Con il patrocinio della Provincia di Ancona Con il patrocinio della Comune di Fabriano Assessorato alla Cultura REGIONE MARCHE X I X S E T T E M B R E O R G A N I S T I C O FA B R I A N E S E Direttore Artistico Paolo Devito Progetto OperAntica L’ A M F I PA R N A S O o Li Disperati contenti (1597) Commedia armonica a 5 voci miste di Orazio Vecchi TEATRO GENTILE - Città di Fabriano Domenica 15 ottobre 2006 - ore 18.00 Capomacchinista Milan Leris Luci Fabio Cherubini Direzione di scena Federica Agostinelli Costumi realizzati dalla Sartoria Teatrale della Compagnia del Sole Organizzazione generale Virgilio Bianconi www.florilegiomusicale.org L’AMFIPARNASO o Li disperati contenti (Venezia, 1597) Commedia armonica a 5 voci miste, complesso di strumenti antichi, Mimi, attori e danzatori. Musica di Horazio Tiberio Vecchi (1550-1605) Si tratta di una successione di azioni concepite nello spirito della commedia dell’arte, slegate l’una dall’altra, anche se i temi sono parzialmente concomitanti. Pantalone, vecchio balbuziente, vuol “farsi” la cortigiana Hortensia, che però rigetta la sua corte. Un altro romantico amore prende vita, quello fra i giovani Lucio e Isabella. Quest’ultima, nelle intenzioni di Pantalone, dovrebbe invece andare sposa allo stagionato e vanesio Dottor Graziano. Isabella è anche oggetto degli spasimi amorosi del capitano spagnolo Cardone, sottilmente ironizzati dalla fanciulla. A complicare l’azione armeggiano i servi Pedrolino, Zanni, Frulla e Francatrippa nonché il banco dei pegni degli Ebrei. Lo scherzo sta per finir male ma un colpo di scena fa giungere al felice matrimonio i due amanti Lucio e Isabella. L’Amfiparnaso, capolavoro della polifonia classica, considerato, impropriamente, uno dei primi esempi dell’opera lirica, si compone di canzonette, balletti, madrigali, dialoghi. Le maschere della Commedia dell’Arte si esprimono in dialetto, gli altri personaggi in un italiano particolarmente colto e levigato. Sembra sicuro che sia stato composto tre anni prima della rappresentazione, cioè nel 1594, e forse eseguito nello stesso periodo, senza forma scenica, a Modena nella Sala Spelta. Vecchi ci avverte che l’opera è uno spettacolo per le orecchie e non per gli occhi, cioè per l’udito e non per la vista. Ma dopo 400 anni, senza offesa per le intenzioni dell’Autore, l’Amfiparnaso merita a buon diritto il dilettevole piacere della scena. L’AMFIPARNASO BY ORAZIO VECCHI The opera is conceived in the spirit of the commedia dell’arte, with scenes detatched from each other, even though the themes are to a large extent interconnected. Pantaleone, a doddering old man, wants to “score” with the courtesan Hortensia, who, however, rejects his advances. Another romantic attachment begins to develop between two young people, Lucio and Isabella. Pantaleone, however, plans to marry off Isabella to the aged Doctor Graziano. She is also the object of the amorous attentions of the Spanish captain, Cardone, though these are subtley mocked by the young girl. To complicate the action, there are the intrigues of the servants Pedrolino, Zanni, Frulla and Francatrippa, and a scene involving a Jewish pawnbrokers. The joke looks like going sour, but a coup de theatre brings the two lovers, Lucio and Isabella, to a happy union. L’Amfiparnaso, considered incorrectly to be one of the first examples of musical drama, is a masterpiece of classical polyphony, consisting of songs, dances, madrigals and dialogue. The masked figures of the Commedia dell’Arte express themselves in dialect, the other characters in a particularly elevated and cultured Italian. It seems certain that the work was composed in 1594, three years before its first performance, and was perhaps presented in non-theatrical form during this period at Modena, in the Sala Spelta. The Panicale production is certainly original (L’Amfiparnaso is normally presented only as a concert, the usual procedure rigidly observing the form of the dramatic madrigal) because it places the vocal and instrumental ensemble in the pit as if it were the orchestra, while the characters, the masked figures, mimes and dancers are presented on stage, with costumes and scenery typical of the late sixteenthcentury theatre. The cast is strongly supported by the presence of the actor Claudio Carini of the Fontemaggiore Teatro d’innovazione, mimes, dancers, the vocal ensenble, Commedia Harmonica, led by Umberto Rinaldi, and the period instrumentalist group, Florilegio Musicale, directed by Gabriella Agosti. The sets are by Donato di Zio, the costumes by Paola Matteucci. The piece is directed by the sensitive Venetian director, Marco Bellussi, who for many years has directed superb operatic productions in the historic Caporali theatre. Note alla Musica L’Amfiparnaso chiude l’epoca d’oro del ‘500 che ha visto nascere illustri Polifonisti e le loro opere, monumenti della Storia della Musica. Il XVI secolo genera infatti una creativa esplosione di musica polifonica