Il laboratorio di scrittura del liceo Oberdan è arrivato al settimo anno di attività continuativa. Ogni edizione ha visto la partecipazione assidua di una ventina di studenti che con passione hanno animato e animano gli incontri, otto o nove all'anno. Pur variando la composizione del gruppo, il clima di affiatamento è sempre molto apprezzato. Nel corso degli anni si sono impegnati molti docenti di discipline diverse. In tutti gli incontri vengono brevemente presentati e poi letti alcuni testi attinti da autori di tutte le epoche, in prosa, in poesia. Queste letture vogliono offrire lo spunto per la scrittura scandita secondo tipologie variamente proposte: testi in forma di lettera, diario, poesia, breve racconto, impressione soggettiva, ecc. con libertà di scelta e senza valutazione. Alla scrittura in presenza segue la condivisione della lettura. Il tema scelto per questa serata è "L’Universo tra contemplazione scientifica ed emozione". Trieste, 15 dicembre 2015 -1- -2- Apriamo la panoramica dei testi classici con un omaggio al nostro liceo, che presenta nel logo il pendolo di Newton. In questo breve ma impegnativo passo lo scienziato focalizza l’attenzione sull’insostituibile presenza di una forza creatrice che governa e regge l’universo. Newton, Philosophiae naturalis principia matematica; Axiomata sive Leges; Motus Scholium generale (1687) Elegantissima haecce solis, planetarum et cometarum compages non nisi consilio et dominio entis intelligentis et potentis oriri potuit. Et si stellae fixae sint centra similium systematum, haec omnia simili consilio constructa suberunt Unius dominio: praesertim cum lux fixarum sit eiusdem naturae ac lux solis, et systemata omnia lucem in omnia invicem immittant. Et ne fixarum systemata per gravitatem suam in se mutuo cadant, hic eadem immensam ab invicem distantiam posuerit. Questa, qui presente ai nostri occhi, armoniosissima compagnia di sole, pianeti e comete non potè generarsi senza la decisione e la potenza di un’entità intelligente. E qualora le stelle fisse siano i centri di simili sistemi, tutte queste strutturate secondo una simile decisione sottostaranno al potere di Un solo dio. Proprio perché la luce delle stelle fisse è della stessa natura della luce del sole e tutti i sistemi si inviano luce gli uni con gli altri. E affinchè i sistemi delle stelle fisse non collassino cadendo l’uno sull’altro a causa della loro gravità, questo potrebbe aver posto tra di loro questa immensa distanza. *** Lungi dall’essere una preghiera ingenua, vi notiamo lo stupore e la riconoscenza per il creato la cui contemplazione muove dall’alto e abbraccia lo spettacolo del firmamento per poi discendere alla terra, nostra madre. Nella semplice armonia si coglie il senso della interdipendenza di ogni elemento della natura, un senso da cui ci siamo pericolosamente allontanati. San Francesco, Cantico di frate sole (1224 ?) Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore -3- et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male. Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate. *** Il celeberrimo passo del filosofo tedesco Immanuel Kant non cessa di affascinare per il perfetto accordo tra ordine interiore ed esteriore: siamo alla pagina conclusiva della “Critica della ragion pratica”. Immanuel. Kant, Critica della ragion pratica, Conclusione (1788) Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito. *** In questa piccola antologia non può certo mancare Dante Alighieri. Tutti sappiamo che le tre cantiche del poema sacro si concludono con la spirituale e visiva tensione alle stelle: “e quindi uscimmo a riveder le stelle”, “puro e disposto a salire alle stelle”, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. Fermiamoci assieme al pellegrino che appena uscito dall’Inferno si “lustra gli occhi” con la ritrovata luce che colora di azzurro il nuovo orizzonte davanti a lui. Dante Alighieri, Purgatorio, I, 13-27 (1314-1315) Dolce color d'oriental zaffiro, che s'accoglieva nel sereno aspetto del mezzo, puro infino al primo giro, a li occhi miei ricominciò diletto, tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta che m'avea contristati li occhi e 'l petto. Lo bel pianeto che d'amar conforta faceva tutto rider l'oriente, velando i Pesci ch'erano in sua scorta. I' mi volsi a man destra, e puosi mente -4- a l'altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch'a la prima gente. Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle: oh settentrional vedovo sito, poi che privato se' di mirar quelle! *** Uno dei momenti più alti dello stilnovismo è costituito dalla canzone “Al cor gentile rempaira sempre amore”. Guido Guinizzelli nella penultima strofa sviluppa il ragionamento per cui gli angeli leggendo nella mente di Dio ne trasmettono la volontà ordinante a tutti i corpi celesti che ruotano armoniosamente; analogamente la donna come un astro orienta la vita dell’uomo. Guido Guinizzelli, Al cor gentile rempaira sempre amore (1265-1276) Splende ’n la ’ntelligenzia del cielo Deo criator più che [’n] nostr’occhi ‘l sole: ella intende suo fattor oltra ’l cielo, e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole; e con’ segue, al primero, del giusto Deo beato compimento, così dar dovria, al vero, la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende del suo gentil, talento che mai di lei obedir non si disprende. *** Nella quarta strofa della “Ginestra” l’intensità lirica è data dalla contemplazione del firmamento immenso dove ruotano corpi astrali lontanissimi e dai quali la nostra Terra non può essere vista se non come noi vediamo essi: un granello di sabbia luccicante. Giacomo Leopardi, La ginestra o Il fiore del deserto (1836) Sovente in queste rive, Che, desolate, a bruno Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, Seggo la notte; e sulla mesta landa In purissimo azzurro Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle, Cui di lontan fa specchio Il mare, e tutto di scintille in giro Per lo vòto Seren brillar il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch'a lor sembrano un punto, E sono immense, in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare Veracemente; a cui L'uomo non pur, ma questo Globo ove l'uomo è nulla, Sconosciuto è del tutto; e quando miro Quegli ancor più senz'alcun fin remoti Nodi quasi di stelle, Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo E non la terra sol, ma tutte in uno, Del numero infinite e della mole, Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle O sono ignote, o così paion come -5- Essi alla terra, un punto Di luce nebulosa; al pensier mio Che sembri allora, o prole Dell'uomo? *** John Keats esprime l’incanto della contemplazione che si risolve nello struggimento romantico di mettersi in sintonia con il respiro dell’Universo. John Keats, Bright Star (1838) Bright star, would I were steadfast as thou art — Not in lone splendour hung aloft the night And watching, with eternal lids apart, Like Nature's patient, sleepless Eremite, The moving waters at their priestlike task Of pure ablution round earth's human shores, Or gazing on the new soft-fallen mask Of snow upon the mountains and the moors — No — yet still stedfast, still unchangeable, Pillow'd upon my fair love's ripening breast, To feel for ever its soft swell and fall, Awake for ever in a sweet unrest, Still, still to hear her tender-taken breath, And so live ever–or else swoon to death. Lucente stella, esser potessi come te costante non però, in solitario splendore, nella notte sospesa, mentre, con il tuo sguardo eterno, osservi distante tu, della natura paziente e insonne eremita, le mutevoli acque al sacro compito intente di pure abluzioni attorno alle spiagge umane, o mentre scruti la maschera, discesa lievemente, di fresca neve sui monti, e sopra le brughiere No - sempre costante, senza un cambiamento, adagiarmi vorrei sul seno generoso del mio amore, sentendolo abbassarsi e sollevarsi lento, in dolce inquietudine e senza mai dormire, Così sempre, e per sempre, il suo lieve respiro sentire e vivere in eterno - o, in estasi, morire. *** La forza di fermare il vortice degli eventi, la follia della guerra che annulla l’identità umana. Tutto appare impossibile ma il blu inatteso del cielo stellato illude l’uomo di attingere all’immortalità. Giuseppe Ungaretti, Sereno Bosco di Coupon, Luglio 1918 Dopo tanta nebbia a una a una si svelano le stelle Respiro il fresco che mi lascia