è dunque il «momento dell’incomunicabilità superata», afferma Ricoeur, ed è già una risposta al problema della comunicazione: dalla semplice messa a confronto degli unici si potrà giungere a una definizione multivoca delle individualità. Ma al Discorso Trionfante si arriva solo percorrendo una lunga strada, infinita, quasi asindoto della comprensione; ed in effetti noi ancora vaghiamo negli sterrati del “discorso militante”. M.P.R. Violenza e traduzione A Melnik, in Bulgaria, si è tenuta una tavola rotonda franco-bulgara sul tema: VIOLENZA E TRADUZIONE. L’incontro è nato come bilancio e apertura: bilancio di un gruppo di lavoro in seno al “Centre Europe” di Parigi, che si è occupato quest’anno del carattere “violento” della traduzione; apertura a dei colleghi bulgari che della violenza, in particolare ideologica e politica hanno una cognizione concreta e dolorosa. I lavori si sono svolti dal 7 al 10 maggio 1993 con il concorso dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Il termine stesso di violenza è stato al centro delle discussioni, durante le quali le posizioni si sono scontrate ma anche poco per volta “raffinate”, assottigliate. Per alcuni, violenza è termine “macroscopico”: indica le procedure di lavoro di una lingua sull’altra, le torsioni del traduttore sull’autore, le invenzioni linguistiche, che tanto cercano di essere fedeli al testo, quanto mistificano, deviano il senso. Per altri, violenza è termine “microscopico”: contrassegna la presenza di un potere che censura, manipola, 47 tace o nega. E’ la mancanza di voce e non solo la sua torsione. Sulla violenza della traduzione connessa al potere, soprattutto gli ospiti bulgari hanno portato numerose testimonianze: Stoyan Atanassov ha raccontato gli ostacoli incontrati per la pubblicazione di un’antologia degli scritti di R. Barthes; Dimiter Zachev, invece, si è occupato della traduzione di Jaspers in russo. Vladimir Gradev ha ricordato, d’altro canto, la volontà politica di “normalizzazione” dei testi in Bulgaria, centrando il suo intervento su una “cattiva traduzione” di Pascal. Ma sul nesso violenza-potere è intervenuta anche Camilla Cederna, con un intervento sulle strategie di traduzione in Sicilia, alla fine del XVIII secolo. Cederna ha ricostruito il doppio filo di attrazione e repulsione che la cultura siciliana ha intrattenuto con le lingue “straniere”, atteggiamento composito ben espresso dal motto “nutrire l’altro e divorare se stesso” con cui il popolo siciliano sembra essersi identificato. Pierre Penisson ha invece indagato le ragioni ideologiche e pregiudiziali, secondo cui la traduzione di Kant in francese fu considerata a lungo impossibile, a causa di una netta contrapposizione culturale fra la Germania, profonda e oscura, e la Francia, cartesiana e leggera. Un caso particolarmente interessante di violenza, metà giudiziaria, metà letteraria, è stato quello presentato da Guillaume Monsaingeon: trattasi di un processo intentato da Victor Hugo a Mennier che ha tradotto la sua Lucrezia Borgia dall’italiano per farne un libretto musicale. Attraverso l’accusa e la difesa viene sollevato il problema del rapporto fra teatro e opera, e sulla differenza (di stile, di pubblico, di livello) fra rappresentazione e letteratura. Della traduzione interna alla lingua si è occupato Philippe Roussin, analizzando il rapporto di Céline con la traduzione, in particolare riguardo alla tensione fra lingua morta e lingua, viva nel seno della lingua poetica. Sulla traduzione invece fra due lingue estremamente lontane si è pronunciata Viviane Alleton, specialista di lingue orientali, con un brillante intervento sulla trascrizione dal cinese al francese. Alcuni partecipanti hanno insistito sul ruolo fecondo della traduzione e della sua inevitabile violenza: tradurre nel XVI-XVII secolo, afferma Nuccio Ordine, un autore antico, cioè un “classico”, significa entrare in competizione con l’o riginale e impa dronirsi d i un’auctoritas altra per rivendicare la propria originalità. Philippe Roger ha invece individuato nell’epoca della Rivoluzione francese due tendenze contraddittorie: da un lato la parola d’ordine dell’esportazione della lingua francese e la convinzione che le lingue straniere CONVEGNI E SEMINARI noto, Benjamin contrappone all’approccio classicista, all’idea di un mondo senza turbamenti, allo sguardo solare e panoramico della totalità, la prospettiva “barocca”, connotata invece dalla Vergänglichkeit, dal senso di caducità di tutte le cose, dalla riflessione sulla morte, che trova nell’allegoria la più adeguata manifestazione della mentalità “barocca”, nel loro comune procedere e porre a tema il momento dello scacco, del naufragio, del frammento. A partire dall’equazione di Benjamin per cui «le allegorie sono, nel regno del pensiero, quello che sono le rovine nel regno delle cose», Agazzi ha concluso sottolineando in Benjamin l’assimilazione di verità allegorica e “archeologismo”. P.C. Christoph Clavius Un convegno internazionale dal titolo: CRISTOPH CLAVIUS E L’ATTIVITÀ SCIENTIFICA DEI GESUITI NELL ’ETÀ DI GALILEO, si è tenuto dal 28 al 30 aprile 1993, organizzato dall’Istituto di Filosofia dell’Università di Chieti con il contributo particolare di Ugo Baldini, autore del volume, recentemente pubblicato, STUDI SU FILOSOFIA E SCIENZA DEI GESUITI IN ITALIA, 1540-1632 (Bulzoni, Roma 1993). Il convegno è nato dal proficuo rapporto di collaborazione internazionale tra le Università di Chieti e Bamberga, dove nacque Cristoph Clavius. L’avvio ai lavori è stato dato dalla relazione di E. Pastine che ha evidenziato l’eredità dell’umanesimo nella cultura gesuitica, mostratasi una forza religiosa altamente riformatrice. A riferire sulle innovazioni della cosmologia dei gesuiti nella Rosa Ursina di Scheiner, si è presentato C. Dollo, che ha sottolineato la convergenza delle tesi di Galilei e Scheiner nel convalidare la regola di Agostino secondo la quale, quando vi è contrasto sui dati osservabili, è l’interpretazione del Testo Sacro che deve adattarsi ai fatti certificati, non viceversa. Le relazioni di A.Garibaldi e di S.Corradino hanno trattato rispettivamente la problematica della risoluzione della quadratrice da parte dei gesuiti e l’assiomatica euclidea nel Cinquecento. Clavius inizia infatti un’opera di riorganizzazione e liberazione della matematica euclidea dalle “strettoie” dell’antefatto letterario, nel rispetto della specificità scientifica, ristabilendo definitivamente l’avvio assiomatico della deduzione geometrica. C. Casadio ha parlato della risolubilità delle prove matematiche in sillogismi nell’opera di Clavius e nella filosofia della matematica tra Cinquecento e Seicento ed ha riproposto la tesi di Clavius dell’inutilità di ridurre in forma sillogistica le dimostrazioni matematiche. G. Lucchetta ha invece in- dividuato tracce di platonismo e di aristotelismo nella filosofia della matematica di Clavius, sottolineando l’abuso che molto spesso si fa dei due termini. Delle fonti medievali dell’ontologia di Suarez ha parlato L. Gentile, che ha spiegato le due modalità dell’analogia, quella di attribuzione e quella di proporzionalità; quest’ultima ritenuta da Suarez poco idonea, perché include qualità metastoriche. L’analogia è propria in primo luogo del concetto di ente, per cui Dio è ente per essenza e le creature per partecipazione. La relazione di P. Casini ha delineato la complessa personalità del gesuita Tiraboschi ed il suo contributo per il progresso della scienza. Nella Storia della letteratura, Tiraboschi si è ispirato agli enciclopedisti francesi; pur esaltando la genialità di Galileo, Tiraboschi fa notare la testardaggine del pisano nel pretendere il riconoscimento ufficiale delle proprie teorie e nell’ammettere la fallibilità del tribunale che lo condannò nel 1633. Dopo aver ricordato il contributo di padre Clavius alla riforma del calendario, l’astronomo J. Casanovas ha sottolineato l’impegno dei gesuiti nella promozione dell’insegnamento dell’astronomia o della matematica. Clavius non riscrisse mai completamente le sue opere, però lasciò un folto gruppo di discepoli ben addestrati alla ricerca scientifica. Tra i relatori stranieri H. Enszenberg ha parlato del rapporto società-religione nel ‘500 e ‘600 a Bamberga, mettendo in luce le deficienze dell’egemonia vescovile che si rivelò poco attenta alla causa cristiana. E. Knobloch ha mostrato la poliedricità della speculazione di Clavius, soffermandosi sulla tematica della quadratura del cerchio; A. Ziggelaar ha invece illustrato la corrispondenza tra diversi studiosi gesuiti europei che non ammisero la validità delle teorie di Galileo, non perché erano ideologicamente contrari, ma perché (non avendo un cannocchiale perfetto) non riscontravano la certezza empirica dei postulati galileiani. P. Tabarroni ha riferito sul ruolo della scuola di Clavius in una situazione di degrado dell’astronomia tolemaica, ridottasi ad ancella dell’astrologia giudiziaria, mettendo in luce l’esattezza del sistema ticoniano oltre a proporre la rivalutazione del Biancani, allievo di Clavius e studioso delle maree. Dei rapporti che istaurò la Compagnia di Gesù con le città in cui essa operò tra il Cinquecento e Seicento, hanno riferito diversi relatori. R. Moscheo ha messo in evidenza la precarietà culturale della Sicilia e il rapporto guardingo e poco fiducioso del matematico messinese Maurolico nei confronti dei gesuiti; A. Romano ha invece riferito sulla situazione, tra il 1560 e il 1643, della Francia, tormentata dalle guerre di religione; nel 1594 venne infatti soppresso il collegio di Parigi. Clementi ha ricordato l’impegno di Bellarmino a Acquaviva per l’istituzione di collegi gesuiti 46 a l’Aquila, superando l’opposizione dei signori aquilani. A Napoli invece, come ha riferito R. Gatto, si istaurò un buon rapporto tra la cittadinanza e i gesuiti, che mostrarono (almeno a livello teorico) molta sensibilità verso le nuove teorie copernicane anche se Clavius si mostrò, verso di esse, sempre cauto e ritenne il vecchio sistema solare il più “probabile”. I gesuiti non operarono soltanto in Europa, ma addirittura in Oriente; ad illustrare il contributo scientifico della scuola di Clavius in Cina è stato I. Iannacone, che ha riferito dell’opera dei missionari gesuiti, in particolare di Rho, Schall e Terrentius, che riuscirono a creare uno scambio significativo tra la cultura rinascimentale europea e quella cinese. Gli allievi di Clavius introdussero un tipo di sperimentazione laica, priva di dogmatismo teologico, ed il loro impegno si rivolse prevalentemente all’ambito scientifico piuttosto che a quello religioso. A.S. Linguistica, semiotica, ermeneutica Un ciclo seminariale in cinque lezioni sul tema: LA PLURALITÀ DEGLI ASPETTI LINGUISTICI. LINGUISTICA, SEMIOTICA, ERMENEUTICA, si è svolto dal 9 marzo al 6 aprile presso il dipartimento di Filosofia dell’Università “Federico II” di Napoli. Organizzata da Domenico Iervolino, che ne ha concluso il ciclo, la serie di appuntamenti settimanali ha visto alternarsi docenti e studiosi di diversa formazione scientifica, da Rosanna Sornicola e Federico Albano Leoni, a Giovanni Polara, a Massimo Bonfantini. Nel sottolineare la sequenza di discontinuità che definisce la pluralità strutturale dello studio del linguaggio, Rosanna Sornicola ha puntualizzato le difficoltà oggettive che si incontrano nel tentativo di tradurre reciprocamente modelli linguistici afferenti alle diverse discipline scientifiche e, richiamandosi alla distinzione chomskyana tra adeguatezza descrittiva e adeguatezza esplicativa, ha posto l’accento sulla sostanziale incompatibilità della modellistica teorica con l’oggettualità “bruta” del fatto linguistico. E’ tuttavia possibile rintracciare una seria problematica comune all’interno delle diverse teorie che, sicuramente, presentano una divergenza fondamentale nella descrizione linguistica, ma che condividono però un obiettivo epistemologico unico, quello di fornire una buona descrizione di una lingua. Ora è chiaro, ha osservato Sornicola, che uno strutturalista, sulla scorta di Bloomfield e Mathesius, darà rilievo soprattutto alla forma linguistica per spiegare le ragioni e le economie di funzionamento del linguaggio, trascurando con ciò la compo- CONVEGNI E SEMINARI Il moderno di Benjamin Si è svolto a Milano nel marzo 1993, presso la Casa della Cultura, un dibattito, coordinato da Marina Calloni, sul tema: WALTER BENJAMIN. LO SPAZIO DELLA MODERNITÀ, con la partecipazione di Elena Agazzi, Gianfranco Bonola, Giuliano Della Pergola, Ubaldo Fadini, Ugo Perone. L’incontro, come ha ricordato Marina Calloni che lo ha organizzato e coordinato, ha inteso focalizzare due zone differenti, interessate dalla riflessione di Walter Benjamin: quella degli scritti di filosofia della storia, in qualche modo legati a Angelus novus, e quella costituita dalle teorizzazioni estetiche riferite all’ambiente urbano. Gianfranco Bonola (“Metafore di salvezza”) ha focalizzato le tesi benjaminiane relative alla filosofia della storia, sottolineando in esse il legame intercorrente fra la riflessione più propriamente filosofica e i testi di carattere “narrativo”. La storia, più che materia di scienza, è oggetto di “rammemorazione”, e ciò vieta di poterla pensare prescindendo da una dimensione teologica. Quest’ultima diventa così una sorta di nuovo inquadramento, in funzione ancillare e insieme direttiva, del materialismo storico. Tra un determinato presente, e altrettanto determinati segmenti di passato, si stabiliscono, per il materialista storico, nessi che fanno di presente e passato significanti reciproci, per cui solo alcuni passati sono significativi per alcuni presenti, e viceversa. E’ così che il passato viene “redento”, strappato com’è, prima ancora che all’oblìo, a una considerazione museale, ovvero alla sua fruizione sotto le spoglie dell’ “eredità”. La funzione redentrice del presente nei confronti del passato, cioè la funzione della prassi storica della classe operaia, distingue per Benjamin l’autentico materialista storico dal socialdemocratico positivista. Per questo Benjamin privilegia, nella considerazione storica, il motivo del “salto”, la discontinuità, l’intermittenza, la contraddizione. L’ “attualizzazione” (Jetztheit) ha valore, dunque, solo in una prospettiva funzionalizzante rivoluzionaria; d’altro canto, ha sottolineato Bonola, tale attualizzazione è possibile solo ipotizzando una giustizia superiore, trascendente, o “redentrice”, rispetto al presente da cui si parte. In un medesimo ambito di riflessione, Ugo Perone (“Redenzione del moderno”) si è soffermato sul nesso-tensione tra materialismo storico e teologia, proponendo la metafora del manichino giocatore di scacchi, il materialismo storico, i cui fili sono mossi da un abilissimo nano nascosto, la teologia. L’intreccio, ha sottolineato Perone, è inscindibile, non resolubile nei termini di una distinzione di aspetti, né tantomeno in quelli di una successione di fasi all’interno dell’evolversi della riflessione benjaminiana. Questi due aspetti sono in realtà reciprocamente escludentisi, negantisi: il materialismo storico intende “assorbire” la teologia, risolverla in sé; ma il momento del riscatto qualifica teologicamente, e rovescia, il materialismo medesimo, messianizzandolo. La fedeltà alla storia costringe d’altra parte nell’immanenza, come solo orizzonte del riscatto, il messianismo ebraico; quest’ultimo si connota così non come compimento ma, al contrario, come frammentazione, come rottura della continuità, come arresto del movimento della storia. Contro Marx, la società senza classi, o il Messia, non arrivano alla fine della storia, al termine del suo sviluppo, ma si qualificano invece come loro rottura, loro interruzione. Il messianesimo è un riscatto della storia e dalla storia; ma tale riscatto può avvenire solo nella storia. Partendo dal concetto di esperienza, Ubaldo Fadini (“I luoghi comuni di Benjamin”) ha preso in considerazione la svalutazione di questo concetto nella prospettiva benjaminiana, in cui l’ “esperienza” è intesa come patrimonio, eredità del passato. La tecnica, mentre getta l’uomo in un’opprimente povertà, in quanto lo priva del sostegno dell’esperienza, al contempo lo arricchisce, in questa povertà, di un’altrettanto opprimente ricchezza, ampollosa di false idee e false speranze. Quanto più l’esperienza non si collega (e non ci collega) più a un patrimonio culturale, quanto più si è, in questo senso, poveri di esperienze - sia private, sia “politiche”, riferite cioè all’umanità in generale - tantopiù si cerca rifugio nella dispersione, nel guazzabuglio, nel barocchismo. Nasce così, e va superata, la fase, peraltro necessaria, della “nuova barbarie”, intesa come annientamento dei resti soggettivi, delle scorie immaginali (ovvero, marxianamente, “ideologiche”), distaccate dalla corporeità reale, quali le nozioni di “uomo interiore”, “psiche”, “individualità”, e così via. Laddove, per converso, l’azione reale produce l’immagine, ed è quest’immagine, non c’è posto per le scorie immaginali, per la menzogna, per l’ideologia; resta il corporeo, la fisicità che si realizza nella tecnica, nell’oggettività, dove corporeità e attività immaginale si compenetrano. La tecnica diventa protesi di uno spazio corporeo collettivo che produce il proprio spazio immaginale. Giuliano Della Pergola (“La Parigi di Benjamin”) ha ricordato le riflessioni benjaminiane contenute in Parigi capitale del XIX secolo, dove la capitale francese viene interpretata come luogo privilegiato dell’affermarsi della modernità nell’Ottocento. Le teorizzazioni di Benjamin hanno, insieme, la caratteristica di riflessione estetica e politica, come individuazione delle forme di sviluppo della metropoli, nel momento in cui essa si evolve dal localismo al cosmopolitismo. L’essenza del cosmopolitismo, che è cifra della modernità, consi45 ste in quel processo di fatuità di cui la metropoli è spazio principe: consiste nella sovrabbondanza, nell’apparire contrapposto all’essere, nell’ostentatività, nella moda, che è «la ricerca sempre vana, spesso ridicola, talvolta pericolosa, di una superiore bellezza ideale». Dal punto di vista antropologico la vita viene strutturata dalla velocità: la conoscenza diviene essenzialmente strumentale, rimane al livello dell’informazione. Il tipo di sapere dell’uomo metropolitano è finalizzato alla comunicazione: non è un sapere per sé, ma un sapere “per altri”, ripetitivo e massivo. Relativamente a Parigi, Benjamin ha come obiettivo polemico la ricostruzione ottocentesca attuata da Haussmann, che ripensò una metropoli dell’ordine e della geometria urbana. Fu attuato, nel contempo, un riordino sociale attraverso una selezione antropologica improntata alla razionalità pianificatoria, tipica caratteristica dei ceti emergenti post-rivoluzionari, e all’odio profondo per l’individualità. In un’accezione tipica della Scuola di Francoforte, nel progetto urbanistico di Parigi si manifesta per Benjamin la “dialettica della razionalità”: un progetto geometrico che scompare come senso generale, per riemergere solo come aggregato di funzioni urbane manipolate. Nella società di cui la Parigi ottocentesca è prefigurazione, l’individualità diventa un feticcio, privata di un autentico rapporto con la realtà, ricacciata nella dimensione onirica. Parigi medesima diventa, ha sottolineato Della Pergola, il prodotto onirico di un’individualità schiacciata in esso: dal sogno della città imperiale di Napoleone III alla Parigi delle fogne è possibile parlare di una città sognata che si sovrappone a quella reale; un sogno che racchiude l’Arco di Trionfo e le cloache. Elena Agazzi (“Walter Benjamin: verità del frammento e culto delle rovine”) ha infine incentrato il proprio intervento a partire dalla polemica che Benjamin ingaggia nei confronti del mondo classico, e dal suo rapporto con la figura di Winckelmann. Agazzi rileva un’ambivalenza fra la netta condanna espressa nei confronti del classicismo, dove Benjamin vede rilucere la falsa apparenza della totalità, e il più sfumato giudizio su Winckelmann, nel cui approccio estetico il filosofo tedesco individua invece l’emergere delle istanze, totalmente aclassiche, del frammento e dell’espressione allegorica, riguadagnata alla dignità di espressione artistica, con valenza “gnoseologica”, al di là del suo mero aspetto di tecnica. Benjamin si richiama esplicitamente alla componente “rinascimentale” dell’opera winckelmanniana, quando evidenzia il carattere euristico e “poietico” dell’allegoria: l’allegoria insegna all’artista a inventare, al di là e contro l’atteggiamento mimetico che contraddistingue, invece, l’approccio classicista. Quest’ultimo si instaura a partire da uno sguardo simbolico, che si esplica sotto gli auspici del mito. Come è CONVEGNI E SEMINARI Walter Benjamin nella Bibliothèque Nationale a Parigi (1937) 44 CONVEGNI E SEMINARI sazione dei confini della discussione filosofica sull’etica, Magri si è soffermato in primo luogo sulla registrazione dell’esclusione, in questo fascicolo di “Paradigmi”, della prospettiva analitica, ad eccezione di un saggio. Si tratta di una scelta che, per Magri, può essere in qualche modo discussa indicando le ragioni di un’ “etica” analitica come soggetto del dibattito filosofico-morale contemporaneo. Quattro “ambiti” o “aree” di impostazione analitica, hanno compiuto notevoli sviluppi nella discussione della moralità. In primo luogo, le discussioni sul significato del linguaggio morale, sui modi in cui si possono formulare e difendere linguaggi morali; si è passati qui da una visione atomistica di discussione dei singoli enunciati morali ad un approccio molto più ampio e più radicale, con una crescita dell’oggetto della metaetica nel campo più importante degli esami dei procedimenti di costruzione e di controllo di argomentazioni di più singoli enunciati e addirittura di intere teorie morali. In secondo luogo, un passaggio di filosofi analitici dalla semplice analisi logico-linguistica ad un altro tipo di analisi dichiaratamente metafisico. In terzo luogo, il convincimento che in filosofia morale si può aspirare a giungere a delle conclusioni normative, a delle vere e proprie prese di posizione. Da ultimo lo studio del rapporto tra norme morali ed azioni. I problemi dell’etica sono problemi che devono essere affrontati e definiti sulla base di una costruzione teorica razionale fortemente controllata; è proprio in tale prospettiva che la nuova filosofia analitica offre uno sfondo di discussione. Per Arnalo Petterlini vi è una convinzione che fa da sfondo e che collega i contributi presenti nel fascicolo monografico Paradigmi: il venir meno di una realtà assoluta in campo etico, non solo rende problematico il “tu devi”, ma carica l’uomo stesso del peso e della responsabilità delle proprie scelte. Oggi assistiamo molto spesso ad un richiamo all’etica della solidarietà e al collegamento tra la negazione dell’assolutezza da un lato e l’assunzione di responsabilità dall’altro. Si è pervenuti a dire, ha osservato Petterlini, che la morte di Dio è il prezzo più o meno elevato per l’autentica emancipazione dell’uomo. Se la garanzia teologica o metafisica è venuta meno non si può che assistere al dispiegarsi dell’effettualità, dell’indifferenza; assistere a quello che è stato detto il “politeismo dei valori”, secondo cui per ognuno sono sacri i propri valori, non solo, ma la realizzazione di un valore nella prassi è ottenuta contro altri valori. La prassi si rivela, così, come il luogo dell’intolleranza, il luogo della violenza, nel senso che l’impossibilità di determinare in maniera decisiva il valore della scelta comporta, per ciò stesso, l’impossibilità di determinare il disvalore delle scelte opposte: la violenza è il necessario appannaggio del problema della condizio- ne umana, in quanto conseguenza di un impossibile fondamento teorico. Ciò che si realizza con la determinazione di un valore è un puro fatto, che si impone, che prevarica. Se il luogo dell’etica, della prassi