Tiziana Tarsia Educare lo sguardo Esperienze e proposte formative sull’osservazione nelle scienze sociali Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2569–7 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno 2009 Indice Prefazione di Antonella Cammarota .............................................................. 9 Introduzione ................................................................................. 13 Capitolo I Sull’arte di osservare ................................................................... 17 Capitolo II Sull’osservazione nelle scienze umane ........................................ 23 Capitolo III Tracce di storia sull’osservazione “diretta” in Italia ................. 41 Capitolo IV Le regole e le fasi dell’osservazione “diretta” ............................ 47 Capitolo V L’osservatore ............................................................................... 59 Capitolo VI Sulla “sosta” dalla cura. Il laboratorio didattico rivolto agli assistenti sociali ........................................................................... 65 7 8 Indice Appendice Racconti di esperienze .................................................................. 85 I rischi, le difese e le opportunità dell’osservazione di Marisa Andalò .......................................................................... 87 Perché un corso sull’osservazione diretta nell’istituzione scolastica? di Mariella Colosimo e Ida De Ceglie .......................................... 103 Restituzione di un’esperienza realizzata presso una struttura psichiatrica di Beatrice Lasco .......................................................................... 123 Bibliografia.................................................................................... 125 Prefazione Il lavoro di Tiziana Tarsia rappresenta un’originale elaborazione e approfondimento del metodo dell’osservazione diretta elaborato da Francesco Scotti, come strumento di formazione e analisi nel campo della psichiatria e della psicanalisi. Tale metodo successivamente applicato e approfondito dall’associazione Apeiron1, è stato largamente sperimentato e utilizzato2 nella formazione degli insegnanti, dei medici, delle assistenti sociali e di tutte quelle professioni in cui la relazione è fondamentale per la riuscita dell’intervento. In questo libro l’autrice ci avvicina al metodo con un excursus sulle diverse origini e dimensioni dell’osservazione diretta nelle Scienze sociali, per soffermarsi poi sul metodo elaborato da Scotti e sul suo utilizzo nei corsi di laurea brevi e magistrali del Servizio sociale. L’importanza dell’osservatore, della sua relazione con l’oggetto/soggetto osservato, della giusta distanza da cui osservare sono raccontati utilizzando l’apporto di più discipline, dalla sociologia, alla psicologia, alla psicanalisi, all’antropologia. La presa di coscienza del fatto che noi vediamo attraverso i nostri schemi cognitivi e la necessità di distanziarsi per poter veder oltre, insieme al mettersi in un atteggiamento di non giudizio si acquisiscono con la pratica e l’apporto della discussione nel gruppo. Non sono qualità che si possono maturare in solitudine, né che si apprendono una volta per tutte, si tratta di una formazione continua, in cui lo svelamento avviene lentamente, man mano che si va avanti nel lavoro. 1 Il Centro studi per la ricerca psicoanalitica ed educativa Apeiron è costituita da un gruppo di operatori e di psicoterapeuti da anni presente nel mondo della scuola e che, in generale, si occupa del disagio psico–sociale giovanile ed adulto. La ricerca teorica e applicata del Centro studi si esplica attraverso i suoi operatori nel settore educativo e rieducativo pubblico e privato; nelle comunità di accoglienza e nelle case–famiglia; nell'assistenza a portatori di handicap e agli anziani; nelle comunità terapeutiche; nei luoghi di accoglienza per malati terminali di AIDS; nei centri di recupero per tossicodipendenti. 2 Grazie al lavoro della dott.ssa Luisa Mele e della dott.ssa Paola Cecchetti. 