il marketing internazionale

annuncio pubblicitario
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IL MARKETING INTERNAZIONALE
Sono sempre più numerose le imprese che vanno estendendo la loro attività oltre i
confini nazionali, per poi addirittura divenire vere e proprie imprese multinazionali.
Per la maggior parte delle altre imprese nazionali, il problema non è decidere
se eventualmente ampliare l’attività a livello internazionale, ma piuttosto decidere quando, dove e come tale ampliamento dovrà aver luogo. Negli ultimi 15 anni
si è verificata una considerevole apertura dei mercati mondiali.
Le aziende investono nei Paesi stranieri per le stesse ragioni di base che le inducono a investire nel proprio Paese. Tali ragioni variano, nei fatti, da impresa a
impresa, ma possono essere comunque ricondotte alle due categorie generali di
obiettivi d’attacco e di difesa. Gli obiettivi d’attacco possono consistere in tutte le
attività volte a: (1) aumentare la crescita nel lungo periodo e i profitti futuri; (2)
massimizzare gli incassi complessivi; (3) trarre vantaggio dalle economie di scala; (4) migliorare, in generale, la propria posizione sul mercato. Poiché molti mercati dei Paesi maggiormente industrializzati hanno raggiunto la saturazione, le
aziende di questi Paesi cercano sui mercati stranieri uno sbocco per la loro capacità produttiva in eccesso, cercano nuovi clienti, un aumento dei margini di profitto e, in definitiva, una migliore remunerazione dei loro investimenti.
Per esempio, la possibilità di espandere ulteriormente i punti vendita dei ristoranti McDonald’s è estremamente limitata. Eppure, ogni giorno, soltanto lo 0,5%
della popolazione mondiale visita un ristorante McDonald’s. In effetti negli ultimi anni, dei 50 ristoranti McDonald’s più redditizi, 25 sono situati a Honk Kong
e non negli USA. Per PepsiCo. la situazione è molto simile. La sua divisione ristoranti gestisce oltre 10 000 ristoranti (Kentucky Fried Chicken, Pizza Hut e Taco Bell) all’estero.
Le società multinazionali investono all’estero anche per conseguire degli obiettivi di difesa delle proprie posizioni strategiche; fra questi, i principali sono: (1)
competere con le aziende straniere sul loro stesso territorio; (2) avere accesso a
innovazioni tecnologiche sviluppate in altri Paesi; (3) trarre vantaggio da signifi-
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cative differenze nei costi operativi fra un Paese e l’altro; (4) prevenire, in generale, le mosse delle imprese concorrenti; (5) non essere escluse da mercati futuri
per esservi arrivate troppo tardi.
Dal 1980, la quota del mercato statunitense dei prodotti ad alto contenuto tecnologico in mano a imprese straniere è passata dall’8% a una percentuale superiore al 25%. In settori diversi, come quelli della produzione di utensili elettrici,
trattori, televisori e servizi bancari, le aziende statunitensi hanno perso la posizione dominante che un tempo detenevano. Investendo unicamente nel mercato interno o non essendo disposte ad adattare i loro prodotti ai mercati esteri, le aziende statunitensi sono più esposte alle incursioni delle società straniere. Ha suscitato grande clamore, per esempio, il rifiuto del Giappone di aprire il mercato automobilistico interno alle aziende straniere. È pur vero, d’altra parte, che sul finire
degli anni Novanta la grande maggioranza di auto esportate in Giappone aveva ancora il posto guida sul lato sinistro del veicolo, cioè opposto a quello dove avrebbe dovuto trovarsi per il mercato giapponese.
Anche per quanto riguarda l’Italia la situazione è piuttosto preoccupante, se si
analizza per esempio il settore della distribuzione commerciale si può notare che
delle prime tre insegne nel comparto supermercati-ipermercati ben due sono straniere (Auchan e Carrefour): insieme rappresentano circa il 20% del mercato (il
leader è Coop). Questa presenza è critica anche perché può agevolare lo sviluppo
del mercato per prodotti non italiani, in particolare nel comparto alimentare. Sul
versante bancario, invece, ha fatto scalpore la recente acquisizione di BNL da parte della francese Crédit Agricole, mentre nel settore della telefonia l’italiana Omnitel è stata acquistata dalla britannica Vodafone e Wind dal gruppo egiziano Weather Investments.
Sotto molti punti di vista l’attività di marketing a livello globale e l’attività di
marketing a livello nazionale sono essenzialmente la stessa cosa. Non importa in
quale parte del mondo l’azienda voglia effettuare le vendite, importa invece che
il programma di marketing sia costruito su prodotti o servizi validi, venduti a un
prezzo determinato correttamente in relazione al target di riferimento, adeguatamente sostenuti da attività promozionali e distribuiti in un mercato target accuratamente analizzato. In altre parole, il direttore marketing deve gestire le stesse variabili manageriali sia per la vendita sul territorio nazionale, sia per quella sui mercati internazionali.
Anche se lo sviluppo di un programma di marketing può essere sostanzialmente lo stesso sia per il mercato interno sia per quello estero, in quest’ultimo caso la
sua realizzazione può porre dei problemi particolari, spesso dovuti alle differenze
ambientali che esistono fra i vari Paesi, con le quali il management può avere scarsa familiarità.
Poste queste premesse generali, nel resto del capitolo si esaminerà la gestione
del marketing in un contesto internazionale. Verranno perciò trattate le differenze
fra la gestione dei mercati interni e la gestione dei mercati internazionali, la funzione della ricerca relativa ai mercati internazionali, le strategie di penetrazione
sui mercati internazionali e le possibili strategie di marketing per un’impresa mul-
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Il marketing internazionale
Figura 15.1
Evoluzione delle
quote di mercato
nei settori del
Made in Italy
quote 2005
(prezzi correnti)
Rep.Ceca
Stati
Altri Polonia America
Italia Germania Francia Uniti Cina Asia Ungheria Latina
America Latina
4.6
2.6
1.9
9.9 20.2
8.3
0.2
35.3
Asia
4.6
2.0
2.9
5.6 35.2 31.9
0.1
4.0
Nuovi Paesi UE
13.4
23.9
4.5
0.8
6.6
1.9
13.9
1.1
Resto Europa
20.3
11.1
3.9
2.6 20.9
5.1
5.5
1.8
Europa Occ.
12.0
11.6
8.0
2.4
6.5
4.8
2.7
6.0
2.4
2.4
12.1 20.3 18.1
0.4
5.1
10.9
3.9
7.9
3.0 20.4 18.3
0.6
5.7
Oceania e S. Africa
6.8
4.0
1.8
5.2 27.2 24.1
0.2
4.3
Mondo
9.6
7.7
5.4
5.2 16.5 14.2
3.0
3.9
Nafta
N. Africa e M.O.
3
6.6
Rep.Ceca
variazione quote
Stati
Altri Polonia America
2001-2005
Italia Germania Francia Uniti Cina Asia Ungheria Latina
America Latina
–2.0
0.3
–0.9
–4.0
9.3 –2.4
0.0
1.2
Asia
–0.4
0.3
0.1
–1.7
2.8 –2.7
0.0
1.2
Nuovi Paesi UE
–3.5
–1.4
0.2
–0.3 –0.9 –0.8
4.3
0.3
Resto Europa
–3.1
–2.3
–0.6
–2.0 10.0 –1.7
0.0
0.1
Europa Occ.
–1.3
–0.1
–0.4
–1.0
2.4 –0.9
0.7
–0.1
Nafta
–1.2
0.5
0.1
–1.9
6.8 –4.3
0.1
1.2
N. Africa e M.O.
–1.6
–0.2
–1.8
–2.2
9.1 –5.0
–0.2
1.0
Oceania e S. Africa
–0.5
0.4
0.0
–1.5
6.8 –4.8
0.0
0.1
Mondo
–0.9
0.3
–0.2
–1.7
3.8 –2.7
0.6
0.4
tinazionale. Nel prendere in esame ognuna di queste aree, il filo conduttore è rappresentato dalla conoscenza del contesto culturale locale, che costituisce un presupposto indispensabile per l’ottenimento di buoni risultati.
Effettuando gli opportuni adattamenti, molte imprese possono sviluppare le capacità e le risorse più adeguate per operare sul mercato internazionale. Per esempio, aziende italiane come Benetton, Ferrari, Indesit Company, Technogym o
Geox, effettuano gran parte delle vendite su mercati esteri (si veda anche Figura
15.1).
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Capitolo 15
15.1
Organizzare il marketing internazionale
In rapporto ai problemi con i quali è chiamata a confrontarsi a livello nazionale,
un’azienda che cerchi di organizzare la propria attività di marketing a livello internazionale dovrà affrontare un grado d’incertezza e di rischio molto superiore.
In un mercato estero, solitamente, il management ha meno familiarità con l’insieme delle condizioni culturali, politiche ed economiche. Molte di queste differenze trovano la loro radice nelle situazioni specifiche del Paese estero. In aggiunta a questo tipo di difficoltà, i manager devono poi risolvere i problemi organizzativi legati all’allargamento dell’attività all’estero.