che fa da padrona su ogni altro genere di composizione. Così alta perfezione, chiusa ed altera nel suo aristocratico mondo parnassiano, si espanse fino a provocare una implosione. Successe un atteggiamento di rigetto alla polifonia ed i nuovi autori del tempo, alla ricerca di altre frontiere e confortati dal largo successo ottenuto, idearono moduli espressivi dall’architettura musicale più chiara e semplice. Le parti della polifonia gradualmente si dissolsero e modificarono le loro funzioni e il loro carattere: le sezioni vocali sottostanti al cantus furono considerate cioè come accordi a se stanti di accompagnamento strumentale. Nasce dunque la monodia e il teatro musicale, facilmente comprensibile al largo pubblico, in opposizione all’ordito polifonico a più voci, spesso artifizio tecnico ormai desueto. Orazio Vecchi vive l’epilogo del suo tempo e soffre la profonda crisi dei polifonisti ancorati ai moduli compositivi dell’antica scuola. Egli intende difendere e riaffermare la superiorità della polifonia contro il nuovo gusto nascente (il teatro della monodia) cercando con la sua opera di confinarlo nella riduttiva definizione di nuova moda : “purtroppo -egli dice- la commedia è diventata un passatempo licenzioso e buffonesco; ma il genere merita, come specchio dell’humana vita che ha per fine e l’utile e il diletto”. Questa sua commedia, l’Amfiparnaso, collocata fra il Parnaso della poesia e quello della musica, “è nuova -egli afferma- perché concilia e rinnova poesia e musica e azione, drammatica anzi comica e nel senso migliore”. L’Amfiparnaso non arrestò ovviamente il dilagare della nuova musica, comunque elevò il genere del madrigale drammatico cui appartiene ad alte vette. Opera concepita non per essere rappresentata, in effetti contiene in sé una forte proposta scenica nel raffigurare personaggi prepotentemente da palcoscenico, le maschere della commedia dell’arte, autentici prototipi dell’opera buffa, e i due innamorati di stile “larmoyant”, tipici protagonisti del melodramma futuro. L’Amfiparnaso, dunque a ragione, si può considerare un’ opera lirica del nostro primo teatro musicale. La partitura (questa eseguita al Teatro di Panicale segue l’originale conservato presso il Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna) di ardua ed elaborata polifonia è affidata alle 5 voci canoniche del canto, alto, tenore, quinto e basso. Specchio luminoso dell’abilità creativa dell’Autore, mostra un suo limite nel chiedere all’ascoltatore di individuare i protagonisti dell’opera, che dal solo canto prendono vita, attraverso la complessa scrittura armonizzata a 5 voci miste. Al di là delle difficoltà di canto, quello che rende l’Amfiparnaso ancor più impegnativo è saper interpretare i comici personaggi della commedia dell’arte, protagonisti dell’opera, secondo la loro caratterizzazione d’uso: Pantalone, vecchio bizzoso balbuziente; Hortensia, cortigiana di dubbia moralità; i servi Pedrolino, Zanni, Frulla e Francatrippa, pigri, furbi e indolenti; il dottor Graziano, pretendente stagionato e vanesio; il capitan Cardon, tronfio e vuoto soldato spagnolo. Completano Lucio e Isabella, i due innamorati che si esprimono in colto toscano (non nell’oscuro dialetto bolognese o veneto come i precedenti) cui sono dedicati stupendi madrigali amorosi. Per l’originale rappresentazione di Panicale, nella quale i cantanti e gli strumenti posizionati fuori scena, in buca, danno voce ai personaggi ben visibili sul palcoscenico (mimi, danzatori e comparse), si è convenuto adatta una vocalità spontaneamente naturale, a tratti vicina all’emissione popolare “diseducata”, aperta e “di petto”, a garantire una migliore aderenza ai caratteri delle maschere: la balbuzie di Pantalone, la svogliata indolenza dei servi, l’ingenua banalità di Graziano o l’impetuosità del Capitano oppure il canto lamentoso per l’immaginario linguaggio della scena degli Ebrei… Nei madrigali invece, per soli o doppio terzetto e strumenti, in ossequio alla raffinata partitura, si è adottato lo stile ricercato proprio del “recitar cantando” (controllata emissione, suono fermo e contenuto), sicuramente più aderente e attento alla parola poetica. Le 5 voci miste dell’originale sono state in alcune scene trascritte in due terzetti contrapposti, uno formato dalle sezioni maschili (tenore I, tenore II, basso) e l’altro da quelle femminili (soprano I, soprano II, contralto) per far risaltare con maggiore chiarezza dialoghi o personaggi. Completa l’esecuzione il raddoppio delle voci con strumenti d’epoca: violino, flauto, cornetto, trombone, dulciana, viola da gamba, cembalo. A quest’ultimi si devono infine le introduzioni ai tre Atti con musiche coeve al Nostro. Umberto Rinaldi Note di Regia Nel prologo di questa sua Comedia Harmonica, Orazio Vecchi afferma che essa deve passare per le orecchie e non per gli occhi; invita dunque al puro ascolto. La scelta di metterla in scena potrebbe apparire un arbitrio ed un’ inutile