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LE TEMPESTE
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Copyright © 2011 A.SE.FI. Editoriale Srl - Via dell’Aprica, 8 - Milano
www.tsunamiedizioni.com
Prima edizione Tsunami Edizioni, dicembre 2011 - Le Tempeste 9
Tsunami Edizioni è un marchio registrato di A.SE.FI. Editoriale Srl
La foto di copertina è di Charles Peterson (Mudhoney, Central Tavern, Seattle, estate 1988)
Progetto grafico e copertina: Eugenio Monti
Finito di stampare nel novembre 2011 da GESP - Città di Castello PG
ISBN: 978-88-96131-36-7
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, in qualsiasi formato senza
l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La presente opera di saggistica è pubblicata con lo scopo di rappresentare un’analisi critica,
rivolta alla promozione di autori ed opere di ingegno, che si avvale del diritto di citazione. Pertanto tutte le immagini e i testi sono riprodotti con finalità scientifiche, ovvero di illustrazione,
argomentazione e supporto delle tesi sostenute dall’autore.
Nell’impossibilità di risalire agli aventi diritto delle fotografie pubblicate, l’Editore si dichiara
disponibile a sanare ogni eventuale controversia.
Claudio Todesco
GRUNGE
IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE
INDICE
DA QUESTA PARTE DI SKID ROAD........................................................................................................................................9
Dove l’autore cala la musica grunge nel reticolo delle
strade di Seattle per scoprirne le radici più autentiche
TEMPI DISPERATI............................................................................................................................................................................21
Dove viene presentato il desolante panorama culturale
della città e si tende l’orecchio ai primi suoni del Nordovest
ANNO ZERO.......................................................................................................................................................................................37
Dove si racconta la genesi della compilation da cui nasce il
grunge. Ovviamente chi la produce cade subito in disgrazia
IL CHITARRISTA CHE FUGGÌ DA SEATTLE.......................................................................................................................55
Dove Jimi Hendrix scappa dalla città e suo malgrado ne diventa il simbolo.
Oggi fa la guardia a una società che produce muzak
LA NUOVA MOTOWN.....................................................................................................................................................................69
Dove due discografici (e un fotografo) trasformano
la cultura popolare locale in uno stile musicale rumoroso
TOCCAMI, SONO MALATO............................................................................................................................................................85
Dove nasce e prolifera un miscuglio di garage rock, birra,
punk, ironia, cinismo e chitarre mal registrate
IL CASTELLO DI SEA-TAC.......................................................................................................................................................103
Dove alla fine degli anni ’50 un deejay fonda un circuito di
sale da ballo. Lì prolifera una nuova razza di rock‘n’roller
MELROSE AVENUE.......................................................................................................................................................................127
Dove s’incontrano i destini di due amici fragili.
Uno diventa rock star, l’altro muore per overdose
LA CITTÀ DEI PERDENTI.........................................................................................................................................................149
Dove nasce l’antieroe del grunge, tra rocker perseguitati
dalla sfiga e freak provenienti dalla parte arida dello Stato
RAGAZZE RIBELLI.......................................................................................................................................................................165
Dove un omicidio a sfondo sessuale sconvolge la città.
A Olympia la rivoluzione avanza ancheggiando
LAMESTAIN!.....................................................................................................................................................................................181
Dove il grunge diventa moda globale.
La città contempla, sbalordita
VITALOGIA.......................................................................................................................................................................................197
Dove le storie dei due gruppi più popolari
s’intrecciano con quella della città
UNA BOTOLA NEL SOLE..........................................................................................................................................................219
Dove la storia giunge alla tragica conclusione.
Un suicidio e una morte terribile scoprono il lato oscuro della città
SEATTLE DOT COM.................................................................................................................................................................... 237
Dove il rock convive con la rivoluzione informatica.
La città pensa in grande
RINGRAZIAMENTI.......................................................................................................................................................................... 255
ANNO ZERO
Dove si racconta la genesi della compilation da cui nasce il
grunge. Ovviamente chi la produce cade subito in disgrazia
«La gente mi diceva: li hai sentiti, Kim?
Adesso i Melvins suonano in modo
mostruosamente lento»
Kim Thayil
Il ragazzo sembra uscito da un film di Tim Burton. Ha 20 anni, ma
dice di averne 15. Sarà alto due metri. Persino le enormi Converse che
calza gli sono strette. Le indossa perciò slacciate, mentre spinge una cassa con la strumentazione di una band di amici suoi chiamata Melvins. È
una delle prime volte che il gruppo entra in sala d’incisione e lui, che gli
gira attorno da un paio d’anni, è felice di dare una mano. Perciò spinge
la cassa, e traballa, inciampa, ricomincia daccapo. E di nuovo si sbilancia, s’inarca sbuffando, arranca nelle scarpe che sembrano sul punto di
stropicciarsi sotto i suoi piedi.
Lo guarda un tizio di nome Chris Hanzsek. È stato lui a invitare i
Melvins a incidere nel suo studio e adesso osserva la scena tra il divertito e lo spaventato. La sala d’incisione non è coperta da assicurazione
e se il ragazzo casca, si fa male. Se si fa male, potrebbe far loro causa. In
quel momento s’avvicina il cantante dei Melvins, un tipo con una capigliatura afro enorme e disordinata, un fumetto di Matt Groening fatto
e finito. Col sorrisetto di chi la sa lunga indica il gigante: «È un bravo
ragazzo, sai?, e ha una band tutta sua». Chris lo guarda con aria beffarda:
«Davvero? Che prima impari ad allacciarsi le scarpe».
Hanzsek non immagina che nel giro di qualche anno il ragazzo dalle
Converse enormi, che di nome fa Krist Novoselic, diventerà il bassista
del gruppo rock più famoso al mondo. Né può prevedere che l’incisione
che ha organizzato – intitolata Deep Six, realizzata coi soldi della fidanzata e presto dimenticata persino dai musicisti che l’hanno effettuata –
sarà considerata l’alba di una nuova era della musica rock locale.
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GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE
Chris Hanzsek aveva traslocato a Seattle nel 1983, attratto dai magnifici scenari naturali. Sapeva che, rispetto ad altre metropoli americane, la città era musicalmente sottosviluppata e proprio per questo motivo la riteneva un terreno fertile per un aspirante produttore in cerca di
più opportunità e meno competizione.
