ALMA MATER STUDIORUM ‐ UNIVERSITA' DI BOLOGNA FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in Scienze della Comunicazione NUTRIRSI DI LUOGHI COMUNI Un’analisi comparata delle campagne ABA sui disturbi alimentari Tesi di laurea in Semiotica II Relatrice: prof.ssa Giovanna Cosenza Sottocommissione: proff. Grandi, Cosenza, Marmo Presentata da: Valentina Pareschi Seconda Sessione Anno accademico 2010/2011 Indice 1. Introduzione......................................................................................................................................3 1.1 Il corpus................................................................................................................................................... 3 1.2 Metodo di analisi e risultati ottenuti....................................................................................................... 3 1.3 Perché occuparsi di disturbi alimentari? ................................................................................................. 3 1.4 I disturbi alimentari: cosa sono, qualche dato ........................................................................................ 4 1.5 I disturbi alimentari: come parlarne (le indicazioni dell’ABA) ................................................................. 5 2. Analisi ...............................................................................................................................................6 2.1 Una premessa all’analisi.......................................................................................................................... 6 2.2 Storie di guarigione ................................................................................................................................. 6 2.3 Storie di possibile guarigione .................................................................................................................. 8 2.4 Storie di malattia ................................................................................................................................... 11 2.5 Storie non riuscite ................................................................................................................................. 14 3. Conclusione: una proposta per parlare di DCA in modo efficace ......................................................16 3.1 Definire il destinatario........................................................................................................................... 16 3.2 Fase 1: coinvolgere il malato (storia di malattia) .................................................................................. 16 3.3 Gli stereotipi sui disturbi alimentari...................................................................................................... 17 3.4 Fase 2: mostrare la guarigione per intero (storia di guarigione)........................................................... 18 Appendice...............................................................................................................................................20 Bibliografia .............................................................................................................................................31 Sitografia ................................................................................................................................................31 2 1. Introduzione Questa tesi intende occuparsi della comunicazione relativa ai disturbi del comportamento alimentare. In particolare, ho deciso di focalizzarmi sulla comunicazione di ABA1, “un’associazione senza scopo di lucro, impegnata dal 1991 nel campo della prevenzione, dell’informazione e della ricerca su anoressia, bulimia, obesità e disturbi alimentari” (cit. opuscolo informativo ABA). 1.1 Il corpus Il corpus considerato è eterogeneo, e comprende le due campagne pubblicitarie realizzate da ABA (con testi sia verbali che audio e video), locandine di spettacoli teatrali sull’anoressia, opuscoli informativi distribuiti nelle farmacie, cataloghi di mostre sulla sofferenza femminile. In tutti i casi ABA è presente o come committente diretto (come nel caso delle campagne pubblicitarie) o come sostenitore delle diverse iniziative. Come criterio di selezione, ho scelto di occuparmi solo di quei testi in cui la partecipazione di ABA è manifesta, per esempio perché il logo dell’associazione compare tra i collaboratori, oppure perché chi ha realizzato quel testo si è avvalso della consulenza degli specialisti ABA. Per cercare tutto il materiale sui disturbi alimentari realizzato in questi ultimi anni, ho compiuto una ricerca sia presso la sede dell’associazione sia on‐line. In tutto ho raccolto 9 testi, realizzati in un periodo di tempo che va dal febbraio 2004 al febbraio 20112. Spero che la mia ricerca sia stata sufficientemente esauriente. 1.2 Metodo di analisi e risultati ottenuti Nel presente elaborato, analizzerò i vari modi in cui si può parlare dei disturbi alimentari. L’approccio utilizzato è di tipo semiotico3. I testi sono stati tutti analizzati singolarmente, e poi confrontati sulla base di 4 grandi fili conduttori, riassumibili in 4 domande: 1. Che storia raccontano? Le strutture semio‐narrative 2. Com’è visto il/la malato/a? Il ruolo tematico 3. Che emozioni prova? Le passioni 4. Chi parla e a chi parla? La teoria dell’enunciazione Il confronto trasversale basato su criteri semiotici ha permesso di accostare tra loro testi anche molto diversi, per esempio un manifesto affisso per le strade di Milano e uno spot trasmesso per radio. L’analisi ha permesso di individuare in che modo, fino ad oggi, si è parlato di DCA (disturbi del comportamento alimentare): quali tipi di storie raccontano i testi (per esempio storie a lieto fine, dove si mostra la guarigione finale del/la malato/a), chi sono i protagonisti, chi l’enunciatore e l’enunciatario modello, quali reazioni provocano queste storie in chi legge (euforia o disforia). Concludo l’elaborato con una proposta su quale sia, a mio parere, il modo più efficace per parlare di disturbi alimentari, a seconda dei diversi destinatari scelti. 1.3 Perché occuparsi di disturbi alimentari? Perché occuparsi della comunicazione relativa ai disturbi alimentari? Ci sono almeno due buoni motivi. Il primo è che sono un problema quanto mai attuale e, purtroppo, sempre più diffuso. Il secondo è che 1 Sito internet: http://www.bulimianoressia.it/ Per un elenco completo dei testi analizzati in ordine cronologico, si veda la tabella 1 in Appendice 3 Per un contributo sulle teorie semiotiche e sulla loro applicazione pratica si rimanda a Pozzato, Semiotica del Testo, Roma, Carocci editore, 2001. 2 3 questo tema è particolarmente delicato e va affrontato con il dovuto tatto. Se già la comunicazione pubblicitaria richiede attenzione e intelligenza, ancora di più questo è vero quando si parla di DCA (e, più in generale, di comunicazione in ambito sociale): bisogna evitare di ferire la sensibilità dei malati, rischiando di ottenere addirittura l’effetto opposto a quello desiderato. 