Collana RICERCA TRASFERIMENTO INNOVAZIONE 4 APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA RICERCA TRASFERIMENTO INNOVAZIONE Collana del Settore delle politiche regionali dell’innovazione e della ricerca Dirigente responsabile: Simone Sorbi Regione Toscana Giunta regionale Direzione generale dello sviluppo economico Curatore della collana: Marcello Aitiani 4 APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA realizzato da CoMMA-Med: Gabriele Brugnoni, Bartolomeo Doronzo, Giulia De Sario, Simone Petralli, Andrea Scartazza, Stefano Taddei IBIMET-CNR: Bernardo Gozzini, Laura Pellegrino, Francesco Primo Vaccari collaborazione alla stesura: IBIMET-CNR: Piero Battista, Giovanna De Chiara, Francesco Sabatini, Alessandro Zaldei LaMMA: Maria Pia Di Bona, Laura Filippi, Carlo Brandini, Graziano Giuliani, Andrea Orlandi, Alberto Ortolani, Francesco Pasi, Massimiliano Pasqui Ringraziamenti: Unione Europea, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Provincia di Livorno Istituto Tecnico Nautico “A. Cappellini” di Livorno In copertina: immagine dalla Terrazza Mascagni, Livorno (foto: S. Taddei) Catalogazione nella pubblicazione (CIP) a cura della Biblioteca della Giunta regionale toscana: Appunti di meteorologia marina. – (Ricerca Trasferimento Innovazione) I. Toscana. Direzione generale dello sviluppo economico II. Comma-Med III. Cnr. Ibimet IV. Lamma 1. Previsioni meteorologiche – Temi particolari : Mari 551.65162 Edizioni Regione Toscana Realizzazione redazionale, grafica e stampa P.O produzioni editoriali, grafiche e multimediali del Centro stampa Via di Novoli 73a 50127 FirenZe Tiratura copie 2000 Distribuzione gratuita Febbraio 2006 INDICE 7 Presentazione Ambrogio Brenna 9 Prefazione Simone Sorbi 11 Introduzione Giampiero Maracchi 17 I. IL TEMPO METEOROLOGICO L’atmosfera terrestre La radiazione solare La temperatura dell’aria La pressione atmosferica I venti L’umidità atmosferica Nebbie e nubi Le precipitazioni Il rilevamento dei parametri meteorologici Modellistica previsionale 91 II. ELEMENTI DI OCEANOGRAFIA Origine, composizione e caratteristiche chimico-fisiche delle acque marine Le correnti marine Fenomenologia del moto ondoso Teoria lineare delle onde Storm surges Le maree Il rilevamento in mare dei parametri meteorologici ed oceanografici 145 III. I MODELLI PREVISIONALI DI MOTO ONDOSO Equazioni delle onde Equazione di bilancio dello spettro direzionale d’azione Modelli 161 IV. PERTURBAZIONI ED EVENTI METEO-MARINI ESTREMI Cicloni tropicali Cicloni extratropicali Burrasche e tempeste Temporali di mare Tornado e trombe marine Tsunami 179 V. IL SISTEMA ATMOSFERA-MARE ED I CAMBIAMENTI GLOBALI I fattori responsabili dei cambiamenti climatici ed il ruolo del mare Incremento della radiazione UV-B Incremento della temperatura media superficiale terrestre L’effetto serra e il mare Analisi delle variazioni climatiche in atto nel Mediterraneo Scenari futuri 209 APPENDICE Glossario Acronimi Riferimenti bibliografici Presentazione Ambrogio Brenna Assessore all’artigianato, industria, PMI internazionalizzazione del sistema produttivo, innovazione, cooperazione Le varie attività produttive e, più in generale, le azioni poste in essere dall’uomo nel territorio per le sue esigenze vitali si ripercuotono inevitabilmente sugli aspetti climatici; e questi, a loro volta, generano situazioni che condizionano in modo rilevante il fare sociale. Esigenze e intraprese economico-produttive, modelli culturali, ambiente e clima si intrecciano dunque inscindibilmente nel quadro dinamico della biosfera. Consapevole di ciò la Regione Toscana porta avanti una linea responsabile di sviluppo, che si realizza attraverso l’assunzione degli obiettivi del vertice di Lisbona (società della conoscenza, coesione sociale e pari opportunità, sviluppo innovativo e buoni posti di lavoro) e presuppone il criterio direttivo, posto dal vertice di Goteborg, di uno sviluppo sostenibile; di un’espansione, dunque, anche qualitativa che costituisca una risposta matura ai molti appelli che, sulla scorta di dati e proiezioni attinenti lo stato del nostro pianeta, le sue risorse e la loro distribuzione, rendono ormai evidenti agli occhi della collettività i problemi ambientali e le loro molteplici ripercussioni. In quest’ottica risulta particolarmente evidente la grande importanza del mare per la Toscana, sia in relazione alla meteorologia e al clima, che per le attività economiche e produttive connesse alla pesca, alle comunicazioni, ai trasporti, alla nautica e al turismo. È dunque necessario studiare sempre più profondamente i fenomeni di meteorologia marina e gli aspetti ad essi connessi, sviluppando anche strumenti di divulgazione. Il rapporto di collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ormai avviato dal 1996, si colloca in questa direzione. Con l’Istituto di Biometeorologia del CNR e con la Provincia di Livorno, la Regione Toscana ha posto in essere il CoMMA-Med, Centro di Meteorologia Marina e Monitoraggio Ambientale del Mediterraneo. Dall’attività del Centro trae origine questa pubblicazione, utile strumento di informazione e di formazione per quanti, a vario titolo, esplicano la propria attività sul mare o in rapporto ad esso; come anche per quanti, consapevoli della rilevanza dei temi affrontati e delle loro molteplici ripercussioni in vasti settori, sentono la necessità e la responsabilità di aumentare le proprie conoscenze su aspetti diventati ormai di primaria importanza. Prefazione Simone Sorbi Responsabile Settore politiche regionali dell’innovazione e della ricerca Direzione generale sviluppo economico Regione Toscana Emerge con sempre maggiore chiarezza l’esistenza di una strettissima interrelazione tra i diversi fenomeni, soprattutto nelle realtà di tipo complesso. Siamo pertanto sempre più consapevoli dell’importanza dello studio degli ecosistemi, anche per porre in essere azioni di salvaguardia ambientale. Infatti il rispetto della natura, dei suoi equilibri e delle sue risorse, è alla base di uno sviluppo reale, che non si curi soltanto degli elementi quantitativi ma che si rifletta invece sulla qualità della vita degli uomini in tutti i suoi aspetti. La Regione Toscana ha attivato fin dal 1996 la costituzione di un proprio Laboratorio per la Meteorologia e la Modellistica Ambientale (LaMMA), individuando dal 2002 il soggetto attuatore del progetto nell’Istituto di Biometeorologia – IBIMET del C.N.R. Il Laboratorio, creato a supporto delle attività dell’Amministrazione regionale e delle Agenzie da essa derivate, offre pertanto servizi rivolti al miglioramento e al controllo del nostro territorio, anche in funzione delle attività di sviluppo economico. Sempre in collaborazione con il C.N.R. – IBIMET, la Regione ha inoltre attivato il Centro LaMMA CoMMA-Med – Centro di Meteorologia Marina e Monitoraggio Ambientale del Mediterraneo di Livorno, per lo studio dei fenomeni meteorologici e climatici e in vista della salvaguardia e dello sviluppo del territorio, particolarmente in connessione al mare e alle sue condizioni. E’ in tale ottica che sono state tra l’altro avviate azioni di mantenimento e d’incremento delle strumentazioni, in modo da assicurare al Centro un flusso di dati costanti. Altre attività hanno inoltre riguardato lo sviluppo di un sistema di previsione dello stato del mare e delle condizioni meteorologiche e marine ad alto dettaglio spaziale; l’analisi dei dati sul moto ondoso al fine di creare uno specifico dataset; il consolidamento delle procedure di validazione dei modelli meteomarini. Il programma è stato inoltre incentrato su attività connesse al controllo e al monitoraggio ambientale degli ecosistemi del Mediterraneo, in termini di traffico marino, inquinamento, cambiamenti climatici, attraverso l’uso di tecnologie e strumenti innovativi. Fra i compiti del Centro è infine da rilevare quello inerente il compimento di attività editoriali, con lo scopo di informare sulle iniziative che vengono portate avanti e, più in generale, con l’obiettivo di ampliare la conoscenza di tali temi. Questi Appunti di meteorologia marina, pubblicati nella nostra Collana “Ricerca Trasferimento Innovazione”, si pongono nell’ottica indicata, assumendo tuttavia un’ulteriore dimensione didattica, utile alla preparazione dei giovani impegnati nelle scuole nautiche. Essi risulteranno in ogni caso interessanti anche a tutti coloro che, per diporto o per lavoro, operano in settori connessi al mare. Infine, chi sia interessato al tema dell’ambiente, consapevole dell’importanza che esso riveste per la vita di tutti, potrà comunque trovare in questo testo dati utili e motivi di riflessione. Seguiranno, dopo questa pubblicazione, altri studi vantaggiosi sia per la diffusione di conoscenze a carattere scientifico che, in qualche caso, anche con risvolti di tipo storico e umanistico. Introduzione Giampiero Maracchi Direttore di IBIMET-CNR La richiesta di informazioni relative al mare è aumentata in modo considerevole negli ultimi anni, per motivi legati sia all’economia che alla protezione ambientale e allo sviluppo eco-compatibile. Lo sviluppo della nautica da diporto, dei trasporti marittimi, dell’economia legata alla pesca ed i problemi di impatto ambientale dovuti alla diffusione degli inquinanti in mare, della qualità delle acque costiere e della salvaguardia degli ecosistemi marini hanno infatti contribuito in modo sostanziale ad aumentare il livello di attenzione dell’opinione pubblica sulla risorsa ‘mare’. ‘Mare’ come elemento comune di raccordo tra tutti questi settori. In particolare il Mar Mediterraneo, che possiede un patrimonio ambientale estremamente ricco e delicato, data la criticità dei fattori sia antropici che naturali, che insistono su questa area, deve essere salvaguardato con particolare attenzione. La Toscana, inoltre, si affaccia su un tratto di mare particolarmente interessante da questo punto di vista; infatti tutto l’Arcipelago Toscano è un Parco Nazionale che è stato recentemente incluso nell’iniziativa MAB (Man and Biosphere) dell’Unesco. Inoltre l’area di mare prospiciente la Toscana e la Liguria, oltre a rappresentare un’importante via di comunicazione dei trasporti marittimi lungo la direttrice Nord-Sud, fa parte del Santuario dei Cetacei. Per questi motivi l’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBIMET-CNR) in collaborazione con la Regione Toscana e la Provincia di Livorno hanno realizzato nel 2003 il CoMMA-Med, Centro di Meteorologia Marina e Monitoraggio Ambientale del Mediterraneo, presso la sede dell’Istituto Tecnico Nautico ‘A. Cappellini’. Questi ‘Appunti di Meteorologia Marina’ costituiscono un primo compendio di informazioni legate sia alla meteorologia che al mare. Essi si rivolgono in particolare ai giovani delle scuole nautiche, ma anche a tutti coloro che per la loro professione hanno a che fare con il mare, si tratti delle attività legate ai trasporti come quelle della pesca, della nautica da diporto o del turismo. In ogni settore infatti è auspicabile che con il tempo si sviluppino delle attività di formazione specializzate, in grado di creare delle professionalità che contribuiscano a rendere la nostra economia più competitiva, abbandonando l’empirismo e l’approssimazione che a questo si lega. L’attività editoriale presso il CoMMA-Med va appunto nella direzione di preparare alcuni strumenti didattici che possano contribuire in questo senso alla preparazione delle giovani generazioni. Questa raccolta di informazioni non pretende di essere esaustiva dei molteplici aspetti che le discipline scientifiche coinvolte in questi settori offrono, ma vuole solo gettare le basi per un lavoro ampio e complesso su quello che crediamo essere un elemento fondamentale per lo sviluppo e l’unione delle civiltà che si affacciano sul Mediterraneo: il mare. 11 La meteorologia marina è una disciplina che utilizza le conoscenze meteorologiche per comprendere e prevedere i fenomeni che interessano il mare, inteso come l’insieme delle acque salate che ricoprono la superficie terrestre. Per comprendere l’importanza di questa scienza è sufficiente pensare che gli oceani ed i mari occupano approssimativamente i tre quarti dell’intera superficie terrestre pari a 361 milioni di km2,dei quali, circa 336 milioni sono oceani e 25 milioni sono mari. Gli oceani ed i mari intervengono attivamente nei cicli biogeochimici del carbonio e dell’acqua e, a causa della maggiore capacità termica delle acque rispetto al suolo, esercitano una notevole azione mitigatrice sul clima. Il mare, ha da sempre esercitato una notevole influenza non solo su aspetti geografici e biologici ma, in genere, anche sulla storia e sullo sviluppo socio-culturale dell’uomo che ha contribuito in maniera sostanziale ad alterare la dinamica dei litorali accentuando l’erosione costiera ed aumentando l’inquinamento delle acque marine. Per questi motivi e sopratutto per le recenti proiezioni sugli impatti del cambiamento del clima in atto, anche sugli ecosistemi marini, si avverte la necessità di approfondire la conoscenza e la comprensione dei fenomeni meteorologici che interessano il mare. APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA I. Il tempo meteorologico I. Il tempo meteorologico Il tempo meteorologico Nella terminologia comune i concetti di tempo e clima vengono frequentemente utilizzati come sinonimi, ma dal punto di vista scientifico essi risultano nettamente distinti: ¿ con tempo si intende la condizione meteorologica in un dato luogo relativa ad un breve intervallo temporale; ¿ con clima si intende la successione delle condizioni meteorologiche (ovvero del tempo) in un dato luogo relativa ad un lungo intervallo temporale. Le scienze che studiano il tempo ed il clima vengono indicate rispettivamente con i nomi di meteorologia e climatologia. Quindi mentre la meteorologia si occupa di studiare quei fenomeni atmosferici che mutano continuamente in un determinato punto della superficie terrestre, la climatologia è basata sullo studio dei valori medi dei parametri meteorologici che caratterizzano una certa località, ricavati da osservazioni condotte per un lungo periodo (minimo quindici anni) e riferite a differenti scale temporali (giorno, mese, anno). Una importante distinzione di carattere generale va fatta tra elementi e fattori meteo-climatici. I principali elementi del tempo e del clima sono: ¿ l'intensità e la durata della radiazione solare ¿ la temperatura ¿ la pressione ¿ i venti ¿ l'umidità relativa ed assoluta ¿ le precipitazioni. Sono quindi parametri fisici misurabili tramite strumenti in grado di registrare le loro variazioni nel tempo e nello spazio e di tradurle in valori numerici. L’insieme di questi strumenti costituisce una stazione meteorologica. I principali fattori che causano le variazioni degli elementi meteorologici in un determinato luogo sono: ¿ la circolazione atmosferica ¿ le correnti marine ¿ la distribuzione delle terre e dei mari ¿ la latitudine ¿ l'altitudine ¿ l’esposizione dei versanti ¿ la copertura vegetale ¿ gli effetti delle attività umane. Il risultato dell’interazione fra elementi e fattori determina i differenti tipi di clima presenti sulla Terra. È importante inoltre precisare che i singoli elementi non concorrono isolatamente a determinare il tempo meteorologico, ma è combinandosi tra loro nel modo più vario e possibile che danno luogo ai fenomeni atmosferici che si osservano in un determinato luogo. Più precisamente, quando si descrivono i fenomeni atmosferici, ci si riferisce spesso a differenti scale spaziali. Si parla di scala sinottica quando le dimensioni orizzontali sono dell’ordine di migliaia di km fino alla scala globale, di mesoscala-α per dimensioni dell'ordine delle poche migliaia di km, di mesoscala-β per dimensioni dell'ordine delle centinaia di km e di mesoscala-γ per dimensioni dell'ordine delle decine di km. Mentre il termine scala sinottica è di retaggio storico, le altre denominazioni fanno riferimento all’insieme di scale definite da Orlanski nel 1975 (tabella 1). 17 Appunti di meteorologia marina Scala Dimensione Microscala-γ < 20 m Microscala-β 20-200 m Microscala-α 200-2000 m Mesoscala-γ 2-20 km Mesoscala-β 20-200 km Mesoscala-α 200-2000 km Macroscala-β 2000-20000 km Macroscala-α > 20000 km Tabella 1 - Definizione delle scale di Orlanski (1975). L’atmosfera terrestre L’atmosfera (dal greco atmòs = vapore) è l’involucro gassoso che circonda la Terra sottoposto all’azione della forza gravitazionale che gli impedisce di sfuggire e disperdersi nello spazio interplanetario. L’atmosfera è indispensabile alla vita, poiché contiene i gas necessari alla respirazione cellulare ed alla fotosintesi clorofilliana e ci protegge dalle radiazioni solari ad alta energia. Man mano che si procede dal suolo verso l’alto le caratteristiche chimico-fisiche dell’atmosfera (temperatura, pressione, densità, composizione chimica, ecc.) variano, per cui è stato possibile suddividere l’atmosfera in una serie di strati concentrici in base soprattutto al variare della temperatura (figura 1): ¿ la troposfera ¿ la stratosfera ¿ la mesosfera ¿ la termosfera ¿ la esosfera. Le zone di transizione tra i vari strati vengono indicate con il nome di “pause”; è possibile quindi distinguere una tropopausa, una stratopausa, una mesopausa ed una termopausa. Il limite superiore dell’atmosfera viene generalmente considerato intorno ai 900 km; tuttavia questo limite non è ben definito, poiché nell’esosfera l’attrazione gravitazionale della Terra è ridotta al punto tale che i gas tendono a sfuggire nello spazio. Di conseguenza il confine dell’atmosfera può essere identificato nel luogo in cui la sua densità diviene uguale Figura 1 - Stratificazione dell’atmosfera e a quella dell’atmosfera solare con la andamento della temperatura col variare quale finisce per confondersi. dell’altezza dal suolo. 18 I. Il tempo meteorologico Troposfera La troposfera (dal greco tròpos = mutamento) è lo strato dell’atmosfera più vicino alla superficie terrestre che comprende circa l’80% di tutta la massa atmosferica e la quasi totalità del vapore acqueo. Essa rappresenta il luogo nel quale si verificano le perturbazioni atmosferiche più intense, poiché in questo strato è presente l’acqua condensata nelle nubi o sotto forma di vapore. La troposfera costituisce quindi il luogo di maggiore interesse per i meteorologi, essendo caratterizzata da tutti quei fenomeni che abitualmente costituiscono l’evolversi del ‘tempo’ come i moti turbolenti dell’aria e le precipitazioni. Lo spessore della troposfera non è uniforme ma varia con la latitudine da circa 8-10 km sopra i Poli, a causa della maggiore compressione dei gas che la compongono, fino a raggiungere gli 11-12 km alle medie latitudini e i 16-18 km sopra l’Equatore (figura 2). Le caratteristiche principali della troposfera sono essenzialmente tre: ¿ la costanza della composizione chimica, a causa dei moti turbolenti orizzontali e verticali che provocano il continuo rimescolamento dei gas; ¿ il decremento della pressione con l’altezza, diminuzione del peso della colonna di aria che sovrasta l’unità di superficie terrestre; ¿ la diminuzione della temperatura con l’altezza, poiché la troposfera si riscalda principalmente a causa del calore ceduto dalla superficie terrestre (irraggiamento termico). Al limite superiore della troposfera si trova la tropopausa, caratterizzata da uno spessore ridotto e da una temperatura di 50-80°C sotto lo zero. Stratosfera La stratosfera è compresa tra il limite superiore della troposfera ed i 50 km di altitudine (figura 3) ed è caratterizzata dalla presenza di ozono, un gas costituito da tre atomi di ossigeno. Lo strato di ozono stratosferico (ozonosfera) si forma in seguito alla reazione fotochimica tra l’ossigeno ed i raggi ultravioletti (UV) presenti nella radiazione solare. Le radiazioni UV provocano la dissociazione dell’ossigeno molecolare (O2) con formazione di ossigeno atomico (O), che reagendo con una molecola di ossigeno origina l’ozono (O3). Questo gas è in grado a sua volta di assorbire parte delle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole e si scinde in ossigeno molecolare e ossigeno atomico (figura 3), per cui le molecole di ozono si trovano in uno stato di equilibrio dinamico essendo continuamente sintetizzate e scisse ad opera della radiazione UV.In assenza dello strato di ozono le radiazioni ultraviolette nocive per gli organismi viventi (UV-B) raggiungerebbero la Terra, perciò la stratosfera svolge da sempre un ruolo importantissimo per la vita sul nostro Pianeta. Per questa ragione ha suscitato notevole preoccupazione la scoperta del cosiddetto buco dell’ozono, ovverosia la riduzione dello spessore della fascia di ozono stratosferico a causa dell’immissione nell’atmosfera di composti inquinanti di origine antropica. L’assorbimento Figura 3 - La stratosfera e il ciclo di sintesi-scissione dell’ozono ad opera della radiazione ultravioletta. 19 Appunti di meteorologia marina della radiazione UV determina un aumento dell’agitazione termica delle particelle, perciò nella stratosfera la temperatura tende progressivamente ad aumentare con l’altitudine, passando da valori prossimi a quelli osservati nella tropopausa a valori di circa 10-17°C nella stratopausa. I valori molto bassi di densità dell’aria e la quasi totale assenza di nubi e pioggia rendono la stratosfera la zona più trafficata dagli aerei di alta quota. Mesosfera La mesosfera è lo strato dell’atmosfera compreso tra i 50 e i 90 km di altitudine: qui i gas atmosferici sono molto rarefatti, sebbene si mantengano nella stessa percentuale osservata negli strati inferiori e pressoché trasparenti alla radiazione elettromagnetica solare. La temperatura nella mesosfera tende nuovamente a diminuire con l’altitudine, raggiungendo il minimo termico assoluto (circa -90°C) nella mesopausa, dove la pressione atmosferica è circa un centomillesimo rispetto a quella registrata a livello del mare. Questo profilo in altezza di temperatura e pressione provoca una circolazione verticale delle masse d’aria, che occasionalmente può dar luogo alla formazione di nuvole al di sopra delle regioni polari durante il periodo estivo: le nubi nottilucenti. Queste nubi raggiungono altezze di 80-85 km e devono il loro nome al fatto che possono essere visibili di notte a latitudini superiori a 50 gradi quando il Sole si trova 5-13 gradi sotto l’orizzonte. Termosfera Oltre la mesosfera c’è la termosfera, compresa tra i 90 e i 500 km di altitudine, dove la radiazione solare provoca la formazione di particelle ionizzate (atomi che hanno perduto od acquistato elettroni). Il fenomeno della ionizzazione è qui particolarmente intenso, ma può interessare in parte anche la mesosfera al di sopra dei 60 km di altitudine. Lo strato dell’atmosfera in cui avvengono i fenomeni di ionizzazione viene indicato anche con il termine di ionosfera. Le particelle ionizzate sono in grado di riflettere le onde radio emesse dalla superficie terrestre, consentendo le radiocomunicazioni anche a notevoli distanze. Poiché nella termosfera l’energia assorbita dalle molecole gassose proviene direttamente dal Sole, la temperatura aumenta con l’altitudine raggiungendo valori di 500-2000°C a quote comprese tra i 300 e i 500 km a seconda dell’attività solare. Nella ionosfera hanno luogo i suggestivi fenomeni luminosi indicati con il nome di aurore polari, causati dalla collisione tra particelle elettricamente cariche che attraversano la termosfera ad elevata velocità ed alcuni gas (azoto ed ossigeno) qui preesistenti, con conseguente liberazione di energia sotto forma di luminosità notturna. Esosfera L’esosfera è lo strato dell’atmosfera oltre i 500 km di altitudine, il suo limite superiore non risulta ben definito. I composti gassosi che la compongono principalmente idrogeno ed elio, sono sempre più rarefatti e la loro densità tende ad essere simile a quella dei gas interplanetari circostanti. La forza gravitazionale terrestre è sempre più debole, perciò i gas dell’esosfera tendono a sfuggire verso lo spazio interplanetario. La temperatura può variare da valori minimi di 300°C a valori massimi di 1700°C a seconda dell’attività solare, con valori medi di circa 700°C. L’esosfera comprende la magnetosfera (regione di spazio intorno ad un corpo celeste che è influenzata dal campo magnetico del corpo stesso), al cui interno si trovano le fasce di Van Allen. Queste fasce, costituite da particelle cariche di origine cosmica e/o solare intrappolate nel campo magnetico, formano delle specie di gigantesche nubi attorno alla Terra che si interrompono in corrispondenza delle zone polari. La magnetosfera intercetta e devia le radiazioni ionizzanti nocive impedendo che raggiungano la Terra, per cui svolge un ruolo di protezione verso tutti gli organismi terrestri viventi. 20 I. Il tempo meteorologico La composizione chimica dell’aria L’atmosfera è costituita da una miscela di gas incolori, inodori e insapori, tra cui predominano l’azoto (78%) e l’ossigeno (21%); ulteriori componenti sono l’argon (0.95%), l’anidride carbonica (0.03%) e piccole quantità di altri gas rari o nobili (elio, kripton, neon, xenon, radon), ozono, metano e pulviscolo atmosferico (polveri, granuli pollinici, spore, cristalli di sale). L’atmosfera contiene anche composti gassosi inquinanti quali idrocarburi ed altre sostanze di origine antropica (figura 4). Figura 4 - Composizione chimica media dell’atmosfera terrestre. La composizione attuale dell’atmosfera è molto differente da quella primordiale in cui predominavano composti gassosi altamente riducenti come ammoniaca, metano e idrogeno. L’idrogeno, molto leggero, sfuggì in gran parte dall’atmosfera terrestre per dissiparsi nello spazio interplanetario, mentre le frequenti eruzioni vulcaniche portarono progressivamente ad un incremento del contenuto in acqua ed anidride carbonica. Circa due miliardi di anni fa, la composizione dell’aria subì un cambiamento fondamentale con lo sviluppo di organismi in grado di svolgere la fotosintesi clorofilliana, che portò alla liberazione nell’atmosfera di grandi quantità di ossigeno. Questo gas consentì lo sviluppo di organismi aerobi e la produzione dello strato di ozono stratosferico in grado di filtrare i raggi ultravioletti e, quindi, di proteggere gli organismi viventi dagli effetti dannosi di queste radiazioni. In assenza di questo strato la vita non si sarebbe mai sviluppata sulla Terra o avrebbe avuto forme ed evoluzioni diverse rispetto a quelle che noi conosciamo. La composizione dell’atmosfera si mantiene pressoché invariata fino ai 90 km di altitudine, cioè fino alla mesosfera, a causa del continuo rimescolamento verticale tra gli strati. Oltre i 90 km l’ossigeno tende a diminuire, mentre aumentano i gas più leggeri. Lo strato di atmosfera a composizione pressoché costante al variare dell’altezza si chiama omosfera; oltre questo strato ha inizio l’eterosfera, ovverosia lo strato dell’atmosfera la cui composizione varia con l’altitudine. Un discorso a parte meritano l’anidride carbonica (CO2) e l’ozono (O3), le cui concentrazioni nell’atmosfera hanno subito negli ultimi anni profondi cambiamenti. L’anidride carbonica entra a far parte di una serie di processi che assumono una notevole importanza dal punto di vista biologico. La sua concentrazione è regolata dal bilancio tra le quantità di CO2 emesse nell’atmosfera dai processi respiratori, dai vulcani e dalla combustione di combustibili fossili e quelle sottratte all’atmosfera essenzialmente dalla fotosintesi e dall’assorbimento degli oceani (figura 5). 21 Appunti di meteorologia marina Figura 5 - Il ciclo globale del carbonio con indicate le riserve (in Gt di C = 1015 g di C) ed i flussi (in Gt per anno) durante la decade 1989-1998. Fonte: IPCC. L’attività dell’uomo altera il ciclo biogeochimico del carbonio con l’immissione nell’atmosfera di grandi quantitativi di CO2 attraverso i processi di combustione (figura 5) e con la deforestazione che provoca una riduzione dell’assorbimento fotosintetico di CO2 da parte della biosfera terrestre. Questo fenomeno, che ha assunto notevole rilevanza in seguito alla rivoluzione industriale, sta causando un incremento sostanziale della concentrazione di CO2 nell’atmosfera ed è il principale responsabile dei cambiamenti climatici in atto sul nostro Pianeta. Anche la concentrazione di ozono nell’atmosfera sta subendo profondi mutamenti in seguito alle attività umane. L’ozono è presente in quantità di circa 0.04 ppmv (parti per milione in volume) nella troposfera, mentre nella stratosfera la sua concentrazione aumenta raggiungendo circa 10 ppmv. Tuttavia, negli ultimi anni si è verificato un sensibile incremento di ozono a livello di troposfera ed una sua diminuzione nella stratosfera. Quest’ultimo fenomeno, indicato con il nome di ‘buco dell’ozono’, è dovuto essenzialmente all’immissione nell’atmosfera di clorofluorocarburi (CFC) e di altri composti chimici (ODS, Ozone Depleting Substancies) che provocano la distruzione dell’ozono stratosferico. A livello di troposfera invece l’ozono è un inquinante secondario, poiché non viene emesso direttamente da una sorgente specifica ma è prodotto dalla reazione tra la radiazione solare e gli inquinanti primari (quali ossidi di azoto e composti organici volatili) e costituisce uno dei più importanti componenti dello smog fotochimico; infatti il livello di ozono troposferico raggiunge i valori più elevati nelle grandi città in corrispondenza delle ore più calde del pomeriggio. Quella che abbiamo descritto fino ad ora è la composizione media dell’aria secca. In realtà nell’atmosfera è normalmente presente anche il vapore acqueo, che costituisce l’umidità atmosferica e si trova in quantità variabili nel tempo e nello spazio, comprese tra lo 0.2 ed il 4%. La quantità di umidità presente nell’atmosfera dipende essenzialmente dall’evaporazione degli oceani e delle acque continentali (fiumi e laghi) e dalla traspirazione dei vegetali. La presenza di vapore acqueo è di primaria importanza nel determinare i climi terrestri ed il tempo meteorologico, poiché è la quantità variabile di umidità presente nell’atmosfera che dà origine ai principali fenomeni meteo. 22 I. Il tempo meteorologico L’esplorazione dell’atmosfera La storia dell’esplorazione sistematica dell’atmosfera risale al XVII secolo, quando furono inventati alcuni importanti strumenti per la misura dei parametri meteorologici quali il termometro ed il barometro. In assenza di mezzi in grado di alzarsi in volo e di raggiungere quote elevate, i meteorologi dell’epoca si limitavano ad effettuare misurazioni sui luoghi più alti o ad utilizzare semplici mezzi di ascensione come gli aquiloni. Ovviamente queste osservazioni erano limitate alle fasce più basse della troposfera; ciononostante, gli scienziati, attraverso l’elaborazione delle loro osservazioni ed utilizzando calcoli piuttosto complessi, tentarono di effettuare le prime previsioni meteorologiche. Un notevole contributo all’esplorazione dell’atmosfera fu offerto dall’uso dei palloni aerostatici. La prima ascensione di un aerostato con persone a bordo avvenne a Parigi nel 1783; successivamente nel 1804 Gay-Lussac (1778–1850) e Jean Baptiste Biot (1774-1842) effettuarono la prima vera missione scientifica di esplorazione dell’atmosfera. Questi scienziati avvalendosi di un pallone aerostatico riuscirono a salire sul cielo di Parigi fino a circa 7 km di altezza, a misurare la temperatura dell’aria e a raccogliere un campione di aria la cui composizione risultò molto simile a quella presente in prossimità del suolo. Nel 1862 i meteorologi inglesi Coxwell e Glaisher, sempre tramite aerostato, raggiunsero un’altitudine di circa 8.8 km. Nel 1880, Léon Philippe Teisserenc de Bort (1855-1913) introdusse l’uso sistematico dei palloni sonda, che hanno rappresentato un notevole passo avanti nell’esplorazione dell’atmosfera. Con questi mezzi è stato possibile raggiungere altitudini di circa 30 km e, tramite strumenti di alta precisione, eseguire il rilevamento dei principali elementi meteorologici (sondaggi aerologici). In passato i palloni sonda erano equipaggiati con strumenti meccanici registratori in grado di procedere al rilevamento dei dati in quota e di ridiscendere al suolo mediante un paracadute in seguito allo scoppio del pallone stesso. Successivamente questi strumenti sono stati sostituiti da una serie di sensori riuniti a costituire una radiosonda elettronica che viene sollevata in quota da palloni riempiti di idrogeno o elio ad una velocità costante di ascensione di circa 5 m s-1. Durante l’ascesa la radiosonda esegue il rilevamento dei parametri meteorologici alle varie altitudini e li trasmette direttamente ad una stazione a terra per mezzo di un radiotrasmettitore. Analizzando gli spostamenti verticali della radiosonda ad intervalli regolari, è possibile eseguire anche il rilevamento della direzione e della velocità del vento in quota. Nel corso del XX secolo fino ai giorni nostri sono stati compiuti notevoli progressi nell’esplorazione dell’atmosfera, grazie soprattutto all’introduzione di mezzi molto potenti in grado di raggiungere altezze notevoli dal suolo (come gli aerei ed i satelliti artificiali), oltre che di una strumentazione meteorologica estremamente sofisticata. In particolare, la rilevazione da satellite e la radar-meteorologia hanno consentito di ottenere numerose informazioni sui fenomeni atmosferici e di estendere le osservazioni meteorologiche anche ad aree della Terra in cui la rilevazione dei dati meteo era assente ed è tuttora molto scarsa. Queste nuove metodologie di indagine hanno consentito di incrementare notevolmente le nostre conoscenze sulla struttura dell’atmosfera e sui fenomeni meteorologici e, quindi, hanno permesso di elaborare modelli previsionali sempre più attendibili. 23 Appunti di meteorologia marina La radiazione solare L’atmosfera e la superficie terrestre ricevono energia dal Sole sotto forma di radiazioni elettromagnetiche che si propagano nello spazio come onde. La distanza tra due creste1 successive di un’onda elettromagnetica prende il nome di lunghezza d’onda, mentre il tempo che intercorre tra il passaggio di due creste consecutive in un determinato punto dello spazio è chiamato periodo. In ordine crescente di lunghezza d’onda la radiazione elettromagnetica solare può essere suddivisa in raggi gamma, raggi X, raggi ultravioletti, radiazioni del visibile (violetto, indaco, azzurro, verde, arancio, giallo e rosso), raggi infrarossi e onde radio (microonde, onde corte, onde medie e onde lunghe). L’intensità e la lunghezza d’onda dell’energia radiante emessa da un corpo dipendono dalla sua temperatura. Un corpo come il Sole, avendo una temperatura superficiale di circa 5800 gradi Kelvin, emette radiazioni elettromagnetiche di lunghezza d’onda compresa per il 99% tra 0.15 e 4 micrometri (mm), con un massimo in corrispondenza di 0.48 mm. Figura 6 - Spettro elettromagnetico della radiazione solare. La radiazione solare svolge un ruolo determinante su tutti i fenomeni fisici e chimici che si verificano nell’atmosfera e su quelli biologici della Terra. In particolare, la radiazione solare costituisce la fonte primaria di energia della biosfera terrestre, essendo catturata dai vegetali e convertita in energia chimica di legame mediante la fotosintesi clorofilliana. Successivamente questa energia fluisce da un organismo ad un altro come attraverso i diversi anelli di una lunga catena, garantendo la sopravvivenza a tutti gli esseri viventi presenti sulla biosfera. La radiazione solare inoltre rappresenta la sorgente di energia che permette l’evapotraspirazione ed i movimenti oceanici e delle masse d’aria atmosferiche, da quelli che determinano la circolazione generale dell’atmosfera ai mulinelli di aria a livello di microscala. Unità di misura Le unità di misura maggiormente utilizzate per esprimere la radiazione sono le calorie per centimetro quadrato per minuto (cal cm2 min-1), il watt per metro quadrato (W m-2) ed il joule per metro quadrato (J m-2). Le ultime due sono le unità di misura prescritte dalla Commissione per l’International System of Units (Sistema Internazionale - SI) e vengono utilizzate rispettivamente per esprimere il flusso radiativo e la quantità di radiazione per unità di superficie. 1 La cresta costituisce la parte più alta di un’onda. 24 I. Il tempo meteorologico Poiché 1 watt corrisponde all’esecuzione del lavoro di 1 joule per secondo e 1 caloria equivale a 4.1868 joule, i fattori di conversione tra le principali unità di misura della radiazione sono: 1 cal cm-2 min-1 = 697.8 W m-2 1 cal cm-2 = 41868 J m-2 Il bilancio radiativo terrestre Solo una minima parte di tutta l’energia radiante emessa dal Sole raggiunge la Terra (Figura 7). Al limite esterno dell’atmosfera arriva una quantità di energia pari a 1367 ± 0.07 KW m-2, indicata con il nome di costante solare. A sua volta solo una porzione di questa energia raggiunge la superficie terrestre, poiché parte di essa viene assorbita dall’atmosfera o riflessa verso lo spazio interplanetario (figure 7 e 8). Figura 7 - Radiazione solare che giunge al limite superiore dell’atmosfera e radiazione incidente sulla superficie terrestre. In dettaglio, della radiazione solare incidente che giunge al limite superiore dell’atmosfera, solo il 26% arriva direttamente sulla superficie terrestre (radiazione solare diretta), mentre il 43% è assorbita dall’atmosfera (principalmente dal vapore acqueo delle nubi e dalla CO2) ed il 31% è riflessa dall’atmosfera verso lo spazio interplanetario. In relazione alla quantità di energia assorbita dall’atmosfera, un ruolo fondamentale per la vita sulla Terra è svolto dalla fascia di ozono stratosferico in grado di assorbire le radiazioni ultraviolette nocive per gli organismi viventi. L’atmosfera trattiene solo il 18% della radiazione assorbita, mentre il restante 25% si diffonde verso la superficie terrestre (radiazione diffusa). Di conseguenza, la radiazione solare globale che raggiunge la superficie terrestre è data dalla somma della radiazione diretta e di quella diffusa. Tuttavia, per effetto dell’albedo (o potere riflettente) parte di questa radiazione viene riflessa dalla superficie terrestre e rinviata nuovamente verso lo spazio (circa il 4%), perciò in conclusione la Terra assorbe solamente il 47% della radiazione solare incidente che giunge al limite superiore dell’atmosfera. 25 Appunti di meteorologia marina Figura 8 - Il bilancio radiativo terrestre. L’energia solare che raggiunge la superficie terrestre è costituita prevalentemente da radiazioni di lunghezza d’onda relativamente piccola. Un corpo come la Terra, avendo una temperatura superficiale di circa 288 gradi Kelvin, emette verso l’atmosfera parte dell’energia assorbita sotto forma di radiazioni elettromagnetiche di lunghezza d’onda compresa tra 4 e 80 mm, con un massimo intorno ai 10 mm (radiazione terrestre). La radiazione terrestre, costituita principalmente dall’infrarosso termico, viene in gran parte intercettata dai gas troposferici, in particolare dal vapore acqueo e dall’anidride carbonica e rinviata verso la superficie terrestre. Questo fenomeno, noto come ‘effetto serra’, regola la temperatura media della Terra mantenendola intorno ai 15°C. I cambiamenti in atto nella composizione dell’atmosfera, causati principalmente dalle emissioni antropogeniche di anidride carbonica (CO2) e di altri gas-serra, stanno alterando il bilancio radiativo terrestre. Sussiste infatti il pericolo che l’aumento costante di questi gas nell’atmosfera possa accentuare l’effetto serra portando ad un riscaldamento globale della Terra, con conseguenze drammatiche sul clima e sui complessi equilibri biologici del nostro Pianeta. Fattori di variazione del bilancio radiattivo terrestre I valori della radiazione solare globale e delle sue componenti sopra riportati, rappresentano delle situazioni medie valide per l’intera superficie terrestre. In realtà, il bilancio radiativo terrestre varia in funzione della latitudine, a causa principalmente dei moti astronomici della Terra e dell’inclinazione del suo asse. I luoghi della Terra posti a differenti latitudini ricevono infatti una quantità annuale di radiazione solare diversa (figura 9), poiché vengono raggiunti dai raggi del Sole con una differente inclinazione. In particolare, la quantità di radiazione solare in arrivo sulla superficie terrestre diminuisce procedendo dall’Equatore (dove i raggi solari sono perpendicolari alla superficie terrestre) verso i Poli (dove i raggi solari mostrano la massima inclinazione rispetto alla superficie terrestre). Inoltre, spostandosi verso latitudini più alte aumenta anche lo spessore dell’atmosfera che i raggi solari devono attraversare per raggiungere la superficie terrestre. In corrispondenza delle regioni aride tropicali e subtropicali si osservano valori di insolazione annua molto vicini a quelli massimi previsti per queste latitudini, mentre in prossimità dell’Equatore 26 I. Il tempo meteorologico si registrano valori di insolazione inferiori rispetto a quelli massimi possibili. Ciò è dovuto al fatto che in corrispondenza delle regioni tropicali e subtropicali la copertura nuvolosa è molto ridotta e, quindi, risulta minimo anche l’assorbimento dei raggi solari da parte dell’atmosfera. Al contrario, in corrispondenza della zona equatoriale e di molte regioni oceaniche lo sviluppo di nubi pomeridiane di notevoli dimensioni, chiamate cumulonembi, è molto intensa, per cui l’estesa copertura nuvolosa provoca una sensibile riduzione della quantità di radiazione solare che giunge direttamente sulla superficie terrestre. Figura 9 - Distribuzione della radiazione solare sulla superficie terrestre (i valori sono espressi in kcal cm-2 anno-1). Fonte: WMO. Come già visto, la Terra e la sua atmosfera sono in grado di emettere e riflettere radiazioni elettromagnetiche verso lo spazio interplanetario, perciò la radiazione effettivamente disponibile su una determinata superficie è data dal bilancio netto tra la radiazione in arrivo e quella in uscita. La quantità di radiazione solare in arrivo sulla superficie terrestre compresa tra l’Equatore ed i Tropici è eccedentaria rispetto a quella in uscita dalla Terra, mentre nella fascia compresa tra i Tropici ed i Poli il bilancio energetico risulta deficitario (figura 10). Figura 10 - Variazione del bilancio energetico con la latitudine. 27 Appunti di meteorologia marina La vicinanza e l’inclinazione dei raggi solari variano anche con l’alternarsi delle stagioni (figura 11). Quando il Sole si trova allo zenit dell’Equatore due volte all’anno, in corrispondenza dei due equinozi di primavera (21 marzo) e d’autunno (23 settembre), invia i suoi raggi perpendicolarmente all’Equatore con la minima dispersione di calore. Durante il solstizio d’estate (21 giugno) il Sole si trova allo zenit del Tropico del Cancro favorendo la massima illuminazione e, quindi, il massimo riscaldamento dell’emisfero settentrionale (o boreale). Al contrario, nell’emisfero meridionale (o australe) avviene l’opposto, per cui le stesse condizioni di illuminazione e riscaldamento dell’emisfero Nord si verificano in corrispondenza del solstizio d’inverno (22 dicembre) quando il Sole invia i suoi raggi perpendicolarmente al Tropico del Capricorno. Figura 11- Variazione dell’irraggiamento solare con l’alternarsi delle stagioni nell’emisferoboreale. Altri fattori che possono provocare una variazione quantitativa e qualitativa della radiazione solare disponibile sulla superficie terrestre sono, le condizioni atmosferiche, poiché in una giornata nuvolosa la radiazione in arrivo sulla superficie terrestre è quasi completamente composta da radiazione diffusa, mentre in una giornata serena con clima secco predomina la componente diretta e la presenza di superfici riflettenti, poiché le superfici chiare riflettono più di quelle scure. La radiazione ultravioletta (UV) La radiazione ultravioletta (dal latino ultra = oltre) è data dalla porzione di spettro elettromagnetico solare compresa tra i raggi X ed il violetto (la banda del visibile con lunghezza d’onda più corta), perciò è caratterizzata da una lunghezza d’onda inclusa tra i 100 e i 400 nanometri (nm). 28 I. Il tempo meteorologico Nel considerare gli effetti dei raggi ultravioletti sulla salute umana, l’intervallo spettrale della radiazione UV viene in genere ulteriormente suddiviso in UV-A (320-400 nm), UV-B (280-320 nm) e UV-C (100-280 nm). ¿ L’UV-A comprende le radiazioni ultraviolette che raggiungono in gran parte la Terra poichè non sono assorbite dall’atmosfera. Costituiscono le principali radiazioni che contribuiscono alla nostra abbronzatura e non sono ritenute particolarmente dannose per l’uomo, anche se in dosi eccessive possono causare invecchiamento precoce della pelle e malattie agli occhi. ¿ L’UV-B comprende la gamma di radiazioni ultraviolette nocive per gli organismi viventi e dovrebbero essere assorbite dallo strato di ozono a livello di stratosfera. ¿ L’UV-C comprende le radiazioni ultraviolette più dannose per gli organismi viventi; tuttavia non costituiscono un problema in quanto vengono completamente assorbite dall’ozono e dall’ossigeno molecolare presenti nella stratosfera. L’ozono stratosferico svolge quindi un ruolo fondamentale per consentire la vita sulla Terra, poiché in sua assenza verrebbe a mancare il filtro protettivo in grado di difenderci da un eccessivo irraggiamento di UV-B. La misura della radiazione solare Per misurare la radiazione solare è necessario utilizzare degli strumenti dotati di specifici sensori in grado di rilevare l’energia luminosa proveniente dal Sole. In funzione del sensore o elemento sensibile si possono distinguere due tipologie principali di strumenti: ¿ a termopila ¿ fotovoltaici o a fotocella. Negli strumenti a termopila l’elemento sensibile è costituito da un disco metallico suddiviso in settori colorati alternativamente di bianco e nero.Il principio di funzionamento di questi sensori si basa sul fatto che il settore nero assorbe una maggiore quantità di radiazione solare e, quindi, tende a scaldarsi di più rispetto a quello bianco Ciascun settore è collegato al giunto di una termocoppia in modo da costituire una termopila che fornisce una tensione dipendente dalla differenza di temperatura tra i settori, la quale a sua volta è funzione dell’intensità della radiazione assorbita. Questi strumenti consentono di ottenere un’elevata precisione, mentre la capacità di risoluzione è più bassa rispetto agli strumenti che utilizzano sensori a fotocella. I sensori fotovoltaici o a fotocella sono costituiti da una piastrina di un semiconduttore fotosensibile (silicio) che reagisce alla radiazione incidente generando una tensione proporzionale all’intensità della radiazione stessa.Questo tipo di sensore è quello generalmente installato nelle stazioni meteorologiche. Il suo principale inconveniente è dovuto al fatto che la risposta della fotocella non è indipendente dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente, mostrando, a parità di intensità radiativa, un massimo intorno ai 900 mm e valori minimi sopra i 1200 mm e sotto i 400 mm. Per questo motivo i sensori a fotocella sono meno precisi di quelli a termopila, rispetto ai quali tuttavia mostrano una maggiore capacità di risoluzione ed un costo sensibilmente inferiore. La calibrazione degli strumenti viene effettuata in condizioni di cielo sereno; tutti gli strumenti durante il periodo notturno devono restituire una tensione uguale a zero.A seconda del tipo di radiazione solare che si vuole misurare (radiazione globale, radiazione diretta, radiazione diffusa, radiazione netta o albedo) si possono utilizzare diverse tipologie di strumenti. 29 Appunti di meteorologia marina Radiazione globale La radiazione globale in arrivo sulla Terra è data dalla somma della radiazione diretta e di quella diffusa. Gli strumenti utilizzati per la sua misura prendono il nome di piranometri o solarimetri. I piranometri a termopila (figura 12) producono una tensione che risulta proporzionale alla quantità di radiazione assorbita dal sensore. Gli strumenti più accurati sono inoltre dotati di circuiti per la compensazione degli effetti causati dalle variazioni della temperatura ambiente. L’elemento sensibile è protetto dall’effetto del vento Figura 12 - Piranometro e di altri agenti atmosferici da due cupolette semisferiche a termopila concentriche e trasparenti, di cui quella più interna in ve(Kipp & Zonen CM22). tro opportunamente trattato permette il passaggio della radiazione nella banda compresa tra 295 e 2800 nm. Il più conosciuto di questi strumenti è il piranometro di Appley costituito da due anelli concentrici in argento, quello interno dipinto di nero e quello esterno di bianco. Dalla misura della differenza di temperatura tra i due anelli mediante termocoppie è possibile risalire al valore di irraggiamento globale. Nei piranometri con cella fotovoltaica al silicio (figura 13), il sensore (fotocella al silicio) è ospitato in un supporto di PVC protetto da una cupoletta in teflon ed è in grado di fornire direttamente una tensione proporzionale all’intensità della radiazione globale incidente. Figura 13 - Piranometro a fotocella (Kipp & Zonen SPLite). Radiazione diretta Gli strumenti utilizzati per misurare la radiazione diretta proveniente dal Sole vengono chiamati pireliometri. Il pireliometro è costituito essenzialmente da un cilindro di apertura ridotta, orientabile verso il Sole, sul fondo del quale si trova l’elemento sensibile. Per effettuare la misura è necessario che l’elemento sensibile sia allineato in modo da puntare direttamente verso il disco del Sole. Tale allineamento può essere ottenuto manualmente o mediante servomeccanismi guidati da computer che consentono di mantenere la superficie ricevente ortogonale ai raggi solari. Radiazione diffusa Per la misura della radiazione solare diffusa vengono utilizzati dei piranometri con banda ombreggiante. Questi strumenti sono dotati di un dispositivo particolare, una banda ombreggiante che garantisce l’ombreggiamento alla radiazione solare diretta del sensore, generalmente una fotocella al silicio, che riceve esclusivamente la radiazione diffusa proveniente dal cielo. Ciò è possibile grazie ad un dispositivo meccanico che regola l’inclinazione della fascia ombreggiante rispetto all’orizzonte e la sua traslazione durante l’anno in funzione della posizione del Sole. L’uscita del sensore è un segnale elettrico continuo, la cui tensione è proporzionale alla radiazione diffusa registrata dallo strumento. Radiazione riflessa o albedo Per misurare l’albedo, ovverosia il rapporto tra la radiazione riflessa e quella globale, si utilizza un albedometro, che è costituito essenzialmente da due piranometri orientati rispettivamente uno verso il cielo che misura la radiazione globale incidente e l’altro verso la superficie terrestre che misura la radiazione riflessa. Dallo strumento fuoriescono due tensioni che, una volta giunte al sistema di acquisizione dati, vengono elaborate e dal loro rapporto si ottiene l’albedo. Il sensore è generalmente una fotocella al silicio posta in un supporto di PVC e protetta da una cupoletta di teflon. 30 I. Il tempo meteorologico Radiazione netta La radiazione netta rappresenta la radiazione effettivamente disponibile su una determinata superficie ed è data dal bilancio tra la radiazione in arrivo (input) e quella in uscita (output). Quest’ultima è data dalla radiazione incidente che viene riflessa dalla superficie in studio (in genere a lunghezze d’onda comprese tra 300 e 2900 nm) e da quella che viene riemessa nella banda dell’infrarosso termico. I radiometri netti (figura 14) sono costituiti da due piccoli elementi sensibili assorbenti, uno rivolto verso il cielo e l’altro verso la superficie, muniti di termocoppia. La termopila risultante effettua direttamente il bilancio tra le due facce, fornendo una tensione proporzionale alla radiazione netta. Gli elementi sensibili sono racchiusi tra due schermi emisferici di polietilene che li proteggono da vento e pioggia e, nello stesso tempo, consentono una buona Figura 14 - Radiometro trasparenza alle radiazioni comprese tra il visibile e l’infrarosso netto (Middleton CN1). termico. Durata dell’irraggiamento solare o eliofania La durata dell’irraggiamento solare (eliofania) viene misurata attraverso uno strumento chiamato eliografo o eliofanografo (figura 15). Esso misura la durata dell’insolazione, ovverosia le ore e le frazioni di ora durante le quali il Sole è presente sopra l’orizzonte libero da nubi, ed è costituito da una sfera di vetro ottico sostenuta ai poli da due supporti posti alle estremità di un arco meridiano graduato, che permette di disporre l’asse della sfera con un’inclinazione uguale ai gradi di latitudine del sito in cui è posta. Sul piano equatoriale della sfera è situata una superficie sferica cava e solidale con il sostegno graduato. Questa superficie è dotata di una serie di scanalature longitudinali nelle quali vengono poste delle strisce di carta diagrammata per la registrazione dei dati. La carta speciale fotosensibile viene bruciata dai raggi del Sole concentrati dalla sfera e dalla posizione e lunghezza delle bruciature è possibile risalire all’orario ed alla durata dell’insolazione. Il rapporto tra l’insolazione reale e quella teorica (calcolata in funzione della latitudine e del giorno giuliano dell’anno) è detto eliofania relativa e viene espresso come percentuale. Figura 15 Eliofanografo Radiazione UV-B Per misurare la radiazione ultravioletta-B (UV-B) si possono utilizzare dei sensori in grado di rilevare le radiazioni nella banda compresa tra 280 e 320 nanometri. Questi strumenti possono anche rilevare la cosiddetta radiazione biologicamente efficace (UV-BBE), ovverosia la componente UV-B in grado di determinare danni al DNA. Infatti, è stato evidenziato come la curva di risposta spettrale cresca al diminuire della lunghezza d’onda della radiazione ultravioletta, analogamente alla curva di assorbimento della radiazione UV-B da parte del DNA. I moderni bollettini meteorologici emettono i dati relativi al cosiddetto indice UV, che rappresenta il parametro biometeorologico utilizzato a livello internazionale per esprimere il rischio associato all’esposizione diretta ai raggi del Sole. Tale indice è riferito al mezzogiorno solare (massima elevazione del Sole sull’orizzonte) ed è suddiviso in una scala di valori compresa tra 0 e 12. Per ogni valore l’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce una serie di strategie protettive che vanno dall’uso di occhiali da sole per valori bassi dell’indice (1-3), cappelli con visiera per valori medi (4-6), abbigliamenti idonei senza esporsi direttamente ai raggi solari in determinate ore della giornata per valori alti (7-9), fino a consigliare di evitare l’esposizione al Sole in qualsiasi circostanza per valori di indice molto alto (superiore a 10). Naturalmente queste indicazioni sono valide per soggetti con pelle mediamente sensibile, ma devono essere adattate a seconda del tipo di pelle. 31 Appunti di meteorologia marina Tipo di pelle Si abbronza Si scotta Capelli Occhi I Mai Sempre Rossi Blu II Talvolta talvolta Biondi Blu/Verdi III Sempre Raramente Castani Marroni IV Sempre Mai Neri Marroni Pelle tipo II Pelle tipo III Pelle tipo IV Tabella 2 - Tipologia di pelle. IndiceUV Bambini e pelle tipo I >9 (estremo) <15 min. <20 min. <30 min. <40 min. 7-9 (alto) 20 min. 30 min. 40 min. 50 min. 4-7 (medio) 30 min. 40 min. 60 min. 80 min. 2-4 (basso) 30-60 min. 40-80 min. 60-120 min. 80-160 min. 0-2 (minimo) >60 min. >80 min. >120 min. >160 min. Tabella 3 - Tempi di esposizione massimi consigliati. IndiceUV Bambini e pelle tipo I Pelle tipo II Pelle tipo III Pelle tipo IV >9 (estremo) Non uscire di casa Non uscire di casa Occhiali Cappello con visiera Ombrello Occhiali Cappello con visiera Abbigliamento idoneo 7-9 (alto) Occhiali Cappello con visiera Ombrello Abbigliamento idoneo Evitare l’esposizione per i bambini Occhiali Cappello con visiera Ombrello Abbigliamento idoneo Occhiali Cappello con visiera Abbigliamento idoneo Occhiali Cappello con visiera 4-7 (medio) Occhiali Cappello con visiera Abbigliamento idoneo Evitare l’esposizione per i bambini Occhiali Cappello con visiera Abbigliamento idoneo Occhiali Cappello con visiera Occhiali Cappello con visiera 2-4 (basso) Occhiali Occhiali. Occhiali Occhiali 0-2 (minimo) Occhiali Occhiali Occhiali Occhiali Tabella 4 - Modalità di esposizione consigliate 32 I. Il tempo meteorologico La temperatura dell’aria La temperatura è una grandezza fisica che esprime lo stato di agitazione termica delle molecole di un corpo: più è alta la temperatura di un corpo, maggiore è l’energia cinetica media delle sue molecole. Quando due corpi che possiedono differenti temperature entrano in contatto tra di loro, avviene un trasferimento di energia termica (calore) dal corpo a temperatura più alta verso quello a temperatura più bassa. Questo processo prosegue fino al raggiungimento dell’equilibrio termico, in corrispondenza del quale l’energia cinetica molecolare dei due corpi risulta uguale. I termini temperatura e calore sono quindi strettamente associati ma si riferiscono a concetti diversi: la temperatura è una proprietà di un corpo, il calore è una forma di energia che fluisce da un corpo ad un altro per compensare una differenza di temperatura. Unità di misura La temperatura in meteorologia viene generalmente espressa utilizzando la scala Celsius, detta anche scala centigrada. In questa scala lo zero di temperatura coincide con la temperatura del ghiaccio fondente sotto la pressione costante di una atmosfera, mentre il valore 100 è attribuito alla temperatura di ebollizione dell’acqua. Di conseguenza il grado Celsius, o grado centigrado (°C), viene definito come la centesima parte del dislivello esistente tra la temperatura del ghiaccio fondente e la temperatura di ebollizione dell’acqua, sotto la pressione costante di una atmosfera. Un’altra scala usata frequentemente nei paesi anglosassoni è la scala Fahrenheit. In questa scala la temperatura di fusione del ghiaccio corrisponde a 32 gradi Fahrenheit (°F) e quella di ebollizione dell’acqua a 212 °F. Le seguenti formule possono essere usate per convertire i gradi Fahrenheit in gradi Celsius: t °C = 5/9 (t °F - 32) t °F = 9/5 t °C + 32 Il Sistema Internazionale (SI) delle unità di misura impone di utilizzare la scala di temperatura assoluta o scala Kelvin. In questa scala la temperatura del ghiaccio fondente (punto triplo dell’acqua) è 273.15 gradi Kelvin (°K) ed il punto di ebollizione dell’acqua 373.15 °K. La temperatura di 0°K viene detta ‘zero assoluto’ e rappresenta il valore di temperatura in corrispondenza del quale le molecole e gli atomi di un corpo presentano la minore energia termica possibile. Per passare dalla scala Kelvin alla scala Celsius si utilizza la seguente equazione: t °C = t °K - 273.15 Altre scale termiche utilizzate nel passato ma attualmente in disuso sono la scala Rankine e la scala Reamur. Fattori di variazione della temperatura dell’aria La temperatura dell’aria è soggetta a notevoli variazioni nel tempo e nello spazio. I principali fattori responsabili di queste variazioni sono i seguenti: ¿ altitudine ¿ latitudine ¿ distribuzione delle terre e dei mari ¿ venti e correnti marine ¿ distribuzione delle catene montuose ¿ esposizione ¿ copertura nuvolosa ¿ vegetazione. 33 Appunti di meteorologia marina L'effetto dell'altitudine è dovuto al fatto che gli strati bassi dell’atmosfera si riscaldano principalmente a causa della radiazione emessa dal suolo e solo subordinatamente per effetto del calore ricevuto direttamente dal Sole, perciò nella troposfera la temperatura diminuisce con l’aumentare dell’altitudine nella misura di circa 6.5 °C per ogni 1000 m. L’effetto della latitudine dipende dalla quantità di energia solare in arrivo sui vari luoghi della Terra, per cui si assiste ad un surplus di energia termica nella zona compresa tra l’Equatore ed i Tropici rispetto alla fascia compresa tra i Tropici ed i Poli. Di conseguenza, per effetto della diversa inclinazione e distanza dei raggi solari rispetto alla superficie terrestre, le zone intertropicali dovrebbero divenire progressivamente sempre più calde e quelle extratropicali sempre più fredde; in realtà però intervengono altri fattori, tra cui assume particolare importanza la circolazione dell’aria e delle acque, che consentono una ridistribuzione dell’energia termica tra le differenti aree della Terra agendo da potente meccanismo regolatore. In questo processo svolgono un ruolo importante anche gli ostacoli naturali, come le catene montuose ed i rilievi sottomarini, che possono impedire o modificare la libera circolazione delle masse di aria e di acqua. Generalmente quando una massa d’aria incontra un rilievo è costretta a sollevarsi in quota raffreddandosi (convezione forzata) e, una volta superata la cima, discende dal versante opposto riscaldandosi per compressione adiabatica, cioè senza scambio di calore con l’esterno. Un altro importante fattore regolatore della temperatura del Pianeta è la capacità termica delle terre e dei mari. È noto infatti come il terreno e le rocce siano caratterizzate da una scarsa capacità termica, per cui tendono a riscaldarsi rapidamente nelle ore centrali del giorno e durante l’estate, ma altrettanto rapidamente si raffreddano durante la notte ed in inverno. Al contrario, le acque sono caratterizzate da una maggiore capacità termica, perciò si riscaldano più lentamente delle terre emerse e più lentamente cedono il calore immagazzinato. Di conseguenza, le aree prossime alla costa mostrano un clima temperato e dolce, caratterizzato da una minore escursione termica diurna e stagionale rispetto alle zone continentali lontane dall’influenza del mare. La temperatura locale è influenzata anche dall’esposizione dei versanti, poiché nell’emisfero settentrionale i pendii rivolti verso Sud ricevono una maggiore quantità di radiazione solare e, quindi, tendono a riscaldarsi maggiormente rispetto a quelli rivolti verso Nord. La copertura nuvolosa può svolgere un effetto contrastante sulla temperatura di una determinata località in base all’ora del giorno: durante le ore diurne le nubi intercettano parte della radiazione solare impedendo che raggiunga il Pianeta, perciò esercitano un effetto di raffreddamento sulla superficie terrestre; al contrario, durante le ore notturne, le nubi formano uno ‘schermo’ che limita la dispersione delle radiazioni infrarosse termiche emesse dalla superficie terrestre, trattenendo il calore negli strati bassi dell’atmosfera. È infine importante ricordare il ruolo svolto dalla vegetazione e, in particolare, dalle foreste, che, attraverso il processo di traspirazione, sottraggono all’atmosfera grandi quantità di calore latente di evaporazione e quindi regolano la distribuzione della temperatura sulla Terra. La distribuzione della temperatura La distribuzione della temperatura su un determinato territorio è rappresentata sulle carte attraverso le isoterme, linee continue che uniscono tutti i punti della Terra aventi la stessa temperatura media durante l’intero anno o in determinati periodi dell’anno. Di particolare importanza sono le isoterme relative ai mesi di 34 I. Il tempo meteorologico luglio e di gennaio, quando le temperature raggiungono rispettivamente i valori stagionali più elevati o più bassi a seconda della zona dell’emisfero in studio. Dall’osservazione di queste due isoterme è infatti possibile valutare l’escursione termica annua che risulta minima in corrispondenza dell’Equatore e massima ai Poli, analogamente essa è più bassa in prossimità delle coste e più alta all’interno dei continenti a causa della maggiore capacità termica dei mari rispetto alle terre emerse. Per studiare la distribuzione della temperatura su vaste aree (continenti o l’intera superficie terrestre) è opportuno eliminare l’effetto locale dei rilievi tenendo conto della variazione termica con l’altitudine e, quindi, riportando i valori reali della temperatura a livello del mare. La distribuzione della temperatura sulla Terra è regolata dall’interazione tra tutti i fattori prima analizzati. Su scala planetaria si osserva una diminuzione della temperatura procedendo dall’Equatore verso i Poli e si distinguono le seguenti zone: ¿ una zona torrida, inclusa tra i due Tropici ¿ due zone temperate, incluse tra i Tropici e i circoli polari ¿ due zone polari. Dal confronto della distribuzione della temperatura tra i due emisferi (figura 16), si osserva come la diminuzione della temperatura con la latitudine sia più graduale nell’emisfero meridionale rispetto a quello settentrionale. gennaio luglio Figura 16 - Isoterme di gennaio e di luglio. I valori sono espressi in °C. 35 Appunti di meteorologia marina Nell’emisfero meridionale le isoterme appaiono per lunghi tratti rettilinee e tendono a seguire la direzione dei paralleli, mentre in quello settentrionale le isoterme mostrano un andamento più irregolare e variabile nel tempo. Le differenze tra i due emisferi sono dovute principalmente al fatto che a sud dell’Equatore prevalgono le superfici marine sulle quali la distribuzione della temperatura risulta molto regolare, mentre nell’emisfero settentrionale prevalgono le superfici continentali caratterizzate da valori estremi di temperatura e da un’ampia variabilità stagionale. Per questo motivo l’emisfero Sud presenta una minore escursione termica rispetto a quello Nord. Le variazioni giornaliere di temperatura sono causate essenzialmente dalla posizione del Sole sopra l’orizzonte. All’aumentare dell’altezza del Sole sopra l’orizzonte aumenta l’intensità della radiazione solare in arrivo sulla superficie terrestre e, quindi, aumentano anche le temperature dell’aria e del suolo (figura 17). L’incremento termico prosegue fino a quando il calore ricevuto dal Sole supera quello emesso dal sistema atmosfera-Terra. La temperatura raggiunge pertanto il suo massimo valore circa due ore dopo il passaggio del Sole al culmine (massima altezza sopra l’orizzonte), cioè quando il calore ricevuto dalla Terra è bilanciato da quello emesso. Successivamente il calore in uscita supera quello in arrivo, per cui la superficie terrestre e la sua atmosfera iniziano a raffreddarsi raggiungendo il valore minimo di temperatura intorno all’alba. Figura 17 - Variazione giornaliera della radiazione solare e della temperatura dell’aria (dati del 1 ottobre 2004 - stazione meteorologica del CoMMA-Med c/o l’ITN ‘Cappellini’ di Livorno). La misura della temperatura Per la misura della temperatura dell’aria si fa uso generalmente di metodi indiretti basati sugli effetti del riscaldamento o del raffreddamento di un corpo, poiché i corpi hanno la proprietà di dilatarsi o di contrarsi in base alla loro energia termica. Questo fenomeno, detto dilatazione termica, offre quindi la possibilità 36 I. Il tempo meteorologico di ridurre la misura delle temperature a misure di lunghezza o di volume. Il primo dispositivo per la misura della temperatura, il termoscopio, (figura 18) fu ideato da Galileo Galilei (1564-1642). Il termoscopio galileiano consiste in un’ampolla di vetro piena di aria e munita di un sottile tubo capillare. In questo strumento la sostanza termoscopica è rappresentata dall’aria contenuta nell’ampolla ed il suo principio di funzionamento si basa sulle variazioni di volume e di pressione a cui questa è soggetta al variare della temperatura (legge dei gas di Gay-Lussac). Dopo aver riscaldato l’aria contenuta nell’ampolla, lo strumento viene capovolto in modo che il capillare di vetro peschi in una bacinella piena di acqua. In seguito alla contrazione subita dall’aria durante il raffreddamento, viene ripescata dell’acqua dal recipiente sottostante e l’altezza raggiunta dalla colonnina di acqua all’interno del capillare risulta proporzionale alla temperatura dell’aria esterna. Una modifica a questo strumento è stata introdotta dal Granduca Ferdinando II de Medici (1610-1670) che sostituì l’aria con un liquido organico detto ‘acquarzente’ (alcool etilico), caratterizzato da una maggiore dilatabilità rispetto all’aria e dal fatto che solidifica a temperature più basse (- 116° C); inoltre, venne sigillata l’estremità aperta del capillare di vetro ed inserita una scala graduata, con la trasformazione definitiva del termoscopio galileiano in un vero e proprio termometro. Da allora sono stati compiuti enormi progressi e numeFigura 18 - termoscopio. rose sostanze termo-dilatabili (gas, liquidi e solidi) sono state utilizzate come indicatori di temperatura. Tra le sostanze liquide quelle maggiormente diffuse sono il mercurio e l’alcool.I termometri a mercurio o ad alcool sono graduati con la scala centigrada (o scala Celsius) nella quale il valore di 0°C corrisponde alla temperatura di fusione del ghiaccio e quello di 100°C alla temperatura di ebollizione dell’acqua. Il convenzionale termometro a mercurio si basa sulla dilatazione termica del mercurio posto all’interno di un bulbo munito di un tubetto capillare. Quando il bulbo viene messo in contatto termico con un corpo a temperatura ignota, il livello del mercurio sale all’interno del capillare in maniera proporzionale alla temperatura del corpo stesso. Alle dilatazioni volumetriche è associata una scala lineare di variazione di temperatura riportata direttamente sul capillare. Le caratteristiche che deve possedere un buon termometro a mercurio sono la sensibilità, la prontezza e la precisione. Affinché un termometro a mercurio possieda una elevata sensibilità occorre che il bulbo sia grande ed il capillare sottile, in modo che ad una piccola variazione di temperatura corrisponda uno spostamento relativamente grande del menisco di mercurio all’interno del capillare. Tuttavia, nel caso in cui il bulbo fosse troppo grande, esso richiederebbe un tempo notevole per raggiungere l’equilibrio termico con l’ambiente circostante ed il termometro risulterebbe poco ‘pronto’. La precisione dipende dalla cura con cui è stata costruita la scala e da eventuali deformazioni o alterazioni che il termometro può subire nel tempo. Attraverso piccole modifiche i termometri ora descritti possono essere trasformati in termometri a massima e termometri a minima. Nel caso dei termometri a massima, il capillare presenta una strozzatura in corrispondenza del punto di 37 Appunti di meteorologia marina inserzione sul bulbo. Questa strozzatura consente l’uscita del mercurio dal bulbo in seguito all’aumento della temperatura. Quando la temperatura ridiminuisce, la strozzatura provoca la rottura della colonnina di mercurio il cui menisco superiore continua ad indicare la massima temperatura raggiunta. Il termometro a minima è un termometro ad alcool il cui menisco quando si ritira trascina con sé un piccolo cilindro in acciaio immerso nell’alcool. Quando la temperatura aumenta nuovamente, l’alcool si dilata senza spostare il cilindretto che continua a segnare il valore minimo raggiunto. Per il riazzeramento di questi termometri si utilizza in genere un piccolo magnete. Nei termometri meccanici registratori (termografi) l’elemento sensibile termometrico è costituito da una lamina bimetallica composta da materiali a differente coefficiente di dilatazione termica. La lamina è fissata ad una delle due estremità, mentre l’estremità libera è collegata ad un braccio scrivente. La deformazione subita dalla lamina risulta proporzionale alla variazione della temperatura esterna e provoca il movimento dell’estremità libera connessa al braccio scrivente, il quale è dotato di un apposito pennino che registra la variazione termica su una carta diagrammata avvolta attorno ad un tamburo azionato da un meccanismo ad orologeria. Sullo stesso principio si basa anche il termometro a tubo di Bourdon, in cui l’elemento sensibile è un tubo metallico di sezione ellittica avvolto a spirale. L’estremità libera del tubo si deforma in funzione della temperatura ed è collegata ad un sistema di leve che trasmette il moto ad un pennino registratore. Nell’ambito delle misure meteorologiche moderne, stanno assumendo una notevole diffusione i termometri elettronici che producono un segnale elettrico in uscita (tensione, corrente o resistenza) proporzionale alla temperatura esterna. La variazione del segnale elettrico in uscita da questi strumenti in seguito ad una variazione termica di 1°C viene indicata come coefficiente termico e fornisce un’indicazione della ‘sensibilità’ del sensore in esame. I termometri elettronici sono indispensabili qualora si voglia procedere all’acquisizione automatica dei dati e possono essere distinti in tre categorie principali: ¿ termometri a termocoppia ¿ termoresistenze ¿ termistori 38 I. Il tempo meteorologico Termometri a termocoppia Una termocoppia (figura 19) è costituita da due fili di materiale metallico differente saldati ad una delle loro estremità, mentre l’altra estremità normalmente raggiunge dei morsetti che la collegano a dei cavi elettrici per il trasporto del segnale ad un acquisitore. Il principio di funzionamento della termocoppia si basa sull’effetto termoelettrico, scoperto da Seebeck. Tale effetto consiste nel fatto che quando si collegano tra loro due metalli di natura diversa si stabilizza a cavallo della loro giunzione una forza elettromotrice che risulta proporzionale alla temperatura. Una saldatura tra i due fili della termocoppia è mantenuta ad una temperatura nota (giunto di riferimento, t0), mentre l’altra alla temperatura da misurare (giunto di misura, t). Il valore della tensione in uscita dipenderà dalla differenza tra le due temperature e da un coefficiente (k) che è determinato dal materiale metallico da cui sono costituiti i fili: V = k (t – t0) La termocoppia viene generalmente inserita in un cilindro di materiale isolante che presenta due condotti assiali per i fili, in modo che da un lato sporga il giunto di misura e dall’altro i fili che vanno direttamente all’acquisitore. Il giunto di misura della termocoppia deve essere opportunamente schermato per impedire che si riscaldi ad opera della radiazione solare incidente. Tra le coppie maggiormente utilizzate vi sono quelle a rame-costantana e a ferrocostantana. Figura 19 - Termocoppia. Termoresistenze Questi strumenti si basano sul fatto che in certi materiali i termoconduttori, la resistenza varia linearmente in funzione della temperatura. Di conseguenza dalla misurazione della resistenza di un filo conduttore o termoresistenza (generalmente di platino) si può risalire alla temperatura. Solitamente la termoresistenza viene mantenuta protetta all’interno di una capsula di vetro da cui fuoriescono i due sottili conduttori che consentono il collegamento elettrico. Termistori I termistori consistono in semiconduttori, cioè materiali che presentano una conduttività elettrica intermedia tra quella dei conduttori e quella degli isolanti, caratterizzati da un coefficiente termico molto elevato. In questi strumenti l’aumento di temperatura di un grado Celsius provoca una diminuzione della resistenza di circa il 5%. Questi strumenti quindi presentano il vantaggio di avere una elevata sensibilità, ma necessitano di opportuni circuiti elettrici per ovviare alla loro mancanza di linearità. Indipendentemente dal sensore o strumento scelto, un’accurata misura della temperatura dell’aria richiede una serie di accorgimenti. Il sensore deve essere sempre collocato all’ombra all’interno di una struttura di legno o metallica che assicuri la protezione dalla radiazione solare diretta e nello stesso tempo garantisca una buona ventilazione naturale, nel caso non sia possibile disporre di una ventilazione artificiale per mezzo di appositi ventilatori. I sensori inoltre devono essere posizionati ad un’altezza di circa 2 metri dal suolo per impedire che vengano influenzati dalla riflessione e/o dall’irraggiamento termico del substrato. Anche nel caso delle navi, i sensori termometrici devono essere posti all’interno di apposite strutture dipinte di bianco e dotate di feritoie, che consentono la ventilazione ed il minimo assorbimento della radiazione solare. Queste strutture devono essere poste sul ponte e lontano da sorgenti di calore (sala motori, fumaiole) che possono alterare la misura. 