Nato nella Pennsylvania sudorientale, Hanzsek aveva iniziato a interessarsi di musica al Penn State College dove aveva studiato teatro
e lavorato come disc jockey volontario presso la stazione radiofonica
WDFM. Fiorite negli anni ’70 come piccole stazioni da 10 watt e diffuse nelle principali città americane, le radio dei college erano al pari
delle fanzine lo strumento col quale i ragazzi esprimevano un’identità
antagonista alla cultura popolare dominante. Le piccole emittenti erano il lasciapassare per un mondo di minuscole etichette discografiche,
gruppi sperimentali, idee alternative, giornaletti ciclostilati. Avendo
un’identità marcatamente geografica, le radio erano anche il veicolo
per la diffusione dei nuovi gruppi locali che non trovavano esposizione
presso mass media più importanti. Al Penn State, Hanzsek trasmetteva
dischi punk-rock e new wave in un programma chiamato Too Much
Too Soon, dal titolo di una canzone dei New York Dolls. Era il 1980. «I
tipi del college» racconta Hanzsek «nutrivano un senso di superiorità
rispetto al punk. Io e la mia ragazza ce ne andammo dal Penn State e
ci trasferimmo a Boston con la speranza di essere maggiormente coinvolti nella cultura urbana. Poi un amico che stava a Seattle mi chiamò:
vieni a vivere qui, disse, ti piacerà. Aveva ragione. Il mare, i laghi, le
montagne, il verde: questo è un gran posto dove cercare ispirazione per
produrre arte».
Hanzsek è garbato, terribilmente sveglio, dotato d’un gran senso
dell’umorismo. Lo raggiungo nella casa dove ha da poco trasferito le
sue apparecchiature, a una quarantina di minuti a nord di Seattle. Non
ripensa ai giorni del grunge con nostalgia, ma nemmeno con l’amarezza che t’aspetteresti da un uomo che ha vissuto un periodo cruciale
nella storia della musica cittadina ed è stato dimenticato. Racconta che
quando arrivò a Seattle aveva 26 anni e si sentiva troppo vecchio per
quella musica selvaggia e rumorosa. L’età, l’intelligenza acuta e la distanza dagli eventi lo rendono un testimone prezioso. È uno dei pochi
protagonisti della scena in grado di astrarsi dalla pura cronaca degli
eventi per azzardare analisi più vaste. Ama profondamente i paesaggi
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ANNO ZERO
del Nordovest e, appena può, va a fare trekking. Ha scalato la montagna
più alta di quassù, il Rainier che coi suoi 4.392 metri è «the mountain»,
la montagna per eccellenza per i Seattleite. «The mountain’s out», dicono nelle giornate in cui il cielo è sgombro dalle nuvole e il profilo
imponente del Rainier fa da sfondo alla città.
Sul tavolo della cucina Chris ha apparecchiato un tè e qualche reperto d’epoca: il primissimo EP dei Melvins, qualche 45 giri, la copia
in vinile della compilation Deep Six. Racconta: «Prima che mi ci trasferissi, qualcuno mi disse: odierai Seattle, è un’enorme risacca, non c’è
niente, è il vuoto, è buia, non accade mai nulla. Andandoci, sparirai
dalla faccia della terra». Sorprendentemente, accadde il contrario. Il 1°
gennaio 1984 Hanzsek coronò il sogno di aprire uno studio di registrazione, il Reciprocal Recording al 3401 della Diciassettesima Avenue
W, nella zona di Interbay. «Registrai qualunque musicista bussasse alla
porta attratto dal fatto che effettuavo incisioni per soli 10 dollari l’ora.
Fu così che incontrai gli artisti più poveri e creativi del pianeta».
In quel periodo Hanzsek s’imbatté in un gruppo musicale piuttosto bizzarro, una miscela apparentemente mal assortita di hard rock
e garage punk, i Green River. «Vennero il terzo o il quarto mese che
eravamo aperti. Li registrai subito dopo gli Accüsed e un paio d’altri
gruppi. Li trovavo divertenti, ma essendo un purista non ne approvavo
la miscela di punk e metal. In fin dei conti provenivo da Boston, che
era come New York in versione psichedelica: essendo un luogo pieno
di college, le band erano molto intellettuali e new wave. Alcune avevano una tastiera, una o due cantanti di sesso femminile, un suono
trendy. Indossavano vestiti di scena e teatralizzavano le performance,
per quanto in modo acerbo e a volte ridicolo. Altri gruppi di Boston
erano politicizzati. Era un altro mondo. Arrivai nel Nordovest e trovai
ragazzi che ancora ascoltavano Kiss e Aerosmith. Non potevo crederci.
Sentivo molta imitazione in quel che facevano. Avrei voluto spingerli
in direzione art rock».
La lontananza geografica e culturale dai poli dell’elaborazione musicale e intellettuale aveva lasciato Seattle nelle retrovie, alle prese con una
forma di rock rudimentale e primitiva, ma in definitiva meno artefatta
di quella che stava prendendo piede nelle grandi città americane. Agli
occhi di Hanzsek, e di chiunque si fosse trasferito a Seattle all’inizio
degli anni ’80, non si trattava di un vantaggio per la scena locale, ma di
un handicap. Prima di recuperare il livello di elaborazione intellettuale,
di sensibilità politica e di coscienza artistica raggiunto dai musicisti di
altre città ci sarebbero probabilmente voluti anni. Che cosa si poteva
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GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE
creare in un tale contesto? Era impossibile prevedere che, attraverso
quei suoni imitativi, sgraziati e naïf, i gruppi locali stavano ponendo le
basi per un ritorno allo spirito primigenio del rock.
Agli occhi di Hanzsek era evidente un altro fatto: all’interno dei
Green River si contrapponevano due fazioni. Da una parte c’erano Mark
Arm e Steve Turner, interessati al lato ludico dell’esperienza, dall’altra
Stone Gossard e Jeff Ament, che avrebbero voluto trasformare la band
in un’occupazione a tempo pieno. La divisione si rifletteva nella musica,
che univa il garage rock selvaggio degli Stooges e l’hard rock volgare
degli Aerosmith in maniera ora naturale, ora forzata. Quell’unione, che
allora doveva sembrare bizzarra e contro natura, si sarebbe rivelata in
prospettiva foriera di sviluppi di enorme portata.1 A differenza di altre
band come i Melvins che sembravano prendere la musica hard molto
seriamente, i Green River avevano iniziato caricando d’ironia le proprie
pose rock. «C’erano molte discussioni circa la natura e l’interesse dei
Green River», ricorda Hanzsek. «Penso che Stone e Jeff volessero gestire la band con criteri razionali, trasformandola in qualcosa di solido
e duraturo. Speravano di vivere di musica, diciamo che erano più seri.