bizzarria….ma non è così derivando dall’esigenza di rendere più fruibile la vicenda narrata la quale risulta di difficile comprensione per vari motivi: - perché è formata da tredici scene non sempre consequenziali fra di loro - perché utilizza il linguaggio arcaico ampiamente gergale, tipico della Commedia dell’Arte - perché la struttura compositiva prevede per ogni personaggio non una sola voce ma ben cinque voci armonizzate. La comprensione del testo, soprattutto nel fraseggio dialogato, risulta quindi impervia all’ascolto e la Comedia potrebbe risultare succube dell’Harmonia. Per queste ragioni ho deciso di affiancare una descrizione “visiva” a quella “auditiva”……d’altra parte il Banchieri, coevo del Vecchi, aveva già suggerito a quest’ultimo di affidare a dei mimi la recitazione della vicenda. La regia sceglie dunque di accogliere la proposta del Banchieri: quattro mimi e due danzatori si alterneranno sul palco per descrivere l’amore tormentato di Isabella e Lucio, nonché le rocambolesche peripezie di Pantalone, Cardone, Graziano e dei loro servitori. E sarà una prova complessa perché deve coniugare i ritmi istrioneschi della Commedia dell’Arte con la perfetta aderenza ai tempi che il tessuto musicale impone. Marco Bellussi Note alla Coreografia Trasmettere una storia attraverso il balletto ed il teatro è stata sempre la mia passione. Scegliere il linguaggio è una ricerca personale a cui do un’importanza fondamentale. La Commedia dell’Arte utilizza già delle risorse nuove, come le maschere per esempio. L’Amfiparnaso è quasi contemporaneo al momento storico che riguarda la danza, in cui si comincia a sistemare il metodo e cioè quando vengono pubblicati i primi libri e trattati sul ballo: Orchesographie de Toinot Arbeau (Francia, 1589) o Danceries de Claude Gervaise, (Francia, 1550). In questi testi possiamo osservare per la prima volta danze come la Courante, Bourre, Pavanne, Gaillarde (ancien cinq pas) o la Gavotte, che deriva dell’antico bransle. Oltre questo possiamo vedere, in questi ultimi 30 anni, comincia un movimento dove la danza contemporanea e moderna si fondono col teatro, dando nascita alla danzateatro. Abbiamo esperienze importanti come Pina Bausch a Wuppertal, Lindsay Kemp, etc. dove dal classico si cerca di esprimere attraverso i movimenti anche i sentimenti della storia che si racconta, ad esempio i grandi classici. A volte si può utilizzare anche la voce, ma solo come uno dei tanti strumenti del corpo. La mitologia greca gioca un ruolo importante in questo, sopratutto perchè teatro e danza hanno in comune la ricerca delle origini come base di studio di ogni disciplina. In fine, ma sempre come base, c’è il balletto classico che è il fondamento di tutto. La scelta delle mezze punte per la donna è stata fatta pensando ai costumi e alla eredità della Commedia dell’Arte. Il teatro invece è presente in ogni momento, teatro nel senso di teatralita’ come origine di ogni movimento coreografico. Ed in molti momenti, la teatralita è protagonista soprattutto negli a-solo dei due ballerini, ad esempio nei momenti di solitudine e di reflessione della donna con la sua passione e dell’uomo con i suoi dubbi. Sempre però con l’amore presente che in alcuni momenti diventa dolore. Certi movimenti sono tipici delle danze già famose nei tempi antecedenti all’ Amfiparnaso, invece il leit motiv coreografico è il balletto classico nelle sue forme più pure, soprattutto nel lavoro dei port de bras e nell’utilizzazione di oggetti che caratterizzano il personaggio. Oppure le pirouettes et petits pas de batterie. La purezza del classico è più sviluppata nei Pas de deux, dove la tecnica del balletto tradizionale si vede nella plenitu dell’interpretazione. Penso che quando si parla di un argomento sempre attuale come l’amore in tutti i suoi segreti, dubbi, ed anche pericoli, la danza classica è il linguaggio migliore, perchè permette di esprimere sentimenti e sensazioni dove il tempo storico è soltanto un dettaglio, ma l’essenza dello spirito e l’anima umana è sempre unica, la stessa. Andrea Cabrera Alonso Claudio Carini, narratore Maceratese di nascita e perugino d’adozione, Claudio Carini è socio fondatore della Cooperativa Fontemaggiore di Perugia, Teatro Stabile di Innovazione.Inizia la sua attività di attore di prosa nel 1973, passando poi al professionismo nel 1977.L’attività di attore di prosa si è fin da subito estesa ad altri campi, come l’insegnamento delle tecniche di recitazione nelle scuole di ogni ordine e grado, e la realizzazione di video documentari e d’autore. A partire dagli anni ottanta intraprende una ricerca personale nel campo della “Phonè”, sperimentando una contaminazione sempre più profonda fra teatro, musica e poesia. Partecipa a spettacoli come: “AEIOU” di M.Rita Alessandri (oltre 130 repliche nel circuito nazionale di Teatro Ragazzi), e firma spettacoli e recitals quali: “I fiori del male” da Baudelaire; “Ricordi di viaggio”; “Cinque Corone” dedicato a Knut Hamsun; “La