1.4 I disturbi alimentari: cosa sono, qualche dato Cosa sono anoressia, bulimia e obesità psicogena? Cito le descrizioni direttamente da uno degli opuscoli ABA intitolato “Fame d’amore”, realizzato nel 2005 e distribuito nelle farmacie milanesi (corsivi miei): Nell’anoressia la fame viene negata, si cade nel calcolo ossessivo delle calorie e nel controllo spasmodico del peso: modalità che esprimono il desiderio di controllare anche le emozioni e i sentimenti. Ci si illude che cambiando il proprio peso si possa cambiare anche la propria vita. [...] Nella bulimia si instaura con il cibo una dipendenza paragonabile a quella che si ha con la droga. Dopo aver mangiato, però, si è vittima di un senso di colpa devastante e sembra che l’unica soluzione sia tornare indietro, rifiutare ciò che è stato assunto. Così si comincia con il calvario del vomito autoindotto che segue abbuffate segrete o notturne, in un circolo vizioso dal quale si ha l’impressione di non poter uscire. [...] Come nella bulimia, anche nell’obesità psicogena si è di fronte a una dipendenza, cambiano solo le modalità. Il cibo è scelto con cura e assunto fino ad aumentare di peso in modo spropositato. Viene inconsciamente considerato una soluzione magica alle difficoltà del vivere, un anestetico rispetto al dolore che si ha dentro. [...] Nell’anoressia, bulimia e obesità psicogena il pensiero ossessivo del cibo protegge la mente da un groviglio di emozioni come la paura, la rabbia, il desiderio, di fronte alle quali ci si sente fragili e vulnerabili. I disturbi dell’alimentazione non sono malattie dell’appetito, ma raccontano un malessere interiore e profondo. Un dolore nel quale chi soffre si sente intrappolato. (ABA, 2005) I disturbi alimentari in apparenza sono legati all’immagine e al peso, in realtà nascondono un disagio interiore che il/la malato/a non riesce ad affrontare. Questa contrapposizione tra sofferenza interiore e sintomo esteriore (la malattia legata al cibo) viene ripresa più volte nei vari testi. In alcuni casi, viene anche figurativizzata attraverso la metafora dell’iceberg: il disturbo alimentare non è che la punta che emerge dalle acque, in realtà nasconde una sofferenza ben più profonda (la parte sommersa). Ma quante persone, oggi, soffrono di questi disturbi? Sempre citando l’ABA (opuscolo informativo del 30 aprile 2007) scopriamo che: In Italia • 5% della popolazione soffre di disturbi alimentari; • 3 milioni di persone sono colpite direttamente da anoressia, bulimia e obesità; l’8‐10% delle ragazze e lo 0,5‐1% dei ragazzi; • 7,5 milioni sono le persone coinvolte a livello familiare; • 12‐25 anni è la fascia di età più colpita, ma i disturbi possono manifestarsi anche in fasce di età pediatrica e dopo i 40 anni; • 95% di chi chiede aiuto è donna, anche se stiamo assistendo ad un preoccupante aumento di casi anche nella popolazione maschile. (ABA, 2007) Un fenomeno, dunque, che coinvolge milioni di persone (senza contare familiari e amici dei malati) e di cui è importante parlare. 4 1.5 I disturbi alimentari: come parlarne (le indicazioni dell’ABA) Come già detto, parlare dei disturbi alimentari è particolarmente difficile, perché si ha a che fare con persone malate, quindi fragili, nella maggior parte dei casi non completamente coscienti del loro malessere o comunque poco disposte ad ammetterlo (per vergogna, per paura del giudizio altrui). L’ABA riconosce questa difficoltà e, proprio per questo, nel 2009 pubblica un opuscolo in cui fornisce 6 semplici punti da seguire quando si fa comunicazione sui DCA. Cerco di riassumerli: 1. Ogni utente è una persona. Bisogna ricordare che “ognuno interpreta e percepisce il messaggio in modo personale” (ABA, 2009), è opportuno comunicare in modo da limitare al minimo i fraintendimenti (per esempio, evitare che un bambino rimanga shockato di fronte a certe immagini, o che un malato si senta giudicato). 2. Immagini, non sensazionalismi. Usare immagini crude e shockanti è controproducente per almeno due motivi. Il primo è che si rischia di produrre un messaggio troppo angosciante, che allontana il destinatario; il secondo è che l’utente è abituato, al giorno d’oggi, a immagini molto violente e usando foto troppo esplicite non si fa che anestetizzarlo sempre più. 3. Parole, non suggerimenti. Nel descrivere i comportamenti sbagliati di chi soffre di DCA, è facile oltrepassare il confine e dare delle indicazioni ai malati stessi che così rafforzano sempre più i loro sintomi. Per esempio, parlare “dei metodi che vengono utilizzati come condotte eliminatorie da persone che soffrono di bulimia” (ibidem) può rivelarsi un suggerimento per chi ne soffre, anche se l’intento iniziale era quello di mettere in allerta rispetto ai pericoli che queste condotte comportano. 4. Siti web, non semplice realtà virtuale. Negli ultimi anni, si stanno diffondendo sempre più i blog pro‐ Ana (pro‐anoressia) e pro‐Mia (pro‐bulimia). In questi ambienti virtuali i malati si scambiano consigli e si danno reciproca forza per continuare il digiuno. È perciò importante “evitare di dare suggerimenti e indicare link dove possano essere trovate certe informazioni” (ibidem). 5. Fonti, non opinioni. “Si parla spesso di disturbi del comportamento alimentare: vengono offerte opinioni, soluzioni, risposte molteplici, ma non tutte sono attendibili [...] è dunque consigliabile rivolgersi ad esperti del settore” (ibidem). 6. Prevenzione, non semplice informazione. Per tutti i motivi sopra citati,parlare di DCA è complesso, perché porta con sé dei fattori di rischio (dare suggerimenti ai malati su come rafforzare i sintomi anoressico‐bulimici, shockare il destinatario invece di coinvolgerlo, ecc). Il compito dell’abile comunicatore è quello di tramutare i fattori di rischio in fattori di prevenzione. 5 2. Analisi 2.1 Una premessa all’analisi Come già accennato nell’introduzione, i testi presi in considerazione sono stati prima analizzati singolarmente e poi confrontati sulla base della storia che raccontano (le strutture semio‐narrative), del ruolo tematico che il/la malato/a ricopre, delle passioni che scatenano in chi legge, della teoria dell’enunciazione. In base all’analisi delle strutture semio‐narrative, ho individuato 3 tipi di storie: 1. Storie di guarigione 2. Storie di possibile guarigione 3. Storie di malattia La stessa struttura semio‐narrativa può acquisire sfumature diverse a seconda della caratterizzazione passionale scelta. Ad esempio, una stessa storia di guarigione suscita emozioni diverse a seconda se la caratterizzazione è soltanto euforica (si mostra solo il soggetto guarito e felice) oppure sia disforica che euforica (si mostra la sofferenza iniziale del soggetto, poi però arriva la guarigione finale e la relativa felicità del soggetto per essere guarito). Potenzialmente, ogni tipo di struttura semio‐narrativa può essere associata a passioni euforiche e disforiche; nella pratica è evidente che ciò non è possibile: una storia di guarigione non può essere disforica (sarebbe assurdo mostrare un soggetto guarito che è triste a causa della guarigione). A sua volta, una stessa storia, con la sua particolare coloritura passionale, può essere raccontata da punti di vista diversi (teoria dell’enunciazione). Ad esempio, una storia di guarigione euforica (in cui si mostra solo il soggetto guarito e felice) potrebbe essere raccontata dal soggetto stesso ad un destinatario indistinto, oppure il soggetto può parlare solo alle persone che stanno ancora soffrendo di disturbi alimentari (i malati), oppure ancora può essere l’autore del testo (l’ABA) a parlare (e a sua volta può parlare a tutti o solo ai malati). Come si vede, le combinazioni possibili sono molte. Se a ciò si aggiunge che una stessa combinazione può essere raccontata con accorgimenti visivi diversi (a livello sia plastico che figurativo), con diverse aspettualizzazioni temporali, con isotopie che cambiano di volta in volta, si capisce come non ci sia un solo modo di parlare di DCA.4 Ora parlerò in dettaglio dei 3 tipi di storie individuati e delle varianti di ogni storia, a seconda dell’elemento passionale, del ruolo tematico del soggetto e del punto di vista. Per rendere più chiari i concetti esposti, ogni variante sarà corredata da uno o più esempi. 2.2 Storie di guarigione Se stessimo parlando di fiabe, le storie di guarigione sarebbero quelle a lieto fine. 2.2.1 Strutture semio‐narrative Le storie di guarigione raccontano di una malata (soggetto) che vorrebbe guarire (oggetto di valore), ma non possiede la conoscenza necessaria per farlo (non ha la competenza). Questo fa sì che sia la malattia (antisoggetto) a vincere, ovvero la ragazza continua a soffrire. Ma gli specialisti, in particolare l’ABA (aiutante, dotato di competenza) aiutano la ragazza ad uscire dalla sua situazione. Ci può essere o meno la figura di un opponente, ovvero colui/coloro che non capisce/capiscono che il soggetto è malato (ad esempio, i familiari, la società). 