15.1.1
I problemi legati all’entrata sui mercati esteri
Si potrebbero considerare al riguardo molti problemi, ma questo paragrafo si concentrerà in particolare su quelli più ricorrenti in occasione dell’entrata di un’impresa su di un mercato estero.
Le incomprensioni dovute a differenze culturali
Può accadere che i manager dell’impresa male interpretino, o ignorino completamente, le diverse caratteristiche culturali dei Paesi in cui vanno a operare; tali
incomprensioni sono prodotte, in genere, dalla tendenza a considerare i propri
valori culturali e le proprie priorità come una struttura di riferimento universalmente valida e condivisa. Le più comuni differenze riscontrabili tra un Paese e
l’altro sono costituite dal modo in cui le varie culture percepiscono concetti ed
elementi quali il tempo, i modelli di pensiero, lo spazio personale, la proprietà
materiale, i ruoli e i rapporti nell’ambito della famiglia, la realizzazione personale, la competitività, l’individualità, il comportamento sociale ecc.1 Un’altra fonte di frequenti incomprensioni è costituita dal modo in cui i manager percepiscono le persone con le quali stanno trattando gli affari e, conseguentemente, dall’atteggiamento che assumono nei loro confronti. Una sensazione di superiorità
può comportare l’insorgere di problemi nella comunicazione con gli interlocutori commerciali.
I manager dovrebbero sforzarsi d’imparare, di comprendere e di adattarsi alle
norme culturali dei manager o dei clienti con i quali stanno trattando in altre parti del mondo. L’incapacità di operare in tal modo porterà inevitabilmente alla perdita di preziose opportunità commerciali. La Figura 15.2 offre ulteriori esempi di
differenze culturali che possono condurre a problemi di marketing.
1
Per una completa spiegazione concernente le differenze culturali, vedi: Rose Knotts, “CrossCultural Management: Transformations and Adaptations”, Business Horizons, gennaio/febbraio 1989, pp. 29-33.
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Il marketing internazionale
Figura 15.2
Esempi di differenze
culturali che possono
portare a problemi di
marketing. Fonte:
William J. Stanton,
Michael J. Etzel e
Bruce J. Walker,
Fundamentals of
Marketing, XI ed.,
1997, New York,
McGraw-Hill, Inc., p.
544. Riprodotto su
autorizzazione di The
McGraw-Hill
Companies
5
Linguaggio dei gesti
• In Indonesia, stare con le mani sui fianchi è un gesto di sfida.
• Condurre una conversazione tenendo le mani in tasca fa una pessima impressione in Francia, Belgio, Finlandia e Svezia.
• Scuotere la testa da un lato all’altro significa “sì” in Bulgaria e Sri Lanka.
• Incrociare le gambe mostrando le suole delle scarpe all’interlocutore è un vero tabù nei Paesi musulmani; infatti, chiamare una persona “scarpa” in questi Paesi rappresenta un gravissimo insulto.
Contatti fisici
• Dare un colpo affettuoso sulla testa dei bambini è una grave offesa in Tailandia e a Singapore, in quanto il capo è ritenuto sede dell’anima.
• Nelle culture orientali, toccare un’altra persona costituisce un atto di violazione della privacy, mentre nei Paesi arabi e in Europa meridionale è segno di rapporti amichevoli e cordiali.
Puntualità
• In Danimarca o in Cina bisogna essere perfettamente puntuali a una cena.
• Nei Paesi latini il vostro ospite, o il vostro socio in affari, sarà sorpreso di vedervi arrivare
esattamente all’ora convenuta.
Cibo e cucina
• In Norvegia, Malaysia e a Singapore è segno di maleducazione lasciare qualcosa nel piatto.
• In Egitto è segno di maleducazione non lasciare qualcosa nel piatto.
• In Italia e Spagna per cucinare si usa l’olio.
• In Germania e Gran Bretagna si usano il burro e la margarina.
Altre convenzioni sociali
• In Svezia la nudità e una certa libertà sessuale sono normalmente ben accettate, ma viene
disapprovato il vizio del bere.
• In Spagna vi è una forte avversione per l’assicurazione sulla vita. Ricevendo i benefici previsti dalla polizza assicurativa, una vedova ha l’impressione di approfittare della morte del marito.
• Nei Paesi dell’Europa occidentale molti consumatori sono restii ad acquistare qualunque cosa (fatta eccezione per le case) a credito. Anche nel caso dell’acquisto di un’auto, essi preferiscono pagare in contanti.
D’altro canto, se è vero che le differenze culturali sono fonte potenziale di problemi, le imprese non dovrebbero rinunciare ai loro tentativi di penetrazione sui
mercati internazionali solo perché il senso comune suggerisce che, in alcune aree,
determinati prodotti o servizi non avranno successo a causa delle differenze culturali esistenti. Per esempio, la divisione Pepsi di PepsiCo. ha lanciato un’offensiva, costata 500 milioni di dollari, per cercare di conquistare una quota più grossa sul mercato delle bibite in Brasile, mercato dal valore complessivo stimato in
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sei miliardi di dollari.2 Rendendosi conto dei profondi cambiamenti verificatisi in
Brasile nel corso degli ultimi anni, Pepsi ha riposizionato il proprio brand come
“la scelta del nuovo Brasile”. Nelle pubblicità della nuova Pepsi, giovani protagonisti citano i recenti cambiamenti avvenuti nel loro Paese, come la svalutazione
del 1999. Questa campagna adatta al mercato brasiliano il team guida della comunicazione Pepsi su molti mercati: “Pepsi, la scelta della nuova generazione”. Sempre in Brasile l’italiana TIM ha proposta una campagna pubblicitaria ad hoc incentrata sul divo del pallone Ronaldo, che ha portato risultati formidabili in termini di awareness e immagine del brand. Quando è entrata in Polonia, anche Indesit Company ha dovuto rivedere le linee guida della sua comunicazione. In particolare il claim della pubblicità era “we work you play”, un messaggio che si è
rivelato del tutto inadatto (sembrava quasi una presa in giro) per un Paese dove la
disoccupazione si attesta attorno al 20%.
La divisione Frito-Lay di PepsiCo. fornisce un altro esempio di positivo adattamento al sistema culturale di un altro Paese.3 Frito-Lay ha recentemente introdotto sul mercato cinese il suo snack a base di formaggio “Cheetos”. La svolta introdotta da quest’iniziativa sta nel fatto che, poiché i cinesi non sono grandi consumatori di prodotti caseari, i “Cheetos” venduti in Cina non contengono formaggio, ma sono presentati con altri gusti. Non stupisce quindi che, grazie a questi e
ad altri adattamenti – che esprimono la capacità di un’impresa di cogliere i gusti
locali e adattarvisi –, PepsiCo. si collochi fra le più importanti aziende mondiali
del settore alimenti e bevande.
L’instabilità politica
In molti Paesi i governi sono instabili e bisogna perciò prendere in seria considerazione l’eventuale insorgere di conflitti sociali o, talvolta, addirittura di conflitti armati; inoltre, esistono nazioni emergenti che ambiscono a conquistare la
propria indipendenza. Questi e altri problemi possono ostacolare seriamente
l’operato di un’impresa che cerchi di stabilirsi nei mercati esteri. Molte aziende
occidentali, per esempio, hanno dovuto ridurre progressivamente i loro investimenti in Russia a causa, soprattutto, dei seguenti motivi: (1) un ambiente d’affari afflitto dalla dilagante criminalità; (2) delle riforme politiche ostacolate dal
“pasticcio” dell’invasione della Cecenia; (3) un sistema economico in grave difficoltà a causa dell’inflazione galoppante e del rublo in caduta verticale.4 Questo
non vuol dire che investire in Russia sia una scelta sbagliata; significa piuttosto
2
Claudia Penteado, “Pepsi’s Brazil Blitz”, Advertising Age, 16 gennaio 1995, p. 12.
Karen Benezra, “Fritos ‘Round the World’”, Brandweek, 27 marzo 1995, pp. 32-35.
4
Il materiale per questo paragrafo è tratto da: Craig Mellow, “Russia: Making Cash from
Chaos”, Fortune, 17 aprile 1995, pp. 145-151; Peter Galuszka, “And You Think You’ve Got
Tax Problems”, Business Week, 29 maggio 1995, p. 50.
3
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Figura 15.3
Sentimenti
predominanti a
proposito
dell’avvenire in
generale. Fonte:
Osservatorio
Findomestic, 2006.
