Capitolo 1° - Il fenomeno giuridico: ordinamenti, fonti e norme nella teoria generale 1. L'esperienza giuridica e i suoi caratteri fondamentali Non è dato riscontrare nell'esperienza umana nessuna forma di associazione tra individui che non sia in qualche modo regolata da norme. È tutt'oggi valido l'antico brocardo secondo il quale ubi societas, ibi ius, quindi la norma giuridica appartiene alla categoria delle norme sociali: ha ad oggetto, gruppi sociali e relazioni intersoggettive. Funzione del diritto è, dunque, quella di disciplinare la convivenza, di propiziare regolarità, rendere prevedibile e certo lo svolgersi delle relazioni umane e le soluzioni dei conflitti. Il valore sotteso al diritto è la giustizia e ne costituisce l'aspirazione. Poiché il concetto del giusto è un concetto relativo ne consegue la relatività delle soluzioni o valutazioni giuridiche. Obiettivo del diritto è garantire l'equa coesistenza tra l'aspirazione alla libertà di ciascuno di seguire i propri interessi e la propria idea di giustizia e quella di una ordinata coesistenza. 2. La differenza tra il diritto e le altre scienze naturali e sociali Definiamo: 1. essere della realtà: il regno della necessità o del caso norma naturale: un evento naturale (l'acqua che bolle a 100°) norma sociale: un evento sociale (nella interazione tra i bambini di un asilo nido la differenza di sesso ha una diversa rilevanza seconda dell'età) 2. dover essere della realtà: regno delle scelte norma giuridica; la scelta consapevole di voler ordinare un aspetto della convivenza umana Mentre nelle regole naturali o sociali, l'ordine precede logicamente la formulazione delle regole (prima si osserva un fenomeno e poi se ne dà la regola), nel caso del diritto sussiste una priorità logica della norma rispetto al fatto giuridicamente ordinato o qualificato: essa ha, cioè, carattere pre-scrittivo. Inoltre, il diritto ha bisogno di un riscontro nella pratica, bisogna cioè che le sue regole in qualche misura si attuino (regole mai osservate interessano poco il fenomeno giuridico e contraddicono la sua funzione ordinatrice). Il diritto ha, pertanto bisogno di "effettività", cioè di una media osservanza delle norme da parte dei loro destinatari. 3. L'ordinamento giuridico Il fenomeno giuridico, in quanto esperienza della socialità dell'uomo, richiede la sussistenza di due dimensioni: 1. dimensione deontologica: è quella più strettamente normativa ed attiene all'insieme di regole che pretendono di ordinare le relazioni sociali 2. dimensione esistenziale o fattuale: attiene alla ricaduta empirica, in termini di effettività della volontà normativa. Si ha il fenomeno giuridico solo nel momento in cui il dato esistenziale può essere ricondotto all'interno di schemi di valutazione stabiliti dall'uomo. È necessaria la preesistenza di un sistema di regole che imprima un ordine deontologico (ossia un dover essere) al gruppo sociale. Tale assetto ordinato e prestabilito di relazioni, in cui la posizione di ciascuno rispetto agli altri è determinata normativamente prende il nome di organizzazione (rapporto di coniugio o di parentele, associazione tra individui, le regole implicite che disciplinano in una fila alla posta, l'ordine di accesso allo sportello). Si può dunque definire l’ordinamento giuridico come l’insieme di una pluralità di persone organizzata da un sistema di norme. Non vi può essere ordinamento senza organizzazione. La manifestazione più evidente di un ordinamento giuridico si ha, per esempio, nel momento in cui una collettività effimera si struttura più stabilmente attraverso un processo di entificazione, quando cioè il gruppo diviene vero e proprio soggetto di diritto al quale fanno capo rapporti distinti rispetto a quelli riconducibili ai singoli componenti. Accanto ai rapporti "orizzontali" tra i membri, si sviluppa la coscienza di una soggettività ulteriore, costituita dal gruppo in quanto tale, nasce così una relazione "verticale" tra i singoli e l'entità complessivamente intesa. Sussiste, quindi, un’unità che vive di vita propria al di là dei singoli destini individuali. È tale gruppo-ente, innervato di legami unitari, che rappresenta un'istituzione. L'espressione "ordinamento giuridico" può essere utilizzata per significare: "il tutto", ordinamento in senso lato (il gruppo sociale organizzato e le regole che ne determinano l'organizzazione. Es: l’Italia è un ordinamento giuridico sovrano) "la parte", ordinamento in senso stretto (il solo sistema di norme. Es: l'ordinamento giuridico dello Stato italiano è completo e privo di lacune). 4. La pluralità degli ordinamenti giuridici e la relatività dei rispettivi valori Esistono molteplici ordinamenti statuali (l'ordinamento italiano, francese, austriaco, ecc.), esistono altresì molteplici ordinamenti non statuali (l'ordinamento della Chiesa cattolica, le associazioni, cooperative, ecc.). Vi è dunque una pluralità di ordinamenti giuridici, in particolare si parlerà di: pluralismo monotipico degli ordinamenti: più ordinamenti dello stesso tipo: statali) pluralismo politipico degli ordinamenti: (più ordinamenti di tipi diversi) Ciò significa che si può parlare anche di relatività e convenzionalità delle valutazioni giuridiche. Ogni sistema di regolazione riconducibile ad un gruppo sociale dotato di una propria identità è, infatti, in grado di compiere opzioni valutative relative a quel gruppo che possono o no essere condivise da altri gruppi e ciò perché il fenomeno giuridico esprime valutazioni deontologiche non obbligate, ma convenzionali, capaci di sussistere anche in presenza di valutazioni di segno opposto. È chiaro che possono crearsi dei conflitti tra i vari ordinamenti che l'operatore giuridico positivo dovrà di volta in volta risolvere collocandosi nella prospettiva di un singolo ordinamento e vedere come esso considera i sistemi di norme esterni o interni ad esso. Gli atteggiamenti possibili sono: ignorare del tutto l'altro ordinamento, disconoscendo integralmente il sistema di norme ad esso sotteso e considerando i suoi componenti nella loro individualità e non come parte di un gruppo sociale organizzato qualificazione negativa: l'ordinamento viene riconosciuto ma per essere combattuto ed estirpato qualificazione positiva: l'ordinamento viene considerato lecito e si adottano misure per proteggere la vita di tale aggregazione considerare rilevante l'azione di quell’ordinamento al punto da offrire i propri organi e mezzi per assicurarne l'osservanza ed il rispetto (società per azioni, regolamento di condominio). Si parlerà in questo caso di diritto "nello Stato" valorizzare al massimo l'ordinamento preso in considerazione appropriandosi del diritto da questo creato e riconoscendolo come diritto proprio (consuetudini generali dell'ordinamento internazionale, diritto prodotto dai comuni o dalle regioni). Si parlerà in questo caso di diritto "dello Stato" 5. Prospettiva teoretica e prospettiva dogmatica Altra conseguenza della relatività dei valori giuridici e della pluralità degli ordinamenti è la differenza tra: prospettiva teoretica o teoria generale: studia il fenomeno giuridico, la sua intima natura elaborando delle categorie (che cosa è una norma) prospettiva dogmatica o diritto positivo: attiene alle soluzioni che valgono per il singolo ordinamento (le singole norme) 6. Le fonti del diritto in prospettiva teoretica La prima esigenza di ogni fenomeno giuridico è determinare il modo in cui debba prodursi il diritto, cioè individuare quelle regole che disciplinano gli atti giuridici idonei a creare diritto. Norme sulla produzione: sono quelle particolari norme di un ordinamento che sono dirette a regolare i comportamenti umani produttivi di norme giuridiche ossia le fonti del diritto. Esse dunque operano sul piano del possibile giuridico. Le altre norme invece operano sul piano del lecito materiale, stabilendo quali comportamenti sono da considerarsi leciti o illeciti. Tali norme, dette fonti legali (quelle cioè formatesi in conformità alla volontà dell’ordinamento), formano il diritto positivo, cioè il diritto effettivamente stabilito. Nei confronti di tali fonti esiste una presunzione favorevole, la quale fa ritenere che esse producano diritto vigente e vadano osservate e fatte osservare. Esistono tuttavia anche quelle che sono chiamate fonti extra ordinem, ossia quei comportamenti che producono diritto anche in assenza di una norma sulla produzione che li abiliti in tal senso. Nei confronti di tali fonti si avrà una presunzione negativa, concretizzata dalla refrattarietà alla loro osservanza fino a quando permarranno in uno stato di precarietà prima della loro affermazione e conseguimento di vigenza. Nel caso delle fonti legali l'esistenza di una presunzione positiva attribuirà un valore confermativo all’effettività della pretesa creativa delle norme sulla produzione (condicio sine qua non) a meno di constatare una condizione negativa. Nel caso delle fonti extra ordinem invece l’effettività non avrà funzione confermativa ma costitutiva (condicio per quam) in quanto sarà l'unico mezzo per il sorgere del diritto. 7. La distinzione tra le fonti-atto e le fonti-fatto Le fonti di produzione del diritto sono comportamenti giuridicamente abilitati a creare diritto. Si definiscono fatti giuridici tutti gli eventi naturali o umani ai quali il diritto riconduce delle conseguenze giuridiche. Fra loro si distinguono: i fatti giuridici in senso stretto che sono tutti quegli eventi nei quali è assente l’elemento volontaristico (la nascita, la morte) gli atti giuridici in senso stretto che sono quei comportamenti umani nei quali si rileva solo la volontà del comportamento (l'omicidio, il riconoscimento di un figlio naturale) i negozi giuridici in cui assume rilevanza la volontà dell’agente di produrre determinati effetti giuridici (testamento, contratto) Le fonti possono essere: fonti-fatto (fonte-atto giuridico in senso stretto) in cui è necessaria e sufficiente la volontà del comportamento, essendo del tutto ininfluente quella di produrre l'effetto normativo (consuetudine) fonti-atto (fonte-negozio) in cui c'è volontà di produrre un effetto normativo a cui corrisponde un potere normativo (leggi ordinarie: attribuzione di potere nell'art. 70 Cost. e volontà dei parlamentari di produrre un effetto normativo) 8. Corollari della teoria delle fonti: La distinzione tra diritto "dello Stato" di diritto "nello Stato" Diritto dello Stato: sono le norme prodotte in base alle fonti legali stabilite dall'ordinamento od alle fonti extra-ordinem impostesi e legittimatesi attraverso l’effettività (diritto oggettivo). Possiamo annoverare la Costituzione, le leggi statali e regionali, gli statuti comunali, i regolamenti europei, ecc. Diritto nello Stato: norme prodotte da fonti di cui l'ordinamento statale non si appropria ma riconosce ad altro titolo (per assicurarne l'osservanza e propiziarne l’effettività) e sono: i provvedimenti amministrativi, i contratti, le sentenze, ecc. 8.1. La distinzione fra disposizione e norma Molto spesso la volontà normativa si esprime tramite la scrittura e tale momento è precedente alla nascita degli effetti della norma (pre-scrittura), essa è anzi momento coessenziale e costitutivo della formazione della fonte, tali scritture prendono il nome di disposizioni, che esprimono il voluto dell'atto. Tuttavia essendo il linguaggio intrinsecamente ambiguo e può dare adito a fraintendimenti equivoci, le norme hanno bisogno di una attività di interpretazione i cui esiti possono essere anche notevolmente divergenti. Inoltre ciascuna norma desumibile da una disposizione si innesta in un contesto giuridico in cui interagisce con le infinite altre norme, anche da tale interazione può essere desunto il significato della disposizione e dunque della norma. Nell'ordinamento italiano la Corte di Cassazione è l'organo cui spetta di assicurare "l'esatta osservanza dell'uniforme interpretazione della legge", in quello europeo è la Corte di Giustizia e il Tribunale di Primo Grado. 8.2. I principi I principi sono di due tipi: 1. principi di prima generazione: (non scritti) si traggono per astrazione generalizzatrice da una pluralità di norme e si distinguono da queste ultime per l'eccedenza di contenuto deontologico che consiste nel fatto che le norme dalle quali si induce il principio esprimono un "dover essere" relativo a determinate fattispecie giuridiche, mentre attraverso il principio il loro ambito di applicazione viene esteso. È possibile infatti, che per un combinato composto (confronto) di due leggi se ne possa ricavare una terza in base al principio che lega le due precedenti (e qui sta l'eccedenza). 2. principi di seconda generazione o principi espressi o principianti: (scritti) formulati da una disposizione, non hanno eccedenza di contenuto deontologico. Sono, pertanto, norme giuridiche caratterizzate da un maggio gado di generalità (principio di giurisdizionalità dei giudici: i giudici sono soggetti solo alla legge [Cost.]) 8.3. I valori I valori non hanno carattere deontologico e non esprimono un "dover essere", ma rappresentano il presupposto assiologico delle singole manifestazioni normative. In genere nella giurisprudenza, i valori vengono fatti coincidere con le norme costituzionali più generali (o principi costituzionali espressi) 8.4 L’efficacia delle norme programmatiche Le norme molto generali (o principi costituzionali) non sono, solitamente, autoapplicative, nel senso che necessitano per produrre i propri effetti, di una normativa di attuazione. Esse hanno, dunque, carattere programmatico, stabiliscono cioè un programma per gli organi con potestà normativa. Sono almeno tre le conseguenze giuridiche dell’adozione di siffatte norme, anche prima che se ne completi il disposto con una normativa di attuazione: 1. vincolo giuridico posto a carico delle autorità pubbliche. Anche se manca la sanzione esso non può considerarsi meramente morale o etico 2. invalidazione di norme con esse contrastanti provenienti da fonti subordinate 3. interpretazione delle altre norme dell’ordinamento alla luce dei nuovi principi generali dell’ordinamento scaturiti dalle norme programmatiche 8.5. La distinzione tra diritto scritto e diritto non scritto Le disposizioni costituiscono formulazioni linguistiche attraverso le quali si manifesta la volontà normativa. Da ciò consegue che il diritto scritto è prodotto dalle fonti-atto. Le fonti-fatto, invece, sono generalmente fonti di diritto non scritto, poiché in tal caso è irrilevante la volontà di produrre norme. Esistono tuttavia delle eccezioni: diritto non scritto da fonti-atto: è quanto accade per i principi che si possono indurre attraverso un procedimento di astrazione generalizzatrice alle disposizioni ("se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe") (ordine di esecuzione per l'adattamento dell'ordinamento interno alle norme del diritto internazionale) diritto scritto da fonti-fatto: ciò avviene nelle ipotesi in cui, pur sussistendo una volontà normativa, essa non è rivolta alla produzione di diritto “dello Stato" (contratti collettivi, condomini) Capitolo 2° - I criteri di risoluzione delle antinomie Capitolo 2° - I criteri di risoluzione delle antinomie 1. I dispositivi per assicurare l'unità dell'ordinamento: i criteri di risoluzione delle antinomie Una delle caratteristiche delle fonti è la forza formale. Tale forza può essere: 1. attiva: capacità di innovare l'ordinamento giuridico 2. passiva: capacità di resistere alla pretesa delle altre fonti di modificare i suoi contenuti La parola ‘formale’ si riferisce al particolare procedimento e alla veste esteriore caratterizzante il tipo di fonte. Abrogazione: cessazione di efficacia di una norma. Con riferimento al tempo si possono immaginare diversi tipi di norme: norme retroattive, che abbracciano fattispecie concrete ed esistenti al momento in cui la fonte acquista efficacia norme ultrattive, che iniziano ad avere vigenza in concomitanza con l'entrata in vigore della fonte norme ad efficacia differita, la cui efficacia decorre a partire da un momento successivo all'entrata in vigore della fonte norme temporanee, delle quali è preventivamente definito sia il momento della decorrenza di efficacia che quello di cessazione della stessa Quando due norme entrano in contrasto fra di loro si ha una antinomia. Ogni ordinamento ai fini della realizzazione dell'unità e della coerenza del sistema, predispone dei criteri di risoluzione delle antinomie. Tali criteri incidono sulle norme e non sulle disposizioni. In sede di teoria generale è possibile individuare tre criteri abitualmente utilizzati per risolvere le antinomie: 1. criterio cronologico: (attiene al fattore tempo e incide sull'efficacia) quando due norme di forza omogenea e di medesima competenza si scontrano, il sistema privilegia, di regola, la norma più recente dotandola della capacità di abrogare la precedente. L'effetto abrogativo opera solo con riferimento al periodo per il quale il contrasto si verifica, restando la norma abrogata pienamente efficace rispetto all'arco temporale che la norma abrogante non pretende di disciplinare. 2. criterio gerarchico: (attiene alla forza formale della fonte, presuppone un vizio della norma incompetente incidendo sulla validità) poiché le fonti sono ordinate gerarchicamente secondo una ipotetica scala verticale fondata sulla diversa forza formale che ad esse viene riconosciuta, le norme antinomiche poste dalla fonte subordinata vengono considerate illegittime o invalide e annullabili, solitamente da organi giurisdizionali a ciò deputati (Corte Costituzionale per antinomie tra norme costituzionali e leggi, Tribunale Amministrativo per antinomie tra leggi e regolamenti) 3. criterio di competenza: (attiene alla competenza della fonte, cioè l'ambito nel quale essa è abilitata ad intervenire; presuppone un vizio della norma incompetente incidendo sulla validità) per trovare applicazione, si presuppone che un certo oggetto di disciplina o una certa finalità o un certo tipo di norma, siano integralmente o parzialmente riservati ad una fonte e sottratti all'altra, nei confronti della quale sorge l’antinomia. Quando è possibile ordinare le norme in base alla competenza delle relative fonti, è la fonte competente a prevalere sulla fonte incompetente a prescindere dal rapporto gerarchico o cronologico. 8 Capitolo 2° - I criteri di risoluzione delle antinomie 4. Efficacia e validità Efficacia: capacità di produrre effetti Validità: conformità alle norme sulla produzione L'inefficacia e l'invalidità si possono combinare in modo differente: norme valide ma inefficaci: sono le norme abrogate o quelle ad efficacia differita norme invalide ma efficaci: norme che producono effetti giuridici prima dell'accertamento dell'invalidità L'accertamento dell'inefficacia viene devoluto a tutti gli operatori giuridici (giudici, pubblica amministrazione, privati) ed ha effetto solo tra le parti ricorrenti (efficacia inter partes) L'accertamento dell'invalidità viene affidata a particolari organi (i giudici e talvolta solo alcuni di essi) ed ha effetto sull'intero ordinamento vincolando tutti (efficacia erga omnes) 5. Fonti atipiche e fonti rinforzate Le fonti atipiche sono identiche alle corrispettive fonti tipiche ma hanno un regime o un trattamento da parte dell'ordinamento sensibilmente diverso in ragione di una particolare competenza (limite al potere di abrogazione popolare delle leggi: alcune leggi vengono espressamente sottratte al referendum dalla costituzione). Le fonti rinforzate si caratterizzano per il fatto di essere identificabili, oltre che per la peculiare competenza, anche per le varianti rispetto alla fonte tipica previste per il loro procedimento di approvazione. Varianti che alterano anche formalmente i caratteri dell’atto. 6. Il criterio di specialità Il principio di specialità si applica nel caso in cui le norme antinomiche poste da due fonti equiordinate (di pari forza formale) differiscano tra di loro per l'ampiezza dello spettro di disciplina. Ci si riferisce all'ipotesi in cui la prima sia meno generale della seconda e la fattispecie di essa sia ricompresa in quella. Nel caso in cui la norma successiva sia più generale e preveda una disciplina incompatibile con la precedente speciale, quest'ultima dovrebbe travolgere la normazione precedente. In tali casi viceversa può trovare applicazione la regola secondo cui lex generalis non derogat priori speciali, vale a dire che la precedente continua a restare in vigore, rappresentando una deroga alla regola generale successivamente affermata. Tale principio si applica solo tra norme omogenee. 7. Le norme suppletive Il conflitto di competenza si fonda sulla distinzione logica tra fonte competente e fonte incompetente e l'accertamento dell'invalidità della norma incompetente (assegnato ad organi particolari) può subire delle eccezioni. Nel caso in cui l'ordinamento consenta alla norma incompetente di operare validamente finché non intervenga quella formalmente legittimata, tale norma viene chiamata suppletiva, in quanto supplisce alla carenza di disciplina da parte della fonte competente e opera validamente finché il soggetto abilitato non esercita la propria competenza intervenendo a disciplinare quel particolare oggetto. Da questo momento in poi le norme suppletive perdono lo loro efficacia. 9 Capitolo 3° - lo Stato, l'ordinamento internazionale e l'Unione Europea 1. Lo Stato Lo Stato è uno tra gli ordinamenti giuridici. Suoi elementi sono: il popolo, il territorio e la sovranità. Il popolo costituisce l'elemento personale dello Stato, i suoi appartenenti intrattengono con lo Stato un legame giuridico specifico: il legame della cittadinanza: somma di situazioni giuridiche soggettive, acquisite nei modi prestabiliti dall’ordinamento e che denota una relazione essenziale di appartenenza all’ente sovrano. il territorio: elemento indefettibile (non c’è Stato senza territorio) e qualificante (occorre uno spazio fisico stabile su cui esercitare il potere) dello Stato. la sovranità: ha carattere di totalità, assolutezza, esclusività, effettività e autofondazione dell’ordinamento. o Assolutezza nel senso che lo Stato non rinuncia alla possibilità di esercitare il proprio potere e di regolare qualsiasi settore della vita senza essere condizionato da alcunché. Tale sovranità comprende anche il monopolio della forza per assicurare alle proprie norme una concreta effettività. La sovranità ha inoltre 3 attributi: o originarietà: capacità dello Stato di trovare in sè stesso il proprio fondamento normativo e la propria giustificazione, da cui scaturisce il principio di esclusività dell’ordinamento statuale (disponibilità delle proprie fonti). o indipendenza verso l’esterno o supremazia verso l’interno 1.2. Altri significati del termine “Stato” E’ possibile definire lo Stato come un ente territoriale sovrano (le Regioni: enti territoriali non sovrani, la Chiesa Cattolica: ente sovrano non territoriale). Lo stesso termine è utilizzato per indicare l’insieme delle norme giuridiche di uno Stato-istituzione (diritto “dello Stato”). La personificazione dello Stato, cioè lo Stato-persona (giuridica) comprende solo alcune delle autorità centrali della Repubblica (Governo, Parlamento, Presidente della Repubblica) e le diramazioni periferiche del Governo centrale (i prefetti, i questori, gli intendenti di finanza, ecc.). 2. La Costituzione dello Stato La Costituzione, espressione di uno Stato liberale e garantistico, è un documento solenne, scritto, contenente i fondamenti della organizzazione del potere posto al vertice dell’ordinamento e materialmente ostensibile, con garanzia di certezza e di intangibilità. 2.1. La Costituzione in senso formale La Costituzione è la legge fondamentale e la fonte suprema dell’ordinamento statale. E’ da considerarsi come una fonte extra ordinem in quanto non ‘pre-costituita’, con essa si realizza, infatti, un ‘nuovo inizio’ rispetto alla legalità precedente. Ciò significa che anche le vecchie norme subiscono, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione, una ricollocazione dogmatica, esse sono legittimate da una nuova fonte di legalità. Essa costituisce una fonte-fatto di diritto scritto. Le Costituzioni possono essere: rigide: se sono gerarchicamente differenziate rispetto alla legge ordinaria e sono previste speciali procedure per la loro modifica. Il carattere rigido esprime un'esigenza di carattere politico, in quanto si fonda sul presupposto che la carta fondamentale non sia disponibile da parte delle maggioranze politiche ordinarie, ma richieda il coinvolgimento delle minoranze o comunque di altri soggetti, come il corpo elettorale nel caso della previsione di un referendum approvativo o gli Stati membri, nel caso in cui, in uno stato federale, gli enti territoriali intermedi debbano partecipare al procedimento di revisione. flessibili: non è formalmente previsto un procedimento di revisione della costituzione, sì che se ne può sostenere sia la totale immodificabilità, sia la ripetibilità da parte del legislatore ordinario secondo i normali procedimenti legislativi. 2.2. La Costituzione in senso sostanziale Il concetto riguarda l'individuazione di quelle norme che possono dirsi costitutive della Costituzione stessa, quelle norme, cioè, che valgono a definirne la fisionomia essenziale rispetto agli altri sistemi giuridici e consentono di distinguerne gli aspetti specifici e peculiari. Tali norme sono quelle che disciplinano particolari profili della vita dello Stato: La spettanza del potere sovrano Le forme in cui sono regolati i rapporti tra governanti e governati La scelta politica fondamentale sulla forma di Stato e di governo i principi politici dell'organizzazione il modo d'essere del gruppo politico statale i rapporti di forza esistenti nella società civile che ne determinano l'assetto normativo Altri sostengono che apparterebbero dunque alla materia costituzionale le norme fondamentali che sono alla base della disciplina di ciascun settore (diritto pubblico, diritto civile, diritto penale, ecc.). Secondo Hans Kelsen la Costituzione in senso sostanziale è l’insieme delle norme sulla normazione (sulla produzione), quelle cioè che determinano come il diritto nasce in un certo ordinamento e di esso possono dirsi dunque "costitutive". 3. Rapporti tra lo Stato e gli altri ordinamenti Esiste una problematica dei rapporti tra lo stato degli altri ordinamenti quali gli altri Stati, la Chiesa cattolica o il diritto internazionale. Lo Stato può ignorare o combattere un altro coordinamento con cui viene a contatto e può anche tollerare che esso agisca nel proprio ambito alla stregua di qualsiasi soggetto privato concorrendo a creare quello che si è chiamato diritto “nello stato". Quando, tuttavia lo Stato riconosce l'altro ordinamento è possibile che esso si accordi per far si che l'azione di entrambi ed i relativi sistemi giuridici siano in qualche misura coordinati sul piano della produzione normativa. Si introduce, cioè,1 collegamento tra le norme che nascono in un ordinamento e quelle che vengono create nell'altro. La prima modalità è quello di un: coordinamento indiretto: in quanto compiuto attraverso dispositivi che mantengono una separazione agli ordinamenti interessati. L'ordinamento che intende coordinarsi non fa proprie le fonti e le norme dell'altro, ma ricorre a meccanismi di produzione giuridica propria parallelamente a quanto si determina nell'altro, mediante un dispositivo di rinvio ordinario o speciale, fisso o mobile, alle fonti e alle norme di esso: o si ha dispositivo ordinario, nel caso in cui la presenza della norma dell'ordinamento richiamato costituisca la mera ragione storico-politica della produzione giuridica dell'ordinamento, senza che risulti formalmente l'origine estranea del contenuto normativo della disciplina posta. o si ha dispositivo speciale in ogni ipotesi in cui l'ordinamento richiamante colleghi formalmente la propria produzione interna all'esserci o al prodursi di una norma dell'ordinamento richiamato si ha rinvio (speciale) fisso nel caso in cui lo Stato si limiti a richiamare norme determinate, identificate in modo esaustivo con riferimento ad una specifica manifestazione normativa. Viene realizzato utilizzando l'arsenale di fonti interne già esistenti. si ha rinvio (speciale) mobile con la creazione di una fonte interna specifica avente ad oggetto della propria fattispecie il fatto del sorgere nell'ordinamento richiamato delle norme cui si vuol rinviare creando così un automatismo. Risponde all'esigenza funzionale di assicurare un coordinamento costante con l'altro ordinamento. coordinamento di parziale o totale integrazione: in tal caso non s'esiste nessun rinvio. I ordinamenti creano contestualmente delle fonti in comune, le quali sono istituzionalmente e, nel caso di fonti-atto, consapevolmente volte ad individuare entrambi gli ordinamenti. 4. L'ordinamento internazionale Peculiarità del diritto internazionale è che esso consiste in un ordinamento i cui membri sono in posizione di parità e non esiste alcuna istituzione autoritaria che li sovrasti. È dunque un ordinamento composto da soggetti che si pretendono sovrani, superiorem non recognoscentes. I soggetti dell'ordinamento giuridico internazionale sono esclusivamente le persone giuridiche rappresentate dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali, ossia le associazioni di Stati che, limitatamente ad alcuni settori, perseguono interessi comuni. Le fonti di tale ordinamento si distinguono in tre figure: la consuetudine: l'accordo o trattato internazionale: procedimenti di produzione giuridica di terzo grado: quelli cioè previsti da norme sulla produzione giuridica internazionale contenute in trattati Poiché le persone fisiche, gli individui non vengono mai presi direttamente in considerazione come titolari di posizioni giuridiche riconosciute, ogni qualvolta l'ordinamento nazionale voglia dare rilevanza interna alle norme del diritto internazionale, occorrerà realizzare una trasformazione strutturale delle norme di quell’ordinamento, le quali sono congegnate per regolare rapporti tra persone giuridiche, mentre nell'ordinamento interno dovranno disciplinare relazioni anche tra persone fisiche. Si parlerà pertanto di adattamento del diritto interno al diritto internazionale. 5. L'Unione europea Con tale denominazione si fa riferimento ad una complessa organizzazione nata nell'ambito del diritto internazionale, ma trasformatasi nel corso dei decenni in qualcosa la cui natura appare del tutto originale rispetto alle comuni organizzazioni internazionali. Quanto alla struttura, l'unione europea è articolata in una pluralità di nuclei ordinamenti tali al loro distinti (pilastri), ma unificati dal fatto che al loro interno operano gli stessi organi, seppure con competenze e poteri distinti. Tale complessità è dovuta ad una ragione storica e ad una ragione politica. La prima è che l'unione europea rappresenta il frutto di una stratificazione di trattati internazionali e di discipline normative susseguentisi nel corso di un cinquantennio. La ragione politica consiste invece nel fatto che, in alcuni settori di disciplina, gli Stati sono più restii a cedere competenze e, quindi, ad aumentare il livello di integrazione. 5.1. L'evoluzione storico-politica del diritto europeo Lo sviluppo dell'ordinamento europeo si può articolarlo in tre fasi: 1. fondazione delle Comunità (CECA, CEE, EURATOM) e dell'originaria elaborazione sulla natura del diritto comunitario e sui rapporti con gli ordinamenti degli Stati membri (periodo che va dalla fondazione della CECA nel 1951 all'approvazione del trattato di Maastricht del 1992) 2. fondazione dell'Unione Europea (dal trattato di Maastricht del 1992 al trattato di Nizza del 2000). Fase caratterizzata dall'estensione dell'area di competenze comunitarie, orientate a coprire settori non economici di rilevante importanza politica fino ad allora custoditi gelosamente dagli Stati nell'ambito della propri sovranità con 3. costituzionalizzazione del diritto europeo (fase tuttora in corso) consistente nell'impiego sempre più frequente di tecniche costituzionali nell'organizzazione e nella disciplina del fenomeno comunitario. Obiettivo rilevante di tale fase è una progressiva integrazione economica degli Stati membri. Date: 1974: costituzione del Consiglio Europeo, organo composto dai capi di Stato di governo, finalizzato a coordinare lo sviluppo politico della comunità 1979: l'introduzione di un sistema di elezione diretta del Parlamento europeo 1986: firma dell'Atto Unico Europeo che predispone una riforma delle istituzioni e dei procedimenti comunitari volta a consentire la realizzazione del mercato interno assicurando la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali Unione Europea: complessa organizzazione nata nell’ambito del diritto internazionale, ma trasformatasi nel corso dei decenni. Entità estremamente complessa, strutturata intorno ad una serie di norme e istituzioni. L’Unione Europea è articolata in una pluralità di nuclei ordinamentali tra loro distinti (pilastri), ma unificati dal fatto che al loro interno operano gli stessi organi. I pilastri sono: 1. quello costituito dal diritto delle Comunità Europee (CE), 2. quello costituito dalle disposizioni relative alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) 3. quello relativo alle disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (Giustizia e Affari Interni GAI). Idea di base: l’integrazione politica a livello europeo doveva essere perseguita attraverso lo strumento di una progressiva integrazione economica. CECA: Comunità economica del carbone e dell’acciaio. Il Trattato prevedeva la creazione di un’Alta Autorità, composta da 9 membri designati dagli Stati, ma funzionalmente vincolati al perseguimento dell’interesse sopranazionale, i cui atti potevano essere adottati a maggioranza dei componenti. A tale organo si affiancava un Consiglio composto da un rappresentante per ciascuno Stato membro, un’Assemblea di delegati parlamentari nazionali ed una Corte di Giustizia. Il fallimento del progetto di creare una Comunità europea di difesa rappresentò la conferma dell’impossibilità di procedere ad un’integrazione più stretta, di tipo politico. Si giunse così all’adozione dei due trattati istitutivi della CEE e dell’EURATOM. Tali trattati allargavano ad ogni settore della vita economica gli obiettivi d’integrazione, perseguendo la creazione di un mercato comune fondato sull’eliminazione delle barriere economico interstatuali, la predisposizione di tariffe doganali verso gli Stati terzi e l’istituzione di 4 libertà fondamentali: di circolazione dei lavoratori, delle imprese, dei beni e dei servizi. I Trattati prevedevano la creazione di politiche comuni per la disciplina di alcuni settori. Parzialmente modificato il modello della CECA. Compromesso di Lussemburgo: riconosceva il diritto di ogni Stato di opporsi alle decisioni a maggioranza quando fossero in gioco importanti interessi nazionali. Progressiva estensione delle competenze comunitarie la Comunità poteva (e può) agire anche al di fuori della attribuzioni nominativamente indicate nei Trattiti. Ruolo centrale: Corte di Giustizia ha riconosciuto all’ordinamento europeo uno statuto particolare; ha affermato la capacità di imporsi agli ordinamenti degli Stati membri; ha stabilito la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno incompatibile; ha definito le modalità di riconoscimento e risoluzione delle antinomie tra diritto interno e diritto comunitario. Dopo successivi passi in avanti (Atto Unico Europeo, Tribunale di Primo Grado), nel 1992, con la stipula del Trattato di Maastricht, veniva fissata in tre fasi il processo di creazione di una Unione economica e monetaria (UEM). Tale atto istituì anche l’Unione Europea, un’organizzazione composta dalle Comunità cui furono affiancati altri due pilastri: la politica estera e di sicurezza comune e la giustizia e affari interni. Mentre il pilastro comunitario continuava a funzionare secondo il metodo comunitario, il secondo e terzo pilastro venivano organizzati sulla base di dispositivi ed attraverso strumenti di azione molto più vicini a quelli caratteristici delle relazioni intergovernative. Accanto all’obiettivo del mercato interno, le finalità dell’Unione si sono connotate anche per una maggiore rilevanza politica: moneta unica, principio di sussidiarietà, Comitato delle Regioni, Banca centrale europea. Trattato di Amsterdam: introduzione della procedura di cooperazione rafforzata; passaggio di alcuni oggetti dal terzo pilastro al primo) Trattato di Nizza: scelta di rafforzare l’esplicita indicazione di alcuni principi tipici della tradizione del costituzionalismo; clausola di omogeneità. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) + Trattato-Costituzione per l’Europa (2004), che in vigore abrogherebbe i Trattati vigenti frutto della Convenzione europea, costituito dai rappresentanti del Parlamento e Governo nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione. (Battuta d’arresto per l’entrata in vigore a causa della mancata ratifica da parte di Francia e Olanda) 5.2 I connotati strutturali del processo di integrazione comunitaria La creazione dell’ordinamento comunitario ha dato vita ad un sistema di governo multilivello, nel quale alla tradizionale organizzazione degli Stati è sovrapposto un nuovo livello organizzativo e decisionale. Riguardo al tema della ripartizione delle competenze, dell’organizzazione e delle forme dell’azione europea si riscontra una tensione tra la riluttanza degli Stati a spogliarsi di certe competenze e la spinta verso una sempre maggiore integrazione. La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che lo sono assegnati dal Trattato (principio di attribuzione). Ma la teoria dei poteri impliciti e la caratterizzazione prevalentemente finalistica degli ambiti di potestà normativa rendono flessibile e dinamica la linea di confine tra le competenze nazionali ed europee. Forme dell’azione europea: approccio intergovernativa: valorizza il ruolo e l’interesse degli Stati in quanto tali nei processi decisionali e trova il proprio archetipo nel dritto internazionale (ciascun oggetto è in posizione paritaria rispetto agli altri). Questa logica trova espressione sia sul piano organizzativo, sia sul piano procedimentale, sia sul piano degli effetti conseguenti alla deliberazione di taluni atti. approccio sopranazionale o comunitario: valorizza l’interesse generale del corpo politico che costituisce la Comunità. Riguardo all’eguaglianza politica dei cittadini, le scelte del governo sono ispirate al principio democratico. Anche tale logica si esprime sui tre piani precedentemente elencati. 