Mente, cervello e libero arbitrio

Mente, cervello e libero arbitrio
Lo spazio per l’esercizio dell’autorità secondo le neuroscienze cognitive
Davide Crepaldi
MoMo Lab, Dipartimento di Psicologia, Università di Milano-Bicocca
Istituto Stensen
Firenze – 12 Novembre 2011
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Mio nonno è sempre mio nonno
è sempre Ambrogio in ogni momento
voglio dire che non ha problemi
di comportamento.
Io non assomiglio ad Ambrogio
l’interezza non è il mio forte
per essere a mio agio
ho bisogno di una parte.
Quando in treno incontro una donna
io m’invento serio e riservato
faccio quello che parla poco
ma c’ha dietro tutto un passato.
E se mi viene bene, se la parte mi funziona
allora mi sembra di essere una persona.
Quando invece sto leggendo Hegel
mi concentro, sono tutto preso
non da Hegel, naturalmente
ma dal mio fascino di studioso.
E se mi viene bene, se la parte mi funziona
allora mi sembra di essere una persona.
Mio nonno si è scelto una parte
che non cambia in ogni momento
voglio dire che c’ha un solo comportamento.
Io invece ho sempre bisogno
di una nuova definizione
e gli altri fanno lo stesso
è una tacita convenzione.
Non ne posso più di recitare
di fingere per darmi un tono
io mi mostro senza pudore
pur di essere quel che sono.
E se mi viene bene, se la parte mi funziona
allora mi sembra di essere una persona.
Se un giorno noi cercassimo chi siamo veramente
ho il sospetto che non troveremmo niente.
Giorgio Gaber, Il comportamento
1
Che cos’è il comportamento?
L’autorità è l’esercizio dell’influenza sul comportamento degli altri (o su se stessi,
in un’accezione più ampia del termine). Per cui la domanda su cosa sia il comportamento e, soprattutto, su cosa lo determini è ineludibile per una riflessione
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informata sull’autorità. Le neuroscienze e la psicologia cognitiva si occupano
proprio di studiare il comportamento umano e il suo rapporto con l’attività
cerebrale, e dunque mi sembra possano dare un contributo nella ricerca di una
risposta a queste domande. Inoltre, affrontano queste questioni attraverso il
metodo scientifico, cercando cioè di fare due cose: isolare variabili e effettuare
passaggi logici basati su fatti osservati, piuttosto che asseriti.
Intendo dunque parlare oggi non dei meccanismi attraverso cui si esercita
l’autorità; su quelli non mi pare che le neuroscienze o la psicologia cognitiva
possano dire molto più di quello che è già ovvio a tutti noi da una riflessione
approfondita sulla nostra esperienza di vita. Parlerò invece dei presupposti per
l’esercizio dell’autorità, che mi paiono molto meno scontati alla luce di alcuni
dati sperimentali recenti e, soprattutto, del modo in cui essi sono stati raccontati
al grande pubblico. Abbiamo davvero potere sul nostro comportamento? E su
quello degli altri? Per rispondere a queste domande, bisogna fare un passo
indietro, e porsi due domande più fondamentali.
Le domande e il metodo
• Come accade che noi facciamo ciò che facciamo?
• Qual è il “movimento originale” delle nostre azioni?
• Esperimenti controllati
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2.1
Complessità
Comportamenti semplici e comportamenti complessi
Le due domande introdotte sopra sono fortemente interrelate e la loro risposta
dipende molto dal tipo di comportamento considerato. Ciò che più ci interessa
qui è la distinzione tra comportamenti semplici e comportamenti complessi.
I riflessi
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• Pochissimi passaggi di elaborazione, chiaramente dimostrati
• Elemento scatenante ben determinato
• Incapsulamento
La lettura ad alta voce
• Molti passaggi di elaborazione
• Feedback
La memoria di lavoro
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• Elemento scatenante NON ben determinato
È piuttosto evidente che i comportamenti di interesse quando si parla di
autorità siano quelli complessi. Qui convergono – cosa per nulla scontata –
l’esperienza quotidiana e il ragionamento scientifico: tipicamente, infatti, non
esercitiamo certo la nostra autorità per influenzare comportamenti riflessi, e
d’altro canto il dipanarsi dei comportamenti riflessi non lascia spazio a modifiche del “piano d’azione”, cioè non lascia spazio all’esercizio dell’autorità.
Dato che ci concentreremo sui comportamenti complessi è bene richiamare
sinteticamente le loro caratteristiche fondamentali.