è il luogo della violenza si tratta allora, ha ribadito Petterlini, di collocarvi, ove è possibile, una ragione pratica, intesa in termini contemplativi, come una regola del gioco utile anche se non vera, utile sino a quando non prevarranno altre regole e altri giochi. Augusto Ponzio ha proposto di ricercare una specie di filo conduttore della raccolta di saggi nella domanda: «C’è ancora tempo, c’è ancora spazio per l’etica nella cultura contemporanea?» Ma se il tempo non è il tempo lineare, continuo, il tempo di Kant, di Hegel, della predizione, della filosofia della storia, ma è il tempo della rottura, della divisione, della discontinuità: «C’è ancora spazio per l’altro? C’è ancora spazio per la politica?» Nel fascicolo di “Paradigmi” la temporalità è tematica esplicita del saggio di Giuseppe Barletta (“La vertigine del cominciamento. Congetture (meta) etiche sul tempo e la morale”), che sembra paradigmatico della lettura di Ponzio proprio perché sottolinea la discontinuità della situazione storica dell’ Homo temporalis come essere vacuo; la nascita e dall’altra parte la procreazione come momento di separazione tra due tempi, il procreante e il procreato, che malgrado la loro connessione, sono in due tempi completamente separati, per cui il tempo è quello della discontinuità, apre immediatamente al problema dell’alterità e dunque al problema della responsabilità e quindi al tema della comprensione. Questo nesso tra temporalità, alterità, responsabilità si ritrova con implicazioni pedagogiche nel saggio di Bertolini La crisi della contemporaneità: possibilità e limiti dell’etica e della pedagogia. L’etica come obbligo di trascendere il presente, che è un’altra versione della dimensione temporale, è uno dei temi del saggio di Franco Bianco, Complessità dell’agire e sua comprensione. Un altro saggio importante, in tale prospettiva, è quello di Giovanni Cera, Agire razionale e agire morale. Sulla coalterità come fatto e come valore, dove si parte dal comprendere, collegandosi con il significato dell’esserci come poter-essere, che in quanto tale è apertura, trascendenza, progetto, distinto dalla semplice presenza chiusa, rappresa. Se l’essere dell’esserci è un poter-essere, comprendere è quindi comprendersi. Nel saggio di Ferruccio De Natale si evidenzia che l’epoché husserliana non è un fatto gnoseologistico, ma è un fatto prettamente etico. L’epoché rappresenta la fuoriuscita dalla continuità spazio-temporale e la possibilità di immaginare e di comprendere spazi diversi. Quello di Mario Manfredi è un saggio incentrato sull’altro, sulla responsabilità, sull’apprensione per l’altro, sulla paura per/dell’altro connessa alla tem43 poralità come futuro. Nel saggio di Sergio Moravia, Esistenza, etica e complessità ritorna la problematica della discontinuità temporale, là dove l’autore mostra come all’interno dello stesso individuo, dello stesso io ci sia una molteplicità di io; si delinea così all’interno del singolo una discontinuità temporale, che pone all’interno dello stesso io la domanda dell’alterità. Infine, la problematica della temporalità si piega in quella de La scelta, che è il titolo del saggio di Giuseppe Semerari. La temporalità della scelta concerne il suo rapporto con la necessità, non ci può essere scelta se c’è soltanto una libertà. Il rapporto tra necessità e libertà è di natura temporale. Franca Pinto Minerva è intervenuta sul “bisogno dell’etica” nella società contemporanea, che è società aperta al possibile per tutti, caratterizzata dalla comparsa sulla scena di nuovi soggetti di diritto e da un ampliamento di riconoscimento di diritti e dalla possibilità per tutti di intraprendere percorsi di autoaffermazione; ma che contemporaneamente è il teatro della negazione di diritti, dell’espansione della violenza. E’ intorno al tema della differenza e dei diritti della differenza, ha osservato Pinto Minerva, che si pone per la pedagogia il problema dello spazio dell’etica. In tale prospettiva la pedagogia si presenta come un discorso antinomico, un discorso di fini ma anche di mezzi; di fatti ma anche di valori; di analisi ma anche di progetti per costruire il futuro. Il discorso dell’etica in pedagogia è, da una parte, quello di una ridefinizione continua dei fini dell’educazione. Dall’altra parte, la parola etica si carica in pedagogia di significato empirico, perché il problema non è solo quello di individuare le dimensioni del possibile, ma è anche quello di attivare realmente dei comportamenti etici che devono diventare fatti nella prassi di ciascuno. Le sollecitazioni derivanti dall’etica per la pedagogia riguardano l’esclusione di qualsiasi monocentrismo, antropocentrismo, logocentrismo, bloccocentrismo e il riconoscimento di una ragione problematica e pluriculturale. Giuseppe Semerari, direttore di “Paradigmi”, ha concluso il dibattito soffermandosi sulle caratteristiche della rivista che più la caratterizzano: la dimensione pluralistica e il rifiuto di ogni prospettiva “orto-scolastica”. L’inserimento e la dimensione locale è sempre stata complementare ad una apertura nazionale e ad una collaborazione con studiosi di altre culture, di altre nazioni. Infine Semerari ha ricordato il significato “celebrativo” di questo fascicolo monografico con il compimento, nel 1992, del primo decennio di vita della rivista, rendendo giusto ringraziamento al coraggio imprenditoriale dell’editore Nunzio Schena il cui impegno organizzativo si è rivelato essenziale per la vita della rivista. F.R.C. CONVEGNI E SEMINARI base di ciò che essi ci raccontano. La traduzione diventa allora un operazione fondamentale perché in questo modo ci sforziamo di rendere ciò che i nativi dicono di se stessi in un idioma differente da quello che essi usano. Molti antropologi descrivono la loro attività come traduzione di un’altra cultura - dei suoi segni e dei suoi simboli - nella nostra lingua e nella nostra forma di vita; io arrivo addirittura a sostenere che il modo con cui la traduzione è concepita e realizzata sia il vero nocciolo dell’antropologia. D. Un presupposto fondamentale del suo approccio alla realtà dei nativi è quello di considerarla come un testo da decifrare. Il suo collega Kevin Dwyer ha definito questa strategia interpretativa una sorta di contemplative pattern e ad essa ha contrapposto il pattern of dialogical fieldwork, che considera il momento discorsivo sul campo, con le sue dinamiche interattive, più adeguato per la comprensione dell’Altro, pur nella consapevolezza dei limiti di ogni operazione interpretativa. R. Questa discussione con Dwyer dura da parecchio tempo e non sono d’accordo con il suo punto di vista. Ritengo infatti che l’interpretazione del testo - di qualsiasi tipo di testo - sia molto attiva e la distinzione tra i due modelli non sia valida. Il metodo di lavoro che sviluppa Dwyer, e che mi sembra interessante, consiste nella costruzione del testo antropologico in base all’interazione dialogica con l’informatore; ma sinceramente non vedo in che cosa si distingua specificamente dal mio tipo di lavoro. Anch’io faccio quello che fa lui; ovvero parlare con i nativi, cercare di capirli, di comunicare e di costruire un testo che descriva la loro realtà. Tuttavia Dwyer pensa che la rappresentazione di un incontro basato sul dialogo consista nella pura e semplice registrazione di esso, mentre ciò richiede necessariamente un’interpretazione, contro la presupposizione che di per sé la registrazione sia più reale e diretta. In ogni caso sono convinto che l’interpretazione sia necessariamente limitata e che non sia possibile né per mezzo del dialogo, né con altri strumenti catturare pienamente l’esperienza altrui; ciò che possiamo fare è di fornire un’interpretazione dotata di senso sulla base delle differenze tra la nostra forma di vita e quella dei nativi. D. Lei ha ribadito con forza di essere contrario alle generalizzazioni affrettate e all’individuazione di categorie e sistemi classificatori astratti. Tuttavia, vi sono criteri teorici in base ai quali ha condotto le sue ricerche e le sue comparazioni? R. Sono d’accordo che vi siano comparazioni che si possono fare; anzi, uno dei motivi per cui ho fatto la scelta di studiare la realtà del Marocco, dopo il mio soggiorno in Indonesia, è stato proprio di indagare un’altra società plasmata dalla tradizione islamica, riservandomi quindi la possibilità di individuare sia le affinità che le differenze. Questo confronto non l’ho limitato esclusivamente al campo della religione, ma l’ho esteso ad altri campi, quali l’economia e il sistema politico. Il mio modo principale di procedere nelle generalizzazioni è di fare un assiduo avanti-indietro tra i due oggetti di studio e di costruire una sorta di struttura di comparazione, in modo da riuscire a parlare di entrambe le realtà, tenendo conto dell’individualità di ciascuna ed evidenziando il tipo di rapporto che può essere istituito tra di esse. E’ un tipo di generalizzazione delimitata in base all’incrocio di diversità ed analogie, per cui ho sostenuto che il sapere antropologico si costituisce in tal senso come local knowledge. Faccio un esempio per chiarire questo concetto: il confronto tra il Marocco e l’Indonesia mette in evidenza come una religione - essenzialmente la medesima religione possa assumere una specifica fisionomia in una realtà sociale rispetto all’altra. In primo luogo, il Marocco è un paese quasi totalmente islamico, mentre in Indonesia accanto all’islamismo coesistono differenti altri riti e strutture religiose. Inoltre, per i marocchini l’islamismo è la base tradizionale costitutiva della loro società, mentre per gli indonesiani quella religione è arrivata ad insediarsi relativamente tardi, per cui i primi sono prevalentemente preoccupati di difendere la loro tradizione a differenza dei secondi, più inclini ad adattare e conciliare l’islamismo con il contesto storico precedente. Se qualcuno trascura o attenua queste differenze, che si estendono oltre il campo prettamente religioso, finisce per operare generalizzazioni troppo astratte e superficiali. D. Lei ha indicato strade nuove di ricerca con la sua proposta di un’ “antropologia interpretativa” ed ha prospettato un incontro tra antropologia e filosofia. Per il futuro della sua ricerca ritiene più importante lo sviluppo dei suoi rapporti con i filosofi o con gli antropologi? R. Certo, la mia è una strada di ricerca possibile e promettente, anche se non posso sbilanciarmi nel dire che sia del tutto nuova, perché in realtà è stata indicata già da altri prima di me. Su certe direttrici è possibile, a mio parere, procedere ulteriormente, studiare culture diverse, raccogliere serie di interpretazioni e collegarle l’una con l’altra, è quanto stanno già facendo molti degli antropologi contemporanei. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, non voglio operare una distinzione, in quanto qualsiasi antropologo deve tenere rapporti con i suoi colleghi per reciproci scambi di lavoro; ma devo ammettere che le intenzioni e gli obiettivi dell’antropologia sono fondamentalmente filosofici, per questo intendo mantenere stretti rapporti con i filosofi. Ritengo tuttavia importante lavorare sia con gli uni che con gli altri, senza discriminazioni, e, personalmente, ho cercato di stabilire sulla base di analisi e ricerche antropologiche alcune posizioni filosofiche nello studio delle relazioni all’interno delle culture e tra le differenti culture. 42 Lo spazio dell’etica Per iniziativa dell’Accademia Pugliese delle Scienze il 27 aprile 1993, nell’Aula Magna dell’Università di Bari, ha avuto luogo una Tavola rotonda, coordinata da G. Dotoli e da Francesco Tateo, per la presentazione e discussione del fascicolo monografico n. 31 della rivista “Paradigmi”, dedicato al tema: LO SPAZIO DELL’ETICA NELLA CULTURA CONTEMPORANEA. Sono intervenuti, F. Tateo, D. Bigalli, T. Magri, A. Petterlini, F. Pinto Minerva, A. Ponzio. «C’è spazio per l’etica nella cultura contemporanea?» L’etica non si risolve nella politica, nell’economia? Non è ancora scomparsa come principio dell’azione? Non si è ridotta ad un oggetto della storia della cultura? Francesco Tateo ha considerato i diversi saggi presenti in “Paradigmi” come risposte a tali questioni. Riprendendo le argomentazioni della Presentazione del fascicolo a cura di Giuseppe Semerari, Tateo ha indicato le ragioni storiche che fanno dell’etica il banco di prova della filosofia e le difficoltà in cui si imbatte la scienza condizionata dal persistere di reazioni nichilistiche e conferme dogmatiche. La riflessione etica, ha osservato Davide Bigalli, si trova in un bilico tra una specializzazione tecnico-disciplinare e uno spazio che fa riferimento ad una generalità. Da un lato, si delinea un’etica in situazione, che porta alla riflessione, a saperi particolari, alla disseminazione dell’etica nelle etiche (questo è un prezzo che il moderno sta pagando). Dall’altro lato si tende a considerare l’etica non “disseminata” come qualcosa che appartiene al passato, come una metanarrazione. L’esaurirsi di una figura dell’attività filosofica non significa, immediatamente, per Bigalli, il venir meno dell’esigenza di totalità. Forse si sta assistendo ad una dimissione del grande spazio dedicato all’etica all’interno della storia della filosofia, che va dal Rinascimento a Cartesio, sino al bon ton seicentesco, settecentesco, fino alle grandi pagine da Kant a Husserl, che si caratterizzano soprattutto come etica nei termini di una scienza dei costumi, come progetto, quindi, di umanizzazione dell’uomo e ridefinizione moderna del magnum miraculum della scienza occidentale. Il dramma dell’etica e della filosofia è la dialettica irrisolta tra il filosofo come “spettatore disinteressato” e il filosofo come “funzionario dell’umanità”. Tito Magri ha invece sottolineato come nella cultura filosofica contemporanea, proprio lo spazio dell’etica è tanto più esteso di quanto non fosse nei decenni trascorsi, così da essere, probabilmente, uno dei pochi spazi rimasti autonomi. Nello stesso tempo si tratta di uno spazio estremamente complesso, che si configura con aspetti di tendenziale contradditorietà. Come elemento di integrazione e di preci- CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI ‘A fatto compiuto’: l’antropologia culturale di Geertz Per il ciclo di lezioni “Questioni del tradurre” il Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena ha organizzato il 21 maggio 1993 una lezione di Clifford Geertz dal titolo: RIFLESSIONI SULLO STUDIO DELLA CULTURA. A FATTO COMPIUTO, in cui il noto antropologo, introdotto da Maurizio Viroli, ha presentato alcuni passaggi dell’opera a cui da alcuni anni sta lavorando con l’intento di raccogliere oltre quarant’anni di esperienze di lavoro antropologico sul campo e nella discussione teorica, intervenendo su problemi fondamentali dell’antropologia culturale, come quelli della comprensione, dell’argomentazione, della verifica del punto di vista, della concettualizzazione teorica. Hanno partecipato al dibattito Silvana Borutti, Alessandro Dal Lago, Franco La Cecla, Steven Lukes. Dopo aver presentato Clifford Geertz come un cultore dell’arte dell’interpretazione, Maurizio Viroli ha richiamato l’attenzione sulla possibilità di ricercare significati, e non leggi, e di considerare l’elaborazione concettuale meno importante della comprensione dei processi di vita. Negli scritti di Geertz sono di fatto innumerevoli gli spunti che conducono in tale direzione. In primo luogo, ha fatto notare Viroli, ci troviamo sempre più a dover fare i conti con aree di ricerca per noi oscure e minacciose, che richiedono non di rinunciare al nostro punto di vista, ma di avviare un processo di interpretazione in cui i diversi parlano con la loro voce, non con la nostra. In tale situazione, non capire le differenze significa precluderci la possibilità di allargare i nostri orizzonti mentali e di diventare visibili a noi stessi: l’interpretazione delle culture risulta in tal senso un presupposto fondamentale per comprendere chi siamo noi. Per convalidare la sua nozione di comprensione in antropologia Clifford Geertz ha esordito citando una frase di Kierkegaard: «La vita è vissuta in avanti, ma è compresa all’indietro.» Ricercare in prima istanza i fatti, per poi passare all’interpretazione come effetto della configurazione degli elementi raccolti in fase di ricerca: sono questi i presupposti con cui Geertz sta raccogliendo la sua esperienze di studioso di antropologia in un opera dal titolo: After the fact (A fatto compiuto), che vuole essere nel contempo una sintesi delle sue ricerche su due paesi da molti decenni sotto la sua osservazione, il Marocco e l’Indonesia, ed una riconsiderazione riflessiva dell’antropologia come disciplina appartenente all’ambito delle scienze sociali. Il volume, suddiviso nei capitoli: Paesi, Culture, Egemonie, Discipline, Modernità, si presenterà come uno studio comparativo che a partire dall’analisi di due cittadine, Pare, che si trova a est di Giava, e Sefrou in Marocco, si sviluppa in una considerazione più allargata della cultura di questi due paesi. La domanda fondamentale a cui Geertz cerca in quest’opera di dare una risposta riguarda il problema della descrizione delle realtà assunte come oggetto di osservazione. La tentazione dello studioso della cultura è di ingabbiare la realtà nei suoi postulati teorici, costruendo modelli, processi, teorie, in base ai quali distingue stadi (Tradizionale/Moderno, Feudalesimo/Colonialismo/Nazione), individua tendenze (ad esempio: maggior individualismo, minore religiosità, benessere crescente), postula mete di riferimento (ad esempio la realizzazione dello Stato). Ciò porta, secondo Geertz, alla illusione della quiddità, alla presunzione di inquadrare le realtà osservate all’interno di boriose categorie, che occultano il lungo ed ininterrotto processo di sedimentazione che le ha formate, ovvero una sorta di paesaggio storico. Contro questa impostazione Geertz solleva forti obiezioni; il ricercatore raccoglie materiali eterocliti (storie confuse, resoconti intuitivi, collegamenti instabili, sciami di eventi e di inserti biografici) che scorrono su una superficie temporale non lineare, percorsa da correnti che ora viaggiano in parallelo, ora deviano e si separano per poi incrociarsi e dividersi di nuovo. L’esattezza, il parametro dell’oggettività, la sicurezza della verità diventano delle pure chimere. In realtà, l’antropologo è un bricoleur, che lavora ad hoc e ad interim per mostrare come elementi particolari possano essere intrecciati in una interpretazione che pro41 duce un senso: la configurazione di una certa realtà secondo un’ipotesi descrittiva resta dunque una decisione dello studioso, la cui validità dipende dalla capacità di tale configurazione di render conto di tutte le implicazioni successive e degli ulteriori resoconti destinati ad ampliare l’orizzonte rappresentativo in essa implicito. In tal senso descrivere una cultura significa caratterizzare una forma di vita, mostrarla sotto una certa luce e cercare di indurre qualcun altro a guardarla allo stesso modo, assumendosi tutte le responsabilità della prospettiva adottata. Queste posizioni teoriche rappresentano il punto di arrivo di oltre quarant’anni di studi e ricerche; Geertz ne fa il punto nel momento in cui la cultura occidentale ha radicalmente mutato il suo atteggiamento nei confronti delle altre culture e ha abbandonato la certezza della sua superiorità e della continuità dei cambiamenti in atto. Già nel corso degli anni ’50 questo processo di revisione delle relazioni tra le nostre rappresentazioni delle culture indigene e le loro realtà iniziò a svilupparsi. Parallelamente, cominciò a declinare l’immagine romantica dell’antropologo come esploratore solitario ai margini della civiltà. In questo scenario il ruolo dell’antropologo può diventare quello di voce per altre voci, di narratore di altri discorsi, i discorsi appunto “degli altri”. F.S. Alla luce di questa prospettiva Franco Sarcinelli ha rivolto a Clifford Geertz le seguenti domande in occasione della sua conferenza alla Fondazione Collegio San Carlo di Modena. D. Sulla base delle presupposizioni di Wittgenstein, possiamo definire l’oggetto dell’antropologia come una forma di vita con le sue regole, che sono di tipo linguistico. In tal senso possiamo considerare legittima l’affermazione secondo la quale la traduzione costituisce il principale mezzo di accesso all’oggetto antropologico? R. Certamente! Ritengo che la traduzione sia il principale strumento per il materiale fornitoci dai nostri informatori; il che significa che dobbiamo riuscire a interpretare ciò che dicono, non avendo un modo diretto di accedere alla loro vita se non sulla CONVEGNI E SEMINARI CliffordGeertz 40 CALENDARIO CALENDARIO Nell’ambito delle attività culturali della Casa della Cultura di Milano ha preso avvio nell’ottobre 1993 un ciclo di seminari a cura di Fulvio Papi con il titolo: La filosofia mo- ● Informazioni: Centro Culturale Polivalente, Piazza della Repubblica 31, 47033 Cattolica, 0541/967802. derna. Verità e destino dei classici. Questo il calendario degli in- In occasione della presentazione del libro di Umberto Eco, La ricerca contri: 14 ottobre, Carlo Sini: “Cartesio”; 21 ottobre, Fulvio Papi: “Bruno”; 4 novembre, Valerio Verra: “La filosofia moderna. Verità e destino dei classici”; 11 novembre, Fulvio Papi: “La filosofia moderna. Verità e destino dei classici. Marx”; 18 novembre, Mario Ruggenini: “Kant”; 25 novembre, Giorgio Pasqualotto: “Nietzsche”; 2 dicembre, Salvatore Veca: “Hume”; 16 dicembre, Giuseppe Semerari: “Spinoza”. Sempre presso la Casa della Cultura, il giorno 15 novembre 1993, in occasione della presentazione della pubblicazione della rivista “Nuova civiltà delle macchine”, Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Luca Bianchi, Giulio Giorello, Mario Vegetti intervengono sul tema: Le età della scienza. ● Informazioni: Casa della Cultura, Via Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02/795567. della lingua perfetta nella cultura europea (Laterza, Roma-Bari Il Centro Culturale Polivalente di Cattolica, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, ha organizzato una serie di colloqui dal titolo: Libri in cerca di gloria. Letture. Queste letture sono iniziate nell’ottobre 1993 con un seminario introduttivo di Ezio Raimondi, La retorica d’oggi, che ha avuto il seguente svolgimento: 18 ottobre, “La comunicazione inautentica”; 19 ottobre, “I topoi nella letteratura e nell’arte”; 20 ottobre, “Per un’antroplogia della retorica”; 21 ottobre, “La rinascita della retorica”. Nel novembre 1993 si è tenuto il seminario di Andrea Battistini, La scienza nuova di Vico: un farmaco per la fantasia, con il seguente calendario: 10 novembre, “Vico, filosofo dell’alba: la teoria antropologica delle origini”; 11 novembre, “Gli strumenti genetici di mito, metafora, etimologia”; 12 novembre, “Robusti sensi e vigorosissima fantasia. Per un’ermeneutica delle passioni”; 13 novembre, “Vico in USA, ovvero la terapia dell’ingegno enciclopedico”. 