5.3 Gli elementi di originalità del sistema normativo comunitario Elementi di originalità: primo pilastro, cioè sistema costituito dalla Comunità europea e dall’EURATOM. Tra gli atti normativi degli organi di tali Comunità, ve ne sono alcuni, i quali dispiegano i propri effetti direttamente negli organi degli Stati membri valutati alla stregua del diritto nazionale come fonti-atto di diritto scritto. Corte di Giustizia: organo giurisdizionale competente a pronunciasi sull’interpretazione del Trattato e sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della comunità. Adotta sentenze che si impongono omisso medio ai giudici ed agli altri operatori nazionali ed i cui effetti modificano direttamente l’interpretazione e la conformazione dell’ordinamento giuridico nazionale. La Corte di Giustizia agisce come una sorta di Corte suprema. Norme passerella: permettono di comunitarizzare un settore appartenente al secondo o terzo pilastro. Norme sulla cooperazione rafforzata: permettono anche solo ad alcuni degli Stati membri di realizzare forme più avanzate di integrazione. 5.4 La natura del diritto europeo e i rapporti tra gli ordinamenti italiano e comunitario La Corte di giustizia ritiene che quelli nazionali siano ordinamenti ormai inseriti nell’ordinamento sovranazionale. Vs. la nostra Corte costituzionale, che è dell’opinione che permanga una distinzione di autonomia dogmatica fra di essi. Per la Corte di giustizia, nelle materie di competenza comunitaria, non esisterebbero limiti. Vs. La Corte costituzionale italiana, il diritto comunitario non è sempre e comunque preferito alla disciplina nazionale. 5.5 Il problema della sovranità dell’Unione Europea Sembra da escludere che l’Unione europea possa dirsi sovrana l’ordinamento europeo non può considerarsi originario. 5.6 L’ordinamento della Chiesa cattolica e i suoi rapporti con lo Stato Chiesa cattolica: ordinamento regolato dal diritto canonico, il quale ne stabilisce i confini soggettivi ed oggettivi. È un ente indipendente dagli Stati e dotato di una propria personalità giuridica. È un ordinamento privo di un proprio territorio (infatti non si identifica con la Città del Vaticano vero e proprio Stato sovrano – Trattato Lateranensi). Il governo centrale della Chiesa cattolica è costituito dalla Santa sede, con il quale il diritto canonico identifica il Romano Pontefice e l’insieme degli uffici (Segreteria di Stato e gli organi della Curia romana). Lo Stato della Città del Vaticano mira ad assicurare la piena indipendenza grazie all’esistenza di un apparato governante sovrano, connotato da un territorio. Patti Lateranensi (1929): tra lo Stato italiano e la Santa sede; costituiti dal Trattato Lateranense, da quattro allegati, dal Concordato e dalla Convenzione finanziaria. Si riscontra una prevalenza delle norme concordate su quelle costituzionali, fatti salvi i diritti inviolabili e i principi supremi della Costituzione. Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo Sezione I – Le fonti dell’ordinamento nazionale 1. Il problema dell’individuazione delle fonti L’ordinamento giuridico statale determina le proprie fonti di legge attraverso le norme sulla produzione che hanno per oggetto i comportamenti abilitati a creare diritto. L’unico elenco delle fonti è contenuto nelle Disposizioni sulla legge in generale (premesse al Codice Civile del 1942), ed include in ordine gerarchico: la legge, i regolamenti del Governo e di altre autorità, le norme corporative e gli usi, gli atti del Governo aventi forza di legge Tale elenco ha subito un rapido invecchiamento. Nella vigente Costituzione solo la legge e gli atti con forza di legge sono previsti e parzialmente disciplinati. Il sistema delle fonti a livello secondario costituisce un sistema aperto in quanto tali fonti non sono menzionate sulla Carta. 1.1 I casi dubbi Per stabilire se un comportamento umano sia in grado di produrre regole giuridiche che entrano a comporre il diritto lo Stato, non possono ritenersi sufficienti gli elementi formali. I casi dubbi riguardano soprattutto le fonti secondarie che non essendo menzionate dalla carta costituzionale vengono disciplinate a seconda dei casi e in modo diverso. 1.2 La rilevanza pratica dell’individuazione delle fonti dell’ordinamento dello Stato 1- Stabilire se un atto appartenga alla categoria delle fonti del diritto “dello Stato” ovvero 2- sia produttivo di regole semplicemente esistenti e rilevanti “nello Stato”, presenta rilevanti conseguenze pratiche: solo nel primo caso, infatti, si applica il Principio jura novit curia: le parti non hanno l’onere di dimostrare l’esistenza ed il contenuto delle norme invocate ed il giudice è vincolato a ricavare ed interpretare d’ufficio le norme da applicare al caso concreto. I giudici sono soggetti soltanto alla legge; hanno l’obbligo di procedere all’annullamento, alla disapplicazione od alla rimessione alla Corte costituzionale per l’annullamento delle norme viziate. Ricorso alla Cassazione: inosservanza o falsa applicazione di norme di diritto o di norme giuridiche. Violazione di legge: invalidità degli atti amministrativi. 2. I criteri di interpretazione Criteri di interpretazione: letterale o testuale, nel quale i termini utilizzati presentano un senso univoco; sistematica, le parole hanno una molteplicità di possibili significati quindi bisogna esaminare il contesto; costituzionale e comunitaria, la connessione tra le parole si realizza coinvolgendo le norme apicali del sistema (norme costituzionali e comunitarie). 18 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo intenzione del legislatore, qualora persista l’incertezza, l’interprete deve tenerne conto come ratio legis (detta interpretazione teleologica) interpretazione a contrario, la volontà del legislatore può ricavarsi anche dal suo silenzio 3. Le lacune L’Ordinamento giuridico dello Stato si caratterizza per la sua pretesa di completezza o di assenza di lacune: ciò significa che un giudice non può astenersi dal decidere motivando che non si trova una regola applicabile alla fattispecie. Esistono delle norme di chiusura che consentono di ricavare dal sistema una regola ad essa applicabile: analogia legis: se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe.” analogia juris: se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato” Tuttavia per le norme penali esiste il divieto di analogia che comporta l'esclusione dell'esistenza del reato in caso di mancanza della specifica fattispecie penale 4. I criteri di risoluzione delle antinomie nel diritto positivo italiano Risoluzione delle antinomie: eliminazione dei contrasti tra le diverse regole di condotta presenti nello stesso ordinamento. I criteri adottati sono: criterio cronologico: disciplina il contrasto tra norme prodotte da fonti entrate in vigore in momenti diversi ed aventi lo stesso grado gerarchico ed identica competenza. In base a tale criterio prevale e deve essere applicata la norma contenuta nell'atto più recente, mentre quello anteriore viene abrogata (lex posterior abrogat priori). L'abrogazione di una norma può essere: espressa: tacita: o per incompatibilità o per nuova disciplina dell'intera materia quanto agli effetti, l'abrogazione non incide sulla validità (intesa come conformità ad un parametro normativo), ma sull'efficacia della norme (ossia sulla loro capacità di produrre effetti giuridici) circoscrivendola nel tempo, cioè, la norma abrogata continua ad applicarsi alle fattispecie che si sono verificate prima dell'entrata in vigore dell'atto abrogativo (ex nunc). Il criterio cronologico non opera qualora la norma anteriore abbia il carattere della specialità (lex posterior generalis non derogat priori speciali) criterio gerarchico: presuppone un rapporto gerarchico tra due soggetti due organi, sostanziandosi nella prevalenza della volontà e degli atti dell'organo superiore. Il contrasto tra le leggi e le norme costituzionali è sindacato in via esclusiva dalla Corte Costituzionale e l'illegittimità dei regolamenti è dichiarata soltanto dai giudici amministrativi (Tar e Consiglio di Stato). L’atto soccombente viene annullato, il che produce effetti retroattivi (ex tunc) criterio della competenza: trova applicazione là dove le fonti vengono differenziate per l’ambito di attività normativa spettante a ciascuna di esse. 19 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo 5. Le singole fonti nazionali: la Costituzione formale e le leggi di revisione costituzionale La Costituzione italiana, in senso documentale e formale, è entrata in vigore il 1° gennaio 1948. E’ fonte originaria, nasce e si impone come fonte extra ordinem e si colloca al primo posto nella scala gerarchica delle fonti. Costituzione rigida e garantita: prevede un procedimento di revisione aggravato rispetto a quello legislativo ordinario ed un controllo di costituzionalità. Procedimento di revisione: (art. 138 Cost) prevede una duplice approvazione da parte di ciascuna Camera a distanza non inferiore di tre mesi. Riserva di Assemblea: divieto di approvazione del progetto in Commissione deliberante o redigente. Dopo l’approvazione da parte di entrambe le Camere, vi è una sospensione di almeno tre mesi, assicurando nel procedimento una pausa di riflessione. Successivamente si procede alla seconda approvazione nel quale il testo o viene approvato con le maggioranze oppure il procedimento si interrompe. Se, nella seconda approvazione, si raggiunge la maggioranza di almeno 2/3 degli aventi diritto al voto, le legge costituzionale viene promulgata dal Presidente della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, ed entra in vigore il 15° giorno successivo alla pubblicazione. Se, invece, si ottiene almeno la maggioranza assoluta (maggioranza degli aventi diritto al voto) si procede ad una pubblicazione notiziole del testo sulla Gazzetta e da quel momento decorre un termine dei tre mesi entro il quale 1/5 dei membri di una Camera, 500.000 elettori o 5 Consigli Regionali possono chiedere lo svolgimento di un referendum. Si procede, poi, alla promulgazione da parte del presidente della repubblica e ad una seconda pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, solo se spira il termine senza che nessuno richieda il referendum o se il referendum è approvato dalla maggioranza dei voti validi. 5.1 I limiti alla revisione costituzionale Non tutte le norme costituzionali possono essere modificate attraverso il procedimento precedente, alcune necessitano di procedimenti particolari (fonti rinforzate o depotenziate) altre invece sono del tutto immodificabili. L’unico limite espresso è previsto dall’art. 139 Cost. per il quale “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” (in quanto tale forma è stata decisa dal referendum del 2 giugno 1946 sfuggendo così alla competenza dell’Assemblea Costituente). Tra i limiti impliciti sono inquadrabili le norme che prevedono l'inviolabilità di alcuni diritti costituzionali (diritti inalienabili della persona umana) e l'indivisibilità della Repubblica. 6. Le altre leggi costituzionali Mentre le leggi di revisione costituzionale hanno ad oggetto il diritto formulato nella Carta costituzionale, consistendo in uno stabile mutamento delle disposizioni costituzionali, le altre leggi costituzionali comprenderebbero quelle in rottura o in deroga alla Costituzione e quelle che disciplinano materie od oggetti coperti da riserva di legge costituzionale. Si ha una legge in rottura alla Costituzione allorché il contrasto abbia carattere promissorio, temporaneo e puntuale. La riserva può essere rafforzata nella forma o nel contenuto. 20 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo 7. La legge come atto formale Si intende per Legge: o insieme delle norme dell’ordinamento giuridico dello Stato; o qualsivoglia fonte di rango primario; o una specifica fonte-atto deliberata dalla Camere o dai Consigli regionali o le norme da essa prodotte. La Costituzione ha introdotto dei limiti teleologici al potere legislativo, prevedendo che alcune leggi abbiano l’obbligo o il divieto di perseguire determinati scopi. Legge meramente formale: non ha carattere normativo solo nell’ipotesi in cui l’atto, pur avendo seguito l’iter legislativo, sia costituito da enunciati linguistici impossibili, incomprensibili o contradditori. 7.1 Le leggi personali e le leggi-provvedimento Problema della costituzionalità delle leggi personali (riguardano soggetti determinati) e delle leggi-provvedimento (stabiliscono le norme del caso singolo) art. 97 e 113 in cui si può rinvenire il divieto a queste leggi. 7.2 La riserva di legge Riserva di legge: tutti quei casi in cui la Costituzione attribuisce la disciplina di una determinata materia alla legge formale e agli atti aventi valore di legge, sottraendola alle fonti ad essa subordinate. Le materie coperte da riserva di legge possono essere regolate dagli atti con valore di legge, ma non mancano ipotesi in cui la riserva è circoscritta alla legge parlamentare. Ciò accade laddove attraverso la legge venga svolta una funziona di controllo da parte delle Camere sull’operato del Governo. La riserva di legge è strumentale alla partecipazione delle minoranze alla formazione dell’atto regolativo della materia e alla trasparenza e alla pubblicità che è costituzionalmente prevista per i lavori delle Camere. Le Riserve di legge possono essere: assolute ricorrono allorché l’intera disciplina della materia è riservata alle fonti primarie. relative nei casi in cui è sufficiente che la legge stabilisca i principi della disciplina. Altra distinzione è tra Riserve: semplici: la Costituzione si limita a riservare la disciplina della materia alla legge senza introdurre prescrizioni sostanziali. rinforzate: la Costituzione stabilisce non solo la forma ma anche una parte del contenuto della fonte. 7.3 Procedimento legislativo La legge come atto-fonte si caratterizza per la propria forma, ossia per il suo procedimento di approvazione e per la veste esteriore. Esso è disciplinato dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari. L’organo deliberante l’atto è il Parlamento; alle Camere si attribuisce la funzione legislativa. Ma il procedimento coinvolge anche altri organi e si articola in 4 fasi: l’iniziativa, l’istruttoria, la fase deliberativa e quella perfettiva o integrativa dell’efficacia. 1. Iniziativa: presentazione alla presidenza di una delle assemblee di un progetto redatto in articoli, spetta solo agli organi indicati nella Costituzione: 1. Governo: L’esercizio di tale potere è riservato al Consiglio dei Ministri e deve essere autorizzato dal Presidente della Repubblica. 2. Ciascun membro delle Camere 21 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo 3. 50.000 elettori 4. Consigli regionali 5. Consiglio nazionale dell’economoia e del lavoro CNEL. 2. Istruttoria o preparatoria: assegnazione del progetto ad una commissione. 3. Approvazione del progetto: può seguire sub-procedimenti diversi: a. per commissione referente - la commissione, dopo una fase istruttoria, riferisce all'assemblea sulla base di una o più relazioni. L'aula approva secondo il sistema delle tre letture: i. discussione generale ii. approvazione articolo per articolo iii. approvazione finale b. per commissione deliberante - il progetto viene direttamente approvato dalla commissione con il sistema delle tre letture e a maggioranza semplice c. per commissione redigente - le commissione formula un testo definitivo, discutendo e votando gli emendamenti. L’Assemblea si limita all'approvazione dei singoli articoli e all'approvazione finale d. per procedimento di urgenza. il progetto, una volta che è stato approvato da un ramo del Parlamento, viene trasmesso al Presidente dell’altra Camera. Qualora vengano introdotti uno più emendamenti il progetto ritorna alla Camera di provenienza finché non si raggiunge l'approvazione di un testo identico da parte di entrambe le Camere. 4. Perfettiva o integrativa dell’efficacia: approvato il testo da ambedue le Camere inizia questa fase con l’invio al Presidente della Repubblica di un messaggio attestante il procedimento svoltosi. Da quel momento decorre il termine di trenta giorni entro il quale il capo dello Stato può chiedere una nuova deliberazione alle Camere (rinvio). Dopo la promulgazione la legge acquista esecutorietà almeno per due organi: il Presidente della Repubblica ed il Governo, divenendo obbligatoria per tutti solo dopo 15 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 7.4 Le leggi rinforzate Per alcune leggi la Costituzione prevede un procedimento diverso , solitamente aggravato (o rinforzato) dalla previsione di una fase ulteriore del procedimento o di una maggioranza diversa per l’approvazione dell’atto. Esempio di leggi rinforzate sono: o Leggi che istituiscono nuovi Comuni o nuove Province che devono essere precedute da una richiesta degli enti locali, da un parere dei Consigli interessati e da un referendum delle popolazioni coinvolte o Amnistia e indulto che prevedono la maggioranza qualificata nella votazione articolo per articolo e finale o forme e condizioni particolari di autonomia per le Regioni ordinarie, che devono essere approvate dalle Camere a maggioranza assoluta o leggi di esecuzione dei Patti lateranensi, necessitano di revisione costituzionale o accordo tra le parti o leggi sulla condizione giuridica dello straniero: devono essere in conformità ai trattati internazionali o rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose: necessitano intese con le rappresentanze religiose 22 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo 8. Il decreto legislativo e la legge di delega: natura e procedimento Il sistema delle fonti primarie è un sistema chiuso; tutte le fonti di questo rango devono essere espressamente previste dalla Costituzione. Nella categoria delle fonti primarie può inquadrarsi il decreto legislativo (o legge delegata) definito nella Costituzione (art 76 Cost) come un decreto avente valore di legge ordinaria, è dunque, una fonte-atto di rango primario. Il decreto presuppone una legge di delegazione da parte delle Camere al Governo, con la quale queste ultime gli trasferiscono l’esercizio della funzione legislativa. 8.1 Il decreto legislativo e la legge di delega: i limiti L’art. 76 prevede tre limiti di contenuto delle leggi di delegazione, consistenti: 1. nella fissazione di un termine. Il mancato rispetto del termine comporta l'incostituzionalità del decreto legislativo 2. nell’indicazione di un oggetto definito e 3. nella determinazione dei principi e criteri direttivi (il grado di determinatezza è rimesso alla discrezionalità delle Camere). Ad essi si devono aggiungere i limiti logici, ossia quelli che scaturiscono dalla stessa natura della delega. E’ suscettibile di delega tutto ciò che ricade nella competenza legislativa ordinaria. 8.2 I testi unici Uno dei possibili (e frequenti) contenuti del decreto legislativo è rappresentato dalla raccolta, a carattere esaustivo, della legislazione vigente in un determinato settore: si tratta dei cosiddetti testi unici che talvolta prendono il nome di codici i quali sono atti tesi a raccogliere e riordinare in un unico testo la normativa vigente tenendo conto anche delle eventuali abrogazioni implicite. 9 Il decreto-legge Decreto-legge: adottato dal Consiglio dei Ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica, non è preceduto da una legge di delegazione; dopo la pubblicazione del decreto legge, il Governo deve presentare, il giorno stesso, un disegno di legge di conversione alle Camere, che si riuniscono entro 5 giorni. Se il decreto non è convertito entro 60 giorni dalla pubblicazione, perde efficacia ex tunc (sin dall’inizio). Secondo l’opinione prevalente il decreto-legge è considerato una fonte-atto di rango primario di competenza del Governo, a carattere provvisorio e giustificata dall’esigenza di disciplinare casi straordinari di necessità e d’urgenza. Persuade, tuttavia, l’idea che esso sia una fonte-fatto nata extra ordinem (cioè senza delega delle camere). Sembra essere configurabile come un atto compiuto in carenza di potere e perciò invalido, ma efficace; certa è quantomeno l’esecutorietà, dubbia ne è invece l’obbligatorietà di osservanza (giacchè i destinatari della morma potrebbero “scommettere” sulla mancata conversione). 9.1 La legge di conversione Ritenendo il decreto-legge una fonte-fatto di diritto scritto, la conversione in legge dovrebbe configurarsi come una conversione della fonte aveva (da fonte-fatto a fonteatto). La legge di conversione ha l'effetto di stabilizzare gli effetti normativi prodotti dal decreto-legge. In mancanza di conversione il decreto-legge non può essere ripetuto in quanto la Corte ne ha sancito il divieto di reiterazione. 23 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo 10. Il referendum abrogativo: la natura Il Referendum abrogativo è un istituto di democrazia diretta ed è disciplinato nella nostra costituzione dall’art. 75 il quale Attribuisce agli elettori il potere di deliberare l’abrogazione di una legge o di un atto avente valore di legge. È inquadrabile nelle fonti del diritto e nelle fonti-atto di rango primario. Tale atto modifica l’ordinamento. 10.1 Il procedimento referendario Potere di iniziativa: attribuito a 500.000 elettori (comitato di promotori) o a 5 Consigli regionali. Sul quesito vengono svolti i controlli di legittimità (competenza dell’Ufficio centrale della Corte di Cassazione) e di ammissibilità (attribuito alla Corte Costituzionale). Per la Corte, l’interruzione del procedimento referendario si verifica solo nelle ipotesi di abrogazione sufficiente. Successivamente alla raccolta di firme, viene indetto il referendum con un decreto del Presidente della Repubblica e per l'approvazione del quesito sono necessari un o quorum strutturale, consistente nella partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto al voto, ed un o quorum funzionale, consistente nell'approvazione del quesito da parte della maggioranza dei voti validamente espressi. In tal caso, il presidente della Repubblica dichiara, con un proprio decreto, l’avvenuta abrogazione che decorre dalla pubblicazione del decreto stesso nella Gazzetta Ufficiale. 10.2 I limiti all'ammissibilità del referendum Il referendum abrogativo deve avere ad oggetto una legge o un atto avente valore di legge. Esso non riguarda pertanto né le fonti costituzionali né le fonti secondarie né le fonti regionali, né le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e quelli di ratifica dei trattati internazionali. La formulazione delle richieste referendarie, la Corte esige che siano chiare, omogenee e coerenti. 11. L’atto sostitutivo delle leggi regionali Atto sostitutivo da parte del Governo: questo può sostituirsi ad organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni, nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave, ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica. 12. I regolamenti parlamentari I regolamenti parlamentari sono adottati da ciascuna Camera a maggioranza assoluta. Possono essere classificati tra le fonti del diritto dello Stato, per via dell’esistenza di norme di riconoscimento a livello costituzionale, il nomen juris e la pubblicazione dell’atto. Sono da configurare come fonti-atto di rango primario ed a competenza riservata. 13. I regolamenti degli altri organi costituzionali I regolamenti relativi all'organizzazione interna ed al funzionamento degli altri organi costituzionali (presidenza della Repubblica, governo e corte costituzionale) non sono, a 24 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo differenza dei regolamenti parlamentari, espressamente previsti dalla costituzione. Dunque, il regolamento interno al consiglio dei ministri e quelli della Presidenza della Repubblica sembrerebbero configurabili come fonti di natura secondaria e subordinati alla legge e agli atti con forza di legge, tuttavia le norme costituzionali a garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia degli organi costituzionali sembrano presupporre un'autonomia normativa, in questa prospettiva, anche tali regolamenti dovrebbero configurarsi come fonti-atto di rango primario e a competenza riservata. 14. I regolamenti governativi Regolamenti governativi: fonti-atto di natura secondaria; prevalgono sui regolamenti ministeriali o su quelli di altre autorità. I regolamenti possono essere annullabili da parte dei giudici amministrativi, essendo atti soggettivamente amministrativi. I regolamenti governativi sono approvati dal Consiglio dei Ministri e sono emanati con un decreto del Presidente della Repubblica, mentre i regolamenti ministeriali ed interministeriali sono adottati dal Ministro con un proprio decreto e previa comunicazione al Presidente del Consiglio. I regolamenti governativi sono classificati in 5 categorie: 1. di esecuzione: servono a rendere più agevole l'applicazione delle leggi, 2. di attuazione ed integrazione: vengano adottati quando le fonti di rango primario si limitino a porre una disciplina generale di principio, 3. indipendenti: regolano materie non coperte da riserva di legge e nelle quali non vi sia una disciplina di rango primario, 4. di organizzazione: hanno per oggetto l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche che devono basarsi su una previa disposizioni di legge, 5. di delegificazione: rendono esecutiva l'abrogazione di norme previste da una precedente legge. 15. I contratti collettivi Tra le fonti del diritto sono da menzionare anche i contratti collettivi di diritto pubblico stipulati dai sindacati registrati con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Tuttavia, poiché la legge non ha attuato la norma sulla registrazione dei sindacati ed essi non hanno acquisito pertanto personalità giuridica conservando però natura di associazioni non riconosciute, il loro potere contrattuale continua a produrre effetti solo per i rispettivi iscritti stipulando dei contratti collettivi di diritto comune efficaci solo per i lavoratori appartenenti al sindacato contraente. Per quanto riguarda i contratti collettivi per la disciplina rapporto di pubblico impiego, essi vincolano tutti i dipendenti pubblici. 16. La consuetudine Consuetudine: fonte-fatto non scritta, ha efficacia solo se la legge o il regolamento fanno ad essa rinvio; oppure qualora ci si trovi in una fattispecie non regolata da fonti costituzionali. Consuetudini costituzionali: confermano la vigenza delle regole nei periodi di crisi degli ordinamenti; confermano la vigenza delle regole sulla produzione del diritto; costituiscono e stabilizzano i principi dell’ordinamento; integrano le lacune del diritto costituzionale vigente. 25 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo Per il formarsi di una consuetudine devono ricorrere due elementi: 1. la diuturnitas (ripetizione costante di un determinato comportamento) e 2. l’opinio juris (elemento psicologico; può definirsi come il convincimento della rispondenza del comportamento ad una norma giuridica). Il venir meno di uno dei due provoca fenomeno della desuetudine (se viene meno l'elemento oggettivo) o la trasformazione in prassi o convenzione (se viene meno l'elemento psicologico) 17. Il rinvio a fonti di altri ordinamenti: le consuetudini internazionali Le fonti dell'ordinamento internazionale (consuetudini internazionali e trattati) possono produrre diritto "dello Stato" solo a condizione che siano da quest'ultimo richiamate, attraverso la tecnica del rinvio (mobile e recettizio). Rinvio mobile: appena nasce la norma nell'ordinamento internazionale, automaticamente si introduce nell'ordinamento dello Stato una norma corrispondente. 17.1 Le norme di adattamento ai trattati internazionali Le norme di adattamento ai trattati sono immesse nell’ordinamento “dello Stato” attraverso un atto interno (e non automaticamente) che si limita a prevedere un ordine di esecuzione dell’accordo, il quale, rinvia per relationem, al trattato. Per alcuni trattati occorre una legge di autorizzazione alla ratifica da parte del Presidente della Repubblica, con la quale lo Stato assume l’impegno internazionale. L’autorizzazione delle Camere è richiesta: per gli accordi aventi natura politica, per quelli che prevedono arbitrati, che importino variazioni del territorio, oneri alle finanze o modificazioni di legge Le norme di adattamento assumono il grado dell’atto contenente l’ordine di esecuzione (costituzionale, primario o secondario). Sezione II Le fonti dell’Unione Europea 18. Il problema dell’individuazione delle fonti Le fonti dell’Unione Europea: il problema dell’individuazione delle fonti dell’ordinamento comunitario sembrerebbe molto agevole, perché se l’atto comunitario ha carattere generale sarebbe inquadrabile tra le fonti, in caso contrario farebbe parte del “diritto dell’Unione”. Tuttavia, il criterio della generalità non può considerarsi sempre risolutivo, ma al più sintomatico della natura dell’atto. Tale indagine deve tener conto piuttosto degli elementi formali: Il nomen juris, in quanto atto denominato regolamento (che allude all’introduzione di regole); il procedimento di formazione (il coinvolgimento degli organi apicali dell’Unione Europea può già essere sintomo della natura normativa dell’atto); 26 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo la pubblicazione dell’atto nella Gazzetta ufficiale della Comunità europea (devono essere pubblicati: gli atti, i regolamenti del Consiglio e della Commissione e le direttive delle stesse istituzioni rivolte a tutti gli Stati membri). 19. Rilevanza pratica dell'individuazione sull'interpretazione comunitaria delle fonti comunitarie: cenni Il fatto che l’ordinamento italiano consideri alcuni atti prodotti dagli organi dell’Unione Europea anche ccome fonti del proprio ordinamento, ne comporta un corrispondente regime giuridico. Nel diritto italiano si applicano alle norme prodotte dalle fonti comunitarie le stesse regole previste per il diritto nazionale. La Corte di Giustizia ha individuato alcune regole di interpretazione all’interno del proprio ordinamento: assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato: la violazione del Trattato costituisce vizio degli atti e dei comportamenti degli organi comunitari; obbligo di un’interpretazione conforme: si deve dare prevalenza a quella conforme al Trattato o agli accordi internazionali; regola dell’uniforme interpretazione del diritto comunitario: è sempre da preferire l’interpretazione che escluda disparità di trattamento tra i cittadini dell’Unione. Solo le norme del diritto comunitario concorrono alla formazione dei principi generali dell’ordinamento europeo. 20. Le singole fonti: i Trattati Le fonti primarie dell’ordinamento europeo sono rappresentate dai Trattati delle Comunità e dell’Unione europea. Esiste un Procedimento di revisione dei Trattati: l’iniziativa spetta ad ogni Governo e alla Commissione, i quali possono sottoporre un progetto di modifica al Consiglio. Quest’ultimo può esprimere parere favorevole alla convocazione di una Conferenza intergovernativa. Le modifiche apportate devono essere ratificate da tutti gli Stati membri. 20.1 Le fonti derivate Il sistema della fonti europee presenta delle differenze basilari rispetto a quello degli ordinamenti costituzionali. I nomi utilizzati per gli atti non individuano dei tipi cui ricondurre uno specifico procedimento, una specifica efficacia e una determinata competenza: l’ordinamento comunitario pullula di fonti atipiche, e difetta però di quelle tipiche. La complessità dell’ordinamento è frutto di progressive stratificazioni normative perseguite mediante i vari trattati. Le fonti comunitarie derivate si distinguono per il contenuto e l’efficacia dell’atto: I regolamenti sono atti abilitati a disciplinare interamente la materia assegnata alla loro competenza, le direttive, invece, debbono limitarsi a definire i fini da perseguire, lasciando al legislatore nazionale il compito di completare la disciplina comunitaria di principio. 27 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo 20.2 I regolamenti Regolamenti: hanno portata generale (valgono per tutti gli Stati membri) , sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Sono classificabili in: regolamenti attuativi dei Trattati e regolamenti di esecuzione di altre fonti derivate. 20.3 Le direttive Direttive: sono espressione di una competenza normativa più limitata rispetto a quella regolamentare. Vincolano i propri destinatari solo “quanto agli obiettivi da raggiungere”. I Trattati riservano agli Stati la competenza di attuazione delle direttive. La disciplina delle direttive è idonea a rendere inapplicabili le norme interne con essa incompatibili. Le direttive vincolano non solo lo Stato-persona, ma tutti i soggetti titolari di potestà pubbliche e persino lo Stato quando agisce come datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Quello di cui sono privi tali atti è l’efficacia orizzontale, ossia la capacità di introdurre obblighi a carico dei privati. Allorché una direttiva riguardi rapporti fra privati l’adempimento non è esigibile nei confronti del provato, ma il titolare della situazione attiva può chiedere allo Stato il risarcimento dei danni. 20.4 Le decisioni Decisione: obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Si caratterizza per la portata individuale. Le decisioni rivolte ai singoli spettano alla Commissione, quelle indirizzate agli Stati spettano al Consiglio. 20.5 I trattati conclusi dagli organi comunitari I negoziati sono condotti dalla Commissione e l’accordo è deliberato dal Consiglio eventualmente con il parere conforme del Parlamento europeo. 20.6 Gli altri atti I trattati prevedono numerosi atti dei quali è dubbio l'appartenenza alle fonti del diritto comunitario, tra essi ricordiamo le raccomandazioni e i pareri, ambedue atti non vincolanti. Tra gli atti atipici ricordiamo gli accordi interistituzionali: conclusi dagli organi apicali dell’organizzazione comunitaria e servono a colmare le lacune dei Trattati. 21. Il procedimento di formazione degli atti normativi comunitari I Trattati comunitari prevedono 5 modelli procedimentali, cui vanno aggiunte alcune varianti (che dipendono sia dalla partecipazione di altri organi, sia dalla previsione di un diverso quorum funzionale). 1. procedura di adozione di un atto da parte della Commissione europea; 2. procedura di approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, su iniziativa della Commissione; 3. la procedura precedente con in più la competenza consultiva del Parlamento europeo; 4. procedura di cooperazione: nella quale il Parlamento europeo ha il potere di opporsi alla deliberazione assunta dal Consiglio, proponendo eventuali emendamenti; 28 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo 5. procedure di codecisione e di assenso: l’atto non può venire adottato senza l’assenso del Parlamento al quale è attribuito un potere di veto. Il procedimento formativo è così idealmente articolabile in tre fasi: 1. iniziativa: 2. deliberazione (o costitutiva o di pronunzia): 3. integrazione dell'efficacia dell’atto (o perfettiva): 21.1 L'iniziativa L’Iniziativa: configura una proposta in senso tecnico: atto attraverso il quale si avvia la sequenza procedimentale. Tale potere è attribuito alla Commissione, la quale può essere sollecitata dal Consiglio dei Ministri. L’iniziativa deve essere formulata secondo le caratteristiche strutturali comuni agli atti di iniziativa legislativa. 21.2 l'approvazione L’approvazione: la fase deliberativa degli atti normativi comunitari consiste in un’attività consultiva e di proposta di emendamenti. Numerosi sono gli organi e le istituzioni che possono essere coinvolti nella predisposizione dell’atto. Finché il Consiglio non ha deliberato, può modificare la propria proposta in ogni fase delle procedure che portano all’adozione dell’atto comunitario. La titolarità del potere deliberativo può essere definita sulla base di una tripartizione degli atti: a) quelli emanati dalla Commissione sulla base di una competenza ad essa attribuita; b) quelli imputabili al solo Consiglio dei Ministri; c) gli atti di codecisione e di assenso del Parlamento e del Consiglio. Quanto agli atti del secondo tipo, è prevista la possibilità di intervento del Parlamento europeo attraverso la: Procedura di cooperazione: l’attività normativa viene svolta con un coinvolgimento diretto del Parlamento, il quale ha il potere di pronunciarsi sulla deliberazione del Consiglio. Nel caso in cui la respinga o proponga un emendamento, se il Consiglio vuole comunque approvare l’atto senza uniformarsi alle richieste del Parlamento, deve necessariamente pronunciarsi all’unanimità, a meno che gli emendamenti dnon siano stati accolti dalla Commissione. Il tale procedura, anche se il Parlamento non può imporre al Consiglio il contenuto della deliberazione, può comunque costringerlo a seguire un iter decisionale aggravato. Procedura di codecisione: il Parlamento europeo può intervenire sul contenuto prescrittivo dell’atto, sia negoziando la formulazione della disciplina con il Consiglio, sia impedendo la stesa adozione dell’atto. Il Parlamento esercita un potere di veto anche nella procedura di assenso. Comunque il Parlamento non si trova mai sullo stesso piano del Consiglio, in quanto è quest’ultimo a definire la posizione comune iniziale sulla quale il Parlamento è chiamato pronunciarsi. Procedura di assenso: è richiesto il parere conforme del Parlamento che può esercitare un potere di veto. Il Parlamento non ha altro potere se non quello di approvare o respingere l’atto. 21.3 I requisiti formali dell'atto e l'integrazione dell'efficacia Integrazione dell’efficacia: il procedimento di formazione degli atti comunitari necessita del riferimento alle proposte o ai pareri richiesti in esecuzione del Trattato (esigenza di controllo della legalità) e la motivazione. Negli ordinamenti nazionali la motivazione viene obbligatoriamente richiesta per gli atti amministrativi. Viceversa gli atti normativi primari sono tradizionalmente privi di motivazione, poiché hanno natura politica. La motivazione degli atti normativi comunitari può essere assai contenuta. 29 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo Anche gli atti normativi dell’UE sono soggetti ad una pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’UE, ed alla vacatio (fase di integrazione di efficacia). Per gli atti rivolti a singoli Stati, o a destinatari determinati, si prevede, inoltre l’istituto della notificazione. 22. Il sistema europeo delle fonti tra gerarchia e competenza Difficile risoluzione delle antinomie criterio della gerarchia e della competenza ? Nel sistema delle fonti del diritto europeo, gli atti (regolamenti, direttive, decisioni) sono collocati secondo il duplice criterio della gerarchia e della competenza, infatti, sul piano dell’articolazione gerarchica i regolamenti e le direttive sono generalmente subordinati alla disciplina pattizia (detta anche primaria). La potestà normativa degli organi comunitari si esplica, infatti, nell’ambito della competenza fissata dai trattati e nei limiti – formali e sostanziali - stabiliti convenzionalmente (anche se vi sono alcune eccezioni). In via preminente opera, dunque, il criterio della competenza, attraverso il quale le singole materie e le diverse funzioni vengono distribuite tra gli atti comunitari derivati (soprattutto regolamenti e direttive). 