Mark, invece, era un clown fatto e finito. Aveva sì una laurea in inglese,
una cultura insomma, ma non prendeva sul serio quel che faceva. Una
canzone, per lui, doveva divertire e allo stesso tempo provocare ribrezzo.
Gossard e Ament volevano scrivere inni rock, canzoni lunghe 6 minuti
piene di assoli. Mark voleva rifare gli Stooges, far casino e comportarsi
come un teppista: era ed è un commediante col gusto per le storielle
divertenti. Vederli insieme era stupefacente. Ecco un frontman comico
che si fa accompagnare da una band che suona inni rock: è un’unione un
po’ perversa, non credi?».
Il risultato delle session con Hanzsek fu l’extended play di 6 canzoni
Come On Down, disco d’esordio del gruppo e primo lavoro d’una certa rilevanza per il produttore. «Quando sei giovane e hai pochi soldi»,
commenta Chris, «sei disposto a lavorare fino alle 4 del mattino: faresti
di tutto pur di realizzare il tuo sogno. I Green River avevano le medesime motivazioni e lo stesso spirito». Registrato nel dicembre del 1984, il
disco fu mixato nel febbraio 1985. I tipi della Homestead di New York
avevano mostrato interesse per un paio band di Seattle e finirono per
dare alle stampe l’EP.2 Hanzsek rammenta: «Mark mi chiamava e mi diceva: ho sentito Bruce Pavitt3 e mi ha detto che potrebbe recensire Come
On Down. A quel tempo Mark lo stava convincendo a prendere in considerazione i gruppi locali. Ma, diciamolo, non c’era granché di recensibile a Seattle. In compenso, c’era spazio per crescere, una caratteristica
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ANNO ZERO
che in retrospettiva si sarebbe rivelata importante. Pur con tutti i limiti
della scena, quassù era percepibile un grado maggiore di intensità».
La sede di Interbay vicino ai binari della ferrovia non era il luogo
ideale per stabilire uno studio di registrazione permanente. L’esperienza
finì nel giro di un anno. «La collocazione dello studio fu un errore madornale: riesci a immaginare una piccola sala di registrazione con finestre di vetro posta vicino ai binari della ferrovia? Ogni volta che passava
un treno dovevamo interrompere le registrazioni».
Per un’altra dozzina di mesi Hanzsek portò le apparecchiature nello scantinato di casa proseguendo il lavoro di produttore discografico
occasionalmente e presso altri studi di registrazione. In quel periodo
comprese che sarebbe stato interessante produrre una compilation dei
gruppi che erano passati per il suo studio e che animavano i club cittadini. «Mi dicevo: è il modo migliore per conoscere molta gente e dare una
svolta alla mia attività». Di band ce n’erano a sufficienza. E benché gran
parte di esse fosse una copia acerba degli Stooges, dei Black Sabbath o
dei Led Zeppelin, o una bizzarra combinazione di essi, avevano qualcosa.
Altri 33 giri e cassette avevano riunito gruppi rock di Seattle e dintorni,
una sorta di appello delle band locali che si ripeteva dai tempi di Seattle
Syndrome, ma nessuna aveva catturato la miscela di punk e metal che
sarebbe stata battezzata grunge. La compilation di Chris lo fece.
Le session iniziarono nell’agosto del 1985 agli Ironwood Studios, il
luogo scelto da Hanzsek per ospitare le registrazioni. Il titolo prescelto
per il 33 giri fu Deep Six, un omaggio all’omonimo film di Rudolph
Maté del 1958 (in Italia Acque profonde) e un riferimento al numero
di band coinvolte nel progetto. Nessuna di esse godeva in quell’estate
della benché minima popolarità a livello nazionale, la qual cosa rende
in retrospettiva quelle session straordinarie, sebbene tecnicamente siano
piuttosto ordinarie. Alcuni musicisti varcavano la soglia di uno studio di
registrazione per la prima volta. C’erano i Soundgarden e i Green River,
i Malfunkshun da Bainbridge Island e i Melvins da Montesano, quelli
che qualche mese più tardi avrebbero portato in studio con sé il giovane
Novoselic. C’erano gli Skin Yard di Jack Endino e gli U-Men, gli unici
ad avere pubblicato un album prima di entrare agli Ironwood. I musicisti di Deep Six venderanno collettivamente decine di milioni di album,
il loro stile terrà banco per almeno cinque anni dando una scossa al panorama musicale mondiale, le loro vicende personali monopolizzeranno
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GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE
le cronache, il loro avvento sarà salutato da milioni di giovani in tutto
il mondo come un evento epocale, la loro storia collettiva – e quella dei
gruppi che ne prenderanno la scia – segnerà in modo indelebile la cultura popolare degli anni ’90. Eppure Hanzsek non trarrà dall’esperienza né
fama, né vantaggi economici, né tanto meno sentimenti di riconoscenza
da parte dei gruppi coinvolti nelle registrazioni. Dovrà superare altri
ostacoli prima di realizzare il suo sogno di diventare un produttore rock
nella città dimenticata da discografici e promoter.
«Quando produssi Deep Six era la seconda volta in assoluto che entravo in un grosso studio di registrazione», confessa quasi giustificando
l’inadeguatezza del suono della prima stampa su vinile che tiene fra le
mani. «La selezione delle band fu fatta con Jeff Ament e Mark Arm. I
Green River godevano di grande rispetto, furono loro a darmi i numeri
di telefono degli altri musicisti da contattare. Spiegammo loro chiaramente che cosa avrebbero avuto e che cosa ci avrebbero dato. Un effetto
lo ottenemmo: da quel momento in poi le band di Deep Six sarebbero
state identificate come una collettività. Più tardi alcuni musicisti, tra cui
quelli dei Nirvana, mi hanno detto: perché non ci hai chiesto di partecipare?».
