elementi di diritto pubblico dell`economia

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Paolo Damiani
ELEMENTI DI DIRITTO
PUBBLICO
DELL’ECONOMIA
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www.aracneeditrice.it
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via Raffaele Garofalo, 133 /A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–3028–8
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 2009
Indice
13
Capitolo I
Il diritto pubblico dell’economia
Premessa, 13 – 1. Le fonti del diritto pubblico dell’economia, 14 –
1.1. Le fonti di rango costituzionale 14, – 1.1.1. La Costituzione
economica 15, – 1.1.1.1. Le nuove norme della Costituzione
economica, 17 – 1.1.1.2. Le nuove disposizioni della Costituzione
economica, 18 – 1.1.1.3. Alcune rilevanti conseguenze discendenti
dall’accoglimento del principio dell’economia sociale di mercato,
19 – 1.1.1.3.1. Il conflitto tra mercato e valori sociali, 19 –
1.1.1.3.2. Il mercato quale principio talora strumentale al soddisfacimento dei valori sociali, 20 – 1.1.2. Il Trattato istitutivo della Comunità europea, il Trattato sull’Unione europea, i regolamenti, le
direttive, le decisioni e le raccomandazioni, 21 – 1.1.3. Il diritto
internazionale dell’economia 25 – 1.1.3.1. La Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 26 –
1.1.3.2. L’Accordo generale sugli scambi di servizi, 28 – 2. La
legge, i regolamenti e gli atti normativi subprimari statali, 29 – 3.
Regioni e governo pubblico dell’economia, 32 – 3.1. Le fonti
regionali: lo Statuto regionale, 33 – Segue… e le leggi regionali, 36
61
Capitolo II
I modelli di governo dell’economia
Premessa, 61 – 1. Lo Stato liberale, 62 – 1.1. Il principio di eguaglianza in senso formale, 63 – Segue… la legge generale ed astratta, 63 – Segue… e la certezza del diritto, 64 – 1.2. I diritti di libertà
negativa, 65 – 1.3. I principi del pareggio di bilancio e dell’integrale finanziamento tributario della spesa pubblica, 65 – 1.4.
La riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte,
la legge di bilancio, il sistema elettorale censitario e l’istituto della
fiducia parlamentare, 66 – 1.5. Il principio di proporzionalità del
sistema tributario, 67 – 2. Le cause della crisi dello Stato liberale e
la nascita dello Stato sociale, 67 – 3. Lo Stato sociale, 68 – 3.1. Il
principio eguaglianza in senso sostanziale…, 69 – Segue… la
legge speciale e l’instabilità giuridica, 69 – 3.2. Il Welfare State e i
diritti sociali, 70 – 3.3. Gli interventi diretti e indiretti in campo
economico, 71 – 3.3.1. Gli interventi indiretti, 71 – 3.3.2. Gli
interventi diretti: le imprese pubbliche, 71 – 3.4. Il principio del
deficit spending, 75 – 3.5. Il sistema tributario progressivo, 76 – 4.
6
Indice
Le cause della crisi dello Stato sociale e la nascita dello Stato
regolatore, 77 – 5. Lo Stato regolatore, 78 – 5.1. La regolazione,
79 – 5.1.1. La regolazione per fini economici, 79 – 5.1.2. La regolazione per scopi sociali, 83 – 5.2. La mancanza di legittimazione
democratica delle autorità indipendenti, 84 – 5.3. Il divieto di disavanzi pubblici eccessivi, 85 – 5.4. La transizione dallo Stato sociale
allo Stato regolatore: le privatizzazioni e le liberalizzazioni, 85
93
Capitolo III
Le privatizzazioni
Premessa, 93 – 1. Il sistema delle partecipazione statali, 93 – 2. Le
privatizzazioni, 95 – 2.1. La privatizzazione formale, 96 – 2.2. La
privatizzazione intermedia, 96 – 2.3. La privatizzazione sostanziale, 97 – 3. Le privatizzazioni mobiliari, 97 – 3.1. Le privatizzazioni mobiliari non bancarie, 98 – 3.1.1. La legge n. 359 del 1992,
99 – 3.1.2. La l. n. 474 del 1994, 100 – 3.1.2.1. La disciplina generale, 100 – 3.1.2.2. La privatizzazione delle società in mano pubblica operanti nel settore dei servizi pubblici, 101 – 3.1.3. Il secondo comma dell’art. 1 della l. n. 481 del 1995, 106 – 3.2. Le privatizzazioni bancarie, 106 – 3.2.1. La privatizzazione formale, 106
– 3.2.2. La privatizzazione sostanziale, 107 – 3.2.3. Le fondazioni
di origine bancaria, 108 – 3.2.3.1. La ripartizione delle funzioni
legislative tra Stato e regioni nella disciplina delle fondazioni di
origine bancaria, 112 – 4. La Banca del Mezzogiorno, 113
119
Capitolo IV
I servizi di interesse economico generale
Sezione I
La disciplina generale
Premessa, 119 – 1. La vecchia disciplina dei servizi pubblici: le
collettivizzazioni, 120 – 2. La nuova disciplina dei servizi di interesse economico generale, 121 – 2.1. Gli artt. 86, c. 2 e 16 TCE,
124 – 2.2. Il servizio universale, – 126 2.2.1. La generale fruibilità
territoriale del servizio, 128 – 2.2.2. La qualità del servizio, 128 –
2.2.3. La continuità e la sicurezza del servizio, 129 – 2.2.4. L’accessibilità delle tariffe, 129, – 2.2.5. Il finanziamento degli obblighi di servizio pubblico, 130 – 2.2.5.1. Le compensazioni finanziarie – 130 – 2.2.5.2. Le compensazioni non finanziarie, 131 –
2.2.5.3. La compatibilità delle compensazioni con il Trattato CE.,
2.3. Le autorità nazionali di regolazione, 134
Sezione II
Le discipline di settore
Premessa, 140
Indice
143
Capo I. L’Energia elettrica
Nozioni tecniche, 143– 1. La disciplina del mercato elettrico, 144
– 2. Le attività liberalizzate: le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita, 145 – 2.1. La produzione,
l’importazione, l’esportazione, 145 – 2.2. L’acquisto e la vendita,
146 – 2.2.1. I clienti idonei, 146 – 2.2.2. I clienti tutelati (ex
vincolati), 146 – 2.2.3. La determinazione delle tariffe di acquisto
dell’energia elettrica, 149 – 2.2.4. La compatibilità dell’Acquirente
unico con i principi dell’economia sociale di mercato e di
sussidiarietà in senso orizzontale, 149 – 3. Le attività riservate: le
attività di trasmissione, dispacciamento e di gestione delle rete di
trasmissione nazionale (RTN), 151 – 3.1. L’iniziale scelta di separare la proprietà e la gestione della rete…, 152 – Segue… gli inconvenienti da essa derivati, 152 – Segue… e la conseguente decisione di unificare proprietà e gestione delle rete, 153 – 4. Le
attività sottoposte a concessione: la distribuzione e la gestione
delle reti di distribuzione, 154 – 5. Il servizio universale, 157 – 6.
La borsa elettrica, 158
161
Capo II. Il Gas naturale
Nozioni tecniche, 161 – 1. Il mercato del gas naturale, 162 – 2.
L’attività di importazione, 163 – 3. L’attività di trasporto e dispacciamento, 164 – 4. L’attività di distribuzione, 165 – 5. Lo stoccaggio, 167 – 6. La vendita ai clienti finali, 169 – 7. L’acquisto di
gas naturale, 170 – 8. Il servizio universale, 170
173
Capo IIı. Profili e problemi disciplinari comuni
ai settori elettrico e del gas
1. La competenza legislativa concorrente in materia di produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia ex art. 117, c. 3
Cost., 173 – 2. L’autorità indipendente di regolazione: l’Autorità
per l’energia elettrica e il gas, 174
181
Capo III. Le comunicazioni elettroniche
Nozioni tecniche, 181 – 1. La disciplina del mercato delle comunicazioni elettroniche, 182 – 2. La fornitura di reti e di servizi di
comunicazione elettronica, 184, – 3. La disciplina dell’installazione delle reti e degli impianti di comunicazione elettronica, 186,
3.1. L’installazione delle reti in fibra ottica, 191 – 3.2. Le questioni
di legittimità costituzionale sollevate dalle regioni, 193– 4.
