Anno A 4ª DOMENICA DI AVVENTO Is 7,10-14 - Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio. Dal salmo 23 - Rit.: Ecco, viene il Signore, re della gloria. Rm 1,1-7 – Gesù Cristo, della stirpe di Davide, figlio di Dio. Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele: “Dio-con-noi”. Alleluia. Mt 1,18-24 - Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide. Il senso dell’apostolato di s. Paolo La 2a lettura ha riportato un brano della lettera di s. Paolo ai Romani. È il prologo della lettera. L’Apostolo, secondo l’uso corrente, saluta i suoi lettori. L’indirizzo è qui particolarmente ampio e denso di concetti, anzi il più ampio dell’epistolario paolino. Scrivendo a una Chiesa in cui non è ancora conosciuto, Paolo deve presentare se stesso, le ragioni e la sublimità del suo apostolato, deve presentare il Vangelo di Dio al quale è stato consacrato. Centro del brano è Cristo, posto in mezzo tra i profeti che lo hanno preannunciato e gli apostoli che devono propagare la fede in lui. Il nome di Paolo apre il lungo periodo e quello dei Romani lo chiude. La vocazione di s. Paolo (vv. 1-2) La prima qualità di cui Paolo si gloria sopra ogni altra cosa, è l’essere servo di Cristo Gesù. Con questo appellativo egli si rifà a un uso biblico. La Bibbia applica la frase servo di Dio ai grandi personaggi da Abramo a Mosè fino al Messia, la cui vita era dedicata al servizio di Dio. Paolo in tal modo non afferma soltanto la sua totale dipendenza da Cristo e la sua sottomissione a lui, ma anche l’alto ufficio ricevuto da lui, che lo ha chiamato ad essere apostolo. La vocazione ad essere apostolo è il secondo titolo di s. Paolo, che precisa il senso del suo servizio. La chiamata divina che determinò la vita e l’azione dei grandi servi di Dio è all’origine del suo servizio (cf Gal 1,15). Anch’egli allo stesso modo dei Dodici (cf Gal 1,1) è apostolo prescelto per predicare l’evangelo di Dio, cioè il messaggio della salvezza che ha per autore Dio. Questo Vangelo di Dio è l’adempimento della promessa fatta dai profeti. Per lungo tempo le promesse dei profeti sono state sigillate (cf Rm 16,25), ora parlano e prendono corpo nella persona di Gesù Cristo che è il contenuto del Vangelo di Dio. In tal modo viene confermata l’organica armonia che esiste tra l’Antico e il Nuovo Testamento (cf Rm 3,21). Concetto comune a tutto il cristianesimo primitivo. Gesù Cristo Figlio di Davide e Figlio di Dio (vv. 3-4) S. Paolo, parlando di Gesù, il Cristo, che è vissuto sulla terra, lo vede prima nella sua esistenza storica di uomo. Gesù è nato, secondo la carne, dalla stirpe di Davide. La parola carne indica, come spesso nell’Antico Testamento, la persona umana. In questo senso Gesù Cristo è «nato da Davide secondo la carne», cioè pienamente uomo nel suo destino regale e sofferente, israelita secondo la carne tra gli Israeliti (cf Rm 9,5). S. Paolo, in secondo luogo, vede Gesù nella sua successiva esaltazione, che ebbe luogo dopo la risurrezione. «Costituito a partire dalla sua risurrezione dai morti Figlio di Dio nella potenza». Non è la risurrezione che ha fatto di Gesù il Figlio di Dio, ma con la 4ª Domenica di Avvento “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 1 risurrezione Dio l’ha sommamente esaltato (cf Fil 2,9) e gli ha conferito la gloria (cf 1 Pt 1,21) e la potenza suprema (cf Ef 1,20-23). Durante la vita mortale la potenza divina era stata in certo modo eclissata e in lui appariva soprattutto l’umiltà e la debolezza; ma la risurrezione manifestò tutta la divina maestà e potenza del Figlio di Dio glorificato alla destra del Padre. Gesù, pertanto, secondo la carne è della stirpe di Davide; secondo lo spirito, egli è costituito Figlio di Dio, con potenza, mediante la sua risurrezione dai morti. La risurrezione dai morti di Gesù non è soltanto un episodio della sua vita personale: è l’inizio della nuova e definitiva èra di salvezza nella quale la potenza