Il vero problema di Deep Six erano i soldi. «Dissi a Mark che avrei
convinto la mia ragazza a prestarceli», ricorda Hanzsek. La fidanzata di
Chris fin dai tempi del Penn State era Tina Casale. Era stato lui a farle
conoscere la new wave, i Television, i Magazine, i New York Dolls e Patti
Smith. E lei lo aveva seguito a Seattle aiutandolo a gestire la prima sede
dei Reciprocal. «La lavorazione e la stampa di Deep Six costarono all’incirca 7.000 dollari», mi scrive Tina in una lettera in cui riassume il suo
coinvolgimento nella faccenda. È tornata a vivere in Pennsylvania e non
ha più nulla a che fare col mondo della musica. «Facemmo preparare i
contratti da un avvocato. Dicevano in sostanza che una volta che Chris
e io avessimo recuperato le spese sostenute, ogni band avrebbe ottenuto
il 2% dei profitti. Secondo l’avvocato era una cifra generosa. Non guadagnammo nulla, per cui non fa alcuna differenza. Prenotammo delle
ore in uno studio dotato di un 16 tracce. Registravamo di sera. Le band
vennero una alla volta. Permettemmo a due membri di ogni gruppo di
partecipare al missaggio». Secondo Chris, quest’ultima decisione fu un
errore: «Scegliemmo di farlo in modo democratico, ma ognuno aveva
idee terribili a proposito di come dovesse suonare il disco. Ci costò una
cifra astronomica averli in studio a perdere tempo discutendo del mix.
Ci furono frizioni tra Tina e i tipi dei Green River e dei Malfunkshun.
Ricordo che quando Andy Wood venne a registrare indossava i costumi
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ANNO ZERO
di scena, anche se ovviamente non c’era nessuno a vederlo. Faceva spettacolo anche in sala di registrazione. Era un circo ambulante, ma quando
si metteva al lavoro era molto concentrato».
Per pubblicare l’album Chris e Tina fondarono l’etichetta discografica C/Z così chiamata per via dei loro cognomi (Tina: «Mi sembrava che
la zeta fosse la parte più significativa del cognome di Chris»). Ai tempi
i due non possedevano neanche un fax e C/Z era una sigla più che una
vera e propria attività. Furono stampate 2.000 copie in vinile. Nessuno
fu contento del suono, un prodotto della scarsità di risorse a disposizione. Secondo Jack Endino, «affidarsi a uno studio di registrazione costoso
fu un errore: pensai che sarebbe venuto meglio se l’avessimo inciso nel
mio scantinato con un 4 piste». Le cose precipitarono quando si trattò di
promuovere l’album: fu allora che Tina lasciò Chris. «Niente più soldi»,
commenta laconicamente Hanzsek. «In quel periodo per mantenermi
lavoravo in una tipografia e usavo di nascosto i loro macchinari. Vivevo
la tipica esistenza punk-rock: guadagnavo 3 dollari e 50 all’ora da un
lavoro che non m’interessava granché. Vivevo per la musica. Quando
Tina se ne andò, la tipografia andò in bancarotta e persi il lavoro. Non
avevo soldi, né un’occupazione, ma per le mani avevo un master pronto
per essere stampato. Alcune band erano arrabbiate perché non investii
nella promozione, ma come avrei potuto nelle mie condizioni? Forse
qualcuno pensava di diventare una star grazie a quel disco».
Ovviamente non accadde. Ci vollero almeno tre anni perché le 2.000
copie andassero esaurite. Ma una pietra miliare del rock di Seattle era
stata posta. «Nessuno era particolarmente soddisfatto», commenta
Endino, «né l’album ricevette attenzione o recensioni fuori città. È tuttora difficile da trovare. Non era di per sé un gran disco, però convinse
molte persone dell’esistenza di un suono regionale di cui nessuno aveva
coscienza e che solo molti anni dopo sarebbe stato battezzato grunge».
Hanzsek ammette che «il vinile di Deep Six non suona molto bene a
causa di un cattivo mixing e di un pessimo mastering. Diciamo che fu
una buona idea, ma tecnicamente non un capolavoro».
Dopo appena un paio di uscite discografiche, il produttore finì per
vendere la C/Z a Daniel House, bassista degli Skin Yard, tipo energico
e intraprendente, esattamente quel che ci voleva per gestire un’etichetta
perennemente sull’orlo del fallimento.4 «In realtà», precisa Chris, «non
l’ho venduta, l’ho ceduta a titolo gratuito. Daniel s’è preso il magazzino
a un dollaro e mezzo, due a disco. Tanto non ci facevo granché. Accadde
nel periodo durato circa tre mesi in cui non avevo un lavoro. Non mi
vedevo a capo di un’etichetta discografica. Ero single e disoccupato, non
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GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE
era il momento di investire soldi nei dischi. Feci a Daniel i miei auguri
sperando che avrebbe usato la C/Z come punto di riferimento per il
network dei musicisti, un’etichetta in grado di stabilire un rapporto amichevole con le band. Oggi sono fuori dal giro. Al passato non penso mai.
Sono felice di invecchiare. Ho portato il mio studio quassù, in un posto
dove virtualmente nessuno mi vede».
Solo all’inizio degli anni ’90 qualcuno si accorse che alcuni fra i musicisti rock più famosi al mondo – i Soundgarden, membri dei Pearl
Jam e dei Mudhoney – avevano preso parte a una piccola compilation.
Essendo stata stampata dalla C/Z, i diritti erano di proprietà di House
che approntò una ristampa su compact disc con la A&M, l’etichetta dei
Soundgarden. «Sono sicuro che Daniel è riuscito a farci qualche soldo,
ma io seppi della ristampa a cose fatte», commenta Chris. «Non sono
mai stato bravo a trattare, è per questo che ho mollato subito la direzione dell’etichetta discografica. Non mi piaceva mentire. Se non sono
onesto, non sono felice». Ha ragione da vendere Tina Casale quando mi
scrive che «Chris non ha mai ricevuto il giusto credito per Deep Six».
Mentre Hanzsek portava a termine le registrazioni di Deep Six, gli
U-Men offrivano su un palco del maggiore festival cittadino un’esibizione incendiaria. Nel vero senso della parola.