Entusiasmo
Ottimismo
Rassegnazione Inquietudine
2003 2004 2005 2003 2004 2005 2003
Europa
4
4
Rep. Ceca
2
4
Polonia
2
3
9
9
1
1
Regno Unito
6
9
Slovacchia
29
39
33 29
11
45 40
6
36 38
16
41 39
Rivolta
2005 2003 2004 2005 2003 2004 2005
11
46 31
14
2004
7
41
37
41
14
36
11
10
13
14
6
8
27
8
9
8
36
2
4
37
36
12
12
19
32
3
2
39
43
1
3
5
Russia
8
6
7
31
32 32
19
16
13
27
28
28
11
15
15
Spagna
7
7
9
29
32 29
14
15
16
41
36
38
4
5
4
Germania
2
1
1
38
30 34
12
5
4
23
44
41
19
10
7
Belgio
5
7
4
25
30 29
22
19
17
41
33
42
4
8
5
Francia
6
9
8
25
27 22
10
8
6
45
41
45
11
13
11
2
4
21
23
27
30
16
11
Ungheria
31 25
Italia
3
5
2
25
23 20
13
12
9
56
51
58
3
7
8
Portogallo
6
3
1
18
21 11
4
6
3
63
52
65
7
15
17
che nell’operare in questo Paese bisogna fare molta attenzione e che le aziende
devono rendersi perfettamente conto dei rischi che comporta effettuarvi dei massicci investimenti.
Le restrizioni all’importazione
Dazi, quote all’importazione (contingentamento) e altri tipi di restrizioni possono ostacolare i flussi del commercio internazionale. Tali restrizioni sono solitamente introdotte da quei Paesi che vogliono accrescere la loro autosufficienza o che hanno disegni protezionistici, e possono costituire un enorme impedimento per l’attività in loco delle imprese multinazionali. Per esempio, vari Paesi, fra i quali Corea del Sud, Taiwan, Tailandia e Giappone, hanno introdotto diverse restrizioni sull’importazione di molti beni prodotti in America, come le
apparecchiature per le telecomunicazioni, il riso, i prodotti in legno, le automobili e i prodotti agricoli. In altri casi, gli Stati possono disincentivare l’ingresso di operatori stranieri non tutelando le imprese come comunemente avviene
nei Paesi industrializzati. Per esempio, Chrysler ha rifiutato una proposta d’investimento del valore di miliardi di dollari in Cina, perché si è vista rifiutare
dal governo cinese la tutela dei diritti di protezione sulle proprie conoscenze
tecnologiche.
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Capitolo 15
I controlli sui movimenti di capitali e le limitazioni al controllo societario
Alcune nazioni pongono dei limiti all’ammontare dei redditi e dei capitali, che
possono essere portati fuori dal Paese. Tali controlli sul movimento di capitali sono solitamente adottati da quei Paesi che stanno incontrando problemi con la bilancia dei pagamenti. Inoltre, molte nazioni richiedono che il controllo delle imprese che operano nel loro Paese sia detenuto da investitori del Paese stesso. Questi e altri tipi di restrizioni sul movimento dei capitali, o sul controllo societario,
rappresentano elementi importanti da considerare prima di decidere se espandere
la propria attività in un Paese straniero. Fino a pochi anni fa, per esempio, in India le partecipazioni straniere in imprese locali potevano ammontare a un massimo del 40%. Quando è stata abolita questa restrizione, numerose grandi società
straniere, come Sony, Whirlpool, JVC, Grundig, Panasonic, Kellogg’s, Levi
Strauss, Pizza Hut si sono affrettate a investire in questo mercato.5
Le condizioni economiche
Come osservato in precedenza, le economie nazionali stanno diventando sempre più
strettamente collegate fra loro e i cicli economici tendono a seguire modelli e andamenti del tutto simili. Vi sono tuttavia delle differenze, essenzialmente dovute a
problemi politici o sociali, che possono essere molto importanti nel modificare lo
stato delle condizioni economiche di un dato Paese. Nell’assumere decisioni relative a possibili investimenti all’estero, i manager di marketing devono svolgere delle approfondite analisi sulla fase di sviluppo economico in cui si trova il Paese, sul
potere d’acquisto della popolazione e sulla solidità della sua valuta. Quando è stato firmato l’accordo commerciale Nord americano (NAFTA: North American Free
Trade Agreement), molte aziende statunitensi si sono affrettate a effettuare investimenti in Messico, costruendovi degli impianti produttivi e sistemi distributivi. Tali
società ritenevano che la stipula dell’accordo avrebbe stabilizzato l’economia messicana e, nel lungo periodo, ci sono ottime probabilità che i loro investimenti si rivelino alquanto remunerativi. Per adesso, tuttavia, molte aziende hanno perso milioni di dollari a causa della svalutazione del peso. Il “crollo” della valuta messicana ha indotto il gigante del commercio al dettaglio Wal-Mart a ridurre di un miliardo di dollari gli investimenti previsti per l’apertura di grandi magazzini in Messico.
15.1.2
Organizzare un’impresa multinazionale
Esistono due tipi d’impresa multinazionale: l’impresa multidomestica (multidomestic corporation) e l’impresa globale (global corporation).6 La prima persegue
delle strategie diverse in ognuno dei mercati esteri nei quali opera affrontando ogni
5
Ibidem.
Questo paragrafo è tratto da James F. Bolt, “Global Competitors: Some Criteria for Success”, Business Horizons, gennaio/febbraio 1988, pp. 34-41.
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Paese con una filiale locale, che agisce con relativa autonomia. Tali strategie possono variare per ogni mercato locale, e possono comportare variazioni di prodotto e l’uso di marchi e campagne pubblicitarie differenti. I dirigenti locali dispongono di margini di autorità e potere di controllo sufficienti per prendere le decisioni necessarie, e sono altresì responsabili dei risultati ottenuti.
Di fatto, l’azienda compete in maniera diversa su ogni mercato. Honeywell e
General Motors sono esempi di imprese che hanno usato con successo questo tipo di organizzazione.
L’impresa globale, invece, considera il mondo un unico mercato e utilizza l’insieme delle risorse a propria disposizione per condurre un’efficace attività competitiva sui mercati mondiali, in maniera totalmente integrata. L’impresa globale
fa leva sulle somiglianze culturali tra i diversi mercati nazionali, sui bisogni e le
esigenze universali del consumatore, piuttosto che sulle differenze.
In presenza di valori culturali condivisi, questo genere d’impresa implementa
attività di marketing standardizzate; viceversa, ove sussistano differenze culturali, le medesime attività vengono adattate e modificate opportunamente. Non esiste un metodo unico e definito per organizzare un’impresa globale e, infatti, l’esperienza insegna che solitamente vengono utilizzati tre tipi di strutture possibili: (1)
divisioni mondiali di prodotto, ognuna responsabile della vendita di un dato prodotto in tutto il mondo; (2) divisioni responsabili per la vendita di tutti i prodotti
in una determinata area geografica; (3) un sistema a matrice che combina gli elementi organizzativi precedenti. Molte società multinazionali hanno già strutturato
la loro organizzazione in maniera globale, per esempio: IBM, Caterpillar, Sony,
Ferrari, Samsung e Mitsubishi.
Molte imprese si stanno rendendo conto della necessità di adottare un approccio globale nella gestione della loro attività. Tuttavia, rendersi conto della necessità e realizzare nella pratica un’organizzazione globale sono due cose ben diverse. Per alcune imprese sono le condizioni di settore a imporre l’adozione di una
prospettiva globale. La capacità di sviluppare un approccio effettivamente globale alla gestione delle proprie attività internazionali, tuttavia, dipende largamente
dalle specifiche caratteristiche dell’impresa. La strategia competitiva della globalizzazione è intrinsecamente più rischiosa di una strategia multidomestica o nazionale, perché è difficilmente reversibile.
Nel decidere se globalizzare o no una determinata impresa, i manager dovrebbero innanzitutto studiare le condizioni del loro settore di attività specifico.7
I fattori economici, ambientali, competitivi e le caratteristiche del mercato hanno tutti una certa influenza sui potenziali benefici che si possono ottenere seguendo una strategia di globalizzazione. In termini più concreti, fattori ambientali esterni che possono orientare favorevolmente verso l’adozione di una strategia di globalizzazione sono i fattori di mercato, economici, ambientali e competitivi.
7
Questo paragrafo è basato su: George S. Yip, Pierre M. Loewe e Michael Y. Yoshino, “How
To Take Your Company To the Global Market”, Columbia Journal of World Business, inverno 1988, pp. 37-48.
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Capitolo 15
1. I fattori di mercato. Bisogni di mercato omogenei, una clientela “globale”, l’abbreviazione del ciclo di vita del prodotto, marche e pubblicità facilmente trasferibili; la possibilità di globalizzare i canali di distribuzione.
2. I fattori economici. Sfruttamento di economie di scala produttive e distributive a livello mondiale, forte inclinazione della curva di esperienza, maggiore efficienza degli approvvigionamenti a livello mondiale, elevati costi di sviluppo
di nuovi prodotti e significative differenze dei costi nei Paesi ospitanti.
3. I fattori ambientali. Miglioramento delle comunicazioni, politiche favorevoli
dei governi, crescente velocità dei cambiamenti tecnologici.
4. I fattori competitivi. Interdipendenza competitiva fra Paesi, necessità di prevenire manovre su scala globale di concorrenti.8
Molti dei fattori indicati nella prima parte del capitolo come cause che possono
indurre un’azienda a diventare una multinazionale possono anche essere letti come delle valide ragioni per l’adozione di una prospettiva globale. L’integrazione
dei mercati sta infatti obbligando le aziende che vogliono continuare ad avere successo, non solo a diventare multinazionali, ma anche a farlo in una prospettiva di
globalizzazione. In passato, le aziende potevano scegliere se operare solo sul mercato nazionale o diventare multinazionali grazie al fatto che i due mercati fossero nettamente separati. Oggi non è più così.
