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Concrete2014 - Progetto e Tecnologia per il Costruito
Tra XX e XXI secolo
CONCRETE 2014
PROGETTO E TECNOLOGIA PER IL COSTRUITO
Tra XX e XXI secolo
Termoli
25 e 26 settembre 2014
IL RIPRISTINO ARCHITETTONICO DEI PARAMENTI IN
CALCESTRUZZO FACCIA A VISTA.
IL CASO DELLO UNITY TEMPLE DI FRANK LLOYD WRIGHT
A OAK PARK (ILLINOIS).
Claudio Piferi
Università degli Studi di Firenze, Firenze, Italia
e-mail: [email protected]
Abstract
The language that characterizes the modern movement uses those materials that
emphasize the formal and expressive aspects. The fair-faced concrete, with his
appearance of matter and its simplicity, is well suited to a movement that wants
to "break down the empty decorations of the past". These characteristics,
combined with the structural capacity, making it one of the privileged materials
by the architects of rationalism. A few decades after their construction situations
of serious decay, however, characterizes many of the great modern architecture.
The image and the same meaning have been disrupted by situations of physical
degradation and indifference with which it has subsequently intervened on them,
undermining hierarchies, values and meanings. The contribution, through the
study of the Unity Temple, designed by Wright, aims to identify appropriate
materials and technologies for recovery, not only structural, fair-faced concrete
degraded.
Claudio Piferi
1
Introduzione
Al fine di inquadrare il presente contributo è opportuno soffermarsi sul rapporto
che ha strettamente legato gli architetti del movimento moderno e il calcestruzzo
armato. Ogni nuovo “linguaggio”, nel muovere i suoi primi passi, come è
accaduto in molti altri periodi della storia dell’architettura, utilizza quei materiali
che meglio ne sottolineano gli aspetti formali ed espressivi. Il calcestruzzo
lasciato a vista, con la sua apparenza materica e la sua scarna essenzialità, ben
si adatta al nuovo linguaggio che ha tra i suoi obiettivi fondamentali quello di
“abbattere le vuote decorazioni del passato”. Queste sue caratteristiche, accanto
alle capacità strutturali, rendono il calcestruzzo armato uno dei materiali
privilegiati dagli architetti che si richiamano al movimento razionalista. In Europa
è Le Corbusier che nel Padiglione svizzero della Cité Universitaire di Parigi,
utilizza per la prima volta, nei grandi pilastri del piano terra, il calcestruzzo
lasciato a vista, così come uscito dalle casseforme di legno, sfruttando l’impronta
delle tavole per rendere la superficie maggiormente vibrante. Successivamente
utilizzerà spesso questa tecnologia tanto da farla diventare un aspetto originale
del suo linguaggio (in particolare le Unità di Abitazione, il noviziato dei
domenicani La Tourette e Chandigarh dove il bèton brut, che darà il nome al
movimento del Brutalismo, diviene anche espressione formale di alta qualità).
Molti
altri
grandi
maestri
del
movimento
moderno
utilizzeranno,
contemporaneamente e successivamente a Le Corbusier, l’espressività del
calcestruzzo per connotare le proprie opere. In particolare vanno ricordati
Saarinnen (terminal della TWA all’aeroporto J. F. Kennedy, NY) e Louis Kahn
(Salk Institute a la Jolla, California) che per la prima volta ricerca dal
calcestruzzo a vista non più “la dignità di un volto con le rughe”, ma una
perfezione geometrica e una superficie il più liscia possibile; inoltre i fori
necessari all’irrigidimento delle casseforme vengono lasciati a vista e con
l’introduzione di “bucature posticce” diventando l’unica decorazione geometrica
delle facciate interne ed esterne. In Italia Pier Luigi Nervi prima sperimenta le
potenzialità strutturali del materiale e successivamente anche quelle estetiche,
adoperando cementi bianchi mescolati con inerti di marmo di Carrara,
casseforme sperimentali per ottenere superfici sempre più lisce e lavorazioni
superficiali ideali per far risaltare la bellezza del materiale (ad esempio le colonne
a fungo della Grande Sala delle Audizioni in Vaticano martellinate con gli inerti
bianchissimi in evidenza).
