ISTITUTO TECNICO STATALE “G

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ISTITUTO TECNICO STATALE “G. PIOVENE”
1948 – 2008: SCUOLA E COSTITUZIONE
A cura del prof. Zanna Michele per il Dipartimento di Lettere
I PRIMI SESSANT’ANNI DELLA COSTITUZIONE
LIBRI RI- COSTITUENTI:
UN PERCORSO DI LETTURE
CITAZIONI “COLTE” PER CASO:
Nella Costituzione, come ebbe a dire Piero Calamandrei, c’è tutta la nostra storia, ci sono tutte le
nostre sciagure, tutti i nostri dolori, tutta la nostra gloria. E’ un testo equilibrato e saggio. Ne sono
ammirato.
La Costituzione è la mia Bibbia Civile. In quei 139 articoli si trova tutto quello che è necessario. La
prima parte è intoccabile, regge benissimo. Sulla seconda parte possono essere introdotti
miglioramenti (maggiori poteri al Presidente del Consiglio, superamento del bicameralismo
perfetto), ma nell´insieme la Costituzione è un edificio molto solido.
Carlo Azelio Ciampi: Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006
Ascoltando Togliatti avevo sempre una particolare vibrazione per la sua oratoria; Nenni aveva un
parlare caldo, romagnolo, trascinante. Era uno che parlava anche per la sua esperienza, uno che
aveva pagato duramente; Saragat lo ascoltavo sempre con devozione, per la sua alta cultura, che
andava oltre le sue apparenti competenze. Di Vittorio aveva un linguaggio corretto, ma con poca
ricchezza di vocaboli, ma una volta misi le braccia dietro la schiena per evitare di applaudire, tanto
era nella sua semplicità eloquente e convincente; Gronchi aveva una oratoria splendida, era come
uno splendido pizzo, ma la stoffa di De Gasperi, pur se con dei pezzi ricuciti a macchina, era
eccezionale.
Ho sempre guardato con rispetto a quelli che si sono schierati in buona fede dall´altra parte, ma
erano comunque schierati dalla parte sbagliata. La nostra Costituzione ha un "timbro enorme", e lo
confermano costituzionalisti di ogni parte: al centro c´è la persona umana, negata nella sua essenza
dalla dittatura, esaltata dalla democrazia. Prima non era il cittadino, ma lo Stato, a essere titolare di
diritti, il cittadino aveva soltanto diritti "riflessi", mentre - come ha sempre ricordato La Pira - la
persona è un prius, lo Stato un posterius.
Oscar Luigi Scalfaro: Presidente della Repubblica dal 1992 al 1999
INTRODUZIONE
Tra gli allegati di questo fascicolo è possibile ritrovare due percorsi tra loro molto diversi: da un
lato il testo della Costituzione riscritta dai ragazzi di Mario Lodi e dall’altra i testi degli esami di
Stato degli ultimi dieci anni che, nella tipologia del saggio breve o dell’articolo di giornale,
richiamano in modo diretto o meno, argomenti riguardanti la storia della democrazia e quindi delle
costituzioni. L’accostamento non è casuale: si può parlare di problematiche con forte valenza
storica, culturale, civile e politica sia ai bambini più piccoli sia ai giovani ormai nel pieno della
adolescenza. Sul finire degli anni ottanta ricordo che i docenti sensibili a queste problematiche
accolsero con viva soddisfazione e con grande ammirazione il lavoro del “maestro” Lodi: il suo
racconto di come nel suo “laboratorio linguistico” avesse riscritto con questo gruppo di bambini
nientemeno che il testo della Costituzione ci riempiva di ammirazione; noi stessi abbiamo provato a
diffondere, negli anni successivi, le problematiche tipiche della educazione civica, a riflettere e
discutere con i nostri ragazzi su quelle frasi apparentemente così austere e quei concetti così elevati,
ricorrendo ai linguaggi più diversi: la grafica e il fumetto, il cinema e il romanzo, la testimonianza e
le interviste, i testi delle commemorazioni e gli audiovisivi.
Molto di quel materiale didattico è poi caduto nel dimenticatoio: dalla vecchia “educazione civica”
si è passati ad una giovane “educazione alla cittadinanza” o alla “legalità” che talvolta sembra aver
perso il mordente della passione etica e delle convinzioni pedagogiche, avendo guadagnato qualche
parvenza di modernità in termini di linguaggio pseudo-didattico: prerequisiti, obiettivi, finalità,
competenze e via di questo passo.
La ricorrenza del “Sessantesimo anniversario della Costituzione” negli ultimi due anni sembra aver
risvegliato coscienze assopite e il mercato culturale sembra aver rimesso in moto motori quasi
spenti. Sotto questo aspetto ho tentato di rimettere in fila, utilizzando materiale non sempre
facilmente reperibile, una serie di proposte diversificate. La speranza naturalmente resta sempre la
stessa: che il testo della Costituzione italiana venga divulgato, letto, discusso, da un pubblico il più
ampio possibile e certo non fatto solo di adolescenti: nonostante i sessanta anni siamo di fronte ad
un testo poco conosciuto. La finalità è quella che i valori della Costituzione italiana tornino ad
essere i valori della società italiana, che la memoria dell’antifascismo si presenti nel suo significato
storico più autentico, spogliata dalle vesti di ogni appropriazione indebita, di ogni retorica, ma
anche di ogni tentativo di denigrazione e di revisionismo.
Nella prima parte (“Libri Ri-Costituenti”) ho selezionato una decina di libri tutti reperibili in libreria: si va
dai testi di taglio divulgativo di Valerio Onida e di Giangiulio Ambrosini alle belle testimonianze di Carlo
Arturo Jemolo e Giuseppe Dossetti, da una antologia di racconti noir a un libretto dal titolo di per sé
indicativo: i dilemmi del costituzionalismo in cinque film; dai saggi rivolti ad un ampio pubblico di lettori
(Gustavo Zagrebelsky, Luciano Violante, Ainis) ad un solo libro di storia di Francesco Bovini. Segue una
bibliografia più ampia che tenta di delineare figure di lettori diverse (“La Costituzione per i più piccoli” e
“La Costituzione per gli adulti”) oppure percorsi di letture particolari (“La Costituzione in classe” e
“Democrazia e Costituzione”).
Nella seconda parte seguono due percorsi cinematografici. Nel primo ho scelto un film per ogni anno
compreso fra il 1945 e il 1951, nel secondo titoli solo in parte più recenti legati al tema comune del rapporto
tra cinema e diritti.
La terza sezione è la più consistente: si tratta prevalentemente di documenti corrispondenti a varie tipologie
di testo. Un manifesto del 1945 di Libero Giuriolo, saggi brevi di professori universitari, articoli apparsi su
riviste e quotidiani, una commemorazione di Leopoldo Elia, una intervista radiofonica e due ponderosi testi
argomentativi di Tullio de Mauro e Gustavo Zagrebelsky.
Ognuno potrà cogliere, comprese le “citazioni”, quello che riterrà più opportuno, nella speranza che
altri vogliano aggiungere materiale diverso: giusto per vigilare su noi stessi, prima di voler
insegnare agli altri.
Valerio Onida, La Costituzione ieri e oggi, il Mulino
L'Italia ha conosciuto in sostanza una sola vera Costituzione la quale, in un momento che si presentava
particolarmente favorevole per molte ragioni forse irripetibili, ha accolto senza riserve i principi del costituzionalismo,
ma che ha visto, prima e dopo tale momento, molteplici attacchi portati contro tali principi. Il sessantesimo
anniversario della Costituzione è l'occasione per vederla in un'ottica meno immediata e meno interessata ai problemi di
breve periodo del paese. Finora essa è apparsa come espressione di un patto politico fra determinate forze, come
oggetto e strumento di garanzia o di ostacolo a determinati disegni politici, o come trattativa o moneta di scambio per
futuri patti: in ogni caso se ne è data una lettura tutta italiana, autarchica e in qualche modo contingente. La
Costituzione italiana nasce dal clima storico dell'immediato secondo dopoguerra, un periodo che fece della lotta alla
tirannia e dell'affermazione del costituzionalismo un patrimonio universale e di tale universalismo partecipa. E sebbene
corrisponda a verità che in essa si sono incontrate le tre ideologie liberale, cattolico-democratica e marxista, l'esito non
fu provinciale e si colloca in un contesto che va al di là dell'esperienza del nostro paese.
Francesco Bovini, Storia costituzionale della Repubblica. Un profilo dal 1946 ad oggi, Carocci
Di fronte alla fibrillante attualità politica, la storia costituzionale offre una prospettiva per la comprensione e la
ricostruzione sintetica, in quanto invita ad andare alla radice dei meccanismi di regolazione e governabilità delle
democrazie. Nell'arco di un sessantennio - dal referendum che sceglie la Repubblica e dall'elezione dell'Assemblea
costituente, fino al referendum costituzionale del 2006 - si sviluppano tre stagioni di politiche costituzionali:
l'elaborazione, l'attuazione, le riforme della Costituzione italiana. Non si tratta di un percorso in linea retta. In questi
decenni il processo di sviluppo del Paese e della democrazia si è accompagnato ad una grande flessibilità e complessità
delle risposte istituzionali e di governo e ad elementi strutturali di disfunzione. Il sistema italiano si è modificato più
volte e si trova oggi a misurarsi con processi di trasformazione dello Stato che trascendono il quadro nazionale,
intrecciandosi in particolare con la faticosa ricerca di una originale "costituzione" europea.
Giangiulio Ambrosini, La Costituzione spiegata a mia figlia, Einaudi
Una lettura che aiuta a comprendere la Costituzione e il modo in cui le sue norme influiscono sulla vita quotidiana, dal
principio dell'uguaglianza al diritto del lavoro, alla libertà sindacale. Utilizzando la forma del dialogo fra padre e figlia,
Ambrosini getta le prime basi di una partecipazione costruttiva alla vita civile. Da un lato, considera l'esperienza
storica nei suoi vari sviluppi - dallo Statuto albertino al 1948 - dall'altro valuta l'attualità critica, attraverso la disamina
dei principi che hanno ispirato il dettato costituzionale e che fondano lo Stato di diritto.
Gustavo Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi
Un saggio di Gustavo Zagrebelsky - una riflessione - che poggia su convinzioni maturate in lunghi anni di dedizione
all'argomento, in cui vengono descritti significati e storia di un modello politico che aspira all'uguaglianza, al dialogo e
all'esercizio dei diritti di ciascuno e di tutti. Completa il volume una scelta di testi sul concetto di democrazia,
significativi seppur non tutti canonici, di autori d'ogni tempo: Erodoto, Aristofane, Cicerone, Montesquieu, Tocqueville,
Brecht, Orwell, Arendt, Bobbio e Carillo.
Carlo Arturo Jemolo, Che cos’è la Costituzione, Donzelli
Nei primi mesi del 1946 si preparano in Italia le elezioni per l'Assemblea Costituente. In un clima di grande fervore
politico e tensione ideale, un apposito ministero - il ministero per la Costituente - elabora serie statistiche,
commissiona ricerche, pubblica studi destinati a facilitare il lavoro della futura assemblea. Ma c'è un prolema più
generale da porre prima di tutti gli altri. Promuovere la Costituente, spiegarne il senso e la portata al popolo che dovrà
eleggerla, chiarire le grandi questioni, le scelte e i bivi che essa dovrà affrontare: la questione delle autonomie, i poteri
dell'esecutivo, le forme del controllo parlamentare, le prerogative del capo dello stato, l'autogoverno della
magistratura, il controllo costituzionale e la stessa riformabilità della Costituzione. Un grande giurista, interprete
sensibile e preciso delle ragioni della Costituzione, viene chiamato a redigere un opuscolo in cui tutto ciò sia detto con
sensibilità e misura, con chiarezza e rigore. Questa edizione è arricchita dal testo di una conferenza che Jemolo tenne
nel 1965 all'Accademia dei Lincei nel quale allo slancio utopistico del dopoguerra si sostituisce una lucida analisi del
linguaggio della Carta fondamentale: alcune scelte apparentemente solo stilistiche rivelano ambiguità che riguardano
la stessa genesi della Costituizione. Emerge così come i nodi di oggi siano assai prossimi, per non dire identici, a quelli
di allora.
Autori Vari, La legge dei figli: antologia noir per i sessant’anni della Costituzione,
Meridiano zero
Con questa antologia, i più famosi scrittori della giustizia italiana magistrati e agenti delle forze dell'ordine - mettono
alla prova la Costituzione italiana, a sessant'anni dalla sua nascita: prendendo spunto dai suoi singoli articoli,
raccontano un paese in cui nulla è scontato, nemmeno l'applicazione dei principi stessi che sono alla sua base. Un
viaggio a tinte noir per scoprire un'Italia in cui le ombre non si annidano solo fra il malcostume e la criminalità, ma
soprattutto nell'oblio della Costituzione stessa. Un percorso tra le storture del sistema e l'assenza di democrazia,
laddove, secondo gli autori, vengono continuamente sovvertiti gli articoli previsti dal nostro massimo statuto: le libertà
personali sono violate (art. 13), la stampa è censurata (art 21), i cittadini non hanno pari dignità né uguaglianza di
fronte alla legge (art. 3), il lavoro non è più un fondamento della Repubblica (art. 1) ma motivo di discriminazione.
Omicidi efferati, misteriosi ritrovamenti di cadaveri, ricatti, corruzione e indagini deviate all'ombra del vessillo del
Belpaese.
Giovanni Rizzoni, La democrazia al cinema. I dilemmi del costituzionalismo in cinque film,
Meltemi
Gli antichi greci erano soliti affrontare questioni difficili come la violenza, la verità, i valori morali attraverso la
tragedia. Oggi è il cinema a rispondere in gran parte al bisogno di rielaborare sul piano dell'immaginario collettivo le
istanze fondamentali che stanno alla base della convivenza civile. Per questo il cinema non solo oggi è la più politica
delle arti, ma anche quella che più si presta alla trattazione di temi costituzionali. È da questa prospettiva che il libro
affronta alcuni classici, recenti e meno recenti, del cinema contemporaneo. Il percorso si articola in tre momenti,
ciascuno incentrato su alcuni grandi temi del diritto costituzionale: nel primo si discutono le vicende della nascita dello
Stato e della sovranità; nel secondo il problema etico e filosofico della verità; il terzo è infine dedicato alla questione
dei difficili rapporti fra principio democratico e principio rappresentativo.
Roberto Bin, Capire la Costituzione, Laterza
Una guida rigorosa e chiara per viaggiare nella Costituzione italiana: i principi giuridici, le istituzioni e i valori
fondamento della nostra Repubblica e, attraverso il racconto di casi famosi, il loro concreto modo di funzionare. Ne
emerge il ritratto della forza della Costituzione insieme alle sue insufficienze reali e presunte. Sarà possibile anche
capire le aspirazioni e le difficoltà del dibattito politico-istituzionale di questi anni e il significato delle riforme più
recenti. Roberto Bin insegna Diritto costituzionale presso l'Università di Ferrara.
Valerio Onida, La Costituzione, il Mulino
Una Costituzione non è una legge qualsiasi, ma è la carta dei valori di fondo, dei diritti di tutti e delle regole per tutti.
Questo volume ripercorre una pagina fondamentale della storia italiana, dallo Statuto albertino sino all'approvazione
della Carta nel 1947, e mostra le fasi della nascita, dell'attuazione e delle modificazioni della "legge fondamentale della
Repubblica". Ne chiarisce l'architettura, i concetti chiave, il linguaggio e lo spirito, ne spiega i contenuti, dai diritti civili,
politici e sociali all'organizzazione dei poteri dello Stato, fino alla giustizia e ai rapporti internazionali e con l'Europa,
facendo emergere il senso e l'attualità dei principi che sono alla base della convivenza civile. Uscito per la prima volta
nel 2004, il volume viene presentato ora in una nuova edizione che - oltre a dar conto delle modifiche della legge
elettorale e delle vicende costituzionali culminate nel referendum del 2006 - comprende il testo integrale della
Costituzione.
Michele Ainis, Vita e morte di una costituzione. Una storia italiana, Laterza
A leggerlo ora, dopo l'esito (felice) del referendum sulla maldestra e devastante modifica predisposta dalla destra ai
danni della costituzione, il pamphlet di Ainis è consolante: "L'abbiamo scampata bella", dirà il lettore che voglia farsi
un'idea dell'entità del pericolo schivato. Ma Ainis, costituzionalista che ama parlar chiaro e fuori dai denti, non si limita
al tentativo più recente e rovinoso di revisione. Accompagna il cammino della carta fin dai dibattiti in costituente e
passa in rassegna puntualmente anche le operazioni avviate nel 1983, nel 1992 e nel 1997. Le sue conclusioni
suonano volutamente conservatrici: "La rivoluzione più dirompente sarebbe applicare la Costituzione, quella
Costituzione che è stata tradita mentre era ancora in fasce". Si tratta di una conclusione perentoria. Le esigenze di
aggiornamento, se non di organica riforma, non nascono dal nulla: meglio farci i conti che schernirle in blocco. Non
mancano pezzi di sicura efficacia. I nuovi meccanismi elettorali di segno maggioritario hanno originato guasti enormi:
"Da un lato (al centro) ci attende un direttorio di segretari di partito senza popolo; dall'altro (in periferia) un direttorio
di presidenti di Regione senza partito. Insomma, un doppio notabilato". In realtà il notabilato è l'unico fenomeno
davvero plurale, e i sindaci hanno conquistato una posizione ben più eminente dei presidenti di regione. In parte ciò si
deve a una reazione non ben calibrata al ruolo debordante dei partiti, già stigmatizzato da Mortati nel 1952. E allora
che fare? Nessuno pretende da un piccolo libro ricette definite. Ainis ha voluto ridicolizzare velleità approssimative.
Quanto al da farsi, se non maturano convinzioni serie e condizioni accettabili di convergenza sarà inevitabile tenersi la
costituzione com'è: con i tradimenti che anche le fedeltà più appassionate tollerano, o consigliano.
Luciano Violante, Lettera ai giovani sulla Costituzione, Piemme
A che serve una Costituzione? Perché la Costituzione non è una legge come tutte le altre? Su quali fondamenti sono
state scritte le carte costituzionali moderne? Per quali ragioni la Costituzione Italiana ha avuto un cammino difficile di
attuazione? Perché riformare una Costituzione? La lettera non fornisce risposte assolute, ma propone un rigoroso
percorso di ricerca a partire da una constatazione: l'attuale fragilità italiana nasce dallo smarrimento della
Costituzione. E proprio dalla consapevolezza di questo smarrimento può partire l'impegno di cui devono farsi
protagonisti i giovani per riappropriarsi di un patrimonio dimenticato di principi che danno significato e valore al vivere
comune.
Giuseppe Dossetti, Costituzione e Resistenza, Sapere 2000 editrice
Quella di Dossetti è una difesa attiva della Costituzione; tende non ad imbalsamarla, auspicandone anzi la riforma in
alcuni istituti, bensì a conservarla nei principi fondamentali: quelli stessi per cui il giovane Dossetti si batté nella
Resistenza e per la Costituente. Questa raccolta di interventi evidenzia il rapporto tra Resistenza e Costituzione, mai
venuto meno in Dossetti. E vuole offrire il pensiero di un "padre della Repubblica", di cui non si è ancora dato conto in
maniera corrispondente alla straordinaria importanza.
La Costituzione per i più piccoli:
Paola Bignardi e Valeria Caricaterra, Cittadini…per Costituzione. La Costituzione italiana si
presenta ai ragazzi, La Scuola
Lia Levi e Simone Tanucci, Giovanna e i suoi re, Orecchio Acerbo
Daniela Longo e Rachele Lo Piano, Lorenzo e la Costituzione, Sinnos
Emanuele Luzzatti e Roberto Piumini, Il grande libro della Costituzione italiana, Sonda
Anna Sarfatti, La Costituzione raccontata ai bambini, Mondadori
Fausto Vitaliano, La Repubblica a piccoli passi, Motta Junior
La Costituzione per gli adulti:
Carlo Bortolani, Guida alla Costituzione articolo per articolo, Zanichelli
A cura di Enzo Santarelli, Dalla monarchia alla Repubblica. La nascita della Costituzione italiana,
Editori Riuniti
Gianni Ferrara, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, Feltrinelli
Francesco Bovini, Storia costituzionale della Repubblica, Carocci
Michele Ainis, Dizionario costituzionale, Laterza
Livio Paladin, Saggi di storia costituzionale, Mulino
La Costituzione in classe
AaVv, Educazione civica. Guida ragionata alla Costituzione Repubblicana. I principi e le regole
della democrazia, Edizioni giuridiche Simone
A cura di Giuseppe Losappio, La Costituzione in classe, Palomar di Alternative
Saulle Panizza, Ragazzi, che Costituzione! Elementi di Educazione costituzionale, PLUS editrice
Democrazia e Costituzione
Luciano Canfora, La democrazia. Storia di una ideologia, Laterza
Robert A. Dahl, Sulla democrazia, Laterza
Noberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi
Carlo Azelio Ciampi, Dizionario della democrazia, San Paolo
ISTITUTO TECNICO STATALE “G. PIOVENE”
1948 – 2008: SCUOLA E COSTITUZIONE
A cura del prof. Zanna Michele per il Dipartimento di Lettere
I PRIMI SESSANT’ANNI DELLA COSTITUZIONE
PERCORSO CINEMATOGRAFICO
CITAZIONI “COLTE” PER CASO:
Chi parla di voti inutili è totalitario e in malafede, i voti inutili possono essere utili se servono ad
eleggere qualcuno e questo qualcuno di cui sopra sono io. Io, concittadini di Roccasecca, io umile
servo di questa nobile Rocca, Secca, per modo di dire, Antonio La Trippa. Vota Antonio La Trippa,
votàntonio, votàntonio, votàntonio …
Gli onorevoli, Comizio del candidato Totò
I confini sono tracciati sulle carte, ma sulla terra non ci sono confini.
Il cammino della speranza, Voce fuori campo di Pietro Germi
Qui si tollerano troppe cose: questa è una Casbah di tolleranza e, coi tempi che corrono, c’è pericolo
che la chiudano.
Totò le Mokò, Totò
Comunque ragazzi ricordatevi…che qualunque cosa vi succederà nella vita, per essere uomini vi
occorrono le due cose che Kant fece incidere sulla sua tomba: “Il cielo stellato sopra di me e la
legge morale dentro di me”.
Il portaborse, Silvio Orlando ai suoi studenti
Siccome sono democratico, comando io.
La cambiale, Totò
L’ITALIA DEL DOPOGUERRA
LA VITA RICOMINCIA
Mario Mattioli, Italia, 1945
Dopo la prigionia un medico ritorna a casa. La moglie, che per salvare il figlio è stata costretta a
prostituirsi, uccide il suo aguzzino. Il marito si addossa la colpa dell’omicidio.
SCIUSCIA’
Vittorio De Sica, Italia, 1946
Per comprare un cavallo bianco due piccoli lustrascarpe romani si trovano coinvolti a loro insaputa
in un furto e finiscono al riformatorio. L’esperienza del carcere e la fuga saranno molto drammatici.
L’ONOREVOLE ANGELINA
Luigi Zampa, Italia, 1947
Angelina, moglie di un vicebrigadiere, si schiera con la povera gente e combatte gli speculatori
della borsa nera. Tenta di entrare in politica, ma viene manipolata e ingannata. Decide così di
ritornare a fare la casalinga.
LADRI DI BICICLETTA
Vittorio De Sica, Italia, 1948
In una Roma ancora in ginocchio per le ferite della guerra un padre di famiglia disoccupato trova
finalmente un impiego da attacchino. Mentre sta affiggendo un manifesto gli rubano
l’indispensabile bicicletta. La cerca per tutta la città insieme al figlioletto: non trovandola ne ruba
lui stesso un’altra.
IN NOME DELLA LEGGE
Pietro Germi, Italia, 1949
Inviato in un paesino siciliano, un giovane pretore si scontra con l’omertà della popolazione. Solo
l’omicidio del suo migliore amico lo induce a restare e a continuare la lotta per ristabilire l’ordine e
la giustizia.
IL CAMMINO DELLA SPERANZA
Pietro Germi, Italia, 1950
La mancanza di lavoro costringe un gruppo di minatori siciliani ad emigrare in Francia. Il viaggio si
trasforma in una lunga e dolorosa odissea. Alcuni di loro però convincono i finanzieri a farli
passare.
MIRACOLO A MILANO
Vittorio De Sica, Italia, 1951
Nella periferia milanese un gruppo di barboni viene sfrattato dalla polizia, perché si scopre che
nell’area da loro occupata c’è il petrolio. Ma alla fine sulle scope volanti degli spazzini di piazza
Duomo i poveracci volano verso un mondo più giusto.
CINEMA E DIRITTI
LE MANI SULLA CITTA’
Francesco Rosi, Italia, 1962
Un consigliere comunale napoletano è costretto a ritirarsi dalla vita pubblica a causa del crollo di
una palazzina da lui costruita. Riesce a ritornare in politica cambiando partito. Ricomincerà anche
ad avviare nuovi progetti di speculazione edilizia.
DETENUTO IN ATTESA DI GIUDIZIO
Nanny Loy, Italia, 1972
Il geometra Di Noi torna in Italia dalla Svezia. Finisce in carcere per errore e dovrà subire
interrogatori e lungaggini burocratiche prima di essere rilasciato.
IL LADRO DI BAMBINI
Gianni Amelio, Italia, 1992
Da Milano un giovane carabiniere deve accompagnare in un orfanotrofio di Civitavecchia due
fratellini: Rosetta e Luciano. L’istituto però, con la scusa di un certificato mancante, si rifiuta di
accogliere i due bambini che sono costretti a ripartire per un’altra destinazione.
L’ARTICOLO 2
Maurizio Zaccaro, Italia, 1993
Said, un immigrato algerino, vive stabilmente in Italia con la famiglia e un regolare permesso di
soggiorno. I problemi cominciano quando la seconda moglie arriva in Italia, perché la legge italiana
non riconosce la bigamia maschile islamica e nega alla donna il permesso definitivo di soggiorno.
MI PIACE LAVORARE – MOBBING
Francesca Comencini, Italia, 2003
Anna, madre single, dopo l’insediamento di una nuova gestione aziendale, comincia ad essere
maltrattata e poi vessata dai datori e dai colleghi di lavoro.
LA GIUSTA DISTANZA
Carlo Mazzacurati, Italia, 2007
In un piccolo paesino di provincia l’emigrato tunisino Hassan sembra integrato nella comunità
locale, ma basta che abbandoni la sua prudenza, innamorandosi di Mara, perché la sua anomalia
torni a farsi evidente. Un omicidio di cui si occupa un giovane giornalista alle prime armi
sconvolgerà la vita dei protagonisti.
LA FABBRICA DEI TEDESCHI
Mimmo Calopresti, Italia, 2008
Il 6 dicembre del 2007 a Torino muoiono sette operai in fabbrica: il film-documentario è dedicato
alla loro memoria. Questa la testimonianza di un compagno di lavoro: “Cinque ore prima dell’incendio
c’ero io alla linea 5, se sono vivo devo trovare una ragione. Ho una rabbia dentro specialmente contro chi
dice: ma perchè non protestavate contro le condizioni di lavoro? E io rispondo che eravamo dei poveracci
che dovevano portare a casa lo stipendio, ognuno ha i suoi conti da pagare a fine mese. E poi quale lavoro
avrei dovuto cercare con la mia terza media…Hanno tolto la dignità del lavoro alla classe operaia”.
ISTITUTO TECNICO STATALE “G. PIOVENE”
1948 – 2008: SCUOLA E COSTITUZIONE
A cura del prof. Zanna Michele per il Dipartimento di Lettere
I PRIMI SESSANT’ANNI DELLA COSTITUZIONE
PERCORSO SUI DOCUMENTI:
SAGGI BREVI E LUNGHI,
ARTICOLI DI GIORNALE,
COMMEMORAZIONI,
INTERVISTE.
CITAZIONI “COLTE” PER CASO:
Art. 1
L’Italia è una Repubblica democratica: il popolo sceglie chi deve fare le leggi e governare.
E’ fondata sul lavoro: tutti hanno il diritto dovere di lavorare.
Art. 3
Tutti i cittadini, compresi i bambini, devono essere rispettati. La legge li deve trattare allo stesso
modo, non importa se parlano lingue diverse, credono in Dio o no, sono ricchi o poveri, maschi o
femmine, di razza bianca o nera o gialla o di altro colore, di idee politiche diverse.
I cittadini che non possono essere liberi o che non possono vivere come gli altri perché sono poveri
o vivono in condizioni difficili, devono essere aiutati. La Repubblica deve eliminare le cause della
loro inferiorità in modo che possano partecipare alla vita sociale come gli altri.
Art. 4
Tutti hanno il diritto di lavorare. La Repubblica deve fare in modo che ci sia lavoro per tutti. Ogni
cittadino ha il diritto di scegliere il lavoro che riesce a fare meglio e che gli piace di più, in modo da
dare un contributo al progresso della società.
Art. 11
L’Italia non può iniziare una guerra, come offesa contro altri popoli. I contrasti con altri governi
devono essere risolti con metodi pacifici: incontri, discussioni, accordi, trattati. L’Italia deve sempre
fare di tutto perché sia assicurata la pace e la giustizia fra le nazioni.
