Estate contemplativa Diocesi di Teano-Calvi Recita del S. Rosario Meditazioni di S. E. Rev.ma Mons. Arturo Aiello 17 luglio 2009 Chiesa del SS. Salvatore Rocchetta e Croce Preghiamo, questa sera, con la preghiera più semplice, la preghiera dei poveri, delle persone umili, fino a pochi anni fa; poi il Rosario è diventata una preghiera anche quotata. Perché la preghiera dei semplici? Perché non c’è bisogno di dire tante cose, ma è una preghiera litanica, ripetitiva. Dico questo un po’ per i giovani, che hanno un’avversione per il Rosario, perché dicono: “Ma si dicono sempre le stesse cose, continuamente!”. Quando i giovani mi facevano queste obiezioni, da parroco, io dicevo: “Ma tu, alla tua ragazza, non dici sempre: Ti voglio bene, ti voglio bene… Sei bella, sei bella…? Non dici sempre le stesse cose?”. Si dicono le stesse cose, ma con cuore sempre diverso. Quindi il Rosario è una preghiera che ci mette in un ritmo, cioè ci fa entrare in un ritmo: utilizzatela anche quando siete nervosi, perché vi calma. In psicologia - qui c’è Dolores che è esperta – c’è il training autogeno, cioè un percorso per calmarsi. Il Rosario è un training autogeno, cioè ci rimette in pace quando siamo in tensione. Anziché darvi i Misteri, io vi darò un pensiero breve, facciamo qualche minuto di silenzio e poi diciamo le dieci Ave Maria. PRIMA MEDITAZIONE Il primo pensiero riguarda la SALITA: siamo saliti fin quassù per conquistare qualcosa. Questo lo dico in particolare per i giovani: gli adulti lo sanno che la vita è difficile, i giovani non tanto, devono impararlo, e le cose grandi sono quelle che sono in alto, non sono immediatamente raggiungibili, c’è bisogno di fatica, di sudore, bisogna volerle. Allora siamo saliti quassù, perché così è la vita, perché la vita è ardua, perché c’è qualcosa di bello in alto, che è vietato, purtroppo, a tanti che si fermano a valle. Allora, l’espressione che vi consegno e che, mentre diciamo l’Ave Maria, potete ripetere più volte in mente è “in alto i nostri cuori”. È l’espressione della Messa prima del Prefazio: “In alto i nostri cuori”. E voi rispondete: “Sono rivolti al Signore”. Quindi, salendo, mando in alto il cuore, perché il cuore deve stare in alto. Il problema della vita è quando il cuore è in basso: il cuore in basso diventa un cuore distratto, un cuore appesantito. Invece, salendo, il cuore diventa più bello, si alleggerisce. Quindi, “in alto i nostri cuori”. Ripensiamo, in questa decade, alle volte in cui preferiamo cose facili, mentre sarebbe il caso di sceglierne di difficili: le cose vere sono quelle ardue. SECONDA MEDITAZIONE Avete visto, percorrendo le tappe di questo nostro cammino estivo, le tappe di “Estate contemplativa”, che si sono predilette località in alto: perché? Una risposta l’ho già data nel primo quadro: le cose importanti sono in alto. Ma c’è un motivo anche legato alla fede, perché tutte le esperienze più importanti, sia nella storia di Israele, ma anche nel cammino che Gesù ha fatto fare ai discepoli, sono avvenute su un monte. Uno fra tutti, nel Vangelo, il monte della Trasfigurazione, neanche alto come quello su cui siamo saliti noi, ma a indicare che per pregare bisogna salire: e perché bisogna salire? Perché le occupazioni e le preoccupazioni quotidiane ci distolgono dalle cose importanti, cioè stare giù significa anche essere zavorrati, stare su significa anche essere più aperti a Dio e questo non per una vicinanza - come qualcuno dice, perché Dio non abita lassù, è con noi non si tratta di una vicinanza geografica, ma di una vicinanza esistenziale, nel senso che l’uomo in montagna è sempre più aperto. Se ci fate caso, in questo momento, noi siamo anche più aperti gli uni verso gli altri: qualcuno avrà aiutato una signora che si è avventurata per questo sentiero, ci si aiuta di più, ci si guarda, si tiene d’occhio l’amico, l’amica, cioè la montagna affratella. Quindi, Gesù sceglie il monte Tabor e Israele vive le esperienze più importanti in alto, perché la montagna è un luogo religioso di per sé. Se ci fate caso, anche nelle altre religioni, nelle altre tradizioni religiose, le montagne sono scelte sempre come un luogo privilegiato d’incontro con Dio, con la divinità. Poi, per noi, c’è un monte che neanche è un monte, neanche un colle, che però si erge altissimo e che si chiama Calvario, Golgota, luogo del Cranio: una piccola collina, che però è diventata grande, più alta del K2, perché è il monte su cui è innalzata la Croce. Allora, questa seconda decade la recitiamo pensando