Oltre a Nervi, in Italia vanno ricordati Vittoriano Viganò (l’Istituto Marchiondi a
Milano è il primo edificio brutalista italiano), i fiorentini Giovanni Michelucci
(Chiesa dell’Immacolata Concezione della Vergine a Longarone), Leonardo Ricci
(complesso residenziale di Sorgane a Firenze) e Leonardo Savioli (edificio per
abitazione in via Piagentina a Firenze), che sperimentano al limite le potenzialità
strutturali ed estetiche del conglomerato cementizio, e Carlo Scarpa che negli
anni settanta utilizza il calcestruzzo faccia a vista come fosse realmente una
pietra naturale accettandone incondizionatamente il processo di degrado
provocato dal tempo (Tomba Brion a San Vito d’Altivole, TV). Anche il movimento
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decostruttivista negli anni ottanta impiegherà largamente questa tecnicalinguaggio: l’assunto di abbandonare i tradizionali piani verticali ed orizzontali,
realizzando finestre non orientate secondo l’andamento dei piani di calpestio e
creando spazi non più costretti nella tradizionale scatola parallelepipeda, trova un
essenziale contributo nel calcestruzzo, che può essere plasmato in forme libere,
condizionate solo dalla possibilità di realizzare le casseforme (ad esempio la
caserma dei Vigili del Fuoco a Weil Am Rhein progettata da Zaha M. Hadid).
La chiesa Dives in Misericordiae a Roma progettata da Richard Mayer nel 2000 è
un’ulteriore dimostrazione delle potenzialità plastiche ed estetiche del
calcestruzzo faccia a vista, abbinate ad una sperimentazione e innovazione dei
materiali impiegati e delle tecnologie costruttive; l’utilizzo di un “cemento
ecologico mangia smog” che permette al paramento di rimanere candido nel
tempo rappresenta ad oggi soltanto un esempio di una sperimentazione sempre
in evoluzione.
2
I fenomeni di decadimento dell’architettura contemporanea
L’architettura moderna è stata condizionata in maniera rilevante dal contesto
sociale, politico ed economico nel quale è nata e maturata e del quale ha risentito
profondamente in termini di qualità tecnologica in senso stretto ed architettonica
nel senso più ampio del termine.
È proprio in quegli anni che la tecnologia costruttiva del calcestruzzo armato
raggiunge l’apice del suo successo: le antiche costruzioni vengono
sistematicamente abbandonate a favore di un modello abitativo e costruttivo più
sicuro e più funzionale1.
In questa rapida ascesa vanno però in parte rintracciate anche le ragioni della
sua parziale sconfitta: una frenesia speculativa legata ad una eccessiva fiducia
nella standardizzazione del processo costruttivo ha portato a disattendere la
qualità e l’accuratezza dell’opera, riducendo drammaticamente le prestazioni e la
durevolezza dei manufatti. Gravi situazioni di decadimento edilizio, infatti,
contraddistinguono, a pochi decenni dalla loro costruzione, molte tra le grandi
opere architettoniche del movimento moderno, ponendone in crisi i valori formali
dell’immagine architettonica e, talvolta, la consistenza edilizia stessa.
A rendere più complessa e grave la situazione è il fatto che molte di queste opere
non sono opportunamente tutelate e, di conseguenza, al decadimento fisico si è
affiancata, negli anni, la leggerezza con cui sono stati applicati interventi di
recupero, stravolgendone l’immagine originaria.
Buona parte dei difetti che caratterizzano parte dell’architettura del movimento
moderno sono insiti proprio nel fatto di appartenere ad un periodo storico
caratterizzato dall’irreversibile abbandono delle tecniche artigianali in favore
dell’introduzione nel mondo della costruzione edile di materiali nuovi, dei processi
industriali, e dalla espressa volontà di proporre innovazioni tecnologiche e
modifiche strutturali con il preciso intento sperimentale di rifondare la tradizione
costruttiva, in contrapposizione all’accademismo dell’architettura della fine del
XIX secolo. Una discreta casistica di patologie ed alterazioni discende
direttamente dalle stesse tecniche costruttive di questi edifici, che ne hanno
radicalmente trasformato le logiche fondanti.