Art. 34
La scuola è aperta a tutti, nessuno può essere rifiutato. L’istruzione inferiore è di almeno 8 anni.
Essa è obbligatoria per tutti i bambini e gratuita. Gli alunni più bravi, anche se se figli di famiglie
povere, hanno il diritto di continuare gli studi fino ai gradi più alti. La Repubblica li deve aiutare
con borse di studio , assegni alle famiglie e altri interventi che sono attribuiti per concorso.
A cura di Mario Lodi e dei suoi ragazzi; Costituzione e ragazzi, Marietti-Manzuoli editore, 1988
TIPOLOGIA DI TESTO: MANIFESTO
MANIFESTO DEL COMMISSARIO DELLA PROVINCIA DI VICENZA:
AVV. LIBERO GIURIOLO. 2 MAGGIO 1945
Prefettura di Vicenza
Cittadini della Provincia di Vicenza
Chiamato dal COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE di questa Città ad assumere la carica
di COMMISSARIO DELLA PROVINCIA, sento mio dovere come primo atto del mio Ufficio di
mandare il mio più cordiale e riconoscente saluto alle vostre armate alleate che finalmente sono
giunte in questa nostra città affinché anche noi, dopo oltre vent’anni di servitù potessimo
riacquistare la vera dignità morale nella libertà e nella democrazia.
Mando pure con animo commosso il mio fraterno saluto alle eroiche schiere dei volontari della
libertà di questa nostra provincia, che al pari di quelle dei tutte le provincie dell’Alta Italia ed
emulando e forse sorpassando le gesta dei loro predecessori del Risorgimento, fra sacrifici, martiri e
delusioni durate lunghi mesi, hanno finalmente avuto il loro grande momento rivendicando all’Italia
quella dignità e quel prestigio che le deve certamente essere restituito fra le grandi nazioni.
Mando infine con animo velato di tristizia il mio saluto ai Caduti per la causa della libertà, a tutti i
loro familiari perseguitati, a tutti quelli che ebbero a soffrire lunghi anni o lunghi mesi di carcere, di
deportazione, di torture crudelmente inflitte dalla matta bestialitade degli aguzzini nazi-fascisti; il
ricordo del loro sacrificio e delle loro sofferenze deve rendere noi consci del dovere che il momento
ci impone.
I problemi che questa insana guerra, dichiarata dal defunto regime con incosciente leggerezza e per
sola bramosia di conquista, ci lascia, sono immani: si tratta di riconquistare le nostre città, la nostra
economia, le nostre istituzioni necessarie al vivere civile; e problema ancor più arduo, si tratta di
restituire alla coscienza e dignità di uomini liberi tutti quelli che la ingannevole e menzognera
propaganda nazi-fascista ha moralmente traviato.
Alla risoluzione di tutti questi compiti dobbiamo dedicarci con tutte le nostre forze e possibilità, sia
da chi copre posti di responsabilità come da parte dei più umili: la meta è lontana, ma non
irraggiungibile.
Chiedo pertanto a tutti i cittadini di uniformarsi con buon volere e con pronta sollecitudine alle
disposizioni che verranno via via impartite dalle autorità sia civili che militari.
Chiedo pure il massimo rispetto dell’ordine e della discipline e la immediata ripresa del lavoro.
Raccomando la più completa e fattiva collaborazione con le Autorità militari alleate che già hanno
promesso, e altrove mantenuto, di darci ogni aiuto in loro potere per la ripresa di una dignitosa vita
sociale ed economica.
Ma la grandiosità di questo momento non deve farci dimenticare o porre in seconda linea un nostro
imprescindibile dovere: il dovere di fare giustizia di tutti quelli che sono stati i veri nemici del
popolo. Assicuro quindi nella forma più solenne che giustizia sarà fatta nei confronti di tutti i
traditori, i profittatori, i collaborazionisti, i propagandisti del defunto regime sotto qualsiasi forma si
siano presentati o tentino comunque di presentarsi in avvenire.
Cittadini della Provincia di Vicenza
La nuova, la vera rivoluzione popolare è già in atto: essa dovrà essere continuata nella coscienza e
nelle opere quotidianamente fino alla effettiva attuazione di una vera libertà morale e giustizia
sociale in un mondo democraticamente rinnovato.
Viva l’Italia libera!
TIPOLOGIA DI TESTO: SAGGIO BREVE
MATERIALE TRATTO DAL SITO: http://www.treccani.it/portale/
La Costituente, la Costituzione e i diritti, di Stefano Anastasia*
Quella approvata nel 1947 dall'Assemblea costituente insediatasi l'anno precedente, la Costituzione
repubblicana, è il primo e unico documento costituzionale dell'Italia unita. Se intendiamo la
Costituzione non solo come fatto, come documento giuridico, come fonte delle fonti, ma anche
come atto rappresentativo di una comunità politica e istitutivo di un ordine inclusivo, a base
tendenzialmente universalistica, certo non può dirsi tale lo Statuto albertino che il Regno di
Sardegna portò in dote all'Italia unita e che rimase formalmente in vigore fino alla caduta del
regime fascista. Apparteneva, lo Statuto, alla generazione delle costituzioni octreyees della
restaurazione ottocentesca, non certo alle costituzioni democratiche del settecento francese o
americano.
Nella Costituzione d'oltreoceano prende la parola in prima persona il popolo delle colonie che si fa
sovrano («we, the people …» è il memorabile incipit della Costituzione di Filadelfia), mentre le
costituzioni francesi si fanno accompagnare dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino
che fissa nel suo articolo 16 il legame indissolubile tra ordine politico e diritti dei cittadini. Nulla di
tutto questo nello Statuto albertino: in Italia si dovrà attendere la Costituzione repubblicana perché
sia affermato il principio della sovranità popolare e sia scritto un catalogo dei diritti a base
universalistica. Lo si farà nella temperie successiva alla Liberazione e dentro la nuova storia del
costituzionalismo contemporaneo, il costituzionalismo dello stato sociale di diritto e dello stato
costituzionale di diritto: il costituzionalismo nel quale i diritti sociali (al lavoro, alla salute,
all'istruzione) si affiancano ai tradizionali diritti civili e politici; il costituzionalismo delle
costituzioni rigide e del giudizio di legittimità delle leggi, dei vincoli al potere della maggioranza.
In questa storia di costituzionalismo contemporaneo si iscrive la vicenda costituente italiana
raccontata da Paolo Soddu e a cui è dedicata una importante mostra promossa dalla Fondazione
Montecitorio (di cui, in questo dossier, scrive Giulia Pezzella). Da questa storia trae origine il
valore del testo costituzionale a cui è dedicato il contributo di Massimo Luciani. Con questa storia
hanno dovuto misurarsi i ripetuti tentativi di riforma degli ultimi venti anni, a cui fa riferimento
Claudio De Fiores nell'esame delle procedure di revisione costituzionale. Il fatto che la gran parte di
essi si siano risolti in nulla ci dice forse, tacitamente, della forza dell'opera costituente del 1946-47 e
del valore di una Costituzione che impara a durare nel tempo.
Dei molti motivi di interesse della Costituente e del suo prodotto proponiamo di approfondirne due,
radicalmente innovatori nella storia istituzionale italiana: il diritto di voto e di essere elette delle
donne, esercitato per la prima volta in occasione delle elezioni per la formazione dell'Assemblea
costituente; e l'ingresso della scuola nel testo costituzionale.
L'elettorato attivo e passivo riconosciuto alle donne nell'Assemblea costituente innanzitutto segna il
compimento di una lunga storia di affermazione del principio democratico che, appunto, trova il suo
coronamento quando, superate le barriere censitarie in nome dell'universalità dei diritti, scopre e
rimuove la più tenace delle preclusioni, quella che teneva la metà del genere umano (e della
popolazione italiana) fuori dalla comunità politica. Per altro verso, quella radicale innovazione
schiude le porte al riconoscimento della differenza, porta in evidenza i diversi modi di vivere nella
comunità politica da parte di uomini e donne: una rivoluzione i cui effetti e le cui conseguenze sono
ancora lontani dall'essere compiutamente dispiegati e sufficientemente compresi finanche (se non
soprattutto) dalla grande parte degli addetti ai lavori. Dell'uno e dell'altro aspetto ci parlano ancora
Giulia Pezzella, attraverso la storia di alcune delle costituenti e del loro contributo alla redazione
della Carta del 1947, e Cecilia D'Elia, in una ricostruzione del rapporto tra donne e politica
nell’Italia repubblicana e dei suoi effetti sui cambiamenti sociali e legislativi del paese, a partire
dalla partecipazione femminile alla guerra di liberazione fino ai nodi irrisolti della politica
istituzionale attuale.
Infine, il caso della scuola, esaminato puntualmente da Sergio Lariccia e da Maria Rosaria Ricci,
merita eguale attenzione, non solo per la rilevanza che hanno i principi fissati in Costituzione e le
norme riguardanti l'organizzazione del sistema scolastico e il diritto alla studio nella determinazione
delle contingenti politiche scolastiche, ma anche per la testimonianza che negli articoli 33 e 34 c'è
del nuovo modo di intendere le Costituzioni nel costituzionalismo contemporaneo. La scuola entra
nella Costituzione italiana perché essa si apre ai nuovi diritti dello stato sociale. È un caso di specie
di un fenomeno generale: la tendenza inclusiva del nuovo costituzionalismo deve fare i conti con i
bisogni (e quindi con i diritti) della universalità dei cittadini, bisogni e diritti che non possono più
essere riassunti nella libertà dalle costrizioni, come fu per i primi due secoli del costituzionalismo
moderno, ma che si aprono a tutto ciò che è possibile enucleare da quel capolavoro dell'articolo 3
capoverso della nostra Costituzione, secondo cui «è compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». È così che la Costituzione si apre alla
scuola come luogo e momento essenziale per la formazione di una società solidale di liberi ed
eguali. Un impegno non da poco, che da solo dà conto del valore dell'opera dei costituenti e
testimonia la incessante attualità della nostra Carta costituzionale.
*Direttore del Centro di studi e iniziative per la riforma dello Stato, svolge attività didattica e di
ricerca presso le Università di Perugia e di Roma Tre.
L'impianto della Costituzione italiana, di Massimo Luciani*
La caratteristica più evidente della Costituzione repubblicana è la sua natura compromissoria. Negli
ultimi anni, il termine 'compromesso' si è caricato di una valenza fortemente negativa, ma per
quanto riguarda le costituzioni il fatto di uscire da un compromesso costituisce di regola la loro
forza, non la loro debolezza. Solo se le varie forze politiche e civili si concedono vicendevolmente
qualcosa statu nascenti, comprendendo ciascuna le ragioni delle altre, le regole fondamentali
dell’ordinamento possono, poi, essere largamente condivise e legittimate da un robusto consenso.
Il compromesso fra tre distinte culture politiche
Nel caso della nostra Costituzione il compromesso fu stretto principalmente fra tre distinte culture
politiche e costituzionali: la liberale (erede della tradizione statutaria); la cattolica (segnata
soprattutto dalle acquisizioni della dottrina sociale della Chiesa cattolica); la social-comunista
(legata ai valori affermatisi con le lotte del movimento operaio). Fra queste tre culture vi erano
numerosissimi punti di dissenso, ma almeno su due questioni sussisteva una sostanziale unità di
posizioni.
La prima era l'antifascismo: liberali, cattolici e social-comunisti erano stati – in forme e con
modalità diverse – protagonisti della resistenza e della lotta di liberazione e avevano un obiettivo
costituzionale comune: fondare un ordinamento radicalmente diverso da quello fascista, stabilendo
valori agli antipodi di quelli che avevano portato l'Italia alla catastrofe. Certo, alcuni avrebbero
voluto una sorta di 'ritorno allo Statuto', un recupero delle regole e dei valori costituzionali della
monarchia pre-fascista, mentre altri (i più) puntavano alla costruzione di un ordinamento e di una
società del tutto nuovi, non solo opposti al fascismo, ma capaci anche di fondare equilibri ben più
avanzati di quelli realizzatisi fino al 1922. Nonostante la diversità di opinioni sugli obiettivi finali,
tuttavia, la comune matrice antifascista restava salda e indiscussa.
Un secondo punto comune stava nell'idea della centralità della persona umana. Anche qui le
concezioni della 'persona' non coincidevano: all'individualismo liberale si opponevano il
comunitarismo cattolico e l'umanesimo (specificamente) marxiano. Anche qui, però, vi era accordo
sul fatto che con la Costituzione sarebbe nato un ordinamento che non avrebbe più conosciuto la
subordinazione del singolo e dei gruppi alle esigenze di potenza dello Stato.
Qualità tecnica e accorto equilibrio dei valori
Il risultato del compromesso fra queste diverse culture è di altissima qualità. Lo è sul piano tecnico,
perché la Costituzione, pur esibendo alcune incertezze e alcune soluzioni poco felici, fu nel
complesso capace di risolvere brillantemente i gravi problemi istituzionali che si ponevano alla
neonata democrazia italiana. E lo è sul piano politico e sociale, perché la Costituzione ha disegnato
una tavola di valori complessa e articolata, che per lunghi anni non è stata messa in discussione da
alcuna delle principali forze del paese.
Proprio la qualità tecnica e l'accorto equilibrio dei valori ha consentito alla nostra Costituzione di
sperimentare, tutto sommato, poche modificazioni nel corso del tempo. La più ambiziosa è stata
senz'altro la riforma del Titolo V della Parte II (relativo ai rapporti fra lo Stato e le autonomie),
introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 (una legge, va detto chiaramente, che aveva anche
buone intenzioni, ma che non ha saputo realizzarle in modo efficace e tecnicamente soddisfacente).
Solo negli ultimi anni alcune forze politiche di non secondaria importanza hanno cominciato a
mettere in discussione l'impianto istituzionale disegnato dalla Carta (in alcuni casi la critica ha
investito anche alcuni dei valori costituzionali fondamentali). Questo atteggiamento critico ha
trovato la più concreta traduzione nell'approvazione di una legge di profonda riforma dell'intera
Seconda Parte della Costituzione, che ha completamente cancellato e sostituito l'originario disegno
dei Costituenti (indebolendo il Presidente della Repubblica; rafforzando nettamente il Presidente del
Consiglio; cambiando i rapporti tra Camera e Senato e rendendo molto più complesso e farraginoso
il procedimento legislativo). La riforma, tuttavia, non è entrata in vigore, in quanto è stato richiesto
su di essa un referendum: sarà dunque il popolo italiano a decidere.
Garantire i diritti sociali di tutti i cittadini
Se, ora, ci chiediamo come l'ispirazione di fondo della Costituzione si sia tradotta in concrete norme
giuridiche, possiamo indicare almeno i seguenti punti fondamentali.
Anzitutto, la Costituzione non commette l'errore di disegnare un modello di 'ideale' società futura,
ma (ferme restando la preclusione per il fascismo e la scelta definitiva per la forma repubblicana
dello Stato) lascia liberi i cittadini italiani di perseguire gli obiettivi ritenuti più opportuni. Nelle
norme costituzionali, tuttavia, si trovano indicati sia la direzione generale nella quale ci si deve
incamminare, sia il metodo da utilizzare. È in particolare il secondo comma dell'art. 3 ("È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese") che,
in questa prospettiva, si segnala come la previsione più significativa: la Costituzione sa bene che
l'eguaglianza formale conta poco se non ci si adopera per ridurre o cancellare le diseguaglianze di
fatto, sicché impone a tutta la Repubblica di agire in questo senso.
La scelta di fondo operata dall'art. 3 si riflette nelle numerose norme costituzionali che garantiscono
ai cittadini (e anche agli stranieri residenti nel nostro territorio) significativi diritti sociali,
dall'istruzione alla salute, dal lavoro alla tutela previdenziale. Per il soddisfacimento di questi diritti
la Costituzione impone a tutti "l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale" (art. 2).
I diritti di libertà e le differenze con lo Statuto albertino
Il ricco catalogo dei diritti sociali differenzia notevolmente la Costituzione dallo Statuto albertino,
ma profonde diversità tra le due Carte si avvertono anche sul terreno dei diritti di libertà, visto che
le garanzie costituzionali sono molto più consistenti di quelle statutarie. Basta pensare al fatto che le
riunioni in luogo pubblico erano, nello Statuto, "intieramente" assoggettate "alle leggi di polizia",
mentre l'art. 17 Cost. consente all'autorità di pubblica sicurezza soltanto di vietarle o di scioglierle
per "comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica". Oppure alla libertà di associazione,
fortemente tutelata dall'art. 18 Cost. e priva di un esplicito riconoscimento da parte dello Statuto.
Anche sul piano dei diritti economici le novità contenute nella Costituzione sono evidenti, come
dimostra il fatto che l'iniziativa economica è garantita in modo più efficace della proprietà e che la
proprietà stessa ha perduto il carattere di 'inviolabilità' che possedeva stando al testo dello Statuto.
L'opzione parlamentarista
Sul piano delle soluzioni istituzionali, infine, sembra necessario segnalare anzitutto la scelta
convinta in favore della forma di governo parlamentare. Nonostante il favore di qualcuno, la
stragrande maggioranza dei Costituenti fu contro il presidenzialismo e in ogni caso contro
qualunque forma di personalizzazione del potere politico. La forte opzione parlamentarista, tuttavia,
non sottintendeva un'idea di onnipotenza delle assemblee rappresentative: il referendum abrogativo
su leggi anche nazionali (vera novità rivoluzionaria della Costituzione italiana, che costituisce quasi
un unicum nel panorama delle democrazie contemporanee) e il controllo di costituzionalità sulle
leggi e sugli atti legislativi stanno lì a dimostrarlo.
Le autonomie territoriali
Molto significativa anche l'attenzione per le autonomie territoriali. La Costituzione, oltre a garantire
l'autonomia degli enti locali, ha creato le Regioni, concedendo loro autonomia anche legislativa.
L'avvento delle Regioni (e il loro graduale potenziamento) ha ovviamente determinato contrasti,
talora seri, con lo Stato. Tali contrasti hanno trovato soluzione grazie alla giurisprudenza della Corte
costituzionale, che in questa materia, soprattutto negli ultimi anni, ha conosciuto un notevolissimo
sviluppo.
*Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza
Diritto all'istruzione e diritto allo studio, di Maria Rosaria Ricci*
Art. 34
La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze,
che devono essere attribuite per concorso.
L'analisi dell'art. 34 della Costituzione impone una preliminare indagine di tipo terminologico,
volta a chiarire se esiste e qual è la differenza fra diritto all'istruzione e diritto allo studio.
La necessità di tale chiarimento si spiega in ragione del differente impiego, da parte degli studiosi,
dell'una o dell'altra delle due espressioni. Parte consistente della dottrina preferisce la prima,
ritenendola giuridicamente più corretta rispetto alla locuzione «diritto allo studio» (Mastropasqua,
Pototschnig, Ruscello); altri autori, al contrario, pur non negando la maggiore correttezza formale e
giuridica dell'espressione «diritto all'istruzione», reputano più opportuno parlare di «diritto allo
studio»: tale formula sarebbe più moderna e meglio esprimerebbe la nuova fondamentale funzione
dell'istruzione, che non è quella di trasmettere un bagaglio culturale già acquisito, bensì quella di
garantire la promozione e lo sviluppo della personalità dello studente (Atripaldi, Bruno,
Meloncelli).
Sicuramente interessante è poi l'orientamento di chi utilizza l'uno e l'altro dei due termini,
attribuendo a ciascuno di essi un significato suo proprio (De Simone, Fancellu, Mazziotti Di Celso).
Per «diritto all'istruzione» s'intende quello all'istruzione inferiore, di cui sono titolari tutti gli alunni
della scuola dell'obbligo.
L'espressione «diritto allo studio» indica, invece, il diritto di raggiungere i gradi più elevati degli
studi, da riconoscersi non indistintamente in capo a tutti gli studenti, ma solo a quanti fra essi
presentino specifici requisiti: capacità, merito, appartenenza a famiglie in condizioni economiche
disagiate («privi di mezzi»); perciò si parla di diritto all'istruzione superiore.
Quest'ultimo orientamento merita attenzione non solo perché soddisfa quell'esigenza di chiarezza
cui poc'anzi si accennava, ma soprattutto perché trova la sua giustificazione proprio nel disposto
costituzionale in esame.
L'art. 34 Cost., infatti, dà fondamento al diritto all'istruzione nel suo secondo comma; il diritto allo
studio si deduce, invece, dalla formulazione del comma successivo
Apertura della scuola a tutti e diritto all'istruzione inferiore
L'articolo in commento ha rappresentato una novità di grande rilievo rispetto al passato - dato che
nello Statuto albertino non vi era riferimento alcuno né alla situazione giuridica ora tutelata né, più
in generale, alla tematica scolastica - e ha costituito al tempo stesso una svolta nella legislazione
ordinaria successiva, che ha introdotto una più articolata e organica disciplina della materia.
La stessa disposizione ha fatto, però, a lungo discutere i padri costituenti e continua a far parlare gli
studiosi dei giorni nostri.
Il suo primo comma, che proclama la scuola aperta a tutti, solleva non poche questioni, alcuni
interpreti riferendolo al primo gradino della scuola in generale, altri al primo gradino di ogni corso
di studi. Qualche critico, inoltre, in maniera decisamente riduttiva, coglie in questa formula di
apertura semplicemente un diritto all'iscrizione scolastica; i più, a ragione, la leggono quale
consacrazione del diritto ad ottenere un'istruzione adeguata, necessaria alla formazione della
personalità e all'assolvimento dei compiti sociali.
La necessità di aprire la scuola a tutti denuncia, a quanto sembra, la volontà dei costituenti di fare in
modo che l'istruzione, cessando di essere privilegio di pochi, potesse finalmente diventare diritto di
tutti. E questo è il senso da dare alla proposizione in esame: essa sancisce il principio della non
discriminazione ed il divieto di configurare l'istruzione come appannaggio di categorie determinate
di persone, quelle situate più in alto nella scala sociale.
A mente del secondo comma, l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e
gratuita.
Il legame fra le due caratteristiche è chiaro: l'imposizione di un obbligo, per adempiere al quale è
previsto un sacrificio economico, non può che sposarsi con la garanzia della non onerosità
dell'attività necessaria a tale adempimento.
L'affermazione della gratuità e dell'obbligatorietà riferite all'istruzione consente di comprendere
come nella statuizione in esame trovi fondamento da un lato, come si diceva, un diritto - inteso non
già in senso generico, ma specificamente quale diritto all'istruzione inferiore - dall'altro un vero e
proprio obbligo o dovere di istruzione. Le due situazioni giuridiche fanno capo ad un unico
soggetto: l'alunno, che può soddisfare il diritto attraverso la gratuità ed adempiere all'obbligo
mediante la frequenza a scuola.
La correlazione diritto-dovere chiama in causa, è ovvio, anche la pubblica amministrazione:
affinché il diritto all'istruzione possa essere soddisfatto, questa deve adoperarsi e porre in essere ciò
che è necessario allo scopo.
Il punto cruciale è proprio questo: cosa deve fare la pubblica amministrazione perché il diritto
all'istruzione possa essere concretamente garantito?
Può rispondersi che deve assicurarne la gratuità. In tal modo, però, altro non si fa se non spostare i
termini del problema. Rendere gratuita l'istruzione significa esonerare semplicemente dal
pagamento delle tasse di iscrizione a scuola, o vuol dire mettere a disposizione degli alunni tutto ciò
che serve (i mezzi necessari) per consentire loro di adempiere all'obbligo scolastico e di esercitare,
al tempo stesso, il diritto all'istruzione?
Questa seconda accezione, più ampia e soddisfacente, trova fondamento proprio nel nesso che
sussiste fra tale diritto e la caratteristica della gratuità: la garanzia del primo, difatti, si ritiene possa
misurarsi nell'ampiezza della seconda.
Quanto alla gratuità, si impone una precisazione. Spesso essa viene riferita indistintamente tanto
all'istruzione inferiore quanto a quella superiore.
Nel primo caso l'imputazione è senz'altro corretta, non foss'altro perché è lo stesso costituente che
utilizza questa espressione. Qualche perplessità sorge, invece, con riferimento all'istruzione di grado
superiore, nel qual caso più che di gratuità sarebbe opportuno parlare di sostegno statale a favore
dei soggetti bisognosi, di assistenza da parte dello Stato che si traduce nell'attribuzione di borse di
studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze.
Tra la gratuità della scuola obbligatoria e l'assistenza prevista per la fascia successiva vi è infatti
una differenza considerevole. Mentre la prima è garantita a tutti, perché è dovere della società
assicurare un minimo di istruzione agli alunni della scuola dell'obbligo, l'assistenza statale per gli
studenti che percorrono i gradi più alti degli studi è riservata soltanto a una categoria di essi: i
capaci e meritevoli privi di mezzi.
Conferma di ciò si coglie nelle disposizioni di cui al terzo e al quarto comma, analizzate
congiuntamente, nel paragrafo che segue, visto il nesso che le lega.
Riconoscimento ed effettività del diritto allo studio
Il riconoscimento del diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (terzo comma) può
considerarsi un'affermazione di principio, che si completa e concreta nella previsione dei mezzi
attraverso i quali renderlo effettivo (quarto comma).
Dall'esame delle due disposizioni sembra emergere, innanzitutto, che per aversi diritto alle
provvidenze non è sufficiente essere capaci o meritevoli; è necessario che si sia capaci e meritevoli
nello stesso tempo. Il merito, cioè, non può essere disgiunto dalla capacità e viceversa. Su questo
punto non pare vi siano contrasti in dottrina, e ciò probabilmente per la chiarezza dei costituenti al
riguardo.
Sicuramente più controverso è, invece, un altro aspetto. Perché si possano ottenere le provvidenze
di cui parla il legislatore costituente è necessario che si sia capaci e meritevoli e privi di mezzi,
oppure a esse hanno diritto anche i capaci e meritevoli che però abbiano mezzi sufficienti?
Nonostante le differenti posizioni della dottrina al riguardo, si ritiene ragionevole cercare la risposta
nella distinzione tra riconoscimento ed effettività, o, come si è osservato, fra diritto al
proseguimento degli studi e diritto alle prestazioni patrimoniali.
E allora, in quest'ottica, il diritto di raggiungere i gradi più elevati degli studi sarebbe riconosciuto a
tutti, ma verrebbe reso effettivo, attraverso un intervento statale, soltanto per i privi di mezzi
(Ruscello).
Insomma, la Repubblica concede benefici agli studenti che, pur capaci e meritevoli, non potrebbero
conseguire certi livelli perché economicamente impossibilitati. Per coloro che, capaci e meritevoli,
hanno mezzi propri, il diritto ai gradi più alti degli studi viene garantito in base alle norme che
regolano l'accesso a scuola; non c'è bisogno, cioè, di un particolare intervento di sostegno.
Questo sembra il senso da attribuire alle disposizioni in parola. Esso scaturisce da un'interpretazione
non semplicemente letterale - la quale, anzi, rischierebbe di essere fuorviante a causa di quella
«improprietà nel testo costituzionale» (Ospitali) rappresentata dall'uso dell'espressione “anche se
privi di mezzi”, che non parrebbe escludere gli studenti in possesso degli stessi - bensì di tipo
logico-sistematico, che tiene conto, cioè, non solo dell'articolo da interpretare, ma anche di altre
statuizioni allo stesso legate e dei principi generali desumibili dalla Costituzione.
Tralasciando altri riferimenti, non può farsi a meno di notare che il diritto allo studio rappresenta
uno degli strumenti più importanti per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che
impediscono il pieno sviluppo della persona umana (fra cui quelli legati all'istruzione) e per dare
attuazione, quindi, a quell'eguaglianza sostanziale fra cittadini abbienti e meno abbienti che è alla
base dell'art. 3 Cost. (secondo comma).
Tra diritto allo studio e principio di uguaglianza si coglie un evidente nesso di reciprocità: se non si
tutela il primo non può garantirsi l'uguaglianza fra i cittadini; del pari, se non si assicura
l'uguaglianza o, meglio, se non si rimuovono gli ostacoli economici che creano differenziazioni,
non si può consentire ai capaci e meritevoli, privi di mezzi, di raggiungere i gradi più elevati degli
studi.
Funzionario della Provincia di Roma, cultore delle materie di Istituzioni di Diritto pubblico
(Università L.U.M.S.A. - Facoltà di Lettere e Filosofia) e di Diritto amministrativo (Università “La
Sapienza - Fac. Scienze politiche).
TIPOLOGIA DI TESTO: BREVE ARTICOLO
APPARSO SULLA RIVISTA: L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE
Scuola e costituzione: di Valerio Onida
I sessant’anni della Costituzione invitano a tornare a riflettere sulla scuola in due modi: la scuola
nella Costituzione e la Costituzione nella scuola. Due prospettive diverse e complementari.