23.Le fonti comunitarie nella prospettiva del trattato costituzione per l'Europa Trattato-Costituzione: non ancora entrato in vigore. La costituzione europea rimane un trattato e si sostituirà ai Trattati dell’Unione e della Comunità. Prevede: che per alcune modifiche sia sufficiente l’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio europeo; un sistema delle fonti nel quale si introduce una gerarchia formale al vertice della fonti derivate vi saranno la legge europea e la legge-quadro europea in posizione subordinata a tali leggi si porranno i regolamenti di esecuzione e delegati. Gli organi con competenza regolamentare saranno il Consiglio dell’Unione e la Commissione. 24. La collocazione degli atti comunitari La competenza normativa comunitaria derivata sarebbe governata dal: Principio di attribuzione: la determinazione di ciascuno dei singoli oggetti dell’attività normativa sopranazionale dovrebbe risultare dall’espressa e puntale abilitazione da parte del Trattato. Tuttavia la determinazione delle specifiche attribuzioni non proviene da una precisa enumerazione delle materie, ma dalla sovrapposizione di più criteri, spesso concorrenti. Il risultato è una disciplina delle potestà comunitarie lacunosa, spesso incerta, e ancora in divenire. A ciò si aggiungano due fattori che hanno fortemente accresciuto la tendenza espansiva delle competenze comunitarie: l’interpretazione evolutiva ed integrativa della Corte di Giustizia, sia nel senso della dilatazione dell’efficacia precettiva delle norme patrizie, sia attraverso l’estensione degli stessi contini delle competenze comunitarie il ricorso alle procedure di cui all’art 308 TUE secondo cui “quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunità, senza che il Trattato abbia previsto i poteri d’azione richiesti, il Consiglio prende le disposizioni del caso”. Principio di sussidiarietà: nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi previsti non possono essere realizzati dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario. 30 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo Ordinamento comunitario = sistema tendenzialmente aperto all’integrazione degli organi comunitari. Quali sono le norme nazionali poste a fondamento dell’effetto diretto delle norme sopranazionali? Esse si trovano nel nostro diritto costituzionale. L’ordinamento italiano è un sistema chiuso a livello di fonti primarie, così la Corte Costituzionale ha riconosciuto nell’art.11 Cost. il fondamento positivo dell’adesione dell’Italia alle Comunità europee. Tale disposizione giustificherebbe la scelta di operare nelle limitazioni di sovranità in favore di ordinamenti sovranazionali. Le norme comunitarie operano direttamente nell’ordinamento interno. Tali fonti sono fin dall’origine indirizzate a regolare i rapporti infrastatuali. La Corte di Giustizia ha affermato che le norme comunitarie sono indirizzate a regolare i rapporti sia tra i privati, sia tra i privati e le amministrazioni statali. Le norme comunitarie producono direttamente effetti interni. Ma come si determinano tali effetti? Sono state proposte tesi diverse: tesi del rinvio mobile: esisterebbe un dispositivo di rinvio mobile tra diritto interno e comunitario che permetterebbe al nostro stato di appropriarsi di norme di un altro Stato. Tale ipotesi risulta inadeguata proprio per la peculiarità del fenomeno comunitario. Infatti la norma dovrebbe pre-esistere ed essere operante nell’altro ordinamento, cosa che evidentemente non avviene, non essendo l’Unione Europea uno Stato, inoltre i destinatari delle norme europee non sono gli abitanti di uno Stato in particolare ma sono tutti gli abitanti europei. tesi dell’irrilevanza dell’ordinamento interno (elaborata dalla nostra Corte Costituzionale) secondo la quale i due sistemi sarebbero “autonomi e distinti, ancorché coordinati”. La coordinazione si manifesterebbe nel fatto che, al sorgere del diritto comunitario, le norme nazionali si “ritrarrebbero” lasciando uno spazio libero alle norme europee. Anche tale tesi lascia perplessi in quanto i due ordinamenti non sono impermeabili come il “ritrarsi” lascerebbe supporre: vi sono numerosi casi in cui l’effetto dell’uno sull’altro incide reciprocamente sul rispettivo modo di essere “interno”; tesi delle fonti comunitarie come fonti atto di diritto scritto per l’ordinamento italiano: tale tesi è quella da preferire in quanto è da escludere qualsiasi trasformazione sostanziale delle norme; trasformazione, invece, necessaria nel caso del diritto internazionale. Le norme comunitarie sono strutturalmente destinate ad esistere nei territori degli Stati membri. Un’interpretazione fedele della disposizione dei Trattati sulla produzione normativa sovranazionale configura quelle comunitarie come fonti-atto in quanto il diritto nazionale ha espressamente attribuito un potere normativo agli organi comunitari. 25. La soluzione delle antinomie fonti europee e fonti nazionali La soluzione delle antinomie deve tenere in considerazione in che rapporto vengono visti il diritto comunitario e il diritto interno del singolo Stato da parte della Corte di Giustizia Europea e dalla nostra Corte Costituzionale. Per quanto riguarda la Corte Costituzionale italiana possiamo affermare che: il diritto comunitario e il diritto interno sono distinti ma coordinati il diritto comunitario prevale sul diritto interno a condizione che non vengano violati principi supremi dell'ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona umana Le norme interne contrastanti con quello comunitarie sono anche incostituzionali 31 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo mentre per la Corte di Giustizia: Il diritto europeo forma inseme a quello degli Stati membri un unico ordinamento Le norme del primo debbono prevalere su quelle del secondo Le norme nazionali non possono formarsi validamente qualora contrastino con il diritto europeo, ove ciò avvenga sono illegittime Sezione III Le fonti di autonomia territoriale 26. Fonti regionali L’art. 117 Cost. si occupa di definire la potestà normativa delle Regioni e riarticola complessivamente tale funzione con riferimento sia allo Stato che agli altri enti territoriali. La tecnica normativa utilizzata ruota intorno a due coordinate: 1. individuare gli ambiti di competenza dei vari enti attraverso l’identificazione esplicita o implicita di materie di competenza assegnate a ciascun ente, in tutto o in parte; 2. scelta di ripartire tra gli enti non solo i settori di competenza, ma anche i tipi di funzione normativa. 27. Gli statuti regionali Le Regioni ad autonomia speciale godono di un regime particolare, in quanto i relativi Statuti sono approvati con legge costituzionale. Differente risulta essere anche il procedimento per essere modificati. La disciplina statutaria delle Regioni ordinarie è invece affidata ad atti che sono approvati e modificati dal Consiglio regionale con leggi approvate a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo di due mesi. Sono, dunque, atti adottati con procedura aggravata. Le differenze fra i due tipi di Statuto riguarda anche i limiti e la relativa competenza: Statuti speciali: incontrano il limite tipico di tutte le leggi costituzionali e di revisione costituzionale e su di essi grava anche un vincolo particolare legato alla delimitata competenza ad essi assegnata (disporre forme e condizioni particolari di autonomia per le singole Regioni). Statuti ordinari: sono sottoposti a limiti più penetranti, soggiacciono alla disciplina costituzionale e devono essere in armonia con la Costituzione. A differenza degli Statuti speciali, la competenza degli Statuti ordinari è tassativamente definita dalla Costituzione stessa e non coincide con l’intera materia dell’autonomia regionale. La collocazione degli Statuti è definita gerarchicamente in termini di subordinazione alle norme costituzionali, ma anche orizzontalmente, in termini di competenza, rispetto alle altre fonti statali e regionale. Gli Statuti speciali e Statuti ordinari differiscono per un diverso oggetto e una diversa funzione:i primi contengono l’indicazione dei criteri di ripartizione delle competenze tra Stato ed enti territoriali, attraverso l’uso delle coordinate, orizzontali (elenchi di materie) e verticale (distribuzione di potestà all’interno della medesima materia). Ripartizione che per le altre Regioni è fissata dall’art. 117 Cost. Similitudini: attribuzione anche alle Regioni ordinarie di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia con riferimento ad alcune materie; le competenze delle Regioni 32 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo speciali, non sono più ripartite solo in base a previsioni dei rispettivi Statuti, ma anche in base alle disposizioni che definiscono le attribuzioni delle Regioni ordinarie. 29. Le leggi statutarie delle Regioni speciali Le disposizioni di organizzazione dell’autonomia regionale prevede la facoltà, per le Regioni speciali, di intervenire in materia di forma di governo regionale e di iniziativa popolare delle leggi regionali e del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo. Le leggi statutarie sono tenute ad essere in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica ed a rispettare le norme inderogabili degli Statuti in tema di forma di governo. 30. Gli ambiti di competenza regionale Ambiti di competenza regionale: due elenchi di materie sulla distribuzione della potestà legislativa: uno contenenti gli ambiti di legislazione esclusiva dello Stato e l’altro quelli di legislazione concorrente. In quest’ultima la ripartizione non si ispira solo ad una coordinata orizzontale, ma anche ad una verticale. Allo Stato spetta solo la fissazione con leggi dei principi fondamentali, mentre alle Regioni è riservata la normativa di dettaglio. Nelle materie, poi, la competenza spetta in via esclusiva alle Regioni. Nei nuovi elenchi, oltre alla materie-oggetto, possono ravvisarsi: le materie-scopo (preminente il fattore finalistico) e le materie-tipo di disciplina (ciò che rileva è la natura delle norme che si intendono introdurre). Materie-oggetto: l’oggetto può essere un bene materiale o immateriale, ente, organo. Altre volte l’oggetto non sembra costituire il fattore esclusivo ai fini dell’attribuzione della competenza, differenziandosi le attività ad esso relative. Per evitare il rischio della perdita di rango costituzionale degli elenchi, nell'interpretazione di tali materie occorre avvalersi di tre criteri: a) quello costituzionale: Nell’interpretazione delle materie occorre muovere dal complesso delle disposizioni costituzionali. Possono riscontrarsi diverse ipotesi in cui è identica o molto simile la terminologia adoperata negli elenchi statutari e costituzionali, b) quello comunitario: Se si confrontano gli elenchi costituzionali con i titoli competenziali previsti nei Trattati europei possono riscontrarsi numerose corrispondenze c) quello storico-normativo: Il contenuto delle singole materie va ancorato al significato che esse avevano nel contesto dell’ordinamento vigente al momento della loro approvazione. Le voci costituzionali sono configurabili come nozioni giuridiche presupposte. Materie-scopo: hanno riguardo agli scopi che sono chiamate a perseguire. Allo Stato è attribuita una competenza trasversale, attraverso la quale può incidere sulla disciplina di qualsiasi ambito materiale. “L’impiego del criterio finalistico comporta che le competenze attraverso esso individuate siano chiamate a definire se stesse”. Materie-tipo di disciplina: atteso che tali materie hanno carattere trasversale e che la trasversalità determina un contrasto tra norme, può rilevarsi che qui l’antinomia sia risolvibile attraverso il criterio di specialità. Materie-tipo di disciplina conservano un carattere residuale, nel senso che si applicano a tutte le fattispecie che non trovino nella singola Regione una disciplina derogatoria a carattere settoriale. La trasversalità 33 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo delle materie-tipo di disciplina sembra avere un carattere recessivo, arretrando di fronte alla disciplina speciale nel singolo settore riservato alla legislazione regionale. 30.8 I principi fondamentali Per la fissazione dei principi fondamentali la Costituzione prevede una riserva di legge assoluta. I principi fondamentali sono principi stabiliti da leggi dello Stato, ossia principi espressi o disposizioni di principio. Però, se e fino a quando lo Stato rimane inerte e non approva tali principi, le Regioni non sono impedite ad esercitare la propria funzione legislativa nelle materie di competenza concorrente, ma devono ispirare la propria legislazione ai principi impliciti desumibili dalla legislazione statale. La potestà legislativa è distribuita tra Stato e Regioni; la potestà regolamentare è assegnata ad ogni ente. Il procedimento ed il regime della legge regionale sono regolati, in parte direttamente dalla Costituzione, in parte dagli Statuti regionali. La funzione legislativa è esercitata dal Cosniglio Regionale Il Presidente della Giunta ha il potere di emanare i regolamenti regionali; Le leggi della Regione sono sottoponibili al sindacato della Corte costituzionale alla competenza statutaria è affidata la pubblicazione dei regolamenti regionali; è di competenza agli Statuti l’attribuzione della potestà regolamentare regionale. Giunta: organo esecutivo della Regione. Sembra preclusa agli Statuti la previsione di una riserva di regolamento, la possibilità, cioè, di affidare la disciplina di una i più materie di competenza regionale alla fonte regolamentare. 31.3 Le fonti degli altri enti territoriali La disciplina delle fonti degli altri enti territoriali è interamente lasciata dalla Costituzione alla legislazione ordinaria. La potestà statutaria delle Province, dei Comuni e della Città metropolitane ha ad oggetto i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento dell’ente, le forme di controllo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare. I regolamenti comunali e provinciali e della città metropolitane hanno ad oggetto le materie di competenza di tali enti. 32. Le funzioni legislative nelle Regioni ad autonomia speciale Regioni ad autonomia speciale: hanno un regime aggiuntivo rispetto a quello ordinario. Godono di tre tipi di competenze legislative: primaria, concorrente ed integrativa, alle quali corrispondono tre elenchi di materie nei rispettivi Statuti. Competenza primaria: limitata dalle norme di rango costituzionale e dagli obblighi internazionali e comunitari, e dai principi generali dell’ordinamento. Le regioni sono liberi di legiferare salvo i limiti che si desumono dai principi impliciti ricavabili per astrazione generalizzatrice Competenza concorrente: è limitata dai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato che adotta una legge (legge-cornice) che può contenere solo norme generali tese a limitare la potestà legislativa regionale Competenza integrativa: è limitata dalle norme poste dalle leggi dello Stato, il quale può legiferare anche nel dettaglio degli lasciare uno spazio della normativa delle Regioni speciali. Competenza esclusiva: nelle materie non elencate nell'articolo 117 commi 2 e 3 34 Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo 32.1 Le condizioni particolari di autonomia Alle Regioni possono essere attribuite "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" in tutte le materie di competenza concorrente e in alcune materie di competenza esclusiva: in particolare: l'organizzazione della giustizia di pace; le norme generali sull'istruzione; la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali tale attribuzione deve avvenire con una legge statale approvata con un procedimento aggravato richiedendo: l'iniziativa della regione interessata, il parere obbligatorio degli enti locali la conformità dell'atto un'intesa fra lo Stato e la Regione interessata l'approvazione delle Camere a maggioranza assoluta 35 Capitolo 5° -forme di Stato e forme di governo 1.Le forme di Stato e le forme di governo: premesse definitorie Lo studio delle forme di Stato riguarda le modalità con cui gli elementi costitutivi dello Stato (popolo, territorio, sovranità) tra loro si combinano e interagiscono. Esso fotografa cioè, l'assetto complessivo della comunità statale. Le forme di governo, invece, si concentrano solo sul modo in cui la comunità statale distribuisce, nell'esercizio della proprio sovranità, i poteri di decisione pubblica (la funzione di governo) al proprio interno. L'esame riguarda gli aspetti dell'organizzazione statuale e le relazioni tra gli apparati governanti, al fine di identificare il modo in cui viene elaborata e realizzatala direzione politica dello Stato, cioè l'indirizzo politico. 2. Le forme di Stato in prospettiva storica La monarchia assoluta: costituisce la prima forma di Stato modernamente inteso. La sua genesi può collocarsi nei secoli XV e XVI. La parabola della monarchia assoluta inizia proprio definitivo declino con la rivoluzione americana (1776) e francese (1789). Un'eccezione l'abbiamo nell'ordinamento inglese nel quale la trasformazione in senso liberale si verificò un secolo prima con la Declaration of Rights del 1688 e poi con il Bill of Rights del 1689. In questa forma di Stato il potere viene esercitato in termini assoluti in quanto il suo titolare, il re, detiene il monopolio delle decisioni. La sua autorità trova una legittimazione di carattere trascendentale nella presunta origine divina del potere monarchico. Lo Stato assoluto si evolve in due fasi: 1. fase: Stato patrimoniale: fondato sull'idea che lo Stato costituisca un vero e proprio patrimonio del re sia per quanto riguarda il territorio che per il popolo, formato da sudditi per l'ordine naturale o per contratto sociale 2. fase: Stato di polizia: il monarca svolge una funzione pubblica generale considerando l'assunzione e la tutela dei destini dei propri sudditi come sua fondamentale missione. È questa la fase dell'assolutismo illuminato (Federico II di Prussia, Maria Teresa d'Austria). Non vi sono delle propri diritti, ma una tutela indiretta e notevolmente precaria qualora la situazione soggettiva dei sottoposti coincida con l'interesse dello Stato. Il sovrano rimane l'unico interprete del bene comune. 3. Lo Stato di diritto Lo Stato di diritto o Stato liberale assegna un ruolo centrale alla legge, intesa sia come atto normativo tipico che come norma di diritto cui tutte le autorità dello Stato, ivi compreso il monarca, sono assoggettate. Al primato della legge consegue l'affermazione del principio di legalità che comprende l'idea dell'assoggettamento del potere a dei limiti e della necessità di garantire i sottoposti dagli arbìtri di quest'ultimo. Ciò è realizzato con la dottrina della separazione dei poteri e con una visione secondo la quale i soggetti dell'ordinamento giuridico non sono più dei sudditi alla mercé del sovrano ma veri e propri cittadini. L'attribuzione, a ciascun titolare del diritto, del potere di agire in giudizio anche contro la pubblica amministrazione, rappresenta il coronamento di questa evoluzione verso lo Stato di diritto. Ovviamente il tipo di diritti riconosciuti presente fortemente delle caratteristiche politiche ed economico-sociali dello Stato: ideologicamente liberale, economicamente liberista, socialmente borghese. Lo Stato viene così a trovarsi in posizione prevalentemente arbitrale nei confronti della società, in linea di massima esso assicura la possibilità per ciascuno di svolgere la propria attività secondo le capacità di cui dispone, non promuovendo, ma proteggendo, cioè impedendo turbative da parte degli stessi organi dello Stato e di terzi. Viene affermata l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e l'assunzione della centralità del cittadino determina l'adozione di regole organizzative che prevedono la partecipazione di questo alla vita pubblica in condizioni di eguaglianza di tipo giuridico-formale ma non patrimoniale, in effetti l'accesso alle cariche pubbliche e l'elettorato attivo vengono ristretti solo a coloro che, in via di fatto, siano in condizioni di esprimere gli interessi sociali su cui lo Stato liberale si fonda, cioè i cittadini economicamente attivi, valutati in base al censo. Il suffragio dunque è ristretto alle classi più agiate. 4. Lo Stato sociale di diritto Una possibile evoluzione dello Stato di diritto è quella che, in seguito alla nascita di movimenti sociali volti ad estendere anche alle classi meno abbienti l'accesso la vita pubblica, porta, in periodi diversi tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, allo Stato sociale (in Italia il suffragio semi universale, limitato solo i cittadini maschi, venne introdotto nel 1912, mentre suffragio universale si ebbe nel 49). Accanto alla lotta per il voto è da menzionare la lotta per la realizzazione di una giustizia sociale e della realizzazione di una eguaglianza sostanziale, di redistribuzione delle ricchezze e di pari opprtunità di vita per tutti cittadini. Con le costituzioni post-belliche, si raggiunse una situazione di maggiore equilibrio, fondata su tentativi di reciproca integrazione, l'espressione più ricorrente per definire lo Stato contemporaneo è infatti quello di Stato sociale di diritto. 5.La natura composita delle costituzioni contemporanee Le costituzioni contemporanee si caratterizzano per la natura composita dei propri principi ispiratori, riconducibili alla dicotomia che vede da una parte una matrice: liberal-garantistica: in cui l'ordinamento giuridico statale si propone l'obiettivo di assicurare ai propri membri uno spazio di libertà nel quale svolgere le proprie iniziative e sviluppare la propria personalità. Giuridicamente problema è quello di proteggere tale ambito privato impedendo indebite intrusioni nella sfera dei singoli ed evitare discriminazioni che altri fini in senso positivo o negativo le condizioni della coesistenza tra i consociati. In questa prospettiva, la funzione principale dell'ordinamento e quella di protezione. e dall'altra una matrice social-interventistica. in cui gli sforzi dello Stato muovono nella direzione della realizzazione di interventi da parte dei pubblici poteri finalizzati a ridurre le disuguaglianze materiali dei cittadini, le quali impongono ai soggetti realmente più svantaggiati minori opportunità di vita di sviluppo della personalità rispetto a quelle di cui corone soggetti che abbienti. L'obiettivo dell'eguaglianza trasforma funzionalmente ruolo dello Stato chiamato a perseguire finalità di promozione. 6. La liberaldemocrazia Il modello che attualmente si impone in Occidente è quello della cosiddetta liberaldemocrazia, dove l'istanza liberale accentua l'esigenza di una tutela da assicurare ai singoli individui mentre l'istanza promozional-interventistica accentua la necessità di assunzione di decisioni pubbliche che realizzano le modificazioni della realtà necessarie per perseguire il valore dell'eguaglianza politica tra i membri della collettività. 6.1 Democrazia diretta e democrazia rappresentativa Democrazia diretta: le decisioni vincolanti vengono assunte direttamente dai cittadini o meglio, da coloro tra di essi che posseggono il diritto di voto. Essa garantisce certamente un maggiore ed immediato coinvolgimento dei titolari del potere, ma il tipo di decisioni cui può condurre appare estremamente limitato. Essa si riduce, in definitiva, ad una scelta binaria tra approvare e respingere la proposta mentre risulta necessariamente sacrificato il momento fondamentale dell'attività deliberativa specialmente di fronte a problemi particolarmente complessi o ad una pluralità di interessi da comporre o all'esigenza di scelte rapide: il confronto dialettico. La democrazia diretta dunque, sopprime la possibilità di ponderazione della soluzione attraverso la discussione nel confronto, necessarie far emergere soluzioni più adeguato attraverso aggiustamenti progressivi. Democrazia rappresentativa: le decisioni vengono assunte da rappresentanti del popolo, scelti a tale scopo mediante procedimento elettorale. Essa presenta alcuni indubbi vantaggi rispetto alla democrazia diretta, come la possibilità di assumere decisioni complesse attraverso confronto tra i rappresentanti oppure la possibilità di cambiare indirizzo politico del governo qualora questo non soddisfi l'elettorato senza contare l'esistenza di una responsabilità politica che consente agli elettori di valutare l'attività svolta dai propri rappresentanti premiandoli o punendoli con l'elezione. 6.2. Le tecniche di decisione democratica: il principio maggioritario Sul piano delle tecniche di decisione, corollario del principio democratico è il principio maggioritario, in base al quale perché una decisione venga legittimamente assunta è necessario che su di essa converga la maggior parte dei consensi. Possono distinguersi differenti formule maggioritarie: maggioranza relativa: per la quale, dovendosi scegliere tra più proposte o persone, si considera prevalente la proposta o la persona che ottiene, relativamente alle altre, un maggior numero di consensi maggioranza assoluta in senso lato: affinché una proposta risulti approvata, non è sufficiente che esso tende più consensi rispetto alle altre, ma deve raggiungere un numero di voti favorevoli, determinato o determinabile come frazione maggioritaria (almeno la metà più uno) di un intero. All'interno di questa categoria vanno collocate: o maggioranza semplice: per la quale le decisioni sono assunte con il consenso di almeno 55% + 1 dei partecipanti al voto o maggioranza qualificata: rappresentato da ogni maggioranza superiore a quella semplice. E a sua volta distinta in: maggioranza assoluta in senso stretto: per la quale la decisione è adottata solo se essa riceve numero di consensi pari ad almeno il 50% più uno altre maggioranze: definite come frazione superiore al 50% più uno degli aventi diritto al voto (ad esempio, maggioranza dei 2/3 o dei 3/5) La maggioranza qualificata non costituisce un meccanismo maggioritario, ma è finalizzato a dare soddisfazione anche ad una minoranza. Ed anzi può consentire sacrificio parziale dell'opinione dei più perché gli interessi dei meno trovino una qualche soddisfazione. Corollari del sistema maggioritario sono: La temporaneità delle cariche pubbliche: il che implica la possibilità di alternanza al potere ed il ricambio della maggioranza stessa tutela delle minoranze politiche 6.3. Il principio liberale ed il suo contemperamento con quello democratico Il principio democratico si fonda sull'idea di un primato della maggioranza. Il principio liberale trova nella sua forma più pura, il proprio centro di riferimento nella persona singola. La manifestazione tipica del modello liberale rappresentata dall'insieme dei diritti costituzionali individualisticamente intesi, attribuiti al titolare per "l'appagamento egoistico" dei suoi bisogni. E’ chiaro che questi due principi sono strutturalmente in tensione, si tratterà quindi di cercare il modo con il quale sia possibile stabilire un equilibrio che consenta di preservarne la coesistenza. Con riferimento al circuito in cui opera il principio democratico, la garanzia contro il pericolo dell'arbitrio si realizza perseguendo l'obiettivo di spersonalizzare la decisione che incide sulle situazioni individuali, rendendo, così, virtualmente indeterminati e indeterminabili i potenziali destinatari della deliberazione stessa. Coloro che la assumono debbono agire sapendo della decisione può incidere sulla loro stessa condizione (o quella dei loro elettori). In tal modo i decisori sono incentivati ad evitare le limitazioni ingiustificate ed arbitrarie dei diritti. Il principio di legalità rappresenta l'applicazione di una versione aggiornata del principio della separazione dei poteri: una separazione funzionale. Esso si fonda sulla distinzione tra due funzioni: quella di disporre in via generale ed astratta e quella di provvedere concretamente. La funzione del disporre è assegnata agli organi che strutturalmente sono in grado di selezionare gli interessi pubblici: gli organi di estrazione politica. La funzione del provvedere spetta ad organi tecnici che non appartengono al circuito politico ma alla pubblica amministrazione o alla giurisdizione. E si sono scelti in base alla capacità professionale attraverso procedimenti di selezione che consentono di valutare tali capacità (concorso pubblico). In conclusione, lo Stato liberal-democratico accoglie tendenzialmente l'idea di una separazione funzionale, adottando meccanismi che tendono a spersonalizzare la decisione politica, da un lato, e a spoliticizzare la decisione individuale dall'altro. 7. Forme di Stato sul piano territoriale Qual è il formato più adeguato per assicurare un'amministrazione efficiente della cosa pubblica? è meglio una struttura centralizzata o un governo molto decentrato? 7.1 Stato accentrato, federalismo e regionalismo Confederazione: costituisce una particolare unione tra Stati che mantengono la proprio sovranità e indipendenza e si muovono, pertanto, nell'ambito del diritto internazionale. Nella confederazione le relazioni tra entità politiche non danno luogo ad uno stato vero e proprio. Lo Stato accentrato è caratterizzato dall'essere del tutto privo di decentramento politico istituzionale. L'intero ordinamento di vendere un unico centro di selezione di governo. Esso trova il proprio archetipo nelle monarchie nazionali e, in particolare, in quella francese, nell'ambito della quale viene creata, con una costituzione del 1791, la formula dell'unità ed indivisibilità dello Stato. lo Stato composto (o Stato federale), si basa sul pluralismo dei centri di potere politico, regolati dall'ordinamento giuridico complessivo e legittimati dalle differenti comunità di riferimento, riconducibili alle circoscrizioni territoriali nelle quali il territorio dello Stato è ripartito in tali sistemi, lo Stato è la risultante di una serie di stratificazioni ordinamentali. La prima e più rilevante manifestazione di questa tipologia è nella Costituzione Americana firmata a Philadelphia nel 1787, la cui forma istituzionale esprime l'evoluzione della breve esperienza confederale realizzatasi tra il 1777 e 1787 sotto la vigenza degli articoli di confederazione ed unione perpetua. In Europa questa tipologia ha rappresentato la migliore soluzione per favorire processi di aggregazione in contesti di pluralismo politico, culturale, socioeconomico, etnicoreligioso o linguistico (Svizzera, Germania). Lo Stato regionale trova la propria origine in Spagna con la Costituzione Repubblicana del 1931 dove si assicura una cornice legale alle pretese di forte autonomia avanzate da alcune nazionalità presenti nel territorio (Paesi Baschi, Catalogna, Galizia). La soluzione escogitata consistette nella creazione di Regioni ad autonomia differenziata le una rispetto alle altre, la cui stessa istituzione veniva affidata alla volontaria iniziativa delle popolazioni interessate. A tale modello regionale si sono poi affiancate altre versioni, sorte in contesti diversi. Una di queste è proprio quella italiana, la quale ha mescolato alcuni aspetti del regionalismo spagnolo (cinque regioni differenziate) con altri propri del federalismo (definizione tendenzialmente paritaria delle attribuzioni delle altre regioni) 7.2 L'evoluzione delle tecniche di decentramento politico Il problema principale del decentramento politico è sempre stato quello della definizione degli ambiti di competenza dei differenti livelli di governo. Lo sviluppo di differenti tecniche per la realizzazione di tale obiettivo ha segnato l'evoluzione sia degli ordinamenti regionali che di quelli federali. Storicamente il primo modello di ripartizione delle attribuzioni è quello del cosiddetto: federalismo o regionalismo duale. Esso si fondava sull'idea che gli ambiti di competenza potessero venir definiti una volta per tutte ed in modo netto. Lo Stato composto, in questa prospettiva, avrebbe rappresentato un perfetto insieme di nuclei ordinamentali rigidamente separati e non reciprocamente interferenti. Tali clausole si rilevarono, però, insufficienti per la frequente sovrapposizione tra le fattispecie materiali evocate dalle norme sulla competenza e anche per l'interpretazione di taluni titoli competeenziali. In un siffatto contesto, le corti costituzionali hanno assunto un ruolo di arbitraggio nell'articolazione delle competenze. Il federalismo (o regionalismo) cooperativo, si basa sul presupposto che le competenze vadano garantite non solo con norme sugli ambiti di competenza ma a anche mediante lo sviluppo di dispositivi di tipo organizzativo o procedurale volte favorire la partecipazione e la collaborazione tra i livelli di governo interessati. Il federalismo di tipo competitivo cerca di contenere la spinta cooperativa per favorire una concorrenza tra enti alla realizzazione della maggiore efficienza funzionale, con in più rispetto dell'autonomia delle differenze politiche. 7.3 La Repubblica italiana e la sua articolazione territoriale L’Italia è uno Stato composto. Se ne deduce ciò già dai primi articoli della Costituzione laddove riconosce e promuove le autonomie locali e attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adeguando i principi i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. La norma contempera, dunque, il principio di decentramento con quello di unità e indivisibilità della Repubblica. 7.4 L'articolazione territoriale dei poteri tra unione europea e Stati membri L'Unione europea, definita come sistema di governo multilivello, pur non essendo qualificabile come un ordinamento federale, presenta varie analogie con l'assetto degli Stati composti. Il discorso vale, anzitutto, per le clausole definitorie delle competenze. La tecnica utilizzata per individuare le competenze comunitarie e di tipo classicamente federale e regionale consistendone l'identificazione di ambiti di intervento secondo la distinzione tra competenze esclusive, competenze concorrenti e competenze parallele. Queste ultime sono assegnate agli Stati, con la possibilità per l'Unione di promuovere e sostenere l'azione statale finanziariamente. 8. Le forme di governo: classificazione Un modo per classificare le forme di governo nelle liberale democrazie è quello di analizzare le forme e i dispositivi organizzativi attraverso cui le istanze provenienti dalla società e le scelte compiute dal corpo elettorale, si trasformano in indirizzo politico di governo. Data la natura prevalentemente rappresentativa delle istituzioni governative, l'attenzione si concentra soprattutto sulle modalità in cui tali istanze vengono rappresentate cioè prodotte e filtrate dai soggetti coinvolti nella realizzazione della direzione dello Stato. Le diverse forme di governo si possono ordinare all'interno di due estremi, dall'estremo delle cosiddette democrazie consensuali o competitive (caratterizzate dalla frammentazione delle legittimazioni istituzionali e forte mediazione della rappresentanza) a quello delle democrazie maggioritarie (connotata da una maggiore concentrazione dei poteri lungo l'asse maggioranza-Governo e da una competizione capace di eliminare la mediazione nella legittimazione elettorale). Nelle democrazie che tendono al modello consensuale, si riscontrano processi decisionali frammentati e le decisioni sono frutto di negoziati compromessi tra i vari attori politici e istituzionali. E democrazie orientate verso modello maggioritarie sono, invece, caratterizzate dall'esistenza di un'istituzione, o di una componente politica che esercita un ruolo preminente nella definizione dell'indirizzo politico. Semplificando, le democrazie consensuali accentuano l'elemento della partecipazione tra istituzioni e soggetti politici; quelle maggioritarie accentuano l'elemento dell'efficienza decisionale. 9. Le principali forme di governo: la monarchia costituzionale La monarchia costituzionale si può ritenere come una evoluzione della monarchia assoluta nel momento in cui le nuove classi emergenti della società prendano coscienza di sé e del proprio potere potenziale (borghesia e ceto popolare). Da un lato abbiamo il monarca con i suoi ministri a cui spettano i poteri di amministrazione, dall'altro il Parlamento composto da una camera elettiva rappresentativa degli interessi popolari (o meglio, della borghesia) e da una camera alta rappresentativa degli interessi tradizionali della nobiltà e dell'alto clero i cui componenti erano di nomina regia o membri di diritto. 10. Il governo parlamentare La progressiva e ineluttabile transizione del baricentro politico di proporre al Parlamento e, in esso, alla rappresentanza popolare e all'origine delle attuali forme di governo. Il governo parlamentare è fondato sul principio della responsabilità politica del Governo di fronte al Parlamento che si manifesta attraverso il cosiddetto rapporto di fiducia tra i due organi, ciò significa che il Governo è politicamente responsabile di fronte al Parlamento il quale ne condiziona l'appoggio espresso o tacito. Il Governo, dunque, promana dalla maggioranza parlamentare e ne è espressione. Accanto a questi due organi vi è il Capo dello Stato, il quale non è politicamente responsabile di fronte alle camere ed esercita un ruolo decisivo soprattutto nelle fasi in cui il sistema attraverso momenti di crisi (scelta del capo del governo, scioglimento delle camere, soluzione delle crisi ministeriali). 11. I modelli di parlamentarismo: il modello Westminster o premierato Sulla base dei possibili assetti del sistema politico-partitico sono ipotizzabili due modelli estremi di parlamentarismo, tra i quali si situano una serie di esperienze prossime all'uno o all'altro di essi. Ad un estremo troviamo il modello Westminster o premierato. Connotato di tale governo parlamentare è un sistema fondamentalmente bipartitico, favorito dall'esistenza di una legge elettorale uninominale maggioritaria. Le elezioni avvengono in collegi nei quali si assegna un solo seggio parlamentare, che viene conquistato dal candidato che ha raggiunto la maggioranza relativa dei voti. La natura sostanzialmente binaria della competizione politica ha determinato la circostanza che, in quel sistema, la scelta della rappresentanza per la Camera dei Comuni costituisce di per sé anche una scelta della maggioranza di governo. A ciò è da aggiungere anche la consuetudine in base alla quale il leader del partito vincitore delle elezioni è nominato Capo del Governo. La concentrazione nelle sue mani della direzione dell'esecutivo, della maggioranza parlamentare e del partito rende il sistema estremamente stabile. Non è previsto, inoltre, un voto espresso di fiducia iniziale, così come si ritiene spetti sostanzialmente al premier decidere lo scioglimento della Camera dei Comuni. Il modello Westminster offre l'esempio più riuscito di democrazia maggioritaria. La stabilità governativa così realizzata si protrae per l'intera legislatura ed è solo con le successive elezioni che l'indirizzo politico può essere modificato dagli elettori. 