58 1993), il 26 ottobre 1993, alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, sono intervenuti: Maria Corti, Raffaele Simone, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri. ● Informazioni: Editori Laterza, Via di Villa Sacchetti 17, 00197 Roma. Nell’ambito delle attività del Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena ha preso avvio nell’ottobre 1993 il ciclo di lezioni: La Prova dello straniero. Figure per il confronto fra le culture. Questo il program- ma degli incontri fino a febbraio 1994: 29 ottobre, Romano Màdera: “L’ombra dello straniero”; 17 novembre, Francesco Remotti, “Cannibali, schiavi e sovrani. Il ricorso allo straniero in una prospettiva antropologica”; 3 dicembre, Giovanni Filoramo: “Pellegrino, straniero, senza patria. Figure dell’estraneità al mondo nel Cristianesimo antico”; 28 gennaio, Pierre Rosanvallon (introd. Paolo Pombeni): “Straniero e cittadino. I confini della politica”; 11 febbraio, Francisco Jarauta: “Abitare la frontiera. Riflessioni su meticciato e interculturalità”; 25 febbraio, Simonetta Tabboni: “Lo straniero e la modernità. Dall’uguaglianza del diritto al riconoscimento della differenza”. Sempre nell’ambito della Fondazione Collegio San Carlo, il Centro di Studi Religiosi ha organizzato a partire da ottobre 1993 il ciclo di lezioni: In cammino verso Dio. La metafora del viaggio nell’esperienza religiosa . Questo il calendario degli incontri fino a gennaio 1994: 7 ottobre, Raimon Panikkar: “La metafora del viaggio nelle religioni”; 28 ottobre, Filippo Gentiloni: “Abramo contro Ulisse”; 11 novembre, Amalia Pezzali: “Il viaggio spirituale di Siddharta, il Buddha”; 9 dicembre, CALENDARIO Ermenegildo Manicardi: “Il cammino di Gesù e la via di Dio”; 13 gennaio 1994, Paolo Branca: “Le vie di Allah”. Infine è da ricordare che in occasione della presentazione del volume di Hans Blumenberg, Passione secondo Matteo (Il Mulino, Bologna 1992), tenutasi il 22 ottobre 1992 con la partecipazione di Sergio Givone, Pierangelo Sequeri e Carlo Gentili, è stato organizzato un Seminario di studio su Hans Blumenberg. Metafora, mito, modernità, che prevede i seguenti inter- venti: 19 gennaio 1994, Vincenzo Vitiello; 16 febbraio, Barnaba Maj; 2 marzo, Michele Cometa; 23 marzo, Bruno Accarino. Infine per il 10 maggio 1994 è in programma una Giornata di studio su Hans Blumenberg, con la partecipazione di Remo Bodei, Gianni Carchia, Pier Aldo Rovatti e Francesca Rigotti. ● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena, tel. 059/222315. Il Centro culturale “Casa Zoiosa” di Milano ha organizzato nei mesi di novembre e dicembre 1993 un ciclo di lezioni dal titolo: Il ‘900: il Secolo dei Limiti. Questo il programma degli incontri: 8 novembre, Enrico Bellone: “La fisica come violazione dei limiti”; 15 novembre, Giuliano Toraldo di Francia: “Limitazioni nell’indagine del mondo fisico”; 22 novembre, Giorgio Lunghini: “I limiti dell’economia”; 29 novembre, Aldo Gargani: “I limiti del dicibile: Wittgenstein e la filosofia contemporanea”; 6 dicembre, Francesco Moiso: “I limiti della ragione e i limiti della corporeità”; 13 dicembre, Maurizio Mori: “Limiti etici per la medicina e la biologia? Un punto di vista bioetico”; 20 dicembre, Corrado Mangione: “Aspetti della teorizzazione umana”. ● Informazioni: La Casa Zoiosa, C.so di Porta Nuova 34, 20121 Milano, tel. 02/6551813. Il 13 novembre 1993, in occasione della pubblicazione del volume di AA.VV., Dio nella Filosofia del Novecento (a cura di Giorgio Penzo e Rosino Gibellini, Queriniana, Brescia 1993), presso il Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche di Roma, Francesca Brezzi, Aniceto Molinaro, Pietro Coda, Giorgio Penzo e Rosino Gibellini, hanno parlato su Dio nella Filosofia del Novecento. Il giorno 11 dicembre 1993 è previsto un incontro con Bruno Callieri, Aldo Masullo, Bianca M. d’Ippolito e Alberto Gaston su: La psichiatria come scienza dell’uomo, in occasione della pubblicazione dell’omonima opera di L. Binswanger (Ponte delle Grazie, Firenze 1992). ● Informazioni: Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche, Via dei Serpenti 100, 00100 Roma. A cura dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nei giorni 15-16-17 novembre si è svolto un seminario di fenomenologia e ontologia dal titolo: L’idea di persona. Gli incontri hanno avuto il seguente svolgimento: 15 novembre, Paul Beauchamps: “Dimensioni della persona nell’antropologia biblica”; 16 novembre, Aldo Masullo: “Persona e tempo”; Jean-François Courtine: “La persona nella fenomenologia di E. Husserl”; Philibert Secretan: “Il personalismo di E. Stein”; 17 novembre, Nicolas Grimaldi: “Lo statuto dell’interiorità”; Michele Lenoci: “Prospettive scheleriane sulla persona”; Ada Lamacchia: “Il personalismo americano tra Ottocento e Novecento”; Roberta Corvi: “La persona nella filosofia analitica”. ● Informazioni: Università Cattolica del Sacro Cuore, largo Gemelli 1, 20100 Milano. Nell’ambito del ciclo: La filosofia in Germania oggi, che ha preso avvio nel marzo 1992 grazie alla collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano e il Goethe Institut di Milano, il 16 novembre 1993 ha avuto luogo un incontro con Dieter Heinrich, introdotto da Franco Volpi. ● Informazioni: Goethe Institut, Via S. Paolo 10, 20100 Milano, tel. 02/76005571. Il Centro di Studi Semiotici e Cognitivi dell’Università di San Marino ha organizzato il 29-30 novembre 1993 un seminario di studio alla presenza di Richard C. Lewontin sul tema: The Genetics, Evolutionary Theory and the Genome Project. Alle due relazioni di Richard C. Lewontin della prima giornata (ore 10.00, “Inside and Outside - Gene, Environment and Organism”; ore 15.30, “Fitness, Optimality and the Evolution of Cognition”) ha fatto seguito, nella seconda giornata, una Tavola rotonda con Giorgio Bignami, Edoardo Boncinelli, Aldo Fasolo, Vittorio Sgaramella, Pietro Corsi. ● Informazioni: Centro di Studi Semiotici e Cognitivi, Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino, tel. 0549 882516. Nell’ambito dell’attività convegnistica organizzata dalla casa editrice “Il Saggiatore” di Milano in occasione della pubblicazione del volume di Alain Touraine, Critica della modernità, (Il Saggiatore, Milano 1993), si è tenuto il 1 dicembre 1993, presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’I.S.U., un convegno sul tema: Quale modernità. Questo il programma degli interventi: ore 15.00, Alain Touraine: “La crisi della modernità”; ore 15.30, Carlo Sini: “Il transito”; ore 16.30, Severino Salvemini: “Organizzare senza organizzare: i dilemmi e paradossi del management contemporaneo”; ore 17.00, Fulco Pratesi: “La questione ecologica: un ostacolo o un contributo alla modernità?”; ore 17.30, Discussione. ● Informazioni: Il Saggiatore, via Bianca Maria 26, 20100 Milano. Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Via Monte di Dio 14, Napoli 29 novembre-3 dicembre Mario Agrimi 10-13 gennaio 1994 Adriaan Peperzak L’unità della filosofia di Vico Lineamenti di un’etica Vico e la tradizione “platonica” - Il De antiquissima e le polemiche con il “Giornale de’ Letterati d’Italia”. 17-19 gennaio Gian-Carlo Rota L’intelligenza dall’illuminismo alla fenomenologia 6-10 dicembre Alessandro Ghisalberti Forme e figure dell’aristotelismo Medievale 17-21 gennaio Giorgio Agamben Gli inizi dell’aristotelismo scolastico - L’aristotelismo mediato - Dall’averroismo latino all’averroismo bolognese - Aristotelismo e Nominalismo. Esperimentum potentiae: verso un’ontologia della potenza 13-17 dicembre Saverio Ricci Il pensiero come esperienza della potenza - Aristotele e la potenza del pensiero. 24-27 gennaio Andrew Packard Una ‘filosofia milizia’. L’Accademia dei Lincei Le origini lincee tra alchimia e astronomia - Lo svolgimento della vita accademica - L’idea lincea a Napoli. 10-14 gennaio Sanja Roic Poetica e oratoria in Vico Eclettismo e fantasia: il poetico o tracce di una poetica vichiana La poesia vichiana fra tradizione e Barocco. L’uomo biologico nel mondo progettuale 31 gennaio-3 febbraio Girolamo Cotroneo Il metodo storico e i suoi problemi. Hegel e i “tipi della considerazione storica” Dalla filosofia della storia alla storiografia - La storiografia “originaria” La storiografia “riflettente”. 59 Organizzata dal Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo e dall’Università degli Studi di Palermo, il 10 dicembre 1993 si tiene una giornata di studio su Wladislaw Tatarkiewicz. Storia dell’estetica Storia delle idee, in occasione del- la pubblicazione del volume di W. Tatarkiewicz, Storia di sei idee. L’Arte, il Bello, la Forma, la Creatività, l’Imitazione, l’Esperienza estetica (Aesthetica Edizioni, Palermo 1993). ● Informazioni: Centro Internazionale Studi di Estetica, Università degli Studi, Via delle Scienze, 90128 Palermo. Organizzato dalla Scuola Europea di Psicanalisi in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, l’11 dicembre 1993, presso la Sala Incontri I.S.U., si tiene un convegno dal titolo: Jacques Lacan. La psicanalisi, l’ermeneutica, il reale. Intervengono, nell’ordine: Massimo Recalcati: “Il reale di lacan”; Pier Aldo Rovatti: “Ciò che sfugge”; Igino Domanin: “Lacan e la scena della scrittura”; Ettore Perrella: “Individuazione e fine della psicanalisi”; Adone Brandalise: “Perfezione e realtà”; Laura Fragasso: “Il reale nello spazio lacaniano”; Maria Teresa Maiocchi: “Ascesi della scrittura”; Marco Focchi: “L’ostacolo”; Carlo Viganò: “La differenza reale”; Graziano Senzolo: “L’anima e il numero: Lacan e il tempo del significante”; Francesca Bonicalzi: “Lacan versus Cartesio: il soggetto della scienza”; Fabrizio Palombi: “Cartesio e il vaso di fiori rovesciato”; Domenico Cosenza: “La causa del desiderio: Lacan tra Spinoza e Marx”; Riccardo Massa: “Desiderio, struttura, formazione”. ● Informazioni: I.S.U. Università degli Studi di Milano, Ufficio Cultura, C.so di Porta Romana 19, Milano, tel. 02 809431 int. 162/186. Il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Genova organizza, il 14 dicembre 1993 a Palazzo Cambiaso, una Giornata di studio sul tema: Jacques Maritain 19731993. Vent’anni dopo la morte. Intervengono Giuseppe Goisis (“Jacques Maritain: dall’interpretazione della storia all’impegno sociale”), Angelo Campodonico (“Esperienza e metafisica”), Letterio Mauro (“Il problema di Dio”), Ignazio Semino (“Il problema delle scienze”), Francesco Botturi (“Ragion pretica e politica nel personalismo di Jacques Maritain”), Edilia Cassani Traverso (“Legge naturale e legge eterna”), Gianni Baget Bozzo (“Jacques Maritain ‘contadino della Garonna’”). ● Informazioni: Dipartimento di Filosofia, Via Balbi 4, 16126 Genova, tel. 010 2099857. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Manuali di filosofia a confronto (II parte) La TAVOLA III riassume l’apparato didattico dei diversi manuali. Quattordici sono gli indicatori prescelti per questo esame e non tutti sono ugualmente significativi. In questo caso il confronto non è quantitativo, limitandosi a segnalare la sola presenza di alcuni sussidi e descrivendone brevemente le caratteristiche. La prima colonna registra la presenza di una “introduzione” alla storia della filosofia vera e propria. La maggior parte dei manuali preferisce iniziare direttamente da Talete o dalla cultura della Grecia arcaica, inserendo eventualmente all’interno di questa descrizione qualche considerazione sulla natura della riflessione filosofica. Molti docenti invece amano dedicare le loro prime lezioni a un’introduzione teorica alla nuova materia, soffermandosi su concetti, metodi e problemi che caratterizzeranno il lavoro successivo. In questo senso ben pochi testi vengono loro in aiuto. Solo due manuali (Lacchini-Rivoltella e Merker) hanno una vera e propria unità didattica di introduzione teoricometodologica alla nuova materia di studio, con indicazioni molto concrete per il lavoro degli studenti. Sono state però inserite in questa colonna anche presentazioni di altro genere. Berti e Severino introducono la materia con un discorso prevalentemente teoretico legato alla ricostruzione delle origini della filosofia. Più o meno analogo è l’intento di Firrao-Cambi, che affida il compito ad alcune letture critiche come è nello stile del manuale; orientata in senso filologico è l’introduzione di Giannantoni, mentre la prefazione di CasiniBenvenuti, per la sua dimensione e l’impegno contenutistico può essere destinata anche alla lettura degli studenti. Metodologicamente interessante è la soluzione di Trombino, che suddivide l’introduzione teoretica ai diversi problemi della filosofia nel corso del volume, in unità didattiche che preparano alla trattazione di periodi e autori di specifica rilevanza. La “bibliografia” è un sussidio presente in quasi tutti i manuali. Si tratta sempre di suggerimenti bibliografici di base, anche se insieme ai classici viene talora indicata una letteratura di difficile reperibilità, ma non siamo voluti entrare nel merito delle scelte. E’ stata invece segnalata la collocazione della bibliografia e la sua impaginazione (la formula “ben leggibile” indica una bibliografia in cui i libri sono ordinatamente elencati su righe separate in modo da individuarne facilmente titolo e autori). Non si sono distinte le bibliografie dedicate solo alla letteratura critica da quelle che riportano sia le edizioni delle opere dei filosofi che (magari a parte) i saggi critici. L’obiettivo è quello di evidenziare la presenza di uno strumento di semplice avvio a studi ulteriori; e in tal senso sembra più funzionale la collocazione della bibliografia alla fine di ciascun capitolo, anziché alla fine del volume dove solo lo studente già motivato avrà la pazienza di andare a ricercare ciò che lo interessa in mezzo a pagine piene di riferimenti. Alcuni manuali offrono preliminarmente una sintesi sugli strumenti di consultazione generale in ambito storico-filosofico: le proposte più significative ci sembrano quelle di Giannantoni, Merker e Perone-Ferretti-Ciancio. In qualche caso si trovano bibliografie ragionate che orientano brevemente le scelte dei lettori. Nel caso di Voltaggio c’è un vero e proprio saggio critico (dovuto alla collaborazione di E. Ronchetti) che ricostruisce l’evoluzione della letteratura principale sui vari argomenti. Il “sommario” è la sintesi del contenuto di un capitolo. La sua utilità è piuttosto discutibile, ma può servire per un ripasso veloce o per riassumere argomenti che non si ritiene di dover trattare in maniera diffusa. Di solito è alla fine di un capitolo, ma può trovarsi all’inizio, con la diversa funzione di preparare allo studio delle pagine seguenti. Merker propone entrambe le versioni, con uno schema conclusivo intelligentemente elaborato. Originale è anche l’idea di Abbagnano-Fornero di riepilogare il contenuto di un capitolo attraverso un glossario finale. La “paragrafazione a margine” è presente in numerosi manuali, non solo di filosofia. Si tratta di un accorgimento che sostituisce o accompagna la titolazione dei paragrafi nel corso del testo ed è caratterizzato so60 prattutto dalla collocazione all’esterno del testo scritto, in posizione di facile evidenza per rintracciare argomenti o per ripercorrere la materia. Per lo più si tratta di brevi indicazioni, segnalate come “titoli” nel nostro quadro riassuntivo; nel caso di Geymonat e Moravia troviamo invece articolati riassunti dei vari argomenti, con funzione simile a quella di un sommario (che peraltro Moravia ha già). L’impostazione grafica di Giannantoni potrebbe far segnalare in questa sede l’uso del neretto nel testo quale strumento di riconoscimento dei temi in corso di trattazione. Trombino usa invece i margini del testo per ampie citazioni di testi che documentano la ricostruzione storica. La “cronologia” è un sussidio didattico non troppo frequente, ma che sarebbe logico attendersi in descrizioni storiche. Un quadro sinottico della storia filosofica, civile, artistico-letteraria consente di stabilire correlazioni spesso interessanti, ma va detto che un simile espediente è adottato di rado dai docenti e ancor meno dagli studenti, soprattutto se questi prospetti sono inseriti alla fine dei singoli volumi in posizione di non frequente consultazione. Solo sette manuali, e non dei più recenti, presentano sinossi del genere: si segnalano per originalità di impostazione le tavole cronologiche tematiche del Berti, che isolano singoli periodi o autori stabilendo analitici confronti, utili anche per impostare delle lezioni. Mancini- MarzocchiPicinali propone solo per i filosofi maggiori una cronologia della vita, però senza alcun confronto sinottico. L’ “iconografia” è un elemento che non ci si aspetterebbe di trovare in un manuale di filosofia, ma da qualche tempo anche in questo campo comincia ad affacciarsi l’uso di questo strumento comunicativo. Fatta eccezione per qualche grafico riassuntivo, presente in quasi tutti i testi, si segnalano qui i manuali che ospitano almeno un numero ridotto di disegni e qualche rara cartina geografica. Più interessante è invece la presenza di foto, che solo in cinque manuali è dato ritrovare. Se usate in maniera intelligente, le foto possono essere (con didascalie opportune) una vera integrazione al testo e non solo un riempimento decorativo. Risultano un po’ estempora- DIDATTICA nei gli inserti fotografici di Casini-Benvenuti e purtroppo isolati fuori testo quelli più problematici e monografici di Severino. Solo Reale-Antiseri riesce in qualche caso a far dialogare le immagini con il manuale, ma è chiaro che per questo risultato non ci si può limitare a riprodurre i ritratti o i busti dei filosofi, anche se vedere il volto di un filosofo può renderlo più concreto e vicino agli studenti abituati a una comunicazione iconica altrove sempre più spinta. Mancini-Marzocchi-Picinali accompagna le cronobiografie dei maggiori con piccoli ritratti. Gli “indici” sono il complemento essenziale di ogni libro. Non sono qui in discussione gli indici generali, ma solo quelli analitici, che permettono di usare un testo come strumento di consultazione e ricerca. In questo senso, un indice analitico è pressoché indispensabile in un manuale scolastico e stupisce constatarne l’assenza in quattro casi. Di solito questi manuali propongono un indice dei nomi, del resto il più facile da realizzare. Solo PeroneFerretti-Ciancio e Santinello-PierettiCapecci aggiungono un indice dei concetti o degli argomenti, che si presta ad essere usato anche per approfondimenti tematici. Merker addirittura presenta tre indici: dei nomi, dei concetti e delle schede monografiche (piuttosto numerose). Anche Vegetti-Alessio-Papi aggiunge l’indice delle schede lessicali, ma si tratta di poche unità. Mancini-Marzocchi-Picinali ha appositi indici degli autori e delle opere nei volumi antologici. La presenza di un “glossario” può essere ritenuta importante in un testo scolastico che deve introdurre anche all’uso di un linguaggio tecnico piuttosto complesso. Invece solo pochi manuali propongono questo utile sussidio didattico. La soluzione più originale è quella di AbbagnanoFornero che riepiloga il contenuto di ogni capitolo alla fine con un ampio glossario specifico. Gli altri preferiscono collocare un dizionario più o meno sintetico (solo brevissime definizioni in Dolci) alla fine del volume, posizione che in questo caso può però rivelarsi utile se il dizionario è destinato a una consultazione rapida per ritrovare parole di uso poco frequente. Geymonat offre un vero e proprio dizionario (discendente dalla consolidata tradizione Garzanti) in un fascicolo a parte allegato al primo volume. Le “note” sono un altro elemento caratteristico dei testi scolastici. In questo caso però solo pochi manuali le adoperano, e di solito per spiegare le letture inserite nel volume. E’ infatti più logico attendersi un apparato di note per commentare un classico che non per accompagnare una parte manualistica che ha già il compito di essere chiara da sé. Alle note sono per lo più affidate osservazioni marginali, ma Adorno-Gregory-Verra preferisce destinarle sistematicamente alla trattazione di autori e argomenti minori. Ne fa ampio uso Vol- taggio, ma in ciò assume talvolta l’aspetto di un vero testo scientifico, disorientando forse lo studente secondario che è ancora abituato alle sole note esplicative e non comprende sempre la funzione del riferimento bibliografico. Per “schede” si intendono quelle porzioni di testo, di solito graficamente identificate da una cornice, che sviluppano un argomento a parte nella pagina. Servono a movimentare l’impaginazione, ma anche a fornire informazioni che altrimenti interromperebbero il filo del discorso svolto dal testo. Isolando queste informazioni, ne fanno intendere la diversa importanza rispetto al resto del discorso, favorendone una lettura concentrata ed estemporanea. Il manuale che ne fa maggiore uso è quello di Merker, che le distribuisce ampiamente nel testo, utilizzandole per piccole monografie e raccordi tematici. Sono chiamate schede e ne hanno l’aspetto, ma occupano talvolta più di una pagina, quelle di Firrao-Cambi, raggruppate alla fine dei capitoli per sviluppare argomenti minori o collaterali. Altrettanto ampie, ma destinate a contenuti diversi, quelle di Trombino (biografiche, critiche e antologiche). Negli altri quattro casi alle schede è affidata l’informazione sulla vita degli autori. Già ricordate, infine, le schede lessicali di Vegetti-Alessio-Papi. Le “letture di testi” sono il necessario complemento di ogni ricostruzione manualistica. Al posto di una antologia separata, molti manuali propongono una sezione antologica al proprio interno per rispondere all’esigenza di documentazione contenendo i prezzi. Andrebbe valutata la funzione di queste letture, ora usate solo come conferma di quanto già esposto nel manuale, ora proposte come itinerario alternativo o integrativo alla ricostruzione storica. In entrambi i casi sembra però necessario che la lettura di un testo non si riduca a poco più di una citazione. Occorre che lo studente possa apprezzare la capacità argomentativa e lo stile di un autore, imparando a dialogare con esso. Perciò si è cercato di segnalare anche la lunghezza delle letture e l’eventuale introduzione che (comunque quasi sempre molto sintetica) mira a commentare e contestualizzare il testo. Le sezioni antologiche sono quasi sempre inserite alla fine di ogni capitolo. Solo in Badaloni-Pompeo Faracovi occupano la seconda metà di ogni volume, mentre in Moravia sono raccolte in tre volumi a parte, inseparabili dal resto del manuale. Del tutto originale la proposta di Mancini-Marzocchi-Picinali che, in aggiunta a quello di storia, hanno tre volumi di sole letture raccolte per argomenti che consentono un diverso uso del manuale in senso teoretico e problematico. Le “interpretazioni critiche” sono un altro capitolo controverso. Ogni storia della filosofia è un’interpretazione ed anche i manuali scolastici non sfuggono a questa regola, ma qui si vuol parlare della lettera61 tura critica più consolidata, che dovrebbe costituire un importante complemento della mera informazione su autori e problemi. Invece questa integrazione manca significativamente in quasi tutti i manuali esaminati, come forse manca nella didattica di molti insegnanti, riproponendo così una forma neanche tanto aggiornata di nozionismo nella preparazione “scolastica”, che gli studenti per lo più acquisiscono. Certo, c’è il rischio che l’aggiunta di una rassegna delle interpretazioni anche divergenti di filosofi e filosofie possa ingenerare il sospetto di un fondamentale relativismo storicistico nello studente già abituato alla dossografia dei filosofi che si succedono contestandosi l’un l’altro. Ma una fondata analisi comparativa dell’ermeneutica costruitasi su ogni argomento potrebbe arricchire e rinnovare positivamente lo studio della materia. L’uso delle letture critiche è invece di solito - in quei pochi casi in cui è presente - quasi sostitutivo della ricostruzione manualistica, senza proporsi come prospettiva autonoma ed originale. Del resto lo spazio dedicato a queste letture è assai ridotto; solo Firrao-Cambi ne fa una sezione ampia e costante del manuale, abituando a conoscere quanto meno gli autori della più consolidata storiografia filosofica sui vari argomenti. Anche Trombino affida spesso in apposite schede agli autori più accreditati la trattazione di alcuni problemi o proposte interpretative, aggiungendo alla fine di ogni volume brevi cenni biografici sugli autori utilizzati. In questa colonna sono stati anche segnalati gli unici due casi di vera e propria storia della critica, proposti alla fine di ogni capitolo da Dolci e Perone-Ferretti-Ciancio. Probabilmente non si tratta dei paragrafi più consultati di questi manuali, ma sono due utili repertori delle principali interpretazioni succedutesi sui diversi argomenti: più didascalica quella di Dolci, più scientifica e ragionata quella