39 Appunti di meteorologia marina La pressione atmosferica La pressione è definita come la forza che agisce perpendicolarmente sull’unità di superficie. La massa d’aria atmosferica, come tutti i corpi sottoposti all’azione della gravità, ha un suo peso e quindi esercita una pressione sulla superficie terrestre, indicata con il nome di pressione atmosferica. L’esistenza della pressione atmosferica è stata dimostrata per la prima volta dal fisico italiano Torricelli (1608-1647), attraverso la nota esperienza che porta il suo nome. Egli ha dimostrato che a livello del mare, a 45° di latitudine e a 0°C di temperatura (condizioni standard o normali), l’aria esercita su un 1 cm2 di superficie una pressione equivalente a quella di una colonna di mercurio alta 760 mm e con una sezione di 1 cm2 (pressione normale); Il mm di mercurio è stato chiamato torr in onore dello scienziato. Unità di misura Da un punto di vista scientifico non è corretto esprimere una pressione attraverso una lunghezza, perciò in meteorologia la pressione atmosferica non viene indicata con il mm di mercurio ma con altre unità di misura. Quella maggiormente utilizzata in passato in ambito meteorologico era il bar, o meglio il suo sottomultiplo, il millibar (mb). La pressione atmosferica normale di 760 mm di mercurio corrisponde a 1013.25 mb. Il Sistema Internazionale (SI) delle unità di misura impone di utilizzare il Newton su metro quadrato (N m-2) definito Pascal (Pa), per cui anche in ambito meteorologico la pressione atmosferica è attualmente espressa attraverso un multiplo del Pascal, l’ettopascal (hPa). Per chiarire le relazioni esistenti tra le unità di misura della pressione maggiormente utilizzate in ambito meteorologico si veda quanto riportato di seguito: 1 Pa = 1 N m-2 1 hPa = 100 Pa = 100 N m-2 1 mbar = 100 N m-2 1hPa = 1 mbar Tuttavia alcune unità di misura, quali il millimetro o il pollice di mercurio, sono ancora utilizzate, perciò di seguito vengono riportati i fattori di conversione tra queste unità di misura e l’ettopascal: 1 hPa = 0.750062 mm di Hg = 0.02953 pollici di Hg 1 mm di Hg = 1.333224 hPa = 0.03937008 pollici di Hg (dove 1 pollice = 25.4 mm) Fattori di variazione della pressione atmosferica La pressione atmosferica non agisce solamente perpendicolarmente al suolo ma, essendo l’aria un fluido, in tutte le direzioni, per cui normalmente non abbiamo la percezione del peso della massa d’aria che ci sovrasta. La pressione sulla superficie terrestre non è uniforme, ma varia considerevolmente nel tempo e nello spazio in funzione principalmente dei seguenti fattori: ¿ altitudine ¿ temperatura ¿ umidità Per quanto riguarda l’altitudine, è noto come allontanandosi dal suolo il peso dell’aria che sovrasta l’unità di superficie terrestre diminuisca rapidamente (figura 20). Di conseguenza anche la pressione atmosferica diminuisce con l’altitudine e l’aria diviene sempre più rarefatta man mano che si sale in quota, perciò la pressione registrata a livello del mare è maggiore rispetto a quella registrata sulle cime delle montagne. La diminuzione della pressione con l’altitudine è di circa 1 mbar per ogni 10 m. 40 I. Il tempo meteorologico Figura 20 - Variazione della pressione. Figura 21 - Moti convettivi ascendenti e discendenti con l’altitudine. L’effetto della temperatura sulla pressione è dovuto essenzialmente al fatto che le particelle che compongono un gas sono dotate di moto caotico e che la velocità con cui si muovono aumenta con l’aumentare della temperatura. L’aria riscaldandosi si dilata, diviene meno densa e, quindi, il suo peso per unità di superficie diminuisce, perciò il riscaldamento determina il sollevamento dell’aria verso l’alto ed una diminuzione della pressione atmosferica sottostante. Al contrario, con l’abbassarsi della temperatura la massa d’aria diventa più densa e tende a spostarsi verso il basso, provocando un aumento della pressione sulla superficie terrestre. Il processo con cui l’aria riscaldandosi o raffreddandosi modifica la propria densità e tende rispettivamente a salire in quota o a scendere verso la superficie si definisce ‘convezione termica’. Le masse d’aria calda in moto convettivo ascendente si spostano progressivamente verso zone dell’atmosfera caratterizzate da valori di pressione e temperatura più bassi, per cui tendono ad espandersi ed a raffreddarsi; al contrario, le masse d’aria fredda in moto convettivo discendente tendono a comprimersi e a riscaldarsi avvicinandosi al suolo (figura 21). Un effetto determinante sulla pressione è esercitato anche dall’umidità. Contrariamente a quello che comunemente si pensa l’aria umida è più leggera di quella secca, perché le molecole di acqua sono più leggere di tutti gli altri componenti dell’atmosfera, perciò una massa d’aria contenente una certa percentuale di vapore acqueo è più leggera rispetto ad una massa d’aria asciutta di uguale volume. La combinazione dei suddetti fattori provoca ampie variazioni della pressione atmosferica nel tempo e nello spazio e regola la distribuzione di questo elemento meteorologico sulla superficie terrestre. 41 Appunti di meteorologia marina La distribuzione della pressione La distribuzione della pressione nello spazio può essere rappresentata, analogamente a quanto avviene per la temperatura, mediante carte sulle quali si congiungono con una linea continua i punti della superficie terrestre caratterizzati dagli stessi valori barici. Le linee che si ottengono prendono il nome di isobare, che nelle carte meteorologiche sono solitamente intervallate di 4 mb. Queste linee possono assumere una grande varietà di forme che indicano particolari configurazioni bariche (figura 22), tra cui le principali sono: ¿ il ciclone o depressione o zona di bassa pressione, area individuata dall’insieme di isobare chiuse, circolari o ellittiche, in cui il valore della pressione decresce dalla periferia verso il centro; ¿ l'anticiclone o zona di alta pressione, area individuata dall’insieme di isobare chiuse, circolari o ellittiche, in cui il valore della pressione decresce procedendo dal centro verso la periferia; ¿ la saccatura, area individuata da un’espansione cuneiforme di una depressione fra due anticicloni; ¿ il promontorio, area individuata da un’espansione cuneiforme di un anticiclone tra due depressioni; ¿ la pressione livellata, area individuata da isobare di uguale valore in cui la pressione si mantiene pressoché uniforme. Figura 22 - Raffigurazione delle isobare e delle principali configurazioni bariche. A) Anticiclone o zona di alta pressione, B) Depressione o zona di bassa pressione, S) Saccatura, P) Promontorio, L) livellata. Le aree anticicloniche sono zone in cui l’aria fredda e secca tende a spostarsi verso il basso e a divergere con moto vorticoso verso le zone circostanti di bassa pressione; al contrario, in corrispondenza delle zone cicloniche l’aria calda ed umida converge verso il centro di bassa pressione e si solleva in quota dando luogo a nubi e precipitazioni. La distribuzione della pressione sul nostro Pianeta è influenzata principalmente dal differente riscaldamento/raffreddamento della superficie terrestre col variare della latitudine. In particolare, su scala planetaria è possibile identificare le seguenti aree (figura 23): ¿ una fascia equatoriale di basse pressioni ¿ due fasce sub-tropicali di alte pressioni ¿ due fasce sub-polari di basse pressioni ¿ due fasce polari di alte pressioni. 42 I. Il tempo meteorologico In realtà, a causa della distribuzione irregolare delle terre e dei mari, si osserva la formazione di aree di alta e bassa pressione discontinue e variabili nel tempo. Infatti, l’emisfero meridionale è caratterizzato da una maggiore superficie oceanica rispetto a quello settentrionale e, quindi, mostra una distribuzione della temperatura più regolare nello spazio ed escursioni termiche minori. Di conseguenza, anche i valori della pressione sono strettamente associati al differente regime termico che si osserva tra i due emisferi. Le variazioni stagionali di pressione sono dovute essenzialmente al differente riscaldamento/raffreddamento della superficie terrestre durante l’anno e alla minore capacità termica della crosta terrestre rispetto alle masse d’acqua, perciò alle nostre latitudini la pressione presenta un minimo estivo e un massimo invernale sulle zone continentali e la situazione inversa sugli oceani (figura 23). mare di gennaio mare di luglio Figura 23 - Distribuzione media della pressione (mb) a livello del mare in gennaio e luglio. 43 Appunti di meteorologia marina Le variazioni giornaliere di pressione sono causate essenzialmente dalle oscillazioni di temperatura ed umidità che si verificano nell’arco delle 24 ore col variare soprattutto dell’insolazione e dell’irraggiamento termico del suolo (figura 24). L’andamento e l’ampiezza di queste variazioni sono estremamente variabili e dipendono dalla località, dalle stagioni, dall’altitudine e dalle condizioni atmosferiche del giorno in cui si esegue la misura. Tuttavia, in linea generale si possono osservare due tipi principali di variazioni giornaliere della pressione: ¿ una variazione regolare (detta anche variazione diurna), in cui si osserva una doppia oscillazione con due massimi, intorno alle ore 10-11 e alle ore 22 23, e due minimi, intorno alle ore 4-5 e alle ore 16-17 (figura 24a). In genere questa oscillazione è di piccola entità e risulta massima all’Equatore e minima oltre i 60° di latitudine; ¿ una variazione irregolare, dovuta principalmente al passaggio di perturbazioni atmosferiche su una determinata località (figura 24b). In questi casi non si osserva più la variazione diurna e la pressione può cambiare sensibilmente da un giorno all’altro (anche di 10-20 mb). Queste considerazioni sulla pressione svolgono un ruolo fondamentale nel comprendere la circolazione delle masse d’aria sulla superficie terrestre. Infatti, gli squilibri di pressione tra differenti aree della Terra determinano lo spostamento di masse d’aria da una zona di alta pressione relativa verso una zona di bassa pressione relativa, dando origine al sistema dei venti. Figura 24 - Andamento giornaliero della pressione registrata a Livorno il 12 ottobre 2004 (a) e il 26 ottobre 2004 (b) (CoMMA-Med). La misura della pressione Gli strumenti utilizzati per misurare la pressione sono chiamati barometri (dal greco bàros = peso). Il barometro a mercurio, ideato da Torricelli nel 1643, ha rappresentato per numerosi anni l’unico strumento in grado di misurarla. In pratica, a questo barometro è annessa una scala graduata per leggere direttamente il dislivello raggiunto dalla colonnina di mercurio (figura 25). Uno dei barometri a mercurio più noti è il barometro FORTIN, costituito da una vaschetta cilindrica in vetro contenente mercurio e da una canna di vetro protetta esternamente da un cilindro in ottone sul quale è incisa una scala graduata. 44 I. Il tempo meteorologico Figura 26 - Principio di funzionamento di un barometro aneroide. Figura 25 - Barometri a mercurio. Per un uso corretto di questo barometro è necessario introdurre dei fattori di correzione che tengano conto della variazione di densità del mercurio con la temperatura e della dilatazione termica della scala. Per questo scopo questi barometri sono sempre dotati anche di un termometro per il rilevamento della temperatura interna. Un notevole progresso nella misura della pressione atmosferica si deve all’invenzione del barometro aneroide (1848). Questo barometro è costituito da una scatola di lamiera ondulata (c) in cui viene fatto il vuoto (figura 26). La scatola subisce delle deformazioni a causa della pressione esterna ed i piccoli spostamenti della lamiera vengono amplificati mediante un sistema di leve e trasmessi ad un indice mobile su una scala graduata (figura 26). Questo strumento, rispetto al barometro a mercurio, presenta il vantaggio di essere più maneggevole e più facilmente trasportabile. I barometri elettronici maggiormente diffusi al giorno d’oggi sono costituiti da capsule olosteriche o aneroidi. Questi strumenti sono dotati di una membrana elastica che chiude una capsula contenente un gas mantenuto ad una pressione di riferimento (1013.25 mbar). L’elemento elastico è soggetto anche alla forza peso esercitata dalla colonna d’aria sovrastante. Quando la pressione interna alla capsula eguaglia quella esterna, la membrana elastica non subisce alcuna deformazione; al contrario, quando la pressione esterna è differente rispetto a quella interna alla capsula, l’elemento elastico subisce una deformazione (contrazione o espansione) che dipende dai seguenti fattori: ¿ dalla differenza tra la pressione del gas interno alla camera e la pressione media dell’atmosfera nel punto in cui si effettua la misura; ¿ dalla temperatura (che tende a provocare un aumento della pressione della camera elastica); ¿ dall’accelerazione di gravità (che produce un effetto simile a quello della temperatura). L’effetto della temperatura e dell’accelerazione di gravità viene contrastato e corretto attraverso opportuni meccanismi compensatori, per cui la deformazione della camera elastica è proporzionale alla sola differenza di pressione. Nel caso dei barometri comunemente impiegati nelle reti di monitoraggio, la deformazione della camera elastica viene infine tradotta in un segnale elettrico analogico che consente l’acquisizione automatica della pressione atmosferica. 45 Appunti di meteorologia marina I venti I venti sono prodotti da spostamenti delle masse d’aria che si muovono parallelamente alla superficie terrestre. Precedentemente abbiamo visto come il riscaldamento o il raffreddamento delle masse d’aria determini la formazione rispettivamente di aree cicloniche e anticicloniche. Per ristabilire l’equilibrio barico, l’aria tende a spostarsi in superficie dalle aree anticicloniche a quelle cicloniche dando origine ai venti (figura 27). Dalle zone cicloniche le masse d’aria salgono in quota, si raffreddano e, giunte nella parte alta della troposfera, si dirigono con moto orizzontale verso le zone anticicloniche, ove discendono al suolo per convergere nuovamente verso le zone di bassa pressione chiudendo il ciclo. Questo tipo di circolazione elementare delle masse d’aria prende il nome di cella convettiva. Figura 27 - Spostamenti delle masse d’aria tra le zone anticicloniche (A) e cicloniche (B). La forza principale che origina ed alimenta gli spostamenti delle masse d’aria sulla superficie terrestre è il gradiente barico, ovverosia il rapporto tra la differenza di pressione esistente tra le due aree in studio (ciclonica ed anticiclonica) e la loro distanza. È ovvio che la velocità di spostamento delle masse d’aria, e quindi la velocità del vento, sarà tanto più elevata quanto maggiore è il gradiente barico. Il vento tenderebbe a spostarsi dalle aree di alta pressione a quelle di bassa pressione seguendo la via più breve, cioè perpendicolarmente alle isobare (figura 28a). Tuttavia, le masse d’aria in movimento vengono deviate rispetto alla direzione teorica prevista dal gradiente barico a causa principalmente dei seguenti fattori: ¿ la rotazione terrestre (forza apparente di Coriolis) ¿ la forza di attrito ¿ la forza centrifuga ¿ gli ostacoli orografici. La forza apparente di Coriolis è dovuta al fatto che, in seguito alla rotazione della Terra attorno al proprio asse, tutti i punti del sistema Terra-atmosfera impiegano lo stesso tempo a compiere una rotazione completa ed hanno la stessa velocità angolare, mentre la distanza percorsa è differente ed aumenta dai Poli all’Equatore. Di conseguenza la velocità lineare (velocità = spazio/tempo) della rotazione aumenta al diminuire della latitudine, per cui una massa d’aria in movi- 46 I. Il tempo meteorologico mento dai Poli verso l’Equatore viene a spostarsi da zone in moto più lento verso zone in moto più rapido e, quindi, viene a trovarsi progressivamente sempre più in ritardo rispetto alla posizione che avrebbe in assenza di rotazione terrestre. Dato che il movimento di rotazione della Terra è diretto da Ovest verso Est, i venti deviano alla loro destra nell’emisfero boreale ed alla loro sinistra nell’emisfero australe (legge di Ferrel). La forza apparente di Coriolis fa sì che i venti vengano deviati fino a portarsi in direzione quasi parallela a quella delle isobare ed in modo che un ipotetico osservatore con le spalle al vento abbia la bassa pressione sulla sinistra nell’emisfero boreale e sulla destra nell’emisfero australe (legge di Buys-Ballot). In realtà, il vento negli strati bassi dell’atmosfera non spira parallelamente alle isobare, poiché la sua direzione risulta fortemente influenzata anche dall’attrito con la superficie terrestre. La forza di attrito risulta sempre proporzionale alla velocità del vento e diretta in senso contrario ad esso, per cui la direzione del vento al suolo mostra una deviazione rispetto alla direzione del gradiente barico (perpendicolare alle isobare) inferiore rispetto a quella osservata ad alta quota (figura 28a). In particolare, l’angolo formato tra la direzione effettiva del vento e la perpendicolare alle isobare varia in superficie da valori di 10-15° sul mare a valori di 20-30° sulla terraferma, ove l’attrito è maggiore. Come conseguenza di queste tre forze modificatrici Figura 28 - Effetto della forza del gradiente barico, (forza del gradiente barico, della forza apparente di Coriolis e delle forza di attrito forza apparente di Coriolis e sulla direzione di spostamento di una massa d’aria che forza di attrito), nell’emisfesi muove da una zona di alta pressione o anticiclonica ro boreale il vento tende ad (A) verso una zona di bassa pressione o ciclonica (B). entrare nelle aree cicloniche e a convergere verso il nucleo centrale di bassa pressione con moto spiraliforme antiorario e ad uscire dalle aree anticicloniche con moto spiraliforme orario (figura 28b). Il vento inoltre si dirige dalle zone anticicloniche verso quelle cicloniche con traiettorie curvilinee (figura 28b), che assumono un’importanza fondamentale per stabilire le rotte ideali di navigazione. 47 Appunti di meteorologia marina Anche la forza centrifuga può contribuire a modificare la direzione di provenienza del vento, determinando uno spostamento delle traiettorie curvilinee verso l’esterno. È importante evidenziare come la forza apparente di Coriolis agisca modificando solo la direzione di provenienza del vento, mentre la forza di attrito esercita un’azione frenante sul vento modificando, oltre alla direzione, anche la sua velocità. In particolare, la velocità del vento sulla terraferma e sul mare è rispettivamente circa il 50-60% ed il 65-70% rispetto a quella che si avrebbe in assenza di attrito superficiale. Anche i rilievi montuosi possono influenzare le masse d’aria in movimento modificando la direzione e la velocità dei venti, oltre che la loro temperatura ed umidità. Quando una massa d’aria in movimento incontra il versante di un monte (versante sopravvento) è costretta a risalirlo e ad alzarsi in quota (convezione forzata), ove si raffredda e condensa dando luogo a nebbie, nubi (cumuli orografici) e pioggia. La massa d’aria quindi perde umidità e, giunta in cima al monte, scende dal versante opposto (versante sottovento) riscaldandosi per compressione adiabatica e originando un vento caldo e secco. Il fenomeno che determina l’accumulo di nubi sul versante sopravvento del rilievo viene indicato con il termine di Stau, mentre il vento caldo e secco che si origina sul versante sottovento costituisce il ben noto Föhn. Un esempio di questi fenomeni si osserva in corrispondenza della catena alpina, in cui l’aria proveniente dall’Europa settentrionale è costretta a sollevarsi in quota e a raffreddarsi dando luogo a nubi e precipitazioni sul versante alpino rivolto verso Nord, mentre sulle regioni sottovento si hanno le condizioni tipiche del Föhn con cielo sereno, aria secca e visibilità ottimale. Lo studio dei movimenti delle masse d’aria sulla superficie terrestre ha interessato l’uomo fin dall’antichità, come testimonia la ‘rosa dei venti’ di origine etrusco-latina (figura 29). Con essa vengono distinti i venti in base alla loro direzione di provenienza rispetto ai quattro punti cardinali (Nord, Sud, Est ed Ovest). Originariamente la ‘rosa dei venti’ era rappresentata solo da quattro direzioni principali individuate dai punti cardinali, mentre successivamente fu ulteriormente suddivisa nelle direzioni intermedie o intercardinali (Nord-Est, Sud-Est, SudOvest e Nord-Ovest). Ispirandosi ad essa l’architetto Andronico (vissuto tra il II ed il I secolo a.C.) costruì una torre di forma ottagonale (la cosiddetta ‘Torre dei Venti’ di Atene) con in cima una lamina metallica a forma di tritone che ruotava intorno ad un asse verticale in base alla direzione di provenienza del vento (banderuola). Su ogni lato dell’ottagono sono raffigurate in bassorilievo delle divinità che personificano il tempo associato a ciascun tipo di vento (figura 30). Figura 29 - Rosa dei venti. 48 I. Il tempo meteorologico La ‘rosa dei venti’ attualmente viene suddivisa dai punti cardinali in quattro quadranti, ciascuno dei quali è ulteriormente diviso in quattro parti uguali. È possibile quindi individuare sedici differenti direzioni a partire da Nord e procedendo in senso orario. Il vento che soffia da Nord è chiamato Tramontana (dal latino trans montanus) poiché arriva oltrepassando i monti, quello da Sud Mezzogiorno o Ostro (dal latino auster) perché di provenienza australe, quello da Est Levante perché proviene dal punto in cui sorge il Sole e, infine, quello da Ovest Ponente poiché proviene dal punto in cui tramonta il Sole. I venti che soffiano da direzioni intermedie prendono il nome della regione dalle quali sembrano provenire rispetto ad un ipotetico osservatore che si trovi al centro del Mar Ionio. Il vento che soffia da Nord-Est viene chiamato Greco o Grecale in quanto sembra provenire dalla Grecia, quello da Sud-Est Scirocco dalla Siria, quello da SudOvest Libeccio dalle coste della Libia e, infine, il vento che soffia da Nord-Ovest è chiamato Maestro o Maestrale poiché è considerato il vento principale del Mediterraneo. Il vento, essendo una grandezza vettoriale, viene espresso dalla velocità (o intensità o forza) e dalla direzione di provenienza. Le unità di misura maggiormente utilizzate per indicare la velocità del vento sono i metri al secondo (m s-1), i chilometri all’ora (km h-1), i piedi al secondo (ft s-1), le miglia all’ora (m.p.h, dove 1 miglio = 1620 m) e i nodi (kts, miglia nautiche all’ora). Tuttavia, per favorire lo scambio di informazioni in ambito meteorologico la velocità del vento viene per convenzione indicata in metri al secondo (unità di misura del Sistema Internazionale) o in nodi. Questi ultimi vengono ampiamente utilizzati soprattutto nella navigazione aerea, in quella marittima e nei bollettini meteorologici. Figura 30 - Torre dei venti di Atene (tratta dal sito www.sullacrestadellonda.it). 49 Appunti di meteorologia marina Un nodo è l’equivalente di un miglio nautico all’ora, ovverosia 1852 metri all’ora (o 0.5145 m s-1). Nei bollettini meteorologici l’intensità del vento può essere anche riportata come vento sfilato (in km), che esprime la distanza in chilometri che avrebbe percorso in quel determinato giorno una massa d’aria di uguale velocità. Una scala empirica comunemente adottata per esprimere la velocità del vento in ambito meteorologico è quella elaborata nel 1805 dall’Ammiraglio britannico Francis Beaufort (1744-1857) e perciò denominata scala Beaufort della forza del vento (tabella 5). Questa scala classifica la forza del vento in 12 gradi in base agli effetti che il vento produce sulla superficie del mare lontano dalle coste e su oggetti, piante, persone ecc. presenti sulla terraferma. I valori della velocità del vento riportati nella tabella sono relativi ad un’altezza di 10 m al di sopra della superficie terrestre o marina. La direzione del vento indica la direzione di provenienza del flusso di massa d’aria. Essa viene riportata in gradi e riferita al Nord geografico. Per favorire lo scambio di informazioni in ambito meteorologico, i dati relativi alla direzione dei venti sono riportati in intervalli di 10 gradi. Nei bollettini metorologici giornalieri può essere indicata anche la frequenza della direzione di provenienza, calcolata eseguendo una misura di direzione otto volte in un giorno (cioè ogni tre ore). Per rappresentare i venti sulle carte meteorologiche si ricorre ad una semplice simbologia internazionale (figura 31). La direzione dei venti sulle carte è rappresentata con un segmento orientato nel senso di provenienza del vento ed inserito su un cerchio che indica la stazione di riferimento. La velocità viene rappresentata per mezzo di una mezza barretta trasversale ogni 5 nodi, una barretta ogni 10 nodi ed un piccolo triangolo ogni 50 nodi; ad esempio, con il seguente simbolo: Figura 31 - Simbologia internazionale dell’intensità del vento. Il vento in figura proviene sempre da Nord. viene indicato un vento proveniente da Nord-Est e con una velocità di 65 nodi. In condizioni di calma (velocità inferiore a 1 nodo) la direzione e l’intensità sono considerate nulle, perciò il vento viene generalmente rappresentato con un doppio cerchio concentrico. I venti possono essere distinti in due tipologie principali: ¿ venti planetari ¿ venti locali Mentre i venti locali compiono solo brevi percorsi e si ripetono con una certa frequenza nelle stesse località, i venti planetari danno luogo alla circolazione generale dell’atmosfera. 50 <1 1-3 4-6 7-10 11-16 17-21 22-27 28-33 34-40 41-47 48-55 56-63 64 e oltre Bava di vento Brezza leggera Brezza tesa Vento moderato Vento teso Vento fresco Vento forte Burrasca Burrasca forte Tempesta Tempesta violenta o fortunale Uragano 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 118 e oltre 103-117 89-102 75-88 62-74 50-61 39-49 29-38 20-28 12-19 6-11 1-5 <1 Velocità in Velocità in nodi km h-1 Calma Termine descrittivo 0 Grado Beaufort 32.7 e oltre 28.5-32.6 24.5-28.4 20.8-24.4 17.2-20.7 13.9-17.1 10.8-13.8 8-10.7 5.5-7.9 3.4-5.4 1.6-3.3 0.3-1.5 0-0.2 Velocità in m s-1 Gravissime catastrofi Grandi devastazioni Sradica gli alberi Asporta camini e tegole Agita grossi alberi Ostacola il cammino Agita grossi rami Agita i rami Solleva polvere e carte Agita le foglie Si avverte sul viso Il vento piega il fumo Il fumo si alza verticalmente Effetti sulla terraferma L’aria è piena di schiuma e di spruzzi; il mare è completamente bianco a causa dei banchi di schiuma alla deriva; la visibilità è fortemente ridotta Onde eccezionalmente alte (le navi di piccola e media stazza scompaiono per alcuni istanti); il mare è completamente coperto da banchi di schiuma che si allungano nella direzione del vento; la sommità delle creste delle onde è polverizzata dal vento; la visibilità è ridotta. Onde molto alte con lunghe creste a criniera; la schiuma formatasi, addensata in larghi banchi, viene soffiata in strisce bianche e compatte nella direzione del vento; il mare appare completamente biancastro; le onde precipitano e si accavallano in modo intenso e molto violento; la visibilità è ridotta. Onde alte; si formano compatte strisce di schiuma lungo la direzione del vento; le creste delle onde cominciano a vacillare, poi si infrangono rotolando; gli spruzzi possono ridurre la visibilità. 14 e oltre 11.5 9 7 5.5 4 Il mare si gonfia; la spuma bianca che si forma al rompersi delle onde viene soffiata in strisce nella direzione del vento Onde di media altezza e maggiore lunghezza; la sommità delle creste inizia a rompersi in spruzzi; la schiuma viene soffiata in bianche strisce ben visibili nella direzione del vento. 3 2 1 0.6 0.2 0.1 - min - 16 12.5 10 7.5 5.5 4 2.5 1.5 1 0.3 0.1 - max Altezza probabile delle onde (m) Onde più grandi cominciano a formarsi; le creste di spuma bianca sono ovunque più estese (probabile qualche spruzzo). Onde moderate che assumono una forma più allungata; formazione di molti marosi biancheggianti di spuma (possibilità di qualche spruzzo). Onde piccole che cominciano ad allungarsi; i marosi biancheggianti di spuma risultano più frequenti e più evidenti. Onde molto piccole; le creste cominciano a rompersi; la schiuma ha apparenza vitrea; talvolta si osservano dei ‘marosi’ dalla cresta biancheggiante di spuma. Increspature corte ma più evidenti con creste che hanno apparenza vitrea e non si rompono. Si formano piccole increspature che sembrano scaglie di pesce senza creste bianche di spuma. Mare d’olio Effetti sul mare lontano dalla costa I. Il tempo meteorologico Tabella 5 - Scala Beaufort della forza del vento. 51 Appunti di meteorologia marina Venti planetari I venti planetari possono essere suddivisi in: ¿ venti planetari di bassa quota ¿ venti planetari di alta quota. I venti planetari di bassa quota o superficiali (figura 32) si creano per compensare le differenze di temperatura e pressione esistenti tra la fascia tropicale e le due aree polari. Riassumendo, a livello planetario è possibile distinguere una zona equatoriale di bassa pressione o ciclonica con aria calda ed umida, due zone subtropicali di alta pressione o anticicloniche con aria secca e mediamente meno calda rispetto alla zona equatoriale, due zone polari di alta pressione o anticicloniche con aria fredda e secca e, infine, due zone subpolari di bassa pressione o cicloniche con aria più umida e mediamente più calda rispetto ai Poli. Questa distribuzione di aree cicloniche ed anticicloniche sulla superficie terrestre determina lo spostamento di masse d’aria in base al gradiente barico ed è responsabile della circolazione generale dell’atmosfera. Tra le aree anticicloniche delle regioni subtropicali e l’Equatore spirano i venti tropicali orientali o Alisei, venti costanti per tutto l’anno e ben noti ai navigatori. Per effetto della forza apparente di Coriolis questi venti provengono da Nord-Est nell’emisfero boreale e da Sud-Est in quello australe e tendono a convergere presso una zona vicino all’Equatore chiamata zona di convergenza intertropicale (ITCZ) dove si concentra l’attività dei cumulonembi caratterizzata da piogge intense e continue. Sempre dalle aree anticicloniche subtropicali spirano verso le zone subpolari i cosiddetti venti occidentali, provenienti da Sud-Ovest nell’emisfero boreale e da Nord-Ovest in quello australe. Infine, dalle zone anticicloniche polari spirano verso le zone subpolari i venti orientali polari, provenienti da Nord-Est nell’area polare artica e da Sud-Est in quella antartica. Ciascun emisfero mostra quindi tre celle convettive distinte (figura 32), indicate rispettivamente come cella di Hadley (o cella tropicale, figura 33) tra l’Equatore ed i 30° di latitudine, cella di Ferrel (o delle medie latitudini) tra i 30° ed i 60° di latitudine e cella polare oltre i 60° di latitudine. Dalle zone cicloniche di bassa pressione, l’aria calda ed umida sale e si raffredda dando luogo a nubi e precipitazioni. Al limite superiore della troposfera il moto diviene orizzontale, per cui le masse d’aria tendono a spostarsi verso le zone anticicloniche, ove l’aria fredda scendendo verso il suolo si comprime, si riscalda e diverge nuovamente verso le zone di bassa pressione originando rispettivamente gli Alisei (cella di Hadley), i venti occidentali (cella di Ferrel) ed i venti polari (cella polare). Tuttavia, la dinamica dell’atmosfera è molto più complessa e meno schematica di quella ora descritta e, specialmente alle medie latitudini, le fluttuazioni delle masse d’aria rispetto alla cella di Ferrel sono estremamente frequenti. Ciò è dovuto principalmente al fatto che il riscaldamento alle medie latitudini non è costante, per cui il moto della cella convettiva non è stabile e continuo come quello tropicale della cella di Hadley (figura 33). Figura 32 - I venti planetari di bassa quota e le celle convettive di Hadley, di Ferrel e polare. 52 I. Il tempo meteorologico Figura 33 - Rappresentazione schematica della cella di Hadley. I venti planetari di alta quota presentano caratteristiche differenti rispetto a quelli di bassa quota, non essendo influenzati dall’azione frenante dell’attrito e dalla presenza di ostacoli orografici. Di conseguenza questi venti per azione della forza di Coriolis tendono a muoversi seguendo la direzione dei paralleli. È opportuno mettere in evidenza come la carta delle pressioni a quote elevate non coincida con quella delle pressioni a bassa quota, per cui in alcuni casi si può assistere ad una inversione barica; ad esempio, il maggiore spessore della troposfera all’Equatore rispetto ai Poli causa la formazione di un’area ciclonica polare di alta quota (sovrastante l’anticiclone freddo), mentre sulla zona equatoriale sussiste un’area di elevata pressione ad alta quota (sovrastante l’area ciclonica equatoriale). Questa inversione barica ad alta quota determina lo spostamento di masse d’aria dall’Equatore verso i Poli. Altri venti di alta quota sono le cosiddette correnti a getto (o jet stream) che si formano in seguito a forti differenze di temperatura e pressione a quote elevate (oltre i 9 km). Questi venti possono raggiungere i 300 km h-1 ed agire per migliaia di chilometri, perciò vengono sfruttati per favorire la circolazione aerea e ridurre il consumo di carburante. In funzione della latitudine è possibile distinguere due tipi di correnti a getto, indicate rispettivamente come corrente a getto subtropicale (o delle basse latitudini) e corrente a getto del fronte polare (o delle alte latitudini). Venti locali I venti locali possono essere ulteriormente suddivisi in: ¿ venti periodici o regolari (monsoni e brezze) ¿ venti variabili. I più importanti venti periodici sono i monsoni (figura 34), fra cui il più famoso è quello delle aree asiatiche che circondano l’Oceano Indiano. Questi venti spirano dall’Oceano Indiano verso il continente asiatico durante i mesi estivi (monsoni di mare) e dal continente verso l’Oceano durante i mesi invernali (monsoni di terra), determinando l’alternanza di una stagione piovosa estiva ed una stagione secca invernale. La formazione dei monsoni è causata dalla contrapposizione tra la grande massa continentale a nord dell’Equatore e la grande massa oceanica a sud. Figura 34 - Rappresentazione schematica dei monsoni di terra e di mare. 53 Appunti di meteorologia marina Durante il periodo invernale l’Oceano Indiano si raffredda meno della massa continentale, perciò si genera un’area di alta pressione sul continente asiatico (aria più fredda e secca rispetto a quella presente sulla superficie marina) ed un’area di bassa pressione sull’Oceano Indiano, che determina uno spostamento delle masse d’aria dalla terra verso il mare per ristabilire l’equilibrio barico. Durante il periodo estivo la massa continentale si riscalda più rapidamente rispetto all’Oceano Indiano, per cui il movimento dell’aria si inverte. Questo fenomeno assume un’importanza fondamentale anche dal punto di vista socio-economico, influenzando l’attività agricola e, in particolare, la coltivazione intensiva del riso in una delle aree più popolate della Terra. Un altro esempio di vento periodico sono le brezze, venti regolari ad andamento diurno che possono essere spiegati come monsoni ma a scala ridotta. Le brezze si distinguono ulteriormente in brezze di mare e brezze di terra nelle regioni costiere e in brezze di monte e brezze di valle nelle regioni montuose. Analogamente a quanto osservato per i monsoni, le brezze si creano per compensare le differenze di temperatura e pressione che si stabiliscono tra terra e mare o tra monti e pianura. Le brezze sono importanti per la navigazione e per il clima costiero, perciò esamineremo ora in dettaglio il loro meccanismo di formazione e le loro principali caratteristiche. Le brezze marino-costiere (figura 35) sono tipiche dei periodi caldi e soleggiati, quando le differenze termiche fra acqua e terra sono particolarmente accentuate. Durante il giorno la terra si riscalda più intensamente rispetto al mare, per cui anche l’aria sovrastante la costa tende ad essere più calda rispetto a quella sopra la superficie marina. L’aria sopra la costa, più calda, si dilata e tende a salire verso l’alto originando una zona di bassa pressione; al contrario, l’aria sovrastante il mare, essendo più fresca, tende a stazionare verso il basso originando una zona di alta pressione. Il gradiente barico che viene a formarsi provoca un afflusso di aria dal mare verso la costa indicato come brezza di mare (figura 35). Figura 35 - Rappresentazione schematica delle brezze di terra e di mare. L’aria che in prossimità della costa si solleva in quota trasportando vapore acqueo, può condensare e dare origine a cumuli sui rilievi. La situazione si inverte durante il periodo notturno, quando la superficie terrestre si raffredda più rapidamente rispetto a quella marina. Di conseguenza, l’aria di costa durante la notte è più fresca e quindi mostra una pressione maggiore rispetto all’aria che sovrasta il mare. Per compensare questa differenza di pressione avviene uno spostamento delle masse d’aria dalla terraferma verso il mare che viene indicato come brezza di terra (figura 35). Questo movimento delle masse d’aria durante la notte può portare ad un po’ di foschia sul mare e a cielo limpido sulla costa. Alle nostre latitudini le brezze raggiungono 54 I. Il tempo meteorologico intensità comprese tra 1 e 5 m s-1 in mare aperto e tra 5 e 10 m s-1 in prossimità della costa. Le brezze di mare iniziano circa verso le 10 del mattino e raggiungono la massima intensità intorno alle 13-14 del pomeriggio, per poi diminuire progressivamente fino ad annullarsi al tramonto. Dopo il tramonto ha origine la brezza notturna o di terra che risulta sempre di minore intensità rispetto a quella di mare, per cui interessa una fascia di mare minore. Le brezze inizialmente spirano in direzione perpendicolare alla costa, per poi ruotare in senso orario fino a disporsi quasi parallelamente ad essa. I venti locali possono avere anche un andamento irregolare nel tempo, in questo caso si parla di venti variabili. A seconda della direzione da cui provengono assumono denominazioni particolari. Di seguito vengono riportate le caratteristiche di alcuni dei più importanti venti locali del Mediterraneo (figura 36). Figura 36 - I principali venti del Mediterraneo. Tramontana - è un vento molto freddo proveniente da Nord che spira a raffiche e che può investire, specialmente in inverno, tutta la penisola italiana. Si genera in seguito alla contrapposizione tra un’area di alta pressione a Sud-Ovest della Francia ed una depressione sul Mediterraneo centro-occidentale. Durante il suo tragitto la massa d’aria non attraversa la superficie marina, perciò è caratterizzata da bassi tassi di umidità. Generalmente porta tempo freddo e asciutto, cielo sereno e visibilità ottima. Assume nomi vari (Aquilone, Buriana) in funzione delle regioni di provenienza. Bora - vento freddo e molto forte che soffia da Nord-Est specie nei mesi invernali e che, dopo aver oltrepassato le montagne, investe il Mare Adriatico con effetti particolarmente intensi sul Golfo di Trieste e sul Quarnero dove possono essere registrate raffiche di 65-70 nodi. Provoca una brusca diminuzione della temperatura e, talvolta, pioggia e nevicate (bora scura). Grecale - vento intenso che spira a raffiche e che proviene principalmente da Nord-Est durante il periodo invernale; porta generalmente tempo buono e cielo sereno. Si genera in seguito alla contrapposizione tra un’area anticiclonica sull’Europa nord-orientale ed un’area ciclonica mediterranea. Levante - vento fresco e umido di debole intensità che, come si evince dal nome, spira dalla direzione da cui sorge il Sole (Est) principalmente durante il periodo estivo; nel Tirreno di solito preannuncia l’arrivo delle perturbazioni da Scirocco e può dare origine a nebbie e foschie. 55 Appunti di meteorologia marina Scirocco - vento originariamente caldo e secco proveniente da Sud-Est dal continente africano. Durante il suo tragitto attraversa gran parte del Mediterraneo caricandosi di umidità, perciò raggiunge l’Italia come vento caldo ed umido che porta generalmente tempo nuvoloso al Nord, mare mosso e nebbie o nubi basse che possono ridurre la visibilità. Ostro o Mezzogiorno - vento caldo-umido molto debole proveniente da Sud e con scarsa influenza sui mari italiani. Libeccio - vento proveniente da Sud-Ovest che, pur essendo un vento di mare, si distingue da questi ultimi mostrando caratteristiche peculiari. Si genera in seguito all’ingresso nel Mediterraneo di una perturbazione atlantica che ha origine dallo scontro tra un fronte freddo proveniente da una depressione situata nell’Europa centrale ed aria calda ed umida proveniente da una zona anticiclonica posta più a sud. La sua origine è in genere molto rapida e improvvisa e si sviluppa raggiungendo una forte intensità, per poi calmarsi con la stessa rapidità con cui è nato. Il libeccio è generalmente preceduto da venti di Scirocco e da una rapida diminuzione della pressione con peggioramento del tempo. Cessato il suo effetto si osserva solitamente un innalzamento di pressione che preannuncia l’arrivo di tempo buono e cielo sereno. A causa del fetch molto ampio, questo vento genera onde tra le più alte osservate nel Tirreno del Nord. Ponente - vento estivo, fresco e pomeridiano che, come dice il nome stesso, spira dalla direzione da cui tramonta il Sole (Ovest). La sua influenza è sentita principalmente sul Tirreno e sull’Adriatico centro-meridionale. Maestrale (o Mistral) - vento freddo e intenso di origine atlantica proveniente da NordOvest. Presenta caratteristiche analoghe alla Tramontana ma è dotato di una forza maggiore e, perciò, è denominato ‘maestro dei venti’. Questo vento si incunea tra i Pirenei ed il Massiccio Centrale e sbocca nel Mediterraneo in corrispondenza del Golfo del Leone, portando in genere tempo freddo, asciutto e sereno. Durante i mesi invernali interessa principalmente la zona compresa tra l’alto Tirreno ed il Mar Ligure. Ghibli, Chili e Khamsin - venti meridionali caldi e secchi con caratteristiche simili allo Scirocco. Possono caricarsi di sabbia e soffiare rispettivamente sui territori della Libia, della Tunisia e dell’Egitto. Si creano in seguito alla contrapposizione tra un anticiclone sull’Africa del Nord e una depressione sul Mediterraneo centro-occidentale. Possono creare un flusso d’aria calda ed umida che, talvolta, può dirigersi verso il Mediterraneo settentrionale generando dense foschie su ampi tratti di mare. Marin - vento umido e temperato proveniente da Sud-Est che, nella stagione invernale, investe la costa mediterranea compresa tra la Francia e la Spagna. Può causare la formazione di onde alte in prossimità delle coste francesi, analogamente al libeccio sulle coste tirreniche e può portare ad un’estesa nuvolosità e a piogge intense. Meltemi - vento fresco stagionale proveniente da Nord-Est o Nord-Ovest a seconda delle zone e che soffia nella stagione estiva sulle aree della Turchia e dell’Egeo. Levantes e Vendaval - venti, rispettivamente orientali ed occidentali, che interessano la fascia di mare intorno allo stretto di Gibilterra. Il Levantes è un vento caldo ed umido, generalmente moderato, che proviene dal Mediterraneo, mentre il Vendaval è un vento che soffia dall’Atlantico specialmente nei mesi invernali. Chergui - vento caldo e secco proveniente da Est e che spira sul Marocco in primavera ed estate. 56 I. Il tempo meteorologico La misura del vento Gli strumenti impiegati per la misura della velocità del vento prendono il nome di anemometri (dal greco anemos = vento e metron = misura). L’invenzione dell’anemometro a pressione risale alla prima metà del 1400 ad opera di Leon Battista Alberti (1404-1472). Come egli stesso descrive nella sua opera ‘Ludi matematici’, questo anemometro consiste in una piccola lamina sospesa ad una staffa per mezzo di una cerniera in grado di orientarsi in base alla direzione del vento (tramite una banderuola). Dalla maggiore o minore pressione esercitata dal vento sulla lamina sarebbe stato possibile stimare la velocità del vento per mezzo di un’asta graduata piegata ad arco. La scienza meteorologica del 1500 vanta l’invenzione del primo strumento per misurare la direzione di provenienza dei venti (anemoscopio) ad opera del matematico e cosmografo italiano Egnazio Danti (1536 - 1586). Lo strumento prende spunto dalla banderuola a forma di tritone posta sulla ‘Torre dei Venti’ di Atene (figura 30). Danti inventò un dispositivo che, collegato al prolungamento dell’asta metallica di una banderuola, recava un indice in grado di orientarsi in funzione della direzione del vento su una ‘rosa dei venti’ disposta all’interno del locale sul cui tetto era situata la banderuola stessa. Un esemplare di questo strumento è conservato a Firenze nella Villa delle Rose. Gli anemometri maggiormente utilizzati al giorno d’oggi si dividono in tre gruppi principali: ¿ anemometri che misurano l'energia cinetica dell'aria in movimento (anemometri a coppe e ad elica); ¿ anemometri che misurano l'effetto raffreddante dell'aria in movimento (anemometro a filo caldo e a campo termico); ¿ anemometri sonici che misurano il tempo di propagazione del suono in aria. L’anemometro a coppe (figura 37) è uno degli strumenti più antichi ed il più impiegato nelle stazioni meteorologiche: esso è costituito da tre superfici cave emisferiche (coppe) che, in virtù della loro forma, offrono una resistenza aerodinamica diversa a seconda che il flusso di vento investa la parte concava o convessa. Queste coppe, equidistanti angolarmente l’una dall’altra, vengono collegate rigidamente ad un asse centrale rotante (albero) ad una distanza ottimale di 2-2.5 cm. Il sistema così costituito ruota in presenza di vento e la sua velocità di rotazione risulta proporzionale all’intensità del vento stesso. Tale velocità viene infine tradotta in un segnale elettrico attraverso tre differenti metodi: ¿ per mezzo di un contatore numerico. In questo caso l’albero è collegato mediante vite senza fine e coppia di ingranaggi ad un contatore numerico che fornisce direttamente il valore in centesimi, decimi e chilometri del vento sfilato (anemometro totalizzatore); ¿ per mezzo di un fotoaccoppiatore, costituito da un disco dotato di una serie di fessure che consentono ad un raggio luminoso di raggiungere una cella fotoelettrica. Il disco è collegato direttamente al rotore e gli impulsi di luce in uscita vengono trasformati in una tensione che risulta proporzionale alla velocità di rotazione; ¿ per mezzo di una dinamo tachimetrica direttamente collegata all’albero rotante dell’anemometro, che in uscita produce una tensione proporzionale alla velocità di rotazio- Figura 37 - Anemometri a coppe con banderuola: a) Young 03101, b) Davis 7911. ne (anemometro generatore). 57 Appunti di meteorologia marina Tra gli anemometri che misurano l’energia cinetica del vento si deve ricordare anche l’anemometro ad elica (figura 38), che è dotato di un’elica montata su un asse di rotazione orizzontale ed è costantemente orientato dal vento in funzione della sua direzione. I sistemi di traduzione del segnale sono analoghi a quelli descritti per l’anemometro a coppe, rispetto al quale è in grado di fornire, oltre all’intensità del vento, anche la sua direzione di provenienza. L’anemometro a filo caldo (figura 39) è costituito da un filamento che, percorso da una corrente elettrica, viene portato ad una temperatura superiore a quella dell’aria ambiente. Il flusso d’aria in movimento provoca un raffreddamento del filamento, per cui è possibile determinare la velocità del vento misurando direttamente l’abbassamento di temperatura del filamento o l’intensità della corrente necessaria per mantenere il filamento stesso ad una temperatura preimpostata. Il principale vantaggio di questi strumenti risiede nelle loro limitate dimensioni che ne consentono l’installazione anche all’interno di coperture vegetali, mentre i limiti sono dovuti alla loro fragilità ed al campo di misura più limitato rispetto agli anemometri a coppe. Sullo stesso principio è basato anche l’anemometro a campo termico. Questo strumento è costituito da un piccolo cilindro disposto verticalmente e con al suo interno una resistenza elettrica che lo mantiene ad una temperatura costante superiore a quella dell’aria esterna. Dalla misura dell’intensità di corrente necessaria a mantenere il cilindro ad una temperatura preimpostata si risale alla velocità del vento. Figura 38 - Anemometro ad elica. Figura 39 Anemometro a filo caldo con banderuola direzionale, centralina di acquisizione e sistema di trasmissione dati. Un’altra categoria di strumenti utilizzati per misurare la velocità del vento sono gli anemometri sonici (figura 40), il cui principio di funzionamento si basa sulla misura del tempo di propagazione del suono nei fluidi in movimento. La velocità di trasmissione del suono in aria è dipendente dall’intensità del vento, aumentando nel caso in cui il suono si propaghi lungo la direzione del vento e diminuendo in caso contrario. Tali strumenti sono solitamente costituiti da tre trasduttori, posti ai vertici di un triangolo equilatero orizzontale, in grado di trasmettere e ricevere un impulso di ultrasuoni. Dalla misura del tempo necessario affinché un impulso ultrasonico transiti tra due trasduttori contigui in entrambe le direzioni è possibile risalire all’intensità del vento. Questi strumenti sono principalmente utilizzati per lo studio degli scambi gassosi a livello di ecosistema, poiché consentono di misurare la componente verticale del vento (oltre a quella orizzontale 58 I. Il tempo meteorologico e trasversale) associata agli scambi di acqua ed anidride carbonica tra biosfera ed atmosfera. Infatti, sebbene la principale componente del vento sia quella orizzontale, i fenomeni di attrito determinano la formazione di piccoli mulinelli di aria all’interno della direzione prevalente del vento, per cui gli spostamenti di aria negli strati bassi dell’atmosfera sono caratterizzati da moto turbolento (piuttosto che da moto laminare) che può essere scomposto nelle sue tre componenti spaziali. Figura 40 - Anemometri sonici: a) Campbell, b) Young 81000. L’altezza standard alla quale viene generalmente eseguita la misura della velocità del vento è di 10 metri dal suolo (WMO, 1983). Ovviamente, a causa dell’attrito superficiale la velocità del vento tende a diminuire avvicinandosi al suolo, per cui se si vuole calcolare la velocità del vento ad altezze diverse da 10 metri è possibile utilizzare delle apposite formule come, ad esempio, quella di Naegeli (1954): Vh = V10 [0.233 + 0.656 log ( h + 4.75)] dove Vh è la velocità del vento all’altezza h, V10 è la velocità del vento a 10 metri dal suolo e h è l’altezza dal suolo espressa in metri. Associato all’anemometro si trova l’anemoscopio, con cui viene misurata la direzione di provenienza del vento. Il più noto è il gonioanemometro, più comunemente conosciuto come anemometro a banderuola (figure 37 e 39). Questo strumento consiste essenzialmente di una lamina metallica di forma rettangolare (banderuola) collegata mediante un’asta metallica orizzontale ad un asse verticale rotante che offre la minima frizione. Il peso della banderuola è bilanciato da un contrappeso metallico posto sull’estremità opposta dell’asta orizzontale. La banderuola metallica tende ad orientarsi secondo la direzione del vento e, in seguito al suo spostamento, provoca la rotazione del cursore di un potenziometro che genera una tensione proporzionale allo spostamento angolare della banderuola rispetto alla direzione di riferimento. Considerando la forte variabilità associata alla determinazione della direzione del vento, si ritiene generalmente sufficiente ottenere una risoluzione angolare di 10° ed eseguire la media di un elevato numero di valori istantanei. A questo scopo è importante considerare come la semplice media aritmetica non sia sempre indicata per ottenere dei valori attendibili della direzione prevalente del vento. Per ottenere una stima attendibile di questo parametro è possibile ricorrere ad un’appropriata analisi statistica, suddividendo la direzione del vento in intervalli di gradi o classi e determinando la frequenza di direzione per ciascuna classe di appartenenza. 59 Appunti di meteorologia marina L’umidità atmosferica L’umidità è una grandezza che esprime la concentrazione di vapore acqueo presente nell’atmosfera. Il vapore acqueo è una componente costante dell’atmosfera presente in proporzioni variabili tra lo 0.2 ed il 4%. Il suo contenuto varia nel tempo e nello spazio e dipende principalmente dall’evaporazione dell’acqua dal suolo, dai fiumi, dai laghi e, soprattutto, dagli oceani e dalla traspirazione delle piante. L’evaporazione dell’acqua è favorita dall’irraggiamento solare, tuttavia questo processo non può procedere indefinitamente, poiché esiste una quantità massima di vapore che l’aria può contenere in forma di gas. Questo limite si raggiunge quando l’aria risulta satura di vapore, per cui ogni ulteriore aggiunta di vapore acqueo viene eliminata mediante condensazione (passaggio dallo stato aeriforme a quello liquido) o sublimazione (passaggio dallo stato aeriforme a quello solido). Una massa d’aria che contiene la massima quantità di vapore ammissibile per la temperatura alla quale si trova è una massa d’aria satura e la temperatura alla quale si verifica questa condizione è detta temperatura (o punto) di rugiada. Questo parametro varia in funzione della temperatura dell’aria: maggiore è la temperatura, più alta è la quantità di vapore che la massa d’aria in studio è in grado di contenere e, quindi, più elevato è il punto di rugiada. La conoscenza del punto di rugiada è di fondamentale importanza, poiché questo parametro permette di ottenere informazioni sul meccanismo e sulla probabilità di formazione delle nebbie e delle nubi. Entrambi i fenomeni sono infatti causati dalla condensazione del vapore acqueo in eccesso rispetto a quello necessario a saturare la massa d’aria, con formazione di goccioline di acqua (o di cristalli di ghiaccio) che rimangono in sospensione nell’aria. Di conseguenza, un raffreddamento rapido e sensibile della superficie terrestre e dell’aria sovrastante provoca un abbassamento della temperatura di rugiada e la possibile formazione di nebbia. Questo tipo di nebbia si verifica in genere dopo il tramonto, nella tarda serata e durante la notte.Il grado di umidità nell’aria viene espresso mediante differenti grandezze, fra le quali assumono particolare importanza l’umidità assoluta e l’umidità relativa. Con umidità assoluta si intende la quantità di vapore acqueo presente in un dato volume di aria e ad una data temperatura, mentre con umidità relativa si intende il rapporto tra il contenuto reale di vapore acqueo di un dato volume di aria e quello che sarebbe teoricamente presente se lo stesso volume di aria fosse saturo ad una data temperatura. Unità di misura L’umidità assoluta è espressa come la quantità in grammi di vapore acqueo contenuto in un centimetro cubo d’aria (g cm-3), mentre l’umidità relativa (UR) è una grandezza adimensionale che viene espressa dal rapporto percentuale (%) fra la quantità di vapore acqueo contenuto in un determinato volume di aria e la quantità di vapore che questa dovrebbe contenere per essere satura nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione. Ad esempio, un valore di umidità relativa pari al 50%, significa che l’aria in questione contiene la metà del vapore che potrebbe contenere in condizioni di saturazione (quando l’umidità relativa è il 100%). Di conseguenza, un aumento dell’umidità relativa in un determinato luogo è indicativo dell’approssimarsi di precipitazioni o di altre forme di condensazione del vapore acqueo. Un altro modo di esprimere il contenuto di vapore acqueo nell’atmosfera è attraverso la cosiddetta umidità specifica, che è data dalla quantità in grammi di vapore acqueo contenuta in 1 kg di aria umida. 60 I. Il tempo meteorologico La distribuzione dell’umidità atmosferica L’umidità mostra ampie fluttuazioni nello spazio e nel tempo che risultano strettamente associate alle variazioni del bilancio radiativo terrestre ed al processo di evapotraspirazione. In linea generale, l’umidità relativa dell’aria varia da un valore medio del 90% sulla superficie marina a valori del 5-10% sulle zone desertiche. L’umidità relativa mostra una relazione inversa con la temperatura, in quanto tende ad essere minore in zone e/o periodi caldi rispetto a zone e/o periodi freddi. Al contrario, l’umidità assoluta presenta una relazione diretta con la temperatura, poiché un determinato volume di aria calda è in grado di contenere una maggiore quantità di vapore acqueo rispetto ad uno stesso volume di aria fredda. La misura dell’umidità Il primo strumento per la misura dell’umidità (igroscopio) fu inventato da Leon Battista Alberti (1404 - 1472) nella prima metà del 1400. Ne troviamo un’accurata descrizione nel De re Aedificatoria ‘…riscontrai come la spugna si impregna dell’umidità dell’aria, quindi formai una misura per pesare la gravezza dei venti, dell’aria e la siccità…’ (lib. X, cap. 3). Il principio dell’igroscopio si ritrova anche in un altro libro, il ‘De staticis experimentis’, del filosofo, matematico ed astronomo tedesco Nikolaus Chrypffs, noto in Italia come Niccolò Cusano (1401-1464). L’igroscopio dell’Alberti e del Cusano consisteva essenzialmente di una sostanza molle, porosa ed elastica come una spugna o della lana, capace di assorbire liquidi in modo considerevole ed aumentare di peso. Dall’incremento di peso era possibile risalire all’umidità dell’aria. Su questo principio sono basati anche gli indicatori di umidità ideati da Leonardo da Vinci (1452-1519), in cui le sostanze igroscopiche sarebbero state una piccola spugna e del cotone. Un tipo differente di strumento per misurare l’umidità è stato introdotto da Ferdinando II dei Medici (1610-1670) verso la metà del XVII secolo e chiamato igrometro a condensazione. Questo strumento è costituito da un vaso di sughero a forma di tronco di cono rivestito internamente di pece ed esternamente di latta. L’apertura più stretta del vaso è posizionata in un imbuto conico di cristallo con il vertice rivolto verso il basso e sostenuto da un treppiedi. Le pareti del cristallo venivano raffreddate utilizzando ghiaccio tritato finemente e l’umidità dell’aria, che condensava sulle pareti, veniva raccolta in un misuratore cilindrico graduato posizionato sotto l’imbuto. I dispositivi che al giorno d’oggi sono maggiormente utilizzati per misurare l’umidità relativa dell’aria sono gli igrometri (dal greco igròs = umido e metron = misura) e gli psicrometri. Gli igrometri vengono suddivisi in due categorie principali: ¿ risposta lenta (quelli comunemente usati in una stazione meteorologica) ¿ a risposta rapida (usati soprattutto per misurare i flussi di vapore acqueo). Tra gli igrometri a risposta lenta possiamo operare una ulteriore suddivisione in funzione del tipo di sensore: ¿ igrometri di tipo meccanico ¿ igrometri di tipo elettrico con sensori di tipo resistivo, capacitivo o misti ¿ igrometri con sensori a punto di rugiada. Tra i sensori igrometrici di tipo meccanico il più conosciuto è quello a fascio di capelli che è costituito essenzialmente da un fascio di capelli sgrassati chimicamente che si allunga o si accorcia rispettivamente con l’aumentare o il diminuire dell’umidità relativa. L’accuratezza di questo sensore è dell’ordine di ± 3%. Questo tipo di strumento richiede una cura e una pulizia dei capelli continua e 61 Appunti di meteorologia marina la loro protezione da agenti inquinanti. Con questi strumenti è possibile eseguire solo una lettura istantanea del valore di umidità (igrometri a lettura diretta) o procedere alla registrazione della lettura su carta diagrammata tramite dei pennini ad inchiostro speciale. Gli igrometri di tipo elettrico si basano sul fatto che la resistenza elettrica o la capacità dielettrica di una determinata sostanza cambiano col variare dell’umidità relativa dell’aria in cui sono immersi. In particolare, nei sensori di tipo resistivo che utilizzano sali igroscopici (come il cloruro di litio o gli ossidi di alluminio e tantalio), viene misurata la variazione di resistenza elettrica indotta dall’assorbimento sulla loro superficie di umidità dell’aria. I principali difetti di questo tipo di sensori risiedono nelle possibili contaminazioni da parte di polveri o sostanze inquinanti e nei fenomeni di isteresi2 durante le fasi di assorbimento e rilascio dell’umidità. I sensori capacitivi sfruttano la variazione di capacità dielettrica di una membrana igroscopica (in genere un polimero) che costituisce il dielettrico di un condensatore. L’assorbimento di acqua da parte del dielettrico provoca una variazione della capacità del condensatore, proporzionale all’umidità presente nell’aria. La variazione di capacità del condensatore genera un cambiamento nella frequenza di oscillazione di un circuito elettrico che viene infine convertito in una variazione di tensione continua. Il vantaggio di questi sensori risiede nel fatto che risultano meno soggetti a fenomeni di isteresi, per cui stanno trovando sempre maggiore diffusione in campo meteorologico. Gli igrometri con sensori a punto di rugiada misurano la temperatura a cui avviene la formazione di rugiada sopra una superficie raffreddata artificialmente, ad esempio mediante il passaggio di una corrente elettrica (effetto Peltier). Con questo tipo di sensori, la difficoltà principale risiede nell’individuare il momento preciso (e quindi la temperatura) in cui avviene la condensazione della rugiada sulla superficie. A tal fine vengono impiegati sistemi fotoelettrici: la superficie su cui avviene la condensazione viene colpita da un fascio luminoso orientato normalmente; quando si forma la rugiada la luce viene diffusa e può raggiungere una cella fotosensibile posta sulla superficie speculare che fornisce un segnale elettrico. Un altro strumento utilizzato per misurare l’umidità dell’aria è lo psicrometro, costituito essenzialmente da due termometri uguali, affiancati e disposti sopra un medesimo sostegno. Uno di essi ha il bulbo nudo e asciutto e serve a misurare la temperatura dell’ambiente (termometro asciutto), mentre il bulbo dell’altro è avvolto da una garza mantenuta imbevuta di acqua (termometro bagnato). L’acqua evaporando sottrae calore al bulbo e determina una diminuzione della temperatura del termometro bagnato (t’) rispetto a quella del termometro asciutto (t). L’evaporazione, e quindi l’abbassamento termico, sarà tanto maggiore quanto minore è la percentuale di vapore acqueo presente nell’aria, ovverosia quanto più questa è asciutta. Di conseguenza, la differenza tra i valori registrati dai due termometri (t - t’, detta ‘differenza psicrometrica’), mediante particolari calcoli, consente di risalire al valore di umidità relativa dell’aria. Esistono anche apposite tabelle psicrometriche che consentono di risalire direttamente ai valori della temperatura di rugiada e dell’umidità relativa dell’aria misurando le temperature del termometro asciutto e bagnato e, quindi, la differenza psicrometrica. Lo psicrometro deve essere opportunamente ventilato, poiché la velocità di evaporazione dell’acqua del bulbo bagnato dipende, oltre che dall’umidità atmo2 L’isteresi di uno strumento è determinata dal fatto che a parità di valore della grandezza in ingresso lo strumento fornisce indicazioni diverse a seconda che questo valore sia stato raggiunto per valori crescenti o decrescenti della grandezza in studio. 62 I. Il tempo meteorologico sferica, dalla velocità con cui l’aria fluisce sopra di esso. Di conseguenza i bulbi dei termometri devono essere ventilati artificialmente o tramite sistemi manuali. Ad esempio nello psicrometro di Assmann, la ventilazione dei bulbi avviene tramite aspiratore centrifugo azionato da un motorino elettrico in bassa tensione a batterie. Per il rilevamento dei dati di umidità a bordo delle navi il sistema tradizionale è lo psicrometro a fionda, che consiste in uno psicrometro che viene fatto ruotare manualmente in aria per mezzo di una manovella prima di eseguire la lettura. Nebbie e nubi Le principali forme di condensazione del vapore acqueo che si osservano nell’atmosfera sono le nebbie e le nubi. La condensazione può avere luogo sia in seguito ad un aumento del vapore acqueo nell’atmosfera dovuto all’evaporazione di una superficie liquida sottostante, sia a causa del raffreddamento di una massa d’aria che provoca un rapido abbassamento del punto di rugiada. Questo fenomeno può essere causato dal sollevamento di masse d’aria calde ed umide in quota o dal contatto di masse d’aria cariche di umidità con superfici fredde. Le nebbie La nebbia (figura 41) è formata dall’accumulo di minuscole goccioline d’acqua che rimangono in sospensione negli strati bassi dell’atmosfera riducendo sensibilmente la visibilità. Quando la visibilità resta superiore al chilometro, si usa generalmente il termine di foschia o bruma. Nel caso in cui la condensazione avvenga direttamente a contatto con il suolo si ha la formazione di rugiada o brina. In particolare, la rugiada si forma se la temperatura è superiore a 0°C, mentre la brina, costituita da minuscoli cristalli di ghiaccio, si forma nel caso in cui la temperatura al suolo risulti inferiore al punto di congelamento dell’acqua. In funzione del loro meccanismo di formazione, le nebbie vengono classificate in: ¿ nebbie di avvezione ¿ nebbie di irradiazione ¿ nebbie frontali La nebbia di avvezione è causata dallo spostamento di masse d’aria calde ed umide sopra superfici fredde terrestri, marine o lacustri. In conseguenza del raffreddamento causato dal contatto con superfici fredde, la temperatura dell’aria scende a valori inferiori al punto di rugiada provocando la condensazione dell’umidità contenuta nella massa d’aria in movimento. Le nebbie costiere appartengono Figura 41 - Riduzione della visibilità (in alto) e formazione di banchi di nebbia in mare generalmente a questa categoria. (in basso). 