La scuola, nella Costituzione, è anzitutto oggetto di un diritto fondamentale, il diritto di tutti
all’istruzione – quello che il protocollo addizionale alla Costituzione europea dei diritti afferma che
“non può essere rifiutato a nessuno” – e questo è il significato della dichiarazione di apertura
dell’articolo 34: “La scuola è aperta a tutti”. Un diritto che i poteri pubblici sono chiamati a rendere
effettivo attraverso l’istruzione obbligatoria e le garanzie di accesso dei “capaci e meritevoli” ai
gradi ulteriori dell’istruzione. Inoltre, la scuola è un servizio pubblico, necessario perché il dirittodovere all’istruzione ne possa in concreto esercitarsi, e a questo si riferisce l’articolo 33 dove
afferma che “la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per
tutti gli ordini e gradi”. In terzo luogo, la scuola è uno strumento attraverso cui operano le
“formazioni sociali” nelle quali si svolge la personalità degli individui, cui parla l’articolo 2, prima
fra tutte la famiglia, il cui compito educativo si prolunga e si intriga attraverso la scuola: è qui che
trova radice il diritto-dovere dei genitori di “istruire ed educare” i figli “secondo le loro convinzioni
religiose e filosofiche”, come dice sempre l’articolo 2 del protocollo addizionale della Convenzione
europea; sia il diritto sancito dall’articolo 33 della Costituzione per “enti e privati” di istruire scuole
e istituti di educazione, “senza oneri per lo Stato”.
Nella disciplina dell’attività scolastica si intrecciano dunque tutti i vari profili della relazione
costituzionale fra individui, formazioni sociali e poteri pubblici: diritti e doveri, libertà
dell’individuo e pluralismo sociale e culturale, diritti non solo al rispetto della personalità ma anche
a prestazioni e diritti pubblici atti a rendere effettivi i diritti stessi. La scuola è strumento potente di
quella “rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale” che l’articolo 3 indica come
“compito della Repubblica”, per concorrere a costruire una società fondata sulla libertà e la pari
dignità sociale delle persone, sulla eguaglianza di opportunità e sulla partecipazione di tutti.
C’è poi l’altra prospettiva: la Costituzione nella scuola. Se questa è luogo, non certo esclusivo me
rilevante e in certo modo privilegiato, in cui si attua la formazione della personalità, in cui nasce e si
nutre la “cultura diffusa” delle nuove generazioni, in cui si conformano nuovi presupposti degli
atteggiamenti delle persone nelle relazioni con la società e le sue istituzioni, e quindi anche molte
delle premesse dei comportamenti sociali degli individui, è evidente come un’assenza o una scarsa
presenza in essa della cultura costituzionale sia negativa e pericolosa. Ne viene impedita
l’affermazione di quel “patriottismo costituzionale” che solo può assicurare uno sviluppo della
collettività conforme ai valori portanti della Costituzione. Le diverse forme di familismo, di
egoismo corporativo, di chiusura particolaristica territoriale, etnica, culturale e sociale, di paura
dell’altro e del diverso da sé visti prevalentemente come minaccia per la propria sopravvivenza o
per il proprio benessere, e in definitiva gli atteggiamenti di estraneità alle istituzioni, di disprezzo
della legalità e della politica (vista solo come gioco di basso potere o come spettacolo per tifosi),
trovano terreno fertile di radicamento e di crescita in quell’assenza. Se, come scrivevano gli autori
della Lettera a una professoressa della scuola di don Lorenzo Dilani, nella scuola si impara “che il
problema degli altri è uguale al mio”, e che “sortirne tutti insieme è la politica”, mentre “sortirne da
soli è l’avarizia”, il primo e fondamentale terreno in cui si forma l’idea che le persone hanno della
politica è proprio la scuola, e la prima e fondamentale radice di un’idea non meschina della politica
sta nella consapevole adesione alla “tavola dei valori” costituzionale.
Non è evidente solo (ma è anche) questione di conoscenza del testo costituzionale, di cui – come
voleva la XVIII disposizione transitoria e finale – tutti i cittadini nel 1948 avrebbero dovuto
“prendere cognizione”, e lo stesso dovrebbero fare i cittadini di oggi e di domani. E’ questione di
fare della scuola occasione e stimolo per l’apprendimento dei processi storici, dei significati ideali,
dei dati culturali non solo nazionali ma universali, che stanno dietro e dentro la Costituzione e il
costituzionalismo, e delle conseguenze pratiche che ne discendono; per trasmettere e costruire la
consapevolezza di un patrimonio comune che ci è affidato.
TIPOLOGIA DI TESTO: ARTICOLO DI OPINIONE
REPERIBILE NELL’ARCHIVIO ELETTRONICO
DEL QUOTIDIANO la REPUBBLICA
(http://www.repubblica.it/)
GUSTAVO ZAGREBELSKY, LA COSTITUZIONE OGGI
LA REPUBBLICA 22 LUGLIO 2008
La Costituzione fatica nel compito di creare concordia. Quando una Costituzione genera discordia,
è segno di qualcosa di nuovo e profondo che ha creato uno scarto. È il momento in cui le strade
della legittimità e della legalità (la prima, adeguatezza ad aspettative concrete; la seconda,
conformità a norme astratte) si divaricano. Di legalità si vive, quando corrisponde alla legittimità.
Ma, altrimenti, si può anche morire. Alla fine è pur sempre la legittimità a prevalere su una legalità
ridotta a fantasma senz´anima.
La difesa della Costituzione non può perciò limitarsi alla pur necessaria denuncia delle violazioni e
dei tentativi di modificarla stravolgendola. Una cosa è l´incostituzionalità, contrastabile
richiamandosi alla legalità costituzionale. Ma, cosa diversa è l´anticostituzionalità, cioè il tentativo
di passare da una Costituzione a un´altra. Contro l´anticostituzionalità, il richiamo alla legalità è uno
strumento spuntato, perché proprio la legalità è messa in questione. Che cos´è, dunque, la
controversia sulla Costituzione: una questione di legalità o di legittimità? Dobbiamo poter
rispondere, per metterci sul giusto terreno ed evitare vacue parole. Per farlo, occorre guardare alla
psicologia sociale e alle sue aspettative costituzionali. Questa è un´epoca in cui, manifestamente, le
relazioni tra le persone si fanno incerte e il primo moto è di diffidenza, difesa, chiusura. Questo è un
dato. Alla politica, che pur si disprezza, si chiede attenzione ai propri interessi, alla propria identità,
alla propria sicurezza, alla propria privata libertà. L´ossessione per "il proprio" ha, come
corrispettivo, l´indifferenza e, dove occorre, l´ostilità per "l´altrui".
In termini morali, quest´atteggiamento implica una pretesa di plusvalenza. In termini politici,
comporta la semplificazione dei problemi, che si guardano da un lato solo, il nostro. In termini
costituzionali, si traduce in privilegi e discriminazioni.
Esempi? "A casa nostra" vogliamo comandare noi: espressione pregnante, che sottintende un titolo
di proprietà tutt´altro che ovvio. Detto diversamente: ci sono persone che, pur vivendo accanto a
noi, sono come "in casa altrui", nella diaspora, senza diritti ma solo con concessioni, revocabili
secondo convenienza. Gli immigrati pongono problemi? Li risolviamo con quote d´ingresso
determinate dalle nostre esigenze sociali ed economiche e, per quanto eccede, ne facciamo dei
"clandestini", trattandoli da delinquenti. Non pensiamo che anche noi, gli "aventi diritto", portiamo
una responsabilità delle persone che muoiono in mare o nascoste nelle stive, indotte da questa
nostra legislazione ad agire, per l´appunto, da clandestini. La criminalità si annida nelle comunità
che vivono ai margini della nostra società (oggi, i rom e i sinti; domani, chissà). Allora, spianiamo
per intanto i campi dove vivono e pigiamone i pollici, grandi e piccoli, perché lascino un´impronta.
Basta non guardare la loro sofferenza e la loro dignità. Certo, i mendicanti seduti o sdraiati sui
marciapiedi ostacolano il passaggio. Noi, che non abbiamo bisogno di elemosinare, vietiamo loro di
farsi vedere in giro. Basta non pensare alla vergogna che aggiungiamo al bisogno. L´indigenza si
diffonde? Istituiamo l´elemosina di Stato. Si crea così una frattura sociale, tipo Ancien Régime?
Basta non accorgersene. I diritti si rovesciano in strumenti di esclusione quando, per garantire i
nostri, non guardiamo il lato che riguarda gli altri. In una società di uguali, il lato sarebbe uno solo:
il mio è anche il tuo. Ma in una società di disuguali, l´unilateralità è la premessa dell´ingiustizia,
della discriminazione, dell´altrui disumanizzazione. Quando si prende questa china, non si sa dove
si finisce. Perfino a teorizzare la tortura, in nome della sicurezza.
Ma questa è anche un´epoca di restrizione delle cerchie della socievolezza. Il nostro benessere è
insidiato dagli altri: dunque rifugiamoci tra di noi, amici nella condivisione dei medesimi interessi.
Al riparo dalle insidie del mondo, pensiamo di trovare la nostra sicurezza. L´esistenza in grande
appare insensata, anzi insidiosa: la parola umanità suona vuota, le unità politiche create dalla storia
dei popoli si disgregano in piccole comunità sospettose l´una verso l´altra; l´Europa segna il passo.
Le riduzioni di scala della socievolezza riguardano ogni ambito della vita di relazione e, a mano a
mano che procedono, creano nuove inimicizie in una spirale che distrugge l´interesse generale e i
suoi postulati di legalità, imparzialità, disinteresse personale. La legge uguale per tutti è sostituita
dalla ricerca di immunità e impunità. Ciò che denominiamo "familismo" crea cricche politiche e
partitiche, economiche e finanziarie, culturali e accademiche, spesso intrecciate tra loro, dove si
organizzano e si chiudono relazioni sociali e di potere protette, per trasmetterle da padri a figli e
nipoti, da boss a boss, da amico ad amico e ad amico dell´amico, secondo la legge dell´affiliazione.
Sul piano morale, quest´atteggiamento valorizza come virtù l´appartenenza e l´affidabilità, a scapito
della libertà. Sul piano politico, si traduce in distruzione dello spirito pubblico e nella sostituzione
degli interessi generali con accordi opachi tra "famiglie". Sul piano costituzionale, si risolve nella
distruzione della repubblica di cui parla l´art. 1 della Costituzione, da intendersi nel senso
ciceroniano di una comunione basata sul legittimo consenso circa l´utilità comune.
Della diffidenza e della chiusura, conseguenza naturale è la perdita di futuro, come bene collettivo.
Si procede alla cieca e, non sapendoci dare una meta che meriti sacrifici, cresciamo in
particolarismi e aggressività. Le visioni del futuro, che una volta assumevano le vesti di ideologie,
sono state distrutte e, con esse, sono andati perduti anche gli ideali che contenevano. Sono stati
sostituiti da mere forze divenute fini a se stesse, come la tecnica alleata all´economia di mercato,
mossa dai bilanci delle imprese: forze paragonate al carro di Dschagannath che, secondo una
tradizione hindu, trasporta la figura del dio Krishna e, muovendosi da sé senza meta, travolge la
gente che, in preda a terrore, cerca inutilmente di guidarlo, rallentarlo, arrestarlo. In termini morali,
la perdita di futuro contiene un´autorizzazione in bianco alla consumazione nell´immediato di tutte
le possibilità, senza accantonamenti per l´avvenire. In termini politici, comporta una concezione
dell´azione pubblica come sequenza di misure emergenziali. In termini costituzionali, distrugge ciò
che, propriamente, è politica e la sostituisce con una gestione d´affari a rendita immediata.
***
Tutto ciò, invero, è un insieme di constatazioni piuttosto banali che, oltretutto, non rispecchiano
l´intera realtà costituzionale, per nostra fortuna fatta anche d´altro. Ma, per quanto in queste
constatazioni c´è di vero, non sarà altrettanto banale collegarlo con la Costituzione e le sue
difficoltà. Quelle tre nevrosi da insicurezza - visione parziale delle cose; disgregazione degli ambiti
di vita comune; assenza di futuro - hanno un unico significato: la corrosione del legame sociale.
Non siamo solo noi a trovarci alle prese con questa difficoltà, ma noi specialmente. Una domanda
classica nella sociologia politica è: che cosa tiene insieme la società? Oggi la domanda si è spostata,
e ci si chiede addirittura se di società, cioè di relazioni primarie spontanee, non imposte
forzosamente, si possa ancora parlare. In effetti, poiché convivere pur bisogna, vale una relazione
inversa: a legame sociale calante, costrizione crescente.
Non è forse questa la nostra china costituzionale? Una china su cui troviamo, da un lato, per
esempio, indifferenza per l´universalità dei diritti, per la separazione dei poteri, per il rispetto delle
procedure e dei tempi delle decisioni, per i controlli, per la dialettica parlamentare, per la legalità,
per l´indipendenza della funzione giudiziaria: indifferenza, in breve, per ciò qualifica come
"liberale" una democrazia; sostegno, dall´altro, alle misure energiche, alla concentrazione e alla
personalizzazione del potere, alla democrazia d´investitura, all´antiparlamentarismo, al fare per il
fare, al decidere per il decidere: in breve, a ciò che qualifica invece come "autoritaria" la
democrazia.
La sintesi potrebbe essere la frase pronunciata da un deputato socialista, all´epoca delle
nazionalizzazioni decise dal governo Mitterand e osteggiate dall´opposizione di destra, che aveva
promosso un ricorso al Conseil constitutionnel (più o meno, la nostra Corte costituzionale): «Voi
avete giuridicamente torto, perché noi abbiamo politicamente ragione». In altri termini, il vostro
richiamo alla Costituzione vale nulla, perché noi abbiamo i voti. Quella frase fece grande scandalo,
chi l´aveva pronunciata dovette rimangiarsela. Ma si esprime lo stesso concetto dicendo: la gente ha
votato, ben sapendo chi votava, e questo basta; la forza del consenso rende nulla la forza del diritto;
chi obbietta in nome della Costituzione è un patetico azzeccagarbugli che con codici e codicilli
crede di fermare la marcia della nuova legittimità costituzionale.
La Costituzione non ammette questo modo di ragionare. Non c´è consenso che possa giustificare la
violazione delle "forme" e dei "limiti" ch´essa stabilisce (art. 1). Ma questa è legalità costituzionale.
Pensare di sostenere una legalità traballante nella sua legittimità, invocando soltanto la legalità, è
come volersi trarre dalle sabbie mobili aggrappandosi ai propri capelli. Chi vuol difendere la
Costituzione deve accettare la sfida della legittimità e saper mostrare, anche attraverso i propri
comportamenti, che la Costituzione non è un involucro ormai privo di valida sostanza, non è
l´espressione o la copertura di un mondo senza futuro. Occorre far breccia in convinzioni collettive,
là dove domina indifferenza, sfiducia, rassegnazione: i sentimenti qualunquistici, naturalmente
orientati a esiti autoritari, di cui s´è detto. Se la crisi costituzionale è innanzitutto crisi di
disfacimento sociale, è da qui che occorre ripartire. Si difende la Costituzione anche, e soprattutto,
con politiche rivolte a promuovere solidarietà e sicurezza, legalità e trasparenza, istruzione e
cultura, fiducia e progetto: in una parola, legame sociale. Se non andiamo alla radice, per colmarlo,
dello scarto tra legalità e legittimità, ci possiamo attendere uno svolgimento tragico del conflitto tra
una legalità illegittima e una legittimità illegale: tragico nel senso più proprio e classico della
parola. Ci si dovrà ritornare.
STEFANO RODOTÀ: LA BUSSOLA MODERNA DELLA NOSTRA COSTITUZIONE
21 AGOSTO 2007 – LA REPUBBLICA
Vi è un´aria di riscoperta della Costituzione che assomiglia sempre di più ad una riconquista.
Lontani i tempi dell´"inattuazione" o del "disgelo" o dell´"arco" costituzionale, che facevano
apparire quel testo come un affare di politici e di specialisti, gli articoli della Costituzione si stanno
rivelando uno strumento potente per affrontare e risolvere problemi difficili dell´organizzazione
sociale, della stessa vita quotidiana. Una riscoperta "dal basso", si potrebbe dire.
Gli esempi sono davanti a noi. Un commento di Adriano Sofri sul proscioglimento dell´anestesista
del caso Welby è stato giustamente presentato su questo giornale con il titolo "Quel semplice
articolo della nostra Costituzione", che è poi quello che, riconoscendo il diritto alla salute, vieta di
imporre trattamenti che contrastano "con il rispetto della persona umana", consentendo così a
ciascuno di noi di fare liberamente le proprie scelte di vita. La Corte di Cassazione, riprendendo
indicazioni della Corte costituzionale, ha appena ribadito che il diritto alla identità sessuale è
fondato sull´articolo 2, che tutela la libera costruzione della personalità. Nella discussione sulle
coppie di fatto è sempre l´articolo 2 a ricordarci che devono essere tutelati i diritti derivanti dal far
parte di una "formazione sociale".
Sono soltanto gli ultimi casi che, insieme a molti altri, smentiscono la tesi di una Costituzione
invecchiata anche nella sua prima parte. È vero il contrario. La Costituzione si conferma "presbite",
capace di guardare lontano, secondo la felice definizione di Piero Calamandrei, tanto che sono
proprio i problemi posti dai mutamenti culturali e dalle novità tecnologiche a trovare risposte nelle
norme costituzionali, senza che sia sempre necessario ricorrere a nuove leggi. E lo fa con la forza
dei valori in essa riconosciuti, smentendo in tal modo anche la tesi di una società svuotata di
riferimenti forti, prigioniera ormai di una deriva "relativistica".
Ma ci sono anche altre conferme dell´attualità del modello costituzionale italiano.
Analizzando qualche settimana fa i problemi delle identità nazionali e dell´integrazione, Jean-Paul
Fitoussi così scriveva sempre su questo giornale. «L´uguaglianza di fronte alla legge è certamente
un principio essenziale, ma debole; che andrebbe quindi completato con una concezione più
esigente dell´uguaglianza, grazie a un impegno della repubblica proporzionale all´entità
dell´handicap di ogni suo cittadino, per liberarlo dal peso della sua condizione iniziale». Ma questo
è esattamente lo schema che si ritrova nell´articolo 3 della Costituzione che, ribadito il principio
dell´eguaglianza formale, lo integra appunto con l´obbligo della Repubblica di «rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l´eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l´effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all´organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Un´indicazione, questa,
particolarmente importante per cogliere la dimensione complessiva dell´eguaglianza, non riducibile
alla parità delle condizioni di partenza. Proprio le innovazioni scientifiche e tecnologiche
impongono la considerazione dell´eguaglianza come "risultato". Ad esempio, per garantire
effettivamente l´accesso alle cure e ai farmaci, l´accesso alla conoscenza reso possibile da Internet
non basta affermare in astratto il pari diritto di ciascuno, se poi le condizioni materiali e culturali
creano condizioni di disuguaglianza e di esclusione.
La Costituzione rivela così una specifica virtù. Obbliga a fissare lo sguardo su un orizzonte largo, a
valutare l´intero contesto in cui si collocano le questioni da affrontare. A qualcuno, tuttavia, questo
contesto appare monco, amputato da una adeguata considerazione del mercato e della concorrenza,
che meriterebbero una più adeguata "dignità costituzionale". Ma è davvero così?
La libertà dell´iniziativa economica privata è affermata esplicitamente in apertura dell´articolo 41, e
questa formulazione dovrebbe essere ritenuta soddisfacente da chi vuole che il mercato abbia un suo
spazio costituzionale. Certo, quell´articolo afferma poi che l´iniziativa economica non può svolgersi
in contrasto con la sicurezza, la libertà, la dignità umana: e qualche avventato riformatore ha
proposto di riscriverlo eliminando ogni vincolo o limite all´attività d´impresa. Ma i nuovi interventi
legislativi sollecitati dal dramma delle morti sul lavoro confermano l´attualità e l´essenzialità,
dunque l´ineliminabilità, del riferimento alla sicurezza. E il limite rappresentato dal rispetto della
dignità è un segno ulteriore della lungimiranza della Costituzione. Due anni fa la Corte di giustizia
delle Comunità europee, un organo certo non sospetto di ostilità al mercato, ha adottato proprio la
linea indicata dall´articolo 41 fin dal 1948, affermando che il principio di dignità deve essere
sempre tenuto presente nel valutare la legittimità delle attività economiche.
Ancora. La vita quotidiana ci parla del precariato, che ha appena sollecitato l´attenzione del
Presidente della Repubblica, e dei problemi della famiglia, tante volte sollevati dalle diverse forze
politiche. Ricordiamo, allora che l´articolo 36 stabilisce che la retribuzione deve garantire al
lavoratore ed alla sua famiglia «una esistenza libera e dignitosa». Questa norma è già servita per
respingere la tesi di chi pretendeva che la legittima misura della retribuzione fosse solo quella che si
limitava a garantire la mera sopravvivenza del lavoratore. Oggi ci ricorda che nessuna esigenza
produttiva può giustificare la miseria salariale alla quale sono costretti tanti lavoratori; e che le tanto
invocate politiche della famiglia non possono consistere solo in interventi pubblici, ma esigono pari
attenzione per il modo in cui si configurano concretamente i rapporti tra dipendenti e datori di
lavoro.
Questa lettura della Costituzione non serve soltanto per sottolineare l´attualità della sua prima parte
(altra questione è la buona "manutenzione" della seconda parte). Ne conferma la vitalità nelle aree
più sensibili della vita sociale, nelle materie in cui più acute si manifestano le esigenze individuali.
Una progressiva e crescente vicinanza della Costituzione ai cittadini può divenire una via per
riconciliarli con le istituzioni. Una impresa che sembra troppo spesso disperata, ma che non può
essere abbandonata, a meno che non ci si voglia rassegnare ad una definitiva regressione culturale e
politica, ignorando anche la nuova penetrazione nella società dei principi costituzionali.
Ma l´auspicabile consapevolezza culturale e politica esige un´attenzione intensa per un´
interpretazione della Costituzione che ne utilizzi le potenzialità per dare risposte alle nuove
domande ininterrottamente poste dalle diverse dinamiche che percorrono la società. Che cosa
diventa la libertà di circolazione in un mondo sempre più videosorvegliato? La libertà di
comunicazione quando si conservano tracce di ogni nostro contatto elettronico? La libertà di
manifestazione del pensiero nell´era di Internet? La libertà personale quando si moltiplicano le
forme di controllo del corpo? E bisogna guardare alla conoscenza come bene comune, alla Rete
come il più grande spazio pubblico che l´umanità abbia conosciuto, ai nuovi intrecci tra genetica e
costruzione del corpo, alla questione ambientale che in Italia fu possibile affrontare proprio
partendo dalle norme costituzionali su paesaggio e salute.
Questioni ineludibili. Se libertà e diritti non vengono considerati nel nuovo ambiente tecnologico, si
rischia una drammatica riduzione delle garanzie costituzionali. Le capacità prospettica della
Costituzione deve essere utilizzata per mettere a punto una agenda dei diritti consapevole di un
futuro che è già tra noi. L´annunciato rinnovamento della politica guarderà anche in questa
direzione?
STEFANO RODOTÀ, CHE COSA RESTA DELLA COSTITUZIONE
2 GENNAIO 2008 LA REPUBBLICA
Stanno nascendo "costituzioni parallele" che, direttamente o indirettamente, mirano a mettere in
discussione, o a cancellare del tutto, la prima parte della Costituzione italiana quella dei principi,
delle libertà e dei diritti – varata esattamente 60 anni fa. Il più noto di questi tentativi è quello che le
gerarchie cattoliche perseguono ormai da tempo, affermando la superiorità e la non negoziabilità dei
propri valori e denunciando il relativismo delle carte dei diritti, a cominciare dalla Dichiarazione
universale dell´Onu del 1948, considerate frutto di mediocri aggiustamenti politici. Ma non deve
essere sottovalutato un prodotto di quest´ultima stagione, l´annuncio di "manifesti dei valori" ai
quali le nuove forze politiche vogliono affidare una loro "ben rotonda identità". Il mutamento di
terminologia è rivelatore. Non più "programmi" politici, ma manifesti, un tipo di documento che
storicamente ha valore oppositivo, addirittura di denuncia dell´ordine esistente. E oggi proprio
l´ordine costituzionale finisce con l´essere messo in discussione.
Viene abbandonata la politica costituzionale, già indebolita, ma che pur nei contrasti aveva
accompagnato la vita della Repubblica, contraddistinto battaglie come quella dell´"attuazione
costituzionale", segnato stagioni come quella del "disgelo costituzionale". Al suo posto si sta
insediando un dissennato Kulturkampf, una battaglia tra valori che sembra muovere dalla
impossibilità di trovare comuni punti di riferimento. L´identità costituzionale repubblicana è
cancellata, al suo posto scorgiamo la pretesa di imporre una verità o la ricerca affannosa di
compromessi mediocri.
Nel linguaggio di troppi politici i riferimenti alle encicliche papali hanno sostituito quelli agli
articoli della Costituzione. Nelle parole di altri si rispecchiano una regressione culturale, una corsa
alle risposte congiunturali, più che una matura riflessione sui principi che devono guidare l´azione
politica. Ci si allontana dal passato senza la lungimiranza di chi sa cogliere il futuro.
Questo è forse l´effetto di un inesorabile invecchiamento della Costituzione della quale, a
sessant´anni dalla nascita, saremmo chiamati non a celebrare la vitalità, ma a registrare la
decrepitezza? L´intoccabilità della prima parte deve cedere ai colpi inflitti dal mutare dei tempi?
Ribadito che siamo di fronte a un tema distinto dalla buona "manutenzione" della seconda parte, che
disciplina i meccanismi istituzionali, proviamo a saggiare la tenuta dei principi costituzionali
considerando proprio questioni recenti, per vedere se non sia proprio lì la bussola democratica,
liberamente e concordemente definita, alla quale tutti devono riferirsi. Partiamo dall´attualità più
dura, dalle morti sul lavoro, delle quali la tragedia della Thyssen Krupp è divenuta l´emblema.
L´articolo 41 della Costituzione è chiarissimo: l´iniziativa economica privata è libera, ma «non può
svolgersi in contrasto con l´utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana». Questa sarebbe una incrostazione da eliminare perché in contrasto con la pura
logica di mercato? Qualcuno lo ha proposto, ma spero che la violenza della realtà lo abbia fatto
rinsavire. Oggi è proprio da lì che bisogna ripartire, da una sicurezza inscindibile dal rispetto della
libertà e della dignità, dalla considerazione del salario non solo come ciò che consente di acquistare
un lavoro sempre più ridotto a merce, ma come il mezzo che deve garantire al lavoratore ed alla sua
famiglia «un´esistenza libera e dignitosa» (articolo 36). Questione ineludibile di fronte ad un
processo produttivo che, grazie anche alle tecnologie, si impadronisce sempre più profondamente
della persona stessa del lavoratore. La trama costituzionale ci parla così di una «riserva di umanità»
che non può essere scalfita, ci proietta ben al di là della condizione del lavoratore, mette in
discussione un riduzionismo economicistico che vorrebbe l´intero mondo sempre più simile alla
New York descritta da Melville all´inizio di Moby Dick, che «il commercio cinge con la sua
risacca».
Altrettanto irrispettosa della vita è la decisione del Comune di Milano di non ammettere nelle
scuole materne comunali i figli di immigrati senza permesso di soggiorno. È davvero violenza
estrema quella che esclude, che nega tutto ciò che è stato costruito in tema di eguaglianza e
cittadinanza e, in un tempo di ripetute genuflessioni, ignora la stessa carità cristiana. Di nuovo la
trama costituzionale può e deve guidarci, non solo con il divieto delle discriminazioni, ma con
l´indicazione che vuole la Repubblica e le sue istituzioni obbligate a «rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l´eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (così l´articolo 3). E cittadinanza ormai è
formula che non rinvia soltanto all´appartenenza ad uno Stato. Individua un nucleo di diritti
fondamentali che non può essere limitato, che appartiene a ciascuno in quanto persona, che
dev´essere garantito quale che sia il luogo in cui ci si trova a vivere. Hanno mai letto, al Comune di
Milano, la Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea? Sanno che in essa vi è un esplicito
riconoscimento dei diritti dei bambini? Trascrivo i punti essenziali dell´articolo 24: «I bambini
hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere… In tutti gli atti relativi ai
bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l´interesse superiore del
bambino deve essere considerato preminente». Di tutto questo, e non solo a Milano, non v´è
consapevolezza, segno d´una sorta di pericolosa "decostituzionalizzazione" che si è abbattuta sul
nostro sistema politico-istituzionale.
Ma seguire le indicazioni della Costituzione rimane un dovere. Certo, serve una cultura adeguata,
perduta in questi anni e che ora sta recuperando una magistratura colta e consapevole, che affronta
le questioni difficili del nascere, vivere e morire proprio partendo dai principi costituzionali,
ricostruendo rigorosamente il quadro in cui si collocano diritti e libertà delle persone, risolvendo
casi specifici come quelli riguardanti l´interruzione dei trattamenti per chi si trovi in stato vegetativo
permanente, il rifiuto di cure, la diagnosi preimpianto. Ma proprio questo serissimo lavoro di
approfondimento sta rivelando la distanza tra cultura costituzionale e cultura politica. Sembra quasi
che, prodighi di dichiarazioni, troppi esponenti politici non trovino più il tempo per leggere le
sentenze e le ordinanze che commentano, o non abbiano più gli strumenti necessari per analisi
adeguate. Fioccano le invettive e le minacce: «invasione delle competenze del legislatore»,
«ricorreremo alla Corte costituzionale». Ora, se questi frettolosi commentatori conoscessero
davvero la Corte, si renderebbero conto che le deprecate decisioni della magistratura seguono
proprio una sua indicazione generale, che vuole l´interpretazione della legge "costituzionalmente
orientata": Nel caso della diagnosi preimpianto, anzi, sono stati proprio i giudici a bloccare una
pericolosa invasione da parte del Governo delle competenze del legislatore, che non aveva affatto
previsto il divieto di quel tipo di diagnosi, poi introdotto illegittimamente da un semplice decreto
ministeriale.