Utilizzo delle frequenze radio, 1944 – 5. Utilizzo dei numeri, 196
– 6. L’accesso e l’interconnessione, 7. Il servizio universale, 197 –
8. La ripartizione della competenza legislativa tra Stato e regioni
7
8
Indice
nelle materie disciplinate dal codice delle comunicazioni elettroniche, 201 – 9. L’autorità indipendente di regolazione: l’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni, 202 – 9.1. L’organizzazione, 202
– 9.2. Le funzioni, 203 – 10. La proposta di istituire una nuova
Autorità europea per il mercato delle comunicazioni elettroniche,
204
207
Capo IV. I servizi postali
Premessa, 207 – 1. La fornitura dei servizi postali, 207 – 2. Il servizio universale, 208 – 2.1. Il finanziamento del servizio universale, 209 – 3. L’autorità di regolazione: il Ministero delle comunicazioni, 210
213
Capo V. I trasporti di linea
Nozioni tecniche, 213 – 1. Il trasporto ferroviario: la disciplina
della rete ferroviaria, 214, 1.1. La disciplina del servizio di
trasporto ferroviario, 216 – 1.2. Il servizio universale, 221 – 1.3.
L’autorità di regolazione: il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti, 223 – 2. Il trasporto aereo, 223 – 2.1. Il primo pacchetto,
224 – 2.2. Il secondo pacchetto, 224 – 2.3. Il terzo pacchetto, 225 –
2.4. Il quarto pacchetto, 225 – 2.5. Il reg. n. 1008/2008, 226 –
2.5.1. La licenza d’esercizio, 227 – 2.5.2. L’accesso alle rotte, 228
– 2.5.3. Le tariffe, 230 – 2.6. Il servizio universale, 231 – 3. Il
trasporto marittimo, – 232 – 3.1. Il servizio universale, 233
237
Capo Vı. Profili e problemi disciplinari comuni ai
settori del trasporto ferroviario, aereo e marittimo
1. La competenza legislativa concorrente delle regioni in materia
di porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione
ex art. 117, c. 3 Cost., 237
241
Capo VI. I servizi locali di interesse economico
generale
Premessa, 241 – 1. Le discipline delle modalità di affidamento e
gestione dei servizi pubblici locali, 245 – 2. La disciplina generale
delle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di cui
all’art. 113 del t.u.e.l., 248 – 2.1. La disciplina della rete, 249 –
2.1.1. La proprietà delle rete, 249 – 2.1.2. L’affidamento della
gestione della rete, 250 – 2.2. L’affidamento del servizio, 250 –
2.3. L’incompatibilità delle modalità di affidamento diretto dei
servizi di rilevanza economica con i principi e la giurisprudenza
comunitari, 253 – Segue… e l’ennesima insoddisfacente risposta
del legislatore: atto I…, 254 – Segue… e atto II, 256 – 3. La disci-
Indice
plina delle modalità di svolgimento del servizio, 257 – 4. Ulteriori
misure di liberalizzazione in ambito locale: l’art. 13 del d.l. n. 223
del 2006, 258 – 5. La ripartizione delle funzioni legislative fra
Stato e regioni in materia di servizi pubblici locali, in particolare
per quanto concerne la disciplina delle modalità di affidamento,
259
267
Capitolo V
Gli appalti pubblici
Premessa, 267 – 1. Il codice dei contratti pubblici, 267 – 2. Gli
appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, 269 – 2.1. Gli appalti
pubblici di lavori, servizi e forniture di rilevanza comunitaria nei
settori ordinari, – 271 2.1.1. L’appalto pubblico di lavori, 271 –
2.1.1.1. Le concessioni di lavori pubblici, 272 – 2.1.2. L’appalto
pubblico di servizi, 273 – 2.1.2.1. La concessione di servizi, 273 –
2.1.3. L’appalto pubblico di forniture, 275 – 2.1.4. Le amministrazioni aggiudicatrici…, 275 – Segue… l’organismo di diritto
pubblico, 276 – 2.1.5. L’obbligo di trasparenza e di pubblicità, 280
– 2.1.6. La scelta del contraente, 281 – 2.1.7. Il sistema di qualificazione, 282 – 2.1.8. Criteri per la scelta dell’offerta migliore,
283 – 2.2. I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei
settori ordinari sotto soglia comunitaria, 284 – 2.2.1. Disciplina
specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia, 284 – 2.2.2.
Disciplina specifica per i contratti di servizi e forniture sotto
soglia, 285 – 2.3. I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
nei settori speciali di rilevanza comunitaria, 286 – 2.3.1. Le soglie
comunitarie nei contratti pubblici nei settori speciali, 287 – 2.3.2.
La disciplina applicabile ai contratti pubblici nei settori speciali di
rilevanza comunitaria, – 287 2.4. I contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture nei settori speciali sotto soglia comunitaria, 289
– 3. Affidamento in house ed affidamento in outsourcing, 289 – 4.
I partenariati pubblico–privati (PPP) e i partenariati pubblico–
privati cosiddetti «istituzionalizzati» (PPPI), 290 – 5. L’autorità
indipendente di regolazione: l’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture, 294– 6. La ripartizione della
potestà legislativa fra lo Stato e le regioni in tema di contratti pubblici, in generale …, 296 – Segue… e con riferimento alla disciplina
delle modalità di selezione del contraente, in particolare, 297
305
Capitolo VI
La concorrenza
Premessa, 305 – 1. La regolazione del mercato e della concorrenza, 308 – 2. Il Trattato istitutivo della Comunità europea,
309 – 2.1. Disposizioni applicabili alle imprese, 309 – 2.1.1.
Nozioni comuni alle disposizioni applicabili alle imprese, – 310,
2.1.1.1. La nozione di impresa, 310 – 2.1.1.2. – La nozione di
9
10
Indice
mercato rilevante: il mercato del prodotto e il mercato geografico,
311 – 2.1.1.2.1. Il mercato del prodotto e del servizio, 312 –
2.1.1.2.2. Il mercato geografico, 312 – 1.2. Le disposizioni sulle
intese, le posizioni dominanti e le concentrazioni, 313 – 2.1.2.1. Le
intese, 313 – 2.1.2.2. Gli abusi di posizione dominante, 316 –
2.1.2.2.1. La nozione di posizione dominante, 317 – 2.1.2.2.2. La
nozione di abuso di posizione dominante, 318 – 2.1.2.3. Il
pregiudizio al commercio tra Stati membri, 319 – 2.1.2.4. Le
concentrazioni, 319 – 2.1.2.5. Gli organi competenti ad attuarle,
320 – 2.1.2.5.1. L’attuazione delle disposizioni in materia di intese
e di abusi di posizione dominante, 321 – 2.1.2.5.2. L’attuazione
delle disposizioni in materia di concentrazioni, 324 – 2.2. Disposizioni applicabili agli aiuti di Stato, 326 – 2.2.1. Gli aiuti di Stato,
326 – 2.2.2. La nozione di aiuto di Stato, 328 – 2.2.3. Il procedimento di esame degli aiuti di Stato, 332 – 2.2.3.1. Procedura relativa ai regimi di aiuti esistenti, 333 – 2.2.3.2. Procedura relativa ai
nuovi aiuti, 334 – 2.2.3.3. Procedura relativa agli aiuti illegali, 336
– 2.2.3.3.1. Categorie di aiuti dispensate dall’obbligo di comunicazione, 340 – 3. La Costituzione, 341 – 4. Le leggi a tutela della
concorrenza e del mercato, 346 – 4.1. La legge generale, 346 – 4.2.
Le leggi speciali, 346 – 4.2.1. La disciplina delle posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni ex art. 43 d.lgs. n.