di Perone-Ferretti-Ciancio. Va infine ricordato il saggio critico bibliografico di Voltaggio. Per “guide alla ricerca” si intendono quelle indicazioni, per lo più di carattere bibliografico, che cercano di orientare approfondimenti tematici, suggerendo letture e collegamenti tra gli argomenti studiati. Se un manuale scolastico va inteso principalmente come uno strumento di lavoro, è legittimo attendersi la presenza di questi incoraggiamenti allo studio personale o di suggerimenti per lo stesso lavoro dell’insegnante. Invece, solo due manuali (Adorno-Gregory-Verra e Merker) presentano questa integrazione, mentre in altri due casi si hanno solo bibliografie orientate praticamente in questo senso: da un lato il già citato saggio critico-bibliografico di Voltaggio, dall’altro le bibliografie di Lacchini-Rivoltella che comprendono anche una specie di esercitazioni di approfondimento. L’ultima colonna è praticamente vuota, poiché è dedicata alla presenza di “que- DIDATTICA AUTORI INTRODUZIONE BIBLIOGRAFIA SOMMARIO PARAGRAFI A MARGINE Abbagnano-Fornero ben leggibile a fine capitolo glossario riepilogativo a fine capitolo sintesi e titoli Adorno-Gregory-Verra ben leggibile a fine capitolo Badaloni- Pompeo Faracovi a fine capitolo nella sezione antologica Balducci Berti CRONOLOGIE a fine volume titoli introduttivo al capitolo storico-teoretica ben leggibile a fine volume premessa teorica ben leggibile a fine capitolo Merker storico-teorica (letteratura critica) storico-filologica teorica e metodologica teorica e metodologica teorica e metodologica Moravia Perone-Ferretti-Ciancio Plebe-Emanuele dei nomi (v. sommario) riepilogativo a fine capitolo pochi disegni dei nomi pochi disegni dei nomi poche cartine dei nomi a fine volume dei nomi a fine volume Mancini-Marzocchi-Picinali Merker foto ad inizio dei capitoli dei nomi dei nomi Geymonat Giannantoni Lacchini-Rivoltella GLOSSARIO schemi e cartine tavole b/n fuori testo titoli Ciancio-Ferretti Pastore-Perone Dolci Firrao-Cambi INDICI tematiche a fine volume Bontempelli-Bentivoglio Casini-Benvenuti ICONOGRAFIA ben leggibile a fine capitolo titoli a fine volume sintesi a fine volume ragionata per ricerche a fine capitolo ben leggibile a fine volume ben leggibile a fine capitolo ben leggibile a fine capitolo a fine capitolo ragionata a fine capitolo premessa teorica e concettuale Reale-Antiseri Santinello-Pieretti-Capeci Severino storico-teoretica Trombino capitoli teorici e problematici introduttivo al capitolo titoli titoli biografia degli autori maggiori introduttivo al capitolo e prospetto sintetico a fine capitolo a fine capitolo titoli a fine volume prospetti analitici e sintetici titoli Vegetti-Alessio-Papi ben leggibile a fine capitolo Voltaggio saggio critico di bibliografia ragionata a fine volume a fine volume a fine volume sintetico a fine volume dei nomi in volumetto separato schemi dei nomi dei nomi ritratti dei maggiori filosofi dei nomi degli autori delle opere a fine volume dei nomi dei concetti delle schede dei nomi dei nomi dei concetti dei nomi sintesi titoli a fine volume ragionata a fine capitolo a fine capitolo dei nomi foto nel testo dei nomi dei nomi dei concetti tavole a colori fuori testo titoli a fine capitolo titoli sintetiche all'inizio di ogni sezione foto nel testo dei nomi alcune schede su parole chiave dei nomi TavolaIII stionari” che solo Giannantoni contiene nella sua ultima edizione (curati da F. Aronadio). Un’interpretazione tradizionale dell’insegnamento filosofico, fatto di sola comunicazione verbale, fatica ad accettare l’ingresso di questi nuovi strumenti di verifica dell’apprendimento, ma il rinnovamento generale della didattica inizia a suggerire anche nel nostro campo l’adozione di queste tecniche valutative (cfr. i programmi “Brocca” per il triennio). La proposta di Giannantoni-Aronadio precorre quindi soluzioni non troppo lontane e si fa apprezzare per una certa cura nel distinguere quasi tassonomicamente i diversi livelli dei test. Anche Trombino propone alcune esercitazioni nel suo testo, ma si tratta di un supporto pensato più per l’esercizio e lo studio degli alunni che per la valutazione dell’apprendimento. Vale la pena di segnalare a questo proposito alcuni testi appositamente costruiti come eserciziari di filosofia: Marco Cerasti, Prove di controllo graduate di filosofia, 3 voll., Nuove Edizioni del Giglio, Genova 1992, e R. Ameruso-S. Tangherlini-M. Vigli, Esercizi di filosofia, 3 voll., Lucarini, Roma 1990. Nel primo caso si tratta di un sussidio abbinabile a qualunque manuale; nel secondo invece gli esercizi sono un supporto specifico al già citato manuale degli stessi autori, I percorsi del pensiero, non compreso in questa rassegna. Si possono aggiungere a questo punto solo delle brevi note informative per completa62 re la descrizione di ciascun manuale. Il manuale di Abbagnano-Fornero è il risultato di un’indovinata operazione editoriale, consistita nell’utilizzazione di parti della grande Storia della filosofia di Abbagnano (Utet), che molti insegnanti hanno utilizzato o quanto meno conoscono ed apprezzano. E’ un manuale tradizionale, ricco di un’informazione analitica dedicata soprattutto agli argomenti maggiori della storia della filosofia (cfr. gli indici del testo effettivo e dei classici). La chiarezza espositiva è confermata da un alto indice di leggibilità e la seconda edizione ha arricchito il supporto didattico. Il manuale di Adorno-Gregory-Verra non è più recentissimo e la stessa casa editrice gli ha affiancato di recente un nuovo pro- DIDATTICA dotto. Ma la diffusione di cui continua a godere conferma la novità dell’impostazione registrata all’epoca della sua prima uscita: ogni volume era curato da uno specialista e ogni capitolo era accompagnato da un’ampia sezione antologica. Il testo effettivo è piuttosto ridotto e i capitoli sono per lo più monografie sui singoli autori. Ne risulta un manuale pratico e agile, pur se di complessa leggibilità. L’impostazione di Badaloni-Pompeo Faracovi è altrettanto tradizionale, anche se si tratta di un’edizione recente. La caratteristica principale è di aver concentrato la sezione antologica nella seconda metà di ciascun volume. La ricostruzione storica è essenziale, ma leggibile e accompagnata da un apparato didattico piuttosto articolato. L’antologia è chiara e ben curata. Il manuale di Balducci presenta alcune peculiarità interessanti dal punto di vista del contenuto. Fin dal titolo tende a prestare attenzione al “pensiero umano”, senza circoscriversi al solo ambito filosofico e alla sola area occidentale. Sono sistematicamente presenti capitoli dedicati alla “filosofia” orientale e ad aree culturali solitamente trascurate (cfr. infatti il basso indice dei classici). La veste tipografica è piuttosto povera, ma l’informazione è ricca: si tratta di un manuale “tutto-testo”, che lascia poco spazio agli apparati didattici. Il manuale di Berti è firmato anche da Volpi nel terzo volume. Si caratterizza per le dimensioni contenute, anche se una verifica più attenta scopre che le pagine estremamente dense racchiudono un testo effettivo piuttosto abbondante. L’impostazione è tradizionale e sono ben valorizzati tipograficamente i pochi sussidi didattici presenti, tra i quali si segnala soprattutto l’originale uso delle tavole cronologiche tematiche. Bontempelli-Bentivoglio è un altro manuale “tutto-testo”, praticamente privo di apparati didattici, come è anche nello stile del corrispondente manuale di storia (Bontempelli-Bruni). Il testo è abbondante e leggibile, nettamente suddiviso per ogni capitolo in una prima parte, che ricostruisce il contesto storico-culturale, e una seconda, dedicata all’elaborazione della filosofia vera e propria. Il titolo metafisicoheideggeriano non trova piena conferma nel contenuto sostanzialmente tradizionale dei primi due volumi, mentre emerge una scelta teoretica più originale nel terzo volume attraverso l’ampia trattazione di alcuni autori contemporanei. Il manuale di Casini-Benvenuti è ancora un manuale “tutto-testo”. Il sottotitolo indica una particolare attenzione alla ricostruzione delle atmosfere storico culturali in cui si inserisce l’attività filosofica vera e propria (cfr. il bassissimo indice dei classici). Leggibile e chiaro, ha una strumentazione didattica limitata all’essenziale. E’ interessante, per il lettore esperto, la segnalazione delle fonti critiche utilizzate per la stesura di ogni capitolo, poiché con- sente una rapida identificazione degli orientamenti storiografici, culturali e ideologici degli autori. Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone è forse l’equipe più collaudata di autori in questo settore. Si esaminano qui due loro prodotti, mentre un terzo è rimasto fuori da questa analisi. Questo Profilo si propone soprattutto come supporto al più voluminoso e recente manuale antologico, ma può vivere autonomamente soprattutto se si ricerca un testo maneggevole e un’informazione essenziale. Praticamente privo di qualsiasi apparato didattico, è il risultato dei sostanziosi tagli operati sul precedente manuale tradizionale (sul quale v. oltre). Si distingue dagli altri il manuale di Dolci, che riprende in un certo senso la formula del vecchio Dolci-Piana. Pensato soprattutto dalla parte dell’alunno per la chiarezza dell’impostazione, la schematicità della trattazione e le dimensioni ridotte dell’insieme, non sempre ha riscosso la stima dei docenti. L’apparato didattico è discreto e arricchito da soluzioni originali come l’apprezzabile storia della critica. Disturba un po’ l’uso ormai superato di italianizzare i nomi di battesimo degli autori moderni e contemporanei. Il recente Firrao-Cambi mantiene la promessa fatta con il sottotitolo. Si tratta effettivamente di una raccolta di “materiali didattici” per l’insegnamento della filosofia, ordinatamente ripartiti tra una sezione storica, una di letture antologiche, una di letture critiche, una di schede monografiche e una di bibliografia. Gli autori lasciano spesso la parola alla letteratura critica più autorevole per sviluppare argomenti anche di una certa importanza; perciò si è ritenuto di calcolare le letture critiche all’interno del testo effettivo, altrimenti si sarebbe avuto un valore notevolmente più basso. La leggibilità è stata invece calcolata sul solo testo degli autori. Il manuale di Geymonat può contare su una trentennale sperimentazione scolastica, sostenuta dalla fama dell’autore e della sua grande Storia del pensiero filosofico e scientifico. Si presenta in veste completamente rinnovata, ma con un impianto sostanzialmente tradizionale, arricchito solo dalla sezione antologica e dal dizionario filosofico aggiunto in un volumetto separato. Il manuale di Giannantoni è un altro veterano della scuola. Arrivato alla sua quarta edizione rinnovata, conserva sempre l’attenzione al dato storico, alla completezza dell’informazione (cfr. la bassa percentuale dei classici) e alla dimensione filologica. In questa ultima edizione sono stati diversamente suddivisi i capitoli ed è stata aggiunta l’originale appendice di questionari. Sono state anche diversamente utilizzate le letture, inserite - con dimensioni minori - in schede sparse nel corso del testo. Il testo di Lacchini-Rivoltella è una novità particolarmente attenta alla dimensione 63 didattica, curata con una serie articolata di sussidi e con un’impaginazione chiara che ha sempre presenti le esigenze del lettore studente. Gli argomenti principali sono accompagnati da schematizzazioni molto utili e l’informazione è piuttosto ampia (v. testo effettivo). Ridotta la trattazione dei minori e dei panorami storici riassuntivi. Il manuale di Mancini-Marzocchi-Picinali è diretto da Salvatore Veca e si avvale della collaborazione di alcuni altri specialisti. La caratteristica principale è data dall’aver raccolto in un unico grosso volume la storia della filosofia, riservando a tre volumi più piccoli i materiali antologici che sono riuniti per argomenti (verità, etica, politica, bellezza, linguaggio, storiatempo, ecc. ), consentendo anno per anno una lettura trasversale dei filosofi e uno studio per problemi della materia. Un indice per autori dei testi antologizzati consente però anche un uso più tradizionale. Il manuale di Merker, era originariamente pubblicato presso gli Editori Riuniti. Riproposto in versione aggiornata presso Giunti-Marzocco, non ha ottenuto il successo che avrebbe meritato per la cura dedicata all’apparato didattico (il più ricco tra quelli esaminati). L’autore ha scritto solo una metà del manuale, affidando il resto a una ventina di specialisti, ma il risultato finale è omogeneo e caratterizzato da un taglio teorico peculiare. Quello di Moravia è tra i manuali più ricchi in termini quantitativi. Costituito da sei volumi (tra storia e antologia), ha il maggior numero di pagine senza però eccedere nel prezzo. Anche il testo effettivo è tra i più vasti e presenta un’informazione ampia (pur se non di facilissima lettura), che tocca enciclopedicamente quasi tutti i possibili campi della cultura filosofica. E’ alla terza edizione (in soli otto anni) e in alcuni capitoli si è avvalso della collaborazione di alcuni specialisti. Quasi ventennale la vita del Perone-Ferretti-Ciancio, che viene oggi presentato anche nell’edizione minore già segnalata. Si è ritenuto di dar conto anche della versione originaria, ancora in circolazione, data la chiarezza espositiva (cfr. l’indice di Flesch) e l’informazione attenta anche alla dimensione critico-teoretica. La coppia Plebe-Emanuele ha realizzato un manuale piuttosto essenziale, il cui testo è semplicemente arricchito da validi prospetti analitici e sintetici che rispondono all’intento di sviluppare anche la dimensione critica dei lettori, già stimolati da alcune discussioni teoretiche presenti nelle sue pagine. Il manuale di Reale-Antiseri - affiancato recentemente da una buona antologia sempre a cura degli stessi autori, accompagnati da M. Baldini - si caratterizza per l’informazione ricchissima e chiara (ha valori elevati sia nel testo effettivo che nella leggibilità). L’ampiezza del testo ha suggerito all’editore di pubblicarne un’edizione ridotta con il titolo: La filosofia nel DIDATTICA suo sviluppo storico, ma si è preferito qui esaminare l’edizione maggiore, che ha proprio nell’estensione il suo pregio principale. E’ da ritenere il maggior esempio di manuale “tutto-testo”, povero di sussidi didattici. Santinello-Pieretti-Capecci è un manuale non più recentissimo, che si è fatto apprezzare a suo tempo per la maneggevolezza e l’impostazione, al tempo stesso tradizionale e nuova, caratterizzata da una dimensione problematica che lo stesso titolo lascia supporre. La veste tipografica appare oggi un po’ dimessa, ma l’essenziale - informazione e apparato didattico è presente ed è anche esposto chiaramente. Il manuale di Severino è la rielaborazione scolastica delle fortunate sintesi di storia della filosofia pubblicate negli ultimi anni dall’autore presso Rizzoli. L’apparato didattico è ridotto all’essenziale e anche il testo effettivo è il più breve. Ogni capitolo è articolato in una ricostruzione storico-teorica, una breve sintesi bibliografica e una sezione antologica. Chi sceglie questo testo lo fa soprattutto per l’impostazione teoretica che l’autore gli ha dato, senza tuttavia nuocere alla sua leggibilità e chiarezza. Particolarmente originale il recentissimo testo di Trombino, soprattutto per la disposizione del contenuto. Il primo volume si ferma a S. Agostino, mentre la filosofia medievale è trattata sinteticamente per problemi all’inizio del secondo. Il terzo volume si divide in due tomi, di cui il secondo (più piccolo) è dedicato a undici autori del novecento. L’apparato didattico è discreto e l’impaginazione movimentata da schede e citazioni. Caratteristici i capitoli di introduzione ai principali problemi filosofici. Il manuale di Vegetti-Alessio-Papi è la terza edizione di un testo che in precedenza si era avvalso anche della collaborazione di R. Fabietti e che ha finora goduto di ampia diffusione. Nell’edizione attuale (in cui il secondo volume è dovuto alla stesura completamente nuova di F. Alessio e il terzo è ampiamente rimaneggiato) si conferma l’impostazione teorica che già il titolo lasciava trasparire. E’ tra i testi più vasti quanto al numero di pagine, ma contiene al suo interno un ricco repertorio antologico. Infine, Voltaggio è un manuale “tuttotesto” in cui ci sembra di avvertire l’esperienza didattica dell’autore, anche se i sussidi sono piuttosto ridotti. L’impostazione è tradizionale, con trattazioni analitiche degli argomenti principali (cfr. l’indice dei classici) e rapide sintesi sui minori. S.C. La filosofia nelle scuole sperimentali La prima indagine empirica su base nazionale riguardante l’insegnamento della filosofia nelle scuole italiane fu prodotta nel 1985-86 e pubblicata con il titolo: L’INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA. RAPPORTO DELLA SOCIETÀ FILOSOFICA ITALIANA (a cura di L. Vigone e C. Lanzetti, Laterza, Roma-Bari 1987). L’indagine fu condotta da un gruppo di ricercatori, diretto da Clemente Lanzetti, nell’ambito di un programma di ricerca voluto dalla Società Filosofica Italiana con l’obiettivo di una messa a fuoco del reale stato dell’insegnamento della filosofia nelle scuole. Il volume L’INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA NELLE SCUOLE SPERIMENTALI. RAPPORTO DELLA SOCIETÀ FILOSOFICA ITALIANA (a cura di C. Lanzetti e C. Quarenghi, di prossima pubblicazione presso Laterza, RomaBari), offre ora una prosecuzione e un completamento di quella inchiesta, con riguardo all’insegnamento della filosofia negli istituti sperimentali. Peraltro il tempo intercorso (con la crescita del credito dell’insegnamento filosofico presso l’opinione pubblica e con la proposta, contenuta nei programmi “Brocca”, di generalizzare la presenza della filosofia in quasi tutti gli istituti superiori) e la peculiarità del campione non potevano evitare di proporre anche un nuovo obiettivo, insieme a quello documentario: raccogliere eventuali indicazioni, modelli, innovazioni utili al miglioramento dell’insegnamento filosofico italiano. Quest’ultima ricerca, condotta dal ’90 al ’92, col patrocinio della S. F. I. e per iniziativa di un progetto dei Dipartimenti di filosofia dell’Università di Messina (Girolamo Cotroneo), dell’Università Cattolica di Milano (Virgilio Melchiorre) e del Dipartimento di pedagogia dell’Università Statale di Milano (Luciano Corradini), è stata finanziata dal C. U. N. (Ministero dell’Università) e curata da Clemente Lanzetti e Cesare Quarenghi. Il volume, attualmente in corso di stampa, apparirà in libreria presumibilmente a partire da febbraio del 1994. L’indagine vera e propria, di tipo quantitativo, è stata preceduta da una ricerca condotta qualitativamente, come studio dei casi, sui seguenti quattro istituti: l’Istituto Magistrale “Stefanini” di Mestre, l’I. T. I. S. di Bollate (Milano), l’I. T. I. S. “Cobianchi” di Verbania (Novara), l’I. T. C. a indirizzo linguistico di Paderno Dugnano (Milano). Essa ha permesso le opportune integrazioni e modifiche del questionario dell’’85-’86 e la redazione di due distinti questionari, per docenti e presidi, inviati per via postale. I punti focalizzati dal questionario sono stati i seguenti: - tipologia d’istituto e di indirizzi in cui è presente la filosofia; - aspetti organizzativi e strutturali della scuola; 64 - collocazione, significato ed importanza dell’insegnamento della filosofia nell’area comune e nell’area d’indirizzo; - compiti assunti dalla filosofia all’interno del curriculum sperimentale; - taglio metodologico adottato; - argomenti trattati e importanza riservata al pensiero del ’900; - innovazioni introdotte negli ultimi anni; - legame tra indirizzi scelti e programma di filosofia; - valenza formativa e professionalizzante della filosofia; - aspetti relativi alla pratica d’insegnamento (uso dei testi classici, del manuale, criteri di selezione del manuale, altri strumenti utilizzati, tipo di orientamento filosofico sostenuto, lavoro di gruppo, ecc. ); - verifica e valutazione; - collegamenti con le altre discipline; - aggiornamento effettuato e richiesto; - valutazioni personali su aspetti innovativi dell’insegnamento; - dati generali sulla scuola e sui docenti. Interessate all’indagine sono state sia scuole statali che non statali dei settori classici, scientifici, magistrali (molte delle quali trasformate in istituti linguistici) e tecnici. Per quanto concerne gli istituti statali sono state privilegiate le cosiddette maxisperimentazioni (328 al maggio del 1990), anche se le minisperimentazioni non sono state affatto escluse dal campione. Queste ultime hanno costituito l’universo di riferimento pressoché esclusivo degli istituti non statali, in quanto in essi le maxisperimentazioni sono molto rare. Complessivamente si sono raggiunti 562 istituti (con un’elaborazione conclusiva dei dati riferita a 174 istituti, quota che rappresenta circa il 50% delle scuole sperimentali dell’universo potenziale, cioè dell’insieme delle scuole con la filosofia presente nel curriculum e toccata dall’innovazione) dell’intero territorio nazionale, con una soddisfacente rappresentatività sia dei vari indirizzi, sia delle varie aree geografiche. A quest’ultimo proposito, però, va precisato che, in rapporto alla più diffusa presenza di esperienze sperimentali al Nord rispetto al Centro e al Sud, risulta anche nel campione più rappresentata la scuola del Nord rispetto a quella delle altre regioni d’Italia. Come già detto, l’ottica che ha guidato la presente indagine è di tipo essenzialmente operativo. Infatti, fermo restando lo scopo di dare un’immagine per quanto possibile completa dell’insegnamento filosofico nelle sperimentazioni, si è fatta una ricognizione di tale insegnamento con l’obiettivo di trarre dalle esperienze in atto stimoli e proposte per un aggiornato insegnamento della filosofia. A tale scopo l’indagine ha riservato una particolare cura ai seguenti tre poli del comportamento didattico dei docenti: il rapporto coi testi, il rapporto coi diversi saperi, lo spazio dato al pensiero filosofico contemporaneo (o del ’900), cioè DIDATTICA i temi che, per molti studiosi, costituiscono i più significativi requisiti di qualità dell’insegnamento filosofico. D’altro canto sono esattamente questi i fronti sui quali i nuovi programmi “Brocca” di filosofia intendono attestare l’insegnamento della filosofia nella scuola superiore. Il resoconto dettagliato dei risultati sfugge di necessità all’economia di questa nota. Essi, comunque, sono destinati a produrre pessimismo o ottimismo. Pessimismo in chi pensi (ma esiste?) a proposito delle sperimentazioni tutto il bene possibile, indipendentemente dai travagli che le hanno attraversate e le attraversano e dalla cronica incapacità del Ministero a fornire indirizzi, supporti e, soprattutto, “governo”, intendendo con tale concetto, beninteso, quanto di meglio si possa e si debba intendere. Ottimismo, invece, in quanti ben conoscono i caratteri di vischiosità della scuola italiana, cioè l’immobilismo e quella sorta di a-storicità che la contraddistinguono o, per lo meno, i tempi lunghi dei suoi processi modificativi. Da questo punto di vista ci si trova di fronte ad una complessiva dinamicità che, seppur con lentezza e forse non senza qualche staticità, disloca comunque l’insegnamento filosofico in atto certamente più avanti sul segmento ideale della qualità. Ciò vale per tutti e tre i nodi citati, vale per lo stile didattico, fattosi certamente più vario e flessibile rispetto alla metà degli anni ’80 - per quanto sia improprio un raffronto stretto fra le due immagini, data la diversità dei campioni e il tempo trascorso - e vale soprattutto per la consapevolezza che dimostrano di avere i docenti stessi a proposito di quelli che essi stessi considerano difetti o limiti da superare. Emergono, a questo proposito, le carenze della formazione