Claudio Piferi
I tetti a falde inclinate hanno lasciato il posto a coperture piane, molto spesso
non realizzate a regola d’arte, e quindi causa frequente di infiltrazioni di acque
meteoriche, che hanno comportato gravi conseguenze sia per i paramenti che per
le strutture. Le cornici, le gronde, i gocciolatoi, gli zoccoli, ossia tutto il repertorio
di membrature aggettanti di eredità classica, sono stati aboliti dal linguaggio
architettonico moderno, determinando degradanti colature e macchie sulle
superfici di facciata. I volumi sono stati nella maggior parte dei casi rivestiti di
bianco, mediante l’applicazione di nuovi intonaci, o la giustapposizione di lastre di
materiale lapideo sottile, manifestando in entrambi i casi evidenti limiti
prestazionali. I serramenti in metallo o in legno (quando non addirittura in
calcestruzzo) di grandi dimensioni a sviluppo prevalentemente orizzontale sono
stati in molti casi seriamente danneggiati da imbarcamenti e deformazioni e dal
deterioramento dei meccanismi di apertura. Si sono poi presentati una serie di
problemi legati all’introduzione negli edifici degli impianti e di tutto ciò che in
generale costituisce il sistema di adduzione energetica, spesso caratterizzata
dalla modestia nella scelta dei materiali, e dalla obsolescenza dei componenti,
che ne ha ben presto compromesso le prestazioni.
3
Lo Unity Temple di Oak Park, Illinois (F. L. Wright)
Circa 30 anni prima che Le Corbusier utilizzasse il calcestruzzo faccia a vista nelle
colonne del padiglione svizzero, negli Stati uniti, ai primi del Novecento, Frank
Lloyd Wright sperimenta le potenzialità costruttive ed estetiche del nuovo
materiale nella progettazione dello Unity Temple di Oak Park nell’Illinois. Per
descrivere brevemente l’importanza che questo edificio ha all’interno del
movimento moderno basta ricordare che lo Unity Temple è l’ultimo edificio
pubblico superstite dal periodo “Prairie” di Wright, ed è, oltre che uno dei più
importanti progetti pubblici della sua lunga carriera, la più antica struttura ad
essere ancora nelle mani dei suoi proprietari originari e tuttora utilizzato per lo
stesso scopo per cui è stato costruito2.
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Legenda
1. Hall di ingresso
2. Chiostri
3. Tempio
4. Balcone
5. Terrazze
6. Abitazione
7. Cucina
Figura 1: Pianta dello Unity Temple
La costruzione dello Unity Temple venne commissionata a Wright nel 1905,
quando un incendio rase al suolo la struttura esistente, incenerendola
completamente. La forma del lotto lunga e stretta, la sua collocazione in un
angolo molto rumoroso, oltre a problemi di budget, misero a dura prova il
progettista, chiamato a realizzare una struttura che doveva diventare un
importante luogo di incontro e scambio per la comunità, oltre che il principale
luogo di culto. Il contratto iniziale prevedeva la consegna dell’opera per il 15
novembre 1906 ed una spesa complessiva di circa 40.000 dollari. Il budget era
limitato se si considera che nella stessa zona i costi di costruzione di altri edifici
religiosi variavano, all’epoca, dai 65.000 ai 100.000 dollari. I lavori di costruzione
terminarono nel 1908 e la chiesa, inaugurata il 26 settembre del 1909, venne
immediatamente riconosciuta quale emblema anche da parte della comunità
internazionale. Wright, negli ultimi anni di vita, la indicò come suo grande
contributo all’architettura moderna: “Unity Temple makes an entirelyd new
architecture […] and is the first expression of it. That is my contribution to
modern architecture. And that, to me, is modern architecture”.