La stessa linea interpretativa dovrebbe essere seguita nella controversa materia delle unioni di fatto, al cui
riconoscimento non può essere opposta una lettura angusta dell´articolo 29, già superata negli anni 70 con la
riforma del diritto di famiglia. Parlando di «società naturale fondata sul matrimonio», la Costituzione non ha
voluto escludere ogni considerazione di altre forme di convivenza, tanto che l´articolo 30 parla
esplicitamente di doveri verso i figli nati "fuori del matrimonio"; e l´articolo 2, per iniziativa cattolica,
attribuisce particolare rilevanza giuridica alle "formazioni sociali", di cui le unioni di fatto sono sicuramente
parte. Linea interpretativa, peraltro, confermata dall´articolo 9 Carta dei diritti fondamentali che mette sullo
stesso piano famiglia fondata sul matrimonio e altre forme di convivenza, per le quali è caduto il riferimento
alla diversità di sesso. Che dire, poi, delle resistenze contro una più netta condanna delle discriminazioni
basate sull´orientamento sessuale, che costituisce attuazione degli impegni assunti con i trattati europei e la
Carta dei diritti? Dopo esserci allontanati dalla nostra Costituzione, fuggiremo anche dall´Europa e ci
sottrarremo ai nostri obblighi internazionali?
Nella Costituzione vi sono molte potenzialità da sviluppare, come già è accaduto con il diritto al paesaggio e
la tutela della salute. Quando si dice che la proprietà deve essere "accessibile a tutti", si leggono parole che
colgono le nuove questioni poste dall´utilizzazione dell´enorme patrimonio di conoscenze esistente in
Internet. E la rilettura delle libertà di circolazione e comunicazione può dare risposte ai problemi posti dalle
tecnologie della sorveglianza e dalle gigantesche raccolte di dati telefonici. Vi è, dunque, una "riscoperta"
obbligata di una Costituzione tutt´altro che invecchiata e imbalsamata, che regge benissimo il confronto con
l´Europa, che rimane l´unica base democratica per una discussione sui valori sottratta alle contingenze ed
alle ideologie. Questo richiede l´apertura di una nuova fase di "attuazione" costituzionale". Chi sarà capace
di farlo?
TIPOLOGIA: TESTO LETTO AD ALTA VOCE IN UNA CERIMONIA
Pubblichiamo parte del discorso che il presidente emerito della Corte costituzionale, ha pronunciato
durante le celebrazioni per i sessant´anni della Costituzione della Repubblica italiana.
LEOPOLDO ELIA: I SESSANT’ANNI DELLA COSTITUZIONE
Quel documento nei decenni si è consolidato, mentre il tempo ha travolto le forze politiche che
avevano contribuito a scriverlo
Il compimento del sessantennio trascorso dall´entrata in vigore della Costituzione repubblicana ad
oggi suggerisce qualche riflessione sul passato e qualche proposito per il futuro. Già Madison
metteva in guardia contro le frequenti revisioni del testo costituzionale, che lo avrebbero fatto
apparire difettoso per troppe lacune, e notava che la Costituzione avrebbe potuto trarre beneficio da
«quella venerazione che il tempo accorda ad ogni cosa» (Il Federalista, saggio n. 49).
Almeno nel caso nostro il giudizio sulla universale venerazione va limitato alla Carta che in questi
decenni si è consolidata, mentre il tempo ha travolto le forze politiche che avevano contribuito a
formarla insieme a componenti essenziali delle loro ideologie. Del resto già Giovanni XXIII,
conversando con Vittorio Bachelet, aveva concluso: «E poi l´Italia ha una buona Costituzione».
Questa duplicità di effetti tra la buona Costituzione che perdura e le strutture politiche fondatrici
che scompaiono è una costante che si ripete proprio quando la continua vigenza della Carta scavalca
alcune generazioni.
Cresce anche la spinta a considerare con criteri storici le vicende costituzionali nel lungo periodo
che ci separa dal 1º gennaio 1948, affrontando i problemi della periodizzazione e della scelta dei
materiali da utilizzare: che non possono essere solo leggi e sentenze ma sono anche gli eventi in
grado di influire sulla Costituzione vivente, dall´approvazione di un ordine del giorno in sede
parlamentare all´esito di una consultazione referendaria. (...)
A mero titolo esemplificativo richiamo tre diversissimi precedenti, peraltro di grande significato. Il
primo è rappresentato dalla sentenza n. 1 del 1956 di questa Corte che costituisce, malgrado le
chiarissime differenze, una decisione analoga alla Marbury vs Madison nella situazione italiana,
caratterizzata dall´opposizione del Presidente del Consiglio dell´epoca, a mezzo dell´Avvocatura
dello Stato, alla competenza della Corte a giudicare sulle controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge anteriori alla entrata in vigore della
Costituzione. Colpisce ancora, al di là della motivazione essenzialissima su questo tema cruciale, la
volontà autoassertiva della Corte di allora espressa nella formula iniziale di considerare "fuori
discussione" la competenza esclusiva della Corte a giudicare della legittimità costituzionale delle
leggi senza distinzione tra quelle anteriori e quelle posteriori alla Costituzione. (...)
Il secondo caso, veramente di tutt´altra natura, è il tormentato "dialogo costituzionale" che Aldo
Moro propose al partito comunista di Enrico Berlinguer particolarmente nel discorso di Benevento
(18 novembre 1977). Mentre prendeva atto delle dichiarazioni (anche a Mosca) del leader
comunista sulla democrazia «come valore storicamente universale», Moro avanzava dubbi sulla
vera sostanza di «un´originale società socialista», democraticamente fondata: a suo avviso i
lineamenti di quella "autentica" società socialista rimanevano ancora indistinti poiché essi non si
esprimevano in nessun modello riconosciuto ed al quale si facesse riferimento; come si configura egli chiedeva - «la coesistenza di dati, quali quello del pluralismo sociale, della pluralità politica e i
modi di rispetto della libertà in confronto alla gestione dell´economia»? Domande che
corrispondono alla constatazione di Norberto Bobbio sulla mancata elaborazione in seno alla
sinistra di un coerente pensiero in tema di Stato. Moro sarà poi rassicurato sulla natura ormai
"costituzionale" del partito comunista in successivi colloqui con Berlinguer; ma ancora nella
conversazione con Eugenio Scalfari del 18 febbraio 1978 (ma pubblicata il 14 ottobre di
quell´anno), ribadendo la sua contrarietà al progetto di compromesso storico, respingerà l´idea di
"società consociativa", non accettabile per l´Italia. Evidentemente, a differenza della "solidarietà
nazionale", l´idea di società consociativa poteva in nuce precludere la reversibilità del potere una
volta che questo fosse stato conquistato democraticamente dalla forza politica rappresentativa della
classe operaia. Invece l´alternativa, nella prospettiva di Moro, non poteva essere disgiunta
dall´alternanza tra partiti e schieramenti di partiti dotati di pari legittimazione. Alla fine, si può
aggiungere, che, grazie anche alla forza integrativa della Costituzione, la tendenza ad includere nel
circuito del governo, e non della sola rappresentanza, sarebbe prevalsa su quella ad escludere, che
aveva caratterizzato gli anni della guerra fredda. E così lo storico Franco De Felice poté affermare
che in Italia il muro di Berlino era caduto con dieci anni di anticipo.
Il terzo evento è più vicino alla nostra esperienza, anzi è appena di ieri: mi riferisco all´esito del
referendum del 25-26 giugno 2006 che forse è stato troppo sbrigativamente passato agli archivi. È
arbitrario, a mio avviso, pretendere di pesare il voto ostile alla revisione in rapporto ai vari temi
compresi nella riforma: devolution, forma di governo, bicameralismo. Sfugge così il carattere
globale della deliberazione popolare che intese, per la prima volta dopo l´entrata in vigore della
Carta, confermare esplicitamente il valore della Costituzione come testo unitario. Il che non
preclude emendamenti correttivi o integrativi ma induce a rifiutare l´idea di grande riforma o di
"progetto organico" di revisione. D´altra parte nel corso della campagna referendaria è apparso
chiaramente lo stretto collegamento tra prima e seconda parte della Costituzione: taluni squilibri,
provocati, ad esempio, nelle competenze degli organi di garanzia o nell´ordinamento costituzionale
della Magistratura, possono compromettere la tutela delle situazioni soggettive considerate nella
prima parte.
TIPOLOGIA DI TESTO: INTERVISTA RADIOFONICA
Intervista radiofonica al Prof. Vincenzo Caianello.
Puntata realizzata con gli studenti del Liceo Classico "Orazio" di Roma
STUDENTE: Ringraziamo il nostro ospite, il Prof. Vincenzo Caianiello, Presidente emerito
della Corte Costituzionale, e insieme diamo uno sguardo alla scheda introduttiva.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con il Paese distrutto e occupato dalle truppe alleate, si
impose in tutta la sua urgenza il problema di dare un ordinamento istituzionale stabile all'Italia
libera. Constatato che era impossibile tornare alla costituzione del Regno d'Italia, allo Statuto
Albertino del 1848, si arrivò all'elezione di un'Assemblea Costituente, il cui compito principale era
quello di redigere la Legge Fondamentale della Repubblica Italiana. I lavori dell'assemblea si
protrassero da giugno 1946 fino al 27 dicembre 1947, quando il Presidente Enrico De Nicola
promulgò la Costituzione della Repubblica. In essa si composero diverse prospettive: la tradizione
liberale pre-fascista, l'idealismo azionista e, soprattutto, le istanze del mondo cattolico e di quello
marxista. I costituenti fecero tesoro delle grandi Costituzioni moderne e svilupparono un percorso
teorico che, partendo dal rapporto tra individuo e la società, si allarga fino alle relazioni più
complesse. Ci furono momenti di scontro e di insoddisfazione per i compromessi inevitabili, ma
l'integrazione tra le diverse tradizioni e culture produsse un testo ricchissimo. La Costituzione della
Repubblica Italiana è la fotografia dell'Italia in un momento storico preciso che contiene le
aspirazioni e gli ideali di un popolo in uno dei momenti più alti della sua storia. Non è soltanto il
nostro passato, ma la base della nostra democrazia presente e il principale modello per il futuro.
STUDENTESSA: Professore, Lei in passato ha ricoperto cariche molto importanti. Potrebbe
dunque spiegarci com'è nata e com'è cambiata, nel tempo, l'idea costituzionale?
CAIANIELLO: L'idea costituzionale nasce nel nostro paese sulla base di una tradizione culturale
che trova le sue origini fin dal 1600. Il costituzionalismo moderno nasce come idea di limitare il
potere assoluto di chi detiene il potere supremo, dunque le Costituzioni nascono essenzialmente a
garanzia delle libertà. Inizialmente il costituzionalismo, espressa nella Magna Cartha Libertatum,
nel 1215, nasce come un patto tra il re e i signori, per definire una spartizione di poteri; si tratta di
una specie di contratto fra queste due entità politiche sullo spirito feudale. Poi, dal Seicento, dal
Settecento, si supera l'idea della Costituzione come accordo tra il sovrano e gli altri detentori del
potere e prende corpo la Costituzione che tutela l'identità della persona nei confronti del potere.
Quindi il costituzionalismo non è altro che l'affermazione delle libertà e quando ci parlano di
cambiare la Costituzione con delle riforme, dobbiamo conoscerle queste riforme, perché noi ne
siamo i destinatari. Se occorrono dei ritocchi alla Costituzione per adeguarla ai tempi ed è previsto
un procedimento di revisione, io sono d'accordo, purché i ritocchi siano coerenti con il contesto
dell'intera Costituzione, attraverso un confronto di idee.
STUDENTESSA: Quali sono oggi le principali forme costituzionali?
CAIANIELLO: Ogni popolo ha la sua Costituzione, che ha alla base un aspetto comune a tutte: "la
tutela delle libertà e quello della divisione dei poteri dello Stato". La Costituzione dà luogo a forme
di Stato diverse. Per esempio la forma di Stato più diversificata è rappresentata da quella
monarchica e quella repubblicana. Qual è la differenza? La forma monarchica prevede un potere
supremo affidato solitamente ad una persona singola, la quale ritiene di essere legittimata non da
un'investitura popolare, ma da una tradizione, sovente, familiare. Tuttavia, vi sono anche Stati
monarchici che hanno una investitura non ereditaria, come, per esempio, la Chiesa Cattolica che è
un'organizzazione politica, in cui il capo è eletto in base a una investitura, che loro affermano,
divina. Del resto, più o meno, tutte le monarchie ritengono di avere un'investitura divina, anche se
col tempo cercano d'acquisire il consenso popolare. La forma repubblicana di Stato, invece, vede il
potere supremo come espressione della rappresentanza del popolo, tanto è vero che l'Articolo Primo
della Costituzione dice che la sovranità, il potere supremo - Bodin è quello che studiò per primo
l'idea di sovranità nel 1600 -, appartiene al popolo che lo esercita nelle forme previste dalla
Costituzione. Qui il popolo non è una entità amorfa, bensì un'entità fisica che, dal punto di vista
giuridico, diventa titolare del potere supremo che lo esercita nelle forme della democrazia
rappresentativa. Quindi la nostra Costituzione è una Costituzione repubblicana, democratica,
pluralista.
STUDENTESSA: Quali sono i caratteri principali della Carta Costituente?
CAIANIELLO: La nostra Costituzione si divide in tre parti. I Primi Dodici Articoli dicono che la
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme previste dalla Costituzione. Vi è, poi, la
parte riservata ai diritti civili e politici, dove si dice che la libertà degli uomini è un diritto
inviolabile e, infine, la parte dei "principi fondamentali", che riguarda l'organizzazione dello Stato,
quindi il potere legislativo, il potere esecutivo, il potere giudiziario, il Presidente della Repubblica,
la Corte Costituzionale, le Regioni. Tale struttura costituzionale è stata così organizzata per evitare
sia lo stesso soggetto ad applicare una legge, dopo averla approvata. Ciò avviene negli Stati
assoluti, dove è il sovrano a fare le leggi, ad applicarle e a modificarle a suo piacimento. La
divisione dei poteri, invece, fa sì che, una volta fatta la legge, sia un altro soggetto giuridico a
doverla applicare, che non ha il potere di modificarla. Questa armonia d'impostazione conferisce
una visione unitaria a questo documento importante, che è la Costituzione.
STUDENTESSA: Come ha reagito il popolo italiano alla Costituzione del 1948?
CAIANIELLO: Con grande entusiasmo. Il principio di uguaglianza sancito dall'Articolo Tre della
Costituzione, secondo cui i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione alcuna - di
condizioni personali, di sesso, di razza, di religione -, fu immediatamente percepito dagli italiani.
Questo perché erano maturati per quella che noi giuristi chiamiamo "costituzione materiale", ossia
l'affermazione dei valori fondanti di una società. Oltre a questo tipo di uguaglianza, definita
"formale", l'Articolo Tre parla di un'uguaglianza di tipo "sostanziale", secondo cui è compito della
Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono ai cittadini di avere pari dignità sociale.
Dato che gli uomini nascono tutti diversi l'uno dall'altro, la Repubblica deve fare in modo che tutti
possano partire dalla stessa linea di partenza, quindi, se ci sono dei soggetti meno dotati dal punto di
vista fisico, intellettuale ed economico, essi devono essere posti in condizione di poter raggiungere
le stesse mete degli altri, sviluppando le proprie potenzialità. Quando gli italiani apprendono che la
sovranità è del popolo, che ad esso vengono riconosciuti diritti inviolabili e che tutti gli uomini sono
uguali di fronte alla legge, si può immaginare quanto ciò abbia costituito un passo storicamente
importante per il popolo italiano.
STUDENTE: Com'è possibile modificare, tecnicamente, la Costituzione?
CAIANIELLO: Dunque noi abbiamo un Articolo, il 138 della Costituzione, il quale prevede una
procedura rinforzata secondo la quale, chi vuol cambiare la Costituzione, deve presentare un
disegno di legge costituzionale, che deve essere approvato da entrambe le Camere con due
votazioni distinte - quindi quattro votazioni in tutto. Se nella seconda votazione la proposta non
viene approvata con i due terzi dei componenti di ciascuna Camera, essa può essere sottoposta a
referendum dalle forze politiche che non condividono la modifica. Le forze minoritarie, dal canto
loro, possono chiedere un referendum oppositivo per dire: "Noi non lo vogliamo".
STUDENTESSA: Una disposizione transitoria della Costituzione, vieta la ricostituzione del
Partito Fascista. Secondo Lei questa norma è ancora applicata? E, se no, perché?
CAIANIELLO: Innanzitutto, non dimentichiamo che il fascismo ebbe un periodo di consenso
notevole per le grandi riforme sociali di cui oggi noi godiamo come, la previdenza obbligatoria,
l'assistenza, la protezione della madre e del bambino. Tuttavia, tutti i regimi che nascono senza
un'investitura democratica sono destinati a finire e così accadde per il fascismo che, oltretutto, finì
in tragedia, perché, se ci fosse stato un Parlamento, l'Italia non sarebbe entrata in guerra. Fu la
decisione di uno solo che ci trascinò verso il conflitto mondiale, portandoci così al disastro. La
nuova formazione politica, che inizialmente si è ispirata ai principi del fascismo, non solo non fa
propri i principi di quel movimento politico, ma addirittura li rinnega. Essa vive più come fatto
organizzativo che eredita quella struttura. Oggi l'idea di una riaffermazione del fascismo inteso
come Stato totalitario, con un partito unico che impedisce agli altri di esprimere le proprie opinioni,
che rinnega il Parlamento - perché fu abolito il Parlamento - è impensabile. La nostra Costituzione
prevede la libertà di opinione, purché avvenga con forme pacifiche e non con atteggiamenti che
denotano l'aggressività. È questo principio che impedisce al fascismo, così come ad ogni altro
movimento politico totalitario, di riaffermarsi.
Puntata registrata il 12 febbraio 2002
TIPOLOGIA DI TESTO: SAGGIO
LA NASCITA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
RAI TRADE E LA REPUBBLICA
(con allegati due DVD)
INTRODUZIONE DI GUSTAVO ZAGREBELSKY
SESSANT’ANNI DELLA COSTITUZIONE
La Costituzione taglia quest’anno il traguardo dei sessant’anni di vita. Di tutte le costituzioni del
dopoguerra, è la più longeva. Noi ci interroghiamo sulle ragioni di questa durata,che,per una
costituzione, non è certo eccezionale – le costituzioni degne di questo nome aspirano a valere
attraverso le generazioni – ma è certo ragguardevole. Cosi interrogandoci,non possiamo fare a meno
di osservare noi stessi, la società italiana di allora e di adesso. La Costituzione,in un certo senso,è il
nostro specchio, ma uno specchio molto particolare,che,in certe circostanze,riflette ciò che siamo;in
altre,ciò che non siamo,ma vorremmo (più) essere. Immedesimazione, tensione,frustrazione:queste
parole riassumono vicende che la nostra Costituzione ha sperimentato tutte.
L’immedesimazione. Guardando l’allora dell’oggi,noi non possiamo non stupire di fronte a quello
che è stato definito il “miracolo costituente”,la creazione dal quasi -nulla,cioè da rovine e
macerie,di una nuova vita nazionale.
Il popolo italiano,è stato detto,era “sabbia de costituire”. Aveva perduto lo Stato,dissoltosi l’8
settembre. Anche la nazione sembrava perduta. Il nazionalismo fascista,caduto il regime,aveva
lasciato il posto a divisioni e risentimenti:innanzitutto tra fascisti e antifascisti,che si erano
combattuti in una cruenta guerra civile,ma poi anche entro le stesse forze antifasciste.
Era,quest’ultima,l’eredità drammatica di quella “lotta nella lotta” che fu il conflitto di classe,nella
più ampia storia della guerra partigiana di liberazione nazionale.
L’idea o l’ideale nazionale,tuttavia,non erano affatto scomparsi. Si dovrebbero rileggere gli
scritti e i discorsi dei più responsabili tra i dirigenti politici di allora, De Gasperi, Nenni, Togliatti,
per esempio;oppure,quell’altissima e commovente testimonianza di fede nella rinascita di una Patria
italiana,che sono le Lettere dei condannati a morte della Resistenza.
Ma tra l’ideale e la sua realizzazione stava una situazione di fatto avversa:innanzitutto,l’apatia
di molta parte della società italiana che era stata e stava indifferente a guardare e doveva essere
guadagnata al compito storico della ricostruzione morale nazionale. La responsabilità ricadde tutta
intera sui partiti,i soggetti attivi di questa ricostruzione. Tuttavia, venuta meno l’unità antifascista
per cessazione del suo scopo,dopo la Liberazione,essi si trovarono quasi subito divisi da un solco
profondo. I fattori della divisione erano numerosi,di ideologie e di interessi,nonché di atteggiamento
verso la religione e la Chiesa cattolica:motivi diversi che si trovarono a essere,per cosi
dire,organizzati e polarizzati dalla grande divisione postbellica del mondo tra i blocchi capitalista e
comunista. Sconfitti il Fascismo e il Nazismo,la “guerra civile europea”,che aveva dominato la
scena continentale dalla Rivoluzione d’Ottobre in poi,rischiava di proseguire da noi,nella
contrapposizione frontale comunismo-anticomunismo.
Era una condizione del tutto sfavorevole all’opera dell’Assemblea costituente;una condizione
che avrebbe dovuto inclinare al più cupo pessimismo. Come spiegare,allora,il successo? Quale
forza sconfisse le tante ragioni di divisione che avrebbero altrimenti fatto fallire la missione di dare
all’Italia una costituzione,la sua prima costituzione unitariamente e democraticamente deliberata?
La risposta è:soprattutto, la guerra e la pace o,meglio,il ripudio della guerra e l’aspirazione alla
pace. In sei anni di guerra,il continente si era coperto di cinquanta milioni di cadaveri,tra cui più di
sei milioni di ebrei sterminati nei ghetti e nei campi dell’Europa centrale. L’Italia,a questa immane
mattanza,aveva dato il suo contribuito,da aggressore e da vittima,fuori e dentro casa sua. Una
violenza mai vista,che in orrore superava di gran lunga quella della prima Guerra mondiale,si era
abbattuta sulle nostre società,sulla vita delle persone e delle famiglie. Il bisogno di pace e
riconciliazione sarebbe stato frustrato se non fossimo riusciti,innanzitutto tra di noi, e poi tra i
popoli che avevano partecipato alla guerra,a mettere fine alla violenza e a progettare un avvenire
comune. Questo fu l’imperativo dell’Assemblea costituente,tanto più categorico in quanto un suo
fallimento avrebbe inevitabilmente riaperta ferite,rinfocolato odi e risuscitato fazioni. Non si
dimentichi che nel nostro Paese in quegli anni c’era molta violenza,latente ma c’era;armi
sotterrate,da una parte dall’altra,non mancavano. La ripresa della guerra civile,con caratteri
classisti,con le prevedibili disastrose conseguenze anche sugli equilibri internazionali,non era da
escludere.
L’Assemblea costituente ebbe il merito storico di contrastare e vincere questo pericolo. La
Costituzione fu il grande patto stipulato per la pace,non un armistizio in attesa di nuove violenze,ma
un accordo pacificatore che si voleva potesse durare. Quello fu il momento in cui l’aspirazione
profonda del popolo italiano e delle forze politiche,che lo rappresentavano con senso di
responsabilità,si immedesimò pienamente nella Costituzione. La Costituzione come patto,dunque.
In una condizione di pluralismo politico, non poteva essere altrimenti. Ogni semplificazione
unilaterale sarebbe stata un tentativo di imposizione che avrebbe suscitato repulsione e conflitto e
avrebbe significato il fallimento dell’opera costituente. Come ogni patto,anche la Costituzione si
bassa su reciproche rinunce e reciproche concessioni tra le posizioni in campo. La lettura, anche
solo superficiale,del suo testo conferma questo dato,il “compromesso costituzionale”,un dato che fu
rilevato,con opposte valutazioni, fin dal primo momento. Piero Calamandrei denunciò
un’impressione di eterogeneità,contraddizione,confusione e,alla fine,debolezza costituzionale. Si
sarebbe preferito,disse Jemolo, una Costituzione più semplice,breve,lineare. Ma ci fu subito un’altra
interpretazione,espressa cosi da Togliatti davanti alla Assemblea: *Che cos’e un compromesso?
(…) abbiamo cercato di arrivare a un’unità,cioè di individuare quale poteva essere il terreno
comune sul quale potevano confluire correnti ideologiche e politiche diverse,un terreno comune che
fosse abbastanza solido perché si potesse costruire sopra di esso una costituzione,cioè un regime
nuovo,uno Stato nuovo abbastanza ampio per andare al di là anche di quelli che possono essere gli
accordi politici contingenti dei singoli partiti. Se questa confluenza di diverse concezioni su un
terreno ad esse comune volete qualificarlo come “compromesso”,fatelo pure. Per me,si tratta invece
di qualcosa di molto più nobile e elevato,della ricerca di quell’unità che è necessaria per poter fare
la costituzione non dell’uno o dell’altro partito,non dell’una o dell’altra ideologia,ma la costituzione
di tutti i lavoratori italiani,di tutta la nazione*
La Costituzione in tensione. La vita politica, tuttavia,prese una piega della quale la vita della
Costituzione subì le conseguenze. Le divisioni politiche si manifestarono subito,addirittura durante i
lavori della Costituente. Furono però tenute fuori dall’aula dove si lavorava per la
Costituzione,come tutti i testimoni di quell’epoca hanno confermato. Le elezioni politiche
dell’aprile 1948 – dunque a ridosso dell’entrata in vigore della Carta costituzionale – segnarono una
svolta. La Costituzione continuava a rimanere in vigore ma sembrava non rispecchiare più la
geografia politica del Paese. Si disse perfino che la “costituzione materiale” si era ormai
irrimediabilmente distaccata dalla Carta,che il compromesso di cui era espressione non era più
attuale,che la sua base di legittimità era caduta. Una parte delle forze che avevano contribuito a
elaborarla,il blocco socialista e comunista,fu considerato anti-sistema e la Costituzione,che
anch’essa aveva contribuito a elaborare,fu considerata “una trappola”.
La conseguenza fu non l’abrogazione ma la sterilizzazione,il blocco. Sulla Costituzione, in modo
non immediatamente visibile,si giocava una partita decisiva per la connotazione politica del nostro
Paese. Chi,letta la Costituzione,l’avesse confrontata con la realtà,avrebbe dovuto concludere che si
parlava di un altro Paese. In quello reale,il potere era accentrato,mentre in quello virtuale doveva
essere decentrato per mezzo di forti autonomie;in quello reale,il momento politico-governativo
dominava sul resto,mentre in quello virtuale doveva essere bilanciato con la funzione indipendente
della magistratura e con il contrappeso autonomo del Parlamento;in quello reale,i diritti dei cittadini
erano ancora disciplinati dalle norme dei codici e delle leggi di pubblica sicurezza approvati sotto il
Fascismo,mentre in quello virtuale si proclama la libertà della persona umana in tutte le sue
dimensioni,individuali e sociali. In alcuni casi, la paralisi della Costituzione era ottenuta
semplicemente omettendo di approvare le leggi di attuazione;in altri – è il caso dei diritti –
attraverso un’operazione giurisprudenziale della Corte de cassazione che aveva declassato la norme
costituzionali da norme immediatamente operative,cioè da vere norme giuridiche,a semplici
promesse per il futuro che sarebbero diventate effettive solo se e quando il legislatore,cioè la
maggioranza politica,avesse inteso tradurle in pratica.
Ne derivò la conseguenza che la Carta costituzionale,che pur nessuno,o quasi nessuno,contestava
in sé,da luogo dell’unità che era stato,divenne un terreno privilegiato di tensione tra partiti. La sua
attuazione diventata progetto politico di parte,l’opposizione,contro l’immobilismo della
maggioranza,che fu qualificato coll’espressione paradossale di “ostruzionismo della maggioranza”.