di base fornita dall’Università, le quali, se possono essere in qualche modo affrontate e forse superate con un aggiornamento mirato per quanto concerne il pensiero del ’900, più difficilmente possono venir eliminate con tale sistema a proposito del rapporto coi saperi, in specie fisico-matematici e naturalistici. La tavola rotonda, tenuta al termine dell’indagine proposta nella forma di interventi organici di Enrico Berti, Virgilio Melchiorre, Pietro Rossi, Carlo Sini, Carlo Lazzerini e Cesare Quarenghi, si è occupata specificamente di questi problemi, contestualizzandovi i risultati della ricerca, tanto più importanti in un momento di potenziale espansione dell’insegnamento filosofico anche in curricoli tecnici. Il volume è aperto da una prefazione di Girolamo Cotroneo, presidente della S. F. I. dal 1986 al 1989, e da una introduzione di Luciana Vigone, curatrice dell’indagine sull’insegnamento della filosofia del 1985-86. C.Q. Interventi, proposte, ricerche Due recenti interventi sulla rivista “Paradigmi” (n. 32, maggio-agosto 1993), l’uno di M. L. Gavuzzo, l’altro di L. Podini Alano, hanno messo in rapporto il problema dell’insegnamento della filosofia nelle scuole con il problema delle motivazioni o dell’interesse (tutt’altro che scontato) dei giovani per la disciplina. Sulla rubrica “insegnamento e programmazione” di “Nuova Secondaria” (n. 1, settembre 1993) F. Minazzi, F. Bottin e A. Girotti avanzano proposte concrete per la didattica della filosofia. Nel suo intervento su “Paradigmi”, dal titolo: Insegnamento filosofico e metafilosofia, Maria Luisa Gavuzzo (III Università di Roma) prende spunto dalla diffusa e pressante ricerca, da parte degli insegnanti, di metodologie adeguate e di forme nuove di didattica, per sottolineare come essa celi in realtà un disagio profondo, relativo al declino dell’interesse degli studenti per il programma di filosofia. «Assistiamo così a questa situazione assurda: in tempi in cui era scarsissimo, se non nullo, l’interesse per la didattica (vedi ad esempio G. Gentile), l’insegnamento della filosofia era sostanzialmente adeguato e riscuoteva vivo interesse negli allievi, mentre oggi le metodologie più moderne e stimolanti lasciano gli allievi indifferenti e spesso del tutto demotivati». Questo affievolimento dell’interesse degli studenti per la filosofia non discende tanto, secondo l’autrice dell’articolo, da una inadeguatezza della didattica o dei manuali in uso, bensì dalla incertezza circa lo statuto e l’identità della disciplina stessa. Ne deriva un compito che è quello di discutere non tanto intorno alle tecniche d’insegnamento, quanto al problema della legittimità della filosofia nel panorama odierno dei saperi. La proposta di Gavuzzo è quella di una nuova chiave di lettura della filosofia, vale a dire, come proponeva P. Filiasi Carcano in alcuni suoi studi divenuti oggi quasi irreperibili (Introduzione alla metafilosofia, Roma 1968-69; Genesi psicologica della problematica filosofica, ivi, 196970; Analisi metafilosofica e storia della filosofia, ivi, 1973-74) di assumere nei riguardi della filosofia un atteggiamento autonomo e distaccato, in modo da considerarla come un oggetto di indagine al pari di ogni altra attività culturale, nell’ottica di indagare sui caratteri dell’attività filosofica e sulla sua funzione culturale. Ciò richiede una metodologia più ampia di quella tradizionale, ossia una metodologia di tipo storico-genetico, che rimanga aperta a tutte le sollecitazioni che vengono da altre discipline. L’autrice esemplifica questa prospettiva in una sintetica considerazione circa la «storia della progressiva carenza della capacità partecipativa», che 65 contraddistingue la storia del pensiero filosofico come pensiero che privilegia la conoscenza logico-formale. Conoscenze tratte dall’ambito della biologia (E. Neumann), dalla psicologia genetica (Piaget), dalla psicologia storica (J. -P. Vernant) aiutano a focalizzare la “mutazione mentale” che stiamo vivendo e che impone alla filosofia, oggi, di non essere più soltanto la coscienza critica della cultura, ma della crisi della cultura stessa. Leonella Podini Alano (Istituto Magistrale “Virgilio” - Milano), nel suo intervento su “Paradigmi, dal titolo: La didattica della filosofia, invita a «fare i conti... con quel “principio di realtà”, che è l’attuale utenza della Scuola Secondaria». Occorre non dare affatto per scontato il bisogno di filosofia nei giovani, almeno nel senso in cui gli insegnanti sono abituati a riconoscerlo. L’intervento di Alano, che prende spunto dal tema dell’apertura del disagio in cui si gioca l’identità culturale dell’insegnante di filosofia, precedentemente messo a fuoco da F. Papi (“Paradigmi”, n. 26, 1991; cfr. questa rivista, n. 5, 1991), avanza la tesi che insegnare oggi filosofia richiede «di dover scalzare una sorta di renitenza, di sorda riluttanza a... correre il rischio cui l’esercizio del “pensare” inevitabilmente ci espone». L’approccio alla filosofia porta inevitabilmente ad una esplorazione di orizzonte simbolici diversi e “altri” rispetto a quelli soliti, abituali, ed impegna ad aperture mentali e “revisioni” talora costose. Da qui la necessità di una «regia duttile e accorta dello spazio didattico», cioè una impostazione dell’insegnamento che non miri alla semplice ripetizione-memorizzazione e che valorizzi invece lo sforzo euristico-interpretativo, facendo inoltre i conti con lo statuto aperto della disciplina. Fabio Minazzi (Istituto “L. Geymonat” Milano), nel suo intervento su “Nuova Secondaria”, dal semplice titolo: Filosofia, pone il problema di distinguere, nell’ambito della programmazione didattica di inizio anno, fra l’avviamento dell’insegnamento della filosofia ed il suo regolare proseguimento. In entrambi i casi il metodo più opportuno per tale insegnamento consiste, secondo Minazzi, in quello che già Kant aveva indicato con il nome di metodo erotematico o dialogico-socratico, basato sul costante confronto critico fra il docente e il discente. Tale metodo appare infatti il più atto a sviluppare in quest’ultimo autonome capacità criticodialettiche ed un autonomo punto di vista, suscettibile di essere confrontato con altre prospettive. Minazzi indica alcuni obiettivi che si pongono all’interno di una strategia dell’educazione al dialogo e alla libera discussione critica, ma avverte anche come i possibili confronti che possono essere avviati fra discenti e docenti devono essere sempre vincolati, come punto di partenza, dai testi filosofici, in modo da superare ogni rischio di genericità culturale e da DIDATTICA abituare i discenti a storicizzare sistematicamente argomenti delimitati e problemi ben specifici. Fra gli obiettivi indicati nell’articolo, acquista particolare rilievo quello di abituare lo studente ad individuare i differenti concetti cui può far riferimento un medesimo termine del lessico filosofico e ad inserire ciascuno di questi differenti significati nella tradizione di pensiero che gli è più appropriata. Inoltre, sottolinea Minazzi, «di fronte alla polimorfa varietà del testo filosofico bisogna sviluppare nel discente la capacità di compiere letture diversificate di una stessa pagina filosofica...; di saper individuare il tema fondamentale affrontato dall’autore, ricollegandolo, eventualmente, con il suo tipico orizzonte filosofico, nonché con altre - e conflittuali - tradizioni di pensiero». Francesco Bottin (Università di Padova) e Armando Girotti (Liceo scientifico “Cornaro” - Padova) avanzano, sul medesimo numero di “Nuova Secondaria”, un progetto articolato per l’insegnamento della filosofia (“Filosofia: proposta per una didattica”). Convinzione degli autori è che l’insegnamento filosofico, pur interagendo ed integrandosi con le altre discipline curricolari, non deve mai mancare di caratterizzarsi in maniera autonoma, in base alla sua finalità fondamentale che è quella di sviluppare lo spirito critico proprio della razionalità contemporanea. La proposta degli autori si traduce poi in una ipotesi di definire la struttura e le fasi sequenziali in cui articolare le lezioni di filosofia, secondo uno schema basato sui seguenti titoli principali: premessa generale (definizione degli obiettivi, scelta dei metodi e degli strumenti), argomento specifico (tesi portante, selezione dei contenuti, strutturazione delle sequenze di approfondimento, preparazione dei materiali), attuazione, verifica e questionari. nonché delle discussioni e degli approfondimenti in classe. Gli obiettivi del test, presentato sulla rivista, riguardano la comprensione terminologica, la comprensione dei problemi, la verifica della capacità di analisi delle risposte kantiane, della capacità di generalizzazione, di trasformazione e di adattamento dei risultati. Si sono utilizzati quesiti a scelta multipla, quesiti del tipo Vero/Falso (anche con correlazione logica), quesiti del tipo “corrispondenze”, e infine quesiti del tipo “saggio breve”. Vengono poi specificate le istruzioni per l’analisi e la valutazione esatta dei risultati. Su “Il tempo della scuola”, n. 3 (1993), compare un articolo di Ennio d’Amico, che propone un test di verifica dell’apprendimento del criticismo kantiano. La proposta nasce dal tentativo di misurarsi con i problemi relativi alla valutazione dei processi di apprendimento in itinere. Secondo Ennio d’Amico il docente deve, per una sua seria riqualificazione professionale, maturare competenze relative alla conoscenza dei processi di apprendimento, alla valutazione e alla verifica dei livelli di apprendimento dei propri allievi, alla costruzione di strumenti di verifica. Il test approntato intende individuare i livelli di apprendimento di una classe quinta di liceo scientifico, in relazione alla problematica epistemologica, così come si presenta nel criticismo kantiano. Nel costruire gli items si è tenuto conto non solo del programma svolto, ma anche dei testi utilizzati (manuale e antologia di scritti kantiani) 66 RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO n. 1, gennaio-marzo 1993 Giuffrè editore, Milano Questo numero della rivista è dedicato alla figura di Renato Treves. a proposito di critica della conoscenza e critica della metafisica: la critica hegeliana, pur muovendo dalle posizioni kantiane, si propone come un vero e proprio superamento di Kant. I principi dell’etica biomedica e il personalismo, di P. Cattorini. Renato Treves (1907-1992), di N. Bobbio. Renato Treves filosofo del diritto, di M. A. Cattaneo. Renato Treves sociologo del diritto, di V. Ferrari. La schiavitù in Aristotele, di L. Bagolini: l’articolo prende spunto dalla tesi che la teoria aristotelica della schiavitù inerisca al problema morale e riguardi quindi la questione della perfettibilità dello schiavo. Integrità, tradizione, interpretazione, di B. Pastore: la riflessione di Dworkin, in L’impero del diritto (1986), sulla nozione di integrità alla luce dei concetti di pratica sociale e tradizione. Bioetica y poder, di J. M. Serrano RuizCalderon. AQUINAS Anno XXXVI, n. 1, gennaio-aprile 1993 Pontificia Università Lateranense L’archeologia del post-moderno: Bataille, Lacan, Derrida, di P. Pellecchia: determinante per la comprensione del pensiero della post-modernità non è tanto Nietzsche, quanto le letture di Nietzsche, soprattutto a partire dall’interpretazione heideggeriana. Christian anthropological conceptions and their foundation in the ‘Holy Scripture’ and the ‘Magisterium’, di G. Blandino. Hegel e Kant: critica della conoscenza e critica della metafisica, di L. Messinese: analisi della critica hegeliana alla filosofia teoretica di Kant, con particolare attenzione ai rapporti intercorrenti tra i due filosofi La recuperacion de la politica como cienca pratica y Santo Tomas de Aquino, di J. M. Barrera. Aristotele in Hegel secondo G. R. G. Mure, di M. Demofonti: lo studioso inglese Mure e la sua interpretazione di Hegel alla luce di un effettivo rapporto con Aristotele. Ontosemantica en el umbral de la metafisica, di L. V. Burgoa. Wittgenstein e la natura felice del colore, di G. Cascione: la riflessione su spazio, colore e immagine nello sviluppo del pensiero di Wittgenstein. Wittgenstein e Peirce sull’esperienza interna, di R. M. Calcaterra: la riflessione di Wittgenstein e Peirce sui “fatti interni” rappresenta un aspetto significativo della impostazione anti-coscienzialista di entrambi. Dalla macchina intelligente alla macchina socializzata, di D. Sparti: una critica filosofica dell’intelligenza artificiale. La critica dei pregiudizi in D’Holbach, di D. Di Iasio. Il ritmo del pensiero nei ‘Quaderni del carcere’, di G. Baratta. Compare inoltre un ricordo di C. Luporini, recentemente scomparso, a cura di D. Bigalli. NOVECENTO Vol. 3, n. 7, 1993 Centro di Studi Italiani, Roma L’autonomia scientifica della linguistica: intervista di F. Casadei a Raffaele Simone sul suo recente libro: Il sogno di Saussure (Laterza, Bari, 1992). Un enigma platonico, di F. Fronterotta: la questione della dottrine non scritte e la storiografia platonica. Verso una sistemazione del concetto di immagine corporea, di F. Castellana. Tra ambiguità e conflittualità permanente, di M. Gracceva: note a Die Betrogene di Thomas Mann. PARADIGMI Vol. XI, n. 32, maggio-agosto 1993 Schena Editore, Brindisi La filosofia delle forme simboliche di Cassirer e il suo significato per il presente, di E. W. Orth. 67 STUDI KANTIANI n. 6, 1993 Giardini Editori e Stampatori, Pisa Del criticismo kantiano o della filosofia come “riflessione trascendentale”, di F. Barone: testo dell’intervento di Barone a Napoli nel 1991 in occasione della presentazione dell’opera di Kant, Epistolario filosofico (1761-1800) (Il Melangolo, Genova 1990). Spontaneità e libertà nella filosofia pratica di Kant, di K. Düsing: un’analisi accurata della teoria kantiana della libertà nella Fondazione della metafisica dei costumi, in cui è ancora ben presente la riflessione degli anni Settanta, per poi rivolgersi al rapporto tra legge morale e libertà nella Critica della ragion pura. In questa evoluzione si registra un passaggio da una concezione della libertà vicina a quella dell’idealismo fichtiano alla dottrina propriamente kantiana della libertà, in cui pur sempre permane un significato teoretico. RASSEGNA DELLE RIVISTE Pietro Siciliani Lettore “positivista” di Kant, di L. Bellatalla. Luigi Pareyson ad un anno dalla scomparsa, di S. Givone. Il significato “ecologico” di alcune pagine kantiane della ‘Critica del Giudizio’, di S. Marcucci: un’analisi del cap. 63 della Critica del Giudizio teleologico. Il ritorno di Hermann Cohen a Marburg, di P. Fiorato. Filosofia della natura e soggettività in Kant. Alcuni punti di vista, di P. Vasconi: una rassegna di testi recenti sulla filosofia della natura di Kant in rapporto ad alcuni temi della riflessione epistemologica odierna e ai progressi delle scienze empiriche. La Kant-Forschungsstelle dell’Università di Magonza, di C. La Rocca. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXV, n. 1, gennaio-marzo 1993 Vita e Pensiero, Milano Il Gaetano e l’ente “primum cognitum”, di F. Riva: la questione dell’ente come primum cognitum è al centro della riflessione di Tommaso de Vio Card. Gaetano (14691534), il quale non può essere considerato semplicisticamente come il prodotto di una certa tradizione filosofica di stampo aristotelico-tomista. Questa problematica assume infatti una curvatura problematica che, oltre all’ambito ontologico, investe anche l’area teoretica. Il problema del “dovere” nel pensiero di Moritz Schlick e di Ludwig Wittgenstein, di S. Marini. Per una interpretazione fenomenologica di Jonas, di S. Mancini: riesame di alcuni temi etici della filosofia di Jonas, connessi anche a problematiche teoretiche; infatti il contributo più importante che Jonas ha lasciato alla riflessione del nostro secolo è appunto incentrata sulle tematiche etiche, legate anche a problemi di ordine economico ed ecologico, a partire soprattutto dal 1979. che cosa consiste il post del Postmoderno. AUT AUT n. 254-255, marzo-giugno 1993 La Nuova Italia, Firenze Tema della rivista: “Il soggetto di Leibniz” Il fascicolo si apre con un contributo di H. G. Gadamer del 1946, in occasione del trecentesimo anniversario della nascita di Leibniz, in cui viene delineato un profilo storicoteoretico del grande filosofo moderno. Seguono poi interventi che indagano su aspetti particolari del pensiero leibniziano: Lineamenti fondamentali del “senso interno”, di A. Robinet, sul problema del “senso interno” della monade; La teoria leibniziana della relatività di spazio e tempo, di H. Poser, sul contesto teoretico di spazio e tempo della monade; Relazioni intramonadiche e percezioni, di M. Mugnai, sul rapporto di relazione nelle percezioni monadiche; Il proscritto del re. Leibniz “gentilhomme de coeur”, di G. Zingari, sul ruolo di Leibniz come impiegato di corte; Il lato notturno della filosofia di Leibniz, di V. Mathieu, sull’aspetto non rigorosamente razionale del pensiero di Leibniz; Un incontro monadologico tra Oriente ed Occidente. La recezione di Leibniz nel poeta giapponese Kenji Miyazawa, di K. Sakai; “Perché qualcosa piuttosto che niente?” Leibniz e l’onto-teo-logia moderna, di M. Ruggenini, sulla domanda metafisica fondamentale che lega Leibniz a tutta la storia della metafisica occidentale; Su Leibniz, di G. Deleuze; Leibniz, paradigma di sistematicità. Intorno alla lettura di Michel Serres, di A. Delcò; Che cos’è il neobarocco filosofico?, di M. Perniola; La camera oscura. Implicazioni e complicazioni del soggetto in Leibniz, di R. Cristin. Lo sforzo di tutti questi interventi è quello di porre in rilievo il tema del soggetto, tema che, al di là di una specifica ricerca, rappresenta senz’altro un tentativo di risposta ad una delle questioni che più caratterizzano la nostra epoca. In questo senso l’attualità di Leibniz si coglie soprattutto nello sforzo di ridimensionamento del ruolo del soggetto , alla ricerca di un nuovo rapporto organico con il mondo che ben si lega alle esigenze ecologiche da più parti emergenti. D’altra parte, se senz’altro risultano innegabili i contributi forniti dal filosofo alla scienza, degna di attenzione è anche la sua prospettiva politica di stampo europeista, che rappresenta un’anticipazione di problematiche proprie del nostro tempo. Gadda e il caleidoscopio dell’euresi, di G. Gabetta Di un gatto (Malraux e la gloria) di J. F. Lyotard. La città aperta ed i suoi emblemi, di H. D. Bahr: l’immagine della città nella storia della filosofia. La verità del cercare, di F. Rella e O. Cecchi: una corrispondenza tra i due amici. Filologia col botto, di M. Ferraris: ancora un intervento sul dibattito relativo alla recente pubblicazione della Volontà di potenza, a cura di Ferraris e Kobau, con particolare riferimento all’ambito della denazificazione di Nietzsche. Per un’epistemica costruttiva, di A. Sciacchitano. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Vol. 47, n. 2, aprile-giugno 1993 Klostermann Verlag, Frankfurt a/M Formale Semantik im Verhältnis zur Erkenntnistheorie, di H. Hrachovec. Die Konsequenzialistische Begründung des Lebensschutzes, di G. Pöltner. Zwischen Wissenschaftskritik und Hermeneutik: Foucaults human Wissemschaften, di D. Teichert: una riflessione sull’evoluzione del pensiero di Foucault. Freiheit und Determinismus (2), di G. Seebass. ZEITSCHRIFT FUR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Klostermann, Frankfurt a/M Vol. 47, n. 3, luglio-settembre 1993 Interkulturalität und inter-Intentionalität, di E. W. Orth: gli articoli di Husserl del 1923-24 (Kaizo- Artikel). Prove elènchiche relative all’immaterialità ed immortalità dell’anima, di F. Rivetti Barbò. AUT-AUT Il senso di presenza e la concezione postfenomenistica dell’essere (il problema di una semantizzazione elementare dell’essere), di M. Mangiagalli. L’ospitalità, di P. A. Rovatti: alcune pagine sull’ospitalità di E. Jabès. n. 256, luglio-agosto 1993 La Nuova Italia, Firenze Jenseits von Cartesianismus und Skeptizismus, di W. Lütterfelds: il paradosso wittgensteiniano della certezza del contingente. Il postmoderno come parte del Moderno, di O. Marquard: l’autore sostiene, in modo originale, che Moderno e Postmoderno non sono in contraddizione, indicando anche in Die Fäden im Gewebe der Natur, di W. Lübbe: determinismo e probabilismo nella teoria della causalità di J. Stuart Mill. 68 RASSEGNA DELLE RIVISTE Kants Theorie der formalen Bestimmung des Willens, di F. Schroeter. lità probabilistica in J. von Kries (1888). What is species?, di M. Mahner: un’analisi dell’ontologia di Mario Bunge. DEUTSCHE ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHIE Vol. 41, n. 4/1993 Akademie Verlag, Berlin Der Tod des Subjeckts, di A. Heller: la questione della soggettività nella filosofia contemporanea. Habermas liest Humbolt, di J. Trabant: un confronto tra Habermas e Humbolt intorno al problema del linguaggio. Was Computer noch immer nicht können, di H. L. Dreyfus. Und noch einmal: “Ob Computer denken können?”, di K. Meyer-Drawe. Die umfassende Rolle des Körpergefühls im Denken und Sprechen, di E. T. Gendlin. Werfen wie ein Mädchen, di I. M. Young: la corporeità e la riflessione di MerleauPonty. Die Situiertheit des Denkens, Wissens und Sprechens im Handeln, di H. J. Schneider: gli orizzonti di pensiero aperti dalla riflessione dell’ultimo Wittgenstein. ZEITSCHRIFT FÜR ALLGEMEINE WISSENSCHAFTSTHEORIE Vol. 24, n. 1, 1993 Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, Boston, London Nachruf auf Wolfgang Stegmüller, di R. Kleinknecht. The seven sins of pseudo-science, di A. A. Derksen: il criterio di demarcazione tra scienza e non-scienza e le riflessioni di Laudan e Lugg. Mathematical progress: between reason and society (I), di E. Glas: esame dello statuto epistemologico della matematica; alla luce anche della riflessione di Lakatos; ci si chiede se la matematica sia una conoscenza svincolata da ogni condizionamento storico, culturale, sociale o temporale, o non sia piuttosto un prodotto storicamente contingente della cultura umana. Is there an incommensurability between superseding theories?, di A. Polikarov: alcune considerazioni sul concetto di incommensurabilità. za del ruolo di Sartre per la nascita del poststrutturalismo. Discontinuous becomings. Deleuze on the becoming-woman of philosophy, di R. Braidotti. Philosophy of science in Finlaand: 19701990, di I. Niiniluoto. Gilles Deleuze: the aesthetics of force di R. Bogue: una ricostruzione della riflessione estetica di Deleuze a partire da Francis Bacon: logique de la sensation (1981) e dai suoi scritti sul cinema e sulla musica. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Making it whit death: remarks on thanatos and desiring-production, di N. Land: Deleuze come emblema dello spinozismo trascendentale di molti pensatori contemporanei. Vol. XXXI, n. 2, aprile 1993 Washington University, St. Louis The moral status of “the Many” in Aristotle, di J. E. Garrett: sul significato dei termini hoi polloi, hoi fauloi e le loro implicazioni, legate alla riflessione dell’Etica nicomachea e della Retorica II, 12-17. Language games, expression and desire in the work of Deleuze, di J. M. Heaton. Nomads and revolutionaries, di S. Plant: la riflessione politica di Deleuze e Guattari in Mille Plateaux: capitalisme et schizophrénie (1980). Burudan and skepticism, di J. Zupko: il confronto tra Buridano e le tesi scettiche di Nicola di Autrecourt. J. B. S. P. Mathematical demonstration and deduction in Descartes’s early methodological and scientific writings, di D. A. Recker. Vol. 24, n. 2, maggio 1993 University of Manchester, Manchester Tema della rivista: “Io, Politica, Metodo”. The rational warrant for Hume’s general rules, di M. A. Martin: dopo una breve rassegna dei più significativi interventi sul tema humeano delle leggi generali e un esame preventivo di questa teoria, viene analizzato il rapporto tra leggi generali e autorità normativa. Limiting reason’s empire: the early reception of Hegel in France, di B. Baugh: Hegel in Francia, ovvero il “concreto universale” nell’epistemologia francese e il ritorno dall’epistemologia alla storia. The question of the transcendental Ego: Sartre’s critique of Husserl, di J. M. Edie: a partire da La trascendenza dell’ego (1936) di Sartre, l’articolo ricostruisce il rapporto tra Sartre e Husserl sulle nozioni di “io trascendentale” e di intenzionalità; tali nozioni, se da un lato consentono a Sarte di abbandonare la fenomenologia dei suoi maestri francesi, come Brunschvicg, Lalande, Meyerson, dall’altro gli appaiono inficiate da una profonda irrazionalità. A question concerning Heidegger’s involvement in national socialism , di F. Schalow. J. B. S. P. Vol. 24, n. 1, gennaio 1993 University of Manchester, Manchester Tema della rivista: “Il pensiero di Gilles Deleuze”. The system and its fractures: Gilles Deleuze on otherness, di T. G. May: la riflessione dell’ultimo Deleuze. Physical constants and reference dynamics, di B. Lauth. Deleuze and empiricism di B. Baugh: la particolarità dell’empirismo di Deleuze, venato di metafisica ed ispirato da Hume. Die Theorie der adäquaten Verursachung, di W. Lübbe: il concetto di causa- Foreclosure of the other. From Sartre to Deleuze, di C. V. Boundas: sull’importan69 Recent american perspectives on Nietzsche’s political significance, di H. Weiss: distinguendo tra una Destra, un Centro ed una Sinistra nietzscheana, l’articolo affronta alcune questioni centrali nella critica americana al filosofo tedesco: l’olismo ermeneutico, l’integrità logica, il postmoderno. Marx’s ‘Capital’ from the viewpoint of transcendental philosophy, di K. Hartmann: una valutazione dell’aspetto teoretico del Capitale a partire dalla filosofia trascendentale. Towards a unified epistemology of the human and natural sciences, di S. Glynn. RASSEGNA DELLE RIVISTE THE PHILOSOPHICAL REVIEW Vol. 102, n. 2, aprile 1993 Cornell University, Ithaca, New York Descartes on mind-body interaction and the conservation of motion, di P. McLaughlin: la questione cartesiana del rapporto anima-corpo e l’interpretazione di Leibniz. Spinoza’s argument of the identity theory, di M. Della Rocca: la questione del rapporto anima-corpo in Spinoza. Anomalism, uncodifiability and psychophysical relations, di W. Child. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Vol. 91, maggio 1993 Institut supérieur de philosophie Louvain la Neuve Socratic questioning, logic and rhetoric, di J. Hintikka: l’articolo indaga l’origine della teoria logica, metodologica e retorica di Aristotele. Persuasion and moral reform in Plato and Aristotle, di G. Klosko: l’importanza della riflessione platonica sulla retorica nel Fedro e nel Gorgia per lo sviluppo della teoria aristotelica, in funzione anche del forte legame tra retorica e politica. Style & sense in Aristotle’s rhetoric BK 3, di S. Halliwell. La possibilità di una formalizzazione della logica aristotelica degli entimemi, di A. Plebe: la logica aristotelica degli entimemi dei cap. 23-24 della Retorica dà la possibilità di una formalizzazione di una logica della scelta, gli entimemi dimostrativi, da un lato, e di una logica paralogica, gli entimemi apparenti, dall’altro. perte sono state di recente rivalutate (Dalla logica contemporanea alla logica medievale, di A. Maierù). Troviamo inoltre interventi sul rapporto tra fede, scienza e concezione della storia (Scienza ed epistemologia nell’Islam medievale, di M. Campanini; La concezione del tempo e della storia nell’Islam. L’interpretazione fenomenologica di H. Corbin, di R. Silva). Numerosi interventi anche sulla medicina medievale, sull’aritmetica e sulla concezione scientifica di Dante. INTERSEZIONI (Vol. XIII, n. 2, agosto 1993, Il Mulino, Bologna) dedica un numero monografico al tema: “La tecnica alla fine del millennio”. PROSPETTIVA PERSONA (N. 1-2, lugliodicembre 1992, Demian Edizioni, Teramo) presenta un intervento di P. Ricoeur dal titolo: Il nuovo ethos per l’Europa. MERKUR (Vol. 47, n. 6, giugno 1993, Klett Événement et destinée chez Schelling, di M. Maesschalck: nella fase finale dello sviluppo della sua filosofia Schelling tenta di superare le aporie relative alla questione dei principi primi dell’esistenza in rapporto all’Assoluto; le difficoltà interpretative proprie di questa fase della riflessione schellinghiana hanno determinato un certo oblio storiografico che solo di recente ha recuperato la portata ontologica di una filosofia essenziale per la comprensione dell’esito finale dell’idealismo tedesco. Anthropologie et philosophie: un double retour au fondement, di P. Watté: la questione, posta da Cassirer, delle condizioni di oggettività e dello statuto epistemologico dell’antropologia sociale negli studi più recenti. La sagesse de l’histoire. Jean Baptiste Vico et la philosophie pratique, di M. R. Natale; recensione dell’omonimo volume di F. Botturi (Vita e Pensiero, Milano 1991). Hegel, des années de jeunesse à la fondation du premier système. Aperçu de la littérature récente sur le jeune Hegel, di O. Depré. Sur la spécificité philosophique du Japon, di B. Stevens: recensione di N. Kitarô: La culture japonaise en question (Publications Orientalistes de France, 1991). Penser l’Autre: théologie négative et “postmodernité”, di P. W. Rosemann. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Vol. 47, n. 1, 1993 Universa, Wetteren Tema della rivista: “La retorica di Aristotele”. Remarks on induction in Aristotle’s dialectic and rhetoric, di S. Knuuttila. Cotta, Stuttgart) presenta interventi su Shakespeare, Stendhal ed una conversazione tra Duby, Geremek e Sainteny sul ruolo delle donne nel Medioevo TEOLOGIA (Anno XVIII, n. 2, giugno 1993, ER, REVISTA DE FILOSOFIA (n. 14, 1992/ 1, Er editorial, Sevilla) presenta un numero monografico dedicato a Friedrich Nietzsche. LES ÉTUDES PHILOSOPHIQUES (gennaio-marzo 1993, Paris, PUF) dedica il fascicolo a Revaisson, l’intelligence de l’habitude. REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE (Vol. 98, n. 1-2, gennaio-giugno 1993, Armand Colin, Paris) è dedicata al centenario della fondazione della rivista. In questo numero speciale vengono raccolti articoli significativi per la storia della rivista e dei suoi importanti collaboratori ed un elenco degli articoli pubblicati dal 1893 al 1992. NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE (anno XI, n. 2, aprile-giugno 1993, Nuova Eri, Torino), presenta un fascicolo monografico dedicato al tema: “Scienza e tecnica nel Medioevo”, in ideale continuità con un analogo fascicolo del 1991 dal titolo: “Scienza e tecnica nel mondo classico”. Il Medioevo cristiano, anche grazie all’apporto della cultura araba, integrò la concezione greca dell’universo e dell’ordine cosmico attraverso l’idea dell’origine divina di esso, pur non rinunciando ad un’analisi razionale che potesse allargare il campo delle nostre conoscenze. Questo è quanto afferma M. T. Beonio Brocchieri Fumagalli (Teologia e scienza nel pensiero medievale), che con ciò dimostra l’infondatezza dell’opposizione, nel Medioevo, tra religione e scienza naturale. Rilevante anche l’apporto dei logici medievali, le cui sco70 Glossa, Milano) presenta un intervento di P. Gilbert dal titolo: La ragione teologica nel sec. XIII: a proposito di figure medievali della teologia, a proposito del volume di I. Biffi: Figure medievali della teologia (Milano, Jaka Book, 1992) CULTURA E LIBRI (n. 86, maggio-giugno 1993, Dante Alighieri, Roma) è dedicata al tema: “Epistemologia contemporanea (II): Popper e Kuhn” e propone una rilettura critica delle opere di Popper e Kuhn, segnalazioni bibliografiche e recensioni dei principali testi di critica epistemologica ed un glossario dei termini fondamentali per capire la moderna filosofia della scienza. RIVISTA ROSMINIANA (Anno LXXXVII, n. 2, aprile-giugno 1993) presenta un articolo di W. A. Daros: Ser y verdad en la filosofia de Rosmini, che propone un confronto tra il pensiero di Rosmini e quello di Heidegger. RIVISTA ROSMINIANA (Anno LXXXVII, n. 3, luglio-settembre 1993 presenta l’articolo di G. Giannini: La nozione di mondo nella Teosofia di Rosmini. SCHERIA (Anno I, n. 3, settembre-dicem- bre 1992, Valentino Editore, Casamicciola Terme) presenta un intervento di K. O. Apel dal titolo: La dimensione ermeneutica delle scienze sociali e la sua fondazione normativa; compare inoltre Raffaello Franchini: la filosofia come vocazione, di G. Cotroneo. NOVITÀ IN LIBRERIA NOVITÀ IN LIBRERIA AA.VV. Filosofia e cultura nell’Europa di domani a cura di Battista Mondin Città Nuova, settembre 1993 pp.224, L. 20.000 Nell’Europa “da fare” la sintesi classico-cristiana rimane esemplare e orientatrice, ma essa deve restare aperta alle necessità e urgenze dell’oggi e del domani: per esempio, la cultura della solidarietà e dell’ “altro” deve prendere il sopravvento sull’attuale disgregante modello edonistico. AA.VV. Interiorità e comunità. Esperienze di ricerca in filosofia a cura di A. Rigobello Studium, settembre 1993 pp. 339 Il volume raccoglie diversi saggi che affrontano la filosofia dal punto di vista della ricerca e del ricercare come domande fondamentali della filosofia e, sotto questo profilo, prendono in esame varie forme in cui questo ricercare della filosofia si concretizza nell’esperienza comunitaria: dal dialogo al seminario, dalla lectio alla disputatio. AA.VV. Chaos- das schöpferische Prinzip? a cura Engadiner Kollegium Herder, maggio 1993 pp. 240, DM 38 Abel, Günther Interpretationswelten. Gegenwartsphilosophie jenseits von Essentialismus und Relativismus Suhrkamp, maggio 1993 pp. 535. DM 64 Abosch, Heinz Das Ende der großen Visionen. Plädoyer für eine skeptische Kultur Junius, maggio 1993 pp. 180, DM 34 Albertazzi, L. - Poli, R. Brentano in Italia Guerini, settembre 1993 pp.350, L. 54.000 Il volume tratta della complessa influenza che il filosofo tedesco Franz Brentano ha esercitato sulla cultura del nostro secolo, in particolare su quella italiana. sul problema dell’essere; discussioni polacche sul reismo. Alighieri, Dante Convivio Rizzoli, settembre 1993 pp. 376, L. 14.000 La grande enciclopedia filosofica di Dante, mista di versi allegorici e prose esplicative, per la nuova aristocrazia spirituale degli italiani, fu scritta fra il 1304 e il 1307. Baas, Bernard Le Désir pur: parcour philosophique dans les parages de J. Lacan Peeters, luglio-agosto 1993 pp. 219, F. 123 Il nostro secolo filosofico ha fatto della finitezza l’oggetto di dibattito intorno al pensiero. Le prospettive aperte dalla comprensione lacaniana ci invitano ad una rilettura dei filosofi, a cominciare da Platone. Ai filosofi restano molte cose da scoprire del pensiero di Lacan, che troppo spesso si è voluto ridurre alle motivazioni liguistiche della sua ricerca. Alverny, Marie-Thérèse d’ Aviecienne en Occident: receuil d’articles de Marie Thérèse d’Alverny réunis en hommage a l’auteur Vrin, luglio-agosto 1993 pp. 272, F 320 La redazione degli articoli raccolti in questo volume accompagnò l’elaborazione e la pubblicazione da parte di M. T. d’Alverny del catalogo metodico del Avicenna latinus, apparso negli Archivi di storia dottrinale e letteraria del Medioevo tra il 1961 e il 1972. I manoscritti di Avicenna vanno a controbilanciare, nella nostra conoscenza della vita intelletuale medioevale, il peso dell’aristotelismo. Balibar, Etienne La Philosophie de Marx La Découverte, luglio-agosto 1993 pp. 128, F 45 Allievo e collaboratore di Louis Althusser, l’autore tenta una doppia scommessa: rendere accessibili i temi ed i problemi propriamente filosofici che sono stati trattati da Marx o che possono essere suscitati dalle sue opere, e proporre gli elementi di un bilancio e di un pronostico. Antony, Louise M. (a cura di) A Mind of one’s own. Feminist Essays on Reason and Objectivity Westview Press, maggio 1993 pp. 330, £ 12 Tredici femministe discutono se riservare o meno un posto agli ideali tradizionali di razionalità ed obiettività, all’interno del modo femminista di vedere la filosofia ed il mondo. Baruzzi, Arno Die Zukunft der Freiheit Wissenschaftl. Buch., maggio 1993 pp. 370, DM 69 Si riflette sul futuro della libertà attraverso la sua origine: libertà classica, libertà cristiana, Liberalismo, Idealismo tedesco, Socialismo, Liberalismo postmoderno. Nel capitolo finale viene posta la domanda sulla dignità umana in relazione alla libertà. Aubenque, Pierre La Prudence chez Aristote PUF, luglio-agosto 1993 pp. 224, F. 62 La prudenza aristotelica rappresenta, secondo P. Aubenque, la fortuna ed il rischio dell’azione umana. Bayertz, K. (a cura di) Evolution und Ethik Reclam, giugno-luglio 1993 pp. 375, DM 14 Augustynek, Z. - Jadacki, J.J. Possible Ontologies Edition Rodopi, giugno-luglio 1993 p. 193, Fr. Ol. 100 Rassegna di una certa ontologia; il minimo ontologico; Carnap e Leibniz Bell, David (a cura di) Wissenschaft und Subjektivität. Der Wiener Kreis und die Philosophie des 20. Jahrhunderts Akademie Verlag, luglio 1993 pp. 160, DM 98 71 Bianchi, L. - Randi E. Vérité dissonantes: Aristotes à la fin du Moyen Age pref. M. Fumagalli Beonio Brocchieri trad. dall’italiano di C. Pottier Ed. Univ. de Fribourg, giugno 1993 pp. 266, F 45 Gettando uno sguardo nuovo sulla storiografia medievale, quest’opera affronta diversi problemi relativi al quadro filosofico e culturale dei secoli XIII e XIV: onnipotenza divina, pluralità dei mondi possibili, calculationes, armonia dell’universo Borreil, Jean La Raison nomade a cura di C. Buci-Glucksman, J. Fraisse, G. Rancière pref. J. Rancière Payot, giugno 1993 pp. 264, F. 160 Lo scrittore e filosofo Jean Borreil, nato nella Catalogna francese nel 1938, rintraccia il suo percorso paziente, dalla fondazione della rivista “Rivolte logiche” (nel 1975) fino alla sua scomparsa nel 1992. Bos, E. P. - Krop H., A. (a cura di) Franco Burgersdijk (1590-1635). Neo-Aristotelian in Leiden Edition Rodopi, giugno-luglio 1993 pp. 185, Fior. Ol. 60 Bourg, Dominique (a cura di) Les Sentiments de la nature La Découverte, luglio-agosto 1993 F 120 Per superare il mito di una simbiosi uomo-natura che sarebbe propria delle società africane, in opposizione all’essenza predatrice che caratterizzerebbe le società cristiane occidentali, questo libro offre un’informazione rigorosa sulle interpretazioni della natura nelle grandi civiltà. Bourgeois, Bernard D’Hondt, Jacques La philosophie et la Révolution française Vrin, luglio-agosto 1993 pp. 313, F 240 Con l’intento di aiutare a forgiare una concezione meditata della Rivoluzione, questo Convegno internazionale NOVITÀ IN LIBRERIA (Société française de philosophie, 31 maggio- 1˚ e 2 giugno 1989) permette di chiarire il ruolo e la funzione della filosofia nella storia. Breadzeale, D. Janke, W.- Krämer, F. Hiltscher, R. Theorethische Vernunft Edition Rodopi, luglio 1993 pp. 244, Fior. OL. 80 Brykman, Geneviève Berkeley et le voile des mots Vrin, luglio-agosto 1993 pp. 445, F 280 Fondato sulla critica dell’astrazione, l’immaterialismo di Berkeley si evolse privilegiando il carattere metaforico delle forme del discorso degli uomini. In effetti il velo delle parole è una realtà doppia: il primo velo è nella polvere sapiente dei partigiani delle idee astratte; il secondo si mostra nel carattere indicibile di ciò di cui non abbiamo idea e di cui parliamo per analogie e metafore. Buccianti, Giovanni 1989: idoli infranti, fantasmi di guerra Giuffrè, settembre 1993 pp.172, L. 18.000 Il crollo dell’impero sovietico, l’abbattimento del muro di Berlino, il fallimento dell’ideologia comunista, la fine della guerra fredda: i grandi avvenimenti del 1989 che hanno chiuso definitivamente un’epoca, al vaglio di uno storico delle relazioni internazionali. Burbage, Frank Chouchan, Natalie Leibniz et l’infini PUF, luglio-agosto 1993 pp.128, F 280 Leibniz è uno degli inventori del calcolo infinitesimale. Qual’è il senso di questa invenzione? Si tratta del punto di ancoraggio di una filosofia nuova che farebbe della comprensione razionale dell’infinito la sua preoccupazione principale? C. Chalier, M. Abensour (a cura di) Cahier de l’Herne Emmanuel Lévinas LGF, giugno 1993 pp. 626, F 70 Contiene dei testi di filosofia, tra i quali: Trascendenza e tempo; La coscienza non intenzionale; Socialità e danaro. Diversi autori, tutti operanti in ambito universitario, e specialisti stranieri apportano il loro contributo a questo studio dell’asse portante del pensiero di Lévinas. Cabibbo, Paola Lo spazio e le sue rappresentazioni: stati modelli, passaggi ESI, settembre 1993 pp.190, L. 26.000 Punti di vista e competenze eterogenee si confrontano, ragionando intorno al multivalente concetto di Spazio: artistico, urbanistico, teatrale, testuale, cognitivo, estetico, letterale e metaforico; visibile e invisibile; referenziale e ideologico. Caputo, Cosimo Su Hjelmslev La nuovola di Amleto: segno, senso e filosofia del linguaggio E.S.I., settembre 1993 pp.168, L. 22.000 L’esigenza di determinare l’orizzonte semiotico generale della ricerca di Louis Hjelmslev (1899-1965) finora non pienamente focalizzata nei numerosi studi che la considerano in funzione di un interesse strettamente linguistico, fa emergere così un “altro Hielmslev”. La problematica dell’interpretazione non è dunque estranea al linguista- danese, non è il tema più evidente, ma scavando nei suoi scritti, nella sua pratica teorica e storiografica se ne rintraccia la presenza. Cassirer, Ernst Erkenntnis, Begriff, Kultur a cura di R.A. Bast Meiner, maggio 1993 pp. 302, DM 38 Questo volume riunisce sei importanti saggi scritti fra gli anni 1913 e 1939 - altrimenti difficilmente raggiungibili in originale - nei quali Cassirer presenta i tratti fondamentali del concetto della conoscenza sviluppato nelle sue opere principali e respinge i fraintendimenti dei suoi contemporanei. Cavallari, Giorgio La forma, l’immaginario, l’uno. Saggi sull’analogia e il simbolismo Guerini, settembre 1993 pp.239, L. 35.000 Insegnare che l’albero simboleggia i molteplici stati dell’essere, o che la montagna è simbolo del cosmo, o che il sole rimanda ai principi intelleggibili dell’universo, significa mettere in evidenza come le varie forme della vita siano intrecciate in modo indissolubile con le immagine archetipe scaturite dai miti dell’Origine. Cavazzani, Guido Interpretazioni di Weber e teorie della società Franco Angeli, settembre 1993 pp.160, L. 24.000 I temi weberiani della politica, della burocrazia e della razionalizzazione nella società moderna sono visti come interpretazioni di Habermas e di Luhmann e di un particolare marxismo italiano di forte rilevanza sociologica. Cavinez, Patrice Le Politique et sa logique dans l’oeuvre d’Eric Weil Kimé, luglio-agosto 1993 pp. 296, F 180 Eric Weil (1904-1977), filosofo francese d’origine tedesca e di religione ebraica, ha elaborato una concezione ed una pratica della filosofia interamente rivolte al problema della violenza. Si tratta di una filosofia politica che ci permette di interrogare la nostra realtà, segnata dal post-comunismo. Ceynowa, Klaus Zwischen Pragmatismus und Funktionalismus. Hans Vaihimgers Philosophie des Als Ob Königshausen & Neumann maggio 1993 pp. 250, DM 50 Cicerone Plaisir et vérité: De finibus, livre I et II du souverain bien et du mal suprême a cura di e trad. di Chantal Labre Arléa, luglio-agosto 1993 pp. 153, F 95 Una nuova traduzione di una delle maggiori opere dell’autore, consacrata ai temi cari agli epicuristi. Cohn, Jonas Théorie de la dialectique: doctrine des formes philosophiques Age d’homme, luglio-agosto 1993 pp. 349, F 180 Dopo un excursus sulla storia del pensiero occidentale, quest’opera propone un inventario sistematico delle contraddizioni contro cui urta ogni coscienza al momento della ricerca di un discorso coerente. Colli, G. - Montinari, M. Miller, N. - Pieper, A. (a cura di) Nietzsche-Briefwechsel. Kritische Gesammtausgabe Briefe von und an Friedrich Nietzsche Oktober 1849-April 1869 (Sez. I, vol. 4) de Gruyter, giugno-luglio 1993 pp. 960, DM 360 La prima opera con i resoconti aggiuntivi all’edizione critica completa delle lettere di Nietzsche. Coniglione, F.(a cura di) Polish Scientific Philosophy. The Lvov- Warsaw School. Edition Rodopi, giugno-luglio 1993 pp. 358, Fior. Ol. 150 Scritti su Twardowski, Adjukiewicz, Kotarbinski, Tarski e Lukasiewicz, come pure sull’etica, sulla scienza, il nominalismo e la metodologia della psicologia. Coombs, Jerrold R. - Winkler, Earl Applied Ethics. A Reader Blackwell, giugno-luglio 1993 pp. 450, £ 15 Qual’è la natura dell’etica applicata? Qual’è il rapporto tra l’etica applicata, la scienza e la tecnologia? Può l’etica applicata essere criticamente sovversiva e riformare la moralità 72 convenzionale? Il testo indaga su queste questioni e fa il punto sull’etica del commercio, dell’ambiente e della biomedica. Coreth, Friedrich Der Zeitbaum. Grundlegung einer allgemeinen Zeittheorie Insel-Vlg, maggio 1993 pp. 288, DM 38 Courcelles, Dominique de La Parole risquée de Raymond Lulle: entre judaïsme, christianisme et islam Pref. A. De Libera Vrin, luglio-agosto 1993 pp. 192, F 162 Il volume propone una lettura dinamica di alcuni grandi testi nei quali Lulle parla di se stesso e rivela diverse convinzioni fondamentali della propria esistenza. La tesi centrale è che Lulle, nato tra il mondo ebraico, cristiano e musulmano nel XIII secolo, si sia convertito al Cristianesimo in linea con le interpretazioni talmudiche e midrasciche. D’Holbach, Paul Thiry Saggio sul pregiudizio Guerini, settembre 1993 pp.246, L. 38.000 Il pregiudizio, afferma D’Holbach, è tutto ciò che ingombra la strada della verità, è l’errore che occorre sradicare dalla metodologia politica di governo: è l’inganno, la menzogna, l’ideologia di cui il regime si serve come sistema per reprimere i popoli governanti. Derrida, Jacques Khôra Galilée, giugno 1993 pp. 90, F. 100 Khôra fa riferimento alla famosa materia informe di cui dispone il demiurgo nel Timeo di Platone per formare il mondo sensibile sul modello del mondo intellegibile. J. Derrida commenta il testo di Platone alla luce dell’analisi di J.