Vi sono vari fattori interni che possono facilitare o ostacolare i tentativi di
un’azienda di adottare un approccio globale alle strategie di marketing. Essi sono
la struttura aziendale, i sistemi gestionali, la cultura aziendale e il personale.
1. La struttura aziendale. La facilità o meno di predisporre un modello globale
accentrato e l’assenza di contrasti fra l’organizzazione nazionale madre e le divisioni o le unità operative internazionali.
2. I sistemi gestionali. Le capacità e le disponibilità di risorse per attuare una pianificazione, un budget e un coordinamento su scala globale, assieme alle capacità di svolgere una valutazione delle performance globali e di realizzare piani di remunerazione globali.
3. La cultura aziendale. La capacità di progettare un’identità globale anziché nazionale, un impegno costante e coerente a favore del personale operante in tutti i Paesi, non solo di quello dislocato sul territorio nazionale; la disponibilità
ad accettare l’interdipendenza fra le varie unità di business.
4. Il personale. La disponibilità del personale locale e quella del personale della
sede centrale a intraprendere una carriera in Paesi diversi, a viaggiare frequentemente, ad avere dei superiori gerarchici stranieri.
Nel complesso, la necessità di adottare un approccio multidomestico o globale nell’organizzazione delle attività internazionali dipende soprattutto dalla natura del-
8
Ibidem.
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Il marketing internazionale
11
l’impresa e dei suoi prodotti, dall’ampiezza delle differenze culturali esistenti fra
i mercati esteri e quello nazionale e dalla capacità dell’azienda di adottare una prospettiva globale. Molte grandi marche hanno visto fallire i loro tentativi di globalizzazione. La causa principale di questi fallimenti è stata individuata nell’eccessiva precipitazione nell’esecuzione del processo. Le marche che hanno successo
a livello globale sono, invece, quelle che tengono accuratamente sotto controllo i
loro mercati, impiegando tutto il tempo necessario nello sviluppo delle loro attività estere di marketing e nell’acquisizione di una dimensione globale.
In molti casi, ovviamente, le aziende non adottano un approccio puramente
multidomestico o puramente globale. Viene invece sviluppato un approccio “ibrido”, per mezzo del quale queste marche globali adottano un’immagine comune,
un comune posizionamento strategico e una comune attività pubblicitaria e, in aggiunta, vengono sfruttate le caratteristiche locali. Indipendentemente dall’approccio prescelto, quindi, le capacità gestionali e organizzative in grado di mettere in
evidenza la necessità di un adattamento alle differenze esistenti fra i vari mercati
internazionali sono i fattori chiave perché qualunque tentativo compiuto per posizionarsi sui mercati internazionali possa avere successo nel lungo periodo.
15.2
La programmazione del marketing internazionale
In questo paragrafo verranno esaminati i fattori di maggior rilievo nello sviluppo
dei programmi di marketing internazionale (si veda anche Figura 15.4). Come già
osservato all’inizio, i manager del marketing devono gestire sostanzialmente le
stesse variabili decisionali sui mercati interni e su quelli esteri. Molte aziende che
hanno riportato uno strepitoso successo nel mercato interno statunitense non sono riuscite a ottenere risultati altrettanto buoni sui mercati esteri.
15.2.1
La ricerca internazionale di marketing
A causa dei rischi e delle incertezze legate al marketing internazionale, l’attività
di ricerca è estremamente importante anche per svolgere un’attività sui mercati
esteri, forse addirittura più importante che per i mercati interni. Alcune imprese si
espongono al rischio di subire delle perdite sui mercati internazionali perché non
conoscono a sufficienza tali mercati.9 Esse non sanno come ottenere le informazioni necessarie, oppure ritengono che i costi da sostenere per ottenerle siano troppo alti. Per avere successo, le organizzazioni devono invece dedicare risorse per
raccogliere e analizzare tutte le informazioni pertinenti, sulle quali basare la decisione fondamentale di entrare o meno in un dato mercato, e questo deve avvenire prima ancora di dedicarsi ai problemi trattati dalla ricerca di marketing con9
Il materiale introduttivo sulla ricerca nei Paesi esteri è basato su: Michael R. Czintoka, “Take a Shortcut to Low-Cost Global Rersearch”, Marketing News, 13 marzo 1995, p. 3.
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Capitolo 15
Figura 15.4
Il consumatore
globale:
suggerimenti per la
ricerca di marketing.
Fonte: Dom Del
Prete, “Winning
Strategies Lead to
Global Marketing
Success”, Marketing
News, 18 agosto
1997, pp. 1, 2
Molti produttori di beni di consumo hanno perseguito la propria crescita mediante l’espansione
nei mercati internazionali. Nel caso delle imprese americane, questa appare una strategia corretta, dato che il 95% della popolazione mondiale e i due terzi del potere d’acquisto a essa correlato si trovano localizzati all’esterno degli USA. Questo vale, tuttavia, per le imprese di qualsiasi Paese. Per quanto ampio e ricco possa essere il mercato interno, infatti, una presenza articolata e radicata su più mercati internazionali, offre migliori opportunità di sviluppo e una domanda più stabile. Esattamente come nel caso dei mercati nazionali, le probabilità di successo
nei mercati globali vengono innalzate quando le aziende conducono un’attenta ricerca e analisi del consumatore nei Paesi esteri. Di seguito, alcuni suggerimenti per le aziende che mirano a
implementare con successo una politica d’internazionalizzazione.
• Esaminare le sfumature culturali e le tradizioni del mercato. Assicurarsi che il nome dell’azienda e del brand, tradotti nella lingua locale, abbiano valenza positiva. In caso contrario, considerare la possibilità di utilizzare un’abbreviazione o un nome completamente diverso per
quel mercato. Avvalersi di agenzie di ricerca di marketing o agenzie pubblicitarie con un’approfondita conoscenza della cultura locale.
• Stabilire se il prodotto possa essere esportato nel Paese straniero così com’è o se debba essere modificato per risultare utile e attraente per i consumatori cui è destinato. Inoltre, stabilire le opportune modifiche a confezione ed etichetta perché il prodotto risulti attraente in
quel mercato.
• Esaminare i prezzi dei prodotti simili presenti sul mercato locale. Stabilire l’opportuno prezzo al dettaglio, affinché la sua commercializzazione nell’area risulti redditizia, e verificare se
esista un sufficiente numero di consumatori disposti a pagare tale cifra. Inoltre, stabilire che
cosa quel prodotto ha da offrire per cui i consumatori sarebbero disposti a pagare un prezzo superiore.
• Sulla base della ricerca, decidere se lo Stato o l’area di destinazione richieda una specifica
strategia di marketing, o se la medesima strategia generale possa essere impiegata in tutte
le aree servite.
• Esaminare i modi in cui i consumatori locali acquistano prodotti e se il prodotto dell’azienda si presti a essere efficacemente venduto con lo stesso metodo di distribuzione. Inoltre,
stabilire se un metodo di distribuzione attualmente non impiegato nel Paese possa determinare un vantaggio competitivo per quel prodotto.
• Sottoporre a test preventivi le azioni di comunicazione di marketing integrata nel Paese di
destinazione: non solo per accertarsi che i messaggi siano tradotti correttamente, ma anche
che sottili differenze di significato non creino complicazioni. Inoltre, esaminare l’efficacia delle azioni di comunicazione integrata pianificate.
Per avere successo, la commercializzazione di beni di largo consumo richiede un impegno prolungato, giacché può essere necessario molto tempo per radicarsi in nuovi mercati. Tuttavia, grazie all’evoluzione della tecnologia e allo sviluppo di un’economia globale, le imprese – grandi e
piccole – hanno scoperto che il marketing globale risulta sia praticabile sia redditizio.
venzionale. Al fine di analizzare le caratteristiche dei consumatori e dei mercati
esteri devono essere indagati almeno quattro aspetti: le caratteristiche della popolazione, la capacità d’acquisto, la volontà di effettuare l’acquisto e le differenze
negli obiettivi e nei processi di ricerca.
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Le caratteristiche della popolazione
Le caratteristiche della popolazione costituiscono uno dei più importanti componenti del mercato: esistono, infatti, significative differenze non solo fra un Paese
e l’altro ma anche all’interno dello stesso Paese. Se vi sono dati disponibili, il direttore marketing dovrebbe già avere una buona conoscenza della popolazione e
della sua distribuzione regionale, urbana ed extraurbana. Anche altre variabili demografiche sono molto importanti, come il numero e la dimensione delle famiglie, il livello d’istruzione, l’occupazione e la religione.
In molti mercati queste variabili possono avere un impatto significativo sul successo di un programma di marketing. Negli Stati Uniti, per esempio, un’azienda
che commercializza cosmetici può essere abbastanza sicura del fatto che la popolazione femminile di tutte le classi di reddito sia interessata all’acquisto e all’uso
di questo tipo di articoli. In America Latina, invece, la stessa impresa potrebbe essere obbligata a segmentare il suo mercato in gruppi, sulla base di classi di reddito (alta, media e bassa), oppure in base all’appartenenza ad aree urbane o rurali.