La committenza fu soddisfatta del progetto in quanto rispettava il budget previsto
e usava tecniche di costruzione innovative abbinate ad un design audace che
rompeva con la tradizione, ponendo le basi degli edifici moderni, abolendo, ad
esempio, alcuni dei simboli dell’architettura religiosa americana ed europea quali
il campanile e il grande portale di ingresso. L’uso del calcestruzzo armato, sia
quale elemento strutturale innovativo, che come materiale di finitura,
rappresenta un altro carattere distintivo del tempio, uno tra i primi edifici
monumentali al mondo ad essere realizzato interamente in calcestruzzo gettato
in opera con inerti a vista. La scelta di impiegare questo materiale si rivelò
dapprima vincente, in quanto costituì un'occasione per esaltarne le straordinarie
potenzialità espressivo-formali e tecnologico-strutturali, consentendo di creare
prospetti di grande effetto, con un interessante gioco chiaroscurale garantito
dalla lavorazione superficiale del paramento di facciata, scandito dalle grandi
superfici vetrate e valorizzato mediante l’aggetto dei solai di copertura,
Claudio Piferi
permettendo di mettere in risalto la monumentalità del manufatto, la possibilità
di creare spazi imponenti grazie all’impiego di grandi luci, ampie finestrature e
superfici aggettanti d’impatto, mantenendo bassi i costi di costruzione.
La complessità del progetto, il budget limitato, l’assenza di informazioni in merito
alla durabilità dei nuovi materiali e delle nuove soluzioni costruttive, abbinati alla
oramai nota propensione di Wright a modificare i suoi progetti durante la
costruzione e all'ostinazione con cui difendeva le proprie scelte, seppur
tecnologicamente non adeguate, resero la fase di realizzazione complessa e
compromisero sensibilmente la fase d’uso dell'edificio.
È emblematico, a tal proposito, quello che dissero i membri del Consiglio della
Fondazione il giorno dell’inaugurazione nel ringraziare Wright: "We believe the
building will long endure as a monument to his artistic genius and that, so long
as it endures, it will stand forth as a masterpiece of art and architecture."
Quel “so long as it endures” si rivelerà, da li a pochi anni, una precisazione
significativa. A pochi anni dalla sua inaugurazione, infatti, l’edificio cominciò a
mostrare tutta una serie di problematiche sia di carattere strutturale che
prettamente estetico.
Nel 1938 William Drummond, un collaboratore di Wright, sottopose all’attenzione
dell’architetto il problema del cedimento di una delle piastre di fondazione,
ritrovandosi liquidato dal maestro, il quale evidenziava come la struttura avesse
già brillantemente superato l’aspettativa di vita della costruzione, che era di soli
25 anni.
Più tardi il Village Oak Park Villane Buillding Department, temendo per le possibili
conseguenze, transennò l’edificio proponendosi di risolvere il problema che nel
frattempo si era aggravato in modo preoccupante.
Se è innegabile l'importanza che le scelte architettoniche hanno avuto nel
progetto di Wright (l’uso sperimentale del calcestruzzo faccia a vista e l’impiego
delle coperture piane ad esempio), è altrettanto evidente, da subito, come tali
soluzioni, non supportate da una adeguata esperienza e da materiali idonei per lo
specifico periodo, ne abbiano definito la vulnerabilità fisica. Le infiltrazioni di
acqua all'interno dell'edificio (per molti studiosi un problema ricorrente nelle
architetture di Wright) sono state continue e distruttive danneggiando l'integrità
del calcestruzzo (sia strutturale che di facciata), del sistema di copertura e delle
finiture interne.
Sebbene dopo neanche 30 anni dalla sua costruzione l'immobile cominciasse ad
evidenziare fenomeni di degrado preoccupanti, è soltanto dagli anni Settanta che
si è iniziato a programmare correttamente l’intervento per il ripristino e per la
conservazione a lungo termine dell'opera.