9 Antonella Cammarota 10 Spero che questo libro possa diventare un utile strumento sia per la formazione dell’assistente sociale, che come apporto al dibattito tra il ruolo della sociologia/del sociologo e quello dell’assistente sociale. Le tante testimonianze di apprezzamento da parte delle corsiste assistenti sociali, riportate nel sesto capitolo dimostrano l’efficacia del metodo anche, anzi soprattutto, in quelle situazioni così problematiche che sembrano senza uscita. Come ci insegna Scotti, se un caso ci appare impossibile, è allora che serve il metodo dell’osservazione diretta perché ci fa vedere da altre prospettive, modificando, con l’aiuto del gruppo, il punto di vista possiamo arrivare dove non potremmo mai da soli. Le discipline professionali, tradizionalmente impartite dagli assistenti sociali, fanno ora parte dei raggruppamenti disciplinari sociologici. Ciò da una grossa responsabilità a noi sociologi che impartiamo lezioni nel Servizio sociale, sia nei corsi triennali che Magistrali. Ci apre nuovi mondi e ci costringe al confronto con altre discipline e altre metodologie con risultati molto interessanti se si è disposti a mettersi in gioco. Ciò può avvenire senza abbandonare i nostri riferimenti teorici e metodologici, ma disponendosi ad una messa in discussione per andare oltre nell’elaborazione. Tiziana ci racconta, a partire da un’analisi del metodo dell’osservazione diretta, come questo sia arrivato e sia stato rimodellato applicandolo alla formazione degli insegnanti e delle assistenti sociali. L’interesse verso questo metodo nasce dalla consapevolezza che lo sguardo con cui noi vediamo ed interpretiamo la realtà è sempre parziale e che non possiamo prescindere dalla soggettività dello studioso/ricercatore/osservatore. L’acquisizione di nuovi strumenti per meglio osservare sia la realtà su cui si ricerca o il proprio luogo di lavoro ci permette di andare un pò oltre con lo sguardo, di squarciare uno dei veli3 attraverso cui vediamo e interpretiamo la società. Attraverso l’osservazione, la scrittura dei protocolli, la loro lettura nel gruppo e la restituzione cerchiamo di cogliere quegli indizi che sembrano secondari e che spesso sono importanti segnali di un cambiamento in atto. Cerchiamo di cogliere ciò che appartiene alla componente emotiva dell’osservatore e che, se non elaborata/esplicitata, 3 Cfr. FRANCESCO SCOTTI, Osservare e comprendere, Borla, Roma 2002. Prefazione 11 rischia di confondere l’osservatore con l’osservato e che, con l’aiuto del gruppo, può a vedere anche ciò che il proprio inconscio tenderebbe a nascondere. Personalmente, sono stata molto attratta e incuriosita dal metodo e partecipo da otto anni al gruppo avanzato di formatori presso la sede di Apeiron di Roma. È grazie a questa formazione che ho potuto e voluto sperimentare tale metodo sia a livello didattico che di ricerca sociologica. A livello di ricerca sperimentandolo in alcune ricerche qualitative. A livello didattico proponendolo dapprima come corso facoltativo e poi obbligatorio agli studenti del corso di laurea magistrale in Servizio sociale. I gruppi erano composti da assistenti sociali, quasi tutte donne alcune delle quali con anni di esperienze lavorative, altre disoccupate o occupate precariamente. Sono stati osservati per lo più gruppi classe di diversi ordini e gradi, gruppi scout, di catechismo, centri di aggregazione giovanile, realtà carcerarie, uffici delle aziende sanitarie locali, uffici dei Servizi sociali del Comune e strutture psichiatriche. Alcune di loro hanno approfondito ulteriormente il metodo con la tesi di laurea magistrale. In appendice riportiamo tre diverse esperienze fatte nell’ambito dell’applicazione del metodo dell’osservazione diretta. L’esperienza di Beatrice Lasco si riferisce ad una osservazione realizzata all’interno di un servizio psichiatrico nella provincia di Reggio Calabria Mariella e Ida ci raccontano della loro esperienza di formazione con gli insegnanti di una scuola media superiore di Messina. Marisa Andalò ci regala il racconto del suo viaggio di oltre dieci anni nell’osservazione, passando per la sua vita di insegnante e scenografa, riporta alcuni esempi di restituzioni. 12 Antonella Cammarota Introduzione L’esigenza di ricostruire le tappe fondamentali della storia del metodo dell’osservazione diretta elaborato dallo psichiatra perugino Francesco Scotti, descrivendone le regole e i principi fondanti, nasce dalla valutazione delle esperienze didattiche realizzate dall’Università di Messina, dalla Scuola siciliana di servizio sociale e dall’associazione Apeiron assieme a studenti universitari, docenti e operatori del comparto socio–assistenziale. Una richiesta espressa da tutti i partecipanti è stata quella di poter disporre di un vademecum utile ad orientarsi nell’approccio alla materia1. Si è pensato di costruire uno strumento articolato in modo tale da offrire sia una parte teorica in cui inquadrare il metodo, sia uno spazio dedicato ai racconti di esperienze