4 Per un riassunto schematico dei tipi di storie individuati con relative varianti ed esempi, si veda la tabella 2 in Appendice 6 Queste storie si caratterizzano per una sanzione positiva. Ma andiamo con ordine. Può essere presente o meno la fase della manipolazione, in cui si parla delle cause che hanno fatto ammalare il soggetto (per esempio, una situazione familiare e amicale sfavorevole). Invece, una fase sempre presente è quella in cui il soggetto, che di per sé non ha la conoscenza necessaria per guarire, viene fornito di tale competenza dall’aiutante (solitamente ABA) e grazie a lui riesce a mettere in atto la performanza (iniziare un percorso di guarigione). Nelle storie di guarigione l’ultima fase, la sanzione, è sempre presente e sempre positiva: sono storie che ci parlano del recupero della salute, cioè di un percorso andato a buon fine. Com’è facile intuire, queste storie sono sostanzialmente euforiche, cioè valorizzate positivamente. Infatti, una guarigione non può che portare con sé sentimenti (o passioni) di gioia e speranza (passioni euforiche). Vi sono però due diverse varianti. 2.2.2 Due varianti delle storie di guarigione a) Storie che mettono in scena solo la fase finale (la sanzione positiva, cioè la guarigione); le altre fasi sono sottointese. Si mostra un/a ragazzo/a guarito/a e felice, senza descrivere (se non solo accennandolo) il lungo processo di guarigione che ha attraversato. La valorizzazione timica è solo euforica, l’aspettualizzazione è puntuale: l’intero processo viene fotografato solo in una sua fase. Il ruolo tematico del soggetto, in questo caso, rimane costante: è sempre quello dell’ex‐malato/a, ora guarito/a. b) Storie che descrivono l’intero processo: si parte dalla manipolazione (cause che fanno ammalare il soggetto), si passa per la competenza (fornita dall’aiutante), la performanza (il processo di guarigione) per arrivare alla sanzione finale positiva (cioè la guarigione). In questo caso, i marcatori temporali pongono una distinzione tra un passato disforico, segnato dalla sofferenza del soggetto, ed un presente euforico, in cui il soggetto è guarito e felice. Un’altra distinzione che creano è quella tra il ruolo tematico iniziale (il/la malato/a) e quello finale (il/l’ex‐malato/a, ora guarito/a). L’aspettualizzazione è durativa: il soggetto attraversa tutte le fasi prima di arrivare alla sanzione. 2.2.3 Alcuni esempi a) Un esempio della prima variante di storia di guarigione (cioè quella in cui si mostra solo la ragazza guarita) è il manifesto della campagna stampa commissionata da ABA ad Ogilvy Italia, nel 20105. I manifesti sono tre, ognuno con una protagonista diversa. In ognuno compare quella che potrebbe essere definita “la ragazza della porta accanto”: vestiti semplici, trucco leggero, viso carino. La ragazza sorride e guarda negli occhi il destinatario, creando un effetto di coinvolgimento. Lo sfondo è chiaro, la luce le illumina il viso. L’indice e il medio della mano destra formano la “V” di vittoria, sopra compare la scritta “Io non le uso più per vomitare”. Alla base del manifesto il bodycopy recita: “Alice 19 anni, era anoressica e bulimica. Nel 2007 ha chiamato l’ABA, all’800.16.56.16. Ora sta bene”. Questo manifesto mostra il DCA partendo dalla fine (la guarigione), dando così speranza alle persone malate che guardano questo annuncio. Non a caso, il nuovo payoff dell’ABA è proprio “vent’anni di guarigioni”, scritto su un fondo azzurro speranza, con un corsivo che richiama la scrittura a mano, segno di maggiore vicinanza e autenticità. I/le malati/e si identificano con la ragazza della foto, grazie a diversi accorgimenti che coinvolgono il destinatario: il sorriso e lo sguardo della ragazza danno un significato positivo al manifesto, lei parla in prima persona (“io non le uso più per vomitare”) rivolgendosi direttamente a chi legge. Per questo, i/le malati/e sono invogliati a chiamare ABA: infatti, pensa il malato, se Alice è riuscita a guarire e ora sta bene, perché non dovrei riuscirci io? Una volta che il/la futuro/a paziente è portato a fidarsi, ABA prende la parola e fornisce nel bodycopy le istruzioni per guarire: riconoscere di essere malato/a, chiamare 5 Si vedano le figure 1.1, 1.2 e 1.3 in Appendice 7 l’associazione – il manifesto riporta sia numero che sito web – intraprendere una terapia, stare bene. Figurativamente, la guarigione è rappresentata dalle dita della giovane: se prima avevano il ruolo di opponenti della ragazza (erano usate per vomitare), ora sono diventate aiutanti, perché la aiutano a trasmettere un messaggio positivo: lei ha vinto la malattia (ecco perché indice e medio disegnano la “V” di vittoria). Complessivamente, questi manifesti possono essere considerati efficaci. Vedremo più avanti come si combinano con lo spot video e radio, realizzati entrambi da Ogilvy per la stessa campagna. b) Per la seconda variante della storia di guarigione (quella che descrive l’intero processo, dalla sofferenza iniziale alla guarigione finale) riporto due esempi. Si tratta in entrambi i casi di spettacoli teatrali. Il primo si intitola “Quasi Perfetta, uno spettacolo sull’anoressia”6, prodotto dalla compagnia teatrale “Quelli di Grock” con la consulenza di Maria Barbuto, responsabile del centro ABA di Milano e andato in scena per la prima volta nel febbraio 2004. Il secondo è “La Bambina con la Pelliccia (di anoressia si può guarire)7”, prodotto dal “Teatro d’Emergenza” nel febbraio 2010 e liberamente tratto dal libro “Tutto il Pane del Mondo” di Fabiola De Clercq, fondatrice dell’ABA. Le recensioni dei due spettacoli fanno un sapiente uso delle espressioni temporali, che marcano la differenza tra un passato disforico, in cui la protagonista soffriva, ed un presente euforico, in cui è guarita e felice. È lei stessa, in prima persona, a rivolgersi al pubblico per raccontare la sua storia di guarigione. In entrambi i casi sono rappresentate più fasi dello schema narrativo canonico e non solo l’ultima (la sanzione). Si parte della manipolazione, ovvero le cause per cui la ragazza si ammala – nel primo caso “una madre competitiva e poco accogliente, un padre assente, un’amica che non capisce, un amore mai corrisposto”, nel secondo “il trauma dell’inaspettato cambiamento del proprio corpo, la relazione con una madre assente, l’abuso subito a nove anni, la perdita del padre” (le citazioni di questo paragrafo provengono dalle rispettive locandine). Poi si passa alla competenza, cioè la consapevolezza della propria malattia, fornita dall’aiutante, che in “Quasi perfetta” è “chi ci ama, ci è vicino e che con cura ci saprà indicare un percorso per ricominciare a camminare da soli”. La performanza (il percorso di guarigione) è sottintesa in entrambi i casi; sempre presente è invece la sanzione positiva: nel primo esempio la protagonista è “una ragazza un tempo anoressica, ora guarita”, nel secondo è “una donna che ha scelto la vita rinascendo in se stessa”. Nonostante il messaggio positivo finale, su entrambe le locandine ci sono foto disforiche: la protagonista che si guarda allo specchio e vede la sua immagine distorta, sempre lei con il volto dipinto e un’espressione di sofferenza, ancora lei in una posizione che ricorda la crocifissione, con la bocca tappata da un fazzoletto e a testa in giù. Se si facesse riferimento solo alle immagini, questi due esempi non rientrerebbero nelle “storie di guarigione”, bensì nelle “storie di malattia”, di cui parlerò più avanti. 2.3 Storie di possibile guarigione Le storie di possibile guarigione sono storie di cui non si conosce il finale, oppure il cui finale è temporaneamente negativo, anche se viene lasciata aperta una speranza. In altre parole, non si sa se il/la malato/a guarirà o meno, oppure per il momento non è guarito/a, ma è possibile che accada in futuro. 2.3.1 Strutture semio‐narrative La struttura attanziale è la stessa di quelle delle storie di guarigione. Si veda perciò sopra, nella sezione corrispondente. 