-P. Vernant e presenta Khôra come il modello di un nome di cui sottolinea la femminilità essenziale. Derrida, Jacques Passions Galilée, giugno 1993 pp. 90, F. 98 Meditazione sui paradossi dell’educazione, sul senso del «dovere» e sul «segreto» che riveste i nomi propri. Derrida, Jacques Sauf le nom Galilée, giugno 1993 pp. 115, F.100 Due interlocutori discutono di ciò che ruota intorno al nome: dal nome dei nomi e dal nome di Dio che viene presentato come una realtà spirituale che non si può nominare. Dio diventa allora un SopraNome, che «conta di NOVITÀ IN LIBRERIA più del nome» ma che viene al «suo posto». Descombes, Vincent The Barometer of Modern Reason. On the Philosophies of Current Events Oxford University giugno-luglio 1993 pp. 224, £ 25 L’autore esplora e mette in discussione i mezzi di misurazione - “il barometro” - che vengono utilizzati dai filosofi per valutare lo spirito del tempo e/o la natura della ragione moderna. Di Gennaro, Antonio L’ermeneutica idealistica Filosofia politica neoidealistica italiana e interpretazione ESI, settembre 1993 pp.172, L. 22.000 Una storia del pensiero giuridico presuppone un valore delle varie e successive formulazioni in una loro considerazione nel tempo. Questa possibilità sorgerà solo superando la dicotomia tra un diritto e una interpretazione che ne è specchio. Dorschel, A. (a cura di) Transzendentalpragmatik. Ein Symposium für Karl-Otto Apel Suhrkamp, giugno-luglio 1993 pp. 456, DM 30 Duchesneau, François Leibniz et la méthode de la science PUF, giugno 1993 pp. 424, F. 258 Al di là del regno, poi l’eclisse, dal paradigma newtoniano, si pone l’opera filosofica e scientifica di questo pensatore che inventò il calcolo infinitesimale, la dinamica e dei nuovi modelli per la teoria dell’organismo e fornì un punto di ancoraggio privilegiato all’analisi epistemologica. Ebbinghaus, Julius Gesammelte Schriften Vol.IV: Studien zum Deutschen Idealismus. Schriften 1909-1924 a cura di H. Oberer e G. Geisman Bouvier, maggio 1993 pp. 430, DM 85 Il quarto ed ultimo volume dell’opera raccoglie lavori del periodo precedente al 1924, principalmente gli Studien zum Deutschen Idealismus. Contiene l’attesa prima pubblicazione della tesi per l’abilitazione alla libera docenza, Die Grundlagen der Hegelschen Philosophie 1793-1803 del 1921. Ebeling, Hans Das Subjekt in der Moderne. Rekonstruktion der Philosophie im Zeitalter der Zerstörung Rowohlt, giugno-luglio 1993 DM 22,90 L’autore fa riferimento alla dibattuta questione se ci si debba o meno ac- contentare dell’autodeterminazione dell’essere umano come essere umano. Nessuna realtà esterna può decidere rispetto a questa questione, solo l’essere umano stesso. Ehrlich, L. H. - Wisser, R. Karl Jaspers. Philosopher Among Philosophers. Edition Rodopi, giugno-luglio 1993 pp. 357, Fior. Ol. /5 Ehrlich, Leonhard H. Fraglichkeit der jüdische Existenz. Philosophische Untersuchungen zum modernen Schicksal der Juden Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 366, DM 78 La domanda sul futuro dell’Ebraismo viene sviluppata in tre parti: 1. l’incontro dell’Ebraismo con l’epoca moderna ed il suo ingresso in essa; 2. la distruzione della comunità ebraica europea da parte della Germania nazista; 3. la necessità di assicurare l’esistenza delle comunità ebraiche attraverso i moderni mezzi di esercizio del potere . Eichel, Christine Vom Ermatten der Avantguarde zur Vernetzung der Künste. Perspektiven einer interdisziplinären Ästhetik im Spätwerk Theodor W. Adornos Suhrkamp, maggio 1993 pp. 360, DM 48 Elster, Jon Argomentare e negoziare Anabasi, settembre 1993 pp.141, L. 20.000 Il centro teorico di questo mirabile saggio di filosofia politica è l’indagine su due tipi di atto linguistico: l’argomentare - che rinvia all’uso della ragione e al principio di imparzialità - e il negoziare - in cui l’egoismo scoperto si esprime mediante promesse, avvertimenti e minacce. Enderle, G. (a cura di) Lexikon der Wirtschaftsethik Herder, giugno-luglio 1993 pp. 704, DM 158 Il testo offre una conoscenza orientativa per coloro i quali cercano delle risposte affidabili nel campo problematico dei rapporti tra economia e morale. Engelen, Eva Maria Zeit, Zahl und Bild. Studien zur Verbindung von Philosophie und Wissenschaft bei Abbo von Fleury de Gruyter, maggio 1993 pp. 171, DM 42 In un dialogo interdisciplinare rappresentanti di diverse discipline (teologia, filosofia, geografia, pedagogia, psicologia e scienza comportamentale) discutono in maniera rappresentativa diverse questioni etiche sul rapporto dell’uomo con la natura e l’ambiente. Fischer, Hubert Einführung in die Philosophie. Grundlegende Begriffe und Vorstellungen im Rahmen einer essentiellen Philosophie Kovac, giugno-luglio 1993 pp. 200, DM 79,80 Fisher, K. R. - Wimmer, Fr. M. (a cura di) Der geistige Anschluß. Philosophie und Politik an der Universität Wien 1930-1950 Wiener Universität, maggio 1993 pp. 250, ÖS 248 Foley, Richard Working Without A Net. A Study of Egocentric Epistemology Oxford University, maggio 1993 pp. 256, £ 27.50 In questo libro, l’autore offre un’importante nuova teoria sulla razionalità. Il suo scopo è di sottrarsi alla “malinconia di Cartesio”, abbassando il livello di ciò che è razionale dall’impossibile livello di richiesta di certezza preteso da Cartesio. Freimuth, Frank Wie kultiviere ich die Freiheit bei dem Zwange? Zum Bildungsverständnis Friedrich Albert Langes Centaurus-Verl.-Ges., maggio 1993 pp. 176, DM 38 Freistetter, W. - Weiler, R. (a cura di) Die Einheit der Kulturethik in vielen Ethosformen Duncker & Humbolt, maggio 1993 pp. 360, DM 98 Friedrich, Janette Der Gehalt der Sprachform. Paradigmen von Bachtin bis Vygotskij Akad. Verlag, maggio 1993 pp. 224, DM 68 Gadamer, Hans-Georg Hermeneutik - Ästhetik praktische Philosophie. Hans-Georg Gadamer im Gespräch a cura di C. Dutt Winter, maggio 1993 pp. 48, DM 24 Erdmann, K.-H. Perspektive menschlichen Handelns: Umwelt und Ethik Springer, giugno-luglio 1993 pp. 216, DM 48 73 Gauthier, D. - Sugden, R. (a cura di) Rationality, Justice and the Social Contract. Themes from Morals by Agreement Harvester Wheatssheaf giugno-luglio 1993 pp 192, £ 35 Filosofi, economisti e teorici politici discutono l’opera di David Gauthier, il quale cerca di dimostare che individui razionali sarebbero disposti ad accettare certe costruzioni morali sulle loro scelte. Vengono analizzate possibilità e limitazioni di un approccio contrattuale su questioni giudiziarie. Gesche, Astrid Johann Gottfried Herder: Sprache und die Natur des Menschen Königshausen & Neumann maggio 1993 pp. 172, DM 38 Lo scopo del lavoro è di stabilire, in maniera il più possibile riassuntiva, la posizione di Herder all’interno della discussione filosofica e del dibattito sulle scienze naturali a lui coevi tesi a stabilire la motivazione antropologica della lingua. Giorello, Giulio - Regge Tullio Veca Salvatore Europa Universitas Feltrinelli, settembre 1993 pp.128, L. 20.000 I tre saggi che compongono questo libro, frutto di una originale e inedita collaborazione tra un filosofo della scienza, uno scienziato e un filosofo della politica, intendono mettere a fuoco, da tre diverse angolazioni prospettiche, questa specificità europea. In particolare, Giulio Giorello ricostruisce nel suo saggio alcuni momenti cruciali del percorso storico dell’ “Europa dei saperi” e spiega come si è costituita ed evoluta e quali effetti di lunga durata ha prodotto la comunità degli scienziati europei. Gloy, K - Burger P. (a cura di) Die Naturphilosophie im deutschen Idealismus Frommann-holzboog giugno-luglio 1993 pp. 399, DM 142 Atti del convegno tenutosi presso la “Reimers Stiftung” di Bad Homburg nell’aprile 1992. Questo volume viene promosso dallo “Hegel-Archiv” della Ruhr-Universität di Bochum. Graham, George Philosophy of Mind. An Introduction Blackwell Publishing, maggio 1993 pp. 224, £ 11 Un’introduzione alla filosofia della mente, che copre argomenti quali mente/corpo, identità personale, coscienza, intenzionalità e libertà della volontà. Il libro include anche argomenti come “l’esperienza dopo la morte”, le menti degli animali e di Dio, la malattia mentale e la felicità. NOVITÀ IN LIBRERIA Grätzel, Stefan Organische Zeit. Zur Einheit von Erinnerung und Vergessen Karl Alber, maggio 1993 pp. 150, DM 48 L’autore concepisce il rapporto, fondato dal punto di vista esistenzialeontologico, tra spazio e tempo ricorrendo al principio del “Gestaltskreis” (V. v. Weisäcker) come regolazione organica di ricordo e oblio. Sotto questo aspetto egli indaga i criteri dell’accesso e della disponibilità di passato presente e futuro. Grethlein, Thomas Reservate der Geltung. Untersuchungen zum Verhältnis von Transzendentalphilosophie zu Hermeneuthik und Pragmatik Königshausen & Neumann giugno-luglio 1993 pp. 200, DM 38 Il lavoro verifica come potrebbe realizzarsi un’ulteriore “espansione” del programma della filosofia trascendentale rispetto a quanto già tematizzato da Kant come Gegenstandsbereiche, o se esistano delle pretese di validità in un’operazione di questo tipo. Greven, M.Th. - Koop D. (a cura di) War der Wissenchaftliche Kommunismus eine Wissenschaft? Leske u. Budr., giugno-luglio 1993 pp. 180, DM 28 Großheim, M. - Waschkies, H. J. (a cura di) Rehabilitierung des Subjektiven. Festschrift für Hermann Schmitz Bouvier, giugno-luglio 1993 pp. 540, DM 180 Hermann Schmitz ha presentato negli ultimi decenni una concezione completamente nuova della filosofia attraverso il metodo di una lucida fenomenologia empirica. Invece di lavorare con le dicotomie tradizionali (corpo-anima, mondo interioremondo esteriore), Schimtz prende in considerazione il coinvolgimento affettivo, la sensualità, i sentimenti come atmosfere, le situazioni, le sensazioni. Guyer, Paul (a cura di) Kant and the Experience of Freedom. Essays on Aesthetics and Morality Cambridge University, maggio 1993 pp. 480, £ 45 Questa raccolta di saggi si propone di trasformare il nostro modo di concepire l’estetica e l’etica di Kant. Guyer mostra che al centro della teoria estetica di Kant il disinteresse per il gusto diventa un’esperienza di libertà e quindi un accompagnamento indispensabile alla moralità stessa. Hager, Fritz-P. Aufklärung, Platonismus und Bildung bei Shaftesbury Haupt, giugno-luglio 1993 pp. 240,, DM 48 Haller, Rudolf Neopositivismus. Eine historische Einfürung in die Philosophie des Wiener Kreises Wissenschaftl. Buch., maggio 1993 pp. 308, DM 59 Il libro non fornisce solamente una panoramica delle premesse del Neopositivismo, della sua evoluzione interna ed esterna, ma corregge anche l’immagine steoreotipata dell’Empirismo logico. Hansen, Chad A Taoist Theory of Chinese Thought. A Philosophical Interpretation Oxford Univ., giugno-luglio 1993 pp. 496, £ 50 Nel tentativo di abbattere le barriere tra la filosofia cinese e la filosofia del resto del mondo, questo studio si propone di presentare una teoria unificata del pensiero classico cinese. L’autore utilizza il Taoismo, invece del Confucianesimo, come principio centrale ed unificante. Haug, Wolfgang Fritz Elemente einer Theorie des Ideologischen. Mit einer Einleitung in die ideologietheoretische Fragestellung von Juha Koivistu und Veikko Pietilä Argument-Verlag, maggio 1993 pp. 176, DM 18,50 Hausman, Carl R. Charles S. Peirce’s Evolutionary Philosophy Cambridge University, maggio 1993 pp. 288, £ 30 Il testo pone l’attenzione su quattro dei concetti fondamentali per Peirce: il pragmatismo e la sua evoluzione in quello che Peirce chiama “pragmatismo”; la sua teoria del segno; la sua fenomenologia e la sua teoria che la continuità è di importanza primaria per la filosofia. Heidegger, Martin Eraclito 1. L’inizio del pensiero occidentale 2. Logica. La dottrina eraclitea del Logos Mursia, settembre 1993 pp.272, L. 45.000 I due corsi universitari tenuti rispettivamente nel semestre estivo del 1943 e del 1944, costituiscono un ampio materiale su cui si basano gli scritti su Eraclito già pubblicati dallo stesso Martin Heidegger. Herbart, Johann Friedrich Lehrbuch zur Einleitung in die Philosophie a cura di W. Henckmann Meiner, giugno-luglio 1993 pp. 408, DM 78 Questa seconda edizione, riveduta e corretta criticamente, è un’importante opera di confronto con l’Idealismo tedesco ed è contemporaneamente un paradigma della didattica filosofica. Hersch, Jeanne L’Etonnement philosphique: une histoire de la philosophie Gallimard, giugno 1993 pp. 464, F. 44,50 Lo stupore è quella capacità di interrogarsi su di una evidenza accecante, che ci impedisce cioè di vedere e di comprendere il mondo. E’ attraverso la storia di questo stupore, di continuo ripreso, che J. Hersch ci racconta come la filosofia sia sempre stata attuale. Hinske, N (a cura di) Kant und die Aufklärung Meiner, giugno-luglio 1993 pp. 134, DM 58 Hinterberger, Norbert Der philosophische Aberglaube des Antirealismus Bouvier, giugno-luglio 1993 pp. 260, DM 58 In questa raccolta di saggi e critiche vengono analizzati - all’interno della parte critica - sia due autori contemporanei (Baudrillard e Niklas Luhmann), sia un classico del cosiddetto Idealismo “oggettivo” (Hegel); questo avviene tramite i mezzi della logica utens in relazione ad un confronto con i modelli di realtà critici realistici. Höckmayr, Karl Die Evolution des menschlichen Geistes zwischen Haben und Sein Profil Vlg., maggio 1993 pp. 140, DM 35 Hoeres, Walter Offenheit und Distanz. Grundzüge einer phänomenologische Anthropologie Duncker & Humbolt, maggio 1993 pp. 456, DM 98 Höffe, Otfried Moral als Preis der Moderne. Ein Versuch über Wissenschaft, Technik und Umwelt Suhrkamp, giugno-luglio 1993 pp. 320, DM 24 Hogrebe, W. von (a cura di) Philosophie in Jena. Reden anläßlich der Neugründung des Philosophischen Instituts der Friedrich-Schiller-Universität Palm und Elke, maggio 1993 pp. 40, DM 20 74 Hornung, E. von - Schabert T. (a cura di) Auferstehung und Unsterblichkeit W. Fink, giugno-luglio 1993 pp. 300, DM 48 Sulla possibilità di sperimentare la vita nella morte esistono diversi percorsi di riflessione. In questo volume vengono mostrati i più importanti: la psicologia spirituale, i riti socio-religiosi, la meditazione filosofica, la purificazione dell’anima, la dottrina della Redenzione, la conoscenza razionale, i culti sacrificali tesi alla riconciliazione con il mondo spirituale e naturale. Hüsser, Heinz Natur ohne Gott. Aspekte und Probleme von Ludwig Feuerbachs Naturverständnis Königshausen & Neumann giugno-luglio, 1993 pp.164, DM 38 L’esautorazione della teologia e del Dio monoteistico vengono realizzati da Feuerbach ricorrendo alla natura fisico-matematica. Questo fa sorgere la domanda se questa natura senza Dio significhi una rivalutazione della natura o se questa venga abbandonata definitivamente alla prassi umana. Husserl, Edmund Idées directrices pour une phénoménologie et une philosophie phénoménologique pures Vol. 3 La Phénoménologie et les fondements des sciences a cura di D. Tiffeneau PUF, giungo 1993 pp. 320, F. 298 Ottanta anni fa Husserl terminava la redazione del Manuscrit au crayon. Ma furono necessari ancora diversi lavori prima che il terzo volume delle Idee si staccasse dal tronco comune del secondo libro e che l’opera venisse pubblicata nel 1952. Il volume contiene anche la Postfazione alle Idées directrices pour une phénoménologie pure di Husserl (a cura e tradotto dal francese da Arion L. Kelkel). Jacobs, W. G. - Schieche, W. (a cura di) Fichte in zeitgenössischen Rezensionen (4 voll.) Frommann-holzboog giugno-luglio 1993 pp.1600, DM 200 (1 vol.) Jacobs, Wilhelm G. Gottesbegriff und Geschichtsphilosophie in der Sicht Schellings Frommann-Holzboog, maggio 1993 pp. 88, DM 105 NOVITÀ IN LIBRERIA Hueber UniversitätsBuchhandlung Amalienstraße 77-79 D-80799 München Telefon (089) 28 66 17-0 Fax (089) 28 66 17-17 Affidabile, rapida e vantaggiosa! Così tutti ci auguriamo la fornitura dei libri all’estero. Ma per conseguire con successo un simile risultato, bisogna servirsi di strutture specializzate. La libreria universitaria Hueber di Monaco di Baviera procura in brevissimo tempo libri, periodici, e ogni altro tipo di pubblicazione scientifica da tutto il mondo tramite una rete di contatti a livello mondiale con editori, grossisti e istituzioni scientifiche. Il rag. Paolo Maspero, in qualità di responsabile dei rapporti con l’Italia, provvede personalmente a evadere le ordinazioni, assicurando il prezzo di copertina per le pubblicazioni in lingua tedesca. Inoltre per tutti i libri Hueber garantisce la fornitura al cambio di valuta del giorno. Metteteci alla prova! 75 NOVITÀ IN LIBRERIA Janich, Peter Erkennen als Handeln. Von der konstruktiven Wissenschaftstheorie zur Erkenntnistheorie Palm & Enke, giugno-luglio 1993 pp. 30, DM 18 Jonas, Hans Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für technologische Zivilisation Suhrkamp, giugno-luglio 1993 pp. 426, DM 24,80 Kauffmann, Clemens Ontologie und Handlung. Untersuchungen zur Platons Handlungstheorie Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 490, DM 128 Il libro tratta di un modello, finora non rivelato, significativo sia nella prospettiva sistematica che in quella storica. Si tratta del modello della teoria dell’azione di Platone. Kaufman, Arthur Über Gerechtigkeit. Dreißig Kapitel praxisorientierter Rechtsphilosophie Haymann, giugno-luglio 1993 pp. 544, DM 240 Kissling, Christian Gemeinwohl und Geregtigkeit. Ein Vergleich von traditioneller Naturrechtsethik und kritischer Gesellschaftstheorie Herder, maggio 1993 pp. 520, DM 96 Klein, H.-D. (a cura di) Systeme im Denken der Gegenwart pp. 290, DM 85 Una recente tematizzazione del concetto di sistema filosofico è di nuovo attuale, anche se poteva sembrare facilmente accantonabile. Questa attualità pone il sistema non come dogma, ma come problema. Nel primo volume della serie: “Studien zum System der Philosophie” viene proposto un bilancio generale. Klueting, H. - Hinske, N. Hangst, K. (a cura di) Katholische Aufklärung. Aufklärung im katholischen Deutschland Meiner, giugno-luglio 1993 pp. 424, DM 128 Kober, Michael Gewißheit als Norm. Wittgensteins erkenntnistheoretische Untersuchungen in Über Gewißheit de Gruyter, maggio 1993 pp. 429, DM 198 Diversamente rispetto alle interpretazioni correnti di Über Gewißheit, viene rivelato come Wittgenstein non riesca a sgretolare lo scetticismo filosofico. Egli ha però sviluppato una strutturazione concettuale del sapere in una comunità. Kobusch, Theo Die Entdeckung der Person. Metaphysik der Freiheit und modernes Menschenbild Herder, maggio 1993 pp. 300, DM 48 Köhler, Dietmar Schematisierung des Seinssinnes als temporale Interpretation. Untersuchungen zur Thematik des dritten Abschnittes von Heideggers Sein und Zeit Bouvier, maggio 1993 pp. 168, DM 48 L’autore ricostruisce la tematica centrale del terzo capitolo - progettato e non pubblicato - della prima grande opera di Heidegger Sein und Zeit, che in realtà avrebbe dovuto essere il fulcro sistematico della trattazione. Kolmer, P. - Korten, H. Grenzbestimmungen der Vernunft. Philosophische Beiträge zur Rationalitätsdebatte Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 500, DM 90 Il volume, dedicato a Hans Michael Baumgarten per il suo sessantesimo compleanno, offre una vivace immagine speculare delle definizioni contemporanee del concetto di ragione. Koslowski, Peter Postmoderne Kultur und Wirtschaft. Eine Auseinandersetzung Schulz-Kirchner, luglio 1993 pp. 216, DM 32 Krüger, Hans-P. Perspektivenwechsel. Autopoiese, Moderne und Postmoderne im kommunikationsorientierten Vergleich Akademie-Vlg, maggio 1993 pp. 256, DM 68 Lea, F. A. The Tragic Philosopher: Friedrich Nietzsche The Athlone, giugno-luglio 1993 pp. 354, £ 16.95 Basato su fonti letterarie e biografiche originali, questo libro traccia lo sviluppo del pensiero di Nietzsche attraverso le sue fasi principali e sottolinea la sua importanza per i nostri tempi. Leger, François Monsieur Taine Critérion, giugno 1993 pp. 520, F. 159 Un esame minuzioso dell’esistenza intima dello storico e del filosofo, destinato a riabilitare la memoria di questo grande umanista. Lennon, Thomas M. The Battle of the Gods and Giants. The Legacies of Descartes and Gassendi Princenton UP, giugno-luglio 1993 pp. 456, $ 74,50 Questa monografia mostra come il più importante dibattito filosofico della seconda metà del XVIII secolo fosse la disputa tra i sostenitori di Cartesio e quelli di Gassendi, nel tentativo di stabilire quale immagine scientifica sarebbe succeduta al modello aristotelico. Lequier, Jules-Clair, André La Recherche d’une première verité: et autres textes a cura di A. Clair pref. C. Renouvier PUF, giugno 1993 pp. 384, F. 250 Jules Lequier (1814-1862), precursore del neocriticismo, ha un pensiero unico: impiantare stabilmente la libertà. La libertà, che è indimostrabile, si afferma attraverso un atto di auto-posizione e, attraverso il gesto più semplice, mette già in scacco la necessità. La libertà, parteggiando solo per se stessa, si scopre come incondizionale. Kühn, Rolf Französische Reflexions und Geistesphilosophie. Profile und Analysen Hain, giugno-luglio 1993 pp. 224, DM 74 Liessmann, Konrad Paul Philosophie der modernen Kunst. Eine Einführung WUV-Univ.-Vlg. giugno-luglio 1993 pp. 200, ÖS 238 Kutschera, Franz von Die falsche Objektivität de Gruyter, maggio 1993 pp. 314, DM 48 Il materialismo, con le sue implicazioni per la concezione dei fenomeni del pensiero, in particolare del riconoscere e dell’agire, è al centro della prima parte, di impostazione critica, del volume. Nella seconda parte, di impostazione costruttiva, viene trattato il concetto di persona ed il problema corpo-anima. Lo Schiavo, A. Il segno della distinzione Biblipolis, settembre 1993 pp.256, L. 35.000 Lucas, J.R. Responsibility Clarendon , giugno-luglio 1993 pp. 288, £ 30 Questo volume presenta un’ampia ed accessibile discussione sulla responsabilità in vari settori della vita umana, dai rapporti personali e sessuali alla politica. J.R. Lucas discute della 76 libertà del volere, critica l’utilitarismo ed offre al lettore una guida alle attuali teorie della punizione. Lyotard, Jean-Francois Letture d’infanzia Anabasi, settembre 1993 pp. 190, L. 24.000 L’arte e l’etica, la legge e il mito rinviano all’infanzia, intesa non come età della vita, ma come luogo dell’esperienza originaria, inarticolata, del corpo, della differenza sessuale, della voce. Mac-Beath, Murray (a cura di) The Philosophy of Time Oxford University maggio 1993 pp. 232, £ 10 Il testo presenta una serie di letture che introducono gli argomenti centrali della “filosofia del tempo”. Due di questi saggi sono stati scritti appositamente per questo volume. I curatori riassumono i punti salienti del dibattito e dimostrano come gli argomenti della filosofia del tempo si rapportano ad altre branche della filosofia. MacIntyre, Alasdair Enciclopedia, genealogia e tradizione Massimo, settembre 1993 pp.200, L. 35.000 Breve storia del tomismo, inteso come genere specifico di ricerca morale: il paragone tra il modo enciclopedistico di ricerca che dominava la cultura accademica a cavallo tra i due secoli, e il modo genealogistico di ricerca sviluppato per la prima volta da Nietzsche. Mader, Johann Philosophie in die Revolte. Das Ende des Idealismus im 19. Jahrhundert WUV-Universität-Vlg, maggio 1993 pp. 400, ÖS 348 Maerker, Peter Konservatorismus - noch modern? Theorie des konservativen Denkens Bouvier, giugno-luglio 1993 pp. 220, DM 58 La teoria del pensiero conservativo spiega il conservatorismo, al di là delle sue manifestazioni storiche ed antropologiche, come un pensiero dell’essere, che nella soggettività concreta cerca di tenere in perenne equilibrio il pensiero determinato dalle idee e che ha la sua stessa origine. Maier, W - Zoglaurer, Th. (a cura di) Technomorphe Organismuskonzepte. Modellübertragungen zwischen Biologie und Technik Frommann holzboog, maggio 1993 pp. 350, DM 38 NOVITÀ IN LIBRERIA Majer, U - Schmidt, H. J. (a cura di) Sematical aspect of Spacetime Theories B. I. Wissenschaftsverlag maggio 1993 pp. 300, DM 48 Non esiste preticamente nessun’altro settore scientifico in cui la fisica e la filosofia si compenetrino come accade nelle teorie dello spazio e del tempo. La domanda riguardante che cosa si intenda per “spazio-tempo” è fondamentale per la semantica delle teorie fisiche. Mannella, Maria Amelia Owen e Rousseau Pacini Fazzi, settembre 1993 pp.112, L. 18.000 Le somiglianze e le differenze tra il filosofo inglese Robert Owen e il ginevrino Jean-Jacques Rousseau sul piano della morale, della scienza, della società e di una prospettiva essenzialmente pedagogica, nel tentativo di spiegare come due pensatori così diversi abbiano assunto posizioni simili in relazione al mondo loro contemporaneo. Marcus, Ruth Barcan Modalities. Philosophical Essays Oxford UP, giugno-luglio 1993 pp. 288, £ 30 Una raccolta degli scritti più importanti di questo filosofo e logico americano, comprendente i suoi primi e più significativi scritti di logica modale e la sua opera più recente sulla filosofia morale e la razionalità. Mascolo, Dyonis Haine de la philosophie: Heidegger comme modèle bassesse et profondeur J.