il colore del cielo Mi riconosco immagine passeggera Persa in un giro Immortale” *** -6- Così come è insondabile l’animo umano perché stupirsi della incertezza che riguarda il corso e la natura delle comete? Il percorso della conoscenza è inarrestabile ma non procede sempre in tutte le epoche con lo stesso ritmo e la stessa celerità. Agli occhi dei posteri potremmo apparire degni di riso, mentre noi nutriamo ammirazione per le loro sicure future scoperte. Seneca, Naturales Quaestiones VII, 25 (60-64 d. C.) Si quis hoc loco me interrogauerit: Quare ergo non, quemadmodum quinque stellarum, ita harum obseruatus est cursus? - huic ego respondebo: multa sunt quae esse concedimus; qualia sunt? ignoramus. Habere nos animum, cuius imperio et impellimur et reuocamur, omnes fatebuntur; quid tamen sit animus ille rector dominusque nostri, non magis tibi quisquam expediet quam ubi sit. Alius illum dicet spiritum esse, alius concentum quendam, alius uim diuinam et dei partem, alius tenuissimum animae, alius incorporalem potentiam; non deerit qui sanguinem dicat, qui calorem. Adeo animo non potest liquere de ceteris rebus ut adhuc ipse se quaerat. Quid ergo miramur cometas, tam rarum mundi spectaculum, nondum teneri legibus certis nec initia illorum finesque notecere, quorum ex ingentibus interuallis recursus est? Se qualcuno mi interrogherà a questo punto: perchè dunque, come è stato osservato il corso dei cinque pianeti, non è stato osservato quello delle comete? - io gli risponderò: sono molte le cose di cui ammettiamo l'esistenza; di che natura siano, non lo sappiamo. Tutti ammetteranno che noi abbiamo un animo dal cui comando siamo spinti ad agire e ne siamo richiamati; cosa tuttavia sia quell'animo che ci regge e ci governa nessuno riuscirà a spiegartelo più di quanto sia riuscito a spiegare dove sia. Qualcuno affermerà che sia spirito, altri una sorta di armonia, altri ancora un'energia divina ed una parte di dio, altri l'elemento più sottile dell'anima, altri ancora una potenza senza corpo; non mancherà chi lo definisca sangue e chi calore; tanto l'animo non può avere una visione sul resto, che è ancora in cerca di se stesso. Perché dunque dovremmo stupirci che le comete, spettacolo così raro del cielo, non siano ancora soggette a leggi definite e non siano noti l'inizio e la fine del loro corso, il cui ritorno avviene dopo grandi intervalli di tempo? [… ] . Veniet tempus quo ista quae nunc latent in lucem dies extrahat et longioris aeui diligentia. Ad inquisitionem tantorum aetas una non sufficit, ut tota caelo uacet. […] Itaque per successiones ista longas explicabuntur. Veniet tempus quo posteri nostri tam aperta nos nescisse mirentur. […]. Verrà il momento in cui il tempo trarrà alla luce questi misteri che per ora rimangono nascosti, assieme allo studio che un periodo di tempo più lungo permetterà. Una sola vita, ammesso che sia dedicata interamente allo studio del cielo, non è sufficiente ad investigare misteri tanto profondi. […] Questi fatti verranno spiegati attraverso lunghe successioni ( di studiosi ). Verrà un momento in cui i nostri discendenti si meraviglieranno che noi non conoscessimo fatti così evidenti. Harum quinque stellarum, quae se ingerunt nobis, quae alio atque alio occurrentes loco curiosos nos esse cogunt, qui matutini uespertinique ortus sint, quae stationes, quando in rectum ferantur, quare agantur retro, modo coepimus scire; utrum mergeretur Iupiter an occideret an retrogradus esset, - nam hoc illi nomen imposuere cedenti, - ante paucos annos didicimus. […] Di questi cinque pianeti, che ci si impongono allo sguardo, che, presentandosi in luoghi sempre diversi, ci costringono ad essere curiosi, abbiamo appena iniziato a conoscere quali sorgano al mattino e quali alla sera, quali siano le loro soste, quando procedano in avanti, perchè si muovano di moto retrogrado, se Giove diventi invisibile, tramonti o sia "retrogrado" - infatti gli hanno attribuito questo nome allorchè si ritira l'abbiamo imparato pochi anni or sono. […] -7- Quid est ergo cur aliqua redire uideantur? Solis occursus speciem illis tarditatis imponit et natura uiarum circulorumque sic positorum ut certo tempore intuentes fallant; sic naues, quamuis plenis