177 del 2005 (testo unico della radiotelevisione), 347 – 4.2.2. La
disciplina sulle imprese che detengono un significativo potere di
mercato ex artt. 17 e ss. del d. lgs. n. 259 del 2003 (codice delle
comunicazioni elettroniche), 347 – 5. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, 348 – 5.1. I poteri dell’AGCM in materia
di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante, 349 – 5.2. I poteri dell’AGCM in materia di
operazioni di concentrazione, 350 – 5.3. I poteri di indagine conoscitiva, di segnalazione e consultivi, 351 – 5.3.1. I poteri di
indagine conoscitiva, 352 – 5.3.2. I poteri di segnalazione, 352 –
5.3.3. I poteri consultivi, 352
365
Capitolo VII
La finanza pubblica.
Premessa, 365 – 1. La disciplina nazionale, 368 – 1.1. La manovra
finanziaria, 369 – 2. La disciplina comunitaria, 373 – 2.1. Il braccio preventivo, 374 – 2.2. Il braccio repressivo, 3. Il federalismo
fiscale, 379
389
Capitolo VIII
I mercati finanziari
Premessa, 389 – 1. Il mercato creditizio, 392 – 2. Il mercato mobiliare, 393 – 3. Il mercato assicurativo, 399 – 4. Le autorità indipendenti di regolazione: la Banca d’Italia, la Consob, l’Isvap,
Indice
11
402 – 4.1. La Banca d’Italia, 403 – 4.2. La Consob, 405 – 4.3.
L’Isvap, 405
409
Capitolo IX
La politica monetaria
Premessa, 4099 – 1. La politica monetaria, 411 – 2. I soggetti titolari della politica
monetaria: le banche centrali, 412 – 3. La Banca centrale europea, 412 – 3.1. I principi di funzionamento del SEBC: la stabilità dei prezzi quale principio fondamentale
della Costituzione monetaria, 415 – 3.2. L’indipendenza della BCE, 417 – 4. Gli
strumenti della politica monetaria, 418
12
Indice
Il diritto pubblico dell’economia
13
Capitolo I
Il diritto pubblico dell’economia
Premessa
In via di prima approssimazione il diritto pubblico dell’economia può essere definito come quel ramo della scienza giuridica che ha per oggetto i settori di normazione che sono direttamente volti alla disciplina di eventi specificamente economici1.
Come stabilire però se una certa disposizione regola in modo
diretto una fattispecie economica, e come valutare se un oggetto
possiede un contenuto specificamente economico?
Se è vero infatti che esistono settori di normazione che appartengono senza dubbio al diritto pubblico dell’economia come, per esempio, la disciplina della concorrenza e della finanza
pubblica o il governo della moneta, è altrettanto indubbio che
non esiste un criterio oggettivo che consente di individuare con
assoluta certezza i settori di normazione positiva appartenenti al
diritto pubblico dell’economia.
La scelta è assai spesso frutto di convenzioni o di opzioni
individuali.
Questo volume, ad esempio, per un verso contiene un capitolo sui contratti pubblici, di norma assente nella manualistica di
diritto pubblico dell’economia, ma per l’altro verso non analizza la legislazione di tutela dei consumatori oggetto invece di attenta considerazione in altri volumi.
Per cercare di distinguere la nostra disciplina scientifica dalle altre branche della scienza giuridica occorre dunque guardare
non tanto al contenuto prescrittivo di singole e specifiche regole, quanto piuttosto ai principi–valori costituzionali.
Nel nostro caso i principi rilevanti sono quelli della Costituzione economica, principi che, attuati, specificati, integrati e ragionevolmente bilanciati tra loro dal legislatore, dagli ammini-
14
Capitolo I
stratori, dai giudici e, più in generale, dalla comunità degli interpreti, prescrivono un determinato rapporto tra pubblici poteri
ed economia.
In conclusione, il diritto pubblico dell’economia può essere
definito come quel complesso di valori costituzionali e di norme, leggi, regolamenti, atti amministrativi, e pronunce giurisprudenziali, ecc., che di tali principi costituiscono lo sviluppo e
la sintesi, che disciplina il rapporto tra poteri pubblici ed economia2.
1. Le fonti del diritto pubblico dell’economia
Come non è possibile individuare le regole del diritto pubblico dell’economia, così per le stesse ragioni non è possibile
tracciare un elenco delle fonti del diritto pubblico dell’economia.
Si possono però individuare alcuni atti normativi che rivestono una particolare importanza per la nostra disciplina come,
per esempio, la Costituzione, i Trattati UE e CE, taluni trattati
internazionali, i regolamenti, le direttive e le decisioni comunitarie, le leggi, i regolamenti e certi atti normativi subprimari
dello Stato, gli statuti e le leggi regionali, le decisioni delle autorità di regolazione.
Sebbene non siano tecnicamente fonti del diritto, rivestono
inoltre enorme importanza nella nostra disciplina le pronunce
degli organi giurisdizionali e tra queste, in particolare, quelle
della Corte costituzionale e della Corte di giustizia.
1.1. Le fonti di rango costituzionale
I principi costituzionali in materia economica si desumono
oggi non solo dalla Costituzione, ma anche e soprattutto dai
Trattati UE e CE (quest’ultimo, come noto, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, assumerà la denominazione di
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).
Il diritto pubblico dell’economia
15
La relazione tra la prima e i secondi è però più articolata e
complessa di quanto comunemente si pensa.
L’adesione dell’Italia, prima al Trattato CE e più tardi al
Trattato UE, ha sollecitato, in un primo momento, nuove interpretazioni della Costituzione economica coerenti con l’impostazione liberale dei Trattati, e successivamente ha propiziato la
formulazione di disposizioni legislative a tutela del mercato per
arrivare, infine, all’espressa menzione della concorrenza nella
Costituzione.
Non è stato però solo l’ordinamento comunitario ad avere
condizionato i processi ermeneutici e modificativi della Costituzione.
Anche i Trattati sono stati modificati e interpretati per renderli coerenti con i principi costituzionali e, in particolare, con i
valori sociali.
Il Trattato UE e il Trattato di Amsterdam hanno corretto
l’originaria impostazione liberale del Trattato CE introducendovi numerose e importanti disposizioni volte alla tutela e alla
promozione dei valori sociali.
Tra la Costituzione e i Trattati comunitari si è dunque nel
tempo sviluppata una feconda relazione di natura “circolare” caratterizzata da reciproche influenze e mutui condizionamenti in
virtù dei quali, se da un lato, l’adesione dell’Italia alla Comunità europea ha influenzato l’interpretazione e la revisione della
Costituzione, dall’altro lato, questa, congiuntamente alle Costituzioni degli altri Stati membri, ha prodotto importanti innovazioni sul terreno dei valori sociali in seno all’ordinamento comunitario.
1.1.1. La Costituzione economica
Come per qualunque norma del diritto pubblico dell’economia, anche l’individuazione delle disposizioni della Costituzione economica è frutto di convenzioni e di convincimenti personali3.
16
Capitolo I
Tali sono, secondo l’orientamento prevalente, gli articoli del
titolo III (rapporti economici) della prima parte (diritti e doveri
dei cittadini) della Costituzione ai quali vanno aggiunte numerose altre disposizioni disseminate all’interno del testo costituzionale: gli artt. 1, 3, 4, 23, 53, 117, c. 2 lett. e), 119 Cost., ecc.
Non sono invece annoverate fra gli articoli della Costituzione economica altre disposizioni nonostante l’importanza che esse rivestono sul piano economico. Fra queste si segnala, per esempio, l’art. 32 Cost. il quale, nel prevedere che la Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, è alla base dell’istituzione del Servizio
sanitario nazionale il cui finanziamento costituisce una delle
principali voci di spesa del bilancio pubblico4.
In realtà, prima ancora che produttiva di risultati incerti,
l’individuazione delle disposizioni della Costituzione economica è uno sforzo inutile poiché ciò che importa individuare non
sono le regole bensì i principi della Costituzione economica,
ossia i valori fondamentali che disciplinano il rapporto tra pubblici poteri ed economia.
Dalla Costituzione, interpretata nel suo complesso e in chiave aggiornata alla luce dei valori dell’ordinamento comunitario,
si ricava il principio dell’economia sociale di mercato.