6 7 Si veda la figura 2 in Appendice Si veda la figura 3 in Appendice 8 Lo schema narrativo canonico, invece, è diverso rispetto a quello delle storie di guarigione. In questo caso la sanzione non è presente o, se presente, è negativa. Le altre fasi sono analoghe a quelle della storia di guarigione: c’è una manipolazione iniziale (eventi avversi al soggetto) che lo portano ad ammalarsi. Inizialmente il soggetto non sa e non può uscire da questa situazione: gli manca la competenza. Questa può essere fornita da ABA, o dagli specialisti in genere. A questo punto la storia non termina però con una guarigione: si dà solo al/alla malato/a l’indicazione su come guarire (chiamare ABA), ma non si sa se ce la farà, cioè se passerà alla performanza, componendo il numero di telefono, e se ciò porterà ad una sanzione positiva (la guarigione). Le storie di possibile guarigione possono assumere diverse sfumature a seconda della caratterizzazione timica. Si va da una guarigione più probabile, se la storia è più euforica, ad una guarigione meno probabile, se la storia è disforica o addirittura accompagnata da una sanzione negativa. Vediamo le diverse sfumature che queste storie possono assumere, a seconda del grado di euforia/disforia. 2.3.2 Due varianti delle storie di possibile guarigione a) La caratterizzazione timica è disforica all’inizio della storia e più euforica alla fine. Nella prima parte, infatti, si racconta della sofferenza del/la malato/a, di quello che prova, delle cause che l’hanno portato alla malattia. Nella seconda parte entra in gioco l’aiutante (l’ABA) e si forniscono le alternative per poter uscire dal disagio. Anche se il/la malato/a rimane tale (il suo ruolo tematico non cambia), ha la possibilità di affidarsi all’aiutante e lasciarsi aiutare. La parte finale lancia quindi un messaggio di speranza. b) La caratterizzazione timica rimane disforica. L’aiutante entra in scena, ma la sua presenza è troppo debole per coprire la forte negatività della storia. La guarigione è possibile, ma data come improbabile: il/la malato/a può decidere di farsi aiutare, però è demotivato/a a chiedere aiuto, a causa della forte disforia della storia raccontata. 2.3.3 Alcuni esempi Gli esempi che seguono hanno caratterizzazioni timiche diverse, si va dalla storia più euforica a quella più disforica. a) Iniziamo con due esempi in cui si passa dalla disforia iniziale all’euforia finale: due opuscoli informativi sui disturbi alimentari. Il primo si intitola “Fame d’amore”8 ed è stato realizzato da ABA nel maggio 2005 e distribuito nelle farmaci milanesi, il secondo, intitolato “anoressia, bulimia e obesità psicogena, tre modi diversi per esprimere un disagio affettivo”9 è stato pubblicato nell’aprile 2006 dal Ministero della Salute e da quello delle Pari Opportunità, in collaborazione con ABA, con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e con il MOIGE (Movimento Italiano Genitori). Entrambi i depliant hanno carattere informativo: parlano di cosa sono i disturbi alimentari, li descrivono nel dettaglio, poi spiegano le cause di queste malattie, gli effetti sul corpo e, in chiusura, danno suggerimenti di comportamento a familiari e amici dei malati e indicano a chi rivolgersi per guarire. Nonostante i due opuscoli abbiano la stessa struttura, “Fame d’amore” trasmette maggiore speranza al malato, per diversi motivi. Innanzitutto, le illustrazioni sono meno pesanti di quelle del Ministero. ABA correda il depliant con disegni, che descrivono i DCA in modo metaforico: una ragazza che mangia un cuore, un’altra che vola verso due enormi bignè, una terza rinchiusa dietro a una grata formata da due grandi forchette. Il Ministero invece fa uso di fotografie, che spesso sono disforiche: si contano 3 ragazze 8 Per la prima pagina dell’opuscolo, si veda la figura 4 in Appendice. L’opuscolo completo è solo cartaceo. Per la prima pagina dell’opuscolo, si veda la figura 5 in Appendice. L’opuscolo completo è consultabile a questo link: http://www.sitiarcheologici.palazzochigi.it/www.pariopportunita.gov.it/aprile%202006/www.pariopportunita.gov.it/P ari_Opportunita/UserFiles/Documenti%20Banner/anoressia.pdf 9 9 che si specchiano con sguardo triste, in 4 casi il viso della ragazza non si vede (per esempio perché è accasciata a terra con la testa tra le mani), quando si vede, spesso non sorride. Secondo, l’ABA utilizza la forma interrogativa per i titoli dei suoi paragrafi (“cosa sono?”, “cosa raccontano?”, ecc), ma quando parla della guarigione, lo fa in modo affermativo (“in ABA si può guarire”). Opposta la strategia del secondo opuscolo, che usa sempre frasi affermative (“il fenomeno”, “qualche dato”, ecc), tranne per la guarigione (“come guarire?”). La sanzione finale positiva, che comunque nessuno dei due opuscoli mostra, è messa più in forse dal Ministero. Ancora, un’altra differenza è sul destinatario. ABA si rivolge più specificatamente ai malati, anche se il destinatario è sempre una terza persona, mentre il Ministero è più rivolto ad amici e familiari di chi soffre. Non a caso, nella presentazione dice che lo scopo del depliant è “aiutare a riconoscere il disagio”. Una minor empatia con il malato significa anche meno speranza, meno euforia. Ma allora perché ho detto che anche il depliant del Ministero si chiude in euforia? Perché entrambi, sia quest’ultimo che “Fame d’amore”, aumentano i sorrisi man mano che ci si avvicina alla fine. Se all’inizio i disegni/le foto sono tutti di ragazze tristi, alla fine si presentano ragazze sorridenti, e soprattutto sorridono sempre gli specialisti, in segno di accoglienza al/la malato/a. In entrambi i casi, poi, all’inizio le ragazze sono da sole, mentre verso la fine troviamo due persone insieme (la madre e la figlia, il medico con la paziente, il dottore e la dottoressa). Stare insieme agli altri e sorridere sono sicuramente elementi che trasmettono sensazioni positive. Anche se in modo diverso (maggiormente nel caso dell’ABA, in misura minore nel caso del Ministero) i due depliant partono da una disforia iniziale e arrivano a un’euforia finale. Come in tutte le storie di possibile guarigione, il discorso resta aperto: la sanzione finale è in mano al/alla malato/a (guarirà o non guarirà? Chiamerà o meno ABA? Dipende da lui/lei). b) Il secondo esempio è quello di una storia disforica in ogni suo passaggio. Si tratta della campagna ABA del marzo 200810, realizzata dall’agenzia di comunicazione DDB, col patrocinio del Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive. Questa campagna comprende due manifesti e uno spot video. Ogni manifesto rappresenta il primo piano di una ragazza, che sembra fissi il vuoto con occhi tristi. La pelle è diafana, la bocca è chiusa, lo sfondo dietro di lei è nero. Alla sua destra, un fumetto nel quale si trovano diversi cibi, è come se la ragazza “parlasse” cibo. In basso, la headline recita “molti usano il cibo per comunicare un bisogno d’aiuto. Pochi lo capiscono”. Di fianco, compare il logo ABA e, poco più sotto, il bodycopy dice “di anoressia, bulimia e obesità si può guarire. Chiamaci al: 800.16.56.16”. Questa affissione parte da alcune buone idee però, a mio parere, non riesce a coinvolgere il destinatario. Buona per esempio l’idea di rendere concreta una metafora: l’espressione “usare il linguaggio del cibo” viene rappresentata in senso letterale, con l’immagine di una ragazza che, invece di parlare una lingua, “parla” il cibo. Buono anche il semisimbolismo su cui si regge l’immagine, cioè il contrasto tra le linee morbide del viso della giovane ed il punto luce sulle sue labbra (che significano vitalità, felicità) e le linee dritte e spigolose (del fumetto, del collo della ragazza, del riquadro in basso che contiene la headline) che, insieme allo sfondo nero e ai colori pallidi, significano malattia, dolore. È come se la voglia di vivere della ragazza fosse schiacciata dalla malattia che la avvolge. Il problema della campagna è che la guarigione appare improbabile: ABA entra in gioco come aiutante – colui che ha la competenza per capire il linguaggio del cibo – ma la disforia dell’immagine non fa sperare in un buon esito. La sanzione è negativa: la ragazza, almeno per il 10 Si vedano le figure 6.1, 6.2 e 6.3 in Appendice 10 momento, rimane malata (questo è il suo ruolo tematico, e questo rimane). Il/la malato/a, guardando questo manifesto, non riesce a sperare in una guarigione e quindi viene meno il ruolo di ABA come aiutante. L’identificazione tra malato/a e ragazza dell’immagine è ancora più difficile per altri due motivi. Il primo è che la ragazza rappresentata è più bella della media, sembra una modella, e più che empatia suscita desiderio di emulazione. Il secondo motivo è che c’è un problema di definizione del destinatario. Nella headline, la strategia