63 Appunti di meteorologia marina Le nebbie di irradiazione si originano quando la superficie terrestre subisce un rapido raffreddamento, soprattutto in seguito all’irraggiamento notturno. Questo fenomeno causa una brusca diminuzione anche della temperatura dell’aria umida sovrastante il suolo, con conseguente condensazione del vapore acqueo e formazione di minuscole goccioline d’acqua che rimangono sospese in aria. Infine, le nebbie frontali si formano in seguito al sollevamento di aria calda ed umida in corrispondenza della superficie di discontinuità (superficie frontale) che si origina dall’incontro tra masse d’aria con proprietà fisiche differenti. Un tipo particolare di nebbia è costituita dallo smog (dai termini inglesi smoke = fumo e fog = nebbia) (figura 42), che si forma in seguito alla combinazione di nebbia e fumo o altre sostanze inquinanti, come i gas industriali e quelli derivanti dai tubi di scappamento delle automobili e dagli impianti di riscaldamento. In molte delle grandi città industriali lo smog costituisce un serio pericolo, perché provoca effetti molto dannosi sulla salute umana e sulla crescita e sviluppo di tutti gli organismi animali e vegetali in genere. Figura 42 - Lo smog. Fonte: International Cloud Atlas del WMO. Le nubi Le nubi (o nuvole) sono costituite dall’insieme di goccioline di acqua e/o di cristalli di ghiaccio della dimensione di 1-100 micron che si formano in seguito alla condensazione del vapore acqueo intorno a minuscole particelle solide (nuclei di condensazione). Le goccioline sono talmente piccole da essere più leggere dell’aria, perciò rimangono sospese in quota muovendosi verso l’alto o verso il basso trasportate dai movimenti atmosferici. Il principale meccanismo di formazione delle nubi consiste nel raffreddamento di una massa d’aria in movimento verso l’alto (convezione termica). Tale raffreddamento è definito adiabatico in quanto avviene senza scambi di calore con l’atmosfera circostante ed è prodotto da una crescente espansione dell’aria che sale in un ambiente sempre più rarefatto (vedi anche figura 21). L’evaporazione delle acque superficiali porta facilmente alla formazione di masse d’aria calde ed umide che si sollevano in quota espandendosi e raffreddandosi (figura 43a). Quando la massa d’aria in moto ascendente raggiunge la temperatura di rugiada, avviene la condensazione del vapore acqueo attorno a piccole impurità o nuclei di condensazione (polveri di origine diversa, piccoli cristalli marini, ceneri) con la formazione delle nubi. Altri meccanismi con cui possono formarsi le nubi sono (figura 43): ¿ lungo la superficie frontale che si genera in seguito allo scontro tra due masse d'aria a differente temperatura (nubi frontali), la massa d’aria più calda tende a salire gradualmente sopra la massa d’aria più fredda (fronte caldo) o a sollevarsi bruscamente in quota (fronte freddo) dando luogo a condensazione del vapore acqueo e alla formazione di nubi; 64 I. Il tempo meteorologico ¿ in prossimità di rilievi (nubi orografiche), la massa d’aria umida che incontra il versante di un monte è costretta a risalirlo e ad alzarsi in quota (convezione forzata) ove, raggiunta la temperatura di rugiada, condensa formando nubi; ¿ in seguito al passaggio di una massa d'aria calda ed umida sopra una superficie fredda, l’umidità contenuta nella massa d’aria a contatto con la superficie fredda raggiunge la temperatura di rugiada e condensa dando luogo a nubi. Figura 43 - Meccanismi di formazione delle nubi: convezione termica (a), scontro tra masse d’aria con differente temperatura ed umidità (b), convezione forzata (c) e passaggio di masse d’aria calde ed umide sopra superfici fredde (d). La classificazione delle nubi Le molteplici forme e colori che possono assumere le nubi hanno da sempre affascinato l’uomo, il quale dalla loro osservazione ha tratto ispirazioni artistiche ed informazioni fondamentali per lo svolgimento di attività produttive e per la propria sopravvivenza in mare. Le nubi possono essere classificate in base all’altitudine nella quale si formano o alla loro forma. A seconda dell’altitudine possiamo distinguere tre differenti tipologie di nubi (figura 44): nubi alte, nubi di media altezza e nubi basse. 65 Appunti di meteorologia marina Figura 44 - Classificazione delle nuvole in funzione della loro altezza rispetto al suolo. Foto delle nubi tratte. ¿ Nubi alte, si tratta di nubi caratteristiche del livello superiore della troposfera (compreso tra i 6 Km ed il limite della troposfera). Queste nubi vengono indicate con il prefisso cirro-(cirri, cirro-strati e cirro-cumuli). ¿ Nubi di media altezza, si tratta di nubi caratteristiche del livello medio della troposfera (compreso tra i 2 e i 6 Km). Queste nubi vengono indicate con il prefisso alto- (alto-strati e alto-cumuli). ¿ Nubi basse, si tratta di nubi caratteristiche del livello inferiore della troposfera (compreso tra 0 e 2 Km). Queste nubi sono indicate senza alcun prefisso (strati, cumuli, strato-cumuli e nembo-strati). In funzione della forma possiamo distinguere due categorie principali di nubi: ¿ nubi stratiformi a sviluppo orizzontale e spessore ridotto; ¿ nubi cumuliformi a sviluppo verticale con aspetto rotondeggiante o a cavolfiore. La forma delle nubi dipende essenzialmente dal loro meccanismo di formazione: se la risalita dell’aria umida avviene per moti convettivi in veloce ascensione o lungo un fronte freddo, si formano nubi cumuliformi (quali i cumuli e i cumulo-nembi); se la risalita dell’aria avviene invece a causa del superamento di una montagna o lungo un fronte caldo, si formano nubi di tipo stratiforme (quali gli strato-cumuli, i nembo-strati e gli strati di bassa quota). In linea del tutto generale si può dire che un’atmosfera stabile determina la formazione di nubi distese, mentre l’instabilità causa movimenti verticali molto rapidi con formazioni nuvolose di tipo globulare. Il prefisso nembo- o nimbo- (dal latino nimbus = tempesta) indica una nube che porta pioggia. Il termine è spesso presente in parole composte che descrivono le caratteristiche di queste nubi: ad esempio, il cumulonembo è una nuvola a notevole sviluppo verticale che porta a intense precipitazioni temporalesche, mentre 66 I. Il tempo meteorologico il nembostrato è una nube a sviluppo prevalentemente orizzontale che si forma a quote molto basse dando luogo a precipitazioni. La colorazione delle nubi (nubi chiare e scure) dipende principalmente dalla loro composizione. Quelle nubi che viste dal basso ci appaiono chiare sono generalmente alte, trasparenti e costituite prevalentemente da aghetti di ghiaccio. Le nubi che invece appaiono scure sono costituite principalmente da gocce d’acqua che la luce non può attraversare; queste ultime sono le nubi che a breve scadenza portano la pioggia. Le nubi sono soggette a continui cambiamenti di forma e composizione; ad esempio, è frequente che le goccioline d’acqua della parte superiore della nube si portino lentamente verso gli strati più bassi e caldi, ove evaporando producono aria tiepida ed umida che si espande e risale nuovamente verso gli strati più alti. Le nubi possono assumere anche colori e riflessi che sono determinati dalla posizione del Sole sull’orizzonte ma che risultano indipendenti dalla loro composizione. Sebbene le nubi siano in mutamento continuo, si identificano soltanto dieci principali tipologie di nuvole. Si riportano la simbologia (figura 45), i nomi, le caratteristiche di queste nubi e le informazioni principali che si possono trarre dalla loro osservazione. Le immagini sono tratte da International Cloud Atlas del WMO. Figura 45 - Simboli con cui vengono rappresentate le principali tipologie di nubi. 67 Appunti di meteorologia marina Figura 46 - Cirrus fibratus e Cirrus uncinus. a b Figura 47 - Altocumulus stratiformis translucidus perlucidus (a) e Altocumulus lenticularis (b). Cirro (Ci) I cirri (dal latino cirrus = ricciolo) sono nubi fini e bianche (a strisce o filamenti). Si formano ad altitudini elevate (tra i 6 e i 12 Km di altitudine nella zona temperata) ed assumono un aspetto fibroso a forma di ricciolo, di virgola o di piuma. Queste nubi sono costituite da cristalli di ghiaccio trasportati dai venti e rivelano la presenza di umidità ad elevate altitudini. È importante riuscire a distinguere i cirri di ‘bel tempo’ da quelli che precedono il cattivo tempo. I cirri di ‘bel tempo’ sono alti nel cielo, si spostano lentamente e presentano forma irregolare ed estensione limitata. I cirri di ‘cattivo tempo’ si dispongono parallelamente coprendo tutto il cielo e, all’avvicinarsi della perturbazione, si muovono velocemente. Altocumulo (Ac) Gli altocumuli sono costituiti da estese file di nubi cumuliformi ravvicinate tra loro a costituire strati di aspetto solitamente ondulato e/o fibroso di colore bianco o grigio. Nella fascia temperata queste nubi sono comprese tra i 2.5 e i 5 km d’altitudine. Una tipologia a parte è rappresentata dagli altocumuli lenticolari, che si originano generalmente in prossimità di formazioni montuose ed assumono forma di lenti allungate con contorni ben definiti. Gli altocumuli, se non sono associati ad altri generi di nubi, non provocano alcun fenomeno significativo, mentre se si trovano associati a nubi medio-basse possono portare a precipitazioni. Stratocumulo (Sc) Gli stratocumuli si presentano come una distesa continua di masse cumuliformi scure, generalmente allungate e connesse tra loro mediante nubi sottili. Sono di aspetto simile agli altocumuli, ma si distinguono da questi per essere localizzati ad un’altezza inferiore (compresa tra gli 800 ed i 2000 metri nella fascia temperata). Alcuni possono avere aspetto minaccioso, anche se in genere non originano precipitazioni. Come gli altocumuli, anche gli stratocumuli possono generare piogge se si trovano associati a nubi medio-basse. Figura 48 - Stratocumulus cumulogenitus da Cumulus mediocris. 68 I. Il tempo meteorologico Figura 49 - Cirrocumulus stratiformis undulatus. Cirrocumulo (Cc) I cirrocumuli si riconoscono facilmente per la loro classica conformazione ‘a pecorelle’. Possono essere raggruppati a strisce o a banchi ed assumere forme differenti (lamelle, granuli, crespe, ecc). I loro colori risultano brillanti in quanto sono costituiti interamente da cristalli di ghiaccio. L’altezza a cui si formano è compresa tra i 5 e i 7 km d’altitudine nella fascia temperata e la loro presenza annuncia aria instabile ed il probabile arrivo di una perturbazione (‘cielo a pecorelle acqua a catinelle). Cumulonembo (Cb) I cumulonembi sono nubi ad elevato sviluppo verticale che assumono la forma di torri, montagne o cupole. La parte superiore di queste nubi è generalmente bianca, molto estesa e spesso presenta una conformazione a incudine, a cavolfiore o a carciofo, mentre la base è piatta e molto scura. Queste nubi accompagnano generalmente manifestazioni temporalesche, causando precipitazioni intense (piogge, grandine o neve) e, in alcune circostanze, anche tornado (Capitolo IV). I cumulonembi rappresentano le formazioni nuvolose più pericolose per la navigazione, poiché la loro presenza è causa scatenante di venti che generano quello che viene definito un ‘caotico moto ondoso’. Figura 50 - Cumulonimbus calvus. Figura 51 - Nimbostratus con Stratus fractus. Figura 52 - Altostratus translucidus e Cumulus fractus. Nembostrato (Ns) I nembostrati sono nubi stratiformi di colore grigio-scuro e con la base generalmente non ben definita. Essi si formano a quote basse (qualche centinaia di metri nella fascia temperata) e rendono il cielo particolarmente scuro anche durante il giorno. Sono nuvole tipiche del cattivo tempo e possono facilmente dare origine a precipitazioni (pioggia o neve). Altostrato (As) Gli altostrati sono nubi stratiformi che si sviluppano a quote intermedie e si presentano come una distesa nuvolosa più o meno densa di colore grigio e con la base liscia. Queste nubi possono dare luogo a neve leggera o a pioggia fine e fitta, ma di solito sono così alte che le precipitazioni da esse provocate evaporano ancor prima di raggiungere il suolo. Gli altostrati possono essere associati sia al ‘bel tempo’ che al ‘brutto tempo’. Nel primo caso le nubi si presentano alte nel cielo, di colore più chiaro e con la base ben definita, mentre nel secondo caso risultano più scure e con la base non ben definita. La comparsa nel cielo dei cirrostrati seguiti dagli altostrati può annunciare l’arrivo di una perturbazione. 69 Appunti di meteorologia marina Figura 53 - Stratus nebulosus. Figura 54 - Cumulus congestus, mediocris e fractus. ** Figura 55 - Cirrus fibratus e Cirrostratus. 70 Strato (St) Gli strati sono nubi basse (a circa 600 m di altitudine), spesse, grigie e con la base estesa ed uniforme. Si possono presentare a banchi isolati o coprire totalmente il cielo. Dato il loro limitato spessore di solito non danno luogo ad alcun fenomeno, tranne che ad una riduzione di visibilità nel caso in cui si formino negli strati più bassi dell’atmosfera. Quando danno luogo a leggere piogge o nevicate vengono in genere indicati con il nome di nembostrati. Cumulo (Cu) I cumuli possono presentarsi con la parte superiore arrotondata, bianca e soffice, e la base grigia e appiattita, oppure come nubi scure ed espanse con la sommità a cupola e dotata di estese protuberanze a forma di cavolfiore (cumulo congesto). Nel primo caso i cumuli si formano a basse quote nei giorni caldi e soleggiati e indicano solitamente la persistenza del bel tempo, mentre nel secondo caso indicano l’arrivo del brutto tempo e sono associati ad intense precipitazioni a carattere temporalesco. Cirrostrato (Cs) I cirrostrati sono nubi trasparenti situate ad alte quote (tra i 5 e i 12 Km) che conferiscono al cielo un aspetto ‘velato’. Questo particolare aspetto è causato dai cristalli di ghiaccio che diffondono la luce e creano un alone o un velo sottile attorno al Sole o alla Luna. Di solito queste nubi possono annunciare l’arrivo di un periodo caldo o di una tempesta. Nel secondo caso i cirrostrati si presentano in cielo dopo i cirri, indicando l’approssimarsi di una perturbazione. I. Il tempo meteorologico La misura della visibilità Con il termine visibilità orizzontale si intende la distanza alla quale un osservatore dotato di vista normale è in grado di distinguere ad occhio nudo ed in maniera nitida i contorni di un determinato oggetto. Essa rappresenta un importante parametro meteorologico per consentire una viabilità ed una navigazione sicure, poiché la scarsa visibilità costituisce una delle principali cause di collisione sulla terraferma e in mare. La riduzione di visibilità può essere dovuta a fumo, nebbie ed altre forme di condensazione del vapore acqueo. La nebbia rappresenta la principale causa di una ridotta visibilità e può interessare un territorio molto vasto o essere localizzata su aree ristrette. La misura della visibilità può essere eseguita tramite: ¿ stima a vista ¿ radar Per stimare correttamente la distanza orizzontale da un oggetto bisogna sempre tenere presente da che altezza viene effettuata l’osservazione e considerare i possibili fenomeni di rifrazione della luce che possono dare luogo ad inganni visivi. Sulla terraferma la misura della visibilità è facilitata dalla presenza di numerosi oggetti da poter utilizzare come punti di riferimento, mentre in mare aperto essi sono estremamente rari. Un metodo per stimare la visibilità in mare consiste nell’usare come riferimento la lunghezza della nave oppure, nel caso di nebbia talmente fitta da non riuscire a vedere tutta la nave, la distanza tra gli oggetti presenti sul ponte. Oltre alla stima a vista, la distanza da un oggetto può essere determinata attraverso il radar. Questo strumento emette delle onde elettromagnetiche che vengono riflesse dall’oggetto di cui si vuole determinare la distanza e rilevate da un apposito ricevitore. Dal tempo che intercorre tra l’emissione e la ricezione del segnale si risale alla distanza tra il radar e l’oggetto. Un limite di questa tecnica è rappresentato dalla presenza delle goccioline d’acqua sospese in aria che assorbono parte delle onde elettromagnetiche e provocano un’attenuazione del segnale. La misura della nuvolosità Con il termine nuvolosità si intende la percentuale di nubi al di sopra dell’orizzonte. Questo parametro viene misurato in ottavi o decimi di cielo coperto. Nel caso in cui venga utilizzata la scala in ottavi, con il grado 0/8 si intende un cielo sereno e con 8/8 un cielo completamente coperto. Generalmente la stima della nuvolosità viene effettuata a vista ogni tre ore. Per facilitare la stima di questo parametro, è utile immaginare il cielo diviso in quadranti da due archi tracciati ad angolo retto passanti per lo zenit. Valori numerici da 0 a 2 possono essere assegnati a ciascun quadrante, dove 0 corrisponde ad un cielo completamente o quasi completamente libero da nubi, 1 ad un cielo con una copertura nuvolosa di circa un mezzo e 2 ad un cielo completamente o quasi completamente coperto da nubi. Dalla somma dei valori assegnati a ciascun quadrante si risale alla stima della nuvolosità di un determinato luogo. Figura 56 - Simbologia internazionale utilizzata per rappresentare la nuvolosità sulle carte meteorologiche. 71 Appunti di meteorologia marina Le precipitazioni Quando le goccioline d’acqua o i cristalli di ghiaccio che costituiscono le nubi raggiungono dimensioni tali da non poter più essere sostenute dall’aria, si verificano le precipitazioni sotto forma di pioviggine, pioggia, nevischio, neve o grandine a seconda dello stato fisico dell’acqua e delle dimensioni delle singole particelle. Le precipitazioni vengono espresse in millimetri di acqua (mm) per la pioggia. Un mm di pioggia equivale ad un apporto al suolo di 1 litro di acqua per ogni metro quadrato di superficie (ovvero 10 m3 per ettaro). Nel caso della neve si utilizzano i centimetri di neve o i millimetri equivalenti d’acqua, per cui grossolanamente a 1 mm di pioggia corrispondono circa 10 mm di neve fresca. È possibile anche esprimere l’intensità della pioggia come mm di pioggia caduti in un’ora (mm h-1). Nei riepiloghi mensili, oltre al valore totale delle precipitazioni, viene generalmente indicato anche il numero dei giorni nei quali si è verificato un evento piovoso. Le precipitazioni sono distribuite in maniera molto disomogenea sulla Terra, mostrando ampie variazioni nel tempo e nello spazio. Per rappresentare questa distribuzione, analogamente alla temperatura ed alla pressione, si utilizza la carta delle isoiete, ovverosia linee continue che uniscono i punti della superficie terrestre in cui si registra lo stesso quantitativo di pioggia in un determinato periodo temporale. Se si prende in esame la carta delle isoiete annue e mensili dell’intero Pianeta, è possibile classificare le regioni della Terra in base alla quantità annua ed alla ripartizione stagionale delle precipitazioni, indicata anche come regime pluviometrico. Di seguito, i principali regimi pluviometrici che si osservano sulla Terra. ¿ Regime equatoriale: interessa esclusivamente le regioni equatoriali in cui si registrano piogge intense durante l’intero anno (circa 2000 mm) con due massimi in corrispondenza degli equinozi. ¿ Regime tropicale: interessa le regioni tropicali in cui si registrano piogge abbondanti durante una sola stagione dell’anno (stagione delle piogge) che coincide con il solstizio (quando il Sole passa allo zenit dei Tropici). ¿ Regime mediterraneo: è tipico delle regioni mediterranee in cui si registrano piogge concentrate durante il periodo invernale ed estati aride. ¿ Regime monsonico: in cui si registrano piogge intense durante il semestre estivo (quando spira il monsone di mare carico di umidità) e una stagione arida durante il semestre invernale (quando il monsone spira da terra verso il mare). ¿ Regime delle regioni temperate: è influenzato dalla vicinanza del mare, dalla presenza di rilievi, dai cicloni ed anticicloni extra-tropicali e dai venti umidi che soffiano da Ovest verso Est. Nell’ambito di questa tipologia si possono distinguere due sub-regimi: i) di tipo marittimo o oceanico e ii) di tipo continentale. Il primo interessa specialmente le regioni occidentali dei continenti esposte ai venti provenienti dall’Oceano (California del Nord, America Settentrionale, Portogallo, Galizia, Paesi Baschi, Francia e isole britanniche) ed è caratterizzato da piogge regolari e ben distribuite durante l’anno. Il secondo interessa le regioni interne dei continenti delle fasce temperate in cui le precipitazioni sono scarse durante l’intero anno, in particolare modo se esistono barriere montuose che fanno scaricare l’umidità nelle masse d’aria. ¿ Regime desertico: è caratterizzato da piogge scarse o assenti durante l’intero anno. È possibile distinguere zone desertiche calde (zone subtropicali di alta pressione) e fredde (zone artiche di alta pressione). 72 I. Il tempo meteorologico La pioggia Nelle “nubi calde” le gocce di pioggia possono formarsi per coalescenza, ovverosia per fusione di goccioline d’acqua che entrano in collisione tra di loro fino a formare delle gocce di dimensioni tali da non poter più rimanere in sospensione all’interno della nube. La neve Nelle ‘nubi fredde’ le goccioline d’acqua in caduta verso terra si trasformano in cristalli di ghiaccio. Questi ultimi agiscono da nuclei di coalescenza, attorno ai quali si aggregano altre goccioline di acqua che vanno a formare un fiocco di neve. Se nella parte inferiore della troposfera le temperature si mantengono inferiori a 0°C si verificherà una nevicata, mentre se la temperatura sale sopra 0°C il fiocco di neve si trasformerà in pioggia. Perché la neve possa ricoprire il suolo è necessario che anche il terreno si mantenga a temperature inferiori a 0°C. Viceversa, quando l’aria in prossimità della superficie terrestre è superiore a 0°C la neve si scioglie immediatamente. I cristalli di neve che si raggruppano in fiocchi hanno tutti forma esagonale, ma non ne esistono due esattamente identici. I fiocchi di neve sono molto più leggeri delle gocce d’acqua, perciò la loro velocità di caduta in aria è molto più lenta e, a seconda dell’altezza delle nubi, possono impiegare anche alcuni giorni per raggiungere la superficie terrestre. Figura 57 - Cumulonembo con precipitazione nevosa. La grandine I chicchi di grandine sono costituiti da granuli di ghiaccio rotondeggianti (figura 58), formati generalmente da strati alterni di ghiaccio trasparente e ghiaccio opaco. La grandine si sviluppa generalmente all’interno dei cumulonembi, caratterizzati da violenti correnti ascensionali. Queste ultime trasportano le goccioline di acqua verso l’alto, dove la temperatura è compresa tra i -5 ed i -20°C, trasformandole in cristalli di ghiaccio. In questi strati del cumulonembo sono generalmente presenti anche goccioline di acqua che rimangono in uno stato liquido instabile nonostante le basse temperature, noto come stato sopraffuso. Quando un cristallo di ghiaccio è trasportato dalle correnti ascensionali in questi strati del cumulonembo, le goccioline sopraffuse essendo molto instabili possono aggregarsi al cristallo per semplice collisione e solidificare in superficie. Se il fenomeno avviene negli strati più alti e freddi della nube, in cui le goccioline d’acqua sopraffuse sono presenti in piccole quantità, durante il processo di congelamento vengono incorporate anche bollicine di aria che conferiscono il caratteristico aspetto opaco allo strato di ghiaccio; al contrario, se il fenomeno interessa gli strati intermedi della nube, le goccioline sopraffuse sono molto numerose e solidificano in superficie dando luogo ad uno strato di ghiaccio trasparente. In seguito a questo processo i chicchi di grandine aumentano di dimensione fino a che non cominciano nuovamente a scendere. Se durante la discesa incontrano un’altra corrente ascensionale possono essere nuovamente trasportati verso l’alto. Il chicco di grandine può andare incontro a numerosi cicli di salita e discesa all’interno della nube, aumentando progressivamente di dimensione in seguito all’aggregazione in superficie di altre goccioline di acqua allo stato sopraffuso. Questo processo può ripetersi numerose volte fino a quando i chicchi di grandine diventano di dimensioni tali da non poter più essere trattenuti dalle correnti ascensionali all’interno del cumulonembo. Dalla misura della serie di strati concentrici di ghiaccio è possibile risalire ad una stima del numero dei cicli che sono avvenuti all’interno del cumulonembo prima che il chicco di grandine sia giunto a terra. Figura 58 - Chicchi di grandine. 73 Appunti di meteorologia marina Fenomeni fisici associati alle precipitazioni Associati alle precipitazioni vi sono alcuni fenomeni di natura elettrostatica (lampi e fulmini) e fenomeni di rifrazione e riflessione della luce (arcobaleno). Lampi e fulmini I lampi (scariche elettriche interne alla nube) ed i fulmini (scariche elettriche fra le nubi e la superficie terrestre) sono causati da fenomeni di ionizzazione che si verificano nelle nubi. Le gocce d’acqua più leggere ed i cristalli di ghiaccio che si collocano nella parte superiore delle nubi presentano una carica positiva, mentre le gocce più pesanti situate nella parte inferiore delle nubi sono cariche negativamente (figura 59). Inoltre, per il fenomeno dell’induzione elettrica la superficie terrestre possiede una carica positiva. Le cariche di segno opposto sono generalmente separate da strati isolanti, ma quando le differenze di potenziale elettrico superano una certa soglia (dell’ordine di 1-2 milioni di volt) si verificano delle scariche elettriche tra le zone con polarità opposta, accompagnate da fenomeni luminosi (lampi e fulmini) ed acustici (tuoni). In particolare, i fulmini si generano quando dalla base della nube si diparte una ‘scaricaguida’ o ‘pilota’ che si dirige verso la superficie terrestre. Quando la scarica ‘pilota’ tocca il suolo, si genera una ‘scarica di ritorno’ molto luminosa che costituisce la fotometeora (figura 60) che generalmente osserviamo durante un temporale. Il tuono invece è causato dall’onda d’urto prodotta dall’espansione violenta dell’aria che in prossimità del fulmine raggiunge valori prossimi a 20000-30000°C. Le scariche elettriche possono raggiungere valori di intensità di corrente compresi tra 5000 e 100000 Ampère e velocità anche di 150000 km al secondo. Figura 59 - Scariche elettriche interne alle nubi (lampi) e tra le nubi e la superficie terrestre (fulmini). Figura 60 - Scariche elettriche durante un temporale (fotometeora). L’arcobaleno L’arcobaleno è l’arco di luce colorata che si origina in seguito all’interazione tra i raggi solari e le goccioline d’acqua sospese in aria. Questa fotometeora è causata da tre fenomeni ottici: rifrazione, riflessione e dispersione. Ogni gocciolina agisce come un prisma, provocando la rifrazione (cioè deviando la traiettoria) dei raggi solari al suo interno e separandoli in una serie di raggi monocromatici con angolatura variabile tra i 40° (corrispondente al viola) ed i 42° (corrispondente al rosso). Se il raggio all’interno della goccia subisce una deviazione superiore ai 48°, viene riflesso e nuovamente rifratto. Da ogni goccia escono quindi i raggi secondo sette specifiche angolature (raggi di Descarte), ognuna delle quali corrisponde ad un determinato colore (i colori dell’iride). In particolare, i colori componenti l’arcobaleno a partire dall’esterno verso l’interno dell’arco sono i seguenti: il rosso, l’arancione, il giallo, il verde, l’azzurro, l’indaco ed il violetto. L’intensità dei colori dipende anche dalle dimensioni delle gocce, poiché gocce di grandi dimensioni originano colori nitidi e distinti, mentre goccioline fini originano colori che tendono a sovrapporsi fino a dar luogo ad arcobaleni completamente bianchi nel caso della nebbia. 74 I. Il tempo meteorologico La misura delle precipitazioni Il pluviometro Lo strumento utilizzato per misurare le precipitazioni prende il nome di pluviometro, che è uno strumento di origini molto antiche. Si trovano tracce della sua invenzione sia in India (IV- III secolo a.C.), come attesta il manoscritto sanscrito Arthasastra, che in Palestina (I secolo d.C), come si evince dal manoscritto Mishnah. In entrambi i casi si tratta di pluviometri primordiali, costituiti da un recipiente di forma più o meno rotonda posto all’aperto per raccogliere e misurare la quantità di pioggia. In Europa la sua introduzione risale al 1639 ad opera del monaco bresciano Benedetto Castelli (1577-1643), discepolo di Galileo Galilei. I moderni pluviometri a lettura diretta si basano sullo stesso principio, essendo costituiti essenzialmente da un contenitore graduato di forma cilindrica di 1300 cm3 di volume e con bocca tarata di 200 cm2 (pluviometro totalizzatore) o da un imbuto a bocca tarata che raccoglie l’acqua e la invia al contenitore sottostante. Quest’ultimo è graduato in millimetri e consente quindi di misurare direttamente la quantità di acqua piovana che raggiunge il suolo. Nel caso delle precipitazioni solide, neve e grandine, viene misurata la quantità di acqua che deriva dalla loro fusione. Nei pluviometri registratori (pluviografi) meccanici o elettronici l’acqua viene convogliata da un imbuto a bocca circolare tarata verso un sistema di misurazione che registra direttamente la quantità di acqua piovuta. Tra l’imbuto ed il sistema di misura è generalmente posto un filtro asportabile che impedisce l’ingresso di foglie e di altro materiale estraneo. Il sistema di misura può essere costituito da un cilindro all’interno del quale è presente un sensore di livello a galleggiante che chiude un contatto elettrico ogni 0.2 mm di pioggia caduta. Tuttavia, il sistema di misura dei pluviografi elettronici maggiormente utilizzati nelle stazioni meteorologiche è del tipo a vaschetta oscillante, costituito da due vaschette di capacità nota (circa 0.2 mm) disposte simmetricamente rispetto ad un fulcro centrale, in modo che quando una vaschetta si è riempita si abbassa rapidamente e si scarica tramite un’apertura, mentre inizia a riempirsi l’altra vaschetta (figura 61). Questo movimento a bilanciere può azionare un sistema di leve meccaniche in grado di trasmettere il moto ad una penna (pluviografo meccanico), oppure può essere collegato ad un interruttore elettromagnetico che genera un impulso elettrico utilizzato in un sistema digitale che lo converte in un impulso di conteggio (pluviografo elettronico). Per misure eseguite in ambienti particolarmente freddi il pluviometro può essere dotato di un elemento riscaldatore, in modo da poter misurare direttamente l’equivalente in acqua della neve. Noto il volume delle vaschette ed il numero degli impulsi inviati, si risale al volume totale di pioggia caduta in un determinato intervallo di tempo. Figura 61 - Pluviometro elettronico a vaschetta oscillante. Il radar Nei principali Paesi industrializzati è attiva anche una rete di radar meteorologici che consente di determinare le precipitazioni sull’intero territorio con precisione spaziale molto elevata. Le precipitazioni infatti possono variare nello spazio in modo significativo anche su brevi distanze, per cui i pluviometri non sono in grado di rilevare questi cambiamenti. Il principio di funzionamento dei radar si basa sull’emissione di microonde che vengono riflesse dalle goccioline d’acqua che compongono le precipitazioni e rilevate da un ricevitore. Dall’intensità del segnale acquisito dal ricevitore è possibile stimare la quantità di pioggia che cade in un determinato luogo, permettendo di elaborare delle mappe delle precipitazioni. Dallo studio di queste mappe è possibile ottenere informazioni dettagliate sulla distribuzione spaziale delle precipitazioni e seguire in tempo reale la loro dinamica ed evoluzione. 75 Appunti di meteorologia marina Il rilevamento dei parametri meteorologici La stazione meteorologica Per conoscere il clima locale e per ottenere informazioni sui principali eventi atmosferici che caratterizzano un determinato luogo della superficie terrestre, è necessario procedere al rilevamento sistematico degli elementi meteorologici esaminati nei paragrafi precedenti. A tal fine è possibile costruire un piccolo osservatorio costituito da una serie di strumenti assemblati in apposite strutture chiamate stazioni meteorologiche (figura 62). Una stazione meteorologica può quindi essere definita come un ‘laboratorio’ attrezzato con una strumentazione idonea al rilevamento e alla misura sistematica dei vari elementi meteorologici. Gli strumenti utilizzati in una stazione di rilevamento possono effettuare la sola lettura diretta del dato meteorologico in determinati momenti della giornata (strumenti a lettura diretta meccanici o elettronici), oppure la sua registrazione in continuo (strumenti registratori meccanici o elettronici). Nel caso in cui vengano utilizzati strumenti registratori elettronici, i dati vengono rilevati e trasmessi ad un centro di acquisizione dati in cui sono elaborati ed immagazzinati. Figura 62 - Stazione Meteorologica Una particolare elaborazione consiste alimentata da pannello solare. nel visualizzare i dati in tempo reale (figura 63). Per eseguire una corretta osservazione meteorologica è necessario, oltre che utilizzare sensori di buona qualità, rispettare alcuni criteri nella installazione della stazione che vengono indicati di seguito: ¿ la scelta del sito ¿ la sistemazione logistica della strumentazione Il sito in cui viene posizionata la stazione meteorologica deve essere privo di ostacoli o ostruzioni di qualsiasi genere; deve essere inoltre collocato lontano da aree irrigate, ristagni d’acqua e da zone fortemente urbanizzate o ad elevata comunicazione viaria, in modo da evitare effetti che possano alterare le misure su scala locale. Figura 63 - Esempio di interfaccia grafica (CoMMA-Med). 76 I. Il tempo meteorologico Un altro aspetto fondamentale per la scelta del sito è la sua accessibilità, poiché deve essere facilmente raggiungibile in modo da rendere più agevole le operazioni di controllo e di manutenzione ordinaria e straordinaria della stazione. Infine, l’aspetto più importante è che il sito deve essere altamente rappresentativo delle condizioni geografiche, topografiche e produttive della zona che si vuole monitorare. Per la sistemazione logistica della strumentazione e del sistema di acquisizione dati si deve tenere conto di una serie di criteri che dipendono essenzialmente dal tipo di sensore. ¿ I sensori barometrici devono essere collocati in modo da evitare vibrazioni e lontano da eventuali sorgenti di calore che possono provocare sbalzi termici; ¿ I sensori termoigrometrici devono essere collocati in apposite strutture di legno o metalliche (shelter) in modo da non essere alterati dalla radiazione solare o da altri agenti atmosferici. Solitamente queste strutture sono a ventilazione forzata al fine di diminuire il tempo di risposta dei sensori. È consigliabile inoltre collocare questi strumenti ad un’altezza di circa 2 metri dal suolo per evitare che siano influenzati dalle caratteristiche del substrato; ¿ Gli anemometri e gli anemoscopi devono essere collocati alla sommità del ‘palo meteorologico’ della stazione (a circa 10 metri di altezza dal suolo in campo meteorologico e a 2 metri in ambito agrometeorologico). Eventuali ostacoli devono essere situati ad una distanza non inferiore a dieci volte l’altezza di ubicazione dell’anemometro. L’anemoscopio inoltre deve essere installato in modo che si abbia lo zero in uscita quando la banderuola è orientata verso Nord e che l’Est si trovi a 90° in senso orario rispetto al Nord; ¿ I pluviometri devono essere posti in un luogo riparato dal vento e lontano da fattori esterni che possono alterare la misura quali tettoie e alberi. I pluviometri inoltre devono essere collocati orizzontalmente rispetto ad una superficie rigida, evitando il cemento su cui l’acqua può rimbalzare e ricadere all’interno dello strumento. Anche l’eccessiva esposizione ai raggi solari diretti può causare perdite di acqua per evaporazione e quindi alterare la misura; ¿ I sensori per la misura della radiazione solare devono essere collocati lontano da sorgenti di luce artificiale e da oggetti ombreggianti o riflettenti che possono alterare la misura. Le stazioni meteorologiche più diffuse possono essere distinte nelle seguenti tre categorie: ¿ capannina meteorologica ¿ stazione meteorologica elettronica ¿ stazione meteorologica elettronica con trasmissione satellitare. La capannina meteorologica (figura 64) deve essere costruita in modo da garantire l’ombreggiamento ed una buona ventilazione della strumentazione per l’acquisizione dei dati meteorologici. A tal fine, la capannina meteorologica tradizionale, posta ad un’altezza media dal suolo di 1.80 m, è costruita in legno di larice stagionato, con pareti laterali in listelli di legno a persiana verniciati di bianco e tetto a intercapedine d’aria con lastra di zinco che Figura 64 - Capannina meteorologica con strumenti. 77 Appunti di meteorologia marina permette la circolazione dell’aria ma impedisce l’entrata dell’acqua di pioggia. All’interno della capannina meteorologica vengono posizionati alcuni strumenti meccanici registratori (barografi e termoigrografi), mentre altri sensori vengono generalmente posizionati a varie altezze su un ‘palo meteorologico’. Figura 65 - Stazione elettronica con trasmissione satellitare. Le moderne stazioni meteorologiche elettroniche (figura 65) sono in grado, grazie alla diffusione delle nuove tecnologie, di procedere direttamente all’acquisizione, all’elaborazione ed all’archiviazione dei dati meteorologici registrati.In queste stazioni è presente una centralina in grado di acquisire i segnali elettrici provenienti dai vari sensori, di trasformarli in dati numerici e, infine, di trasmetterli ad un centro di elaborazione che gestisce i dati. Queste stazioni dispongono generalmente di strumenti registratori elettronici dotati di sensori per la misura degli elementi meteorologici e di una centralina che include una memoria di backup che permette di conservare i dati per un certo periodo di tempo. La centralina solitamente è collegata ad un sistema per la trasmissione dei dati ad un centro di acquisizione ed archiviazione degli stessi. I sistemi di trasmissione più comuni sono: ¿ modem con linea telefonica analogica ¿ modem con cellulare ¿ ponte radio ¿ satelliti geostazionari. 78 I. Il tempo meteorologico Queste tipologie di stazioni grazie sia ai sistemi di trasmissione che all’alimentazione elettrica con pannello solare fotovoltaico possono essere installate in siti dove non è presente la corrente elettrica ed una linea telefonica convenzionale. Un ulteriore progresso nel campo del rilevamento meteorologico è stato compiuto attraverso l’uso di stazioni meteorologiche elettroniche con trasmissione attraverso satelliti orbitanti (figura 65). La rete di monitoraggio locale Quando su un determinato territorio sono disponibili più stazioni meteorologiche, è possibile costituire una rete di monitoraggio locale. Questa permette l’osservazione diretta dello stato del tempo atmosferico in atto e quindi la possibilità da parte di un servizio di previsioni meteorologiche di seguire nel dettaglio l’evolversi della situazione meteo. Inoltre i dati delle stazioni permettono di svolgere a posteriori un’analisi climatologica dettagliata del territorio in modo da evidenziarne le caratteristiche principali e verificarne eventuali variazioni di rilievo. Ovviamente tanto più numerose sono le stazioni che compongono la rete e tanto maggiore è il dettaglio dell’analisi che può essere effettuata su quel determinato territorio. Figura 66 - Schema di una rete di monitoraggio locale. Una rete di monitoraggio automatica è essenzialmente costituita da una serie di stazioni meteorologiche elettroniche (figura 66). Ogni stazione appartenente alla rete, collegata direttamente ad un sistema di trasmissione dati, lavora in piena autonomia, memorizzando in una memoria locale i dati acquisiti da ciascun sensore in funzione del tempo di campionamento preimpostato. Il sistema di ricezione riceve e preleva i dati dalle singole stazioni in sequenza e ad un orario stabilito, senza l’ausilio di operatori presenti in loco. Il centro di acquisizione, mediante operazioni automatiche e/o manuali provvede alla validazione ed alla elaborazione dei dati al fine di garantirne la coerenza e l’integrità e procede alla loro archiviazione e gestione. 79 Appunti di meteorologia marina La rete di monitoraggio globale: la World Weather Watch I progressi compiuti nell’interpretazione dei fenomeni meteorologici, hanno messo in evidenza l’importanza di considerare gli eventi atmosferici non come fenomeni isolati, ma inseriti all’interno di un sistema più complesso: il sistema Terra. La Terra infatti deve essere considerata come un sistema in cui ogni fenomeno che si manifesta in un determinato luogo può avere origine e/o esercitare effetti anche su territori lontanissimi. Di conseguenza l’osservazione meteorologica non può essere limitata su scala locale ma deve essere estesa su scala planetaria. Questo rappresenta il principale motivo per cui è nata la World Meteorological Organization (WMO), una organizzazione mondiale delle Nazioni Unite che si occupa di meteorologia. A livello operativo, il WMO si avvale del World Weather Watch (WWW), un sistema meteorologico globale che raccoglie le informazioni meteo provenienti da tutte le nazioni del mondo che vi cooperano. I tre elementi principali del WWW sono: ¿ il Sistema di Osservazione Globale: sistema coordinato di metodi, tecniche e attrezzature per l’esecuzione di osservazioni su scala globale; ¿ il Sistema Globale di Data-processing: sistema coordinato per l’elaborazione e la conservazione di informazioni meteorologiche; ¿ il Sistema Globale di Telecomunicazione (GTS): sistema coordinato per favorire la raccolta, lo scambio e la distribuzione su scala mondiale delle informazioni meteorologiche. Nelle stazioni appartenenti a questa rete globale, le osservazioni degli elementi principali del tempo meteorologico vengono effettuate contemporaneamente quattro volte al giorno in determinate ore (00.00, 06.00, 12.00 e 18.00 del tempo medio di Greenwich), indicate come ore sinottiche (dal greco sin = insieme e opsis = visione); perciò le carte che rappresentano gli elementi osservati vengono dette carte sinottiche o carte del tempo. L’osservazione meteorologica satellitare Un notevole contributo allo sviluppo delle conoscenze in ambito meteorologico è stato possibile grazie all’analisi satellitare.I satelliti meteorologici acquisiscono immagini della Terra dalle quali è possibile ottenere informazioni relative alla copertura del cielo, ai venti in quota, alla temperatura della superficie terrestre e marina, al contenuto di vapore acqueo delle nubi e al moto ondoso. Questi satelliti, oltre a fornire un’ampia copertura del globo, hanno permesso di estendere.le osservazioni dei fenomeni atmosferici anche a territori in cui il rilevamento dei dati meteorologici era praticamente assente come deserti, oceani e paesi in via di sviluppo. Il primo satellite meteorologico (TIROS-1, Television and Infrared Observation Satellite) è stato lanciato in orbita il primo di aprile del 1960 da Cape Canaveral in Florida (USA), ad opera dall’agenzia meteorologica americana. Il TIROS-1 era un satellite ad orbita polare localizzato a circa 720 Km di altitudine che, nel giro di 78 giorni, fornì circa 23000 immagini della Terra. Da allora la nascita della meteorologia satellitare moderna, assieme alla radar-meteorologia, ha consentito di realizzare enormi progressi in campo meteorologico e climatologico. I vari tipi di satelliti È possibile distinguere due tipologie principali di satelliti: ¿ satelliti ‘geostazionari’ ¿ satelliti ‘polari’. 80 I. Il tempo meteorologico Figura 67 - Immagine Meteosat ad infrarosso I satelliti ‘geostazionari’ devono il loro nome al fatto che visti da Terra rimangono fissi in un determinato punto del cielo sopra l’Equatore. Essi descrivono delle orbite mantenendosi a circa 36000 Km di altitudine e ruotano sul piano equatoriale con la stessa velocità angolare di rotazione del nostro Pianeta (orbita geosincrona), per cui il loro periodo di rotazione è di 24 ore, come quello della Terra attorno al proprio asse. Una delle serie di satelliti più famosi è quella del METEOSAT, le cui immagini diffuse in molti bollettini meteorologici televisivi sono divenute estremamente popolari (figura 67). Il METEOSAT si trova immobile ai nostri occhi in corrispondenza della verticale alla superficie terrestre passante per il punto di coordinate 0° di latitudine e 0° di longitudine e ad una distanza di circa 35800 chilometri. Le immagini grezze in arrivo dal METEOSAT giungono alla stazione DATTS (Data Aquisition, Telemetry and Tracking Station), situata in Germania vicino a Darmstadt, che le inoltra alla ESOC (European Space Operations Centre), dove sistemi di processamento provvedono a campionare le immagini, a correggerle geometricamente e ad elaborarle per poi trasmetterle agli utenti. Il compito dei satelliti meteorologici geostazionari è quello di osservare una porzione di Terra compresa tra i 60° Nord e i 60° Sud mediante un sistema composto da 5 satelliti equidistanti (figura 68).I satelliti ad orbita polare descrivono orbite ellittiche rispetto ai Poli. Ogni orbita completa attorno alla Terra richiede circa 100 minuti, per cui in genere vengono effettuate 14 orbite al giorno. Solitamente un satellite di questa classe è programmato in modo da osservare una data area ad intervalli di tempo regolare, in genere di 6-12 ore. Di particolare interesse sono i satelliti eliosincroni, ad orbita quasi polare (98° rispetto al piano equatoriale). Questi satelliti, come dice lo stesso nome, descri- 81 Appunti di meteorologia marina Figura 68 - Orbite e localizzazione di alcuni dei principali satelliti meteorologici. vono un’orbita sincrona rispetto al Sole, per cui si trovano in una posizione fissa rispetto ad un osservatore ipotetico posto su questo astro; questo permette di ottenere osservazioni della Terra durante le ore diurne. Al contrario, questi satelliti appaiono in movimento rispetto ad un osservatore posto sulla Terra ed il loro moto si ripete ogni 24 ore, per cui il satellite passa sopra un’area specifica della Terra approssimativamente alla stessa ora. Ad esempio i satelliti polari NOAA-9 e NOAA-10 sorvolano l’Equatore rispettivamente alle 14.30 e 02.30 e alle 07.30 e 19.30. I satelliti polari sono localizzati ad un’altitudine inferiore rispetto a quelli geostazionari (intorno agli 800-900 Km) ed il loro compito, complementare a quello dei satelliti geostazionari, è quello di osservare le alte latitudini (cioè quelle oltre i 60°), consentendo una copertura globale della Terra (figura 68). Di seguito, gli Stati e le Agenzie che gestiscono i principali satelliti meteorologici. ¿ Europa - European Weather Satellite Organization (EUMETSAT): METEOSAT ¿ Stati Uniti - National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA): GOES (Geostationary Operational Environmental Satellite) NOAA series Quikscat ¿ Giappone - Japanese Meteorological Agency (JMA): GMS (Geostationary Meteorological Satellite) ¿ India - Indian Meteorological Department: INSAT (Indian National Satellite) ¿ Cina - National Satellite Meteorological Center (NSMC) della China Meteorological Administration: FY-1 (Feng-Yun 1) FY-2 (Feng-Yun 2) ¿ Russia - Russian Planeta-C Meteorological Space System: GOMS (Geostationary Operational Meteorological Satellite)/ELECTRO series METEOR series 82 I. Il tempo meteorologico Principio di funzionamento e potenzialità del rilevamento satellitare L’osservazione satellitare della Terra avviene attraverso l’uso di una strumentazione in grado di acquisire immagini nei campi del visibile, dell’infrarosso e di altre lunghezze d’onda. Lo strumento base di cui sono dotati tutti i satelliti meteorologici è il radiometro, che è in grado di captare ed analizzare la radiazione in arrivo dalla superficie terrestre. I radiometri a bordo dei satelliti possono acquisire immagini nei campi: ¿ del visibile ¿ dell’infrarosso termico ¿ di altre lunghezze d’onda L’analisi di queste immagini permette di risalire, in modo diretto o indiretto, a molti dati relativi ai fenomeni atmosferici quali: l’analisi dei sistemi nuvolosi e del loro moto, stime del vento in quota, temperatura dei mari e delle terre emerse, estensione delle nevi e dei ghiacciai. I satelliti meteorologici permettono anche lo studio dei fenomeni temporaleschi ed in modo particolare dei fulmini. Una sola immagine proveniente da satellite è in grado di fornire un numero superiore di dati rispetto a qualsiasi rete di osservazione posizionata a terra. Immagini acquisite nel campo del visibile Durante le ore diurne, l’intensità della luce riflessa dalla Terra dipende dalla presenza di corpi in grado di riflettere in modo differente la radiazione luminosa nel campo del visibile. Ad esempio, la neve e la sommità di grossi corpi nuvolosi riflettono gran parte della luce visibile, mentre la superficie terrestre priva di nuvole e gli oceani forniscono un debole segnale. Le immagini sono processate in bianco e nero, perciò le aree prive di copertura nuvolosa risultano più scure rispetto a quelle coperte da nuvole. La riflessione delle nubi varia inoltre in funzione del loro spessore, per cui le nubi più sottili hanno un albedo del 30-50% mentre quelle più spesse del 60-90%. Gli oceani riflettono meno del 10% della luce solare incidente e perciò appaiono neri. I deserti sabbiosi come il Sahara risultano piuttosto chiari, mostrando un albedo variabile tra il 25 ed il 40%, mentre le superfici ricoperte di neve pulita riflettono circa il 75-95% della luce solare incidente. Il limite delle immagini acquisite nel campo del visibile è che non sono disponibili durante il periodo notturno, perciò è necessario utilizzare sensori radiometrici in grado di acquisire immagini anche nel campo dell’infrarosso termico. Immagini acquisite nel campo dell’infrarosso termico L’intensità delle radiazioni emesse nel campo dell’infrarosso termico risulta strettamente dipendente dalla temperatura del corpo che le emette (legge di Stefan-Boltzmann). Quindi, ad esempio, il segnale nell’infrarosso aumenterà passando dalla superficie Sahariana priva di nubi (circa 60-70°C) alle sommità delle nubi dei cumulonembi equatoriali (circa -70°C). Le immagini vengono processate in bianco e nero, per cui un segnale intenso appare di colore nero ed un segnale debole di colore bianco. Pertanto, il segnale che arriva da superfici fredde come le nuvole appare bianco. Il principale vantaggio di utilizzare l’infrarosso termico consiste nella possibilità di acquisire immagini in maniera continua per 24 ore al giorno. Immagini acquisite ad altre lunghezze d’onda I radiometri posti sui satelliti meteorologici coprono uno spettro più ampio ed includono la radiazione infrarossa nella banda di assorbimento del vapore acqueo. In questa banda il vapore acqueo presente nell’atmosfera assorbe, completamente o parzialmente, la radiazione emessa dalla superficie terrestre sottostante (suolo o mare) e ne riemette una parte verso il sensore del satellite, il quale è così in grado di generare ‘immagini’ del vapore acqueo. Queste immagini forniscono informazioni sull’estensione ed il tipo di copertura 83 Appunti di meteorologia marina nuvolosa, poiché i colori chiari indicano una presenza consistente di vapore acqueo, mentre i colori scuri una quantità progressivamente decrescente di questo componente atmosferico (ad esempio, tonalità chiare sono caratteristiche dei sistemi frontali e dei cumulonembi temporaleschi). Un cenno a parte meritano i sensori di cui sono dotati i satelliti di nuova generazione, i quali sono in grado di acquisire immagini anche nel campo delle microonde. Questi sensori (SAR e altimetri) sono definiti ‘attivi’, poiché trasmettono impulsi di microonde e ricevono il segnale riflesso dalla Terra. I satelliti dotati di questa tipologia di sensori vengono indicati anche come ‘satelliti per le risorse terrestri’, in quanto trovano naturale impiego nei rilievi cartografici e nell’analisi delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre. Tuttavia, il SAR (Synthetic Aperture Radar) e gli altimetri stanno assumendo un’importanza rilevante anche nel campo della meteorologia marina e in oceanografia, poiché sono in grado di fornire immagini radar della superficie del mare con un’elevata risoluzione spaziale. Un ulteriore progresso nel campo delle osservazioni satellitari si avrà con la serie di satelliti METEOSAT di seconda generazione (MSG, Meteosat Second Generation). Essi prevedono l’utilizzo di sensori radiometrici in grado di acquisire 12 canali. Questo permetterà un più facile monitoraggio dello strato dell’ozono e lo studio della microfisica dell’atmosfera. La rete meteorologica satellitare, per la mole e precisione di dati che è in grado di fornire, svolge un ruolo fondamentale anche per lo sviluppo dei modelli previsionali. Infatti, una previsione è tanto più accurata ed attendibile, quanto più nel modello previsionale si tiene conto della variabilità quotidiana dei parametri meteorologici. Inoltre, i satelliti meteorologici servono anche a ricevere e/o inviare dati in aree remote. Per esempio, l’Inghilterra (Met Office), la Francia e l’Italia inviano tramite satellite bollettini o dati meteorologici in zone che non sarebbero altrimenti in grado di riceverli. Modellistica previsionale La meteorologia contemporanea si è evoluta molto grazie allo sviluppo continuo sia delle reti terrestri e satellitari di rilevamento dei parametri meteorologici, sia dei sistemi di calcolo, sempre più potenti ed economici. In particolare, l’enorme crescita della potenza di calcolo ha dato luogo, negli ultimi decenni, ad una vera e propria esplosione di interesse per la modellistica numerica. I modelli meteorologici previsionali hanno subito un progresso costante in termini di affidabilità e dettaglio sul territorio, grazie anche alla quantità senza precedenti di dati utili alla definizione dello stato iniziale dell’atmosfera, ed hanno ormai raggiunto uno stadio di avanzamento tale da renderli una fonte d’informazione sufficientemente affidabile per la valutazione dei parametri atmosferici. Questa nuova e moderna fonte di informazione è quindi complementare a quelle tradizionali e fornisce un ulteriore supporto alle attività di previsione. I primi tentativi di prevedere il tempo mediante metodi numerici risale al 1922, con il lavoro di L. F. Richardson. L’opera di Richardson mise in evidenza che, anche per previsioni a breve termine su un’area ristretta della Terra, la quantità di operazioni aritmetiche necessarie era enorme. Inoltre, il dettaglio e la qualità dei dati meteorologici da fornire come dati iniziali al modello erano a quell’epoca piuttosto scarsi. A causa di questi problemi, il lavoro di Richardson fornì scarsi risultati e fu quindi temporaneamente abbandonato. L’interesse per la modellistica numerica si rinnovò dopo la seconda guerra mondiale, grazie all’espansione della rete di osservazioni meteorologiche, che fornì dati iniziali molto più dettagliati ed attendibili, e alla nascita dei primi calco- 84 I. Il tempo meteorologico latori. Nelle equazioni di base del modello di Richardson furono inoltre introdotte delle semplificazioni (J. G. Charney, 1948), in modo che richiedessero una minore quantità di risorse di calcolo. I modelli risultanti fornivano però delle previsioni non molto attendibili. In tempi recenti, grazie all’enorme incremento della potenza di calcolo, sono stati sviluppati modelli atmosferici previsionali a ‘fisica completa’, che risolvono numericamente il set completo delle equazioni dinamiche relative ai moti atmosferici, con le parametrizzazioni per la diffusione turbolenta, le radiazioni solari e terrestri, i processi umidi (inclusa la formazione e l’interazione tra nuvole e idrometeore), lo scambio di calore sensibile e latente fra atmosfera, suolo, vegetazione e acqua, gli effetti cinematici del terreno, la convezione cumuliforme. Un modello meteorologico si basa generalmente su un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali, che esprimono in forma matematica i principi di conservazione propri del fluido atmosferico, relativi alla massa, all’energia e alla quantità di moto. La dipendenza dal tempo di tali equazioni rende possibile il calcolo dell’evoluzione futura del sistema e, quindi, dà la possibilità di effettuare previsioni. Le equazioni sono molto complesse, per cui di solito è impossibile trovare una soluzione analitica, a meno di approssimazioni molto limitative. Per questa ragione la soluzione delle equazioni che descrivono l’evoluzione dello stato dell’atmosfera è ottenuta mediante metodi numerici realizzati su calcolatori. I metodi numerici si basano su una rappresentazione discretizzata dello spazio e del tempo. Ciò significa che lo stato dinamico del sistema fisico è descritto specificando il valore che assumono le grandezze fisiche di interesse su tutti i punti di una griglia spaziale. L’evoluzione temporale del sistema è poi calcolata dal modello mediante algoritmi di integrazione numerica. Tale integrazione numerica consente di calcolare i valori che assumono le grandezze fisiche in tutti i punti della griglia di discretizzazione, ad istanti di tempo successivi, a partire da un dato stato iniziale. Anche la descrizione dell’evoluzione temporale è di tipo discretizzato, cioè gli istanti di tempo ai quali le condizioni del sistema vengono calcolate sono separati da una distanza finita. La grandezza degli intervalli di discretizzazione sia spaziale che temporale definisce la granularità della descrizione dell’atmosfera fornita dal modello. Tale descrizione è tanto migliore, quanto più la granularità è fine, ovvero quanto più la risoluzione spaziale e quella temporale sono elevate. Un fattore importante da valutare, quando si sviluppano ed utilizzano modelli meteorologici previsionali, è la scala spaziale su cui operano. Esistono modelli meteorologici formulati per simulare lo stato e l’evoluzione dell’atmosfera alla scala globale (l’intero pianeta) e modelli che operano su domini limitati. Mentre i modelli globali, quale per esempio quello utilizzato presso il Centro Europeo per le Previsioni a Medio Termine ECMWF, necessitano delle sole condizioni iniziali per procedere alla risoluzione delle equazioni dell’atmosfera, i modelli ad area limitata necessitano anche delle condizioni al contorno del proprio dominio di calcolo. Tali condizioni possono essere fornite sia dalle osservazioni reali che da modelli a scala più grande. Le potenzialità predittive e l’attendibilità di un modello dipendono fortemente dalla qualità dei dati utilizzati per fornire le condizioni al contorno e l’informazione sullo stato iniziale da cui l’integrazione numerica deve partire, nonché dal 85 Appunti di meteorologia marina modo stesso in cui tali dati vengono forniti al modello. Esistono oggi numerosi modelli a grande scala che possono fornire condizioni al contorno ad alta risoluzione; tali modelli fisico-matematici vengono risolti numericamente e validati mediante dati e registrazioni sperimentali. In Europa, nella maggior parte dei casi, si utilizzano le condizioni iniziali ed al contorno fornite dal modello globale del ECMWF. I modelli AVN/MRF del National Centers for Environmental Predictions (NCEP) costituiscono una ulteriore fonte di dati per inizializzare i modelli a mesoscala. Infine, ai campi forniti dai modelli a grande scala, si va ad aggiungere anche l’assimilazione diretta di osservazioni fatte da stazioni a terra e da satellite. I modelli ad area limitata si differenziano, inoltre, per la risoluzione spaziale. Una limitazione pratica all’uso di risoluzioni spaziali molto elevate su domini di calcolo relativamente vasti risiede nel drastico aumento dei tempi di calcolo a causa dell’incremento del numero di punti di griglia. È questo il motivo per cui generalmente modelli ad alta risoluzione spaziale sono utilizzati su aree di dimensioni relativamente piccole. Per ottenere risoluzioni particolarmente elevate su aree di grande interesse per le quali si intende fornire previsioni meteorologiche di dettaglio si ricorre spesso alla tecnica dell’innesto di griglie a risoluzione crescente (figura 69): i risultati ottenuti mediante le griglie più grandi vengono utilizzati come condizioni al contorno per le griglie più piccole. Figura 69 - Esempio di innesto di griglie a risoluzione crescente. Naturalmente, una volta sviluppato un modello, è necessaria una fase di validazione, che avviene attraverso una serie di simulazioni, condotte su dati già esistenti, cioè su dati i cui risultati sono già noti. Se i risultati teorici ottenuti sono confrontabili con quelli sperimentali in possesso, allora il modello si considera valido. Per effettuare una validazione corretta è necessario compiere questo tipo di operazione su molti insiemi di dati in modo da verificare un’ampia variabilità di situazioni. Un tipico modello a fisica completa, in grado di simulare virtualmente qualsiasi struttura atmosferica a risoluzione arbitraria, è il RAMS (Regional Atmospheric Modeling System), sviluppato all’Università del Colorado (Pielke et al., 1992) ed 86 I. Il tempo meteorologico utilizzato per esempio, presso il centro meteorologico regionale LaMMA di Firenze (www.lamma.rete.toscana.it). Il modello RAMS è particolarmente adatto per applicazioni ad alta risoluzione in virtù della sua capacità di assimilare rappresentazioni della superficie di qualsiasi risoluzione e dettaglio, nonché della sua capacità di descrivere le strutture atmosferiche virtualmente a qualsiasi livello di dettaglio, come nella simulazione di fenomeni di microscala, quali i tornado o il flusso turbolento intorno a edifici. Per poter risolvere (esplicitamente o per mezzo di parametrizzazioni) sistemi atmosferici locali o alla mesoscala-γ (scale delle decine di km) come i temporali e, allo stesso tempo, di rappresentare l’evoluzione dei sistemi a scala più grande, si impiegano di solito griglie innestate a risoluzione crescente verso l’interno. RAMS, al fine di assicurare il continuo equilibrio delle griglie, offre la caratteristica di scambio reciproco (two-ways) delle informazioni tra una griglia innestata e quella “madre”. Inoltre, in questo modello, è particolarmente evoluta la rappresentazione della interazione tra superficie terrestre, biosfera ed atmosfera, la cui rilevanza per la ricostruzione delle strutture meteorologiche, ed in particolare dei flussi superficiali (sia in termine di direzione che di intensità), è stata individuata da tempo (Avissar & Pielke, 1989; Molders & Raabe, 1996). L’interazione tra superficie ed atmosfera all’interno di RAMS, è descritta da un modello prognostico (LEAF-2) che si occupa, tra l’altro, della valutazione dei flussi di calore e turbolenza tra superficie e atmosfera (Walko et al., 2001). 87 APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA II. Elementi di oceanografia II. Elementi di oceanografia Elementi di oceanografia Per comprendere i fenomeni meteorologici che interessano il mare è necessario analizzare le sue principali caratteristiche. La scienza che studia l’ambiente marino, i processi fisici, chimici e biologici che si sviluppano in esso e ne caratterizzano struttura e movimenti è l’oceanografia. Lo studio dell’ambiente marino è comunque fortemente legato alle conoscenze del sistema atmosferico. Infatti le interazioni che avvengono tra mare e atmosfera sono così forti che si potrebbe parlare di un unico sistema ‘atmosfera-marÈ caratterizzato da scambi continui di energia termica e meccanica. In particolare, dallo scambio energetico che avviene tra lo strato inferiore dell’atmosfera e lo strato superficiale del mare, dipendono il moto ondoso ed altre dinamiche meteo-marine. Altri fenomeni che interessano il mare sono le correnti, causate ad esempio dall’azione del vento sulla superficie marina o da gradienti di densità e di livello, e le maree, che possono essere viste come gigantesche onde generate dall’attrazione gravitazionale della Luna ed altri corpi celesti. Vi sono, infine, movimenti ‘eccezionali’ come storm surges e tsunami che possono creare danni ingenti a oggetti e persone che si trovano in mare o sulle coste. I movimenti del mare possono essere raggruppati in funzione della frequenza con cui si manifestano nelle seguenti tre categorie: ¿ periodici (maree) ¿ costanti, o meglio caratterizzati da debole variabilità (correnti) ¿ variabili o irregolari (moto ondoso, storm surges, tsunami). Origine, composizione e caratteristiche chimico-fisiche delle acque marine Origine L’origine delle acque marine viene fatta risalire alle prime fasi evolutive della Terra quando, in seguito al raffreddamento della superficie terrestre, le enormi quantità di vapore acqueo presenti nell’atmosfera condensarono. In seguito alla condensazione e precipitazione del vapore acqueo le depressioni e le irregolarità della crosta terrestre furono colmate di acqua originando gli oceani e i mari, mentre la dinamica delle placche della crosta terrestre andava plasmando la forma dei bacini oceanici. La roccia basaltica costituente il fondale di questi ultimi viene infatti continuamente prodotta da eruzioni di magma lungo le dorsali medio-oceaniche. Queste sono vere e proprie catene di vulcani sottomarini che attraversano gli oceani con un’estensione di oltre 60000 km e altezze che possono raggiungere anche i 2000 m. Alla continua formazione di roccia basaltica medio-oceanica corrisponde un altrettanto continuo sprofondamento del fondale oceanico sotto la crosta continentale. Le zone in cui tale sprofondamento avviene sono dette margini di subduzione e sono ovviamente localizzate lungo i bordi continentali. In corrispondenza di esse si hanno archi insulari di origine vulcanica, continuamente caratterizzati da intensa attività vulcanica, connessa proprio con i moti di subduzione (il Giappone ne è un tipico esempio). Tali moti sono anche la causa di formazione delle più profonde fosse oceaniche note (ad esempio la fossa delle Marianne, con i suoi 11.000 metri di profondità). 