alle montagne che conosciamo. Maria, per esempio, è salita per la prima volta e un’altra signora mi ha detto: “Ma io abito qui, non sono mai salita”. A volte, la grandezza di una persona dipende anche dalle montagne che ha scalato. Adesso, non si tratta del primato (bisogna scalarne cinquanta, dieci…), no, ma pensate ad alcuni monti, ad alcuni luoghi in alto dove è avvenuto qualcosa di importante nella vostra vita, perché “io ho capito…”. Per questo motivo, i campi-scuola si fanno sempre in montagna: abbasso i campi-scuola al mare, perché non ci sono le montagne. Io vengo dal mare, ma non ho mai pensato di organizzare un campo-scuola al mare, perché al mare si è al livello del mare; invece, bisogna salire. Fatti un po’, in questa decade, la tua GEOGRAFIA SPIRITUALE: quanti monti hai scalato? Su quali monti hai compreso qualcosa? Penso all’anno scorso, per chi fra voi sia stato al Campo-Giovani a Canneto: Canneto, per noi, adesso, è un luogo che non è solo luogo geografico, è anche un luogo spirituale, nella geografia. Sin da stasera, per chi non ci sia già stato in precedenza, questo Santuario del Salvatore entra nella geografia spirituale. Mi fermo un attimo e faccio la mia cartina dei monti importanti, cioè luoghi, momenti dove ho capito qualcosa, dove in un istante sono maturato di un anno, di dieci anni, luoghi in cui Dio mi è venuto incontro in una maniera più immediata. TERZA MEDITAZIONE Questo luogo appartiene alla geografia spirituale della nostra Diocesi, perché c’è una storia, perché qui c’erano dei monaci, perché nell’antichità le vette erano frequentate dai banditi e dai santi. Quindi, se c’è questo Santuario del Salvatore, è perché c’è stato qui, nell’antichità, un piccolo eremitaggio: anche questo è un richiamo, e noi siamo venuti qui a respirare un’aria antica, che è aria buona, cioè di una fede che cerca Dio. Gli eremiti, i monaci, cercano Dio ancora oggi e, se ci fate caso, tutti i monasteri - pensate a Montecassino, per dire il più famoso qui, nelle vicinanze - sono in alto, a esprimere questo desiderio ascensionale dell’anima, perché l’anima vuole stare in alto, ma tu la tiri giù, ma tu la infanghi, ma tu la zavorri… Quindi, ascoltiamo anche - e questo vogliamo fare, in questa terza decade - la voce di questi solitari. Mi hanno portato giù, in una sorta di cripta del Santuario, dove ci sono anche le ossa di questi eremiti. È importante per noi essere venuti qui, in pellegrinaggio, all’avventura spirituale di questi uomini che rinunciavano a tutto, vivendo quassù in una maniera - potete immaginare - alquanto difficile: perché? È riduttivo dire: “Fuggivano il mondo”. Forse erano utili al mondo, erano utili a quelli che abitavano a valle, salivano qui delle persone a chiedere consiglio, a chiedere preghiere, e quindi – vedete - è un capitolo della storia della nostra Chiesa, che noi vogliamo recuperare venendo qui, stando qui, stasera e, anche se non ci sono più i monaci, oggi, questo Santuario è memoria delle loro – attenti – lotte. Che facevano quassù questi eremiti? Non pensate che stessero in vacanza, che stessero belli tranquilli. Anch’io vorrei venirmene quassù – staranno pensando le signore – così mio marito non m’importuna, così i miei figli… Però, provate a starci non un giorno, non una sera, ma una settimana, un mese, un anno, ma una vita. Noi, a volte, abbiamo un’idea molto romantica del monaco e, invece, il monaco è un 2 lottatore, cioè uno che, più di noi, sperimenta la difficoltà di credere, lotta col male, lotta nella preghiera. Allora, è bello, in questo momento, fraternizzare spiritualmente con questi lottatori del Monte Maggiore del Santuario del Salvatore, dicendo: Avete lottato anche per noi. Se questa chiesa sta qui, è perché ci sono stati questi uomini, questa sorta di atleti, di lottatori corpo a corpo con Dio - ma anche col male - nell’antichità. Ne abbiamo bisogno anche oggi, magari questa forma monastica oggi è quasi estinta; ci sono ancora degli eremiti da qualche parte, anche in Italia, ma perlopiù è estinta. Abbiamo bisogno di persone che vanno avanti e che non hanno paura di esporsi al dirupo della fede, non hanno paura, non soffrono le vertigini della fede. Io, invece, soffro le vertigini della fede, basta che mi si chieda… e ho paura. Invece, abbiamo bisogno di questi che vanno avanti: i nostri preti sono questo, sono i LOTTATORI DELLA FEDE, l’avanguardia, quelli che aprono la strada, aprono il sentiero. Diciamo grazie, con questa decade, ai monaci che hanno abitato questo