L’attuazione della Costituzione sarebbe infatti coincisa con la caduta della divisione pregiudiziali
che,nella sfare politica,ma anche in quella sociale,avevano contrapposto parte e assicurato il
governo dell’un,contro l’atra. Il fallimento della riforma elettorale del 1952-1953 riforma che
l’opposizione bollò come truffaldina perché avrebbe garantito e perpetuato la divisone attraverso un
artificioso “premio” assegnato alla maggioranza – fu l’inizio della fase che venne detta del “disgelo
costituzionale”,coincidente con rapporti politici più collaborativi e fluidi,che permisero di superare
l’immobilismo costituzionale e di iniziare l’opera di attuazione:una “lunga fase”,che si potrebbe
dire non essere conclusa neppure oggi;anzi,forse che non si potrà concludere mai una volta per
tutte,dato il carattere accentuatamente programmatico di molte delle sue norme e della sempre
perfettibile portata dei suoi principi. In tempi anche molto diversi, ma uguali nel manifestare il
nuovo atteggiamento verso la Costituzione,si attuarono le Regioni ordinarie;si riconobbe alla
magistratura il suo stato di “ordine autonomo e indipendente” dagli altri poteri,con la creazione del
suo Consiglio superiore;si promosse la “centralità del Parlamento” entro le istituzioni politiche e si
istituì la Corte costituzionale. Quest’ultima, già con la sua prima sentenza del 1956,fece cadere
quella artificiosa costruzione delle norme programmatiche e la Costituzione dei diritti iniziò a
sciogliere l’autoritarismo che fino ad allora aveva dominato i rapporti tra poteri pubblici e
cittadino. In generale, il nostro Paese si avviava sulla via della democrazia e del
costituzionalismo,con i diritti di libertà e partecipazione politica,la divisione dei poteri e la garanzia
della Costituzione. Anzi,iniziavano a trarsi le conseguenze pratiche di quella apertura sociale della
Costituzione che è il suo caratteristico tratto di giustizia sostanziale,talora imitato in costituzioni di
altri Paesi,compendiato nel secondo comma dell’art.3: “è compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e social,che,limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei
cittadini,impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica,economia e sociale del Paese”. Il lavoro,la sicurezza e la
previdenza sociale,la salute,l’istruzione sono i grandi temi costituzionali degli anni 70’. E bene
menzionarli particolarmente ora,quando le disuguaglianze aumentano e la società ingiusta sembra il
destino di molta parte dei nostri concittadini e delle molte persone che da terre lontane sono spinte
dal bisogno a trasferirsi nelle nostre.
Quelli furono anni di Costituzione fiorente, che dava i suoi frutti. Essa non era più in tensione
perché se ne contestasse l’inattuazione, ma per la regione opposta: perché la si poneva in attuazione.
La sua forza era grande e la si dimostrò nel momento in cui il nostro Paese fu sottoposto alla prova
di terrorismo, affrontata e superata nel nome della Costituzione. Furono respinte le ipotesi di stato
d’eccezione o di sospensione di diritti costituzionali, come pure fu respinta la tentazione della pena
di morte, affacciata al tempo della tragedia Moro. La legislazione di quel tempo d’emergenza, sia
pure con una certa fatica, restò nell’alveo costituzionale e i criminali politici non furono trattati
come nemici in guerra ma, così si doveva, come cittadini delinquenti.
La frustrazione.
Dagli anni ’80 a oggi – un lungo periodo, quindi – la Costituzione vive essendo oggetto di
quotidiano logoramento. Quello che, in origine, si considerava un disegno unitario di vita politica e
sociale, ha iniziato a essere scomposto concettualmente in parti diverse e le si è trattate, ora questa
ora quella, come materia che potesse essere ri-trattabile a seconda delle esigenze del momento:
secondo, diciamo così, opportunità e, qualche volta, opportunismo. Cadeva quello che si disse
essere stato fino ad allora il “tabù costituzionale”, l’intoccabilità della Costituzione. I pochi che,
prima, avevano immaginato cambiamenti erano stati, a loro volta, considerati, dalla communis
opinio politico-costituzionale, degli intoccabili. Iniziava un percorso che sembra oggi concluso con
un rovesciamento: chi non ha almeno una proposta di riforma, è un conservatore fuori tempo. I
risultati, per altro, a onta dei molti sforzi profusi dai riformatori, sono stati, nel complesso,
grandemente deludenti. La Costituzione o ha resistito a chi la voleva cambiare o, dove non ha
resistito, è stata cambiata, per generale riconoscimento, in peggio. Onde, il sentimento di
frustrazione che nasce dallo scarto tra ciò che si vorrebbe e ciò che si riesce a ottenere. A cui si può
aggiungere un altro scarto, assai pericoloso: tra i riformatori stessi e i conservatori costituzionali: i
primi più numerosi del ceto politico, i secondi, tra i cittadini comuni, quelli che, a grande e
inaspettata maggioranza, nell’estate del 2006, ha bocciato la progettata la riforma dell’intera
seconda parte della Costituzione. L’attaccamento dei secondi stride con l’affannarsi dei primi e ciò
sta uno dei non minori motivi di distacco della società civile dalla politica, accusata non del tutto a
torto di avere prescelto la Costituzione capro espiatorio, per dirottare altrove le proprie
insufficienze.
Si iniziò più di venticinque anni fa, con la parola d’ordine della “grande riforma”, la riforma che
avrebbe dovuto spianare la strada alla cosiddetta “seconda repubblica”. Questa espressione
muoveva da una ragione politica. Si trattava di una ridefinizione dei rapporti tra parti, secondo un
progetto su cui non è ora il caso di soffermarsi, i partiti e il quadro politico di allora non esistono
più. La democrazia maggioritaria, di cui si iniziò a parlare allora, mirava sì a rafforzare la funzione
esecutiva, esaltando la posizione del capo del governo con qualche soluzione di tipo presidenziale
che avrebbe depresso la funzione del Parlamento e, in esso, dei partiti politici, a favore di qualche
forma di investitura popolare diretta. Democrazia immediata contro democrazia rappresentativa, e
semplificazione bipolare della vita politica. Con numerose e divergenti proposte, questa prospettiva
è stata coltivata per molti anni, fino a ora, alimentando commissioni parlamentari, dibattiti
scientifici, carriere scientifiche e politiche. Non si è tradotto in pratica costituzionale, ma in pratica
elettorale. Qualcosa di simile a ciò cui aspirano i riformatori costituzionali è stato infatti ottenuto
con le riforme delle leggi elettorali, con risultati discutibili e, sotto certi aspetti, addirittura
pericolosi, poiché le istituzioni di garanzia, pensate per un sistema politico a sfondo proporzionale,
sono deboli di fronte a un sistema a vocazione maggioritaria. Onde, una pericolosa schizofrenia.
Dove, invece, a una riforma costituzionale si è giunti è nel sistema regionale e delle autonomie
locali, una riforma cui non è seguita l’attuazione necessaria ed è stata a sua volta messa sotto
riforma, per le molte sue parti che sono subito apparse abborracciate, inapplicabili e confuse. Anche
in questo caso si è trattato di un proposito di natura politica, che ha assunto le forme costituzionali.
L’idea di un federalismo italiano, all’inizio, era coltivata da una piccola, ma importante forza
politica, per lusingare la quale altre forze, di tradizione rigorosamente unitaria, si sono lasciate
trasportare. Ancora una volta, un uso strumentale della Costituzione, non più sopra, ma sotto le
vicende politiche.
Ciò che colpisce, in generale, è la forza attrattiva delle proposte di riforma costituzionale, una volta
che riescano a prendere piede. Sia la democrazia maggioritaria che il federalismo, all’inizio, erano
la bandiera di piccole forze, ma queste bandiere, a poco a poco, hanno guadagnato spazio e
proseliti. Le proporzioni, tra i pro e i contro, si sono invertite. La maggioranza larghissima è oggi
pro riforma. C’è una logica profonda e naturale in questo mutamento di posizione, quasi una forza
invincibile. Lo sapevano bene gli antichi quando circondavano di cautela non solo le deliberazioni
costituzionali, ma, prima ancora, le proposte di deliberazione costituzionale. La logica è questa: a
ogni opera di costituzionalizzazione segue l’assegnazione di una particolare legittimazione alle
forze che i hanno partecipato, e di delegittimazione alle forze che si sono, o sono state escluse. Il
concetto di “arco costituzionale”, che tanta importanza ha avuto nella storia dei primi decenni della
nostra Repubblica, ne è la dimostrazione lampante. Onde, una gara a star dentro i processi di
riforma, affinché ciò che ne possa venir fuori porti anche il proprio segno.
questo stare tutti dentro, non significava però affatto che il cambiamento della Costituzione ne
risulti facilitato. Al contrario. Tutti stanno dentro, ma con le proprie posizioni e i propri interessi da
far valere. Tutti vogliono cambiare la Costituzione, ma tutti hanno idee diverse su come cambiarle:
il miracolo costituente d’un tempo è difficile che si rinnovi oggi, quando qualsiasi mutamento della
Costituzione si risolve, per gli uni e per gli altri, in un vantaggio o in uno svantaggio, che ciascuno è
in grado di calcolare (magari sbagliando i calcoli, ma non è questo che conta). Manca quell’iniziale
“velo dell’ignoranza” circa la distribuzione dei costi dei benefici che, all’inizio di un’epoca
costituzionale, induce gli attori, ignari in proposito, ad orientarsi secondo idee generali e non
secondo interessi particolari. La riprova sta nel fatto che entrambe le riforme della Costituzione che
abbiamo finora avuto, la prima compiuta (il federalismo) e la seconda abortita (la seconda parte
della Costituzione), non sono state approvate con maggioranze molto più ristrette di quelle
amplissime che, in principio, si dichiaravano favorevoli.
La situazione è, oggi, questa. Tutti, quasi, nel ceto politico, si dichiarano per una riforma, salvo
dissentire su quale riforma. La conseguenza è che la Costituzione è restata in piedi non per adesione
e convinzione, ma per assenza di forza sufficiente a modificarla: una situazione imbarazzante di
logoramento di erosione continua della sua legittimità. È stato così fino a ora, e già si dice che si
proseguirà: si spera, ma con limitate speranze, che si giunga presto al termine di questo tempo di
costituzione sempre da riformare e mai riformata.
E ora? Dopo tanti anni, che cosa possiamo dire della Costituzione che abbiamo, cercando di
guardarla con uno sguardo che mette da parte le vicende politiche in cui è stata coinvolta? Abbiamo
constato, all’inizio, che è nata da un compromesso, un compromesso di quelle forze politiche che
stavano allora nell’Assemblea e che non esistono più nel Parlamento attuale, come non esistono più
alcune ideologie ch’esse rappresentavano. Si è parlato di compromesso tripartito: social-comunista,
democristiano, liberale; altri hanno specificato: bipartito social-comunista e democristiano, ma per
difetto di elaborazione costituzionale delle due parti, con una risultante liberale, assai più radicata
della cultura politica del tempo. In ogni caso, una costituzione segnata profondamente dalla
congiuntura storica. Una costituzione quindi caduca? È così? Di recente, Valerio Onida ha parlato
di “residuo buono” di quel tempo costituente. In effetti, se confrontiamo i contenuti della nostra
Costituzione con quelli delle altre coeve, e poi delle molte che sono seguite in questi decenni; se
confrontiamo la nostra dichiarazione dei diritti con le Carte internazionali che, a partire dalla
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite nel 1948, passando per la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, dal 1950, fino alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
ora inclusa nel trattato di Lisbona, prossimo alla ratifica, ne avvertiamo la perfetta consonanza.
Perfino i rapporti con le istituzioni europee, che in passato si sono ritenute quelle sui quali la
Costituzione si sarebbe dimostrata superata, si sono venuti normalizzando proprio in virtù, e non
contro i suoi principi. La Costituzione è perfettamente in linea con il costituzionalismo
contemporaneo. Anzi è stata ed è una delle fonti di questo movimento che ha assunto ormai una
dimensione cosmopolitica. Il diritto costituzionale, ormai si pratica e si studia al di là delle frontiere
nazionali. I grandi principi costituzionali abbracciano ormai tutto il mondo. I beni che essi
proteggono, come la vita, la dignità delle persone e la loro libertà, l’ambiente, la sopravvivenza
della specie umana, ecc. sono senza confini. La Repubblica è ormai sulla via di una res publica
universalis, in cui la violazione dei suoi beni ha ripercussioni sull’umanità tutta intera. I principi
delle costituzioni nazionali tendono ad avvicinarsi, anche attraverso l’interpretazione delle Corti
costituzionali e supreme, che sempre più intrecciano le loro giurisprudenze.
Dove un’esigenza di rinnovamento è invece avvertita è nell’organizzazione della macchina di
governo, centrale e periferica. Qui, si ritiene, c’è bisogno non di uno stravolgimento ma di un
adeguamento al bisogno crescente di decisioni efficienti. Si è detto giustamente che una democrazia
che non sa decidere si condanna alla subalternità ad altri poteri di fatto, che democratici non sono. Il
rafforzamento dei poteri del governo nel perseguire l’attuazione del suo programma, la
semplificazione e l’alleggerimento della macchina pubblica, la determinazione più chiara dei livelli
di competenze e di responsabilità: tutto questo è da farsi, ma non è la riforma della Costituzione, ne
è l’ordinaria “manutenzione”, secondo l’espressione di Alessandro Pizzorusso.
La crisi della politica che drammaticamente sta davanti a noi, però, non si risolverà così ed un
errore e un inganno attribuirne le cause ai difetti della Costituzione e cercarne le soluzione nella sua
modificazione. C’è un classico e antico quesito, che è utile sempre riproporre, nei momenti di
difficoltà: se, per una buona politica sia più importante una buona costituzione o siano più
importanti uomini buoni. La risposta più convincente mi pare questa; la buona costituzione è
importante, ma non decisiva, perché uomini cattivi possono corrompere la migliore delle
Costituzioni e, al contrario, uomini buoni possono far funzionare accettabilmente anche una
costituzione difettosa. Uomini cattivi, qui significa: incompetenza, presunzione e prepotenza,
mancanza di senso delle proprie funzioni e dei loro limiti, interessi particolari o personali prevalenti
su quelli collettivi, disprezzo delle regole di trasparenza e imparzialità, rapporti di fedeltà e
sudditanza, clientele. Uomini buoni, significa tutto il contrario. La distinzione non passa soltanto
all’interno della cosiddetta classe politica. Attraverso l’intera società. Non c’è un monopolio della
corruzione della politica che riguarda i governi, così come non c’è un monopolio delle virtù
politiche che riguarda i governati. I legami sono stretti, l’intreccio strettissimo, la corruzione è bene
accetta e auspicata e coltiva presso gli uni e presso gli altri, così come accade, al contrario per le
virtù politiche. A questo proposito, la riforma dovrebbe venire prima addirittura della Costituzione:
dovrebbe consistere nel ripristino della più dimenticata delle sue norme, una norma su cui tutto si
regge ed è un’apertura di credito al senso civico e alla moralità politica di cittadini e governanti, non
sostituibili da nessuna norma di diritto, nemmeno di diritto costituzionale: l’art. 54 che, se ci
pensiamo, è la norma fondamentale, sulla quale tutto si regge (o tutto crolla): “tutti i cittadini hanno
il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui
sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore”. La prima
riforma di cui abbiamo bisogno è il rinnovamento civile. La costituzione, senza di ciò, è solo un
falso obiettivo.
TIPOLOGIA DI TESTO: SAGGIO
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
UTET – FONDAZIONE MARIA E GOFFREDO BELLONCI
(Con allegato un DVD)
INTRODUZIONE DI TULLIO DE MAURO
IL LINGUAGGIO DELLA COSTITUZIONE
Un paese devastato dai bombardamenti e dal passaggio di due eserciti, una società ancora umiliata
dalla dittatura fascista e poi lacerata da una guerra civile, miserie materiali e morali incombenti: da
cui prendevano le mosse le riunioni degli Amici della Domenica promosse da Maria e Goffredo
Bellonci, che poi, dal 1946, d’accordo con gli Alberti, sarebbero sfociate nella creazione del Primo
Strega, assegnato anno dopo anno dagli Amici, diventati col tempo oltre quattrocento. L’idea era
quella di ricostruire un tessuto di relazioni civili tra persone attente alla cultura e alla letteratura e di
ricostruirlo attraverso la partecipazione larga di lettrici e lettori appassionati, e non solo scrittrici,
scrittori e poeti già noti e , per dir così, professionali, da Sibilla Aleramo a Paola Masino, da Alberto
Moravia a Carlo Emilio Gadda o Ungaretti e Palazzeschi. E dunque gli Amici chiamavano a
raccolta giornalisti, come Silvio Negro e Ruggiero Orlando o Mario Pannunzio o Panfilo Gentile o
Monelli, critici d’arte e letteratura, da Cesare Brandi a Emilio Cecchi, specie di letterature europee,
come Giovanni Macchia e Mario Praz, Bonaventura Tecchi (anche poeta) e Trompeo, imprenditori,
come Alberti e alcuni editori, gente del cinema e del teatro, come Anna Proclemer o Zavattini,
musicisti come Goffredo Detrassi, artisti come Leoncilo, Guttuso, Maccari. Senza demagogia, si
volevano tuttavia alimentare scelte letterarie costruite nel modo per il possibile più largo e
partecipato. In questo modo, dal loro versante, gli Amici contribuivano a ritessere o, a dirla tutta, a
tessere la trama civile e democratica dell’Italia rimasta in libertà.
Così, fin dai primi passi, vi era una sintonia profonde tra questa capacità di rifiuto e ciò che
avveniva a Montecitorio, dove, eletti a suffragio universale in Assemblea Costituente, 556 deputati
e deputate si incontravano per scrivere insieme gli articoli della Costituzione della Repubblica nata
dal referendum del 2 Giugno 1946. Nel ventennio il regime fascista aveva fatto strame dello stesso
Statuto Albertino. Dopo i tentativi di costituzioni ottocentesche, per la prima volta si trattava di dare
all’Italia intera una costituzione che ne ispirasse e regolasse la vita nella nuova forma statuale
repubblicana. Il 31 Gennaio 1947 una commissione ristretta (ma, si osservi, comunque di ben 75
componenti) aveva già preparato una stesura consegnata all’Assemblea e da sottoporre, come dirò
poi, a una revisione linguistica. Le voci idealmente e politicamente discordi si intrecciarono nei
mesi seguenti; il 22 dicembre 1947 fu approvato il testo definitivi, promulgato il 27 dicembre,
entrato in vigore il 1 gennaio del 1948.
Oggi, a sessant’anni dal primo Premio Strega e dall’avvio dei lavori della Costituente, gli Amici
assegnano un premio speciale alla Costituzione della Repubblica. Le ragioni non sono solo nella
memoria di quella germinale sintonia e nella perdurante consonanza civile e democratica con questa
“Bibbia Laica”, come l’ha chiamata Carlo Arzelio Ciampi. A sessant’anni di distanza appare
sempre più nitido quell’alto valore linguistico della Costituzione italiana, un valore in cui si fece e
ancora si fa concerto, percepibile, attivo, lo spirito democratico che ispira e sorregge le norme. A
intendere ciò occorre collocare quel testo, le sue parole e frasi, in un adeguato orizzonte linguistico
di natura storica e teorica.
Il linguaggio non vive solo di parole. In quanto vive di parole, vive anche della preliminare
selezione delle cose che con esse si vogliono dire, dalla scelta dei destinatari che possono
intenderle, dei rapporti che chi le usa voglia stabilire con questi e voglia che questi stabiliscano con
le cose che si dicono e con chi le dice.
Parlare, insomma, è più che mettere insieme parole. È costruire e proporre (e, prima o poi, è capire)
testi adeguati al contenuto che si vuole e si deve trasmettere a determinati interlocutori in vista di
certe finalità. In altri termini, un testo (una frase, un insieme di frasi) va sempre visto, come
qualunque altro segno di qualunque linguaggio, anche diverso da una lingua storico-naturale, su
quattro dimensioni: (1) la sua composizionalità interna, cioè le sue scelte di regole e forme previste
dal codice di riferimento (è la dimensione sintattica nel senso più rigoroso del termine, inclusiva di
grammatica, sintassi in senso corrente, lessico); (2) il suo organarsi sul piano del significante e delle
sue realizzazioni (è la dimensione fonologica e grafica, nel caso delle lingue, o più genericamente
espressiva); (3) il suo prevedere o favorire o no rapporti con i possibili utenti che lo ricevono (è la
dimensione pragmatica); (4) il suo rapporto con i “sensi”, con i concreti contenuti che la sua
organizzazione di significato può consentire (è la dimensione semantica).
Quando si parla di linguaggio di un testo, l’attrazione è in genere attratta dalla prima dimensione, da
parole e strutture delle frasi. E ciò in certa misura si capisce: la straordinaria complessità dei codicilingue e di una lingua complessa, “antica e nuova” come l’italiana, è tale da rendere l’analisi della
dimensione sintattico-lessicale dei testi e dei discorsi il momento più delicatamente problematico.
Ma non si dovrebbe dimenticare mai che lessico e sintassi non esistono nella loro complessità per sé
ed esistono invece in funzione delle esigenze pragmatiche e semantiche di chi produce e chi si vuole
che riceva e intenda il testo. Del resto, quando la mira ultima di un testo sia quella della agevolezza
della trasmissione dei suoi contenuti, l’esperienza insegna che nei testi tale agevolezza va cercata
anzitutto nella individuazione e nell’ordinamento degli argomenti da trattare. Le parole verranno
poi, come ammoniva un antico, e verranno tanto meglio e tanto più spontaneamente quanto più
nitida è la percezione delle persone cui si vuole parlare e del rapporto che con esse si intende
stabilire.
Questo primato del senso, dalla selezione del senso da trasmettere, sulla sua strumentazione e
orchestrazione in parole dipende anzitutto da proprietà teoriche generali delle parole e delle lingue,
su cui qui non è il caso di insistere se non per dire che, grazie a tali proprietà, possiamo riformulare
in modi innumerevoli non prevedibili a priori un testo che trasmette lo stesso senso. In secondo
luogo, quel primato ci si impone se consideriamo, nel comporre u testo, l’altra faccia della luna,
cioè il versante della sua futura ricezione e comprensione. Al ricettore, perfino allo stesso
osservatore dei fatti di comunicazione e linguistici quando si spoglia dei panni professionali e
diventa una persona normale e non più un semiologo o linguista, un discorso parlato o scritto, un
testo, si offre come una voce o un immagine, un frammento di tempo o do spazio, riempito d’una
voce o di tracce grafiche, che, per lui, sono nient’altro che il trampolino per arrivare, attraverso
l’articolarsi dei contenuti (la dispositio), a trovare il senso,quel che il testo vuole dirgli.
Questa corsa, questo balzo verso il senso ci sono profondamente connaturati: pesano su di noi, nel
renderci naturali e ovvio farli, alcune centinaia di milioni d’anni di esperienza comunicativa della
specie viventi e almeno centomila anni di esperienza comunicativa verbale. Questo fa si che
l’autore imperito di testi, fidando ciecamente in ciò, trascuri quanto vi è di non naturale ma culturale
nell’approntamento di un testo il più idoneo possibile a fare da trampolino per balzare verso il
senso. Ma un testo non può essere detto o scritto il sanscrito per avviare al senso chi non conosce
questa lingua. Una scrittura o una dizione pienamente adeguate sono quelle che non si vedono, che,
per chi le riceve, hanno i colori dell’ovvio, hanno una immediata assoluta trasparenza che permette
di cogliere senza fatica il nucleo essenziale di senso. Dobbiamo badare a molte variabili per arrivare
di volta in volta a scritture e dizioni del genere: che cosa veramente vogliamo dire, in che
condizioni lo diremo o lo stiamo dicendo, chi sono le persone a cui vogliamo dire qualcosa e perché
glielo vogliamo dire, infine quali sono le parole giuste e la voce o l’impaginazione giusta per dirlo.
Un testo parlato face-to-face, vis-à-vis, può permetterci e ci permette di correggere in corso d’opera
errori di valutazione su una qualunque di queste variabili. Invece un parlato registrato o un testo
scritto sono sempre, come una volta fu detto da Elio Vittoriani, “un manoscritto nella bottiglia”:
lanciato lontano da noi, in mare aperto, non vediamo in faccia chi lo leggerà e quando. Dobbiamo
fare ogni sforzo per pre-vederlo.
Questo sforzo è particolarmente necessario (e, nei casi migliori come quello della Costituzione, esso
ci apparirà con evidenza) nei testi a forte polarizzazione pragmatica. Un testo del genere non
informa soltanto, ma orienta e ha una forte componente pragmatica. Esso si differenzia da altri testi
informativi (narrativi, argomentativi, scientifici, cronachisti ecc.) in quanto non si limita a
trasmettere solo notizie su una certa situazione (ciò che i linguistici chiamano un contenuto
referenziale). Coinvolge il destinatario nell’acquisire la conoscenza di un contenuto referenziale,
della cosa di cui il testo intende parlare, ma ciò non ha fini che possono essere e restare di pura
natura conoscitiva. Il testo informativo di servizio mira a trasferire conoscenze al destinatario
perché questi le utilizzi, in tempi definiti, per regolare il suo comportamento pratico.
Vi è un continuum tra i più umili e comuni e diffusi testi di servizio (una bolletta, un avviso al
pubblico) e i testi di istruzione o di norme: dalle istruzioni per la buona installazione e il buon uso
di elettrodomestici a, si parva licet, un testo di legge, testi che informano sì, ma lo fanno col fine di
prescrivere certi comportamenti. Sono testi che ci parlano, ma usano il parlare, ciò che dicono,
come strumento per realizzare fini pratici ulteriori.
Nelle leggi e ancor più nelle formulazioni costituzionali che regolano i comportamenti complessivi
del corpo sociale e la preparazione di future leggi, si accentua ancor di più la componente
pragmatica. Una legge costituzionale mira non solo a regolare in generale un comportamento che
possa aver luogo, ma mira a sollecitare che si attui tale comportamento, implica, comunque sia
formulato, un invito, un ordine: è un testo che, come si dice nelle lingue moderne ricorrendo a due
latinismi tecnici, è suasivo o iussivo, persuade e prescrive.
Ma molti testi di servizio, e le leggi in particolare e una legge costituzionale nel grado più alto, non
hanno natura solo iussiva. Essi collegano la prescrizione a un impegno, esplicito o implicito, di
sanzione positiva o negativa: protezione e appoggio al comportamento prescritto ovvero
proscrizione e condanna dei comportamenti che ostino alla realizzazione dei prescritti. Comunque
formulata, dunque, una norma di legge ha anche in modo saliente una forza sanzionatoria, pratica e
regolativa, beninteso per chi ne conosca la lingua.
La precisazione appena fatta non è del tutto banale. Conoscere una lingua, la lingua in cui un testo è
scritto, non basta per capirlo. Si possono stimare prossime a milioni e milioni di parole apparse non
occasionalmente nei testi di lingue di lunga e complessa tradizione e di largo uso tecnico, colto,
scientifico, come l’inglese o l’italiano, il russo o il giapponese. I dizionari anche più estesi
registrano solo in parte questo sterminato tesoro. Sono centinaia e centinaia di migliaia (ma non
milioni) le parole registrate a lemma in una grande e accurata fonte lessicografica come l’Oxford
English Dictionary. Sono oltre 250.000 i lemmi registrati nel Grande dizionario italiano dell’uso
UTET. Sono 150.000 le parole registrate nel Vocabolario della lingua italiana dell’Istituto
dell’Enciclopedia Italiana. Sono, infine, circa 120.000 le parole registrate in dizionari in un sol
volume come il nostro Zingarelli.
Che cosa sappiamo a mente di questi <<magazzini de dogana>>, come li chiamava il popolo di
Belli? Secondo una rilevazione di qualche anno fa, persone di buona cultura con buone lauree sanno
intendere il significato di circa 60.000-80.000 parole di quelle a lemma nello Zingarelli: al sommo
stanno, mediamente, i laureati in giurisprudenza. Qualche lessicografo esperto che, almeno mentre
attendeva a definirle, le parole dello Zingarelli deve averle conosciute tutte, ne ritiene a mente più di
80.000.
Ci sono dunque anche in un dizionario familiare come lo Zingarelli dal 50 al 35% di parole
sconosciute anche a parlanti esperti. Le percentuali di parole note ai singoli si abbassano se
consideriamo i lemmi del Vo.L.It e diminuiscono fino al 20-25% se guardiamo a grandi fonti
lessicografiche come l’Oxford o il Grande dizionario dell’uso. Crollano sotto il 10% se il sapere
lessicale di persone anche esperte si confronta con l’immenso tesoro delle parole apparse in modo
non occasionale nei testi di una lingua di cultura.
Traiamo da ciò due conseguenze. Scrivere testi farciti di parole incomprensibili anche a persone di
robusta esperienza lessicografica non è segno di grande perizia. Al contrario, è cosa facile e poco
costosa: basta avere sottomano un discreto dizionario, saperlo consultare e “buttare tra i piedi del
lettore” ( diceva Karl Kraus) parole di colore oscuro.
Naturalmente non tutte le parole rarissime sono un inutile lusso. Parecchie, forse tutte, hanno avuto
un giorno o hanno oggi un contesto linguistico e una situazione interattiva in cui sono state e sono
opportunamente adoperabili per farsi capire e capire. Una lingua ci offre sempre risorse per lottare
contro l’inesprimibile, traendolo alla luce della comprensione anche con l’aiuto di parole rare e
poco note, se e quando occorre. L’errore non sta nell’adoperare parole rare o tecniche e poco note,
ma nell’adoperare fuori dei contesti e delle situazioni in cui esse sono opportune, cioè utili più di
altre a trasmettere un dato contenuto a un interlocutore dato. Fuori di questa duplice condizione di
adeguatezza al contenuto e al destinatario, mettere tra i piedi del prossimo le parole che non sa è
(continuando ironicamente Karl Kraus) un segno di cattiva educazione.