91 Appunti di meteorologia marina Composizione chimica Le acque marine contengono in media il 3.5% di sali minerali, di cui il più abbondante è il cloruro di sodio che conferisce il caratteristico sapore salato. L’acqua marina contiene inoltre cloruro di magnesio e solfati di calcio, magnesio e potassio (figura 70). Siccome i sali risultano completamente dissociati in acqua, si usa esprimere i costituenti dell’acqua marina sotto forma di ioni (atomi dotati di cariche positive o negative). Gli ioni maggiormente presenti nelle acque marine sono il cloruro (Cl-, 55%), il sodio (Na+, 30.6%), il solfato (SO42-, 7.7%), il magnesio (Mg2+, 3.7%), il calcio (Ca2+, 1.5%) ed il potassio (K+, 1.5%). L’origine dei sali è attribuita prevalentemente ai composti minerali contenuti nelle rocce che vengono parzialmente disciolti ad opera delle acque continentali che scorrono in superficie. Altre possibili cause sono attribuite all’attività vulcanica dei fondali sottomarini (in particolare lungo i margini attivi delle placche oceaniche) ed alla decomposizione di organismi marini con rilascio in acqua di sali minerali. Figura 70 - Composizione chimica media dell’acqua marina. Il colore del mare e la penetrazione della luce in acqua Le radiazioni che compongono lo spettro elettromagnetico solare penetrano a differenti profondità del mare in funzione della loro lunghezza d’onda (figura 71). La componente della radiazione solare che penetra più in profondità è rappresentata dal blu, capace di raggiungere i 200-300 metri. Le radiazioni corrispondenti al verde ed al violetto arrivano intorno ai 100 metri, mentre le radiazioni corrispondenti al giallo, arancione e rosso vengono assorbite dagli strati più superficiali. Per questa ragione il colore del mare appare generalmente blu o verde-azzurro. Tutto ciò vale per acque limpide, mentre in acque torbide, a causa dei meccanismi indotti dalla presenza di pulviscolo in sospensione, le componenti che risultano più penetranti sono quelle nella banda del giallo, con conseguenti differenze nel colore con cui appaiono le acque ad esempio in alcune zone costiere ed in corrispondenza della foce di fiumi. Per calcolare l’intensità della luce alle differenti profondità del mare può essere utilizzata la seguente equazione: Iz = I0 exp (-kz) dove I0 è l’intensità della radiazione che giunge in superficie, Iz è l’intensità della radiazione alla profondità z al di sotto della superficie marina e k è il coefficiente di estinzione della luce che dipende dalla limpidità dell’acqua. Tale espressione è valida per ogni singola componente spettrale della luce; la diversa capacità di penetrazione è in relazione al valore di k, che dipende quindi dalla frequenza della radiazione considerata. Alle componenti più penetranti corrispondono valori di k più piccoli. In particolare, per la componente blu, i valori di tale parametro variano da valori di circa 0.02, in acque oceaniche limpide (per cui il rapporto Iz/I0 è circa 22% a 10 m di profondità e 2% a 200 m), a valori di circa 2, in acque torbide di 92 II. Elementi di oceanografia costa (per cui la luce non raggiunge i 10 m di profondità). In realtà il valore di k non è omogeneo ma tende a variare con la profondità, poiché le acque superficiali sono più ricche di schiuma, bolle d’aria, particelle solide in sospensione e organismi animali e vegetali microscopici che le rendono più torbide rispetto agli strati di acqua profondi. La distribuzione della radiazione solare alle differenti profondità svolge un ruolo fondamentale sui cicli biologici che avvengono in mare. La luce infatti costituisce il fattore limitante la fotosintesi clorofilliana, per cui le alghe presenti alle diverse profondità sono dotate di pigmenti specifici in grado di captare ed assorbire radiazioni luminose a differenti lunghezze d’onda. Di conseguenza è possibile distinguere una zona eufotica, illuminata dalle radiazioni solari, ed una zona disfotica non illuminata; nella zona eufotica si sviluppano organismi autotrofi in grado di compiere la fotosintesi clorofilliana e, quindi, di trasformare l’energia solare in composti organici, mentre in quella disfotica vivono solo organismi consumatori e decompositori. Le misure dell’intensità della luce alle differenti profondità e del colore del mare richiedono attrezzature specifiche molto complesse che Figura 71 - Penetrazione della luce difficilmente sono disponibili durante le spedizioni scientifiche oceanografiche. Un semplice in mare alle differenti lunghezze strumento adottato per misurare l’intervallo di d’onda. visibilità (o limpidità) delle acque marine è il disco di Secchi. Questo strumento consiste in un disco bianco di circa 30 cm di diametro che viene mantenuto orizzontale ed immerso in acqua tramite una corda. La media tra la profondità alla quale il disco scompare alla vista dell’operatore e la profondità alla quale ricompare nel momento in cui viene riportato in superficie, fornisce una stima empirica dell’intervallo di visibilità e del coefficiente di estinzione della luce per lo strato di mare in studio. La pressione idrostatica La pressione idrostatica è data dal peso della colonna di acqua che sovrasta l’unità di superficie ed aumenta di circa 1 atmosfera per ogni 10 metri di profondità, per cui negli abissi oceanici può superare anche le 1000 atmosfere. La pressione esercita un’influenza notevole sugli organismi marini che vivono in mare, tanto che alcuni pesci abissali non sono in grado di sopravvivere in superficie senza subire gravi lesioni in seguito alla forte diminuzione della pressione esterna. Solo appositi mezzi sottomarini (i batiscafi) sono in grado di sopportare pressioni elevate e quindi di esplorare le profondità degli oceani. La temperatura del mare La temperatura del mare è soggetta ad ampie variazioni sia in superficie che in profondità. La variazione della temperatura marina in superficie è strettamente dipendente dall’energia solare ricevuta alle varie latitudini, perciò la temperatura diminuisce passando dalle regioni intertropicali con valori medi annui intorno ai 27-28 °C e verso i Poli dove si raggiunge il punto di congelamento. Le variazioni stagionali invece risultano meno evidenti rispetto a quanto av- 93 Appunti di meteorologia marina viene per la terraferma, a causa dell’elevata capacità termica delle acque. Questa caratteristica delle acque fa sì che il riscaldamento ed il raffreddamento dei mari avvenga più lentamente rispetto alla terraferma e che le variazioni termiche stagionali in superficie risultino sempre molto limitate. Un ruolo importante nel determinare la temperatura del mare è svolto anche dall’azione delle correnti marine calde e fredde e dall’azione di raffreddamento o riscaldamento delle masse d’aria in movimento sopra la superficie marina. Per quanto riguarda le variazioni lungo il profilo verticale, la temperatura tende a diminuire rapidamente ed in modo non uniforme procedendo dalla superficie marina verso i fondali. In genere la diminuzione è inizialmente molto rapida fino ad una profondità di 100-200 metri, per poi divenire notevolmente più lenta. Al di sotto dei 4000 metri le temperature si mantengono uniformemente basse in ogni regione oceanica, superando di poco 0°C. La zona in cui la temperatura scende rapidamente ed il gradiente termico raggiunge il massimo valore prende il nome di termoclino (figura 72). Alle basse latitudini il termoclino tende ad essere molto ripido e localizzato a circa soli 100 m sotto la superficie del mare, i valori di temperatura che solitamente si osservano sono: 20°C o più in superficie, 8°C a 500 m di profondità, 5°C a 1000 m e 2°C a 4000 m. Alle medie latitudini, dove lo strato superficiale del mare risulta più freddo rispetto alle basse latitudini, il termoclino è meno ripido ed è localizzato più in profondità rispetto ai Tropici e soggetto ad un’ampia variabilità stagionale. Alle alte latitudini il raffreddamento in superficie determina un rimescolamento convettivo con gli strati più profondi, perciò le acque superficiali e profonde mostrano valori di temperatura comparabili (figura 72). Figura 72 - Variazione della temperatura con la profondità alle diverse latitudini. La temperatura svolge un ruolo fondamentale sulle biocenosi marine. Alcuni organismi marini richiedono valori costanti di temperatura (specie stenoterme), mentre altri risultano maggiormente adattabili a variazioni termiche (specie euriterme). Ogni specie è caratterizzata comunque da un differente valore di temperatura del mare che risulta ottimale per la sua crescita, sviluppo e riproduzione, perciò le variazioni termiche possono avere notevoli ripercussioni 94 II. Elementi di oceanografia sulla biodiversità e sulla distribuzione degli organismi marini nei vari luoghi della Terra. La temperatura influenza anche la densità delle acque, per cui si assiste ad una diminuzione di densità, a parità di salinità e pressione, passando da acque fredde ad acque calde. Per misurare la temperatura delle acque superficiali o SST (Sea Surface Temperature) il metodo tradizionale si avvale di appositi recipienti per la raccolta di campioni di acqua marina, sui quali si esegue rapidamente la misura della temperatura tramite un termometro in vetro a mercurio o ad alcool. I recipienti hanno una capacità di 4-6 litri e sono in genere costituiti da un materiale sufficientemente resistente da contrastare la pressione idrostatica esercitata dall’acqua. Il campionamento viene effettuato ad una profondità inferiore al metro, in modo da evitare lo strato più superficiale in stretto contatto con l’aria sovrastante, e facendo attenzione a non collezionare acqua che può essere stata termicamente alterata dal passaggio della nave. Una volta che l’acqua è giunta a bordo, è necessario procedere immediatamente alla misura in un luogo ombreggiato. In alternativa a questo metodo vengono utilizzati termometri che misurano la temperatura dell’acqua in ingresso nella sala motori della nave. Questo metodo può incorrere più facilmente nel rischio di alterazione della misura, ma può essere preferibile nel caso in cui il mare risulti particolarmente agitato o qualora la nave viaggi a velocità sostenute. Altri sistemi di misura della temperatura dello strato superficiale del mare si avvalgono di termometri elettrici a resistenza o di termistori inseriti sullo scafo di una nave o su boe che inviano i dati rispettivamente ad un quadrante situato sul ponte o a stazioni poste a terra. I termometri elettrici più utilizzati misurano la variazione di resistenza di un filo conduttore al variare della temperatura dell’acqua. Oltre a questi metodi tradizionali, al giorno d’oggi stanno avendo sempre più diffusione i metodi di misura a distanza. Questi metodi si basano sulla misura della radiazione infrarossa emessa dalla superficie del mare tramite l’uso di opportuni sensori o radiometri (termometri radiativi) in grado di operare nel campo spettrale compreso tra 10.4 e 12.5 micrometri (infrarosso termico). Il principio di funzionamento di questi sensori si basa sul fatto che qualsiasi oggetto con una temperatura superiore allo zero assoluto emette una radiazione elettromagnetica la cui potenza irraggiante è funzione della sua temperatura (legge di Stefan-Boltzmann). Questi sensori possono essere situati su navi, aerei o satelliti e consentono di rilevare la temperatura del mare con notevole precisione. I sensori radiometrici satellitari (quale ad esempio il sensore AVHRR – Advanced Very High Resolution Radiometer - del satellite NOAA) sono in grado di fornire informazioni su superfici molto ampie della Terra, tuttavia i dati ottenuti da satellite richiedono di essere convalidati ed integrati con misure eseguite con più alta capacità di risoluzione. Per questo motivo assumono notevole importanza i rilevamenti termici effettuati con sensori radiometrici montati su battelli oceanografici o velivoli. Ad esempio, lo Sky Arrow ERA (Environmental Research Aircraft) (figura 73), nato da una collaborazione tra IBIMET-CNR, NOAA (National Oceanographic Atmospheric Administration) ed un’impresa italiana specializzata nella costruzione di velivoli (Iniziative Industriali Italiane), costituisce una piattaforma aerea particolarmente adatta a studi e ricerche di monitoraggio ambientale, poiché è dotato di una botola posta sul ventre della fusoliera che offre la possibilità di installare sensori per il rilevamento dei principali parametri ambientali. Nel caso specifico della misura della temperatura superficiale delle acque viene 95 Appunti di meteorologia marina Figura 73 - Lo Sky Arrow ed i sensori installati sul ventre della fusoliera. Figura 74 - Esempio di immagine ottenuta dal sensore della FLIR System montato sulla fusoliera dello Sky Arrow e corrispondente ricostruzione 3D. utilizzata una telecamera termica, in grado di rilevare le variazioni di radiazione infrarossa termica emessa dalla superficie marina e di risalire alla sua temperatura (figura 74). Per determinare la temperatura del mare alle differenti profondità si possono utilizzare dei termometri reversibili (in inglese reversing thermometer). Questi strumenti sono costituiti da un termometro a mercurio che quando viene rovesciato provoca la rottura della colonnina di mercurio in corrispondenza di una costrizione del capillare di vetro. Ciò permette di mantenere la registrazione della temperatura nel momento in cui il termometro viene nuovamente rovesciato e portato in superficie. Operativamente il termometro viene fissato ad un filo metallico ed immerso alla profondità alla quale si vuole effettuare la misura; raggiunta la profondità desiderata, viene fatto scorrere lungo il filo metallico un piccolo peso che, giunto in prossimità del termometro, aziona un fermo che provoca il suo rovesciamento. Si possono distinguere due categorie di termometri reversibili che si trovano generalmente affiancati ed applicati sulla parete di una bottiglia di Nansen: ¿ termometri protetti ¿ termometri non protetti I primi sono contenuti all’interno di un bulbo in vetro che consente di contrastare la pressione idrostatica esercitata dall’acqua in profondità. A causa della 96 II. Elementi di oceanografia compressione, la temperatura registrata dal termometro non protetto risulta superiore rispetto a quella del termometro protetto, perciò la differenza di lettura tra i due termometri fornisce una stima indiretta della pressione idrostatica esercitata dall’acqua. Considerando che l’aumento della pressione idrostatica con la profondità è di circa 0.1 atmosfere per metro, è possibile risalire alla profondità del mare a cui è stata eseguita la misura della temperatura. Un altro strumento che permette di misurare le variazioni di temperatura con la profondità del mare è il batitermografo inventato da Spilhaus nel 1937. Questo strumento viene calato in mare da una nave in movimento ed immerso in acqua tramite un cavo metallico. Il sensore di temperatura è costituito da un tubo di Bourbon, riempito con un liquido termodilatabile (xilene) che si dilata o si contrae col variare della temperatura dell’acqua. Il tubo è collegato ad uno stilo che si muove sopra una lastra di vetro affumicato al variare della temperatura. La lastra di vetro è connessa ad un soffietto che si contrae o si dilata al variare della pressione con la profondità, spostando la lastra perpendicolarmente al movimento dello stilo. Dalla traccia lasciata dallo stilo sulla lastra durante l’immersione e la risalita in superficie dello strumento, si ottiene una registrazione della variazione della temperatura con la profondità del mare. La salinità delle acque marine La salinità delle acque marine viene generalmente espressa come grammi di sali contenuti in 1000 grammi di acqua, perciò le acque marine contengono in media 35 grammi di sali ogni 1000 grammi di acqua il che equivale a dire che in media le acque marine presentano una salinità del 35 per mille - ‰ -. Tuttavia, la salinità è soggetta a notevoli variazioni nel tempo e nello spazio. Ad esempio, il Mar Baltico mostra una salinità nettamente inferiore alla media (circa il 7‰), mentre il Mar Rosso supera il 40‰ ed il Mediterraneo il 38‰. Si può comunque dire che la salinità media degli oceani è costante, almeno su un periodo di decine o centinaia di anni, nonostante il continuo apporto di materiali dai corsi d’acqua, poiché si è instaurato un equilibrio tra la quantità apportata e quella sottratta dalle precipitazioni chimiche o dall’utilizzazione di organismi viventi. I principali fattori da cui dipende la salinità delle acque marine sono i seguenti: ¿ l'apporto di acqua dolce proveniente dalle piogge, dai fiumi e dallo scioglimento dei ghiacciai, per cui i mari che ricevono numerosi apporti di acqua dolce mostrano in genere valori bassi di salinità; ¿ il livello di evaporazione, per cui i mari delle zone calde sono generalmente più salati rispetto a quelli delle zone fredde; ¿ le correnti marine che determinano lo spostamento di masse d’acqua e consentono le ‘comunicazioni’ tra mari ed oceani, per cui i mari ‘chiusi’ tendono ad avere uno scarso scambio con gli oceani ed una elevata salinità. In base a queste considerazioni si deduce come la maggiore salinità si riscontri negli oceani tropicali e nei mari ‘chiusi’ caratterizzati da forte evaporazione e scarso apporto di acqua dolce da fiumi e precipitazioni, quali il Mediterraneo. Su scala globale è possibile individuare le zone della Terra disposte a differenti latitudini che si differenziano per una diversa salinità delle acque marine superficiali (figura 75): ¿ fascia equatoriale, in cui a causa delle elevate precipitazioni e della scarsa evaporazione, dovuta all’elevata umidità relativa dell’aria, la salinità tende ad essere inferiore alla media; ¿ fascia intertropicale soggetta agli Alisei asciutti, in cui a causa dell’elevata 97 Appunti di meteorologia marina evaporazione e dello scarso apporto di acqua dolce dai fiumi, la salinità tende ad essere superiore alla media; ¿ zone delle alte latitudini polari o subpolari, in cui a causa della scarsa evaporazione e dell’apporto considerevole di acqua dolce proveniente dai fiumi e dallo scioglimento dei ghiacciai, la salinità tende a raggiungere valori minimi. Figura 75 - Distribuzione della salinità sulla Terra (i valori sono espressi in ‰). Le acque marine profonde mostrano variazioni temporali e spaziali di salinità molto minori rispetto agli strati più superficiali, per cui a profondità superiori ai 4000 metri la salinità degli oceani è ovunque compresa tra 34.6 e 34.9‰. La salinità riveste un ruolo di notevole importanza sulla composizione delle biocenosi marine. Infatti la maggior parte degli organismi animali che vivono in mare necessitano di condizioni di salinità poco variabili (specie stenoaline), anche se esistono alcune specie che vivendo presso le coste o in prossimità delle foci dei fiumi mostrano una maggiore capacità di adattamento a condizioni variabili di salinità (specie eurialine). La salinità inoltre influenza anche un altro importante parametro fisico delle acque marine, la densità; in particolare, la densità delle acque aumenta, a parità di temperatura, all’aumentare del contenuto in sali. I campioni di acqua per la misura della salinità vengono prelevati per mezzo di una bottiglia reversibile (bottiglia di Nansen) in cui l’ingresso e l’uscita sono chiusi tramite apposite valvole.Queste valvole vengono mantenute aperte durante l’immersione della bottiglia in modo da consentire all’acqua di fluire liberamente attraverso di essa. Raggiunta la profondità a cui si vuole eseguire il campionamento, un piccolo peso viene fatto scorrere lungo il filo metallico che mantiene la bottiglia in posizione provocandone il rovesciamento. Quando la bottiglia si rivolta avviene la chiusura automatica delle valvole e l’acqua rimane intrappolata al suo interno. La salinità del campione di acqua viene determinata successivamente in laboratorio tramite titolazione o misurando la conduttività elettrica. Con il primo 98 II. Elementi di oceanografia metodo viene determinata la concentrazione dei cloruri (Cl-) con una soluzione di nitrato di argento e la salinità è data dalla seguente equazione: Salinità (‰) = 0.03 + [1.805 · Cl- ‰] Il secondo metodo si basa sulla misura della resistenza elettrica di un campione di acqua di mare tramite un conduttimetro ed è più preciso e veloce rispetto alla titolazione. Un altro metodo di laboratorio per misurare la salinità consiste nella determinazione dell’indice rifrattometrico. Oltre ai metodi di laboratorio indicati precedentemente, la salinità può essere determinata direttamente per mezzo di appositi sensori che, immersi in mare, modificano la propria resistenza in funzione delle variazioni di salinità, temperatura e pressione. La densità delle acque marine La densità (r) di una qualsiasi sostanza viene espressa dal rapporto tra la massa (espressa in kg) e l’unità di volume (espressa in m3). A causa del contenuto in sali, l’acqua di mare mostra valori di densità leggermente più elevati rispetto alle acque dolci variando, negli strati superficiali oceanici, da 1.02100 a 1.02750 kg m-3. In oceanografia, per convenienza numerica, è stato introdotta la quantità: st = (r - 1) x 103 Per esempio ad un valore di r di 1.02730 corrisponde un valore di st di 27.30. La densità dell’acqua marina varia nel tempo e nello spazio in funzione delle variazioni di temperatura, salinità e pressione. Per le acque superficiali l’effetto della pressione può essere considerato trascurabile, perciò la loro densità può essere facilmente determinata graficamente attraverso il diagramma temperatura-salinità, in cui vengono riportate le relazioni tra temperatura, salinità e densità in condizioni di pressione atmosferica (figura 76). Nel caso di acque dolci, la temperatura alla quale si osserva il valore massimo di densità (Trmax) è di circa 4°C. Questo valore di temperatura diminuisce all’aumentare della salinità, perciò a valori di salinità del 17‰ Trmax scende sotto la temperatura di congelamento dell’acqua priva di sali. Conoscendo la salinità (S) è possibile determinare il valore di Trmax attraverso la seguente equazione: Trmax = 3.95 - 0.2 S - 0.0011 S2 Figura 76 - Diagramma temperatura-salinità. Il rettangolo ombreggiato indica i valori relativi a circa il 90% delle acque marine presenti sulla Terra. Per le acque profonde invece non è possibile trascurare l’effetto associato alla pressione idrostatica. Infatti negli strati marini più profondi, la pressione è sufficiente a provocare una compressione adiabatica (cioè senza scambio di calore con l’esterno) che determina un leggero incremento termico e, quindi, una variazione anche della densità delle acque. 99 Appunti di meteorologia marina La distribuzione della densità delle acque marine sul Pianeta mostra un’ampia variabilità nel tempo e nello spazio (figura 77). I valori più elevati di densità (st superiore a 27.8 kg m-3) si osservano negli oceani dell’emisfero meridionale vicino all’Antartide, mentre i valori più bassi (st inferiore a 20 kg m-3) si registrano nelle acque in prossimità dell’Indonesia. Nell’emisfero settentrionale c’è una tendenza ad un decremento graduale della densità passando dalle alte alle basse latitudini, con alcune eccezioni; ad esempio, la densità delle acque superficiali del Mediterraneo è molto elevata specialmente in inverno, quando i valori di temperatura e salinità delle acque sono tali da causare valori di st superiori ai 29 kg m-3. La densità svolge un ruolo fondamentale nei confronti delle dinamiche degli oceani e dei mari, in quanto la circolazione delle acque in mare dipende, oltre che dall’azione del vento sulla superficie marina, dalle differenze di densità tra le masse d’acqua poste a differenti latitudini. A B Figura 77 - Densità superficiale delle acqua marine durante l’inverno (A) e l’estate (B). (st in kg m-3). 100 II. Elementi di oceanografia La formazione di ghiaccio in mare Un altro compito della meteorologia marina consiste nello studiare i meccanismi che provocano la formazione, la frantumazione e lo scioglimento del ghiaccio in mare, in modo da prevedere la sua genesi ed evoluzione. Il ghiaccio influenza le rotte di navigazione e può costituire una delle principali cause di collisione in mare, oltre a concorrere alla deviazione delle grandi correnti oceaniche termoaline, con notevoli ripercussioni sul clima di vaste aree del nostro Pianeta. Il passaggio dell’acqua dallo stato liquido a quello solido avviene quando la temperatura dello strato superficiale del mare a contatto con l’atmosfera scende al di sotto del punto di congelamento (freezing point). Questo parametro risulta strettamente dipendente dalla salinità delle acque marine, poiché i sali disciolti in acqua provocano un abbassamento crioscopico, cioè una diminuzione del punto di congelamento dell’acqua. Ad esempio, le acque circumpolari presentano valori di salinità compresi tra 32‰ e 34‰ e raggiungono la temperatura di congelamento a circa -2°C. Oltre che dalla salinità, la formazione di ghiaccio in mare può essere influenzata anche da altri fattori che possono modificare la temperatura del mare ed indurre fenomeni di risalita delle acque profonde (upwelling) con conseguente rimescolamento termico tra gli strati. In linea generale, il ghiaccio si forma più facilmente quando l’abbassamento termico avviene in acque poco salate, superficiali e con scarso rimescolamento tra gli strati. Il congelamento dell’acqua marina determina la formazione di cristalli di ghiaccio di acqua pura che possono assumere forma di aghi o, nel caso in cui la superficie marina sia agitata dall’azione del vento e delle onde, di sottili dischi di ghiaccio di forma esagonale. Durante questo processo i sali presenti nell’acqua marina non vengono incorporati nel ghiaccio, ma restano in soluzione provocando un ulteriore aumento della densità e della salinità dello strato d’acqua sottostante il ghiaccio in formazione. Ciò provoca una ulteriore diminuzione del punto di congelamento degli strati di acqua sottosuperficiali, perciò la temperatura a cui si verifica il congelamento dell’acqua marina diminuisce man mano che si ha la formazione di ghiaccio in superficie. Tuttavia, questo processo non continua all’infinito, principalmente per due motivi: 1. lo strato superficiale di ghiaccio, agendo da isolante, limita la dispersione di calore verso l’atmosfera; 2. l’acqua che rimane dopo il congelamento dello strato superficiale diviene progressivamente più densa e tende a sprofondare richiamando in superficie acqua profonda meno densa e più calda. Entrambi questi fenomeni impediscono l’ulteriore raffreddamento dell’acqua oltre una certa profondità. I cristalli di ghiaccio una volta formatisi possono aggregarsi tra loro dando luogo ad uno strato superficiale di ghiaccio sottile e poroso che va a formare delle placche di circa 1- 3 m di diametro e 10 cm di spessore chiamate pancake-ice. Queste placche possono riunirsi tra loro e dare origine al cosiddetto ‘ghiaccio marino giovane’ che, in seguito all’azione del vento e delle onde, può rompersi e generare lastre di varie dimensioni (sheet ice). Infine, queste lastre possono aggregarsi e formare uno strato continuo di ghiaccio, che nelle regioni circumpolari viene chiamato banchisa. Durante i mesi più caldi, la banchisa tende a frantumarsi e a formare dei lastroni di ghiaccio (pack) che tendono ad andare alla deriva. Il ghiaccio ha una densità inferiore rispetto all’acqua, per cui tende a galleg- 101 Appunti di meteorologia marina giare sulla superficie marina. Tuttavia, a seconda della velocità con cui avviene il congelamento, all’interno della massa di ghiaccio in formazione si creano delle cavità ripiene di acqua salata (brine) e di aria che causano un’ampia variazione di densità. La frantumazione e/o lo scioglimento delle masse di ghiaccio in mare possono essere causati dalla concomitanza di numerosi fattori, primo fra tutti un incremento della temperatura dell’aria. Il processo ha inizio all’interno del blocco di ghiaccio con un aumento del volume della soluzione salina inglobata nelle sue cavità. In seguito a questo fenomeno, il volume degli interstizi aumenta ed il liquido al loro interno esercita una pressione sulle pareti e tende a fuoriuscire dalla lastra di ghiaccio. Anche l’azione combinata del vento e delle onde può esercitare una notevole pressione sulla massa di ghiaccio compromettendo la sua stabilità. Infine, il gradiente termico che si instaura tra gli strati superficiali e profondi della massa di ghiaccio genera delle tensioni interne che favoriscono la sua frantumazione. Ad esempio, in Antartide questo processo determina il distacco di grandi blocchi di ghiaccio dai bordi delle calotte polari con formazione di iceberg. Gli iceberg antartici hanno in genere una forma tabulare e possono avere un’estensione di oltre 100 km in lunghezza, e spessori che tipicamente sono di qualche centinaio di metri ma eccezionalmente possono arrivare a qualche chilometro. In Artide gli iceberg possono formarsi dai grandi ghiacciai della Groenlandia, in seguito al distacco di blocchi di ghiaccio nella parte terminale delle lingue glaciali che sboccano in mare in prossimità dei fiordi. A causa della diversa modalità di formazione, questi icebergs hanno una forma differente rispetto a quelli antartici risultando più irregolari e di dimensioni molto variabili. La profondità di immersione degli iceberg dipende essenzialmente dal loro peso specifico rispetto all’acqua di mare e, quindi, dal volume e dalla quantità di soluzione salina e di aria intrappolata negli interstizi. Un notevole passo avanti per studiare la tipologia, l’estensione e la localizzazione delle masse di ghiaccio in mare alle alte latitudini, è stato compiuto con la diffusione delle tecniche di osservazione satellitare. Le immagini satellitari acquisite nel campo del visibile e dell’infrarosso forniscono numerose informazioni sulla copertura dei ghiacci e sui loro movimenti e risultano di estrema utilità per consentire una navigazione sicura e per studiare l’effetto del riscaldamento globale sulla riduzione delle grandi masse di ghiaccio del nostro Pianeta. 102 II. Elementi di oceanografia Le correnti marine Le correnti marine sono costituite da spostamenti orizzontali di grandi masse d’acqua secondo direzioni più o meno costanti (correnti continue) o variabili a seconda della stagione (correnti periodiche). Le correnti possono essere classificate in base alla loro profondità in due categorie principali: ¿ correnti superficiali ¿ correnti profonde Le correnti superficiali interessano i primi 200 m di acqua e sono condizionate essenzialmente dal vento e da gradienti di densità. Le correnti profonde sono originate invece esclusivamente da differenze di densità dovute a variazioni di temperatura e salinità; sono caratterizzate da velocità generalmente minori delle correnti superficiali e possono raggiungere anche i fondali oceanici. Per quanto riguarda le cause, solitamente si usa operare una distinzione tra cause primarie (che originano le correnti) e cause secondarie (che modificano la loro direzione). Le principali cause primarie sono rappresentate dalle differenze di temperatura e salinità tra le masse d’acqua oceaniche (cause interne) e dall’azione dei venti e della pressione atmosferica sulla superficie marina (cause esterne). In funzione delle cause primarie, le correnti marine possono essere classificate nelle seguenti tre categorie: ¿ correnti di deriva ¿ correnti di densità (o termoaline) ¿ correnti di pendio Le cause secondarie che deviano le correnti dalla loro direzione originale sono rappresentate essenzialmente dalla forza apparente di Coriolis e dalla configurazione dei bacini oceanici e delle coste. La forza apparente di Coriolis è dovuta alla rotazione terrestre attorno al proprio asse ed agisce deviando le correnti verso destra nell’emisfero settentrionale e verso sinistra in quello meridionale, portando alla formazione in ogni oceano di due grandi circuiti chiusi e distinti (figura 78): ¿ nell'emisfero Nord, in cui la circolazione avviene in senso orario ¿ nell'emisfero Sud, in cui la circolazione avviene in senso antiorario. I bacini oceanici influenzano l'ampiezza dei singoli circuiti che risultano più estesi nell’Oceano Pacifico rispetto all’Atlantico. L’attrito con il fondale e la configurazione irregolare delle coste possono modificare la direzione delle correnti e originare delle controcorrenti. In particolare, la presenza di golfi, stretti e promontori influenza le correnti in prossimità delle coste facendole deviare dalla loro direzione originale; ad esempio, quando una corrente giunge in prossimità di un promontorio devia verso la costa, seguendone la curvatura naturale, e torna indietro dando origine ad una controcorrente Le correnti, in funzione della loro temperatura, possono essere classificate in: ¿ correnti calde ¿ correnti fredde Le correnti calde e fredde sono caratterizzate rispettivamente da temperature più elevate e più basse rispetto alle acque circostanti; le prime si dirigono dall’Equatore verso i Poli, mentre le seconde si muovono dalle alte latitudini verso l’Equatore (figura 78). Le correnti calde e fredde lambiscono rispettivamente le coste orientali e occidentali dei continenti a latitudini comprese tra 0° e 40° in entrambi gli emisferi, mentre oltre i 40° la situazione si inverte (figura 78). 103 Appunti di meteorologia marina Oceano Atlantico Oceano Pacifico Oceano Indiano 1 Corrente del Golfo 10 Corrente di Humboldt (o del Perù) 19 Corrente del Mozambico 2 Corrente Atlantica Settentrionale 11 Corrente della California 20 Corrente Australiana Occidentale che si prolunga nella Corrente Equatoriale 3 Corrente delle Canarie 12 Corrente del Pacifico Settentrionale 4 Corrente del Labrador 13 Corrente di Kuro Siwo 5 Corrente Equatoriale Nord 14 Corrente Australiana Orientale 6 Corrente Equatoriale Sud 15 Corrente Equatoriale Nord 7 Corrente del Benguela 16 Corrente Equatoriale Sud 8 Corrente del Brasile 17 Corrente di Oya Siwo 9 Controcorrente di Guinea 18 Controcorrente Equatoriale Figura 78 - Le principali correnti marine calde (linea tratteggiata) e fredde (linea continua). 104 II. Elementi di oceanografia Correnti di deriva Le correnti di deriva si formano in seguito allo scambio energetico che avviene tra le masse d’aria in movimento e la superficie del mare sottostante. L’attrito che si genera tra lo strato inferiore dell’aria e la superficie marina provoca il trasporto delle masse d’acqua superficiali secondo la direzione del vento prevalente. Tra questo tipo di correnti, quelle maggiormente note ai naviganti sono causate dagli Alisei. Questi venti tropicali costanti ‘trascinano’ le acque superficiali verso l’Equatore e verso occidente in entrambi gli emisferi, originando una forte corrente marina equatoriale. In corrispondenza dell’Equatore le correnti superficiali danno luogo ad una controcorrente equatoriale diretta verso oriente. Una corrente di deriva di tipo periodico è quella che si osserva nella parte settentrionale dell’Oceano Indiano, dove le acque superficiali spinte dai monsoni scorrono verso Nord-Est durante il periodo estivo (quando il monsone spira dal mare verso terra) e verso Sud-Ovest durante il periodo invernale (quando il monsone spira da terra verso il mare). A causa della forza di Coriolis, le correnti di deriva tendono a deviare verso destra nell’emisfero Nord e verso sinistra nell’emisfero Sud, formando un angolo di circa 45° tra la direzione del vento dominante e la direzione del flusso d’acqua superficiale. Il moto di deriva viene trasmesso dagli strati superficiali a quelli profondi per effetto della forza di attrito, perciò la velocità di spostamento dell’acqua diminuisce esponenzialmente con la profondità, mentre l’angolo formato tra la direzione del vento dominante e quella del flusso d’acqua aumenta gradualmente man mano che ci si allontana dalla superficie. Di conseguenza, se consideriamo un’ipotetica colonna d’acqua costituita da una sequenza di strati sovrapposti, ciascuno strato viene rallentato e deviato verso destra rispetto a quello immediatamente superiore, dando luogo ad una distribuzione a spirale Figura 79 - Spirale di Ekman. delle direzioni dei singoli strati indicata come spirale di Ekman (figura 79). Il trasporto completo effettivo degli strati d’acqua guidati dai venti è allora a 90° a destra della direzione dei venti nell’emisfero Nord (a sinistra nell’emisfero Sud). La velocità delle correnti di deriva dipende dall’intensità del vento che le ha generate e dall’ampiezza del tratto di mare su cui il vento può correre indisturbato senza incontrare ostacoli (fetch). Quando il fetch non è limitante, l’intensità della corrente in superficie è stimata circa pari all’1.5 – 3% della velocità del vento che l’ha generata. Tuttavia, in virtù dell’inerzia dei sistemi in gioco, questa velocità viene raggiunta gradualmente e, quindi, con un certo ritardo rispetto al momento in cui il vento inizia a spirare sulla superficie del mare. 105 Appunti di meteorologia marina Correnti di densità Le correnti di densità (o termoaline) (figura 80) sono causate da differenze di temperatura e/o salinità (e quindi di densità) tra le masse d’acqua oceaniche. Le principali cause che modificano la densità delle masse d’acqua sono il differente riscaldamento/ raffreddamento della superficie marina col variare della latitudine e il diverso rapporto tra evaporazione e precipitazioni. Anche la formazione e lo scioglimento del ghiaccio in mare possono causare variazioni di densità e, quindi, contribuiscono a modificare la circolazione termoalina oceanica. I valori più elevati di densità durante l’inverno dell’emisfero Nord si osservano in corrispondenza del Mare del Labrador e del Mar di Groenlandia, mentre durante l’inverno dell’emisfero Sud i valori più alti di densità si osservano nelle acque del Mare di Weddell che circondano l’Antartide. La densità in queste zone raggiunge valori sufficientemente elevati da provocare lo spostamento delle acque superficiali in profondità. In seguito a questi moti convettivi, le acque fredde e salate del Mar di Groenlandia sprofondano e diffondono lentamente attraverso l’Atlantico fino a raggiungere la Corrente Circumpolare Antartica, ove incontrano le acque profonde che si generano nel Mare di Weddell durante l’inverno dell’emisfero Sud. Da queste aree, le masse d’acqua profonde si dirigono verso la fascia equatoriale degli Oceani Pacifico ed Indiano, ove risalgono lentamente in superficie per dar luogo ad una corrente calda superficiale che si sposta verso l’Oceano Atlantico. Giunte in questo Oceano, le masse d’acqua superficiali si uniscono alla Corrente del Golfo per raggiungere nuovamente il Mare di Groenlandia chiudendo il ciclo (figura 80). Tuttavia, la circolazione termoalina è certamente più complessa di quella ora descritta, poiché l’effetto dei venti sulla superficie marina si ripercuote sugli strati sottosuperficiali modificando la distribuzione verticale della densità e, quindi, influenzando gli spostamenti delle masse d’acqua in profondità. In conclusione, la circolazione termoalina oceanica è costituita da masse d’acqua di densità diversa che scorrono più o meno velocemente, affiancate o sovrapposte l’una all’altra, seguendo una direzione più o meno costante e conservando inalterate le loro caratteristiche fisiche per lunghi tratti di mare. Figura 80 - La circolazione termoalina oceanica. Fonte: Climate Change 2001–IPCC. 106 II. Elementi di oceanografia Correnti di pendio Le correnti di pendio hanno origine in tutti i casi in cui si genera una differenza di livello tra due punti della superficie marina. Quelle più frequenti si creano in seguito all’azione del vento e/o della pressione atmosferica sulla superficie del mare. I venti stabili che spirano in prossimità della costa o al largo allontanano le acque superficiali e originano delle correnti di deriva che, a loro volta, possono creare un dislivello della superficie marina. Se il vento spira dal mare verso la terraferma (vento di flusso), lo strato d’acqua superficiale è trascinato verso terra ed il livello in prossimità della costa sale; al contrario, se il vento spira dalla terraferma verso il mare (vento di riflusso), l’acqua superficiale viene trasportata al largo ed il livello in prossimità della costa scende. La differenza di livello tra la zona vicina alla costa ed il mare aperto genera una corrente di pendio che tende a ristabilire l’orizzontalità della superficie marina.Una corrente di pendio può essere provocata anche da differenze di pressione atmosferica sulla superficie del mare e, in particolare, dalla contrapposizione tra un’area ciclonica ed un’area anticiclonica. L’area anticiclonica provoca un abbassamento di livello della superficie marina sottostante, mentre la depressione nell’area ciclonica determina un innalzamento di livello; se le due aree sono sufficientemente vicine si genera uno spostamento di masse d’acqua dalla zone di bassa pressione relativa verso quella di alta pressione relativa per ristabilire l’equilibrio di livello. Un dislivello della superficie marina può essere causato anche dagli effetti delle maree, perciò le correnti di marea (figura 81) possono essere considerate come dei casi particolari di correnti di pendio. Figura 81 - Corrente di marea 107 Appunti di meteorologia marina La circolazione generale degli oceani Nonostante si tenda a classificare le correnti in base alla causa principale da cui hanno origine (correnti di deriva, di densità e di pendio), in realtà esse risultano spesso generate dalla combinazione di cause differenti, perciò il vento, la densità e il dislivello possono agire in concomitanza nel determinare la circolazione generale degli oceani (figura 78). L’emisfero Sud risulta generalmente più freddo rispetto a quello Nord, poiché è influenzato dalla Corrente Circumpolare Antartica presente alle alte latitudini. Le principali correnti calde oceaniche dell’emisfero Sud sono quelle del Brasile, del Mozambico (o Corrente di Aguhlas) e dell’Australia Orientale, mentre le correnti fredde sono quelle del Perù (o Corrente di Humboldt), del Benguela e dell’Australia Occidentale. Le principali correnti calde dell’emisfero Nord sono quelle del Golfo, dell’Atlantico del Nord e di Kuro Siwo, mentre tra le correnti fredde più importanti sono da annoverare quelle della California, del Labrador, delle Canarie e di Oya Siwo (figura 78). Le correnti equatoriali Nord e Sud spingono le acque superficiali verso il Pacifico occidentale, provocando un accumulo di acqua che, a sua volta, genera una controcorrente equatoriale diretta da Ovest verso Est. La circolazione generale del Mediterraneo ed il bilancio idrico con l’Oceano Atlantico Il bacino del Mediterraneo è interessato generalmente da correnti di debole intensità e direzione variabile. Ciò è dovuto principalmente al fatto che il Mediterraneo è un mare tendenzialmente ‘chiuso’ e caratterizzato da un fetch di estensione limitata. In queste condizioni, i venti che spirano al largo sono in grado di generare delle correnti superficiali che difficilmente superano velocità di 1-2 nodi. Il Mediterraneo è diviso essenzialmente in un bacino occidentale ed uno orientale separati da una soglia profonda circa 400 metri che si estende dalla Sicilia al Nord Africa. Raggiunge una profondità di cira 3400 m nel bacino occidentale e 4200 m in quello orientale. I due bacini sono costruiti, a loro volta, da una serie di mari interni: nel bacino occidentale troviamo il Mare di Alboran, Bacino Balearico e Mar Tirreno; il bacino orientale comprende il Mar Adriatico, Mar Ionio, Mar Egeo e Bacino Levantino. Questa conformazione è fondamentale per comprendere la circolazione delle masse d’acqua. La circolazione del Mediterraneo è complessa e composta da circolazioni a diversa scala e a diversa profondità che interagiscono tra di loro. Essa è determinata in gran parte dagli scambi di masse d’acqua con l’Oceano Atlantico, dall’azione del vento e dal flusso superficiale dovuto alle acque dolci e agli scambi di calore (figura 82). Figura 82 - Bilancio idrico tra l’Atlantico ed il Mediterraneo. 108 II. Elementi di oceanografia Il Mar Mediterraneo e l’Oceano Atlantico sono separati dallo Stretto di Gibilterra e presentano caratteristiche chimico-fisiche profondamente differenti. Il Mediterraneo, a causa dell’elevata evaporazione, è caratterizzato da una accentuata salinità che non può essere compensata dall’apporto di acqua fluviale e piovana. Questo mare, infatti, riceve dai fiumi solo circa un terzo della quantità di acqua persa per evaporazione, mentre la rimanente parte proviene principalmente dall’Oceano Atlantico. La differenza di densità tra questi due bacini idrici determina il passaggio attraverso lo Stretto di Gibilterra di acqua proveniente dall’Atlantico che, essendo più leggera, rimane in superficie; al contrario, l’acqua del Mediterraneo, essendo più pesante, tende a sprofondare e ad uscire dallo Stretto di Gibilterra originando una corrente sottosuperficiale (figura 82). Il passaggio di acqua superficiale dall’Atlantico al Mediterraneo è favorito anche dalle correnti di pendio che si generano a causa del dislivello esistente tra questi due bacini idrici (circa 30 cm a favore dell’Oceano Atlantico). Altre masse d’acqua di modesta entità possono entrare nel Mediterraneo dal Mar Nero, sotto forma di correnti superficiali che attraversano il Bosforo, il Mar di Marmara e lo Stretto dei Dardanelli. Il differente flusso di masse d’acqua in entrata ed in uscita dal Mediterraneo è compensato dall’evaporazione. Le correnti fredde oceaniche sono troppo profonde per riuscire a passare attraverso lo Stretto di Gibilterra, perciò il Mar Mediterraneo risulta tendenzialmente caldo. Il flusso d’acqua in ingresso attraverso lo stretto di Gibilterra alimenta la circolazione generale del Mediterraneo (figura 83). In ogni caso, al fine di descrivere la circolazione generale, è importante identificare e caratterizzare le masse d’acqua. Figura 83 - La circolazione generale del Mediterraneo. Le frecce indicano a direzione media delle correnti superficiali. L’Acqua Atlantica (AW – Atlantic Water) che entra dallo stretto di Gibilterra occupa uno strato con una profondità non superiore al centinaio di metri. Questa massa d’acqua, a causa dell’evaporazione che ne aumenta la densità, scende via via più in profondità man mano che avanza da ovest verso est. La corrente costeggia le coste dell’Africa prendendo il nome di Corrente Algerina, all’inizio ben definita e profonda (200-400 m) e via via più irregolare ed ampia man mano che si avvicina al Canale di Sardegna. All’altezza della Tunisia un ramo della corrente si stacca e va ad alimentare la circolazione del bacino Sardo-Balearico. 109 Appunti di meteorologia marina Superato il Canale di Sardegna la corrente si biforca: un ramo si dirige verso Nord nel Mar Tirreno dove circola in maniera ciclonica (in senso antiorario) e arriva fino al Bacino Ligure-Provenzale. L’altro ramo supera il Canale di Sicilia e in parte si dirige verso Nord formando un giro ciclonico nello Ionio Occidentale ed una parte prosegue verso sud rimanendo prossima alla costa africana. La corrente continua a scorrere verso est dove raggiunge le coste del Medio Oriente in una zona compresa tra Cipro e Rodi dove si trasforma in Acqua Levantina. Le masse d’acqua sottosuperficiali caratteristiche del Mediterraneo sono l’acqua intermedia e l’acqua profonda. Queste si formano o a causa di un intenso raffreddamento superficiale dovuto ad esempio all’arrivo di masse d’aria continentali fredde e secche sul mare oppure a causa di un aumento di salinità dovuto ad esempio ad una forte evaporazione. L’Acqua Levantina Intermedia (LIW – Levantine Intermediate Water) si forma nel bacino Levantino settentrionale, in prossimità di Cipro, nel tardo inverno attraverso processi di convezione intermedia cioè processi di mescolamento fino ad una profondità di circa 200-300 m. Dopo Creta la LIW si biforca: un ramo raggiunge il Mar Adriatico ed un altro prosegue, attraverso il canale di Sicilia, nel bacino occidentale, raggiungendo profondità di 500-600 m. Qui la corrente si divide ulteriormente: un ramo prosegue direttamente verso ovest lungo le coste dell’Algeria, l’altro scorre in senso antiorario prima nel Mar Tirreno e poi prosegue nel Bacino Balearico. La LIW è importante perché contribuisce in maniera predominante alla fuoriuscita di acqua dal Mar Mediterraneo all’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra. Nel Mar Mediterraneo la formazione di acque profonde avviene in inverno. Nel bacino occidentale si ha nel Golfo del Leone, dove in inverno il Maestrale causa il raffreddamento e lo sprofondamento delle acque superficiali (WMDW – Western Mediterranean Deep Water). La WMDW in parte si mescola con la LIW e riesce a fuoriuscire dallo Stretto di Gibilterra. Nel bacino orientale la formazione di acqua profonda avviene nel sud Adriatico e nel Mar Egeo (EMDW – Eastern Mediterranenan Deep Water) per fenomeni di convezione quando acqua fredda sprofonda, raggiunge il Mar Ionio e poi il bacino orientale. La EMDW non si mescola con la WMDW perché scorre a profondità maggiori del Canale di Sicilia. Recenti osservazioni hanno anche dimostrato la formazione nel bacino Levantino nord-orientale di acque profonde (LDW – Levantine Deep Water) in inverni eccezionalmente freddi. Per quanto riguarda i mari italiani in particolare si ha quindi che nel Mar Adriatico prevale una circolazione in senso antiorario. Le acque provenienti dalla Grecia risalgono verso nord lungo le coste della Croazia e ridiscendono lungo la costa italiana. La corrente costiera è quindi diretta verso Sud e può raggiungere valori di intensità prossimi a 1 nodo vicino al Gargano ed a Capo d’Otranto. Nel Tirreno, dove la corrente superficiale forma un giro ciclonico, le coste della penisola sono lambite da correnti dirette verso nord e di debole intensità (circa 0.5 nodi); in Sardegna invece c’è una corrente predominante diretta verso sud. Nel Mar Ionio prevale una circolazione ciclonica e la corrente costiera è quindi diretta verso sud. La conformazione irregolare delle coste e le numerose isole generano altre correnti locali e delle controcorrenti che contribuiscono alla circolazione generale del Mediterraneo (figura 83). È importante sottolineare come la direzione e l’intensità delle correnti nel Mediterraneo possano subire modifiche sostanziali rispetto alla situazione descritta precedentemente, a causa principalmente della variabilità climatica stagionale e 110 II. Elementi di oceanografia delle caratteristiche locali dei venti e degli altri elementi che contribuiscono alla formazione delle correnti marine. I cambiamenti climatici stanno modificando i flussi di energia e di acqua che interessano il Mediterraneo, alterando la quantità di energia in arrivo sulla superficie marina, gli apporti idrici dai fiumi ed il bilancio tra evaporazione e precipitazioni. Di conseguenza, anche la circolazione generale del Mediterraneo potrà subire profondi cambiamenti rispetto alla situazione attuale, con notevoli ripercussioni sul clima e sulle biocenosi marino-costiere. Il ruolo delle correnti sul clima della Terra e sulle biocenosi marine Le correnti svolgono un ruolo determinante sul clima della Terra, rendendo le coste che lambiscono più fredde o più calde rispetto ai valori che si osservano alle medesime latitudini in aree in cui esse non sono presenti. Gli effetti delle correnti sono particolarmente evidenti nel caso in cui siano accompagnate da venti che si dirigono verso terra che, scambiando energia termica con gli strati superficiali del mare, contribuiscono a modificare le caratteristiche fisiche delle masse d’aria in movimento. Un esempio di corrente calda è rappresentato dalla Corrente del Golfo che proviene dai mari caldi dell’America Centrale e che si spinge verso Nord-Est fino a lambire le coste atlantiche dell’Europa, accompagnata da venti che contribuiscono a mitigare i rigori invernali delle regioni europee che si affacciano sull’Oceano Atlantico. Inoltre, mentre i venti che spirano sopra le correnti calde si caricano di umidità e la trasportano sulla terraferma dando origine a precipitazioni, le correnti fredde possono provocare la condensazione dell’umidità presente nei venti che spirano sopra di esse ed impedire che raggiunga la terraferma. Le correnti influenzano profondamente anche le biocenosi marine. Le acque profonde risultano più ricche di elementi nutritivi che generalmente giacciono sul fondo. Ciò è dovuto al fatto che nei fondali oceanici avviene la decomposizione dei resti degli organismi marini con liberazione di grandi quantità di sostanze nutritive. Quando si generano correnti di risalita delle acque profonde, upwelling (figura 84), si riscontra un’elevata pescosità. Questo perché l’acqua, durante il suo spostamento da zone profonde verso la superficie, trascina con se una grande quantità di nutrienti che vengono così a trovarsi ad una profondità minore, alla quale è possibile la fotosintesi e la produzione di fitoplancton, il primo anello della catena alimentare. L’upwelling favorisce il rimescolamento tra gli strati superficiali e quelli profondi del mare, permettendo la sostituzione delle masse d’acqua in superficie ed il rinnovo degli elementi nutritivi indispensabili alla vita degli organismi marini. Figura 84 - Fenomeno dell’upwelling. 111 Appunti di meteorologia marina Il meccanismo che determina la risalita in superficie delle acque profonde è dovuto prevalentemente all’azione dei venti e delle correnti oceaniche. Se il vento soffia parallelamente alla costa, lasciandola a sinistra (a destra nell’emisfero meridionale), per il meccanismo di trasporto di Ekman, la massa d’acqua si allontanerà dalla costa (con un angolo di 90°) richiamando acque profonde (figura 84). L’upwelling è particolarmente intenso in prossimità delle coste del Perù e del Cile del Nord, dove le temperature delle acque superficiali sono in genere di 7-8°C inferiori rispetto alle medie di queste latitudini, e rappresenta uno dei principali motivi a cui si deve l’elevata pescosità di questi mari. In Mediterraneo il fenomeno è molto noto nel Mar Ligure che non a caso è un mare ricco di plancton dove amano spesso trattenersi grandi cetacei. La misura delle correnti Per descrivere il moto di un fluido si possono utilizzare due approcci differenti: ¿ approccio euleriano ¿ approccio lagrangiano Il primo approccio considera il moto di un fluido in un punto fisso dello spazio, mentre il secondo studia il moto di una parcella di fluido in funzione del tempo. Tra gli strumenti per misurare le correnti marine che utilizzano l’approccio euleriano si distinguono due tipi di trasduttori del segnale: ¿ statici ¿ dinamici Tra i primi i più utilizzati sono i correntometri a rotore che consentono di misurare la velocità e la direzione delle correnti marine in un determinato punto. Questi strumenti sono dotati di un apposito rotore, solitamente a forma di elica o di pala, che viene posto in rotazione dall’acqua in movimento. Uno degli strumenti più diffusi in passato era il correntometro di Ekman, dotato di un rotore costituito da un elica a lame multiple (ventola). Il principale inconveniente di questi sistemi è dovuto alla possibile influenza che il moto verticale delle acque può esercitare sul rotore. Per minimizzare questo effetto il rotore può essere inserito all’interno di un cilindro vuoto che costituisce un rivestimento protettivo intorno alla ventola. Alternativamente può essere utilizzato un rotore di Savonius (figura 85), formato da due semicilindri cavi montati verticalmente rispetto all’asse di rotazione ed inseriti su due dischi posti alle loro estremità. Nei sistemi attuali la rotazione del rotore viene convertita in un segnale elettrico trasmesso via cavo ad un registratore situato a bordo delle navi, o comunicato via radio da una boa ai centri di elaborazione posti a terra o su navi specializzate. La direzione predominante della corrente viene registrata per mezzo di un meccanismo che provoca la caduta di piccole sfere di bronzo in un vassoio circolare suddiviso in trentasei settori (di 10° ciascuno) ad intervalli regolari; la disposizione delle sfere è regolata dall’ago di un compasso che indica la direzione della corrente. Figura 85 - Rotore di Savonius. 112 II. Elementi di oceanografia Tra gli strumenti con approccio euleriano che utilizzano trasduttori statici bisogna ricordare l’elettrocinetografo geomagnetico. Questo strumento si basa sulla misura della forza elettromotrice che viene indotta in un conduttore quando si sposta attraverso un campo magnetico. Nel caso specifico il conduttore è costituito dall’acqua marina ed il campo magnetico è rappresentato dalla Terra; due elettrodi vengono sospesi in acqua da una nave e dalla misura della forza elettromotrice che si genera tra di essi è possibile risalire alla velocità e direzione della corrente. Tra i metodi per misurare la corrente che utilizzano l’approccio lagrangiano, i più semplici si avvalgono di oggetti galleggianti in mare. In passato sono state utilizzate bottiglie, fogli di carta, pali di legno, mentre attualmente vengono utilizzati anche traccianti costituiti da sostanze coloranti, oli, aste e boe mobili. Tutti questi mezzi di superficie presentano il difetto di essere influenzati anche dall’effetto del vento, per cui è necessario ridurre al minimo la superficie esposta esternamente al pelo libero dell’acqua. Tra questi dispositivi quelli che forniscono i migliori risultati sono le boe mobili, anche per la possibilità che offrono di trasmettere segnali radio e di essere localizzate e seguite a distanza tramite postazioni aeree e satellitari. Un’altra tecnica moderna per lo studio delle correnti marine consiste nella tomografia acustica. Questa tecnica utilizza onde sonore per studiare la temperatura e la velocità delle masse d’acqua. Il principio di funzionamento di un correntometro acustico si basa sulla misura del tempo impiegato da una pulsazione acustica emessa da un trasmettitore a raggiungere un ricevitore. Questo parametro fornisce una stima della velocità della corrente e, poiché la velocità del suono in mare dipende anche dalla temperatura della massa d’acqua attraversata, consente di determinare il valore della temperatura delle acque sottosuperficiali. Un altro tipo di correntometro acustico (Acoustic Doppler Current Profiler) si basa sull’emissione di ultrasuoni e sulla ricezione da parte dello stesso strumento del segnale Doppler riflesso da particelle sospese (per esempio, plancton), che sono diffuse praticamente ovunque e si muovono con la stessa velocità dell’acqua. Fenomenologia del moto ondoso Il moto ondoso costituisce uno dei principali argomenti di studio della meteorologia marina. Le onde di superficie infatti generano intense sollecitazioni su qualsiasi tipo di struttura in mare o sulle coste, sia che essa sia fissa o mobile, sommersa o di superficie. Influenza quindi un vasto campo di attività: navigazione, pesca, turismo, controllo dell’inquinamento e installazioni industriali. Nel caso di grandi navi, per esempio, il moto ondoso può diminuire la velocità di avanzamento, incrementare i consumi di carburante ed influire sul comfort del viaggio, mentre nel caso di piccole imbarcazioni può costituire un vero e proprio pericolo. Inoltre, le onde vicino a costa possono causare movimenti della sabbia, svolgendo un’azione erosiva su condotte sottomarine e su manufatti e fabbricati situati in prossimità delle coste. Infine, le onde svolgono un’azione di modellamento sui litorali, contribuendo all’erosione costiera e a modificare la linea di costa. I tipi di onde che si propagano in mare sono: ¿ onde sonore ¿ onde capillari ¿ onde di gravità 113 Appunti di meteorologia marina ¿ onde interne ¿ storm surges ¿ tsunami ¿ maree. Le onde sonore che si propagano in mare sono analoghe alle onde sonore nell’atmosfera. Le onde capillari e le onde di gravità sono onde di superficie e costituiscono il moto ondoso ordinario. Le onde interne sono oscillazioni che si propagano all’interfaccia tra strati di acqua a differente densità, analogamente alle onde di superficie (interfaccia aria-mare). Le storm surges rappresentano fenomeni particolari di innalzamento o abbassamento del livello medio marino, legati al passaggio di perturbazioni atmoferiche. Gli tsunami, detti anche maremoti, sono eventi estremi ed altamente energetici generati principalmente da terremoti, eruzioni o smottamenti sottomarini. Le maree rappresentano innalzamenti e abbassamenti periodici della superficie marina, legati all’attrazione gravitazionale della luna e del sole. La generazione e l’evoluzione delle onde marine possono essere attribuite a numerose cause, tra cui le principali sono: ¿ l’interazione tra l’atmosfera e la superficie del mare (moto ondoso ordinario, i.e. onde di superficie, e storm surges); ¿ perturbazioni del gradiente di densità (onde interne); ¿ terremoti, eruzioni o smottamenti sottomarini (tsunami); ¿ fenomeni astronomici (maree). Il concetto di onda ed i suoi elementi caratteristici Il concetto di onda in fisica è estremamente generale e riguarda innumerevoli fenomeni fisici, dalle onde marine a quelle sismiche, dalle oscillazioni di una corda a quelle acustiche (suono), dalle onde elettromagnetiche (onde radio, microonde, luce visibile, raggi X, raggi gamma) a quelle di materia (le onde di Schrödinger in meccanica quantistica). Le onde sono una forma di trasporto di energia associata ad un’oscillazione che si propaga nello spazio; esse non comportano un effettivo trasferimento di materia ma solo la propagazione dell’oscillazione. Alcuni tipi di onde hanno bisogno di un mezzo per propagarsi (acqua, aria, solidi), altre, come le onde elettromagnetiche, non ne hanno necessità. Per definire gli elementi caratteristici di un’onda consideriamo la semplice onda sinusoidale, così chiamata perché il suo profilo è descritto dalla funzione trigonometrica seno (figura 86). Figura 86 - Onda sinusoidale a due istanti diversi t1 e t2. 114 II. Elementi di oceanografia In realtà, l’onda sinusoidale è solo l’approssimazione più semplice possibile per descrivere le onde marine. Nonostante questo, però, essa permette già di descrivere la maggior parte delle caratteristiche del moto ondoso. L’onda sinusoidale rappresenta la base della teoria lineare delle onde. In un’onda viene chiamata cresta o dorso la parte più elevata e gola, cavo, o ventre quella più bassa. Gli elementi caratteristici essenziali di un’onda sinusoidale sono: ¿ l’altezza (H): distanza verticale tra la cresta e la gola; ¿ la lunghezza (L): distanza orizzontale tra due creste consecutive; ¿ il periodo (T): tempo che intercorre tra il passaggio di due creste consecutive in un punto fissato. Le onde marine Le onde marine ordinarie sono generate dallo scambio energetico che avviene nell’interfaccia tra lo strato superficiale delle acque marine e lo strato inferiore dell’atmosfera. Quando il vento spira sopra la superficie marina, parte dell’energia cinetica della massa d’aria in movimento viene trasferita al mare. Una certa quantità di questa energia genera delle correnti superficiali, mentre la maggior parte di essa è causa della formazione di onde. Il moto ondoso interessa normalmente soltanto la parte superficiale del mare e, contrariamente alle apparenze, non comporta, tranne che in prossimità delle coste, né un importante trasferimento orizzontale di acqua, né un suo semplice abbassamento ed innalzamento. Se da un punto di osservazione fisso si osserva un piccolo Figura 87 - Meccanismo di propagazione galleggiante libero situato in acque suffidel moto ondoso con indicata l’orbita cientemente profonde, si potrà constatare (cerchio) di un galleggiante (pallino) che esso non viene trascinato via dall’onda, situato sulla superficie marina. ma descrive un moto approssimativamente circolare (figura 87). Sebbene, infatti, al passaggio della perturbazione l’acqua in un certo punto formi una cresta o una valle alternativamente, in realtà essa non può soltanto muoversi verticalmente, a causa del fatto che è sostanzialmente incomprimibile. Quindi, se una cresta si abbassa, parte dell’acqua sottostante deve spostarsi anche lateralmente e la superficie adiacente si deve innalzare. Più precisamente, l’acqua si sposta in avanti in corrispondenza di una cresta e indietro in corrispondenza di una gola, pertanto le particelle d’acqua seguono un moto approssimativamente circolare e chiuso. Per questo motivo tali onde sono dette onde progressive orbitali: sono dette orbitali perché al passaggio dell’onda le particelle di acqua si muovono su un’orbita quasi chiusa; sono dette progressive perché la forma d’onda si muove in direzione orizzontale. Naturalmente, le particelle d’acqua che risentono di questo moto non sono soltanto quelle in superficie, ma anche quelle più profonde, solo che il raggio delle orbite diminuisce progressivamente, in modo esponenziale, all’aumentare della profondità. In definitiva, dunque, al passaggio dell’onda le particelle d’acqua non si spostano molto dalla posizione di partenza, per cui in realtà è soltanto la forma dell’onda a propagarsi nello spazio e non le particelle stesse. Per concludere, però, è necessario precisare che anche in acque profonde si ha un lieve ma effettivo trasferimento orizzontale di acqua dovuto ad effetti non lineari (Stokes drift) e al frangimento in acque profonde; questo provoca correnti 115 Appunti di meteorologia marina superficiali piccole rispetto alla velocità orbitale, ma non completamente trascurabili. Le onde marine possono essere classificate in funzione della loro altezza (H) e della loro lunghezza (L); convenzionalmente si definiscono le seguenti categorie: ¿ onde basse (H < 2 m) ¿ onde medie (H = 2-4 m) ¿ onde alte (H > 4 m) ¿ onde corte (L < 100 m) ¿ onde medie (L = 100-200 m) ¿ onde lunghe (L > 200 m). Si devono infine distinguere due tipologie di moto ondoso sulla base della profondità delle acque: ¿ Acque profonde: quando la profondità del mare può essere considerata ‘infinita’ o, in altri termini, le onde non sono influenzate dalla presenza del fondale marino. Questa condizione si realizza quando la profondità dell’acqua è superiore a 1/2 della lunghezza d’onda. ¿ Acque basse: quando la presenza del fondale marino influenza in maniera sensibile l’evoluzione stessa delle onde. Questa condizione si realizza quando la profondità dell’acqua è inferiore a circa 1/25 della lunghezza d’onda. Come vedremo, il moto ondoso in acque basse presenta delle caratteristiche specifiche. La formazione delle onde Le principali forze che contribuiscono alla formazione e propagazione del moto ondoso sono la forza generatrice rappresentata dal vento e le forze di richiamo le forze che tendono a riportare l’acqua nella posizione di equilibrio, costituite dalla tensione superficiale dei liquidi e dalla gravità. La tensione superficiale costituisce la principale forza di richiamo quando la lunghezza d’onda è inferiore a 1.7 cm (onde capillari), mentre diviene trascurabile rispetto alla gravità per lunghezze d’onda superiori ai 10 cm (onde di gravità o da vento). Quando il vento inizia a soffiare, si formano modeste increspature di pochi millimetri della superficie marina, le onde capillari appunto, caratterizzate da un profilo con cresta piatta e larga e cavo stretto e ripido. Le onde guadagnano energia sia per azione diretta dovuta all’attrito del vento sulla superficie marina, sia per differenze di pressione che si generano tra i vari punti del profilo d’onda. Se il vento continua ad agire sulla superficie marina, le onde capillari crescono fino a diventare onde di gravità che, a differenza di quelle capillari, sono caratterizzate da un cavo piatto e largo e da una cresta stretta e ripida. Mentre le onde capillari si interrompono nel momento in cui termina l’azione del vento sulla superficie marina, quelle di gravità non si estinguono immediatamente al cessare del vento. Le onde di gravità possono propagarsi anche esternamente alla zona di influenza del vento che le ha generate, percorrendo notevoli distanze dal punto in cui si sono originate ed assumendo un profilo approssimativamente sinusoidale. Naturalmente, le onde non possono crescere all’infinito; ad un certo punto raggiungono un’altezza critica e si rompono. In acque profonde il frangimento è legato alla ripidità d’onda (H/L, in inglese stepness): se H/L > 1/7 (Stokes) le onde diventano instabili e frangono generando schiuma (white capping). Il frangimento è il principale meccanismo di dissipazione di energia in acque profonde. 116 II. Elementi di oceanografia Vento e onde Il vento genera sulla superficie del mare delle onde che si propagano nella direzione del vento stesso. L’altezza raggiunta dalle onde dipende dall’intensità del vento: maggiore è l’intensità del vento, più elevata è l’altezza delle onde. Tuttavia, lo scambio energetico tra vento e superficie marina è influenzato anche dal tempo di persistenza del vento che insiste su un determinato tratto di mare, perciò l’altezza raggiunta dalle onde sarà determinata, oltre che dall’intensità del vento, anche dalla sua durata. Man mano che il vento insiste sulla superficie del mare, le onde crescono in altezza fino al limite di rottura. Quando si verifica questa condizione si parla di mare completamente sviluppato e l’onda raggiunge l’altezza massima per quei determinati valori di intensità e durata del vento. La figura 88 mostra la relazione esistente tra l’altezza d’onda e la velocità e persistenza del vento, nel caso di onde in acque profonde. Questa relazione non tiene però conto dell’estensione del tratto di mare, privo di ostacoli significativi, su cui il vento può soffiare con direzione e velocità invariate, che di solito viene indicato con il termine internazionale fetch. In un mare delimitato e di piccole dimensioni come il Mediterraneo, per esempio, non si hanno solitamente onde con altezze elevate, poiché l’effettiva influenza che la velocità e la persistenza del vento svolgono sulla formazione delle onde è fortemente limitata dal fetch (figura 89). Figura 88 - Altezza delle onde in funzione della velocità del vento e della sua persistenza. Figura 89 - Altezza delle onde in funzione della velocità del vento e del fetch. L’unica zona dove è più probabile incontrare onde molto alte, è l’area situata ad Ovest della Sardegna. Questa zona è infatti caratterizzata dalla persistenza del Maestrale e da un ampio tratto di mare privo di ostacoli; queste condizioni creano il presupposto per la formazione di onde tra le più alte di tutto il bacino del Mediterraneo. Tenendo conto di questi tre fattori (fetch, intensità e tempo di persistenza del vento) è possibile stimare l’altezza delle onde nelle più svariate condizioni. A questo scopo è possibile utilizzare delle tabelle (tabella 6) o degli appositi diagrammi in scala bilogaritmica (figura 90) che mettono in relazione i suddetti parametri con l’altezza raggiunta dalle onde. Tramite il diagramma di figura 90, che si riferisce ad un regime di acque profonde, conoscendo il valore della velocità del vento ed il fetch è possibile risalire ai seguenti parametri del moto ondoso: 117 Appunti di meteorologia marina ¿ l’altezza d’onda, tramite la scala logaritmica posta sull’asse delle ordinate a sinistra del diagramma; ¿ il periodo dell’onda, tramite le curve tratteggiate del diagramma; ¿ la durata del vento necessaria perché si formino onde con determinate caratteristiche di altezza e periodo, tramite la scala logaritmica posta sull’asse delle ascisse. Le parti del diagramma in cui l’altezza ed il periodo delle onde risultano praticamente indipendenti sia dal fetch che dalla durata del vento, indicano una situazione di mare completamente sviluppato. Velocità del vento (nodi) Durata del vento (ore) Fetch (Km) Altezza delle onde (m) 10 6 40 0.5-0.6 20 18 250 2.3-2.5 30 24 600 5.0-5.5 40 48 1500 9 Tabella 6 - Stima dell’altezza delle onde in funzione di: intensità del vento, tempo di persistenza e fetch. Figura 90 - Diagramma per determinare l’altezza ed il periodo delle onde in funzione della velocità e durata del vento e del fetch in regime di acque profonde. Lo stato del mare Con stato del mare si intende lo stato di agitazione della superficie marina. Sulla base di quanto già detto, è possibile distinguere due categorie di stato del mare a seconda della tipologia di onde che lo caratterizzano: ¿ mare di vento (o mare vivo; in inglese, wind sea); ¿ mare lungo (o mare morto; in inglese, swell). Il mare di vento è caratterizzato da una serie di onde generate dal vento che insiste sul tratto di mare su cui sono rilevate. La lunghezza delle onde è general- 118 II. Elementi di oceanografia mente piccola ed il moto ondoso presenta un comportamento molto irregolare, caratterizzato da un susseguirsi di onde alte e basse senza un preciso ordine. È anche possibile osservare la formazione di onde più piccole che si propagano sulla cresta di onde di maggiori dimensioni. Il mare vivo determina generalmente un mare agitato e condizioni difficili di navigazione. Il mare lungo è caratterizzato da onde provenienti da zone anche molto distanti da quella nella quale si sta effettuando l’osservazione o da onde residue in zone che in precedenza sono state interessate da venti intensi. Le onde in questione, quindi, non dipendono più dall’azione diretta del vento e possono propagarsi per centinaia di chilometri attraverso aree in cui il vento può essere anche completamente assente. Le creste di queste onde sono più arrotondate e più lunghe rispetto a quelle del mare vivo. Inoltre, esse mostrano una direzione di provenienza dominante. D’altronde, quando le onde lasciano l’area dove sono state generate, sono soggette ad una dispersione angolare rispetto a tale direzione (angular spreading). Il risultato è che la loro energia si distribuisce su un’area sempre maggiore; quindi, l’energia media per unità di area e conseguentemente l’altezza delle onde diminuiscono con la distanza dal luogo di origine. Questa è la causa principale di diminuzione dell’altezza delle onde. Le onde lunghe o morte non sono generalmente considerate pericolose per la navigazione, tranne che in prossimità di bassi fondali o alle entrate di determinati porti, in cui sono presenti barriere sabbiose o altri ostacoli che possono provocare la rottura violenta delle onde. È possibile procedere ad una classificazione dello stato del mare tramite la scala Douglas (tabella 7). Questa scala è suddivisa in 10 gradi (da mare calmo a tempestoso) e si trova spesso associata alla scala Beaufort della forza del vento, che rappresenta la scala più conosciuta per studiare la relazione tra la velocità del vento e lo stato del mare (tabella 5). La scala Beaufort pone in relazione il grado Beaufort con la velocità del vento determinata a 10 metri di altezza sopra la superficie marina, l’altezza probabile delle onde e la descrizione degli effetti esercitati dal vento sul mare. In figura 91 è possibile osservare fotografie dello stato del mare in corrispondenza dei differenti gradi Beaufort. La scala Beaufort è di indubbio valore pratico, tuttavia presenta il limite di poter essere applicata solo in mare aperto lontano dalle coste, quando il fetch e la persistenza del vento non sono limitati dalla vicinanza della terraferma. Grado Douglas Descrizione del mare 0 Calmo Altezza media delle onde (m) 0.00 1 Quasi calmo 0.00 - 0.10 2 Poco mosso 0.10 - 0.50 3 Mosso 0.50 - 1.25 4 Molto mosso 1.25 - 2.50 5 Agitato 2.50 - 4.00 6 Molto agitato 4.00 - 6.00 7 Grosso 6.00 - 9.00 8 Molto grosso 9.00 - 14.00 9 Tempestoso oltre 14.00 Tabella 7 - Scala Douglas dello stato del mare. 119 Appunti di meteorologia marina Figura 91 - Immagini relative allo stato del mare in corrispondenza dei differenti gradi della scala Beaufort (tratta dal personal web-site di J.M.J. Journée). Acque basse ed ostacoli Nei paragrafi precedenti sono state esaminate principalmente le caratteristiche del moto ondoso al largo, in acque profonde. Vogliamo adesso descrivere alcune caratteristiche specifiche del moto ondoso vicino alla costa, o più in generale in acque basse, ed in presenza di ostacoli. Una prima differenza rispetto al caso di acque profonde riguarda il moto orbitale delle particelle d’acqua. Come si è visto, i raggi delle orbite circolari diminuiscono esponenzialmente con la profondità. Più precisamente, ad una profondità uguale alla metà della lunghezza d’onda, gli spostamenti delle particelle d’acqua sono circa il 4% di quelli alla superficie. Questo significa che a profondità maggiori di questa l’influenza del fondale sul moto delle onde è trascurabile. Viceversa, nel caso di acque la cui profondità è meno della metà della lunghezza d’onda il fondale comincia a far sentire i suoi effetti. Per convenzione si assume come limite di acque basse la profondità di circa 1/25 della lunghezza d’onda, mentre il tratto compreso tra il limite di acque profonde e quello di acque basse è detto zona di transizione. 