Questo perché il pubblico femminile che dispone di redditi alti sarà interessato a
cosmetici di alta qualità, comunicati tramite veicoli pubblicitari prestigiosi e venduti tramite punti vendita esclusivi; in alcune aree rurali meno sviluppate i cosmetici richiesti saranno invece quelli estremamente economici, mentre in altre ancora il consumo di cosmetici potrà addirittura essere inesistente.
La capacità d’acquisto
Per valutare le reali capacità d’acquisto dei consumatori in un mercato estero si
possono utilizzare quattro principali indicatori: (1) il prodotto interno lordo o il
reddito nazionale pro capite; (2) la distribuzione dei redditi; (3) il tasso di crescita del potere d’acquisto; (4) la consistenza dei finanziamenti al consumo.
Poiché ognuna di queste caratteristiche varia nelle diverse aree geografiche del
mondo, le possibili opportunità di marketing devono essere accuratamente analizzate alla luce di questi fattori.
La volontà di effettuare l’acquisto
L’analisi dell’insieme dei valori culturali che stanno alla base delle motivazioni e
dei comportamenti d’acquisto, degli individui così come delle organizzazioni, rappresenta una premessa indispensabile per la comprensione di un mercato estero.
Qualora vi siano sufficienti dati a disposizione dovrebbero essere analizzati i valori e gli atteggiamenti relativi alla cultura, all’organizzazione sociale, al sentire
religioso, all’estetica e alla lingua, in quanto tali fattori possono avere molta influenza su ogni componente del programma di marketing in modo sia diretto sia
indiretto. È facile rendersi conto che fattori quali i valori del gruppo di riferimen-
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Capitolo 15
to relativi all’acquisto di beni materiali, il ruolo della famiglia, la diversa posizione sociale degli uomini e delle donne e le varie classi d’età e sociali possono avere di fatto un peso notevole sull’attività di marketing, visto che ognuno di essi influenza il comportamento del consumatore.
Sembra che in alcune aree si stia verificando una convergenza di gusti e di abitudini, conseguente alla sempre maggiore integrazione di culture diverse in un unico sistema culturale, omogeneo anche se formalmente diviso dalle frontiere nazionali. È il caso, per esempio, dei Paesi dell’Europa dell’Est, che stanno evolvendo verso un mercato di massa uniformato ai modelli occidentali. Tale situazione,
ovviamente, semplifica il compito dell’operatore di marketing in questi Paesi, poiché si trova ad affrontare contesti in cui le differenze vanno assottigliandosi. Le
differenze culturali, tuttavia, continuano a essere prevalenti in molte parti del mondo e hanno una forte influenza sui comportamenti d’acquisto.
Le imprese dovranno, dunque, effettuare ricerche di base in molti mercati esteri per ottenere informazioni su queste problematiche.
Le differenze negli obiettivi e nei processi di ricerca
Oltre agli elementi citati in precedenza, anche gli obiettivi e i processi associati alla realizzazione di un programma di ricerche di marketing possono variare da Paese a Paese. Molti ricercatori di mercato si avvalgono, infatti, dei dati censuari locali per ottenere delle approfondite informazioni demografiche; è probabile però
che, nel fare questo, il ricercatore incontri svariati tipi di difficoltà, sostanzialmente dovute alla lingua, al contenuto dei dati, al loro aggiornamento e disponibilità.10
1. La lingua. Alcune nazioni pubblicano i loro dati censuari in inglese, altre utilizzano solo la lingua nazionale; altre ancora non dispongono affatto di dati
censuari.
2. Il contenuto dei dati. I dati censuari registrati variano da Paese a Paese e spesso non producono il tipo di dato che interessa ai ricercatori. In molti Paesi, per
esempio, i dati censuari non includono le informazioni relative ai redditi. In altri ancora non è compresa l’indicazione dello stato civile o del livello d’istruzione della popolazione.
3. L’aggiornamento dei dati. Negli Stati Uniti e in Italia il censimento viene effettuato ogni dieci anni, per esempio, mentre in Giappone e in Canada ha luogo ogni cinque. Alcune nazioni del Nord Europa, invece, stanno abbandonando i dati censuari come strumento di raccolta dati e scelgono di avvalersi dei
registri dell’anagrafe per la rilevazione delle nascite, dei decessi, delle variazioni nello stato di famiglia o delle residenze.
10
Donald B. Pittenger, “Gathering Foreign Demographics Is No Easy Task”, Marketing News,
8 gennaio 1990, pp. 23-25.
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4. La disponibilità dei dati. Se un ricercatore richiede dati particolareggiati sui
gruppi familiari dei mercati esteri, il tempo e il costo relativi al loro ottenimento possono essere notevoli. Purtroppo, in molti Paesi non esistono dati censuari, o risultano difficilmente reperibili, mentre altre volte possono essere ottenuti tramite Internet.
15.2.2
La strategia di prodotto per i mercati internazionali
La ricerca di marketing condotta a livello internazionale può aiutare l’azienda a
decidere se nel mercato estero target: (1) esiste un bisogno insoddisfatto per il quale può essere sviluppato un prodotto ad hoc; (2) esiste un bisogno insoddisfatto
per il quale può essere utilizzato un prodotto già venduto sul mercato interno, nella sua versione originale oppure in versione adattata al mercato estero.
In entrambi i casi è necessario pianificare la strategia di prodotto per decidere
se esiste una domanda sufficiente a giustificare l’entrata in un mercato estero e per
determinare il tipo di prodotto da offrire.
La maggior parte delle aziende non penserebbe mai di poter entrare in un qualsiasi mercato nazionale senza prima avere svolto un’adeguata pianificazione del
prodotto. Spesso, tuttavia, le aziende non hanno avuto successo nel farlo. Un esempio di tale situazione è rappresentato dal tentativo, effettuato un po’ di anni fa da
alcuni produttori americani, di esportare frigoriferi sui mercati europei.
Tali imprese avevano cominciato a esportare gli stessi modelli venduti negli
Stati Uniti, che però si sono rivelati, in quel momento, di dimensioni e forme
sbagliate; in alcune aree, addirittura, la gamma di temperature non era quella richiesta.
L’adeguamento del prodotto, tuttavia, non è un’attività così semplice come può
sembrare a prima vista. Anche sul mercato nazionale l’eccessiva varietà di modelli offerti può diluire enormemente le economie di scala, il che si traduce in maggiori costi di produzione che possono rendere proibitivo il prezzo di vendita dei
prodotti adattati per servire adeguatamente ogni segmento di mercato.
Il problema non è sicuramente di facile soluzione. In alcuni casi, la necessità
di apportare dei cambiamenti può non esistere nemmeno o, se esiste, può essere
soddisfatta senza dover sostenere grosse spese. In altri casi, il limitato potenziale
di vendita di un particolare mercato può non giustificare il sostenimento di elevate spese di adattamento del prodotto.
Per fare un esempio, l’ingresso di TIM nel mercato brasiliano nel 1998 ha richiesto un’attenta riformulazione delle politiche di marketing, dovuta prima di tutto alle notevoli differenze in termini di contesto competitivo; in particolare, mentre in Italia l’azienda era leader in un mercato maturo, in Brasile:
• il mercato era in forte crescita;
• c’era elevata concorrenza (Vivo era leader di mercato grazie alla sua capacità
innovativa, Claro era il secondo operatore di mercato, caratterizzato da una ele-
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Capitolo 15
Figura 15.5
La strategia TIM
in Brasile
Alto
Pricing
Basso
Innovazione
Bassa
Alta
vata aggressività tariffaria; Oi si posizionava nel mercato come il più economico tra gli operatori con forte investimenti sul brand);
• non esisteva uno standard tecnologico unico.
La scelta di TIM fu quella di posizionarsi sulla frontiera tecnologica, lanciando i
terminali GSM e attuando in una prima fase un prezzo più basso della media (e
rialzandolo successivamente) come illustrato nella Figura 15.5.
15.2.3
La strategia di distribuzione per i mercati internazionali
Il ruolo della rete di distribuzione nel facilitare il trasferimento dei beni e nel processo di stimolo della domanda è importante per il mercato internazionale quanto lo è per quello nazionale. La Figura 15.6 presenta alcuni dei canali di distribuzione più frequentemente utilizzati nel marketing internazionale. Il continuum spazia da un estremo in cui i produttori hanno un basso controllo sulla distribuzione
a un estremo opposto in cui il controllo del produttore sulla distribuzione è quasi completo.
La struttura del canale che prevede un minor livello di controllo da parte del
produttore è indicata sulla sinistra della Figura 15.6. Si tratta del modello più indiretto di canale di distribuzione. In questo caso i produttori vendono i loro articoli a buyer nazionali che operano per conto di clienti esteri, ad agenti esportatori o ad aziende commerciali che esportano i loro prodotti in altri Paesi. Tale siste-
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Figura 15.6
I canali
comunemente
utilizzati per la
distribuzione
sui mercati
internazionali.