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Figura 2: Degrado di una delle lastre di copertura
Nel 1973 venne fondata la Unity Temple Restoration Fondation, con l’intento di
organizzare il restauro complessivo della costruzione ed il proposito di terminare
l’intervento entro il 2008, centesimo anniversario dalla costruzione. Venne
redatto un Master Plan, strumento indispensabile per coordinare tutta una serie
di interventi che andavano dal ripristino del calcestruzzo e delle vetrate
artistiche, fino al rifacimento dei corpi illuminanti, all’adeguamento dell’impianto
elettrico, alla ritinteggiatura e alla risoluzione dei problemi di umidità derivanti
dalla condensa e dalle infiltrazioni di acqua. L'analisi, il sondaggio, la valutazione
delle condizioni del calcestruzzo e lo sviluppo di un piano di ripristino graduale
furono commissionate al CTLGroup (Construction, Technology Laboratories),
filiale della Portland Cement Association. Il CTLG raccolse dapprima i dati storici
ed effettuò gli esami visivi: successivamente eseguì le prove in situ (non
distruttive) e le prove in laboratorio su prelievi mirati, fece un esame critico
comparativo dei dati raccolti ed infine emise la diagnosi.
L’analisi storica rilevò, tra l'altro, l’uso di tre specifiche tipologie di calcestruzzo:
un Portland cement facing mortar, uno stone concrete e uno structural cinder
concrete (per le lastre a sbalzo).
L'ispezione visiva permise di monitorare, nello specifico, i fenomeni di
fessurazione, di laminazione e scheggiatura dei paramenti in calcestruzzo, la
corrosione evidente di alcune colonne ornamentali e l’inflessione dei terrazzi che
avevano causato l’esposizione delle armature agli agenti atmosferici.
Claudio Piferi
Figura 3: Distacco del paramento in
calcestruzzo faccia a vista
Figura 4: Dettaglio di una colonna a
restauro ultimato
Le prime indagini in situ eseguite con tecniche di analisi non distruttive, tra cui
quelle ultrasoniche, si rivelarono in parte imprecise, in quanto stimarono
l’armatura esistente insufficiente al sostegno delle travi a sbalzo, suggerendo la
demolizione di tutti gli aggetti quale unica soluzione praticabile. Tale diagnosi era
in parte supportata dall’analisi storica di altre architetture progettate da Wright,
tra cui la casa Kauffman sulla cascata, per la quale l’utilizzo di armature
insufficienti e di sezione ridotta, causarono l’inflessione delle grandi terrazze a
pochi mesi dalla scasseratura, con conseguenti fessurazioni e infiltrazioni3.
Furono fatti prelievi e carotaggi mirati che confermarono, grazie alle prove di
laboratorio, i risultati dell'analisi storica e dell'esame visivo, ma smentirono
parzialmente le analisi non distruttive, dimostrando l’adeguatezza dell’armatura
rispetto alle sollecitazioni cui la struttura era sottoposta. Le prove più invasive
confermarono, inoltre, che la causa del distacco di porzioni di calcestruzzo era
dovuta anche alle specifiche chimiche degli aggregati utilizzati, particolarmente
ricchi di particelle di ferro. Il Master Plan del recupero, predisposto dall'architetto
T. Gunny Harboe, programmava, successivamente all'analisi, la suddivisione
dell'intervento in tre fasi specifiche (I - rafforzamento della struttura, II controllo della temperatura e dell’umidità, III - ripristino degli interni).
La Fase I prevedeva il consolidamento, e in parte la sostituzione, degli elementi
strutturali tra cui la piastra di fondazione, sei travi aggettanti, una colonna, i
parapetti, il camino, le lastre di copertura del tetto e i canali di scolo, oltre al
ripristino dei paramenti esterni in calcestruzzo faccia a vista, delle lastre del tetto
sopra l’ingresso e delle fioriere ornamentali sempre in calcestruzzo a vista.
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Oltre al recupero degli elementi faccia a vista, la prima fase prevedeva il restauro
delle terrazze, del muro di contenimento ad est, dei lucernari e delle vetrate
artistiche.
La messa a punto della prima fase avrebbe permesso, inoltre, di prevenire un
ulteriore deterioramento della struttura, di garantire la stabilità strutturale
dell'edificio e di prevenire ulteriori danni alla finiture interne.