uelis eant, uidentur tamen stare. Erit qui demonstret aliquando in quibus cometae partibus currant, cur tam seducti a ceteris errent, quanti qualesque sint. Contenti simus inuentis; aliquid ueritati et posteri conferant. Che ragione c'è, dunque, che alcuni sembrano tornare indietro? L'incontro del sole dà loro l'aspetto di un movimento lento, assieme alla natura delle orbite circolari, disposte in modo da ingannare gli osservatori in un tempo determinato; così le navi, benchè si muovano a vele spiegate, tuttavia sembrano restare ferme. Ci sarà chi riuscirà a dimostrare un giorno dove si muovono le comete, perchè vaghino così lontane dagli altri corpi, e quali siano le loro proprietà e la loro grandezza. Accontentiamoci delle scoperte; anche i posteri possano portare un contributo alla verità. *** Emilio Praga, esponente della scapigliatura milanese, ipotizza che ad ogni stella sia stato dato in sorte di guidare un’anima umana nel periglioso viaggio della vita. Emilio Praga, Mistero di stelle (1862) Oh ditemi il segreto, erranti stelle, dei vostri eterni palpiti! Qual desio vi commove il petto ardente, quale amor, nella bruna aura tranquilla, vi consiglia a oscillar sì dolcemente? Forse è ver che di voi guida ciascuna, quaggiù nel mondo vedovo, un’anima alla meta in compagnia? A noi l’antica età divinatrice questa speranza del poeta invia. Se fallace non è, deh stella amica del mio pensoso spirito, che fai lassù, dacché lasciai la culla? Brilla, brilla infedele, e cerca intorno una fiammella di gentil fanciulla! E poi con lacci che ti presti il cielo, a te per sempre annodala; sciogli le nubi dalle sue sembianze, guidala mollemente ove, al sereno, le stelle dei felici intreccian danze. Ma neghittosa se tu resti ancora nella tua danza eterea, oh a te, dall’alto, cui di notte agogno, una ultrice tempesta urli sul viso e spenga col tuo raggio ogni mio sogno! *** Concludiamo con un testo nel quale si fondono storia, devozione, mitologia ed astronomia, amore coniugale e amore per la poesia. La storia risale al III secolo a. C.: la regina d’Egitto, Berenice II, offrì in voto la sua meravigliosa chioma che andò perduta e che l’astronomo Conone, volle immaginare fosse piaciuta tanto agli dei che la rapirono dal tempio per decorare il cielo. Posta a 27 anni luce dalla Terra, la chioma di -8- Berenice è una costellazione formata da un gruppo di stelle fisicamente legato fra loro, un ammasso aperto in via di dissoluzione (le più grandi sono circa ottanta). Il poeta greco Callimaco vi compose un poemetto in cui fa parlare la Chioma. L’opera è per noi largamente frammentaria; non così per Catullo che ne riprese il motivo nel carme LXVI; ma la storia non è finita: infatti la traduzione che proponiamo è opera di Ugo Foscolo. Catullo, LXVI Omnia qui magni dispexit lumina mundi, qui stellarum ortus comperit atque obitus, flammeus ut rapidi solis nitor obscuretur, ut cedant certis sidera temporibus, ut Triviam furtim sub Latmia saxa relegans dulcis amor gyro devocet aereo: idem me ille Conon caelesti in limine vidit e Beroniceo vertice caesariem fulgentem clare, quam multis illa dearum levia protendens brachia pollicita est, qua rex tempestate novo auctus hymenaeo vastatum finis iuerat Assyrios, dulcia nocturnae portans vestigia rixae, quam de virgineis gesserat exuviis. Ugo Foscolo, La chioma di Berenice (Volgarizzamento della versione latina) Quei che spiò del mondo ampio le faci Tutte quante, e scoprì quando ogni stella Nasca in cielo o tramonti, e del veloce Sole come il candor fiammeo si oscuri, Come a certe stagion cedano gli astri, E come Amore sotto a' Latmii sassi Dolcemente contien Trivia di furto E la richiama dall'aëreo giro, Quel Conon vide fra' celesti raggi Me del Berenicèo vertice chioma Chiaro fulgente. A molti ella de' Numi Me, supplicando con le terse braccia, Promise, quando il re, pel nuovo imene Beato più, partia, gli Assiri campi Devastando, e sen gìa con li vestigi, Dolci vestigi di notturna rissa La qual pugnò per le virginee spoglie. -9- - 10 - “Le nostre stelle” “Guarda le stelle. I grandi re del passato ci guardano da quelle stelle. Perciò quando ti senti solo, ricordati che quei re saranno sempre lì per guidarti e ci sarò