Fonte: riprodotto
da International
Business, di Betty J.
Punnett e David A.
Ricks, p. 257, con
l’autorizzazione
della South-Western
College Publishing.
Copyright © PWSKent Publishing Co.
17
Produttore
Basso controllo
Buyer
locale
Agente
nazionale
esportatore
Medio controllo
Alto controllo
Impresa
commerciale
nazionale
esportatrice
Paese d’origine
Mercato estero
Agente
estero
Distributore
estero
Filiale
estera
Consumatore
estero
ma, in realtà, è il più simile ad alcuni sistemi di vendita nazionali, in quanto tutte le funzioni di marketing sono svolte da intermediari.
I produttori sono più coinvolti direttamente nella distribuzione – e hanno quindi un maggiore potere di controllo – quando si avvalgono di agenti e distributori
situati nel Paese di destinazione. Sia gli agenti sia i distributori svolgono attività
simili; la maggior differenza tra queste due figure consiste nel fatto che gli agenti non acquisiscono la proprietà dei beni distribuiti. Se i produttori svolgono in
proprio le funzioni degli agenti o dei distributori, o sviluppano una propria filiale all’estero, il loro controllo sul sistema di distribuzione internazionale aumenta
in maniera considerevole. L’efficacia del controllo del produttore dipenderà, in
questo caso, dalla sua struttura organizzativa piuttosto che da intermediari indipendenti. Se, come spesso avviene per molti beni di largo consumo, la filiale estera vende i prodotti ad altri intermediari, come grossisti o dettaglianti, i produttori dovranno in parte rinunciare al loro potere di controllo sulla distribuzione finale. Tuttavia, avvalendosi di una filiale in loco, essi avranno maggior probabilità
d’influenzare l’operato degli intermediari. Volkswagen, General Motors, Fiat, Cirio, Parmalat e Procter & Gamble sono esempi di imprese che hanno fatto significativi investimenti per costruire impianti produttivi in Brasile. Grazie a questi
investimenti tali società possono vendere direttamente a commercianti o dettaglianti locali.
La struttura del canale di distribuzione che garantisce il maggior controllo del
produttore su tutto il processo di distribuzione è quella indicata nella parte destra
della Figura 15.6. In questo caso il produttore vende direttamente agli utilizzatori industriali o ai consumatori finali. Benché tale sistema sia prevalentemente utilizzato per la vendita di prodotti ad altre organizzazioni (mercati business-to-bu-
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Capitolo 15
siness), esso è stato adottato con successo anche da aziende che vendono i loro
articoli ai consumatori finali.
15.2.4
La strategia di prezzo per i mercati internazionali
La determinazione dei prezzi per il mercato nazionale non è un compito facile.
Gli orientamenti di base per la determinazione dei prezzi sui mercati internazionali sono, in termini generali, uguali a quelli già trattati nel Capitolo 8. La determinazione dei prezzi sui mercati internazionali, tuttavia, può presentarsi ancora più complessa, giacché possono insorgere ulteriori problemi legati alle tariffe,
alle leggi antidumping, alle tasse, all’inflazione e al tasso di cambio.
I dazi all’importazione rappresentano probabilmente la variabile di maggior peso sul prezzo per il marketing internazionale; essi sono presenti in molti mercati.
Il management deve decidere se il pagamento del dazio dovrà gravare sull’azienda, sul consumatore estero o su entrambi. Queste e altre restrizioni possono indurre l’azienda ad abbandonare una strategia di prezzo altrimenti desiderabile, o possono addirittura costringerla a ritirarsi completamente dal mercato.
Un altro problema legato ai prezzi deriva dalla rigidità delle strutture di prezzo tipiche di alcuni mercati esteri. Molti intermediari esteri non sono aggressivi
nelle loro politiche di prezzo; spesso preferiscono mantenere un alto margine di
profitto unitario a spese del volume di vendita, invece che cercare di sviluppare
un ampio volume di vendite tramite l’adozione di prezzi contenuti e bassi margini di profitto unitario.
15.2.5
La strategia di comunicazione e promozione per i mercati
internazionali
Nell’espansione delle proprie attività nei mercati mondiali, le aziende sanno di dover affrontare la barriera costituita dalle differenze linguistiche e si rendono conto dell’importanza di tradurre correttamente i loro messaggi nella lingua locale.
Vi sono anche molte altre difficoltà che debbono essere affrontate, come la selezione dei veicoli pubblicitari più appropriati e delle agenzie pubblicitarie locali.
La selezione dei media più appropriati sui mercati esteri può presentare molti
problemi. Spesso i media tradizionalmente utilizzati sul mercato nazionale non sono disponibili su quello locale. Nella ex Unione Sovietica, per esempio, le televisioni commerciali a livello nazionale sono una realtà relativamente recente. Peraltro, anche quando i media sono teoricamente disponibili, essi possono, di fatto,
avere una copertura territoriale limitata o possono non essere in grado di raggiungere i potenziali acquirenti. Oltre al problema della disponibilità, altre difficoltà
possono scaturire dalla mancanza di precise informazioni sui media. Non esiste
un servizio che fornisca dati o tassi percentuali di copertura, né esistono elenchi
o annuari relativi ai media disponibili in tutto il mondo.
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Anche quando vi è una certa disponibilità d’informazioni, esse sono spesso di dubbia qualità e attendibilità.
Un’altra importante decisione concernente l’attività comunicativa è costituita
dalla scelta dell’agenzia da utilizzare per la preparazione e la diffusione delle campagne pubblicitarie. Con la crescita delle aziende multinazionali si sono diffuse
anche le agenzie pubblicitarie multinazionali. Fra le 15 agenzie pubblicitarie internazionali più importanti, poco meno della metà è di proprietà statunitense.
Anche in questo settore, alleanze e fusioni hanno stimolato la formazione e
la crescita di agenzie globali. La scelta di un’agenzia pubblicitaria viene effettuata seguendo due linee fondamentali: la prima consiglia di utilizzare un’agenzia locale per ogni area in cui dev’essere diffuso il messaggio pubblicitario. Il
fondamento razionale alla base di questo tipo di scelta è costituito dal fatto che
un’agenzia locale, che si avvale di personale strettamente legato al Paese considerato, ha migliori possibilità di adattare il messaggio pubblicitario alla cultura locale.
La seconda linea prevede l’utilizzazione di un’agenzia multinazionale.
Coca Cola, per esempio, utilizza una sola agenzia per creare i messaggi pubblicitari destinati alle 80 nazioni in cui viene distribuito il suo prodotto Diet Coke.
L’utilizzo di queste cosiddette “superagenzie” sta aumentando (il tasso annuo di
crescita relativo allo scorso decennio è in media del 30%). Servendosi di agenzie
di pubblicità globali le aziende possono conseguire economie di scala e avvalersi
di un generale miglioramento dell’efficienza. Anche le agenzie globali, comunque,
non sono immuni da critiche. Molti dirigenti continuano a ritenere che piccole agenzie locali possano avere, sui mercati emergenti, un approccio più dinamico e creativo di quello delle grandi agenzie globali. Indesit Comany, per esempio, ha individuato per tutti i mercati principali un’agenzia e un communication manager, incaricato di trasferire localmente le strategie di marketing e comunicazione.
Si è discusso molto per capire quale dei due approcci sia migliore e, la conclusione, come spesso avviene in questi casi, è che entrambe le soluzioni appaiono
praticabili con successo, a seconda delle specifiche caratteristiche dell’impresa.
Anche la promozione delle vendite può creare delle opportunità e dei problemi
nello svolgimento delle attività di marketing nei mercati esteri. Le promozioni delle vendite presentano spesso alcune caratteristiche che esercitano un richiamo più
forte di quello esercitato dagli altri elementi del mix di attività promozionali.11
Nei Paesi in cui il tenore di vita è più basso, i consumatori tendono a essere
molto interessati al risparmio che può essere generato da sconti, distribuzione di
campioni o dalla vincita di premi. Le promozioni possono anche essere sfruttate
come strategie per eludere le restrizioni all’attività pubblicitaria introdotte da alcuni Stati esteri e possono, inoltre, costituire un mezzo efficace per raggiungere
le persone che vivono in aree rurali non coperte dai media.
11
Questo esame è basato su: John Burnett, Promotion Management, Boston, Houghton Mifflin Co., 1993, cap. 19.
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Capitolo 15
15.3
Le strategie di entrata e di crescita nei mercati
internazionali
Una delle decisioni più importanti che un’impresa deve affrontare, sia che desideri introdursi in un mercato estero, sia che desideri alimentare la propria crescita in un mercato specifico, consiste nella scelta della strategia più appropriata.