ballata del vecchio marinaio” da Coleridge; “Odissea” da Omero, Recital per voce Recitante, Strumenti a fiato e nastro registrato. Recita in produzioni audio e video, ad uso didattico, testi di Dante, Boccaccio, Tasso, Ariosto, Svevo, D’Annunzio.Nel ’97 dà vita a: “Le parole tra noi leggere” Progetto lettura. Nel 2000 e nel 2001 cura la riduzione e l’adattamento e recita il ruolo del protagonista in: “Molière per per forza” e “Il segreto del Bosco Vecchio”. Nel 2005 recita in “Apologia di Socrate” per la regia di Jurij Ferrini. Come Speaker presta la voce a numerosi documentari sia a livello locale che nazionale. Realizza audiolibri ed audiocassette didattiche. Nel 2004 fonda: Recitar Leggendo Audiolibri, produzione e distribuzione di audiolibri dalla letteratura italiana ed internazionale. Nel 2005, in occasione di Umbria Libri, esegue la lettura integrale della Divina Commedia. Organizza e dirige varie rassegne di lettura ad alta voce come: “Letture all’ombra” per l’estate perugina, e “A voce alta”. Conduce laboratori e scuole di teatro in diverse città. Insieme di voci polifoniche “Commedia Harmonica” Soprani - Bianca Ciancio, Brunella Micciarelli, Giulia Rinaldi, Sonia Rossi, Stefania Cruciani Contralti - Catia Ceccarani, Cristina Lollini, Fabiana Cruciani Tenori - Michele Capece, Luca Fucchi, Andrea Mattielli, Vincenzo Schiantella Bassi - Francesco Antonini, Marco Buzzao, Francesco Pecetta Mastrocantore - Umberto Rinaldi È un insieme di voci polifoniche coltivate fin dalla tenera età all’amore per il canto, nel fervore musicale attorno agli ambienti corali della città di Assisi, particolarmente dediti alla studio e all’esecuzione del repertorio antico, dal gregoriano alla polifonia classica. Legati dall’amichevole diletto di far musica e da un uguale sentire e vivere il canto, Commedia Harmonica riunisce dilettanti e professionisti, quest’ultimi attivi anche nel campo solistico. L’Insieme Musicale Vocale Commedia Harmonica esegue un vasto repertorio, dalle origini gregoriane ai nostri giorni, e si propone in particolare di ripercorrere le composizioni degli autori del ‘500, dal madrigale alle cosiddette forme minori, quali la frottola, la villanella, la villotta, presentate in una esecuzione non rigidamente o tradizionalmente concertistica, bensì con una proposta vicina alla antica sensibilità rinascimentale: la musica vista (o meglio ascoltata) in simbiosi con altre espressioni artistiche quali la poesia, la letteratura, il teatro, la danza. L’Insieme Musicale Vocale Commedia Harmonica, oltre all’esperienze concertistiche, ha collaborato ultimamente, insieme al Teatro Stabile di Innovazione Fontemaggiore, alla produzione di vari spettacoli teatrali all’interno della programmazione culturale della Provincia di Perugia. Con un omaggio, anche in questo caso, all’antica tradizione corale, Commedia Harmonica non ha un direttore nel senso usuale del termine, ma si avvale, per la conduzione, della capacità artistica dei suoi componenti professionisti in veste di mastricantori, primo fra tutti Umberto Rinaldi. Umberto Rinaldi, mastrocantore Puro solista nel Coro della Cattedrale di Assisi, è ben presto intrappolato dalla musica. L’itinerario da cantante è quindi segnato: studi al Conservatorio di Perugia… concerti… opera lirica… tournées…. Esperienze artistiche varie e diverse nel vasto repertorio della musica, dalla origini ai nostri giorni, fino ad approdare, mastrocantore, alla conduzione corale nonché alla regia del teatro di prosa e lirico. Dopo tanta e poliedrica attività professionale, oggi Umberto Rinaldi ama definirsi dilettante di musica, poiché ha raggiunto il privilegio, afferma, di saper lavorare divertendosi. Insieme di strumenti antichi “Florilegio Musicale” Violino – Anna Maria Bianconi Flauto dolce – Monika Schlierf Cornetto - Alberto Rossi Viola da gamba - Francesca Chiocci Trombone - Luigi Germini Dulciana - Gaetano Conte Percussioni- Massimiliano Dragoni Maestro al cembalo - Gabriella Agosti Sorto nel 1982 per iniziativa di Gabriella Agosti, il Florilegio Musicale affronta prevalentemente il repertorio barocco, attraverso lo studio della prassi esecutiva e la ricerca delle sonorità originali. In varie formazioni, il complesso ha eseguito apprezzati concerti in festival e rassegne in Italia, Austria, Germania, Francia, Etiopia, e Spagna, dove ha partecipato, fra l’altro, al “Festival di Arte Sacra” di Madrid. Nel 2000, quattrocentenario della prima esecuzione, ha eseguito, unica rappresentazione in forma scenica in Italia, la “Rappresentazione di Anima et di Corpo” di E. De’ Cavalieri per il Festival “Terra di Teatri”, prodotto da Macerata Opera-Arena Sferisterio. Nel 2002 ha partecipato, con due originali programmi di teatro-musica, al Festival Barocco di Viterbo. Nel 2003 ha partecipato al festival Internazionale “Sagra Musicale Umbra”, eseguendo musiche vocali sacre dal Medioevo al contemporaneo nell’opera di danza a cappella “ COR”, in collaborazione