anch’io.” Ognuno di noi guarda le stelle e le vede sempre in un modo diverso, chi vede un universo infinito che aspetta solo di essere esplorato; chi ne osserva le costellazioni e ne ricava fuori splendida arte; chi ne prevede il futuro, o cerca almeno di poter azzeccare qualche previsione per fingersi un grande chiromante; chi indica mille costellazioni ad un amico, dicendogli nome e cosa raffigura, pienamente consapevole di star sparando a caso; e chi come me vede i propri antenati, tutti gli uomini che ci hanno preceduto sono lì e ci osservano. Se una persona muore dove pensate vada a finire la sua anima? Penso che ogni volta che una luce si spegne qua, contemporaneamente una luce si accende lassù, questo per aver memoria che quella persona c’è stata ed è vissuta su questo pianeta, ha giocato, si è innamorata, ha avuto una famiglia. C’è chi pensa che per essere ricordati al mondo bisogna fare qualcosa di eclatante ed indimenticabile, ma indipendentemente da quello che faremo noi andremo lassù e tutti potranno vederci, ricordaci, amarci per quello che eravamo e la stella che si formerà al momento della nostra morte sarà più luminosa delle altre non per ciò che abbiamo compiuto ed è andato in tv o nel web o nei libri di storia, ma per come ci siamo comportati, come eravamo dentro e non alle apparenze, se abbiamo aiutato il prossimo e non lo abbiamo abbandonato. Sono le scelte che facciamo che dimostrano chi siamo veramente ed io ogni volta che guardo lassù non vedo solo inutili puntolini bianchi, vedo ispirazione, saggezza e forza; un giorno anche io sarò lì con loro e con la mia luce vorrei dare una speranza a chi nel futuro mi guarderà e penserà a me. Non voglio assolutamente primeggiare per luminosità, si intende, però vorrei essere un cambiamento, o meglio IL cambiamento, far capire alle persone che non sono importanti denaro e potere per poter vivere appieno la propria vita, perché di sicuro quando ci ritroveremo nell’universo non ci potremo comprare la luce che non abbiamo saputo accendere in noi e nel prossimo. Angelica Bracchetti Una lacrima ti bagna la guancia. Rotola giù, veloce e leggiadra, arriva fino alle tue labbra, sempre rosse come me le ricordavo, ha il sapore salato dell'oceano, quello stesso oceano che stai tristemente piangendo. Sono lacrime amare, piene di malinconia, lacrime azzurre fatte di sospiri e riflessi del cielo. Quest'ultimo è sopra di te, immenso, sconfinato, nero come la pece. È un manto scuro che contrasta irrimediabilmente con i tuoi occhi chiari, oh i tuoi occhi, mi hanno sempre fatto sospirare, mi incantano, dentro di essi riesco a scorgerci le stelle. Stelle lucenti, stelle lontane, stelle inafferrabili. - 11 - Perché tu sei così, lontana anni luce da me, sei bellissima e inafferrabile. Tendo le mani per cercare di raggiungerti ma tu sei distante, scivoli via, sei un soffio di fumo argentato che si libra verso il cielo. Quel cielo che è sopra di te e che tu hai sempre odiato per la sua immensità, troppo grande, troppo rosa all'alba e troppo indaco alla sera, troppo indefinito. Indefinito e confuso, i contorni sono sfuocati, la linea dell'orizzonte trema leggermente sotto gli ultimi raggi del Sole. Quel Sole che deve lasciar spazio alla Luna, la tua amata Luna, minuta e silenziosa, che ammanta tutto di un tenue chiarore argenteo. La Luna, unica tua vera amica e amante nelle notti d'estate, passate a cercare in lei conforto e passione. La Luna, l'unica che vorresti al tuo capezzale, l'unica degna testimone della tua ultima decisione, l'unica che è con te adesso, in questo momento. E così la guardi, quella tua Luna lontana, ormai alta nel cielo, mentre ti lasci cadere e sprofondi negli abissi del mare. Silvia Biasiol Sia che si guardi il cielo in solitudine, attraverso il vetro della finestra, durante una fredda e insonne notte invernale, sia che se lo guardi stesi in riva al mare durante una calda giornata estiva, lo spettacolo è meraviglioso. Tutti noi, in realtà, siamo delle stelle. Durante le notti più fredde, raggomitolati sotto al piumone assomigliamo a quelle timide stelle che si nascondono dietro alle nuvole mentre in estate, sofferenti per il gran caldo anche loro si scoprono e ci appaiono più luminose. In