Tale scelta dipende da molti fattori, tra cui l’analisi delle opportunità offerte
dal mercato, le capacità specifiche dell’impresa, la disponibilità dell’impresa nel
suo complesso a farsi coinvolgere e a impegnarsi nelle attività di marketing e il
rischio cui è disposta a esporsi (si veda Figura 15.7).12 Un’azienda può decidere
di: (1) sostenere il minimo investimento possibile, di fondi e di altre risorse non
finanziarie, non impegnandosi a fondo nell’attività di esportazione; (2) sostenere
ingenti investimenti iniziali, sia per quanto riguarda le risorse, sia per quanto riguarda l’impegno gestionale, al fine di acquisire nel lungo periodo una quota sul
mercato estero; (3) adottare una strategia d’impegno incrementale, vale a dire iniziare con un impegno minimo e il minimo livello di rischio, per poi aumentare
gradualmente l’investimento nel corso del tempo. I tre tipi di approccio possono
essere tutti redditizi, a seconda del caso. In generale, l’esperienza insegna che vi
sono sei metodi possibili che l’impresa può utilizzare per entrare sul mercato internazionale e, in seguito, per perseguirvi una politica di crescita.
1. L’esportazione. Il processo di esportazione ha luogo quando un’azienda produce
un bene in un Paese diverso da quello cui il bene è destinato. È il più facile e diffuso approccio che un’azienda possa utilizzare per compiere i primi passi in campo internazionale. L’esportazione ha due distinti vantaggi. Primo, evita il sostenimento dei costi relativi all’installazione di impianti produttivi nel Paese di destinazione; secondo, può facilitare il raggiungimento di economie di localizzazione e di esperienza. Centralizzando la fabbricazione del prodotto in un solo luogo ed esportandolo in altri mercati esteri, l’impresa può riuscire a realizzare delle sostanziali economie di scala. Questo è il metodo che ha permesso alla Sony
di dominare il mercato globale dei televisori. I principali svantaggi legati all’esportazione sono: (1) talvolta, il sostenimento di alti costi; (2) la necessità di pagare
dazi all’importazione o di affrontare altre barriere commerciali non tariffarie; (3)
il trasferimento della gestione del marketing sul prodotto ad agenti che possono
anche non essere del tutto affidabili. Nella Figura 15.8 viene presentata la situazione complessiva degli esportatori italiani nei diversi settori industriali.
2. La concessione di licenze (licensing). Un’azienda può concedere l’utilizzo di
brevetti, marchi di fabbrica e il diritto di utilizzare il proprio know how a de12
Questo paragrafo è basato su: Philippe R. Cateora, International Marketing, VIII ed., Burr
Ridge, IL: Irwin/McGraw-Hill, 1993, pp. 325-334; Charles W.L. Hill, International Business:
Competing in the Global Marketplace, Burr Ridge, IL: Irwin/McGraw-Hill, 1994, pp. 402408; William M. Pride e O.C. Ferrell, Marketing: Concepts and Strategy, IX ed. Boston, MA:
Houghton Mifflin Co., 1995, pp. 11-14.
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Figura 15.7
I criteri di selezione
del Paese per le
aziende che stanno
considerando la
possibilità
d’investire nei Paesi
dell’Europa dell’Est.
Fonte: John A.
Quelch, Erich
Joachimsthaler e
Jose Luis Nueno,
“After the Wall:
Marketing
Guidelines for
Eastern Europe”,
Sloan Management
Review, inverno
1991, p. 85
Le condizioni economiche e politiche complessive
• Qual è la spesa per il debito estero, calcolata in percentuale sui ricavi derivanti dagli scambi con l’estero in valuta pregiata?
• Qual è il tasso d’inflazione? Se esiste un’inflazione galoppante, sono adottate delle politiche
fiscali e monetarie appropriate per tenerla sotto controllo?
• Qual è l’entità delle riserve di materie prime che possono essere convertite in valuta pregiata?
• I sussidi statali, i crediti agevolati e le concessioni fiscali alle imprese pubbliche sono in corso di eliminazione?
• Lo Stato è disposto a vendere agli investitori esteri le proprie partecipazioni azionarie in imprese pubbliche?
• Sta emergendo un mercato finanziario efficiente?
• Quali progressi sono stati conseguiti nell’elaborazione di un diritto societario?
• Il potere politico è centralizzato o frammentato?
• Fino a che punto il progresso verso la democrazia e l’economia di mercato è rapido e sostenibile? Esiste una tradizione storica a sostegno di tale tendenza?
Il clima per gli investimenti stranieri
• Quale percentuale del capitale di una joint venture può essere detenuta dalle aziende estere? È richiesta l’approvazione del governo? In caso affermativo, quanto tempo è necessario
per ottenerla?
• È riconosciuta la proprietà privata?
• Il rispetto dei diritti sui brevetti e le opere dell’ingegno è garantito?
• Gli investitori esteri possono ottenere degli immobili con facilità? Possono essere titolari di
proprietà immobiliari?
• Il capitale inizialmente investito da una società estera può essere mantenuto in valuta pregiata?
• Un investitore estero può vendere la sua quota di partecipazione in una joint venture?
• Può essere utilizzata valuta pregiata per pagare materie prime importate o per rimpatriare i
profitti?
• Qual è l’incidenza della tassazione sui profitti conseguiti dalle imprese?
L’attrattività del mercato
• Qual è il potenziale di vendita del Paese considerato?
• La posizione geografica del Paese e le sue relazioni politiche permettono di utilizzare tale
Paese come trampolino di lancio per raggiungere altri mercati dell’Europa dell’Est?
• Quanto sono sviluppate le competenze gestionali e tecniche?
• Qual è il grado di specializzazione del personale? A quanto ammontano i costi del personale?
• Può essere assicurata una fornitura continuativa delle materie prime necessarie per la produzione?
• Qual è il livello qualitativo delle infrastrutture per i trasporti e le telecomunicazioni?
• I dirigenti occidentali sono disposti a spostarsi nel Paese?
• Fino a che punto i funzionari statali hanno acquisito familiarità con le pratiche commerciali
dell’occidente?
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Capitolo 15
Elettronica
60,0
S. moda: consumo
Tempo libero
S. moda: intermedi
S.casa: beni vari
quota Paesi emergenti (2005, prezzi
correnti)
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S.casa: mobili ed elettr.
45,0
MANUFATTI
Commodity
S.casa:
Interm. metallo beni per edilizia
Elettrotecnica
Alimentare
Auto e moto
30,0
Imballaggi
Interm. chimici
Mecc. strumentale
Mecc. varia
Mezzi trasp.
ind. e agric.
Largo consumo
15,0
Treni, aerei navi
Farmaceutica
La dimensione del cerchio è
direttamente proporzionale alla
crescita del commercio mondiale
nel biennio 2006-2007 (a prezzi costanti)
0,0
0,0
3,0
6,0
quota Italia (2005, prezzi correnti)
9,0
12,0
Figura 15.8 Scenario competitivo per gli esportatori italiani nel biennio 2006-2007. Fonte: ICE 2006
terminate aziende straniere. Questa è la strategia più comunemente utilizzata
dalle piccole e medie imprese; il suo maggiore vantaggio è costituito dal fatto
che l’azienda non deve sobbarcarsi i costi e i rischi legati all’accesso a un mercato estero. Questa opzione è anche molto interessante quando il mercato di destinazione sia poco conosciuto o sia caratterizzato da una forte instabilità politica. I maggiori svantaggi di questo sistema sono: (1) l’azienda non ha uno stretto controllo sulla produzione e sul marketing; (2) esiste il rischio che le tecnologie date in concessione siano sfruttate da altre aziende straniere per proprio
conto. La RCA Corporation, per esempio, in passato ha dato a un certo numero di aziende giapponesi la licenza per utilizzare le proprie tecnologie di produzione di televisori a colori. Le aziende giapponesi, tuttavia, hanno rapidamente assimilato tali tecnologie e le hanno riutilizzate per penetrare, a loro volta, il
mercato statunitense.
3. Il franchising. È simile alla concessione di licenze, ma comporta dei legami più
duraturi. Il franchising è utilizzato più comunemente dalle società di servizi. In
un accordo di franchising la società affiliante vende limitati diritti per lo sfruttamento della propria marca dietro pagamento di una cifra forfettaria e partecipando ai profitti futuri dell’azienda affiliata. A differenza di quanto avviene nel
caso della concessione di licenze, nel franchising l’azienda affiliata accetta di
seguire rigorosamente le procedure operative concordate. Vantaggi e svantaggi
di questa procedura sono analoghi a quelli della concessione di licenze ma, rispetto a queste, lievemente attenuati. In molti casi il franchising permette di realizzare un’efficace miscela tra decisioni centralizzate e decentrate.
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4. La joint venture. Un’azienda può decidere di condividere la gestione con una o
più aziende estere attraverso la creazione di una terza impresa a capitale comune. Le joint venture sono particolarmente diffuse nei settori che richiedono forti investimenti, come la ricerca di gas naturale o la fabbricazione di automobili. Il controllo della joint venture può essere equamente ripartito fra tutte le
aziende partecipanti, oppure può essere accentrato su un partner. Questo sistema garantisce numerosi vantaggi. Primo, permette di avvalersi della perfetta conoscenza dell’ambiente competitivo, della cultura, della lingua, del sistema politico ecc. dei Paesi di residenza dei partner partecipanti al progetto. Secondo,
l’azienda gode del beneficio di condividere con le altre società i costi e/o i rischi legati allo svolgimento dell’attività su un mercato estero. Terzo, in molti
Paesi – a causa di motivi politici – l’unico metodo per introdursi sul mercato
nazionale è rappresentato proprio dalla joint venture. Infine, la joint venture permette all’impresa di avvalersi dei sistemi di distribuzione messi in atto dai partner, delle loro conoscenze tecnologiche e/o delle loro capacità di marketing.