120 II. Elementi di oceanografia Nelle acque basse le particelle d’acqua risentono dell’attrito esercitato dal fondale e le traiettorie circolari da esse descritte tendono ad appiattirsi, assumendo forme ellittiche sempre più schiacciate man mano che si scende verso il fondo (figura 92). Figura 92 - Schema delle orbite descritte dalle particelle d’acqua a differenti profondità. Avvicinandosi alle coste, le onde subiscono anche modifiche in velocità, direzione, lunghezza, altezza ed altre caratteristiche; solo il periodo resta costante. La velocità delle onde, per esempio, diminuisce al diminuire della profondità; inoltre, poiché le onde che precedono vengono rallentate prima di quelle che seguono, anche la lunghezza d’onda diminuisce. Ne consegue che, a causa della conservazione del flusso di energia, l’altezza delle onde aumenta. Il fenomeno relativo all’aumento dell’altezza dell’onda con la risalita graduale del fondale marino, prende il nome di shoaling. Naturalmente, anche in acque basse l’altezza dell’onda non può aumentare indefinitamente; ma mentre in alto mare l’onda si rompe una volta raggiunta una ripidità di circa 1/7, in acque basse la rottura avviene quando la profondità del mare è circa 1.3 volte l’altezza dell’onda. In realtà, questo numero dà solo un’indicazione qualitativa: dai molti studi fatti per trovare una relazione che permetta di prevedere l’altezza di rottura dell’onda in funzione della profondità, si è visto che essa dipende fortemente dalla conformazione del fondale e dal tipo di onda. La rottura dell’onda dà luogo ai frangenti (in inglese, breakers). La formazione dei frangenti, con la conseguente caduta in avanti della cresta dell’onda rispetto alla gola, origina un movimento orizzontale di acqua verso terra. Quando i frangenti si dispongono su una linea più o meno continua, originano una barra o linea di rottura (in inglese, surf). La zona compresa tra il punto di rottura dell’onda e la costa è detta surf zone. Il frangimento dell’onda si può classificare in quattro tipi (Galvin, 1968): a deflusso (spilling), a cascata (plunging), a collasso (collapsing) e a flusso montante (surging). Il frangimento a deflusso è caratterizzato da un’onda concava sia sul fronte che sul dorso, con la cresta che si rompe e cade gradualmente in avanti generando schiuma (figura 93a); è associato a fondali con modesta pendenza ed onde con bassa ripidità. Il frangimento a cascata è caratterizzato da un’onda fortemente concava sul fronte e convessa sul dorso, con la cresta che cade in avanti formando una fragorosa cascata e generando schiuma (l’onda preferita dai surfisti, con la formazione del famoso tubo; figura 93b); è associato a fondali con media pendenza ed onde con media ripidità. Il frangimento a collasso è caratterizzato da un’onda con la cresta che non si rompe, mentre la parte bassa del fronte diventa ripida, cade in avanti in modo 121 Appunti di meteorologia marina turbolento e genera schiuma (figura 93c); è associato a fondali con pendenza maggiore rispetto ai precedenti ed onde con media-forte ripidità. Il frangimento a flusso montante è caratterizzato da un’onda con la cresta che non si rompe, mentre la parte bassa del fronte avanza verso la spiaggia generando schiuma senza un vero e proprio getto d’acqua (figura 93d); è associato a fondali con forte pendenza ed onde con forte ripidità. Un altro fenomeno che si verifica in corrispondenza delle coste è quello della rifrazione, analogo alla deviazione che i raggi luminosi subiscono attraversando strati adiacenti di materiali differenti. a b c d Figura 93 - Frangimento delle onde: (a) a deflusso, (b) a cascata, (c) a collasso, (d) a flusso montante. Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers. Se le onde che entrano nella zona di acque basse non stanno avanzando perpendicolarmente alle curve di livello dei fondali (o isobate), la parte del fronte d’onda che si trova in acque più profonde si muove più rapidamente di quella in acque più basse; di conseguenza il fronte ruota fino a disporsi parallelamente alle curve di livello e, quindi, alla riva stessa (figura 94). Per studiare la traiettoria di queste onde, è possibile tracciare delle linee perpendicolari alle loro creste (dette ortogonali d’onda) utilizzando riprese aeree o modelli di bacino. Le ortogonali d’onda risultano molto ravvicinate in prossimità dei promontori e, in genere, delle sporgenze presenti sulla costa, indicando una concentrazione di energia in queste zone che origina un mare agitato (figura 95) Al contrario, nelle baie le ortogonali d’onda risultano più distanziate, indicando le zone in cui le onde giungono attenuate permettendo così la deposizione e la sedimentazione di materiale fine come la sabbia (figura 95). Tramite la rappresentazione delle ortogonali d’onda è possibile anche individuare la presenza di valli e creste sottomarine. Quando un’onda giunge sopra una valle sottomarina, si osservano delle divergenze delle ortogonali d’onda che indicano la presenza di una zona più calma rispetto alle zone limitrofe (figura 96a). Al contrario una convergenza delle ortogonali al di sopra di una determinata area, indica la presenza di rilievi sottomarini perpendicolari alla costa che provo- 122 II. Elementi di oceanografia Figura 94 - Rifrazione delle onde in prossimità di una costa dritta con isobate parallele. Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers. Figura 95 - Rifrazione delle onde in prossimità di una costa irregolare con baie e promontori. Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers. cano una concentrazione di energia (figura 96b); di conseguenza in queste zone bisogna evitare l’ancoraggio o la costruzione di strutture offshore. In particolare, se i rilievi sottomarini sono costituiti da brusche risalite del fondale, per la presenza di scogli affioranti, l’altezza e la ripidità delle onde aumentano improvvisamente, per cui le onde si rovesciano in avanti e frangono (figura 97). Il moto ondoso può inoltre subire ulteriori modifiche a seconda del genere di ostacoli che le onde possono incontrare nel loro propagarsi. Le onde marine sono soggette a fenomeni di diffrazione, interferenza e riflessione del tutto analoghi a quelli che si verificano nel caso delle onde acustiche e luminose. Il fenomeno della diffrazione si può verificare, per esempio all’ingresso di un porto. La diffrazione avviene quando la lunghezza d’onda è dello stesso ordine di grandezza di un ostacolo o di un’apertura in una barriera (figura 98). Un altro fenomeno tipico del moto ondoso è quello dell’interferenza che determina di solito un mare molto agitato, ma in alcuni casi i treni d’onda possono 123 Appunti di meteorologia marina anche annullarsi e causare il deposito di materiale con formazione di tomboli. Infine, soprattutto nel caso di barriere ripide (un molo, una scogliera verticale), si deve tener conto del fenomeno della riflessione. In casi come questi, le onde riflesse dalla parete tornano indietro e possono interferire con quelle in arrivo dando origine ad una zona con acque agitate. Figura 96 - Rifrazione delle onde da parte di: (a) una valle sottomarina, (b) una cresta sottomarina. Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers. Figura 97 - Effetto della risalita brusca del fondale sulle onde. Figura 98 - Diffrazione all’ingresso di un porto. 124 II. Elementi di oceanografia La misura del moto ondoso Prima dell’introduzione degli strumenti automatici per il rilevamento del moto ondoso, la misura delle caratteristiche delle onde e l’analisi dello stato del mare venivano effettuate con stime a vista dal bordo delle navi, con osservazioni ottenute tramite aste graduate vincolate ai pali dei pontili o con particolari teodoliti posti in posizione elevata. Ovviamente queste osservazioni erano soggette a notevoli errori di valutazione. Per ovviare a questi inconvenienti, negli ultimi decenni sono stati approntati metodi e strumenti sempre più sofisticati in grado di fornire risultati estremamente precisi ed attendibili. Questi i principali metodi di rilevamento del moto ondoso: Osservazioni visuali Le osservazioni visuali da navi sono tuttora utilizzate come fonte attendibile di dati meteo-marini. Le osservazioni di questo tipo, per essere attendibili, devono però essere fatte da marinai esperti abituati a simili valutazioni e seguendo regole ben precise. I parametri che possono essere stimati in questo modo sono l’altezza, il periodo e la direzione di provenienza delle onde. Si deve comunque considerare che l’occhio dell’osservatore, come si è visto da analisi fatte, tende a concentrarsi sulle onde più alte e su quelle più a breve periodo; questo implica che la misura dell’altezza media delle onde ottenuta in questo modo si avvicina di solito all’altezza significativa delle onde (media del terzo di onde più alte), mentre il periodo medio delle onde tende ad essere sottostimato. Ondametri a pressione Gli ondametri a pressione misurano le variazioni di pressione dovute al cambiamento di altezza della colonna d’acqua sovrastante a causa del moto ondoso ed operano ad una determinata profondità dalla superficie dell’acqua. Essi possono essere appoggiati sul fondo, oppure vincolati a qualche sostegno fisso. Questi strumenti possono essere utilizzati anche per la misura della direzione del moto ondoso; infatti, disponendo un certo numero di essi lungo linee o poligoni, si può ottenere la distribuzione spaziale di determinati parametri e da questa si ricavano le informazioni riguardanti la direzione di propagazione delle onde. Ovviamente, la capacità di risoluzione di questi sistemi aumenta all’aumentare del numero di sensori utilizzati. Un vantaggio di questi strumenti, rispetto ai sistemi di superficie, consiste nell’essere meno soggetti a rotture e alla formazione di incrostazioni biologiche, per cui forniscono generalmente maggiori garanzie di durata. D’altronde, per l’invio dei dati ad una stazione di terra, necessitano di un lungo cavo oppure di un cavo attaccato ad una boa con un sistema di radio-trasmissione. Inoltre, un loro difetto consiste nel fatto che essi misurano la variazione della pressione anziché lo spostamento della superficie dell’acqua, per cui quest’ultimo parametro va determinato tramite una successiva elaborazione che può comportare una perdita di precisione. Infine, dato che gli effetti di variazione della pressione non sono rilevabili in modo accurato a profondità troppo elevate, questi strumenti sono di solito utilizzati in acque relativamente basse. Ondametri ad ultrasuoni Gli ondametri ad ultrasuoni sono anch’essi appoggiati sul fondo, ma rilevano direttamente l’andamento del pelo libero dell’acqua misurando la distanza che intercorre tra lo strumento e la superficie marina. Il loro principio di funzionamento si basa sull’emissione di un fascio di ultrasuoni da parte di un generatore di impulsi ultrasonici che viene riflesso dalla superficie di separazione acqua-aria e captato nuovamente da un apposito ricevitore posto sullo strumento. Alcuni di questi strumenti sono a registratore incorporato, mentre altri sono collegati a terra tramite cavo sottomarino. Strumenti di questo tipo sono molto simili ai correntometri ad ultrasuoni già descritti e possono essere anche utilizzati per la misura della direzione del moto ondoso. Se si sfruttano infatti le riflessioni delle onde acustiche dovute a particelle sospese (per 125 Appunti di meteorologia marina esempio, plancton), si possono misurare le velocità orbitali delle particelle d’acqua e da queste la direzione delle onde. Inoltre, se si combinano in un unico strumento più fasci di ultrasuoni con differenti direzioni, si possono distinguere i pacchetti d’onda provenienti da direzioni diverse. Un problema di questi strumenti, come nel caso degli ondametri a pressione, è quello di non poter operare a profondità troppo elevate. Boe oceanografiche I sistemi operanti in superficie maggiormente diffusi sono le boe oceanografiche. La maggior parte di esse sono boe accelerometriche, il cui funzionamento è basato sulla misura dell’accelerazione verticale subita dalla boa per effetto del moto ondoso; mediante una doppia integrazione di tale accelerazione, infatti, si può risalire allo spostamento della superficie dell’acqua. Le boe accelerometriche costituiscono un metodo diretto e abbastanza accurato di misurazione del moto ondoso, richiedono di essere ancorate sul fondo, ma non presentano limiti pratici d’impiego per quanto riguarda la profondità d’installazione, in quanto possono essere posizionate su fondali che arrivano anche a 200 metri di profondità. Un loro limite, però, è la relativa fragilità a causa dell’esposizione a fattori di danneggiamento (collisioni con natanti, incrostazioni biologiche, furto) e la conseguente necessità di frequenti manutenzioni. Oltre all’altezza delle onde, alcune boe oceanografiche possono rilevare anche la direzione del moto ondoso. Nelle boe a inclinazione (pitch-roll), per esempio, si misura l’inclinazione della boa rispetto ad un piano di riferimento orizzontale individuato mediante giroscopi interni; inoltre, con un sistema di bussole, si determina l’orientamento della boa rispetto al campo magnetico terrestre. Combinando le due misure, è possibile definire la direzione di propagazione delle onde. Nelle boe a traslazione, invece, si individua allo stesso modo l’orientamento rispetto al campo magnetico terrestre mediante un sistema di bussole, ma invece di misurare l’inclinazione della boa, si misura la sua accelerazione nelle direzioni orizzontali mediante due ulteriori accelerometri. Alcune boe oceanografiche, inoltre, possono essere considerate delle vere e proprie stazioni meteorologiche automatiche marine, essendo equipaggiate con sensori elettronici idonei a rilevare anche i seguenti parametri: ¿ la pressione atmosferica ¿ la velocità e la direzione del vento ¿ la temperatura dell’aria ¿ la temperatura superficiale e sottosuperficiale del mare. L’alimentazione elettrica dei sensori delle boe oceanografiche è fornita generalmente da batterie alcaline o a manganese e litio o per mezzo di appositi pannelli solari montati sullo scafo della boa stessa. I dati acquisiti vengono trasmessi via radio ad un’apposita centralina posta a terra, dove vengono elaborati graficamente e salvati in formato digitale. Sonde, altimetri laser, radar e acustici su piattaforma Un’altra possibilità per la misura dell’altezza delle onde è quella di utilizzare sonde (wave staff), fissate per esempio ad una piattaforma, che attraversano la superficie del mare e rilevano i cambiamenti di alcune proprietà elettriche (resistenza, capacità o induttanza) conseguenti alle variazioni di immersione della sonda stessa durante il passaggio dell’onda. A seconda del metodo si possono distinguere tre tipologie di sonde: sonde resistive, sonde capacitive, sonde induttive. Nelle sonde resistive sono presenti apposite sostanze porose igroscopiche che modificano la loro resistenza elettrica in seguito all’assorbimento di acqua sulla loro superficie, per cui la resistenza di queste sostanze varia con l’immersione della sonda in acqua. I sensori capacitivi sfruttano la variazione di capacità dielettrica di una membrana igroscopica che costituisce il dielettrico di un condensatore. L’assorbimento di acqua da parte del dielettrico durante l’immersione provoca una variazione della permettività dielettrica del condensatore che viene convertita in una variazione di tensione continua. Nelle sonde induttive il trasduttore è costituito da una bobina di materiale ferromagnetico che modifica la sua induttanza in seguito all’immersione in acqua. Tra le varie 126 II. Elementi di oceanografia tipologie, le boe con sonde induttive mostrano generalmente le migliori prestazioni, sia come accuratezza di dati che come resistenza nel tempo, sebbene risultino anche quelle maggiormente costose.L’altezza delle onde si può misurare anche da sopra la superficie, puntando verso il basso altimetri laser, radar o acustici fissati anch’essi su piattaforme e misurando la radiazione o le onde acustiche riflesse. Nell’installazione su piattaforma degli strumenti sopra descritti, si deve però fare attenzione agli effetti di rifrazione, diffrazione e riflessione del moto ondoso dovuti alla piattaforma stessa. Gli strumenti devono quindi essere posizionati in modo da minimizzare tali effetti. Ondametri a bordo delle navi Un’altra possibilità è di utilizzare ondametri posizionati a bordo delle navi. Ne esistono di vario tipo. Si può associare, per esempio, un altimetro laser, radar o acustico, che misuri la variazione del livello del mare rispetto al natante, ad un accelerometro che fornisca lo spostamento verticale della nave; dalla combinazione delle due misure si ottiene l’andamento della superficie dell’acqua. Questi strumenti, però, possono essere utilizzati solamente quando la nave è ferma o quando si muove con velocità non troppo elevate. Tra i metodi che fanno uso di strumentazione imbarcata a bordo di navi, citiamo anche una tecnica che consente di estrarre dettagliate informazioni riguardanti il moto ondoso mediante opportuna elaborazione dei dati raccolti dai radar in banda X, comunemente usati per la navigazione marittima. In particolare, ciò è possibile analizzando la parte di segnale denominata clutter, che è generata proprio dall’interazione delle onde elettromagnetiche della banda X con le onde del mare e che è scartata come fenomeno spurio nelle applicazioni legate alla radiolocalizzazione di navi ed alla navigazione. HF radar da costa Le onde radio ad alta frequenza (HF) hanno lunghezze d’onda comprese tra i 10 e i 100 metri circa. Un segnale radar di questo tipo viene inviato sulla superficie del mare da stazioni di costa e si propaga ben oltre l’orizzonte, molto di più rispetto ai segnali dei più comuni radar a microonde. Il segnale così inviato viene riflesso in varie direzioni a causa della superficie scabra del mare, ma per direzioni e lunghezze particolari delle onde marine (la metà della lunghezza d’onda del segnale elettromagnetico) i segnali riflessi si sommano coerentemente (interferenza costruttiva, secondo la legge di Bragg) generando un segnale di ritorno altamente energetico e con frequenza ben definita. Il sistema fisico è analogo a quello dei reticoli ottici o cristallini. Da questo segnale è possibile ricavare informazioni riguardo la lunghezza, il periodo, e la direzione di propagazione delle onde. Mediante due stazioni ad una certa distanza tra loro, inoltre, è possibile ottenere vere e proprie mappe direzionali. Infine, mediante opportuna elaborazione dei dati di radar HF, è inoltre possibile determinare lo spettro direzionale di Fourier del moto ondoso e anche mappe di correnti superficiali. Tecniche ottiche e radar mediante aerei Al gruppo di tecniche ottiche appartengono, per esempio, le tecniche fotogrammetriche: lo spettro direzionale di energia viene valutato tramite metodi digitali a partire dall’analisi stereoscopica di due fotografie riprese in simultanea da due punti diversi (ad esempio due aerei opportunamente posizionati e dotati di apparecchiature fotografiche sincronizzate via radio). I limiti di tecniche come queste consistono essenzialmente nel fatto che esse risentono in maniera notevole delle condizioni meteorologiche e di visibilità. Tra le tecniche radar, una di quelle di maggior importanza è basata sull’uso del SAR (Synthetic Aperture Radar) che sfrutta lo spostamento lungo la traiettoria dell’aereo per sintetizzare i dati ricevuti da più punti come se l’antenna fosse molto più lunga di quanto è in realtà. Dato che il passo di risoluzione di un radar è inversamente proporzionale alla sua apertura, con questo trucco, si possono ottenere immagini radar che hanno 127 Appunti di meteorologia marina una risoluzione molto elevata. Il principio su cui si basa il metodo di misura del moto ondoso mediante SAR è la legge di Bragg. Solo che questa volta, poiché il SAR opera nel campo delle microonde, le onde che danno luogo ad interferenza costruttiva, e che quindi possono essere rilevate, sono lunghe solo pochi centimetri (onde capillari). Tali onde, però, si formano anche sulle creste e le gole delle onde di gravità, ne consegue una modulazione del segnale che permette di ricavare informazioni su quest’ultime. Un vantaggio del SAR, rispetto per esempio ai radar altimetrici, è che si riescono ad ottenere informazioni non solo sull’altezza delle onde, ma anche sulla loro direzione di propagazione. D’altronde le informazioni che si ricavano non sono una misura diretta del moto ondoso, ma necessitano di una successiva elaborazione, basata anche sull’utilizzo di modelli numerici; per questo motivo l’uso del SAR come strumento di misura delle onde è ancora in fase di sviluppo. Altimetri radar e SAR su satellite Nelle ultime decadi hanno avuto un notevole sviluppo le tecniche radar da satellite. La prima missione spaziale specifica per la misurazione della topografia degli oceani è stata quella del satellite SEASAT, lanciato il 28 giugno 1978 dalla NASA. Purtroppo, a causa di un cortocircuito, SEASAT fu attivo soltanto per un centinaio di giorni, la missione terminò infatti il 10 ottobre 1978. Tra gli strumenti che aveva a bordo, SEASAT era dotato di un altimetro radar a microonde e di un SAR. Il principio di funzionamento dell’altimetro radar si basa sulla misura del tempo necessario affinché un impulso elettromagnetico (in questo caso nel campo delle microonde) raggiunga la superficie del mare e venga riflesso nuovamente verso il satellite. All’interno dell’area monitorata dal satellite, la parte di impulso radar che viene riflessa dalle creste delle onde giunge al satellite in tempi più brevi rispetto alla parte riflessa dalle gole. Come risultato di questo fenomeno, l’impulso radar che torna verso il satellite risulta temporalmente allargato rispetto a quello che si otterrebbe se la superficie del mare fosse completamente liscia. Ovviamente più le onde sono alte e maggiore risulterà questo allargamento; di conseguenza, da esso si possono ricavare informazioni relative all’altezza significativa delle onde. Il SAR a bordo di un satellite funziona invece con lo stesso principio di quelli a bordo di aerei, soltanto che l’area analizzata è molto più ampia. Benchè in teoria il SAR possa dare maggiori informazioni rispetto all’altimetro radar, esso presenta il problema discusso in precedenza che le misure di moto ondoso non sono misure dirette, ma devono essere interpretate (processo che può comportare una notevole perdita di precisione). Inoltre, il SAR necessita di immagazzinare e trasmettere una quantità notevole di dati e questo costringe a raccogliere informazioni solo su aree selezionate. Nonostante la brevità della sua missione, SEASAT dimostrò la possibilità di utilizzo di un satellite per lo studio della topografia dei mari e degli oceani. Durante questa missione, per esempio, il SAR fu in grado di fornire immagini radar della superficie marina con una risoluzione spaziale di circa 25 m x 25 m e di misurare onde oceaniche con lunghezza maggiore di 100 metri e con altezze d’onda significative superiori a 1 metro. I dati ottenuti da satellite risultarono in accordo con le osservazioni degli stessi fenomeni effettuate in situ con tecniche tradizionali. In seguito al parziale successo di questa missione, circa sei anni più tardi fu lanciato il satellite GEOSAT della US Navy (1985-1989). GEOSAT era dotato di un altimetro radar ulteriormente perfezionato e fornì dati altimetrici del moto ondoso di elevata qualità. I dati, dapprima di uso militare, furono declassificati completamente e messi a disposizione della comunità scientifica dal 1995. Dopo GEOSAT si svilupparono due differenti famiglie di satelliti: una nata da una collaborazione tra USA e Francia e dotata di altimetri radar specifici per oceani e mari, un’altra facente capo all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e fornita sia di altimetri radar di uso generale che di SAR. Della prima famiglia fanno parte le missioni TOPEX/POSEIDON (1992) e JASON-1 (2001), della seconda ERS-1 (1991-2000), ERS-2 (1995) e ENVISAT (2002). Grazie a queste missioni, la comunità scientifica ha a disposizione dati che coprono periodicamente, purtroppo con intervalli di tempo di alcuni giorni, quasi tutta la superficie oceanica e marina della Terra. 128 II. Elementi di oceanografia Teoria lineare delle onde Per valutare gli effetti delle onde su strutture galleggianti, immerse o confinanti con il mare, o per prevedere lo stato del mare, è necessario formulare una teoria del moto ondoso. Il moto ondoso marino, però, è estremamente complesso ed una teoria completa porta ad equazioni troppo complicate da risolvere; per questo motivo si introducono di solito approssimazioni che permettono di semplificare il problema. La più semplice teoria delle onde marine si basa su una serie di approssimazioni di cui la principale è che l’altezza delle onde sia molto piccola. Nei calcoli, questo permette di considerare soltanto grandezze che dipendono linearmente da tale altezza, trascurando termini dipendenti dal suo quadrato o potenze ancora maggiori; per questo motivo si parla di teoria lineare. Tale teoria è stata sostanzialmente sviluppata da Airy nel 1845. La teoria lineare delle onde, benché basata su una forte semplificazione, dà una ragionevole descrizione delle caratteristiche principali del moto ondoso. Per esempio, molti problemi ingegneristici possono essere trattati, con ragionevole approssimazione, mediante questa teoria. Inoltre, molte delle teorie più complete possono essere costruite proprio a partire dai risultati della teoria lineare. Come conseguenza delle semplificazioni introdotte, alla base della teoria lineare c’è il risultato che le onde marine possono essere rappresentate da onde sinusoidali, o sovrapposizioni di onde sinusoidali, analoghe a quella descritta precedentemente. Oltre alle grandezze caratteristiche fondamentali di un’onda ce ne sono altre di uso ricorrente, quali: ¿ l’ampiezza (A): massimo spostamento verticale dell’acqua rispetto al livello medio del mare, per un’onda sinusoidale A = H/2; ¿ la frequenza (n): numero di oscillazioni complete compiute dall’onda nell’unità di tempo, è quindi l’inverso del periodo (n = 1/T); ¿ la velocità di fase o celerità (c): rappresenta la velocità a cui si propaga un’onda sinusoidale ed è data dal rapporto tra la lunghezza d’onda ed il periodo (c = L/T). Tenendo presente queste definizioni, la formula matematica che rappresenta un’onda sinusoidale unidimensionale che si sposta in avanti (Figura 84) si può scrivere: dove x è lo spazio, t è il tempo, k = 2π / L, e ω = 2π / T = c k. Le grandezze k e ω vengono chiamate rispettivamente numero d’onda e frequenza angolare. Tra esse esiste una relazione, detta relazione di dispersione, che deriva dalle equazioni del moto linearizzate, ed è data da: ω2 = (g k) tanh(k D) dove g è l’accelerazione di gravità e D la profondità del mare; ne consegue che la velocità di fase può essere scritta: Nel caso di acque profonde e di acque basse, la relazione precedente può essere semplificata e si possono quindi distinguere i seguenti due regimi: ¿ acque profonde (D > L/2): , ¿ acque basse (D < L/25): ; chiaramente, nel caso di profondità intermedie (acque di transizione) è necessario usare la relazione completa. Questa formula è molto importante; ci dice, per esempio, che la velocità delle onde in acque profonde è direttamente proporzio- 129 Appunti di meteorologia marina nale alla loro lunghezza, ovvero le onde lunghe si propagano più velocemente rispetto alle onde corte. Di conseguenza, in un determinato luogo ad una certa distanza da dove le onde si sono generate, arrivano prima le onde lunghe di quelle corte. Dato che, le onde corte, in seguito a fenomeni di viscosità e turbolenza, subiscono perdite di energia molto più consistenti rispetto a quelle lunghe, si ottiene come risultato che in un determinato punto, situato a grande distanza dal luogo di origine della perturbazione, arriva un’agitazione abbastanza regolare e a cresta lunga, di ampiezza e periodo lentamente variabile nel tempo, chiamata comunemente swell. In un certo senso il mare agisce da filtro passa-basso, facendo passare le componenti ondulatorie di periodo più lungo e, quindi, caratterizzate da frequenze più basse.D’altronde, la relazione di dispersione ci dice anche che le onde in acque basse risentono in maniera evidente del fondale e la loro velocità è determinata dalla radice quadrata del prodotto tra l’accelerazione di gravità e la profondità del mare. È proprio questa dipendenza della velocità dalla profondità che produce gli effetti di rifrazione già descritti. Questa velocità viene chiamata anche velocità critica ed assume una notevole importanza per le navi che avanzano in acque basse. La velocità di avanzamento di una nave infatti non dovrebbe superare l’80% della velocità critica, al fine di evitare fenomeni eccessivi di resistenza da parte delle acque e di possibile cedimento delle strutture. Come già detto, le onde sono associate a forme di trasporto di energia. L’energia totale associata all’onda è in parte energia cinetica, dovuta al moto delle particelle d’acqua, ed in parte energia potenziale, dovuta allo spostamento verticale delle particelle d’acqua nel campo gravitazionale. Si può dimostrare che quando la superficie dell’acqua è priva di perturbazioni, l’energia potenziale è minima. Nel caso delle onde di gravità, uno spostamento delle particelle d’acqua rispetto al livello medio del mare genera una forza di richiamo dovuta al campo gravitazionale che tende a riportarle nella posizione di equilibrio. Si può anche dimostrare che l’energia cinetica media per unità di area dovuta al moto delle particelle d’acqua è uguale all’energia potenziale media per unità di area (equipartizione dell’energia). In definitiva, si ottiene che l’energia totale media per unità di area (E), associata ad un’onda sinusoidale di ampiezza A, è data dalla seguente espressione: E (J/m2) = rw g A2 / 2 dove rw è la densità dell’acqua. Si noti che l’energia dell’onda non dipende dalla profondità o dalla lunghezza d’onda, ma solo dalla sua ampiezza. Quello che si propaga nello spazio è proprio questa combinazione di energia potenziale ed energia cinetica, che viene trasmessa da una colonna d’acqua a quella adiacente. A questo punto sorge spontanea una domanda: a che velocità si sposta l’energia dell’onda? Prima di rispondere a questa domanda è necessario approfondire il seguente aspetto del moto ondoso: le onde sulla superficie marina non sono semplici onde sinusoidali, in particolare nel caso di mare vivo. Un fenomeno che spesso si osserva è che le onde si muovono in gruppi, costituiti da onde di diversa altezza e celerità. Per comprendere meglio alcune caratteristiche di un gruppo di onde, consideriamo il caso semplice derivante dalla sovrapposizione di due onde sinusoidali della stessa ampiezza e con frequenza e numero d’onda leggermente diversi. Il grafico risultante dalla somma di queste due componenti è rappresentato in figura 99. 130 II. Elementi di oceanografia Figura 99 - Sovrapposizione di due onde sinusoidali. Come si vede dalla figura, la sovrapposizione di due sole componenti è sufficiente a formare gruppi di onde con un profilo ben definito. Si può dimostrare che la velocità di propagazione dell’energia non corrisponde alla velocità di fase delle singole componenti, ma a quella di propagazione del profilo del gruppo, che, per questo motivo, è detta anche velocità di gruppo (cg). In acque profonde la velocità di gruppo risulta la metà di quella di fase: cg = c/2; in acque basse le due velocità coincidono: cg = c. Questo risultato vale in generale, anche nel caso di gruppi composti da un numero maggiore di componenti sinusoidali. In realtà, la situazione relativa alle onde marine è ben più complessa di quella descritta dalla sovrapposizione di due sole onde sinusoidali. Le onde generate dal vento hanno un comportamento fortemente irregolare, per cui la superficie marina appare ai nostri occhi come una manifestazione estremamente caotica. Nella teoria lineare, tale comportamento può essere approssimato considerando la sovrapposizione di più onde sinusoidali, ognuna caratterizzata da una propria altezza, lunghezza e periodo (figura 100). Questo approccio corrisponde a quello che matematicamente si chiama sviluppo di Fourier, basato sul lavoro di Joseph Fourier (1768-1830). Secondo Fourier, quasi ogni funzione può essere rappresentata su un’intervallo finito come la somma di una serie infinita di seni e coseni con differenti frequenze moltiplicati per dei coefficienti costanti (serie di Fourier). Quindi, se si considera la superficie del mare ad un certo istante, essa può essere sempre rappresentata tramite una serie infinita di seni e coseni con distinti numeri d’onda. Poiché i coefficienti delle singole componenti sono costanti e i numeri d’onda indipendenti tra loro, negli istanti successivi ognuna delle componenti sinusoidali evolverà indipendentemente. In realtà, questa è soltanto un’approssimazione Figura 100 - Il moto ondoso per lo stato del mare, valida per tempi non troppo sulla superficie marina può lunghi ed aree non troppo grandi; esistono teorie essere approssimato dalla più sofisticate che tengono conto anche dei cosidsovrapposizione di più onde detti effetti non lineari di interazione tra le onde. sinusoidali. 131 Appunti di meteorologia marina Analisi statistica delle onde marine Il moto ondoso marino è un fenomeno estremamente caotico. Se si registra il movimento della superficie del mare al passare del tempo in una posizione ben definita, il risultato è del tipo riportato in figura 101. In un grafico di questo genere non è possibile definire in modo univoco l’altezza d’onda, la lunghezza o il periodo. Inoltre, una successiva registrazione del moto ondoso nello stesso punto non darebbe un segnale identico a quello precedente. Il meglio che si può fare, dunque, è assumere che la registrazione in oggetto rappresenti un campione statistico dei possibili stati del mare nell’area in considerazione (descrizione statistica) e, a questo punto, stimare in termini probabilistici i valori medi di alcuni importanti parametri come, per esempio: ¿ l’altezza media dell’onda ¿ l’altezza significativa delle onde ¿ il periodo medio dell’onda. Quello che ci si aspetta è che le proprietà statistiche di più registrazioni successive siano simili, si assume quindi che lo stato del mare sia un sistema stazionario, cioè che statisticamente non cambia nel tempo; nella realtà, però, questo è vero solo su periodi non troppo lunghi. Sono possibili due differenti approcci per la stima dei valori medi sopra definiti: uno basato sull’analisi statistica temporale ed uno sull’analisi statistica spettrale del segnale. Nel primo approccio si stimano direttamente i valori medi che interessano, a partire da analisi statistiche del segnale visto come sequenza temporale dei dati di moto ondoso. Nel secondo si esegue invece un’analisi in frequenza del segnale basata sul suo sviluppo in serie di Fourier. Figura 101 - Esempio di registrazione temporale del movimento di un punto della superficie marina. Analisi statistica temporale Esistono vari modi per stimare i valori medi dei parametri più significativi del moto ondoso. Ognuno di essi presenta vantaggi e svantaggi. Alcune delle definizioni più frequentemente usate sono le seguenti. L’altezza media (Hmedia) delle onde può essere calcolata facendo la somma delle altezze delle singole onde e dividendola per il numero totale di onde registrate durante un determinato intervallo di tempo (generalmente 10-20 minuti). Volendo, oltre al semplice valor medio, si può anche calcolare la probabilità di manifestarsi di onde di una determinata altezza, ma bisogna ricorrere ad un procedimento statistico più laborioso. Le onde registrate nell’ambito di un determinato periodo di tempo vengono suddivise in funzione della loro altezza in un certo numero di intervalli regolari ad esempio onde comprese tra 0 e 0.5 metri, tra 0.5 e 1 metro, tra 1 e 1.5 metri. Successivamente viene contato il numero di onde appartenenti a ciascun gruppo e le somme ottenute si dividono per il numero totale delle onde registrate durante l’intero intervallo temporale. 132 II. Elementi di oceanografia In questo modo vengono calcolate le frequenze o densità di probabilità per ciascuna categoria di onde, ovverosia la probabilità con cui possono manifestarsi onde di una determinata altezza. Facendo la somma delle probabilità dei singoli gruppi si ottiene la funzione di probabilità cumulata, cioè la probabilità che si manifesti un’onda di altezza minore o uguale ad un determinato valore. L’altezza significativa (H1/3) delle onde viene definita come la media del terzo di onde più alte registrate durante un determinato intervallo di tempo e si ottiene ordinando le onde per altezza crescente, prendendo il terzo più alto di esse e facendone la media. È interessante notare che l’altezza significativa delle onde risulta essere abbastanza simile all’altezza stimata a vista da un marinaio esperto, poiché probabilmente le onde di maggiore altezza rimangono più impresse nella memoria di un osservatore. Questa definizione permette quindi un confronto diretto con le misure eseguite tramite metodi tradizionali. Questo parametro, inoltre, assume un’importanza pratico-applicativa notevole nella progettazione di infrastrutture costiere; infatti, nel caso in cui si voglia valutare l’effetto impattante delle onde su queste infrastrutture, è necessario tener conto dell’altezza delle onde stesse. Tuttavia se si considerasse la sola altezza media, le onde più basse avrebbero un peso troppo significativo, portando ad una sottostima in fase progettuale dell’altezza d’onda impattante. D’altra parte, se nel progetto si considerassero solo i valori delle onde più alte registrate in una determinata area, si potrebbe incorrere in una sovrastima dell’altezza d’onda impattante. Per questo motivo in fase progettuale viene spesso considerata un’altezza media calcolata solo sul terzo di onde più alte; più precisamente H1/3 si usa prevalentemente per strutture tipo dighe foranee, barriere, mentre per strutture a parete verticale è preferibile usare H1/10 o addirittura Hmax. Per chiarire ulteriormente i concetti appena descritti, in tabella 8 è riportata l’analisi statistica relativa ad un ipotetico stato del mare registrato durante un determinato intervallo temporale. Il periodo medio delle onde può essere definito a partire dalle misure del tempo che intercorre tra due attraversamenti consecutivi in salita (o in discesa) del livello medio marino, chiamati in inglese zero up-crossing (o down-crossing). In pratica, il periodo medio di un’onda si può calcolare dividendo la durata della registrazione per il numero di up-crossing (o down-crossing). Tale valore si indica di solito con il simbolo Tz. Analisi statistica spettrale Come già detto, segnali del tipo di figura 101, e quindi le onde sulla superficie marina, possono essere approssimati mediante una serie di Fourier, ovvero scrivendoli come somma di componenti sinusoidali con differenti ampiezze, numeri d’onda e frequenze. Se adesso si considerano i valori medi temporali, calcolati tramite campioni statistici successivi, dei quadrati delle ampiezze relative alle varie componenti, si può costruire la cosiddetta funzione di densità spettrale (o semplicemente spettro). Riportando in un diagramma cartesiano tali valori medi in corrispondenza alle relative frequenze, dividendoli convenzionalmente sia per due che per l’intervallo tra le frequenze, si ricava infatti un grafico come quello in figura 102. Figura 102 - Funzione di densità spettrale. 133 Appunti di meteorologia marina L’altezza media delle onde si può calcolare attraverso la seguente espressione: Hmedia (m) = (0.25·22+0.75·46+1.25·20+1.75·16+ 2.25·12+2.75·11+3.25·5)/132 = 1.26; mentre per l’altezza significativa si ha: H1/3 (m) = (1.75·16+ 2.25·12+2.75·11+3.25·5)/44 = 2.31. Intervalli di altezza d’onda (m) N° di onde registrate (ni) Altezze d’onda medie (m) Probabilità (ni/totale) 0.00 - 0.50 0.50 - 1.00 1.00 - 1.50 1.50 - 2.00 2.00 - 2.50 2.50 - 3.00 3.00 - 3.50 Totale 22 46 20 16 12 11 5 132 0.25 0.75 1.25 1.75 2.25 2.75 3.25 0.17 0.35 0.15 0.12 0.09 0.08 0.04 1.00 Probabilità cumulata (∑ni/totale) 0.17 0.52 0.67 0.79 0.88 0.96 1.00 Tabella 8 - Analisi statistica di una registrazione del moto ondoso in un punto, in un determinato intervallo temporale. Si noti che, poiché il quadrato dei coefficienti di Fourier è proporzionale all’energia associata alle corrispondenti componenti sinusoidali, a meno di un fattore ρwg/2, la funzione di densità spettrale è anche detta spettro d’energia dell’onda (o, per brevità, spettro d’onda). Lo spettro d’energia dell’onda rappresenta la distribuzione dell’energia totale dell’onda tra le varie onde sinusoidali che la compongono. Anche a partire dallo spettro si possono calcolare i valori medi dei parametri che caratterizzano lo stato del mare, definiti nel caso dell’analisi temporale. Per esempio, si può dimostrare che l’altezza significativa delle onde, H1/3, è circa uguale a quattro volte la radice dell’area sotto la curva che descrive la funzione di densità spettrale; tale valore si indica di solito con il simbolo Hs, per cui H1/3 ≈ Hs. Inoltre, sempre a partire dallo spettro, si può anche calcolare un periodo medio dell’onda equivalente a quello definito tramite gli zero down-crossing, Tz. Lo spettro d’onda appena descritto è in funzione solo della frequenza delle onde componenti. Se le onde marine fossero specificate soltanto in termini di esso, sarebbero rappresentabili solo mediante onde con lunghe creste parallele, poiché andrebbe perso il loro carattere bidimensionale. In realtà, il moto caotico della superficie marina implica l’esistenza di onde con differenti frequenze che si propagano in varie direzioni. Per tener conto di tutte queste componenti, si definisce lo spettro direzionale d’energia dell’onda (figura 103), che rappresenta la distribuzione d’energia in funzione non solo delle frequenze, ma anche delle direzioni di provenienza delle singole onde. Un limite delle precedenti definizioni della funzione di densità spettrale, basate sull’approssimazione che il moto ondoso sia composto da onde sinusoidali indipendenti (teoria lineare), è che le ampiezze delle singole componenti siano costanti e, quindi, sia la distribuzione di energia che tutti i valori medi dei parametri che si ricavano dallo spettro non varino col tempo limite che deriva dall’ipotesi iniziale che il sistema considerato sia stazionario. Questo implica che lo stato del mare non cambia nel tempo, ma ciò ovviamente non rispecchia la realtà. Per tener conto degli effetti che causano una variazione dello spettro d’energia dell’onda occorrono teorie più sofisticate di quella lineare. 134 II. Elementi di oceanografia Figura 103 - Spettro direzionale d’energia dell’onda. Storm surges L’azione del vento e/o della pressione sulla superficie del mare può dare origine ad innalzamenti o abbassamenti del livello medio marino che vengono indicati con il termine di surges. In genere si parla di surge positiva quando la superficie del mare è più elevata rispetto al previsto e di surge negativa quando è più bassa. Questi fenomeni sono indipendenti dalle maree e sono causati dalle variazioni di pressione atmosferica e/o dall’azione del vento che soffia sulla superficie marina. La diminuzione o l’aumento di pressione atmosferica determina rispettivamente un incremento o un decremento del livello medio del mare. Anche il vento che soffia sulla superficie marina può causare un innalzamento del livello dell’acqua in prossimità della costa quando il trasporto di acqua avviene verso la terraferma, mentre determina una diminuzione di livello nel caso in cui l’acqua venga allontanata dalla costa. In particolare, i venti che si originano in seguito ad una forte depressione atmosferica su un mare poco profondo possono dare luogo ad un moto ondoso particolarmente intenso a cui viene dato il nome di storm surges o, in alcuni casi, di ‘marea anomala’. Questo nome è dovuto al fatto che nelle zone soggette a questo fenomeno si registra un’alta marea che non è direttamente dipendente dall’attrazione gravitazionale esercitata dagli astri. In questi casi il centro di bassa pressione provoca un ‘ingrossamento’ del mare sottostante con formazione di onde che vengono ulteriormente alimentate ed accelerate dal forte vento che spira su di esse. Questo fenomeno è particolarmente sentito nelle baie e nei mari tendenzialmente ‘chiusi’ come il Mare del Nord e, nelle regioni tropicali, nei Carabi e nella Baia del Bengala. L’origine degli storm surges è differente a seconda della latitudine, essendo solitamente generati da uragani nelle regioni tropicali e da forti depressioni sulla superficie marina nelle regioni extra-tropicali. Questi fenomeni risultano difficilmente prevedibili, non solo a causa delle incertezze intrinseche delle previsioni meteorologiche, ma anche per la difficoltà di studiare e comprendere le complesse interazioni che avvengono tra il vento e la superficie marina. Surges negative possono creare pericoli per la navigazione, in particolare nel caso di acque poco profonde come quelle del Mare del Nord, mentre surges positive possono favorire i processi di erosione costiera e di inondazione. 135 Appunti di meteorologia marina Le maree Le maree consistono in un movimento periodico di innalzamento e di abbassamento del livello del mare (figura 104). Quando il livello del mare tende a crescere si parla di alta marea (o flusso), mentre quando diminuisce si parla di bassa marea (o riflusso); il dislivello tra un’alta ed una bassa marea viene indicato come ampiezza o escursione della marea. L’ampiezza della marea non è molto elevata nei mari interni come il Mediterraneo e negli oceani aperti dove non supera il metro, mentre può raggiungere anche i 15-20 metri di altezza nelle lunghe insenature e negli stretti golfi oceanici. Ad esempio le più alte maree sono state osservate sulle coste canadesi nella baia di Fundy, dove il livello del mare può aumentare di 19-20 m. Un altro esempio è rappresentato dall’isoletta di Mont Saint-Michel in Bretagna che, in seguito al ritirarsi del mare durante le basse maree, risulta unita alla terraferma solo durante determinate ore del giorno. La causa delle maree è da attribuire all’attrazione gravitazionale esercitata dal Sole e dalla Luna. Il primo a formulare una teoria quantitativamente abbastanza valida fu Isaac Newton (1642-1727). Newton mostrò che i rigonfiamenti delle acque sui lati opposti della Terra lungo la congiungente Terra-Luna (analogamente per il Sole) possono essere spiegati tramite la sua legge di gravitazione universale. Tali rigonfiamenti sono infatti dovuti al gradiente (differenza) di forze che si genera a causa delle diverse distanze dei vari punti della Terra rispetto alla Luna, dato che la forza gravitazionale è inversamente proporzionale al quadrato della distanza. La teoria di Newton mantiene parte della sua validità anche oggi, ma essa era basata su forti semplificazioni; non considerava infatti il moto di rotazione della Terra, la presenza delle masse continentali, l’inerzia delle acque e gli attriti. Altri autori estesero successivamente il lavoro di Newton, tenendo conto di alcuni dei fattori trascurati. Ma l’approccio più moderno ad una teoria delle maree che permettesse di fare previsioni è basato sul lavoro di William Ferrel (1817-1891) e Lord Kelvin (18241907) che svilupparono una teoria basata su uno sviluppo armonico. Teoria successivamente perfezionata da George Darwin (1845-1912), Lord Rayleigh (18421919) ed altri. Per quanto semplice, la teoria di Newton permette di spiegare alcuni fatti salienti relativi alle maree. Le forze gravitazionali determinano, come si è detto, un rigonfiamento delle acque marine sia sul lato che guarda verso la Luna (marea lunare) che sul lato opposto (marea antilunare). In seguito a questo fenomeno, i mari e gli oceani mostrano due alte maree e due basse maree nell’arco di circa un giorno cioè il tempo necessario affinché avvenga una rotazione completa della Terra attorno al proprio asse. Anche il Sole esercita un’azione sulle maree, ma data la sua notevole distanza dalla Terra l’attrazione gravitazionale risulta inferiore, di circa 2.51 volte rispetto a quella della Luna. Quando Terra, Luna e Sole si trovano allineati lungo una stessa retta ipotetica (sigizie), le forze di attrazione esercitate dalla Luna e dal Sole agiscono in sinergia provocando un forte movimento verticale delle acque (maree sigiziali o maree vive). 136 II. Elementi di oceanografia Al contrario, quando i due astri vengono a trovarsi disposti ad angolo retto rispetto alla Terra (posizione di quadratura), le forze di attrazione di Luna e Sole sono in contrapposizione, per cui le maree risultano attenuate e dirette verso la Luna (maree morte). La teoria di Newton ha comunque molti limiti. Per esempio, secondo questa teoria l’alta marea dovrebbe verificarsi nel momento in cui la Luna viene a trovarsi sul meridiano o antimeridiano di un determinato luogo; tuttavia a causa dell’inerzia delle masse d’acqua e dell’attrito con il fondo, la marea avviene con un certo ritardo rispetto alla culminazione della Luna. Questo ritardo, indicato come ‘ora di porto’, è un parametro costante per una determinata località e consente di indicare le ore del giorno in cui le navi possono più facilmente entrare ed uscire dai porti sfruttando gli effetti delle maree. È interessante osservare che le maree possono essere utilizzate al fine di produrre energia elettrica nelFigura 104 - L’azione combinata della Luna e del Sole le centrali mareomotrici, che determina le maree vive (o sigiziali) e le maree morte sfruttano il dislivello tra alta e (o di quadratura). bassa marea per far funzionare apposite turbine a propulsore. Perché ciò sia possibile è necessario che questo dislivello raggiunga valori elevati (di almeno 10 m), perciò questi impianti sono realizzabili solo in poche aree della Terra in cui sono presenti insenature strette ed un flusso e riflusso di marea consistente; ad esempio una grande centrale mareomotrice è stata realizzata presso la foce del fiume Rance in Francia. Infine, si deve far presente che la variazione del livello del mare, associata alla marea, determina inevitabilmente la formazione di correnti di pendio anche di notevole intensità (correnti di marea) che vanno ad aggiungersi a quelle già descritte. La misura del livello marino La misura del livello del mare può essere effettuata attraverso differenti metodologie. Il metodo più semplice consiste nell’utilizzo di un’apposita asta graduata (asta idrometrica) realizzata generalmente con un materiale plastico che consen- 137 Appunti di meteorologia marina te di mantenere inalterate per lunghi periodi di tempo le caratteristiche fisiche dell’asta anche in condizioni climatiche estreme. Uno degli strumenti maggiormente utilizzati in passato nelle reti mareografiche per misurare il livello dell’acqua è il mareografo meccanico a registrazione cartacea, che sfrutta il movimento verticale di un galleggiante sospeso tramite un cavo di acciaio avvolto su una puleggia e tenuto in trazione da un contrappeso. La puleggia è collegata generalmente ad un albero a doppia scanalatura elicoidale che consente di trasformare il movimento rotatorio del cavo sulla puleggia in un movimento di traslazione. La registrazione avviene tramite un pennino inserito sopra l’albero direttamente su un foglio di carta diagrammata avvolto su un tamburo. Nei moderni mareografi elettronici, invece, il sensore maggiormente utilizzato è costituito da una sonda ad ultrasuoni in grado di inviare impulsi ultrasonici in superficie e di registrare tramite un ricevitore il messaggio di ritorno. Dal tempo che intercorre tra emissione e ricezione del segnale si risale alla distanza tra il sensore e la superficie marina. Indipendentemente dallo strumento utilizzato, le misure di livello effettuate dai mareografi devono essere sempre riferite ad un caposaldo quotato con livellazione di alta precisione. Il rilevamento in mare dei parametri meteorologici ed oceanografici Il metodo tradizionale per eseguire le osservazioni in mare di parametri meteo-marini si avvale dell’uso di imbarcazioni equipaggiate con strumentazione di bordo in grado di effettuare la misura dei principali parametri meteorologici o, se possibile, di navi appositamente configurate per i rilievi oceanografici. Tuttavia, le spedizioni oceanografiche presentano notevoli difficoltà e lo stesso ambiente marino risulta particolarmente ‘ostilÈ per la delicata strumentazione, causando frequentemente problemi di corrosione, avarie e rotture di strumenti o di loro parti. Recentemente è aumentato anche l’uso di mezzi sottomarini in grado di eseguire lo studio delle caratteristiche delle acque profonde e di resistere ad elevate pressioni esterne. I dati ottenuti dalle navi presentano l’inconveniente di essere spesso limitati alle rotte commerciali, perciò sono relativi principalmente all’emisfero settentrionale e solo in minima parte a quello meridionale. Inoltre, per quanto riguarda la qualità dei dati, bisogna tenere conto sia del fatto che i marinai che eseguono i rilevamenti non ricevono generalmente una preparazione di base adeguata, sia del fatto che le imbarcazioni stesse, con il loro passaggio, disturbano il sistema atmosfera-mare. Dal 1921 le osservazioni vengono trasmesse via radio a stazioni di terra e sono effettuate in corrispondenza delle ore sinottiche standard (00.00, 06.00, 12.00 e 18.00 del tempo medio di Greenwich) ed eventualmente ad ore standard intermedie (03.00, 09.00, 15.00 e 21.00), od ogni volta in cui l’osservatore ritenga importante segnalare particolari condizioni atmosferiche. I parametri che vengono rilevati sono: ¿ latitudine e longitudine ¿ correnti marine (direzione e velocità) ¿ venti (direzione e forza secondo la scala di Beaufort) ¿ pressione barometrica ¿ ore di nebbia, pioggia, neve, grandine ¿ stato del mare 138 II. Elementi di oceanografia ¿ temperatura superficiale e sottosuperficiale dell’acqua ¿ stato del tempo ¿ segnalazioni di tempeste, tornadi, uragani, masse di ghiaccio in mare, ecc. Un notevole contributo alla meteorologia marina è stato fornito dall’uso, per esempio, delle boe oceanografiche. Questi mezzi hanno il vantaggio di non alterare in maniera sensibile le condizioni esterne, per cui forniscono dati molto attendibili e precisi. Inoltre, le boe oceanografiche permettono di estendere le osservazioni meteo-marine anche a regioni oceaniche raramente visitate dalle rotte navali, di poter acquisire automaticamente dati concernenti le interazioni atmosfera-mare su una determinata area per lunghi periodi di tempo e di poterli trasmettere a stazioni di terra secondo tempi preimpostati, anche mediante rete satellitare. Un altro mezzo impiegato per il rilevamento dei dati meteo-marini è il cosiddetto FLIP (Floating Instrument Platform), che può essere considerato una via di mezzo tra una nave ed una boa. Il FLIP consiste in una piattaforma mobile in grado di ospitare strumentazione e personale specializzato per il rilevamento e l’elaborazione di dati oceanografici e meteo-marini. Infine, come già detto, molti dati meteo-marini sono ottenibili anche mediante telerilevamento. Lo sviluppo di una rete satellitare di rilevamento ha consentito un notevole passo avanti in campo oceanografico, incrementando notevolmente le conoscenze relative al sistema atmosfera-mare ed ai principali fenomeni che interessano il mare e le coste. La rete di monitoraggio italiana Il Servizio Mareografico Nazionale svolge l’importante compito di realizzare un sistema integrato di monitoraggio dei nostri mari. A tal fine questo servizio realizza, gestisce e mantiene le reti ondametriche e mareografiche per il rilevamento delle principali caratteristiche fisiche dei mari italiani, oltre che raccogliere, validare elaborare ed infine pubblicare i dati ottenuti. La Rete Ondametrica Nazionale (RON), attivata nel luglio del 1989, era originariamente composta da otto boe a disco direzionali Datawell-Wavec di tipo pitch-roll localizzate al largo di La Spezia, Alghero, Ortona, Ponza, Monopoli, Crotone, Catania e Mazara. Ogni boa, ancorata su fondali di circa 100 metri di profondità, è in grado di seguire il profilo della superficie dell’acqua, determinando l’altezza e la direzione di provenienza delle onde con misure realizzate ogni tre ore (o semiorarie nel caso di valori sopra la soglia). Questi strumenti sono stati inoltre dotati di un sistema di localizzazione satellitare (satellite ARGOS) per il controllo continuo della loro posizione. Nel 1999 la rete originaria è stata integrata di altre due boe direzionali a traslazione del tipo Datawell-Waverider dislocate al largo di Cetraro ed Ancona, mentre la boa di Catania originaria è stata sostituita da una boa a traslazione. I dati raccolti dalle boe vengono trasmessi via radio ad una stazione a terra che provvede ad elaborarli e, infine, a inviarli al centro di controllo e gestione della rete presso la Direzione del Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale. All’inizio del 2002 sono state avviate una serie di attività finalizzate al potenziamento della rete, per la realizzazione di un efficiente sistema di monitoraggio e diffusione dei dati in tempo reale. Inoltre la rete originaria è stata portata a 14 stazioni di rilevamento (figura 106), inserendo altre quattro nuove boe posizionate al largo di Capo Linaro (Civitavecchia), Capo Gallo (Palermo), Chioggia (alto Adriatico) e Siniscola (Sardegna orientale). 139 Appunti di meteorologia marina Figura 105 - Rete Ondametrica Nazionale. Dal 2002 le boe utilizzate per la rete sono tutte del tipo TRIAXIS, l’acquisizione dei dati è semioraria ed il rilevamento satellitare della posizione è effettuato tramite Immarsat D+. I principali parametri del moto ondoso che vengono rilevati dalla rete sono: ¿ altezza d'onda significativa ¿ periodo di picco ¿ periodo medio ¿ direzione media di propagazione. Inoltre per ogni banda di frequenza vengono analizzati anche i seguenti parametri: ¿ densità di energia o densità spettrale ¿ frequenza ¿ direzione media di propagazione ¿ dispersione direzionale o spread ¿ asimmetria o skewness. In caso di mareggiate di forte intensità, l’elaborazione dei dati avviene in continuo. La Rete Mareografica Nazionale (RMN) è gestita dal Dipartimento dei Servizi Tecnici Nazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è costituita da una rete di stazioni di misura distribuite uniformemente nei principali porti di tutto il territorio italiano. Attualmente la RMN è costituita dalle seguenti 26 stazioni mareografiche: Trieste, Venezia Lido, Ancona, Ravenna, Pescara, Ortona, Isole Tremiti, Vieste, Bari, Otranto, Taranto, Crotone, Reggio Calabria, Messina, Catania, Porto Empedocle, Lampedusa, Palermo, Palinuro, Salerno, Napoli, Cagliari, Carloforte, Porto Torres, Civitavecchia, Livorno, Genova ed Imperia. Queste stazioni sono dotate di due tipologie di strumenti di misura del livello 140 II. Elementi di oceanografia delle acque: un mareografo meccanico a registrazione cartacea ed un mareografo elettronico con sensore ultrasonico.Il primo strumento ha lo scopo di verificare le misure effettuate dal mareografo elettronico e di recuperare eventuali perdite di dati nel caso di suo errato funzionamento. I mareografi che appartengono alla RMN sono stati tutti tarati rispetto ad un caposaldo quotato con elevata precisione in riferimento al più vicino caposaldo IGM. Oltre a determinare il livello marino, le stazioni appartenenti alla RMN rilevano i dati relativi alla velocità e direzione del vento a 10 m dal suolo, la pressione atmosferica, la temperatura dell’aria e la temperatura dell’acqua. Tutte le stazioni sono inoltre dotate di un sistema locale per la gestione e raccolta dati e di un apparato di trasmissione dati in tempo reale alla sede centrale di Roma. La rete di monitoraggio internazionale Per comprendere i fenomeni meteo-marini e per elaborare modelli previsionali attendibili, è necessario considerare il ‘sistema atmosfera-mare’ nella sua complessità ed estendere le osservazioni a scala globale. A questo scopo sono nate delle organizzazioni mondiali che si occupano dello studio delle scienze marine. Tra queste quelle di maggiore interesse per la meteorologia marina, sono la Intergovernmental Oceanographic Commission (IOC) e la World Meteorological Organization (WMO). La IOC rappresenta la principale istituzione che si occupa di oceanografia all’interno dell’Unesco. Uno dei principali programmi attivati dalla IOC, in collaborazione con il WMO, è l’Integrated Global Ocean Station System (IGOSS). Questo programma ha l’obiettivo di fornire agli Stati Membri informazioni di supporto a tutte le attività marine e di ricerca scientifica che interessano gli oceani. Le strutture fondamentali dell’IGOSS sono il sistema di osservazione globale, il sistema di elaborazione dati ed il sistema di telecomunicazione per favorire lo scambio di informazioni tra gli Stati Membri. Le attività che interessano il mare all’interno del WMO possono invece essere suddivise in tre categorie: ¿ quelle che ricadono all'interno del programma meteorologico globale del WMO, il World Weather Watch (WWW); ¿ quelle che vengono gestite dalla Commission for Marine Meteorology (CMM); ¿ quelle che ricadono all'interno del Global Atmospheric Research Programme (GARP). Per quanto riguarda il WWW, esso comprende il rilevamento di dati meteorologici provenienti da stazioni marine (navi mobili e di ricerca, piattaforme oceaniche fisse, boe oceaniche e stazioni localizzate su isole). La CMM è l’organismo internazionale appartenente al WMO responsabile della gestione e sviluppo del Marine Meteorological Service (MMS). Quest’ultimo costituisce un programma coordinato internazionale finalizzato a fornire avvertimenti, previsioni e informazioni generali sul tempo meteorologico e il mare (inclusi tempeste, cicloni tropicali, stato del mare, nebbia e ghiaccio in mare) di supporto alla navigazione, alla pesca e a tutte le attività marine offshore e delle zone costiere. Il GARP analizza le fluttuazioni atmosferiche su larga scala e comprende una sezione relativa alle interazioni oceano-atmosfera, finalizzata a valutare il ruolo fondamentale che gli oceani svolgono nel regolare le dinamiche di circolazione atmosferica a scala globale. 141 APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA III. I modelli previsionali di moto ondoso III. I modelli previsionali di moto ondoso I modelli previsionali di moto ondoso La richiesta di previsione del moto ondoso è andata sempre più aumentando in tempi recenti grazie alle grandi potenzialità di sviluppo socio-economico offerte dal mare e alla grande importanza dell’ambiente e dell’ecosistema marino. Il moto ondoso è infatti di gran lunga il maggior responsabile delle sollecitazioni che avvengono sulle strutture marine, sia imbarcazioni che installazioni fisse. L’impatto del moto ondoso sulla costa è inoltre importante per la valutazione delle sollecitazioni sui porti e le strutture costiere, nonché per le dinamiche litoranee. È stato poi ripetutamente sottolineato come, attraverso il frangimento e il rimescolamento continuo, dovuto alla turbolenza, degli strati superficiali del mare, il moto ondoso abbia importanti conseguenze per la vita stessa. La conoscenza del moto ondoso, negli ultimi anni, ha tratto un importante contributo dai progressi della modellistica meteo-marina e dalla maggior quantità di fonti di informazioni disponibili. I modelli meteo-marini, infatti, hanno ormai raggiunto un tale stadio di avanzamento da renderli una fonte d’informazione sufficientemente affidabile per la valutazione del moto ondoso. In particolare, questa nuova e moderna fonte di informazione è complementare a quelle tradizionali (rapporti visivi forniti dalle navi in transito, misure in loco da parte di boe ondametriche, rilevazioni mediante strumenti satellitari) e, quindi, è fondamentale per integrare i dati disponibili sinora usati, generalmente poveri di risoluzione e che spesso non forniscono informazioni di natura direzionale. Lo studio della dinamica dei sistemi marini ha una storia molto antica. Si trovano citati al riguardo lavori di Aristotele, Leonardo da Vinci e Benjamin Franklin. Naturalmente gli stessi pionieri della moderna fluidodinamica, Lagrange, Airy, Stokes, Rayleigh, per citarne alcuni, avevano studiato già nel XIX secolo molte proprietà delle onde di superficie. Ma i maggiori sviluppi relativi allo studio delle onde marine sono avvenuti nel XX secolo. In particolare, l’interesse nella previsione del moto ondoso è cresciuto notevolmente durante la seconda guerra mondiale a causa della necessità di pianificare nel modo migliore lo sbarco degli alleati in Normandia. Un ruolo di primo piano in quel periodo fu svolto da Sverdrup e Munk, che nel 1947 pubblicarono i risultati dei loro studi. La tecnica per la previsione del moto ondoso da loro sviluppata, e successivamente perfezionata da Bretschneider, era basata su relazioni semi-empiriche costruite a partire dall’analisi e identificazione di parametri in grado di descrivere accuratamente lo stato del mare. Il metodo, detto SMB dai nomi degli autori, ricostruisce il moto ondoso in funzione di informazioni relative al vento, ma la visione che fornisce è a una scala locale. In realtà, è dimostrato che, per avere una reale predicibilità degli eventi meteo-marini, i modelli previsionali devono essere utilizzati su aree sufficientemente estese e con risoluzioni adeguate, che consentano una rappresentazione sufficientemente completa e accurata della situazione meteo-marina generale. I successivi modelli di previsione, basati sugli studi di Pierson (1955), Gelci ed altri (1956), che introdussero i concetti di spettro d’energia dell’onda e della corrispondente equazione di bilancio, hanno cercato di fornire una descrizione fisicamente più corretta dei processi di creazione, propagazione e dissipazione del moto ondoso. Tali modelli, però, tenevano conto degli effetti di formazione delle onde solo mediante espressioni puramente empiriche. Solo dopo gli studi successivi di Phillips e Miles (1957) sui meccanismi di gene- 145 Appunti di meteorologia marina razione delle onde, e quelli di Hasselmann (1962) sui meccanismi di interazione non lineare delle onde fu possibile scrivere un’espressione generale relativa agli effetti di creazione e dissipazione delle onde. Tale espressione è costituita da tre termini: l’input del vento, l’interazione non lineare e la dissipazione. I modelli che sono derivati da questi studi, sono stati classificati in tre generazioni. I modelli di prima generazione, risalenti agli anni ’60 e ’70, non tenevano conto delle interazioni non lineari tra onde ed assunzioni ad hoc venivano introdotte per compensare le lacune del modello. Le ragioni delle semplificazioni adottate nell’equazione di bilancio dello spettro d’energia erano di due tipi: da un lato il ruolo importante delle interazioni non lineari non era ancora chiaro, dall’altro la limitata potenza di calcolo dei computer di allora precludeva la possibilità di risolvere l’equazione completa. L’importanza degli effetti di trasferimento non lineare di energia divenne più evidente dopo una serie di esperimenti condotti da Mitsuyasu, Hasselmann, Snyder ed altri negli anni dal 1968 al 1986. Questo portò allo sviluppo dei modelli detti di seconda generazione. Tali modelli tenevano conto del termine di interazione non lineare, ma in una forma semplificata e parametrizzata. Essi, quindi, soffrivano ancora di problemi di fondo per il calcolo corretto del moto ondoso. Sebbene per campi di vento tipici i risultati erano abbastanza corretti, nel caso di moto ondoso più complesso, generato da campi di vento rapidamente variabili, come per esempio uragani o altri fenomeni atmosferici significativi, le simulazioni non davano risultati appropriati. Nel 1985 ci fu uno studio comparativo tra nove differenti modelli di prima e seconda generazione, ad opera di un gruppo di ricerca denominato SWAMP, sia per condizioni atmosferiche semplici che nel caso di un uragano. In quest’ultimo caso, in particolare, fu verificato che i risultati dei vari modelli erano molto diversi tra loro e che, quindi, le differenti parametrizzazioni dell’equazione di bilancio dello spettro d’energia non consideravano in modo corretto tutti i fattori. A seguito di ciò, fu deciso di sviluppare un modello di terza generazione che tenesse conto in modo più completo (pur con ancora qualche semplificazione) di tutti i processi fisici rilevanti. Le applicazioni di questo modello, denominato WAM, e di modelli analoghi, tipo WAVEWATCH III e SWAN, richiedono naturalmente un’elevata potenza di calcolo che si è resa disponibile solo in anni recenti. Questi sono i modelli di simulazione del moto ondoso utilizzati tutt’oggi. Oltre al perfezionamento dei modelli stessi, sono stati fatti progressi anche nelle tecniche di acquisizione dei dati meteo-marini. Tali dati vengono inseriti nei modelli per inizializzare e per ricalibrare i campi di vento e onde, permettendo di ottenere previsioni più accurate del moto ondoso. Un’ulteriore fase di sviluppo dei modelli meteo-marini dovrà prevedere un accoppiamento reciproco tra modelli di onde, idrodinamici e atmosferici per tener conto dell’interazione reciproca tra mare ed atmosfera. È infatti importante sia inserire la dinamica e la termodinamica del mare attraverso un modello idrodinamico, che è la controparte marina del modello atmosferico e permette di simulare le condizioni di moto del mare (correnti marine, temperatura, salinità) sia, mediante uno scambio dinamico di informazioni con il modello atmosferico, considerare le molteplici interazioni tra l’atmosfera e l’oceano. 