realtà, noi uomini, siamo più che semplici stelle: siamo intere costellazioni, se guardati appena possiamo non essere capiti ma se osservati con attenzione ci riveliamo per ciò che siamo. Siamo mortali ma anche loro lo sono, non è forse vero che anche le stelle, dopo aver brillato più o meno a lungo, cadono? Ciascuno di noi, nei momenti di stanchezza, dovrebbe capire che dalla nascita alla morte è uno spettacolo unico e meraviglioso e che tutti, a modo nostro, illuminiamo la vita di qualcuno. Giorgia Carcangiu Abbandonai la presa e mi allontanai, molto lentamente. Il suo non inaspettato sguardo di terrore mi fece accennare un invisibile sorriso commosso e disperato, i suoi occhi riflettevano il vuoto che avvolgeva la kilometrica distanza della nostra esistenza. Non avrei potuto desiderare un addio migliore. Quel suo minuscolo e insignificante bagliore attraversava corpi e atmosfera, distruggeva con delicatezza la materia quasi come la accarezzasse per chiedere scusa, era una forza incredibile che celava l’energia più potente mai inosservata fino ad ora. Le dimensioni di quel minuscolo e gracile corpo erano in realtà enormi, era una delle rare giganti blu dell’universo, tanto grande quanto delicata, apparentemente fredda e distante con quella sua abbagliante luminosità color blu intenso, ma altrettanto ardente e ricca di emozioni al suo interno; conteneva un nucleo nel quale veniva compressa tutta la focolare essenza dell’umanità intera, decisamente troppo per uno spirito così inutilmente mortale come lui. Ogni sera lo osservavo contemplare la volta celeste dall’alto della mia umile e misera posizione, lo vedevo brillare attraverso la mia luce riflessa nelle sue lacrime, che gli allargavano le pupille; sembrava essersi ritrovato nel posto sbagliato, una nube di polveri e gas aggregatasi in un luogo ad essa sconosciuto, così lontano da quei minuscoli puntini bianchi in cui si immedesimava; sentivo le - 12 - pulsazioni del suo cuore che con incredibile energia pompavano il sangue rosso, sangue celeste, ricco di ferro e quest’ultimo raggiungeva le sue deboli ossa, ricche di calcio, e le sue ormai vecchie cellule, ricche di carbonio. Ferro, calcio e carbonio: l’unica somiglianza che ci legava nel profondo, non è incredibile come degli elementi chimici privi di memorie e pensieri possano legare due esseri così ugualmente diversi? Non posso far altro che brillare nel vuoto mentre ti guardo, vincolato in quella tua affascinante gabbia planetaria, costretto a volgerti al cielo e comunicare con me, con i tuoi simili, attraverso un lucido vetro appannato. Ma arriva per tutti il momento in cui ci si distacca dall’equilibrio, avevo percepito da qualche tempo ormai che ti stavi comprimendo ed eri pronto a collassare in un’esplosione catastrofica. Mi addolorava guardarlo negli occhi, lo aveva capito, per questo si diresse dalla parte opposta e non si voltò mai più. Udii un botto assordante che mi scalfì come se fossi collassata con un asteroide. Era esploso, la vita che lui aveva tanto amato si era contorta fino ad assorbirsi senza pietà, come un buco nero. Ma la forza di quella distorsione spazio-temporale che rimaneva di lui non era riuscita a strappare via i miei ricordi, così che la sua luce brillerà nella mia fino alla fine della mia miserevole esistenza, umile ed insignificante di una stella delle tante. Sara Flego “Siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle”, diceva Oscar Wilde e “Se stai guardando il cielo è perché credi ancora in qualcosa” affermava Bob Marley. Quante generazioni hanno appeso i propri pensieri e le proprie emozioni sulle stelle? Sembrano dei piccoli punti luminosi, corrosi dai nostri turbamenti e alimentati dalle nostre speranze. Confidiamo nelle stelle e ci confidiamo con le stelle, eppure esse rimangono lassù, apparentemente ferme, inerti. Forse proprio questo aspetto ci colpisce, il fatto che rimangono ad ascoltare in silenzio; non hanno fretta, non hanno impegni, sono libere di brillare e di mostrarsi vanitosamente per tutta la notte, per poi nascondersi timidamente per non rubare la scena al Sole. Brillano per secoli, corruttibili e mortali custodi di sogni e desideri, sono pagine di storie di vita di