La General Mills, per esempio, si è unita alla CPC International per la realizzazione di un’operazione – denominata “Dessert Partners” – finalizzata allo sviluppo della commercializzazione di prodotti da forno e dolciari in America Latina. La joint venture combina la tecnologia della General Mills, la produzione
dolciaria della Betty Crocker, con le specifiche capacità di marketing e di distribuzione in America Latina della CPC. I principali svantaggi legati alle joint
venture sono: (1) l’azienda rischia di dover cedere il controllo delle proprie conoscenze ai propri partner; (2) l’azienda rischia di perdere, almeno in parte, il
controllo sulla società estera, necessario per i propri obiettivi competitivi.
5. L’alleanza strategica. Alcuni la considerano una forma di joint venture, ma è
preferibile considerarla una forma a sé stante; questo per due motivi. Primo,
un’alleanza strategica è una normale partnership fra due o più aziende che mirano a trarne un vantaggio competitivo nel contesto internazionale anziché a livello nazionale. Secondo, l’alleanza strategica si sviluppa solitamente per un
arco di tempo molto più lungo rispetto alla joint venture. In un rapporto di alleanza strategica i partner condividono gli stessi obiettivi di lungo termine e
s’impegnano reciprocamente a una piena cooperazione. Tali alleanze possono
essere utilizzate per ridurre i costi di produzione, accelerare la diffusione di
nuove tecnologie e lo sviluppo di nuovi prodotti e per superare eventuali ostacoli di natura legale o commerciale.13 Il principale svantaggio connesso a questo tipo di accordi è costituito dalla possibilità che insorgano conflitti competitivi fra i partner.
6. La presenza diretta. Alcune aziende preferiscono entrare o svilupparsi nei mercati prescelti stabilendovi una propria filiale pienamente controllata, o acquistando un’azienda locale. In entrambi i casi l’azienda possiede il 100% del ca-
13
Bruce A. Walters, Steve Peters e Gregory G. Dess, “Strategic Alliances and Joint Ventures: Making Them Work”, Business Horizions, luglio/agosto 1994, pp. 5-10.
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Capitolo 14
pitale. I vantaggi della presenza diretta all’estero sono costituiti dal fatto che
l’impresa ha: (1) il controllo sulle proprie tecnologie e su tutte le operazioni;
(2) un accesso immediato ai mercati esteri; (3) una credibilità immediata sui
mercati quando viene scelto il metodo dell’acquisizione; (4) la possibilità di
utilizzare i propri manager. I principali svantaggi sono ovviamente rappresentati dai costi elevatissimi e dai notevoli rischi associati a questa strategia. Questi problemi possono superare abbondantemente i vantaggi, naturalmente a seconda del Paese considerato.
Per comprendere meglio, proviamo a riassumere un caso concreto di strategia di internazionalizzazione. Fino a un paio di anni fa, l’espansione sui mercati internazionali di Indesit Company (ex Merloni Elettrodomestici) si è basata su un processo
attuato per fasi successive. L’azienda iniziava a operare nel Paese estero con un presenza molto “leggera”, insediando dei propri uffici commerciali in loco: il compito
di questi uffici era quello di facilitare l’attività di export, con tutte quelle attività di
marketing e comunicazione utili per far conoscere ai consumatori e ai distributori i
marchi dell’azienda e la gamma dei prodotti. Successivamente, appena veniva raggiunta una dimensione minima in termini di penetrazione dei canali distributivi e di
fatturato, si operava per rafforzare la rete di assistenza tecnica, attributo indispensabile per potenziare la customer satisfaction dei clienti. Dopo aver raggiunto una presenza radicata in termini commerciali (in genere 5 o 6 anni), avendo costruito una
rete di distribuzione e assistenza sufficientemente ampia, e avendo raggiunto una
consistente quota di mercato, si passava alla terza fase che presupponeva investimenti di tipo produttivo, ossia la realizzazione di impianti industriali. Da quel momento in poi il mercato locale veniva servito con prodotti realizzati in loco (mentre, fino ad allora, tutto arrivava dall’Italia o da altri Paesi). Questo approccio ha funzionato molto bene, sia in Europa Occidentale sia, più di recente, nei Paesi dell’Europa dell’Est dove Indesit Company, prima tra i concorrenti, è riuscita a cavalcare
lo sviluppo economico successivo al crollo del muro di Berlino (si veda Figura 15.9).
Il vantaggio di tale approccio è stato quello di richiedere investimenti abbastanza modesti (nelle fase iniziali sostanzialmente limitati al versante delle risorse umane e alla promozione). Il fattore competitivo era prima di tutto il design e, più in
generale, il concetto del made in Italy, mentre le caratteristiche funzionali e la qualità intrinseca dei prodotti (sulla quale, peraltro, erano fortemente posizionati i
marchi tedeschi) venivano messe in secondo piano.
I successivi investimenti produttivi non venivano quindi pensati nell’ambito di
una strategia di delocalizzazione (tesa sostanzialmente a sfruttare i minori costi
del lavoro), ma semplicemente nell’ottica di aumentare la propria capacità produttiva, considerato che non si riusciva a soddisfare la domanda estera di elettrodomestici utilizzando esclusivamente gli impianti di produzione “domestici”. Inoltre, realizzando gli impianti produttivi dove il mercato si stava sviluppando, si poteva beneficiare di costi di trasporto minori.
Indipendentemente dal metodo selezionato per entrare o per espandersi in un
mercato estero, le imprese devono in ogni caso realizzare una qualche forma d’in-
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Il marketing internazionale
Figura 15.9
Le quote di mercato
Indesit Company in
Europa. Fonte:
Pratesi C.A., “Caso
Indesit Company”,
Premio Philp Morris,
2005
25
> 25%
10%÷25%
5%÷10%
< 5%
tegrazione delle attività. La complessità dello svolgimento di un’attività a livello
mondiale impone che le aziende stabiliscano con precisione delle strategie d’azione. Una delle più importanti decisioni, che in questo ambito deve prendere il direttore marketing, consiste nel decidere fino a che punto gli elementi del marketing mix devono essere adattati al Paese estero nel quale l’azienda ha deciso di
operare. A seconda dell’area geografica considerata e del particolare marketing
mix, possono essere adottati diversi livelli di adattamento o di standardizzazione
degli elementi del marketing mix. Come linea di condotta generale, la standardizzazione di uno o più elementi del marketing mix dipende da molti fattori – elencati di seguito – che, singolarmente o complessivamente, incidono sui processi decisionali delle imprese.14 Essi sono:
• Il metodo della standardizzazione è più efficace quando i mercati sono economicamente simili.
• Quando è la clientela mondiale, e non quella dei singoli Paesi, a costituire la
base per la segmentazione dei mercati, una strategia di standardizzazione è
più efficace.
14
Questo paragrafo è basato su materiale di: Subhash C. Jain, “Standardization of International Marketing Strategy: Some Research Hypotheses”, Journal of Marketing, gennaio 1989,
pp. 70-79.
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Capitolo 14
• Maggiore è la somiglianza dei mercati in termini di comportamento e stili di
vita della clientela, più sarà appropriata una strategia di standardizzazione.
• Maggiore è la compatibilità del prodotto con la cultura dei vari Paesi destinatari, più sarà appropriata una strategia di standardizzazione.
• Quando la posizione competitiva dell’azienda nei diversi mercati appare simile è più utile la standardizzazione.
• Nella competizione con competitori globali, con quote di mercato simili, in diversi Paesi, la standardizzazione è più appropriata rispetto a quando ci si confronta con aziende locali.
• I prodotti destinati alle organizzazioni e quelli ad alto contenuto tecnologico
sono più adatti a una strategia di standardizzazione rispetto ai prodotti destinati ai consumatori.
• Maggiori sono le differenze dell’ambiente fisico, politico e legale del Paese
d’origine rispetto ai Paesi di destinazione dei prodotti, più alto sarà il grado
d’adattamento necessario.
• Più sono simili le infrastrutture di marketing nel Paese d’origine e nei Paesi
di destinazione dei prodotti, più è probabile che la standardizzazione si riveli efficace.
La decisione di standardizzare o di adattare il marketing dovrebbe essere presa solo dopo aver analizzato approfonditamente i prodotti e i mercati. L’obiettivo ultimo dell’impresa marketing oriented è costituito dallo sviluppo, produzione e commercializzazione dei prodotti più adatti ai bisogni effettivi e potenziali dei clienti
locali (ovunque essi siano) e alle condizioni sociali ed economiche del mercato.
Possono però esservi delle sottili differenze nel modo in cui il prodotto è utilizzato nei vari Paesi e nelle aspettative dei rispettivi clienti.
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