Associazione Diversamente
Il mio intervento vorrebbe innanzitutto presentare l’Associazione di cui sono fondatrice e
presidente. L’ Associazione, sorta nel 2004, lavora a sostegno dei familiari di pazienti psichiatrici
gravi sia in cura che non, fornendo loro un punto di ascolto non connotato professionalmente.
Il tema fondamentale dell’Associazione è l’ascolto che è innanzitutto saper riconoscere l’altro
nella sua legittimità di persona anche se manifesta una “diversità” di comportamenti e
ragionamenti.
Riteniamo che professionisti appassionati al loro lavoro e aggiornati sul piano scientifico,
volontari formati e motivati ad impegnarsi nel percorso, pazienti a cui viene riconosciuta la
propria dignità, e familiari recuperati alla propria umanità ed equilibrio permettono di
costruire, lavorando tutti insieme, la speranza della cura.
I volontari dell’Associazione, nel sostenere il percorso di cura, svolgono funzione di
“mediazione” positiva tra i familiari e la parte curante, grazie all’esperienza, alla conoscenza
delle problematiche e all’alleanza tra i vari soggetti: paziente, curante, familiare, amici.
I professionisti che collaborano con l’Associazione si occupano della parte di counselling
rivolta ai familiari dei pazienti e della parte di formazione rivolta sia ai volontari che
all’utenza intesa sia come familiari che come rete sociale e amicale che circonda il paziente.
Nel caso in cui la situazione non sia ancora seguita da un curante l’invio ai percorsi di cura da
parte dell’Associazione è sempre prioritariamente indirizzato alla struttura pubblica laddove sia
possibile soprattutto nei casi di patologia grave.
A questo scopo l’Associazione lavora in rete con diverse strutture di cura sia pubbliche che private;
si impegna inoltre ad aggiornare e ampliare la conoscenza di strutture e di professionisti per dare
indicazioni verificate e non generiche.
I servizi rivolti all’utenza sono:
 Accoglienza e Analisi della domanda: Attraverso colloqui individuali e di coppia tenuti da
volontari formati alle problematiche, il familiare viene accolto e guidato a formulare con
consapevolezza la sua domanda di bisogno. Il fatto di non essere di fronte a un
professionista ma a persone che in molti casi hanno avuto essi stessi esperienza di disagio
o malattia psichica in famiglia, favorisce l’accoglienza perché la persona non si sente
giudicata. Obiettivo di questa fase è di innestare un rapporto di fiducia e di condivisione per
iniziare un percorso insieme.
Il passo successivo è, a fianco dei colloqui, la formazione e il counselling. Ascoltare, accogliere,
accompagnare sono i pilastri costitutivi dell’Associazione

Formazione: I familiari mediante I corsi annuali sull’ascolto e comunicazione si
rafforzano nella capacità di relazione col malato, imparano essi stessi a reggere l’urto delle
decisioni spesso difficili nei confronti dei propri congiunti e pian piano diventano risorsa nel
percorso di cura soprattutto imparando ad agire correttamente nel sostenere la parte sana
nella quotidianità .

Counselling: Si tratta di un lavoro di counselling psicologico che utilizza il metodo VigorelliEiguer, dunque con un approccio psicoanalitico transgenerazionale, e si svolge a
frequenza quindicinale. È rivolto alle famiglie ed ha lo scopo di intervenire sul sistema
familiare nella sua complessità favorendo innanzi tutto un buon incontro con i Servizi
Territoriali di competenza e in secondo luogo implementando l’efficacia dell’intervento di
cura sul paziente designato lavorando parallelamente con i familiari durante il percorso
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terapeutico. Questo tipo di intervento ha già dato i suoi frutti nell’esperienza degli ultimi due
anni, portando ad un percorso di cura alcuni casi di patologie gravi non trattate.
Obiettivo del lavoro così organizzato, “in alleanza”, è anche la possibilità di condividere
elementi di conoscenza del caso attraverso l’apporto delle varie componenti e di
“integrare“ il percorso di cura cercando di aumentarne l’efficacia .
Come si realizza questa “alleanza”?
L’Associazione aiuta il familiare ad allearsi al percorso di cura del paziente attivando e facilitando
in lui un’esperienza di comprensione e di condivisione.
Il paziente grave spesso è in cura presso uno psichiatra, ha in alcuni casi altri sostegni (psicologo,
educatore, arteterapeuta ecc). L’Associazione mantiene monitorato la corrispondenza del lavoro
tra la parte di presa in carico dai parte dei Servizi Psichiatrici e la parte di altro sostegno, sia
pubblico che privato. Questo ha l’obiettivo di facilitare un passaggio “circolare” sul significato degli
interventi senza comprometterne i diversi piani: l’alleanza terapeutica tra paziente, familiari e
Strutture e senza generare sovrapposizioni, ma con l’intento di valorizzazione e di integrazione dei
vari “saperi“ che emerge dai diversi sguardi sulle persone coinvolte.
Naturalmente questo percorso è lungo da costruire e per niente scontato ma laddove è stato
possibile ha già dato risultati.
Cosa chiede il familiare, cosa chiede la madre del paziente grave, ad esempio di un paziente con
diagnosi borderline?
La madre di cui stiamo parlando chiede innanzi tutto di essere trattata con dignità.
Dopo anni in cui non è stata messa in grado di capire quello che accade nella sua famiglia
l’ascolto, la condivisione e il sostegno offerto alla persona nella sua totalità dai percorsi
dell’Associazione le ha permesso di ricominciare un cammino di ricerca e di cum-prehensione, per
concepire una nuova possibilità per sé e i suoi familiari.