-M. Place, giugno 1993 pp. 184, F. 120 Il pensiero ed i testi di Heidegger sono il pretesto per un pamphlet sulla filosofia, nella misura in cui questa è sempre in scarto, se non in contraddizione, con il metodo di vita. Per l’autore la teoria e la pratica possono essere d’accordo. Mayer, Hans Walter Benjamin Congetture su un contemporaneo Garzanti, settembre 1993 pp.88, L. 16.500 Viene ripercorsa l’esistenza di Benjamin ed evidenziati i nessi profondi che legano la sua esperienza a quella dei suoi contemporanei, Bloch, Hofmannsthal, Brecht, Lukàcs, Adorno e Horkheimer, e viene ricostruito il rapporto con Berlino, Parigi, Mosca. McNeill, Paul M. The Ethics and Politics of Human Experimentation Cambridge UP, giugno-luglio 1993 pp. 328, £ 37.50 Il testo tratta della sperimentazione sugli esseri umani ed anche della ricerca medica, di quella sulla droga e nel campo delle scienze sociali. Il libro riflette sull’etica di tale sperimentazione e chide: chi difende gli interesse di questi soggetti umani ed assicura che non vengano danneggiati? Metzinger, Thomas Subjekt und Selbstmodell. Die Perspektivität phänomenalen Bewußteins vor dem Hintergrund einer naturalistischen Theorie mentaler Repräsentation Schöhning, maggio 1993 pp. 320, DM 48 Michel, Romain Du Dieu des philosophes au Dieu des chrétiens:au delà du catéchisme Quinquet, giugno 1993 pp. 171, F. 124. L’autore riflette sul Dio della metafisica arrivando al Dio delle religioni cristiane. Millet, Louis - Mourral, Isabelle Petite encyclopédie de philosophie Ed. universitaire, giugno 1993 pp. 300, F. 220 L. Millet e I. Mourral, professori aggregati di filosofia, sono entrambi membri dell’Associazione degli scrittori cattolici, dell’Accademia di educazione e di studi sociali e fondatori dell’Associazione dei filosofi cristiani. Mongardini, Carlo La cultura del presente.Tempo e storia nella tarda modernità Franco Angeli, settembre 1993 pp.160, L. 24.000 Per recuperare i valori e gli ideali della cultura moderna occorre ripensare il senso, le funzioni e i limiti delle istituzioni che l’hanno prodotta e ne rappresentano la struttura portante. Solo dalla ripresa della coscienza storica e dalla consapevolezza critica del presente può derivare un recupero del progetto moderno e dei suoi ideali. Moore, A. W. (a cura di) The Theory of Meaning Oxford University, maggio 1993 pp. 320, £ 10 Questo volume presenta una selezione dei maggiori scritti relativi al dibattito sulla natura del senso e del referente che iniziò cento anni fa con il saggio di Frege On Sense and Reference. Un argomento che è di primaria importanza per la filosofia del linguaggio. Moore, Adrian (a cura di) Infinity Dartmouth, maggio 1993 pp. 500, £ 60 Quest’opera affronta gli aspetti filosofici del concetto di infinità, passando da Aristotele a Zeno, attraverso Hume, Berkeley e Kant e poi ai compiti e ai supercompiti, alle promesse ed ai paradossi di Skolem, ai modelli ed alla realtà, al caso Makropolus ed al tedio dell’immortalità. Moore, Edward C. (a cura di) Charles S. Peirce and the Philosophy of Science. University of Alabama pp. 512, £ 39.95 Una selezione delle relazioni tenute durante il Centocinquantesimo Congresso Internazionale su Charles S. Peirce a Harvard nel settembre 1989. Si tratta della filosofia della scienza e della sua logica in Peirce. Müller, Christof Geschichtsbewußtsein bei Augustinus. Ontologische, antropologische und universalgeschichtlichheilgeschichtliche Elelemente einer augustinischen ”Geschichtstheorie” Augustinus-Vlg., maggio 1993 pp. 368, DM 87. Münkler, Herfried Thomas Hobbes Campus Vlg., maggio 1993 pp. 150, DM 17,80 L’autore presenta il pensiero politico di Hobbes sullo sfondo della guerra civile inglese e mette in relazione la teoria di Hobbes con i grandi progetti di sistema della filosofia politica. Nathanson, Stephen Patriotism, Morality and Peace Rowman & Littlefield, maggio 1993 pp. 220, £ 18 Questo testo offre un dibattito intorno alle domande: Il patriottismo è un’idea valida, un’idea che si dovrebbe promuovere e sostenere? Oppure si tratta di una idea pericolosa e distruttiva che porta alla guerra e all’ostilità? Vengono definite forme di patriottismo pericolose, preziose e costruttive. Natoli, Salvatore L’incessante meraviglia Lanfranchi, giugno 1993 pp.184, L. 28.000 Un’attenta indagine sulla “verità”, che viene qui a coincidere con quel che si cerca piuttosto che con quel che si trova. Gli scritti qui raccolti si soffermano sulla “verità” senza pretendere di darne un’esposizione sistematica, ma al contrario, ne mostrano le diverse sfacettature, i molteplici volti. Naumann, Ralf Das Realismusproblem in der analytischen Philosophie. Studien zu Carnap und Quine Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 560, DM 168 L’argomento centrale di questo libro è la filosofia di W. V. Quine. Il lavoro non è da intendersi come un’ulteriore 77 monografia sulla sua filosofia, ma come un contributo alla interrogazione sulla questione della possibilità di una concezione empirica sia all’interno della filosofia del linguaggio sia nella teoria scientifica. Neurath, Otto Anti-Spengler Palomar, settembre 1993 pp.194, L. 26.000 Un pamphlet critico contro l’autore del Tramonto dell’Occidente. Neveu, B. L’erreur et son juge. Remarques sur les censures doctrinales à l’époque moderne Biblipolis, settembre 1993 pp.624, L. 160.000 E’ difficile oggigiorno, sia allo storico che al teologo, riprendere i principi e le applicazioni dell’ “ars censoria” praticata dall’autorità teologica nei secoli XVII e XVIII. L’individuazione dell’errore associato a un testo e ad un autore mette in gioco delle realtà storiche e dottrinali complesse. Noichl, Franz Gewissen und Ideologie. Zur Möglichkeit der Rekonstruktion eines unbedingten Sollens Herder, maggio 1993 pp. 330, DM 49 Noll, Wulf Sloterdijk auf der ‘Bühne’ Zur philosophischen und zur philosophiekritischen Positionsbestimmung des Werkes von P. Sloterdijk im Zeitraum von 1978-1991 Vlg. Die Blaue Eule giugno-luglio 1993 pp. 258, DM 48 Nuttal, Jon Moral Questions An Introduction to Ethics Polity Press, maggio 1993 pp. 240, £ 12 Questo testo discute valori e giudizi, esamina l’educazione morale e religiosa e la punizione. Nuttal prende in considerazione la moralità sessuale, con capitoli sulla pornografia, sull’aborto, sulla ricerca fetale, sui bambini; esamina argomenti morali realitivi alla morte, ai diritti degli animali ed alle teorie morali. Oberrauch, Marta Maria Aspekte der Operationalität. Untersuchungen zur Struktur des Cusanischen Denkens R.G. Fischer, giugno-luglio 1993 pp. 258, DM 68 Ott, Konrad Ökologie und Ethik. Ein Versuch praktischer Philosophie Attempo Vlg., maggio 1993 pp. 188, DM 38 NOVITÀ IN LIBRERIA Questo libro presenta molto di più del semplice resoconto della discussione e tratta invece di come poter finalmente arrivare a risultati praticabili attraverso l’etica applicata. Otto, Marcus Ästhetische Wertschätzung. Bausteine zu einer Theorie des Ästhetischen Akad.-Vlg., maggio 1993 pp. 336, DM 64 Paetzold, Heinz Ernst Cassirer zur Einführung Junius, maggio 1993 pp. 160, DM 17,80 Pareyson, Luigi Prospettive di filosofia contemporanea Mursia, settembre 1993 pp.380, L. 40.000 Questi saggi lasciano trasparire quella profondità e quel rigore che sono i tratti caratteristici della filosofia pareysoniana: nell’insieme si rivelano un’ottima introduzione ad essa, consentendo una facile collocazione delle sue proposte speculative nel quadro della filosofia contemporanea e un documento estremamente significativo della vivacità di un pensiero che non ha cessato di confrontarsi con gli aspetti più importanti della cultura filosofica del nostro tempo. Pauthier, Gillaume (a cura di) Confucius. Le Ta Hio ou la Grande Etude Trad. dal cinese di G. Pauthier Ed. du Prieuré, luglio-agosto 1993 pp. 114, F 105 Il primo dei quattro libri di filosofia morale e politica della Cina. Petrarca, Francesco Über seine und vieler anderer Unwissenheit De sui ipsius et multorum ignorantia a cura di A. Buck Meiner, giugno-luglio 1993 pp. 201, DM 68 Alla Scolastica, che si preoccupa della comprensione concettuale dell’ordine dell’essere, Petrarca contrappone una nuova “ars vivendi” umanistica orientata al superamento dell’esistente, i cui principi vengono da lui esaminati in un’esposizione non sistematica. Platone Werke. Übersetzungen und Kommentar Vol. III, 4: Phaidros a cura di E. Heitsch - C.W. Müller Trad. di Ernst Haitsch Vandenhoeck & Ruprecht maggio 1993 pp. 280, DM 66 Pöggler, Otto Hegels Idee einer Phänomenologie des Geistes Karl Alber, maggio 1993 pp. 450, DM 89 Il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1973; in questa seconda edizione, riveduta ed ampliata, una postfazione include nella discussione anche gli ultimi risultati della ricerca in questo campo. Pöggler, Otto Schritte zu einer hermeneutischen Philosophie Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 550, DM 120 Queste trattazioni e conferenze tendono a dimostrare, in quali condizioni il far filosofia in quanto formazione ermeneutica può separarsi dalla filosofia analitica e dialettica. Il percorso da Hegel, Bergson e Dilthey, attraverso Scheler e Heideger fino a Gadamer ed alla filosofia dialogica viene così discusso criticamente. Popkin, R. H. - Vanderjagt, A. (a cura di) Sceptisism and Irreligion Brill, giugno-luglio 1993 Fior. Ol. 125 Reif, A. - Reif R. R. (a cura di) Grenzgespräche. Dreizehn Dialoge über Wissenschaft und Weltverständnis Wiss. Verl- Ges., maggio 1993 pp. 154, DM 29,90 Rensi, Giuseppe Spinoza Guerini, settembre 1993 pp.112, L. 20.000 L’impegno filosofico di Giuseppe Rensi fu innanzitutto finalizzato all’indagine aperta, senza dogmi, mettendo in crisi i fondamenti di tutte le regioni del sapere. Robinson, Howard (a cura di) Objections to Physicalism Clarendon Press, maggio 1993 pp. 288, £ 32.50 Questi saggi mettono in discussione l’adeguatezza delle contemporanee teorie materialiste, specialmente per quanto riguarda la filosofia della mente. Le forme di materialismo qui discusse sono state alla ribalta nel recente dibattito, sebbene da esso emerga quanti problemi queste teorie devono affrontare. Portales, Gonzalo Hegels frühe Idee der Philosophie frommann-holzboog giugno-luglio 1993 pp. 220, DM 105 Rohr, Susanne Über die Schönheit des Findens. Die Binnenstruktur menschlichen Verstehens nach Charles S. Peirce. Abduktionslogik und Kreativität M & P, maggio 1993 pp. 200, DM 39,80 Putnam, Hilary Rappresentazione e realtà Garzanti, settembre 1993 pp.180, L. 36.000 Hilary Putnam è stato uno dei primi filosofi a rendere plausibile l’ipotesi del computer come modello adeguato alla mente umana. Questo è possibile mediante la proposta di una visione “funzionalista”: per capire cos’è la mente non abbiamo bisogno di riprodurre dei processi materiali, ma dobbiamo specificare soltanto le sue funzioni. Da allora, tutti i filosofi della mente sono funzionalisti. Rombach, Heinrich Phänomenologie des sozialen Lebens. Grundzüge einer phänomenologischen Soziologie Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 220, DM 48 Rombach descrive ed analizza gli ordini trascendentali, la creatività, la sociogenesi ed il senso civico come fenomeni sociali fondamentali e in questo modo rivela le condizioni per la costituzione di qualsiasi comunità vivente. Putnam, Hilary Renewing Philosophy Harvard University, maggio 1993 pp. 224, $ 29.95 Con il.proposito di rinnovare la filosofia, Putnam passa in rassegna un ampio spettro di problemi primari che vanno dall’intelligenza artificiale alla selezione naturale e propone un approccio nuovo ben definito, un “atteggiamento”, alle questioni filosofiche. Quante, Michael Hegels Begriff der Handlung froomann-holzboog giugno-luglio 1993 pp. 270, DM 110 Rose, Ulrich Friedrich Heinrich Jacobi. Eine Bibliographie Metzler, maggio 1993 pp. 160, DM 34 Questa bibliografia personale evidenzia l’orizzonte di discussione storico e quello attuale, in cui si trovava e si trova la figura di Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819) Rota, Gian Carlo Pensieri discreti Garzanti, settembre 1993 pp.200, L. 35.000 Le tappe essenziali del percorso intellettuale di un matematico che è riuscito a coniugare la ricerca scientifica e la speculazione filosofica. Ritratti di alcuni grandi matematici del nostro secolo. 78 Ruprecht, E. - Ruprecht A. (a cura di) Tod und Unersterblichkeit. Texte aus Philosophie, Theologie und Dichtung vom Mittelalter bis zur Gegenwart (3 voll.) Vol. 2: Goethezeit und Romantik Vlg. Urachhaus, giugno-luglio 1993 pp. 600, DM 128 Salmeri, Giovanni Doppia verità, doppio errore La questione dell’uomo nell’Etica di Spinoza Studium, settembre 1993 pp.216 Il libro considera il problema antropologico come tema fondamentale dell’Etica spinoziana e ne rivela anche la complessità, laddove impostato come problema della “doppia verità”, la via sentimentale e quella razionale, si rivela anche un “doppio errore” per l’impossibile contemporanea coesistenza dell’una e l’altra. Schaefer, Alfred Die Anonymität des Denkens. Agnostischer Essay Berlin Verlag Spitz, maggio 1993 pp. 160, DM 32 Scheler, Max Schriften aus dem Nachlaß Vol. V: Inedita et Varia Bouvier, maggio 1993 pp. 450, DM 110 Schickel - Bakker - Nagel Indische Philosphie und Europäische Rezeption Pref. Hans Heinz Holz Dinter, maggio 1993 pp. 90, DM 24,80 Schiller, Friedrich Kallias, o della bellezza a cura di Cesare Marchi Mursia, settembre 1993 pp.128, L. 13.000 I tre testi di Schiller qui presentati: kallias, o della bellezza, pensieri sull’uso volgare e del basso nell’arte, e Lezioni di estetica. Frammenti da una trascrizione, contengono il nucleo del pensiero estetico del grande autore classico tedesco: essi affrontano in modo rigorosamente teorico il problema di una definizione del bello d’arte. Schnädelbach H. - Keil, G. (a cura di) Philosophie der Gegenwart Gegenwart der Philosophie Junius, maggio 1993 pp. 400, DM 68 NOVITÀ IN LIBRERIA Schneider, Martin Das mechanistische Denken in der Kontroverse. Descartes’ Beitrag zum Geist-Maschine-Problem Steiner, maggio 1993 pp. 480, DM 148 Schönherr, Hartmut Einheit und Werden. Goethes Newton-Polemik als systematische Konsequenz seiner Naturkonzeption Königshausen & Neumann giugno-luglio 1993 pp. 208, DM 58 L’autore dimostra che la teoria di Goethe sulla luce pura come fulcro della sua polemica contro Newton è comprensibile solo sulla base delle concezioni speculative sulla natura e di quelle sulla teoria dell’unità. Schuller, A. - Rahden, W von (a cura di) Die andere Kraft. Zur Renaissance des Bösen Akademie Verl., maggio 1993 pp. 370, DM 38 Schütt, Rolf Martin Heidegger Versuch einer Psychoanalyse seines Seyns Vlg. Die Blaue Eule giugno-luglio 1993 pp. 240, DM 68 Seo, Djeong-Uk Logik und Methaphysik der Erkenntnis. Kritischer Vergleich von Hermann Cohens und Nicolai Hartmanns philosophischen Grundpositionen Haag & Herchen, giugno-luglio 1993 pp. 332, DM 48 Seung, T. K. Intuition and Construction. The Foundation of Normative Theory Yale University, maggio 1993 pp. 240, $ 30 Molti teorici normativi hanno prodotto tre tipi di construttivismo che corrispondono a tre concezioni della razionalità: quella formale (Hare e Gerwirth), quella strumentale (Gauthier) e quella ideale (Rawls). Seung esamina questi tre tipi e sostiene la posizione di Rawls, secondo il quale solo il construttivismo della razionalità ideale - che ha alla sua base gli ideali kantiani - è praticabile. Simkin, Colin Popper’s Views on Natural and Social Science E. J. Brill, maggio 1993 pp. 196, FR. OL. 75 Un chiaro resoconto delle idee di Sir Karl Popper sulla metodologia scientifica che vanno da Logik der Forschung nel 1934, a A world of Propensities nel 1990. L’autore si occupa sia del trattamento della interrelazioni tra metafisica e scienza sia dei problemi delle scienze sociali. Simmel, Georg Saggi di cultura filosofica L’estetica, le religione, la moda e la filosofia dei sensi Guanda, settembre 1993 pp.256, L. 30.000 Saggi scritti tra il 1903 e il 1911, che affrontano la questione femminile, la sessualità come momento conoscitivo, la moda e la civetteria, il problema di Dio e la religione. Simon, René Etique de la responsabilité Cerf, giugno 1993 pp. 354, F. 160 E’ il concetto della responsabilità che fornisce il principio di intellegibilità dell’etica esposta in questo libro ed esaminata, salvaguardando tutte le differenze, sia nel suo statuto secolare che nella sua ripresa nella dipendenza dalla fede. Sosa, Ernest (a cura di) Causation Oxford University, maggio 1993 pp. 264, £ 10 Il volume presenta una selezione delle più influenti e recenti discussioni sulla questione metafisica cruciale: che cosa significa per un evento causarne un altro? Il tema della causalità porta con sé altri argomenti, come il tempo, la spiegazione, gli stati mentali, le leggi della natura e la filosofia della scienza. Spet, Gustav G. Die Hermeneuthik und ihre Probleme a cura di A. Haardt et al. Trad. dal russo Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 360, DM 86,40 Spet (1879-1937), il più importante rappresentante del movimento fenomenologico in Russia, fornisce un quadro della problematica ermeneutica. Stamm, M. - Bernecker, Sv. Elementarphilosophie. Gründe und Folgen der Systemkrise K. L. Reinholds (1790-1792) Intr. D. Heinrich Klett-Cotta, giugno-luglio 1993 pp. 650, DM 96 Stenzel, Jürgen Kein Recht auf Leben. Peter Singers Kritik des Lebensrechte im Lichte der Philosophie Constntin Brunners Vlg. Die Blaue Heule, maggio 1993 pp. 116, DM 21 Thönges, Bernd Das Genie des Herzens. Über das Verhältnis von aphoristischem Stil und dionysischer Philosophie in Nietzsches Werken M & P, maggio 1993 pp. 400, DM 49,80 Tierceline, Claudine La Pensée-signe: étude sur C.S. Peirce J. Chambon, giugno 1993 pp. 399, F. 150 Il volume introduce a certi aspetti del pensiero di Charles Sanders Peirce (1839-1914), il filosofo americano fondatore del pragmatismo e della semiotica, in particolare attraverso un’analisi dei legami che Peirce stabilì tra la logica (o semiotica), la psicologia e la filosofia della conoscenza. Titze, Hans Das philosophische Gesammtwerk Vol.IV: Theorie der Information Schäuble, maggio 1993 pp. 94, DM 58 Tortolone, Gian Michele Invito al pensiero di Sartre Mursia, settembre 1993 pp.256, L. 15.000 Ueding, G (a cura di) Zutrauen zur Wahrheit. Große Tübinger Reden aus fünf Jahrzehnten Attempto Verlag,giugno-luglio 1993 pp. 308, DM 44 Questo volume documenta in modo imponente il ruolo dell’Università di Tübingen dal dopoguerra ad oggi, simile a quello di un sensibile seismografo delle modificazioni storiche, sociali e culturali. Si tratta di una raccolta di diversi discorsi di Bloch, Bollnow, Jens, Jüngel, Küng, Schmid, Schulz, Spranger e altri. ✂ Osservazioni ………………………………………………………………… Ritagliare e spedire in busta chiusa a: ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… Coop. Edinform, Informazione e Cultura, Viale Montenero,68 20135 Milano ………………………………………………………………………………… Suggerimenti ……………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… 79 Valenti Cesare La svolta emotiva E.S.I., settembre 1993 pp.98, L. 13.000 L’intenso sviluppo tecnologico ha esaurito le possibiltà di un’etica oggettiva e sistematica, sia nell’ordine empirico che in quello razionale e ideologico. Si impone oggi una ricognizione e revisione della convivenza umana su una più ampia base emotiva, una svolta emotiva. Di questa il presente lavoro indaga e profila la struttura di fondamento, la condizione filosofica originaria. Vico, Giambattista La science nouvelle: 1725 Pref. P. Raynaud Trad. dall’italiano C. Trivulzio Gallimard, giugno 1993 pp. 434, F. 85 Questo testo segna il momento in cui, alla fine dell’Illuminismo, la riflessione si emancipa dalle presunte leggi eterne per riconoscere il suo radicamento nello spirito umano e la sua dipendenza dalla storia. Questo diventa del resto l’oggetto della scienza. Si tratta di scoprirne le leggi, poiché essa non è né un destino né un prodotto del caso, ma un processo razionale. Voss, Stephen (a cura di) Essays on Philosophy and Science of Rene Descartes Oxford University giugno-luglio 1993 pp. 336, £ 15 Questi saggi di prominenti studiosi di Cartesio, finora non pubblicati in inglese, rappresentano un compendio della ricerca contemporanea sulla filosofia e la scienza di Cartesio. Wagner-Döbler, R. - Berg, J. Mathematische Logik von 1847 bis zur Gegenwart. Eine bibliometrische Untersuchung de Gruyter, giugno-luglio 1993 pp.271, DM 148 Un’analisi statistica esemplare nell’ambito della logica matematica. Base statistica: 55000 pubblicazioni di logica. Weinheimer, Joel C. Eighteenth-century Hermeneutics. Philosophy of Interpretation in England from Locke to Burcke Yale University, giugno-luglio 1993 pp. 272, $ 35 Esaminando le opere di Swift, Locke, Toland, Bolingbroke, Hume, Reid, Blackstone e Burke, J.C. Weinsheimer discute i comuni problemi filosofici della comprensione, concentrandosi specialmente sulle loro teorie riguardanti l’utilizzo del gusto per distinguere la verità interpretativa. Wetz, Franz J. Hans Blumenberg zur Einführung Junius, giugno-luglio 1993 pp. 200, DM 19,80 Wetzel, Manfred Praktisch-politische Philosophie: Grundlegungen Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 570, DM 148 In un’impostazione etica integrativa vengono accostate - sulla base della funzione guida delle Idee del Bene di Platone - le posizioni dell’utilitarismo sociale, di Aristotele, di Kant e dell’etica del discorso e del procedimento. Un’analisi critica dei tentativi dogmatici di impossessarsi del discorso politico e di quelli scettici di esautorazione della forza del discorso politico. Wickham, L. R. (a cura di) Christian Faith and Greek Philosophy in Late Antiquity. Essays in Honour of Pr. Stead’s 80th Birthday Brill, giugno-luglio 1993 pp. 300, Fior. Ol. 125 Wielad, J. (a cura di) Wirtschaftsethik und Theorie der Gesellschaft Suhrkamp, giugno-luglio 1993 DM 18 filosofica. Propone una nuova piattaforma di discussione sulle posizioni di quei realisti che credono la verità pienamente oggettiva e quelli che non lo credono. Wilson, John E. Schellings Mythologie. Zur Auslegung der Philosophie der Mythologie und der Offenbarung Kohlhammer, maggio 1993 pp. 330, DM 138 Yolton, John A Locke Dictionary Blackwell, giugno-luglio 1993 pp. 224, £ 15 Presenta e spiega le parole-chiave ed i concetti del pensiero di Locke e dei suoi libri. Winter, Michael Ende eines Traums. Blick zurück auf das utopische Zeitalters Europas Metzler, maggio 1993 pp. 230, DM 48 Winter nel suo saggio tira il lucido bilancio di quattro secoli di sviluppo culturale e filosofico, nel corso dei quali è stato dimostrato che le utopie sociali non raggiungono il loro scopo di fondare una società ideale se vengono considerate come indicazioni operative concrete. Winter, Stefan Heideggers Bestimmung der Metaphysik Karl Alber, giugno-luglio 1993 pp. 260, DM 76 Questa analisi si confronta con la concezione di Heidegger di una continuità della conoscenza metafisica passando per la posizione hegeliana e fino a Nietzsche, dimostrando che questa continuità è pensabile solo sulla base di una deformazione della metafisica. Wright, Crispin Truth and Objectivity Harvard University giugno-luglio 1993 pp. 224, $ 29.95 Basandosi sulle conferenze Waynflete, tenute a Oxford nel 1991, Wright offre una prospettiva originale sul ruolo del “realismo” nell’indagine Zarone, Giuseppe Pensiero e verità ESI, settembre 1993 pp.212, L. 28.000 Nell’epoca post-moderna caratterizzata da fenomeni diffusi di frammentazione sociale, politico-nazionalistica, culturale e religiosa, un’epoca priva di fiducia in verità diverse da quelle relative e provvisorie delle scienze positive, che senso ha parlare di Verità? Il libro intende mostrare come e perchè filosofia e teologia possano e debbano riconsiderare questo tema essenziale per il pensiero. Zea, Leopoldo Filosofia latinoamericana Pacini Fazzi, settembre 1993 pp.152, L. 20.000 Le linee fondamentali del percorso storico della filosofia del Sudamerica. Zecher, Reihard Wahrer Mensch und heile Welt. Untersuchungen zur Bestimmung des Menschen und zum Heilsbegriff bei Ludwig Feuerbach M & P, maggio 1993 pp. 370, DM 49,80 a cura di A.M.; trad. it. di L.T. ✂ ome e cognome ……………………………………………………………… ndirizzo ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… elefono ……………………………………………………………………… omputer usato ❏ IBM-Compatibile ❏ Macintosh ❏ Ms-Dos ❏ Windows ❏ System 6.x ❏ System 7.x ❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD uono di prenotazione ❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/Windows ❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh al prezzo scontato di £ 120.000 (iva esclusa)* *le modalità di pagamento verranno indicate in seguito Ritagliare e spedire in busta chiusa a: Coop. Edinform, Informazione e Cultura, Viale Montenero,68 20135 Milano