146 III. I modelli previsionali di moto ondoso Equazioni delle onde Nonostante la grande generalità di fenomeni fisici descritti mediante il concetto di onda, le equazioni che governano tali fenomeni sono tutte molto simili e, dal punto di vista matematico, sono equazioni differenziali alle derivate parziali. Quello che cambia, di volta in volta, è soprattutto l’interpretazione fisica dei parametri che compaiono all’interno di tali equazioni, le cosiddette ‘condizioni al contorno’, che definiscono la geometria del problema in esame, e le ‘condizioni iniziali’, che definiscono lo stato iniziale del sistema fisico. Una tipica equazione delle onde è l’equazione di D’Alembert in una dimensione: dove c è una costante che dipende dalle caratteristiche del sistema fisico considerato e corrisponde alla velocità di propagazione dell’onda, x è la posizione e t è il tempo. Come si può verificare per sostituzione (facendo le derivate), le soluzioni di questa equazione sono funzioni del tipo: dove f 1 e f 2 sono funzioni che dipendono dalle condizioni al contorno e da quelle iniziali. Per esempio, una tipica soluzione dell’equazione di D’Alembert è l’onda sinusoidale che si sposta in avanti (figura 91) È anche facile verificare, per sostituzione, che la sovrapposizione di onde sinusoidali è a sua volta una soluzione. Se si conoscono l’equazione delle onde, la geometria del sistema e le condizioni ad un certo istante iniziale, si può trovare un’espressione che fornisce lo stato dell’onda ad un qualsiasi istante successivo. Una soluzione analitica per l’equazione delle onde si può trovare però solo in casi particolari. Nel caso di condizioni al contorno complesse, potrebbe essere necessario ricorrere a metodi numerici. Benché l’equazione di D’Alembert sopra considerata riguardi il caso relativamente semplice di onde che si propagano in uno spazio ad una dimensione, essa contiene già l’essenza di cosa significhi costruire un modello di moto ondoso: si tratta infatti di derivare dai principi primi della fisica l’equazione differenziale alle derivate parziali che descrive il moto delle onde e poi trovarne le soluzioni. In tal modo, conoscendo lo stato del mare a un certo istante sarebbe in teoria possibile ricavarne lo stato futuro. Purtroppo, come vedremo in seguito, la situazione relativa alle onde marine è molto complessa, a causa della conoscenza incompleta sia dello stato del mare ad un certo istante che dei meccanismi di formazione delle onde. Inoltre, le equazioni che descrivono il moto ondoso in mare sono estremamente complicate da risolvere e necessitano di alcune semplificazioni. La derivazione dell’equazione fondamentale (equazione di bilancio dello spettro d’energia), che sta alla base della modellistica del moto ondoso, è piuttosto lunga e complessa. Si cercherà qui di delinearne i passaggi logici fondamentali. Equazioni di Navier-Stokes Il punto di partenza per la costruzione di un modello di simulazione del moto ondoso è rappresentato dalle equazioni di Navier-Stokes. Queste sono le equazioni differenziali fondamentali della dinamica dei fluidi, valgono per fluidi di vario genere e derivano direttamente dai principi di conservazione della massa, dell’impulso e dell’energia. Nello studio del moto ondoso marino il fluido da considerare è un fluido inomo- 147 Appunti di meteorologia marina geneo a due strati, costituiti rispettivamente da aria e da acqua, con una superficie di discontinuità rappresentata dall’interfaccia aria-acqua. Le onde che vi si propagano non sono le classiche onde longitudinali (oscillazioni lungo la direzione di propagazione) o trasversali (oscillazione perpendicolare alla direzione di propagazione) che si propagano in un mezzo omogeneo, ma sono onde di superficie di tipo molto complesso (vedi capitolo II). In un sistema fisico di questo tipo, parte delle condizioni al contorno, quelle relative alla superficie dell’acqua, sono rappresentate dalle onde stesse. La complessità di tali condizioni al contorno fa sì che le equazioni complete che governano un fluido di questo genere siano estremamente difficili da risolvere, sia analiticamente che numericamente. Approssimazione lineare La difficoltà nel risolvere le equazioni complete che descrivono il moto ondoso marino rende necessarie alcune semplificazioni. In primo luogo, dato che la densità dell’aria è molto minore di quella dell’acqua, il sistema si può descrivere in buona approssimazione mediante equazioni più semplici, relative ad un fluido a singolo strato (acqua). Ulteriori semplificazioni sono quelle di trascurare la viscosità dell’acqua, la tensione superficiale e l’eventuale formazione di vortici. Infine, si può assumere, sempre in prima approssimazione, che le onde sulla superficie del mare non siano troppo alte. In tal caso, si possono trascurare i termini non lineari, ovvero quelli con potenze maggiori di uno dell’altezza delle onde, nelle equazioni stesse (approssimazione lineare). Le equazioni così semplificate sono molto simili all’equazione di D’Alembert vista precedentemente e possono essere risolte analiticamente. Soluzioni particolari di esse sono le onde sinusoidali già viste, che in notazione complessa possono essere scritte: dove c.c. sta per complesso coniugato (il neretto significa che x e k sono vettori bidimensionali). In definitiva, si ricava la teoria lineare delle onde già vista. Le soluzioni ottenute descrivono il moto di onde di superficie libere in un mezzo omogeneo. Non si tiene quindi conto di correnti, variazioni di profondità, vento, attriti ed interazioni tra onde. Approssimazione WKB Un’approssimazione migliore per l’equazione delle onde, che permette di tener conto di ulteriori fenomeni come la disomogeneità del mare dovuta a correnti o profondità variabili, è la cosiddetta approssimazione WKB (questo nome deriva dalle iniziali di G. Wentzel, H. A. Kramers e L. Brillouin, che introdussero un’analoga approssimazione per la funzione d’onda in meccanica quantistica). Questa è un’approssimazione di tipo non perturbativo, ovvero non si può ottenere partendo dalle soluzioni della parte lineare delle equazioni delle onde. Essa consiste sostanzialmente nell’assumere che ampiezza, numero d’onda e frequenza siano non più costanti, ma funzioni dello spazio e del tempo: Se si assume questa come soluzione particolare e si sostituisce nell’equazione non linearizzata delle onde, si ottiene un’equazione di evoluzione per l’ampiezza A(x,t), che tiene conto anche degli effetti delle correnti e delle variazioni di pro- 148 III. I modelli previsionali di moto ondoso fondità. Tale equazione si scrive di solito non in termini dell’ampiezza A(x,t) stessa, quanto piuttosto del suo quadrato. Più precisamente, si definisce la quantità N(x,t)=2|A(x,t)|2/σ, chiamata densità di azione, dove σ è la frequenza in assenza di correnti. L’equazione risultante per N(x,t) ha il classico aspetto di una legge di conservazione, dove la variazione locale di una certa quantità (in questo caso la densità di azione) è determinata dal flusso di quella che entra o esce. Con le onde di tipo WKB si può costruire una sovrapposizione analoga allo sviluppo di Fourier in onde sinusoidali, che rappresenta così la soluzione generale dell’equazione delle onde in questa approssimazione, ma che rispetto al semplice sviluppo di Fourier tiene in considerazione anche la disomogeneità del mezzo. Tale sovrapposizione è scrivibile come somma su un indice intero n che identifica il numero d’onda locale kn(x,t). A questo punto, se si tiene conto della dipendenza da x e t del numero d’onda, sfruttando l’equazione di conservazione per N(x,t), si può ricavare un’equazione di conservazione valida per le singole componenti Nn(x,t) della densità di azione. La sovrapposizione di componenti WKB, invece che come somma su un indice intero, si può esprimere anche come integrale su un numero d’onda continuo k. Le tre variabili k, x e t risultano allora indipendenti e la densità di azione si può scrivere in termini di componenti N(k,x,t), dipendenti anche da k. Adesso, dall’equazione di conservazione valida per le componenti con indice discreto, si può ricavare un’equazione di conservazione per le componenti N(k,x,t). Si noti infine che la grandezza Fn(x,t) = σ · Nn(x,t), è proporzionale al quadrato delle ampiezze delle singole componenti nello sviluppo in serie della soluzione dell’equazione delle onde; quindi, Fn(x,t) è proporzionale all’energia media per unità di area associata a tali componenti. Analogamente si può dimostrare che F(k,x,t) = σ · N(k,x,t) dà la distribuzione dell’energia media per unità di area e per intervallo di numero d’onda, rispetto alle singole componenti con numero d’onda continuo k. Descrizione statistica Per come è stato posto il problema fino ad ora, fissate le condizioni iniziali l’equazione delle onde permette di ricavare univocamente l’evoluzione successiva dello stato del mare (almeno in assenza di interazioni). In realtà, però, è impossibile determinare in modo esatto le condizioni iniziali di un problema di questo tipo. Allora, come si è visto anche precedentemente, è necessario ricorrere ad una descrizione statistica del sistema. In termini matematici, si assume quindi che la grandezza u(x,t) che descrive il profilo del mare non sia più una funzione ordinaria, ma un processo stocastico. Questo significa che, in ogni punto ed in ogni istante, non si hanno valori univocamente definiti dell’altezza e della fase dell’onda, ma valori casuali distribuiti secondo una certa legge di probabilità. Le grandezze fisiche misurabili diventano dunque valori medi, determinabili secondo tale legge.La distribuzione di probabilità diventa allora la vera incognita del problema, trovata quella è possibile calcolare il valor medio delle grandezze che interessano. Prendiamo adesso in considerazione le seguenti tre categorie di processi stocastici: processo stocastico non stazionario, stazionario, stazionario ed ergodico. Nel caso di un processo stocastico non stazionario, i valori medi di cui sopra devono essere calcolati su un insieme statistico di possibili stati del sistema (ensamble) e, inoltre, le medie rispetto a due istanti di tempo diversi differiscono in generale tra loro. Nel caso di un processo stocastico stazionario, invece, le medie sull’ensamble ad istanti diversi coincidono. Infine, nel caso di un processo stazio- 149 Appunti di meteorologia marina nario ed ergodico, oltre alla coincidenza delle medie ad istanti diversi, si ha anche che la media sull’ensamble è equivalente alla media temporale. Detto questo, consideriamo prima il caso di approssimazione lineare. In questa approssimazione si assume che lo stato del mare sia stazionario, ergodico e con una distribuzione di probabilità Gaussiana. Nel caso di una Gaussiana il problema è risolto quando si sa calcolare la funzione di covarianza a due punti <u(x+Δx,t+Δt)u(x,t)>, dove il simbolo <…> rappresenta il valor medio calcolato sull’ensamble. Partendo da questa funzione, infatti, la distribuzione di probabilità è facilmente calcolabile. Se il processo stocastico è stazionario, inoltre, al posto della funzione di covarianza si può considerare la sua trasformata di Fourier, detta funzione di densità spettrale, o spettro. Un’espressione esplicita per questa funzione si può ricavare esprimendo le onde mediante una sovrapposizione di componenti sinusoidali, come nel caso non stocastico, assumendo questa volta che i coefficienti delle varie componenti siano variabili stocastiche. Si trova allora che la funzione di densità spettrale è proporzionale proprio al valor medio sull’ensamble del quadrato dei coefficienti stocastici. In definitiva, lo spettro qui definito coincide con quello già descritto; l’unica differenza sostanziale è che lì la media delle ampiezze delle componenti sinusoidali era calcolata su campioni statistici corrispondenti a registrazioni temporali successive dello stato del mare, mentre qui la media è calcolata su un insieme astratto di possibili stati del sistema. Se però le onde marine sono un sistema ergodico, le due medie coincidono (teorema ergodico). Quindi, nel caso dell’approssimazione lineare, si ottengono di nuovo i risultati già visti. Si ricava allora che la funzione di densità spettrale non cambia nel tempo e non cambiano i valori medi che si ottengono a partire da essa. Nel caso dell’approssimazione WKB, non si può più ipotizzare che lo stato del mare sia stazionario, ma assumendo che esso vari lentamente, rispetto al periodo delle singole onde, si può pensare che lo sia approssimativamente. Si può inoltre assumere, sempre in prima approssimazione, che esso sia ancora descrivibile come un processo stocastico gaussiano. In questo caso, molte delle considerazioni fatte per il caso lineare sono ancora valide e la funzione di densità spettrale, come definita sopra, coincide con il valor medio sull’ensamble di Fn(x,t). Analogamente, se si considera lo sviluppo in termini dell’indice continuo k, si trova che il valore medio sull’ensamble di F(k,x,t) coincide con lo spettro direzionale d’energia dell’onda. Da questo deriva che le equazioni di conservazione che valevano per F(k,x,t), o equivalentemente per N(k,x,t), sono valide anche per le corrispondenti funzioni di densità spettrale. Per convenzione, si utilizzano gli stessi simboli sia nel caso deterministico che in quello stocastico; quindi, da ora in avanti, con il simbolo F si indicherà lo spettro d’energia e con N lo spettro d’azione. In definitiva, risolvere l’equazione di conservazione per N(k,x,t) permette di calcolare direttamente F(k,x,t) e quindi la distribuzione di probabilità. Vento, attriti ed interazione tra onde Fino ad ora si è considerato solo il caso di onde libere in un mezzo eventualmente non omogeneo (in presenza di correnti e/o variazioni di profondità), ma si sono trascurati gli effetti dovuti al vento, agli attriti e all’interazione tra le onde. Questi effetti possono essere tenuti di conto nell’equazione di conservazione mediante uno sviluppo perturbativo, assumendo che la variazione delle ampiezze delle onde rispetto al tempo sia proporzionale ad essi. Se si considera poi il fatto 150 III. I modelli previsionali di moto ondoso che lo spettro d’azione è esprimibile tramite il valor medio sull’ensamble del quadrato di tali ampiezze, si ottiene infine l’equazione completa di conservazione dello spettro d’azione, detta anche equazione di bilancio. Questa equazione, che richiede necessariamente una risoluzione numerica mediante computer con una notevole potenza di calcolo, costituisce la base per la costruzione dei modelli previsionali di moto ondoso di ultima generazione. Equazione di bilancio dello spettro direzionale d’azione L’espressione completa dell’equazione di bilancio dello spettro direzionale d’azione è: dove θ è la direzione di provenienza delle onde e i coefficienti cx, cy, cσ e cθ danno la velocità di variazione dello spettro rispetto alle diverse variabili. Il primo termine a sinistra nell’equazione rappresenta la variazione dello spettro d’azione nel tempo; il secondo e terzo termine rappresentano la variazione di tale spettro nello spazio geografico, mentre il quarto e il quinto corrispondono alla variazione rispetto alla frequenza relativa (frequenza in assenza di correnti) e alla direzione di propagazione. I tre termini a secondo membro rappresentano, invece, i termini sorgente di energia. Sin rappresenta l’input dovuto al vento, Sds il contributo dovuto alla dissipazione e, infine, Snl quello delle interazioni non lineari tra onde. Nel seguito questi tre termini vengono descritti in dettaglio. Vento Come si è visto, i parametri significativi che determinano gli effetti del vento sulle onde sono la velocità e la durata del vento ed il fetch. Si è anche visto che è possibile ricavare dei grafici che legano questi parametri all’altezza significativa delle onde. Questi risultati derivano dall’analisi di molti insiemi di dati sperimentali, ma hanno alla base soltanto delle relazioni empiriche che non precisano i processi fisici implicati. La formazione delle onde da vento è il risultato dell’interazione tra acqua e atmosfera, ma questa interazione, dovuta ad un flusso di aria turbolento su una superficie variabile nello spazio e nel tempo, è estremamente complessa. Il problema di costruire un modello che la descriva non è ancora completamente risolto. Le prime due teorie di una certa importanza sono relativamente recenti (1957) e sono dovute rispettivamente a Owen Phillips e John Miles. La teoria di Phillips si basa sugli effetti di risonanza tra le fluttuazioni di pressione, dovuti alla turbolenza del flusso di aria sulla superficie marina, e le onde. Secondo tale teoria, queste fluttuazioni sono sufficienti ad indurre piccole perturbazioni della superficie del mare e a causare una crescita lineare rispetto al tempo dello spettro di energia delle onde. Questo meccanismo, però, è valido soltanto nella fase iniziale di formazione delle onde su un mare completamente calmo e non è pertanto molto utile in casi realistici; esistono comunque studi sperimentali che supportano la correttezza della teoria di Phillips in tale fase iniziale. La teoria di Miles è invece basata su meccanismi di risonanza di tipo diverso; più precisamente, prende in considerazione la risonanza tra le fluttuazioni di pressione indotte dalle onde e le onde stesse. Tale teoria assume che sulla superficie marina esistano già onde di ampiezza piccola, ma sufficiente ad influenzare 151 Appunti di meteorologia marina il flusso di aria sopra di esse. Secondo Miles, il profilo variabile del mare produce delle differenze di pressione nel flusso di aria su di esso, che tendono a risucchiare le creste e a spingere le gole delle onde, amplificandone l’ampiezza. Questo meccanismo è direttamente proporzionale allo spettro di energia e dà luogo quindi a una crescita esponenziale dello spettro stesso con il tempo. La teoria di Miles ha suscitato particolare interesse, ma è stata anche soggetta a molte discussioni, sia per la mancanza di accordo con studi sperimentali che per lacune di base della teoria stessa. In realtà, anche le varie campagne di ricerca sperimentale, a causa della difficoltà di compiere misure su un sistema così complesso, non hanno mostrato un completo accordo tra loro. Per esempio, l’esperimento di Dobson del 1971 mostrò che il trasferimento di energia dal vento alle onde era di un’ordine di grandezza maggiore di quello previsto da Miles; d’altronde, successive campagne condotte da Snyder (1974, 1981) e Hasselmann e Bösenberg (1991) hanno mostrato un accordo migliore. Infine, una recente ricerca (2003) condotta da scienziati della Johns Hopkins University e della University of California (Tihomir Hristov, Scott Miller e Carl Frihe) ha mostrato un buon accordo tra i dati e i risultati originali di Miles. Oltre ai problemi nel confronto con i dati sperimentali, però, la teoria di Miles presenta anche delle lacune di principio a causa dell’eccessiva semplificazione del problema. Miles trascura infatti la viscosità e la turbolenza dell’aria (approccio quasi-laminare) e non tiene conto di importanti effetti non lineari. I tentativi per superare la teoria di Miles sono stati molti, per esempio modellizzando i flussi turbolenti mediante metodi numerici. Sulla base di questi tentativi si è visto che i risultati di teorie che tengono in considerazione gli effetti di turbolenza a piccola scala non differiscono in modo sostanziale da quelli della teoria di Miles e che solo le turbolenze su scala più grande influiscono significativamente sullo sviluppo del moto ondoso. Alla fine, poiché i risultati di Miles non differiscono molto da quelli delle teorie con turbolenza, la sua teoria è stata per il momento accettata e in parte estesa per includere il contributo della turbolenza a grande scala. Questa situazione non è tuttavia completamente soddisfacente e ancora molto lavoro viene svolto per cercare di sviluppare una teoria più completa. Benché esistano diversi modelli che estendono la teoria originale di Miles, il contributo che ne deriva per quanto riguarda l’equazione di bilancio è proporzionale allo spettro di energia: Sin = γ F = γ σ N. Il parametro γ rappresenta la velocità di crescita dell’energia delle onde e la sua forma precisa dipende dalla teoria adottata. Dissipazione Anche il fenomeno della dissipazione di energia nell’ambito del moto ondoso marino è molto complesso e non ancora pienamente compreso. A tutt’oggi non sono disponibili teorie complete che descrivano questi effetti fortemente non lineari e ci si limita a formule semi-empiriche. Le onde possono perdere energia per vari motivi: a causa della viscosità dell’acqua, per frangimento delle onde e per attrito con il fondo. Gli effetti della viscosità, che sono gli unici compresi a fondo, sono significativi solo per onde molto piccole (per esempio, le onde capillari). Il frangimento delle onde può avvenire sia in acque profonde (white capping) che in acque basse per effetto dell’innalzamento (shoaling) del fondo. Infine, l’attrito con il fondo influenza soltanto le onde in acque basse. Gli ultimi tre effetti sono molto importanti per la determinazione dell’energia dissipata dalle onde e il termine di dissipazione nell’equazione di bi- 152 III. I modelli previsionali di moto ondoso lancio dell’azione si può scomporre in tre contributi, Sds = Sds,wc + Sds,sh + Sds,attr . La rottura delle onde in acque profonde dipende principalmente dalla ripidità dell’onda e per comprenderne la dinamica sono stati fatti molti studi, sia sperimentali (Duncun, 1981; Rapp e Melville, 1990; ecc.), che teorici (Longuet-Higgins e Cokelet, 1978; Longuet-Higgins, (1988); ecc.). Benché alcuni aspetti relativi al frangimento della singola onda siano stati capiti, l’estensione di questi risultati al caso di un insieme statistico di onde e, quindi, la comprensione della dissipazione di energia in termini del suo spettro, presenta ancora molte lacune. Esistono varie teorie approssimate per questo meccanismo, ma quella utilizzata di solito nell’ambito della recente modellistica meteo-marina è basata sul lavoro di Hasselmann (1974). Il risultato di Hasselmann è che il termine Sds,wc risulta circa proporzionale allo spettro d’energia. Il frangimento in acque basse, dovuto allo shoaling, è altrettanto complesso. La comprensione di questo processo è ancora molto incompleta, ma un modello che funziona abbastanza bene è stato messo a punto da Battjes e Janssen (1978). Il termine di dissipazione Sds,sh che si ricava risulta anch’esso proporzionale allo spettro d’energia. Infine, per quanto riguarda gli effetti di attrito con il fondo, un modello abbastanza valido è stato sviluppato da Hasselmann (1973) e anche in questo caso il termine di dissipazione Sds,attr risulta proporzionale allo spettro d’energia. Interazione non lineare L’interazione non lineare tra onde è un problema largamente studiato in vari settori della fisica: stato solido, fisica quantistica dei campi e fisica dei plasmi. Nell’ambito del moto ondoso marino, gli studi più significativi sono stati quelli di Phillips (1960) e Hasselmann (1960, 1962, 1966, 1967, 1968). Nell’ipotesi che le onde non siano troppo alte e ripide e che l’interazione tra esse non sia troppo forte, Hasselmann ha osservato che lo sviluppo perturbativo dell’energia delle onde contiene contributi dovuti sia all’interazione a tre onde e che a quella a quattro onde, più altri contributi meno significativi. Le interazioni a tre e quattro onde, però, sono importanti solo in condizione di risonanza, cioè quando è soddisfatta una certa relazione tra i numeri d’onda e tra le frequenze delle varie onde (sia la somma dei numeri d’onda che quella delle frequenze delle onde interagenti devono essere uguali a zero). D’altronde, a causa della relazione di dispersione, la condizione di risonanza non può essere soddisfatta per le onde di gravità nel caso dell’interazione a tre onde. Il risultato finale del lavoro di Hasselmann è quindi che il contributo più significativo per il termine Snl nell’equazione del bilancio è quello derivante dall’interazione a quattro onde e tale contributo può essere espresso tramite una formula analitica con un integrale in sei dimensioni. L’interazione non lineare risultante conserva l’energia totale delle onde, ma la ridistribuisce all’interno dello spettro, trasferendo energia tra onde a differenti frequenze. Più precisamente, l’interazione trasferisce l’eccesso di energia dovuta agli effetti del vento in corrispondenza del picco dello spettro sia verso le alte che le basse frequenze. Ad alte frequenze l’energia viene dissipata, quindi l’effetto risultante è quello di spostare il picco dello spettro verso le basse frequenze fino al raggiungimento dell’equilibrio. A quel punto la forma dello spettro di energia non cambia (self-similarity). L’integrale a sei dimensioni relativo all’interazione a quattro onde può essere calcolato numericamente con la precisione voluta, ma richiede un tempo di calcolo molto elevato. Per questo motivo, nei modelli meteo marini di simulazione del moto ondoso si utilizza di solito una formula semplificata. In particolare, nei 153 Appunti di meteorologia marina modelli di terza generazione (WAM, WAVEWATCH III, SWAN) si usa la Discrete Interaction Approximation (DIA) dovuta anch’essa a Hasselmann (1981, 1985). Si deve infine precisare che la formula dell’interazione non lineare a quattro onde è ragionevolmente valida solo in acque profonde. In acque a profondità intermedia di solito tale formula viene scalata mediante un fattore correttivo. In acque basse, invece, la formula precedente non è più valida. Il trasferimento non lineare di energia tra le onde diventa infatti più significativo e l’approssimazione di interazione debole non è più corretta. Ne deriva che in acque basse può essere importante anche l’interazione a tre onde, per la quale esistono alcune formule semi-empiriche utilizzate, per esempio, in modelli come SWAN. Modelli I modelli di simulazione del moto ondoso adottati in anni recenti vengono definiti di terza generazione; essi risolvono numericamente l’equazione di bilancio dello spettro direzionale d’azione, tenendo conto esplicitamente delle interazioni non lineari e senza fare alcuna ipotesi circa la forma dello spettro d’energia, in modo da rappresentare la fisica dell’evoluzione del moto ondoso con un maggior numero di gradi di libertà. Tra i principali modelli di moto ondoso allo stato dell’arte citiamo: ¿ WAM, che può essere considerato il primo modello di terza generazione, sviluppato in ambito europeo (Max Planck Meteorological Institute, Hamburg) da un gruppo capeggiato da Hasselmann (WAMDIG 1988, Komen ed altri autori 1994); ¿ WAVEWATCH III, sviluppato negli USA presso il National Oceanic and Atmospheric Administration / National Centers Environmental Prediction (NOAA/ NCEP), con i contributi di Tolman e altri autori (Tolman 1997, 1999); ¿ SWAN, sviluppato nell’ambito dell’Università di Delft in Olanda (1999). Scale dei modelli I modelli numerici di moto ondoso risolvono l’equazione di bilancio su opportune griglie di punti, che costituiscono la rappresentazione discretizzata di determinate estensioni geografiche.Alcuni dei principali problemi nello sviluppo di un sistema previsionale meteo-marino sono legati alla scelta della scala spazio-temporale più adeguata alla rappresentazione dei fenomeni e alla conseguente scelta della risoluzione spaziale e temporale da utilizzare nei modelli. Questi aspetti devono tener conto sia della scala dei fenomeni stessi che della fisica contenuta nelle equazioni utilizzate. Una distinzione che si può fare è tra modelli a larga scala e modelli a scala medio-piccola. Per esempio, mentre WAM e WAVEWATCH III sono modelli a larga scala, SWAN è indirizzato in modo particolare allo studio del moto ondoso a scala medio-piccola, in acque basse ed aree costiere. I modelli a larga scala sono troppo dispendiosi dal punto di vista delle risorse di calcolo per poter essere utilizzati ad alte risoluzioni. Tuttavia, anche se ciò fosse possibile, la fisica contenuta nelle loro equazioni potrebbe non tener conto di forti variazioni del campo di moto ondoso su scale piccole e si otterrebbe solo una descrizione approssimata e mediata della situazione reale. Tipiche applicazioni dei modelli a larga scala possono essere il calcolo del moto ondoso oceanico, quello dell’intero Mediterraneo o quello del Tirreno. 154 III. I modelli previsionali di moto ondoso WAM Il modello WAM è stato il primo modello di terza generazione. Gli studi che hanno portato alla sua realizzazione sono iniziati ad Amburgo nella primavera del 1984 su iniziativa di Klaus Hasselmann. Il gruppo di scienziati europei che lo ha sviluppato prese il nome di WAM (dall’inglese WAve Modelling). La necessità di un nuovo tipo di modello fu messa in evidenza da una prova comparativa di una decina modelli esistenti, che mostrarono rilevanti discrepanze nello studio di alcuni casi test. Inoltre, l’accresciuta potenza di calcolo dei moderni computer permetteva un approccio più completo alla risoluzione dell’equazione del bilancio. Infine, lo sviluppo dei metodi di rilevazione satellitare del moto ondoso permetteva l’uso di tali dati per la validazione dei modelli stessi. Il lavoro del gruppo WAM si concluse fondamentalmente nel 1994, con la pubblicazione di un resoconto sullo studio fatto ad opera di G. J. Komen ed altri autori, anche se il modello WAM è stato successivamente aggiornato. Il modello WAM risolve numericamente l’equazione completa di bilancio dell’azione spettrale, compreso il termine di interazione non lineare tra onde, sia nel dominio spaziale che in quello delle frequenze e delle direzioni di propagazione. Il modello, però, non tiene conto degli aspetti tipici delle onde in acque basse e quindi non funziona bene quando le onde subiscono rapidi processi di trasformazione ad opera dei fondali. Il modello WAM è attualmente utilizzato in molti centri meteorologici ed oceanografici, tra cui, per esempio, l’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts (ECMWF). WAVEWATCH III Il modello WAVEWATCH III (Tolman 1997, 1999) è un modello di terza generazione, come WAM, che risolve l’equazione completa di bilancio. Il WAVEWATCH III è stato sviluppato negli USA presso il NOAA/NCEP e rappresenta uno sviluppo successivo del modello WAVEWATCH I, sviluppato alla Delft University of Technology (Tolman 1989, 1991) e del modello WAVEWATCH II, sviluppato alla NASA (Tolman 1992). WAVEWATCH III differisce però dai suoi predecessori in alcuni aspetti come le equazioni di base, la struttura, i metodi numerici e le parametrizzazioni. Analogamente al modello WAM, WAVEWATCH III utilizza una parametrizzazione dei processi fisici che non comprende gli aspetti tipici delle onde in acque basse. WAVEWATCH III ha quindi un campo di applicazione relativo ad aree esterne alla surf zone, con una risoluzione spaziale tra 1 km e 10 km. Il modello WAVEWATCH III è attualmente utilizzato, per esempio, presso il Laboratorio di Meteorologia e Modellistica Ambientale (LaMMA) di Firenze ed il Centro di Meteorologia Marina e Monitoraggio Ambientale del Mediterraneo (CoMMA-Med) di Livorno (www. lammamed.rete.toscana.it). SWAN Il modello SWAN (dall’inglese Simulating WAves Nearshore) è stato sviluppato presso la Faculty of Civil Engineering and Geosciences della Delft University of Technology, in Olanda, da M. Zijlema e N. Booij. SWAN è stato specificatamente sviluppato per la simulazione del moto ondoso in prossimità delle aree costiere (acque basse e presenza di correnti). Questo modello si basa sulle stesse formulazioni di WAM, pertanto l’equazione di base è sempre quella di bilancio, ma implementa ulteriori effetti caratteristici delle zone con bassi fondali ed utilizza tecniche numeriche più adatte per griglie ad alta risoluzione. In particolare, rispetto a WAM e WAVEWATCH III, SWAN tiene conto sia del frangimento indotto dal fondo che delle interazioni non lineari a tre onde. Il modello SWAN può comunque essere innestato negli altri due modelli. Il modello SWAN è attualmente utilizzato, per esempio, presso i centri regionali toscani di meteorologia LaMMA e CoMMA-Med. 155 Appunti di meteorologia marina I modelli a scala medio-piccola permettono invece di studiare aree con estensione limitata, tenendo conto della variabilità locale dei fenomeni e della geometria dettagliata della zona. Inoltre, le equazioni dei modelli a scala medio-piccola, come SWAN, contengono termini che descrivono la fisica di fenomeni caratteristici di acque basse. Le applicazioni dei modelli a medio-piccola scala possono riguardare golfi o aree costiere. Sia i modelli a larga scala che quelli a scala medio-piccola richiedono come dati in ingresso i dati di vento, le condizioni iniziali e le condizioni al contorno relative all’area di calcolo che si è scelta. Se le aree sono molto vaste, i limiti dovuti alla potenza di calcolo a disposizione impediscono di raggiungere elevate risoluzioni. In questo caso si adotta di solito una tecnica di innestamento (in inglese nesting): si calcola prima la soluzione delle equazioni su tutta l’area di partenza, ma a bassa risoluzione, poi si utilizzano i dati ottenuti come condizioni al contorno per aree ridotte sulle quali si esegue il calcolo a risoluzione più alta. In particolare, dato che i modelli per acque basse e a scala medio-piccola non sono di solito adatti per le applicazioni a larga scala, generalmente si utilizzano i dati in uscita dei modelli a larga scala per fornire le condizioni al contorno relative, per esempio, ad aree costiere (figura 106). Figura 106 - Scale di applicazione dei modelli di moto ondoso e nesting. La catena previsionale Nella modellistica meteo-marina le informazioni relative al vento giocano un ruolo preponderante nella determinazione del moto ondoso e l’estrema sensibilità delle variabili descrittive dello stato del mare alle variazioni del vento ha forti implicazioni soprattutto a livello previsionale. La rappresentazione del vento in prossimità della superficie del mare appare spesso carente nei modelli atmosferici e questo finisce per incidere in modo pesante negli attuali sistemi operativi di previsione numerica dello stato del mare. I modelli di moto ondoso, infatti, utilizzano in ingresso i valori di vento ottenuti dai modelli atmosferici. È quindi chiaro che i risultati delle previsioni di moto ondoso dipendono fortemente da quanto tali valori sono corretti. La catena operativa per la previsione del moto ondoso può essere riassunta nel modo seguente (figura 107): 156 III. I modelli previsionali di moto ondoso Figura 107 - Catena previsionale. 1. I dati meteorologici prodotti da modelli a scala globale, in centri internazionali come l’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts (UK) o il National Centers for Environmental Prediction (USA), vengono utilizzati per l’inizializzazione di un modello meteorologico, per esempio il modello RAMS (Regional Atmospheric Modeling System), sviluppato presso la Colorado State University (USA) e configurato per lavorare sia alla mesoscala che a scale inferiori. 2. I dati previsionali di vento vengono utilizzati come forzanti fisiche nei modelli di moto ondoso a grande, media e piccola scala. 3. I modelli di moto ondoso forniscono in uscita dati di altezza significativa, periodo e direzione d’onda (figura 108). Figura 108 - Altezza significativa e direzione media delle onde. 157 APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA IV. Perturbazioni ed eventi meteo-marini estremi IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi Per eventi estremi si intendono gli eventi meteorologici che divergono fortemente dalla media. Questi eventi per la loro violenza ed il loro carattere improvviso causano danni ingenti a oggetti e persone e suscitano da sempre l’attenzione sia dei meteorologi che della popolazione. Per moltissimi anni l’uomo non è riuscito a spiegare scientificamente questi fenomeni, perciò nei tempi più antichi venivano attribuiti a cause misteriose o a ‘punizioni degli dei’. Attualmente lo sviluppo di sofisticate tecnologie e metodi di indagine, ha reso possibile studiare in dettaglio questi eventi e prevedere la loro nascita ed evoluzione. Cicloni tropicali Sono delle perturbazioni accompagnate da venti rotazionali ed ascensionali di forte intensità (> 120 km h-1), che si generano solitamente in una fascia compresa tra 5° e 15° di latitudine Nord e Sud sugli oceani tropicali. Un altro termine comunemente utilizzato nell’Atlantico del Nord e nei Caraibi per indicare questo tipo di perturbazione è quello di uragano, che deriva probabilmente dalla parola caraibica uracan (=grande vento). L’uragano infatti è classificato con il grado 12 nella scala di Beaufort della forza del vento (tabella 5), per cui è uno tra gli eventi meteorologici (insieme ai tornado) caratterizzato dai venti di maggiore intensità. Altri termini come tifone (Estremo Oriente e Pacifico) e willy willy (Australia) sono utilizzati per indicare questo tipo di fenomeno. I cicloni tropicali hanno origine da un’area di bassa pressione situata sopra la superficie marina che si forma in seguito alla rapida ascesa di una massa d’aria calda ed umida. Questa depressione richiama venti molto intensi dalle zone circostanti che possono assumere un moto vorticoso e ruotare intorno ad un’area centrale di bassa pressione di 20-30 km di diametro (denominata ‘occhio’ del ciclone), dove i fenomeni risultano generalmente assenti o molto attenuati e la nuvolosità scarsa (figura 109). Attorno all’‘occhio’ si osserva una formazione nuvolosa cilindrica e compatta, denominata ‘vortice’, costituita essenzialmente da un ammasso di cumulonembi. Questa zona è dotata di moto vorticoso ed è caratterizzata da venti di straordinaria violenza e da piogge torrenziali. È possibile distinguere anche una terza zona periferica (detta margine) dominata da cirri e cirrostrati dove i Figura 109 - Rappresentazione di un ciclone venti sono deboli ed il caldo oppritropicale visto in sezione (immagine superiore) mente. ed in pianta (immagine inferiore). 161 Appunti di meteorologia marina I fattori necessari a provocare lo sviluppo di queste perturbazioni sono la temperatura elevata del mare (sopra i 26°C) e l’assenza di vento (calme equatoriali); queste condizioni, tipiche dei mari tropicali, favoriscono la formazione e l’ascesa di masse di aria calda ed umida. I movimenti ascensionali provocano il raffreddamento delle masse d’aria e l’umidità presente, raggiunto il punto di rugiada, condensa liberando grandi quantità di calore latente di condensazione e dando origine a cumulonembi e intense precipitazioni. Le masse d’aria ascendenti assumono un moto vorticoso per effetto principalmente della forza apparente di Coriolis e la velocità di rotazione aumenta avvicinandosi al centro del vortice dove la pressione raggiunge i valori minimi. Il movimento vorticoso attorno all’occhio del ciclone avviene in senso antiorario nell’emisfero boreale ed orario in quello australe. Innescata la rotazione subentrano altre forze, quali quella di gradiente (causata dalla differenza di pressione tra la periferia ed il centro del vortice) e quella centrifuga, che contribuiscono allo sviluppo della perturbazione di durata generalmente compresa tra le 12 e le 60-72 ore. Durante questa fase di sviluppo la pressione al centro del vortice è in continua diminuzione, mentre i venti non raggiungono ancora le massime velocità. Quando il vortice ha quasi raggiunto il suo completo sviluppo la pressione crolla ed i venti possono superare la velocità di 200 km h-1. Raggiunta la fase di ‘maturità’ la pressione cessa di diminuire, mentre contemporaneamente aumenta l’area interessata da piogge e venti di forte intensità che può raggiungere anche un raggio di 380 km. L’intensità dei cicloni tropicali diminuisce quando spostandosi sulla terraferma non ricevono più l’apporto di aria calda ed umida dal mare, oppure quando spostandosi verso maggiori latitudini incontrano acque marine più fredde. Queste condizioni provocano un indebolimento del ciclone tropicale che si trasforma in una tempesta tropicale (con venti di 60-120 km h-1) o in una depressione tropicale (con venti inferiori ai 60 km h-1) e, infine, in una semplice perturbazione extratropicale che talvolta può raggiungere anche l’Atlantico europeo. I cicloni tropicali possono essere classificati in base alla velocità media del vento, all’altezza raggiunta dalle storm surges e all’entità dei danni stimati utilizzando la scala di Saffir-Simpson; questa scala è suddivisa nelle seguenti cinque categorie (figura 110): ¿ debole ¿ moderato Figura 110 - Rappresentazione grafica della ¿ forte scala di Saffir-Simpson per la valutazione dell’intensità dei cicloni tropicali. Fonte: ¿ molto forte Coastal Engineering Manual, U.S. Army ¿ catastrofico. Corps of Engineers. 162 IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi I cicloni tropicali appartenenti alla categoria 5 risultano devastanti e provocano danni ingenti a oggetti e persone, sebbene fortunatamente si verifichino con una frequenza molto bassa; ad esempio, negli Stati Uniti tra il 1899 ed il 1980 sono stati registrati 138 uragani, di cui 82 appartenenti alle categorie 1 e 2, 54 alle categorie 3 e 4 e soltanto 2 alla categoria 5. Questi ultimi due uragani hanno colpito gli Stati Uniti rispettivamente il 2 settembre del 1935 in Florida ed il 17 agosto del 1969 sulle coste della Lousiana e del Missisippi (uragano Camille). Il ciclone che, a memoria d’uomo, ha causato il maggior numero di vittime è quello che ha colpito il Bangladesh nel 1970, provocando la morte di circa 500.000 persone. In questo ed in altri casi simili la principale causa di incidenti mortali e di danni in genere non è stata il forte vento, ma piuttosto l’intenso moto ondoso ed il rapido innalzamento del livello del mare che ha determinato l’inondazione di vaste aree. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento della frequenza di uragani particolarmente violenti, in parte attribuito ai cambiamenti climatici in atto. Cicloni extratropicali Si formano alle medie latitudini, dove avviene la convergenza di aria fredda proveniente dai Poli (N-E) ed aria calda proveniente dai Tropici (S-O). Nella fase iniziale le due masse d’aria con proprietà fisiche differenti non si mescolano tra di loro ma rimangono separate da una zona di transizione o di discontinuità indicata come superficie frontale, mentre la sua proiezione al suolo prende il nome di fronte. Si parla in genere di fronte caldo quando una massa d’aria calda ne raggiunge una di aria fredda e di fronte freddo quando è la massa d’aria fredda che avanzando ne raggiunge una di aria calda (figura 111). Nel primo caso l’aria calda con densità minore tende a scorrere sopra l’aria fredda più pesante; nel secondo caso invece è l’aria fredda più pesante che si incunea sotto la massa d’aria calda e la solleva bruscamente verso l’alto. In entrambi i casi le masse d’aria calda ed umida sollevandosi si raffreddano e, una volta raggiunto il punto di rugiada, danno luogo a nubi e precipitazioni. Tuttavia, la tipologia di nubi e precipitazioni che originano è differente: nel caso del fronte caldo, la massa d’aria calda scorrendo gradualmente sopra quella di aria fredda origina nubi di tipo stratiFigura 111 - Rappresentazione schematica dei forme (a sviluppo orizzontale) e le fronti freddi e caldi e delle formazioni nuvolose a precipitazioni avvengono princicui danno origine. 163 Appunti di meteorologia marina palmente sotto forma di pioggia fine e continua che, in alcuni casi, evapora prima di giungere a terra (figura 111); nel caso del fronte freddo, il brusco sollevamento della massa d’aria calda origina generalmente formazioni nuvolose di tipo cumuliforme (a sviluppo verticale) e le precipitazioni avvengono principalmente sotto forma di violenti rovesci e temporali. Per facilitare la lettura delle carte meteorologiche e per consentire il riconoscimento delle perturbazioni in atto, in figura 112 sono riportati i simboli con cui vengono generalmente rappresentati i fronti. Nel caso in cui le masse d’aria polari e tropicali non presentino forti differenze in velocità e/o proprietà fisiche, il fronte polare che si origina dal loro incontro tende a mostrare ondulazioni regolari e continue (fronte stazionario) e non dà luogo ad alcun fenomeno di rilievo (figura 113). Figura 112 - Simbologia con cui vengono rappresentati i fronti sulle carte meteorologiche. Figura 113 - Ondulazioni del fronte polare. Al contrario, nel caso in cui le due masse d’aria che si fronteggiano siano caratterizzate da velocità e/o caratteristiche fisiche molto differenti, le ondulazioni del fronte polare si accentuano ed originano una successione di fronti caldi e freddi che si spostano da Ovest verso Est sotto la spinta dei venti occidentali e che possono evolvere originando i cosiddetti cicloni extratropicali (figura 114). Il fronte freddo si sposta più rapidamente rispetto a quello caldo, per cui tende a raggiungerlo provocando il sollevamento in quota dell’aria calda presente tra i due fronti (settore caldo). I moti ascensionali generano una zona di bassa pressione verso la quale converge l’aria con moto antiorario per azione della forza apparente di Coriolis. In seguito a questo fenomeno le masse d’aria iniziano a ruotare velocemente attorno al centro di bassa pressione, il quale richiama anche aria esterna generando forti venti. Dopo circa 24 ore il fronte freddo raggiunge quello caldo, per cui le due masse d’aria si mescolano tra loro dando luogo ad un fronte occluso e la perturbazione tende gradualmente ad esaurirsi. A seconda che l’aria fredda in avanzamento (sulla sinistra di figura) risulti più o meno fredda di quella che retrocede (sulla destra di figura), si parlerà rispettivamente di occlusione fredda o calda. In corrispondenza dell’occlusione si verifica una sovrapposizione delle nubi e delle precipitazioni associate ai fronti. Con l’avanzare dell’occlusione le nubi stratiformi che caratterizzano il fronte caldo si dissolvono, mentre il sollevamento forzato dell’aria meno fredda da parte del cuneo di aria più fredda che avanza provoca la formazione di cumulonembi. I cicloni extratropicali presentano una estensione maggiore rispetto a quelli tropicali (raggiungendo un raggio di circa 3000 km) e, anche se generalmente sono meno pericolosi, possono creare danni ingenti a cose e persone. 164 IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi Figura 114 - Evoluzione di un ciclone extratropicale. Lo scontro tra il fronte caldo e quello freddo origina un fronte occluso che ruota attorno ad un centro di bassa pressione (B). A sinistra: la rappresentazione del fenomeno visto in sezione, a destra: la simbologia con cui viene rappresentata l’evoluzione di un ciclone extratropicale sulle carte meteorologiche. Burrasche e tempeste Hanno origine ed effetti simili ai cicloni, e sono classificate rispettivamente ai gradi 8-9 (burrasche e burrasche forti) e 10-11 (tempeste e tempeste violente o fortunali) della scala Beaufort della forza del vento (tabella 5). Tuttavia, data la loro imprevedibilità e violenza, possono causare danni notevoli a oggetti e persone che si trovano in mare o sulle coste. Il più temibile tra questi eventi è la ‘tempesta catastrofica’ che ha origine in seguito alla formazione di una piccola depressione vicino alla zona costiera. Questa zona di bassa pressione richiama aria da zone anticicloniche circostanti, con un aumento improvviso del vento e delle precipitazioni che possono raggiungere un’elevata intensità. Le tempeste, per il loro carattere improvviso, possono causare danni ingenti ancora prima che i servizi meteorologici abbiano potuto segnalarne il pericolo. Tra le tempeste catastrofiche del XX secolo quella del 6 luglio 1969 ha determinato la morte di tredici diportisti, mentre quella del 7 giugno del 1987 ha visto la scomparsa di quattro velisti nel bacino di Arcachon, nel Sud-Ovest della Bretagna. In questi ed in altri casi simili, le tempeste hanno avuto origine in seguito alla 165 Appunti di meteorologia marina formazione improvvisa di una piccola depressione durante il periodo estivo che ha prodotto una linea di groppi violenti (fronti freddi in rapido spostamento) che si sono abbattuti sulla costa senza alcun preavviso. Tra le tempeste catastrofiche invernali più recenti, quelle del 3 febbraio 1990 e del 26-27 dicembre 1999 sono state definite le ‘tempeste del secolo’ ed hanno investito gran parte delle coste dell’Europa nord-occidentale raggiungendo valori record di intensità del vento e causando ingenti danni anche nell’interno. In particolare, le tempeste di dicembre 1999 sono state causate dalla contrapposizione di una depressione islandese molto profonda (955 hPa) e dell’anticiclone delle Azzorre (1030 hPa). Nonostante la loro imprevedibilità vi sono dei segnali premonitori associati al fenomeno che possono segnalare il potenziale pericolo, sebbene non consentano di valutarne l’intensità. Tra questi segnali di avvertimento assume particolare importanza il cambiamento della pressione barometrica, sebbene anche le variazioni improvvise dei venti, delle temperature, dell’umidità e delle formazioni nuvolose possano fornire utili indicazioni. Una brusca variazione della pressione barometrica costituisce sempre un segnale di allarme, sia che si tratti di una diminuzione che di un aumento. Ad esempio, una rapida diminuzione della pressione con una tendenza superiore a 5 hPa in tre ore indica l’improvvisa formazione di un centro depressionario e, quindi, segnala l’avvicinarsi del fronte caldo della perturbazione, mentre la brusca risalita del barometro indica l’arrivo dell’aria fredda posteriore. Nel caso di una perturbazione che si dirige da Ovest verso Est, la diminuzione della pressione è associata a venti intensi da Sud-Est che indicano come il centro depressionario sia ancora lontano e come la sua pressione sia molto bassa. All’arrivo della perturbazione il vento girerà in senso orario fino a soffiare da Sud-Ovest e, una volta passata la perturbazione, da Nord e, infine, da Nord-Est. Figura 115 - Esempio di carta sinottica dell’Oceano Pacifico settentrionale con indicati i centri di bassa (L) e alta pressione (H) ed i fronti caldi, freddi ed occlusi. Fonte: CoastalEngineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers. 166 IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi Anche il moto ondoso subirà lo stesso cambiamento di direzione descritto per il vento. Il passaggio della perturbazione è associato anche a variazioni termoigrometriche, poiché l’arrivo dei fronti caldi e freddi determina brusche variazioni di temperatura ed umidità. Dall’osservazione dei parametri meteorologici è possibile quindi ricavare informazioni sulla posizione del centro di bassa pressione, sulla sua direzione e sulla velocità di spostamento stimata. È importante considerare anche che il fronte freddo è generalmente più temibile del fronte caldo. Un ultimo accorgimento è relativo all’osservazione del cielo, poiché l’arrivo di una perturbazione può essere annunciato dalla formazione di cirri ad alta quota che occupano una porzione sempre maggiore di cielo, seguiti da un velo di cirrostrati e, in seguito, di altostrati. A queste formazioni nuvolose, che costituiscono la ‘testa’ della perturbazione, fanno seguito formazioni nuvolose stratiformi e, infine, una linea di groppi costituiti da cumuli congesti e cumulonembi che possono dare luogo a violenti rovesci a carattere temporalesco e a venti molto intensi. Temporali di mare Sono un fenomeno meno frequente rispetto a quelli di terra, ma per la loro imprevedibilità e violenza possono costituire un serio pericolo per i natanti. Una cellula temporalesca in mare può causare raffiche di vento anche superiori ai 40 nodi, oltre che pioggia intensa, fulmini e onde corte e ripide che rendono difficoltosa la navigazione. I temporali si originano in genere in seguito alla formazione di grandi bolle d’aria calde ed umide (le termiche) che tendono a salire in quota trascinando con loro l’umidità. Le masse d’aria salendo si raffreddano e, giunte ad una certa altezza, il vapore acqueo in esse presenti condensa generando un semplice cumulo. Il processo di condensazione determina la liberazione di una grande quantità di calore (il calore latente di condensazione) che alimenta ulteriormente l’ascesa del cumulo. In presenza di determinate condizioni atmosferiche il processo continua a ripetersi fin quando il cumulonembo raggiunge il limite superiore della troposfera (circa 10-12 km di altitudine), ove i valori di temperatura sono talmente bassi (circa -60°C) da impedire l’ulteriore ascesa della massa d’aria. I cumulonembi temporaleschi possono formarsi anche lungo le superfici frontali (specialmente in corrispondenza dei fronti freddi) in seguito al brusco sollevamento delle masse d’aria calde ed umide. La formazione del cumulonembo temporalesco è associata a venti anche di forte intensità (figura 116), provocati dai moti di salita (updraft) e discesa (downdraft) dell’aria all’interno del sistema nuvoloso. Il primo vento che viene avvertito è in direzione della nuvola (a circa 10-12 km di distanza) ed è causato dai cosiddetti venti d’aspirazione o correnti ascensionali, ovverosia quei venti che si generano in seguito alla depressione prodotta dall’ascesa delle masse d’aria e che rispetto al temporale si trovano in posizione avanzata. Avvicinandosi alle nuvole temporalesche il vento tende prima ad arrestarsi e successivamente, giunti a pochi chilometri di distanza, ad invertire la sua direzione dirigendosi verso di noi. Queste correnti discendenti derivano dall’apice del cumulonembo, per cui sono più intense e fredde dei venti di aspirazione, raggiungendo velocità superiori 167 Appunti di meteorologia marina anche a 80 km h-1 e temperature di circa 5-10 °C inferiori rispetto all’aria presente in superficie. In concomitanza ai venti discendenti si verificano anche le precipitazioni che possono essere di forte intensità. I venti discendenti giungendo a terra si aprono a ventaglio, per cui quando il temporale è passato la direzione del vento si inverte nuovamente. Un cumulonembo presenta dimensioni di circa 20-30 km ed è generalmente composto da più celle temporalesche attive, ciascuna caratterizzata da una vita media di circa 45 minuti ed un ritmo di rigenerazione di circa 15 minuti. Le singole celle temporalesche possono interagire tra loro e dare luogo a quelli che in gergo vengono indicati come temporali multicellulari. In alcuni casi i temporali multicellulari possono evolvere dando origine ad una supercella, caratterizzata da un’unica formazione temporalesca attiva molto intensa e dotata di moto rotatorio proprio (il mesociclone) che risulta in parte svincolato dalla circolazione generale dell’atmosfera. Solitamente i temporali a supercella sono i più pericolosi, poiché generano intense precipitazioni (spesso sotto forma di grandine) e, in alcuni casi, i tornado. Nella fase di dissolvimento del temporale, le correnti discendenti occupano tutta la cella temporalesca e la loro velocità non supera generalmente i 30 km h-1. Inoltre, poiché in questa fase le correnti ascensionali sono assenti, la parte superiore del cumulonembo tende ad espandersi lateralmente e ad assumere la tipica forma ad “incudine”. Figura 116 - I venti associati al temporale rispetto alla sua direzione di spostamento. Le frecce indicano i venti di aspirazione (o correnti ascensionali) ed i venti discendenti dal cumulonembo. Quando ci troviamo in mare è fondamentale conoscere la distanza e la direzione del temporale, poiché nella parte anteriore del cumulonembo i venti discendenti possono raggiungere intensità fortissime ed aumentare improvvisamente (gust front o ‘fronte delle raffiche’) rappresentando un serio pericolo per i natanti. Se si vuole stabilire la distanza dal temporale, oltre a notare la direzione dei venti (figura 116), è possibile contare i secondi che intercorrono fra la comparsa del fulmine ed il momento in cui udiamo il tuono, sapendo che il suono percorre circa 300 metri al secondo (figura 117); ad esempio, se udiamo il tuono dopo circa 3 secondi la comparsa del fulmine, significa che il temporale è situato a poco meno di 1000 metri da noi. Sebbene il pericolo di scariche elettriche in mare sia estremamente raro, è bene che le imbarcazioni prive di parafulmini in te- 168 IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi sta all’albero siano dotate almeno di un collegamento metallico tra l’attrezzatura di bordo (albero, ecc.) ed il mare, in modo da consentire al fulmine di trovare una via di resistenza minore per scaricarsi in acqua. Figura 117 - Stima della distanza del temporale in base al tempo trascorso tra la comparsa del flash luminoso ed il momento in cui udiamo il tuono. Tornado e trombe marine Sono eventi meteorologici simili che interessano rispettivamente la terraferma ed il mare. Questi eventi rappresentano senz’altro i fenomeni atmosferici più incredibili e distruttivi noti all’uomo, poiché sono in grado di generare i più forti venti osservabili in natura. In alcuni tornado la velocità del vento può superare anche i 500 km h-1, mentre le correnti ascensionali toccano anche i 300 km h-1 e possono sollevare da terra oggetti anche molto pesanti. I più forti tornado sono stati registrati nelle pianure centrali degli Stati Uniti ma possono verificarsi anche sulla nostra Pianura Padana, sebbene con minore intensità rispetto a quelli osservati oltreoceano. I tornado (da noi chiamati ‘trombe d’aria’) si formano generalmente in corrispondenza delle correnti ascensionali (updraft) dei temporali, formate da aria calda ed umida. In determinate condizioni queste correnti possono muoversi in maniera vorticosa ed assumere la forma di un ‘imbuto’ che, raggiunto il suolo, diventa un tornado con venti che soffiano a velocità vicine ai 500 km h-1. Essendo il tornado localizzato sul bordo delle correnti ascensionali dei temporali, e quindi vicino alle correnti discendenti contenenti pioggia o grandine, un rovescio violento o una grandinata possono talvolta annunciare l’arrivo di un tornado. Gli scienziati non hanno ancora chiarito quali siano esattamente le condizioni necessarie affinché le updrafts diano luogo ad un tornado, sebbene sia stato osservato come la maggioranza dei tornado abbia origine da temporali a supercella. Al centro del vortice del tornado la pressione raggiunge valori molto bassi, per cui tra il centro e la periferia del vortice si genera un gradiente barico molto elevato (anche superiore ai 20-30 hPa) che tende a richiamare aria dalla periferia e a farla ruotare attorno al centro di bassa pressione. Le correnti ascensionali creano una zona di bassa pressione in superficie che 169 Appunti di meteorologia marina richiama altra aria dalle zone circostanti. Anche questo vento convergente superficiale può raggiungere un’elevata intensità e creare notevoli danni a oggetti e persone. Quando il vento comincia a ruotare velocemente solleva materiale presente al suolo che conferisce al tornado una colorazione scura (figura 118), perciò la colorazione assunta dal tornado dipenderà dal tipo e dalla dimensione del materiale sollevato dal vortice. Un tornado singolo può durare da pochi secondi fino ad oltre un’ora, sebbene la durata tipica sia di cinque minuti. L’intensità dei tornado può essere valutata in base alla scala elaborata dal meteorologo giapponese Theodore Fujita e perciò indicata come Fujita-scale (o più semplicemente F-scale, tabella 9). Grado F Velocità del vento Tipologia di danni F0 fino a 115 Km/h danni leggeri F1 116-179 Km/h danni moderati F2 180-251 Km/h danni considerevoli F3 252-330 Km/h danni severi F4 331-416 Km/h danni devastanti F5 sopra 417 Km/h danni incredibili Tabella 9 - Scala di Fujita dell’intensità dei tornado. Quando il tornado ha origine sulla superficie del mare viene indicato con il nome di tromba marina. Il meccanismo di formazione di una tromba marina è simile a quello descritto per il tornado, sebbene talvolta sia sufficiente un cumulo congesto perché abbia origine. Sulla superficie del mare si formano facilmente masse d’aria calde ed umide, in particolare durante il periodo estivo-autunnale, che possono sollevarsi in quota al di sotto di formazioni nuvolose cumuliformi ed assumere un moto vorticoso per azione della forza apparente di Coriolis avvertibile anche su moti a piccola scala. Questo fenomeno è favorito dalla totale assenza di corrugamenti ed ostacoli sulla superficie del mare, perciò le trombe marine si formano più facilmente e si esauriscono più lentamente rispetto ai tornado. Figura 118 - Immagini di tornado. Fonte: International Cloud Atlas del WMO. 170 IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi Tuttavia, la potenza che esse possono raggiungere è inferiore rispetto ai tornado (sebbene i venti rotanti possano sfiorare i 250 km h-1), poiché sulla superficie marina le differenze di temperatura e pressione sono minori rispetto a quelle osservate sulla terraferma. Il moto vorticoso provoca il sollevamento di goccioline d’acqua dalla superficie marina. Le trombe marine, avendo una minore potenza ed essendo costituite da aria più umida rispetto ai tornado, possono originare vortici anche sottilissimi e con condensazione ben evidente (figura 119). Nel momento in cui una tromba marina raggiunge la costa e tocca il suolo viene classificata per convenzione come tornado. Le trombe marine possono rappresentare un serio pericolo per le imbarcazioni che si trovano in mare, poiché possono svilupparsi inaspettatamente e in un contesto di calma di vento. In queste condizioni l’unico vento di rilievo è quello che si dirige verso la base della tromba marina, perciò risulta difficile per chi si trova in mare riuscire a sfuggire alla meteora. Figura 119 - Tromba marina. Fonte: International Cloud Atlas del WMO. Tsunami Sono costituiti da una serie di onde molto lunghe che dopo aver percorso anche distanze notevoli si abbattono sulle coste distruggendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Il termine tsunami è di origine giapponese e può essere tradotto letteralmente come ‘onda del porto’. In Italia gli tsunami sono più comunemente conosciuti con il termine di maremoti, anche se oramai il termine tsunami sta assumendo una diffusione sempre maggiore anche nel nostro Paese. I termini onda anomala e onda di marea, con cui talvolta gli tsunami sono indicati, sono invece usati impropriamente, dato che si riferiscono a fenomeni fisici di altro tipo. Lo tsunami ha origine in mare aperto in seguito principalmente a terremoti, eruzioni o smottamenti sottomarini. Si forma così un’onda molto lunga (dell’ordine di centinaia di chilometri) e bassa (dell’ordine di decine di centimetri), che quindi è praticamente impercettibile in mare aperto. 171 Appunti di meteorologia marina A causa della sua enorme lunghezza, inoltre, lo tsunami presenta le caratteristiche tipiche delle onde in acque basse, per cui la sua velocità è determinata dalla radice quadrata del prodotto tra l’accelerazione di gravità e la profondità del mare. Di conseguenza gli tsunami in pieno oceano viaggiano a velocità molto elevate; per esempio in acque profonde 4000 m la velocità dell’onda è di circa 200 m/s (oltre 700 km/h). Approssimandosi alla costa le onde rallentano a causa della diminuzione di profondità ed aumentano progressivamente in altezza in seguito al fenomeno dello shoaling (figura 120). Questo fenomeno provoca la formazione di un vero e proprio muro d’acqua che si riversa sulla costa spingendosi verso l’entroterra, con effetti devastanti su tutto ciò che incontra lungo il suo cammino. La massima altezza verticale raggiunta dall’acqua rispetto al livello medio del mare viene indicata con il termine inglese run-up. Il run-up viene generalmente espresso in metri al di sopra del livello medio marino e può variare in maniera sensibile in funzione della conformazione della costa e della tipologia dei fondali. Nel caso di alcuni tsunami, si sono osservati valori di run-up dell’ordine della trentina di metri. Figura 120 - Rappresentazione schematica dello sviluppo di uno tsumani. Gli tsunami hanno origine dal rapido spostamento verticale di grandi masse d’acqua in seguito al movimento del fondale marino o all’ingresso in mare di voluminose quantità di materiale di varia origine. Le principali cause degli tsunami sono: ¿ terremoti ¿ eruzioni vulcaniche ¿ frane ¿ esplosioni sottomarine ¿ impatto di meteoriti. I terremoti con epicentro in mare o in aree prossime alla costa costituiscono la principale causa di formazione di tsunami, poiché provocano spostamenti considerevoli del fondale marino. L’altezza raggiunta dalle onde e gli effetti provocati dallo tsunami sono generalmente associati all’intensità del terremoto, sebbene assuma notevole importanza anche il senso del movimento di faglia. La maggior parte degli tsunami sono infatti generati da spostamenti verticali (sollevamento o sprofondamento) del fondo marino, mentre i movimenti di tipo trascorrente (con piano di faglia verticale) hanno in genere una minore capacità di generare tsunami. 172 IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi L’ingresso in mare di materiale piroclastico in seguito all’eruzione esplosiva di vulcani sub-aerei determina un rapido spostamento verticale di grandi masse d’acqua e formazione di tsunami. L’eruzione esplosiva provoca il parziale svuotamento della camera magmatica e, quindi, può portare al collasso delle pareti del cono vulcanico. Anche l’ingresso in mare dei detriti provenienti dal collasso strutturale dei vulcani o da movimenti franosi di altra origine può dare luogo a tsunami. Tsunami di modesta intensità sono stati registrati anche in seguito alle esplosioni sottomarine avvenute nel corso degli esperimenti nucleari effettuati dagli USA nelle isole Marshall negli anni ‘40 e ‘50, mentre attualmente non sono noti esempi osservati o storicamente riportati di tsunami generati dall’impatto di meteoriti sulla Terra. Tuttavia, studi geologici hanno evidenziato come l’impatto di un asteroide sulla punta della penisola dello Yucatan alla fine del Cretaceo abbia probabilmente originato uno tsunami di notevole intensità, i cui depositi sono stati ritrovati nella parte interna del continente lungo tutto il Golfo del Messico. I danni principali provocati dagli tsunami possono essere dovuti a due principali effetti: ¿ effetti primari ¿ effetti secondari. Gli effetti primari sono causati soprattutto dall’azione distruttiva delle onde, mentre gli effetti secondari sono causati dai detriti scagliati come proiettili dall’onda, dall’azione erosiva nei confronti delle infrastrutture e dagli incendi che si possono generare in seguito a danni a linee elettriche e condutture del gas. Bisogna anche considerare come gli tsunami possano compromettere la fertilità dei terreni e la potabilità delle falde acquifere, con danni che possono quindi ripercuotersi anche nel lungo periodo. Nella tabella 10 viene riportata la scala di Ambraseys-Sieberg per la valutazione empirica dell’intensità degli tsunami. Grado AmbraseysSieberg Descrizione dei danni 1 - molto debole Onda percettibile solo dai mareografi. 2 – debole Onda avvertita da persone che vivono vicino alla spiaggia e hanno familiarità con il mare. Osservata solo su spiagge molto piatte. 3 - abbastanza forte Onda avvertita da tutti. Inondazione di coste a dolce pendenza. Piccole imbarcazioni spinte sulla spiaggia. Modesti danni alle strutture leggere vicino alla costa. Negli estuari inversione della corrente dei fiumi. 4 – forte Inondazione delle spiagge fino ad un’altezza definita caso per caso. Leggera erosione dei terreni non consolidati. Danni alle strutture leggere prossime alla riva. Piccoli danni alle strutture in muratura sulla costa. Insabbiamento di imbarcazioni o loro trascinamento al largo. Detriti galleggianti lungo le coste. 5 - molto forte Inondazione delle spiagge fino ad un’altezza definita nelle diverse zone. Danni significativi alle strutture in muratura lungo la spiaggia. Distruzione delle strutture leggere. Forte erosione. Oggetti galleggianti ed animali marini sparsi sulla riva e lungo la costa. Tutti i tipi di imbarcazione, a parte le grandi navi, sono scaraventate a terra o trascinate in mare aperto. Alte ondate sugli estuari dei fiumi. Danni alle costruzioni portuali. Persone affogate. Onda accompagnata da un forte rombo. 6 – disastroso Totale o parziale distruzione di tutte le costruzioni fino ad una determinata distanza dalla spiaggia. Inondazione della costa fino ad una notevole altezza. Danni forti anche alle grandi navi. Alberi sradicati e troncati. Molte vittime. Tabella 10 - Scala di Ambraseys-Sieberg. 173 Appunti di meteorologia marina Il luogo della Terra in cui si registra la frequenza maggiore di tsunami è il bacino del Pacifico, ove si verificano in media un paio di tsunami distruttivi ogni anno ed uno tsunami catastrofico ogni 10-12 anni. Ciò è dovuto al fatto che l’Oceano Pacifico è circondato da una fascia ad elevata attività sismica e vulcanica (la cosiddetta ‘cintura di fuoco’). Nel XX secolo sono stati registrati 94 tsunami distruttivi che hanno complessivamente provocato la morte di 51000 persone. Uno degli tsunami con effetti più disastrosi è stato quello del 26 dicembre 2004, generato da un terremoto di magnitudo 9.0 della scala Richter, con epicentro nell’oceano Indiano, tra le Isole Andamane e l’isola di Sumatra. Lo tsunami ha investito le coste di gran parte del sud-est asiatico, dalla Malaysia alle Maldive, dalla Thailandia allo Sri Lanka e l’India, provocando circa 300000 morti e decine di miliardi di dollari di danni. Sebbene in Italia la frequenza e l’intensità degli tsunami siano minori rispetto a quelle registrate in altri luoghi della Terra, anche nel nostro Paese ne sono stati osservati alcuni. Quelli che hanno raggiunto la massima intensità sono stati registrati in Italia meridionale ed hanno interessato specialmente le coste pugliesi, siciliane e calabresi (particolarmente distruttivo è stato quello di Messina del 1908). In tutti questi casi la causa scatenante può essere fatta risalire ai terremoti verificatisi rispettivamente negli anni 1627, 1693, 1783 e 1908. A fianco si riporta l’elenco dei principali tsunami registrati sulle coste italiane (dati tratti dal sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e vulcanologia). legenda della tabella a fianco EA: sisma a terra - ER: sisma in mare - EL: frana in terra - VA: eruzione vulcanica a terra VO: eruzione vulcanica sottomarina - GS: frana sottomarina). 