luogo e lo hanno santificato con la loro lotta. QUARTA MEDITAZIONE Una volta, si incontrarono in un eremo San Francesco e Santa Chiara e, ovviamente, quando si incontrano i Santi, non fanno pettegolezzi, parlano delle cose di Dio. A un certo punto, i contadini vicini e i frati cominciarono ad accorrere con secchi d’acqua, perché da quell’eremo sembrava salire un fuoco enorme, una grande fiamma, ma, arrivati che furono, non trovarono nessun incendio: i bagliori, che essi vedevano da lontano, null’altro erano che eco di questi grandi discorsi. Adesso, io certamente no, forse voi, o forse neanche voi, siete santi, ma mi piace pensare che chi guarda da giù il Monte Maggiore veda un fuoco. Vi dico questo, perché quello che facevano i monaci, nell’antichità, lo stiamo facendo noi adesso, cioè noi, adesso, stiamo mandando a valle una serie di Ave Maria e ci sono persone, che voi conoscete, che non stanno bene, non con la testa, ma nel senso che hanno qualche difficoltà, o anche qualche malattia, che dicono: “Ma com’è? Stasera mi sento meglio…”. Oppure, una coppia sta per separarsi e, stasera, decide di andare a farsi una pizza e… “Perché non riprendiamo il nostro amore?”. Non sono fiabe, quelle che vi sto raccontando, ma sono GLI EFFETTI della preghiera e, in particolare, della preghiera fatta insieme, tanto più DELLA PREGHIERA FATTA INSIEME, IN ALTO. Anche per quelli che non conosciamo, e che non ci conoscono, possono esserci dei benefici: stasera, alcuni avvertiranno una grazia – si dice in termini tecnici – senza causa, cioè una consolazione improvvisa, che sembra non avere nessuna origine. Noi sappiamo che ce l’ha, ce l’ha qui, noi stiamo qui, adesso, come Comunità Diocesana: c’è il Vescovo, ci sono alcuni sacerdoti, ci sono due diaconi, ci sono dei laici, c’è la Chiesa, noi siamo la Chiesa di Teano-Calvi radunata sul Monte Maggiore, nel Santuario del Salvatore, che sta mandando un po’ di ossigeno giù a quelli che stanno soffrendo di asma spirituale. In questa decade, pensate ad una persona, a quella che, secondo voi, può aver più bisogno, ma lasciamo anche a Dio la libertà di utilizzare la nostra preghiera per chi Lui sa, per un bisogno qui della nostra terra che a noi è nascosto, ma non certamente ai Suoi occhi. Dice il salmista: Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo… Lui sa tutto di noi, Lui sa tutto degli altri, sa perché abbiamo fatto questa salita e per chi, adesso, reciteremo questa decade. QUINTA MEDITAZIONE L’ultima decade la recitiamo cercando una risposta a questa domanda: PELLEGRINO, PERCHÉ SEI VENUTO? Questa domanda si trova scritta in tantissimi santuari antichi, anche piccoli, come il nostro. Ricordo, una volta, d’averla trovata in Val di Non, in un santuario che era nel profondo di una gola. Perché gli antichi scrivevano “Pellegrino, perché sei venuto?”? Sarebbe bello, anche, che scrivessimo questa frase, in seguito, da qualche parte, qui. Io so che tante persone arrivano qui anche da sole, perché uno non va ad un santuario senza essere chiamato. Quindi, c’è già una risposta: io sono qui, stasera, perché sono stato chiamato a venire. Io spero che voi vi sentiate chiamati a venire, anche altre volte, anche da soli (è bello salire da soli) o per prendere una 3 decisione importante, alla vigilia di un momento decisivo. Ma, questa, è una domanda che adesso vi rivolgo e per cui ciascuno chieda la risposta per sé, perché questo Rosario, stasera, detto qui, possa coincidere con un proposito: questo è il senso del “perché sei venuto?”. Quindi, il pellegrino doveva dire: Sono venuto a confessarmi, sono venuto a convertirmi, sono venuto a cambiare vita, sono venuto a prendere una decisione radicale... Vale anche per noi. Adesso, non pensate a cose grandi, ciascuno di noi deve, magari, cambiare in un aspetto, deve riconciliarsi con una persona, deve essere più coraggioso nel seguire una strada, deve riprendere la fedeltà coniugale, ma chiediamoci: perché sono venuto? È riduttivo dire: Ho visto un invito…, il mio parroco mi ha detto…, la mia amica ha detto: “Andiamo a San Salvatore!”... No, tu sei venuto, perché Dio aveva da dirti una cosa qui. Adesso, prima di partire, l’importante è che questa cosa sia chiara, cioè cosa mi ha voluto dire? E, quindi, scendendo, cosa devo fare? Dove devo cambiare? Quale svolta devo dare alla mia vita? Vorrei che ve lo chiedeste. Ciascuno di noi se lo chieda in silenzio, prima di recitare l’ultima decade. *** Il testo, frutto di registrazione, non è stato rivisto dall’autore. 4