enunciativa11 è quella della distanza indefinita: ABA parla in terza persona e si rivolge a parenti e amici del/della malato/a. Nel bodycopy, invece, la strategia è quella della distanza pedagogica (“chiamaci”): ABA ora sta parlando ai/alle malati/e. Ma allora, il destinatario è chi è coinvolto nella malattia o chi è suo parente/amico? Che il destinatario sia uno o l’altro, l’immagine disforica non fa che allontanarlo. Il video12 riprende il manifesto: si vede la stessa ragazza, sempre triste e su sfondo nero, che muove la bocca, ma non esce alcun suono. Al suo posto, ci sono sottotitoli di cibo che compaiono in sovraimpressione, il rumore di voci tutt’intorno ed una musica che crea ansia. Questo senso di solitudine e di impotenza (la ragazza vorrebbe parlare, ma non riesce) non fanno altro che far aumentare la disforia. La headline e il bodycopy sono gli stessi del manifesto, ma compaiono in silenzio, e per di più su sfondo nero (disforico), mentre la voce del narratore recita altro (“con il patrocinio della presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento politiche giovanili e attività sportive”). È come l’associazione stessa non avesse voce, esattamente come la ragazza. Ma allora, ci si può fidare della competenza dell’aiutante? 2.4 Storie di malattia Le storie di malattia sono storie in cui l’ipotesi di guarigione non è presente. Il/la malato/a non è consapevole di essere tale; si può dire che queste storie descrivano la fase iniziale del disturbo alimentare, in cui la malattia è aiutante del/della malato/a. Non vengono mostrati né chi può aiutare il malato, né una speranza nella guarigione. 2.4.1 Strutture semio‐narrative La struttura attanziale delle storie di malattia è diversa da quella delle storie di guarigione e possibile guarigione. Infatti, in queste storie il/la malato/a vuole raggiungere la perfezione esteriore (oggetto di valore). La malattia è l’aiutante che permette al soggetto di raggiungere tale perfezione – o almeno così lui crede. Anche tutto ciò che consente al/alla malato/a a continuare ad essere tale può essere considerato un aiutante: per esempio il water in cui vomita chi è bulimico/a, oppure gli antidepressivi presi per non sentire la sofferenza interiore. È opponente chiunque si interponga tra il/la malato/a e la sua malattia, facendogli/le vedere la realtà: uno specchio, le altre persone (amici e parenti soprattutto), gli specialisti ABA, gli artisti che raffigurano la sofferenza dei malati. La società svolge il ruolo di destinante: è per adeguarsi ai canoni imposti da quest’ultima che il soggetto si sente inadeguato, ricerca la perfezione e, nell’impossibilità di raggiungerla, si ammala. Le storie di malattia sono storie di performanza: il soggetto manifesta i sintomi della malattia (non mangiare, mangiare e vomitare, abbuffarsi, ecc) senza avere però la competenza. Infatti, in questa fase, chi è malato/a non sa di esserlo, così come non sa di inseguire un modello sociale irraggiungibile (la perfezione). Il/la malato/a non sa neanche chi potrebbe aiutarlo/a, né tantomeno si pone il problema di 11 Le strategie enunciative rendono conto di come l’autore modello si mette in relazione con il suo lettore modello. Le strategie enunciative possibili sono cinque. Le elenco da quella che coinvolge meno il destinatario, a quella che lo coinvolge di più: 1) distanza indefinita (es. Barilla offre ai suoi clienti numerosi vantaggi), 2) distanza istituzionale (es. noi di Barilla offriamo alla nostra clientela numerosi vantaggi), 3) ammiccamento (es. Barilla ti offre numerosi vantaggi), 4) distanza pedagogica (es. noi di Barilla ti offriamo numerosi vantaggi), 5) complicità (es. insieme, avremo grandi vantaggi / la mia Barilla mi offre grandi vantaggi). 12 Il video può essere visto al link http://www.youtube.com/watch?v=2KvQRkJCpAA&feature=related 11 essere aiutato/a. La sanzione finale è negativa: senza essere consapevole della sua malattia e senza aiuto esterno, chi soffre non uscirà dal disturbo alimentare. Non c’è nessuna speranza di guarigione, il ruolo tematico del soggetto è quello di malato/a, e rimane tale. È evidente che storie di questo tipo sono tutte fortemente disforiche; si differenziano le une dalle altre solo per la struttura enunciativa differente. 2.4.2 Alcuni esempi I primi due esempi che riporto sono due locandine di mostre sul tema della sofferenza femminile, il terzo invece è la parte audio‐visiva della campagna ABA del 2010 (delle affissioni avevo già parlato nelle “storie di guarigione”). La prima mostra è intitolata “Barbie‐turici”13 e si è svolta dal 10 giugno al 30 luglio 2008 presso la Wannabee Gallery, a Milano, con la collaborazione di ABA. Scopo dell’esposizione, parlare “delle varie forme di disagio femminile facendo corrugare la fronte e causando reazioni anche fisiche nel pubblico” (Silvia Pettinicchio, curatrice della mostra, ne parla così nel catalogo). Le opere dei cinque artisti espositori “rappresentano tutte varie forme di disagio femminile, dalla depressione, alla dipendenza dai farmaci, ai disturbi alimentari, alla rabbia repressa” (Ilaria Simeoni, critica d’arte, sempre nel catalogo). Partiamo dal titolo, “Barbie‐turici”. La Barbie è “la bambola che per intere generazioni ha simboleggiato la donna perfetta. [...] oggi incarna i modelli estetici e le aspettative che sono imposte (e auto‐imposte) alle donne” (Silvia Pettinicchio). Dunque, la Barbie è l’oggetto di valore, quella perfezione esteriore irraggiungibile che le donne inseguono. I barbiturici, invece, sono farmaci in passato usati come sedativi e come ipnotici. Sono quindi gli aiutanti, quegli antidepressivi che consentono alle donne di soffocare la loro sofferenza, facendo sì che le malate rimangano tali. Già nel titolo, vediamo come si parli solo della malattia e di come perpetrarla. L’immagine sulla locandina della mostra trasmette lo stesso significato. È raffigurata una Barbie in croce; al termine di ogni braccio di legno ci sono delle pillole: è un farmaco di nome Cymbalta, della casa farmaceutica Eli Lilly (la stessa del Prozac). Viene usato per il trattamento di episodi di depressione maggiore e per i disturbi d’ansia generalizzati (fonte: medicinalive.com). Nonostante la bambola stia soffrendo (perde sangue da mani, piedi e testa) continua a sorridere. I farmaci (aiutanti) permettono a Barbie (la donna che soffre, cioè il soggetto) di continuare ad essere perfetta (oggetto di valore) anche in punto di morte, con i capelli biondi in ordine e il viso truccato. Non c’è presa di coscienza del dolore, né messaggio di speranza su una possibile guarigione. Anche nei testi scritti di presentazione, la Wannabee Gallery parla solo dello scopo della mostra, cioè sconfiggere l’ignoranza e la disattenzione sul malessere femminile nella società contemporanea. Più volte viene ripresa la distinzione tra un’interiorità fatta di sofferenza e depressione ed un’esteriorità di apparente perfezione. Mai, però, viene lanciato un appiglio all’eventuale malata che legga queste righe. Ci si può chiedere quali siano i peccati per cui Barbie è stata crocifissa. L’immagine non dà una risposta, la parte scritta sì: il peccato è il solo fatto di essere donna, in una società troppo ossessionata dall’aspetto esteriore. La seconda mostra è intitolata “Male di Miele”14 e si è svolta dal 16 dicembre 2008 al 7 gennaio 2009 sempre presso la Wannabee Gallery di Milano. Si tratta di un’esposizione collettiva d’arte contemporanea, realizzata insieme ad ABA e per ABA (il ricavato della vendita è stato devoluto all’associazione) con il Patrocinio del Comune di Milano (Assessorato alla Salute) e della Fondazione Università IULM. I temi trattati sono gli stessi di “Barbie‐turici”: la sofferenza femminile, nascosta e silenziosa, causata da una continua ricerca di irraggiungibile perfezione esteriore. Anche in questo caso, il titolo “parla” solo di malattia. “Male di miele” è un ossimoro: accosta qualcosa di doloroso a qualcosa di dolce e buono. I 13 14 Per la locandina della mostra, si veda la figura 7 in Appendice Per la locandina della mostra, si veda la figura 8 in Appendice 12 disturbi alimentari sono un male dolce perché ti fanno stare male piano, giorno