I lavori dovevano essere completati in massimo 5 anni ed avere un costo di 5-7
milioni di dollari.
Figura 05: Dettaglio delle fioriere e del paramento in calcestruzzo faccia a vista
Gli interventi sugli elementi in calcestruzzo si attuarono essenzialmente su due
fronti: da un lato il consolidamento strutturale mediante l’inserimento di nuove
armature o la sostituzione totale degli elementi, e dall’altro il trattamento della
carbonatazione del calcestruzzo e il ripristino volumetrico e superficiale dei
paramenti. Se l’armatura e il calcestruzzo, infatti, nell’ambiente alcalino
dell’impasto cementizio coesistevano tranquillamente, con il trascorrere del
tempo, a causa del naturale scambio chimico tra il biossido di carbonio contenuto
nell’atmosfera e i componenti della pasta cementizia, il fenomeno di
carbonatazione rese più acido l’ambiente alcalino, favorendo l’ossidazione
dell’armatura in presenza di umidità.
Durante il ciclo di vita, infatti, numerose fessurazioni, causate dai fenomeni di
scorrimento, avevano compromesso le pareti esterne, dal substrato di
calcestruzzo alla superficie con inerti a vista.
La demolizione delle parti in calcestruzzo è stata operata in tutta sicurezza senza
dover utilizzare alcun tipo di protezione. A causa dei possibili danni collaterali
determinati dalle vibrazioni (tra cui non solo la rottura delle grandi vetrate, ma
anche il possibile distacco del calcestruzzo dalle armature), non furono utilizzate,
neppure per la rimozione di strati superficiali, attrezzature ad aria compressa, ma
si fece ricorso all’utilizzo di un agente di demolizione non esplosivo che ha la
Claudio Piferi
proprietà di demolire in tutta sicurezza il calcestruzzo senza produrre rumore,
vibrazioni, lanci di detriti o inquinamento ambientale. Questo agente, una polvere
simile ad un cemento pronto all'uso, miscelato con acqua, da vita ad un impasto
che, colato in fori appositamente ricavati nel calcestruzzo, provoca la
frantumazione dello stesso a causa dell'espansione di volume che il prodotto
subisce in fase di consolidamento (la spinta generata è di circa 6000 t/m2).
Per ciò che riguarda il ripristino della tessitura superficiale si è operato dapprima
con la preparazione del sottofondo, poi con la protezione dei ferri e infine con il
ripristino volumetrico e la finitura.
Per quanto riguarda la preparazione del sottofondo è stato rimosso il materiale
ammalorato fino ad arrivare ad un calcestruzzo meccanicamente resistente e
irruvidito con asperità di circa 5 mm: lo spessore di calcestruzzo rimosso è stato
pari a quello che, in base alle indagini diagnostiche, è risultato essere ormai
penetrato dagli agenti aggressivi, anche se ancora non completamente
danneggiato. In questo modo è stato rimosso il copriferro danneggiato
consentendo la liberazione delle armature arrugginite dal materiale più
deteriorato.
L’operazione di asportazione è stata eseguita manualmente in modo da evitare la
trasmissione di dannose vibrazioni alla struttura.
Nei casi in cui le barre d’armatura erano compromesse dalla corrosione per oltre
il 40% del diametro e lo spessore era sufficiente, è stata introdotta una rete
elettrosaldata applicata direttamente sul sottofondo e fissata con chiodi in modo
da garantire un copriferro di almeno 15 mm. Infine è stato saturato di umidità il
sottofondo bagnandolo con acqua a pressione al fine di evitare sottrazione di
acqua alla malta da applicare successivamente con conseguente perdita delle
caratteristiche espansive. La fase di pulitura si è conclusa con un test che
prevede l’applicazione sulle parti trattate di un reagente a base di fenolftaleina4.
Successivamente i ferri sono stati trattati con uno strato sottile di malta
passivante che, oltre a svolgere un’azione anticorrosiva, funge da strato di
aggrappaggio per i successivi trattamenti per il ripristino volumetrico.