Il festival in questione, il Bumbershoot, era nato nell’agosto 1971 su
iniziativa dell’allora sindaco Wes Uhlman, intenzionato a regalare alla
città un weekend di svago nel bel mezzo della crisi provocata dai guai
economici della Boeing. Presso il Seattle Center, il luogo che nel 1962
aveva ospitato la World’s Fair, furono organizzati concerti, esibizioni
teatrali, performance visive, balletti. Si presentarono oltre 100.000 persone, il triplo di quelle preventivate dagli organizzatori. I grandi raduni
musicali, che fino a quel momento erano stati tenuti prudenzialmente
fuori città, entravano nel contesto urbano. Da allora, il festival è diventato un appuntamento fisso del weekend del Labor Day, il fine settimana
che segna la conclusione delle vacanze estive e l’inizio di un nuovo anno
lavorativo, una grande festa collettiva cui prendono parte persone d’ogni
età. È tradizione che una parte significativa dei performer siano della
città o almeno del Nordovest degli Stati Uniti. Essendo considerati il
gruppo rock locale emergente per eccellenza, gli U-Men furono invitati a
esibirsi nell’edizione del 1985. Fu loro assegnato il Mural Amphitheatre,
un palco ideato per la World’s Fair e separato dal pubblico da un piccolo
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ANNO ZERO
fossato artificiale riempito d’acqua. Noto per le performance estreme, il
gruppo pensò di animare lo spettacolo con un piccolo numero incendiario. L’operazione fu provata nel bagno della casa del manager Larry
Reid: il batterista aveva versato del liquido infiammabile usato per alimentare gli accendini nella vasca da bagno riempita d’acqua, dandogli
poi fuoco. Funzionò talmente bene che il quartetto pensò di replicare il
numero al Bumbershoot facendo le cose in grande e utilizzando il fossato del Mural Amphitheatre al posto della vasca di Reid. Funzionò anche
questa volta, e fin troppo bene. Verso la fine del concerto, quando il sole
stava tramontando, il manager e un roadie versarono 4 litri di liquido infiammabile nell’acqua, che si estendeva fin sotto il palco in muratura. Il
cantante John Bigley prese una scopa di paglia, le diede fuoco e la gettò
nell’acqua. Le fiamme si impossessarono non solo del fossato antistante
il palco, ma anche della parte sottostante, un effetto che il gruppo non
aveva calcolato. In breve tempo un fumo denso coprì ogni cosa. La folla
impazzì e cominciò a pogare. Disorientati e pensando di dovere placare
dei disordini, i poliziotti presenti manganellarono la gente in modo apparentemente casuale. Gli U-Men continuarono a suonare compiaciuti.
Ovviamente furono banditi dal Bumbershoot. «Il più grande spettacolo
cui avessi mai assistito», afferma Mark Arm.
Il gruppo degli U-Men era nato quattro anni prima su iniziativa del
chitarrista Tom Price e del batterista Charlie “Chas” Ryan, cui s’erano
poi aggiunti Bigley e la bassista Robin Buchan, presto sostituita da Jim
Tillman (quest’ultimo sarà a sua volta rimpiazzato da Tom Hazelmyer,
fondatore della Amphetamine Reptile e membro degli Halo Of Flies).
La loro musica spigolosa e selvaggia, spaventosa e decadente, tesa a decostruire la struttura canonica della canzone rock, offriva a chi l’ascoltava l’impressione di trovarsi ad assistere a un qualche strano rito pagano,
una cerimonia musicale primitiva dall’espressività spaventevole. Bigley,
descritto dagli amici come un uomo piuttosto mite nella vita quotidiana, salito sul palco si trasformava in un demone che avrebbe fatto
di tutto pur di spiazzare le aspettative del pubblico. Era minaccioso,
carismatico, imprevedibile. Curiosamente, in un primo tempo la miscela
degli U-Men composta da vocalizzi gutturali, continui cambi di ritmo
e clangori di chitarre elettriche attirò soprattutto mod affascinati più
da Quadrophenia che dalla new wave. La formazione trovò una sponda
nell’attività di Larry Reid, il gallerista che aveva gestito con la moglie
Tracey Rowland la Roscoe Louie Gallery e la Graven Image5.
«Dividevamo la sala prove con gli U-Men», ha ricordato Michael
Stein dei D’Rango-5, «uno scantinato della Image: pavimento marrone
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GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE
scuro, luci rosse, lattine di birra ovunque. Un posto perfetto per imparare
ad accordare la chitarra, o a non farlo, nel nostro caso. Ma quando suonavano gli U-Men, era come stare in chiesa dove John il Predicatore era
chiaramente anche il peccatore più grande e non c’era modo di offrire
redenzione ad alcuno, men che meno a se stesso. I semi degli U-Men
hanno prodotto frutti marci».6
Con l’aiuto di Reid, gli U-Men incisero un primo, omonimo EP di
quattro brani. L’extended play fu pubblicato nel 1984 dalla Bombshelter
gestita da Russ Battaglia e da Bruce Pavitt. La festa per la pubblicazione
si tenne nel retro della Graven Image. Nonostante la loro musica abbia
pochi punti di contatto col caratteristico Seattle Sound che si sarebbe
imposto negli anni successivi, Steve Turner afferma che «il gruppo che
più d’ogni altro ebbe una profonda influenza sulla scena dei Mudhoney,
dei Nirvana, dei Pearl Jam e dei Soundgarden furono gli U-Men. Erano
i re. Noi eravamo ragazzetti e U-Men e Ten Minute Warning erano
modelli da seguire. Anche se in fin dei conti avevamo più o meno la
stessa età, erano loro quelli cool. Inoltre, gli U-Men furono tra i primi
a firmare un contratto con un’etichetta discografica di New York». E in
più Tom Price suonava una Fender Mustang, un modello vintage non
molto usato all’epoca, meno pregiato di una Stratocaster: i musicisti della scena cominciarono a imitarlo.
Tanta attività aveva attratto l’attenzione di Hanzsek e Casale, che
avevano convinto il gruppo a prendere parte a Deep Six nonostante l’iniziale ritrosia del manager. Gli U-Men parteciparono con un brano intitolato They e lo fecero, ricorda Casale, «per fare un favore agli altri gruppi presenti, che in seguito – che ironia – avrebbero fatto molta più strada
di loro». Si fece viva anche la Homestead di New York. Al pari della
recensione di Rolling Stone di Topsy Turvy degli Young Fresh Fellows,
la firma degli U-Men con una casa discografica che poteva vantare una
distribuzione nazionale fu d’incoraggiamento per molte formazioni locali che consideravano il circuito di etichette e taverne della città limitante, se non asfissiante. L’EP Stop Spinning, registrato al Crow Studio
da John Nelson, fu il primo disco rock locale ad avere una distribuzione
nazionale dai tempi di Because This Fuckin’ World Stinks dei Fartz. Dopo
una tournée nel Sudovest degli Stati Uniti e un paio di 45 giri tra cui
uno per la Amphetamine Reptile, il gruppo esordì su ellepi nel 1988,
poco prima di sciogliersi, con Step On A Bug: The Red Toad Speaks. Vi
fu un attesissimo concerto all’UW Hub come supporter degli eroi del
momento Hüsker Dü, ma al posto di lanciare ulteriormente gli U-Men,
ne segnò la fine. «Non fummo capaci di gestire la pressione», ha detto
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Tom Price.7 Per due volte il chitarrista si presentò alle prove trovando
una stanza vuota. Alla terza si rassegnò: era finita. Price avrebbe poi
suonato con Chas Ryan nei Bottle Of Smoke e fondato i Gas Huffer,
finendo per suonare coi membri dei Mudhoney nei Monkeywrench.
