trasformatori - fisica e non solo

Liceo scientifico Tecnologico – L.da Vinci LANCIANO
ISTITUTOTECNICO INDUSTRIALESTATALE
LICEO SCIENTIFICO TECNOLOGICO
"LEONARDO DA VINCI" LANCIANO
TESINA DI FISICA
TRASFORMATORI
Alunno: d'Amico Marco
Insegnante: prof. d'Annibale Quintino
CLASSE 5 LT
Marco d’Amico
A.S. 2OO6/2OO7
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TRASFORMATORI
Introduzione
Una notevole distanza spesso intercorre tra il luogo in cui l'energia elettrica viene prodotta (la centrale) e
quello in cui viene utilizzata (case, officine, ecc..). Questo collegamento viene realizzato per mezzo di lunghi cavi, detti
linee di trasmissione, che per quanto costituite da buoni conduttori, trasformano comunque una parte dell'energia
in calore (effetto Joule). Se il valore della corrente alternata circolante lungo le linee fosse elevato, avremmo
potenze perdute non trascurabili, si deve quindi trovare una soluzione che le riduca.
La potenza media Pm, associata al lavoro fatto per spostare un certa quantità di portatori di carica, all'interno di un
materiale conduttore, in un certo tempo, è data dalla legge:
Pm = Vqm Iqm cos Φ (a),
in cui Vqm è la differenza di potenziale quadratica media applicata ai capi del conduttore, Iqm è la corrente
elettrica alternata quadratica media che si instaura al suo interno e cos 0 è il fattore di potenza, che si deve
mantenere il più vicino possibile al valore unitario (cos 0° = 1) . Φ indica la costante di fase, infatti la corrente
potrebbe avere un angolo di fase diverso dalla differenza di potenziale, tale costante quindi dipende dal circuito a
cui il generatore è connesso. Questo significa che, per soddisfare una certa quantità di potenza che serve per un
determinato uso, abbiamo una serie di possibilità, dallo scegliere una corrente I relativamente alta e una differenza di
potenziale V relativamente bassa fino ali' esatto contrario, purché il prodotto Vqm · Iqm dia il risultato
richiesto.
Nei sistemi di distribuzione dell'energia elettrica è però auspicabile, sia per ragioni di sicurezza sia per l'efficienza
dell'impianto, avere a che fare con differenze di potenziali relativamente basse sia nell'impianto di generazione, sia
all'estremità opposta, cioè presso l'utente.
Prendendo in esame la potenza istantanea dovuta alla dissipazione resistiva, la si può scrivere come P = R i2,
considerando però che la corrente elettrica analizzata è alternata, cioè ha intensità che varia nel tempo
sinusoidalmente (come mostrato in figura), cambiando verso 50 volte al secondo (nel caso dell'Italia la frequenza
della rete elettrica è 50 Hz), bisogna esaminare la potenza media con cui viene dissipata l'energia lungo il
conduttore.
Andamento sinusoidale della corrente alternata:
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Studiando la corrente alternata come i - I sin(cog t - 0), dove I è il massimo valore di corrente, generata da una
f.e.m. alternata ^ = ^m sin(cog t) in cui §m è il massimo valore della f.e.m. e cog t è la fase della f.e.m., la potenza
P istantanea sarà data da:
P = R ( I sin (ωg t - Φ))2 = R I2 sin2 (ωg t - Φ). (b)
Ma la potenza, con cui l'energia viene trasferita alla resistenza, che realmente ci interessa è quella media (Pm ) e si
ottiene mediando nel tempo l'equazione (b). Così il valore medio di sin2 θ , considerando un intero periodo, dove θ è
un qualunque angolo variabile, è esattamente un 1/2.
Infatti confrontando i grafici sotto riportati della funzione sin0 e sin2 θ si nota che il valore medio della prima su un
intero periodo è zero, mentre il valore medio della seconda su un periodo è 1/2.
Quindi l'equazione della potenza media sarà:
1
I
Pm = RI2 = R( )2
2
2
La quantità
(
I
2
) è detta valore quadratico medio (Iqm) della corrente i quindi si può scrivere
Pm = R Iqm2. (e)
Si può definire analogamente anche il valore quadratico medio della differenza di potenziale Vqm = Vm A/ 2 e della
f.e.m. ^qm = ^m / ^2 per circuiti a corrente alternata, dove ^m e Vm sono i valori massimi. Si possono allora
scrivere importanti equazioni come
I qm =
ξ qm
Z
(dove Z è l'impedenza che prenderemo meglio in esame successivamente). Combinando questa equazione con la
relazione (e) si può definire ancora Pm come:
 ξ qm
Pm = RI qm 
 Z

R
 = ξ qm I qm   = ξ qm I qm cos Φ
Z 

inoltre considerando un circuito con un carico puramente resistivo la f.e.m. quadratica media £qm è pari alla
differenza di potenziale quadratica media Vqm e quindi si giustifica la relazione (a) inizialmente citata.