11.1 La forma di governo parlamentare a tendenza assembleare All’estremo opposto si collocano quegli ordinamenti in cui la competizione politica fortemente mediata dai partiti. Si tratta di sistemi notevolmente frammentati e pluralistici (multipartitismo estremo), i quali non esistono rapporti politico-programmatici stabili tra i vari gruppi rappresentati in Parlamento e le alleanze di governo (accordi di coalizione) sono spesso occasionali ed instabili. In tali contesti, il governo risente delle frequenti modificazioni dei rapporti interni alle assemblee rappresentative ed è, pertanto, collocato in una posizione di forte dipendenza dal Parlamento. Nella sua forma più spinta, tale versione del modello parlamentare è costituita dal Governo parlamentare a tendenza assembleare o di parlamentarismo assoluto. In tale sistema il governo costituisce un "comitato esecutivo" della occasionale maggioranza, mentre il Parlamento esercita un forte controllo sulla legislazione e sull'amministrazione dei singoli apparati ministeriali. Il rapporto tra governo e Parlamento non è disciplinato giuridicamente, il che indebolisce ulteriormente il governo, tanto da essere sufficiente il voto contrario su un qualsiasi provvedimento per metterlo in crisi determinarne le dimissioni. 11.2 Il cancellierato Nel modello della Repubblica federale tedesca abbiamo un multipartitismo temperato. I vari gruppi rappresentati in Parlamento si alleano in modo stabile e si comportano in modo particolarmente disciplinato, così da evitare gli esiti tipici del parlamentarismo assoluto. In tali sistemi, alla rappresentanza politica si struttura intorno due poli contrapposti. Tuttavia ha ragione della stabilità del sistema di governo tedesco risiede prevalentemente nelle convenzioni e consuetudini che regolano le relazioni tra i partiti (lealtà di coalizione, suggellata da un dettagliatissimo accordo tra i partiti che sostengono il governo, in cui vengono definiti minuziosamente gli obiettivi politici da perseguire durante la legislatura). 12. La repubblica presidenziale Al pari del regime parlamentare, anche la Repubblica Presidenziale trova il proprio archetipo nella Monarchia Costituzionale e ne rappresenta un'evoluzione istituzionale. Il modello di riferimento per tale forma di governo è la Costituzione Americana del 1787 tuttora vigente, seppur integrata da una trentina di emendamenti alcuni dei quali di notevole rilevanza. C'è da premettere che gli Stati Uniti d'America sono uno Stato Federale, nel quale, soprattutto all'origine, la creazione di un'autorità centrale fu concepita come un “male necessario” per garantire la sopravvivenza dell'Unione nel contesto economico e politico internazionale. Il modello americano nasce, così, segnato dalla diffidenza verso il governo federale e dal timore di un eccessivo accentramento in esso del potere. Il potere esecutivo viene attribuito al Presidente della Repubblica, attorno al quale sono costituiti vari uffici amministrativi che da esso dipendono. Il presidente riunisce in sé le funzioni di Capo dello Stato e di Governo. Il potere legislativo è assegnato al Congresso, formato dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato. Entrambe le Camere sono elette direttamente. I rapporti tra tali poteri sono rigorosamente regolati dal principio di separazione, essendo escluso il rapporto di fiducia e il potere di scioglimento dell'assemblea da parte del Capo dello Stato. Nello stesso tempo, però, ad evitare che nel proprio ambito ciascun potere possa agire indisturbato, sono previsti dei checks and balances (freni e contrappesi) i quali consentono ai vari centri istituzionali il reciproco controllo. 13. Il semipresidenzialismo La forma di governo semipresidenziale costituisce il tentativo di realizzare una commistione di elementi parlamentari e presidenziali. Essa presenta un carattere strutturalmente dualistico, nel senso che sono previsti due distinte catene di legittimazione democratica che sfociano, l'una, nell'elezione (a suffragio universale diretto) del Presidente della Repubblica, cui spettano importanti poteri propri, tra cui quello di nomina del Primo Ministro e di scioglimento delle Camere, l'altra, in quella del Parlamento, che intrattiene un Presidente della Repubblica è dell'appoggio del Parlamento. Il governo, il presidente, con il Parlamento. rapporto di fiducia con il Governo il quale, insieme al al vertice dell'esecutivo e al tempo stesso necessita Parlamento, con la sfiducia, può condizionare la vita del potere di scioglimento, può condizionare la vita del 14. Il governo direttoriale La forma di governo direttoriale risulta attualmente vigente solo in Svizzera. Essa trova il proprio archetipo storico nella Costituzione dell'anno III della rivoluzione del 1795, detta anche Costituzione del Direttorio per via del nome dell'organo esecutivo in essa previsto. L'assemblea federale e legge singolarmente i membri del governo e la funzione di capo dello Stato è svolta a turno da uno dei membri del consiglio federale tra i quali sono ripartite le responsabilità ministeriali. Il governo, una volta eletto, non è revocabile mediante strumenti parlamentari e né il governo né il capo dello Stato possono esercitare un potere di scioglimento delle Camere. Il multipartitismo estremo favorisce la formazione di governi di ampia coalizione ed esclude lo sviluppo di una dialettica tra maggioranza e opposizione. 15. Altri elementi che condizionano il funzionamento delle forme di governo ….. 16. Cenni sull'evoluzione della forma di governo in Italia In Italia vige una forma di governo parlamentare. Dopo una lunga parentesi autoritaria del periodo fascista si svilupparono pratiche parlamentari volte favorire la reciproca collaborazione tra le forze politiche, da un lato per evitare i rischi di una “maggioranza di schiacciamento”, che troppo da vicino avrebbe rievocato il fantasma dell'autoritarismo appena sconfitto, e, dall'altro per impedire che nella giovane democrazia italiana potessero svilupparsi conflitti talmente acuti da provocare fenomeni di fuga extraparlamentare ed il sorgere di partiti antisistema. La conseguenza fu l'instaurarsi di una democrazia consensuale, nella quale anche le minoranze venivano variamente coinvolte nelle scelte parlamentari e potevano esercitare, o minacciare, un potere di blocco decisionale in modo da indurre la maggioranza a ricercarne velocemente il consenso attraverso forme di scambio politico, contribuendo, in questa maniera, a determinare un'accentuata instabilità governativa. L'apice di questa tendenza fu raggiunta all'inizio degli anni 70 e suggellata con l'approvazione dei regolamenti parlamentari del 1971. La situazione cambiò ulteriormente con la trasformazione del sistema politico avvenuta all'inizio degli anni 90 e dovuta, da un lato, alla trasformazione dei modelli di partito e dal superamento delle condizioni di aspra conflittualità ideologica, dall'altra, al diverso strutturarsi della competizione in forza del mutamento della legge elettorale in senso maggioritario. La progressiva bipolarizzazione dello scontro ed il declino dei pericoli di conflittualità extra istituzionale o dello sviluppo di forze antisistema, ha condotto alla transizione dal modello di democrazia consensuale a quello di democrazia competitiva, fondata cioè sulla concorrenza per il controllo dell'indirizzo politico di governo tra forze reciprocamente alternative. Praticamente, dopo la riforma delle leggi elettorali, si è passati da un parlamentarismo di tipo tendenzialmente assembleare consensuale, ad uno improntato, sempre in via tendenziale, al modello Westminster nonché competitivo. Capitolo 6° - Il Parlamento Capitolo 6° - Il Parlamento 1.Origini e sviluppi. Il modello inglese All'inizio l'espressione Parlamentum, Parliamentum o Parlement indicava semplicemente un modo di riunione della Corte reale cui venivano invitati a partecipare prima i soli signori feudali ed alti dignitari laici ed ecclesiastici poi a cominciare dall'Inghilterra del XIII° secolo, anche i rappresentanti di Contee, Città e Borghi (i cosiddetti Commons, gli uomini liberi che non appartenevano alla nobiltà o al clero). Tali assemblee erano semplicemente delle riunioni nelle quali veniva data pubblicità solenne alle decisione del sovrano, venivano esaminate le petizioni a lui rivolte, formulati pareri su questioni di particolare importanza ed eventualmente richiesti contributi finanziari per imprese per le quali alla Corona mancassero i necessari mezzi. Solo progressivamente tali pre-parlamenti si trasformarono, nel corso dei secoli, in organi di tipo rappresentativo, inseriti nell'organizzazione costituzionale e titolari di sempre più ampi poteri legislativi e di controllo politico sul governo. Fu intorno alla fine del quindicesimo secolo in cui si affermò una definita potestà legislativa del Parlamento, consistente nell'adozione di atti dotati di efficacia abrogativa o modificativa della normazione previgente. In realtà, però, gran parte della successiva storia inglese è connotata dal conflitto tra sovrano e Parlamento per la reciproca delimitazione di attribuzioni. Gli ambiti nei quali tale conflitto si rivelò particolarmente aspro furono quelli dei diritti, e del potere di limitazione degli stessi, e quello del potere di imposizione fiscale. Momenti decisivi della storia parlamentare inglese forno le rivoluzioni del diciassettesimo secolo (la rivoluzione repubblicana conclusa si con la decapitazione di Carlo I Stuart nel 1649, nonché la Glorious Revolution del 1688) e la proclamazione del Bill of Rights del 1689 in cui si riconobbe la libertà di voto, nonché quella di parola dell'esercizio dalla funzione parlamentare. Dal 1711 ed il 1832 si ebbe la progressiva parlamentarizzazione del governo, il quale, formato originariamente dall'insieme dei funzionari nominati dal Re, fu progressivamente attratto sotto il controllo del Parlamento. Nel 1928 si ottenne il suffragio universale maschile e femminile. 2. L'organizzazione del Parlamento italiano: il principio bicamerale L'organizzazione del Parlamento italiano è articolata intorno a tre principi: 1. principio bicamerale: la scelta bicamerale rispecchia la soluzione più diffusa nella storia parlamentare e nella realtà contemporanea. Nasce in Inghilterra per agevolare la funzione democratico rappresentativa del Parlamento ma si impone anche come elemento di freno della spinta democratica con la funzione di contenere i rischi insiti nella concentrazione dei poteri legislativi in una sola Camera. a. bicameralismo asimmetrico: quando nella prima Camera si persegue l'obiettivo (democratico) di rappresentare gli orientamenti politicoideologici dei cittadini, nella Camera federale si persegue il diverso scopo di rappresentare gli interessi territoriali, i quali non coincidono necessariamente con le divisioni politico-partitiche nazionali b. bicameralismo imperfetto o differenziato: quando la seconda Camera tende a soddisfare interessi socio-economici o è rappresentativa di ceti diversi o si fa portavoce dell'istanza regia c. bicameralismo in senso proprio: in cui le due assemblee costituiscono l'una il doppione dell'altra, ambedue legittimate democraticamente su base nazionale, anche se possono differire per composizione o per funzioni. Al 46 Capitolo 6° - Il Parlamento modello mostra con evidenza la funzione di contenimento della tirannia della maggioranza 2. principio di autonomia: in base al quale ciascuna Camera autodetermina la propria attività senza subire condizionamenti di altri organi. Essa gode, cioè, di garanzie nei confronti di organi diversi ed esterni ad essa, nei confronti dell'altra Camera e, nei confronti delle decisioni assunte dal precedente collegio. 3. principio di continuità: (art. 61 Cost.) afferma che "finché non sono riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti". La riunione delle nuove Camere, fissata dal Presidente della Repubblica "ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni". È finalizzato, quindi, a garantire l'esistenza dall'assemblea rappresentativa in ogni momento. 3. Le differenze tra le Camere in Italia Il nostro ordinamento si avvicina al modello di bicameralismo puro, perfetto. Dal punto di vista funzionale la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica condividono esattamente le stesse competenze. L'unica differenza funzionale è connessa ai compiti dei loro Presidenti: mentre, infatti, al Presidente del Senato è affidata la supplenza del Capo dello Stato, al Presidente della Camera è assegnata la presidenza del Parlamento in seduta comune. S'intende per: elettorato attivo (o capacità elettorale): insieme dei requisiti richiesti affinché gli elettori possano votare elettorato passivo: insieme dei requisiti richiesti affinché di elettori siano eleggibili Differenze: Camera dei Deputati: o si può votare a 18 anni e si può essere eletti a 25 o numero dei deputati = 630 di cui 12 residenti all'estero Senato della Repubblica: o si può votare a 25 anni e si può essere eletti a 40 o numero dei senatori = 315 di cui 6 residenti all'estero + 5 senatori a vita scelti “dal capo dello Stato fra i cittadini che abbiano illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico o letterario” 3.1 I procedimenti elettorali I sistemi di elezione delle Camere hanno subito vari cambiamenti nel corso degli anni. Ad un impianto di tipo proporzionale è succeduto ai primi anni ‘90 un sistema misto di tipo maggioritario uninominale per l'assegnazione del 75% dei seggi e proporzionale, con liste bloccate, per il rimanente 25%. Un'ulteriore modifica si è realizzata, a seguito delle riforme introdotte nel 2005. Gli attuali sistemi elettorali sono ispirati alla stessa filosofia di fondo: una formula di assegnazione proporzionale dei seggi, con due correttivi. Il primo consiste nella previsione di alcune soglie di sbarramento, che escludono la rappresentanza per quei partiti politici che raccolgono un numero di voti inferiore ad essi. Il secondo correttivo attiene alla previsione di un premio di maggioranza, in base al quale il partito o la coalizione di partiti che ottiene una maggioranza (relativa) di seggi in base al calcolo proporzionale, beneficia di un numero di seggi aggiuntivo tale da consentire il raggiungimento di una maggioranza assoluta di rappresentanti. Le candidature sono presentate nell'ambito di collegi elettorali plurinominali (nei quali cioè si eleggono più parlamentari) sotto forma di liste bloccate (all'interno delle quali, cioè, l'elettore non può esprimere una preferenza) il voto 47 Capitolo 6° - Il Parlamento viene espresso in favore di un singolo partito, il quale può essere collegato ad altri partiti, formando una coalizione. Il sistema elettorale della Camera prevede un premio tale da assicurare alla lista o alla coalizione maggioritaria, a livello nazionale, l'assegnazione del numero di seggi necessari per raggiungere 340 Deputati. I rimanenti seggi vengono distribuiti proporzionalmente tra le restanti liste. Le soglie di sbarramento sono del 4% delle liste singole e del 2% per le liste collegate ad una coalizione. Il territorio nazionale è suddiviso in 26 circoscrizioni (della grandezza di una Regione media) all'interno del quale vengono presentate le candidature articolate in liste bloccate e distribuiti i seggi, a seguito del calcolo, effettuato come detto su base nazionale, del totale spettante a ciascun partito. Il riparto proporzionale dei seggi avviene utilizzando il sistema dei quozienti interi e dei più alti resti. La somma dei voti ottenuti da tutti partiti e coalizioni che abbiano superato le previste soglia di sbarramento è divisa per il numero dei seggi da assegnare; il risultato costituisce il quoziente elettorale nazionale (il numero di voti necessari per ottenere un seggio). Conseguentemente la cifra elettorale (l'insieme dei voti ottenuti) di ciascun partito o coalizione viene divisa per tale quoziente in modo da ottenere il numero di seggi per ciascuna singola lista o coalizione. Nel caso di seggi residui essi vengono assegnati ai partiti o coalizioni che abbiano ottenuto i più alti resti. Il sistema di elezione del Senato rispetta lo stesso impianto con la rilevante differenza che tale organo è eletto su base regionale. In particolare, il premio consiste nell'attribuzione del numero di seggi aggiuntivo a quanti ottenuti dalla lista coalizione di liste maggioritaria, affinché quest'ultima possa raggiungere il 55% dei Senatori della Regione. 4. Il Parlamento in seduta comune Il bicameralismo si fonda su di una detta separazione tra i due rami del Parlamento. Tale principio è, però, derogato nei casi previsti dall'art. 55 Cost. in base al quale il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere. Questi casi sono: elezione del Presidente della Repubblica messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica 5. L'organizzazione del Parlamento italiano: il principio di continuità principio di continuità: (art. 61 Cost.) afferma che "finché non sono riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti". La riunione delle nuove Camere, fissata dal Presidente della Repubblica "ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni". È finalizzato, quindi, a garantire l'esistenza dall'assemblea rappresentativa in ogni momento. 5.1 La convocazione delle camere Pur essendo organi permanenti le Camere non sono permanentemente in seduta. La Costituzione prevede norme che ne garantiscano la riunione periodica: entro il ventesimo giorno successivo alle elezioni (obbligatoria) il primo giorno non festivo di febbraio ed ottobre (di diritto) successivamente ai cosiddetti aggiornamenti (temporanee sospensioni dei lavori) convocazioni straordinarie di ciascuna Camera da parte del Presidente di ciascuna assemblea, di un terzo di essa o del Presidente della Repubblica 48 Capitolo 6° - Il Parlamento convocazione di diritto dell'altra Camera nel caso di riunione di un ramo del Parlamento 6. L'organizzazione del Parlamento italiano: il principio di autonomia principio di autonomia: in base al quale ciascuna Camera autodetermina la propria attività senza subire condizionamenti di altri organi. Essa gode, cioè, di garanzie nei confronti di organi diversi ed esterni ad essa, nei confronti dell'altra Camera e, nei confronti delle decisioni assunte dal precedente collegio. 6.1 Le immunità parlamentari L’immunità parlamentare: (art. 68 Cost.) assicura l'autonomia dei componenti delle camere nei confronti dell'autorità giudiziaria e di polizia al fine di consentirne l'espletamento della funzione parlamentare al sicuro da condizionamenti e turbative. Si articolata in due differenti prerogative: Irresponsabilità (o insindacabilità): tutela i parlamentari per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle funzioni, non coprendo però l'intera attività politica del parlamentare ma solo gli atti legati all'”esercizio delle funzioni” Inviolabilità (o immunità penale): condiziona l'esercizio di iniziative a carattere giudiziario nei loro confronti, per garantire l'espletamento delle loro funzioni. È prevista una necessaria autorizzazione a procedere della camera di appartenenza per la sottoposizione parlamentari a limitazione della libertà personale (perquisizione, arresto, ecc.) e domiciliare, salvo il caso di esecuzione di una sentenza passata in giudicato ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza 6.3 Il divieto di mandato imperativo Sempre a tutela della funzionalità e l'indipendenza dell'organo ed a garanzia del singolo parlamentare è previsto il divieto di mandato imperativo (art. 67 Cost.). Il rappresentante non va inteso come un mandatario del corpo elettorale, vincolato alle "istruzioni" da questo dettate ma, poiché egli rappresenta la nazione, egli deve interpretarne le aspirazioni ed i sentimenti cercando di individuare e perseguire l'interesse generale. Pertanto, qualsiasi accordo negoziale tra deputato ed elettori è da considerarsi invalido, così come inesigibile è qualsiasi prestazione cui il parlamentare si fosse obbligato nell'esercizio delle sue funzioni. 6.4 L'autonomia organizzativa e regolamentare Gli artt. 63 e 64 Cost. garantiscono il principio di autonomia dell'organo nel suo complesso, in particolare garantiscono che gli organi di vertice di ciascuna Camera siano scelti tra i componenti della medesima e assegnano a ciascuna delle due Assemblee il potere di determinare le regole di funzionamento. Le Camere godono, inoltre, di autonomia di gestione amministrativa del proprio personale e di autonomia contabile e di bilancio. Infine, il mantenimento dell'ordine interno e la disciplina dell'accesso sono assicurati mediante l'attribuzione di un immunità di sede e di poteri di polizia esercitati per ciascuna Camera dal rispettivo Presidente. 6.5 L'indennità Sempre con l'obiettivo di assicurare l'autonomia delle camere dei suoi membri, ma anche con la finalità di realizzare concretamente il diritto di ciascun cittadino" ad accedere alle 49 Capitolo 6° - Il Parlamento cariche elettive in condizione di eguaglianza", l'art. 69 Cost. prevede che "i membri del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge". L'indennità non può essere ceduta e non può essere sequestrato più ignorata, né vi si può rinunciare. L'indennità è da qualificarsi come una vera e propria retribuzione. 6.6 I titoli di ammissione Ad integrazione della disciplina sulla capacità elettorale passiva (requisiti per essere eletti), l’art. 65 Cost. determina le cause di ineleggibilità e incompatibilità con l'ufficio di deputato o senatore: Le cause di ineleggibilità impediscono soggetto titolare di capacità elettorale passiva il valido esercizio di tale diritto è ne precludono temporaneamente l'elezione, inficiandone la legittimità. Sono ineleggibili: o i giudici della corte costituzionale o i presidenti della giunta provinciale o i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti o il capo e il vice capo della polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza o gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiore delle forze armate dello Stato, nella circoscrizione del loro comando territoriale o i diplomatici tutti coloro che abbiano in piedi da governi stranieri Le cause di incompatibilità, impediscono il cumulo dalla carica di parlamentare con altra di cui egli si è contemporaneamente titolare. Sono incompatibili: o ufficio di parlamentare e quello di parlamentare europeo o presidente o componente del C.N.E.L. o componente di autorità amministrative indipendenti o membro del consiglio superiore della magistratura 7. L'organizzazione delle Camere Ciascuna Camera può essere definita come un organo collegiale in quanto è composta di persone fisiche, e come complesso organico in quanto strutturato in organi o uffici, taluni direttamente menzionati dalla Costituzione (Presidenza, ufficio di presidenza, commissioni) altri, invece, previsti dai regolamenti o da leggi. 7.1 La presidenza dell’assemblea e l’ufficio o consiglio di presidenza Gli organi collocati al vertice organizzaivo di ciascuna Camera sono: Presidente: o al Senato esso è eletto a maggioranza assoluta dei componenti nei primi due scrutini ed a maggioranza assoluta dei presenti nel terzo. Se nessuno risulti eletto la votazione si restringe al ballottaggio tra i primi 2. o Alla Camera è previsto un quorum dei 2/3 degli aventi diritto nel primo scrutinio, dei 2/3dei presenti nel secondo e terzo scrutinio e della maggioranza assoluta dei presenti dal quarto scrutinio in poi. Ha la potestà di imporre l’osservanza e l’interpretazione del regolamento parlamentare. A lui compete la direzione dei lavori di ciascuna Camera e dell’amministrazione dell’ufficio di presidenza e dei poteri di polizia e la rappresentanza esterna della Camera che presiede Prerogative previste dalla Costituzione: 50 Capitolo 6° - Il Parlamento o Sono obbligatoriamente sentiti dal Capo dello Stato prima dello scioglimento delle Camere e in occasione delle consultazioni per la formazione del Governo ufficio di presidenza (che al Senato prende il nome di Consiglio di presidenza): composto da 4 vicepresidenti, 3 questori e 8 segretari eletti con voto limitato. La composizione deve garantire la rappresentanza di ogni gruppo presente nell’Assemblea, a tale scopo possono essere aggiunti ulteriori segretari in soprannumero. L’ufficio di presidenza ha la competenza di approvare i regolamenti minori e di assicurare il rispetto dei diritti dei gruppi parlamentari. 7.2 I gruppi parlamentari I gruppi parlamentari consistono in associazioni che i deputati ed i senatori possono liberamente costituire sulla base dell’affinità politica, ove riescano a raggiungere un numero minimo di aderenti stabilito nei regolamenti di ciascuna Camera (20 deputati per la Camera, 10 senatori per il Senato). Ogni parlamentare per svolgere la sua attività nella Camera di appartenenza deve necessariamente aderire ad un gruppo; qualora non intenda aderire a nessuno dei gruppi già costituiti o non si riesca a costituire uno ex-novo, l’obbligo si risolve nell’iscrizione ad un gruppo misto. In sintesi i gruppi sono “associazioni di parlamentari” alle quali il diritto attribuisce rilevanza giuridica nello svolgimento delle funzioni delle Camere. 7.3 Giunte e Commissioni Ragioni funzionali ed organizzative impongono che gran parte dell’attività venga decentrata verso organi interni ai quali sono assegnate tanto competenze di tipo preparatorio delle decisioni dell’assemblea, quanto attribuzioni a carattere definitivo, sostitutive delle deliberazioni del plenum. Tali organi sono le Giunte e le Commissioni: Giunte: spettano competenze collegate al funzionamento ed all’organizzazione delle Camere di carattere tecnico-giuridico. Sono composte da parlamentari nominati dal Presisdente. Esercitano competenze di carattere esclusivamente preparatorio di decisioni del Presidente o dell’Assemblea. Camera dei deputati: sono presenti 3 Giunte: o per il regolamento: ha il compito di fornire pareri al Presidente per l’interpretazione del regolamento medesimo e di proporne le relative modifiche o delle elezioni: ha il compito di applicare l’art. 66 Costi., in base al quale “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. Il controllo sui titoli di ammissione, detto anche verifica dei poteri, riguarda l’esame della regolarità delle operazioni elettorali e della sussistenza delle condizioni di eleggibilità (giudizio di convalida) o Per le autorizzazioni a procedere Senato: sono presenti 2 Giunte: o per il regolamento o delle elezioni e delle immunità parlamentari Commissioni permanenti: svolgono attività legate al ruolo più propriamente politico del Parlamento (funzioni legislative e di controllo). In taluni casi possono addirittura sostituire le Assemblee e manifestare all’esterno la volontà delle Camere. Esse sono organi permanenti, ininterrottamente operativi per tutta la durata della legislatura. La loro composizione risulta sempre ispirata ad un criterio 51 Capitolo 6° - Il Parlamento di proporzionalità e rappresentatività rispetto ai gruppi parlamentari. L e varie Commissioni (attualmente sono 14) sono istituite secondo il criterio della competenza per materia. Far parte di una Commissione costituisce un obbligo per ciascun parlamentare e la designazione dei membri spetta ad ogni gruppo parlamentare. Quando la Commissione opera in sede referente, può essere individuato al suo interno un comitato ristretto per l’istruttoria dei progetti di legge e per la redazione dell’articolato. 7.6 Altri organi parlamentari Gli altri organi parlamentari sono: Commissioni bicamerali: sono istituite con legge o con delibera delle due Camere e composte da un numero eguale di componenti di entrambi i rami del Palamento, secondo il criterio di rappresentatività dei gruppi. o Commissione bicamerale per gli affari regionali: chiamata ad esprimere un previo parere nel caso di adozione del decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento di un Consiglio regionale e di rimozione del Presidente della Giunta. o Commissione parlamentare per le questioni regionali: ha il potere di esprimere pareri in materia di autonomia finanziaria regionale o Commissione bicamerale per le riforme istituzionali o Commissione bicamerale per le riforme costituzionali o Commissione di inchiesta bicamerali Comitato per i procedimenti di accusa Giurì d’onore: consiste in una commissione nominata dal Presidente dell’Assemblea qualora un membro di quest’ultima sia accusato, nel corso di una discussione parlamentare, di fatti che ledano la sua onorabilità, senza che, peraltro, sulle conclusioni del giurì l’aula possa svolgere un dibattito o assumere provvedimenti Comitato per la legislazione: suo obiettivo è migliorare la redazione dei testi legislativi 8. Organizzazione dei lavori I presidenti dei gruppi si riuniscono nella conferenza dei presidenti di gruppo o conferenza dei capigruppo. Tale organo svolge la funzione di assicurare un’ordinata organizzazione dei lavori e soprattutto la programmazione degli stessi (programma, contenente l’ordine degli argomenti da esaminare e calendario regolante le modalità ed i tempi di attuazione del programma). Sulla base del programma e del calendario si forma l’ordine del giorno di ciascuna seduta che non può venire modificato dall’Assemblea se non a maggioranza qualificata. 9. La validità delle deliberazioni L’art. 64 Cost. dispone che “le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale”. Per la validità delle deliberazioni occorre dunque un quorum strutturale (altrimenti detto numero legale che definisce il tasso di partecipazione necessario per assumere decisioni legittime) e un quorum funzionale (necessario ai fini dell’approvazione della proposta in votazione). L’assenza del numero legale comporta la sospensione della seduta. Il calcolo dei due quorum differisce tra Camera e Senato: Camera: 52 Capitolo 6° - Il Parlamento o numero legale: sono considerati presente anche i deputati impegnati per incarico avuto dalla Camera, fuori della sede o se membri del Governo, per ragioni del loro ufficio e gli astenuti o quorum funzionale: sono considerati presenti sono coloro che abbiano espresso voto favorevole o contrario (gli astenuti non entrano nel computo) Senato: o numero legale: sono considerati presenti solo quelli fisicamente presenti in aula o quorum funzionale: nel calcolo vengono considerati solo i senatori che partecipano alla votazione (compresi gli astenuti) 9.1 Le procedure di votazione Le procedure di voto possono distinguersi in 3 categorie: 1. voto tacito o indiretto: in assenza di obiezioni, si presume l’assenso del collegio anche senza una votazione 2. voto palese: manifestato per alzata di mano, per divisione in aula (schierandosi fisicamente da una parte o dall’altra), per alzata e seduta. In tale ipotesi non si compie la conta dei voti né si registrano i votanti. Per appello nominale, consistente nella chiamata di ciascun parlamentare, il uale esprime ad alta voce la propria volontà. 3. voto segreto: attraverso il deposito in un’urna di una pallina bianca o nera o mediante una scheda Tali modalità di voto possono essere sostituite da votazioni mediante procedimento elettronico, il quale assicura un’assoluta certezza nel calcolo dei voti. 10 Le funzioni del Parlamento Il Parlamento è un organo politico ed è collocato nel cuore del circuito democraticorappresentativo. La ragion d’essere di tale organo è quella di determinare gli obiettivi dell’azione pubblica, selezionando i molteplici interessi che provengono dalla società e che sono veicolati attraverso la rappresentanza. Rappresentando interessi compositi, il Parlamento costituisce la principale arena di confronto e dibattito tra le concorrenti visioni dell’interesse generale. Oltre ad essere un’arena di discussione è anche un luogo di decisione il che comporta la presenza di procedimenti di vario genere per giungere a deliberare sulle materie di pubblico interesse. Le funzioni del Parlamento possono riassumersi in: funzioni informative e conoscitive funzioni ispettive o di controllo funzioni di determinazione dell’indirizzo politico 11. Particolari procedimenti legislativi: l’approvazione del bilancio dello Stato Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. Si tratta di documenti a carattere contabile sullo stato della finanza pubblica e che stabiliscono e certificano l’andamento delle spese e delle entrate. In particolare, il bilancio di previsione individua le spese e le entrate per l’anno successivo (in termini di bilancio di competenza e di cassa); la sua approvazione ha come conseguenza di autorizzare il Governo a riscuotere le entrate ed erogare le spese. Il rendiconto consuntivo, viceversa, è rivolto, retrospettivamente, alla verifica della corrispondenza tra il bilancio precedente e gli andamenti contabili reali riscontrati nell’anno di riferimento. La sua presentazione è preceduta dal c.d. giudizio di parificazione della Corte dei Conti. 53 Capitolo 6° - Il Parlamento Per il bilancio preventivo si tratta di assicurare il rispetto del principio di legalità nella materia finanziaria, dando fondamento all’attività amministrativa di spesa e riscossione. Il Parlamento definisce solo le c.d. unità revisionali di base (i macroaggregati contabili in cui sono ripartite spese e entrate). Per il rendiconto, invece, si opera il raffronto tra bilancio preventivo e flussi effettivi di entrata e spesa realizzatisi nell’anno e nel far ciò il Parlamento solleva il Governo dalla responsabilità per eventuali illegittimità contabili da esso compiute e sana gli eventuali vizi. L’approvazione del bilancio ha una funzione autorizzatoria, quella del rendiconto una funzione di controllo e di esonero di responsabilità. Entro il 30 giugno di ogni anno il Governo presenta il DPEF (Documento di Programmazione Economica e Finanziaria), atto con il quale viene presentato il contenuto della strategia economica del Governo. Altro documento rilevante nella programmazione è il bilancio pluriennale, il quale indica le previsioni di entrata e di spesa (almeno 3 anni). I maggiori effetti sull’ordinamento sono però dovuti alla legge finanziaria, la cui funzione è quella di realizzare le modifiche sostanziali, legislative e finanziarie, cha al bilancio sono precluse dall’art. 81 Cost. e che definisce nuove entrate e nuove spese, il livello massimo del ricorso al mercato finanziario, l’importo complessivo massimo destinato al rinnovo dei contratti del pubblico impiego, individua fondi speciali per la copertura delle leggi che potranno venire approvate nell’anno successivo. Mentre alla legge finanziaria è fatto divieto di contenere “norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzativo”, tale obiettivo viene generalmente realizzato da leggi collegate alla manovra di finanza pubblica, i cui relativi disegni di legge devono essere presentati entro il 15 novembre di ogni anno. L’esame del disegno di legge finanziaria e del disegno di legge di approvazione dei bilanci di previsione, annuale e pluriennale, dello Stato avviene nella c.d. sessione di bilancio. 11.1 Procedimenti relativi ai rapporti con l’Unione europea Fase ascendente: momento di elaborazione degli atti comunitari. Obbligo della Commissione di comunicare alle Assemblee nazionali tutti i documenti di consultazione (“libri verdi”, “libri bianchi” e comunicazioni) redatti dalla Commissione, nonché obbligo di comunicare ai Governi le proprie iniziative legislative, introducendo altresì un termine di 6 settimane prima che possano essere messe all’ordine del giorno del Consiglio dell’Unione, al fine di consentire ai Governi di far conoscere tempestivamente le proposte ai propri Parlamenti nazionali. In conseguenza di tali comunicazioni è previsto che il Parlamento formuli osservazioni ed adotti ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. Il Governo deve presentare varie informative periodiche, quali: la relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario l’informativa sull’azione del Governo rispetto alle politiche comunitarie l’informativa sullo stato di conformità dell’ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure d’infrazione dando conto, della giurisprudenza della Corte di Giustizia relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana Fase discendente: momento di attuazione interna degli atti comunitari. La legge La Pergola ha istituito la sessione comunitaria introdotta con la presentazione , entro il 31 gennaio di ogni anno, di un disegno di legge comunitaria da parte del Ministro competente per il coordinamento delle politiche comunitarie. 11.2 Il repechage e le procedure conseguenti al rinvio presidenziale 54 Capitolo 6° - Il Parlamento Vi sono alcuni procedimenti che costituiscono una forma di riesame di deliberazioni già assunte da una o da entrambe le Camere. Si tratta della procedura di repechage di progetti di legge già esaminati o approvati nella precedente legislatura. Per tali progetti è possibile richiedere la procedura d’urgenza con conseguente procedura abbreviata. 12. I procedimenti non legislativi. Le attività relative al rapporto di fiducia Il Governo entro 10 giorni dalla sua formazione deve presentarsi alle Camere per ottenerne la fiducia. Queste l’accordano mediante mozione motivata votata per appello nominale. Viene applicata la regola che prevede il quorum funzionale della maggioranza dei presenti (maggioranza semplice). L’obbligo di motivazione è conseguenza della funzione della fiducia. Con essa Governo e Parlamento si accordano sull’obiettivo di perseguire un certo indirizzo politico. La motivazione, recando le linee-guida di tale “accordo”, serve ad esplicitarne formalmente gli obiettivi, ad assicurare la corresponsabilità dei parlamentari che la votano rispetto al programma di governo, a favorire l’omogeneità della stessa e ad impedire che un Governo possa godere di una fiducia che sia frutto di una convergenza opportunistica ed occasionale tra forze politiche programmaticamente inconciliabili. Essa è, pertanto, uno strumento di stabilizzazione e razionalizzazione della forma di governo. Procedura di conferimento della fiducia: il Governo si presenta dapprima davanti alla Camera. Tale presentazione consiste nella lettura delle dichiarazioni programmatiche da parte del Presidente del Consiglio. Dopodiché si apre il dibattito, al termine del quale ha luogo la replica, che costituisce l’occasione per fornire specificazioni e chiarimenti. La mozione di fiducia è presentata dai Presidenti dei gruppi che sostengono il Governo. L’eventuale mozione di sfiducia (è sufficiente che una sola Camera revochi la fiducia perché il Governo sia costretto alle dimissioni) deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti di una Camera e può essere messa in discussione solo dopo tre giorni dalla sua presentazione. Anche questa mozione deve essere motivata. La questione di fiducia, invece, consiste in una dichiarazione mediante la quale il Governo condiziona la propria permanenza in carica all’esito positivo di una determinata deliberazione parlamentare che può essere un disegno di legge, una risoluzione, un ordine del giorno a una mozione. Della questione di fiducia si è fatto e si fa largo uso per superare l’ostruzionismo della minoranza o il fenomeno dei franchi tiratori della maggioranza. 