Per quanto riguarda in particolare in un caso di lavoro con la patologia borderline ci è sembrato
proficuo fare emergere come centrale per accendere la comprensibilità di questo tipo di sofferenza
l’ipotesi della connessione tra l’elemento della paura che caratterizza la sintomatologia del
paziente e il terrore trasmesso fin dall’infanzia dallo sguardo della madre. (livello
transgenerazionale).
Riflettendo in équipe con la dottoressa Alessandra Vignali che segue alcuni dei nostri utenti nel
percorso di counselling, abbiamo fatto alcune osservazioni su questa tematica.
Nel caso di patologia borderline l’invischiamento della coppia madre e figlio è molto forte ma è
caratterizzato non da un’estrema fusionalità, come nel caso della psicosi, ma al contrario dalla
paura nei confronti del paziente che corre nell’intero gruppo familiare. Paura spesso ampiamente
esplicitata nella minaccia o nel ricorso alle forze dell’ordine più che all’intervento medico, e altre
volte come coagulata in oggetti concreti o azioni altamente simbolici, come la scelta da parte di
una madre di fare montare un chiavistello alla porta della propria camera da letto per difendersi
anche in quei momenti di riposo in cui si sente esposta agli agiti violenti del figlio.
Ma sarebbe una visione semplicistica del rapporto interpersonale considerare questo terrore a
senso unico, al contrario è proprio il nucleo della relazione a basarsi su di un terrore senza sbocco,
è la madre che, terrorizzata, trasmette al figlio un modello di relazione terrorizzante.
Ritorniamo alla madre che si è rivolta all’Associazione.
Ci riporta un episodio: Al suo rientro a casa stanca dopo la giornata di lavoro trova entrambi i figli
in cucina intenti a preparare una pastasciutta. I suoi figli sono entrambi portatori di patologia grave:
il maggiore è psicotico e il minore borderline. Ci si attenderebbe dalla signora una reazione
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positiva, sia per la vista della capacità di organizzazione e di relazione dimostrate nella vicenda dai
ragazzi, solitamente assolutamente richiedenti e competitivi nei suoi confronti, sia per
l’alleggerimento delle proprie fatiche, lei che è obbligata a fare tutto in casa per i figli che
normalmente si trascurano grandemente.
Ecco che però la madre, agendo un modello di relazione spaventante, aggredisce i figli urlando: la
pasta bolle da troppo tempo e la cucina non è in ordine come lei avrebbe voluto. L’aggressione
verbale trova nei ragazzi risposte immediate e opposte: mentre il figlio psicotico si dissocia
rimanendo immobile ed impotente, il figlio borderline controagisce il proprio spavento tirandole
addosso la pentola piena di acqua e di pasta bollente, per fortuna senza causarle gravi danni.
Il ragazzo non è più in grado di muoversi adeguatamente nella propria realtà, può soltanto agire in
un contesto di terrore ingovernabile e disorganizzato.
È come se la madre avesse una stringente necessità di riportare la relazione col figlio ad un livello
già noto di terrore, come se altrimenti non potesse riconoscerlo.
L’ipotesi dell’approccio transgenerazionale che utilizziamo è che tale terrore venga da modalità di
relazione che hanno caratterizzato le generazioni precedenti la nascita del figlio, che “duplica” per
la madre e per l’intero gruppo familiare una relazione di terrore precedentemente conosciuta e
irrisolta.
In questo caso specifico il lavoro di counselling con la signora l’ha aiutata a fare emergere il ricordo
di un marito, padre dei ragazzi, ormai deceduto da lungo tempo, con problematiche analoghe a
quelle dei figli e che per molti anni ha terrorizzato la famiglia con agiti violenti, abuso di sostanze e
periodi di scompenso psichico.
Se dunque la madre vede nel figlio la duplicazione del marito, ecco che i sentimenti di odio e
terrore presenti nella coppia vengono riversati sul ragazzo attraverso modalità arcaiche di
comunicazione e di trasmissione di emozioni (identificazione proiettiva). Vice versa, questo figlio
che si presenta psichicamente così dentro alla paura e alle questioni della coppia genitoriale non
può che rappresentarne gli aspetti più violenti e disorganizzati, sia nei confronti della madre che
degli altri membri della famiglia.
Da quella che è stata la nostra esperienza con questo tipo di situazioni il lavoro sulle negazioni
genitoriali è molto lungo, anche perché questo tipo di sofferenza presenta periodi in cui sono visibili
notevoli risorse psichiche, oltre che a momenti di crisi che, come già detto, sono spesso confusi
con un’antisocialità da contenere e reprimere. Questa alternanza rende spesso difficoltoso per i
familiari contattarne la grande sofferenza psichica. Nel caso sopra riportato, ad esempio, solo dopo
lunghi mesi di lavoro su se stessa la madre riuscirà a comprendere, a tenere con sé, la sofferenza
del figlio e potrà accoglierne dietro agli aspetti di antisocialità la faccia in ombra, spaventata, che li
accomuna entrambi. Solo allora, dato questo fondamentale movimento psichico della madre ecco
che il figlio potrà muoversi spontaneamente e autonomamente verso il Centro Psicosociale di
riferimento e cominciare un percorso di cura che è tutt’ora in corso.
Come in questo caso il lavoro svolto da DIVERSAMENTE ha portato all’emergere di numerosi altri
casi di patologia grave non ancora in carico ai Servizi Psichiatrici , ha contribuito a riattivare
percorsi di cura che non vedevano più sbocchi ed erano cronicizzati anche a volte da lungo tempo,
ma soprattutto la creazione di alleanze con i familiari, di condivisione e comprensione dei percorsi
terapeutici.
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