Tillman è diventato un fotografo di moda, Bigley è il proprietario del
Capitol Club, un elegante locale su East Pine Street dall’ambientazione
nordafricana, e del Barca sulla Undicesima. Vent’anni dopo l’esibizione
infuocata al Bumbershoot, Steve Turner non ha dubbi: «La mia definizione di cool sono John Bigley e Chas Ryan».8
Se nel 1983 Seattle era la città dimenticata dai promoter, Aberdeen
era la città dimenticata da Dio. Sita nell’area di Grays Harbor a un centinaio di miglia a sudovest dallo Space Needle, là dove i fiumi Chehalis
e Wishkah confluiscono, Aberdeen ha vissuto per un centinaio d’anni
grazie all’attività di pescatori e taglialegna, tanto da meritarsi l’appellativo di capitale mondiale del legname. L’attività degli ambientalisti e la
riduzione delle quote di legno da costruzione rese disponibili da parte
del governo federale hanno minato una delle principali fonti di sussistenza della comunità. Alla nomea di città culturalmente stagnante s’è
sovrapposta quella di centro economicamente depresso cui il turismo
sta ridando ossigeno: Aberdeen e la città gemella Hoquiam sono infatti
le porte per l’Olympic Peninsula, una vasta area naturalistica che comprende l’Olympic National Park9 e che si estende a nord fino allo stretto
di Juan De Fuca che separa gli Stati Uniti dal Canada.
Con i suoi 16.000 abitanti, Aberdeen può sembrare una metropoli rispetto alla vicina Montesano. Lì viveva nei primi anni ’80 un tale
Melvin, impiegato come commesso nella drogheria di un Thriftway, uno
dei centri commerciali che spezzano il vuoto dell’immensa provincia
americana. Nello stesso negozio lavorava Buzz Osborne, un tizio con la
passione per il punk-rock estremo e una strana capigliatura afro. Con
i compagni di scuola Matt Lukin e Mike Dillard, aveva fondato il trio
dei Melvins. Il loro rock velocissimo e ispirato tanto all’hardcore, tanto
all’heavy metal doveva suonare perlomeno bizzarro – ma molto più probabilmente inascoltabile – ai ragazzi del luogo, non avvezzi a musiche
diverse dall’hard rock “pettinato” che usciva dai loro apparecchi radiofonici e che era l’unica musica dura di cui potevano reperire i dischi. Buzz
la sapeva più lunga e divenne perciò «il guru punk-rock di Aberdeen»,
per dirla con le parole del suo fan più celebre, Kurt Cobain, che nelle
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GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE
pagine del suo diario racconta: «Ricordo una volta che cazzeggiavamo
insieme al Thriftway di Montesano, Washington, quando un ragazzo
coi capelli corti che scaricava scatole e assomigliava al tipo degli Air
Supply mi ha passato un volantino che diceva: Them Festival, domani
sera nel parcheggio che sta dietro il Thriftway. Gratis musica rock dal
vivo. Montesano, Washington, un posto non abituato a ospitare musica
rock dal vivo nei propri limitati confini. Una popolazione di qualche
migliaio di boscaioli con le loro mogli sottomesse. Siamo entrati nel
parcheggio dietro il Thriftway assieme ad altri zombie con la camminata
da tamarro e il pettine infilato nella tasca posteriore. C’erano il magazziniere degli Air Supply, con in mano una Les Paul su cui era appiccicata
una foto di rivista patinata con la pubblicità delle sigarette Kool, un
ragazzetto dai capelli rossi che faceva il meccanico di moto e un tipo
alto, il primo in assoluto a portare i Levi’s superattillati, un drastico e
audace cambiamento rispetto a Sticky Finger o alle tute da moto di San
Francisco. Hanno suonato più velocemente di quanto mi immaginavo
fosse possibile suonare, e con più energia di quanta i miei dischi degli
Iron Maiden potessero sprizzare. Era proprio quello che stavo cercando. Ah, il punk-rock. Gli altri cannaioli si annoiavano e continuavano
a urlare: suonate i Def Leppard. Dio quanto odiavo quei coglioni – ero
giunto alla terra promessa di un supermercato e lì avevo trovato la mia
peculiare vocazione». Da quel giorno al Thriftway, «ho cominciato a seguire i Melvins diventando una specie di presenza silenziosa sempre tra
i piedi. Un giorno mi hanno fatto fare una prova per entrare nel gruppo
ma ero davvero troppo nervoso e così mi sono seduto in un angolo per
centinaia di prove dei Melvins negli anni successivi».10
Nel giro di un anno i Melvins avrebbero fatto parlare di sé anche a
Seattle. Tennero il loro primo vero concerto in città al Mountaineers.