12.1 Conseguenze della mancanza di fiducia Nel caso di mancato ottenimento della fiducia iniziale o nel caso di approvazione di una mozione di sfiducia o di rigetto della questione di fiducia, il Governo ha l’obbligo giuridico di rassegnare le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica che può “accettarle con riserva” (sciolta con la nomina del nuovo Governo) o respingerle. 13 Atti non legislativi rivolti all’esercizio di un’attività di direzione Sono principalmente 3 gli atti non legislativi mediante i quali il Parlamento manifesta la propria volontà direttiva in modo vincolante: 1. la mozione: è volta a provocare un dibattito su un certo argomento ed ottenre su di esso una deliberazione di indirizzo. 2. la risoluzione: ha la funzione di concludere un dibattito e di dettare le conseguenti direttive politiche 3. l’ordine del giorno: ha lo scopo di esprimere incidentalmente la volontà del Parlamento su di un certo profilo. Nell’ambito del procedimento legislativo si utilizzano i c.d. ordini del giorno di istruzione al Governo, mediante i quali si 55 Capitolo 6° - Il Parlamento indicano criteri interpretativi delle disposizioni in corso di approvazione o provvedimenti da adottare. 14. Il sindacato ispettivo Gli atti parlamentari indirizzati al controllo del Governo rientrano nel sindacato ispettivo. Suoi strumenti sono le interrogazioni e le interpellanze. L’interrogazione “consiste nella semplice domanda se un fatto sia vero, se alcuna informazione sia giunta al Governo, o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla Camera documenti o notizie o abbia preso o stia per prendere alcun provvedimento su un oggetto determinato”. L’interpellanza, invece, “consiste nella domanda, rivolta per iscritto, circa i motivi o gli intendimenti della condotta del Governo in questioni che riguardino determinati aspetti della sua politica” Il Governo può rispondere alle interrogazioni ed alle interpellanze attraverso un Ministro, un vice-ministro o un sottosegretario di Stato. Il dibattito orale su tali strumenti si distingue in 3 fasi: illustrazione del proponente, risposta del Governo, replica del proponente, che dichiara di essere o meno soddisfatto della risposta. 14.1 Le Commissioni di inchiesta Le Commissioni di inchiesta: possono essere disposte da ciascuna Camera su materie di pubblico interesse e a tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. Quanto ai poteri, il Costituente ha previsto che “la Commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”. Le commissioni possono essere monocamerali o bicamerali. Per quanto attiene alle finalità dell’istituzione, si distingue, tradizionalmente, tra: inchieste legislative: rivolte all’esame di una questione di interesse pubblico in vista della realizzazione di un intervento legislativo inchieste politiche: presentano una più spiccata natura inquirente o ispettiva in quanto mirano a ricostruire vicende relative ad un certo evento o ad una cera problematica, anche al fine di individuare eventuali responsabilità di soggetti pubblici. L’attività della Commissione si conclude con una o più relazioni. 15 Atti non legislativi rivolti all’esercizio di un’attività informativa e conoscitiva. Altri strumenti conoscitivi e informativi sono: udienze legislative: che interessano il procedimento legislativo rilevazioni, studi ed elaborazioni statistiche: richieste all’Istituto centrale di Statistica (ISTAT) pareri, studi, indagini: richiesti al CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) su questioni che importino indirizzi di politica economica, finanziaria e sociale audizioni: per l’approfondimento di questioni tecnico-amministrative, richiedendo ai Ministri che dalle rispettive amministrazioni ed enti sottoposti al loro controllo siano forniti notizie ed elementi di carattere amministrativo o tecnico occorrenti per integrare l’informazione sulle questioni in esame. indagini conoscitive: deliberate dalle commissioni nella materie di propria competenza con l’assenso del Presidente dell’Assemblea 56 Capitolo 7° - Il Presidente della Repubblica Capitolo 7° - Il Presidente della Repubblica 1.Il Presidente della Repubblica come Capo dello Stato L’art.87 Cost. nell’elencare i poteri del Presidente della Repubblica, precede anzitutto che questi è il Capo dello Stato i cui poteri e prerogative sono: tutti i poteri statali non attribuiti ad altri orgnai capacità di mettere in moto lo Stato la cui inattività ne determinerebbe una paralisi organo supremo in posizione (preminenza in onori e dignità) e anche in guida (rettitudine, autorità e autorevolezza) e in comando (potere di coercizione e di imposizione) rappresenta un potere neutro, imparziale e supra partes 2. Elezione e durata in carica del Presidente della Repubblica Il Presidente della Repubblica è eletto indirettamente dal popolo, cioè dai suoi rappresentanti in Parlamento in seduta comune in composizione allargata ai delegati regionali (tre per Regione) e a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi nelle prime tre votazioni e quella assoluta nelle votazioni successive. Il mandato dura sette anni. I requisiti di eleggibilità consistono nella cittadinanza, nel compimento del cinquantesimo anno di età e nel godimento dei diritti civili e politici. Per garantire l’indipendenza dell’organo si prevede l’incompatibilità con qualsiasi altra carica, un assegno ed una dotazione fissati dalla legge, la carica di senatore di diritto e a vita una volta cessato il mandato e l’irresponsabilità per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni. 2.1 La continuità dell’organo La continuità dell’organo è assicurata da 3 istituti: 1. l’elezione pre-scadenza: trenta giorni prima della fine del mandato, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali per procedere all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica 2. la prorogatio: se le Camere sono sciolte o mancano meno di 3 mesi alla fine della legislatura, l’elezione spetta alle nuove Camere e nel frattempo sono prorogati i poteri del Capo dello Stato in carica 3. la supplenza: le funzioni del Presidente della Repubblica sono esercitate dal Presidente del Senato in tutte le ipotesi di impedimento, tanto temporaneo quanto permanente. 3. Gli atti del Presidente della Repubblica e la controfirma ministeriale L’art. 98 Cost. dispone che “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”. Di fatto, la controfirma rappresenta una sottoscrizione posta a suggello del contenuto di un atto ed ha la funzione di attestare la partecipazione del soggetto controfirmatane alla sua formazione. In altri termini il Ministro che controfirma, così come il Presidente che firma, si dichiara autore dell’atto. 58 Capitolo 7° - Il Presidente della Repubblica 3.1 la tesi dell’atto complesso In ragione della controfirma, l’atto presidenziale sarebbe configurabile come un atto complesso (derivante dalla fusione di atti distinti di due organi) ed a complessità diseguale (nel senso che la volontà manifestata in uno dei due atti prevale su quella espressa nell’altro). Gli atti possono essere ripartiti in: atti sostanzialmente ministeriali: (di iniziativa ministeriale) l’atto è controfirmato da un ministro proponente. Il Presidente della Repubblica si limiterebbe ad una funzione di controllo atti dovuti: non vi sarebbe una vera e propria proposta, ma sono atti che non si possono non fare (promulgazione delle leggi riapprovate dalle Camere dopo un rinvio presidenziale) atti sostanzialmente presidenziali: (di iniziativa presidenziale) il Ministro sarebbe uno spettatore o un controllore (ratifica dei trattati internazionali, l’emanazione di decreti-legge, dei decreti legislativi, dei regolamenti governativi). atti paritari: sono quelli nei quali le due volontà si equivalgono, tanto che in mancaza dell’accordo l’atto non potrebbe essere adottato. Vi rientrerebbero la nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri e lo scioglimento delle Camere. 3.2 L’atto monocratico su proposta ministeriale ….. 3.3 Lo scioglimento delle Camere Lo scioglimento delle Camere è un potere attribuito al Presidente della Repubblica, previa consultazione con i Presidenti delle Camere che esprimono un parere non vincolante seppur obbligatorio. I motivi che possono giustificare uno scioglimento delle Camere sono da ricercarsi in: grave inadempienza del Parlamento rispetto ai propri doveri costituzionali (scioglimento-sanzione) accordo sostanziale tra i partiti della maggioranza o anche della minoranza mutamento delle leggi elettorali Governo sfiduciato e forze politiche non in grado di costituire una maggioranza Ecc. 3.4 Gli atti esenti da controfirma L’art.89 Cost. afferma che “tutti” gli atti del Presidente della Repubblica debbano essere controfirmati, tuttavia, per motivi logici, si ritiene che alcuni di essi non debbano essere controfirmati, come: Gli atti privati o della persona fisica: (acquisto di una automobile per uso privato) Le omissioni (prodott dall’inattività del Presidente) Gli atti orali come le esternazioni o l’incarico Gli atti compiuti quale Presidente di un organo collegiale (CSM o il Consiglio Supremo di Difesa) Il giuramento i regolamenti della Presidenza le dimissioni (o le dichiarazioni di impedimento) i conflitti di attribuzione sollevati dal Presidente della Repubblica contro un Ministro 59 Capitolo 7° - Il Presidente della Repubblica 4. La responsabilità del Presidente della Repubblica Rispetto alla responsabilità giuridica, l’esenzione del Capo dello Stato non è assoluta, ma incontra due limiti. Essa non copre: gli atti compiuti fuori dall’esercizio delle funzioni presidenziali i reati di alto tradimento ed attentato alla Costituzione. In tal caso il Presidente viene messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta ed a scrutinio segreto. Sulle accuse decide poi la Corte Costituzionale in una composizione integrata. 60 Capitolo 8° - Il Governo Capitolo 8° - Il Governo 1.Premessa Il Governo è un organo chiamato a svolgere attività provvedimentali e concrete in esecuzione di scelte politiche generali e di indirizzo compiute dal Parlamento. Esso ha un duplice ruolo: 1. esecutivo: in quanto organo posto al vertice dell’amministrazione 2. politico: in quanto concorre a determinare con le Camere l’indirizzo politico dello Stato. 2. Il Governo come comitato esecutivo: cenni storici Il Governo nasce e si consolida come organo del potere esecutivo. In particolare: durante la monarchia assoluta, l’espressione “Governo” stava ad indicare l’insieme dei fiduciari o funzionari nominati e revocati dal Re, incaricati di consigliare il sovrano e di portare a compimento la sua volontà, durante la monarchia costituzionale, esso gode di una doppia legittimazione: monarchica e parlamentare. Il Governo, pur continuando a dipendere organizzativamente dal Re, costituisce l’organo “esecutivo” della volontà politica trasfusa nella legge approvata dal parlamento e dalla corona, con l’avvento del governo parlamentare, alla subordinazione funzionale del Governo alla legge si aggiunge la strutturale dipendenza dalla legittimazione politica delle Camere. Il Governo, per svolgere le proprie funzioni e rimanere in carica, deve godere della fiducia del Parlamento. 3. Il Governo come comitato direttivo della maggioranza parlamentare. Negli ultimi anni, e non soltanto in Italia, il Governo, oltre al suo ruolo esecutivo, acquisito anche un ruolo politicamente direttivo. Le ragioni di una siffatta evoluzione possono riassumersi in: maggior capacità decisionale e speditezza dell'azione governativa rispetto a quella parlamentare, in ragione di evidenti differenze strutturali. Una più accentuata competenza tecnica del Governo. Ciò è dovuta al fatto che i ministri, essendo poste al vertice di un apparato amministrativo, sono in grado di attingere ad una maggiore quantità di informazioni e di valutare di aspetti problematici che si manifestano al momento dell'esecuzione della legge col affermarsi dello Stato sociale, l'attività statale si è tradotta atti normativi rivolti spesso ad amministrare prestazioni pubbliche avvento e diffusione dei partiti di massa che assicurano una base parlamentare più solida ai Governi introduzione di sistemi elettorali tendenzialmente maggioritari tendenza a spostare parte della sovranità o del potere normativo dallo Stato all'Unione Europea o ad enti territoriali interni (Regioni) Pertanto, il Governo, più che un mero organo esecutivo della volontà delle camere rappresenta piuttosto il comitato direttivo di una maggioranza, unificata dei partiti che condividono il medesimo indirizzo politico. 62 Capitolo 8° - Il Governo 4. Il Governo in Italia: le fonti La disciplina costituzionale del governo appare alquanto scarna e lacunosa. Quanto all'organizzazione, la Costituzione si limita ad elencare solo le componenti apicali. Anche i rapporti tra i diversi organi che compongono il Governo non sono definiti salvo un accenno ai poteri del Presidente del Consiglio. Anche le funzioni sono considerate incidentalmente e in relazione a quelle degli altri organi costituzionali, così + per il: potere di iniziativa legislativa diritto dei singoli ministri di assistere alle sedute delle Camere e di essere sentiti dalle stesse ogni volta che lo richiedono potere di rimettere in progetti di legge dalla Commissione deliberante all'Aula conferimento da parte delle Camere al Governo dei poteri necessari in caso di guerra presentazione alle Camere del progetto di legge di approvazione del bilancio e del rendiconto consuntivo controfirma ministeriale degli atti del Presidente della Repubblica impugnazione davanti alla Corte Costituzionale degli statuti e delle leggi regionali Solo le vicende parlamentari del rapporto di fiducia trovano ampia disciplina nella Costituzione. 5. Gli organi necessari: premessa Il Governo è un organo complesso organico, costituito da un organo collegiale, il Consiglio dei Ministri, ed organi monocratici, il Presidente del Consiglio ed i singoli Ministri. Tali organi pur essendo tutti necessari e godendo di pari dignità formale, non sono dal punto di vista competenziale indifferenziati. Fino al 1993, le leggi elettorali, essenzialmente proporzionali, hanno favorito il multipartitismo estremo non polarizzato e la conseguente formazione di governi di coalizione e di governi che nascevano dall'accordo post-elettorale, solitamente, di 4 o 5 partiti. Gli incarichi di governo erano, dunque, distribuiti secondo criteri proporzionali, tra i partiti della coalizione, i quali rivendicavano un'autonomia politica rispetto ai Ministeri loro attribuiti, con la conseguenza che i Ministri rispondevano ai propri partiti piuttosto che alle direttive del Presidente del Consiglio e che tra i diversi partner della coalizione si veniva ad instaurare una ripartizione abbastanza netta per aree di influenza sui diversi settori dell'amministrazione statale. In tale situazione, il Presidente del Consiglio era chiamato a svolgere un ruolo di mediatore tra i partiti della coalizione o, al più, di primus inter pares, piuttosto che quello di Capo del Governo e di leader della maggioranza parlamentare. Negli ultimi anni, tuttavia, si sono registrati alcuni significativi cambiamenti nel ruolo del Governo e nel rapporto tra le diverse componenti dello stesso. Ciò è imputabile in parte alla polarizzazione del sistema politico prodotta dall'introduzione di leggi elettorali tendenzialmente maggioritari, in parte all'avvio di un processo riformatore teso ad assicurare stabilità ed efficienza all'azione del governo, il quale, si è trasformato da comitato esecutivo ha comitato direttivo della maggioranza parlamentare che lo sostiene. 5.1 Il Presidente del Consiglio La Costituzione disciplina le funzioni del Presidente del Consiglio in tre articoli: 1. art. 89: per il quale gli atti del Capo dello Stato che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge, sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio 2. art. 92: riserva al Presidente del Consiglio il potere di proporre al capo dello Stato la nomina dei Ministri 63 Capitolo 8° - Il Governo 3. art. 95: attribuisce al Presidente del Consiglio il potere di dirigere la politica generale del Governo e di mantenere l'unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri Il Presidente del Consiglio ha, anzitutto, una funzione di rappresentanza esterna e generale della volontà del Consiglio. Egli può: comunicare alle camere una composizione del governo ed ogni mutamento in nessun intervenuto porre la questione di fiducia chiedere al presidente della Repubblica l'autorizzazione alla presentazione di un disegno di legge o l'emanazione di un atto normativo del governo presentare alle camere disegni di legge di iniziativa governativa e chiedere il trasferimento di sede nel corso dei procedimenti legislativi La funzione rappresentativa del governo è esercitata dal Presidente anche nei confronti degli organi dell'Unione Europea, degli enti territoriali e delle confessioni religiose. Il Presidente, inoltre, dirige i lavori del Consiglio dei Ministri, nel senso che convoca le riunioni, fissa l'ordine del giorno, apre e chiude le sedute, può rinviare la discussione su singoli punti, pone ai voti le varie proposte e dichiara l'esito delle votazioni. Al Presidente del Consiglio spettano, inoltre, i poteri di chiedere ai ministri relazioni e verifiche amministrative, di istituire comitati interministeriali o gruppi di studio e di concordare con i Ministri le loro pubbliche dichiarazioni che impegnino la politica generale del governo. È inoltre in capo al Presidente del Consiglio l'alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa di sicurezza svolta dai cosiddetti servizi segreti. Gli è riconosciuto il potere esclusivo di opporre il segreto di Stato all'autorità giudiziaria. Per sostenere e coadiuvare il presidente nell'esercizio delle sue funzioni vi è una struttura, piuttosto articolata, che prende il nome di Presidenza del Consiglio, ha sede in Palazzo Chigi e gode di rilevanti poteri di conoscenza e di stimolo sull'intera amministrazione statale oltre che di autonomia organizzativa, contabile e di bilancio. 5.2 il Consiglio dei Ministri Il Consiglio dei Ministri è un organo collegiale composto dal Presidente del Consiglio, che lo presiede e dei Ministri. Ad esso assiste, inoltre, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza che svolge funzioni di Segretario del Consiglio. Le modalità di funzionamento dell'organo sono disciplinate da un regolamento interno. Le funzioni sono: iniziativa legislativa trasferimento dalla commissione deliberante all'assemblea dei disegni di legge esercizio dei poteri conferiti dalle camere in caso di guerra Le disposizione dei bilanci rendiconti consuntivi presentazione alle camere per ottenere la fiducia potere di sollevare questioni di costituzionalità determinazione della politica generale del governo e dell'indirizzo dell'azione amministrativa Il Consiglio incide, inoltre, sulla composizione del Governo e sulle competenze dei singoli Ministri. Il Consiglio delibera, altresì, gli atti relativi alle confessioni religiose ed esercita funzioni in materia di politica internazionale. Rilevanti infine sono i poteri di nomina del consiglio: sono nominati dall'organo collegiale del Governo: i presidenti di enti e istituti ed aziende di carattere nazionale, i segretari generali dei ministeri, i dirigenti generali, una quota dei componenti della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato 64 Capitolo 8° - Il Governo 5.3 I Ministri I Ministri svolgono, di regola, una duplice funzione: come componenti del Consiglio dei Ministri e come organi di vertice di un apparato amministrativo, denominato Dicastero o Ministero, relativo a un determinato ambito materiale (salute, beni e attività culturali, giustizia, ecc.) ed organizzato gerarchicamente. Attualmente il numero dei Ministeri è di 14 e tale numero può non corrispondere a quello delle persone fisiche dei Ministri, sia per eccesso che per difetto. Infatti il Presidente del Consiglio o un Ministro possono essere preposti ad interim a più Dicasteri, come è possibile che il numero dei Ministeri sia inferiore a quello dei Ministri per la presenza dei Ministri senza portafoglio, ossia i titolari che non sono al vertice di un apparato amministrativo apposito e che, perciò, non gestiscono alcuno stato di previsione, in cui il bilancio pubblico è articolato, per la parte relativa alle uscite. Questi organi svolgono le funzioni delegate dal Presidente del Consiglio e si avvalgono, nell'espletamento delle loro funzioni, di strutture amministrative della Presidenza del Consiglio e di uffici di diretta collaborazione. Ovviamente, in qualità di Ministri sono membri, al pari degli altri, del Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei Ministri, ha il potere di conferire ad un Ministro incarichi speciali di governo per un tempo determinato. Ai Ministri spetta l'esercizio della funzione di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi, le priorità, i piani e programmi da provare e verificando la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. In pratica, il Ministro può incidere sulla funzioni amministrative solo attraverso la definizione degli indirizzi generali, che possono consistere: nell'adozione di atti normativi dello Stato (i regolamenti ministeriali), interni alla pubbliche amministrazioni (le direttive) o interpretativi di norme (le circolari) il potere di proposta al Consiglio dei Ministri o al Presidente del Consiglio delle nomine dei segretari generali o dei dirigenti nel potere di ripartire le risorse umane, materiali ed economico finanziaria tre diversi uffici di livello dirigenziale generale Il Ministro non può sostituirsi al dirigente generale nell'adozione di un atto di sua competenza, né può revocarne o riformarne i provvedimenti, ed anche in caso di inerzia, ritardo o gravi inosservanza delle direttive generali, il Ministro può solo nominare un commissario ad acta dopo aver fissato un termine per l’adempimento e aver dato comunicazione del procedimento al Presidente del Consiglio. 5.4 Gli organi non necessari Accanto agli organi costituzionalmente necessari (Consiglio dei Ministri, presidente del consiglio e ministri) ne sono altri non previsti e disciplinati dalla costituzione. Tali organi sono stati di regola, introdotti da convenzioni o consuetudini costituzionali e successivamente disciplinati da fonti primarie. Essi possono suddividersi in: organi collegiali: o consiglio di gabinetto: è un organo costituito dai ministri designati dal presidente del consiglio ed ha la funzione di coadiuvare il presidente nello svolgimento delle sue funzioni, o comitati di ministri: sono istituiti dal presidente del consiglio o con legge e sono composti solo da ministri (o da sottosegretari) e svolgono solidamente funzioni istruttorie e preparatorie o comitati interministeriali: sono istituiti dalla legge, possono essere composti anche da funzionari ed esperti è solitamente adottano atti aventi rilevanza esterna 65 Capitolo 8° - Il Governo organi individuali: o vicepresidenti del consiglio: (art. 8.) Le funzioni di vicepresidente del consiglio sono attribuiti dal presidente del consiglio ad uno o più Ministri, che ha la funzione di supplenza del Presidente solo in caso di assenza o impedimento temporaneo , o sottosegretario di Stato: non godono di funzioni proprie ma solo delle funzioni delegate dal Ministro che essi coadiuvano. La nomina e la revoca avvengono con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio. Tra i sottosegretari una posizione particolare viene riconosciuta al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio il quale svolge la funzione di Segretario del Consiglio dei Ministri (cura la verbalizzazione e la conservazione del registro delle deliberazioni consiliari e sovrintende l'Ufficio di Segreteria del Consiglio dei Ministri), o viceministri: nomina attribuita ad alcuni sottosegretari (non più di 10). La delega delle funzioni deve riguardare aree o progetti di competenza di una o più strutture dipartimentali ovvero di più direzioni generali esistenti all'interno del relativo Ministero o commissari straordinari: assimilabili alle figure degli Alti Commissari, sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica il quale ne determina i compiti e la dotazione di mezzi e di personale. Tali organi sono istituiti al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione ai programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei Ministri. 6. Il procedimento di formazione del Governo Del procedimento di formazione del governo la costituzione regola solo la fase della nomina del successivo giuramento, mentre le fasi preparatorie sono rimesse alle consuetudini ed alle prassi costituzionali. Fase delle consultazioni: consiste in un'attività istruttorie che si realizza acquisendo il parere di vari soggetti (presidenti delle camere, ex presidente della Repubblica, rappresentanti dei gruppi parlamentari) al fine di verificare l'esistenza di una maggioranza parlamentare e di individuare un soggetto idoneo a formare un governo che possa ottenere la fiducia delle camere. Le consultazioni possono produrre esiti opposti: se il Presidente si convince l'assoluta impossibilità di trovare una maggioranza parlamentare disposta a sostenere un Governo, procede allo scioglimento delle Camere se le consultazioni danno esito positivo il Capo di Stato procede all'incarico. In questa fase il Presidente del Consiglio incaricato cerca di raggiungere un accordo sul programma di governo e sulla compagine ministeriale con i gruppi parlamentari intenzionati a sostenerlo contro si procede alla nomina che consiste nell'adozione da parte del presidente della Repubblica di tre decreti: o di accettazione delle dimissioni del precedente governo o di nomina del presidente del consiglio o di nomina dei ministri, di solito scelti fra i parlamentari Le incompatibilità con la titolarità di cariche nel Governo sono: svolgimento di funzioni in enti di diritto pubblico, anche economici svolgimento di funzioni o l'esercizio di compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale esercizio di attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica nel governo esercizio di qualunque tipo di impiego, pubblico privato 66 Capitolo 8° - Il Governo Prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica dopo di che il Governo ha l'obbligo di presentarsi alle Camere entro 10 giorni per ottenere la fiducia. 7. La crisi di Governo La Costituzione non prevede per il Governo un termine di durata né sono espressamente individuate cause legali di revoca, destituzione o scioglimento, ma si limita a prevedere l'obbligo di dimissioni nel caso in cui al Governo non venga accordata la fiducia (anche da parte di una sola Camera) o venga approvata una mozione di sfiducia. Il Governo, dunque, viene rimosso dalla carica attraverso un suo atto volontario (le dimissioni) che determina così una crisi di governo parlamentare. Per sollecitare la coesione della propria maggioranza, lo strumento utilizzato dal governo è rappresentato dalla questione di fiducia, la quale comporta, in caso di pronuncia sfavorevole, le dimissioni del Governo. Come il Governo, anche il Ministro o dimettersi volontariamente oppure essere obbligato le dimissioni, in conseguenza dell'approvazione di una mozione di sfiducia. 8. La responsabilità giuridica I ministri sono responsabili anche giuridicamente. Anzi la responsabilità è duplice: collegiale: per gli atti del Consiglio individuale: per gli atti del loro Dicastero. Tale responsabilità è imputabile solo al suo titolare e non si estende all'intero governo L’art. 95 Cost. afferma che i ministri sono responsabili degli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, a condizione, però, che sia riscontrabile una qualche colpa, sia pure solo in eligendo o in vigilando. L’art. 96 Cost. affida il giudizio sui reati ministeriali alla magistratura ordinaria previa autorizzazione da parte della camera a cui appartiene il ministro. L'autorizzazione può essere negata allorché le camere ritengono che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo. 9. Gli organi ausiliari: Gli organi ausiliari sono: il Consiglio di Stato: la sua istituzione risale al periodo napoleonico. È composto da un presidente, 15 presidenti di sezione e 72 consiglieri ed è articolato in 7 sezioni (4 con funzioni consultive e 3 con funzioni giurisdizionali). Può riunirsi in adunanza generale (formata da tutti i consiglieri ed opera in sede consultiva) e in adunanza plenaria (alla quale partecipano il presidente e 12 consiglieri ed opera in sede giurisdizionale). Tale organo esercita 2 funzioni: o esprime pareri in materia giuridico amministrativa, relativi all'attività delle pubbliche amministrazioni sotto il profilo della legittimità e del merito o ha competenza giurisdizionale amministrativa di secondo grado (giudica, cioè, sui ricorsi contro le sentenze di tribunali amministrativi regionali) e, in alcuni casi esclusiva in unico grado La Corte dei conti: la costituzione le attribuisce due funzioni: o di controllo: 67 Capitolo 8° - Il Governo esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo (ha la forma del visto e della successiva registrazione che può essere anche con riserva) quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato quello sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria o giurisdizionale: nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL): è costituito da esperti rappresentanti delle categorie produttive, titolare del potere di iniziativa legislativa e di poteri consultivi. Attualmente l'organo è composto da 111 membri in coda di autonomia funzionale contabile 68 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione Capitolo 9° - La pubblica amministrazione Sezione I – I profili costituzionali 1. La pubblica amministrazione nella Costituzione: premessa Per pubblica amministrazione si intende quell’insieme di organi e di enti che svolgono una funzione amministrativa, ossia che esercitano un potere di supremazia finalizzato alla realizzazione dei fini pubblici individuati dagli organi ai quali spetta il potere di indirizzo politico. Anche se la costituzione dedica espressamente alla pubblica amministrazione solo due articoli, il 97 e il 98, in ogni parte di essa possono rinvenirsi disposizioni riguardanti direttamente o indirettamente l'amministrazione. 2. La democraticità della pubblica amministrazione Il principio democratico non sembra debba essere applicato all'amministrazione. In effetti è prevista una responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti pubblici e nei servizi che dipendono dallo Stato deve attuarsi il più ampio decentramento amministrativo. Inoltre si accede per concorso, il che depone a favore di una organizzazione verticistica. Il carattere essenzialmente non democratico dell’organizzazione della pubblica amministrazione trova, del resto, conferma tanto nel principio di legalità, quanto nel principio di imparzialità. 3. Il principio di legalità Il principio di legalità dell’amministrazione trova fondamento in una pluralità di norme costituzionali per le quali: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge attribuiscono alla Corte dei Conti il controllo preventivo di legittimità sugli atti di Governo che prevedono l’istituzione in ogni Regione di organi di giustizia amministrativa di primo grado assicurano il diritto di difesa per la tutela degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione prevedono la responsabilità diretta dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici Praticamente, gli atti dell’amministrazione devono trovare il proprio fondamento in una previa norma, la quale può essere posta da una qualsiasi fonte del diritto dello Stato. La legalità dell’atto non dovrà essere solo formale (esistenza di una norma = legalità formale), ma anche sostanziale, dovendo le norme prefigurare il contenuto della decisione, fissando i parametri generali cui questa deve ispirarsi (legalità sostanziale). 4. L’imparzialità In materia di organizzazione amministrativa la Costituzione prevede una riserva di legge. Tale riserva è unanimemente considerata: 70 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione relativa (vedi appendice) in quanto la flessibilità ed elasticità delle regole organizzative sarebbero strumentali al buon andamento e l'imparzialità della stessa amministrazione, e rinforzata in quanto l’at. 97 impone alle fonti primarie di organizzare i pubblici uffici in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. L'attività amministrativa è, dunque, un'attività organizzata e tra l'organizzazione indica non soltanto i centri di provenienza e di imputazione dell'attività amministrativa ma, il modo stesso di svolgimento di questa attività definendone finanche la struttura. Imparzialità: per alcuni essa sarebbe strumentale al buon andamento, per altri le due nozioni sarebbero in tensione. L'imparzialità si lega alla discrezionalità amministrativa: tra la norma e il provvedimento amministrativo sussiste uno stacco che va colmato dalle valutazioni dei titolari degli uffici pubblici. È proprio del burocrate la scelta dei tempi, dei mezzi e dei modi con il quale perseguire il fine pubblico quale emerge dagli atti normativi e di autoregolamentazione (circolari, direttive, regolamenti interni). Nell'effettuare questa scelta, l'imparzialità impone ai titolari degli organi amministrativi non solo di evitare favoritismi o favoritismi (imparzialità negativa), ma di identificare e valutare tutti gli interessi coinvolti, pubblici e privati (imparzialità positiva). In altri termini l'imparzialità consiste nel potere-dovere di non privilegiare pregiudizialmente nessun interesse ma di individuare e ponderare i diversi interessi. Vari istituti sono diretti ad assicurare l'imparzialità dell'amministrazione: il concorso, il decentramento amministrativo come pure varie leggi: quelle sulle incompatibilità dei dipendenti pubblici e sull'obbligo di astensione, quelle che regolano il procedimento amministrativo prevedendo la partecipazione dei privati quelle sulla trasparenza dell'attività amministrativa e della pubblicità dei procedimenti amministrativi quelle che prevedono l'obbligo di motivazione degli atti amministrativi 4.1 Il buon andamento Il principio del buon andamento è ravvisabile nella sintesi delle seguenti qualità: efficacia, efficienza ed economicità: l'efficacia dell'azione amministrativa riguarda il rapporto tra gli obiettivi prestabiliti e i risultati ottenuti l'efficienza riguarda il rapporto tra le risorse impiegate e i risultati conseguiti l'economicità concerne il rapporto tra i mezzi economici impiegati e le risorse da acquisire per il soddisfacimento dell'interesse pubblico Dunque, il buon andamento è valutabile mettendo in relazione la spesa pubblica, le risorse, gli obiettivi e i risultati. Altro fattore rilevante è il tempo richiesto per l'adozione dell'atto. Al riguardo la l.241/1990 ha stabilito l'obbligo per l'amministrazione di fissare il termine per la conclusione del procedimento. Il principio del buon andamento ha, inoltre, ispirato le modifiche al sistema dei controlli. Ad una riduzione dei controlli di legittimità sugli atti ha corrisposto un incremento di quelli sull'attività, articolati nei controlli di gestione, in relazione al rapporto tra costi e risultati, e nei controlli strategici, atti a verificare la congruenza tra risultati conseguiti gli obiettivi predefiniti. Controlli che, peraltro, rilevano ai fini dell'attribuzione degli incarichi dirigenziali, poiché una valutazione negativa può comportare l'esclusione da ulteriori incarichi dirigenziali o la revoca dell'incarico. 71 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione 5. Il principio del decentramento: rinvio L’art. 5 Cost.impone il più ampio decentramento amministrativo nei servizi che dipendono dallo Stato. Lo stesso principio comporta il trasferimento delle funzioni dall'amministrazione statale alle amministrazioni regionali e locali. Il decentramento può avere carattere funzionale, nel senso che è imposto per la natura della funzione o la peculiarità degli interessi coinvolti (es. l’Università, la cui autonomia è strumentale alle libertà costituzionali di ricerca e di insegnamento). Sezione II – L’organizzazione amministrativa 6. L’amministrazione centrale: i Ministeri I Ministeri rappresentano degli apparati burocratici tendenzialmente gerarchici ed al cui vertice vi è un Ministro che fa parte del Consiglio dei Ministri e concorre a determinare l’indirizzo politico. Il Ministero è strutturato con uno schema ad alveare, nel quale vi sono, come le Ministero, suddiviso in: o le sezioni, uffici costituenti unità elementari o le divisioni, uffici raggruppati in unità più complesse: unità di primo livello: dipartimenti: operano in grandi aree di materie omogenee, godendo di tutti i poteri strumentali al raggiungimento dei propri fini; le direzioni generali, operano, invece, in specifici settori materiali o comunque in ambiti più ridotti ovvero nelle diverse attività strumentali (personale, contabilità, ecc.). Il coordinamento delle diverse direzioni è assicurato da un segretario generale, posto alle dirette dipendenze di un Ministro. Il Ministro può nominare o revocare i dirigenti. Accanto a questi uffici strutturati secondo uno schema gerarchico, ve ne sono altri collocati in una posizione collaterale rispetto al vertice politico (o di staff), che collaborano direttamente col Ministro, al quale sono legati da un rapporto sostanzialmente fiduciario: l’ufficio legislativo e il gabinetto. Nell’ambito dell’organizzazione ministeriale vanno, poi, menzionate le: Aziende (o amministrazioni autonome), come l’ANAS, che svolgono la propria attività nelle forme del diritto privato, traendo così i propri finanziamenti. Esse hanno un proprio consiglio di amministrazione (presieduto dal Ministro), un proprio patrimonio, ecc. Agenzie, come l’Agenzia per la proprietà industriale, l’Agenzia delle Entrate, l’ARAN, l’Agenzia delle dogane, ecc., le quali hanno personalità giuridica, con un proprio statuto e un particolare regime di autonomia. Alcuni Ministeri hanno, infine, accanto ad un apparato centrale, un apparato periferico, con al vertice un ufficio parzialmente dotato di personalità giuridica. Si tratta, ad esempio, dell’Intendenza di Finanza, del Provveditorato agli Studi e degli Uffici territoriali di Governo (ex-Prefetture) con compiti anche di coordinamento dei diversi uffici periferici. 