18 ORTHOviews O RT O P E D I A P E D I AT R I C A La fascite plantare Chirurgia ortopedica e sicurezza stradale «Tutti i bambini, compresi a maggior ragione quelli che hanno specifiche necessità dovute a problemi di salute, dovrebbero avere accesso a equipaggiamenti adatti che consentano un trasporto automobilistico sicuro». È una delle raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics (Aap), emessa in considerazione del fatto che gli incidenti stradali costituiscono la principale causa di morte tra i bambini negli Sati Uniti. Numerosi provvedimenti di legge sono stati predisposti allo scopo di minimizzare le conseguenze degli incidenti per adulti e bambini: questi ultimi, nelle auto americane, devono essere posizionati diversamente a seconda dell’età, per ridurre il più possibile i problemi di sicurezza. I neonati devono essere posti su seggiolini rivolti in senso opposto al senso di marcia, dai due anni in poi su seggio- lini girati in avanti e infine sui booster seats, che assicurano una posizione corretta con le cinture dell’auto sulle spalle. In Italia le norme sono piuttosto simili e il trasporto dei bambini sui veicoli è regolato dall'articolo 172 del codice della strada, dalla normativa europea e con una circolare attuativa del ministero dell'Interno. Tuttavia per i bambini che per problemi di salute hanno difficoltà di movimento, può essere difficile utilizzare equipaggiamenti standard. Ad esempio dopo un intervento chirurgico per displasia evolutiva dell’anca o displasia spastica dell’anca, ai bambini viene applicato un apposito tutore che garantisce l’immobilità: in questi casi è praticamente impossibile seguire le regole generali per il trasporto in auto. Un recente studio indica la necessità di sviluppare stra- tegie per migliorare la possibilità di trasporto dei piccoli immobilizzati con i tutori e per permettere l’aderenza ai protocolli prescritti per un trasporto sicuro. Ne è autore Martin J. Herman, con alcuni colleghi del dipartimento di chirurgia ortopedica presso il St Christopher’s Hospital for Children di Philadelphia. I medici hanno preso in esame 35 bambini da uno fino a 13 anni (età media: cinque anni) che indossavano questo tipo di tutori. Dopo un’attenta valutazione, nessuno dei bambini è stato ritenuto adatto a essere trasportato in sicurezza su seggiolini standard: a 12 di loro è stato consigliato di servirsi di ambulanze e agli altri 23 di ricorrere a seggiolini realizzati su misura. I ricercatori hanno anche verificato che solo in pochi casi i genitori hanno seguito le indicazioni fornite dagli specialisti men- POLSO E MANO Un trasferimento tendineo molto complesso La paralisi dell’estensione del polso è tipica della lesione ostetrica del plesso brachiale, nelle lesioni totali C5-T1 e quando i livelli danneggiati sono C5-C6-C7. In quest’ultimo caso si assiste più spesso a un recupero spontaneo, mentre nelle lesioni complete l’estensione di polso e dita non recupera in circa un soggetto su quattro - oltre al fatto che per la maggior parte rimangono sostanziali deficit alla spalla e al gomito e deficit di movimento all’avambraccio. In caso di mancato recupero spontaneo, un preciso e dettagliato esame del paziente e una corretta valutazione permettono al chirurgo di scegliere tra le molte opzioni di intervento. In letteratura sono pochi gli studi che hanno documentato i risultati di un trasferimento tendineo effettuato in bambini con lesione ostetrica del plesso brachiale allo scopo di ripristinare l’estensione del polso. È un intervento reso delicato per la presenza di muscoli denervati e la giovane età dei pazienti e proprio una sua valutazione clinica e funzionale è l’obiettivo che si è posto David E. Ruchelsman dell’ Harvard Medical School con un grup- po di colleghi. Questi bambini devono essere valutati attentamente da un team multidisciplinare prima di essere sottoposti a intervento chirurgico. I tendini donatori non sono facili da trovare e devono svolgere diverse funzioni. L’innervazione sensitiva della mano è una delle più complesse del corpo ed è fondamentale per l’esecuzione di tutti i movimenti, i gesti e le prese. Per poter disporre di un muscolo-tendine trapiantato valido è necessario che si presenti al trapianto in condizioni ottimali ed è quindi importante massimizzare la forza del muscolo donatore. Anche la fase post-operatoria è delicata, a partire da una adeguata protezione della sutura tendinea per non vanificare i risultati dell’intervento, e l’utilizzo normale della mano si raggiunge solo dopo diverse settimane. «I bambini con deficit di estensione del polso rappresentano una tipologia di pazienti con caratteristiche uniche – fa notare Ruchelsman – e i dati di trasferimenti tendinei rilevati su altre serie di pazienti non possono essere estesi a questi soggetti». Gli autori dello studio hanno così esaminato tre gli altri hanno continuato a utilizzare i metodi di trasporto più facili, anche senza le opportune garanzie di sicurezza. Gli autori dello studio riconoscono che può trattarsi di una situazione difficile da affrontare per le famiglie in cui sono presenti bambini con tutori all’anca. Secondo Herman, la soluzione passa attraverso programmi di aiuto economico, sia perché i genitori possano acquistare seggiolini personalizzati sia perché abbiano garantito l’accesso a mezzi di trasporto speciali, come le ambulanze, nei casi più critici. Renato Torlaschi Herman MJ, Abzug JM, Krynetskiy EE, Guzzardo LV. Motor vehicle transportation in hip spica casts: are our patients safely restrained? J Pediatr Orthop 2011 Jun;31(4):465-8. 