realizzate nell’ambito di alcuni percorsi formativi realizzati in momenti e luoghi differenti. Io, che l’ho vissuta nei panni di osservatrice tirocinante e di osservatrice senior, ritengo che uno strumento al servizio di un percorso formativo così coinvolgente debba essere molto duttile e aperto all’espe-rienza. La comodità di un testo sintetico sulla storia, le regole e la struttura del metodo non disimpegna l’osservatore in formazione dalla fatica di confrontarsi continuamente con il proprio vissuto e con quello degli altri. L’articolazione del lavoro aspira a proporsi come un percorso lineare per brevi tappe. Nel primo capitolo ci si sofferma sull’“arte dell’osservare” intesa come competenza relazionale necessaria a vivere interazioni efficaci e funzionali. Viene descritto il senso dell’osservazione come pratica quotidiana utile a costruire la propria identità relazionale. Vengono poi dati alcuni cenni sull’evoluzione del metodo e 1 Cfr. TIZIANA TARSIA, Sostare oltre. L’osservazione diretta come strumento di formazione e ricerca, ComunicAzione, Messina 2007, un primo strumento approntato per le esigenze didattiche del corso di laurea in Servizio sociale, qui parzialmente ripreso e sviluppato. 13 14 Introduzione sulla collocazione che esso trova nel dibattito psicologico e psico– pedagogico. Le intuizioni maturate nell’esperienza della clinica Tavistock di Londra giungono in Italia negli anni Cinquanta. Attorno all’osservazione si riunisce un gruppo di studiosi che proseguiranno poi nella ricerca e nell’approfondimento del metodo, esplorandone le potenzialità di applicazione al di là del mondo dell’infanzia e del settore della psicoterapia. L’originalità dell’intuizione del gruppo di Perugia sta proprio nell’aver sostenuto la validità dell’osservazione come strumento di formazione e di analisi al tempo stesso, sviluppandone le premesse ben al di là di quello che i loro precursori avevano sperimentato. Gli sviluppi della loro riflessione hanno consentito di articolare strumenti e procedure all’insegna di un rigore metodologico che fosse al tempo stesso garanzia di efficacia e presupposto per un investimento consapevole sulla dimensione soggettiva della conoscenza. Viene poi introdotta la figura dell’osservatore, sottolineandone il ruolo centrale nell’ambito del metodo dell’osservazione diretta in quanto presenza in grado di costruire senso e significato assieme al contesto e agli altri osservatori. Infine vengono riportate due esperienze didattiche realizzate la prima in ambito universitario, con un modulo dedicato alla formazione degli assistenti sociali e il secondo in ambito scolastico, con un laboratorio rivolto ad insegnanti di una scuola superiore di Messina. In appendice vengono inoltre raccontate, con due modalità differenti, due esperienze di tirocinio realizzate a Roma e a Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria. Il primo descritto da una formatrice dell’associazione Apeiron e il secondo da una assistente sociale studentessa del biennio di specializzazione in Servizio sociale. Credo che il racconto di questi percorsi svolga un ruolo importante nell’economia del testo, proprio perché serve a comprendere in modo più approfondito un metodo che rilancia e promuove la ricchezza derivante dalla narrazione e dall’ascolto delle esperienze altrui. Questo lavoro deve molto al sostegno e alla fiducia di Antonella Cammarota, all’aiuto e ai suggerimenti di Milena Meo e alle “chiacchiere impegnate” con i colleghi e amici delle “due stanze”. Ringrazio Francesco Scotti e Paola Cecchetti per i preziosi spunti forniti nel corso della ri- Introduzione 15 cerca. Ringrazio Mariella Colosimo, Ida De Ceglie, Marisa Andalò e Beatrice Lasco per la passione e la generosità con la quale hanno partecipato a questa raccolta di esperienze. Ringrazio il Centro Studi Apeiron per le opportunità di crescita personale e professionale che di volta in volta mi ha offerto e per la disponibilità con la quale ha supportato la mia esperienza di formazione e di ricerca. Ringrazio infine Grazia e Andrea che mi hanno insegnato cosa vuol dire “fidarsi” di sè stessa e degli altri e Vincenzo, che in qualità di grillo parlante personale, mi ha sempre invitato ad “andare oltre”. 