72 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione 7. Le autorità amministrative indipendenti Le autorità amministrative indipendenti sono enti od organi pubblici dotati di sostanziale indipendenza nei confronti del Governo e rivolte a garantire il funzionamento delle regole del mercato o tutelare interessi costituzionale in campi socialmente rilevanti. Alcune autorità hanno personalità giuridica (CONSOB, ISVAP) mentre altre ne sono prive. Esse sono: Banca d’Italia: in precedenza svolgeva una duplice funzione: monetaria (batteva moneta) e vigilanza sul sistema bancario e sugli intermediari finanziari. Con il trattato di Maastricht è rimasta solo la funzione di vigilanza. Autorità garante della concorrenza e del mercato: (c.d. Autorità Antitrust) ha la funzione di garantire la libera concorrenza ed il corretto funzionamento del mercato, esercitando a tal fine poteri di indagine e poteri di denunzia al corrispondente organismo comunitario. Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB): ha la funzione di regolamentare e controllare il mercato dei valori mobiliari, allo scopo di tutelare il risparmio diretto all’investimento azionario. A questo fine definisce e accerta i requisiti per la quotazione di una società in borsa, stabilisce il calendario delle contrattazioni, determina i sistemi di quotazione ed individua i tipi di contratti ammessi. Istituto superiore per la vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP): controlla le imprese assicurative e vigila sul relativo mercato, sempre a tutela degli investitori. Autorità per l’energia elettrica ed il gas: promuove la concorrenza e l’efficienza nei due settori energetici, garantisce adeguati livelli di qualità nei settori medesimi i condizioni di economicità e di redditività, assicura la fruibilità e la diffusione sull’intero territorio nazionale e armonizza gli interessi economico-finanziari con gli obiettivi di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse. Garante per la protezione dei dati personali Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici 8. Gli enti pubblici Per ente pubblico si intende un’organizzazione dotata di personalità giuridica e di un’espressa o implicita qualificazione pubblicistica da parte della legge istitutiva. Essendo quella degli enti pubblici una categoria eterogenea in quanto a criteri di qualificazione, dei poteri, delle finalità, dell’organizzazione e dei controlli, possiamo definire enti pubblici in senso stretto gli enti parastatali. La l. 70/1975 dispone che “nessun ente pubblico può eessere istituito o riconosciuto se non per legge”. In tale atto se determinano le potestà pubblicistiche dell’ente. La struttura organizzativa dell’ente pubblico risponde ad un molteplicità di modelli, possiamo tuttavia individuare gli elementi comuni a tutti che sono: Consiglio di amministrazione: Presidente: nominato con un decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri Collegio dei revisori dei conti Il controllo è affidato soprattutto alla Corte dei conti. 73 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione 8.1 Gli enti pubblici economici, l’azionariato di Stato e gli organismi di diritto pubblico Qualora l’ente pubblico abbia per oggetto esclusivo o principale una attività economica, viene denominato ente pubblico economico. Sue caratteristiche: esso agisce in modo non autoritativo, mediante atti di diritto privato, è soggetto all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese ed instaura con i propri dipendenti rapporti di lavoro di diritto privato persegue un fine di lucro o se lo fanno è un lucro da devolvere a fini pubblici. pur esercitando imprese commerciali, non può fallire, ma è solo soggetto alla liquidazione coatta amministrativa. i suoi amministratori sono considerati pubblici funzionari e sono, dunque, tenuti ad operare nel rispetto del principio di imparzialità. In seguito a normative europee e al divieto degli aiuti di Stato, si è deciso di privatizzare molti enti pubblici economici attraverso la loro trasformazione in società per azioni a capitale pubblico con vendita del pacchetto azionario ai privati. Non sono da confondere con gli enti pubblici gli organismi di diritto pubblico che sono previsti dalle direttive europee in materia di appalti di pubblici servizi e che possono essere anche altri organismi di diritto pubblico. 9. Il rapporto di pubblico impiego La normativa che disciplina il rapporto di pubblico impiego è contenuta nel d.lgs. 165/2001 che lo equipara a quello privato. L’assunzione del personale avviene con un contratto individuale di lavoro, sempre con un atto privatistico il lavoratore è trasferito, destinato ad altre mansioni o promosso; conseguentemente il giudice competente alle controversie in materia di pubblico impiego diviene il giudice ordinario. I diritti e i doveri dlle parti trovano la loro fonte nei contratti collettivi, i quali sono stipulati, per singoli comparti (ministeri, regioni, enti locali, ecc.) tra l’Agenzia per rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), posta sotto la sorveglianza della Presidenza del Consiglio, e l organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, e sono sottoposti ad un controllo da parte della Corte dei conti, la quale certifica la compatibilità dei costi contrattuali con gli atti di programmazione della spesa pubblica. La natura pubblicistica del rapporto residua in alcuni aspetti: esercizio di potestà autoritativa riconosciuta agli atti organizzativi con cui la pubblica amministrazione fissa le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e, in particolare, le dotazioni organiche complessive, il personale viene assunto, di regola, con procedure selettive, i cui atti di indizione e di espletamento sono da considerarsi atti amministrativie sottoposti alla giurisdizione del giudice amministrativo diversa è anche la disciplina della responsabilità , delle incompatibilità e dell’assegnazione del dipendente a mansioni superiori. A questo proposito, mentre per il lavoratore privato l’assegnazione diviene definitiva trascorsi tre mesi, per il pubblico impiegato i presupposti sono tassativamente fissati dalla legge ed il limite temporale è di 6 mesi e, soprattutto, il lavoratore ha diritto solo al trattamento economico corrispondente alla mansione, ma non all’inquadramento automatico nella qualifica superiore. 74 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione 10. I beni pubblici I beni pubblici sono: i beni demaniali: sono i beni immobili (il lido del mare) e universalità di mobili (i musei) appartenenti allo Stato o ad altri enti territoriali, indicati tassativamente dalla legge. L’appartenenza può essere: o necessaria: i beni fanno parte necessariamente del demanio e non possono appartenere a nessun altro soggetto: demanio marittimo: lido del mare, la spiaggia, i porti, le rade, le lagune, ecc demanio idrico: i fiumi, i laghi, i torrenti, ecc. demanio militare: tutte le opere permanenti destinate alla difesa nazionale o accidentale: i beni che possono appartenere anche ad altri soggetti ma divengono demaniali qualora vengano acquistati o comunque appartengano allo Stato od altro ente territoriale: demanio stradale demanio ferroviario demanio aeronautico demanio storico-artistico acquedotti I beni demaniali sono inalienabili. Tuttavia, solo per i beni del demanio storicoartistico, esiste una deroga: è possibile l’alienazione previa un’autorizzazione ministeriale, purché nell’atto di autorizzazione si specifichino le destinazioni d’uso e l’alienazione del bene non ne pregiudichi la tutela, la valorizzazione e il godimento pubblico. L’uso dei beni demaniali è generale, nel senso che il bene può essere utilizzato da chiunque, salvo usi esclusivi da parte della pubblica amministrazione (le caserme) o usi riservati a determinati soggetti, pubblici o privati, dalla legge o da un provvedimento amministrativo (atto di concessione). A tutela de beni demaniali, la pubblica amministrazione, oltre ad avvalersi dei mazzi ordinai a difesa della proprietà e del possesso (ricorrendo ad un giudice), può procedere in via amministrativa tramite l’autotutela, che può essere: o decisoria: tramite decisioni amministrative (revoca della concessione, atti di diffida, irrogazione di sanzioni amministrative) o esecutiva: tramite attività di esecuzione delle decisioni (sgombero di ufficio ad opera di mezzi della pubblica amministrazione) i beni del patrimonio indisponibile: non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non per legge (le caserme, le foreste). i beni del patrimonio disponibile: sotto tutti i beni non demaniali e che non appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato (il denaro). Tra questi beni vi sono le entrate tributarie che sono suddivise in: o imposte: da versare in quanto ci si trova in una situazione che la legge considera rilevatrice di capacità contributiva o tasse: pagate dai soggetti in ragione di un collegamento con l’emanazione di atti o provvedimenti amministrativi o con l’espletamento di un servizio pubblico o contributi: pagati da soggetti che traggono un arricchimento dall’esecuzione di un’opera pubblica Sezione III – L’attività e la responsabilità amministrativa 75 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione 11. Il potere amministrativo e la discrezionalità L’attività amministrativa è quell’attività mediante la quale gli organi dello Stato e degli enti pubblici provvedono alla cura concreta degli interessi pubblici loro affidati. Atto normativo: detta regole generali ed astratte Provvedimento amministrativo: è l’esecuzione ed applicazione dell’atto normativo. Potere amministrativo: è una funzione (potere-dovere) tesa al raggiungimento di una finalità pubblica previamente fissata da atti normativi. È un potere discrezionale, in quanto, esiste uno scarto tra il disporre in generale ed astratto e il concreto provvedere che viene realizzato scegliendo tra più soluzioni possibili ed è limitato solo dal perseguimento del fine pubblico. Discrezionalità: facoltà di scelta fra più comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico. Nell’effettuare tali scelte, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di individuare i diversi interessi coinvolti e di ponderare gli interessi secondari (dei privati o di altre pubbliche amministrazioni) con l’interesse primario (il perseguimento dell’atto). La fase discrezionale della pubblica amministrazione si sostanzia in due momenti: fase del giudizio: in cui si fanno emergere e si analizzano i diversi interessi, talvolta attraverso l’utilizzazione di cognizioni tecniche e scientifiche, anche di carattere specialistico. A questo proposito si fa una distinzione tra “accertamento tecnico” e “discrezionalità tecnica”: o accertamento tecnico: l’esito dell’applicazione di scienze esatte o discrezionalità tecnica: che caratterizza quei provvedimenti nei quali vengono in rilievo conoscenze specialistiche relative a concetti opinabili (scienze sociali, estetiche, morali, ecc.) fase della volontà: nella quale si scelgono le soluzioni con il minor sacrificio possibile degli interessi secondari La facoltà di scelta implica vari aspetti: an : scelta se adottare o meno l’atto quando: la scelta del momento per l’adozione dell’atto quid: la scelta sull’oggetto quomodo: la scelta sul tipo di atto tali scelte sono sottoposte ad una serie di regole elaborate dalla giurisprudenza o poste da atti normativi, che hanno ridotto l’ampiezza della discrezionalità amministrativa. 12. Il procedimento amministrativo L’attività amministrativa si svolge attraverso procedimenti, ossia una serie di atti eterogenei conseguenti e preordinati ad un unico fine. Gli atti interni al procedimento (o procedimentali), sono conseguenti, nel senso che, data la loro concatenazione, il vizio di un atto rende invalidi anche gli atti successivi. Gli atti procedimentali svolgono una funzione propulsiva (le istanze, le richieste, i ricorsi) o preparatoria (i pareri, gli accordi preliminari) rispetto al provvedimento e possono essere impugnati solo unitamente a quest’ultimo. Il procedimento si articola in diverse fasi: iniziativa: con la quale si dà avvio al procedimento ed è diretta a predisporre e ad accertare i presupposti. Può essere: o privata:allorché il privato presenta un’istanza o un ricorso o pubblica: se spetta ad un organo pubblico differente da quello che emetterà il provvedimento finale 76 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione o d’ufficio: quando spetta alla stessa autorità competente all’adozione dell’atto conclusivo Dell’avvio del procedimento l’amministrazione procedente ha l’obbligo di dare comunicazione ai destinatari del provvedimento finale, a tutti coloro che comunque potrebbero ricevere un pregiudizio dal provvedimento e a coloro che per legge debbono intervenire nel procedimento. La comunicazione deve indicare l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento, l’ufficio in cui è possibile prendere visione degli atti e il nome del responsabile del procedimento. istruttoria: nella quale si accertano le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione, i presupposti e i fatti rilevanti ai fini dell’adozione del provvedimento finale. In questa fase si applica il principio inquisitorio, nel senso che l’amministrazione compie d’ufficio gli atti istruttori, con il divieto di non “aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”. Può pertanto acquisire dichiarazioni e documenti, sollecitare rettifiche, esperire accertamenti tecnici, disporre ispezioni, ordinare l’esibizione di documenti, acquisire parei di altri organi amministrativi dotati di particolari competenze tecnico-scientifiche. I pareri possono essere: o facoltativi: quando è l’amministrazione procedente che valuta l’opportunità di acquisirli o obbligatori: se l’amministrazione procedente deve necessariamente acquisirli ma può discostarsene o vincolanti: se l’amministrazione non può discostarsene anche se conserva il potere di non adottare l’atto. In questa fase è anche previsto l’intervento del privato interessato, il quale può prendere visione degli atti del procedimento (diritto di accesso ai documenti amministrativi) e presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento deliberativa: nella quale si effettua la scelta discrezionale e si determina il contenuto dell’atto. Il procedimento deve concludersi entro un termine stabilita da una legge, da un regolamento o dalla stessa pubblica amministrazione, con l’adozione di un provvedimento espresso e motivato. In alcuni casi la legge attribuisce al silenzio della pubblica amministrazione gli stessi effetti di un atto amministrativo espresso (silenzio-significativo): o silenzio-assenso: comporta l’accoglimento di una istanza diretta ad ottenere un provvedimento autorizzatorio o silenzio-rigetto: ha il significato opposto ed è previsto in ipotesi specifiche, ad esempio in relazione alla richiesta di accesso ai documenti amministrativi. La fase deliberativa può essere attribuita ad un organo monocratico o ad uno collegiale o ad una pluralità di organi. In quest’ultima evenienza si tratta di un atto complesso. Anche in questa fase è prevista la partecipazione del privato, attraverso gli accordi con la pubblica amministrazione. Essi possono essere rivolti alla determinazione del contenuto discrezionale del provvedimento finale (accordi integrativi) possono essere sostitutivi dello stesso provvedimento (accordi sostitutivi) L’atto è perfetto con la fase deliberativa, ma potrebbe ancora non essere efficace, nel senso che non produce effetti giuridici nei confronti dei destinatari. Talvolta si prevede una fase ulteriore, che è appunto integrativa dell’efficacia, nella quale si valuta la legittimità o il merito del provvedimento adottato: tramite i controlli preventivi di legittimità e di merito (visto, controllo per approvazione, l’autorizzazione o l’omologazione) ovvero se ne assicura la 77 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione conoscibilità: l’efficacia può essere subordinata all’avvenuta comunicazione all’interessato o alla pubblicazione dell’atto in un foglio legale (bando di concorso) 13. I provvedimenti amministrativi: premessa I provvedimenti amministrativi sono degli atti giuridici, consistenti in manifestazioni di volontà, di conoscenza o di giudizio aventi rilevanza esterna, con cui la pubblica amministrazione persegue in concreto la realizzazione di un interesse pubblico ad essa affidato, esercitando una potestà amministrativa ed in grado di apportare delle modificazioni alle situazioni giuridiche soggettive dei privati. Essi si caratterizzano per la loro: imperatività (o autoritarietà). Ciò significa che essi sono idonei a costituire, modificare estinguere la sfera giuridica del destinatario senza la necessità del suo consenso ed anche contro la sua volontà (dopo un decreto di esproprio, il diritto di proprietà sul bene degrada a mero interesse legittimo), esecutorietà: quando essi comportano obblighi per i destinatari, la pubblica amministrazione ha il potere di dare immediata e diretta esecuzione all’atto contro la volontà del destinatario senza una previa pronuncia giurisdizionale (abbattimento di un edificio pericolante, scioglimento di una riunione pericolosa per l’ordine pubblico) Decorsi i termini per l’impugnazione dei provvedimenti, essi divengono inoppugnabili e non sono più suscettibili di annullamento o revoca su ricorso dell’interessato. 13.1 Gli elementi essenziali dei provvedimenti Il provvedimento amministrativo, come ogni atto amministrativo, è costituito da: elementi essenziali: necessari all’esistenza giuridica dell’atto: o agente: è l’organo titolare del potere amministrativo che viene esercitato nell’adozione del provvedimento. Questi deve essere competente per materia, per territorio e per grado, o destinatario: è il soggetto nei confronti del quale l’atto è destinato a produrre effetti diretti, o volontà oggettiva: da riferire al titolare dell’organo agente e riguarda tanto l’adozione dell’atto quanto il suo contenuto, o causa (o finalità oggettiva) da non confondere con il fine che si intende perseguire, ne rappresenta la funzione economico-sociale tipizzata (nell’espropriazione il fine è la costruzione di una strada, la causa è il trasferimento coattivo di un bene dietro pagamento di un indennizzo) o oggetto: è il bene giuridico su cui l’atto incide e può consistere in una cosa, un comportamento o in una situazione giuridica., o forma: affinché l’atto venga ad esistenza è necessario che venga esternato o emesso, in giurisprudenza è solitamente richiesta la forma scritta ad substantiam. Ciascun atto amministrativo presenta una struttura formale composta da: intestazione: dove è indicata l’autorità procedente preambolo: nel quale sono indicati le norme e gli atti di riferimento motivazione: dispositivo: indicazione del luogo di emanazione data: sottoscrizione. elementi accidentali: ampliano o restringono il contenuto tipico dell’atto (il termine, la condizione, l’onere, la riserva) 78 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione elementi naturali: si espressamente previsti considerano inseriti nell’atto anche se non sono 13.2 Tipi di provvedimento I provvedimenti amministrativi sono tipici, ossia, in ossequio al principio di legalità essi sono normativamente definiti negli interessi pubblici da realizzare e negli schemi di azione adottati. Essi possono essere: ampliativi: che producono un ampliamento della sfera giuridica dei destinatari. E sono: o autorizzazioni: che tendono alla rimozione di un limite legale nell’esercizio di un diritto o di un potere. Figure analoghe sono: l’abilitazione, il nulla-osta, la licenza, il permesso e la registrazione, o dispense: (dette anche rinunce, esoneri, esenzioni o deroghe) con le quali si esonera un soggetto da un obbligo previsto dalla legge (dispensa dal servizio militare, esenzione fiscale) o concessione: con la quale si attribuisce un diritto ex novo. Essa può essere: traslativa: se trasferisce in capo al destinatario un proprio potere o un proprio diritto. Può riguardare pubblici servizi (servizi di telefonia) o diritti sui beni pubblici (arenile per costruirvi uno stabilimento balneare) costitutiva: se costituisce una nuova posizione giuridica soggettiva. Possono riguardare l’esercizio di professioni riservate ad un certo numero di esercenti, o relative ad attività economiche che lo Stato si è riservato (le piazze notarili). In alcuni casi il rapporto tra concedente e concessionario è regolato da un capitolato, cioè da un atto negoziale, nel quale sono stabiliti i diritti e i doveri di questi ultimi e i relativi controlli e responsabilità. Analoghi alle concessioni sono i provvedimenti di sovvenzione, consistenti nell’attribuzione di una somma di denaro o di beni (borsa di studio), e di ammissione, consistenti nel conferimento di un particolare status giuridico (ammissione ad un concorso) restrittivi: che producono una restrizione della sfera giuridica dei destinatari. E sono: o ordini ( o comandi) e divieti: che impongono un determinato comportamento consistente in un dare o in un facere (negli ordini) o non facere o un non dare (nei divieti). Tali provvedimenti possono avere carattere sanzionatorio o, laddove violati, possono dare luogo a provvedimenti sanzionatori. Le sanzioni amministrative hanno natura pecuniaria, ma possono anche produrre modificazioni negative dello status professionale o nel rapporto di servizio (sanzioni disciplinari) ovvero la decadenza o la revoca di precedenti provvedimenti amministrativi favorevoli (revoca della concessione per inosservanza del capitolato) o atti ablativi: con i quali si priva il titolare di un determinato diritto reale, estinguendolo,o trasferendolo coattivamente ad altro soggetto, ovvero ne limita la portata: espropriazioni: con le quali si trasferisce la proprietà o altro diritto reale dietro indennizzo occupazioni: requisizioni: confisca: che ha natura sanzionatoria 79 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione vincoli: cui corrispondono limitazioni al potere di godimento e di disposizione di un bene 13.3 I vizi dell’atto amministrativo L’invalidità di un atto giuridico consiste nella difformità ad un parametro normativo, mentre per inefficacia si intende l’incapacità di produrre effetti giuridici. Anche l’atto amministrativo è invalido quando è difforme dalla norma che lo disciplina, a seconda poi, della gravità dei vizi che presenta, esso può essere nullo o annullabile. La nullità di un provvedimento può definirsi come l’inesistenza giuridica dello stesso. L’atto nullo è anche inefficace, non produce effetti nemmeno prima della dichiarazione di nullità (quod nullum est, nullum effectum producit). Si riscontra quando manca o è gravemente viziato uno degli elementi essenziali del provvedimento. Casi di nullità: organo agente non qualificabile come organo della pubblica amministrazione o è assolutamente incompetente per territorio o per materia se manca la volontà dell’autore dell’atto perché viziata da violenza fisica se l’oggetto è inesistente, impossibile, illecito o indeterminata o indeterminabile se il destinatario è inesistente o indeterminabile se manca una forma essenziale richiesta dalla legge ad substantiam se la causa è inesistente o illecita L’annullabilità di un atto, invece, è disciplinata dalla legge e l’atto annullabile (contrariamente all’atto nullo), può essere sanato o convalidato o convertito, ha efficacia giuridica ed è esecutorio, cioè può essere eseguito coattivamente e direttamente da parte della pubblica amministrazione. L’atto di annullamento, tuttavia, ha efficacia retroattiva, travolgendo gli effetti nel frattempo prodotti dall’atto. L’annullamento compete all’autorità amministrativa, in sede di autotutela, ovvero al giudice amministrativo. I vizi che causano l’annullabilità dell’atto amministrativo (vizi di legittimità) sono: l’incompetenza: definibile come la violazione di quelle norme che stabiliscono la ripartizione delle competenze fra i vari enti ed organi (materia, valore, territorio, ecc). l’eccesso di potere: è il vizio di legittimità di più difficile individuazione. Si verifica quando il potere amministrativo viene esercitato per una finalità diversa da quella normativamente stabilita. (sviamento di potere). Tale finalità può essere di natura: o privata (ordine di demolizione che il sindaco pone in essere solo per godere di una vista migliore dalla propria abitazione) o pubblica (trasferimento di un impiegato alla stregua di un’impropria sanzione disciplinare) 14. I contratti della pubblica amministrazione La pubblica amministrazione ha il potere di stipulare contratti adottando un procedimento “di evidenza pubblica”, regolato da norme del codice civile, di contabilità dello Stato e da quelle sui singoli contratti della pubblica amministrazione e dalla normativa comunitaria per i contratti superiori ad una certa cifra (soglia comunitaria). La conclusione di un negozio da parte di una pubblica amministrazione è preceduta dalla 1. deliberazione a contrarre che consiste in un provvedimento amministrativo con cui si dichiara lo scopo e il modo con il quale si intende perseguirlo. In questa fase l’amministrazione fissa il contenuto del futuro contratto, fissando i capitolati, generali e speciali, i quali stabiliscono le forme, le condizioni e le clausole fondamentali dei 80 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione diversi tipi di contratti della pubblica amministrazione. Anche nella scelta del contraente gli enti e gli organi pubblici non sono liberi, ma sono condizionati dal principio del concorso, vale a dire che sono obbligati a preferire il contraente che, a parità di professionalità, offra condizioni più vantaggiose. Tutti i contratti dai quali derivino un’entrata e una spesa dello Stato debbono essere preceduti dai: pubblici incanti (o asta pubblica): si procede alla pubblicazione di un bando (o avviso di gara), contenente tutte le indicazioni relative all’asta a cui possono partecipare tutti coloro che vi hanno interesse e che possiedono i requisiti individuati dalla pubblica amministrazione: o requisiti morali: inesistenza di condanne penali regolarità contributiva rispetto della normativa antimafia o requisiti oggettivi: idoneità tecnica idoneità finanziaria idoneità economica ovvero dalla: licitazione privata: consente la partecipazione soltanto alle persone o ditte ritenute idonee dall’amministrazione e pertanto, invitate con un’apposita lettera. In tal caso la licitazione si articola in varie fasi: o avviso pubblico: o domanda di partecipazione o preselezione o invio e valutazione dell’offerta secondo una valutazione della pubblica amministrazione. In entrambi i casi, per 2. l’aggiudicazione si possono seguire differenti metodi (candela vergine, offerta segreta) e criteri (prezzo più basso sopra la soglia di anomalia, prezzo medio, prezzo che più si avvicina alla scheda segreta predisposta dall’amministrazione, ecc.). Per i contratti di appalto di lavoro o servizi o di fornitura è previsto anche il metodo dell’appalto-concorso, che rappresenta una forma di gara attivabile nei soli casi “speciali”, in cui l’amministrazione ritenga conveniente avvalersi di imprese particolarmente idonee a predisporre progetti caratterizzati da obiettiva complessità tecnica. In questo caso i soggetti invitati presentano i progetti tecnici, sicchè la scelta non è effettuata solo sulla base del prezzo, ma anche sulle caratteristiche e condizioni del progetto (come il valore tecnico ed estetico delle opere, i costi i utilizzazione e manutenzione, i tempi di esecuzione, ecc.). Solo eccezionalmente e in casi tassativi la pubblica amministrazione può concludere un contratto a trattativa privata, nella quale essa agisce come un qualsiasi privato. In tale eventualità le amministrazioni consultano le imprese che ritengono idonee e negoziano i termini del contratto con una o più di esse. Ciò accade allorché siano: risultate infruttuose le procedure concorsuali nelle ipotesi di urgenza, per l’acquisto di cose la cui produzione è garantita da privativa industriale o di macchine, strumenti ed oggetti di precisione che una sola ditta può fornire con i requisiti tecnici necessari Esiste una analoga normativa europea in materia di appalti che distingue tra: procedura aperta: asta pubblica procedura ristretta: licitazione privata e appalto-concorso procedura negoziata: trattativa privata Successivamente all’aggiudicazione segue la fase di: 3. approvazione: nella quale l’autorità competente approva la graduatoria e la conseguente aggiudicazione. Segue infine la: 81 Capitolo 9° - La pubblica amministrazione 4. stipulazione del contratto: da parte della pubblica amministrazione. 15. La responsabilità della pubblica amministrazione L’art. 28 Cost. dispone che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti” e stabilisce, altresì che “in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”. Lo Stato e gli enti pubblici rispondono, dunque, civilmente per gli illeciti compiuti dai propri dipendenti, anche quelli che non impegnano la volontà dell’ente, ossia non sono organi. Vi è pertanto un rapporto di immedesimazione tra il titolare dell’organo, l’organo e l’ente. Affinché ricorra tale forma di responsabilità dei pubblici dipendenti e funzionari è necessario non solo che vi sia un atto lesivo di un diritto (o interesse) altrui, ma che esso sia compiuto con l’intenzione cosciente di provocare la lesione. Possono individuarsi quattro ipotesi: 1. illecito compiuto da un dipendente o funzionario pubblico, all’infuori dell’organizzazione e dell’esercizio delle proprie funzioni: di esso risponderà personalmente e direttamente la persona fisica; 2. illecito compiuto colpevolmente e nell’esercizio delle proprie funzioni, da un dipendente pubblico che non è titolare di un organo e non ha, quindi, la capacità di impegnare la volontà dell’ente a cui appartiene: in questo caso risponderà direttamente il dipendente e la responsabilità civile si estenderà allo Stato 3. illecito compiuto, senza la volontà di ledere, dal titolare di un organo pubblico nell’esercizion delle sue funzioni: in tale evenienza vi sarà responsabilità diretta dell’ente 4. illecito compiuto, con la volontà di ledere, dal titolare di un organo pubblico, nell’esercizio delle sue funzioni: in questo caso, il danneggiato potrà scegliere se avvalersi sull’ente o sul funzionario. 82 Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea 1. Le istituzioni Gli organi dell’Unione Europea possono distinguersi in: istituzioni comunitarie, che sono: 1. Parlamento: 2. Consiglio: 3. Commissione: 4. Corte di Giustizia: 5. Corte dei Conti: altri organi: o Consiglio Europeo o Comitato economico e sociale o Comitato delle Regioni o Banca centrale europea o Banca europea degli investimenti o Mediatore europeo o ecc. 2. I principi di organizzazione Sul piano europeo non sembra operare il principio della separazione dei poteri. Il sistema comunitario, più che perseguire una netta separazione tra organi in relazione ai diversi tipi di funzione (in particolare legislativa ed esecutiva), si ispira al principio dell’equilibrio istituzionale (checks and balances). In base ad esso ciascuna istituzione e ciascun organo devono esercitare le competenze loro specificamente attribuite in modo da evitare di pregiudicare il buon funzionamento degli altri organi e l’esercizio, da parte di questi, delle rispettive competenze. 3. La Commissione: profili organizzativi La formazione della Commissione avviene in 2 fasi: 1. nomina del Presidente: che è designato dal Consiglio dei Ministri dell’Unione, “riunito al livello di Capi di Stato e di Governo”, a maggioranza qualificata. Tale designazione è approvata dal Parlamento europeo. 2. nomina dei Commissari: il Consiglio, nella stessa composizione, con la stessa procedura e di comune accordo con il Presidente designato, adotta l’elenco degli altri componenti della Commissione, redatto conformemente alle proposte formulate da ciascuno Stato membro. Il Presidente e i Commissari sono, poi, collettivamente sottoposti ad un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo e successivamente nominati dal Consiglio che delibera a maggioranza assoluta. La cessazione anticipata della Commissione o dei suoi membri prevede tre possibilità: 1. dimissioni d’ufficio (o destituzione): sono individuali e dichiarate dalla Corte di Giustizia a seguito del venir meno dei requisiti di eleggibilità o per colpa grave nell’esercizio delle funzioni. Esse hanno come effetto l’immediata cessazione del membro destituito, mentre i nuovi nominati durano solo fino alla scadenza della Commissione, 84 Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea 2. dimissioni da voto di sfiducia del Parlamento: sono collettive e comportano un affievolimento dei poteri della Commissione fino alla nomina della successiva. La Commissione subentrante dura in carica solo per il periodo rimanete del mandato di quella sfiduciata. 3. dimissioni volontarie (impedimento permanente e morte): possono concernere il Presidente o i singoli Commissari. I sostituti rimangono in carica fino alla fine del mandato. L’obiettivo della Commissione è il perseguimento dell’interesse generale della Comunità Europea, sganciato dal circuito intergovernativo. I Commissari devono essere personalità di provata competenza ed esercitare le proprie funzioni in piena indipendenza, sottraendosi ad ogni sollecitazione o istruzione da parte di qualsiasi organo o Governo nazionale. Il mandato della Commissione è quinquennale e può essere rinnovato. Attualmente il numero dei Commissari è di 27, uno per ogni Stato dell’Unione, ma ulteriori ingressi nella Comunità faranno scattare un sistema di rotazione secondo una disciplina stabilita all’uopo dal Consiglio. La Commissione agisce nel quadro degli orientamenti politici del suo Presidente, che ne decide l’organizzazione interna per garantire la coerenza, l’efficacia e la collegialità della sua azione. La Commissione assume le proprie decisioni a maggioranza. Per ragioni di economi procedimentale essa adotta, sulle questioni non controverse, procedure semplificate e decentrate, dedicando le riunioni collegiali solo agli affari più complessi e discussi. L’organizzazione amministrativa interna della Commissione è alquanto complessa. Le riunioni del collegio sono organizzate da un Segretario generale e precedute da incontri dei capi di gabinetto dei Commissari medesimi. Ogni Commissario, che dispone di un proprio staff di fiducia, è responsabile di una direzione generale competente per gli affari relativi ad uno degli ambiti più rilevanti dell’azione comunitaria (affari economici e finanziari, agricoltura, concorrenza, giustizia e affari interni). Attualmente le direzioni generali sono 14. Un direttore generale è collocato al vertice di ognuna di tali strutture, le quali sono, a loro volta, suddivise in direzioni, divisioni ed unità. 3.1 Le competenze della Commissione Le competenze della Commissione sono: funzione di vigilanza nell’attuazione della normativa primaria e derivata emanazione di raccomandazioni e pareri partecipazione all’attività decisionale degli altri organi comunitari esercizio di poteri normativi propri o delegati dal Consiglio per l’attuazione regolamentare di disposizioni normative Come si evince, la Commissione si trova ad esercitare funzioni che hanno riflesso sulla legislazione: diritto esclusivo di iniziativa legislativa potere di definire annualmente il piano di azione della Comunità elaborazione di strategie di sviluppo delle politiche comunitarie attività normativa propri o delegata e sull’indirizzo politico generale e sull’amministrazione: esercizio di poteri di supervisione delle attività amministrative degli Stati membri Inoltre il carattere spesso estremamente tecnico e specialistico delle regole e dei provvedimenti adottati al livello comunitario ha reso inevitabile un incremento delle attribuzioni delegate alla Commissione, in grado di acquisire e concentrare in sé le competenze tecnico-amministrative necessarie al perseguimento stabile di tali scopi. Cosicché oggi agli atti delegati alla Commissione (comprese le Direttive) costituiscono di gran lunga la maggioranza di quelli adottati dall’Unione. 85 Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea I Comitati di rappresentanti dei Governi nazionali che affiancano i Commissari hanno sviluppato tutta un’attività consultiva, di supervisione e di controllo tale da generare una fitta seri di regole sorte per disciplinare le varie forme di azione chiamata comitologia, che prevede ben quattro diverse procedure di intervento previsto per i Comitati (consultiva, di gestione, di regolamentazione e di salvaguardia) 4. L’organizzazione e il funzionamento del Consiglio dell’Unione Il Consiglio dell’Unione, è l’organo di rappresentanza istituzionale degli Stati membri dell’Unione. Esso è composto da un rappresentante per ciascun Stato membro “a livello ministeriale”. Il Consiglio vota a maggioranza semplice, salvo particolari casi che richiedono la maggioranza qualificata (metà + 1 degli Stati con almeno 232 voti su 321 pari al 72%) o l’unanimità. Il Consiglio si riunisce su convocazione del suo Presidente, di uno dei suoi membri o della Commissione. Si può riunire di volta in volta in “formazioni” diverse, a seconda degli oggetti da trattare. Le principali formazioni sono quella del: Consiglio degli affari generali (composto dai Ministri degli esteri) competente in materia di politica estera e sugli affari dell’Unione, dell’ECOFIN (Consiglio dei Ministri dell’economia e della finanze) competente in materia di mercato interno e Unione Monetaria La Presidenza è semestrale e assegnata a rotazione assegnata ad ogni stato. Il Presidente stabilisce il programma semestrale del Consiglio, definisce l’agenda degli incontri, esercita la rappresentanza dell’organo nei rapporti con le altre istituzioni e presiede anche il Consiglio Europeo in quanto Presidente dell’Unione Europea (Portogallo - Anibal Cavaco Silva II semestre 2007). È coadiuvato da un Segretario Generale che rivesta anche il ruolo di alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza (Javier Solana). Tale organo assicura il raccordo tra il Consiglio e l’apparato amministrativo sottostante: il Coreper (comitato dei rappresentanti permanenti presso il Consiglio) costituito da personale con rango di ambasciatore (Coreper II) che si occupano delle questioni di maggiore rilevanza , e da rappresentanti nazionali aggiunti (Coreper I) cui spetta trattare le questioni minori. I dossier preparati dal Coreper relativi ad argomenti su cui ci si è già accordati, arrivano al Consiglio al punto A dell’ordine del giorno, gli altri al punto B. 4.1 Le competenze del Consiglio dell’Unione Il Consiglio si confronta con la Commissione in ogni fase del processo legislativo secondo una dinamica di collaborazione e confronto dialettico. In questo senso va inteso l’art 208 TUE che recita: “il Consiglio può chiedere alla Commissione di procedere a tutti gli studi che esso ritiene opportuni ai fini del raggiungimento degli obiettivi comuni e di sottoporgli tutte le proposte del caso”. Il Consiglio è in stretta collaborazione anche con il Parlamento Europeo con il quale, assieme alla Commissione, intercorrono accordi interistituzionali. 