In forza di tale principio: a) la produzione di beni e di servizi
spetta prioritariamente ai privati i quali operano in un’economia
di mercato aperta e in libera concorrenza, mentre è compito della Repubblica b) regolare il mercato allo scopo di tutelarne e
promuoverne il funzionamento concorrenziale e c) intervenire
in ausilio o, eccezionalmente, in sostituzione del mercato, in caso di fallimento dei meccanismi concorrenziali, al fine di soddisfare interessi generali di giustizia sociale5.
Come accennato, si tratta di una lettura attualizzata della Costituzione economica.
L’ordoliberalismo e l’economia sociale di mercato patrocinati dalla Scuola di Friburgo erano completamente assenti nella
cultura dei costituenti, i quali anzi giudicavano il mercato come
un disvalore che andava difeso solo perché inesorabilmente accoppiato alla libertà politica e alla difesa dal comunismo6.
Il diritto pubblico dell’economia
17
La visione aggiornata del mercato quale motore della crescita economica e sociale è stata acquisita in un secondo momento,
grazie all’ingresso nel nostro ordinamento dei principi comunitari7.
L’adesione ai Trattati comunitari ha determinato un cambiamento del clima culturale, il quale a sua volta si è tradotto, in
una prima fase, nella produzione di letture aggiornate (di individuazione cioè per via interpretativa di nuove norme da vecchie disposizioni costituzionali) della Costituzione economica;
in una seconda fase, nella formulazione di leggi per la tutela e la
promozione del mercato (come, per esempio, la l. n. 287 del
1990 sull’istituzione dell’Autorità garante della concorrenza e
del mercato o la l. n. 481 del 1995 che disciplina le Autorità di
regolazione nei servizi di pubblica utilità); infine, nella terza e
ultima fase, nella formulazione di nuove disposizioni costituzionali che hanno recepito i principi dell’economia sociale di
mercato8.
1.1.1.1. Le nuove norme della Costituzione economica
Originariamente concepita come libertà dell’imprenditore
nei confronti dello Stato, la libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 Cost. è oggi interpretata soprattutto come libertà
di concorrenza, ossia come libertà del privato nei confronti di
altri privati9.
Secondo questo indirizzo interpretativo la libertà di iniziativa economica del singolo si presenta, in rapporto all’iniziativa
economica degli altri, come libertà di concorrenza10.
Si tratta, a ben vedere, dell’applicazione del generale principio della valenza anche verso i terzi (Drittrichtung) dei diritti
costituzionali11.
Alle riletture delle disposizioni costituzionali appartiene anche l’orientamento dottrinale secondo il quale la norma base
della Costituzione economica, lungi dal potere essere identificata con le disposizioni del titolo III, deve essere individuata
nell’art. 11 Cost., il quale ha consentito l’ingresso nel nostro or-
18
Capitolo I
dinamento di tutti i principi e valori dell’ordinamento comunitario12.
Altri studiosi partendo dalla centralità del mercato (inteso
come settore privato) hanno infine teorizzato il carattere eccezionale delle fattispecie di intervento pubblico diretto previste
dagli artt. 41, c. 3, e 43 Cost.13
1.1.1.2. Le nuove disposizioni della Costituzione economica
Fra le riscritture della Costituzione economica degni di menzione sono, innanzitutto, l’art. 117, c. 2, lett. e) Cost., il quale
annovera la tutela della concorrenza fra le materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato, e l’art. 117, c. 1 Cost., che sottopone la legislazione statale e regionale ai vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali14.
Fra le nuove disposizioni della Costituzione economica
grande importanza riveste inoltre la costituzionalizzazione del
principio di sussidiarietà in senso orizzontale (o di sussidiarietà
pubblico–privato) in forza del quale «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale» (art. 118, u.c. Cost.)15.
La definizione più convincente individua nel principio de
quo il criterio in base al quale una certa azione spetta prioritariamente ad un determinato soggetto e può essere svolta, in tutto
o in parte, da un altro soggetto, in sostituzione del primo, se e
solo se il risultato di tale sostituzione è migliore (o si prevede
migliore) di quello che si avrebbe o si è avuto senza tale sostituzione16.
Le attività economiche, se non tutte certamente quelle più
importanti (si pensi, per esempio ed emblematicamente, ai servizi di interesse economico generale), sono attività di interesse
generale che quindi competono prioritariamente ai privati e solo in via sussidiaria ai pubblici poteri.
Lo Stato perde in questo modo uno dei poteri che l’hanno finora maggiormente caratterizzato, e cioè il potere di sostituirsi
ai privati nello svolgimento delle attività economiche, «non nel
Il diritto pubblico dell’economia
19
senso che i poteri pubblici non possono più sostituirsi ad essi,
ma nel senso che questa sostituzione viene subordinata alla dimostrazione che i poteri pubblici raggiungono risultati migliori
dei privati nello svolgimento di quelle determinate attività economiche oggetto di sostituzione, totale o parziale»17.
La nuova Costituzione economica limita dunque non più solamente gli interventi pubblici nella sfera economica di carattere
autoritativo ex art. 43 Cost., ma anche quelli che si svolgono iure privatorum ex art. 41, c. 3 Cost.18
1.1.1.3. Alcune rilevanti conseguenze discendenti dall’accoglimento del principio dell’economia sociale di mercato
La costituzionalizzazione del principio dell’economia sociale di mercato, da un lato, ha riequilibrato il rapporto tra mercato
e valori sociali un tempo fortemente sbilanciato a favore di questi ultimi e, dall’altro lato, postula una relazione sinergica tra il
primo e i secondi in funzione della realizzazione degli interessi
generali della collettività.
1.1.1.3.1. Il conflitto tra mercato e valori sociali
Il riequilibro del rapporto tra mercato e valori sociali rende
definitivamente non più sostenibile la tesi che postula l’«ineguale bilanciamento fra le ragioni del calcolo economico e quelle […] dello sviluppo sociale», sicché sarebbero queste ultime a
dovere comunque prevalere19.
Come in qualunque conflitto tra principi, la prevalenza dei
valori sociali sul mercato e, più in generale, sui valori economici (e viceversa), lungi dall’essere predicabile in astratto ed in
assoluto, deve costituire il portato dell’apprezzamento svolto
dal legislatore, dai giudici e dagli amministratori alla luce delle
particolarità di ciascun caso concreto20.
20
Capitolo I
1.1.1.3.2. Il mercato quale principio talora strumentale al soddisfacimento dei valori sociali
L’orientamento condiviso dalla stragrande maggioranza
dell’Assemblea costituente era che le esigenze del mercato fossero comunque antagoniste rispetto ai valori sociali i quali anzi,
lungi dall’essere realizzabili attraverso il mercato, sarebbero
stati bisognosi di tutela nei confronti delle sue regole21.
L’idea della fisiologica inconciliabilità tra mercato concorrenziale e valori sociali è stata inizialmente contestata dagli ordoliberali ed è stata successivamente respinta dal pensiero economico e dalla cultura politica prevalenti nel continente europeo.
In questa nuova prospettiva la concorrenza costituisce lo
strumento più adeguato per perseguire gli scopi di giustizia sociale, posto che solo il mercato aperto ed in libera concorrenza
amplia le possibilità di scelta dei consumatori e costringe gli
imprenditori ad aumentare la qualità e ad abbassare i prezzi dei
beni e dei servizi22.
Questa concezione ha oggi un preciso fondamento costituzionale nell’espressa formulazione del principio di sussidiarietà
orizzontale (art. 118, u.c. Cost.).
Il principio de quo si basa su una concezione, espressa dalla
etimologia di subsidium, che rinvia «non all’egoismo selvaggio
o al puro utilitarismo, ma al soccorso, all’ausilio, alla solidarietà»23.
In questa prospettiva, «i diritti fondamentali o libertà acquistano una funzione sociale, ma non nel senso tradizionale della
teoria della “funzionalizzazione” desiderosa solo di apportare
correttivi e limiti alle libertà in nome di un interesse superiore,
bensì nel senso che le libertà sono di per se stesse involontarie
portatrici di una componente istituzionale, perché riconosciute
metodologicamente più adatte alla realizzazione del bene comune»24.