con la Compagnia di danza O.P.L.A.S. Dal 1995 cura la direzione artistica del Festival di Musica e delle Arti “Quodlibet” presso il castello dei Conti Guidi a Poppi (AR), dal 1997 i concerti de “La Madre Badessa di Monte” a Monte San Savino (AR) e dal 2004 collabora col Comune di Fabriano (AN) nell’organizzazione del “Settembre Organistico Fabrianese”. I suoi componenti collaborano stabilmente con importanti direttori e complessi prestigiosi in Italia ed Europa ed eseguono i propri concerti su strumenti originali o copie. Il complesso si dedica attualmente all’esecuzione di musica e poesia o prosa collaborando, fra gli altri, con gli attori Elio Pandolfi, Carlo Monni, Daniela Poggi e Raoul Grassilli. Gabriella Agosti, maestro al cembalo È nata a Roma dove ha studiato Composizione, Strumenti a Percussione, Musica Corale e Direzione di Coro al Conservatorio Santa Cecilia, sotto la guida dei Maestri L.A. Gigante, G. Marinuzzi jr., L. Torrebruno, V. Tosatti, D. Bartolucci e G. Piccillo. È autrice di musica cameristica e annovera una vasta esperienza nell’esecuzione della musica contemporanea. Si è esibita con i Percussionisti Romani e Le Nuove Percussioni, ed ha collaborato in importanti produzioni dell’Accademia Filarmonica Romana e dell’ Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. In seguito ha studiato la prassi esecutiva del basso continuo, seguendo corsi e seminari in Austria ed Italia con H. Tachezi, R. Kohnen, J. Christensen, A. Fedi e B. Sachs, e di direzione di coro con F. Corti e R. Gabbiani. Nel 1982 ha costituito il “Florilegio Musicale” che ha un repertorio che spazia dalla musica antica ai nostri giorni e con cui ha eseguito concerti per istituzioni concertistiche, festival e rassegne in Italia, Austria, Germania, Francia e Stati Africani, riscuotendo ovunque unanimi consensi. Ha inoltre registrato per emittenti radiotelevisive in Italia e Germania. Ha eseguito concerti in varie formazioni con strumenti originali con la Camerata Strumentale Romana, il Semperconsort, Orpherion, l’Orchestra da Camera di Città del Messico, l’Accademia degli Unisoni, il Consortium Carissimi, l’Orchestra da camera del Conservatorio di Perugia, l’Accademia della Libellula, l’Orchestra Galileo di Fiesole, l’Orchestra della Stagione Armonica. È fondatrice e direttore dell’insieme vocale “Cantoria Florilegio” con cui ha partecipato ad una tourneé nelle cattedrali e nei teatri della Spagna, al Festival di Arte Sacra di Madrid e nel 2003 al Festival Sagra Musicale Umbra, eseguendo l’opera originale per danza a cappella COR in collaborazione con OPLAS Teatro Danza. Dal 1998 al 2000 è stata direttrice musicale e artistica del Gruppo Polifonico “ F. Coradini” di Arezzo, con cui ha seguito numerosi concerti, partecipando fra l’altro alla “Sagra Musicale Umbra” del 1999, al Festival Internazionale “Jazz e Image” di Roma, alla prima esecuzione della Cantata di A. Braga “Bendita seas America!”, su testo di Sua Santità Giovanni Paolo II per il “Faro a Colon”, eseguita a Roma in occasione del Giubileo delle Americhe, la “Messa da Requiem” di Mozart con l’Orchestra Sinfonica di Perugia e dell’Umbria diretta da Giuliano Silveri. Da alcuni anni collabora in spettacoli di musica e teatro collaborando, fra gli altri, con gli attori Elio Pandolfi, Carlo Monni, Daniela Poggi, Emilio Bonucci, Giuliano Chiarello, Raoul Grassilli. È direttore artistico di “Quodlibet”, festival di Musica e delle Arti, che si svolge a Poppi (AR) e dal 2004 si occupa del coordinamento artistico del “Settembre Organistico Fabrianese”. Recentemente ha costituito assieme a cinque musiciste toscane il complesso “Musa Ludens”, che esegue un repertorio dal serio al giocoso, dall’antico al moderno e popolare con voci, strumenti ad arco, tastiere e percussioni. Ha inciso per l’etichetta Bongiovanni “La clemenza di Tito”di Antonio Caldara con l’Orchestra della Stagione Armonica diretta da Sergio Balestracci, in prima esecuzione in tempi moderni. È titolare della cattedra di Musica Corale e Direzione di Coro presso il Conservatorio di musica di Perugia dal 1984, dove insegna inoltre Basso continuo e Contrappunto storico. Marco Bellussi, regista Nato a Venezia, consegue la laurea in giurisprudenza presso l’Ateneo di Parma. Inizia la attività teatrale collaborando in qualità di assistente alla regia, con alcuni registi fra i quali Vera Bertinetti, Mario Corradi, Enzo Dara…. Debutta nel 1995 firmando la regia de “La Serva Padrona” di Pergolesi presso l’Auditorium S. Margherita in Venezia; da allora ha collaborato con numerosi teatri ed associazioni musicali quali il Gran Teatro La Fenice, il Teatro Comunale di Treviso l’Auditorium Comunale di Belluno, Il Festival Galuppi di Venezia, il Conservatorio Monteverdi di Bolzano, Il Forum di Bressanone, il Festival Cimarosa ad Aversa, La Sagra Musicale Umbra, l’Auditorium di Tubingen, gli Amici della musica di Mestre, il Teatro Principal de Vitoria (Spagna), il Teatro Isabel La Cattolica de