persone che non conoscono, così fragili ed esuberanti, che scatenano meraviglia persino quando cadono. Forse le osserviamo non solo per ammirazione o curiosità, ma anche per invidia, perché non siamo neanche in grado, spesso e volentieri, di ascoltare noi stessi così disinteressatamente, figuriamoci coloro che non conosciamo. D’altronde, come diceva qualcuno, siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi, che credono ancora in qualcosa, continuano a guardare le stelle. Marianna Corsano A 160 000 anni luce da noi, nella galassia della Grande Nube di Magellano, ci sono due giovani stelle che percorrono la loro orbita una attorno all'altra, in una specie di danza circolare che non si ferma mai. Sono così vicine da toccarsi e sembrano quasi avvinghiate in un bacio eterno. Ma eterno non è. Gli astronauti chiamano questo fenomeno stella binaria a contatto, e può andare incontro a due sorti: o i due innamorati celesti si fondono in un'unica stella gigante o si separano per sempre in una coppia di buchi neri. - 13 - Che speranze potremmo dunque avere noi esseri umani, più piccoli di granelli di polvere se paragonati all'intero universo, quando anche le stelle non durano per sempre? Ma forse è proprio per questo che da migliaia di anni noi, piccoli esserini insignificanti, alziamo gli occhi verso il cielo per tentare di svelarne i segreti. Comprendere i suoi movimenti ci fa sentire più potenti. Giochiamo a dare un nome alle stelle perché così ci appaiono più vicine, più nostre, parte di quel mondo che ci illudiamo di poter comprendere e comandare. Quanti hanno letto la storia del Piccolo Principe, il bambino che vive su un asteroide lontano e un giorno arriva sulla Terra? C'è una frase che mi piace molto: "Guarderai le stelle, la notte. È troppo piccolo da me perché ti possa mostrare dove si trova la mia stella. È meglio così. La mia stella sarà per te una delle stelle. Allora, tutte le stelle, ti piacerà guardarle... Tutte saranno tue amiche". E le stelle possono davvero essere nostre amiche... Guardare le stelle ci comunica un senso di pace, di tranquillità, per questo alziamo gli occhi al cielo quando non ne possiamo più del nostro mondo. E chissà che forse non dovremmo alzarli un po' più spesso, gli occhi. Forse ci renderemmo conto che non siamo noi il centro di tutto, che facciamo parte di un sistema molto più complesso. Siamo degli ospiti nell'universo, delle piccole gocce nell'oceano, e proprio perché non ne siamo i padroni dovremmo imparare a rispettarlo di più. Quanto è meraviglioso lo spettacolo delle stelle nel cielo? Vorremmo mai che l'inquinamento diventasse così elevato da offuscarlo? Anche tu, quando uscirai da questa scuola, e sarà già notte, fermati un attimo: alza gli occhi al cielo e lascia che il tuo sguardo si perda nell'immensità. Ammira le stelle e sentiti piccolo e insignificante, ma allo stesso tempo responsabile: pensa a quanto sia splendido questo spettacolo e a quanto sei fortunato nel poterlo ammirare. E così dovrà essere anche per gli uomini che verranno dopo di noi. "E quindi uscimmo (e riuscimmo) a riveder le stelle". Silvia De Cleva “La vedi quella stella lassù? È luminosissima.” “Ma come non la vedi? Dai, guarda… sì, sì, esatto proprio quella lì, vicino alla Luna, grande e pulsante di luce bianca. Ma non è splendida?” Quante sere abbiamo trascorso a contemplare quel manto blu invaso da lucciole disposte ogni giorno diversamente a formare meravigliose linee e forme? Quante volte ci siamo persi in quella luce, spesso così intensa da illuminarci i visi? E la Luna? Quella Luna da cui non potevo, e non posso tuttora, distogliere lo sguardo, ammaliata non appena mi riempiva gli occhi? Quant’è bella? Ma ora tu sei a 6000 chilometri di distanza. Non possiamo più guardare le stelle assieme, non posso più indicarti la costellazione che più mi piace. Eppure quel cielo scuro e luminoso è sempre lo stesso. Le stelle che vedo io sono quelle che vedi tu. La Luna che rischiara il mio giardino è la stessa che illumina la tua stanza dall’altra parte del mondo. Le continuiamo a guardare, sì, a cinque ore di distanza, ma forse sono proprio loro, le stelle candide e lucenti, il nostro unico punto di incontro. Teresa Riosa - 14 -