Nonostante l’influenza esercitata sui gruppi locali e la nomea comunemente accettata di padrini del grunge, i Melvins non sono mai stati
parte integrante della scena cittadina, verso la quale hanno coltivato un
sentimento di diversità e sospetto – senza contare il fatto che sul finire
del 1988 il trio si era già trasferito a San Francisco. «Non abbiamo mai
abitato a Seattle», ha chiarito Buzz Osborne.11 «Eravamo ragazzi provenienti da un piccolo centro che scorrazzavano nella grande città». E
ancora: «La Sub Pop non aveva alcun interesse in noi nel 1986. La pubblicazione di Gluey Porch Treatments meritò un centimetro e mezzo di
spazio nella rubrica Sub Pop sul retro del giornale locale Rocket – questo
ai tempi in cui Sub Pop era solo una rubrica sul retro del Rocket. Credo
gli piacque, difficile a dirsi. Ai tempi avevo l’impressione che avremmo
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ricevuto più attenzione dalla stampa locale se avessimo clonato i riff
degli Stooges».12 Uno dei primi, in città, a credere in loro fu Hanzsek
che li invitò a partecipare a Deep Six: «Ricordo la prima volta che li
incontrai e li ascoltai. Erano unici. Mi sentivo come uno scienziato che
scopre un nuovo tipo di farfalla. Ero stupefatto. Chiesi loro: ma cosa vi è
successo, ragazzi, come diavolo siete cresciuti, che razza di musica avete
ascoltato? E loro: oh sai, i Kiss, roba di questo genere. Era evidente che
l’isolamento in cui avevano vissuto aveva contribuito a creare un’identità
peculiare, certamente diversa da quelle prodotte a New York o a Los
Angeles. Li aveva resi unici e indipendenti da quel che accadeva nelle
maggiori città degli Stati Uniti. Senza isolamento nessuna nuova specie
può svilupparsi. L’impollinazione incrociata non ti dà l’opportunità di
creare qualcosa di unico. E invece qui per anni vi fu in incubazione uno
stile di cui nessuno sospettava l’esistenza. Se ci pensi, i casi più eclatanti
sono quelli di Melvins e Nirvana, ragazzi che passarono l’adolescenza in
posti come Montesano e Aberdeen dove non c’era nulla».
L’8 febbraio 1986 i Melvins si presentarono nuovamente agli
Ironwood dov’era stato inciso Deep Six per una nuova session prodotta
da Hanzsek. Fu in quell’occasione che portarono con sé Krist Novoselic
come roadie. Lo stile della formazione era già cambiato. «All’inizio mi
spedirono una cassetta di metal veloce», ricorda il produttore, «e mi piaceva. Poi mi dissero: Chris, è meglio che veniamo in studio a spiegarti,
perché non facciamo più quel tipo di musica che ti piace. Abbiamo rallentato. E io: oh no, siete sicuri? Mi sembrava una pessima idea». E invece l’idea, mutuata dai Black Sabbath ma anche dal lato B di My War13
dei Black Flag, era ottima. Ricorda Kim Thayil dei Soundgarden: «La
gente mi diceva: li hai sentiti, Kim? Adesso i Melvins sono mostruosamente lenti. Non potevo crederci: erano il gruppo più veloce in città e
ora erano il più lento. Fu una mossa sorprendente e coraggiosa. Avvenne
nel periodo in cui nascevano Green River e Soundgarden. Mark Arm,
Ben Shepherd ed io parlavamo di continuo degli Stooges, discutevano
dei momenti in cui gli MC5 erano lenti, depressi, pesanti. Noi ci limitavamo a parlarne, i Melvins lo fecero».14
Hanzsek si convinse che la seconda pubblicazione della C/Z sarebbe
stato un EP di sei canzoni dei Melvins intitolato 6 Songs. «Difficile dire
che cosa accadde durante e attorno alle registrazioni di questo disco,
l’intero periodo è avvolto da un’indistinta nebbiolina alcolica», scrive
Osborne nelle note di copertina dell’ultima ristampa dell’EP su compact disc, espansa a 26 canzoni. «Le registrazioni portarono via pochissimo tempo. Suonammo dal vivo usando un registratore a 2 piste, il che
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significa niente mixing. Per noi lo studio era un mistero assoluto. Non
sapevo discernere una buona cosa da una cattiva. Ricordo di aver chiesto
a Jerry dei Rejectors che vi lavorava come assistente che cosa ne pensasse. Scrollò le spalle e disse: mi sembra buono. Beh... ok... confusione
totale... e beata ignoranza».
Nonostante la scarsità di mezzi, l’inesperienza e le perplessità di
Hanzsek sul nuovo corso del trio, i riff dei Melvins mastodontici, lenti e
minacciosi, ossessivi ma pieni di cambiamenti inattesi, preconizzarono
la nascita del grunge. Secondo Novoselic, «da quella musica che sembrava un canto funebre nacque il grunge del Nordovest».15
Il 21 e 22 marzo 1986 si tennero alla UCT Hall di Seattle le due
feste-concerto che accompagnarono la pubblicazione di Deep Six. Jack
Endino ricorda che la prima sera si esibirono nell’ordine Melvins,
Soundgarden e Green River, la seconda Malfunkshun, Skin Yard e
U-Men. «Tutto quel che rammento» afferma Hanzsek «è che Mark
Arm saltava come un pazzo sul palco e finì per sbattere più volte contro
il soffitto. I Melvins mi colpirono per la tecnica. Una cosa è certa: quei
due giorni contribuirono a costruire la scena». Osborne: «Iniziammo il
nostro set e un fan lanciò sul palco una copia della compilation fatta a
pezzi. Il che aveva un senso. [...] Eravamo tanto ingenui? Penso di sì.
Era assurdo. L’intera nostra esistenza ai tempi era assurda. Quando ci
venne avanzata l’offerta di partecipare a Deep Six senza ricevere mai alcun pagamento e forse qualche copia del disco ci sembrò un’opportunità
d’oro da cogliere al volo... Non credo di avere mai visto un contratto,
ma potrei sbagliarmi. In ogni caso, se ci fosse stato lo avremmo firmato.
Sicuro, perché no? Non possedevamo nulla e non avevamo soldi... Mi
piace come suonano i nostri pezzi su Deep Six e mi piacciono persino le
canzoni, perciò quando i tipi dell’etichetta chiesero di fare un altro disco
con noi, ci dicemmo d’accordo».16
La storia dei Melvins con Seattle finì con 6 Songs. Il disco successivo,
il vero e proprio album d’esordio Gluey Porch Treatments, fu registrato a
Sausalito, California. «A quei tempi», scrive ancora Osborne, «la stampa
musicale di Seattle era piena di band tipo Charlie And The Tunas e
Freddie And The Screamers. Non ho mai avuto niente a che fare con
quella scena musicale, che era circondata da una densa nuvola di mistero. Mi ci volle un bel po’ di tempo per capire che locali di cui avevo letto
come il Vogue o la Central Tavern non erano altro che piccoli buchi
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del cazzo in cui non ero autorizzato a entrare perché troppo giovane.
Ricordo in particolare un articolo sul Rocket a proposito della scena dance del Vogue che descriveva nel dettaglio le mosse che la gente faceva
sui dischi dei Talking Heads... Già allora pensavo che fosse una grossa
stronzata... Chi erano quei ragazzi che ballavano e chi cazzo scriveva
quella spazzatura? Mi faceva andare fuori di testa il pensiero che qualcuno pubblicasse quella roba. Nella mia giovane immaginazione avevo
costruito un’idea della scena di Seattle di proporzioni bibliche e sapevo
che non poteva ridursi a stronzate insulse come quella, ma ahimè avevo
torto: la scena divenne più patetica di quanto potesse afferrare la mia
immaginazione adolescenziale».