Granada (Spagna), JPAS Theatre di New Orleans (USA). Tra le opere che ha in repertorio citiamo “Il Ballo delle Ingrate” e “Il combatimento di Tancredi e Clorinda” di Monteverdi, “Dido and Aeneas” di Purcell, “Tamerlano” di Handel, “Bacocco e Serpilla” di Orlandini, “Il Pimpinone” di Albinoni, “La Dirindina” di Scarlatti, “L’Uccellatrice” di Jiommelli, La Fida Ninfa di Vivaldi, “Il Filosofo di Campagna” di Galuppi, “Il Matrimonio segreto” di Cimarosa, il “Flauto Magico” e “Così fan tutte”di Mozart, “L’elisir d’amore” di Donizetti, “La Forza del Destino” di Verdi, “Il Pipistrello” di Strauss,”Il Segreto di Susanna” di Wolf Ferrari. È inoltre autore di un progetto di messa in scena de “Il Castello del principe Barbablù” di Bartók, presentato presso l’Ateneo Veneto di Venezia e, successivamente, pubblicato. I suoi allestimenti hanno sempre ottenuto entusiastica accoglienza da parte del pubblico nonché ottime recensioni da parte della critica. L’AMFIPARNASO o Li Disperati contenti (Venezia, 1597) musica e testo di Horazio Tiberio Vecchi (1550-1605) testo ispirato da Giulio Cesare Croce (1550-1609) Personaggi PROLOGO, Narratore (inizio e in apertura d’ogni scena) PANTALONE, vecchio balbuziente PEDROLIN, suo servo HORTENSIA, cortigiana IL DOTTOR GRATIANO LUCIO, giovane innamorato CAPITAN CARDON, spagnolo ZANE BERGAMASCO ISABELLA, giovane amata di Lucio FRULLA, servo di Lucio FRANCATRIPPA, servo di Pantalone HEBREI DI CASA Prologo CORO: Benché siat’usi, o spettatori illustri, solo di contemplar tragici aspetti o comici apparati in varie guise ornati, voi però non sdegnate questa commedia nostra, se non di ricca e vaga scena adorna, almen di doppia novità composta. E la città dove si rappresenta quest’opra, è ‘l gran teatro del mondo, perché ognun desìa d’udirla: ma voi sappiat’intanto che questo di cui parlo spettacolo si mira con la mente, dov’entra per le orecchie e non per gl’occhi. Però silentio fate, e’nvece di vedere hor’ascoltate. Atto primo, scena prima: Pantalone, Pedrolino, Hortensia “E’ preso Pantalon de la bellezza D’Hortensia cortigiana; ma l’ingrata Punto non cura esser da un vecchio amata” (Pantalone) O Pierulin dov’estu? Dov’estu Pierulin? (Pedrolino) Messir non poss vegnì, cha su in cusina, (Pant) Ah! Laro, ah ca, che fastu là in cusina? (Pedr) A m’imp’u’lgargatù de cert cotai, cha canta tucch’u’l dì: Pipiripì, cucurucù. (pant) Ah bestia, ti vuol dir e Galett’e Pizzon’; hor su vienfora! (Pedr) Chem’comandef, messir Piantalimù? (Pant) Sì pianta rave e no pianta limon. Su chiama Hortensia, pezzo de poltron. (Pedr) Hortensia! Hortensia! (Pant) Che disela? (Pedr) La dis’ ch’andè in bon’hora. (Pant) Ah porco, aspetta che la chiama mi! Hortensia! Hortensia! Horte-ne ne ne ne ne nesia! (Hortensia) E chi è quell’importun che chiama Hortensia? (Pant) Un vostro servitor. (Hort) Che servitore? Vattene in mal’hora. Vecchiaccio rimbambito! Credi ch’io sia una Donna da partito? (Pant) Pian pian, cara Madonna! Voleu che ve diga una parola sol da vu a mi? (Hort) No ch’io non voglio no, s’io ‘lso? Flo flo flo…. Mira che garbo, mira che fusto, Havrei ben gusto, flo flo flo flo… (Coro) O povero Pantalon, ah donna ingrata! Quando po ti vorrà mi no vorrò! scena seconda: Lucio e Isabella “Lucio non è sicur che la sua Isabella L’ami, e dal don ch’ella gli die’ d’un fiore Geloso, egli argomenta poco amore” (Lucio) Che volete voi dir, anima mia, col don di quel Narciso che morì troppo amando il suo bel viso? Che sol io son amante Del mio (qual dite voi) divin sembiante. Ma non vi punge il core L’esempio di quel fiore? Di Narciso la dura e cruda sorte? Amate altrui, ché l’amor proprio è morte. scena terza: Graziano e Pantalone “Promette Pantalon di dar sua figlia Al dottore, e di lui (qual rozzo) prende Piacer, che mai risponde, e peggio intende” (Graziano) Hor per vegnir à la conclusion, av digh, misier Piatlon, cha vui la putta. M’intinziù? Me beccau? M’acchiaponau? (Pantalone) V’intendo, Calderon de dì de morti. Deme la man, la putta xe la vostra. (Gra) Desid daver? A me burlad? (Pant) Da seno. No affé da zentil’homo. (Gra) O la me fiola caura, o fiola fra le fiol la prima fiola, che sippa in tutta quant’ la filaria. (Pant) Ch’andè vu fiolando, Caval d’Orlando, o grama bestia, fra l’altre bestie la mazor bestia, ch’avesse mai la bestialaria? (Gra) A vuoi mo’ dir, chlé tant’alculintient, ch’ha hò de sta fiola, ch’a vuoi balare, ch’a vuoi cantare, ch’a vuoi saltare a la vostra presenza. (Pant) O che dottor, o via, che mi ve suono. Tantara, tantara, tantarantà. Dottor, vu parì à punto un niuv’Orfeo, che se tirava drio e bestie, piant’e piere. Così la vostra scienza tira i putti Coi sassi, legni e torsi, e insin i can de beccarla xe corsi, e la vest’i v’annasa. Entremo dunque in casa. Atto secondo, scena prima: Lucio solo Lucio, per gelosia ch’ha d’Isabella Che non ami Cardone il Capitano Si va a precipitar, d’amor insano. (Lucio) Misero, che farò, Lucio infelice, s’ogni mio ben m’è tolto? Ah, finto