I comportamenti complessi
• Molti passaggi di elaborazione tra l’evento scatenante e l’evento risultante
• Evento scatenante non univoco, né ben determinato
• Feedback
• NON c’è l’indeterminatezza
2.2
La libera decisione
Vediamo dunque cosa le neuroscienze e la psicologia cognitiva possono dirci
sui comportamenti complessi. In generale, è una buona strategia di indagine
scientifica, quando si voglia studiare una certa classe di oggetti, il concrentrarsi
sull’esemplare più semplice di quella classe. Cosı́ faremo noi oggi: vedremo
quindi ora un esempio semplice di comportamento complesso.
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L’esperimento di Libet et al., 1983
L’esperimento di Libet et al. (1983) sembra mostrare che il cervello prepara
l’azione per parecchi millisecondi prima che il soggetto ne divenga cosciente.
Dobbiamo considerare questa una caratteristica di tutti i comportamenti complessi? Se è cosı́, sorgono alcune domande piuttosto delicate.
Cervello, mente e libero arbitrio
• Il “movimento originale” dell’azione è dunque costituito da eventi cerebrali?
• E quindi la nostra percezione cosciente di “avere fatto qualcosa” è solo
una presa d’atto di un evento biologico?
• Siamo dunque dominati dall’attività del nostro cervello?
• E dov’è, quindi, la nostra libertà?
• Anche l’esercizio dell’autorità è quindi una mera illusione, dato che il
comportamento è in realtà determinato da qualcosa che sta fuori dal nostro
controllo?
Nonostante la risposta a queste domande possa sembrare ovvia, in realtà
non lo è. La nostra concezione sul rapporto tra mente e cervello è influenzata
dal lunghissimo dibattito filosofico sulla natura di queste due entità, e sul loro
rapporto. Ma è qui che il contributo delle moderne neuroscienze cognitive e
della psicologia sperimentale diventa importante. Mente e cervello non sono per
nulla entitá antitetiche, nella cui relazione necessariamente esiste un elemento
dominante e causativo. La faccenda non è cosı̀ semplice.
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3
Mente e cervello
Ognuno di noi ha un proprio mondo mentale che lo contraddistingue,
percorsi e paesaggi interiori propri i quali, per la maggior parte di
noi, non richiedono un esplicito correlato neurologico. È solitamente
possibile raccontare la storia di un uomo, riferire episodi e scene della sua vita, senza dover ricorrere a considerazioni fisiologiche e neurologiche, le quali parrebbero quanto meno superflue e francamente
assurde o offensive. Perché noi ci consideriamo, e giustamente, liberi,
o almeno determinati da considerazioni umane ed etiche assai complesse, piuttosto che dalle nostre vicissitudini delle nostre funzioni
neurali o del nostro sistema nervoso.
Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello
3.1
3.1.1
Il dibattito filosofico
Il dualismo
Il dualismo
• La mente è parte dell’anima, la quale esisteva prima del corpo in cui abita
e sopravviverà ad esso
• La mente ha una conoscenza implicitamente perfetta delle cose
• La mente permette consapevolezza: ci percepiamo come un essere unitario,
con caratteristiche definite e integrate in un tutto dotato di senso
Dualismo e autorità
• Poiché la mente ha il primato, essa determina il comportamento agendo
sul corpo
• L’esercizio dell’autorità è dunque
• possibile
• peculiare della mente, e dunque un’attività cosciente e volontaria
I problemi del dualismo
• Se la mente è immateriale, come può muovere il corpo (i corpi)?
• Come spiegare la pletora di attività mentali che accadono fuori dalla nostra
consapevolezza?
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3.1.2
Il materialismo
Il materialismo
• La mente è il cervello
• L’attività mentale dipende dunque da quello specifico cervello, in un dato
luogo e in un dato momento
• La coscienza è un inganno, non esiste libero arbitrio
Materialismo e autorità
• Poiché la materia ha regole e dinamiche proprie, l’uomo non ha alcun
potere su di essa; anzi, essendone costituito, ne “subisce” le decisioni
• Nessuno spazio per l’autorità
I problemi del materialismo
• Come riconciliare la nostra esperienza, fortemente agentiva, con il fatto
che tutto è determinato dalla materia fuori dalla mia coscienza?
• Se la mente dipende da ogni specifico cervello, come possiamo comparare
esperienze di persone diverse? Eppure noi sperimentiamo empatia
• I robot elaborano informazione: quindi come si può sostenere che essa
esista solo in quanto determinata dal cervello?