Ci imbattiamo qui nella seconda conseguenza che può trarsi nel confronto tra le sterminate risorse
lessicali potenziali di una lingua nella sua interezza e quelle assai più limitate di parlanti anche assai
colti. La seconda conseguenza (finemente già osservata da Giacomo Leopardi) è che, talora anche
in perfetta buona fede, abituati a muoverci entro un certo campo di esperienza con un particolare
bagaglio di parole specifiche, le esportiamo in altri contesti, con estranei a quel campo di esperienza
e di discorsi. IN buona fede, anche in buona fede, ci mostriamo krausianamente maleducati e, in
definitiva, sbadati verso gli altri e perfino sciocchi: come se, andiamo a giocare a tennis, calzassimo
scarponi da montagna o, facendo una nuotata, indossassimo, se maschi, un sobrio gessato o una tuta
da pompiere.
Insomma, il ricchissimo sistema potenziale di una lingua ha molte norme d’uso diversificate a
seconda dei contesti, delle situazioni e degli interlocutori. E una buona educazione linguistica ci
insegna che, scrivendo, non possiamo utilizzare le approssimazioni e improvvisazioni, correggibili
sul campo immediatamente, che possiamo utilizzare nel parlare a faccia a faccia.
Il falegname deve imparare che non può dire al cliente incastro a mortasa, l’ingegnere è inutile che
parli al prossimo generico di nomogrammi ottenuti per anamorfosi, il medico atterrisce se dice al
paziente che praticherà la tricotomia, il linguista dovrebbe avere la cortesia di non parlar in un
quotidiano di semiosi abduttiva, e via specialisteggiando. Tra l risorse per lottare contro
l’inesprimibile che una lingua ci offre ci sono anche a anzitutto le parole della <<lingua di casa>>.
Certo, dice Dante, <<non è impresa da pigliare a gabbo / discriver fondo a tutto l’universo / né da
lingua che chiami mamma e babbo>>. Ma, infine, tante volte ci si è provato e tante volte ci si è
riusciti, dalla Genesi alla Metafisica, al De rerum natura o alla Divina Commedia, dal Dialogo sopra
i massimi sistemi ai tre principi della termodinamica, all’Infinito o alle Ricerche filosofiche.
Appartiene a testi di questa natura la Costituzione italiana. Constateremo più oltre le eccezionalità
di ciò nella nostra tradizione non solo giuridica, ma generalmente intellettuale, specialmente fino ad
anni recentissimi. Cerchiamo ora di dare documento della straordinaria chiarezza del testo della
Costituzione.
Il testo della Costituzione italiana è lungo 9369 parole. Esse sono le repliche, le occorrenze di 1357
lemmi. Di questi, 1002 appartengono al vocabolario di base italiano. Il vocabolario di base è un
insieme di circa 7000 vocaboli costituito: 819 dai 2000 vocaboli di massima frequenza nei testi
scritti e parlati; (2) da altri 3000 vocaboli circa di alta frequenza nello scritto (depurati di parecchie
decine di vocaboli che, statisticamente di alta frequenza nello scritto, risultano però non
comprensibili per più della metà di licenziati dalla media dell’obbligo); (3) da circa 2000 vocaboli,
di bassa frequenza nello scritto e parlato, ma di altissima familiarità. Il vocabolario di base, in
italiano come in ogni altra lingua, è il cuore della immensa massa lessicale: è il nucleo di maggiore
frequenza e familiarità e, quindi, sia detto subito, di massima trasparenza per la comunità dei
parlanti. Ed è anche, nel caso dell’italiano, il cuore storico della lingua: la massima parte d’esso è
già presente nella Commedia di Dante e nel primo Trecento.
Nel lessico della Costituzione soltanto 355 lemmi su 1357 sono estranei al vocabolario di base. Essi
sono invece estratti dalle decine e decine di migliaia di lemmi del vocabolario non di base.
In percentuale il lessico della Costituzione è dato dunque per il 74% dal vocabolario di base e per il
26% dal vocabolario non di base. Si tratta, come vedremo più oltre, di una percentuale altissima di
vocabolario di base rispetto alle consuetudini del corpus legislativo italiano.
Il ruolo del vocabolario di base nella Costituzione acquista ancora più rilievo se dall’inventario del
lessico si passa alla sua messa in opera, al suo sfruttamento nel testo. Lessico di base e lessico non
di base non sono (come in parte è ovvio) equiprobabili. Le parole di base sono enormemente più
frequenti. Di conseguenza il vocabolario di base non copre solo il 74% circa delle occorrenze, ma il
93,13% delle novemila e passa parole ricorrenti nel testo. Solo il 7,87% del testo della Costituzione
è costruito con vocaboli non di base.
Per un testo normativo e, in più, normativo italiano si tratta di una prestazione eccezionale. Ciò
consente di scorgere uno straordinario impegno dei Costituenti nella direzione dello scegliere parole
di massima accessibilità e questo dato già di per sé consente di predire che il testo è dotato di
un’alta leggibilità.
Ciò che intuitivamente chiamiamo leggibilità di un testo è legato a due fattori: la maggiore o minore
presenza da vocabolario di base e la maggiore o minore brevità dei periodi. Del vocabolario di base
abbiamo appena detto. Anche sotto il profilo della brevità delle frasi la Costituzione rivela un non
comune impegno linguistico. La 9396 parole si distribuiscono in 480 periodi, con una media,
dunque, i 19.6 parole per frase. La convergenza presenza dei due fattori (alta percentuale di
vocaboli di base e brevità di periodo) conferiscono al testo della Costituzione un alto livello di
leggibilità.
La leggibilità è solo una precondizione, preziosa, dell’effettiva comprensibilità. In questa
entra in gioco non solo la qualità intrinseca del testo, ma anche la qualità di chi legge o ascolta. Lo
stesso valore intrinseco di leggibilità di un testo dà luogo a diversi gradi di comprensione a seconda
del livello socioculturale degli utenti e del tipo di ricezione (lettura per i testi scritti, ascolto per i
parlati) di cui essi siano capaci. Un testo di comprensione “molto facile” deve avere un indice di
leggibilità di almeno 70 per persone di istruzione mediosuperiore o universitaria (in Italia, nel 1951,
il 4.3% della popolazione, il 33.4% oggi), di almeno 80 per persone con non più che la licenza
media (il 5.9% nel 1951, 30.1 oggi), di almeno 95 per persone con sola licenza elementare (30.6 nel
1951, il 24.4% oggi).
Nessuna parte della risultava Costituzione “molto facile” per nessuno strato delle
popolazione italiana degli anni in cui fu concepita. Si può e si deve dire di più. Si devono evocare
dati che nessuno ama ricordare. Il regime fascista aveva risolto a suo modo il problema delle
dimensioni drammatiche del cronico analfabetismo nazionale: aveva fatto eliminare dai censimenti
ogni domanda sul saper leggere e scrivere. Alla nascente democrazia italiana lasciò in eredità, come
scoprì il censimento del 1951, il 59.2 per cento di ultraquattordicenni senza nessun titolo, nemmeno
la licenza elementare, di cui la maggioranza non esitò a dichiararsi, oggi diremmo ad
autocertificarsi, completamente analfabeta. Il gran lavoro, nascosto e a volte vilipeso della scuola
italiana, soprattutto elementare, ha eroso e poi compreso questa percentuale e la ha ridotta
all’11.1%. Ma torniamo a sessant’anni fa. Era pari al 60% la popolazione italiana cui la
Costituzione, quando fu scritta, non poteva sperare di rivolgersi. Tuttavia si deve anche dire che la
Costituzione seno parla a loro, parla per loro, e anzi, se si bada al comma secondo dell’art. 3 parla
principalmente per loro:assume cioè le differenze di capacità linguistica come uno degli ostacoli
che è “compito” della Repubblica rimuovere.
I testi italiani di qualche estensione che raggiungano un indice di leggibilità di 90 e oltre e
siano quindi “molto facili” per l’intera popolazione con almeno livelli elementari di istruzione, sono
rarissimi. Vi si accostano Lettera a una professoressa degli alunni di don Milani e pochissimi altri,
come il romanzo Teta veleta della compianta Laura Betti, un testo che qui vale solo come esempio,
poiché ovviamente il valore di un testo narrativo letterario non è legato alla sua leggibilità, come
invece è per testi informativi e normativi, tanto più se devono regolare la vita di un’intera comunità,
come le leggi di uno Stato e una costituzione.
Un testo di comprensione “facile” deve avere un indice di leggibilità di almeno 40 per
persone di istruzione mediasuperiore o universitaria, 60 per persone di istruzione medio-inferiore,
80 per persone con sola licenza elementare. Tuttavia anche un testo con indice tra 40 e 60 risulta
ben comprensibile se è oggetto di una lettura assistita, per esempio di una lettura guidata e
accompagnata da un insegnante, a persone con istruzione medio-inferiore e perfino elementare. La
Costituzione era dunque in grado di risultare “facile” per il 4.4% della popolazione del 1951, ed è
“facile” oggi per il 33.4% della popolazione, cioè per le quote di laureati e diplomati
mediosuperiori. Ma poteva essere oggetto di una non difficile lettura “assistita” allora per un altro
36.4%della popolazione del 1951, così come lo è oggi per un altro 55.5% della popolazione.
Riassumendo per questa parte, col suo indice di leggibilità pari a 50, la Costituzione fu ed è
un testo capace di raggiungere, sia con una lettura assistita e spiegata, tutta la popolazione con
almeno la licenza elementare, cioè, nei nostri anni, quasi il 90% della popolazione. Essa potè o,
meglio, avrebbe potuto raggiungere, negli anni in cui fu scritta, il 41.8 della popolazione non
analfabeta all’interno di queste quote, durante mezzo secolo percentuali crescenti della popolazione
hanno potuto accostarsi ad essa come ad un testo “facile” e addirittura “molto facile”, anche fuori di
ogni lettura assistita.
Non vi è testo legislativo italiano che possa vantare una caratteristica di così larga
accessibilità. E nella stessa saggistica informativa, anche in quella curata dal punto di vista della
leggibilità (tali furono i “Libri di base” degli Editori Riuniti tra 1980 e 1989), gli indici della
leggibilità si collocano poco sopra 40 e soltanto raramente raggiungono 50 o indici superiori.
Con l’ultima considerazione il discorso si è venuto sensibilmente spostando. Dal considerare
le proprietà della leggibilità della Costituzione in rapporto agli utenti siamo passati al confronto tra
la leggibilità della Costituzione e quella degli altri testi.
Non occorre sottolineare l’eccezionalità linguistica della Costituzione rispetto alla frustante
il leggibilità del corpus legislativo italiano. In questo sono uguali leggi con 120, 180 parole per
periodo e si rammenterà che invece, come si è detto, il limite per una buona leggibilità è di venti, al
massimo venticinque parole per frase. Inoltre nel complesso delle nostre leggi è assai più ampia la
presenza del vocabolario non di base, incluse sigle o abbreviazioni di oscura comprensibilità perfino
per addetti ai lavori. Nel 1997 l’Istituto per la Documentazione Giuridica del CNR ha messo a
disposizione (a cura di Paola Mariani Bigini) un prezioso indice lessicale cumulativo di oltre cento
testi della produzione legislativa italiana. Un sondaggio su quelli dell’Italia unita anteriori o
posteriori alla Costituzione consente di affermare che la percentuale del vocabolario di base non
supera, se va bene, il 40% del lessico delle leggi e che, correlativamente, il vocabolario non di base
ingombra, da accisa a nave ro-ro e franchigia d’invarianza, in genere senza alcuna spiegazione
contestuale, più del 60% dello stesso lessico. Siamo agli antipodi dal 74% di lemmi di base che
caratterizza il lessico della Costituzione.
L’attenzione dei costituenti per la limpidezza e accessibilità delle norme costituzionali si tradusse
anche nell’incarico di revisione affidato a Pietro Pancrazi. Toscano, giornalista e saggista, critico
militante d’ispirazione crociana e studioso, tra i primi, della letteratura a lui coeva, oggi lo diremmo
in gergo accademico un “contemporaneista”, collaboratore, con Raffaele Mattioli e Alfredo
Schiaffini, nella costruzione del progetto “Letteratura italiana. Storia e testi.” della casa editrice
Ricciardi, Pancrazi fu chiamato a rivedere il testo della Costituzione elaborato dalla Commissione
dei 75 e consegnato all’Assemblea il 31 gennaio 1947. L’esame di una “tripla” (testo dei 75, testo
Pancrazi, testo definitivo) consente alcune osservazioni.
Nel corso del 1947 il testo dei 75 fu sottoposto a un’accurata revisione concettuale e a un
rimaneggiamento che migliorarono sensibilmente l’insieme del testo nella direzione di
un’accresciuta nitidezza. Nei confronti di tali ben più sostanziali interventi, quelli di Pancrazi sono
limitati, e probabilmente non poteva che essere cosi.
In parte i suggerimenti di Pancrazi mirano a migliorare la scorrevolezza grammaticale del testo, e
sono allora senz’altro accolti. Casi tipici sono l’una opportunamente inserito nell’art.I (“L’Italia è
Repubblica democratica” del primo testo emendato da Pancrazi in “l’Italia è una Repubblica
democratica” e l’emendamento resta nella stesura definitiva) o il loro suggerito e conservato nel
terzo comma dell’art. 8 (“I loro rapporti ecc.”).
Altri interventi riguardano il vocabolario scelto.
Qui il vaglio dei suggerimenti pancraziani è stato più severo. È vero che nell’art.13, comma terzo, è
accettato il suggerimento di sostituire prendere misure con adottare provvedimenti o nell’art.34 un
iniziale e sfocato “La Repubblica assicura l’esercizio di questo diritto” è corretto, con Pancrazi, in
“rende effettivo questo diritto”. Ma in altri casi il suggerimento è lasciato cadere: non si accettano
ad esempio previa intesa in luogo di sulla base di intese (art.8), un assai aulicheggiante
addivengano d’accordo in luogo di un (bilateralmente) accettate (ivi), un dimorare per soggiornare
(art.16) ecc. In più d’un caso, oltre i già visti, Pancrazi suggerisce varianti lessicali auliche: il caso
più tipico è, nell’attuale art.3, secondo comma, la proposta di sostituire compito con ufficio. Ma la
proposta di Pancrazi è più estesa e sottile: gli ostacoli… che limitano del testo proposto e poi
conservato diventa per Pancrazi un elegante congiuntivo d’eventualità, gli ostacoli… che
impediscano; i costituenti salvano il vocabolo impedire, ma salvano anche il netto e solenne
indicativo constatativo e riformulano, come si ricorda:
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli [...] che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana ecc.”.
Pancrazi non era un linguista. Non lo era per il bene e per il men bene. Non lo era per il bene.
Non apparteneva cioè a quella corporazione di cui un eminente rappresentante ha detto: “I
linguistici sono quelli che conoscono male varie lingue, e usano mediocremente la propria”. E non
lo era per il men bene: non disponeva degli strumenti analitici per controllare oggettivamente il
grado di attendibilità e trasparenza d’un’espressione. Non disponeva di essi, che in buona parte, dal
Dizionario Enciclopedico Italiano dell’Enciclopedia Italiana al Grande Dizionario della Lingua
Italiana di Salvatore Battaglia e ai lessici di frequenza, non esistevano ancora; e, seppure fossero
esistiti, forse egli, letterato e non filologo e tanto meno linguista, avrebbe avuto difficoltà a
adoperare tecnicamente. Aveva invece vivo e profondo senso di stile. E ciò che forse era una virtù
gli rese difficile entrare in piena sintonia con la scelta di fondo dei costituenti. Questa, come si è
cercato di mostrare, è stata riuscire a scrivere un testo caratterizzato dalla brevità e linearità del
periodo e dalla maggior trasparenza lessicale possibile. Erano e restano scelte inusuali nelle leggi,
ma non comuni in genere nell’intera produzione intellettuale italiana, malata nel vocabolario di quel
malanno che Antonio Gramsci chiamava “neolalismo” e nel periodare sedotta dalle frasi lunghe e
complicate.
Una controprova della constatazione precedente si ha se si guarda a distanza più ravvicinata la parte
di vocabolario della Costituzione estranea al vocabolario di base. Essa è costituita per la maggior
parte di vocaboli del “ vocabolario comune”, cioè del vocabolario noto alle persone di istruzione
mediosuperiore indipendentemente dal corso degli studi e dall’attività professionale. Tra gli oltre
trecento di cui si è detto , sono rari i verba iuris ,i vocaboli che per essere rettamente intesi
richiedono il possesso di una competenza giuridica non ovvia o la consuetudine con norme, leggi e
linguaggio burocratico e amministrativo. I pochi tecnicismi giuridici in ordine di frequenza
decrescente sono : giurisdizione e giurisdizionale, promulgare e promulgazione, indire, legittimità,
comma, indulto, ratificare, avocare, competere “ appartenere”, demandare, demanio, dicastero,
erariale, equipollente, gravame, lacuale, revoca, sancire. Gli altri trecento vocaboli non di base
sono tutti tratti dal vocabolario comune: costituzionale, giudiziario, legislativo, motivare, tutelare,
elettivo, limitazione, pubblicazione, revisione, violazione, adempimento, emanare, inviolabile,
nomina…
Nel 1988 Mario Lodi ha pubblicato per gli editori Manzuoli e Marietti una riscrittura del testo
costituzionale, Costituzione ragazzi. La riscrittura è stata una vera e propria lettura “assistita“ del
testo, rielaborato, profondamente nelle formulazioni perché anche a bambine e bambini delle scuole
elementari ne fosse immediatamente chiare il senso. Di qui l’interesse di constatare che anche in
questa profonda revisione sono stati conservati in parte i vocaboli non di base presenti nel testo:
cosi
dicastero, giurisdizione, indennità, pubblicazione.
La rinuncia ai verba iuris, ai tecnicismi del linguaggio giuridico e amministrativo, non toglie forza
alla normazione costituzionale. Al contrario, la nettezza perentoria delle affermazioni, la loro
trasparenza e accessibilità sono tali da riverberarsi positivamente sulle altre leggi e norme. La sua
giuridicità sta proprio in questa efficacia garantita dalla sua nitidezza. Caso non isolato.
Come si sa, le discipline più dure e autenticamente scientifiche si servono solo parcamente di
termini inconsueti. La fisica teorica è in ciò esemplare. Essa non soffre del neolalismo di tanta
saggistica e pubblicistica, non si ammanta di tecnicismi ermetici come troppe scienze deboli. I
principi della termodinamica rappresentano il cuore della fisica e si esprimono in parole di assoluta
banalità. La loro scientificità sta non nella ricercatezza delle parole ma nel potente raccordo con le
osservazioni misurabili e ripetibili da cui nascono, nelle procedure e nuove esperienze che avviano.
E qualcosa di simile può dirsi del testo della Costituzione, nato non solo retoricamente dalla
Resistenza e dalla storia dell’Italia civile e destinato a operare a lungo nella interpretazione delle
leggi esistenti e, augurabilmente, nella redazione delle nuove.
Col distacco del tempo, vediamo così i costituenti partecipare da protagonisti e perfino anticipare un
processo che già attraversa la storia linguistica dell’Italia postunitaria e che, interrottosi in età
fascista, si riavvia poi nell’Italia della Repubblica. Di pari passo con il prima lento poi, più di
recente, impetuoso sforzo di appropriazione della lingua nazionale, la prosa letteraria e colta dei più
sensibili e vigili e la stessa poesia si fanno sempre più attente a schiavare aulicismi e parole fuori
corso e a recuperare nel secolare patrimonio linguistico italiano le forme, i costrutti, le parole
meglio radicate nell’uso vivo e comune.
Come abbiamo detto, quel processo ha talora stentato e stenta a investire il linguaggio delle leggi e
della politica. E non per caso, a metà del primo cinquantennio repubblicano, Pier Paolo Pasolini ha
potuto e dovuto resuscitare la metafora del palazzo che già fu di Francesco Guicciardini (Ricordi,
141): “Spesso tra ’l palazzo e la piazza è una nebbia sì folta, e un muro sì grosso, che non vi
penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quel che fa chi governa, o della ragione
perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India; e perciò si empie facilmente el mondo di opinioni
erronee e vane”. Forse nessun testo legislativo, e pochi testi politici rilevanti, hanno avuto forza di
spazzar via la nebbia, di rompere il “muro sì grosso” come le novemila parole della Costituzione.
Parole di tutti e per tutti, un termine alto di quella via vichiana che dalle sacrali lingue dei soli
potenti porta verso “la Lingua Umana per voci convenute da’ popoli, propia delle Repubbliche
popolari (...); perché i popoli dieno i sensi alle leggi, a’ quali debbano stare con la plebe anco i
Nobili”.
ISTITUTO TECNICO STATALE “G. PIOVENE”
1948 – 2008: SCUOLA E COSTITUZIONE
A cura del prof. Zanna Michele per il Dipartimento di Lettere
I PRIMI SESSANT’ANNI DELLA COSTITUZIONE
ALLEGATI:
COSTITUZIONE E RAGAZZI:
TESTO “TRADOTTO” IN VOCABOLARIO DI BASE
DAI RAGAZZI COORDINATI DA MARIO LODI
TESTI RELATIVI AGLI DI ESAMI DI STATO:
TIPOLOGIA “B” – AMBITO STORICO POLITICO
COSTITUZIONE E RAGAZZI
Testo scritto dai ragazzi coodinati da Mario Lodi *
PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
L’Italia è una Repubblica democratica: il popolo sceglie chi deve fare le leggi e governare.
È fondata su lavoro: tutti hanno il diritto e il dovere di lavorare.
Art. 2.
La repubblica difende i diritti di tutti i cittadini che fanno qualche attività, da soli o insieme ad altri.
Art. 3.
Tutti i cittadini, compresi i bambini, devono essere rispettati. La legge li deve trattare allo stesso
modo, non importa se parlano lingue diverse, credono in Dio o no, sono ricchi o poveri, maschi o
femmine, di razza bianca o nera o gialle o di altro colore, di idee politiche diverse.
I cittadini che non possono essere liberi o non possono vivere come gli altri perché sono poveri o
vivono in condizioni difficili, devono essere aiutati.
La Repubblica deve eliminare le cause della loro inferiorità in modo che possano partecipare alla
vita sociale come gli altri.
Art. 4.
Tutti hanno il diritto di lavorare. La Repubblica deve fare in modo che ci sia lavoro per tutti. Ogni
cittadino ha diritto di scegliere il lavoro che riesce a fare meglio e che piace di più, in modo da dare
un contributo al progresso della società.
Art. 5.
La Repubblica è un unico Stato, però dà alle Regioni, alle Province e ai Comuni la possibilità di
usare i soldi provenienti dalle tasse per il bene di tutti.
Art. 6.
I gruppi che parlano una lingua diversa dall’italiano e vivono nel territorio della Repubblica sono
rispettati e difesi con leggi fatte apposta.
Art. 7.
Lo Stato della Città del Vaticano, dove risiede il Papa, capo dei cattolici di tutto il mondo, non
dipende dallo Stato italiano ma ha le sue leggi, la sua moneta, la sua bandiera. Stato e Chiese, nei
loro territori, sono indipendenti. C’è però un accordo, detto Patti Lateranensi, che regola i loro
rapporti e stabilisce come risolvere alcuni problemi particolari: l’insegnamento della religione nelle
scuole statali, il servizio militare dei sacerdoti e altri.
Art. 8.
In Italia possono vivere liberamente i fedeli di ogni religione: cattolici, protestanti, buddisti, ebrei,
musulmani ecc. purché rispettino le leggi dello Stato italiano. Essi possono organizzarsi secondo le
proprie regole.
Art. 9.
La Repubblica aiuta la diffusione della cultura, la ricerca scientifica e tecnica.
Difende il paesaggio naturale perché non sia rovinato da costruzioni abusive o brutte. Difende i
monumenti storici sparsi un po’ dovunque (palazzi, piazze, strade, opere d’arte) perché restino
come erano stati costruiti e, se sono rovinati, ne favorisce il restauro. Impedisce costruzioni e
demolizioni che rovinano le bellezze di luoghi storici importanti.
Art. 10.
Lo straniero che nel suo Paese non è più libero, perché il Governo gli impedisce di esprimere
liberamente il proprio pensiero, ha diritto di asilo politico, cioè di essere ospitato,in Italia.
Se uno Stato straniero chiede che un suo cittadino ospite per asilo politico venga rimandato in patria
perché accusato di reati politici, la Repubblica italiana non può accontentare la richiesta.
Art. 11.
L’Italia non può iniziare una guerra, contro offesa contro altri popoli. I contrasti con altri governi
devono essere risolti con metodi pacifici: incontri, discussioni, accorsi, trattati.
L’Italia deve sempre fare di tutto perché sia assicurata la pace e la giustizia tra le Nazioni.
Art. 12.
La bandiera italiana della Repubblica è il tricolore italiano:verde, bianco e rosso, a tre bande
verticali di uguali dimensioni.
Parte I
DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
Titolo I – Rapporti civili
Art. 13.
La libertà personale e inviolabile. Nessuno può essere perseguito o rinchiuso in prigione senza un
ordine scritto del giudice (autorità giudiziaria). Chi è arrestato, anche per gravi resati, non può
essere picchiato né costretto a parlare con violenze fisiche e morali. Se dopo un certo periodo,
stabilito dalla legge, non risultano prove per fare il processo, il detenuto deve essere liberato.
Art. 14.
Nessuno può entrare in casa nostra senza il nostro consenso.
La polizia può farlo ma solo nei casi e nei modo stabiliti dalla legge, per eseguire ispezioni o
perquisizioni.
Art. 15.
La corrispondenza e ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili: nessuno può aprire le
nostre lettere o ascoltare le nostre telefonate. Solo il giudice, per motivi molto seri, può ordinarlo di
farlo.
Art. 16.
Ogni cittadino può andare liberamente in qualsiasi Paese, città o luogo italiano, e può restarvi finché
vuole.
Ogni cittadino è libero di andare all’estero e di rientrare in patria.
Art. 17.
I cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente per incontri, assemblee, convegni, feste, purché
senz’armi.
Art. 18.
Tutti i cittadini possono fare liberamente, senza chiedere alcun permesso, di gruppi, associazioni,
partiti politici.
Sono proibiti proibite solo le associazioni segrete e quelle di carattere militare che hanno fini
politici: i cambiamenti devono avvenire solo con mezzi pacifici, e cioè con la propaganda e con il
voto.
Art. 19-20
Tutti hanno il diritto di professare la loro fede religiosa in qualsiasi forma, da soli o insieme ad altri,
e di fare propaganda per la loro religione.
Art. 21.
Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione, cominciando dalla scuola.
La legge vieta soltanto i giornali e gli spettacoli contrari al buon costume.
Art. 24.
Tutti possono rivolgersi al giudice per difendersi contro chi minaccia i propri diritti e propri
interessi.
Chi è povero e non può pagare le spese del processo, può avere gratuitamente gli avvocati che lo
difendono.
Se i giudici commettono un errore e condannano una persona innocente, la legge prescrive in che
modo può essere riparato l’errore.
Art. 27.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non devono essere
disumane, ma devono cercare di rieducare il condannato. La pena di morte è proibita. È ammessa
solo in guerra, nei casi previsti dalla legge militare.
Art. 28.
I dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici non possono impedire ai cittadini un loro diritto. so lo
fanno, sono responsabili personalmente e vengono puniti.
Titolo II – Rapporti etico-sociali
Art. 29.
La famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio.
Nel matrimonio l’uomo e la donna hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri.
Art. 30.
I genitori devono mantenere, istruire ed educare i figli, anche quella che sono nati fuori matrimonio.
Art. 31.
La Repubblica aiuta la formazione della famiglia, sia economicamente che con altri mezzi. Aiuta
anche famiglie numerose.
Protegge la maternità, cioè la donna durante la gravidanza, assicurandole il posto di lavoro,
evitandole i lavori pesanti e nocivi e garantendole l’assistenza sanitaria.
Protegge l’infanzia e la gioventù, con assegni alle donne non sposate che hanno figli, e ospitando in
appositi istituti i bambini orfani e abbandonati.
Art. 32.
La salute è un diritto di ogni individuo e tutta la società. Per questo la Repubblica garantisce le cure
gratuite a chi è povero.
La persona umana deve essere rispettata: nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario
contro la sua volontà.
Art. 33.
L’arte e la scienza sono libere. Ogni artista, ogni scienziato può dedicarsi alle sue ricerche in
assoluta libertà. Libero è anche l’insegnamento.
La Repubblica istituisce a sue spese le scuole statali per ogni genere e grado. Enti e privati possono
aprire scuole e istituti, ma senza ricevere soldi dallo Stato. Le scuole private parificate devono dare
ai loro alunni un’istruzione uguale a quella degli alunni delle scuole statali. Lo Stato controlla che
ciò avvenga con gli esami.
Le Università e le Accademie possono darsi ordinamenti autonomi, rispettando però le leggi dello
Stato.
Art. 34.
La scuola è aperta a tutti, nessuno può essere rifiutato. L’istruzione inferiore è di 8 anni. Essa è
obbligatoria per tutti i bambini e gratuita. Gli alunni più bravi, anche se figli di famiglie povere,
hanno il diritto di continuare gli studi fino ai gradi più grandi. La Repubblica li deve aiutare con
borse di studio, assegni alle famiglie e altri interventi che sono attribuiti per concorso.
Titolo III – Rapporti economici
Art. 35.
La Repubblica difende ogni tipo di lavoro. Aiuta i lavoratori a imparare bene il loro mestiere.