16 Introduzione Capitolo I Sull’arte di osservare Avere una memoria incisiva e attenersi al regolamento di gioco sono due requisiti che sembrano definire il buon giocatore per eccellenza. Ma è oltre i limiti delle regole che l’abilità dell’analista si manifesta. In silenzio egli fa tutte le sue osservazioni e deduzioni; altrettanto forse fanno i suoi avversari; ma la differenza nella portata delle indicazioni così ottenute non consiste tanto nella validità della deduzione quanto nella qualità dell’osservazione. Quel che è necessario sapere è che cosa si deve osservare. Il nostro giocatore non si pone limiti, né, per il fatto che il gioco è l’oggetto primo della sua concentrazione, egli manca di trarre deduzioni da fattori estranei alla partita […]. Nel corso del gioco non si lascia sfuggire le minime alterazioni dei volti, traendo le sue prime considerazioni in base al loro atteggiarsi ad espressioni di sicurezza, di sorpresa, di trionfo o di dispetto. […] imbarazzo, esitazione, prontezza o ansia, tutto serve alla sua percezione apparentemente intuitiva per trarre indicazioni sullo stato effettivo delle cose1. Nella minuziosa descrizione di E.A. Poe il giocatore di whist si può permettere non solo di interessarsi di ciò che aveva ipotizzato di os1 EDGAR ALLAN POE, I delitti della Rue Morgue, Arnoldo Mondadori, Milano 1993. 17 Capitolo I 18 servare, ma può decidere, senza limiti, di trarre informazioni anche da elementi estranei e apparentemente marginali rispetto all’oggetto della sua analisi. Egli si concentra sull’accoglienza dell’impercettibile e dell’imprevedibile che si manifesta, il più delle volte, in tutto quello che sembra banale e “normale”. Si sofferma sullo sguardo, sul tono della voce, sulla postura, su tutti quegli elementi che autorizzano il giocatore a: «trarre indicazioni sullo stato effettivo delle cose». Il suo sguardo attento rivolto all’esterno lascia intravedere la consapevolezza di come dietro ogni azione possa celarsi qualcosa da scoprire e comprendere. Il suo modo di vedere è un “vedere come”, non un semplice inferire, ma piuttosto il tentativo di interpretare le dinamiche della relazione che si costruisce, di volta in volta, tra il contesto, le sue regole e i soggetti che lo abitano. Una relazione che aggiungerei, non è verosimile considerare come definitiva e indiscussa. Il “vedere come”2 presuppone un osservatore partecipe e disponibile a far “vacillare” ciò che appare ai suoi occhi come evidente e ovvio. Questo l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare la qualità dello “stare in presenza” da parte dell’osservatore. Da un lato egli deve esercitarsi a mantenere la propria attenzione sull’oggetto e sullo scenario di riferimento. Dall’altro deve essere in grado di sostenere la fatica del dubbio e dell’incertezza sullo sviluppo successivo delle interazioni che osserva. Superare l’ansia di dover trovare soluzioni immediate è un prezzo da pagare fin all’inizio per poter apprendere l’arte di osservare, affrontando la sensazione di solitudine e di impotenza che può accompagnare le prime esperienze. L’osservatore deve essere predisposto a cogliere con attenzione i processi e le dinamiche che si mostrano ai suoi occhi così come fa il giocatore di whist: allo stesso modo, deve stare attento a non trarre conclusioni affrettate che potrebbero pregiudicare le osservazioni successive, ma deve anche essere capace di tollerare la sensazione di isolamento rispetto al contesto osservato. In ambito lavorativo, educativo ed formativo si presta sempre più attenzione all’acquisizione di competenze comunicative trasversali: si parte dal presupposto che la capacità di relazionarsi in modo costrutti2 Cfr. THOMAS S. KUHN, La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Come mutano le idee nella scienza, Einaudi, Torino 1978, pp.139–165. Sull’arte di osservare 19 vo sia un requisito fondamentale per gestire efficacemente l’incontro con tutti quegli “Altri” che popolano la nostra vita quotidiana. Si è sempre più convinti che «la vita quotidiana si presenta come una realtà interpretata dagli uomini e soggettivamente significativa per loro come un mondo coerente»3. Ogni soggetto contribuisce a costruire la realtà sociale, che lo contiene, attraverso un processo autopoietico che procede continuamente da una fase intrasoggettiva ad una intersoggettiva: è solo spostando la propria prospettiva che si riesce a cogliere il “mondo coerente” dell’altro che altrimenti potrebbe continuare a esistere parallelamente al proprio. Un noto romanzo fantastico di Edwin Abbott Abbott, ipotizza una suggestiva coesistenza di universi distinti, con regole proprie e modalità diverse di percepire la realtà quotidiana. È solo spostandosi da una dimensione all’altra che il protagonista riesce a cogliere le differenze: si trova