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Si può quindi affermare, che nella trasmissione dell'energia elettrica, dalla centrale all'utente, si vuole una
corrente più bassa possibile (e quindi una differenza di potenziale più elevata possibile),così da rendere minime le
perdite di potenza dovute alla dissipazione resistiva nelle linee di trasmissione.
Infatti come si può notare dalla relazione (e) maggiore è la corrente elettrica che attraversa un filo conduttore,
maggiore è l'energia dissipata sottoforma di effetto joule e quindi sottoforma di calore, a causa della resistenza del
materiale stesso.
Da ciò si ricava la regola generale per il trasporto dell'energia elettrica: trasportare con la massima differenza di
potenziale possibile e con la corrente più bassa possibile.
Questa regola porta ad una fondamentale contraddizione, tra la richiesta di un efficiente trasporto ad alta tensione e
la necessità di una bassa tensione di sicurezza alla fase della generazione e del consumo. È necessario quindi
avere un dispositivo con cui si aumenti (per il trasporto) e si diminuisca (per il consumo) la differenza di
potenziale in un circuito, mantenendo il prodotto tensione corrente essenzialmente costante.
Il trasformatore è un dispositivo che permette di fare questo. È una macchina elettrica statica , cioè senza parti in
movimento, per questo presenta rendimenti elevatissimi fino al 99% ed opera secondo il principio di induzione di
Faraday.
Trasformatore di media tensione su palo in una zona rurale. Alla sommità
del palo si vede l'arrivo dei tre fili della media tensione con isolatori in vetro,
appena sotto si vedono gli scaricatori per le sovratensioni di origine
atmosferica, alla cui altezza partono anche due cavi di uscita verso le utenze in
bassa tensione. A sinistra sopra il trasformatore è visibile il serbatoio dell'olio
di raffreddamento.
Accoppiamento mutuo
Per riuscire a comprendere il funzionamento di un trasformatore, bisogna far riferimento alla legge
di induzione di Faraday applicata a due bobine interagenti. Se si avvicinano due bobine, una
corrente alternata i in una bobina 1 da origine ad un flusso magnetico O variabile nel tempo
concatenato con la bobina 2 e quindi compare in quest'ultima una f.e.m. £ , data dalla legge di
faraday
ξ =−
dΦ
dt
Questa f.e.m. indotta produce, nella bobina 2, il passaggio di una corrente, la quale a sua volta
produce un campo magnetico variabile nel tempo, che, proprio perché variabile, genera nel primo
circuito una seconda forza elettromotrice, e così via. Le stesse cose possono essere dette per il
secondo circuito. Si dice che i due circuiti sono mutuamente accoppiati per mezzo del campo di
induzione magnetica.
Analizziamo un po' più quantitativamente la mutua induzione.
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figura 1
figura 2
La figura 1 mostra due bobine circolari con spire adiacenti, una vicina all'altra e con l'asse
coincidente. Nella bobina 1 circola una corrente alternata il, prodotta dal generatore ad essa
collegato. Questa corrente produce un campo magnetico indicato dalle linee Bl in figura. La bobina
2 è connessa a un galvanometro sensibile ma non contiene generatore; un flusso magnetico O21 (il
flusso attraverso la bobina 2 generato dalla corrente nella bobina 1) è concatenato con le sue N2
spire.
Si definisce la mutua induttanza M21 della bobina 2 rispetto alla bobina 1 :
M21=N2Φ21/i1
Confrontando quest'equazione con quella dell'induttanza L = N O / i, possiamo riscrivere la (1) come:
M21 i l =N 2 Φ 2 1 .
Siccome il varia nel tempo, essendo una corrente alternata, si ha:
M21 d i l / d t = N2 dΦ21/dt.
Il secondo membro di questa equazione, per la legge di Faraday, altro non è, a parte la differenza di segno, che la
f.e.m. ^2 che appare nella bobina 2, a causa della variazione di corrente nella bobina 1.
da confrontare con l'equazione dell'autoinduzione all'interno di un'induttanza (ξ = -L di / dt).