Nonostante tutto, la scena di Seattle era in movimento. Il fatto che
ci fossero ragazzi che andavano a ballare facendo stupide mosse al ritmo
delle canzoni dei Talking Heads, altri che si entusiasmavano di fronte
ai fuochi degli U-Men, altri che si divertivano ascoltando il garage rock
finto naïf degli Young Fresh Fellows, e altri ancora che amavano i riff
sepolcrali dei Melvins, testimonia la varietà del panorama musicale locale a metà degli anni ’80. «Il bello di Seattle è che ascoltavamo il classic
rock ma anche i Black Flag, strana new wave come Blondie o i Devo ma
anche i Kiss, i Queen e i Lynyrd Skynyrd: non c’erano pregiudizi», ha
detto Dale Crover.
«Le scene che fiorivano a Athens, Minneapolis, Austin e New York»,
avrebbe ricordato dieci anni dopo Chris Cornell dei Soundgarden, «erano formate da band che ci sembravano molto fighe. C’era la percezione
che le cose fossero più fighe fuori Seattle. Solo dopo un paio di tournée
capimmo quanto speciale fosse la nostra scena».17
Gli amministratori cittadini non pensavano che la scena di Seattle
fosse speciale. Pensavano fosse pericolosa. Dopo una sparatoria nei pressi di una discoteca vicino al Seattle Center chiamata Skoochies, e dopo
alcuni episodi di violenza legati a una discoteca con sede in una chiesa
sconsacrata chiamata Monastery, il consigliere comunale e futuro sindaco Norm Rice riuscì a far passare la famigerata Teen Dance Ordinance,
assieme a una legge che metteva fuori legge i poster appiccicati ai pali
della luce, il modo preferito dai Seattleite per pubblicizzare piccoli concerti.18 L’ordinanza passò il 29 luglio 1985, sarebbe stata modificata tre
anni dopo e rimasta in vigore per diciassette anni. Prevedeva che nei
locali che servivano alcol fosse ammesso solo di chi aveva compiuto
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21 anni; i ragazzi tra i 18 e i 21 anni potevano accedere a feste da ballo
solo qualora non vi fossero venduti alcolici; inoltre, affinché potessero
entrare ragazzi che avevano compiuto 16 anni, i locali dovevano assicurare standard di sicurezza e polizze assicurative a un costo proibitivo.
L’effetto era l’allontanamento dei minorenni dalla vita notturna.
All’inizio pochi pensarono che il provvedimento avrebbe interessato
non solo le discoteche, ma anche i locali rock. E invece anche ai concerti,
ragionarono i promotori della legge, c’erano adolescenti che ballavano. E
quindi andavano regolati. Agli ufficiali di polizia presenti sul luogo era demandato il compito di decidere se i ragazzi stavano ballando. Lo scoprirono in estate i gestori del Rock Theater, un locale nell’International District
fondato dall’ex proprietario del Gorilla Room e formato da due sale, il
Gorilla Gardens e l’Omni Room. Le autorità ravvisarono una violazione
dell’ordinanza per via della presenza di teenager durante un concerto degli
Hüsker Dü. Ben presto i minorenni furono esclusi dai concerti punk-rock.
Come se non bastasse, una nuova ondata di violenze e di scontri fra gang
rese ancora più difficile la vita di chi lavorava per avere una scena musicale
vibrante, ricca, provocatoria, ma pacifica. Molti gruppi si rifugiarono nelle
cantine, negli appartamenti, nei cortili dove tennero concerti improvvisati
e interrotti a volte dalla pioggia, a volte dall’arrivo della polizia.
Dave Meinert, futuro manager dei Presidents Of The United States
Of America, vide la polizia piombare a uno show dei Mudhoney che
aveva organizzato alla Odd Fellows Hall. Era il 1993, i due gruppi rock
di maggior successo al mondo erano di Seattle e i mass media presentavano la città come la nuova Mecca del rock.
«Sembra che i ragazzi stiano ballando», disse un ufficiale di polizia a
Meinert.
«Nossignore», replicò il manager, «non stanno ballando, stanno pogando».
«A me sembra che ballino», disse l’ufficiale prima d’interrompere il
concerto.
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NOTE
1 - Secondo Dave Dederer dei Presidents Of The United States Of America, «gli Alice
In Chains e i Soundgarden capirono più tardi come far funzionare quel miscuglio.
I Green River ci provarono».
2 - Ament nel libro di Greg Prato Grunge Is Dead: «L’Enigma e la Homestead furono
le prime a rispondere. L’Enigma ci spedì un contratto di 60 pagine, la Homestead
di due. Scegliemmo la Homestead».
3 - Ai tempi Pavitt aveva una rubrica chiamata Sub Pop sul Rocket.
4 - Secondo House, Deep Six ebbe un effetto nascosto, ma dirompente: ispirò Bruce
Pavitt a lanciarsi nell’avventura Sub Pop.
5 - Sulla figura di Reid è stato modellato uno dei protagonisti del musical del 1983
Angry Housewives.
6 - La citazione è presa da un sito Internet di cui ho perso traccia. Me ne scuso con
gli interessati.
7 - The Rocket, ottobre 1985.
8 - Maximum Rock‘n’Roll, agosto 1990.
9 - Nell’Olympic National Park è dedicato un capitolo di The Good Rain di Timothy
Egan, Vintage Departures, 1991..
10 - Kurt Cobain, Diari, 2002.
11 - Questa citazione e la successiva sono tratte dalle note di copertina di Gluey Porch
Treatments, la ristampa del 1999 su Ipecac.
12 - E con questa ha sistemato anche i Green River...
13 - Il trittico Nothing Left Inside, Three Nights, Scream.
14 - Guitar World, febbraio 1995.
15 - Da Of Grunge And Government, RDV Books/Akashic Books, 2004.
16 - Note di copertina di 26 Songs (Ipecac, 2003).
17 - Seattle Post-Intelligencer, maggio 1994.
18 - Qualcuno ipotizza che l’arte dei poster musicali, così diffusa in città, abbia favorito lo sviluppo dell’arte grafica locale.
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