In conclusione, «il ricorso ai privati non è motivato solo dalla esigenza di restituire ai medesimi porzioni di sovranità in materia economica, ma anche dall’esigenza di sperimentare il per-
Il diritto pubblico dell’economia
21
seguimento dell’interesse pubblico con forme proprie del mercato e del profitto»25.
Prima di terminare sul punto è opportuno sottolineare che il
mercato concorrenziale non è un valore strumentale, tale cioè
solo se utile al soddisfacimento delle esigenze di giustizia sociale.
Il mercato concorrenziale è invece un valore in sé, indipendentemente dalla idoneità a soddisfare i valori sociali. Esso è infatti portatore di istanze di autonomia individuale che a loro
volta si ricollegano al supervalore costituzionale della dignità
umana26.
1.1.2. Il Trattato istitutivo della Comunità europea, il Trattato
sull’Unione europea, i regolamenti, le direttive, le decisioni e le
raccomandazioni
Come dalla Costituzione, anche dai Trattati UE e CE si ricava – oggi in maniera implicita ma nel prossimo futuro (quando
entreranno in vigore le modifiche all’art. 2 TUE introdotte dal
Trattato di Lisbona) in modo esplicito – che l’ordinamento comunitario si ispira al principio dell’economia sociale di mercato27.
Innumerevoli sono le disposizioni dei Trattati che menzionano il mercato e i valori sociali.28
Al primo, per esempio, fanno espresso riferimento l’art. 4
TCE, laddove prescrive che la politica economica della Comunità deve essere conforme al principio dell’economia di mercato
aperta e in libera concorrenza e l’art. 3 TCE, il quale stabilisce
che l’azione della Comunità comporta un regime inteso a garantire che la concorrenza non venga falsata nel mercato interno.
Il principio dell’economia di mercato viene quindi declinato
e specificato in numerose altre disposizioni fra le quali si ricordano, a titolo esemplificativo, quelle del Titolo VI del Trattato
CE che, come noto, detta le regole di concorrenza applicabili alle imprese (art. 81 e ss. TCE) e agli aiuti di Stato (art. 87 ss.
TCE), e quelle che, in applicazione del principio della libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali
22
Capitolo I
enunciato dall’art. 3, c. 1, lett. c) TCE, disciplinano le libertà di
prestazione dei servizi (art. 49 TCE), di stabilimento (art. 43
TCE), e di circolazione delle merci, dei lavoratori e dei capitali
(artt. 23, 39 e 56 TCE).
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea annovera inoltre la libertà di impresa (art. 16) e il diritto di proprietà
(art. 17).
Il Trattato di Lisbona ha poi previsto che «l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea», aggiungendo che la Carta
«ha lo stesso valore giuridico dei trattati».
La proprietà appartiene inoltre al novero dei diritti fondamentali che costituisce parte integrante dei principi generali del
diritto di cui la Corte di giustizia garantisce l’osservanza29.
Questa, in particolare, ispira la sua giurisprudenza alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni
fornite dai trattati internazionali (come, per esempio, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali) in materia di tutela dei diritti dell’uomo cui gli
Stati membri hanno cooperato o aderito30.
L’illustrato orientamento giurisprudenziale è stato incorporato nel preambolo dell’Atto unico europeo e quindi nell’art. 6, c.
2 TUE, in forza del quale «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (…) e
quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati
membri, in quanto principi generali del diritto comunitario»31.
Il Trattato di Lisbona ha ulteriormente radicato la Convenzione in seno all’ordinamento comunitario, disponendo che
l’Unione «aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
Altrettanto lungo è l’elenco delle disposizioni dei Trattati
comunitari che menzionano i valori sociali32.
L’art. 2 TCE assegna alla Comunità il compito di promuovere uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione
sociale, la parità tra uomini e donne, un elevato livello di prote-
Il diritto pubblico dell’economia
23
zione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di
quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della
vita, la coesione economica e sociale.
L’art. 3 TCE prevede che l’azione della Comunità comporta
una politica nel settore sociale comprendente un Fondo sociale
europeo; il rafforzamento della coesione economica e sociale;
una politica nel settore dell’ambiente; l’eliminazione delle ineguaglianze, e la promozione della parità tra uomini e donne.
L’art. 2 TUE, come modificato dal Trattato di Lisbona, stabilisce che l’Unione «si prefigge di promuovere la pace, i suoi
valori e il benessere dei suoi popoli», «mira alla piena occupazione e al progresso sociale» e a «un elevato livello di tutela e
di miglioramento della qualità dell’ambiente»; «combatte
l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia
e la protezione sociale, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore»; «promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà
tra gli Stati membri»33.
I valori sociali sono specificati nei titoli VIII, XI e XVII
TCE34.
Il titolo VIII (occupazione) disciplina le competenze della
Comunità in materia di occupazione prevedendo che la Comunità si adopera per sviluppare una strategia coordinata a favore
dell’occupazione e stabilendo altresì che la Comunità contribuisce ad un elevato livello di occupazione promuovendo la cooperazione tra gli Stati membri sostenendone e, se necessario, integrandone l’azione (artt. 125 e 127 TCE).
Il titolo XI (politica sociale, istruzione, formazione professionale e gioventù) prevede che la Comunità, tenuti presenti i
diritti sociali fondamentali, quali definiti nella Carta sociale europea e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali
dei lavoratori, ha come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, una
protezione sociale adeguata, la lotta contro l’emarginazione (art.
136 TCE)35.
Il capo II del medesimo titolo disciplina il Fondo sociale europeo il quale ha l’obiettivo, tra le altre cose, di promuovere
24
Capitolo I
all’interno della Comunità le possibilità di occupazione e la
mobilità geografica e professionale dei lavoratori (art. 146
TCE)36.
Il titolo XVII (Coesione economica e sociale) prevede che
per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme della
Comunità, questa mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite o
insulari, comprese le zone rurali (art. 158 TCE)37.
La Comunità appoggia questa realizzazione anche con
l’azione che essa svolge attraverso fondi a finalità strutturale
(Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione
“orientamento”, Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), la Banca europea per gli investimenti e gli altri strumenti finanziari esistenti (art. 159 TCE).
Alle disposizioni dei Trattati CE e UE vanno poi aggiunte
gli articoli della Carta dei diritti sociali fondamentali e della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Quest’ultima, in particolare, contiene un capo (il capo IV rubricato “solidarietà”) all’interno del quale compaiono innumerevoli diritti sociali come, per esempio, «il diritto di accesso alle
prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali» (art. 34); il
diritto di ogni lavoratore «a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a
ferie annuali retribuite» (art. 31) e, infine, il diritto di accesso
«ai servizi d’interesse economico generale» (art. 36)38.
Questi ultimi, come si avrà modo di illustrare dettagliatamente nel prosieguo, sono attività economiche di norma sottoposte alle disposizioni sulla concorrenza, salvo che l’applicazione di queste ultime ostacoli l’adempimento della specifica missione sociale ad essi affidata (artt. 16 e 86, c. 2 TCE)39.
Sempre più attiva nella tutela dei valori sociali è la Commissione, organo, come noto, originariamente concepito come custode delle regole sul mercato interno.
Nella Comunicazione 2008/412 (Agenda sociale rinnovata)
la Commissione ha sottolineato l’importanza della dimensione
sociale europea data dalla esistenza di «comuni valori sociali
europei» della cui affermazione l’Unione si fa promotrice.
Il diritto pubblico dell’economia
25
Come noto, i principi enunciati dai Trattati UE e CE sono attuati, specificati e integrati dalle fonti del diritto comunitario
derivato: i regolamenti, le direttive e le decisioni.
Il Trattato CE, per esempio, non definisce la nozione di servizio di interesse economico generale e, meno che mai, ne disciplina aspetti fondamentali come, ad esempio, il servizio universale, la continuità, la qualità delle prestazioni, l’accessibilità
delle tariffe, la tutela degli utenti e dei consumatori, ecc.
Anche le discipline di settore (elettricità, gas, comunicazioni
elettroniche, servizi postali, trasporti, ecc.), non forniscono alcuna definizione.