I lavoratori possono andare a lavorare all’estero e la Repubblica li deve aiutare facendo accordi con
gli stati stranieri.
Art. 36.
Chi lavora deve essere pagato secondo le ore e il lavoro che fa e in ogni casa con una paga
sufficiente per vivere bene.
La giornata lavorativa è di 8 ore. Si deve fare un giorno di riposo nella settimana e una vacanza
(ferie) pagata e obbligatoria ogni anno.
Art. 37.
La donna che lavora come l’uomo ha gli stessi diritti e la stessa paga. La donna che ha un bambino
non può essere licenziata e deve avere il tempo per curarlo, per questo riceve la paga anche quando
sta a casa. La legge dice che non si può andare a lavorare prima dei 15 anni.
Art. 38.
Chi non può lavorare perché è minorato o si è fatto male o è malato o invalido o anziano o
disoccupato non di sua volontà, deve essere assistito perché possa vivere come tutti gli altri.
Gli inabili e i minorati hanno il diritto di essere istruiti e di imparare un lavoro adatto a loro.
Art. 39.
I lavoratori possono riunirsi in associazioni (sindacati) per proporre, chiedere e firmare contratti di
lavoro. I contratti firmati dai sindacati valgono per tutti i lavoratori della stessa categoria.
Art. 40.
Lo sciopero è un diritto dei lavoratori, ma deve essere fatto rispettando la legge. Per esempio non si
può fare violenza a chi non sciopera, né contro i lavoratori e l’azienda.
Art. 41.
Tutti possono, privatamente, aprire una fabbrica, tenere un’azienda agricola o fare qualsiasi altra
attività economica per guadagnare. Però l’attività privata non deve essere in contrasto con gli
interessi di tutti: non deve inquinare l’ambiente, non deve mettere in pericolo la salute e la sicurezza
di tutti e deve rispettare le leggi sul lavoro.
Art. 42.
Tutto quello che esiste (le case, la terra…) è di proprietà pubblica o privata. La proprietà privata è
riconosciuta e garantita dalla legge e può essere trasmessa ai figli, agli altri parenti e ad altre
persone o enti in eredità. Sulla eredità lo Stato esige il pagamento di diritti, stabiliti dalla legge.
La proprietà dei privati, in certi casi, può essere espropriata dal Comune o dallo Stato per fare le
opere di interesse generale, come: quartieri nuovi, palestre e campi sportivi, strade e ferrovie ecc. in
questo caso viene pagato al proprietario il valore del territorio.
Art. 45.
La Repubblica deve favorire la cooperazione, cioè l’associazione delle persone che, senza fini di
speculazione, vogliono raggiungere fini sociali: acquistare un terreno per costruirvi le proprie case,
acquistare e vendere merci ai soci (cooperative di consumo), mettersi insieme per lavorare
(cooperative di lavoro) ecc.
La legge aiuta le cooperative che hanno questi fini.
La Repubblica difende e aiuta anche gli artigiani.
Art. 46.
I lavoratori possono collaborare alla gestione delle aziende, nei modi stabiliti dalla legge.
Art. 47.
La Repubblica incoraggia e difende il risparmio in tutte le sue forme:quello dei bambini e dei
giovani che affidano alla banca o all’ufficio postale i loro piccoli risparmi, quello delle famiglie che
vogliono costruirsi la casa, degli agricoltori che lavorano direttamente la loro terra, di chiunque
intende investirlo nella azioni delle grandi società produttive.
Titolo IV – Rapporti politici
Art. 48.
Possono votare tutti i cittadini maggiorenni, uomini e donne. Il voto è personale, libero e segreto.
Votare è un dovere. Sono esclusi dal voto gli incapaci ad intendere, i condannati con sentenza
penale, e quelli che per gravi motivi sono stati dichiarati indegni moralmente di partecipare alle
votazioni.
Art. 49
Tutti i cittadini possono associarsi liberamente in partiti politici. I partiti, presentando i loro
programmi e i loro candidati, contribuiscono a determinare la politica nazionale.
Art. 50.
Tutti i cittadini possono chiedere, con petizioni (cioè domande risolte ai parlamenti) di approvare
leggi e risolvere problemi di interesse generale.
Art. 51.
Chi viene eletto nelle amministrazioni pubbliche (Comune, Provincia, Regione, Parlamento, ecc.)
ha il diritto di avere il tempo necessario per svolgere il suo dovere come sevizio per la comunità,
senza perdere il posto di lavoro.
Art. 52.
Se la Patria è attaccata da un esercito straniero, i cittadini in grado di farlo hanno il dovere di
difenderla. Il servizio militare è obbligatorio. Chi è chiamato a fare il soldato non perde il posto di
lavoro. I soldati hanno diritto di votare. L’organizzazione e le norme delle forze armate devono
essere in accordo con i principi della Costituzione.
Art. 53.
Tutti devono pagare le tasse secondo le loro possibilità: meno i poveri e più i ricchi, nella giusta
proporzione.
Art. 54.
Tutti i cittadini italiani, anche il più umile, devono essere fedeli alla Repubblica osservando la
Costituzione e le altre leggi.
Parte II
ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
Titolo I – Il parlamento
Sezione I – Le Camere
Art. 55.
Il Parlamento è formato dalla camera dei deputati e del Senato.
Art. 56.
La Camera dei deputati è formata de 630 deputati elletti direttamente da tutti i cittadini elettori con
il voto.
Possono essere eletti come cittadini che hanno almeno 25 anni.
Il numero dei deputati che vengono eletti in una zona è in proporzione alla popolazione.
Art. 57.
Il Senato è composto da 315 senatori. Ogni regione ha almeno 7 senatori, tranne Molise che ne ha
due e la Val d’Aosta che ne ha uno.
La riparazione dei senatori viene fatta in proporzione alla popolazione di ogni regione.
Art. 58.
I senatori sono eletti direttamente dagli elettori che hanno almeno 25 anni. Si può essere eletti
senatore se si hanno almeno 40 anni d’età.
Art. 59.
Chi è stato Presidente della Repubblica ha diritto ad essere senatore a vita, salvo rinuncia.
Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno onorato
l’Italia per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.
Art. 60.
Camera dei deputati e Senato sono eletti per cinque anni. Solo in caso di guerra possono durare di
più.
Art. 63.
Ciascuna Camera elegga il proprio Presidente.
Art. 64.
Ciascuna Camera ha un proprio regolamento. Alle sedute può assistere il pubblico, tranne quando
sono segrete. Le decisioni sono valide se è presente la maggioranza dei componenti.
Art. 65.
Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere.
Art. 67.
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione e non solo i cittadini che lo hanno eletto.
Art. 68.
I membri del Parlamento non possono essere denunciati e condannati per quello che dicono durante
le sedute, e per il modo in cui votano. Nessun membro del Parlamento può essere arrestato,
giudicato, perquisito, senza l’autorizzazione della Camera cui appartiene.
Art. 69.
I deputati e i senatori ricevono una paga (indennità).
Sezione II – La formazione delle leggi
Art. 70.
Le leggi sono discusse e approvate dalle due Camere.
Art. 71.
La proposta di fare nuove leggi può venire del Governo, da ciascun deputato o senatore, dal popolo
stesso o da alcuni enti particolari.
Se viene dal popolo, il progetto di legge deve essere accompagnato da almeno 50.000 firme di
cittadini elettori.
Art. 72.
Ogni disegno le legge presentato a una Camera, viene prima esaminato da una Commissione e poi
dalla Camera stessa. La Camera lo approva articolo per articolo e con votazione finale.
Art. 75.
Il popolo può annullare (abrogare) una legge, tutta o in parte, col referendum popolare. Il
referendum deve essere chiesto da almeno 500.000alettori o da 5 consigli Regionali.
Il referendum è valido se ha avuto la maggioranza degli elettori (oltre il 50%) ed è stata raggiunta la
maggioranza dei voti espressi. Non si può fare il referendum per leggi che riguardano le tasse, il
bilancio, l’amnistia ai carcerati, i trattati internazionali.
Art. 78.
La guerra deve essere deliberata dalle Camere, che danno al Governo i poteri necessari.
Art. 79.
Il Presidente della Repubblica, per incarico delle Camere, può concedere l’amnistia e l’indulto, cioè
ridurre o annullare la pena di chi è stato condannato.
Titolo II – Il Presidente della Repubblica
Art. 83.
Il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune, cioè con i deputati e i
senatori insieme. Partecipano alla votazione anche tre consiglieri per ogni regione. Per essere eletto
deve ottenere i due terzi dei voti dell’assemblea. Dopo la terza votazione è sufficiente la
maggioranza assoluta, cioè più del 50% dei voti.
Il voto è segreto.
Art. 84.
Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto 50 anni. Chi è
eletto Presidente non può avere nessuna altra carica. Anche il Presidente riceve un compenso.
Art. 85-86-87.
Il Presidente della repubblica è eletto per sette anni. In caso di malattia o assenza per altro motivo,
lo sostituisce il Presidente del Senato.
Il Presidente della Repubblica rappresenta l’Italia. Può inviare messaggi alle camere e al popolo. I
suoi compito sono:
indire le elezioni delle nuove Camere. Autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge
preparati dal Governo. Indire i referendum popolari. Nominare i funzionari dello Stato. Ricevere i
rappresentanti delle altre Nazioni. Ratificare i trattati internazionali. Ha il comando delle forze
armate e dichiara lo stato di guerra. Può concedere la garanzia ai condannati e può commutare le
pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica a chi si è distinto nei vari campi.
Art. 88.
Il Presidente della Repubblica può sciogliere una o tutte e due le Camere, cioè mandare a casa i
deputati e i senatori. Prima di farlo deve consultare i Presidenti delle Camere. Non può sciogliere le
Camere negli ultimi sei mesi del suo incarico.
Art. 89.
Gli atti del Presidente della Repubblica devono essere firmati anche dai ministri che li hanno
proposti e che assumono la responsabilità. Gli atti che riguardano le leggi devono essere firmati
anche dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Art.90.
Il Presidente della Repubblica può essere accusato dal Parlamento solo per alto tradimento o per
attentato alla Costituzione.
Art. 91.
Il Presidente della Repubblica appena eletto giura, davanti al Parlamento riunito in seduta comune,
di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione.
Titolo III – Il Governo
Sezione I – Il Consiglio dei Ministri
Art. 92-93-94-95.
Per dirigere la vita di una Nazione occorre un Governo.
Il Governo si forma così: il Presidente della Repubblica, dopo aver sentito i consigli di persone
autorevoli (ex presidenti, capi dei partiti politici, ecc.) affida l’incarico di formare il Governo e un
uomo politico. L’incaricato parla con gli altri uomini politici e insieme a loro prepara un
programma e sceglie gli uomini che faranno i ministri, cioè che si occuperanno dei diversi problemi
dello Stato (come la scuola, il bilancio, la difesa, la sanità, i trasporti, l’ambiente, il commercio, il
lavoro ecc.).
Il Presidente del Consiglio incaricato e i suoi ministri vanno dal Presidente della Repubblica e
davanti a lui giurano di essere fedeli alla repubblica e di osservare la Costituzione.
Poi il Governo si presenta alle Camere per avere la fiducia e il Presidente del Consiglio fa un
discorso per spiegare che cosa il Governo vuole fare.
I deputati e i senatori lo ascoltano, poi dicono quello che pensano del programma, e alla fine votano
si o no. Se la maggioranza vota si, il Governo ha la fiducia e può incominciare a lavorare.
Altrimenti tutto ricomincia da capo: il Presidente della Repubblica dà l’incarico a un altro e
ricomincia il lavoro.
Ogni ministro si occupa del suo settore (dicastero). Il Presidente del Consiglio fa in modo che tutti i
ministri rispettino il programma e non decidano cose in contrasto, perché lui è il responsabile della
politica generale del Governo. Le decisioni del Governo vengono prese del Consiglio dei Ministri.
Art. 96.
Il Presidente del Consiglio e i ministri possono essere accusati dai deputati e dai senatori, riuniti in
seduta comune, se commettono reati svolgendo il loro incarico.
Sezione II – La Pubblica Amministrazione
Art.97-98
Lo Stato deve essere organizzato in modo da avere gli uffici pubblici che funzionano bene, al
servizio di tutti i cittadini.
I servizi sono le Poste, le Ferrovie, la Scuola, ecc.
Ogni servizio pubblico ha funzionari responsabili e impiegati che svolgono il lavoro ad essi
affidato.
Per essere assunti come funzionari o impiegati si deve fare un concorso. Gli impiegati degli uffici
pubblici sono al servizio della Nazione, cioè di tutti i cittadini che hanno bisogno del loro lavoro.
Sezione III – Gli organi ausiliari
Art. 99-100.
La pubblica amministrazione è controllata dal Consiglio di Stato, per verificare se funziona
regolarmente.
La Corte dei Conti invece verifica gli atti del Governo e controlla che ci sia il denaro per ciò che il
Governo stesso si è proposto di fare. Controlla anche se i soldi del bilancio dello Stato sono stati
usati come era scritto nel bilancio stesso. E controlla anche quelli Enti che ricevono contributi dallo
Stato, per sapere come è stato usato il denaro ricevuto.
I risultati dei controlli li riferisce direttamente alle Camere.
Il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, per poter fare i loro controlli in assoluta libertà, sono
indipendenti del Governo.
Titolo IV – La Magistratura
Sezione I – Ordinamento giurisdizionale
Sezione II – Norme sulla giurisdizione
Art. dal 101 al 113.
Il lavoro della Magistratura consiste nel punire che non rispetta le leggi.
Essa agisce in nome del popolo.
La Magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. I giudici sono sottoposti
solo al Consiglio Superiore della Magistratura,che è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è
formato per due terzi da magistrati eletti dai colleghi e per il resto da avvocati e professori scelti dal
Parlamento. Gli eletti non possono esercitare la loro professione né essere deputati, senatori o
consiglieri regionali.
Il Consiglio Superore della Magistratura assume i magistrati (per concorso), assegna a ciascuno la
sede, li trasferisce secondo le necessità, li promuove e , quando è necessario, li punisce se non
hanno fatto il loro dovere.
Solo il Consiglio Superiore della Magistratura può rimuovere un magistrato o sospenderlo dal
servizio.
Il Ministero della Giustizia può denunciare il magistrato, ma il giudizio viene espresso solo dal
Consiglio Superiore.
L’autorità giudiziaria ha al suo servizio la polizia giudiziaria per le perquisizioni, le indagini, gli
arresti. Ma ogni azione della polizia deve avere un ordine motivato.
I cittadini che si sentono ingiustamente condannati possono far ricorso in Cassazione per violazione
della legge.
Titolo V – Le Regioni, le Province, i Comuni
Art. 114.
Il territorio della Repubblica è diviso in regioni, Province e Comuni.
Art. 115.
La regioni hanno un proprio Consiglio e un proprio potere, ma devono agire rispettando i principi
della Costituzione, che valgono per tutti.
Art. 116.
Alcune ragioni hanno statuti speciali, hanno cioè particolari forma di autonomia. Sono: Sicilia,
Sardegna, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e valle d’Aosta.
Art. 117.
La Regione può fare leggi, che non siano però in contrasto con l’interesse delle altre Regioni e dello
Stato, in queste materie: polizia cittadina e rurale, mercati e fiere, assistenza sanitaria e ospedali,
corsi regionali per lavoratori, biblioteche e musei, urbanistica, turismo e industria alberghiera, linee
automobilistiche e tranviarie, vie, acquedotti, navigazione dei laghi e dei fiumi, acque minerali e
terme, cave, caccia, pesca, agricoltura e foreste, artigianato, ecc.
Art 118-119.
La Regione, per le sue opere, usa i soldi che riceve dallo Stato, e dalle tasse che essa impone, a
seconda dei suoi bisogni.
Alcune Regioni, in particolare del Sud, ricevono dallo Stato contributi speciale per risolvere
problemi locali.
Art. 120.
La regione non può istituire tasse sulle merci e sulle persone che circolano fra le Regioni diverse e
non può impedire a chiunque di andare a lavorare o a risiedere in qualsiasi luogo del territorio
nazionale.
Art. 121.
Il Parlamento della Regione è il Consiglio regionale, eletto dai cittadini. Il Governo regionale è la
Giunta, diretta dal Presidente, che segue le direttive del consiglio che l’ha nominata.
La Regione può presentare proposte di legge al Parlamento.
Art.122.
Nessuno può appartenere contemporaneamente al Consiglio regionale e a una della due Camere de
Parlamento o ad un altro Consiglio Regionale.
Art. 123.
Ogni Regione ha uno statuto che stabilisce le norme per l’organizzazione interna. Fra le norme c’è
anche quella che regola il diritto di referendum su leggi della Regione. Col referendum i cittadini
della Regione possono annullarne una.
Art. 124-125-127.
Il lavoro del Consiglio regionale e della Giustizia viene controllato del Governo statale per mezzo
di un Commissari che risiede nel capoluogo della Regione. Se qualche deliberazione non è in regola
con le leggi della Repubblica, il Commissario può far riesaminare la decisione e farla annullare.
Art. 126.
Il Consiglio regionale può essere sciolto qualcuno compie atti che sono contrari alla Costituzione,
compie gravi violazioni della legge, o quando no è più in grado di funzionare perché molti
consiglieri si sono dimessi. Allora viene nominata una Commissione di tre cittadini che prepara le
nuove elezioni entro tre mesi.
Art. 128-129-130.
La Regione è ripartita in Province e Comuni. Questi enti sono autonomi nel prendere le decisioni
per risolvere i loro problemi, ma sempre rispettando le leggi della Repubblica.
Ciò che fanno le Province e i Comuni è controllato dalla Regione, che può non approvare certe
decisioni e farle discutere di nuovo.
Art. 131.
Le Regioni sono venti. Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, FriuliVenezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Tosana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzi, Molise,
Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.
Art. 132-133.
Si possono unire Regioni esistenti e farne una nuova, oppure di nuove purché abbiano almeno un
milione di abitanti. Per fare questo ci deve essere la richiesta di tanti Consigli comunali che,
insieme, rappresentino almeno un terzo della popolazioni interessate. La proposta deve poi essere
approvata con referendum si può decidere di staccare Province e Comuni da una Regione e
aggregarli a un’altra.
La Regione può istituire nuovi Comuni, dopo aver sentito le popolazioni interessate.
Titolo VI – Garanzie costituzionali
Sezione I – La Corte costituzionale
Art. 135.
La corte Costituzionale è composta da 15 giudici: 5 vendono nominati dal Presidente della
Repubblica, 5 dal Parlamento e 5 dalla Magistratura. Restano in carica 9 anni e non possono essere
nominati un’altra volta, dopo la scadenza.
Il Giudice della Corte no può essere membro del Parlamento o di un Consiglio Regionale, non può
esercitare la professione di avvocato o avere altri impieghi.
Quando la Corte Costituzionale deve giudicare il Presidente della Repubblica o i Ministri, oltre ai
giudici della Corte vengono chiamati anche 16 membri sorteggiati da un elenco di cittadini che
viene compilato dal Parlamento ogni 9 anni.
Art. 134.
La Corte Costituzionale giudica se lo Stato e le Regioni, in qualsiasi materia, hanno giustamente
interpretato le leggi; stabilisce che ha il potere di decidere, in particolari casi, tra Stato e Regioni;
giudica se le accuse contro il Presidente della Repubblica e i Ministri sono fondate.
Art. 136-137
Se la Corte Costituzionale dichiara che una legge o una deliberazione è in contrasto con la
Costituzione, esse non ha più valore dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.
Contro le decisioni della Corte Costituzionale non è ammesso fare ricorso.
Il suo giudizio è perciò definitivo e inappellabile.
Sezione II – Revisione della Costituzione
Leggi costituzionali.
Art. 138.
La Costituzione può essere modificata. La revisione deve essere approvata da ciascuna Camera due
volte a distanza di almeno tre mesi.
Le leggi sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne
fanno domanda: un quinto dei membri di una Camera, oppure 500.000 elettori, o 5 Consigli
regionali.
Art. 139.
La forma repubblicana non può essere cambiata: il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica,
avvenuto nel 1946, è definitivo.
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
XII
È vietata la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista.
XIII
I membri e i discendenti da Casa Savoia non possono votare, né avere incarichi in uffici pubblici, né
essere eletti per ricoprire cariche pubbliche.
Agli ex re di Casa Savoia, alle loro mogli e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il
soggiorno nel territorio nazionale.
I beni e le proprietà degli ex re di Casa Savoia, delle loro mogli e die discendenti maschi, sono
proprietà dello Stato.
XIV
I titoli nobiliari non sono riconosciuti.
* Testo edito nel 1988 dalla casa editrice Marietti-Manzuoli
TIPOLOGIA “B”: AMBITO STORICO E POLITICO. ANNO SCOLASTICO: 2007/2008
ARGOMENTO: 60 anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione. Un bilancio dei suoi
valori attuali e del suo rapporto con la società italiana.
DOCUMENTI
“Ma fu significativo dell’ampiezza di consensi raggiunta dall’impostazione programmatica della
costituzione il fatto che un grande giurista membro del partito d’Azione, Piero Calamandrei, che poi
all’elaborazione del testo costituzionale dette un contributo assai rilevante, dichiarasse di essere
stato convinto dall’argomento di Togliatti che i costituenti dovevano fare, secondo i versi danteschi,
«come quei che va di notte, / che porta il lume dietro e a sé non giova, / ma dopo sé fa le persone
dotte.”
E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale, in “Storia d’Italia”, vol. IV, Einaudi, Torino, 1976
“Preme ora mettere in rilievo un aspetto determinato, relativo a quella problematica del «nucleo
fondamentale» della costituzione. È certamente degno di nota il fatto che quella
problematica…torni a riaffermarsi con forza. Alla dottrina del «nucleo fondamentale» ha fatto
ricorso anche la nostra Corte costituzionale, indicando la presenza nella nostra costituzione di
«alcuni principî supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto
essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali»; si tratta di
«principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al
procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si
fonda la costituzione italiana.”
M. FIORAVANTI, Le dottrine dello Stato e della costituzione, in “Storia dello Stato italiano
dall’unità a oggi”, Roma, 1995
“Proprio sul terreno delle libertà e dei diritti, infatti, l’innovazione costituzionale è grande, così
come è profondo il mutamento degli strumenti che devono garantirne l’attuazione. Non vi è soltanto
una restaurazione piena dei diritti di libertà, e un allargamento del loro catalogo. Cambia
radicalmente la scala dei valori di riferimento, dalla quale scompare proprio quello storicamente
fondativo, la proprietà, trasferita nella parte dei rapporti economici, spogliata dell’attributo della
inviolabilità, posta in relazione con l’interesse sociale (art. 42.).”
S. RODOTÀ, La libertà e i diritti, in “Storia dello Stato italiano dall’unità a oggi”, Roma, 1995
“ La Costituzione - soprattutto nella prima parte - ha una forte ispirazione internazionalistica e può
contare su un maggior numero di norme relative ai rapporti internazionali rispetto allo Statuto
Albertino…Si guarda con grande interesse a organizzazioni come le Nazioni Unite…Si ribadisce
con forza la volontà pacifista di un popolo costretto, suo malgrado, a entrare nel vortice di una
guerra non voluta e ancora sconvolto dalle conseguenze devastanti della sconfitta bellica.
In questo contesto nasce il famoso articolo 11 della Costituzione che proclama solennemente il
ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali” e stabilisce, al tempo stesso, che l’Italia “consente, in
condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali
rivolte a tale scopo.”
G. MAMMARELLA-P. CACACE, La politica estera dell’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2006
“La carta costituzionale è estesa, cioè ampia e per quanto possibile dettagliata nelle sue prescrizioni.
Una caratteristica innovativa, questa, espressamente voluta dai costituenti. Altre costituzioni, quella
statunitense per esempio (7 Articoli più 27 Emendamenti), sono meno ampie perché si limitano a
dare indicazioni di massima ai legislatori e ai giudici. La costituzione italiana, pur non essendo tra
le più lunghe (ve ne sono anche con più di trecento articoli come quella indiana), consta di 139
articoli, più diciotto disposizioni finali….L’innovazione rappresentata dall’estensività della
costituzione non consiste solo nel fatto che è più “lunga”. Consiste piuttosto nel tentativo di
regolare in dettaglio il maggior numero di aspetti possibili. È frutto di una scelta precisa dei
costituenti l’avere per esempio elencati uno per uno i diritti inviolabili dell’individuo, quando
sarebbe bastato l’art. 2 che recita: “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
P. CASTAGNETTI, La costituzione italiana tra prima e seconda repubblica, Bologna, 1995
“In primo luogo, come, cosa doveva essere la costituzione? La costituzione della repubblica
democratica italiana doveva essere una costituzione programmatica, cioè un insieme di regole
fondamentali precise e valide immediatamente, ma anche un programma di sviluppo, un insieme di
direttive per la riforma della società, da realizzare gradualmente nel tempo. Per esempio la
costituzione doveva garantire al massimo diritti e doveri dei cittadini e, contemporaneamente,
impegnarsi a rendere concreti dei veri e propri diritti sociali, assolutamente nuovi nella storia
italiana e piuttosto recenti nella storia costituzionale contemporanea europea.”
P. CASTAGNETTI, ibidem, Bologna, 1995
“La ricorrenza del 60° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione ci sollecita a un grande
impegno comune per porre in piena luce i principi e i valori attorno ai quali si è venuta radicando e
consolidando l’adesione di grandi masse di cittadini di ogni provenienza sociale e di ogni
ascendenza ideologica o culturale al patto fondativo della nostra vita democratica. Quei principi
vanno quotidianamente rivissuti e concretamente riaffermati: e, ben più di quanto non accada oggi,
vanno coltivati i valori – anche e innanzitutto morali – che si esprimono nei diritti e nei doveri
sanciti dalla Costituzione. Nei doveri non meno che nei diritti. Doveri, a cominciare da quelli
“inderogabili” di solidarietà politica, economica e sociale, che debbono essere sollecitati da leggi e
da scelte di governo, ma debbono ancor più tradursi in comportamenti individuali e collettivi.”
Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella seduta comune del Parlamento
in occasione della celebrazione del 60° anniversario della Costituzione, 23 gennaio 2008
TIPOLOGIA “B”: AMBITO STORICO E POLITICO. ANNO SCOLASTICO: 2006/2007
ARGOMENTO: La nascita della Costituzione repubblicana: il laborioso cammino
dalla dittatura ad una partecipazione politica compiuta nell’Italia democratica.
DOCUMENTI
«Il fascismo aveva condotto il paese alla catastrofe, come gli antifascisti avevano previsto.
Ma la resistenza, contrariamente alle loro speranze, non fu una palingenesi. Non occorsero
molti mesi...per accorgersi che il fascismo, nonostante la guerra sanguinosa che aveva
scatenato, era stato una lunga parentesi, chiusa la quale la storia sarebbe cominciata più o
meno al punto in cui la parentesi era stata aperta…La Resistenza non fu una rivoluzione e
tanto meno la tanto attesa rivoluzione italiana: rappresentò puramente e semplicemente la
fine violenta del fascismo e servì a costruire più rapidamente il ponte tra l’età postfascista e
l’età prefascista, a ristabilire la continuità tra l’Italia di ieri e quella di domani.»
N. BOBBIO, Profilo ideologico del Novecento, Milano, 1993
«…Lo Statuto albertino fu fatto in un mese, dal 3 febbraio al 4 marzo 1848…fu una carta
elargita da un sovrano il quale sapeva fino a che punto voleva arrivare; i suoi collaboratori,
coloro che furono incaricati da lui di redigere quello Statuto, sapevano perfettamente quello
che il sovrano voleva: non avevano da far altro che tradurre in articoli di legge le istruzioni
già dosate da quell’unica volontà di cui lo Statuto doveva essere espressione… invece qui, in
questa assemblea, non c’è una sola volontà, ma centinaia di libere volontà, raggruppate in
diecine di tendenze, le quali non sono d’accordo su quello che debba essere in molti punti il
contenuto di questa nostra carta costituzionale; sicché essere riusciti, nonostante questo, a
mettere insieme, dopo otto mesi di lavoro assiduo e diligente, questo progetto, è già una
grande prova, molto superiore a quella che fu data dai collaboratori di Carlo Alberto, in quel
mese di lavoro semplice e tranquillo...È molto semplice, quando è avvenuto un
rinnovamento fondamentale, una rivoluzione, insomma, di carattere sociale, in cui le nuove
istituzioni sociali vivono già nella realtà, in cui la nuova classe dirigente è già al suo posto,
prendere atto di questa realtà e tradurre in formule giuridiche questa realtà… Noi invece ci
troviamo qui non ad un epilogo, ma ad un inizio. La nostra rivoluzione ha fatto una sola
tappa, che è quella della repubblica; ma il resto è tutto da fare, è tutto nell’avvenire.»