dopo giorno, nascondendo un dolore più grande (la depressione). Non a caso, la prima fase dell’anoressia è detta “luna di miele”, perché l’ammalata più dimagrisce, più si sente forte, non capendo i rischi a cui va incontro. Come il titolo, anche l’immagine scelta è disforica. Raffigura infatti una ragazza intenta a cucirsi un occhio con ago e filo. Gli occhi e la bocca sono chiusi, parte della mano le copre il volto, l’espressione non è triste ma neppure felice, piuttosto è pensierosa. Stupisce che la ragazza, pur trafiggendosi la pelle con un ago, non mostri neanche una smorfia di dolore (esattamente come la Barbie crocifissa). La ragazza (soggetto) non vuole vedere, infatti si sta cucendo gli occhi (oggetto di valore). Desidera rimanere nella malattia (aiutante) e non accetta l’aiuto di chi vuole farle vedere la realtà, per esempio parenti e amici (opponenti): gli occhi infatti sono chiusi e non coinvolgono il destinatario. Il colore dominante è il rosso e questo contesto ne magnifica i significati di sangue, violenza (della ragazza su se stessa), sofferenza. Sofferenza che è addirittura prolungata nel tempo (aspettualizzazione durativa e iterativa). Proprio come cucirsi gli occhi è un processo lungo, in cui si ripete sempre la stessa azione, allo stesso modo l’anoressia è un disagio che si protrae nel tempo, in cui bisogna essere costanti, digiunare giorno dopo giorno. Il terzo esempio consiste nello spot video15 e radio16 ideati da Ogilvy per la campagna stampa ABA del 2010. Per quanto riguarda il video, i pubblicitari hanno scelto di girarlo dal punto di vista della ragazza malata (punto di vista soggettivo). Le immagini che vediamo e i rumori che sentiamo sono tutto ciò che sente e vede la protagonista. Inizialmente la telecamera inquadra un piatto, visto da sopra, cioè dal punto di vista di chi mangia. Dopo qualche secondo, la scena cambia e vediamo inquadrato un water dall’alto, con lo sciacquone che va. Di nuovo, si passa ad un piatto con del cibo, e poi ancora il water; le due scene si ripetono sempre più rapidamente (aspettualizzazione iterativa). Nel sottofondo, rumori (della gente che parla attorno alla ragazza seduta a tavola e dello sciacquone) e una musica martellante, che diventa più rapida man mano che il montaggio accelera. I suoni e il tipo di immagini creano ansia, che cresce ancora di più una volta che il destinatario capisce ciò che la ragazza sta facendo: sta mangiando e vomitando il cibo, e lo spettatore vede tutto dalla sua prospettiva. Alla fine del video, la musica e i rumori cessano, e compare uno sfondo bianco, con una scritta in sovraimpressione. La scritta viene letta da una voce maschile fuori campo, che recita: “L’anoressia e la bulimia non sono malattie infinite. Cambia vita. Chiama ABA”. Lo spot radio riprende la stessa idea del video. Una voce femminile recita: ““All’inizio ci butti i pranzi e le cene. Poi ci butti il fidanzato. Gli amici. Il lavoro. Ci butti la mamma. E ci butti il papà. E se non fai qualcosa, alla fine ci butti anche te stessa. Se soffri di anoressia o bulimia, cambia vita. Chiama l’ABA, all’800.16.56.16”. Il tutto è intercalato dal rumore di uno sciacquone, che si ripete più volte. Lo spot trasmette la stessa ossessività del video, anche se meno accentuata, perché non c’è la musica martellante di sottofondo. Il cibo viene associato metaforicamente a persone e momenti di vita della malata: la malattia non è solo un disagio fisico (vomitare il cibo), ma un disagio interiore (vomitare amore). Il processo viene mostrato come durativo (all’inizio...poi...alla fine), in un crescendo di ansia (alla fine, la malata arriva a buttare via se stessa, cioè a rovinarsi la vita) che nel video era realizzato attraverso un montaggio sempre più veloce. I due spot si basano sulla stessa struttura, cioè quella delle storie di malattia: c’è una ragazza (soggetto) che ha come oggetto di valore liberarsi dal cibo. Il water è il suo aiutante, mentre le persone intorno a lei non sono che opponenti: sono solo rumore, non sanno come aiutarla. Diversamente dalle locandine delle due mostre, però, qui viene fatto il nome di chi potrebbe aiutare la ragazza: è l’ABA, che viene citata nel finale dei due spot. Infatti, all’inizio viene mostrata una ragazza che ripete il sintomo della malattia (vomitare dopo mangiato), senza lasciarsi aiutare né cercare una via d’uscita. Lo scopo di questa prima parte è far 15 16 Lo spot video è visibile al seguente link: http://www.bulimianoressia.it/campagnaaba.php Lo spot radio è ascoltabile al seguente link: http://www.bulimianoressia.it/spotradio_aba.php 13 identificare chi è malato/a con la protagonista. Dopo di che, nella seconda parte, si lancia un messaggio di speranza: “tu, che ti sei riconosciuto in questi comportamenti, sappi che si può guarire”. Ma allora perché non ho considerato queste due storie come “storie di possibile guarigione” fortemente disforiche? Perché la ragazza rappresentata non vuole guarire. Nelle “storie di possibile guarigione” il soggetto è consapevole del suo malessere ed è già nella fase in cui chiede aiuto. In questi spot, invece, non si fa che mostrare il perpetuarsi della malattia: la ragazza è bulimica e, alla fine del video, resta tale. 2.5 Storie non riuscite Prima di concludere il capitolo sull’analisi delle campagne ABA, voglio riportare un esempio di come non fare comunicazione sui disturbi alimentari. Il testo considerato è la campagna pubblicitaria “100% natural 100% fashion 100% salute”17, presentata il 25 febbraio 2009 dall’Assessorato alla Salute e Assem (Associazione Servizi Moda) con la collaborazione di ABA e la sponsorizzazione di Lancia. La campagna è in linea con il progetto Codice Etico e con il tesserino Visto Moda, che, come spiega l'assessore Giampaolo Landi di Chiavenna, “sanciscono l’alleanza perché la moda sia un esempio di salute”. Il problema è che il manifesto realizzato non è un esempio di salute, anzi. L’immagine raffigura otto modelle nude, tre sedute e cinque in piedi, tutte che nascondono il seno con una mano e che guardano in camera con aria ammiccante. La ragazza seduta al centro regge una mela rossa, che risalta particolarmente visto che la foto è in bianco e nero. Sopra le ragazze, la headline recita “100% natural 100% fashion”; sotto di loro, più in piccolo, termina con “100% salute”. Nel bodycopy, in basso, si può leggere “nasce il primo codice etico nel mondo della moda. Lancia supporta il Visto Moda Assem‐ Assessorato alla Salute del Comune di Milano”. Di fianco al bodycopy, i vari loghi dei collaboratori e degli sponsor. Perché questa campagna non è efficace? Per vari motivi. Innanzitutto, non racconta una storia: semplicemente, chi guarda il manifesto è il soggetto e le modelle raffigurate sono l’oggetto del desiderio. Non a caso ammiccano all’osservatore. È il solito stereotipo della donna‐oggetto, visto e rivisto in innumerevoli pubblicità (e quindi non particolarmente originale). La mela, che forse nell’intenzione dei pubblicitari doveva riprendere il “100% salute” (perché, come dice il proverbio, “una mela al giorno toglie il medico di torno”), non fa altro che confermare la prima impressione dell’osservatore. Infatti il contesto magnifica i significati di “mela” come “mela del peccato” ‐ quella che Eva mangiò, andando contro alle indicazioni del Signore ‐ o come “mela della discordia” ‐ quella che Eris, dea greca della discordia, lanciò durante una festa e che, poiché recava la scritta “alla più bella”, causò una lite furibonda fra Era, regina degli dei, Afrodite, dea della bellezza, e Atena, figlia di Zeus. Nel primo caso le donne della foto sono peccatrici, nel secondo delle vipere invidiose l’una dell’altra, che competono basandosi su criteri esteriori. Di certo chi guarda non è portato a immedesimarcisi. Inoltre, ed è forse la cosa più importante, le ragazze rappresentano soltanto l’ennesimo modello irraggiungibile a cui ispirarsi. Sono magre, alte, perfette. Un/una malato/a che guarda questa foto non proverà altro che desiderio di emulazione e rinforzerà ancora di più il suo sintomo. Per non sentirsi inadeguata, l’anoressico/a inasprirà ancora di più la sua dieta restrittiva, il/la bulimico/a mangerà e vomiterà con più frequenza. Non c’è una spiegazioni di cosa siano i disturbi alimentari, né un aiutante a cui rivolgersi per uscirne (come nelle storie di possibile guarigione), le ragazze raffigurate non sono ex malate ora guarite (come nelle storie di guarigione), non viene neppure mostrata la sofferenza causata dai DCA (come nelle storie di malattia). Il/la malato/a, passando di fronte a questo manifesto, si sentirà solo inadeguato. Chi invece non è malato/a, non capirà la gravità di questi disturbi. Le reazioni potranno andare da “toh, allora si può essere sani pur facendo parte del mondo della moda, i media fanno sempre tanto 17 Si veda la figura 9 in Appendice 14 allarmismo per niente” a “ma cosa mi vengono a raccontare, fanno vedere modelle sane e poi continuano a far sfilare degli scheletri”. Sempre che chi passa davanti all’affissione capisca che si tratti di una pubblicità contro i DCA: non c’è che il bodycopy, in piccolo, a indicarlo. 15 3. Conclusione: una proposta per parlare di DCA in modo efficace 3.1 Definire il destinatario Alla luce dell’analisi compiuta, posso proporre quello che secondo me è il modo più efficace per far comunicazione sui disturbi alimentari. Il primo passo è sicuramente definire con attenzione il destinatario. A mio parere, se lo scopo è spingere quanti/e più malati/e possibili verso la guarigione, bisogna rivolgersi direttamente a loro. Certo, opuscoli informativi rivolti a familiari e amici dei/delle malati/e per spiegare loro come comportarsi possono essere utili, ma deve essere il/la malato/a, per primo, a prendere coscienza del proprio problema e a cercare aiuto. Infatti, nessuna terapia o percorso di cura ha successo se la persona che lo affronta non è motivata (magari perché è stata spinta da altri). Fatta questa premessa, la comunicazione sui DCA può essere divisa in due fasi: 1. La prima fase, in cui ci si rivolge direttamente ai/alle malati/e, coinvolgendoli/e 2. La seconda fase, in cui si mostra la possibilità di guarigione dalla malattia e il processo per arrivarci 3.2 Fase 1: coinvolgere il malato (storia di malattia) Come coinvolgere il malato in modo efficace? Penso che la strategia più giusta sia quella di mostrare l’ansia e la sofferenza che prova chi soffre di queste malattie, il tutto dal punto di vista del/della malato/a stesso/a. Coinvolgere il/la malato/a dal punto di vista emotivo è fondamentale: solo toccando le corde più profonde di chi sta male si riesce ad aprirgli gli occhi, a fargli sollevare la cornetta per chiamare ABA. La storia da seguire in questa prima fase è quindi la storia di malattia. L’esempio più efficace in questo senso è il video realizzato per la campagna ABA del 2010, in cui il ciclo mangiare‐vomitare viene filmato dal punto di vista del/della bulimico/a. La musica ed i rumori invece rendono conto dell’ansia del soggetto, cioè della sua angoscia interiore. Tuttavia, questo spot presenta un problema: il ciclo mangiare/vomitare è molto stereotipato, e difficilmente un/una malato/a si identificherà con esso (mentre invece l’immedesimazione è un punto fondamentale). Perché dico che il ciclo mangiare/vomitare è stereotipato? I motivi sono diversi: • Una ragazza bulimica ingurgita grandi quantità di cibo in solitudine e poi le vomita. Può capitare che, come nello spot, vomiti anche ciò che mangia normalmente (i disturbi alimentari hanno mille sfumature), ma non è la regola, se così si può dire. Inoltre, l’abbuffata solitaria crea molta più sofferenza: per coinvolgere emotivamente la ragazza malata di bulimia, sarebbe stato meglio filmare quella. • Una ragazza anoressica non mangia e vomita. Semplicemente non mangia. Si potevano perciò mostrare persone che mangiano intorno a lei, mentre lei gioca con il cibo/sminuzza ciò che ha nel piatto/finge di mangiare e poi sputa. • Un’obesa mangia grandi quantità di cibo in solitudine e non vomita. In questo caso sono sbagliate sia le dimensioni dei piatti (il cibo dovrebbe essere molto di più), sia il fatto di vomitare dopo • Infine, un’ultima osservazione: chi mangia per vomitare, ingurgita il cibo in modo frenetico. Sia che si tratti di un piatto normale, sia che si tratti di grandi quantità di cibo, quando una persona mangia per poi vomitare (e chi lo fa, già sa in partenza se vomiterà o no dopo il pasto, già sente l’ansia crescergli dentro) 16 lo fa in modo veloce, senza sentire i sapori, il più in fretta possibile per non permettere al corpo di assorbire ciò che riceve. Invece la ragazza dello spot mangia normalmente, addirittura indugia.18 3.3 Gli stereotipi sui disturbi alimentari Purtroppo, il video dell’ABA non è l’unico che fa uso di stereotipi per parlare dei disturbi alimentari. Per “stereotipo” si intende un “modello ricorrente e convenzionale di comportamento, di discorso e simili” e anche “un’opinione precostituita, non acquisita sulla base di un’esperienza diretta e scarsamente suscettibile di modifica” (fonte: i Grandi Dizionari Garzanti, Italiano). Ora, come scritto nel manifesto deontologico dell’ADCI (Art Directors Club Italiano) “una certa dose di stereotipi è necessaria in pubblicità come in ogni forma di comunicazione di massa. Ma”, aggiunge sempre l’ADCI, “l’abuso di stereotipi e cliché relativi a etnie, religioni, classi sociali, ruoli e generi favorisce il consolidamento di pregiudizi e ingessa lo sviluppo sociale, ancorandolo a schemi culturalmente arretrati e quindi dannosi. Dunque occorre usare gli stereotipi con attenzione e consapevolezza, sempre chiedendosi se una soluzione alternativa non sia possibile – e migliore.” Nel caso della comunicazione sui DCA, gli stereotipi usati fino ad ora mostrano solo la visione che la società ha delle malate. Sarebbe quindi il momento di trovare nuovi modi, nuovi stereotipi se vogliamo, in cui anche i/le malati/e possano identificarsi. Cosa intendo quando dico che si rappresenta solo la visione che la società ha dei/delle malati/e? Tutte le immagini dei testi analizzati quando raffigurano una persona affetta da DCA, rappresentano una ragazza triste, solitaria, sofferente. In particolare: • 4 immagini rappresentano ragazze che si specchiano19 • 3 immagini sono di ragazze che fissano un piatto con del cibo e non mangiano • 2 immagini mostrano ragazze imprigionate (chi dietro la rete di un letto, chi dietro enormi forchette) • 2 immagini fanno vedere palesemente la tristezza delle ragazze (perché si lamentano, o perché sono accasciate a terra col volto nascosto tra le mani) • 3 immagini sono primi piani di ragazze serie e pensierose • 2 immagini raffigurano ragazze nella posa della crocifissione Ma siamo proprio sicuri che un’anoressica passi la giornata a guardarsi allo specchio? O che fissi il piatto con lo sguardo triste? O ancora, che stia accasciata a terra nel corridoio, disperata? Sicuramente, questi possono essere momenti presenti nella vita di una malata, ma non sono dominanti. Basta digitare la parola “anoressia” su Google per rendersi conto che questo tipo di immagini sono quelle più usate per parlare di disturbi alimentari, sono quelle che tutti hanno in mente. Ma la vera anoressica molto più spesso si finge sorridente quando è tra gli altri, sminuzza il cibo quando è a tavola per impiegare più tempo a ingerirlo e mangiare meno, di sicuro non si accascia a terra nei corridoi di casa. L’anoressica prova un’ansia incontrollabile man mano che sia avvicina l’ora del pasto – un momento che non sa come gestire. Più che essere triste davanti al piatto, probabilmente sarà nervosa, mangerà tutto con gli occhi bassi, troverà scusa per lasciare lì il cibo (“non sto bene oggi”, “non ho fame”, “ho fretta”). Allo stesso modo, una bulimica, come spiegato nel paragrafo sopra, non è una persona che mangia e vomita per non ingrassare (come fa intendere il video). Piuttosto, è una persona che prova una tale ansia da divorare tutto, e poi si sente così in colpa da vomitarlo. Spesso le abbuffate iniziano per caso, si mangia qualcosa pensando di tenerlo dentro e si finisce poi per divorare tutto in modo incontrollato. Cosa più importante, le abbuffate (sia della bulimica, sia dell’obesa) sono segrete, non avvengono certo in un ristorante. 