Le malte passivanti utilizzate sono costituite da cemento, resine bicomponenti e
additivi, in grado di inibire l’alterazione del metallo in esercizio e la formazione di
composti espansivi e sono state stese a pennello su tutti gli elementi metallici,
sia nuovi che preesistenti, in due mani successive5.
La scelta dei materiali più idonei da impiegare nel ripristino volumetrico è dipeso
fortemente dalle considerazioni emerse dall’analisi dei dati storici, e quindi dalla
composizione originaria della miscela, e dalla diagnosi del degrado, ovvero dalle
cause che lo hanno provocato. I materiali da utilizzare, quindi, dovevano essere
in grado di resistere alle sollecitazioni di carattere chimico, fisico e meccanico alle
quali non era stato in grado di resistere il calcestruzzo originale e di ridare alle
facciate l’aspetto originario tenendo conto anche della specifica tecnica esecutiva
da adottare per l’intervento di ripristino.
Per il ripristino sono stati utilizzati prodotti a base cementizia6, nei lavori di
restauro che hanno coinvolto spessori più elevati, e materiali a base polimerica7
(resine epossidiche, poliuretaniche) per il rivestimento di spessori minori (0,1-2
mm). Grande attenzione, come detto, è stata posta al composto impiegato per il
ripristino volumetrico, per il quale fu preteso l’utilizzo di inerti a vista ricavati
dalla stessa cava utilizzata per il confezionamento del paramento originario. Per il
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corretto mix design della miscela sono state effettuate diverse prove per
individuare gli aggregati più simili agli originali sia per forma che per colore: una
volta individuate morfologia, dimensioni e tinta, è stato acquistato il quantitativo
necessario per l'intero intervento, così da scongiurare l'eventuale futura necessità
di dover acquistare materiale non idoneo per il restauro. La nuova miscela,
additivata con prodotti acceleranti di presa che garantiscono l'aggrappo
immediato del calcestruzzo nel momento in cui entra in contatto con il
sottofondo, è stata messa in opera con la tecnica dello Shotcrete, ovvero del
calcestruzzo spruzzato, mediante una lancia ad aria compressa.
Questa tecnologia è apparsa la più idonea sia perché in grado di garantire
resistenze meccaniche elevate in tempi ridotti, sia per l’ottenimento di una
superficie omogenea e compatta, con una finitura simile all’originale con gli inerti
a vista, quindi senza l’utilizzo di casseforme.
Per prevenire la futura corrosione delle armature sono state inoltre applicate
iniezioni di idrossido di litio a bassa pressione, in grado di aumentare il pH del
composto.
Le operazioni di finitura sono state minime rispetto ad altri interventi di ripristino
di paramenti di facciata in calcestruzzo faccia a vista, in quanto per la specifica
tipologia di tessitura, la fase del ripristino volumetrico ha in buona parte
sostituito la fase di finitura8.
L’operazione ha riguardato essenzialmente la rimozione della malta in eccesso
dalle zone di maggiore accumulo, con una spatola di legno, al fine di rendere più
o meno planare la superficie prestando attenzione a non comprometterne la
finitura superficiale.
L'intervento di restauro è stato completato con la fase II, che ha previsto la
riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, attraverso la realizzazione di
un sistema HVAC geotermico, il rifacimento degli impianti elettrici, idraulici,
antincendio e sicurezza e la fase III che ha riguardato il ripristino e la
conservazione delle vetrate interne, degli intonaci, delle vernici, dei cementi e
dei pavimenti in magnesite, degli apparecchi di illuminazione in vetro e degli
arredi e delle finiture in rovere.
Il costo complessivo del restauro dello Unity Temple è ammontato a circa 15
milioni di euro e la stessa congregazione per riuscire a sostenerlo si è ritrovata
costretta a mettere all'asta e a vendere alcuni degli arredi originali progettati da
Wright.
Claudio Piferi
Figura 06: Lo Unity Temple restaurato
Parole chiave: decadimento e tutela dell’architettura moderna, ripristino dei
paramenti in calcestruzzo faccia a vista, tecnologie di recupero, Frank Lloyd
Wright, Unity Temple a Chicago
Bibliografia
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Tra XX e XXI secolo
Piferi, C.; Di Salvatore, S. - Theory and Pratice in Conservation. A tribute to Cesare Brandi (edited
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Rossetti, V. A. - Il calcestruzzo, McGraw-Hill, Milano, 1999.