21 bambini (11 maschi e 10 femmine) sottoposti a trasferimento tendineo per ripristinare una corretta estensione del polso. Otto di questi pazienti presentavano lesioni ai tre nervi cervicali C5, C6 e C7 mentre gli altri 13 avevano paralisi globale C5-T1. Al momento dell’intervento chirurgico, i bambini avevano un’età compresa fra i tre e gli otto anni, con una media di cinque anni e mezzo e sono stati poi seguiti per un periodo medio di follow-up di 36 mesi; durante i controlli, la misura dell’estensione del polso è stata effettuata in base alla scala funzionale di Duclos e Gilbert. Al momento dell’ultima valutazione, il 66% dei bambini ha mostrato una capacità di estensione del polso di almeno 30 gradi; questa percentuale è però la media tra il 100% ottenuto quando le lesioni erano limitate ai livelli C5-C6-C7 e il 46% nei casi di lesione totale C5-T1: tra questi si sono avuti anche molti fallimenti (quattro su 13). Gli autori si sono soffermati anche sulla scelta ottimale del tendine donatore, facendo però notare che non ci sono indicazioni univoche da parte degli esperti. Giampiero Pilat Ruchelsman DE, Ramos LE, Price AE, Grossman LA, Valencia H, Grossman JA. Outcome after tendon transfers to restore wrist extension in children with brachial plexus birth injuries. J Pediatr Orthop 2011 Jun;31(4):455-7. Come suggerisce il nome, la patologia colpisce elusivamente i fasci fibrosi della pianta del piede. Possiamo definirla come un'entesite della fascia plantare del piede, ovvero un'infiammazione della giunzione fascia-osso a livello della base del piede. Quella monolaterale spesso è la conseguenza di malformazioni congenite del piede o di errato appoggio durante la deambulazione, riscontrabile più tipicamente a livello sportivo nei podisti. I sintomi, che non sempre sono così netti e definiti, possono comparire come un dolore intenso a livello del tallone, o più precisamente all’inizio della volta plantare. Molto spesso dopo pochi giorni la sintomatologia si irradia a tutto il piede, con conseguente infiammazione di tutto il fascio plantare del piede. Rari sono i casi nei quali la sintomatologia risale la gamba e si diffonde nel territorio del tendine d’Achille. Non solo la tipologia del dolore può essere differente ma anche la durata non è sempre costante: in alcuni casi raggiunto l’apice della sintomatologia per diversi giorni il paziente può riferire di star bene, sentendo il piede come indolenzito; in altri casi il dolore è costante con picchi alla mattina durante i primi passi o la notte prima di coricarsi. Può essere così intenso da impedire la normale deambulazione. Molto spesso sottovalutata, sia dal paziente che dal medico, è una problematica che se non curata e affrontata tempestivamente può cronicizzare, rendendo pessima la qualità della vita. La patologia, infatti, non regredisce spontaneamente, lo stato di infiammazione con il continuo deambulare e sostenere il peso del corpo aumenta gradatamente fino a divenite una patologia cronica, molto più difficile da curare e risolvere. Come accennato le cause possono essere varie: un'iper pressione a livello del tallone, una malformazione congenita che sovverte la corretta distribuzione del carico sulla pianta del piede andando ad aggravare l’appoggio sul retro piede. Un eccessivo sollecitamento durante l’attività sportiva. Malformazioni ossee legate non tanto alla distribuzione del carico quanto all’anatomia dell’osso del calcagno. Strappi o rotture del tendine d’Achille con "caduta" del calcagno e quindi iper appoggio: avere il piede piatto o cavo. In alcuni casi si associa alla spina calcaneare, spesso con diagnosi non corretta. La corretta deambulazione, una valutazione baropodoscpopica del cammino può fornire informazioni fondamentali sull’atteggiamento del piede e quindi prevenire o correggere stati patologici. In ottica preventiva si rivela importante anche il controllo del peso corporeo e l'utilizzo di calzature adeguate, soprattutto durante l’attività sportiva. I possibili approcci terapeutici I trattamenti sono dati principalmente dal riposo meccanico: mettere in scarico l’articolazione, non affaticarla, evitare l’appoggio riduce drasticamente il livello di infiammazione. Il riposo può essere anche di diverse settimane. Se il paziente si presenta con una sintomatologia importante può essere utile iniziare con un ciclo di infiltrazioni locali con cortisonici. Si possono poi proporre cicli di onde d’urto focalizzate, che trovano un riscontro e un beneficio già dalla seconda applicazione. Sicuramente va consigliato lo studio sia statico che dinamico del piede ed eventualmente è utile proporre plantari fatti su misura. Vi è poi la valutazione radiografica o con tecniche di imaging più approfondite della conformazione ossea del piede, per stabilire se vi sia l’indicazione a un approccio chirurgico. In sostanza come ogni problematica così sfumata deve essere correttamente inquadrata anche e soprattutto nell’ottica del tipo di paziente che si ha davanti. Le esigenze di un podista professionista sono differenti da chi non pratica sport e questo è molto importante nella scelta della terapia. In alcuni casi selezionati si può pensare a una cura che incida maggiormente sul dolore, ma che a lungo termine non presenti la completa scomparsa della sintomatologia. È però importante spiegare al paziente che per svolgere la propria attività in modo corretto dovrà sottoporsi a un iter terapeutico che a volte può protrarsi per alcune settimane. Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia