Il laboratorio di scrittura del liceo Oberdan è arrivato al settimo anno di attività continuativa. Ogni edizione
ha visto la partecipazione assidua di una ventina di studenti che con passione hanno animato e animano gli
incontri, otto o nove all'anno. Pur variando la composizione del gruppo, il clima di affiatamento è sempre
molto apprezzato. Nel corso degli anni si sono impegnati molti docenti di discipline diverse.
In tutti gli incontri vengono brevemente presentati e poi letti alcuni testi attinti da autori di tutte le epoche,
in prosa, in poesia. Queste letture vogliono offrire lo spunto per la scrittura scandita secondo tipologie
variamente proposte: testi in forma di lettera, diario, poesia, breve racconto, impressione soggettiva, ecc.
con libertà di scelta e senza valutazione.
Alla scrittura in presenza segue la condivisione della lettura.
Il tema scelto per questa serata è "L’Universo tra contemplazione scientifica ed emozione".
Trieste, 15 dicembre 2015
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Apriamo la panoramica dei testi classici con un omaggio al nostro liceo, che presenta nel logo il pendolo di
Newton. In questo breve ma impegnativo passo lo scienziato focalizza l’attenzione sull’insostituibile
presenza di una forza creatrice che governa e regge l’universo.
Newton, Philosophiae naturalis principia matematica; Axiomata sive Leges; Motus Scholium generale
(1687)
Elegantissima haecce solis, planetarum et
cometarum compages non nisi consilio et
dominio entis intelligentis et potentis oriri potuit.
Et si stellae fixae sint centra similium
systematum, haec omnia simili consilio
constructa suberunt Unius dominio: praesertim
cum lux fixarum sit eiusdem naturae ac lux solis,
et systemata omnia lucem in omnia invicem
immittant. Et ne fixarum systemata per
gravitatem suam in se mutuo cadant, hic eadem
immensam ab invicem distantiam posuerit.
Questa, qui presente ai nostri occhi,
armoniosissima compagnia di sole, pianeti e
comete non potè generarsi senza la decisione e la
potenza di un’entità intelligente. E qualora le
stelle fisse siano i centri di simili sistemi, tutte
queste strutturate secondo una simile decisione
sottostaranno al potere di Un solo dio. Proprio
perché la luce delle stelle fisse è della stessa
natura della luce del sole e tutti i sistemi si
inviano luce gli uni con gli altri. E affinchè i sistemi
delle stelle fisse non collassino cadendo l’uno
sull’altro a causa della loro gravità, questo
potrebbe aver posto tra di loro questa immensa
distanza.
***
Lungi dall’essere una preghiera ingenua, vi notiamo lo stupore e la riconoscenza per il creato la cui
contemplazione muove dall’alto e abbraccia lo spettacolo del firmamento per poi discendere alla terra,
nostra madre. Nella semplice armonia si coglie il senso della interdipendenza di ogni elemento della natura,
un senso da cui ci siamo pericolosamente allontanati.
San Francesco, Cantico di frate sole (1224 ?)
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
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et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.
***
Il celeberrimo passo del filosofo tedesco Immanuel Kant non cessa di affascinare per il perfetto accordo tra
ordine interiore ed esteriore: siamo alla pagina conclusiva della “Critica della ragion pratica”.
Immanuel. Kant, Critica della ragion pratica, Conclusione (1788)
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e
piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due
cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o
fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente
con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile
esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e
sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della
loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un
mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari
tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente
accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla
affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto
nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa
come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una
intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente
dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione
conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle
condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.
***
In questa piccola antologia non può certo mancare Dante Alighieri. Tutti sappiamo che le tre cantiche del
poema sacro si concludono con la spirituale e visiva tensione alle stelle: “e quindi uscimmo a riveder le
stelle”, “puro e disposto a salire alle stelle”, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. Fermiamoci assieme al
pellegrino che appena uscito dall’Inferno si “lustra gli occhi” con la ritrovata luce che colora di azzurro il
nuovo orizzonte davanti a lui.
Dante Alighieri, Purgatorio, I, 13-27 (1314-1315)
Dolce color d'oriental zaffiro,
che s'accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
che m'avea contristati li occhi e 'l petto.
Lo bel pianeto che d'amar conforta
faceva tutto rider l'oriente,
velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
I' mi volsi a man destra, e puosi mente
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a l'altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'a la prima gente.
Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
oh settentrional vedovo sito,
poi che privato se' di mirar quelle!
***
Uno dei momenti più alti dello stilnovismo è costituito dalla canzone “Al cor gentile rempaira sempre
amore”. Guido Guinizzelli nella penultima strofa sviluppa il ragionamento per cui gli angeli leggendo nella
mente di Dio ne trasmettono la volontà ordinante a tutti i corpi celesti che ruotano armoniosamente;
analogamente la donna come un astro orienta la vita dell’uomo.
Guido Guinizzelli, Al cor gentile rempaira sempre amore (1265-1276)
Splende ’n la ’ntelligenzia del cielo
Deo criator più che [’n] nostr’occhi ‘l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.
***
Nella quarta strofa della “Ginestra” l’intensità lirica è data dalla contemplazione del firmamento immenso
dove ruotano corpi astrali lontanissimi e dai quali la nostra Terra non può essere vista se non come noi
vediamo essi: un granello di sabbia luccicante.
Giacomo Leopardi, La ginestra o Il fiore del deserto (1836)
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e sulla mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto Seren brillar il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
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Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo?
***
John Keats esprime l’incanto della contemplazione che si risolve nello struggimento romantico di mettersi in
sintonia con il respiro dell’Universo.
John Keats, Bright Star (1838)
Bright star, would I were steadfast as thou art —
Not in lone splendour hung aloft the night
And watching, with eternal lids apart,
Like Nature's patient, sleepless Eremite,
The moving waters at their priestlike task
Of pure ablution round earth's human shores,
Or gazing on the new soft-fallen mask
Of snow upon the mountains and the moors —
No — yet still stedfast, still unchangeable,
Pillow'd upon my fair love's ripening breast,
To feel for ever its soft swell and fall,
Awake for ever in a sweet unrest,
Still, still to hear her tender-taken breath,
And so live ever–or else swoon to death.
Lucente stella, esser potessi come te costante non però, in solitario splendore, nella notte sospesa,
mentre, con il tuo sguardo eterno, osservi distante
tu, della natura paziente e insonne eremita,
le mutevoli acque al sacro compito intente
di pure abluzioni attorno alle spiagge umane,
o mentre scruti la maschera, discesa lievemente,
di fresca neve sui monti, e sopra le brughiere No - sempre costante, senza un cambiamento,
adagiarmi vorrei sul seno generoso del mio amore,
sentendolo abbassarsi e sollevarsi lento,
in dolce inquietudine e senza mai dormire,
Così sempre, e per sempre, il suo lieve respiro sentire
e vivere in eterno - o, in estasi, morire.
***
La forza di fermare il vortice degli eventi, la follia della guerra che annulla l’identità umana. Tutto appare
impossibile ma il blu inatteso del cielo stellato illude l’uomo di attingere all’immortalità.
Giuseppe Ungaretti, Sereno
Bosco di Coupon, Luglio 1918
Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo
Mi riconosco
immagine
passeggera
Persa in un giro
Immortale”
***
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Così come è insondabile l’animo umano perché stupirsi della incertezza che riguarda il corso e la natura
delle comete? Il percorso della conoscenza è inarrestabile ma non procede sempre in tutte le epoche con lo
stesso ritmo e la stessa celerità. Agli occhi dei posteri potremmo apparire degni di riso, mentre noi nutriamo
ammirazione per le loro sicure future scoperte.
Seneca, Naturales Quaestiones VII, 25 (60-64 d. C.)
Si quis hoc loco me interrogauerit: Quare ergo
non, quemadmodum quinque stellarum, ita
harum obseruatus est cursus? - huic ego
respondebo: multa sunt quae esse concedimus;
qualia sunt? ignoramus. Habere nos animum,
cuius imperio et impellimur et reuocamur, omnes
fatebuntur; quid tamen sit animus ille rector
dominusque nostri, non magis tibi quisquam
expediet quam ubi sit. Alius illum dicet spiritum
esse, alius concentum quendam, alius uim
diuinam et dei partem, alius tenuissimum
animae, alius incorporalem potentiam; non deerit
qui sanguinem dicat, qui calorem. Adeo animo
non potest liquere de ceteris rebus ut adhuc ipse
se quaerat. Quid ergo miramur cometas, tam
rarum mundi spectaculum, nondum teneri
legibus certis nec initia illorum finesque notecere,
quorum ex ingentibus interuallis recursus est?
Se qualcuno mi interrogherà a questo punto:
perchè dunque, come è stato osservato il corso
dei cinque pianeti, non è stato osservato quello
delle comete? - io gli risponderò: sono molte le
cose di cui ammettiamo l'esistenza; di che natura
siano, non lo sappiamo. Tutti ammetteranno che
noi abbiamo un animo dal cui comando siamo
spinti ad agire e ne siamo richiamati; cosa
tuttavia sia quell'animo che ci regge e ci governa
nessuno riuscirà a spiegartelo più di quanto sia
riuscito a spiegare dove sia. Qualcuno affermerà
che sia spirito, altri una sorta di armonia, altri
ancora un'energia divina ed una parte di dio, altri
l'elemento più sottile dell'anima, altri ancora una
potenza senza corpo; non mancherà chi lo
definisca sangue e chi calore; tanto l'animo non
può avere una visione sul resto, che è ancora in
cerca di se stesso. Perché dunque dovremmo
stupirci che le comete, spettacolo così raro del
cielo, non siano ancora soggette a leggi definite e
non siano noti l'inizio e la fine del loro corso, il cui
ritorno avviene dopo grandi intervalli di tempo?
[… ] . Veniet tempus quo ista quae nunc latent in
lucem dies extrahat et longioris aeui diligentia. Ad
inquisitionem tantorum aetas una non sufficit, ut
tota caelo uacet. […] Itaque per successiones ista
longas explicabuntur. Veniet tempus quo posteri
nostri tam aperta nos nescisse mirentur. […].
Verrà il momento in cui il tempo trarrà alla luce
questi misteri che per ora rimangono nascosti,
assieme allo studio che un periodo di tempo più
lungo permetterà. Una sola vita, ammesso che sia
dedicata interamente allo studio del cielo, non è
sufficiente ad investigare misteri tanto profondi.
[…] Questi fatti verranno spiegati attraverso
lunghe successioni ( di studiosi ). Verrà un
momento in cui i nostri discendenti si
meraviglieranno che noi non conoscessimo fatti
così evidenti.
Harum quinque stellarum, quae se ingerunt
nobis, quae alio atque alio occurrentes loco
curiosos nos esse cogunt, qui matutini
uespertinique ortus sint, quae stationes, quando
in rectum ferantur, quare agantur retro, modo
coepimus scire; utrum mergeretur Iupiter an
occideret an retrogradus esset, - nam hoc illi
nomen imposuere cedenti, - ante paucos annos
didicimus. […]
Di questi cinque pianeti, che ci si impongono allo
sguardo, che, presentandosi in luoghi sempre
diversi, ci costringono ad essere curiosi, abbiamo
appena iniziato a conoscere quali sorgano al
mattino e quali alla sera, quali siano le loro soste,
quando procedano in avanti, perchè si muovano
di moto retrogrado, se Giove diventi invisibile,
tramonti o sia "retrogrado" - infatti gli hanno
attribuito questo nome allorchè si ritira l'abbiamo imparato pochi anni or sono. […]
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Quid est ergo cur aliqua redire uideantur? Solis
occursus speciem illis tarditatis imponit et natura
uiarum circulorumque sic positorum ut certo
tempore intuentes fallant; sic naues, quamuis
plenis uelis eant, uidentur tamen stare. Erit qui
demonstret aliquando in quibus cometae
partibus currant, cur tam seducti a ceteris errent,
quanti qualesque sint. Contenti simus inuentis;
aliquid ueritati et posteri conferant.
Che ragione c'è, dunque, che alcuni sembrano
tornare indietro? L'incontro del sole dà loro
l'aspetto di un movimento lento, assieme alla
natura delle orbite circolari, disposte in modo da
ingannare gli osservatori in un tempo
determinato; così le navi, benchè si muovano a
vele spiegate, tuttavia sembrano restare ferme.
Ci sarà chi riuscirà a dimostrare un giorno dove si
muovono le comete, perchè vaghino così lontane
dagli altri corpi, e quali siano le loro proprietà e la
loro grandezza. Accontentiamoci delle scoperte;
anche i posteri possano portare un contributo
alla verità.
***
Emilio Praga, esponente della scapigliatura milanese, ipotizza che ad ogni stella sia stato dato in sorte di
guidare un’anima umana nel periglioso viaggio della vita.
Emilio Praga, Mistero di stelle (1862)
Oh ditemi il segreto, erranti stelle,
dei vostri eterni palpiti!
Qual desio vi commove il petto ardente,
quale amor, nella bruna aura tranquilla,
vi consiglia a oscillar sì dolcemente?
Forse è ver che di voi guida ciascuna,
quaggiù nel mondo vedovo,
un’anima alla meta in compagnia?
A noi l’antica età divinatrice
questa speranza del poeta invia.
Se fallace non è, deh stella amica
del mio pensoso spirito,
che fai lassù, dacché lasciai la culla?
Brilla, brilla infedele, e cerca intorno
una fiammella di gentil fanciulla!
E poi con lacci che ti presti il cielo,
a te per sempre annodala;
sciogli le nubi dalle sue sembianze,
guidala mollemente ove, al sereno,
le stelle dei felici intreccian danze.
Ma neghittosa se tu resti ancora
nella tua danza eterea,
oh a te, dall’alto, cui di notte agogno,
una ultrice tempesta urli sul viso
e spenga col tuo raggio ogni mio sogno!
***
Concludiamo con un testo nel quale si fondono storia, devozione, mitologia ed astronomia, amore
coniugale e amore per la poesia. La storia risale al III secolo a. C.: la regina d’Egitto, Berenice II, offrì in voto
la sua meravigliosa chioma che andò perduta e che l’astronomo Conone, volle immaginare fosse piaciuta
tanto agli dei che la rapirono dal tempio per decorare il cielo. Posta a 27 anni luce dalla Terra, la chioma di
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Berenice è una costellazione formata da un gruppo di stelle fisicamente legato fra loro, un ammasso aperto
in via di dissoluzione (le più grandi sono circa ottanta). Il poeta greco Callimaco vi compose un poemetto in
cui fa parlare la Chioma. L’opera è per noi largamente frammentaria; non così per Catullo che ne riprese il
motivo nel carme LXVI; ma la storia non è finita: infatti la traduzione che proponiamo è opera di Ugo
Foscolo.
Catullo, LXVI
Omnia qui magni dispexit lumina mundi,
qui stellarum ortus comperit atque obitus,
flammeus ut rapidi solis nitor obscuretur,
ut cedant certis sidera temporibus,
ut Triviam furtim sub Latmia saxa relegans
dulcis amor gyro devocet aereo:
idem me ille Conon caelesti in limine vidit
e Beroniceo vertice caesariem
fulgentem clare, quam multis illa dearum
levia protendens brachia pollicita est,
qua rex tempestate novo auctus hymenaeo
vastatum finis iuerat Assyrios,
dulcia nocturnae portans vestigia rixae,
quam de virgineis gesserat exuviis.
Ugo Foscolo, La chioma di Berenice
(Volgarizzamento della versione latina)
Quei che spiò del mondo ampio le faci
Tutte quante, e scoprì quando ogni stella
Nasca in cielo o tramonti, e del veloce
Sole come il candor fiammeo si oscuri,
Come a certe stagion cedano gli astri,
E come Amore sotto a' Latmii sassi
Dolcemente contien Trivia di furto
E la richiama dall'aëreo giro,
Quel Conon vide fra' celesti raggi
Me del Berenicèo vertice chioma
Chiaro fulgente. A molti ella de' Numi
Me, supplicando con le terse braccia,
Promise, quando il re, pel nuovo imene
Beato più, partia, gli Assiri campi
Devastando, e sen gìa con li vestigi,
Dolci vestigi di notturna rissa
La qual pugnò per le virginee spoglie.
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“Le nostre stelle”
“Guarda le stelle. I grandi re del passato ci guardano da quelle stelle. Perciò quando ti senti solo,
ricordati che quei re saranno sempre lì per guidarti e ci sarò anch’io.”
Ognuno di noi guarda le stelle e le vede sempre in un modo diverso, chi vede un universo infinito
che aspetta solo di essere esplorato; chi ne osserva le costellazioni e ne ricava fuori splendida arte;
chi ne prevede il futuro, o cerca almeno di poter azzeccare qualche previsione per fingersi un
grande chiromante; chi indica mille costellazioni ad un amico, dicendogli nome e cosa raffigura,
pienamente consapevole di star sparando a caso; e chi come me vede i propri antenati, tutti gli
uomini che ci hanno preceduto sono lì e ci osservano. Se una persona muore dove pensate vada a
finire la sua anima? Penso che ogni volta che una luce si spegne qua, contemporaneamente una
luce si accende lassù, questo per aver memoria che quella persona c’è stata ed è vissuta su questo
pianeta, ha giocato, si è innamorata, ha avuto una famiglia.
C’è chi pensa che per essere ricordati al mondo bisogna fare qualcosa di eclatante ed
indimenticabile, ma indipendentemente da quello che faremo noi andremo lassù e tutti potranno
vederci, ricordaci, amarci per quello che eravamo e la stella che si formerà al momento della
nostra morte sarà più luminosa delle altre non per ciò che abbiamo compiuto ed è andato in tv o
nel web o nei libri di storia, ma per come ci siamo comportati, come eravamo dentro e non alle
apparenze, se abbiamo aiutato il prossimo e non lo abbiamo abbandonato.
Sono le scelte che facciamo che dimostrano chi siamo veramente ed io ogni volta che guardo lassù
non vedo solo inutili puntolini bianchi, vedo ispirazione, saggezza e forza; un giorno anche io sarò lì
con loro e con la mia luce vorrei dare una speranza a chi nel futuro mi guarderà e penserà a me.
Non voglio assolutamente primeggiare per luminosità, si intende, però vorrei essere un
cambiamento, o meglio IL cambiamento, far capire alle persone che non sono importanti denaro e
potere per poter vivere appieno la propria vita, perché di sicuro quando ci ritroveremo
nell’universo non ci potremo comprare la luce che non abbiamo saputo accendere in noi e nel
prossimo.
Angelica Bracchetti
Una lacrima ti bagna la guancia.
Rotola giù, veloce e leggiadra, arriva fino alle tue labbra, sempre rosse come me le ricordavo, ha il
sapore salato dell'oceano, quello stesso oceano che stai tristemente piangendo.
Sono lacrime amare, piene di malinconia, lacrime azzurre fatte di sospiri e riflessi del cielo.
Quest'ultimo è sopra di te, immenso, sconfinato, nero come la pece. È un manto scuro che
contrasta irrimediabilmente con i tuoi occhi chiari, oh i tuoi occhi, mi hanno sempre fatto
sospirare, mi incantano, dentro di essi riesco a scorgerci le stelle.
Stelle lucenti, stelle lontane, stelle inafferrabili.
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Perché tu sei così, lontana anni luce da me, sei bellissima e inafferrabile. Tendo le mani per cercare
di raggiungerti ma tu sei distante, scivoli via, sei un soffio di fumo argentato che si libra verso il
cielo.
Quel cielo che è sopra di te e che tu hai sempre odiato per la sua immensità, troppo grande,
troppo rosa all'alba e troppo indaco alla sera, troppo indefinito. Indefinito e confuso, i contorni
sono sfuocati, la linea dell'orizzonte trema leggermente sotto gli ultimi raggi del Sole. Quel Sole
che deve lasciar spazio alla Luna, la tua amata Luna, minuta e silenziosa, che ammanta tutto di un
tenue chiarore argenteo. La Luna, unica tua vera amica e amante nelle notti d'estate, passate a
cercare in lei conforto e passione. La Luna, l'unica che vorresti al tuo capezzale, l'unica degna
testimone della tua ultima decisione, l'unica che è con te adesso, in questo momento.
E così la guardi, quella tua Luna lontana, ormai alta nel cielo, mentre ti lasci cadere e sprofondi
negli abissi del mare.
Silvia Biasiol
Sia che si guardi il cielo in solitudine, attraverso il vetro della finestra, durante una fredda e
insonne notte invernale, sia che se lo guardi stesi in riva al mare durante una calda giornata estiva,
lo spettacolo è meraviglioso. Tutti noi, in realtà, siamo delle stelle. Durante le notti più fredde,
raggomitolati sotto al piumone assomigliamo a quelle timide stelle che si nascondono dietro alle
nuvole mentre in estate, sofferenti per il gran caldo anche loro si scoprono e ci appaiono più
luminose. In realtà, noi uomini, siamo più che semplici stelle: siamo intere costellazioni, se
guardati appena possiamo non essere capiti ma se osservati con attenzione ci riveliamo per ciò
che siamo. Siamo mortali ma anche loro lo sono, non è forse vero che anche le stelle, dopo aver
brillato più o meno a lungo, cadono? Ciascuno di noi, nei momenti di stanchezza, dovrebbe capire
che dalla nascita alla morte è uno spettacolo unico e meraviglioso e che tutti, a modo nostro,
illuminiamo la vita di qualcuno.
Giorgia Carcangiu
Abbandonai la presa e mi allontanai, molto lentamente.
Il suo non inaspettato sguardo di terrore mi fece accennare un invisibile sorriso commosso e
disperato, i suoi occhi riflettevano il vuoto che avvolgeva la kilometrica distanza della nostra
esistenza.
Non avrei potuto desiderare un addio migliore.
Quel suo minuscolo e insignificante bagliore attraversava corpi e atmosfera, distruggeva con
delicatezza la materia quasi come la accarezzasse per chiedere scusa, era una forza incredibile che
celava l’energia più potente mai inosservata fino ad ora.
Le dimensioni di quel minuscolo e gracile corpo erano in realtà enormi, era una delle rare giganti
blu dell’universo, tanto grande quanto delicata, apparentemente fredda e distante con quella sua
abbagliante luminosità color blu intenso, ma altrettanto ardente e ricca di emozioni al suo interno;
conteneva un nucleo nel quale veniva compressa tutta la focolare essenza dell’umanità intera,
decisamente troppo per uno spirito così inutilmente mortale come lui.
Ogni sera lo osservavo contemplare la volta celeste dall’alto della mia umile e misera posizione, lo
vedevo brillare attraverso la mia luce riflessa nelle sue lacrime, che gli allargavano le pupille;
sembrava essersi ritrovato nel posto sbagliato, una nube di polveri e gas aggregatasi in un luogo ad
essa sconosciuto, così lontano da quei minuscoli puntini bianchi in cui si immedesimava; sentivo le
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pulsazioni del suo cuore che con incredibile energia pompavano il sangue rosso, sangue celeste,
ricco di ferro e quest’ultimo raggiungeva le sue deboli ossa, ricche di calcio, e le sue ormai vecchie
cellule, ricche di carbonio. Ferro, calcio e carbonio: l’unica somiglianza che ci legava nel profondo,
non è incredibile come degli elementi chimici privi di memorie e pensieri possano legare due
esseri così ugualmente diversi?
Non posso far altro che brillare nel vuoto mentre ti guardo, vincolato in quella tua affascinante
gabbia planetaria, costretto a volgerti al cielo e comunicare con me, con i tuoi simili, attraverso un
lucido vetro appannato.
Ma arriva per tutti il momento in cui ci si distacca dall’equilibrio, avevo percepito da qualche
tempo ormai che ti stavi comprimendo ed eri pronto a collassare in un’esplosione catastrofica. Mi
addolorava guardarlo negli occhi, lo aveva capito, per questo si diresse dalla parte opposta e non si
voltò mai più. Udii un botto assordante che mi scalfì come se fossi collassata con un asteroide. Era
esploso, la vita che lui aveva tanto amato si era contorta fino ad assorbirsi senza pietà, come un
buco nero.
Ma la forza di quella distorsione spazio-temporale che rimaneva di lui non era riuscita a strappare
via i miei ricordi, così che la sua luce brillerà nella mia fino alla fine della mia miserevole esistenza,
umile ed insignificante di una stella delle tante.
Sara Flego
“Siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle”, diceva Oscar Wilde e “Se stai
guardando il cielo è perché credi ancora in qualcosa” affermava Bob Marley.
Quante generazioni hanno appeso i propri pensieri e le proprie emozioni sulle stelle? Sembrano
dei piccoli punti luminosi, corrosi dai nostri turbamenti e alimentati dalle nostre speranze.
Confidiamo nelle stelle e ci confidiamo con le stelle, eppure esse rimangono lassù,
apparentemente ferme, inerti. Forse proprio questo aspetto ci colpisce, il fatto che rimangono ad
ascoltare in silenzio; non hanno fretta, non hanno impegni, sono libere di brillare e di mostrarsi
vanitosamente per tutta la notte, per poi nascondersi timidamente per non rubare la scena al
Sole.
Brillano per secoli, corruttibili e mortali custodi di sogni e desideri, sono pagine di storie di vita di
persone che non conoscono, così fragili ed esuberanti, che scatenano meraviglia persino quando
cadono.
Forse le osserviamo non solo per ammirazione o curiosità, ma anche per invidia, perché non siamo
neanche in grado, spesso e volentieri, di ascoltare noi stessi così disinteressatamente, figuriamoci
coloro che non conosciamo.
D’altronde, come diceva qualcuno, siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi, che credono ancora in
qualcosa, continuano a guardare le stelle.
Marianna Corsano
A 160 000 anni luce da noi, nella galassia della Grande Nube di Magellano, ci sono due giovani
stelle che percorrono la loro orbita una attorno all'altra, in una specie di danza circolare che non si
ferma mai. Sono così vicine da toccarsi e sembrano quasi avvinghiate in un bacio eterno. Ma
eterno non è. Gli astronauti chiamano questo fenomeno stella binaria a contatto, e può andare
incontro a due sorti: o i due innamorati celesti si fondono in un'unica stella gigante o si separano
per sempre in una coppia di buchi neri.
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Che speranze potremmo dunque avere noi esseri umani, più piccoli di granelli di polvere se
paragonati all'intero universo, quando anche le stelle non durano per sempre? Ma forse è proprio
per questo che da migliaia di anni noi, piccoli esserini insignificanti, alziamo gli occhi verso il cielo
per tentare di svelarne i segreti. Comprendere i suoi movimenti ci fa sentire più potenti.
Giochiamo a dare un nome alle stelle perché così ci appaiono più vicine, più nostre, parte di quel
mondo che ci illudiamo di poter comprendere e comandare.
Quanti hanno letto la storia del Piccolo Principe, il bambino che vive su un asteroide lontano e un
giorno arriva sulla Terra? C'è una frase che mi piace molto: "Guarderai le stelle, la notte. È troppo
piccolo da me perché ti possa mostrare dove si trova la mia stella. È meglio così. La mia stella sarà
per te una delle stelle. Allora, tutte le stelle, ti piacerà guardarle... Tutte saranno tue amiche". E le
stelle possono davvero essere nostre amiche... Guardare le stelle ci comunica un senso di pace, di
tranquillità, per questo alziamo gli occhi al cielo quando non ne possiamo più del nostro mondo. E
chissà che forse non dovremmo alzarli un po' più spesso, gli occhi. Forse ci renderemmo conto che
non siamo noi il centro di tutto, che facciamo parte di un sistema molto più complesso. Siamo
degli ospiti nell'universo, delle piccole gocce nell'oceano, e proprio perché non ne siamo i padroni
dovremmo imparare a rispettarlo di più. Quanto è meraviglioso lo spettacolo delle stelle nel cielo?
Vorremmo mai che l'inquinamento diventasse così elevato da offuscarlo?
Anche tu, quando uscirai da questa scuola, e sarà già notte, fermati un attimo: alza gli occhi al
cielo e lascia che il tuo sguardo si perda nell'immensità. Ammira le stelle e sentiti piccolo e
insignificante, ma allo stesso tempo responsabile: pensa a quanto sia splendido questo spettacolo
e a quanto sei fortunato nel poterlo ammirare. E così dovrà essere anche per gli uomini che
verranno dopo di noi.
"E quindi uscimmo (e riuscimmo) a riveder le stelle".
Silvia De Cleva
“La vedi quella stella lassù? È luminosissima.” “Ma come non la vedi? Dai, guarda… sì, sì, esatto
proprio quella lì, vicino alla Luna, grande e pulsante di luce bianca. Ma non è splendida?”
Quante sere abbiamo trascorso a contemplare quel manto blu invaso da lucciole disposte ogni
giorno diversamente a formare meravigliose linee e forme? Quante volte ci siamo persi in quella
luce, spesso così intensa da illuminarci i visi? E la Luna? Quella Luna da cui non potevo, e non
posso tuttora, distogliere lo sguardo, ammaliata non appena mi riempiva gli occhi? Quant’è bella?
Ma ora tu sei a 6000 chilometri di distanza. Non possiamo più guardare le stelle assieme, non
posso più indicarti la costellazione che più mi piace.
Eppure quel cielo scuro e luminoso è sempre lo stesso. Le stelle che vedo io sono quelle che vedi
tu. La Luna che rischiara il mio giardino è la stessa che illumina la tua stanza dall’altra parte del
mondo. Le continuiamo a guardare, sì, a cinque ore di distanza, ma forse sono proprio loro, le
stelle candide e lucenti, il nostro unico punto di incontro.
Teresa Riosa
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