3.2
Le neuroscienze moderne
Dall’arrivo sulla scena della Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), della
Risonanza Magnetica Funzionale per Immagini (fMRI) e, più in generale, di
tutte le tecniche di visualizzazione in vivo dell’attività cerebrale, si tende a pensare che le neuroscienze moderne abbiano nettamente sposato posizioni materialiste: si studia il cervello perché il cervello è l’unica determinante del comportamento. Ma è davvero questo che implica l’uso delle tecniche di neuroimmagine
funzionale?
La risonanza magnetica
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• Misura la variazione di emoglobina nel circolo sanguigno cerebrale
• Acquisisce dati sull’intero cervello ogni 2.2 secondi c.ca
• Ha una risoluzione spaziale di 1mm3 c.ca (quindi di qualche milione di neuroni)
• Il segnale è frutto di una “sottrazione” tra due comportamenti
L’uso materialista della fMRI
Henson et al., 2005
• Ricordare vs. conoscere
• Due processi o un processo?
• Dato che ci sono aree cerebrali attivate dal ricordo che non sono attivate
dalla sensazione di conoscenza, e viceversa, la teoria dei due processi ha
più probabilità di essere corretta
In questo tipo di argomento, si presuppone se non un’identità, almeno una
strettissima associazione tra cervello e mente, per cui la diversità su un piano
implica diversità sull’altro. Ma è davvero legittimo questo tipo di inferenza? Ci
sono alcuni limiti intrinseci alla metodologia che depongono decisamente verso
il NO.
I limiti della fMRI
Bennett et al., 2009
Plaut et al., 1996
C’è inoltre almeno un’altra considerazione, questa volta indipendente dalla metodologia di acquisizione delle immagini, che depone a sfavore di una
posizione materialista stretta: essa è legata all’assenza di una corrispondenza biunivoca tra aree cerebrali (almeno al livelllo di risoluzione spaziale che
normalmente usiamo) e processi mentali.
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Il localizzazionismo ottocentesco
• Persino le funzioni cognitive più complesse sono univocamente localizzate
nel cervello
• Stretta corrispondenza biunivoca tra mente e cervello
Oggi però ci sono molti dati sperimentali che indicano che non sia cosı̀. Anche
considerando aree cerebrali e funzioni mentali meglio delimitate, e associazioni
anatomo-funzionali ancora in larga parte accettate al giorno d’oggi, si fatica
a vedere davvero una corrispondenza binuivoca tra aree cerebrali e funzioni
mentali.
L’area di Broca
• L’area di Broca è stata associata fin dal 1860 alla produzione linguistica
• Ma oggi si sa che
• una lesione dell’area, da sola, NON causa un deficit della produzione linguistica
(Mohr et al., 1978)
• la sua attivazione sottosta anche alla comprensione linguistica, all’esecuzione e al
controllo delle azioni, e all’esecuzione e all’ascolto di brani musicali
In sostanza, dunque, nonostante si assuma molto spesso che le neuroscienze moderne abbiano (o meglio, debbano avere) un approccio materialista – e
nonostante alcuni studiosi davvero addottino questo approccio –. i dati sperimentali che abbiamo a disposizione in molte discipline (neuroscienze, psicologia
sperimentale, scienze della computazione) indicano che non si possa considerare
solo il cervello, dimenticando la mente, per capire il comportamento umano.
Dobbiamo per questo ritenere corretta la posizione dualista classica?
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3.2.1
Plausibilià neuroscientifica del dualismo
Due argomenti tipici a favore del dualismo
• L’esperienza e il comportamento umano sono cosı̀ complessi che non possono essere esattamente determinati date certe condizioni
• Il cervello non è sotto il nostro controllo volontario
In realtà, entrambe queste considerazioni, generalmente considerate ovvie,
non sono per nulla scontate se si considerano alcune evidenze empiriche a nostra
disposizione.
Davvero la mente non è deterministica?
• La metafora del calcolatore
• Ancora prima, il comportamentismo
Entrambi questi elementi rimandano esattamente a ciò che il non esperto di
neuroscienze considera generalmente assurdo: date certe condizioni, sia esterne
all’effettore del comportamento (la presenza di un dato stimolo) che interne ad
esso (il suo sistema di valori e obiettivi e le sue conoscenze pregresse), la reazione
può essere univocamente determinata.