amor e stolto Ah, crudele Isabella, che per novello amor, mi sei ribella! Ma nel più alpestre monte i’ vad’hor hora, perché ne l’ultim’hora, fia satio il tuo desio, Donna crudel, col precipitio mio. scena seconda: Capitan Cardon e Zanni “Grida Cardon con Zanni, che vorrebbe Essere inteso a cenni; e lo confonde Che mai per dritto senso gli risponde” (Capitan) Vien’a qua Zanico lindo! (Zanni) A diff’u’l vir no poss. (Cap) Porque? Porque tu no puedes? (Zan) A vagh’i lò in Doana, oh, uh, oh, uh. (Cap) Por a cà, por a là, por a cà, vellaco mozzo. (Zan) Ah, segnur Capatan, a no so mozz… maidé cha su inter. (Cap) Che diabl’ablas de mozz? Y digh’el que accompan’e’l so segnor. (Zan) Mai sì, mai sì, cha suna la campana? (Cap) Burlas con migo? Y digo esclavo y siervo. (Zan) V’intend’ per discretiù u’l servidur. (Cap) Tambien, agora entiendes, Picca presto a la puerta d’Isabella. (Zan) Ch’am’apicca à la porta? Qualch merlott. (Cap) Ah locco, herir o batter à la puerta. (Zan) A batt’, a batt’ à su pur intrigat, con sto lenguaz, ch’al par un Papagal. (Cap) Ch’ablas de Papagaio? (Zan) A digh ch’i parlà inchsì in Portugal. (Cap) Yo le chero dezir quatro palabras. (Zan) Segnur, a i’ ho pagura de la schina. (Cap) No temas nada porque con esta espada Yo chero solo de matar mill’hombres. (Zan) O sagnur Spadagnol, la nos ventura. (Cap) Porque, porce Zanicos? (Zan) La porta s’avre à fé, che l’è Isabella: (Cap) O buen’o por mi vyda. (Zan) Volif alter da mi? Sagnur su oster. (Cap) Nada, nada, mi Zanicos. Va con Dios, va con Dios. scena terza: Capitan Cardon e Isabella “Finge Isabella arder di vero amore Con lo Spagnuol, per dar più grave crollo Morendo, al suo desir non mai satollo.” (Isabella) Oh, ecco il Capitano, ecco lo mio bene, e la mia speme. Baciovi la mano, (Capitan) Buenos dias, my signora. Chero ablaros agora, Isabella muy galena, Y gentil tambien’hermosa, Y gentil tambien’hermosa. (Isa) A che far l’appassionato, o amante ingrato,s’un’altra Dama V’adora ed ama, se nuovo amore V’ha tolto il core? Ah tiranno, ah crudele, che mi giova esser fedele? (Cap) Che cos’es esta? Ch’azeis, signora? Por yda vuestra, con quien ablais? Ah senora, che me matais. (Isa) Mira come s’infinge e di vergogna Le guance non tinge! (Cap) Valla me dios da gentil hombres, ch’otra dama no chiero sy no vos. (Isa) Dico così da scherzo, per far prova di voi. (Cap) No m’agais mas d’estas burlas, Porque poc’ha faltado que no soy de dolor muerto. (Isa) S’agl’archibugi et a le colubrine Set’uso a far gran core, perché temete poi scherzi d’amore? (Cap) Porque todos vinc’amor. (Isa) Amor non so; ma voi ben mi vinceste, quando vi fei signore di questa vita, di questo core. (Cap) Decime, my signora, quen son’ estas tetiglias? (Isa) Del Capitan Cardon. (Cap) Y l’oscios, y l’orescias? (Isa) De capitan Cardon. (Cap) Yl rostro, y las narices? (Isa) Del capitan Cardon. (Cap) La fruent’y la cabeza? (Isa) Del capitan Cardon. (Cap) Y la cabegliadura? (Isa) Del capitan Cardon. (Cap) Los dientes, y los labios? (Isa) Del capitan Cardon. (Cap) La vyda el corazon? (Isa) Del capitan Cardon. (Cap) O muy contendo, o muy tambien’amado, y de my dama, muy aventurado. scena quarta: Isabella sola “Partito il Capitan, tosto Isabella Sfoga il dolor di Lucio, e con ardire Il ferro stringe e vuol di vita uscire.” (Isabella) Ecco che più non resta speranza, che raffren’il mio morire. Ah, Lucio, ecco che l’alm’hor hora, sta per valarsen fuora e te seguir; perché dov’hora sei, sciolto da tutte qualitati humane, chiaro vedrai ch’io vissi a te fedele, e tu fosti crudele, al creder troppo, al morir poc’accorto. M’anci d’hor questo ferro, c’homai la morte i’ sento. Mi sii dunque pietos’o Madr’antica, la mente mia da lungh’affanni hor sciogli e’l caldo sangue e la trist’alma’accogli. scena quinta: Frulla e Isabella “Frulla impedisce che non abbia effetto Il colpo d’Isabella, e le dà nova Che Lucio amante suo vivo si trova” (Frulla) Ah! Isabella che fai? Ah no, perché t’uccidi? (Isabella) Deh lasciami morire. (Fru) Non farai. (Isa) Farò sì. (Fru) Depon giù l’armi. (Isa) L’armi ministre fien de la mia morte. (Fru) E Lucio fia ministro di tua vita. (Isa) E come stann’insieme mort’e vita? (Fru) Non stann’insieme, no; ma vita e vita. Godendo vivo il tuo bramato Lucio. (Isa) Che? Lucio vive? (Fru) Vive; hor sta su lieta. (Isa) E come non è morto? Dimmelo, caro Frulla. (Fru) E’ vero che volea precipitarsi; ma certi pastorelli, ch’erano quiv’intorno, uditi i suoi gravosi alti lamenti, fur sì presti al soccorso, che non seguì l’effetto del folle suo desio. (Isa) O me felice Isabella! Poiché vive il mio bene Anch’io vivrommi, e fia lietissima per lui la vita mia. Atto terzo: scena prima, Pantalone, Francatrippa, Gratiano “Hor che fra Pantalone e Gratiano Stretto è ‘l partito dell’accasamento Non lasciano di darsi ogni contento.” (Pantalone) Daspuo ch’ho stabilio sto parenta na na na o E parte de la Diote su ‘ banco de Grifon, deposita na na o, voio mo far nozze, voio mo