174 IV. Perturbazioni ed eventi meteomarini estremi Area Descrizione Causa Mag.sisma Int. tsunami 4/2/1169 Data Stretto di Messina Inondazione e distruzioni a Messina ER 6.8 4 26/3/1511 Nord Adriatico Forte innalzamento del livello marino a Trieste EA 6.1 2 20/7/1564 Liguria/Costa Azzurra Inondazione ad Antibes EA 6.2 3 25/8/1613 Stretto di Messina Inondazione a Naso EA 5.6 30/7/1627 Gargano Ritiro considerevole ed inondazione EA 6.3 17/12/1631 Campania Ritiro nel Golfo di Napoli VA 27/3/1638 Calabria Tirrenica Ritiro del mare di 2 miglia a Pizzo Calabro EA 5 3 7.1 5/4/1646 Toscana Aumento del livello marino a Livorno EA 3.6 3 14/4/1672 Adriatico Centrale Ritiro ed inondazione a Rimini ER 5.7 2 11/1/1693 Sicilia Orientale Ritiro considerevole ed inondazione ER 6.8 4 14/5/1698 Campania Ritiro nel Golfo di Napoli VA 1/5/1703 Liguria/Costa Azzurra Ritiro nel Golfo di Genova ER 3.2 1/9/1726 Nord Sicilia Ritiro a Palermo EA 5.8 4/7/1727 Canale di Sicilia Ritiro a Sciacca ER 20/3/1731 Gargano Aumento del livello marino a Siponto e Barletta EA 6.3 19/1/1742 Toscana Oscillazioni del mare nel porto di Livorno ER 4.0 20/2/1743 Puglia Ritiro a Brindisi EA 7.3 2 2 5/2/1783 Calabria Tirrenica Ritiro ed inondazione EA 7.0 3 6/2/1783 Calabria Tirrenica Piu’ di 1500 vittime a Scilla EL 6.3 6 7/2/1783 Calabria Tirrenica Aumento del livello del mare a Stilo EA 6.4 1/3/1783 Calabria Tirrenica Inondazione a Tropea EA 5.6 28/3/1783 Calabria Tirrenica Inondazione a Bagnara EA 7.0 7/1/1784 Calabria Ionica Inondazione a Roccella ER 4.1 19/1/1784 Stretto di Messina Inondazione a Faro e Catona ER 4.1 26/7/1805 Campania Aumento del livello del mare nel Golfo di Napoli EA 6.6 2/4/1808 Liguria/Costa Azzurra Flusso/riflusso a Marsiglia EA 5.6 17/5/1813 Campania Ritiro nel Golfo di Napoli VA 19/6/1813 Campania Ritiro nel Golfo di Napoli VA 20/2/1818 Sicilia Orientale Onde anomale a Catania EA 9/12/1818 Liguria Costa Azzurra Inondazione nel porto di Genova EA 23/2/1818 Liguria Costa Azzurra Onde violente ad Antibes EA 5/3/1823 Nord Sicilia Barche trascinate in mare e dannaggiate a Cefalu’ 9/10/1828 Mar Ligure Naufragio nel porto di Genova 8/3/1832 Calabria Ionica Inondazione a Magliacane (Crotone) 25/4/1836 Calabria Ionica 14/8/1846 2 6.2 2 ER 5.9 4 EA 5.7 2 EA 6.7 2 Ritiro/inondazione: barche danneggiate EA 6.2 3 Toscana Aumento del livello di una yarda a Livorno EA 5.6 3 17/3/1875 Adriatico Centrale Inondazioni a Rimini e Cervia ER 5,2 2 23/2/1887 Liguria Costa Azzurra Notevole ritiro del mare, barche danneggiate ER 6,4 3 30/7/1888 Liguria Costa Azzurra 2 ritiri a Pietra Lunga 8/12/1889 Gargano Mare agitato ER 16/11/1894 Calabria Tirrenica Navi trasportate a terra a Reggio Calabria EA 6,0 3 8/9/1905 Calabria Tirrenica Forte inondazione e navi danneggiate EA 6,9 3 4/4/1906 Campania Oscillazioni del mare nel Golfo di Napoli VA 23/10/1907 Calabria Ionica Inondazioni a Capo Bruzzano EA 5,9 3 28/12/1908 Stretto di Messina Distruzioni e centinaia di vittime ER 7,2 6 3/7/1916 Isole Eolie Aumento del mare a Stromboli EA 3 22/5/1919 Isole Eolie Inondazione a Stromboli VO 3 17/8/1926 Isole Eolie Ritiro anomalo del mare a Salina EA 11/9/1930 Isole Eolie Ritiro/inondazione (Stromboli) VO 3 20/8/1944 Isole Eolie Inondazione/ abitazioni distrutte VO 4 /2/1954 Isole Eolie Debole tsunami a Stromboli VO 18/4/1968 Liguria Costa Azzurra Ritiro e inondazione ad Alassio ER 3,6 2 15/4/1979 Adriatico Meridionale Onda distruttiva a Kotorbay ER 7.0 4 16/10/1979 Liguria Costa Azzurra Onde alte tre metri ad Antibes GS 13/12/1990 Sicilia Orientale Onde anomale ad Augusta ER 25/9/79 Campania Ritiro nel Golfo di Napoli VA 2 3 5,4 2 175 APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Le attività antropiche alterano la composizione chimica dell’atmosfera terrestre, provocando un cambiamento del clima che non può essere attribuito solamente alla naturale variabilità climatica. Già nel 1980 l’Organizzazione Mondiale di Meteorologia (WMO - World Meteorological Organization) istituì la Prima Conferenza Mondiale sul Clima al fine di ‘….prevedere e prevenire potenziali cambiamenti climatici causati da attività umane che potrebbero avere un effetto negativo sul benessere dell’umanità’. Alla base di questa Conferenza vi era il dubbio che le attività umane, in seguito all’immissione nell’atmosfera di alcuni gas, fossero in parte responsabili dell’incremento delle temperature medie terrestri registrato successivamente alla rivoluzione industriale. Il crescente interesse verso questa problematica ha portato nel 1988 alla nascita di una Commissione Internazionale sui Cambiamenti Climatici (IPCC - Intergovernmental Panel on Climate Change) con il compito di raccogliere e valutare le informazioni in campo scientifico, tecnico e socio-economico relative ai cambiamenti climatici, al loro impatto ed alle possibili strategie da adottare per prevenire o limitare i loro effetti sul sistema Terra. L’IPCC, composto da circa 3000 scienziati di tutto il mondo, ha fornito il primo rapporto nel 1990, presentato alla Seconda Conferenza Mondiale sul Clima tenutasi a Ginevra. Da questo rapporto emerse la correttezza delle previsioni teoriche effettuate dieci anni prima, mettendo in evidenza un aumento reale delle temperature medie terrestri. Nel 1992 i capi di Governo dei Paesi industrializzati ed in Via di Sviluppo si riunirono a Rio de Janeiro, dove si tenne la Conferenza delle Nazioni Unite per discutere sul clima. Da questa Conferenza scaturì la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC - United Nations Framework Convention on Climate Change) in cui veniva indicata la priorità di ridurre le emissioni antropiche di gas-serra. La suddetta Convenzione, sottoscritta da 154 Paesi oltre all’Unione Europea, è entrata in vigore il 21 marzo 1994 con l’obiettivo di promuovere interventi a livello internazionale finalizzati a riportare entro il 2000 le emissioni di gas-serra ai valori del 1990. La Conferenza delle Parti (COP - Conference of the Parties) si riunisce annualmente al fine di valutare le azioni intraprese e gli impegni da prendere dai Paesi membri per raggiungere l’obiettivo preposto. La prima Conferenza delle Parti (COP 1) tenutasi a Berlino nel 1995, mise in evidenza l’insufficienza degli interventi e degli impegni adottati dai Paesi membri, dando luogo all’apertura di nuovi negoziati. Un passo decisivo è stato effettuato nel 1997 alla COP 3 di Kyoto con la stesura del cosiddetto Protocollo di Kyoto, in cui i Paesi industrializzati si impegnavano a ridurre entro il 2008-2012 le emissioni di gas-serra a livello mondiale del 5% rispetto al 1990. In questo Protocollo si stabiliva la possibilità per i Paesi membri di raggiungere l’obiettivo, oltre che con una riduzione delle emissioni, anche favorendo l’assorbimento di anidride carbonica da parte delle foreste e dei terreni agricoli coltivati (i cosiddetti ‘carbon sink’) e con i meccanismi di cooperazione internazionale. La COP 7 svoltasi a Marrakech nel 2001 e la COP 9 svoltasi a Milano nel 2003 hanno definito i dettagli operativi per l’attuazione del Protocollo e per la realizzazione di interventi cooperativi in campo agricolo e forestale. Tuttavia, affinché queste predisposizioni diventino operative è necessario che vengano ratificate da almeno 55 Paesi firmatari della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, 179 Appunti di meteorologia marina responsabili di almeno il 55% delle emissioni totali di CO2 nell’anno 1990. Come si può intuire gli interessi in gioco sono notevoli ed il fatto che il Protocollo sia vincolante per i Paesi firmatari ha reso impossibile la sua attuazione fino al dicembre del 2004, quando nell’ambito dell’ultima COP tenutasi a Buenos Aires è stato raggiunto il quorum di ratifica necessario per la sua entrata in vigore grazie all’adesione della Russia. Da questo quadro emerge come le problematiche relative ai cambiamenti climatici vadano ben oltre gli aspetti prettamente biologici, meteorologici e climatologici, andando ad influenzare profondamente aspetti di natura economica e culturale ed il complesso campo delle relazioni internazionali. I fattori responsabili dei cambiamenti climatici ed il ruolo del mare I principali fattori responsabili dei cambiamenti climatici sono: ¿ l'aumento della quantità di energia disponibile sulla superficie terrestre, a causa dell’incremento nell’atmosfera di gas in grado di assorbire le radiazioni infrarosse provenienti dalla Terra (effetto serra); ¿ le modifiche nella composizione chimica della stratosfera in cui si assiste ad una progressiva diminuzione della concentrazione di ozono (buco dell’ozono). L’incremento dei ‘gas-serra’ (anidride carbonica, metano, ossidi di azoto) nell’atmosfera provoca un cambiamento del bilancio radiativo terrestre alterando la circolazione generale dell’atmosfera e degli oceani e, quindi, influenzando tutti i fenomeni meteorologici e la loro distribuzione sul nostro Pianeta. Studi recenti hanno evidenziato anche come questi cambiamenti si stiano già ripercuotendo sulle biocenosi marine e terrestri, modificando la biodiversità e la distribuzione degli organismi animali e vegetali sulla Terra. Anche i cambiamenti della concentrazione di ozono nella stratosfera contribuiscono a modificare il bilancio radiativo terrestre, consentendo alle radiazioni ultraviolette-B (UV-B) di raggiungere la Terra con effetti nocivi su tutti gli organismi viventi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento della frequenza di alcuni eventi estremi (forti precipitazioni, inondazioni, ondate di calore) a cui l’uomo non ha ancora saputo attribuire una causa certa. Di fronte a questi fatti le domanda di rito sono sempre le solite: l’aumento della frequenza di certi eventi meteorologici estremi è naturale o dovuta a cause antropiche? Quanto questi eventi possono essere attribuiti ai cambiamenti climatici in atto? Questi interrogativi hanno portato ad un crescente interesse verso la meteorologia e la climatologia in genere, alle quali è chiesto di fornire una risposta scientifica valida. Per questi motivi la scienza meteorologica moderna non può prescindere dallo studiare questi fenomeni, al fine di comprendere e prevedere gli effetti che i cambiamenti climatici potranno avere sugli ecosistemi e su tutte le attività dell’uomo. L’ambiente marino risulta profondamente influenzato dai cambiamenti climatici. In particolare, l’aumento delle temperature superficiali modifica la circolazione dell’acqua (correnti marine superficiali e profonde) e delle masse d’aria (venti) sovrastanti il mare, con effetti considerevoli sui climi della Terra. L’incremento del livello medio del mare e della frequenza di eventi estremi può aumentare il pericolo di inondazioni, di erosione costiera e di eventi meteo-marini catastrofici. I cambiamenti climatici possono inoltre alterare la produttività, i cicli biogeochimici e la biodiversità faunistica e floristica degli ecosistemi marino-costieri. Infine, è importante ricordare che gli oceani rappresentano una delle più importanti riserve di carbonio del Pianeta e possono scambiare grandi quantità di 180 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali CO2 con l’atmosfera, agendo da potente meccanismo regolatore dell’effetto serra. Di seguito viene riportata un’analisi critica delle cause e degli effetti dei cambiamenti climatici sul nostro Pianeta, con particolare attenzione al sistema ‘atmosfera-marÈ che rappresenta l’oggetto di studio della meteorologia marina. Incremento della radiazione UV-B L’ozono presente nella stratosfera rappresenta l’unico gas atmosferico in grado di assorbire le radiazioni ultraviolette nocive, costituendo uno schermo protettivo per gli organismi viventi presenti sulla Terra. Durante il periodo primaverile dell’emisfero australe, si assiste ad una diminuzione naturale della concentrazione di ozono in corrispondenza del Polo Sud. Tuttavia, dai primi anni ottanta è stato osservato un sensibile aumento di questo fenomeno, al punto tale di parlare di ‘buco dell’ozono’. Negli ultimi anni il fenomeno sembra essersi esteso anche all’emisfero Nord ed alle medie latitudini, minacciando gli organismi viventi presenti su gran parte del nostro Pianeta. La principale causa del buco dell’ozono è stata attribuita all’immissione nell’atmosfera di composti chimici di origine antropica (ODS, Ozone Depleting Substancies) in grado di reagire con l’ozono stratosferico e di demolirlo. Tra questi composti i più importanti sono i clorofluorocarburi (CFC), utilizzati generalmente come fluidi refrigeranti nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria e come propellenti nelle comuni bombolette spray, i bromofluorocarburi (halon), presenti negli estintori antincendio, ed il bromuro di metile, utilizzato in campo agricolo. Nella stratosfera i raggi UV causano la dissociazione di questi composti con liberazione di radicali attivi di cloro e bromo che aggrediscono l’ozono e provocano una sua progressiva distruzione (figura 121). Nonostante l’uso dei CFC sia stato drasticamente ridotto in seguito al Protocollo di Montreal del 1987, il processo sembra ancora non arrestarsi, probabilmente perché questi composti sono estremamente stabili e possono rimanere per decenni nell’atmosfera prima di raggiungere la fascia di ozono stratosferico. Figura 121 – Meccanismi di parziale distruzione dell’ozono nella stratosfera. 181 Appunti di meteorologia marina Studi condotti da vari gruppi di scienziati hanno evidenziato come ad ogni riduzione della concentrazione di ozono stratosferico di un’unità percentuale, corrisponda un aumento medio di UV-B in arrivo sulla superficie terrestre di circa 1.3-1.8% (Commission of the European Communities, 1993). Questi dati destano notevole preoccupazione se si considera che la maggior parte degli esseri viventi si sono sviluppati solo in seguito alla formazione dello strato protettivo di ozono stratosferico e, quindi, non sono dotati di meccanismi di difesa agli UV-B particolarmente efficienti. In questo contesto diviene fondamentale studiare gli effetti delle radiazioni ultraviolette sulla salute umana e sugli ecosistemi terrestri ed acquatici. Effetti degli UV-B sulla salute umana I principali effetti delle radiazioni ultraviolette sulla salute umana, in parte già riscontrati negli ultimi anni, sono dovuti essenzialmente all’azione mutagena dei raggi UV-B sull’acido desossiribonucleico (DNA) delle cellule epiteliali. L’eccessiva esposizione ai raggi UV-B è quindi associata allo sviluppo di melanomi ed altri tipi di cancro della pelle (carcinoma squamoso e carcinoma delle cellule basali). Altri effetti sulla salute dell’uomo sono dovuti all’interferenza dei raggi UV-B sui meccanismi regolativi del sistema immunitario (immunodepressione) e all’azione esercitata a danno degli occhi. In particolare, le radiazioni UV-B possono provocare gravi alterazioni alla cornea, alla retina ed al cristallino, quali cataratta, fotofobia, degenerazione della retina, arcus senilis e pterigia. Le indagini compiute in alcune delle zone popolate della Terra maggiormente esposte ai raggi UV-B, hanno evidenziato un incremento del numero di persone affette da tumore alla pelle (Australia e Cile) ed un aumento della frequenza di casi di cecità tra i greggi di pecore in Nuova Zelanda e Patagonia. Allo scopo di prevenire possibili effetti dannosi degli UV-B sull’uomo, i moderni servizi di informazione meteorologica forniscono i dati relativi all’intensità di radiazione UV-B in arrivo sulla Terra e consigliano i tempi e le modalità di esposizione al Sole durante i differenti periodi dell’anno Effetti degli UV-B sugli ecosistemi terrestri e acquatici Tutti gli organismi viventi presenti sulla Terra sono sottoposti al rischio di un incremento di radiazione UV-B. Tra questi, quelli maggiormente vulnerabili sono i vegetali, poiché si sono evoluti in modo da sviluppare organi fotosintetizzanti caratterizzati da un’ampia superficie esposta alla radiazione solare. È stato dimostrato come la sensibilità delle piante ad un incremento di radiazione UV-B possa variare tra le diverse specie e, nell’ambito di una stessa specie, tra popolazioni e cultivar differenti. Gli organismi vegetali possono proteggersi dalle radiazioni in eccesso attraverso pigmenti specifici o con meccanismi di riparazione dell’apparato fotosintetico. Questo apparato consente il processo di organicazione della CO2, perciò i danni a carico delle molecole responsabili dell’assorbimento e trasferimento dell’energia luminosa portano inevitabilmente ad una diminuzione di attività fotosintetica da parte delle piante e, quindi, ad una riduzione della quantità di carbonio organicato dalla biosfera. In effetti gli studi compiuti su differenti specie vegetali hanno messo in evidenza un rallentamento della crescita ed una riduzione del peso secco e della superficie fogliare in seguito all’esposizione ai raggi UV-B. Gli organismi vegetali costituiscono i produttori primari di tutti gli ecosistemi, perciò una diminuzione della fotosintesi determina inevitabilmente una riduzione di produttività primaria che si ripercuote su tutti gli organismi viventi componenti la catena trofica. 182 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Gli ecosistemi acquatici risultano maggiormente vulnerabili ad un incremento di UV-B rispetto a quelli terrestri. Ciò è dovuto principalmente al fatto che gli organismi di piccole dimensioni (come quelli unicellulari) sono maggiormente esposti ai danni da UV-B, poiché queste radiazioni vengono assorbite dagli strati cellulari più superficiali. Di conseguenza gli organismi marini del fitoplancton e dello zooplancton risultano estremamente vulnerabili ad un incremento di UV-B. In particolare, il fitoplancton, necessitando dell’energia solare per svolgere la fotosintesi, si trova generalmente sulla superficie marina, maggiormente esposto alla radiazione solare e privo di tessuti epidermici protettivi in grado di impedire o limitare la penetrazione di radiazione UV-B all’interno delle cellule. Studi recenti hanno messo in evidenza come numerose specie di plancton si trovino già al limite massimo di tolleranza agli ultravioletti, per cui un ulteriore incremento di UV-B potrebbe provocare la loro morte. Per rendersi conto dei danni potenziali, basti pensare che il fitoplancton è collocato alla base delle catene trofiche del mare e che una sua rapida diminuzione porterebbe a una sensibile riduzione della produttività primaria e a conseguenze catastrofiche a livello di intero ecosistema. In alcune zone dell’Antartide sono già stati riscontrati alcuni danni sulle comunità planctoniche, con una riduzione del 25% dell’attività fotosintetica e, quindi, della produttività primaria degli oceani dell’emisfero australe (Commission of the European Communities, 1993). I ricercatori hanno dimostrato come un incremento di radiazioni UV-B possa danneggiare direttamente anche altri organismi marini, quali zooplancton, molluschi e pesci. Alcuni studi, ad esempio, hanno mostrato come una diminuzione del 10% dell’ozono stratosferico possa causare un aumento di circa l’8% delle larve anomale di alcune specie di molluschi, mentre una diminuzione di ozono del 9% causerebbe la morte di circa l’8% delle larve di alici. Incremento della temperatura media superficiale terrestre La Terra riceve continuamente la radiazione elettromagnetica emessa dal Sole. Tuttavia, solo il 47% della radiazione che giunge al confine superiore dell’atmosfera viene effettivamente assorbita dalla superficie terrestre, mentre la rimanente parte è assorbita dall’atmosfera o riflessa verso lo spazio interplanetario. La superficie terrestre riemette parte dell’energia solare assorbita sotto forma di radiazioni elettromagnetiche a lunghezza d’onda maggiore (gli infrarossi termici), responsabili dell’effetto serra (figura 122). L’atmosfera infatti si comporta come il vetro di una serra, essendo quasi completamente trasparente alla luce visibile ma in grado di trattenere la radiazione infrarossa proveniente dalla Terra. Questa caratteristica dell’atmosfera è dovuta alla presenza di alcuni componenti gassosi denominati gas-serra, tra cui i principali sono: ¿ l'anidride carbonica (CO2) ¿ il vapore acqueo (H2Ovap) ¿ il metano (CH4) ¿ l’ossido nitroso o protossido di azoto (N2O) ¿ gli alocarburi: clorofluorocarburi (CFC), idroclorofluorocarburi (HCFC) e idrofluorocarburi (HFC) ¿ l'ozono (O3). 183 Appunti di meteorologia marina Per azione di questi gas gli infrarossi emessi dalla superficie terrestre riescono solo in parte a sfuggire nello spazio interplanetario, poiché la maggior parte di essi rimane racchiusa tra la superficie terrestre e gli strati alti dell’atmosfera (come in una serra dove sono intrappolati sotto i vetri). È importante notare come questo fenomeno sia fondamentale per consentire la vita sulla Terra, poiché in assenza di gas-serra la temperatura terrestre tenderebbe a scendere da valori medi di circa 15°C a valori incompatibili per le forme di vita attualmente presenti (circa -18/-20 °C). Figura 122 - Rappresentazione dell’effetto serra. Effetto serra ed intervento antropico Le attività dell’uomo richiedono enormi quantità di energia che viene ricavata soprattutto dall’impiego di combustibili fossili (carbonio, petrolio, metano). La combustione di queste sostanze porta ad un progressivo incremento della quantità di CO2 immessa nell’atmosfera. In particolare, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è aumentata progressivamente passando da circa 280 parti per milione (ppm) durante il periodo compreso tra il 1000 ed il 1750 a circa 378 ppm nel 2004 (+36% di incremento). Nello stesso periodo si è assistito ad un aumento della concentrazione atmosferica di metano (derivante dalle attività zootecniche, dalla coltivazione del riso, dalle discariche e dai processi di decomposizione della sostanza organica in genere) ed ossido nitroso (derivante essenzialmente dai processi di nitrificazione e denitrificazione), che insieme alla CO2 rappresentano i principali gas responsabili dell’effetto serra (figura 123). Anche la concentrazione dell’ozono troposferico è aumentata di circa il 35% tra il 1750 e il 2000 a causa dell’inquinamento antropogenico, mentre l’uso dei CFC è andato rapidamente diminuendo in seguito al Protocollo di Montreal del 1987. Tuttavia, i CFC sono stati in gran parte sostituiti da altri alocarburi (HCFC e HFC) meno dannosi per l’ozonosfera, ma in grado comunque di assorbire le radiazioni IR e, quindi, di contribuire al riscaldamento globale del Pianeta. Tra i gas-serra quello che attualmente desta maggiori preoccupazioni è l’anidride carbonica, che contribuisce per circa il 60% all’incremento dell’effetto serra. L’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera è dovuto, oltre che ai processi di combustione, ai cambiamenti d’uso del suolo e, in particolare, alla deforestazione. 184 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Figura 123 - Andamento della concentrazione di anidride carbonica (ppm), metano ed ossido d’azoto (ppb) tra il 1000 e il 2000. (Radiative forcing). Fonte: IPCC. 2001. La deforestazione infatti contribuisce per circa un terzo all’aumento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, poiché provoca il rilascio di CO2 immagazzinata nelle piante e, nello stesso tempo, riduce l’assorbimento fotosintetico di questo gas da parte della biosfera terrestre. Considerando gli attuali andamenti si pensa che nel 2100 la concentrazione di questo gas possa raggiungere le 540970 ppm se non si prenderanno opportuni provvedimenti per ridurre le emissioni o per incrementare gli assorbimenti di CO2. L’incremento dei gas-serra, e in particolare della CO2 atmosferica, altera profondamente il bilancio radiativo, portando ad un aumento dell’energia disponibile sulla superficie terrestre (Radiative Forcing, figura 123) e, quindi, ad un riscaldamento dell’intero Pianeta. È stato dimostrato come la temperatura media della superficie terrestre sia già aumentata di circa 0.6 ± 0.2 °C negli ultimi 100 anni (figura 124), in modo variabile a seconda delle zone del Pianeta. In Europa questo incremento è stato di 0.95°C ed è risultato più elevato per le regioni meridionali e nord-orientali rispetto a quelle settentrionali (figura 126). L’IPCC prevede che in seguito all’ulteriore incremento dei gas-serra nell’atmosfera la temperatura media terrestre possa aumentare ancora in maniera consistente durante il XXI secolo. Il cambiamento del bilancio radiativo terrestre può alterare la circolazione generale dell’atmosfera e delle masse d’acqua oceaniche profonde e superficiali. Infatti, come già visto, i movimenti delle grandi masse d’aria e d’acqua sono causati essenzialmente da gradienti termici e, quindi, da variazioni dei campi di pressione ad essi associati. Il Pianeta reagirà ai cambiamenti climatici in modo diverso da zona a zona a seconda di una serie di fattori di feed-back, che possono accelerare o mitigare il processo di riscaldamento, e degli scenari socio-economici, che possono influenzare 185 Appunti di meteorologia marina le emissioni e le strategie di mitigazione. Tuttavia, non è stato ancora scientificamente chiarito il modo in cui i fattori di feed-back potranno interagire tra loro nel modificare l’effetto serra su scala globale, inoltre gli scenari socio-economici sono soggetti a rapidi ed improvvisi mutamenti; ciò rende difficoltosa l’elaborazione di modelli previsionali attendibili e spiega il loro ampio margine di errore. Figura 124 - Andamento della temperatura media della superficie terrestre negli ultimi 140 anni (in alto) e 1000 anni (in basso). Fonte: IPCC 2001. Variazioni temporali della concentrazione di CO2 e della temperatura media terrestre Nelle figure 125 e 126 sono riassunte le variazioni di CO2 e di temperatura registrate a partire dall’anno 1000 fino al 2000 e le previsioni fino al 2100 stimate in base a modelli previsionali che tengono conto di differenti scenari socio-economici di emissione di CO2 (Special Report on Emissions Scenarios 2000 - SRES - dell’IPCC). I diagrammi sono suddivisi in tre periodi storici in base al modo in cui sono stati ottenuti i dati: ¿ la prima serie, indicata con ‘ice core data’ (figura 125) o ‘proxy data’ (figura 126), si riferisce rispettivamente all’andamento della concentrazione di CO2 stimato dall’analisi delle bolle di aria rimaste intrappolate nelle carote di ghiaccio dell’Antartide e all’andamento della temperatura media superficiale dell’emisfero Nord stimata attraverso dati proxy (cioè attraverso l’uso di indicatori indiretti quali anelli annuali degli alberi, coralli, carote di ghiaccio o di registrazioni storiche); ¿ la seconda serie, indicata con ‘direct measurements’ (figura 125) o ‘global instrumental observations’ (figura 126), si riferisce ai valori ottenuti tramite misure dirette di concentrazione di CO2 e di temperatura; ¿ la terza serie (dal 2000 al 2100) indicata con ‘projections’ si riferisce alle variazioni di concentrazione di CO2 (figura 125) e di temperatura (figura 126) previste attraverso differenti scenari e modelli previsionali di calcolo. Come si evince da queste figure esiste un ampio intervallo temporale in cui le concentrazioni di CO2 e le temperature si sono mantenute pressoché stabili. 186 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Figura 125 - Andamento della concentrazione di CO2 atmosferica. Fonte: IPCC, 2001. Figura 126 - Andamento della temperatura media della superficie terrestre. Fonte: IPCC, 2001. La situazione ha subito un drastico cambiamento in seguito ai processi di industrializzazione, che hanno determinato un rapido ed improvviso aumento sia della concentrazione di CO2 che delle temperature medie terrestri. I differenti scenari socio-economici relativi al periodo 2000-2100 sono stati desunti tenendo conto delle previsioni relative alla crescita economica, al progresso tecnologico, alla crescita della popolazione ed alle forme di governo, per cui sono soggetti ad una notevole incertezza (Third Assessment Report dell’IPCC - Climate Change 2001: Synthesis Report). Lo scenario medio assume le proiezioni delle Nazioni Unite per quanto riguarda la crescita della popolazione, un continuo aumento dell’uso del carbone, sviluppi solo modesti nell’uso delle fonti energetiche pulite e rinnovabili ed una limitazione graduale delle emissioni di CO2 del 30%; in queste condizioni si prevede il raddoppio della CO2 nell’atmosfera entro la fine del XXI secolo. Considerando i differenti scenari socio-economici elaborati dall’IPCC, la temperatura media terrestre potrà aumentare entro il 2100 da valori di 1.4°C a valori di 5.8°C, mostrando una notevole variabilità regionale. Per avere un’idea del tasso di incremento della temperatura media durante il XXI secolo, gli studi dell’IPCC prevedono un aumento di 0.4-1.1°C per il periodo 1990-2025 e di 0.8-2.6°C per il periodo 1990-2050. 187 Appunti di meteorologia marina In questo contesto devono essere presi in considerazione anche possibili risposte di feed-back da parte del sistema Terra, cioè i cambiamenti indotti dall’aumento delle temperature su altri fattori che, a loro volta, potranno presumibilmente contribuire a modificare il regime termico del Pianeta. I principali fattori di feedback comprendono: ¿ lo scioglimento di ghiaccio e neve ¿ l'aumento dell'evapotraspirazione ¿ l'incremento della copertura nuvolosa ¿ gli effetti dei cambiamenti climatici sugli scambi di CO2 tra i principali depositi di carbonio della Terra (foreste e oceani) e l’atmosfera. Il ghiaccio e la neve riflettono gran parte della radiazione solare incidente provocando un raffreddamento della superficie terrestre, perciò il loro scioglimento (causato dall’innalzamento delle temperature) contribuirà presumibilmente a determinare un ulteriore riscaldamento del Pianeta. Le temperature più alte potranno aumentare l’evapotraspirazione e la capacità dell’atmosfera di trattenere vapore acqueo, che essendo un potente gas-serra porterà ad un ulteriore incremento della temperatura media terrestre. L’effetto dell’incremento della copertura nuvolosa è ancora controverso, infatti se da una parte le nubi riflettono parte delle radiazioni solari verso lo spazio impedendo che raggiungano la Terra, dall’altra creano uno ‘schermo’ al di sopra della superficie terrestre che contribuisce a trattenere il calore negli strati bassi dell’atmosfera soprattutto durante le ore notturne. Le foreste e gli oceani rappresentano i maggiori depositi di carbonio della Terra e svolgono un ruolo fondamentale sul ciclo globale del carbonio agendo come ‘assorbitori di anidride carbonica’ (carbon sink). Tuttavia, il ruolo delle foreste potrebbe essere in parte compromesso in seguito ai processi di deforestazione e cambiamento d’uso del suolo, per cui una gran quantità di carbonio immagazzinato nelle foreste potrebbe passare da queste all’atmosfera sotto forma di CO2. Il progetto europeo EUROFLUX ha costituito una rete di misura dei flussi netti di CO2 delle principali foreste europee, dimostrando come queste ultime siano in grado di assorbire dal 10 al 40% delle emissioni di anidride carbonica provenienti dalle attività antropiche in Europa. I cambiamenti climatici influenzano l’attività fotosintetica e respiratoria degli ecosistemi forestali modificando i flussi netti di CO2, perciò il modo in cui le foreste risponderanno ai cambiamenti di temperatura ed umidità potrà svolgere un ruolo fondamentale nell’esasperare o mitigare l’effetto serra su scala globale. Anche gli scambi di CO2 tra atmosfera e oceani sono attualmente indagati da numerosi progetti internazionali, con lo scopo di chiarire i meccanismi che li regolano ed il modo in cui possono essere influenzati dai cambiamenti climatici. Gli oceani infatti svolgono un ruolo fondamentale sulla regolazione del ciclo del carbonio e sull’effetto serra contenendo circa 50 volte la quantità di CO2 presente nell’atmosfera, perciò sono considerati, insieme alle foreste, i principali compartimenti del Pianeta in grado di immagazzinare carbonio. Tuttavia, questa loro capacità può essere sensibilmente modificata dai cambiamenti climatici in atto. La solubilità della CO2 in mare, e quindi la capacità degli oceani di immagazzinare carbonio, diminuisce all’aumentare del riscaldamento delle acque. D’altra parte è noto anche come il riscaldamento degli oceani possa favorire lo sviluppo dello zooplancton e del fitoplancton, che costituiscono la cosiddetta ‘pompa biologica’ del mare. Il fitoplancton infatti è in grado di assorbire la CO2 atmosferica per via fotosintetica e di trasportare il carbonio immagazzinato 188 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali negli oceani dagli strati superficiali a quelli profondi. Infine, bisogna considerare anche l’effetto dell’incremento delle radiazioni ultraviolette in arrivo sulla superficie marina, poiché gli UV-B possono provocare la morte del fitoplancton. Si prevede che l’insieme di questi fattori possa portare ad una diminuzione della capacità degli oceani di immagazzinare il carbonio causando un incremento dell’effetto serra su scala globale. Le possibili interazioni tra tutti i fattori esaminati in precedenza rendono ancora più incerte le previsioni, così man mano che il clima si modifica velocemente è sempre più probabile che si inneschino processi di feed-back in grado di portare a cambiamenti improvvisi ed inaspettati. Interventi finalizzati a ridurre l’effetto serra Gli interventi principali necessari alla mitigazione dell’effetto serra sono: ¿ la diminuzione dell’uso di combustibili fossili (petrolio, carbone, gas) impiegati per la produzione di energia e per l’autotrazione, in modo da ridurre l’immissione di anidride carbonica e di altri gas-serra nell’atmosfera; ¿ l'incremento della superficie terrestre coperta da foreste che, attraverso la fotosintesi clorofilliana, possono assorbire la CO2 e ‘immagazzinarla’ sotto forma di carbonio organico; ¿ l'adozione di tecniche agronomiche in grado di incrementare la capacità di stoccaggio di carbonio da parte dei suoli agricoli. Il ruolo delle foreste e dei suoli agricoli nella mitigazione dell’effetto serra è stato definitivamente sancito dal Protocollo di Kyoto (1997), che precisa come i Paesi membri possano tenere fede agli impegni presi per la riduzione delle emissioni di gas-serra attraverso interventi finalizzati ad aumentare l’assorbimento di CO2 da parte delle attività agricole e forestali (i cosiddetti carbon sink). In particolare, nel Protocollo di Kyoto i ‘sink’ vengono riferiti ad attività di forestazione, riforestazione e afforestazione (art. 3.3) e ad attività associate all’uso del suolo e a cambiamenti d’uso del suolo (art. 3.4). Tra gli interventi finalizzati a ridurre l’effetto serra vi sono anche quelli che prevedono di ‘catturare’ la CO2 che viene sviluppata dalle principali attività antropiche e di iniettarla con apposite condotte nel sottosuolo (all’interno di giacimenti esauriti di idrocarburi, letti carboniferi) e/o negli oceani (carbon sequestration). In particolare, gli oceani rappresentano il principale ‘serbatoio’ potenziale per immagazzinare la CO2, sebbene vi siano ancora numerose controversie al riguardo. Infatti se da una parte si disporrebbe già di mezzi tecnologici adeguati per introdurre la CO2 in mare dissolvendola a profondità moderate (1000-2000 m) o iniettandola a grandi profondità (oltre i 3000 m), sussistono ancora numerosi dubbi sugli effetti che questo intervento potrebbe provocare sugli ecosistemi marini. Il dubbio principale consiste nel fatto che la CO2 è un gas acido, perciò la sua immissione in mare provocherebbe inevitabilmente un cambiamento repentino dell’acidità delle acque, il cui pH passerebbe rapidamente da valori medi di circa 8 a valori molto più bassi (compresi tra 5 e 7). Questo aumento di acidità sarebbe troppo veloce per consentire agli organismi marini di adattarsi e/o di migrare, con conseguenze difficilmente prevedibili sull’intero ecosistema. È importante sottolineare come tutti gli interventi finora proposti potranno rallentare l’effetto serra ma non arrestarlo. Infatti, bisogna considerare che, in virtù della grande dimensione dei sistemi fisici che partecipano a questo fenomeno, i cambiamenti avvengono lentamente ma altrettanto lentamente tendono a fermarsi. È necessario inoltre tenere conto che il tempo di permanenza dei gas-serra nell’atmosfera è estremamente lungo 189 Appunti di meteorologia marina (da centinaia a migliaia di anni), per cui questa ‘inerzia’ dei sistemi in gioco determina inevitabilmente un effetto prolungato nel tempo che, con tutta probabilità, andrà avanti anche qualora avvenisse una riduzione drastica delle emissioni atmosferiche di CO2. L’effetto serra e il mare I cambiamenti climatici sono attesi esercitare una notevole influenza sul mare, con effetti che interesseranno il nostro Pianeta nella sua globalità. Tra i principali cambiamenti attesi a livello marino ricordiamo: ¿ aumento delle temperature medie delle acque marine superficiali ¿ riduzione delle calotte di ghiaccio del Polo Nord ¿ espansione termica degli oceani ¿ innalzamento del livello medio del mare ¿ aumento dell'erosione costiera e dell'invasione delle acque marine con salinizzazione degli acquiferi ¿ modificazione della salinità e delle correnti marine ¿ aumento degli eventi meteo-marini estremi ¿ aumento dell'inquinamento biologico delle acque con proliferazione di organismi infestanti ¿ variazione della biodiversità e della produttività degli ambienti marini ¿ riduzione della pescosità ¿ aumento dei fenomeni di eutrofizzazione e della formazione di mucillagini. Questi fenomeni esercitano una notevole influenza sugli ecosistemi e su tutte le attività produttive e ricreative che interessano il mare e le coste, con ripercussioni in campo ecologico, economico, sociale e culturale. L’incremento del livello medio marino L’IPCC ritiene che fra le manifestazioni attese a livello marino in seguito ai cambiamenti climatici, quella che risulta più preoccupante è l’incremento del livello medio del mare. Numerosi fattori possono influenzare il livello marino agendo su scale temporali molto differenti (figura 127): da scale temporali di breve periodo (poche ore), come le maree, a scale temporali di lunghissimo periodo (milioni di anni), come i movimenti tettonici ed i processi di sedimentazione. In una scala temporale intermedia (da alcune decadi a secoli) il livello marino varia in seguito all’influenza di una serie di fattori, tra i quali assumono un ruolo preponderante quelli associati ai cambiamenti climatici. Il principale di questi fattori è l’espansione termica del volume oceanico causata dall’incremento della temperatura media superficiale delle acque. Figura 127 - Fattori che influenzano il livello medio marino. Fonte: IPCC, 2001. 190 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali L’incremento termico delle masse d’acqua provoca infatti un aumento dell’energia cinetica media molecolare che si riflette in un’espansione del volume degli oceani. A causa dell’elevata capacità termica delle acque, questa variazione della temperatura superficiale si trasmette molto lentamente agli strati più profondi degli oceani. Di conseguenza il livello medio marino è atteso aumentare, a causa dell’espansione termica degli oceani, anche successivamente all’eventuale stabilizzazione della concentrazione atmosferica di CO2. Un’altra causa che influenza sensibilmente il livello del mare è lo scambio di acqua che avviene tra oceani ed acque continentali. Le principali riserve di acqua sulla terraferma sono costituite dai ghiacciai e dalle calotte polari. Lo scioglimento o la formazione di grandi calotte di ghiaccio durante l’epoca glaciale è stata la causa rispettivamente dell’innalzamento e dell’abbassamento dei mari (movimenti eustatici). Attualmente l’incremento delle temperature medie terrestri sta provocando il parziale scioglimento delle masse di ghiaccio ed il conseguente innalzamento del livello medio del mare. In particolare, i dati dell’IPCC (IPCC - Summary for Policy Makers, 2001) mettono in evidenza un assottigliamento del 40% dello spessore dei ghiacci artici durante la tarda estate e l’autunno degli ultimi decenni e un decremento in estensione di circa il 10-15% durante il periodo primaverile-estivo a partire dal 1950. Anche i ghiacciai non polari hanno mostrato una ritirata diffusa nel corso del XX secolo. Ad esempio, la superficie europea ricoperta da ghiacciai si è ridotta di circa un terzo tra il 1850 ed il 1980, mentre la loro massa è diminuita di circa la metà. Inoltre, dal 1990 ai giorni nostri i ghiacciai alpini hanno mostrato un’ulteriore riduzione di circa il 20-30%. Le previsioni dell’IPCC su scala globale indicano che entro il 2100 si potrebbe verificare una riduzione del 33-50% dei ghiacciai di montagna, una diminuzione del 70% del tempo di permanenza del manto nevoso nelle grandi pianure degli Stati Uniti, lo scioglimento parziale del permafrost (di circa il 16%) entro il 2050 e la sua totale scomparsa nell’Europa del Nord. All’innalzamento del livello medio del mare potrebbe contribuire anche lo scioglimento delle ampie distese di ghiaccio che ricoprono parte della Groenlandia e dell’Antartide, sebbene il loro contributo sia considerato sensibilmente inferiore rispetto a quello dei ghiacci artici e dei ghiacciai di montagna. Altri fattori non associati direttamente ai cambiamenti climatici possono modificare le riserve di acqua terrestri e gli scambi con gli oceani, quali l’estrazione di acqua dal suolo, la costruzione di cisterne e bacini idrici per la raccolta delle acque e le variazioni del runoff superficiale o dell’infiltrazione di acqua negli acquiferi. Tra i fattori che possono svolgere un ruolo nel regolare localmente il livello marino bisogna annoverare anche i fenomeni di subsidenza delle coste in prossimità dei delta dei fiumi ed i movimenti verticali della superficie terrestre (quali i movimenti tettonici della crosta terrestre). Infine bisogna considerare come il probabile aumento della frequenza e intensità delle aree di bassa pressione sulla superficie marina possa provocare intense perturbazioni, con variazioni del livello del mare e formazione di onde molto alte (storm surges). I dati registrati durante il XX secolo evidenziano un incremento globale del livello medio marino di circa 10-20 cm (circa 1-2 mm all’anno), con un’ampia variabilità a seconda della località in studio. In Europa questa variabilità è compresa tra 0.8 mm (stazioni di Brest e Newlyn) e 3 mm all’anno (stazione di Narvik) (figura 128). 191 Appunti di meteorologia marina Figura 128 - Variazione del livello medio marino in Europa nel periodo tra il 1896 e il 1996. Fonte: EEA. Sulla base delle poche registrazioni del livello medio del mare disponibili per i secoli precedenti (figura 129), si evince come l’incremento del livello medio marino sia risultato sensibilmente maggiore nel XX secolo rispetto al XIX secolo. Uno studio realizzato dall’IPCC prevede un ulteriore incremento del livello medio del mare compreso tra 9 e 88 cm durante il periodo 1990-2100, a causa principalmente dell’espansione termica degli oceani (9-37 cm) e secondariamente della riduzione delle grandi masse di ghiaccio (1-23 cm). Figura 129 - Andamento del livello medio del mare registrato tra il 1700 e il 2000. Fonte: IPCC, 2001. 192 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Questo incremento, tuttavia, è soggetto ad un’ampia variabilità nello spazio a causa delle differenze regionali di distribuzione del calore e della circolazione oceanica, per cui il livello del mare potrebbe variare localmente fino ad arrivare in alcune aree a 2-3 metri di altezza. Per avere un’idea del tasso di incremento del livello medio del mare durante il XXI secolo, gli studi dell’IPCC prevedono un aumento di 3-14 cm per il periodo 1990-2025 e di 5-32 cm per il periodo 1990-2050. L’ampia variabilità delle previsioni effettuate dall’IPCC è dovuta al fatto che i modelli previsionali prendono in considerazione scenari socio-economici profondamente differenti. Tuttavia, se non venissero rispettati gli accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni di CO2 o se gli effetti di feed-back risultassero diversi rispetto a quelli previsti, l’aumento medio marino potrebbe essere anche notevolmente superiore. Un aumento del livello del mare di queste proporzioni causerebbe profonde alterazioni del sistema costiero, con notevoli ripercussioni su tutte le attività umane che interessano il mare e le coste. Il principale effetto di un innalzamento del livello marino sarebbe un’accelerazione dell’erosione costiera (figura 130), favorita dagli interventi antropici che hanno modificato le condizioni di equilibrio naturale dei litorali (aumentando la loro vulnerabilità) e dall’incremento della frequenza di storm surges. Figura 130 - Effetto dell’erosione sulle spiagge e le strutture costiere Fonte: Coastal Engineering Manual, U.S. Army Corps of Engineers. È stato previsto che con gli attuali sistemi di protezione delle coste, l’aumento del livello medio marino porterebbe alla perdita di circa il 17.5% del territorio costiero del Bangladesh e addirittura di circa 80% delle coste dell’atollo Majuro delle Isole Marshall (Rapporto IPCC, 2001). In Europa, le zone maggiormente a rischio di inondazione ed erosione costiera sono quelle dell’Olanda e quelle situate sul Mar Baltico, in particolare le coste polacche. L’invasione marina delle zone costiere determinerebbe inoltre l’introgressione 193 Appunti di meteorologia marina di acqua salata negli acquiferi della fascia litoranea con la perdita di zone umide di acqua dolce e salmastra che hanno notevole interesse per la pesca e l’agricoltura. Le zone costiere sarebbero anche maggiormente esposte al rischio di inondazioni, sia per l’aumento della frequenza di eventi meteo-marini estremi associati ad onde di notevole altezza che per la maggiore difficoltà di deflusso dei fiumi in mare e conseguente loro straripamento. Le conseguenze socio-economiche di questi effetti sono ben immaginabili, andando ad interessare attività del settore primario come la pesca e l’agricoltura con la perdita di zone di pesca e di terreni agricoli; del settore secondario con danni a strutture portuali offshore e costiere, oleodotti, metanodotti e terziario con danni a strutture turistico-ricreative costiere. Inoltre, non possono essere trascurati i possibili danni diretti alla popolazione e a livello paesaggistico-ambientale con la distruzione di interi ecosistemi costieri. In definitiva questo fenomeno comporterebbe un cambiamento radicale dell’ecosistema marino-costiero e di tutti gli organismi viventi che lo compongono, uomo compreso. I danni potrebbero interessare soprattutto le decine di milioni di persone che vivono in prossimità dei delta dei fiumi, sulle aree costiere basse e sulle piccole isole. Il rischio di inondazione è ulteriormente accentuato dal probabile aumento della frequenza ed intensità dei cicloni tropicali e dei sistemi di bassa pressione in mare, con conseguente incremento di tempeste, di precipitazioni intense e di storm surges. Considerando il numero elevato di persone che vivono sulle regioni costiere e gli attuali sistemi di protezione delle coste, si prevede un notevole aumento del numero di individui soggetti al rischio di inondazione a causa di storm surges entro il 2080 (figura 131). In particolare, sarebbero a rischio di inondazione circa 70 milioni di persone in Bangladesh ed altrettante in Cina. Questa situazione di rischio potenziale necessita che le attuali opere di difesa idraulica delle coste e delle zone bonificate vengano appositamente modificate per renderle maggiormente efficienti ed adattabili alle improvvise variazioni del livello del mare, richiedendo un uso ingente di risorse umane ed economiche. Figura 131 - Previsioni relative al numero di persone sottoposte al rischio di inondazione nel 2080 a causa di storm surges con i sistemi attuali e con sistemi avanzati di protezione delle coste. Fonte: Climate Change 2001 IPCC. 194 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Effetto della variazione della temperatura superficiale del mare sulla circolazione delle masse d’acqua e d’aria La temperatura del mare mostra una distribuzione nello spazio strettamente associata alle variazioni del bilancio radiativo terrestre, perciò questo parametro risulta fortemente influenzato dall’effetto serra e, quindi, dal conseguente aumento della quantità di energia disponibile sulla superficie marina. L’incremento della temperatura media superficiale del mare durante il XX secolo è stato di 0.6°C e si prevede un suo ulteriore aumento durante il XXI secolo. Questo incremento termico può riflettersi sulla circolazione generale delle masse d’acqua e d’aria e sulla composizione delle comunità biologiche degli ecosistemi marino-costieri. Le correnti marine profonde sono generate dai gradienti di densità tra zone oceaniche differenti che, a loro volta, sono dipendenti dalla temperatura e dalla salinità delle acque, perciò un cambiamento termico della superficie marina può modificare anche la circolazione delle masse d’acqua. Ad esempio, l’incremento della temperatura del mare e lo scioglimento dei ghiacci artici potrebbero determinare un apporto considerevole di acqua dolce negli oceani, modificando la densità delle acque e quindi la circolazione termoalina oceanica. Si ipotizza che questi cambiamenti potrebbero causare una deviazione e/o un progressivo indebolimento della Corrente del Golfo del Messico, che attualmente mantiene nel Nord Atlantico ed in parte dell’Europa occidentale temperature più elevate di alcuni gradi; se ciò dovesse verificarsi si avrebbe come effetto un immediato abbassamento della temperatura in Europa in un periodo in cui altre regioni della Terra sono sottoposte ad un sensibile riscaldamento. Le masse d’aria sovrastanti la superficie marina, scambiando calore con il mare, possono modificare la loro temperatura e la loro pressione, con notevoli ripercussioni sulla circolazione dell’aria a livello locale e globale. Un esempio di come le temperature del mare e, di conseguenza, le pressioni delle masse d’aria sovrastanti possano influenzare la circolazione marina e atmosferica su ampia scala ci è dato dai fenomeni noti come ‘El Niño’, ‘La Niña’ e la NAO (North Atlantic Oscillation). El Niño e La Niña sono causati rispettivamente da periodi anomali caldi e freddi rispetto alla media Figura 132 - Circolazione delle masse trentennale della superficie marina della d’acqua e d’aria in assenza (in alto) ed in zona del Pacifico compresa tra le coste presenza (in basso) di ‘El Niño’. del Cile e le isole di Papua. Questa anomalia termica dell’Oceano Pacifico si riflette in un cambiamento della circolazione marina e atmosferica che va ad influenzare il clima di regioni poste a notevoli distanze (come Australia, Americhe ed Africa del Nord). Il fenomeno atmosferico associato a El Niño è indicato come ‘Southern Oscillation’, per cui con il termine ENSO (El Niño Southern Oscillation) si intende il sistema accoppiato costituito dalla componente oceanica (El Niño) e da quella atmosferica (Southern Oscillation). In assenza del Niño, gli Alisei spingono le acque calde superficiali dell’Oceano Pacifico verso l’Indonesia e l’Australia (figura 132). L’allontanamento dell’acqua 195 Appunti di meteorologia marina superficiale in prossimità delle coste del Cile e del Perù, provoca la risalita in superficie di acqua fredda profonda (upwelling) che stabilizza la temperatura di tutto il Pacifico e favorisce il rinnovo dei nutrienti in superficie e, quindi, è alla base dell’elevata pescosità di questi mari. Le acque fredde inoltre generano situazioni di tempo stabile (alta pressione) sulle coste americane e situazioni di instabilità (bassa pressione) con piogge abbondanti sulle coste indonesiane. Tuttavia, ogni 3-7 anni circa si verifica un’anomalia termica (El Niño) a causa dell’indebolimento dei venti da Est, perciò le acque fredde profonde non risalgono in superficie e la temperatura del mare in prossimità delle coste del Cile e del Perù non si abbassa (figura 132). In questo modo vengono a mancare sia l’effetto mitigante sul clima che il rinnovo dei nutrienti in superficie causati dall’upwelling. Questa anomalia termica si ripercuote sulla circolazione globale delle masse d’aria sovrastanti la superficie marina, portando alla scomparsa della zona di alta pressione sulle coste americane e alla formazione di un centro depressionario sul Pacifico Centrale, che provoca intense piogge in regioni solitamente semi-desertiche dell’America Latina. Al contrario, in prossimità delle coste dell’Indonesia e dell’Australia si forma una zona di alta pressione che provoca siccità prolungata e un aumento della frequenza di incendi. In conclusione, fenomeni come El Niño causano un drastico cambiamento nella distribuzione delle piogge e delle aree di alta e bassa pressione (con siccità in Indonesia e inondazioni in Sud America) che si ripercuote con ‘reazioni a catena’ sul clima dell’intero Pianeta. La NAO è causata da fenomeni simili nella zona dell’Atlantico compresa tra le Azzorre e l’Islanda e va ad influenzare il clima di parte dell’America nord-occidentale, dell’Europa e del Mediterraneo. In condizioni normali, attorno ai 60° di latitudine Nord è presente una zona di bassa pressione (il ciclone dell’Islanda), mentre attorno ai 30° di latitudine è presente un anticiclone sull’Oceano Atlantico (l’anticiclone delle Azzorre). L’indice NAO è definito dalla differenza tra l’anomalia barica registrata in Portogallo e quella osservata in Islanda durante il periodo invernale. Nel caso in cui l’indice NAO è positivo, l’anticiclone delle Azzorre è particolarmente intenso e tende ad invadere il Mediterraneo (compresa l’Italia) portando a tempo stabile anche durante l’inverno. Al contrario, negli anni in cui l’indice NAO è negativo l’anticiclone è particolarmente debole e tende a ritirarsi verso Sud-Ovest permettendo alle perturbazioni atlantiche di invadere il Mediterraneo. Questa situazione porta a condizioni di tempo instabile tipiche del periodo invernale. A partire dalla metà degli anni ’80 è stato osservato un incremento della frequenza di inverni con indice NAO positivo, con una riduzione delle piogge invernali che risultano concentrate in periodi sempre più limitati e a carattere spesso torrenziale. Fenomeni come El Niño e la NAO sono stati osservati fin dall’antichità, tuttavia a partire dalla prima metà degli anni ’70 è stato registrato un incremento di frequenza, persistenza e intensità di questi fenomeni che gli scienziati hanno attribuito in parte ai cambiamenti climatici in atto. Da questa analisi emerge come le variazioni termiche della superficie marina possano avere un ruolo determinante nell’influenzare il clima di vaste regioni della Terra, modificando anche radicalmente la situazione attuale. 196 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Cambiamenti climatici ed eventi meteo-marini estremi Gli studi condotti dall’IPCC hanno cercato di stabilire un’eventuale relazione tra cambiamenti climatici ed aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi. In particolare, è stato osservato come le variazioni di circolazione delle grandi masse d’aria e d’acqua, possano modificare la distribuzione e la frequenza di eventi estremi sulla Terra. Si presume che in molte zone della Terra si potrà verificare un incremento delle intensità delle piogge e dei fenomeni meteorologici più violenti (come tempeste ed uragani) con conseguente aumento anche delle inondazioni e dei fenomeni erosivi, mentre in altre aree si potrà assistere ad una sensibile riduzione dell’umidità con fenomeni di siccità ed intense ondate di calore che aumenteranno il rischio di desertificazione. Le analisi storiche e statistiche non sono ancora in grado di fornire delle risposte certe sulla relazione esistente tra cambiamenti climatici ed eventi estremi, sebbene vi siano già una serie di indicazioni che fanno presupporre che i cambiamenti in atto possano effettivamente causare un incremento della frequenza di fenomeni atmosferici particolarmente violenti. I principi su cui si basano questi presupposti sono legati soprattutto al fatto che l’aumento delle temperature può portare ad un incremento dell’evapotraspirazione e permettere all’atmosfera di contenere un maggiore quantitativo di vapore acqueo (circa 6% in più per ogni grado centigrado di aumento). L’incremento del vapore acqueo nell’atmosfera, in seguito a condensazione, potrebbe portare ad un aumento delle precipitazioni di forte intensità. È stato inoltre evidenziato come l’incremento delle temperature abbia un effetto moltiplicatore sulla probabilità di verificarsi di un evento estremo, per cui in periodi durante i quali sono state osservate temperature del mare superiori alla norma sono stati registrati frequentemente anche eventi meteorologici di forte intensità. I cambiamenti climatici potrebbero quindi provocare un aumento della frequenza di eventi meteo-marini estremi, quali uragani, tempeste, burrasche e temporali marini molto intensi, con conseguente incremento anche dei fenomeni di inondazione e di erosione costiera. In realtà, negli ultimi anni non abbiamo assistito tanto ad un aumento del numero di tempeste, ma piuttosto ad un incremento della loro violenza ed intensità. Ad esempio, nel dicembre 1999 si sono verificate una serie di tempeste che, sviluppatesi sull’Atlantico, hanno investito gran parte dell’Europa nord-occidentale e, in particolare, le coste francesi, islandesi e danesi, dove sono stati registrati i valori più alti di intensità del vento mai osservati in tali zone (raggiungendo anche punte di 190 km h-1). Sulla costa americana l’uragano Mitch ha investito l’America centrale nel 1998 ed è risultato uno degli eventi più catastrofici dell’intero secolo. Tra gli eventi più recenti, in gennaio 2004 il ciclone Heta ha devastato la piccola isola di Niue (di soli 260 km2) con venti che hanno raggiunto velocità di circa 300 km h-1 e onde gigantesche, mentre in settembre 2004 il ciclone Jeanne ha colpito l’isola di Haiti provocando oltre 2000 morti. Queste ed altre osservazioni e lo studio di modelli ad alta risoluzione suggeriscono che i picchi di intensità del vento e delle precipitazioni associati ai cicloni tropicali sono probabilmente in aumento in alcune aree della Terra. Gli eventi piovosi di forte intensità e le storm surges possono causare allagamenti, anche perché l’incremento del livello del mare e le piogge intense ostacolano il deflusso dei fiumi in mare e provocano il loro straripamento. I dati registrati durante il XX secolo indicano un incremento degli episodi che 197 Appunti di meteorologia marina hanno provocato allagamenti in Europa (alluvioni improvvise o flush floods, straripamento dei fiumi e storm surges) e si prevede che la loro frequenza possa ulteriormente aumentare nei prossimi anni (figura 133). Un aumento della frequenza e/o dell’intensità degli eventi estremi avrebbe notevoli conseguenze anche sul piano economico. Per avere un’idea dei possibili danni economici, alcuni studi dell’IPCC hanno già riscontrato un chiaro incremento del numero e delle conseguenti perdite economiche associate ad eventi climatici catastrofici (figura 134). In particolare, le perdite economiche associate a questi eventi sono aumentate su scala globale di circa dieci volte ed in maniera nettamente più veloce rispetto all’inflazione. La quota assicurata di queste perdite è aumentata da valori trascurabili a circa il 23% negli anni ’90. Questo andamento dei costi è da attribuire in parte ai cambiamenti socio-economici (crescita della popolazione, urbanizzazione in aree vulnerabili) e in parte ai fattori climatici (inondazioni, cambiamento del regime pluviometrico). Figura 133 - Numero di eventi che hanno causato allagamenti in Europa (Fonte: EEA Report - Impacts of EuropÈs Changing Climate, 2004). Figura 134 - Perdite economiche associate ad eventi climatici estremi. I valori riportati sono stati corretti per l’inflazione. Fonte: IPCC, 2001. 198 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali In conclusione, nonostante la casistica sia ancora limitata ed i fattori in gioco estremamente numerosi e variabili, è certo che la destabilizzazione del clima porterà ad una serie di risposte ‘non lineari’ che rendono difficile poter effettuare previsioni attendibili. Di fronte a questa realtà in continuo divenire, l’uomo si trova al centro di un complesso meccanismo di azioni e risposte di feed-back che potranno causare effetti del tutto improvvisi ed inaspettati. Impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini Gli ecosistemi marini risultano fortemente coinvolti nelle variazioni climatiche in atto e, in virtù della loro estrema complessità, possono dare luogo ad una serie di reazioni a catena del tutto imprevedibili. L’incremento della temperatura media della superficie marina ed i cambiamenti di direzione e intensità delle correnti, possono alterare la biodiversità faunistica e floristica degli oceani. Infatti, nonostante le biocenosi marine siano sempre state considerate tendenzialmente stabili, negli ultimi anni si è assistito a delle sensibili variazioni rispetto a quella che è considerata la naturale variabilità degli ecosistemi; ad esempio, nelle biocenosi di alcuni mari delle regioni temperate si è osservato un incremento di specie subtropicali a spese delle specie indigene. Gli scienziati stanno indagando per cercare di comprendere se e come i cambiamenti climatici possano contribuire a fornire una spiegazione su queste variazioni. In particolare, gli studi in atto stanno cercando di stabilire come le variazioni di temperatura, salinità e circolazione delle masse d’acqua possano influenzare la sopravvivenza, il successo riproduttivo, il comportamento e la competizione tra le specie indigene e le specie provenienti da differenti areali. Uno dei principali aspetti studiati dai ricercatori è l’effetto della temperatura sul ciclo biologico delle principali specie ittiche e, in particolare, sulla riproduzione. Nella tabella 12 viene mostrato come l’intervallo di temperatura ottimale per la deposizione delle uova vari a seconda della specie in studio, perciò un cambiamento della temperatura dei mari potrebbe modificare sensibilmente la distribuzione di specie ittiche che assumono un’importanza rilevante sia dal punto di vista ecologico che economico. I cambiamenti climatici potranno causare la migrazione di specie anche a notevoli distanze dagli areali di origine e, qualora questi spostamenti non fossero possibili o risultassero eccessivamente lenti rispetto alle modifiche climatiche in atto, si potrebbe assistere all’estinzione di alcune specie o di intere biocenosi. Specie Area Temperatura di deposizione delle uova (°C) Merluzzo Atlantico del Nord Mare della Groenlandia Mare di Barents 0.4-7 Sgombro Atlantico Nord-Ovest 10-15 Sardina del Pacifico Pacifico 14-16 Sardina Africa Sud-Ovest 15-19.5 Acciuga Mar Mediterraneo Atlantico Giappone Argentina 13-29 13-17.5 11-29 10-17 Aringa Mare del Nord Mar Baltico Islanda 6-13 (autunno) 6-11 (primavera) 5-9 (primavera) Tabella 12 - Areale di distribuzione ed intervallo di temperatura di esposizione delle uova di alcune delle principali specie ittiche. 199 Appunti di meteorologia marina Questi processi potranno portare ad un inquinamento biologico delle acque, favorendo la proliferazione di organismi infestanti e modificando la biodivesità degli ecosistemi marino-costieri. In particolare, i disequilibri che si verranno a creare negli ecosistemi marini sono attesi causare una riduzione di biodiversità. In Europa è stato osservato uno spostamento verso Nord delle specie di zooplancton e di altre specie tipiche delle regioni temperate. Nel Mare del Nord, ad esempio, si è assistito ad un aumento di specie di zooplancton caratteristiche di regioni più calde a discapito di altre specie tipiche di ambienti più freddi che in passato popolavano questo mare (figura 135). Figura 135 - Cambiamento nella composizione in specie di zooplancton nel Mare del Nord. (fonte: EEA Report - Impacts of EuropÈs Changing Climate, 2004). È stato inoltre dimostrato come l’aumento di solo 1°C delle temperature delle acque, specialmente se associato anche ad altri fenomeni di stress (inquinamento delle acque), può causare il cosiddetto ‘imbiancamento’ dei coralli, in seguito alla morte delle alghe simbionanti o, addirittura, la loro stessa morte. Le barriere coralline svolgono un ruolo fondamentale per la protezione delle coste da fenomeni erosivi e, pur coprendo solo l’1% circa della superficie della Terra, mostrano un’elevata ricchezza biologica ospitando circa il 4-5% delle specie, poiché sono fonte di cibo e di rifugio per numerose varietà di pesci e invertebrati. La temperatura ottimale per la crescita dei coralli si aggira intorno ai 25-28°C, perciò le barriere coralline sono considerate tra gli ecosistemi marini più vulnerabili ai cambiamenti climatici in atto. Il riscaldamento delle acque ha già provocato la morte di circa il 50-98% delle barriere coralline in una fascia di mare compresa tra il Mozambico del Nord e l’Indonesia e si teme che il processo possa non arrestarsi. Molti ricercatori ritengono anche che l’incremento delle temperature del mare possa provocare un aumento dell’eutrofizzazione e della formazione di mucillagini, comportando notevoli danni a livello biologico, economico e sanitario. L’eutrofizzazione è causata essenzialmente dall’immissione in mare di sostanze ad effetto fertilizzante (in particolare fosforo ed azoto) che provocano, in una prima fase, una proliferazione anomala di microalghe che, decomponendosi, consumano l’ossigeno disciolto in acqua e, quindi, provocano la morte di organismi che vivono sui fondali. Questo fenomeno potrà essere esasperato dall’innalzarsi delle temperature delle acque, che favorisce la crescita e lo sviluppo di microalghe termofile (aman- 200 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali ti del caldo). Anche la formazione delle mucillagini può essere influenzata dai cambiamenti climatici; infatti, l’innalzamento termico favorisce il ristagno delle acque, con conseguente accumulo ed affioramento di materiale mucillaginoso naturalmente prodotto. Le variazioni termiche potranno causare anche cambiamenti quali-quantitativi dei nutrienti e della produttività primaria, con conseguenze su tutta la catena alimentare marina. Ad esempio, le variazioni termiche e di salinità si ripercuoteranno inevitabilmente sulle correnti marine profonde e superficiali, causando sensibili cambiamenti sulla distribuzione delle sostanze nutritive negli oceani e, quindi, sul numero ed il tipo di specie animali e vegetali presenti. Non è stato ancora chiarito come le correnti di risalita (upwelling) potranno essere influenzate dai cambiamenti climatici, sebbene si tema che gli effetti dei cambiamenti sulla circolazione oceanica possano causare un indebolimento dei fenomeni di risalita delle acque profonde e del rinnovo superficiale dei nutrienti. L’aumento della temperatura del mare determina anche un cambiamento della biomassa di fitoplancton e della durata della stagione di crescita. In particolare, è stato messo in evidenza come durante le ultime decadi la biomassa di fitoplancton e la durata della stagione di crescita siano aumentate nel Mare del Nord e nell’Atlantico del Nord (fonte: EEA Report, Impacts of Europès Changing Climate, 2004). Questi effetti, oltre ad avere notevoli ripercussioni sulla produttività primaria, sul ciclo del carbonio e sulla distribuzione e ricchezza delle specie marine, modificheranno le aree di pesca del nostro Pianeta con notevoli ripercussioni a livello socio-economico. Analisi delle variazioni climatiche in atto nel Mediterraneo Il bacino del Mediterraneo risulta una delle aree maggiormente vulnerabili ai cambiamenti climatici, sia per le caratteristiche naturali del suo clima che per l’elevata densità di popolazione localizzata sulle regioni costiere. L’Italia rappresenta uno tra i Paesi del Mediterraneo in cui la situazione risulta particolarmente critica, essendo già soggetta a fenomeni di dissesto idrogeologico del territorio e ad uno sfruttamento eccessivo dei litorali. Di seguito riportiamo le variazioni climatiche registrate durante il XX secolo ed i possibili scenari futuri nel Mediterraneo e, in particolare, in Italia (fonte: contributo ENEA alla Terza Comunicazione Nazionale dell’Italia alla UNFCCC). Figura 136 - Serie storica della variazione della temperatura superficiale del Mar Tirreno in agosto. 