5. Il Consiglio Europeo Nato come riunione informale dei Capi di Stato e di Governo, il Consiglio Europeo ha acquistato un ruolo centrale nella vita dell’Unione ed è stato riconosciuto con l’Atto Unico Europeo ed ulteriormente disciplinato dai trattati successivi. Esso è formato dai Capi di Stato e di Governo, dal Presidente della Commissione, dai Ministri degli esteri e da un membro della Commissione e si riunisce almeno 2 volte l’anno (ora diventate almeno tre). Il 86 Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea Consiglio Europeo dà all’Unione l’impulso necessario al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti politici generali. Spettano a questo organo: funzioni di definizione dell’indirizzo politico generale dell’Unione la risoluzione dei conflitti sulle materie più controverse decisioni in merito alla modifica del diritto primario convoca la Conferenza Inter Governativa (CIG) incaricata di predisporre le modifiche ai Trattati e ne approva il testo finale da sottoporre alla ratifica degli Stati membri Competenze specifiche sono attribuite al Consiglio Europeo in relazione al II (Politica Estera e Sicurezza Comune) e III pilastro (Giustizia e Affari Interni). 6. L’organizzazione e il funzionamento del Parlamento Europeo Il Parlamento europeo assicura la rappresentanza democratica mediante suffragio diretto all’interno dell’Unione: dal 1979 è eletto a suffragio universale e diretto. La procedura elettorale è rimessa agli Stati. Il nostro sistema elettorale prevede l’assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti con metodo proporzionale: il territorio nazionale è diviso i 5 grandi circoscrizioni, nella quali vengono presentate liste di candidati. L’elettore manifesta fino a 3 preferenze. Il numero dei parlamentari europei è pari a 732. La distribuzione dei seggi non è proporzionale alla consistenza demografica dei vari Paesi, ma subisce una correzione per attenuare l’escursione tra Stati più e meno popolosi, i quali sono pertanto sovra-rappresentati (Malta ha 5 seggi i quali “pesano” di più dei 99 della Germania). L’Ufficio di Presidenza è formato da un Presidente e 14 vicepresidenti eletti per metà legislatura, i quali presiedono all’organizzazione amministrativa e finanziaria dell’organo, coadiuvati da 5 questori. Il Parlamento è, poi, supportato dal Segretariato diretto da un Segretario generale. I Parlamentari sono suddivisi in Gruppi parlamentari ognuno dei quali ha un suo Presidente che assieme al Presidente del Parlamento partecipa alla Conferenza dei Presidenti con lo scopo di determinare lo svolgimento dell’attività parlamentare (agenda dei lavori, rapporti tra l’Assemblea e le Commissioni). L’organizzazione interna prevede 17 commissioni permanenti, oltre a sub-commissioni e commissioni temporanee. Il loro lavoro è coordinato da una Conferenza dei Presidenti di Commissione. Vi sono poi le Delegazioni interparlamentari (con relativa Conferenza dei Presidenti di delegazione) che intrattengono rapporti con i Parlamenti dei Paesi terzi e dei Paesi che non sono candidati all’adesione. La legislatura europea ha durata quinquennale. Il Parlamento ha sede a Bruxelles dove si riunisce almeno una volta all’anno, tuttavia l’Assemblea si riunisce una volta al mese a Strasburgo. Il Parlamento europeo delibera a maggioranza con quorum fissato dal regolamento interno. 6.1 Le competenze del Parlamento Europeo Il Parlamento europeo esercita funzioni: normative: potere di chiedere alla Commissione di presentare adeguate proposte sulle questioni reputate interessanti. Potere di opposizione alle delibere dei Comitati. Interviene nel procedimento della codecisione assieme alla Commissione e al Consiglio. ispettive: potere di revoca della Commissione con relativa mozione di censura. Poteri di interrogazione nei confronti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea. Potere di istituire commissioni di inchiesta per infrazione o 87 Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea cattiva amministrazione. Nomina del Mediatore europeo incaricato di svolgere indagini relative ai “casi di cattiva amministrazione” da parte delle istituzioni e degli organi comunitari. controllo: nei confronti della Commissione che agisce in veste di “legislatore delegato” dal Consiglio. Approvazione della nomina del Presidente della Commissione e dei Commissari. Controllo del bilancio e sulla sua attuazione da parte della Commissione. Controllo sull’attività della Commissione, del Consiglio dell’Unione e del Consiglio Europeo. Controllo sulle nomine da parte del Consiglio dell’Unione (dei membri della Corte dei Conti, del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, dell’Alto rappresentante per la politica estera e sicurezza comune. Il Parlamento può: rivolgere interrogazioni o formulare raccomandazioni al Consiglio Il Parlamento deve: essere consultato sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune 6.2 Il Parlamento Europeo ed il problema della legittimazione democratica dell’Unione Rispetto all’esigenza di legittimazione democratica dell’Unione, si deve riconoscere che il PE svolge un ruolo importante ma non esclusivo e che, ancora oggi, l’esigenza rappresentativa è complessivamente assicurata da una pluralità di istanze. 7. Gli altri organi comunitari La Corte dei Conti europea assicura il controllo dei conti nell’ambito dell’Unione. Essa, in particolare: esamina tutte le entrate e le spese della Comunità e di ogni organismo creato dalla Comunità e presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una dichiarazione in cui attesta l’affidabilità dei conti e la legittimità e la regolarità delle relative operazioni, inoltre controlla la legittimità e la regolarità delle entrate e delle spese ed accerta la sana gestione finanziaria. Essa è composta da un cittadino per Stato membro, ed il procedimento di nomina è finalizzato ad assicurare la capacità tecnica e l’assoluta indipendenza, sia rispetto agli organismi controllati che rispetto ai singoli Stati membri. I membri sono nominati per 6 anni dal Consiglio, il quale delibera a maggioranza qualificata previa consultazione del Parlamento europeo. I membri della Corte dei conti possono essere destituiti dalle loro funzioni con provvedimento della Corte di giustizia qualora essi non siano più in possesso dei requisiti necessari o non soddisfino più gli obblighi derivanti dalla loro carica. Il Comitato economico e sociale ha una funzione essenzialmente consultiva ed ha il compito di rappresentare interessi settoriali, economici e sociali, ed è costituito da rappresentanti delle varie componenti di carattere economico e sociale della società civile organizzata, in particolare dei produttori, agricoltori, vettori, lavoratori, commercianti e artigiani, nonché delle libere professioni, dei consumatori e dell’interesse generale. I membri del Comitato non possono eccedere i 350 e sono nominati per 4 anni su proposta degli Stati membri, dal Consiglio a maggioranza qualificata. La Banca Centrale Europea gode di importanti poteri e di notevole autonomia. Istituita nel quadro di un Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) di cui fanno parte le banche centrali nazionali la BCE, che ha personalità giuridica, ne governa gli organi 88 Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea decisionali (consiglio direttivo e comitato esecutivo). Sul piano funzionale la BCE, per l’assolvimento dei compiti attribuiti al SEBC, può stabilire regolamenti, prendere decisioni e formulare raccomandazioni o pareri. La Banca centrale ha il compito: di definire ed attuare la politica monetaria della Comunità, di svolgere operazioni sui cambi e di contribuire ad una buona conduzione delle politiche riguardanti la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario. ha una funzione consultiva nei confronti di organi comunitari e delle autorità nazionali nelle materie di propria competenza ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità 8. Cenni sulla forma di governo comunitaria La legittimazione politica dell’indirizzo di governo non segue una sola via: accanto al cale cittadini-Parlamento esiste quello Governi nazionali-Consiglio europeo/Consiglio dell’Unione, con la Commissione in posizione di raccordo tra l’uno e l’altro. Diversamente dagli ordinamenti statali contemporanei, le decisioni fondamentali sull’organizzazione e sull’indirizzo politico non sono tutte riconducibili all’organo direttamente rappresentativo dei cittadini (il Parlamento non esercita una competenza generale di questo tipo). È semmai il circuito di legittimazione democratica interno agli Stati ad esercitare il ruolo centrale. Nessuna decisione sulla quale si fonda l’indirizzo politico europeo, può essere infatti assunta senza il consenso degli organi rappresentativi degli Stati (Consiglio dell’Unione e Consiglio Europeo). Così come sono sempre gli Stati, attraverso le procedure internazionalistiche, a dettare le norme primarie del diritto europeo. Accanto ad un bicefalismo degli orgnai legislativi (attività normativa condivisa tra Consiglio dell’Unione e Parlamento) assimilabile al bicameralismo degli Stati Federali, possiamo riscontrare un bicefalismo degli organi di Governo (Consiglio europeo e Commissione), attraverso cui le due istanze di legittimazione (democratica e intergovernativa) trovano espressione. 9. L’attività amministrativa nell’Unione Europea L’attività amministrativa europea è ispirata al modello accolto in alcuni ordinamenti composti e noto come federalismo di esecuzione, in cui l’esecuzione ed attuazione del diritto europeo viene principalmente rimessa all’azione degli Stati membri. I settori nei quali l’Unione svolge un’attività di amministrazione diretta sono in numero limitato: la disciplina della concorrenza i controlli sulle fusioni in materia di antidumping in materia di aiuti di Stato il diritto dei marchi il pubblico impiego comunitario la produzione e commercializzazione dei prodotti geneticamente modificati OGM la fase pre-contenziosa delle procedure di infrazione in tutte le altre materie, si verificano ipotesi nelle quali il provvedimento amministrativo è l’esito di un’attività coamministrata dalle autorità nazionali e comunitarie. Possiamo pertanto definire l’amministrazione europea come una amministrazione indiretta, non avvalendosi, dunque, di un’amministrazione propria ma di quella degli Stati membri. Ciò non 89 Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea significa che il diritto europeo non eserciti un’influenza sulle attività degli organi amministrativi statali. Questi, infatti, nell’esercitare le proprie funzioni, devono attuare, anche e primariamente, le norme comunitarie, perseguendo gli obiettivi da esse fissate e adeguandosi alle regole organizzative o procedimentali introdotte in ambito europeo. 10. La finanza dell’Unione Europea Le modalità di reperimento delle risorse finanziarie necessarie al funzionamento dell’organizzazione comunitaria hanno subito nel corso dei decenni una evoluzione nella direzione di una sempre maggiore autonomia di questa rispetto agli Stati membri. All’origine, infatti, il bilancio comunitario era intermante finanziato mediante contributi degli Stati secondo un criterio di ripartizione che tenesse conto della capacità contributiva di ciascuno di essi. Tale sistema presentava l’inconveniente di rimettere a negoziati internazionali le scelte relative all’ammontare del finanziamento ed alla relativa ripartizione. Per questa ragione si è pensato di dotare le Comunità europee di risorse proprie non più dipendenti dai contributi degli Stati, ma definitivamente spettanti ad esse senza necessità di alcuna decisione da parte delle autorità nazionali. Il bilancio comunitario è così finanziato integralmente tramite risorse proprie. Esse sono così costituite: dai dazi doganali sulle importazioni da paesi terzi dalle risorse di origine agricola (tasse e contributi gravanti sui produttori) da una quota delle risorse provenienti dall’Iva dalla quarta risorsa, costituita dalle entrate corrispondenti ad una certa aliquota del Reddito Nazionale Lordo RNL dell’Unione europea Sul versante delle spese, esse si dividono in: spese obbligatorie: derivanti obbligatoriamente dal Trattato o dagli atti adottati a sua norma spese non obbligatorie: sono fissate annualmente, nell’ambito di un tasso massimo di aumento rispetto alle spese della stessa natura dell’esercizio in corso L’esercizio finanziario ha inizio il 1° gennaio e si chiude al 31 dicembre. La procedura di approvazione del bilancio attribuisce al Parlamento europeo un ruolo decisivo, in quanto ha l’ultima parola nella determinazione delle spese non obbligatorie, può proporre al Consiglio modificazioni riguardanti le spese obbligatorie e può, inoltre, rigettare il progetto di bilancio chiedendo che gli venga presentato un nuovo progetto (da parte della Commissione). 90 Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario 1. La giurisdizione La giurisdizione (funzione giudiziale) è tesa ad assicurare la corretta osservanza ed applicazione del diritto ed è disciplinata da norme sull’organizzazione e sull’esercizio delle funzioni. A tal fine si prevede un circuito organizzativo funzionale ispirato ai principi dello Stato di diritto e rigidamente assoggettato al principio di legalità. Il valore cardinale della giurisdizione è l’indipendenza e terzietà dei giudici: chi esercita la giurisdizione è soggetto esclusivamente alla legge e non deve soggiacere a nessun tipo di condizionamento esterno. L’esercizio dell’attività giurisdizionale ha un carattere vincolato (il giudice non gode di un potere “discrezionale”), egli deve, pertanto, decidere sono in base al proprio libero convincimento, scevro da qualsiasi condizionamento. 2. Principi di natura processuale Al fine di assicurare l’esercizio indipendente della giurisdizione, la Costituzione stabilisce una serie di norme a carattere processuale: sul diritto di azione e difesa in giudizio (art. 24 Cost) che assicura l’accesso e la difesa davanti ad un giudice di chiunque vanti un diritto o un interesse legittimo (principio di tutela effettiva) sul principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost) in base al quale il pubblico ministero di fronte ad una notizia di reato, qualora non ritenga di archiviare il caso, deve esercitare l’azione penale, formulando un’imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio sul divieto di non liquet che consiste nell’obbligo del giudice di pronunziarsi sulla questione pendente davanti a lui sul principio del contraddittorio (artt 24 e 111 Cost), in base al quale non solo a ciascuno è consentito difendersi dagli addebiti ma anche di contestare dialetticamente gli accertamenti e l’acquisizione delle prove nell’ambito del processo sul principio del giudice naturale precostituito per legge, in base al quale il giudice che dovrà esaminare il caso da giudicare dovrà essere nominato in forza di criteri precostituiti (come la ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, la designazione dei magistrati componenti i singoli uffici, le tabelle degli uffici giudiziari, ecc.) sull’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali, che impone al giudice di giustificare l’applicazione del diritto compiuta dando la possibilità di contestare la sentenza e poter ricorrere ad ulteriore giudizio (appello) sul principio di ragionevole durata dei processi (art 111 Cost) che dovrebbe assicurare la certezza e la tempestività delle decisioni ed evitare che il giudice finisca per sottrarsi all’obbligo di emettere un provvedimento, pregiudicando l’interesse all’applicazione della legge sul principio del riesame di legittimità di tutte le sentenze e di tutti i provvedimenti sulla libertà personale, affidato alla Corte di Cassazione sul principio di nomofilachia, che dovrebbe assicurare l’unità dell’ordinamento sul piano interpretativo, evitando che ogni giudice si faccia la “sua” insindacabile interpretazione e si determini un proliferare incondizionato di orientamenti giurisprudenziali. 92 Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario 3. L’organizzazione giudiziaria: il principio di unità della giurisdizione L’organizzazione della giurisdizione è unica ed i soggetti che esercitano la funzione giurisdizionale devono appartenere alla magistratura ordinaria, la quale è formata da magistrati giudicanti e requirenti. La Costituzione prescrive che il regime giuridico di tutti i magistrati ordinari sia disciplinato dalla legge introducendo una riserva assoluta di legge (art 108) tale da far ritenere che la disciplina della materia debba essere affidata ad un corpus normativo unitario ed inoltre afferma solennemente nell0art, 104 che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. 4. Articolazione dell’organizzazione giudiziaria La Costituzione consente che possano istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie (giudice di pace, giudice penale, del lavoro, ecc.), pur vietando l’istituzione di giudici straordinari o giudici speciali. Inoltre si fa distinzione tra le: funzioni giudicanti (esercitate dai giudici) rivolte all’applicazione del diritto funzioni requirenti (esercitate dai pubblici ministeri) rivolte alla promozione delle attività giurisdizionale da parte dello Stato laddove si ravvisi un interesse pubblico 5. Norme organizzative sull’indipendenza dei singoli giudici Una pluralità di norme sono rivolte ad assicurare l’indipendenza dei singoli giudici: i magistrati sono scelti sulla base di selezioni meritocratiche nella forma del concorso pubblico, per garantire la natura “tecnica” della giurisdizione è consentito alla legge di limitare il diritto dei magistrati di iscriversi a partiti politici come pure di prevedere ulteriori casi di incompatibilità con la funzione esiste una responsabilità giuridica dei magistrati, i quali soggiacciono alle regole generali di cui all’art. 28 Cost, applicabili ai funzionari ed ai dipendenti dello Stato. 6. Le forme di garanzia per i singoli giudici Accanto a norme relative ad obblighi ed oneri della funzione giurisdizionale, ve ne sono altre che prescrivono determinate garanzie per i magistrati che dovrebbero assicurare la sottrazione di questi a possibili condizionamenti provenienti da altri organi pubblici: i magistrati sono inamovibili e non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del CSM i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Ciò serve ad evitare che si instaurino rapporti di tipo gerarchico tra i diversi organi giurisdizionali realizzando così anche una indipendenza interna oltre che esterna (salvo per il pubblico ministero che può essere organizzato gerarchicamente) 7. Garanzie del potere giudiziario nel suo complesso e nelle singole articolazioni: il CSM Tutte le decisioni relative all’amministrazione della carriera dei magistrati ordinari (assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari sono riservate al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), organo di autogoverno della magistratura. Esso è composto da: 93 Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario 3 membri di diritto: Presidente della Repubblica, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione altri membri: o 16 togati: eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, o 8 laici: eletti dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di Università in materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio I membri elettivi rimangono in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, inoltre, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale. Il Consiglio è articolato, al proprio interno, in vari organi: vice presidente: designato tra i componenti eletti dal Parlamento comitato di presidenza: che promuove e attua le deliberazioni del Consiglio diverse commissioni: tra cui quella competente a formulare, ci concerto con il Ministro della Giustizia, le proposte per il conferimento degli uffici direttivi una sezione disciplinare: alla quale è attribuita la cognizione dei relativi procedimenti che opera in qualità di organo giurisdizionale Tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro, ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro della giustizia. Contro tali atti è ammesso ricorso in primo grado al Tribunale amministrativo regionale del Lazio per motivi di legittimità e in secondo grado al Consiglio di Stato. 8. Garanzie delle giurisdizioni speciali Onde assicurare l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia, è stato esteso ad altri apparati giurisdizionali il modello di organizzazione e funzionamento del CSM. Sono stati coeì, progressivamente istituiti: Consiglio di presidenza della giurisdizione amministrativa: competenze più limitate del CSM, delibera sullo stato giuridico, sulle sanzioni disciplinari, sul conferimento degli incarichi esterni Consiglio di presidenza della Corte dei conti: Consiglio della magistratura militare: gode delle stesse attribuzioni previste per il CSM, compresi i procedimenti disciplinari Consiglio di presidenza della giustizia tributaria: 9. Le attribuzioni del Ministro della Giustizia nell’amministrazione giudiziaria Il Ministro della Giustizia è l’organo tecnicamente qualificato e politicamente idoneo a presiedere alle relazioni tra il Governo e gli apparati amministrativi relativi alla giustizia. Ferme restando le competenze del CSM: spettano al Ministero della Giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, il Ministro, ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare, può richiedere parei al CSM sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, e l’amministrazione della giustizia, può presentare osservazione sulla formulazione delle tabelle degli uffici giudiziari può formulare osservazioni e richieste in ordine ai provvedimenti del CSM sullo status dei magistrati In sintesi il Ministro svolge fondamentalmente due compiti: 94 Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario organizzazione ed amministrazione degli apparati serventi degli organi giurisdizionali vigilanza, nell’interesse pubblico, sull’attività giurisdizionale al solo fine di provocare l’attivazione del CSM 10. Il riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali e la rispettiva organizzazione …. 11. L’organizzazione della giurisdizione ordinaria L’ordine giudiziario è costituito da: gli uditori: vincitori di concorso nella fase di tirocinio prima dell’assegnaione ad una sede ed in parte presso la Scuola superiore della magistratura i giudici di ogni grado dei Tribunali e delle Corti: i magistrati del Pubblico Ministero: i magistrati onorari: il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie: Il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa può essere solo dopo accertamento della sussistenza di attitudini alla nuova funzione. Le funzioni giudicanti sono esercitate da: Giudice di pace: Tribunale ordinario: è diretto dal Presidente del Tribunale e ad esso sono addetti più giudici. Può essere costituito in più sezioni. Il Tribunale ordinario esercita la giurisdizione in primo grado e in appello. Uno dei giudici è annualmente incaricato delle funzioni di sorveglianza sull’esecuzione delle pene detentive e sulla applicazione ed esecuzione delle misure amministrative di sicurezza (giudice di sorveglianza) Corte di Appello: ha sede nel capoluogo dei distretti stabilii dalla legge. Ciascun distretto raggruppa più Tribunali. Ogni Carte d’Appello può essere costituita in più sezioni. Esercita la giurisdizione nelle cause di appello delle sentenze pronunciate in primo grado dai Tribunali in materia civile e penale. In ogni distretto di Corte di Appello sono costituite una o più Corti di Assise (competente per alcuni reati) che esercitano le proprie attribuzioni nell’ambito del “circolo” loro assegnato. La Corte di Assise è composta da: un magistrato con funzioni di appello (il Presidente), un magistrato con funzioni di magistrato di Tribunale, sei giudici popolari Corte suprema di Cassazione: ha sede in Roma ed ha giurisdizione su tutto il territorio dello Stato. È costituita in sezioni e composta da un primo presidente, da presidenti di sezione e da consiglieri. La Corte giudica col numero invariabile di 5 votanti, a sezioni unite con numero di 9 votanti. Tribunale per i minorenni: costituito in ogni sede di Corte di Appello di cui ne condivide la giurisdizione Giudici di sorveglianza: Le funzioni requirenti sono esercitate da: Pubblico Ministero presso la: o Corte di Cassazione o Le Corti di Appello o Tribunali ordinari o Tribunali per i minorenni 95 Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario Ogni ufficio giudicante ha una cancelleria ed ogni ufficio del Pubblico Ministero ha una segreteria. Alle Corti e ai Tribunali sono addetti ufficiali giudiziari, aiutanti ufficiali giudiziari e coadiutori degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti. 12. Gli uffici del Pubblico Ministero Il Pubblico Ministero: vigila sull’osservanza delle leggi, sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, sulla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci, richiedendo, nei casi di urgenza, i provvedimenti cautelari che ritiene necessari. promuove la repressione dei reati e l’applicazione delle misure di sicurezza, fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice. interviene nei procedimenti civili in cui sono coinvolti interessi pubblici e diritti indisponibili, promuove l’esecuzione delle sentenze e degli altri provvedimenti del giudice penale e civile Le funzioni di Pubblico Ministero sono esercitate da: Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Procuratori generali della Repubblica presso le Corti di Appello Procuratori della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni Procuratori della Repubblica presso i Tribunali ordinari Sostituti Procuratori Procuratori aggiunti Il Procuratore della Repubblica è titolare esclusivo dell’azione penale e la esercita sotto la propria responsabilità nei modi e termini stabiliti dalla legge personalmente ovvero delegando uno o più magistrati addetti all’ufficio. Nel corso delle udienze penali, il magistrato designato svolge le funzioni del Pubblico Ministero con piena autonomia e può essere sostituito solo nei casi previsti dal codice di procedura penale. Le indagini preliminari possono essere avocate, dal Procuratore nazionale antimafia o dal Procuratore generale presso la Corte di Appello. Per la trattazione dei procedimenti relativi a taluni reati particolarmente gravi (associazione mafiosa, tratta di persone, riduzione in schiavitù, ecc) è costituita, nell’ambito dell’ufficio del Pubblico Ministero presso il Tribunale sede di Corte d’Appello, una Direzione distrettuale antimafia, diretta da un Procuratore distrettuale mentre nell’ambito della Procura generale presso la Corte di Cassazione è istituita la Direzione nazionale antimafia, cui è preposto un magistrato di Cassazione, scelto tra coloro che hanno svolto anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a 10 anni, funzioni di Pubblico Ministero o giudice istruttore, sulla base di specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata. 13. La giustizia amministrativa Per giustizia amministrativa si intende l’insieme degli istituti volti ad assicurare una tutela nei confronti della pubblica amministrazione avverso lesioni da essa causate nell’esercizio del proprio dovere. A tal proposito si distingue tra: ricorsi amministrativi: nel caso in cui la controversia è decisa da un organo amministrativo con un provvedimento amministrativo (funzione giustiziale) 96 Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario ricorsi giurisdizionali: nel caso in cui la controversia è decisa da un organo giudiziario con una pronunzia giurisdizionale (funzione giurisdizionale). Il dettato costituzionale assicura che nei confronti di tutti gli atti della pubblica amministrazione è sempre prevista una tutela giurisdizionale (art 113 Cost). La tutela giurisdizionale è assicurata si dai giudici ordinari che da giudici speciali, tra cui il giudice amministrativo, le cui competenze sono tassativamente stabilite. Il giudizio di legittimità sugli atti e sui provvedimenti amministrativi è riservato al giudice amministrativo il quale può caducarli per vizio di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge. Il potere di annullamento dell’atto amministrativo è prerogativa esclusiva del giudice speciale. 14. I limiti interni alla giurisdizione nei confronti dell’attività della P.A. Affermato il principio della generale tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione, la stessa Costituzione ammette che la legge possa graduare l’intensità di tale tutela, delimitando i poteri esercitabili dal giudice ordinario e dal giudice amministrativo: al giudice amministrativo: è preclusa la possibilità di eccedere i limiti dell’annullamento degli atti amministrativi. Rimane, infatti, solo in capo all’Amministrazione il potere e l’obbligo di conformarsi al giudicato, di compiere cioè tutte le attività volta a sanare gli effetti negativi dell’attività censurata (se, ad esempio, il giudice amministrativo accerti l’illegittimità del diniego di un provvedimento favorevole al privato, esso non potrà contestualmente sostituirsi alla pubblica amministrazione ed adottare il provvedimento stesso). Solo in caso di giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo può anche “riformare l’atto e sostituirlo”, nel caso, cioè di inadempimento della PA agli obblighi discendenti da una precedente pronunzia giurisdizionale. I limiti interni alla giurisdizione, cioè i vincoli al giudizio ordinario, si riflettono soprattutto sui tipi di sentenze che possono venire adottate nei confronti della pubblica amministrazione. Mentre, infatti, è pacificamente ammesso che il giudice ordinario adotti sentenze di mero accertamento o di condanna al pagamento di somme di denaro, si esclude che esso possa pronunciare altri tipi di sentenze di condanna o sentenze a carattere sostitutivo. A seguito della sentenza del giudice ordinario, è offerta una tutela risarcitoria per equivalente e non in forma specifica. 15. I ricorsi amministrativi Avverso gli atti della pubblica amministrazione è ammissibile anche una tutela non giurisdizionale, secondo il sistema dei ricorsi amministrativi. Essi sono rimedi diretti nei confronti di un’autorità amministrativa volti ad ottenere l’annullamento, la revoca o la riforma di un provvedimento. I ricorsi si distinguono in: ricorsi ordinari: possono essere esperiti nei confronti dei provvedimenti non definitivi o ricorso gerarchico: nei confronti di un organo gerarchicamente sovraordinato a quello che ha adottato l’atto o ricorso gerarchico improprio: nei confronti di organi non gerarchicamente sovraordinati o ricorso in opposizione: rivolto allo stesso organo che ha adottato l’atto ricorso straordinari: ammesso solo nei confronti di provvedimenti definitivi 97 Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario o al Capo dello Stato: la decisione del ricorso straordinario è adottata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero competente, il quale, ove intenda proporre una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato, deve sottoporre l’affare alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Esso può essere esperito solo per la contestazione di vizi di legittimità del provvedimento ed ha effetti cassatori ed è alternativo al ricorso giurisdizionale. 16. L’organizzazione della giustizia amministrativa I Tribunali amministrativi regionali (TAR) sono organi di giustizia amministrativa di primo grado con competenza territoriale regionale ed hanno sede nei capoluoghi di Regione. Sono composti da magistrati amministrativi e da Presidenti di Tribunale, consiglieri, primi referendari e referendari. L’accesso alla magistratura dei TAR avviene nel ruolo di referendario, mediante un concorso di secondo grado (è necessario già appartenere all’ordine giudiziario e ad una pubblica amministrazione). I TAR pronunciano con l’intervento del presidente e di due componenti. Il Consiglio di Stato è composto dal presidente del Consiglio di Stato, da presidenti di sezione e da consiglieri di Stato. Esso si divide in 7 sezioni: quattro con funzioni consultive e tre con funzioni giurisdizionali. L’adunanza plenaria è presieduta dal Presidente del Consiglio di Stato ed è composta da 12 magistrati del Consiglio di Stato scelti dal consiglio di presidenza in ragione di quattro per ciascuna delle sezioni giurisdizionali. La nomina a Consigliere di Stato avviene secondo diversi criteri: la metà dei componenti è tratta dal corpo dei consiglieri dei TAR con quattro anni di anzianità che ne facciano richiesta e con giudizio favorevole del Consiglio di Presidenza; un quarto è nominato con d.P.R. su deliberazione del Consiglio dei Ministri e previo parere del Consiglio di Presidenza, tra soggetti esterni alla magistratura ammninistrativa con una particolare qualificazione; un quarto, mediante concorso pubblico per titoli ed esami teoricoòpratici, al quale possono partecipare magistrati dei tribunali amministrativi regionali con almeno un anno di anzianità e magistrati di altre giurisdizioni con varia anzianità, funzionari della carriera direttiva del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, ecc. il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi è promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Presidente del Consiglio di Stato e su di esso decide il Consiglio di Presidenza. Il Consiglio di Stato ed il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana in sede giurisdizionale esercitano le funzioni di giudice di appello avverso le pronunzie dei Tribunali amministrativi regionali. Avverso le decisioni del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministrativa è ammesso ricorso alle Sezioni unite della Corte di Cassazione solo per motivi inerenti la giurisdizione. 17. Altre giurisdizioni speciali: la Corte dei Conti e gli organi della giurisdizione tributaria La Corte dei Conti ha sede in Roma ed è organizzata in sezioni giurisdizionali regionali presenti in ogni Regione e con sede nel capoluogo. Ha giurisdizione: in materia pensionistica, sia che si tratti di pensioni pubbliche ordinarie che di pensioni di guerra 98 Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario per i casi di responsabilità contabile dei soggetti che, a vario titolo, abbiano detenuto e maneggiato denaro ed altri valori pubblici e non abbiano adempiuto all’obbligo di restituzione alla pubblica amministrazione in materia di responsabilità amministrativa a contenuto patrimoniale di amministratori o dipendenti pubblici per i danni causati all’ente di appartenenza nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio. L’accertamento di siffatta responsabilità comporta la condanna al risarcimento del danno a favore dell’amministrazione danneggiata. in materia tributaria esercitata da commissioni tributarie provinciali e regionali suddivise in sezioni. È composta da un Presidente, da presidenti di sezione, consiglieri, da un procuratore generale, da vice procuratori generali, da primi referendari e referendari. Il Pubblico Ministero è rappresentato da un procuratore generale, vice procuratori generali e anche dai primi referendari e dai referendari. Il presidente della Corte presiede le sezioni riunite che sono convocate nei casi determinati da leggi o da regolamenti e quando il presidente lo reputi opportuno. L’accesso nei ruoli della Corte dei Conti avviene per concorso a referendario e successivamente l’accesso ad altri ruoli per promozione interna o per nomina governativa. Il Presidente della Corte di conti è nominato tra i magistrati della stessa Corte con decreto del Presidente della Repubblica. 18. L’ordinamento giudiziario militare La Costituzione ha limitato la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace soltanto ai soli casi di “reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate”. È ammesso il ricorso in Cassazione avverso i provvedimenti dei magistrati militari. I magistrati militari si distinguono in uditori giudiziari militari: magistrati militari di Tribunale: magistrati militari di Appello: magistrati militari di Cassazione: Lo stato giuridico, le garanzie d’indipendenza e l’avanzamento dei magistrati militari sono regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari. Il Tribunale militare giudica con l’intervento di tre giudici: il presidente del Tribunale militare con funzioni di presidente un magistrato militare di tribunale o di appello, con funzioni di giudice un militare di una delle FF.AA e della Guardia di Finanza, di grado pari a quello dell’imputato e comunque non inferiore al grado di ufficiale, estratto a sorte, con funzioni di giudice. Sull’appello proposto avverso i provvedimenti emessi dai Tribunali militari giudica la Corte militare di Appello, formata da un magistrato militare di Cassazione e da magistrati di Cassazione e di Appello. 19. La natura promiscua del Tribunale superiore delle acque pubbliche In materia di controversie relative alle acque pubbliche è prevista la giurisdizione dei Tribunali regionali delle acque pubbliche. Si tratta di organi della giurisdizione ordinaria, costituiti come sezioni di Corte di Appello. 99 Capitolo 12° - Le Regioni 1. Il regionalismo italiano: il modello costituzionale L’esperienza regionalistica ha avuto avvio in Italia solo con la Costituzione nel 1948. già alcuni mesi prima dell’entrata in vigore della Carta costituzionale si era provveduto a concedere alla Sicilia uno Statuto speciale, mentre gli Statuti speciali di Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige vennero approvati dall’Assemblea Costituente nel periodo di proroga dei suoi lavori. Il modello accolto dai Costituenti fu il risultato della combinazione di istituti provenienti dall’esperienza sia federale che regionale. Le Regioni furono identificate sulla base della meccanica riproduzione delle circoscrizioni statistiche nei quali era stato diviso il territorio della Repubblica. Le Regioni oltre a vedere la propria competenza disciplinata uniformemente a livello nazionale, si trovarono assai limitate anche rispetto agli atti di autonomia: sia gli Statuti delle Regioni speciali che le leggi regionali si trovavano ad essere di fatto subordinate alla volontà politica della maggioranza parlamentare di volte in volta esistente. Il risultato era una eccessiva pervasività del controllo statale relativo agli atti ed agli organi delle Regioni. 