santificatrice di Dio si dispiega attraverso il corpo glorioso di Cristo diventato nostro Signore, Signore per noi e sopra di noi. La grazia dell’apostolato (vv. 5-6) S. Paolo continua affermando: «per opera di Gesù Cristo abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato, per predicare, a gloria del suo nome, l’obbedienza alla fede in mezzo a tutti i pagani». L’Apostolo considera il suo apostolato come un dono particolare della grazia di Dio (cf Rm 12,3; 15,15; 1 Cor 3,10; Gal 2,8-9). Egli ricorda Damasco, quando Gesù stesso lo ha chiamato come gli altri apostoli (cf At 9,1-30). L’obbedienza alla fede che egli predica è l’obbedienza all’Evangelo, l’accettazione totale del messaggio cristiano con la mente e con la volontà. S. Paolo parla di obbedienza perché non si risolve in una semplice adesione speculativa, ma è un atteggiamento profondo che investe tutta la vita. La fede implica che l’uomo si sottometta liberamente a Dio che gli si rivela come fedele e verace e che, rinnovando l’uomo, gli dà la possibilità di obbedire alla sua volontà. In sintesi, la vocazione divina è principio dell’apostolato; la predicazione del Vangelo ne è il fine, ma la fede e l’obbedienza alla fede è il fine della predicazione del Vangelo che s. Paolo predica ai pagani, nel cui numero erano anche i Romani in quanto, almeno in gran parte, erano pagani convertiti. Santi per vocazione (v. 7) I Romani, suoi interlocutori, come del resto tutti i credenti, sono chiamati da Gesù Cristo attraverso la predicazione del Vangelo, cari, diletti e amici di Dio, santi per vocazione, strappati cioè alla grande miseria e immersi nella grande speranza. La santità nell’Antico Testamento consisteva nell’essere consacrati a Dio. Nel Nuovo l’uomo è chiamato santo prima di tutto non a motivo della sua perfezione morale o religiosa, ma in forza di una vocazione con la quale Dio lo chiama a essere membro del suo popolo consacrato e gli affida una missione (cf 1 Cor 1,2). Va da sé che questa vocazione implica ed esige la santità della vita. Il credente è santo per il fatto che appartiene al corpo di Cristo. Come credente e battezzato, egli è diventato la proprietà esclusiva di Cristo; gli appartiene come un membro appartiene al corpo; questa condizione oggettiva si tradurrà in una vita di obbedienza, che realizzerà concretamente quel che è di diritto. Le membra del corpo del credente sono divenute membra di Cristo (cf Rm 12,4-5; 1 Cor 6,15; 12,12-27). Il credente deve quindi progredire nella santificazione, per realizzare la santità che gli è stata data in Cristo Gesù. Il brano si chiude con l’augurio di Paolo: «Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e del Signore Gesù Cristo». L’Apostolo non separa mai la grazia dalla pace, perché questi sono due beni da desiderarsi assolutamente e di continuo per noi e per gli altri: la grazia di Dio, che ci fa santi, diletti e suoi amici; la pace della buona coscienza, il frutto della gloria e il germe della pace eterna. Nella elargizione di questi doni divini s. Paolo mette sullo stesso piano il Padre e Gesù Cristo, Signore assiso ormai alla sua destra. 4ª Domenica di Avvento “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 2 Riflessioni pratiche Anche noi, come Paolo, abbiamo lo stesso onore di essere cristiani e servi di Gesù Cristo. Lo siamo veramente davanti a Dio? Qual è la nostra fede in Gesù Cristo come figlio di Davide, realizzatore delle profezie, e Figlio di Dio manifestatosi con la potenza della sua risurrezione? La nostra vocazione al cristianesimo è vocazione alla santità. Viviamo noi questa vocazione nella santità della vita? Gesù, Figlio di Dio, che vivi e regni glorioso alla destra del Padre, abbi pietà di noi; dacci il tuo Spirito per la santificazione della nostra anima, affinché un giorno risorgiamo gloriosi per vivere e regnare eternamente con te. 4ª Domenica di Avvento “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 3