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Scambiando ora la bobina 1 con la 2, come in figura 2, si invia una corrente i2 nella bobina 2 con un generatore a
corrente alternata, generando così un flusso magnetico 012 variabile nel tempo, concatenato con la bobina 1. Il
risultato è una f.e.m.
Si può quindi affermare che la f.e.m. in ogni bobina è proporzionale alla rapidità di variazione della corrente nell'altra
bobina. Le costanti di proporzionalità M21 e MI2 sembrano differenti, ma in realtà esse coincidono. Allora si ha
e quindi le f.e.m. ξ1 ed ξ2 si possono riscrivere come:
trasformatore ideale
II trasformatore ideale funziona principalmente come descritto sopra, consiste quindi in due bobine, con un differente
numero di spire, avvolte però attorno ad un nucleo di ferro. Infatti se considerassimo il mutuo accoppiamento
sopraccitato, bisogna affermare che non tutte le linee di campo magnetico prodotte dalla prima bobina (o dalla
seconda) si concatenano con la seconda bobina (o con la prima); alcune saranno "disperse" nel senso che, pur
essendo prodotte da una delle due bobine, non raggiungono l'altra. Ai fini pratici è necessario evitare, o almeno
limitare questa dispersione; pertanto un accoppiamento mutuo non viene realizzato in aria, ma le spire delle bobine
vengono avvolte su un nucleo di ferro, che ha il compito di intrappolare la maggior parte delle linee di campo di
induzione magnetica al suo interno.
I due avvolgimenti vengono, pertanto, realizzati su un materiale ferromagnetico che, a causa della elevata
permeabilità magnetica, riesce a trattenere gran parte del campo B al suo interno. Ritornando al trasformatore ideale,
consideriamo quello mostrato in figura, ricordando che tutti i valori di potenza, di intensità di corrente e di f.e.m che
verranno riportati sono dei valori quadratici medi (anche se non specificato per seguire la pratica convenzionale) per
i motivi precedentemente specificati.
L'avvolgimento primario, di Np spire, è connesso a un generatore di corrente alternata la cui f.e.m. £ è data da:
L'avvolgimento secondario, di Ns spire, è connesso a una resistenza R ma il suo circuito resta aperto finché è
aperto l'interruttore S (come si assume per ora). Così non passa corrente attraverso la bobina secondaria. Si
supporta d'ora in poi che per questo trasformatore ideale le resistenze degli avvolgimenti primario e secondario
siano trascurabili, come pure le perdite di energia dovute all'isteresi magnetica del nucleo di ferro (cioè quella
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resistenza dei materiali ferromagnetici all'applicazione di un campo magnetico esterno). Tali ipotesi sono
ragionevoli in quanto come già detto, se ben progettati, trasformatori ad alta efficienza possono avere perdite
di energia solo dell'1%.
Per le condizioni assunte l'avvolgimento primario è una pura induttanza e la piccola corrente primaria detta
anche corrente di magnetizzazione I.mag, è in ritardo rispetto alla differenza di potenziale Vp, di Ti/2 e quindi
il fattore di potenza cos 0 = cos jr/2= O, e così non si trasferisce energia dal generatore al trasformatore.
Tuttavia la piccola corrente alternata I.mag induce un flusso magnetico alternato OB nel nucleo di ferro. Poiché il
nucleo si estende all'interno dell'avvolgimento secondario, questo flusso indotto passa attraverso le spire
dell'avvolgimento secondario. Per la legge di induzione di Faraday
ξ = -N dΦ(B) / dt
(N = numero di spire), la f.e.m. indotta in ogni spira (ξspira) è la stessa sia nell'avvolgimento primario, sia in
quello secondario. Ancora la differenza di potenziale in ciascun circuito è uguale alla f.e.m. indotta in quel circuito.
Quindi si può scrivere:
ovvero
Se Ns > Np, il trasformatore è detto elevatore, poiché eleva la differenza di potenziale Vp alla più alta Vs, se invece
Np > Ns, il trasformatore è detto riduttore.
Si è finora assunto un circuito secondario aperto così che non vi è passaggio di energia attraverso il trasformatore. Si
chiuda ora l'interruttore S in figura, connettendo così l'avvolgimento secondario con il carico resistivo R. Solitamente
il carico contiene anche elementi induttivi e capacitativi, ma qui ci limitiamo a questo caso particolare.