P. CALAMANDREI, Discorso all’ Assemblea Costituente del 4 marzo 1947
«Nel corso del dibattito per la elaborazione della costituzione fu assai discusso il problema
del rapporto che sarebbe dovuto intercorrere tra la nuova carta costituzionale e la società
italiana:… da varie parti venne sottolineato come le nuove costituzioni tendano a codificare
gli effetti di profondi sconvolgimenti sociali, generalmente conseguenti a rivoluzioni e come
questo non fosse il caso dell’Italia postbellica. In tali condizioni, la costituzione non poteva
non avere un carattere composito ed eterogeneo ed anche, per taluni aspetti, necessariamente
programmatico… la più importante novità dell’Italia repubblicana rispetto a tutta la
precedente storia unitaria consist(e) proprio nell’accordo su di un metodo di lotta politica e
su alcuni principî generali, riassumibili nell’antifascismo, tra i partiti, e in modo particolare
tra i partiti di massa. Ed è all’interno di questo quadro che dovranno essere viste non solo le
trasformazioni strutturali veramente imponenti della società italiana nel secondo dopoguerra,
ma anche la crescita civile realizzata attraverso la partecipazione dei cittadini, in quanto
lavoratori, alla formazione della volontà generale.»
E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale, in “Storia d’Italia”, Einaudi, Vol. IV***,
Torino, 1972
«Nell’Italia del dopoguerra non vi erano le premesse reali di una democrazia fondata sulle
autonomie e su un diffuso autogoverno; le intuizioni acute e generose in questo senso di
ristrette élites intellettuali e politiche non potevano certo riempire il vuoto di una evoluzione
secolare di segno opposto. Le ricerche fatte sull’area culturale liberal-democratica sono
molto esplicite nel riconoscere il carattere élitario e perfino accademico di quegli apporti,
per giunta profondamente divisi fra tradizioni diverse;…Oggi avvertiamo che la società
politica è più ampia e più ricca della società partitica: avvertiamo che le grandi
manifestazioni che riempiono le piazze, in cui si realizza ancora il magico rapporto di
immedesimazione delle grandi masse con i capi carismatici – i capi e non più il capo, per
fortuna – non esauriscono la domanda di partecipazione politica di cui il paese è capace…
La partecipazione delle classi lavoratrici alla vita dello Stato, che è condizione essenziale
della democrazia, non si esprime meccanicamente e stabilmente nei governi di unità
popolare:… può benissimo esprimersi nelle forme dell’alternanza classica al potere di partiti
che rappresentino forze sociali e tradizioni diverse. Ma le condizioni di questa alternanza in
Italia non c’erano prima del fascismo e non sono state create nel breve periodo della
collaborazione dei partiti antifascisti:…Non si può dunque considerare l’esito della fase
costituente, per quanto riguarda gli equilibri politici, come la realizzazione di un modello.»
P. SCOPPOLA, Gli anni della Costituente, fra politica e storia, Bologna, 1980
«Se seguiamo il cammino percorso dai diritti di libertà, dalle prime «dichiarazioni»
americane e francesi, fino alle formulazioni legislative ch’essi hanno avuto nelle più recenti
costituzioni europee, assistiamo a un processo graduale di arricchimento e di specificazione
di queste libertà: la tendenza della personalità umana ad espandersi nella vita politica, che
inizialmente sembrava soddisfatta da poche libertà essenziali, sente il bisogno di conquistare
sempre nuove libertà o di precisare sempre meglio quelle già ottenute, via via che le forze
sociali oppongono in nuove direzioni nuovi ostacoli alla sua espansione. L’elenco dei diritti
di libertà è pertanto un elenco aperto… Il cammino dei diritti di libertà si identifica col
cammino della civiltà. Come è potuto dunque avvenire che questo movimento secolare di
arricchimento spirituale della persona umana, e insieme di partecipazione sempre più attiva
del cittadino alla vita sociale, abbia subìto nell’ultimo ventennio, più che un arresto, un
brusco regresso, proprio quando pareva che alla fine della prima guerra mondiale esso
avesse conquistato il mondo?»
P. CALAMANDREI, Costruire la democrazia. Premesse alla Costituente, Firenze, ottobre
1945
TIPOLOGIA “B”: AMBITO STORICO E POLITICO. ANNO SCOLASTICO: 2003/2004
ARGOMENTO: Una Costituzione democratica per una Federazione Europea.
DOCUMENTI
1.- Scheda: I 15 Capi di Stato e di Governo, riuniti a Laeken nel dicembre 2001, hanno istituito una
Convenzione (quasi una Costituente) di 105 membri titolari (di cui 12 italiani), un centinaio di
supplenti e 13 osservatori per redigere una bozza di Carta costituzionale europea. Iniziata il 28
febbraio 2002, la Carta è stata sottoposta alla discussione della Conferenza intergovernativa (Cig)
nell'ottobre 2003, senza ottenerne l'approvazione per divergenze di vedute sul sistema di voto, sul
ruolo del presidente del Consiglio europeo e del ministro degli esteri, sulla difesa, sulla
composizione della Commissione (cons. dei ministri dell'UE), sul governo dell'economia. Le oltre
60 domande poste alla Convenzione si possono riassumere in quattro macro-questioni:




1. Ripartizione delle competenze tra UE e gli Stati membri;
2. Semplificazione dei Trattati;
3. Statuto della Carta dei Diritti fondamentali;
4. Ruolo dei Parlamenti nazionali all'interno della Federazione Europea.
Opinioni critiche a confronto:
"Il contesto politico in cui si sono svolti i lavori della Convenzione - freddezza della maggioranza
dei governi degli Stati membri verso il progetto europeista; gelosia dei paesi candidati per la
riacquistata sovranità; diffidenze derivanti dalle confliggenti posizioni sull'Iraq - non ha certamente
favorito l'elaborazione di soluzioni inequivocabilmente favorevoli al progresso e
all'approfondimento dell'integrazione. Non deve dunque stupire, alla luce della temperie del
momento, che la limitazione delle competenze dell'Unione sia una delle preoccupazioni principali
cui il progetto di Costituzione risulta informato".
V. RANDAZZO, Quali indicazioni dal progetto di Costituzione?, in "Il Pensiero Mazziniano", n. 4,
2003
"Si profila, allora, una Costituzione "vera"? Con le sue istituzioni intrecciate con quelle degli Stati
Nazionali; con un sistema di diritti e di loro garanzie, a fruizione comune (e duale) dei cittadini
europei; con un sistema di legittimazioni interdipendenti dall'ultimo comune delle Gallie alla RomaBruxelles del Senato-Parlamento europeo; con una Corte di giustizia che esercita giurisdizione da
"Stato costituzionale"? Si può dire che sia Costituzione vera nel senso che l'Unione Europea,
superando i sogni dei federalisti, non partecipa del fenomeno "unione di Stati" ma di quello, ben più
invasivo, di unione di Costituzioni che si comunicano reciprocamente legittimità, attraverso il
diritto e attraverso canali differenziati ma interdipendenti con i popoli-popolo europeo. C'è, anzi,
qualcosa di più: la possibile configurazione delle istituzioni dell'Unione come istituzioni di garanzia
reciproca fra le costituzioni europee (quelle di ciascuno Stato membro e quella dell'Unione). Non vi
può essere, infatti, solitudine per la Costituzione europea in gestazione. Essa nascerà già inserita in
un blocco di costituzionalità che comprende le Costituzioni nazionali degli Stati membri."
A. MANZELLA, Dalla Convenzione alla Costituzione, in "Il Mulino", n. 409, 5/2003
"Il merito della Convenzione fu di navigare abilmente controcorrente. Il progetto attribuisce
all'Europa una personalità giuridica, rafforza il concetto di cittadinanza europea, estende i poteri del
Parlamento, prolunga il mandato del presidente di turno, crea un ministro degli Esteri, restringe il
diritto di veto dei Paesi membri, introduce il criterio democratico della doppia maggioranza (Stati e
popolazione), suggerisce l'itinerario per ulteriori progressi. Ma il 'salto di qualità' federale non c'è
stato. Per alcune questioni fondamentali (esteri, difesa, fisco) vale ancora il principio dell'unanimità,
sinonimo d'impotenza.[…] Vi è spazio per qualche decisivo miglioramento? La risposta, purtroppo,
è no".
S. ROMANO, L'Italia tra ambizioni e realismo, in CORRIERE DELLA SERA, 3/10/2003
Preambolo della Costituzione EU: "La nostra Costituzione si chiama democrazia perché il potere
non è nelle mani dei pochi, ma dei più". Eliminando il riferimento al 'primato della ragione' e alla
'tradizione illuministica', parimenti non si è voluto inserire un esplicito riferimento alle 'radici
cristiane' dell'Europa, come avrebbe voluto il Papa Giovanni Paolo II ["L'Europa o è cristiana o non
è Europa"], in considerazione delle diverse culture religiose europee. A questo proposito è stato
scritto che tale richiesta "…non si presenta infatti come un voler privilegiare la religione cristiana a
discapito di altre religioni oggi presenti nel territorio europeo, ma [come un voler far] lievitare
quell'umanesimo europeo formatosi tramite l'inculturazione cristiana dell'Europa, che fu fenomeno
di massa dei popoli insediati su tale territorio.[…] L'inserimento nella Nuova Costituzione Europea
del riferimento alle radici cristiane significherebbe, ancora una volta, tener conto della gente, di
tutta la gente e non soltanto di una nuova classe di élites intellettuali".
V. GROSSI, Il riferimento alle radici cristiane…, in L'OSSERVATORE ROMANO, 2/10/2003
"Nella bozza costituzionale, da un lato è cruciale 'il principio di un'economia di mercato aperta e in
libera concorrenza', in un'ottica che è sempre stata essenzialmente presente nell'Unione fin dal suo
esordio nel Trattato di Roma del 1957, istitutivo della CEE, dall'altro lato è centrale il 'valore' della
'solidarietà', solo recentemente assurto nell'Unione allo stesso, massimo, grado di importanza della
libertà, l'uguaglianza, la tolleranza o la giustizia, cui è perfino dedicato l'intero Titolo IV della Carta
dei Diritti Fondamentali.[…] La bozza costituzionale definisce i limiti e i modi dell'azione pubblica
nel sistema economico, ispirandosi al principio, introdotto con il Trattato di Maastricht, di
'sussidiarietà', oltre che di 'proporzionalità'[…]: in presenza di fallimenti del mercato, laddove quelli
della Pubblica Amministrazione non siano ancora maggiori, questa deve intervenire per correggerli
[…] o per contrastarli.[…] E' palesemente debole la coerenza interna della bozza costituzionale,
laddove pone le politiche dell'occupazione fra quelle di mero coordinamento attraverso 'indirizzi di
massima' da parte dell'Unione".
F. KOSTORIS PADOA SCHIOPPA, Efficienza e solidarietà, in IL SOLE 24 ORE, 5/10/2003
TIPOLOGIA “B”: AMBITO STORICO E POLITICO. ANNO SCOLASTICO: 2001/2002
ARGOMENTO: La memoria storica tra custodia del passato e progetto per il futuro
DOCUMENTI
"Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi; salta intorno,
mangia, digerisce, salta di nuovo, e così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato
brevemente con il suo piacere e con il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell'attimo e perciò né
triste né annoiato ... L'uomo chiese una volta all'animale: Perché mi guardi soltanto senza parlarmi
della tua felicità? L'animale voleva rispondere e dire: Ciò avviene perché dimentico subito quello
che volevo dire - ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque; così l'uomo se ne meravigliò.
Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre
attaccato al passato: per quanto lontano egli vada e per quanto velocemente, la catena lo
accompagna. È un prodigio: l'attimo, in un lampo, è presente, in un lampo è passato, prima un
niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e turba la pace di un istante successivo.
Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via - e improvvisamente rivola
indietro, in grembo all'uomo. Allora l'uomo dice 'mi ricordo'."
F. NIETZSCHE, Considerazioni inattuali - Sull'utilità e il danno della storia per la vita, 1884
"La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l'esperienza dei
contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli
ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di
presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi
vivono. Questo fenomeno fa sì che la presenza e l'attività degli storici, il cui compito è di ricordare ciò che
gli altri dimenticano, siano ancor più essenziali alla fine del secondo millennio di quanto mai lo siano state
nei secoli scorsi. Ma proprio per questo motivo gli storici devono essere più che semplici cronisti e
compilatori di memorie, sebbene anche questa sia la loro necessaria funzione.".
E. J. HOBSBAWM, Il secolo breve, Milano, 1997
"Mai si è parlato tanto di memoria da quando è caduto il Muro di Berlino nell'autunno '89, e tuttavia questo
discorrere concitato restava ingabbiato nel nominalismo: i fatti riesumati non erano che flatus vocis, il cui
significato sembrava destinato a sperdersi. [...] La storia recente dell'uomo europeo si riassume in questa
incapacità di cadere nel tempo, e riconoscerlo. Di lavorare sulla memoria, ma anche di oltrepassarla per
estenderne i confini e costruire su di essa. [...] Quel che ci salva, e ci dà il senso del tempo, è il nostro "esser
nani che camminano sulle spalle di giganti". I giganti sono le nostre storie, i successivi e contraddittori volti
che abbiamo avuto in passato, e in quanto tali personificano il vissuto personale e collettivo che ci portiamo
dietro come bagagli. Dalle loro alte spalle possiamo vedere un certo numero di cose in più, e un po' più
lontano. Pur avendo la vista assai debole possiamo, col loro aiuto, andare al di là della memoria e dell'oblio".
B. SPINELLI, Il sonno della memoria, Milano, 2001
"La memoria è il rombo sordo del tempo, scandisce il distacco dal passato per tentare di capire quel
che è accaduto".
E. LOEWENTHAL, "La Stampa", 25.1.2002
ESAME DI STATO – PRIMA PROVA: ITALIANO – Prof. Zanna Michele
1998/1999
1999/2000
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
Poesia di Giuseppe Ungaretti – I Fiumi
Poesia di Umberto Saba – La ritirata in
piazza Aldrovandi a Bologna
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO
Poeti e letterati di fronte alla “grande
Il male di vivere nella poesia e nell’arte del
guerra”
Novecento
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
Le trasformazioni provocate dai mutamenti
L’Italia da terra di emigranti a terra di
sociali degli ultimi decenni nella struttura
immigrati: cause e conseguenze sociodella famiglia italiana
economiche
AMBITO STORICO E POLITICO
Giovanni Giolitti: metodi di governo e
AMBITO STORICO E POLITICO
La resistenza intellettuale al nazismo
programmi politici
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
Progresso scientifio-tecnologico e risorse del Da Gutemberg al libro elettronico: modi e
pianeta: una sfida per il prossimo millennio
strumenti della comunicazione
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
Mentre in Italia e in Germania la democrazia Tra gli eventi tragici del XX secolo emerge
non riuscì a sopravvivere ai traumi sociali ed
in particolare l’olocausto degli ebrei.
economici del primo dopoguerra,
Spiegane le possibili cause ripercorrendone
lasciandosi sopraffare da regimi totalitari, in le fasi e gli eventi, ricordandone gli esiti e
Francia e in Inghilterra, pur in presenza di
aggiungendo riflessioni personali, scaturite
instabilità politica e di una profonda crisi
dall’eventuale racconto di testimoni, da
istituzionale, le forze democratiche seppero
letture, da film o documentari.
resistere ad ogni tendenza autoritaria.
Sviluppa l’argomento, illustrando le ragioni
di comportamenti e risultati così differenti.
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
Giovanni Verga, in una famosa novella Rosso
Numerosi bisogni della società trovano
Malpelo, compresa nella raccolta “Vita dei
Oggi una risposta adeguata grazie
Campi”
pubblicata nel 1880, racconta di due
all’impegno civile e al volontariato di
ragazzini
che lavorano in condizioni disumane
persone, in particolare di giovani, che,
in una miniera.
individualmente o in forma associata e
Le cronache odierne mostrano continuamente
cooperativa, realizzano interventi integrativi
minori in luoghi di guerra, di fame, di
o compensativi di quelli addottati da Enti
disperazione o utilizzati in lavori faticosi e
istituzionali.
sottoposti a inaudite crudeltà, nonostante gli
Quali, secondo te le origini e le motivazioni
appelli e gli interventi delle organizzazioni
profonde di tali comportamenti? Affronta la
umanitarie che tentano di arginare questa
questione con considerazioni suggerite dal
tragedia. Inquadra il problema ed esponi le tue
considerazioni in proposito.
tuo percorso di studi e dalle tue personali
esperienze.
ESAME DI STATO – PRIMA PROVA: ITALIANO –P rof. Zanna Michele
2000/2001
2001/2002
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
Un brano di C. Pavese, tratto dal romanzo “La
luna e il falò’”
Comprensione del testo, analisi del testo,
interpretazione e approfondimenti
Poesia di S. Quasimodo – Uomo del mio tempo.
Comprensione del testo, analisi del testo,
interpretazione e approfondimenti
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO
La piazza luogo dell’incontro e della memoria
Poeti e paesaggio natio
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
Il dibattito sulla evoluzione del concetto di stato
Musica per tutti, tra arte e industria.
sociale
AMBITO STORICO E POLITICO
L’Unità europea: un cammino di idee e di
realizzazioni
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
La scienza: dubbi e paure dello scienziato
AMBITO STORICO E POLITICO
La memoria storica tra custodia del passato
e progetto per il futuro
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
Uno dei fenomeni più significativi del Novecento è la
presa di coscienza dei propri diritti da parte delle
donne, prima nei paesi avanzati come gli Stati Uniti e
la Gran Bretagna e poi negli altri paesi occidentali.
Dalle rivendicazioni del diritto di voto agli appelli
sempre più chiari e vigorosi per la uguaglianza con
gli uomini in tutti i settori della vita economica e
civile, il principio delle “pari opportunità” è stato il
vessillo delle lotte femminili.
Illustra le fasi e i fatti salienti che hanno segnato il
processo di emancipazione femminile nel nostro
paese, facendo possibilmente riferimento anche a
canzoni, film, pubblicazioni e a qualunque altro
documento ritenuto significativo.
Secondo un giudizio storico largamente condiviso,
con Papa Giovanni XXIII la Chiesa si lascia alle
spalle le fasi più aspre della contrapposizione alla
modernità, quali, ad esempio, le pronunzie del
“Sillabo” e la scomunica del modernismo.
Si avvia al tempo stesso un lungo travaglio,
culminato nel Concilio Vaticano II, teso al dialogo
ecumenico con i “lontani” e i “separati” e al
confronto con un mondo aperto a moderne
prospettive politiche.
Illustra questa importante fase della storia della
Chiesa ed il ruolo che essa ha avuto nel contesto
italiano e internazionale.
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
La Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dalle
Nazioni Unite, proclama solennemente il valore
e la dignità della persona umana e sancisca al
tempo stesso la inalienabilità degli universali
diritti etico-civili.
La storia dell’ultimo cinquantennio è tuttavia
segnata da non poche violazioni di questi
principi rimaste impunite.
Quali, a tuo avviso, le ragioni?
Affronta criticamente l’argomento,
soffermandoti anche sulla recente creazione del
primo Tribunale Internazionale dei crimini
contro l’umanità ed esprimendo la tua opinione
sulla possibilità che questo neonato organismo
internazionale possa rappresentare una nuova
garanzia in favore di un mondo più giusto.
Paesi e città d’Italia custodiscono un immenso
patrimonio artistico e monumentale che, oltre a
rappresentare una importantissima testimonianza
della nostra storia, costituisce al tempo stesso
una primaria risorsa economica per il turismo e
lo sviluppo del territorio.
Affronta la questione anche in relazione
all’ambiente in cui vivi, ponendo in evidenza
aspetti positivi e negativi che, a tuo giudizio, lo
caratterizzano per la cura, la conservazione e la
valorizzazione di tale territorio.
Conoscenza, lavoro e commercio nell’era di Internet
ESAME DI STATO – PRIMA PROVA: ITALIANO – Prof. Zanna Michele
2002/2003
2003/2004
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
Testo teatrale di L. Pirandello: “Il piacere
Poesia di E. Montale: Casa sul mare
dell’onestà”. Atto I – Scena 8°
Comprensione del testo, analisi del testo,
interpretazione e approfondimenti
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO
L’amicizia, tema di riflessione e motivo di
Affetti familiari
ispirazione poetica nella letteratura e nell’arte
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
E’ ancora possibile la poesia nella società
La riscoperta della necessità di “pensare”
delle comunicazioni di mass?
AMBITO STORICO E POLITICO
AMBITO STORICO E POLITICO
Il terrore e la repressione politica nei sistemi
Una Costituzione democratica per una
totalitari del ‘900
Federazione Europea
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
L’acqua, risorsa e fonte di vita
Il tempo della natura, i tempi della storia e
quelli della poesia, il tempo dell’animo:
variazioni sul mistero del tempo
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
Tutti gli esseri umani, senza distinzione alcuna
I due volti del Novecento.
di sesso, razza, nazionalità e religione, sono
Da un lato esso è secolo di grandi conquiste
titolari di diritti fondamentali riconosciuti da
civili, economiche, sociali, scientifiche,
leggi internazionali. Ciò ha portato
tecniche; dall’altro è secolo di grandi
all'affermazione di un nuovo concetto di
tragedie storiche.
cittadinanza, che non è più soltanto "anagrafica",
Rifletti su tale ambivalenza del ventesimo
o nazionale, ma che diventa "planetaria" e quindi
secolo,
illustrandone i fatti più significativi.
universale. Sviluppa l'argomento analizzando,
anche alla luce di eventi storici recenti o remoti,
le difficoltà che i vari popoli hanno incontrato e
che ancor oggi incontrano sulla strada
dell'affermazione dei diritti umani. Soffermati
inoltre sulla grande sfida che le società odierne
devono affrontare per rendere coerenti e
compatibili le due forme di cittadinanza.
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
Si dice da parte di alcuni esperti che la forza delle
Il principio della legalità, valore universale
immagini attraverso cui viene oggi veicolata gran
condiviso, è spesso oggetto di violazioni che
parte delle informazioni, rischia, a causa dell'impatto
generano disagio sociale e inquietudine
immediato e prevalentemente emozionale, tipico del
soprattutto nei giovani.
messaggio visivo, di prendere il sopravvento sul
Sviluppa l’argomento, discutendo sulle forme in
contenuto concettuale del messaggio stesso e sulla
riflessione critica del destinatario. Ma si dice anche, cui i vari organismi sociali possono promuovere
la cultura della legalità, per formare cittadini
da parte opposta, che è proprio l’ immagine a favorire
consapevoli
e aiutare i giovani a scegliere un
varie forme di apprendimento, rendendone più
percorso
di
vita
ispirato ai valori della solidarietà
efficaci e duraturi i risultati.
e della giustizia.
Discuti criticamente i due aspetti della questione
proposta, avanzando le tue personali considerazioni.
ESAME DI STATO – PRIMA PROVA: ITALIANO – Prof. Zanna Michele
2004/2005
2005/2006
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
Dante Alighieri, Commedia: Paradiso, Canto
Poesia di Giuseppe Ungaretti: L’isola
XVII, vv. 106-142
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO
L’aspirazione alla libertà nella tradizione e Il distacco nella esperienza ricorrente dell’esistenza
umana: senso di perdita e di straniamento, fruttuoso
nell’immaginario artistico-letterario.
percorso di crescita personale
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
Il viaggio: esperienza dell’altro, formazione
interiore, divertimento e divagazione, in una
parola, metafora della vita
AMBITO STORICO E POLITICO
Crollo dei regimi nazionalistici, “guerra
fredda” e motivi economici agli inizi del
processo di integrazione europea
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
Catastrofi naturali: la scienza dell’uomo di
fronte all’imponderabile della Natura!
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
Europa e Stati Uniti D’America: due
componenti fondamentali della civiltà
occidentale. Illustra gli elementi comuni e
gli elementi di diversità fra le due realtà
geopolitiche, ricercandone le ragioni nei
rispettivi percorsi storici.
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
L’Unesco ha dedicato il 2005 alla fisica e, con
essa, ad Albert Einstein, che nel 1905, con la
pubblicazione delle sue straordinarie scoperte,
rivoluzionò la nostra visione del mondo. La
notoriètà di Einstein è legata in modo particolare
alla teoria della relatività, ma anche alle sue
qualità morali e ai valori ai quali ispirò la sua
azione: fede, non violenza,
antifondamentalismo, rispetto per l’altro,
egualitarismo, antidogmatismo. Riflettendo sulla
statura intellettuale e morale dello scienziato e
sulla base delle tue conoscenze ed esperienze
personali, discuti del ruolo della fisica e delle
altre scienze quali strumenti per la esplorazione
e la comprensione del mondo e la realizzazione
delle grandi trasformazioni tecnologiche del
nostro tempo
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
Città e periferie: paradigmi della vita
associata, fattori di promozione della
identità personale e collettiva
AMBITO STORICO E POLITICO
Democrazia e nazione, unità d’Italia e
d’Europa, libertà e fratellanza sono i cardini
del pensiero politico di Giuseppe Mazzini
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
Finalità e limiti della conoscenza scientifica:
che cosa ci dice la scienza sul mondo che ci
circonda, su noi stessi e sul senso della vita.
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
O.N.U., Patto Atlantico, Unione Europea: tre
grandi organizzazioni internazionali di cui
l’Italia è stato membro. Inquadra il profilo
storico di queste tre Organizzazioni e illustra gli
indirizzi di politica estera su cui, per ciascuna di
esse, si è fondata la scelta di farne parte.
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
Campagne e paesi d’Italia recano ancora le
tracce di antichi mestieri che la produzione
industriale non ha soppiantato del tutto e le
botteghe artigiane continuano ad essere
luoghi di saperi e di culture ai quali
l’opinione pubblica guarda con rinnovato
interesse.
Contemporaneamente, anche il mondo
dell’artigianato è stato investito dalla
innovazione tecnologica che ne sta
modificando contorni e profilo.
Rifletti sulle caratteristiche dell’artigianato
oggi e sulla importanza sociale, storica ed
economica che esso ha avuto e che in
prospettiva può avere per il nostro paese.
ESAME DI STATO – PRIMA PROVA: ITALIANO – Prof. Zanna Michele
2006/2007
2007/2008
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
TIPOLOGIA A: ANALISI DEL TESTO
Dante Alighieri, Commedia: Paradiso, Canto Poesia di E. Montale: Ripenso il tuo sorriso
XI, vv. 43-63; e vv.73-87
(da Ossi di seppia, 1925)
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
TIPOLOGIA B: SAGGIO BREVE
AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO AMBITO ARTISTICO E LETTERARIO
I luoghi dell’anima nella tradizione
La percezione dello straniero nella
artistico-letteraria
letteratura e nell’arte
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
AMBITO SOCIO ED ECONOMICO
Alle basi della convivenza civile e dell’esercizio
Il lavoro tra sicurezza e produttività
del potere: giustizia, diritto, legalità.
AMBITO STORICO E POLITICO
AMBITO STORICO E POLITICO
La nascita della Costituzione repubblicana:
60 anni dall’entrata in vigore della nostra
il laborioso cammino dalla dittatura ad una
Costituzione. Un bilancio dei suoi valori
partecipazione politica compiuta nell’Italia
attuali e del suo rapporto con la società
democratica.
italiana.
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
AMBITO TECNICO E SCIENTIFICO
“Sensate esperienze” e “dimostrazioni
Quale idea di scienza nello sviluppo
certe”: la nascita della scienza moderna.
tecnologico della società umana.
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
TIPOLOGIA C: TEMA DI STORIA
La fine del colonialismo moderno e l’avvento Cittadinanza femminile e condizione della donna
del neocolonialismo tra le cause del fenomeno
nel divenire dell’Italia del Novecento.
dell’immigrazione nei Paesi europei.
Illustra i più significativi mutamenti intervenuti
Illustra le conseguenze della colonizzazione nel nella condizione femminile sotto i diversi profili
Cosiddetto Terzo Mondo, soffermandoti sulle
(giuridico, economico, sociale, culturale). Puoi
ragioni degli imponenti flussi di immigrati nella anche riferirti, se lo ritieni, a figure femminili di
odierna Europa e sui nuovi scenari che si aprono particolare rilievo nella vita culturale e sociale
nei rapporti tra i popoli.
del nostro Paese.
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
TIPOLOGIA D: TEMA GENERALE
“L’industrializzazione ha distrutto il villaggio, e Comunicare le emozioni: un tempo per farlo si
l’uomo, che viveva in comunità, è diventato
scriveva una lettera, oggi un sms o una e-mail.
folla solitaria nelle megalopoli. La televisione ha
Così idee e sentimenti viaggiano attraverso
ricostruito il “villaggio globale”, ma non c’è il
abbreviazioni e acronimi, in maniera veloce e
dialogo corale al quale tutti partecipavano nel
funzionale. Non è possibile definire questo
borgo attorno al castello o alla pieve. Ed è cosa
cambiamento in termini qualitativi, si può però
molto diversa guardare i fatti del mondo
prendere atto della differenza delle modalità di
passivamente, o partecipare ai fatti della
impatto che questa nuova forma di
comunità.”
comunicazione ha sulle relazioni tra gli uomini:
G. Tamburano, Il cittadino e il potere, in “In
quanto quella di ieri era una comunicazione
nome del padre”, Bari, 1983
anche fisica, fatta di scrittura, impronte e attesa,
Discuti l’affermazione citata, precisando se, a
tanto quella di oggi è incorporea, impersonale e
tuo avviso, in essa possa ravvisarsi un senso di
immediata.
“nostalgia” per il passato o l’esigenza, diffusa
Discuti la questione proposta, illustrandone,
nella società contemporanea, di intessere un
sulla base delle tue conoscenze ed esperienze
dialogo meno formale con la comunità
personali, gli aspetti che ritieni più
circostante.
significativi.
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