A lezione da Mario Botta - Università degli Studi Mediterranea

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giovedì 25 novembre 2010 - pagina web
A lezione da Mario Botta
Giovedì 25 Novembre 2010 08:42
di Teodora Malavenda - (foto di Daniele Rizzuti) - Ho deciso di presentare il protagonista di questa insolita
intervista riportando una frase letta tempo fa e appuntata subito sulla mia agenda: “Non fuma la pipa, non
indossa giacche stazzonate,
non ha occhiali stravaganti, insomma è architetto nella maniera meno pittoresca possibile, meno riconoscibile,
diciamo pure sobria”. Credo che non esistano descrizioni migliori di questa per introdurre Mario Botta.
Nasce a Mendrisio (Ticino) nel 1943. Frequenta il liceo artistico di Milano e prosegue gli studi alla Facoltà
d'Architettura di Venezia, dove si laurea nel 1969 con i relatori Carlo Scarpa e Giuseppe Mazzariol. Durante il
periodo trascorso in Laguna, ha occasione di incontrare e lavorare per Le Corbusier e Louis I. Kahn.
Da sempre impegnato in un’intensa attività didattica, nel corso degli ultimi anni si è attivato come ideatore e
fondatore dell’Accademia d’Architettura di Mendrisio. I suoi numerosi progetti, premiati con importanti
riconoscimenti internazionali tra i quali il Merit Award for Excellence in Design by the AIA e l’ European
Union Prize for Cultural Heritage Europa Nostra, sono presenti in tutto il mondo.
Siamo di fronte ad una figura che rifugge da ogni tipo di etichettatura. I suoi lavori comunicano un’etica del
mestiere, del fare e proporre architettura, che è un continuo riflettere sull’essenza della disciplina come
costruzione di forme di bellezza e di utilità. “L’architettura per me non è una missione ma è la bellezza. Non
uno strumento per costruire in un luogo ma uno strumento per costruire quel luogo”. Un’esperienza, quella di
Mario Botta, capace di mantenersi costante e coerente nel tempo, aperta alla contaminazione senza per questo
perdere mai di vista il proprio specifico obiettivo: fare architettura senza mai rinunciare alla tensione poetica e
ai valori espressivi delle forme.
Lo incontriamo nell’Aula Magna della Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, dove ad attenderlo c’è un
numero considerevole di studenti che per un pomeriggio ha contribuito alla realizzazione di una pagina di storia
dell’architettura.
L’intervista che segue contiene le domande (e quindi le risposte) fatte al Professore durante la conferenza.
Cosa ne pensa dell’architettura?
L’architettura è una componente strutturale che deve fare i conti con l’atomizzazione della globalizzazione e
deve darci delle indicazioni più precise per far sì che lo spazio fisico diventi un utero materno, un elemento di
riferimento all’interno del quale ognuno di noi trova la propria storia e la propria memoria.
Lei ha viaggiato parecchio e i suoi progetti sono presenti in tutto il mondo. In cosa si differenzia la città
europea dal modello americano o asiatico?
Credo che nella stratificazione della città europea vi siano molti valori che non percepiamo ma ai quali
facciamo spesso riferimento. Se chiedessimo in quale parte del mondo si vive meglio, ci sentiremmo rispondere
nei centri storici delle città europee. Questo perché non sono le risposte tecnico-funzionali che conferiscono
qualità agli spazi e alla vita ma i valori simbolici, i valori metaforici nascosti dentro quelle strutture che
riconosciamo essere parte di un corpo più vasto, parte dell’umanità intera che ci appartiene come storia, come
memoria. Gli spazi anonimi e universali che si presentano in diversi contesti in maniera indifferenziata, devono
essere visti con sospetto perché sono corpi estranei al valore della città stessa. La consapevolezza storica è un
fatto che solo noi europei possediamo.
Che differenza c’è tra le città nordiche e quelle mediterranee?
Le città nordiche sono piatte, nei loro volumi non si riesce a sentire la forza plastica, sono luoghi dell’interno.
Nelle città mediterranee invece, oltre alla plasticità riconosciamo subito l’orientamento, l’anima. Sono le città
delle piazze, delle contrade, dell’esterno, del vivere alla luce.