201 Appunti di meteorologia marina Variazione della temperatura dell’aria e dell’evapotraspirazione (1865-1996) ¿ aumento delle temperature massime e minime mensili ¿ aumento dell’evapotraspirazione nelle regioni centro-meridionali. L’aumento delle temperature massime in Italia è stato di circa 0.6°C nelle regioni settentrionali e di 0.8°C in quelle centro-meridionali, mentre per quanto riguarda le temperature minime l’aumento è stato rispettivamente di 0.4°C e di 0.7°C. L’aumento termico è risultato particolarmente evidente durante la stagione invernale. L’aumento dell’evapotraspirazione nelle regioni centro-meridionali, associato alla riduzione delle precipitazioni, ha portato ad un’accelerazione dei fenomeni di riscaldamento e dei processi di aridità e desertificazione. Variazione delle precipitazioni (1951- 1996) ¿ diminuzione delle precipitazioni totali sull’intero territorio italiano, ma con tendenza più accentuata per le regioni centro-meridionali rispetto alle settentrionali; ¿ diminuzione dei giorni di pioggia su tutto il territorio nazionale di circa il 14%, con una riduzione più accentuata in inverno rispetto alle altre stagioni; ¿ aumento generale dell’intensità delle piogge e diminuzione della loro durata. Variazione del livello e della temperatura del mare Il livello medio marino globale è andato progressivamente aumentando durante il XX secolo di circa 1-2 mm all’anno. Tuttavia, il Mediterraneo presenta un comportamento che si discosta dalla media, mostrando, dopo un primo periodo di innalzamento, una fase in cui il livello del mare si è mantenuto più o meno stazionario. La spiegazione di questo fenomeno può essere attribuita a due cause principali: - la variazione della frequenza e dell’intensità dei cicloni extratropicali che hanno causato un incremento delle situazioni anticicloniche (di alta pressione) sul Mediterraneo con conseguente ‘schiacciamento’ della superficie marina - l’aumento dell’evaporazione delle acque del Mediterraneo e la diminuzione dell’apporto idrico da parte dei corsi d’acqua dolce, con conseguente diminuzione del livello del mare ed aumento della sua salinità. L’incremento della salinità provoca anche un aumento della densità delle acque mediterranee, impedendo alle acque atlantiche meno salate di penetrare nel Mediterraneo attraverso lo Stretto di Gibilterra. Un’altra conseguenza dei cambiamenti climatici nell’area mediterranea è l’aumento delle temperature medie della superficie marina. In particolare, il bacino del Mediterraneo è soggetto ad un sensibile incremento della temperatura superficiale marina (SST), come attesta il trend crescente della SST osservato nei nostri mari dal 1970 ad oggi (figura 137). Nelle ultime estati si sono registrate temperature anche di 27-28°C e nei mesi di giugno-luglio 2003 le temperature estive del Mar Tirreno sono risultate di 3°C superiori rispetto alle medie stagionali, con anomalie termiche anche di 6°C oltre la media. La temperatura del Mediterraneo durante il 2003 è risultata in genere la più alta negli ultimi 3000 anni, tanto da far parlare di ‘tropicalizzazione’ del Mediterraneo. Questo dato è estremamente preoccupante se si considera che 27°C è considerato il valore soglia della temperatura del mare per la formazione degli uragani e che un cambiamento così drastico delle temperature si rifletterà inevitabilmente sulla composizione delle biocenosi e sui complessi equilibri dei nostri mari. 202 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Effetti dei cambiamenti climatici sugli eventi meteorologici estremi L’incremento delle temperature medie superficiali del Mar Mediterraneo è associato ad un aumento dei tassi di evaporazione e ad una variazione dell’instabilità convettiva dell’atmosfera, con conseguente aumento del rischio di alluvioni e allagamenti. Ad esempio, le anomalie termiche del Mar Tirreno durante il periodo di ottobre (con temperature prossime a 26°C) sono risultate associate ad eventi di pioggia molto intensi, avvicinandosi a quei fenomeni di estrema violenza che si osservano in prossimità dei Tropici. Studi compiuti dall’IBIMET-CNR hanno inoltre messo in evidenza una stretta relazione tra la frequenza dei giorni di pioggia oltre la soglia di 50 mm al giorno registrati a Firenze e la temperatura media superficiale del Mediterraneo occidentale da marzo a dicembre (figura 137). Figura 137 - Relazione tra la frequenza di eventi di pioggia a Firenze con intensità superiore ai 50 mm al giorno e la temperature media superficiale del Mediterraneo occidentale da marzo a dicembre (Fonte: dati IBIMET-CNR.). Effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marino-costieri L’aumento della temperatura delle acque del Mediterraneo può esercitare effetti diretti ed indiretti sulle principali biocenosi marine. Gli effetti diretti sono causati principalmente dall’influenza della temperatura sulla sopravvivenza, sul successo riproduttivo, sul comportamento e sui meccanismi competitivi degli organismi animali e vegetali che popolano il Mediterraneo, mentre gli effetti indiretti sono principalmente causati dai cambiamenti nella circolazione delle acque (correnti marine superficiali e profonde). Uno dei principali effetti di questi cambiamenti nel Mediterraneo consiste in una variazione di composizione in specie delle biocenosi marine, con un incremento di specie ittiche tipicamente tropicali o caratteristiche di biocenosi di acque più calde (First SINAPSI Workshop – Seasonal, interannual and decadal variability of the atmosphere, oceans and related marine ecosystems, Archo. Oceanogr. Limnol., 22, 2001). Nelle regioni settentrionali del Mediterraneo è aumentata la cattura di specie ittiche tipiche di regioni più meridionali, quali Thalassoma pavo, Sardinella aurata, Pomadasys incinus, Sphyraena sphyraena, Pomatosus saltator, Tetrapturus belone imperialis, ecc., mentre altre specie tipiche di biocenosi di acque più fred- 203 Appunti di meteorologia marina de quali lo Sprattus sprattus sono divenute progressivamente meno abbondanti. Numerosi studi hanno indicato anche un incremento del tempo di permanenza nelle regioni centro-settentrionali del bacino del Mediterraneo di alcune specie che in passato migravano durante il periodo autunno-invernale verso altre regioni per trascorrere l’inverno. Di conseguenza il numero di catture di alcune specie è risultato strettamente associato all’andamento climatico stagionale e soprattutto alle variazioni della temperatura del mare. Oltre ad uno spostamento verso Nord di specie già presenti nel bacino del Mediterraneo, negli ultimi anni si è assistito anche ad una infiltrazione di specie tipicamente tropicali attraverso il Canale di Suez e lo Stretto di Gibilterra. Attraverso il Canale di Suez sarebbero passate circa 56 specie originarie del Mar Rosso, quali i barracuda atlantici ed il pesce palla. Anche alcune alghe, quali la Caulerpa taxifolia di provenienza caraibica, sono riuscite a diffondersi e a proliferare nel Mediterraneo, raggiungendo un’espansione superiore a quella dei luoghi di origine (circa 13000 ha di superficie). Le variazioni termiche possono influenzare, oltre a singole specie, intere biocenosi marine del Mediterraneo. Ad esempio, il degrado delle praterie di Posidonia osservato in molte zone del Mediterraneo può essere causato, oltre che dall’inquinamento delle acque, da interventi antropici e dal naturale declino di questa specie, anche dai cambiamenti climatici in atto. Bianchi e Morri (2001) hanno osservato una variazione parallela della densità delle praterie di Posidonia di Monterosso e la temperatura media dell’aria di Genova dal 1992 al 1997. Le praterie di Posidonia presentano un’elevata ricchezza di specie, per cui il loro degrado può portare a grossi sconvolgimenti a diversi livelli trofici della catena alimentare. Queste osservazioni hanno aperto una serie di interrogativi sugli effetti dei cambiamenti climatici sulle biocenosi mediterranee. In particolare, gli studi recenti hanno sottolineato la necessità di considerare le interazioni tra cambiamenti climatici, inquinamento delle acque ed altre azioni antropiche per spiegare le variazioni nelle popolazioni animali e vegetali che stanno avvenendo nel Mediterraneo. I cambiamenti climatici possono influenzare anche i fenomeni di eutrofizzazione e di formazione ed accumulo di mucillagini, che stanno assumendo sempre maggiore rilevanza nei mari italiani e, in particolare, nell’Adriatico. Lo studio di questi fenomeni è difficoltoso a causa della loro complessità, poiché sono regolati da un numero considerevole di fattori. In particolare, l’eutrofizzazione è strettamente associata all’inquinamento delle acque e, quindi, allo scarico di sostanze fertilizzanti in mare; tuttavia, si ritiene che l’incremento della temperatura del Mediterraneo possa favorire la proliferazione delle alghe che è alla base del fenomeno di eutrofizzazione. Anche l’incremento delle mucillagini nell’Adriatico può essere in qualche modo associato ai cambiamenti climatici in atto. Le mucillagini da un punto di vista chimico non sono altro che dei polisaccaridi di origine biologica (in particolare essudati di diatomee e fitoflagellati) che tendono ad affiorare in superficie. Questo fenomeno risulta accentuato nel Mare Adriatico, sia per la sua scarsa profondità che per il riscaldamento in atto (soprattutto in periodo estivo) che favoriscono il ristagno e l’affioramento superficiale delle mucillagini. Questi rappresentano solo alcuni degli esempi in cui i cambiamenti climatici possono intervenire modificando i complessi equilibri biologici del Mediterraneo. Tuttavia, bisogna considerare che qualsiasi cambiamento si rifletterà inevitabilmente sull’intero ecosistema nella sua complessità, con risultati difficilmente prevedibili. 204 V. Il sistema atmosfera-mare ed i cambiamenti globali Scenari futuri Gli scenari futuri che riguardano il Mediterraneo sono soggetti a notevoli incertezze, soprattutto per le difficoltà di prevedere quelli che saranno i cambiamenti a livello socio-economico e la capacità di adattamento dei sistemi mediterranei alle variazioni climatiche. Queste difficoltà sono rese accentuate dall’estrema complessità dei sistemi mediterranei, caratterizzati da un’ampia varietà di situazioni ambientali, sociali ed infrastrutturali e da una ricchezza del patrimonio storico ed artistico-culturale unica nel suo genere che li rende particolarmente vulnerabili. Nonostante queste incertezze, i principali problemi che gli scenari futuri sembrano prospettare riguardano soprattutto un cambiamento sostanziale del ciclo idrologico, con un’accentuazione delle differenze di abbondanza d’acqua tra Nord e Sud Europa e, in Italia, tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, che diventeranno sempre più calde e secche. Questo fenomeno porterebbe inevitabilmente ad uno spostamento verso le regioni settentrionali di tutti i sistemi ecologici ed ambientali, nonché delle classiche produzioni agricole delle regioni meridionali. L’Europa meridionale, e in particolare il Mediterraneo, potrebbe quindi andare incontro ad una perdita di biodiversità e a fenomeni di desertificazione, con ripercussioni notevoli sulle attività produttive (agricoltura ed industria), il turismo, l’urbanizzazione e la saluta pubblica. Per quanto riguarda la temperatura in Europa, si prevede che nei prossimi anni essa continuerà ad aumentare con un ritmo compreso tra 0.1 e 0.4°C per decennio, in particolare modo nell’Europa nord-orientale e nel Mediterraneo. È attesa inoltre una diminuzione della lunghezza stagionale e degli estremi di freddo in inverno ed un aumento della lunghezza stagionale e degli estremi di caldo in estate. Le precipitazioni in Europa sono attese aumentare di circa 1-2% per decade nelle regioni settentrionali e diminuire di circa 1% in quelle meridionali. Nel Mediterraneo inoltre si assisterà ad una diminuzione dei giorni di pioggia e ad un incremento della frequenza di precipitazioni intense. Nonostante sia difficile poter prevedere il verificarsi di eventi meteorologici estremi, è probabile che i cambiamenti climatici possano portare ad un incremento della frequenza di fenomeni meteorologici di forte intensità, quali alluvioni, inondazioni, onde di calore e siccità estrema. Nonostante il livello del mare nel Mediterraneo abbia mostrato un comportamento differente rispetto agli oceani, mantenendosi praticamente stazionario negli ultimi anni, le stime dell’IPCC prevedono un suo aumento entro il 2090 di circa 18-30 cm. Questo aumento è stato stimato senza considerare i fenomeni di subsidenza naturale e potrebbe portare in Italia al rischio di inondazione di circa 4500 chilometri quadrati di aree costiere così distribuite sul territorio nazionale (contributo ENEA alla Terza Comunicazione Nazionale dell’Italia alla UNFCCC, figura 138): ¿ 25.4 % nell’Italia settentrionale (alto Adriatico) ¿ 5.4 % nell’Italia centrale (medio Adriatico e medio Tirreno) ¿ 62.6 % nell'Italia meridionale (Golfo di Manfredonia, coste tra Taranto e Brindisi, Sicilia sud-orientale) ¿ 6.6 % in Sardegna. Il pericolo di inondazioni sarà particolarmente accentuato se, come previsto, potranno aumentare quei fenomeni meteo-marini estremi accompagnati da forti mareggiate e storm surges. Le zone costiere basse saranno ovviamente quelle maggiormente sottoposte al rischio di inondazione, anche perché la pressione 205 Appunti di meteorologia marina antropica e l’eccessivo sfruttamento dei litorali hanno reso queste zone particolarmente instabili e soggette ad erosione. Fenomeni di inondazione ed erosione costiera sono già stati riscontrati negli ultimi anni per le coste dell’alto Adriatico e, in particolare, a Venezia dove i casi di ‘acqua alta’ sono andati aumentando negli ultimi decenni. Altre zone del territorio nazionale a rischio di inondazione e/o erosione sono quelle situate in prossimità delle foci dei fiumi (es. Magra, Arno, Ombrone, Tevere, Volturno, Sele, ecc.), le aree lagunari (come quella di Orbetello) e le coste basse caratterizzate già da problemi di erosione (Piombino, Tavoliere delle Puglie). Le zone costiere in Italia assumono un’importanza fondamentale dal punto di vista socio-economico ed ambientale, poiché sono caratterizzate da un’alta densità di popolazione e da un proliferare di attività produttive e turistico-ricreative, oltre che da ecosistemi complessi caratterizzati da una elevata biodiversità. Per questi motivi l’ambiente costiero mediterraneo è da sempre considerato una delle aree maggiormente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Questa situazione di emergenza necessita che vengano redatte delle apposite ‘carte di vulnerabilità’ del territorio costiero nazionale, in modo da individuare le zone più critiche e maggiormente soggette al pericolo di erosione ed attuare opportune strategie di protezione delle nostre coste. Inoltre, a causa delle notevoli incertezze relative agli scenari futuri ed ai potenziali rischi, è necessario ampliare le nostre conoscenze sugli eventi meteo-marini e sulle complesse interazioni che caratterizzano l’ambiente marino-costiero mediterraneo ed i suoi ecosistemi. Figura 138 - Territorio italiano sottoposto al rischio di inondazione previsto entro il 2090 (Fonte: dati ENEA). 206 APPUNTI DI METEOROLOGIA MARINA foto Appendice Glossario GLOSSARIO A ACQUE MARINE - Insieme delle acque salate che ricoprono la superficie terrestre. ADIABATICI, PROCESSI DI RAFFREDDAMENTO E RISCALDAMENTO Processi che provocano una variazione della temperatura dell’aria senza scambio di calore con l’esterno e che avvengono in seguito all’espansione/compressione delle masse d’aria durante i loro moti ascendenti/discendenti. ALBEDO - La frazione di energia radiativa che viene riflessa da una superficie. ALBEDOMETRO - Strumento per la misura dell’albedo. ALISEI (o VENTI TROPICALI) - Venti planetari di bassa quota costanti per tutto l’anno che spirano tra le aree anticicloniche delle regioni subtropicali e l’Equatore. Vengono deviati per effetto della forza di Coriolis verso destra nell’emisfero boreale e verso sinistra in quello australe. ALTEZZA D’ONDA - Distanza verticale fra il cavo (detto anche ventre o gola) e la cresta (detta anche dorso) dell’onda. ALTEZZA MEDIA DELLE ONDE - È determinata dal rapporto tra la sommatoria delle altezze delle singole onde registrate durante un determinato intervallo temporale ed il loro numero. ALTEZZA SIGNIFiCATIVA DELLE ONDE Viene definita come la media del terzo di onde più alte registrate durante un determinato intervallo temporale. Questo parametro si ottiene ordinando le onde per altezza crescente, prendendo il terzo più alto di esse e facendone la media. ALTITUDINE - Distanza verticale tra il livello medio del mare ed un punto (o una superficie orizzontale) situata nello spazio atmosferico. ALTOCUMULI - Nubi cumuliformi degli strati medi della troposfera (2-6 km di altitudine). ALTOSTRATI - Nubi stratiformi degli strati medi della troposfera (2-6 km di altitudine). AMPIEZZA D’ONDA - Distanza tra il livello medio del mare e la sua cresta (o cavo). ANEMOMETRO - Strumento per misurare la velocità del vento che nelle stazioni meteorologiche viene posto generalmente ad un’altezza dal suolo di 10 m. ANEMOGONIOMETRO o ANEMOSCOPIO - Strumento per misurare la direzione del vento. ANTICICLONE - Area di alta pressione delimitata solitamente da isobare chiuse, circolari o ellittiche, che mostra valori di pressione decrescenti dal centro verso la periferia. Le aree anticicloniche sono caratterizzate da una circolazione spiraliforme del vento che diverge dal centro verso la periferia (in senso orario nell’emisfero boreale e antiorario in quello australe). ARCOBALENO - Fenomeno ottico generato dalla rifrazione e riflessione interna di un raggio di luce solare che attraversa uno strato di goccioline d’acqua sospese in aria. Da ogni gocciolina fuoriescono i raggi di luce secondo sette differenti angolature (raggi di Descarte), ognuna delle quali corrisponde a un diverso colore (i colori dell’iride). ARIA - Miscela di gas incolori, inodori e insapori che costituiscono l’atmosfera terrestre, tra cui i principali sono l’azoto (78%), l’ossigeno (21%), l’argon (0.95%) e l’anidride carbonica (0.03%). ASTA IDROMETRICA - Asta graduata, generalmente in plexiglass, che permette di registrare le variazioni di livello della superficie marina. ATMOSFERA TERRESTRE - Involucro gassoso soggetto alla forza gravitazionale che circonda la Terra. AURORE POLARI - Fenomeni luminosi che si verificano nella termosfera in seguito alla collisione tra particele ionizzate emesse dal Sole e i gas (azoto ed ossigeno) preesistenti in questo strato dell’atmosfera. AVVEZIONE - Trasporto orizzontale di masse d’aria. AVVEZIONE, NEBBIA DI - Formazione di nebbia in seguito allo spostamento di masse d’aria calde ed umide sopra superfici fredde terrestri, marine o lacustri. B BANCHISA - Strato continuo di ghiaccio che si forma sulla superficie marina nelle regioni circumpolari. BAROMETRO - Strumento per misurare la pressione atmosferica. BAROMETRO A MERCURIO - Strumento per misurare la pressione atmosferica costituito da una vaschetta contenente mercurio e da una canna di vetro con annessa una scala graduata. BAROMETRO ANEROIDE - Strumento per misurare la pressione atmosferica costituito 209 Appunti di meteorologia marina da una capsula metallica con pareti di lamiera ondulata. Le deformazioni della capsula, al cui interno c’è il vuoto, vengono amplificate da un sistema di leve e trasmesse ad un indice mobile su una scala graduata. BATITERMOGRAFO - Strumento meccanico registratore che consente di registrare le temperature del mare a differenti profondità. BIOCENOSI - Insieme di organismi viventi animali e vegetali che coabitano in un determinato luogo interagendo tra loro. BIODIVERSITA’ - Diversità biologica, intesa come variabilità di organismi viventi (marini e/o terrestri) che vivono su un determinato territorio. BOE ACCELEROMETRICHE - Boe galleggianti sulla superficie marina utilizzate per misurare le caratteristiche del moto ondoso (altezza dell’onda, direzione di provenienza, ecc.). Questi strumenti sono dotati di appositi sensori (accelerometri) che misurano l’accelerazione verticale subita dalla boa in seguito al passaggio dell’onda. BORA - Vento freddo ed intenso proveniente da NE che spira a raffiche. BREZZE - Venti periodici ad andamento diurno che si originano per compensare le differenze di temperatura e pressione che si stabiliscono tra terra e mare (brezza di mare e brezza di terra) o tra monti e pianura (brezza di monte e brezza di valle). BRINA - Formazione di minuscoli cristalli di ghiaccio in seguito al congelamento del vapore acqueo dell’aria (sublimazione) a contatto con superfici a temperature inferiori a 0°C. BURRASCA - Perturbazione atmosferica con caratteristiche simili alla tempesta (si veda voce tempesta), ma rispetto alla quale presenta venti di minore intensità (gradi 8 e 9 della Scala di Beaufort). BUYS-BALLOT, LEGGE DI - Le masse d’aria in movimento vengono deviate fino a portarsi in direzione quasi parallela a quella delle isobare ed in modo che un ipotetico osservatore con le spalle al vento abbia la bassa pressione sulla sinistra nell’emisfero boreale e sulla destra nell’emisfero australe. C CALORE LATENTE DI CONDENSAZIONE Quantità di calore che viene liberata da 1 grammo di acqua durante il passaggio dallo stato gassoso a quello liquido (condensazione). Esso è pari a circa 600 calorie (o 2500 joule). 210 CALORE LATENTE DI EVAPORAZIONE Quantità di calore che occorre fornire a 1 grammo di acqua per farla passare dallo stato liquido a quello gassoso (evaporazione). Esso è pari a circa 600 calorie (o 2500 joule). CALORE LATENTE DI FUSIONE - Quantità di calore che occorre fornire a 1 grammo di acqua per farla passare dallo stato solido a quello liquido. CAMBIAMENTI CLIMATICI - Qualunque variazione del clima causata da fattori naturali o antropici. Con questo termine la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) intende i cambiamenti del clima che possono essere attribuiti direttamente o indirettamente alle attività antropiche, che alterano la composizione chimica dell’atmosfera, in aggiunta alla naturale variabilità climatica. CAPACITA’ TERMICA - Grandezza che esprime la capacità della materia di acquisire o cedere calore; corrisponde alla quantità di calore necessaria ad elevare di 1°C la temperatura di un corpo. Il suolo ha una capacità termica inferiore rispetto all’acqua, per cui le terreferme tendono a riscaldarsi più rapidamente e più velocemente cedono il calore assorbito rispetto ai mari. CAPANNINA METEOROLOGICA - Stazione meteorologica costituita da una struttura con pareti in legno e tetto ad intercapedine d’aria con lastra di zinco che consente una buona ventilazione ed impedisce l’ingresso di acqua piovana. CAPSULE OLOSTERICHE o ANEROIDI Capsule contenenti un gas di riferimento mantenuto a pressione costante (1013.25 mbar) dotate di una membrana elastica che si contrae o si espande in funzione della differenza di pressione tra l’interno e l’esterno della capsula. CARBON SINKS - Con questo termine si indicano genericamente gli ‘assorbitori di carbonio’, quali le foreste e i terreni agricoli coltivati, che nell’ambito del Protocollo di Kyoto sono considerati serbatoi potenziali per aumentare l’assorbimento della CO2 atmosferica da parte del sistema Terra. CARTE SINOTTICHE - Carte meteorologiche in cui vengono riportate le osservazione effettuate nello stesso tempo da tutte le stazioni di una rete meteorologica mondiale. CAVO, GOLA o VENTRE DELL’ONDA Parte più bassa dell’onda. CELLA CONVETTIVA - Circolazione elementare delle masse d’aria: dalle zone ci- Glossario cloniche le masse d’aria salgono in quota, si raffreddano e, giunte nella parte alta della troposfera, si dirigono con moto orizzontale verso le zone anticicloniche, ove discendono al suolo per convergere nuovamente verso le zone di bassa pressione chiudendo il ciclo. La più nota cella convettiva su scala planetaria è la cella di Hadley (o cella tropicale) che al suolo origina gli Alisei. Altre celle convettive sono la cella di Ferrel (o delle medie latitudini) e la cella polare che al suolo originano rispettivamente i venti occidentali ed i venti polari. CENTRALE MAREOMOTRICE - Centrale elettrica che sfrutta il dislivello tra alta e bassa marea per azionare apposite turbine a propulsore. CICLONE o DEPRESSIONE - Area di bassa pressione delimitata solitamente da isobare chiuse, circolari o ellittiche, che mostra valori di pressione crescenti dal centro verso la periferia. Le aree cicloniche sono caratterizzate da una circolazione spiraliforme del vento che converge dalla periferia verso il centro (in senso antiorario nell’emisfero boreale e orario in quello australe). CICLONE TROPICALE - Perturbazione tropicale accompagnata da venti rotazionali ed ascensionali di forte intensità che possono provocare danni ingenti a cose e persone. A seconda della zona può essere chiamato uragano (Atlantico del Nord e Caraibi), tifone (Estremo Oriente e Pacifico) e willy willy (Australia). Ha origine generalmente a latitudini comprese tra 5° e 15° dove si trovano le condizioni necessarie affinché si formi, quali temperature superficiali del mare superiori ai 26°C e assenza di vento (calme equatoriali). CICLONE EXTRATROPICALE - Perturbazione tipica delle medie latitudini che si origina in seguito allo scontro tra masse d’aria fredda di origine polare e masse d’aria calda proveniente dai Tropici. In determinate condizioni le due masse d’aria assumono moto vorticoso attorno ad un centro comune di bassa pressione originando i cicloni extratropicali. CIRRI - Nubi fini e bianche di aspetto fibroso caratteristiche degli strati alti della troposfera (tra i 6 km ed il limite superiore della troposfera). CIRROCUMULI - Nubi cumuliformi caratteristiche degli strati alti dell’atmosfera (tra i 6 km ed il limite superiore della troposfera). Generalmente annunciano aria instabile e l’arrivo di una perturbazione (‘cielo a pecorelle’). CIRROSTRATI - Nubi stratiformi caratteristiche degli strati alti dell’atmosfera (tra i 6 km ed il limite superiore della troposfera). CLIMA - Insieme dei fenomeni meteorologici che caratterizzano lo stato medio dell’atmosfera in un determinato punto della superficie terrestre. La scienza che si occupa dello studio del clima prende il nome di climatologia. CLOROFLUOROCARBURI (CFC) - Composti chimici di origine antropica formati da cloro, fluoro e carbonio che agiscono come gas-serra nella troposfera e sono responsabili della parziale distruzione dell’ozono nella stratosfera. Sono stati molto utilizzati nel passato come gas refrigeranti e come propellenti nelle bombolette spray. COALESCENZA - Processo che permette la formazione e la crescita delle gocce di pioggia in seguito alla fusione per collisione delle goccioline di acqua presenti all’interno delle nubi. COMMISSION FOR MARINE METEOROLOGY (CMM) - Commissione internazionale del WMO responsabile della gestione e sviluppo del Marine Meteorologial Service (MMS). CONDENSAZIONE DEL VAPORE ACQUEO - Processo che permette il passaggio del vapore acqueo dallo stato gassoso a quello liquido. La condensazione del vapore acqueo può avvenire in seguito al raffreddamento di una massa d’aria che si solleva in quota o durante il passaggio di una massa d’aria calda ed umida sopra una superficie fredda. CONFERENZA DELLE PARTI (COP) Commissione internazionale che si riunisce annualmente al fine di valutare le azioni intraprese e gli impegni da prendere dai Paesi membri per ridurre la concentrazione atmosferica dei gas-serra nell’ambito degli accordi della UNFCCC. CONFiGURAZIONI BARICHE - Aree delimitate da isobare che indicano la presenza di particolari campi di pressione a terra (anticiclone, ciclone, promontorio, saccatura e pressione livellata). CONVERGENZA - Processo che determina la confluenza di masse d’aria provenienti da differenti direzioni verso una linea o un punto. La convergenza si verifica ad esempio nelle aree cicloniche in cui l’aria tende a convergere verso il centro di bassa pressione. CONVEZIONE - Meccanismo di propagazione del calore nei fluidi per spostamento 211 Appunti di meteorologia marina delle loro particelle. Il processo con cui l’aria riscaldandosi diminuisce di densità e tende a salire in quota si definisce ‘convezione termica’, mentre il sollevamento in quota indotto dal superamento di ostacoli orografici viene indicato come ‘convezione forzata’. CORRENTI A GETTO (JET STREAM) Venti di alta quota che si formano a causa delle forti differenze di temperatura e pressione ad elevate altitudini (sopra i 9 km). Possono raggiungere velocità di 300 Km h-1 ed agire per migliaia di chilometri. CORRENTI MARINE - Spostamenti orizzontali di masse d’acqua secondo direzioni più o meno costanti (correnti continue) o variabili nel tempo (correnti periodiche). Si distinguono correnti superficiali ( correnti di deriva) e correnti profonde ( correnti di densità o termoaline). Le prime sono causate essenzialmente dall’azione del vento sugli strati più superficiali dell’acqua (fino a 200 m di profondità), le seconde si generano a causa delle differenze di salinità e temperatura e quindi di densità, tra le masse d’acqua oceaniche. Altre tipologie di correnti sono quelle di pendio e quelle di marea. CORRENTI DI MAREA - Correnti marine generate dalla variazione del livello del mare associato alle maree, possono essere considerate un tipo particolare di corrente di pendio. CORRENTI DI PENDIO - Correnti marine che si originano per compensare la differenza di livello della superficie marina tra due aree contigue. Il dislivello può essere dovuto all’azione del vento oppure della pressione atmosferica sulla superficie del mare. CORRENTOMETRI - Strumenti per misurare la velocità delle correnti. COSTANTE SOLARE - Quantità di energia solare che giunge al limite esterno dell’atmosfera, corrispondente a 1367 ± 0.07 kW m-2. CRESTA o DORSO DELL’ONDA - Parte più elevata di un’onda. CUMULI - Nubi degli strati bassi della troposfera a sviluppo verticale e con la sommità espansa e dotata di estese protuberanze. Il cumulo congesto è facilmente riconoscibile per le sue protuberanze a forma di cavolfiore e per la sua maggiore estensione rispetto al cumulo. Questa nube generalmente annuncia l’arrivo di un temporale e talvolta dà origine a piccoli rovesci. CUMULONEMBO - Nube a elevato sviluppo verticale che accompagna generalmente fenomeni temporaleschi caratterizzati da intense precipitazioni. 212 D DATA ACQUISITION TELEMETRY TRACKING STATION (DATTS) - Stazione di telerilevamento situata in Germania vicino a Darmstadt che riceve le immagini provenienti dal Meteosat. DENSITA’ DELLE ACQUE MARINE - Rapporto tra la massa in kg e l’unità di volume dell’acqua in m3. La densità delle acque marine superficiali è determinata dall’interazione tra salinità e temperatura per mezzo di appositi diagrammi, mentre nel caso di acque profonde bisogna tenere conto anche dell’effetto termico associato all’aumento della pressione idrostatica con la profondità. DILATAZIONE TERMICA - Fenomeno che provoca la dilatazione o la contrazione di un corpo con l’aumentare o il diminuire della sua temperatura. DISFOTICA, ZONA - Strato di mare non illuminato dalle radiazioni solari. DIVERGENZA - Processo che determina l’allontanamento delle masse d’aria da un punto o una linea verso altre direzioni. La divergenza si verifica ad esempio nelle aree anticicloniche, di alta pressione, in cui l’aria tende a spostarsi dal centro verso la periferia. E ECOSISTEMA - Complesso dinamico costituito dall’insieme di fattori abiotici e biotici che interagiscono tra loro in una determinata area. EFFETTO SERRA - Riscaldamento degli strati bassi dell’atmosfera causato dall’azione di schermo esercitata da alcuni gas troposferici nei confronti delle radiazioni infrarosse termiche provenienti dalla superficie terrestre. ELEMENTI E FATTORI DEL TEMPO E DEL CLIMA - I principali elementi che concorrono a determinare il tempo ed il clima sono la radiazione solare, la temperatura, la pressione, i venti, l’umidità, le precipitazioni. Questi elementi, a loro volta, sono influenzati da una serie di fattori (quali la latitudine, l’altitudine, la distanza dal mare, la circolazione atmosferica). ELIOFANIA - Durata dell’irraggiamento solare, espressa in ore e frazioni di ora durante le quali il Sole è presente sopra l’orizzonte libero da nubi.Il rapporto percentuale tra l’insolazione reale e quella teorica è chiamato eliofania relativa. Glossario ELIOGRAFO o ELIOFANOGRAFO - Strumento per la misura dell’eliofania. EL NIÑO SOUTHERN OSCILLATION - Fenomeno causato da un riscaldamento anomalo dell’Oceano Pacifico che determina una diminuzione della differenza di pressione e temperatura tra Est e Ovest, con conseguente variazione della circolazione delle masse d’aria e d’acqua. Nei casi più drammatici può causare piogge torrenziali sul Pacifico Centrale e la formazione di uragani. ENERGIA SOLARE - Rappresenta la fonte principale di energia per il nostro Pianeta, permettendo la fotosintesi clorofilliana, l’evapotraspirazione ed i movimenti oceanici e delle masse d’aria atmosferiche. ESCURSIONE TERMICA - Differenza tra il valore più alto e più basso della temperatura di un determinato luogo. Può essere riferita all’intero anno (escursione termica annua) o a un periodo limitato di tempo (escursione mensile, giornaliera. ESOSFERA - Strato dell’atmosfera oltre i 500 km di altitudine in cui i gas tendono a sfuggire verso lo spazio interplanetario. ETEROSFERA - Strato dell’atmosfera oltre i 90 km di altitudine in cui la composizione chimica varia col variare dell’altezza. ETTOPASCAL - Unità di misura della pressione atmosferica in ambito meteorologico adottata dal Sistema Internazionale delle unità di misura. L’ettopascal si indica con il simbolo hPa ed è pari a 100 volte il pascal (Pa). EUROPEAN SPACE OPERATIONS CENTRE (ESOC) - Centro europeo il cui calcolatore provvede a campionare le immagini provenienti dal Meteosat, a correggerle geometricamente e ad elaborarle per poi trasmetterle agli utenti. EUFOTICA, ZONA - Strato di mare illuminato dalle radiazioni solari. EUROPEAN WEATHER SATELLITE ORGANIZATION (EUMETSAT) -Agenzia che gestisce i satelliti geostazionari europei. EURIALINE, SPECIE - Specie animali e vegetali in grado di adattarsi a condizioni variabili di salinità. EUTROFiZZAZIONE - Fenomeno causato dall’immissione in acqua di sostanze fertilizzanti che provocano una proliferazione anomala di alghe, le quali decomponendosi sottraggono ossigeno all’acqua e determinano la morte di organismi animali aerobi. EVENTI ESTREMI - Eventi meteorologici che divergono fortemente dalla media. F FENG-YUN 1 e 2 - Satelliti artificiali ad orbita geostazionaria (FY-2) e polare (FY-1) gestiti dalla Cina. FETCH - Estensione del tratto di mare, privo di ostacoli significativi, su cui il vento può soffiare con direzione e velocità invariate. FÖEHN - vento caldo e secco delle Alpi che si forma quando una massa d’aria in movimento incontra un ostacolo orografico. La massa d’aria è costretta a sollevarsi in quota perdendo umidità e a scendere lungo il versante sottovento riscaldandosi per compressione adiabatica. Il fenomeno che determina l’accumulo di nubi sul versante sopravvento del rilievo viene indicato con il nome di Stau, mentre il vento caldo e secco che si origina sul versante sottovento costituisce il Föehn. FORZA APPARENTE DI CORIOLIS - La forza apparente di Coriolis è dovuta alla rotazione terrestre e provoca la deviazione di una massa d’aria (o un qualsiasi altro corpo) in movimento sulla Terra. Se il corpo in questione si sposta dall’Equatore verso il Polo Nord, esso viene deviato a destra rispetto al meridiano; al contrario, se lo spostamento è diretto verso il Polo Sud, il corpo viene deviato a sinistra. FORZA DI ATTRITO - Forza che agisce in prossimità del suolo e che risulta sempre proporzionale alla velocità del vento e diretta in senso contrario ad essa. Provoca una diminuzione della velocità del vento e la sua deviazione rispetto alla direzione del gradiente barico (perpendicolare alle isobare). FORZA DI GRADIENTE BARICO - Forza che origina ed alimenta gli spostamenti delle masse d’aria in direzione perpendicolare alle isobare (si veda gradiente di pressione o gradiente barico orizzontale). FOSCHIA o BRUMA (MIST) - Sospensione in aria di minuscole goccioline di acqua che riducono la visibilità. Rispetto alla nebbia le goccioline sono più piccole e disperse, per cui la visibilità non viene ridotta al di sotto di 1 km. FOTOSINTESI CLOROFiLLIANA - Processo che trasforma l’energia luminosa del Sole in energia chimica di legame con liberazione di ossigeno libero. FRANGIMENTO DELLE ONDE - Rottura dell’onda che può avvenire in acque profonde quando la ripidità supera 1/7, o in acque basse quando la profondità è circa 1.3 volte l’altezza dell’onda. 213 Appunti di meteorologia marina FREQUENZA D’ONDA - È l’inverso del periodo ed indica il numero di oscillazioni complete compiute dall’onda nell’unità di tempo. FRONTE - Proiezione al suolo della superficie di separazione o di discontinuità (detta anche superficie frontale) che ha origine dall’incontro tra due masse d’aria con caratteristiche di temperatura ed umidità differenti. FRONTE CALDO - Si forma quando una massa d’aria calda avanzando ne raggiunge una di aria fredda. La massa d’aria calda tende a salire lungo la superficie frontale raffreddandosi progressivamente e, in seguito a condensazione, origina nubi stratiformi e precipitazioni fini e continue. FRONTE FREDDO - Si forma quando una massa d’aria fredda avanzando ne raggiunge una di aria calda. La massa di aria fredda si incunea sotto quella di aria calda e la solleva bruscamente verso l’alto dando luogo lungo tutto il fronte alla formazione di grandi sistemi nuvolosi cumuliformi che possono originare precipitazioni anche di forte intensità FRONTE OCCLUSO - Si genera quando il fronte freddo raggiunge quello caldo, per cui le masse d’aria calda e fredda tendono a mescolarsi ed a ruotare intorno ad un centro comune di bassa pressione (si veda anche ciclone extratropicale). FULMINI - Fenomeni luminosi causati da scariche elettriche fra le nubi e la superficie terrestre. G GAS-SERRA - Insieme di composti gassosi localizzati nella troposfera in grado di assorbire le radiazioni infrarosse termiche emesse dalla superficie terrestre. Questi gas trattengono il calore nella parte bassa dell’atmosfera e sono responsabili del riscaldamento del nostro Pianeta. I principali gasserra sono l’anidride carbonica, il vapore acqueo, il metano, l’ossido nitroso, l’ozono ed i clorofluorocarburi. GEOSTATIONARY OPERATIONAL ENVIRONMENTAL SATELLITE (GOES) - Satelliti geostazionari gestiti dalla NOAA. GEOSTATIONARY OPERATIONAL METEOROLOGICAL SATELLITE (GOMS) - Satelliti gesotazionari gestiti dalla Russia. GLOBAL ATMOSPHERIC RESEARCH PROGRAMME (GARP) - Programma internazionale del WMO finalizzato a studiare le fluttuazioni atmosferiche su larga scala, comprese le interazioni oceano-atmosfera. 214 GLOBAL TELECOMMUNICATION SYSTEM (GTS) - Rete di telecomunicazioni del WMO finalizzata a favorire la raccolta, lo scambio e la distribuzione su scala mondiale di informazioni meteorologiche. GRADIENTE DI PRESSIONE o GRADIENTE BARICO ORIZZONTALE - Rapporto tra la differenza di pressione tra due punti e la loro distanza. GRANDINE - Idrometeora caratterizzata da granuli di ghiaccio rotondeggianti costituiti da strati alterni concentrici di ghiaccio trasparente ed opaco che si formano in seguito ai moti ascendenti e discendenti all’interno dei cumulonembi. GRECALE o GRECO - Vento intenso che spira a raffiche proveniente da Nord-Est. GROPPO - Perturbazione meteorologica con improvviso aumento dell’intensità del vento accompagnata da brusche e temporanee variazioni di direzione del vento e da precipitazioni. Si trova spesso associato a temporali o a fronti freddi dotati di rapido spostamento. GUST FRONT - In italiano viene indicato anche come fronte delle raffiche e indica la parte anteriore di un cumulonembo temporalesco in cui il vento aumenta improvvisamente di intensità. I ICE SHEETS - Lastre di ghiaccio che si formano in mare in seguito al congelamento dell’acqua in superficie. ICEBERGS - Grandi blocchi di ghiaccio galleggianti che possono formarsi in seguito al distacco di ghiaccio dalle calotte polari o dalle lingue glaciali che sboccano in prossimità dei fiordi della Groenlandia. IGROMETRO - Strumento per la misura dell’umidità relativa dell’aria. Si distinguono in funzione del sensore igrometri di tipo meccanico (es. a fascio di capelli), igrometri di tipo elettrico (con sensori di tipo resistivo e capacitivo) e igrometri con sensori a punto di rugiada. INDICE UV - Parametro biometeorologico che esprime il rischio associato all’esposizione diretta ai raggi del Sole. L’indice UV varia da 1 a 12. INFRAROSSO TERMICO (IR) - Componente dello spettro elettromagnetico costituita da radiazioni ad elevata lunghezza d’onda che possono essere assorbite dai gas atmosferici (in particolare da CO2 e vapore acqueo). Glossario IOC (INTERGOVERNMENTAL OCEANOGRAPHIC COMMISSION) - Commissione internazionale che si occupa di oceanografia all’interno dell’UNESCO. INDIAN NATIONAL SATELLITE (INSAT) Satelliti artificiali ad orbita geostazionaria gestiti dall’India. INTEGRATED GLOBAL OCEAN STATION SYSTEM (IGOSS) - Programma internazionale attivato dalla IOC insieme al WMO con l’obiettivo di fornire agli Stati Membri informazioni di supporto a tutte le attività marine e di ricerca che interessano gli oceani. INTERGOVERNMENTAL OCEANOGRAPHIC COMMISSION (IOC) - Commissione internazionale che si occupa di oceanografia all’interno dell’UNESCO. INTERNATIONAL PANEL ON CLIMATE CHANGE (IPCC) - Commissione internazionale nata nel 1988 con il compito di raccogliere e valutare le informazioni in campo scientifico, tecnico e socio-economico relative ai cambiamenti climatici, al loro impatto ed alle possibili strategie da adottare per prevenire o limitare questi effetti. IONIZZAZIONE - Processo che provoca la formazione di ioni (atomi che hanno perso od acquistato elettroni) ad opera della radiazione solare. IONOSFERA - Strato dell’atmosfera interessato dai fenomeni di ionizzazione che comprende la termosfera e la mesosfera al di sopra dei 60 km di altitudine IRRAGGIAMENTO - Meccanismo di propagazione del calore a distanza mediante radiazioni elettromagnetiche. L’irraggiamento termico è più elevato quando il cielo è sereno e l’aria secca rispetto a quando il cielo è coperto e l’aria umida, poiché il vapore acqueo tende ad assorbire le radiazioni infrarosse emesse dalla superficie terrestre e a rinviarle verso il suolo. ISOBARA - Sulle carte meteorologiche rappresenta la linea che unisce i punti che, al livello medio del mare, mostrano la stessa pressione atmosferica. ISOIETA - Sulle carte meteorologiche rappresenta la linea che unisce i punti caratterizzati dagli stessi valori di piovosità. ISOTERMA - Sulle carte meteorologiche rappresenta la linea che unisce tutti i punti della Terra aventi la stessa temperatura durante l’intero anno (isoterma annua) o in periodi limitati dell’anno (isoterma estiva, ecc.). L LAMPI - Fenomeni luminosi causati dalle scariche elettriche che si verificano all’inter- no delle nubi. LEVANTE - Vento fresco ed umido di debole intensità proveniente da Est. LIBECCIO - Vento molto intenso proveniente da Sud-Ovest. LIVELLATA, PRESSIONE - Area delimitata da isobare di uguale valore in cui la pressione si mantiene pressoché uniforme. LIVELLO MEDIO MARINO - Altezza media delle acque se la superficie non fosse increspata dalle onde. LUNGHEZZA D’ONDA - Distanza orizzontale tra due creste (o gole) consecutive di un’onda. M MAESTRALE - Vento molto intenso proveniente da Nord-Ovest; è considerato il vento principale del Mediterraneo. MAREA - Movimento oscillatorio del livello medio marino causato dell’attrazione gravitazionale esercitata da Sole e dalla Luna sulle acque terrestri. MARE VIVO (WIND SEA o SEA) - Sistema di onde che si formano e propagano sotto l’influenza diretta del vento che soffia sul posto o nelle immediate vicinanze (onde vive). MARE MORTO (SWELL) - Sistema di onde che hanno origine da una zona di perturbazione lontana rispetto al luogo in cui vengono rilevate (onde lunghe) o da onde residue in zone che in precedenza sono state interessate da venti intensi (onde morte). MARE COMPLETAMENTE SVILUPPATO Mare in cui l’altezza delle onde raggiunge il massimo valore possibile per determinati valori di intensità del vento, tempo di persistenza del vento e fetch. MAREOGRAFO - Strumento per il rilevamento del livello medio marino. Si distinguono due tipologie principali di mareografi utilizzati nell’ambito della RMN: il mareografo meccanico a registrazione cartacea e il mareografo elettronico con sonda ad ultrasuoni. MARINE METEOROLOGICAL SERVICE (MMS) - Programma internazionale del WMO finalizzato a fornire avvertimenti, previsioni ed informazioni generali sul tempo meteorologico e sul mare di supporto a tutte le attività marino-costiere. MASSA D’ARIA - Un determinato volume di aria le cui caratteristiche fisiche (temperatura, umidità, ecc.) si mantengono omo- genee. MESOPAUSA - Zona di transizione tra la 215 Appunti di meteorologia marina mesosfera e la termosfera (intorno a 80-90 km di altitudine). MESOSFERA - Strato dell’atmosfera compreso tra i 50 e i 90 km di altitudine in cui la temperatura va generalmente diminuendo con l’altezza. METEOSAT - Satellite artificiale europeo ad orbita geosincrona. METEOR - Satellite artificiale russo ad orbita polare. METEORA - Con questo termine vengono indicati genericamente tutti i fenomeni che hanno luogo nell’atmosfera, quali le precipitazioni e le manifestazioni di natura ottica (arcobaleno) o elettrica (lampi e fulmini). MILLIBAR - Unità di misura utilizzata in passato per misurare la pressione atmosferica in campo meteorologico al posto dei millimetri di mercurio (torr). Ultimamente è stata sostituita dall’ettopascal (hPa), che costituisce l’unità di misura della pressione adottata dal Sistema Internazionale. MONSONI - Venti periodici che spirano dall’Oceano Indiano verso il continente asiatico durante i mesi estivi (monsoni di mare) e dal continente verso l’Oceano Indiano durante i mesi invernali (monsoni di terra). MOTO ONDOSO - Movimento oscillatorio della superficie marina causato principalmente dallo scambio energetico che avviene tra lo strato superficiale delle acque marine e lo strato inferiore dell’atmosfera. Le principali forze che contribuiscono alla formazione e propagazione del moto ondoso sono la forza generatrice rappresentata dal vento e le forze di richiamo costituite dalla tensione superficiale dei liquidi e dalla gravità. MUCILLAGINI - Polisaccaridi di origine biologica (principalmente essudati di diatomee e dinoflagellati) che tendono ad affiorare in superficie. N NATIONAL OCEANIC AND ATMOSPHERIC ADMINISTRATION (NOAA) - Agenzia governativa che gestisce i satelliti meteorologici negli Stati Uniti. NEBBIA - Accumulo di minuscole goccioline d’acqua negli strati bassi dell’atmosfera che riducono la visibilità orizzontale sulla superficie terrestre a meno di un chilometro. Si distinguono nebbie di avvezione, causate dallo spostamento di masse d’aria calde ed umide sopra superfici fredde, e nebbie di irradiazione, causate dal rapido raffreddamento della superficie terrestre in 216 seguito all’irraggiamento notturno. Si possono infine generare anche nebbie frontali in seguito allo scontro tra masse d’aria calde e fredde. NEMBOSTRATI - Nubi stratificate di colore grigio-scuro degli strati bassi della troposfera che accompagnano il cattivo tempo. NEVE - Precipitazione costituita da cristalli di ghiaccio di forma esagonale che si raggruppano in fiocchi. NODO - Unità di misura del vento equivalente ad un miglio nautico all’ora (1852 metri all’ora). NORTH ATLANTIC OSCILLATION (NAO) - Questa sigla indica l’oscillazione dei valori di pressione e temperatura tra le Azzorre ed il Mare d’Islanda. Si ritiene in parte responsabile del tempo meteorologico e dei fenomeni atmosferici che interessano il Mediterraneo. NUBE - Insieme di goccioline di acqua e/ o di cristalli di ghiaccio che rimangono in sospensione nell’atmosfera. In base alla loro forma si distinguono nubi a sviluppo verticale o cumuliformi e nubi a sviluppo orizzontale o stratiformi. In base all’altezza a cui si formano, si distinguono nubi alte (tra i 6 km ed il limite superiore dell’atmosfera), nubi di media altezza (tra i 2 ed i 6 km) e nubi basse (tra 0 e 2 km). NUBI NOTTILUCENTI - Nubi che si formano ad altitudini di circa 80-90 km e che sono visibili dopo il tramonto a latitudini sopra i 50°. NUCLEI DI CONDENSAZIONE - Piccole impurità presenti nell’aria costituite da minuscole particelle solide di differente origine (polveri, cristalli marini, ceneri, ecc.) sulla cui superficie può avvenire la condensazione del vapore acqueo atmosferico. NUVOLOSITÀ - Grandezza che esprime il grado di copertura del cielo. Si misura in decimi o in ottavi (da cielo sereno a coperto) eseguendo la stima a vista generalmente ogni tre ore. O OMOSFERA - Strato dell’atmosfera compreso tra 0 e 90 km di altitudine in cui la composizione chimica si mantiene pressoché inalterata col variare dell’altezza. ONDE CAPILLARI - Onde che si generano per azione della tensione superficiale sulla superficie del mare. Sono caratterizzate da lunghezze d’onda inferiori a 1.7 cm. ONDE DI GRAVITÀ o DA VENTO - Onde che si generano per azione della forza di Glossario gravità sulla superficie del mare. Sono caratterizzate da lunghezze d’onda superiori a 10 cm. Le onde di gravità possono propagarsi anche a notevole distanza dal punto in cui sono state generate ed originare onde a profilo sinusoidale, a periodo ed ampiezza lentamente variabili nel tempo, indicate con il termine di swell. ORTOGONALI D’ONDA - Linee perpendicolari alle creste delle onde che tendono a convergere in prossimità di promontori e creste sottomarine (indicando una concentrazione di energia in queste zone) e a divergere in prossimità di baie e valli sottomarine. OSTRO o MEZZOGIORNO - Vento caldo e umido che proviene da Sud. OZONO - Forma molecolare tri-atomica dell’ossigeno (O3). OZONO, BUCO DELL’ - Processo che determina il deterioramento dello strato di ozono stratosferico ad opera di composti chimici (quali i clorofluorocarburi, i bromofluorocarburi, il bromuro di metile ecc.) di origine antropica. Il fenomeno è particolarmente evidente sopra i cieli dell’Antartide in cui il livello di ozono negli ultimi 30 anni è sceso di quasi il 40%. OZONOSFERA - Fascia della stratosfera in cui la concentrazione di ozono raggiunge i valori più elevati osservati nell’atmosfera. Di conseguenza questo strato svolge un ruolo determinante nell’assorbimento delle radiazioni ultraviolette comprese tra i 240 e i 340 nm provenienti dal Sole. P PALLONI SONDA - Palloni riempiti di elio o idrogeno in grado di salire ad altitudini elevate (intorno a 30 km) e di eseguire i rilevamenti di pressione, temperatura ed umidità (sondaggio aerologico) per mezzo di appositi apparecchi registratori (spesso riuniti in una radiosonda). PACK - Grandi lastre di ghiaccio che si formano in seguito alla frantumazione della banchisa polare e che tendono ad andare alla deriva. PANCAKE ICE - Placche di ghiaccio di circa 1-3 m di diametro e 10 cm di spessore che si formano in seguito all’aggregazione di cristalli di ghiaccio sulla superficie marina. PERIODO DELL’ONDA - Tempo che intercorre tra il passaggio di due creste consecutive in un dato punto (oscillazione completa). Generalmente in una registrazione di un’onda viene misurato dal tempo che intercorre tra due attraversamenti consecutivi del livello medio marino in salita (zero up-crossing period) o in discesa (zero downcrossing period). PERIODO MEDIO DELL’ONDA - Questo parametro rappresenta la media degli zero up-crossing periods registrati durante un determinato intervallo temporale. In pratica, il periodo medio dell’onda può essere determinato dividendo la durata della registrazione per il numero di up-crossing (o down-crossing). PIRANOMETRI o SOLARIMETRI - Strumenti per la misura della radiazione solare globale. PIRANOMETRI CON BANDA OMBREGGIANTE - Strumenti per la misura della radiazione solare diffusa. PIRELIOMETRI - Strumenti per la misura della radiazione solare diretta. PLUVIOMETRO - Strumento per la misura delle precipitazioni. PONENTE - Vento estivo, fresco e pomeridiano proveniente da Ovest. PRECIPITAZIONI ATMOSFERICHE - Termine con cui si indicano genericamente tutti i prodotti della condensazione o sublimazione del vapore acqueo che precipitano verso la superficie terrestre. PRESSIONE ATMOSFERICA - Pressione esercitata da una colonna di aria sull’unità di superficie terrestre. PRESSIONE IDROSTATICA - Pressione esercitata da una colonna di acqua sull’unità di superficie. PRESSIONE BAROMETRICA - Altro termine per indicare la pressione atmosferica quando viene determinata tramite l’uso di un barometro. PRESSIONE NORMALE - Pressione esercitata al livello del mare, a 45° di latitudine e alla temperatura di 0°C da una colonna di mercurio alta 760 mm e della sezione di 1 cm2. PROMONTORIO - Espansione cuneiforme di un anticiclone tra due aree di bassa pressione o cicloniche. PSICROMETRO - Strumento per la misura dell’umidità relativa dell’aria costituito da due termometri uguali, di cui uno a bulbo nudo (termometro asciutto) e l’altro avvolto da una garza imbevuta di acqua (termometro umido). Dalla differenza di temperatura tra il termometro asciutto e quello umido (detta differenza psicrometrica) si risale all’umidità relativa dell’aria ed alla sua temperatura di rugiada. 217 Appunti di meteorologia marina PULVISCOLO ATMOSFERICO - Insieme di minuscole particelle composte da sostanze organiche ed inorganiche che rimangono sospese in aria in quantità e qualità molto variabili a seconda dei luoghi. Q QUOTA - Altezza in metri rispetto al livello medio marino. R RADAR METEOROLOGICO - Il radar meteorologico è uno strumento in grado di rilevare le idrometeore presenti nell’atmosfera. Il principio di funzionamento del radar si basa sull’emissione di onde elettromagnetiche (nel campo delle microonde) da parte di un trasmettitore che vengono riflesse dai bersagli meteorologici (goccioline di acqua in sospensione, ecc.) e captate da un apposito ricevitore. Il radar può trovare impiego anche per lo studio dell’altezza delle onde e di altre caratteristiche della superficie marina tramite rilevamento satellitare (altimetri, SAR, ecc.). RADIATIVE FORCING - Termine introdotto dall’IPCC per indicare l’incremento dell’energia radiativa disponibile sulla superficie terrestre in seguito all’aumento nell’atmosfera di composti gassosi ad effetto serra. RADIOMETRO - Strumento che misura l’intensità della radiazione emessa da un corpo. RADIOMETRI NETTI - Strumenti per la misura della radiazione effettivamente disponibile su una superficie (data dal bilancio tra la radiazione in arrivo - input - e quella in uscita - output -). RADIAZIONE SOLARE GLOBALE - Radiazione solare ricevuta da una superficie unitaria orizzontale. È data dalla somma delle radiazione solare diretta e di quella diffusa dal cielo e dai sistemi nuvolosi. RADIAZIONE ULTRAVIOLETTA (UV) - È data dalla porzione di spettro elettromagnetico solare compresa tra i raggi X ed il violetto. Può essere ulteriormente suddivisa in UV-A (320-400 nm), UV-B (280-320 nm) e UV-C (100-280 nm). REGIME PLUVIOMETRICO - Indica la quantità e la distribuzione stagionale delle piogge in un determinato luogo. RETE DI MONITORAGGIO - Insieme di stazioni meteorologiche situate in un territorio più o meno vasto e gestite da un’unità centrale secondo i protocolli WMO. È possi- 218 bile distinguere le reti di monitoraggio locale, nel caso in cui il territorio in questione è limitato ad una zona della Terra, e la rete di monitoraggio globale che interessa l’intero Pianeta ed è gestita dalla World Meteorological Organization (WMO). MAREOGRAFiCA NAZIONALE RETE (RMN) - Rete di stazioni di misura distribuite uniformemente sul territorio nazionale con il compito di rilevare i dati relativi al livello medio marino, alla velocità e direzione del vento, alla pressione atmosferica ed alle temperature dell’aria e delle acque. ONDAMETRICA NAZIONALE RETE (ROM) Rete di rilevamento costituita da una serie di boe accelerometriche dislocate uniformemente sul territorio nazionale. RIPIDITA’ o INCLINAZIONE DELL’ONDA (STEPNESS) - rapporto tra l’altezza e la lunghezza dell’onda. RUGIADA - Formazione di minuscole gocce d’acqua in seguito alla condensazione del vapore acqueo dell’aria a contatto con superfici che presentano temperature superiori a 0°C. RUN-UP - Massima elevazione verticale raggiunta dall’acqua rispetto al livello medio del mare durante la risalita di un’onda sulla spiaggia o sulle pareti di una struttura costiera. Viene generalmente espresso in metri al di sopra del livello medio marino. S SACCATURA - Espansione cuneiforme di una depressione tra due aree di alta pressione o anticicloniche. SALINITA’ DELLE ACQUE MARINE - Viene generalmente espressa come grammi di sali contenuti in 1000 grammi di acqua. SATELLITI ARTIFiCIALI - I satelliti artificiali descrivono delle orbite nello spazio ad altezze tali da monitorare ampie superfici terrestri per mezzo di appositi sensori radiometrici che rilevano le radiazioni elettromagnetiche a differenti lunghezze d’onda provenienti dalla Terra. Si distinguono i satelliti geostazionari (o ad orbita geosincrona), che descrivono orbite mantenendosi a circa 36000 km di altitudine in una posizione fissa rispetto alla Terra, e satelliti ad orbita polare che descrivono orbite ellittiche rispetto ai Poli ad una altitudine da Terra di circa 800-900 metri. SCALA BEAUFORT DELLA FORZA DEL VENTO - Scala empirica elaborata dall’Ammiraglio Francis Beaufort nel 1805 per classificare la forza del vento in base agli effetti Glossario che esso provoca sulla superficie del mare lontano dalla costa o su oggetti animati e inanimati presenti sulla terraferma. SCALA CENTIGRADA o SCALA CELSIUS Scala termica in cui lo ‘zero’ corrisponde alla temperatura del ghiaccio fondente sotto la pressione costante di 1 atmosfera ed il ‘cento’ alla temperatura di ebollizione dell’acqua. La centesima parte del dislivello tra le due temperature prende il nome di grado centigrado o grado Celsius (°C). SCALA DI AMBRASEYS-SIEBERG - Scala empirica per la valutazione dell’intensità degli tsunami suddivisa in sei gradi (da molto debole a disastroso). SCALA DI FUJITA - Scala per la valutazione dell’intensità dei tornado suddivisa in cinque gradi (gradi F) in base ai danni provocati (da danni leggeri a danni incredibili) ed alla velocità del vento. SCALA DOUGLAS DELLO STATO DEL MARE - Scala per valutare lo stato del mare suddivisa in 9 gradi (da mare calmo a tempestoso). SCALA FAHRENHEIT - Scala termica in cui la temperatura di fusione del ghiaccio sotto la pressione costante di 1 atmosfera corrisponde a 32 gradi Fahrenheit (°F) e quella di ebollizione dell’acqua a 212 °F. SCALA KELVIN - Scala termica in cui la temperatura del ghiaccio fondente (punto triplo dell’acqua) corrisponde a 273.16 gradi Kelvin (°K) e quella di ebollizione dell’acqua a 373.16 °K. Il valore di 0°K viene indicato come zero assoluto. SCIROCCO - Vento caldo proveniente da Sud-Est. SERVIZIO MAREOGRAFiCO NAZIONALE (SMN) - Servizio nazionale che svolge il compito di realizzare un sistema integrato di monitoraggio dei nostri mari. Gestisce e mantiene le reti mareografiche e ondametriche nazionali. SHOALING - Fenomeno che provoca un aumento dell’altezza dell’onda con la risalita graduale del fondale marino. SMOG - Combinazione di nebbia e fumo o altre sostanza inquinanti di origine antropica. SOPRAFFUSIONE - Stato fisico dell’acqua in cui le goccioline possono rimanere liquide anche a temperature inferiori a 0 °C senza essere trasformate in ghiaccio. Questo stato di sopraffusione è instabile, perciò è sufficiente una semplice collisione con un piccolo cristallo di ghiaccio perché le goccioline solidifichino sulla superficie. Questo processo si verifica all’interno dei cumulonembi fino ad una temperatura di -40 °C e svolge un ruolo fondamentale per la formazione della grandine. SPETTRO D’ONDA o SPETTRO D’ENERGIA DELL’ONDA - Funzione che si ottiene riportando su un diagramma cartesiano l’energia delle singole componenti sinusoidali dello sviluppo in serie di Fourier dell’onda (in ordinata) in funzione della frequenza d’onda delle stesse (in ascissa). SPETTRO D’ONDA DIREZIONALE - Spettro d’energia dell’onda che tiene conto, non solo delle frequenze d’onda, ma anche delle direzioni di provenienza delle singole componenti sinusoidali dello sviluppo in serie di Fourier. SPETTRO ELETTROMAGNETICO - Insieme delle onde elettromagnetiche emesse dal Sole. In funzione della lunghezza d’onda possono essere suddivise in raggi gamma, raggi X, raggi ultravioletti, radiazioni del visibile, raggi infrarossi e onde radio (microonde, onde corte, onde medie e onde lunghe). STATO DEL MARE - Con questo termine si intende lo stato di agitazione della superficie marina. Lo stato del mare dipende, oltre che dalla velocità e dal tempo di persistenza del vento su una determinata area, anche dall’estensione del tratto di mare su cui spira il vento senza incontrare ostacoli significativi (fetch). STAZIONE METEOROLOGICA - Apposita struttura in cui vengono assemblati gli strumenti per il rilevamento dei parametri meteorologici. Si distinguono tre tipi principali di stazioni: la capannina meteorologica, la stazione meteorologica elettronica e la stazione meteorologica elettronica a trasmissione satellitare. STEFAN-BOLTZMANN, LEGGE DI - Un qualsiasi corpo che si trovi ad una temperatura superiore allo zero assoluto emette nel vuoto una quantità di energia che risulta proporzionale alla sua temperatura assoluta. STENUALINE, SPECIE - Specie animali e vegetali in grado di vivere in condizioni di salinità poco variabile. STORM SURGES - Moto ondoso particolarmente intenso che provoca innalzamenti o abbassamenti del livello medio marino più elevati rispetto a quelli previsti dall’attrazione gravitazionale degli astri (maree) e che risultano causati dagli effetti del vento e/o della pressione atmosferica sulla superficie marina. 219 Appunti di meteorologia marina STRATI - Nubi basse (circa 600 m di altitudine) e grigie con la base estesa ed uniforme che possono presentarsi in banchi o coprire totalmente il cielo. STRATOCUMULI - Nubi costituite da una distesa continua di masse cumuliformi scure localizzate ad altitudini comprese tra gli 800 e i 2000 m nella fascia temperata. STRATOPAUSA - Zona di transizione situata tra la stratosfera e la mesosfera generalmente intorno ai 50-55 km di altitudine. STRATOSFERA - Strato dell’atmosfera compreso tra il limite superiore della troposfera e i 50 km di altitudine in cui la temperatura va generalmente crescendo con l’altezza. STRUMENTI INDICATORI - Strumenti che consentono la lettura diretta di un determinato parametro limitatamente al momento in cui si esegue l’osservazione. STRUMENTI REGISTRATORI - Strumenti che consentono la registrazione in continuo di un determinato parametro. Si possono distinguere due categorie di strumenti: gli strumenti registratori meccanici e gli strumenti registratori elettronici. SUBLIMAZIONE - Passaggio di stato da gas a solido e viceversa. T TABELLE PSICROMETRICHE - Tabelle attraverso le quali è possibile risalire direttamente all’umidità relativa dell’aria ed alla temperatura di rugiada dal valore della differenza di temperatura tra il termometro asciutto ed il termometro bagnato di uno psicrometro (detta differenza psicrometrica). TEMPERATURA o PUNTO DI RUGIADA Temperatura alla quale un determinato volume di aria contiene la quantità massima di vapore ammissibile per quella determinata temperatura (massa d’aria satura). Un abbassamento della temperatura o un aumento dell’umidità provocano la diminuzione del punto di rugiada e quindi la condensazione del vapore acqueo contenuto nella massa d’aria. TEMPERATURA o PUNTO DI SOLIDIFiCAZIONE - Temperatura alla quale avviene il passaggio dallo stato liquido a quello solido. TEMPESTA - Perturbazione atmosferica caratterizzata da venti di forte (grado 10 della Scala Beaufort) e fortissima (grado 11 della Scala Beaufort) intensità, violenti piogge e, talvolta, grandinate. Le tempeste hanno origine da aree di bassa pressione sulla 220 superficie del mare e possono dare luogo ad una brusca diminuzione della temperatura e a mare molto agitato. TEMPO METEOROLOGICO O ATMOSFERICO - Rappresenta le condizioni dell’atmosfera di un dato luogo ed in un determinato momento. La scienza che si occupa dello studio del tempo prende il nome di meteorologia. TEMPORALE - Perturbazione locale, generalmente di breve durata, che può essere associata a venti intensi, violenti precipitazioni (anche sotto forma di grandine), scariche elettriche e tuoni. Ha origine in seguito alla formazione di un cumulonembo all’interno del quale sono presenti forti correnti ascensionali causate da una notevole instabilità dell’aria. I cumulonembi generalmente sono costituiti da più celle temporalesche attive (temporali multicellulari) che, in alcuni casi, possono interagire tra loro dando origine ad un’unica formazione temporalesca molto intensa (temporali a supercella). TERMICHE - Grandi bolle d’aria calda ed umida che si sollevano in quota e che hanno origine dall’evaporazione di una superficie d’acqua sottostante. TERMOCLINO - La zona del mare in cui il gradiente termico raggiunge il massimo valore scendendo dalla superficie verso il fondale. TERMOGRAFO - Strumento meccanico registratore per la misura della temperatura. TERMOMETRO A MERCURIO - Strumento per la misura della temperatura costituito da un bulbo contenente un liquido termodilatabile (mercurio o alcool) e da un sottile capillare in vetro dotato di una scala graduata su cui viene letto direttamente il valore della temperatura. Con lievi modifiche è possibile fare il modo che lo strumento misuri i valori più bassi e più alti raggiunti dalla temperatura in un determinato luogo (rispettivamente termometri a minima e a massima). TERMOMETRI ELETTRONICI - Strumenti che producono un segnale elettrico in uscita (tensione, corrente o resistenza) proporzionale alla temperatura esterna. A seconda del sensore utilizzato si distinguono termometri a termocoppia, termoresistenze e termistori. TERMOMETRI REVERSIBILI - Particolari termometri a mercurio che vengono utilizzati per misurare la temperature del mare in profondità. Sono caratterizzati dal fatto che la colonnina di mercurio si spezza in seguito al rovesciamento del termometro, mantenendo la registrazione della temperatura alla profondità a cui è stato immerso lo strumento. Glossario TERMOPAUSA - Zona di transizione compresa tra la termosfera e l’esosfera, generalmente intorno ai 500 km di altitudine. TERMOSCOPIO - Strumento per la misura della temperatura dell’aria ideato da Galileo Galilei costituito da un’ampolla di vetro (piena di aria) munita di un sottile tubo capillare. TERMOSFERA - Strato dell’atmosfera compreso tra 90 e 500 km di altitudine in cui la temperatura tende progressivamente a salire raggiungendo valori molto elevati (500-2000°C). TIFONE - Si veda ciclone tropicale. TORNADO o TROMBA D’ARIA - Perturbazione accompagnata da venti rotatori di fortissima intensità (fino a 500 km h-1), ma generalmente di estensione limitata e di breve durata. TRAMONTANA - Vento molto freddo proveniente da Nord e che investe l’Italia dopo avere oltrepassato i monti. TROMBA MARINA - Perturbazione che ha origine in mare e che presenta caratteristiche simili al tornado, rispetto al quale è caratterizzata da una minore potenza e da vortici sottili e con condensazione bene evidente. TROPOPAUSA - Zona di transizione tra la troposfera e la stratosfera in cui la temperatura cessa improvvisamente di diminuire con l’altitudine. TROPOSFERA - Strato dell’atmosfera compreso tra la superficie terrestre e gli 818 km di altitudine in cui la temperatura diminuisce con l’altezza. Rappresenta il luogo nel quale si verificano i principali fenomeni atmosferici caratteristici del tempo meteorologico. TSUNAMI - Serie di onde molto lunghe che si originano in mare aperto in seguito a fenomeni che provocano lo spostamento verticale di consistenti masse d’acqua (quali i terremoti con epicentro in mare, eruzioni vulcaniche, movimenti franosi) e che dopo aver percorso migliaia di chilometri si abbattono come muri d’acqua sulle coste distruggendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino. In Italia vengono indicati anche con il termine di maremoti. TUONO - Fenomeno acustico causato dall’onda d’urto prodotta dall’espansione violenta dell’aria in prossimità dei fulmini. U UMIDITÀ ASSOLUTA - Quantità in grammi di vapore acqueo contenuta in 1 cm3 cubo di aria. UMIDITÀ RELATIVA - È definita come il rapporto percentuale tra la quantità di vapore acqueo contenuta in un determinato volume di aria e la quantità di vapore acqueo che questa dovrebbe contenere per essere satura nelle stesse condizioni di temperatura e pressione. UMIDITÀ SPECIFiCA - Quantità in grammi di vapore acqueo contenuta in 1 kg di aria umida. UNITED NATIONS FRAMEWORK CONVENTION ON CLIMATE CHANGE (UNFCCC) Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici finalizzata a promuovere interventi a livello internazionale per ridurre le emissioni di gas-serra. UPWELLING - Fenomeno che provoca la risalita in superficie di acqua fredda dalla profondità oceanica, permettendo la sostituzione degli strati superficiali ed il rinnovo degli elementi nutritivi indispensabili per la vita. URAGANO - Vedi ciclone tropicale. V VELOCITÀ o CELERITÀ DELL’ONDA Rapporto tra la lunghezza d’onda ed il periodo. Per le onde marine che viaggiano in acque poco profonde (regime di acqua bassa) la celerità è data dalla radice quadrata del prodotto tra l’accelerazione di gravità e la profondità del mare e viene indicata anche come velocità critica, mentre per quelle che viaggiano in acque profonde (regime di acqua profonda) la celerità è direttamente proporzionale alla lunghezza delle onde. VENTO - Consiste in un movimento orizzontale delle masse d’aria che si spostano da zone anticicloniche (di alta pressione) verso zone cicloniche (di bassa pressione). Essendo una grandezza vettoriale viene espresso dalla sua direzione di provenienza e dalla velocità (o intensità o forza del vento). VENTO, DIREZIONE DEL - Direzione di provenienza del vento riferita al Nord geografico. Può essere indicata per mezzo della rosa dei venti che risulta suddivisa dai punti cardinali (Nord, Sud, Est e Ovest) in quattro quadranti, ciascuno dei quali è ulteriormente diviso in quattro parti uguali. VISIBILITÀ ORIZZONTALE - Si intende la distanza massima alla quale è possibile distinguere in maniera nitida i contorni di un oggetto ad occhio nudo da parte di un osservatore dotato di una vista normale. 221 Appunti di meteorologia marina W WILLY WILLY - Si veda ciclone tropicale. WORLD METEOROLOGICAL ORGANIZATION (WMO) - Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite che si occupa di meteorologia. WORLD WEATHER WATCH (WWW) - Sistema meteorologico globale del WMO che ha il compito di raccogliere informazioni meteorologiche provenienti da tutte le nazioni del mondo che vi cooperano. 222 Z ZERO TERMICO - individua l’altitudine alla quale la temperatura dell’atmosfera passa da valori negativi a valori positivi. Si ricava da profili verticali di temperatura tramite radiosonde. Acronimi ACRONIMI AVHRR - Advanced Very High Resolution Radiometer CFC - Clorofluorocarburi CH4 - Metano CMM - Commission for Marine Meteorology CNES - Centre National d’Etudes Spatiales CO2 - Anidride carbonica CoMMA-Med - Centro di Meteorologia Marina e Monitoraggio Ambientale del Mediterraneo COP - Conference of the Parties DATTS - Data Acquisition Telemetry and Tracking Station ECMWF - European Centre for MediumRange Weather Forecasts EEA - European Environment Agency ENSO – El Niño Southern Oscillation ESA - European Space Agency ESOC - European Space Operations Centre EUMETSAT - European Weather Satellite Organization FAO - Food and Agricultural Organization FLIP - Floating Instrument Platform FY-2 - Feng- Yun 2 GARP - Global Atmospheric Research Programme GOMS - Geostationary Operational Meteorological Satellite GMS - Geostationary Meteorological Satellite GOES - Geostationary Operational Environmental Satellite GST - Global Telecommunication System Gt C - Gigatonnellate di carbonio HCFC - Idroclorofluorocarburi HFC - Idrofluorocarburi IBIMET-CNR - Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche IGOSS - Integrated Global Ocean Station System INSAT - Indian National Satellite IOC - Intergovernmental Oceanographic Commission IPCC - International Panel on Climate Change IR - Infrarosso termico ITCZ - Intertropical Convergence Zone LaMMA - Laboratorio di Meteorologia e Modellistica Ambientale JMA - Japanese Meteorological Agency MMS - Marine Meteorological Service MSG - Meteosat Second Generation NAO - North Atlantic Oscillation N2O - Ossido nitroso NASA - National Aeronautics and Space Administration NOAA - National Oceanic and Atmospheric Administration NSMC - National Satellite Meteorological Center O3 - Ozono ODS - Ozone Depleting Substancies ppm - Parti per milione ppb - Parti per bilione RAMS - Regional Atmospheric Modeling System RMN - Rete Mareografica Nazionale ROM - Rete Ondametrica Nazionale SAR - Synthetic Aperture Radar SMN - Servizio Mareografico Nazionale SRES - Special Report on Emissions Scenarios SST - Sea Surface Temperature SWAM - Simulating Waves Nearshore TIROS - Television and Infrared Observation Satellite UNESCO - United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization UNFCCC - United Nations Framework Convention on Climate Change UV - Radiazioni Ultraviolette WAM - Wave Modelling WHO - World Health Organization WMO - World Meteorological Organization WWW - World Weather Watch 223 Riferimenti bibliografici RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Dean R.G., Dalrymple R.A. (1991). Water wave mechanics for engineers and scientists. Advanced Series on Ocean Engineering Volume 2, World Scientific. ENEA (2003). Terza Comunicazione Nazionale dell’Italia alle Nazioni Unite (UNFCCC), Capitolo 6, Ministero dell’Ambiente e del Territorio, Roma. European Environment Agency (2004). Impacts of EuropÈs changing climate, An indicator-based assessment. Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities. Fasano G., Materassi A., Zara P. (1999). Sensori e strumenti elettronici per la meteorologia. Edito a cura di Benincasa F. e Maracchi G., Quaderno n. 8, Collana tecnico-scientifica INAPA. Iafrate L. (2002). Dalla Meteorologia antica alle origini italiane della meteorologia moderna. Rielaborazione della tesi di laurea. SK7 Stampa e servizi s.a.s., Roma. Intergovernmental Panel on Climate Change (2001). Climate Change 2001: The Scientific Basis, Cambridge University Press, New York. Intergovernmental Panel on Climate Change (2001). 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WMO - No. 622, Secretariat of the World Meteorological Organization, Geneva, Switzerland. World Meteorological Organization (1987). International Cloud Atlas, Vol. II, Geneva, Switzerland. World Meteorological Organization (1991). Compendium of Lecture Notes in Marine Meteorology for Class III and Class IV Personnel, a cura di J.M. Walker. WMO - No. 434, Secretariat of the World Meteorological Organization, Geneva, Switzerland. World Meteorological Organization (1998). Guide to wave analysis and forecasting. WMO - No. 702, Geneva, Switzerland. 225 VOLUMI GIÀ PUBBLICATI 1. PICCOLA IMPRESA/GRANDE CIVILTÀ Strategie regionali ed europee per lo sviluppo delle PMI 2. INNOVAZIONE E TURISMO Innovation and tourism 3. INNOVAZIONE TECNOLOGICA IN TOSCANA programma regionale di azioni innovative 2002-2003 APPUNTI APPUNTI APPUNTI