inaspettatamente a dover codificare situazioni, contesti e relazioni per lui incomprensibili proprio perché distanti dalla propria esperienza percettiva e cognitiva4. Gli esercizi che si basano sull’oscillazione gestaltica5 offrono diversi spunti di riflessione sulla necessità di allenarsi a “esperire” il dubbio, potenziando la propria capacità di guardare le situazioni da punti di vista diversi. È fondamentale, nella fase di addestramento all’osservazione, apprendere come riuscire a sostare al margine: «consapevoli che l’umanità è troppo molteplice, troppo ricca di forme e motivi perché possano bastare fonti unitarie, derivazioni a serie unica, 3 PETER L. BERGER, THOMAS LUCKMANN, La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna 1969, p. 39. 4 EDWIN A. ABBOTT, Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni, Adelphy, Milano 2003. 5 «L’individuo sottoposto ad un esperimento gestaltico sa che la sua percezione ha subito un’oscillazione perché egli è in grado di farla oscillare ripetutamente avanti e indietro finché tiene in mano lo stesso libro o lo stesso pezzo di carta. Cosciente del fatto che nulla è cambiato nell’ambiente che lo circonda, egli dirige la sua attenzione in misura sempre maggiore non alla figura (anatra o coniglio), ma alle linee tracciate sulla carta a cui egli sta guardando. Alla fine può persino imparare a vedere quelle linee senza vedere nessuna delle due figure, e può allora dire (ciò che non avrebbe potuto legittimamente fare prima) che sono le linee quello che vede realmente, ma che le vede alternativamente “come” un’anatra e “come” un coniglio» in THOMAS S. KUHN, op. cit., p. 142. Capitolo I 20 di fronte a fenomeni che compaiono nei punti più diversi della terra e come risultati di sviluppi lunghi e chiaramente molto diversi»6. Ho trovato sempre molto utile avviare i laboratori sulla gestione dei conflitti o sulla mediazione interculturale proiettando una serie di illusioni ottiche, predisposte ad hoc7. La riflessione sull’esistenza di diversi punti di vista permette di far vivere ai partecipanti l’esperienza dello “spiazzamento”, cioè della possibilità di pensare che ciò che avviene davanti ai propri occhi non ha necessariamente una sola spiegazione. Questo ed altri esercizi sono utili a tenere presente che l’osservatore si trova infatti spesso a percepire con un sistema di codifica che non è quello dei soggetti o dell’ambiente osservato. In questo modo rischia di interpretare i fenomeni che sta osservando, e di attribuire a questi dei significati, in base a categorizzazione inadeguate. Oppure può non percepire qualcosa di importante perché non la riconosce8. L’osservatore sociale non può essere considerato come un attore esterno al setting; nemmeno è possibile “estraniarlo” dal contesto di osservazione 9. Non potendo egli rimanere fuori da un contesto a cui appartiene, si trova nella situazione di dover apprendere come gestire la relazione con se stesso, con gli altri e con l’ambiente, confrontandosi in continuazione con il bisogno emergente di mantenere la “giusta distanza”. È in quest’ottica che l’osservazione può essere intesa sia come sistema e strumento di rilevazione che come tirocinio formativo. Gli esempi dell’oscillazione gestaltica e del giocatore di whist offrono una valida metafora delle abilità e delle competenze necessarie a una corretta gestione delle relazioni interpersonali. La connessione tra 6 GEORG SIMMEL, Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino 1998, p. 559. Diversi sono i testi dedicati alla formazione degli educatori e degli insegnanti, che mettono in evidenza come nell’incontro con l’altro assumano una rilevanza significativa i concetti di percezione e realtà. Cfr. ad esempio, MARIANELLA SCLAVI, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Bruno Mondadori, Milano 2003; RENATA BORGATO, Un’arancia per due. Giochi d’aula ed esercitazioni per formare alla negoziazione, Franco Angeli, Milano 2004; Ferruccio Cavallin, Creatività insieme. 62 giochi per la creatività di gruppo, Città Studi, Truccazzano (Mi) 1999. 8 ERIKA CELLINI, L’osservazione nelle scienze umane, Franco Angeli, Milano 2008, p. 38. 9 MARIA GRAZIA MUSSO, Il sistema e l’osserv–attore. Itinerari di sociologia della complessità, Franco Angeli, Milano 2008. 