Pubblicato dall’Ufficio Stampa – Università Mediterranea
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Qual è la differenza tra il costruire in America o in Asia piuttosto che in Europa?
Nei primi due continenti c’è sempre una forma di sostituzione edilizia. In Europa invece, non parliamo quasi
mai di sostituzione ma piuttosto di stratificazione. Basti pensare alla Potsdamer Platz di Berlino: è condizionata
dai vecchi catastali, dai vecchi tracciati nonostante la dimensione attuata è apparentemente creata come se si
trovasse in un deserto. Questo vuol dire che noi dentro la città troviamo delle forze superiori alle trasformazioni
che ci vengono chieste.
Come giustifica il “nuovo” intervento architettonico?
Sicuramente deve essere una nuova interpretazione della città capace di consolidarla nella storia, dando
legittimità al linguaggio contemporaneo.
Cos’è la bellezza?
La bellezza in sé non esiste, per conoscerla occorre sperimentare. Una cosa è bella quando vi è una relazione
forte fra un’idea immateriale che noi abbiamo e un fatto materiale. La Guernica di Picasso è bella perché c’è il
grido della tensione morale dell’artista che dice che un uomo non deve uccidere l’altro uomo, ma se noi
levassimo questa tensione etica probabilmente il linguaggio non sarebbe molto diverso da Les Demoiselles
d'Avignon. Vi è la stessa tensione etica che sorregge ciò che noi definiamo bello.
Cos’è lo spazio?
Lo spazio non è connotabile attraverso le parole, lo riconosciamo attraverso la tensione che viene esercitata al
suo interno. Le Corbusier dice delle cose meravigliose a tal proposito: “Lo spazio non è un elemento esterno, è
qualcosa che giace dentro di noi. Quando lo cogliamo è perché siamo degni di riceverlo e abbiamo quella
tensione etica tale da poterlo percepire”.
Cosa ne pensa dei materiali e delle nuove tecnologie?
Carlo Scarpa diceva che tutti i materiali sono buoni. Non lasciamoci ubriacare dalla tecnologia. Facciamo
attenzione a certi termini che parlano di leggerezza. L’architettura e la città mediterranea trovano ragione
perché sono ancorate al suolo. L’architettura è bella se il terreno su cui insiste diventa parte del fatto
architettonico.
Che ruolo ha l’architetto nella società?
L’architetto dopo la morte resta e comunica alle generazioni future con quello che ha realizzato. Questo è un
privilegio che solo pochi hanno. Dobbiamo imparare a costruire bene perché la durata del tempo aggiunge un
plus valore all’opera, un valore simbolico che oltrepassa la sua funzione. La scuola non deve insegnarci a
costruire bene perché quello lo si apprende con il mestiere ma deve comunicare le idee del costruire bene, le
ragioni profonde, le tensioni morali che stanno dietro le costruzioni.
Cos’è la luce?
La luce dal mio punto di vista è la vera generatrice dello spazio. E’ un’ entità che non si può misurare e per
sfruttarla uso la geometria e i materiali. Per fare questo preferisco lavorare sugli interni perché sono spazi che
hanno bisogno di tranquillità, non possono essere eccitati e mi consentono di usare la luce zenitale che
conferisce all’insieme un’astrazione maggiore.
Nella sua poetica che valenza ha la simmetria?
Oltre ad essere uno strumento, è una delle caratteristiche che più turba i critici. Io mi sento a mio agio con essa
al punto tale che ogni volta che inizio un progetto con l’idea di renderlo asimmetrico, finisco con il ritornare
naturalmente alla simmetria. Ciò significa che ognuno di noi fa quello che gli è più congeniale.
Quali sono i criteri con cui sceglie i materiali?
Uso materiali molto diversi tra di loro: blocchetti di cemento, mattoni di cotto, strutture in pietra, strutture di
rivestimento. La scelta dipende di volta in volta dalle possibilità economiche. Sono molto pragmatico, non
faccio scelte ideologiche ma solo scelte possibili. Nel mio mestiere si fa quello che si può e non quello che si
vuole. Piuttosto che non realizzare un progetto, preferisco farlo anche a costo di utilizzare un tono espressivo
minore di quello che avevo immaginato.
Pubblicato dall’Ufficio Stampa – Università Mediterranea
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