far nozze. Su, Francatrippa, invida i miei parenti. (Francatrippa) Sagnur sì, sagnur no, ma i me paret de mi? (Pant) Che parenti astuti? (Fra) Fe cont du compagnet, paret de stret de stret. (Pant) Chi xe costor dì mo? (Fra) Mesir a vel dirò. O’ l Gandai e ‘l Padella, Zan Piatel e Gratella, Zan Bucal e Bertol, Burati e Zanuol, Relichin e Simù, o ‘l Zampetta con Zanù, e Frignocola e Zambù, il Fritada e Pedrolin, con dodes fradelin! (Pant) Moia, moia, moia: do’ compagnet’an? (Fra) Eh sì, caro patrù. (Pant) Tasi là, pezzo de can. (Fra) O messir, l’èi lou’l Duttur Che suna o ‘l Zambaiù? (Pant) Chi xe sto Zambaiù? (Fra) Sentif? Oldif? Tronc, tren cu, tronc. (Pant) Bonzorno caro Zenero, Deh caro el mio Dottor, fem’un piaser. (Graziano) O com’ Msier sì! (Pant) Cantè su un pochetin,un madregaletin. (Gra) Al dirò al me favorid. (Pant) Su Francatrippa, va in casa e di ‘a mia fininia, che se fazza’al balcon, che sol per lei se viv’in allegria. scena seconda: Gratiano, Pantalone, Fracatrippa “Canta il Dottor un madrigal gentile Sotto ‘l balcon de la sua cara sposa Con voce soavissima e amorosa.” (Graziano) Ancor ch’al partorire Al se stent’a murire, patir vorrei agn’hor senza tormiente. Tant’è ‘l piacer, Vincenze, l’acqua vita m’ha pist’e pur aitorne. E così mille mele Al far del zorne. Padir ogn’hor vurrei, tanto son dolci i storni ai denti miei. (Pantalone) O che vosetta cara, gentil, pulìa e sonora, ch’al so dolce saor se smisia Amor, Amor dentr’al mio cor. E po nel dir Vu se ‘un niov’Anguillara. (Francatrippa) sagnur, sagnur Dottor. (Gra) Che vuot mo dir, Trippa de Franza? (Fra) Al dis la spusa, che tucch’entroma deter. (Gra, Pant) O là ben, o su ben, o via ben, o là ben. scena terza: Francatrippa, Hebrei “Va a gli Hebrei Francatrippa a porr’un pegno, la porta forte scuote, e una Babelle s’ode di voci, e horribili favelle.” (Ebrei) Tich, tach, toch, tich, tach, tich, toch. (Francatrippa) O Hebreorum gentibus, su prest avrì. Da hom da ben chatraghzo l’us, cha traghzo l’us. (Ebr) Ahi Baruchai, Badaneai, Merdochai, Ghet melotran, la Baruchabà. A no farò vergot maidé negot. (Fra) Ch’i fa la Sinagoga, o che ‘l diavol v’affoga. (Ebr) Tich, tach…Oth zorochot Aslach muslah muflach Jochut zorochot. Calamala balachot. (Fra) Uuhi, oohoi, o messir Aron. (Ebr) C’ha pulset’ à sto porton? (Fra) So mi, messir Aron. (Ebr) Badanai, che chiusa volit? Che chiusa dicit? (Fra) A voraf impegnà sto Bradamant. (Ebr) O Samuel, venit’ à bess! Adanai, che l’è lo Goi, ch’è venut Con lo moscogn, che vuol lo parachem. L’è Sabbà, cha no podem, cha no podem. scena quarta: Isabella e Lucio “Trovansi a sorte i duo fedeli Amanti, e fatto ch’hanno l’allegrezze insieme, dansi la fede insino a l’hore estreme.” (Isabella) Lassa, che veggio? E’ Lucio forse? Ahimè, non parm’al volt’e ai panni, (Lucio) Quella ch’io veggio là, parmi Isabella Che sola può dar fin ai lungh’affanni, ella sen vien ver me; voglio accostarmi. (Isa) O Lucio? (Luc) O mia Isabella? (Isa) O mia luce vitale! (Luc) O rifugio al mio male! (Isa) Sei pur tu? (Luc) Sì, ch’io sono. (Isa) Sei Lucio od ombra? (Luc) In dubbio stai? (Isa) Io temo. (Luc) Perché temi? (Isa) Perch’io t’amo. (Luc) Amianci senza tema, mio bene. (Isa) O Lucio mio! (Luc) O mia Isabella! (Isa) E qual misera sorte quasi t’induss’a morte? (Luc) Deh, non rinnovelliam sì gran dolore! Ma la promessa fede m’osservi d’esser mia? (Isa) Eccola, né fia mai che d’altri sia. (Luc) Ben mio, l’accetto; ed ecco Lelio a punto, ch’a tempo è giunto: che, se per noi soffers’affanni rei, Hor goda de’ dolcissimi Himenei. Scena quinta ed ultima: Lucio, Isabella ed altri “Ognun s’allegra e gode, e si pon fine Ai bramati Himenei con varii doni, E dentro fansi feste, nozze e suoni. (Lucio) Rallegratevi meco, cari Signori, ch’Isabella è mia. (Altri) M’allegro e tanto godo di cos’ stretto nodo, che dir non posso l’allegrezza mia. (Luc) Vi ringrazio e v’invito a le mie nozze: Hor chiamate gli amici tutti di fuora! (Altri) A sem, chi lò, sagnur. (Luc) Hor siat’i benvenuti. Quest’è la moglie mia. Fatele honor, vi prego E le donate qualche piacevolezza. In segno d’allegrezza. (Altri) Io ‘l primo ‘offro una rosa vermiglia, ch’al volto vi somiglia. (Isabella) Io vi bacio la mano. (Pantalone) E mi ve dago i guanti che me cavo, che fu del mio bisa na na na na vo. (Isa) Vi ringrazio, signore. (Altri) Questo cagnuol vi don’acciò serbiate A Lucio fedeltate. (Isa) Mille gratie, vi rendo. (Pantalone) Tres mill Maravedis tom’o Dam’Hermosa Y de mi Lucio esposa. (Isa) Splendidissimo sete. (Pedrolino) Mi no ve poss’ donà preset plu bel Se no sto ravanel. (Isa) Gran mercè, Pedrolino. (Graziano) A don un par d’ucchià senza la lus, per far honor’ai spus. (Isa) Graziosissimo dono. Entriam’hor tutt’in casa. (coro) E voi, cortesi e illustri spettatori, ci date veramente piacevol segno, che vi sia piaciuta questa favola nostra, poi che s’ode grand’applauso di man, voci di lode. con il patrocinio della Comunità Montana dell’Esino - Frasassi