18 Per capire ciò che intendo, si veda il video al link seguente, in cui un’anoressica è stata filmata nel momento dell’abbuffata: http://www.youtube.com/watch?v=MeSCVOC7rNA&feature=related È un video molto crudo, ma realistico. Bisognerebbe riferirsi a video come questi per fare spot efficaci. 19 Per le immagini delle ragazze che si specchiano e per le altre citate di seguito, si veda in Appendice, figure 10‐15 17 Senza contare poi il fatto che la maggior parte delle immagini raffigurano – o sono riferite a – anoressiche donne. Ultimamente, viene riservata maggiore attenzione anche alla bulimia, un problema ancora più diffuso dell’anoressia. Ma ancora siamo lontani dal raffigurare donne malate di obesità psicogena o uomini: in tutti i testi esaminati, ho riscontrato solo due immagini di obese20 e neanche una foto di un malato maschio. Quindi, che strategia usare per coinvolgere i/le malati/e? Secondo me, il modo più efficace è mostrare la malattia giorno per giorno, mostrando l’ansia e la tristezza che dominano la vita di chi soffre, in ogni gesto quotidiano. Così, piuttosto della ragazza allo specchio, è meglio raffigurare l’anoressica che si affanna tra palestra, scuola/lavoro e casa, cercando sempre di essere carina e sorridente con tutti, e poi quando entra nella sua stanza piange e non dorme per i crampi della fame. Allo stesso modo, meglio mostrare la bulimica che si sveglia pensando all’abbuffata, conta i minuti che la separano da quando avrà casa libera e poi si butta sulla dispensa. Non è necessario far vedere il momento in cui vomita, chi è bulimica già sa come la storia andrà a finire. Infine, meglio far vedere un’obesa seduta davanti alla tv con gelati e patatine, che si ingozza in solitudine e poi piange, piuttosto che una ragazza grassottella felice perché sta per mangiare un dolce. 3.4 Fase 2: mostrare la guarigione per intero (storia di guarigione) Dopo aver coinvolto il/la malato/a e avergli/le aperto gli occhi sulla sua malattia, è necessario dargli/le una speranza. Ecco quindi che si entra nella seconda fase della comunicazione: presentare una storia di guarigione. È quello che fa la campagna ABA del 2010, che nei manifesti mostra ragazze guarite dalla bulimia, che parlano in prima persona della loro esperienza. Sono sicuramente affissioni ben realizzate, anche se forse ci si dovrebbe spingere oltre. Infatti, nessun testo analizzato mette in scena quella che è la fase più importante: la performanza. Non un opuscolo, non uno spettacolo, non un video o manifesto che parli di come il/la ragazzo/a è uscita dal disturbo alimentare. Si passa direttamente dal momento iniziale, in cui il soggetto soffre (privo di competenza), a quello finale, in cui è guarito (sanzione). A volte, ci si ferma addirittura alla prima fase, come nelle storie di possibile guarigione o di malattia. A mio parere, invece, è importante mostrare ad un/una malato/a come si può uscire dalla malattia, passo dopo passo: cosa si fa all’ABA, su cosa insistere, con cosa aiutarsi, cosa pensare quando si è presi dall’ansia, come gestire il disturbo nel quotidiano. Non serve – o meglio può servire, ma non basta – spiegare i motivi psicologici per cui ci si ammala, se poi non si dice al/alla malato/a cosa provare a fare/pensare quando apre gli occhi la mattina e non trova una ragione per alzarsi dal letto. È evidente che la fase della performanza non può essere mostrata in un manifesto. Ma possono essere distribuiti dei depliant che seguano la guarigione di questo/a o quel/la paziente; è anche possibile realizzare e poi linkare dei video on‐line con la stessa funzione. Per concludere, tra tutti i testi analizzati, sicuramente quello più efficace è la campagna ABA del 2010. I pubblicitari hanno giustamente intuito che bisognava prima attirare l’attenzione del/la malato/a con una storia di malattia (quella del video e dello spot radio), poi dargli/le speranza presentando una storia di guarigione (nei manifesti). Tuttavia, presenta ancora dei punti che possono essere migliorati, di cui ho già parlato diffusamente nei paragrafi precedenti e che qui riassumo: • Nel video, il ciclo mangiare/vomitare è filmato dal punto di vista del/della malato/a, ma in realtà riporta solo gli stereotipi che la società ha sui/sulle bulimici/che; 20 Si veda figura 16 in Appendice 18 • Giusto dare speranza nei manifesti, che sono davvero ben realizzati, ma bisognerebbe integrarli con storie che parlino anche della performanza (cioè del processo di guarigione in ogni sua fase): opuscoli informativi, articoli sul sito dell’ABA, video caricati sul suo canale di Youtube. 19 Appendice Nome del testo Tipo di testo Anno realizzazione Figura Quasi Perfetta spettacolo teatrale 02/2004 2 Fame d’Amore opuscolo di ABA 05/2005 4 Anoressia, Bulimia e Obesità Psicogena opuscolo dei Ministeri della Salute e per le Pari Opportunità 04/2006 5 Molti usano il cibo per comunicare un bisogno di aiuto. Pochi lo capiscono campagna stampa ABA 03/2008 6.1, 6.2, 6.3 Barbie‐turici mostra alla Wannabee Gallery, Milano 10/06 – 30/07/2008 7 Male di Miele mostra alla Wannabee Gallery, Milano 16/12/2008 – 07/01/2009 8 100% natural, 100% fashion, 100% salute campagna del mondo della moda (Assessorato alla salute + ASSEM – Associazione Servizi Moda) 25/02/2009 9 Vent’anni di guarigioni campagna stampa ABA 10/06/2010 1.1, 1.2, 1.3 La Bambina con la Pelliccia spettacolo teatrale 17‐20/02/2011 3 Tabella 1 Storia Varianti Passioni Storie che mettono Storia di guarigione in scena solo la fase Euforia Sanzione positiva finale (guarigione) Ruolo tematico: Storie che Disforia (all’inizio) guarita descrivono tutto il Euforia (alla fine) processo Storia di possibile guarigione Storia di malattia Sanzione non presente Ruolo tematico: malata Sanzione negativa Ruolo tematico: malata Sanzione negativa Ruolo tematico: malata Disforia (all’inizio) Euforia (alla fine) Disforia Disforia Chi parla / A chi Parla Esempio L’autore e la ragazza/ Ai malati Fig. 1.1, 1.2, 1.3 La protagonista/ A tutti Fig. 2 e 3 L’autore/ A tutti Fig. 4 L’autore/ Ai malati Fig. 5 L’autore e la ragazza Fig. 6.1, 6.2, 6.3 (che però non Video al link riesce)/ indicato a nota 12 A tutti L’autore/ A tutti Fig. 7 e 8 L’autore/ Ai malati Spot radio al link indicato in nota 16 La ragazza/ A tutti Video al link indicato a nota 15 20 Tabella 2 Storie di guarigione Figure 1.1, 1.2, 1.3: campagna stampa ABA del 2010 21 Figura 2: locandina dello spettacolo teatrale “Quasi Perfetta” Figura 3: locandina dello spettacolo teatrale “La Bambina con la Pelliccia” 22 23 Storie di possibile guarigione Figura 4: copertina dell’opuscolo “Fame d’Amore” Figura 5: copertina dell’opuscolo “Anoressia, Bulimia e Obesità Psicogena” Figure 6.1, 6.2 e 6.3: campagna stampa ABA del 2008 24 Storie di malattia Figura 7: locandina della mostra “Barbie‐turici” Figura 8: locandina della mostra “Male di Miele” 25 Storie non riuscite Figura 9: campagna di Assessorato alla Salute e ASSEM (Associazione Servizi Moda) 26 Stereotipi Figura 10: ragazze che si specchiano Figura 11: ragazze che fissano un piatto con del cibo e non mangiano 27 Figura 12: ragazze imprigionate Figura 13: ragazze che mostrano la loro sofferenza 28 Figura 14: ragazze con l’espressione triste 29 Figura 15: ragazze nella posa della crocifissione Figura 16: la rappresentazione delle ragazze obese 30 Bibliografia Riccardo Dalle Grave, Alle mie pazienti dico..., Verona, Positive Press, 2007. Fabiola De Clercq, Tutto il pane del mondo,Milano, Bompiani, 1990. Jurij M. Lotman & Yuri Tsivian, Dialogo con lo schermo, Bergamo, Moretti & Vitali, 2001. Costantino Marmo, «L'instabile costruzione enunciativa dell'identità aziendale in rete», in Cosenza G. (a cura di), Semiotica dei nuovi media, numero monografico di Versus, 94/95/96, Milano, Bompiani, 2003, pp. 135‐147. Maria Pia Pozzato, Semiotica del Testo, Roma, Carocci editore, 2001. Stefano Traini, Le due vie della semiotica. Teorie strutturali e interpretative, Milano, Bompiani, 2006. Sitografia www.bulimianoressia.it www.comunicandoilsociale.wordpress.com www.giovannacosenza.it www.medicinalive.com www.quellidigrock.it www.sitiarcheologici.palazzochigi.it www.spaziotertulliano.it www.wannabee.it www.wikipedia.org www.youtube.com 31