7 Sull’arte di osservare 21 le regole e le strategie di gioco e le regole e le strategie proprie dell’interazione tra individui è stata del resto già sottolineata, a suo tempo, da Erving Goffman10. Le qualità del giocatore su cui si sofferma Poe richiamano alcune risorse indispensabili per instaurare relazioni efficaci e costruttive in qualunque campo ed ambiente. Torniamo alla già accennata necessità di confrontarsi, in tutti i più svariati settori del tessuto sociale –amministrazioni pubbliche e aziende private, associazionismo e professioni del sociale, progettazione urbana e politica economica, famiglia e scuola – sull’esigenza di strumenti più adeguati per ascoltare e comunicare efficacemente con familiari e colleghi, superiori e dipendenti, consumatori, studenti, cittadini, stranieri. Si moltiplicano i percorsi formativi sul potenziamento di abilità relazionali come la capacità di mediazione e di negoziazione, e prende sempre più piede, nell’ambiente scolastico e in quello educativo in genere, la consapevolezza di quanto sia necessario adottare ed imparare tecniche e strategie flessibili e partecipate. L’osservazione e l’ascolto concorrono alla costruzione di uno stile relazionale che permette di avvicinarsi all’altro attraverso il dialogo e il confronto, di incontrare e comprendere l’altro piuttosto che “pre– giudicare” e falsare potenziali spazi di interazione. La capacità di ascolto è un indicatore visibile della qualità della vita di ogni persona. Denota la capacità di conquistare spazi e tempi dedicati a coltivare il sé in maniera relazionale: non a caso gli studi più recenti di sociologia dello straniero continuano a insistere sulla consapevolezza di sé come presupposto indispensabile per la conoscenza dell’altro. Erving Goffman chiarisce nei suoi studi l’importanza ma anche la fatica di dedicare tempo e spazio alla costruzione della relazione: «se due individui in un qualsiasi momento cercano di entrare in contatto, ci saranno dei costi in termini di tempo, denaro e sforzi, qualunque sia lo scopo del contatto e sia esso faccia a faccia o mediato»11. Egli introduce il concetto di «territorio del sé»12 e sottolinea come, di norma, le persone prestino molta attenzione a quelli che lui stesso individua come «rituali di sostegno» e «rituali di riparazione» all’interno di un 10 ERVING GOFFMAN, Il rituale dell’interazione, il Mulino, Bologna 1988. ID., Relazioni in pubblico, Raffaello Cortina, Milano 2008, p. 65. 12 Ibid. 11 Capitolo I 22 meccanismo relazionale che possiamo definire di «doppia contingenza»13. Ogni attore sociale mette in atto quotidianamente una serie di azioni con l’obiettivo di salvare e far salvare la faccia al proprio interlocutore. È il ripetersi di queste microazioni che sedimentando preparano il terreno per l’incontro con l’altro: «molti di quelli che si chiamano tradizionalmente “riti di passaggio” sono riti che riguardano la produzione di “soggetti locali”, attori sociali che imparano ad appartenere in modo adeguato ad una comunità situata di parenti, vicini, amici e nemici»14. Milton J. Bennet15, studioso di comunicazione interculturale, individua nell’autoconsapevolezza di sé e dei meccanismi dell’interazione uno dei primi passaggi del processo di costruzione della relazione empatica: la conoscenza di sé stessi permette di avvicinarsi agli altri senza la paura di perdersi in loro. Colui che si sente sicuro della propria identità ha meno timore di incontrare l’altro e di perdere la memoria della propria storia. Questa riflessione è confermata anche da studi di sociologia delle migrazioni che sottolineano come sia più facile avviare un processo di integrazione in un contesto in cui il soggetto abbia un’identità solida e consapevole. Da un’altra prospettiva Carl Rogers16 evidenzia come, secondo il suo approccio “centrato sulla persona”, essere in contatto con sé stessi, e quindi coscienti del proprio “funzionamento”, dei propri costrutti e dei propri bisogni, è indispensabile per costruire un contesto relazionale caratterizzato da reciprocità costruttiva e da cooperazione funzionale. Affinare le proprie risorse relazionali attraverso l’“arte di osservare” è un cammino che mette ciascuno nelle condizioni di scoprire aspetti nuovi di sè a partire dal proprio sguardo sull’altro. 13 Cfr. TALCOTT PARSONS, Il sistema sociale, edizioni Comunità, Milano 1965; NICHOLAS LUHMANN, Sistemi sociali, il Mulino, Bologna 1990. 14 ARJUN APPADURAI, Modernità in polvere, Meltemi, Roma 2006, p. 232. 15 Cfr. MILTON J. BENNET, Principi di comunicazione interculturale, Franco Angeli, Milano 2001. 16 Cfr. CARL ROGERS, DAVID E. RUSSEL, Carl Rogers. Un rivoluzionario silenzioso. Lo psicoterapeuta centrato sulla persona che rivoluzionò la psicologia, La Meridiana, Molfetta (Ba) 2007.