Coppola, L. La diagnosi del degrado delle strutture in calcestruzzo. L'Industria Italiana del cemento.
Vol. 10 (1993).
Gimma, M. G. - Il restauro dell'architettura moderna, Betagamma editrice, Roma 1992.
Avramidou, N. - Criteri di progettazione per il restauro delle strutture in cemento armato, Liguori
Editore, Napoli, 1990.
Note
1
È emblematica, al riguardo, la dichiarazione del Ministro dei Lavori pubblici francese M. C. Pineau alla
cerimonia inaugurale de “le journees du Centenarie” a Parigi l’8 novembre 1949, “in questa opera di
ricostruzione il cemento armato ha giocato un ruolo immenso! Noi non possiamo nemmeno immaginare cosa ci
sarebbe stato senza di esso, di quanti anni o decadi ci sarebbe stato bisogno per compiere lo stesso lavoro di
ricostruzione adoperando materiali e tecniche costruttive tradizionali”. Cfr. Mezzina M. Uva G. “Degrado e
riabilitazione strutturale dell’architettura in cemento armato: la crisi della modernità.”, d’Architettura, Milano, n.
20 (aprile 2003), pp. 176-181
2
Molti sono i riconoscimenti che l’edificio ha ricevuto durante la sua vita: nel 1971 il Dipartimento degli Interni
degli Stati Uniti lo ha designato quale National Historic Landmark e l'American Institute of Architects lo ha
definito uno degli edifici più influenti di Wright. Nel luglio 2011 il Dipartimento degli Interni degli Stati Uniti,
dietro proposta del Presidnete Obama, ha annunciato l'intenzione di nominare Unity Temple, insieme ad altri
dieci edifici di Wright, alla prestigiosa World Heritage List dell'UNESCO.
3
La leggenda racconta di contrasti, a costruzione ultimata, tra l’architetto e l’impresario che si rifiutava di
togliere gli ultimi puntelli per paura di crolli. Allora lo stesso Wright, per dimostrare la propria fiducia nella
costruzione, pare si fosse messo tranquillamente al disotto di una delle terrazze mentre gli operai impauriti
rimuovevano le ultime impalcature.
4
La comparsa di un intenso colore rosso sulle parti trattate indica che il calcestruzzo possiede un grado di
alcalinità pari a quello originale e che non sono più presenti porzioni di materiale alterato dai processi di
carbonatazione o dalla presenza di solfati.
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Una soluzione notevolmente più economica prevedeva la zincatura dei ferri ma il rischio della corrosione dello
strato di zinco, soprattutto nel primo periodo di vita del manufatto in calcestruzzo, quando il grado di alcalinità al
suo interno è ancora molto elevato, ha fatto optare per la soluzione più costosa.
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I materiali a base cementizia erano caratterizzati dall'impiego di superfluidificanti (per abbassare il rapporto a/c
ed ottenere calcestruzzi impermeabili), di fumo di silice (per migliorare la resistenza agli attacchi chimici) e di
agenti espansivi (per compensare il ritiro ed evitare il distacco). Inoltre sono stati adottati altri particolari
accorgimenti per soddisfare le specifiche esigenze prestazionali, quali l'impiego di cementi Portland a basso
tenore di alluminato tricalcico (C3A) (per resistere ai solfati), di cementi d’alto forno (per resistere all’attacco dei
cloruri), e di agenti aeranti (per contrastare gli effetti dei cicli di gelo-disgelo).
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I prodotti polimerici sono stati applicati a spruzzo, a pennello, a rullo e per iniezione mediante siringhe.
Per il restauro dell'Unità di abitazione di Marsiglia di le Corbusier, ad esempio, per ripristinare la finitura
superifcale originaria, sono state utilizzate nuove casseformi con assi di legno con venature simili a quelle
originali.
Claudio Piferi
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