In questo modo si trasferisce dell'energia dal generatore. Succedono molte cose quando si chiude l'interruttore S;
in primo luogo nel circuito secondario appare una corrente alternata Is, con una corrispondente potenza
quadratica media dissipata R Is2 nel carico resistivo. Questa corrente induce un suo proprio flusso magnetico
alternato nel nucleo di ferro e questo flusso induce (per la legge di Faraday e per la legge di Lenz) una f.e.m.
opposta nell'avvolgimento primario. La differenza di potenziale Vp, del primario, tuttavia, non può cambiare in
seguito a questa f.e.m. che si oppone, poiché deve essere sempre uguale alla f.e.m. £ prodotta dal
generatore; chiudere l'interruttore S non può mutare questa condizione. Per mantenere Vp, il generatore
produce una corrente alternata Ip nel circuito primario, con intensità e fase costanti, proprio del valore necessario per
annullare la f.e.m. opposta generata nell'avvolgimento primario da Is. Siccome la fase costante di Ip non è 90° come
quella di I.mag, questa corrente Ip può trasferire energia al primario. Analizziamo adesso il legame tra Is ed Ip dal
punto di vista del principio di conservazione dell'energia. La potenza con cui il generatore trasporta l'energia
all'avvolgimento primario è Ip Vp.
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Analogamente, la potenza con cui l'energia è trasferita dall'avvolgimento primario al secondario è uguale a Is Vs.
Dato che ipotizziamo di non perdere energia nei trasferimenti, essendo un trasformatore ideale, per il principio
di conservazione dell'energia deve essere:
Da tale equazione potremmo affermare che se il trasformatore è elevatore la corrente nel secondario dovrà diminuire,
mentre se è riduttore la corrente dovrà aumentare. Sostituendo a tale equazione la (2), si ha:
Inoltre da questa relazione si deduce che la corrente Is nel secondario può essere maggiore, minore o uguale a quella
del primario Ip, a seconda del rapporto tra il numero delle spire Np / Ns. La corrente Ip appare nel circuito primario a
causa del carico resistivo R nel secondario. Per trovare Ip, sapendo che Is = Vs / R, si possono utilizzare le equazioni 2
e 3:
Questa equazione ha la forma Ip = Vp / Req, dove la resistenza equivalente Req è:
Req è il valore della resistenza di carico così com'è considerata dal generatore; il generatore produce la
corrente Ip alla tensione Vp come se la resistenza collegata fosse Req.
Adattamento all'impedenza
Nei circuiti a corrente alternata si parla solitamente di impedenza. L'impedenza è una grandezza
fìsica che esprime l'opposizione al passaggio di una corrente alternata.
La resistenza al passaggio delle correnti continue, può essere realizzata in un solo modo e questo è
il compito dei componenti noti come resistenze, che assorbono una certa quantità di potenza che
viene ceduta all'ambiente sottoforma di calore.
Nel caso delle correnti alternate si possono impiegare oltre alle resistenze, altri tipi di "ostacolo"
noti con il nome di reattanze che, a differenza delle prime, hanno la particolarità di non dissipare
potenza, ciò significa che non alterano la potenza elettrica che circola in esse.
L'impedenza, quindi, è il risultato della composizione delle resistenze e delle reattanze e si misura
in Ohm. Esistono due tipi di reattanze: la reattanza induttiva (XI) e la reattanza capacitiva (Xc).
La prima è l'opposizione che una bobina offre alla circolazione di una corrente alternata e il suo
valore dipende dalla pulsazione generatrice a cui si opera (cog) e da un altro fattore che si chiama
induttanza (L = N O / i ) che dipende a sua volta dal numero di spire (N) della bobina e dal
materiale impiegato per il nucleo; il suo valore è dato da:
La seconda è l'opposizione offerta da un condensatore al passaggio di corrente alternata, ed è definita come:
(C è la capacità del condensatore). Si può
quindi definire l'impedenza (Z) come:
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È quindi chiaro che quando la reattanza induttiva è uguale alla reattanza capacitiva, l'impedenza
sarà solo resistiva ed è quello che accade nei circuiti così detti risonanti.
Quando in un circuito a corrente alternata, vengono collegati un generatore ed un generico carico,
bisogna considerare l'impedenza dei singoli componenti, che deve essere per lo più simile.
Se consideriamo ad esempio di voler collegare un altoparlante con un'impedenza da 4 ohm ad un
amplificatore con un'impedenza da 16 ohm, questa condizione è lontana dall'essere verificata,
possedendo l'amplificatore un'elevata impedenza e l'altoparlante una bassa impedenza. Si possono
così adattare le impedenze dei due apparecchi accoppiandoli mediante un trasformatore con un
opportuno rapporto di trasformazione Np / Ns.
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