Se la psicologia fosse una scienza matura, data una certa riposta
comportamentale, potremmo con certezza determinarne gli stimoli;
e dati gli stimoli, potremmo prevedere la risposta.
William James, Psychological Review, 1913
Un elemento che depone a favore del determinismo della mente è certamente
il fatto che alcuni programmi per computer – i quali sono algoritmi, e quindi
intrinsecamente deterministici – sono in grado di eseguire correttamente compiti
molto complessi, apparentemente non deterministici.
I computer che leggono
• Il modello computazionale della lettura DRC (Coltheart et al., 2001) sa
leggere correttamente tutte le parole monosillabiche inglesi (7981), tranne
una . . . czars
• Le reti neurali apprendono associazioni arbitrarie di stimoli, tenendo conto
del contesto
Per quanto riguarda invece il controllo esterno delle dinamiche cerebrali, ci
sono ormai buone evidenze che fattori di tipo sociale o relazionale siano in grado
di moficare pattern di attivazione cerebrale.
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L’esperimento di Kahn et al., 2002
Attivazione dell’amigdala
Riassumendo
• L’attività cerebrale sembra precedere la consapevolezza nella decisione di
mettere in atto un comportamento
• Almeno in alcuni casi, l’identità dei processi cerebrali non permette di
dedurre l’identità dei processi mentali
• La mente potrebbe essere imprevedibile perché complessa, non perché nondeterminista
• I processi mentali, anche etero-indotti, producono cambiamenti nell’attività cerebrale
Sembra dunque che né il dualismo né il materialismo siano posizioni lecite,
se si tengono in considerazione i dati sperimentali di cui disponiamo. Come ne
usciamo, dunque?
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Human Information Processing
Una delle leggi psicologiche più robuste è certamente la legge di Fitts, la quale
dice che il tempo necessario per compiere un movimento verso un oggetto di
superficie S posto a distanza D è linearmente proporzionale al logaritmo del
rapporto tra D e S.
La legge di Fitts
M T = k log
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D
S
Un’interpretazione cognitiva della legge
Il sistema motorio ha un’accuratezza limitata quando esegue una serie aperta di operazioni, per cui si rendono necessarie delle correzioni
basate sull’input visivo per ricondurre il movimento verso il suo obiettivo. Il sistema opera dunque attraverso un semplice sistema di
controllo a feedback.
Allen Newell, Unified Theories of Cognition, 1990
Human Information Processing
La mente è un elaboratore di informazioni (analogia con il
computer)
Come sempre, un solo esempio spiega più di mille parole. Rispondete dunque
alle domande qui sotto; esse sembrano ovvie, lo so, ma capirete tra poco. . .
L’analogia del bassorilievo
• Il bassorilievo è fatto di granito?
• Se non ci fosse il granito, ci sarebbe il bassorilievo?
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• Il bassorilievo è solo un pezzo di granito come qualsiasi altro?
• Le proprietà del granito influenzano le proprietà del bassorilievo?
• In linea di principio, è possibile riprodurre il bassorilievo su un altro materiale?
• Se si rompe il granito, si rompe anche il bassorilievo?
Ecco, ora sostituite la parola mente alla parola bassorilievo, e la parola
cervello alla parola granito, ed eccovi la posizione che credo si possa sostenere
in merito al rapporto tra mente e cervello sulla base dei dati sperimentali che
abbiamo oggi a disposizione.
Mente e cervello 2.0
Non ha dunque senso chiedersi se la mente “causi” il cervello, o viceversa.
Mente e cervello sono due modi di descrivere la stessa cosa, sono due livelli di
analisi diversi dello stesso oggetto del mondo
• I partecipanti stanno prendendo una decisione arbitraria, che è come dire che si
sta manifestando un potenziale di preprazione all’azione nel cervello.
Lo spazio per l’autorità
• Non c’è dunque nessun controllo del cervello sulla mente, né della mente sul
cervello
• Ad entrambi i livelli di descrizione, l’essere umano è certamente al centro di una
complessa struttura di rapporti
– tra istanze interne a sé
– tra istanze esterne a sé
• La complessità di questa rete dà un’impressione di variabilità – anche caotica –
ad un mondo deterministico
• Ciascuna di queste istanze può essere descritta sia a livello mentale che a livello
cerebrale
• All’interno di questa rete (a volte molto stretta) di rapporti complessi, l’essere
umano ha comunque spazio per il controllo del proprio comportamento, il che
apre lo spazio all’esercizio dell’autorità su noi stessi e sugli altri
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