Da tali discipline, tuttavia, si ricava che il servizio di interesse economico generale consiste in qualunque attività economica
la cui prestazione, in ragione della salvaguardia di valori sociali,
è considerata doverosa dall’ordinamento comunitario40.
Le discipline di settore regolano inoltre gli aspetti fondamentali del servizio di interesse economico generale come, per
esempio, il già citato servizio universale, il finanziamento degli
obblighi di servizio pubblico, i diritti di accesso e di interconnessione alla rete, le autorizzazioni generali, ecc.
1.1.3. Il diritto internazionale dell’economia
Il nuovo testo dell’art. 117, c. 1 Cost. condiziona l’esercizio
della potestà legislativa dello Stato e delle regioni al rispetto
degli obblighi internazionali.
Come noto, prima della sua introduzione, l’inserimento delle
norme internazionali pattizie nel sistema delle fonti del diritto
italiano era tradizionalmente affidato, sia dalla dottrina prevalente che dalla Corte costituzionale, alla legge di adattamento,
avente normalmente rango di legge ordinaria e quindi potenzialmente modificabile da altre leggi ordinarie successive.
Da tale collocazione derivava, come naturale corollario, che
le stesse norme non potevano essere assunte quali parametri del
giudizio di legittimità costituzionale.
Il nuovo testo dell’art. 117, c. 1 Cost. ha portato la Corte costituzionale a modificare il proprio originario e consolidato o-
26
Capitolo I
rientamento, stabilendo che la novellata disposizione costituzionale attrae le leggi di recepimento nella sfera del controllo di
costituzionalità, poiché gli eventuali contrasti tra queste ultime
e leggi o gli atti aventi forza di legge successivi non generano
più, come in passato, problemi di successione delle leggi nel
tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale
per eventuale violazione dell’art. 117, c. 1 Cost.41
Per il diritto pubblico dell’economia la conseguenza più importante del rivoluzionario orientamento della Corte consiste
nell’attribuzione della copertura costituzionale alle fonti pattizie
del diritto internazionale dell’economia.
A titolo esemplificativo si considerano la Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
e l’Accordo generale sugli scambi di servizi.
1.1.3.1. La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
La Corte ha innanzitutto chiarito la differente collocazione
nel sistema delle fonti delle disposizioni CEDU (o meglio della
legge che vi ha dato esecuzione: l. n. 848 del 1955) e di quelle
comunitarie42.
Le prime, infatti, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto
tutelano e valorizzano i diritti e le libertà fondamentali delle
persone, sono pur sempre norme internazionali pattizie, che
vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell’ordinamento interno, sicché i giudici nazionali sono incompetenti a
darvi direttamente applicazione con la contestuale disapplicazione delle disposizioni interne in contrasto43.
Non producendo disposizioni direttamente applicabili negli
Stati contraenti, la CEDU è configurabile come un trattato internazionale multilaterale, dal quale derivano obblighi a carico
degli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto dal quale provengono disposizioni direttamente vincolanti le autorità interne
dei medesimi Stati44.
Il diritto pubblico dell’economia
27
Ciò precisato, la Corte ha sottolineato che l’art. 117, c. 1
Cost. condiziona l’esercizio della potestà legislativa dello Stato
e delle regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla Convenzione
europea per i diritti dell’uomo.
Ne consegue che il giudice comune non ha il potere di disapplicare la disposizione legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU, poiché l’asserita incompatibilità
tra le due si presenta come una questione di legittimità costituzionale, per eventuale e indiretta violazione dell’art. 117, c. 1
Cost., come tale, di esclusiva competenza del giudice delle leggi.
La Corte costituzionale ha però sottolineato che la CEDU
presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica
peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell’uomo, cui è affidata la
funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa45.
Poiché le disposizioni vivono nell’interpretazione che ne
danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza è che tra gli obblighi internazionali assunti
dall’Italia con la sottoscrizione della CEDU vi è anche quello di
adeguare la propria legislazione alle disposizioni di tale Convenzione nel significato ad esse attribuito dalla Corte europea
per i diritti dell’uomo.
Posto quindi che le disposizioni della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte europea, ne
consegue, secondo il giudice delle leggi, che la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto
dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata.
Orbene, fra i diritti contemplati dalla CEDU figura il diritto
di proprietà.
La Convenzione, in particolare, prevede che ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni e che nessuno
può essere privato della sua proprietà «se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi
generali del diritto internazionale» (art. 1 del primo Protocollo
addizionale CEDU).
28
Capitolo I
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha attribuito a
tale disposizione un contenuto ed una portata – in particolare la
necessità che l’indennità di esproprio presenti un «ragionevole
legame» con il valore venale del bene espropriato – ritenuti dalla medesima Corte incompatibili con la disciplina italiana
dell’indennità di espropriazione che prevede la corresponsione,
in tutti i casi, di una somma largamente inferiore al valore di
mercato (o venale) del bene espropriato.
Facendo leva sulla giurisprudenza del giudice europeo, la
Corte costituzionale ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione legislativa interna (per la precisione
si trattava dell’art. 5–bis, cc. 1 e 2 del d.l. n. 333 del 1992) la
quale, nel prevedere un’indennità oscillante tra il 50 ed il 30 per
cento del valore di mercato del bene, contrastava con l’art. 1 del
primo Protocollo addizionale CEDU, nel significato ad esso attribuito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e quindi
con il criterio del «ragionevole legame» tra l’indennizzo e il valore venale del bene espropriato coerente, peraltro, con il criterio del «serio ristoro» richiesto dalla giurisprudenza consolidata
della Corte costituzionale46.
In forza dell’illustrata giurisprudenza, il contenuto costituzionale del diritto di proprietà si è quindi arricchito degli ulteriori significati ricavabili dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo.
1.1.3.2. L’Accordo generale sugli scambi di servizi
Le osservazioni sviluppate dalla Corte costituzionale a proposito della CEDU possono essere estese in buona misura anche
al GATS (o, per meglio dire, alla legge che lo ha recepito
nell’ordinamento italiano: l. n. 747 del 1994).
In virtù della norma di cui all’art. 117, c. 1 Cost. si potrebbe,
per esempio, facilmente ipotizzare la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge che neghi ad un fornitore di
servizi di un altro Stato il trattamento accordato ad analoghi
Il diritto pubblico dell’economia
29
fornitori di altri Paesi, in violazione della cosiddetta «clausola
della nazione più favorita» di cui all’art. 2 del GATS47.
2. La legge, i regolamenti e gli atti normativi subprimari
statali
I fatti economici sono sottoposti a rapidi e continui cambiamenti che richiedono risposte normative immediate.
Né la Costituzione, in quanto atto destinato a durare nel
tempo, né la legge ordinaria, a causa delle lungaggini che ne caratterizzano il procedimento formativo, sono adeguati allo scopo.
Questo spiega taluni fenomeni, soprattutto evidenti nel diritto pubblico dell’economia, quali, ad esempio, lo spostamento
del baricentro della produzione normativa dal Parlamento al
complesso Governo–pubblica amministrazione; le delegificazioni; la proliferazione dei regolamenti delle autorità indipendenti e, più in generale, la creazione di nuove e più agili forme
di produzione giuridica, come quelle di matrice privata o negoziale, adeguate alla velocità dei mutamenti economici48.
L’instabilità nel tempo e la prevalente collocazione nei livelli più bassi del sistema delle fonti costituirebbero anzi, secondo
una certa opinione, le caratteristiche peculiari delle norme del
diritto pubblico dell’economia49.
Sennonché, a parte le difficoltà segnalate all’inizio del capitolo di individuare le norme che appartengono al diritto pubblico dell’economia, è evidente che i caratteri summenzionati non
sono esclusivi del diritto pubblico dell’economia.
Nell’odierno Stato costituzionale, pluriclasse e plurivaloriale, i processi normogenetici sono attraversati «da un inusitato
dinamismo interno, che porta al loro continuo ricambio sotto la
spinta di interessi pressanti, a loro volta idonei a combinarsi secondo scale di priorità assiologiche continuamente cangianti»50,
sicché l’instabilità caratterizza l’ordinamento giuridico nel suo
complesso piuttosto che suoi singoli e specifici settori51.
30
Capitolo I
È inoltre profondamente sbagliato ritenere che la Costituzione e la legge sono fonti non idonee a disciplinare i fatti economici, poiché così ragionando si confonde il piano della disciplina costituzionale con quello delle altre fonti del diritto.
Il piano della Costituzione non è quello delle “regole” bensì
dei “principi”.
A differenza delle prime, i principi racchiudono precetti generali e astratti che non disciplinano concrete fattispecie economiche (principio–norma generale).
I principi, inoltre, incorporano i valori di fondo dell’ordinamento giuridico e quindi, come tali, sono insensibili alle variazioni marginali alle quali è di continuo soggetta la realtà economica (principio–valore).
Occorre, infine, aggiungere che la comunità degli interpreti
ricava costantemente nuove norme da disposizioni costituzionali formalmente invariate, consentendone l’adeguamento ai mutamenti più profondi e radicali della realtà sociale ed economica
(si pensi, per esempio, al nuovo significato che oggi gli interpreti ricavano dal primo comma dell’art. 41 Cost.).
Infine, se è vero che a causa delle lungaggini del procedimento legislativo non è possibile adeguare velocemente la legge
ai mutamenti economici, è però altrettanto vero che ad essa
spetta il fondamentale compito di attuare, integrare, e specificare (quantomeno in prima battuta) i principi della Costituzione
economica.
Innanzitutto, non solo la legge deve essere interpretata in
conformità ed alla luce della Costituzione, ma anche questa deve essere letta alla luce di quella.
L’esegesi evolutiva dell’art. 41 Cost., per esempio, è stata
influenzata dalla formulazione della disciplina antitrust dettata
dalla l. n. 287 del 1990 che, come noto, si autoqualifica (art. 1,
c. 1) come provvedimento di «attuazione dell’articolo 41 della
Costituzione».
La legge integra inoltre i principi costituzionali e può contribuire al loro consolidamento e radicamento nell’ordinamento
giuridico.
Il diritto pubblico dell’economia
31
È questo il caso, per esempio, dell’art. 47 della l. n. 99 del
2009 che ha istituito la “legge annuale per il mercato e la concorrenza”.
La legge in questione ha il fine «di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura
dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di
garantire la tutela dei consumatori».
Entro sessanta giorni dalla data di trasmissione al Governo
della relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza
e del mercato, il Governo, tenendo conto anche delle segnalazioni eventualmente trasmesse dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, presenta alle Camere il disegno di legge
annuale per il mercato e la concorrenza.
Il disegno di legge reca, in distinte sezioni:
a) norme di immediata applicazione, al fine, anche in relazione ai pareri e alle segnalazioni dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, nonché alle indicazioni contenute
nelle relazioni annuali dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e delle altre autorità amministrative indipendenti, di
rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, di promuovere lo
sviluppo della concorrenza, anche con riferimento alle funzioni
pubbliche e ai costi regolatori condizionanti l’esercizio delle attività economiche private, nonché di garantire la tutela dei consumatori;
b) una o più deleghe al Governo per l’emanazione di decreti
legislativi, da adottare non oltre centoventi giorni dalla data di
entrata in vigore della legge;
c) l’autorizzazione all’adozione di regolamenti, decreti ministeriali e altri atti;
d) disposizioni recanti i principi fondamentali nel rispetto
dei quali le regioni e le province autonome esercitano le proprie
competenze normative, quando vengano in rilievo profili attinenti alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’articolo 117, c.
2, lett. e) Cost.
Il Governo allega allo stesso disegno di legge una relazione
di accompagnamento che evidenzia:
32
Capitolo I
a) lo stato di conformità dell’ordinamento interno ai principi
comunitari in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di
concorrenza;
b) lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi per il mercato e la concorrenza, indicando gli effetti
che ne sono derivati per i cittadini, le imprese e la pubblica
amministrazione;
c) l’elenco delle segnalazioni e dei pareri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, indicando gli ambiti in
cui non si è ritenuto opportuno darvi seguito.
3. Regioni e governo pubblico dell’economia
In un contesto come quello attuale, in seno al quale un numero crescente di attribuzioni normative ed amministrative interessanti la sfera economica transitano dagli Stati membri alla
Comunità europea e, più in generale, ad istituzioni sovranazionali, e nel quale appare evidente lo spostamento verso l’alto dei
centri decisionali del governo dell’economia, sembra non residuare alcun ruolo a favore delle entità substatali.
In realtà, ad una più attenta analisi, l’attuale contesto economico globalizzato, lungi dal ridimensionare il ruolo di tali enti, concorre piuttosto alla loro valorizzazione.
Basti pensare alla minore incidenza che ha avuto la globalizzazione sull’economia produttiva52, la cui causa è comunemente
individuata nelle variabili ambientali del vantaggio competitivo,
ossia in quell’eterogeneo e vasto complesso di fattori, accomunati dallo stretto legame con il territorio, che incidono sulla capacità delle imprese di competere nei mercati53.
Alla globalizzazione dei mercati finanziari e del commercio
internazionale si contrappone così la regionalizzazione della
produzione industriale, espressione nella quale sono compendiati i molteplici fattori menzionati, localizzati sul territorio e
condizionanti il vantaggio competitivo delle imprese54.
Il diritto pubblico dell’economia
33
Si parla, a questo proposito, di glocal quale fenomeno, allo
stesso tempo, di globalizzazione dell’economia finanziaria e di
regionalizzazione dell’economia produttiva55.
Il fenomeno è particolarmente evidente in Italia, in ragione
della presenza diffusa nel tessuto produttivo nazionale delle
piccole e medie imprese (p.m.i.) prevalentemente concentrate
nei distretti industriali56.
La globalizzazione inoltre, secondo un punto di vista che va
diffondendosi nelle analisi economiche, non soltanto «non corrisponde all’annullamento dell’importanza dei contesti locali
per il vantaggio competitivo delle imprese, ma al contrario
[concorre] alla loro valorizzazione selettiva»57.
L’eccezionale mobilità dei fattori produttivi indotta dalla
globalizzazione induce i sistemi locali a competere tra loro, allo
scopo di trattenere e attrarre iniziative imprenditoriali e investimenti finanziari, con la conseguenza che alla concorrenza tra
le imprese la globalizzazione ha aggiunto la concorrenza tra ordinamenti giuridici58.
3.1. Le fonti regionali: lo Statuto regionale…
Come noto, nell’esercitare la loro potestà legislativa, le regioni incontrano i limiti del rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e, se del caso, quelli indirettamente derivanti dall’esercizio da parte dello Stato della potestà legislativa esclusiva
nelle materie trasversali59.
A ben vedere però, ai limiti previsti dal primo comma
dell’art. 117 Cost. e a quelli derivanti dalle materie trasversali
di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost., occorre aggiungere
il rispetto dello statuto regionale, fonte primaria dell’ordinamento regionale posta, come tale, al vertice delle fonti regionali60.
Come noto, la l. cost. n. 1 del 1999 ha profondamente innovato la disciplina dell’autonomia statutaria.
La modifica più importante ha riguardato il procedimento di
adozione degli statuti e, in particolare, l’eliminazione della leg-
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Capitolo I
ge statale di approvazione, sicché lo statuto può essere oggi definito come un atto normativo della regione a tutti gli effetti.
A distanza di dieci anni si può ritenere oramai conclusa la
“stagione costituente” dei nuovi statuti regionali.
L’approvazione degli statuti regionali di seconda generazione doveva costituire l’occasione per adeguare le disposizioni
statutarie alle novità introdotte in seno alla Costituzione economica e quindi per ottemperare alla disposizione costituzionale
che impone l’armonia dello statuto con la Costituzione (art.
123, c. 1 Cost.).
Non sembra peraltro che questa occasione sia stata colta dalle regioni.
La maggioranza dei nuovi statuti regionali omette persino la
semplice menzione del mercato e della concorrenza.
Le uniche eccezioni sono rappresentate dagli statuti
dell’Emilia–Romagna, del Lazio e della Toscana: il primo recita
che la regione «promuove politiche e regole che assicurino […]
libera concorrenza nell’economia di mercato»61; il secondo dichiara enfaticamente che la regione «riconosce il mercato e la
concorrenza»62; il terzo, infine, menziona tra le finalità principali della regione la promozione di «un contesto favorevole alla
competitività delle imprese»63.
Solo nel settore dell’informazione si incontrano disposizioni
che impegnano la regione a tutelare e promuovere il pluralismo
degli operatori economici.
Si tratta peraltro di disposizioni finalizzate a promuovere il
pluralismo dell’informazione piuttosto che la concorrenza: lo
Statuto calabrese, ad esempio, indica tra i principi e le finalità
dell’azione regionale «la valorizzazione e la disciplina del sistema locale delle comunicazioni, al fine di garantirne il pluralismo e la concorrenza»64, mentre lo Statuto abruzzese, stabilisce
che «la Regione favorisce e tutela il più ampio pluralismo dei
mezzi di informazione»65.
L’assenza di riferimenti al mercato concorrenziale stride con
l’abbondanza di disposizioni statutarie dedicate ai più disparati
valori sociali: giustizia e solidarietà sociale66; coesione e omo-
Il diritto pubblico dell’economia
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geneità sociale67; utilità, funzione e responsabilità sociale dell’impresa, ecc.68
Costante è l’indicazione, quale compito fondamentale della
regione, della rimozione degli ostacoli di ordine economico e
sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona e la
piena partecipazione dei singoli alla vita politica economica e
sociale69.
Ricco è il catalogo dei diritti sociali: diffuso, ad esempio, è il
riconoscimento del diritto al lavoro70, con formulazioni che
sembrano auspicare un ruolo regionale non solo di promozione,
ma anche di realizzazione diretta della piena occupazione71.
Frequenti sono inoltre le previsioni che impegnano la regione a garantire l’assistenza sociale72, la sicurezza e la protezione
sociale73, il diritto allo studio74, il diritto all’abitazione75, la fruizione dei servizi sociali e sanitari76, ecc.
Nessun limite, di carattere finanziario o procedurale (con la
sola eccezione dello Statuto calabrese), è previsto per la costituzione di enti pubblici economici, ovvero per la partecipazione a
società di capitali ovvero, ancora, per lo svolgimento di attività
imprenditoriali, per non parlare delle disposizioni che auspicano
l’intervento diretto dell’ente regionale nella sfera economica: lo
statuto toscano indica tra le finalità principali della regione «la
valorizzazione della libertà di iniziativa economica pubblica»77;
lo statuto piemontese indica fra i doveri della regione, quello di
«concorrere» all’ampliamento delle attività economiche78.
Palmare è dunque lo squilibrio tra mercato e valori sociali.
Del primo manca finanche la semplice menzione; dei secondi
esistono elencazioni sovrabbondanti.
Tale squilibrio non è attenuato dai frequenti richiami al Trattato CE79.
Le regole comunitarie stabiliscono infatti divieti e obblighi
relativi a comportamenti suscettibili di turbare la concorrenza a
livello comunitario, restando conseguentemente scoperta la realtà economica regionale e locale80.
In conclusione, l’omessa menzione del mercato e della concorrenza in contrapposizione alla sovrabbondanza di riferimenti
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Capitolo I
ai valori sociali non è compatibile con il principio di economia
sociale di mercato.
L’omissione deve ritenersi espressiva di una sintesi assiologica sbilanciata e irragionevole e dunque, come tale, disarmonica rispetto all’assetto stabilito fra mercato e principi sociali dalla Costituzione economica.
Del modello di economia sociale di mercato, gli statuti economici hanno solo recepito l’idea del ruolo sussidiario dei pubblici poteri.
Ciò si desume dai frequenti richiami al principio di sussidiarietà in senso orizzontale81.
Occorre peraltro tenere presente che la polisemia del principio di sussidiarietà in senso orizzontale ne consente interpretazioni molteplici e riduttive e, ciò che più conta, il principio in
questione salvaguarda l’iniziativa economica dei privati imprenditori nei confronti dell’interventismo pubblico (ma ciò non
vale per quegli statuti che prevedono o addirittura auspicano
l’intervento diretto della regione nella sfera economica), ma
nulla prescrive circa la struttura del mercato – monopolio, oligopolio, concorrenza – nel quale devono operare i privati.
Segue… e le leggi regionali
Alle motivazioni di carattere economico che concorrono ad
attribuire alle entità substatali un ruolo importante nel governo
pubblico dell’economia si aggiungono nell’ordinamento italiano
ragioni di natura giuridica.
Il riferimento, com’è facile intuire, è alla l. cost. n. 3 del
2001 e alla riconduzione di numerose materie di contenuto economico alla potestà legislativa residuale e concorrente delle regioni (art. 117, cc. 3 e 4 Cost.).
A queste ultime, per esempio, appartengono: il commercio
con l’estero; il sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
i porti e gli aeroporti civili; le grandi reti di trasporto e di navigazione; l’ordinamento della comunicazione; la produzione, il
Il diritto pubblico dell’economia
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trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; le casse di risparmio, le casse rurali, le aziende di credito a carattere regionale; gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale
(art. 117, c. 3 Cost.).
Il ruolo delle regioni nel governo dell’economia è stato tuttavia notevolmente ridimensionato dalla pronunce della Corte
costituzionale, talune delle quali: 1) riguardano in generale la
potestà legislativa regionale, mentre altre 2) concernono specificamente le attribuzioni legislative delle regioni nelle materie
di contenuto economico.
1) Appartengono al primo gruppo, le sentenze che riguardano: a) l’interpretazione restrittiva del criterio residuale di cui
all’art. 117, c. 4 Cost.; b) l’individuazione di un serie di materie
trasversali di competenza legislativa statale e, infine; c)
l’utilizzazione del principio di sussidiarietà in senso verticale di
cui all’art. 118, c. 1 Cost. per giustificare il trasferimento dei
poteri amministrativi e legislativi in capo allo Stato nelle materie di competenza legislativa, residuale e concorrente, delle regioni.
a) Se la Corte costituzionale ha in un primo momento affermato che dopo la riforma del titolo V della Costituzione la ricostruzione del riparto delle competenze legislative fra lo Stato e
le regioni doveva muovere non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale82, in un secondo
momento, ha rettificato la proprie affermazioni, sottolineando
l’impossibilità di ricondurre un determinato oggetto di disciplina normativa all’ambito di applicazione affidato alla legislazione residuale delle regioni, per il solo fatto che tale oggetto non
sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei
commi secondo e terzo dell’art. 117 Cost.83.
b) La Corte costituzionale ha individuato una serie di materie di tipo trasversale che conferiscono allo Stato il potere di legiferare in qualunque ambito materiale, finanche se di competenza legislativa residuale.
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Capitolo I
Emblematica, sotto questo profilo, è la giurisprudenza costituzionale sulla tutela della concorrenza ex art. 117, c. 2, lett. e)
Cost., la quale, come vedremo in seguito, ha finito per escludere
di fatto qualunque competenza legislativa delle regioni nella
materia de qua.
c) Occorre infine menzionare l’utilizzazione del principio di
sussidiarietà in senso verticale, “in combinato disposto” con il
principio di legalità, per giustificare il trasferimento in capo allo
Stato delle attribuzioni legislative e amministrative nelle materie di competenza legislativa regionale84.
2) Venendo ora alle pronunce del secondo gruppo, se da un
lato, la Corte ha affermato in un primo momento che appartengono alla legislazione residuale delle regioni le materie «la cui
disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico»85,
dall’altro lato, più di recente ha escluso che lo sviluppo economico costituisca una materia riservata alla competenza residuale
delle regioni, essendo piuttosto «una espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia ad una pluralità di
materie»86.
Come che sia, la Corte ha ricondotto, invero in modo non
sempre univoco, alla potestà legislativa residuale le materie:
“industria”87; “artigianato”88; “agricoltura”89; “commercio”90;
“insediamenti produttivi”91; “turismo”92; “istruzione e formazione professionale pubbliche”93; “servizi pubblici locali”94; “trasporti pubblici locali”95.
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