2. La crisi del regionalismo L’assenza di una tradizione di autonomia regionale e l’esistenza di disposizioni assegnanti un ruolo “tutorio” allo Stato rispetto all’universo delle autonomie, aveva presto determinato l’erosione dei pochi argini posti dalla Costituzione a garanzia dell’autonomia territoriale. Innanzitutto le “voci” indicanti le materie di competenza regionale (urbanistica, caccia, polizia locale, ecc.) sono state oggetto di una ridefinizione mediante legge ordinaria (decostituzionalizzazione delle materie). Lo stato ha assunto, inoltre, l’abitudine di indirizzare l’azione regionale non solo mediante "leggi-cornice”, ma anche mediante atti e strumenti non previsti dalla Costituzione, come le norme regolamentari e gli atti di indirizzo e coordinamento. In conclusione il modello regionale (ordinario e speciale) è stato progressivamente decostituzionalizzato nei fatti e gli enti territoriali, piuttosto che essere in una posizione di autonomia, si sono spesso ritrovati in uno stato di subordinazione rispetto al potere centrale. 3. La riforma del titolo V e degli Statuti speciali Le riforme introdotte alla fine degli anni Novanta del secolo scorso hanno rappresentato un tentativo di rilanciare il regionalismo: è stata rafforzata l’autonomia costituzionale o organizzativa delle Regioni ordinarie e speciali mediante la modifica della disciplina e del procedimento di formazione degli Statuti ordinari e l’introduzione delle leggi statutarie nelle Regioni speciali. Tali atti sono adesso subordinati solo alle norme di rango costituzionale. è stato notevolmente ridotto il ruolo tutorio dello Stato: o sono stati aboliti pressoché tutti i tipi di controllo, o è stata introdotta una tecnica di enumerazione delle competenze ricalcata sul modello federale con contestuale ridimensionamento delle competenze concorrenti, o è stato riaffermato il principio per il quale gli interventi limitativi e condizionanti la vita delle Regioni sono sottoposti ad una riserva di legge, o è stato sciolto il nodo dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa. 4. L’organizzazione regionale: i principi La Costituzione e le leggi costituzionali si occupano dell’organizzazione regionale cercando di trovare un equilibrio tra principi vincolanti e non disponibili da parte delle Regioni e soluzioni che valorizzano l’autonomia degli enti, lasciandoli liberi di assumere gli assetti ad essi più congeniali. Intanto gli organi necessari delle Regioni sono: il Consiglio Regionale (Assemblea in Sicilia e Consigli della Valle in Valle d’Aosta) la Giunta e il suo Presidente il Consiglio delle autonomie locali Spettano all’autonomia regionale tutte le scelte organizzative che non siano costituzionalmente condizionate o che non siano rimesse al legislatore nazionale. Vi sono norme che consentono delle “varianti predefinite”, cioè, la possibilità di scegliere fra diverse soluzioni che il legislatore riconosce come paritetiche (es. le disposizioni che vincolano l’applicazione di un certo regime organizzativo alla scelta statutaria per l’elezione popolare diretta del Presidente della Giunta). Vi sono, altresì, norme “preferenziali” (soprattutto in tema di governo) con possibilità di deroga da parte delle Regioni nell’esercizio della propria autonomia statutaria o legislativa (es: il Presidente della Giunta viene eletto a suffragio universale diretto salvo che lo Statuto regionale disponga diversamente) 5. La forma di governo regionale La determinazione della forma di governo delle Regioni è espressamente rimessa all’autonomia degli enti, salvo alcune competenze, sottratte agli Statuti ed attribuite alla competenza regionale concorrente, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica (es: il sistema di elezione degli organi). A parte la questione del rapporto tra competenze statutarie e legislative, altri limiti alla forma di governo regionale derivano da vincoli e condizionamenti costituzionali, il che significa che le opzioni organizzative regionali devono mantenersi sempre nell’ambito delle varianti della forma di governo parlamentare, restando esclusa sia l’opzione presidenzialista che quella direttoriale. La concreta attuazione di tali principi spetta alle leggi statutarie regionali e delle Regioni speciali. 6. Le soluzioni adottate dagli Statuti ordinari È possibile fare un primo bilancio delle soluzioni adottate dalle varie Regioni. Il modello dell’elezione diretta del Presidente della Regione e della Giunta, con la conseguente applicazione del regime del simul stabunt ed simul cadent (se cade un organo, l’altro lo segue), è quello che ha goduto dei maggiori favori: tutte le Regioni ordinarie e speciali hanno scelto tale forma di organizzazione degli organi politici regionali (tranne la Valle d’Aosta). In effetti, l’automatismo dello scioglimento del Consiglio e della decadenza del Presidente della Giunta con la Giunta stessa costituisce infatti un deterrente fortissimo all’instabilità di governo. 7. I singoli organi regionali: il Consiglio Il Consiglio Regionale costituisce l’assemblea politico-rappresentativa della comunità regionale. Esso esercita, in via esclusiva, le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. La sua rilevanza come organo di rappresentanza generale del gruppo politico territoriale giustifica anche l’attribuzione ad esso del potere di fare proposte di legge (ordinaria e costituzionale) alle Camere. I Consigli Regionali sono eletti a suffragio universale e diretto (ad eccezione del Trentino). I consiglieri regionali esercitano le funzioni “senza vincoli di mandato” (vedi il divieto di mandato imperativo), e godono altresì di alcune garanzie quali: non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle funzioni (c.d. insindacabilità) quando espletano funzioni legislative e statutarie Spetta alle leggi regionali stabilire l’indennità spettante ai consiglieri regionali per l’esercizio delle relative funzioni. Il sistema di elezione è rimesso alla disciplina legislativa statale di principio (che richiede che il sistema elettorale regionale agevoli la formazione di stabili maggioranze e assicuri la rappresentanza delle minoranze) e a quella regionale di dettaglio. La legge stabilisce che il Consiglio sia eletto contestualmente al Presidente nel caso in cui si opti per l’elezione popolare diretta di quest’ultimo e che, invece, negli atri casi, il Consiglio elegga il Presidente o la Giunta entro 90 giorni. L’indizione delle elezioni spetta al Prefetto nella sua qualità di “rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie”, spetta poi alle Regioni la definizione della propria legislazione elettorale. Per le Regioni speciali, la riforma del 2001 ha previsto che il sistema di elezione sia determinato con legge regionale, approvata secondo il procedimento ordinario o con quello previsto per le leggi statutarie sulla forma di governo. In tali Regioni l’indizione delle elezioni spetta al Presidente della Giunta. Le condizioni per l’esercizio dell’elettorato attivo restano uniformemente disciplinate sull’intero territorio nazionale come pure quelle relative alle limitazioni del diritto di voto. Sulle cause di ineleggibilità ed incompatibilità, la Costituzione vieta che si possa appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento o ad un altro Consiglio a ad altra Giunta regionale o al Parlamento europeo o al CSM. La determinazione del numero dei consiglieri è rimessa alla competenza degli Statuti ed è in genere stabilita in un numero fisso. Quanto alla durata delle Assemblee regionali ordinarie, essa è espressamente riservata dalla Costituzione alla legge statale mentre per le Regioni speciali è fissata dalla Costituzione. In entrambe le categorie di Regioni la durata è stabilita in 5 anni a decorrere dalla data delle elezioni. 7.1 L’organizzazione del Consiglio: i regolamenti interni Per quanto riguarda i regolamenti interni, non essendoci una riserva di regolamento nella Costituzione, spetta agli Statuti determinare: le norme sulla produzione e il quorum di approvazione (2/3 nel Lazio, maggioranza assoluta in Emilia, maggioranza semplice in Puglia), le forme di governo, i principi dell’organizzazione, l’ambito ed il regime dei regolamenti consiliari. Quanto al regime giuridico, sembra da escludere che i regolamenti consiliari producano norme di rango primario. 7.2 L’articolazione interna del Consiglio Gli Statuti ed i regolamenti consiliari prevedono un’organizzazione interna piuttosto articolata a garanzia della funzionalità ed autonomia. L’organigramma: Presidente del Consiglio regionale: eletto in seno all’Assemblea Ufficio di Presidenza: Gruppi consiliari: costituiti in base all’affinità politico-ideologica tra gli eletti Gruppi linguistici: solo (Trentino Alto Adige) Conferenza dei Presidenti: attività connesse alla programmazione dei lavori Commissioni permanenti: partecipano al procedimento legislativo e svolgono attività di tipo conoscitivo, ispettivo e di controllo. Giunte: (per il regolamento e per le elezioni) I Consigli godono di autonomia contabile e di bilancio. 7.3 Le funzioni del Consiglio ed il rapporto fiduciario Il Consiglio regionale: esercita le potestà legislative (art. 121 Cost) approvazione del bilancio regionale, approvazione degli Statuti ordinari (o leggi statutarie per le Regioni speciali) approvazione dei regolamenti regionali partecipazione alla definizione dell’indirizzo politico regionale. può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta medianti mozione motivata, sottoscritta da almeno 1/5 dei componenti e approvata a maggioranza assoluta alcuni Statuti conferiscono al Consiglio regionale il potere di approvare, all’inizio della legislatura, il programma del Presidente della Regione eletto alcuni Statuti prevedono mozioni di sfiducia dei singoli assessori ha il potere di fare proposte di legge alle Camere (iniziativa legislativa) può promuovere referendum abrogativi (insieme ad altri 4 Consigli regionali) esprime parer nel procedimento di fusione o creazione di Regioni, di distacco di un Comune o di una Provincia dalla Regione o di mutamento o istituzione di nuove Province elegge i delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica può rimuovere il Presidente della della Regione e la Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge 7.4 La durata del Consiglio e le ipotesi di scioglimento anticipato La durata della legislatura regionale e dei suoi organi è quinquennale. La cessazione può essere anticipata per: scioglimento funzionale: o cause di natura politico-istituzionale a seguito di una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente delle Giunta o nelle ipotesi di sua rimozione, impedimento permanente, morte o dimissioni volontarie, o dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti dell’organo In tali eventualità, in forza del principio simul stabunt, simul cadent, si determinano anche le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. scioglimento sanzionatorio (art.126 Cost): tramite decreto del Presidente della Repubblica può essere disposto lo scioglimento del Consiglio Regionale e la rimozione del Presidente della Giunta: o che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. o per ragioni di sicurezza nazionale 8. Il Presidente regionale La nomina del Presidente della Regione e della Giunta regionale è rimessa all’autonomia degli enti territoriali i quali possono optare per: o l’elezione a suffragio universale e diretto: allo scadere del secondo mandato consecutivo, il Presidente della Giunta regionale non può essere rieletto. o l’elezione consiliare: Dalla scelta del modello discendono conseguenze diverse anche in ordine al margine di discrezionalità di cui dispongono le Regioni nel regolare i vari aspetti relativi alla permanenza in carica ed alla cessazione dall’ufficio di tale organo. Il vertice dell’Esecutivo regionale cumula in sé le funzioni di Presidente della Giunta e della Regione, avendo la rappresentanza generale dell’ente. Assume, inoltre, la vesti di ufficiale del Governo, allorché esercita le funzioni delegate dalla Stato. Il Presidente della Giunta (o della Regione): rappresenta la Regione: o partecipando alla Conferenza Stato-Regioni ed alla Conferenza unificata o partecipando alla riunione del Consiglio dei Ministri nel caso dell’esercizio, da parte del Governo, di poteri sostitutivi nei confronti della Regione o promuovendo le questioni di legittimità costituzionale ed i conflitti di attribuzione o quando esterna i più importanti atti della Regine, come la promulgazione delle leggi, l’emanazione dei regolamenti o l’indizione dei referndum dirige la politica della Giunta e ne è responsabile promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica ha il potere di nominare e revocare i singoli assessori è il solo destinatario della sfiducia del Consiglio 8.1 Il Presidente negli Statuti speciali Le funzioni del Presidente regionale negli Statuti speciali sono analoghe a quelle delle Regioni ordinarie. Attualmente solo la Val d’Aosta ha mantenuto l’elezione consiliare del Presidente. Tutti gli Statuti prevedono che il Presidente della Giunta partecipi alle riunioni del Consiglio dei Ministri in presenza di interessi regionali specifici. Lo Statuto siciliano dispone, altresì, che tale partecipazione consista anche nel potere di voto deliberativo. In Sicilia spetta al Presidente (congiuntamente al Governo) il mantenimento dell’ordine pubblico a mezzo della Polizia di Stato. In Val d’Aosta e Sardegna tale attribuzione è esercitata su delega e nel rispetto delle direttive del Governo Ai Presidenti delle Province di Trento e di Bolzano sono attribuiti i poteri dell’autorità di pubblica sicurezza in talune materie. Al Presidente regionale e provinciale spetta (nelle Regioni speciali) l’indizione delle elezioni del Consiglio regionale o provinciale nonché la competenza ad adottare i provvedimenti con tingibili ed urgenti in materia di sicurezza ed igiene pubblica. 9. Il procedimento di formazione della Giunta regionale In caso di elezione diretta del Presidente: la formazione della Giunta dipende direttamente dal Presidente, il quale nomina e revoca gli assessori (art 122 Cost) In caso di elezione consiliare del Presidente: la Giunta può essere eletta con o senza voto di fiducia alla proposta del Presidente o si può procedere alla votazione dei singoli assessori da parte dello stesso Consiglio La composizione della Giunta può prevedere assessori esterni al Consiglio. Per le Regioni a Statuto speciale la disciplina della formazione della Giunta è rimessa alle leggi regionali statutarie. 9.1 Le funzioni della Giunta La Giunta regionale è l’organo esecutivo della Regione (art 121 Cost). Dal momento che il Consiglio Regionale ha potestà legislative, la Costituzione ribadisce il principio di legalità anche a livello regionale subordinando formalmente l’azione “esecutiva” alla previa determinazione legislativa dell’organo rappresentativo. Essa, insieme al suo Presidente, svolge un ruolo direttivo dell’indirizzo politico regionale e può introdurre istituti (come la questione di fiducia) per il controllo della maggioranza consiliare o un procedimento “privilegiato” per l’approvazione delle leggi che siano espressione dell’indirizzo politico di Giunta e maggioranza. Ha la potestà di agire e resistere in giudizio nelle questioni di legittimità costituzionale di una legge dello Stato o di altre Regioni o nei conflitti di attribuzione avverso lo Stato o altre Regioni. Ha inoltre competenze normative (regolamenti a carattere esecutivo), potere di disposizione del bilancio e del consuntivo e funzioni di natura amministrativa. Ha, inoltre, il potere di adottare, in caso di necessità ed urgenza e sotto la propria responsabilità, provvedimenti a carattere amministrativo di competenza del Consiglio regionale , sottoponendoli, poi, ad esso per la ratifica. 10. Altri organi regionali Altri organi regionali costituzionalmente previsti o “necessari” sono: Consiglio delle autonomie locali: è un organo di consultazione tra la Regione e gli enti locali. Tali organi hanno il potere di emettere pareri nel procedimento di revisione dello Statuto, in quello legislativo e nei procedimenti amministrativi regionali relativi a materie che interessino gli enti locali, nonché di conferimento di funzioni a questi ultimi. Hanno anche potere di iniziativa legislativa regionale o di proporre modifiche statutarie. Altri organi regionali costituzionalmente non previsti o “non necessari” che trovano la loro fonte istitutiva negli Statuti ordinari sono: Consulte o Commissioni di garanzia statutaria: il cui compito è quello di esprimere pareri tecnici sulla conformità dell’azione regionale alle norme statutarie Consigli regionali dell’economia e del lavoro: Consulte o Commissioni per le pari opportunità: Difensori civici regionali: 11. Istituti di partecipazione; referendum; petizioni; consultazioni popolari. Il difensore civico Istituti di democarazia diretta: Referendum: la disciplina dei quali è rimessa agli Statuti ed alle leggi statutarie delle Regioni e Province autonome. Oggetto del referendum può essere una legge o un provvedimento amministrativo della Regione. Sono previsti referendum abrogativi, consultivi, confermativi e propositivi. I singoli Statuti stabiliscono i limiti di ammissibilità e procedurali. Difensore civico: si occupa della tutela dei diritti soggettivi, degli interessi legittimi e degli interessi collettivi o diffusi dei cittadini e degli enti , cui sono connesso poteri di intervento in caso di ritardo, irregolarità ed omissione nell’attività e nei comportamenti dei pubblici uffici, al fine di garantire l’effettivo rispetto dei principi di legalità, trasparenza, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. 12. Le funzioni amministrative tra Regioni ed altri decostituzionalizzazione delle regole sulla relativa allocazione enti territoriali. La Nella riforma costituzionale, il legislatore è sembrato ispirarsi al c.d. federalismo d’esecuzione, radicando la competenza legislativa negli enti territoriali maggiori ed affermando, nell’articolazione del potere amministrativo, una preferenza per l’ente minore, ciò per alleviare il cumulo delle funzioni presso lo stesso ente ed avere una maggiore efficacia e dinamicità. È rimessa alla legge la determinazione delle funzioni da “trasferire” ai Comuni e quelle da “conferire” ad altri enti. Per quanto concerne le funzioni regolamentari e quelle amministrative: allo Stato spettano le funzioni regolamentari nelle materie di propria legislazione esclusiva, mentre alle Regioni sono attribuite le funzioni regolamentari in tutte le altre materie. 12.1 La sopravvivenza delle leggi sulla ripartizione delle competenze amministrative Nel nuovo art 118 Cost. si prevede che tutte le funzioni amministrative siano attribuite in via di principio ai Comuni, ma per assicurarne l’esercizio unitario, possono essere conferite alle Città metropolitane, alle Province, alle Regioni ed allo Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Interpretando tale disposizione in senso letterale sembrerebbe che dall’entrata in vigore della riforma, tutte le funzioni amministrative spettino in via esclusiva ai Comuni, il che comporterebbe l’immediata illegittimità di tutte le norme statali e regionali che attribuiscono funzioni amministrative ad enti diversi dal Comune. Tale obiezione non ha ragione di esistere in quanto l’ente titolare di una funzione amministrativa non può esercitarla se tale funzione non è coperta da un atto che assicuri il previo trasferimento degli uffici, del personale e delle risorse nell’ente trasferente. 12.2 La riserva di legge sul conferimento delle funzioni amministrative La forma dell’atto di allocazione delle funzioni amministrative è di natura legislativa (e non regolamentare). È riservata alla legge statale stabilire le forme di coordinamento e di intesa nelle funzioni amministrative fra Stato e Regioni. 12.3 Lo Stato e la Regione nell’allocazione delle competenze amministrative Per quanto attiene al soggetto competente ad allocare le funzioni amministrative, la Costituzione distingue le funzioni amministrative degli enti infra-regionali da quelle conferite allo Stato o alle Regioni. Comuni, Province e Città metropolitane: la competenza legislativa in ordine alle funzioni fondamentali di tali enti è attribuita allo Stato. Le Regioni, peraltro, hanno piena facoltà di conferire agli enti territoriali infraregionali ulteriori funzioni amministrative. Stato: alla legislazione statale è riservata l’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali e cioè: o in materia di tutela dei beni culturali o in materia di valorizzazione dei beni culturali Regioni: il potere di conferimento delle funzioni amministrative spetta alle Regioni: o in materia di turismo: o in materia di legislazione esclusiva delle Regioni: Tale suddivisione non trova d’accordo la Corte Costituzionale per la quale la concreta allocazione delle funzioni amministrative non può prescindere da un intervento legislativo, il che vuol dire che la garanzia per i vari enti interessati, non sarebbe assicurata da una precisa individuazione dei campi materiali di intervento o dall’attribuzione di una competenza normativa riservata a conferire le funzioni, ma dalla necessità di procedere mediante forme collaborative (intese) che coinvolgano tutti i soggetti interessati. 12.4 Il trasferimento delle funzioni tra Stato, Regioni ed enti locali L’esercizio delle attribuzioni degli enti territoriali di tipo amministrativo è condizionato al compimento di alcuni adempimenti: il passaggio delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni ed il trasferimento dei funzionari e dei dipendenti statali alle amministrazioni regionali è disciplinato da una legge statale e principi analoghi si applicano agli enti locali. Il passaggio cruciale nell’implementazione del decentramento è costituito dalle procedure di assegnazione delle funzioni amministrative ai vari enti territoriali. Il processo di assegnazione si distingue in due fasi: 1. il conferimento: consiste nell’individuazione delle singole attribuzioni e nella scelta del livello di governo al quale allocarle (Stato, Regioni, Province, Città metropolitane) sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. I Comuni sono titolari di tutte le funzioni amministrative non diversamente attribuite da atti di natura legislativa dello Stato o delle Regioni. Per ciò che riguarda il conferimento ed il trasferimento delle funzioni alle Regioni speciali, i procedimenti sono regolati dai reltivi Statuti. 2. il trasferimento: è il secondo passo e si sostanzia nella concreta individuazione di beni, risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da assegnare ai vari enti cui sono state conferite le relative attribuzioni. Il trasferimento delle funzioni statali è avviato con la presentazione del disegno di legge collegato alla manovra finanziaria che recepisce accordi raggiunti con gli enti territoriali in sede di Conferenza unificata. Lo Stato può effettuare i trasferimenti medianto l’adozione di decreti del Presidente del Consiglio e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia. 13. I controlli sulle Regioni A parte il controllo sugli organi regionali (Consigli regionali e Presidente = scioglimento funzionale e sanzionatorio) e l’esercizio del potere sostitutivo (cap. 12 par. 20), l’unico sindacato sulle Regioni espressamente previsto è esercitato dalla Corte costituzionale, dagli organi giurisdizionali e dalla Corte dei Conti. 14. Il potere estero regionale Nelle materie di sua competenza la regione può concludere accordi con Stati ed intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da legge dello Stato (gemellaggi). Gli accordi con gli Stati, possono essere solo “esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrai in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica nel rispetto dei vincoli derivanti (…) dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana” 15. Il ruolo delle Regioni nella formazione e nell’attuazione del diritto comunitario Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti comunitari e all’esecuzione degli atti dell’Unione Europea (art. 117 Cost). Le Regioni possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio o al Ministro per le politiche comunitarie. Qualora il progetto di un atto normativo comunitario riguardi materie di competenza legislativa delle Regioni, il Governo convoca, su richiesta di esse, la Conferenza StatoRegioni nell’ambito della quale si dovrà, entro 20 gg., raggiungere un’intesa. Le Regioni concorrono direttamente, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e della Commissione europea. Il Governo può ricorrere alla Corte di Giustizia avverso gli atti comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una Regione o di una Provincia autonoma, qualora l’atto comunitario in questione riguardi materie di competenza esclusiva regionale. Le Regioni e le Province autonome possono dare attuazione legislativa alle Direttive comunitarie anche in mancanza di una previa legge statale di recepimento. L’esercizio del potere sostitutivo del Governo si applica solo per sopperire all’eventuale inerzia regionale e solo fintantoché tale inerzia permanga. 16. L’autonomia finanziaria degli enti territoriali La Costituzione afferma che gli enti territoriali stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, purché in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la cui disciplina è assegnata alla legislazione concorrente di Stato e Regioni (art. 117 Cost). accanto a tali strumenti, sono previste ulteriori fonti di entrata consistenti in: 1. compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio 2. un fondo perequativo istituito con legge statale per i territori con minore capacità ficale per abitante 3. risorse aggiuntive ed interventi speciali, stabiliti dallo Stato “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni” Tali entrate si distinguono in due categorie: 1. trasferimenti ordinari: (compartecipazione al gettito dei tributi erariali) sono proporzionali alla capacità di produzione del reddito nella singola Regione e dovrebbero, quindi, stimolare la stessa a perseguire politiche economiche virtuose che ne rafforzino l’economia. 2. trasferimenti speciali: (risorse aggiuntive e interventi speciali) sono rivolti a realizzare una politica redistributiva delle risorse di tipo eccezionale. Essi sono strumentali a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni degli enti. (necessità conseguenti ad una calamità naturale, organizzazione di un’olimpiade) Nell’ambito della normativa di “coordinamento della finanza pubblica”, un capitolo particolare spetta al perseguimento del coordinamento della finanza degli enti territoriali con la finanza statale, il c.d. patto di stabilità interno, consistente in alcune misure che limitano i poteri di gestione del bilancio e di spesa degli enti territoriali: la legge statale può porre soltanto un “limite complessivo che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa”. 17. Il pluralismo degli enti locali L’articolazione organizzativa della Repubblica a livello locale presenta una notevole varietà di enti e organismi, caratterizzati da un legame con il territorio o con le comunità locali (Consorzi, Unioni di Comuni, Comunità Montane, Comunità isolane, ecc.). Si tratta di aggregazioni di secondo grado rispetto a quelle previste dalla Costituzione (Comuni, Province, Regioni) tuttavia rappresentano comunque uno svolgimento coerente dei principi costituzionali di collaborazione (art 5 Costi) e decentramento amministrativo (artt 5 e 118) 18. Le funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane La disciplina delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è contenuta in una pluralità di atti normativi adottati a cavallo della riforma costituzionale del 2001. T.U.E.L. = Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18-8-2000 n. 267) Il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e n promuove lo sviluppo, mentre la Provincia è l’ente locale intermedio tra il Comune e la Regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. Le Aree metropolitane sono identificate nelle zone comprendenti i Comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri Comuni i cui insediamenti abbianocon essi rapporti di stretta integrazione territoriale, economica e sociale. L’istituzione di tali enti può essere compiuta su proposta degli enti locali interessati, i cui rappresentanti, riuniti in assemblea, adottano uno Statuto preventivamente sottoposto a referendum presso ciascun Comune interessato ed approvato con legge dello Stato. La Città metropolitana acquisisce le funzioni della Provincia e attua il decentramento previsto dallo Stato, salvaguardando l’identità delle originarie collettività locali. 18.1 L’organizzazione di Comuni, Province e Città metropolitane Il sistema elettorale, l’organizzazione e la forma di governo di Comuni, Province e Città metropolitane sono disciplinate dal TUEL. Sono organi de governo del Comune e della Provincia: il Consiglio, la Giunta, il Sindaco ed il Presidente della Provincia. Il Consiglio costituisce l0assemblea rappresentativa dell’ente, è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo ed è organizzato secondo i principi tipici di tale categoria di organi (previsione di un regolamento interno, istituzione di gruppi consiliari, commissioni, autonomia funzionale e organizzativa, tutela delle minoranze e delle opposizioni, ecc). Il Sindaco e il Presidente della Provincia sono eletti direttamente dai cittadini, nominano e revocano i membri della Giunta (assessori) e danno comunicazione al Consiglio delle linee programmatiche relative alle azioni ed ai progetti da realizzare neo corso del mandato. Essi, come i Consigli, hanno durata quinquennale e sono rieleggibili una sola volta. La sfiducia del Consiglio, l’impedimento permanente del Sindaco o del presidente della Provincia, la loro rimozione, decadenza o decesso, nonché le dimissioni della metà più uno dei consiglieri, determinano lo scioglimento del Consiglio ed il ricorso a nuove elezioni. La cessazione degli organi può avvenire anche a seguito di scioglimento e rimozione nell’ambito dell’attività di controllo sugli organi operata dal Governo. Disciplina delle elezioni Sono previsti tre dispositivi elettorali a seconda che si tratti di Comuni fino a 15.000 abitanti, oltre tale numero e delle Province: Comuni fino a 15.000 abitanti: l’elezione dei consiglieri è contestuale a quella del Sindaco, il quale deve collegarsi con una delle liste per l’assemblea. L’elettore esprime un voto unico e può esprimere un voto di preferenza. Risulta eletto Sindaco colui che ha ottenuto il maggior numero di voti e alla lista ad esso collegata vengono attribuiti 2/3 dei seggi. Un seggio è riservato a ciascun candidato sconfitto alla carica di sindaco a condizione che il raggruppamento abbia ottenuto almeno un seggio. Comuni con più di 15.000 abitanti: il Sindaco può collegarsi a più di una lista. L’elettore esprime due voti e può anche scegliere di separare il voto al candidato Sindaco da quello per il Consiglio, attribuendolo ad una lista che non è collegata al primo. È eletto Sindaco colui che raggiunga la maggioranza assoluta dei voti validi. Nel caso ciò non avvenga si ricorre al ballottaggio tra i due candidati più votati, i quali possono, nel frattempo, collegarsi con altre liste che abbiano partecipato al primo turno elettorale. Per l’attribuzione di seggi in Consiglio è prevista una soglia di sbarramento del 3%. L’assegnazione avviene con metodo proporzionale, ma è previsto un premio di maggioranza per le liste collegate al Sindaco vincente, qualora i seggi ottenuti da queste non siano superiori al 60%. Il premio non scatta se l’opposizione ottiene almeno il 50% dei seggi. Provincia: il Presidente della Provincia è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente al Consiglio provinciale. Ciascun candidato deve collegarsi con almeno una lista per il Consiglio. È eletto il candidato che abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi, salvo un secondo turno di ballottaggio. L’elezione per il Consiglio avviene sulla base di collegi uninominali. L’assegnazione dei seggi è stabilita con metodo proporzionale. Il voto nel collegio uninominale serve per definire il consenso percentuale di ciascun candidato (cifra individuale) rispetto agli altri candidati del proprio raggruppamento. Un premio di maggioranza è attribuito secondo criteri simili a quelli previsti per il comuni con più di 15.000 abitanti. 19. Il principio di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali L’azione amministrativa degli enti locali territoriali, deve essere animata da un principio di leale collaborazione con lo Stato al fine di evitare conflitti di interessi di varia natura (casi di illegittimità costituzionale della legislazione regionale, conformità dell’azione amministrativa regionale alla normativa statale). 19.1 La collaborazione procedimentale e organizzativa La collaborazione si realizza attraverso: soluzioni procedimentali: partecipazione dell’organo di un Ente a un procedimento amministrativo di competenza di un altro ente. Partecipazione che consiste, solitamente, in una proposta, in un parere o in un’intesa (codecisione). Tali forme di collaborazione procedimentale sono solitamente previste e disciplinate a livello legislativo, ma non mancano ipotesi che trovano un espresso fondamento costituzionale (potere di iniziativa legislativa attribuito ai Consigli regionali, procedimento per aggregazione di una Provincia o di un Comune ad una diversa Regione) soluzioni organizzative: realizzata tramite l’introduzione di organi misti, ossia di organi ai quali partecipano rappresentanti di enti territoriali diversi, come il: o sistema delle Conferenze: es: la Conferenza Stato-Regioni è composta dal Presidente del Consiglio dei Ministri e altri rappresentanti dell’amministrazione statale e dai Presidenti di ciascuna Regione la Conferenza Stato-città e autonomie locali la Conferenza unificata 20. Il potere sostitutivo nei confronti di Regioni ed enti locali La Costituzione prevede il potere sostitutivo dello Stato nei confronti di Regioni ed enti locali. La ratio dell’istituto è quella di garantire la possibilità di un intervento unitario nel caso in cui l’ente titolare della competenza sia inadempiente ovvero in altre circostanze di carattere eccezionale che rendano la sua azione insufficiente. Il potere sostitutivo si esercita mediante il compimento di atti ovvero la nomina di organi straordinari dell’ente “sostituito” per il compimento degli stessi atti (art 117 e 120 Cost). Il potere di sostituzione è in capo al Governo, che può esercitarlo nei confronti di organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni. Le condizioni per il suo esercizio sono varie: mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria pericolo grave per l’incolumità e sicurezza pubblica tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all’ente interessato un congruo terminie per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri adotta i provvedimenti necessari, anche normativi ovvero nomina un apposito commissario. 21. Le variazioni territoriali degli enti locali Gli artt 132 e 133 Cost. prevedono una dettagliata disciplina per la modifica delle circoscrizioni territoriali di Regioni e altri enti locali. È possibile disporre la fusione di Regioni esistenti o crearne di nuove con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate e la con approvazione per referendum delle stesse. Analogamente è possibile staccare dei Comuni da una Regione per aggregarli ad un’altra come pure istituire nuove Province o nuovi Comuni o modificare circoscrizioni e denominazioni. Cap. 13-15 I diritti inviolabili dell’uomo e il principio di uguaglianza I primi dodici articoli della Costituzione Italiana enunciano i principi fondamentali, sui quali si basa l’intera costituzione della nostra Carta Costituzionale. I diritti inviolabili dell’uomo sono diritti fondamentali o essenziali, che spettano a ogni persona in quanto tale. Art. 2 (La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità). In primo luogo i diritti dell’ uomo sono naturali, perché spettano a ogni persona per il fatto stesso della sua esistenza in vita: lo Stato non concede questi diritti agli individui, ma si limita a prendere atto del fatto che esistono e a tutelarli. In secondo luogo i diritti dell’uomo sono ineliminabili, in quanto non possono essere aboliti neppure ricorrendo alla procedura di revisione costituzionale. Un altro principio fondamentale che dobbiamo esaminare è il principio di uguaglianza. La Costituzione afferma l’uguaglianza dei cittadini in due significati diversi, ma tra loro complementari: 1. L’uguaglianza in senso formale: riconoscere che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Art 3 primo comma (tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche). Dal principio di uguaglianza in senso formale derivano due conseguenze: La soggezione alla legge, in quanto di regola la legge si applica a tutti, senza alcuna eccezione o esenzione; Il divieto di discriminazione, perché la legge deve riconoscere a tutti i cittadini uguali diritti e uguali doveri. 2. L’uguaglianza in senso sostanziale: consiste nel garantire pari opportunità o uguali condizioni di partenza a tutti i cittadini e, in particolare, a coloro che sono più svantaggiati sotto l’aspetto economico o sociale. Art. 3 secondo comma (è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…..) A differenza di quella formale, l’uguaglianze sostanziale è contenuta in una norma costituzionale di carattere programmatico, che non è immediatamente efficace ma impegna lo Stato a svolgere una determinata attività. Per concludere osserviamo che, in base al principio di uguaglianza formale, la legge deve trattare tutti in modo uguale mentre, in base al principio di uguaglianza sostanziale, la legge può, e anzi in alcuni casi deve, trattare in modo diverso alcuni soggetti rispetto ad altri, per favorire dal punto di vista giuridico coloro che sono più svantaggiati dal punto di vista economico e sociale. La libertà personale Gli articoli 13 e seguenti della Costituzione riconosco espressamente alcune libertà individuali. Di regola la Costituzione riconosce i diritti di libertà indistintamente a tutti gli individui, ma alcune libertà civili sono garantite soltanto ai cittadini italiani e non estese anche agli stranieri e agli apolidi. Il primo diritto di libertà disciplinato dalla Costituzione è la libertà personale (art. 13). La libertà personale o individuale consiste nella libertà di un individuo da qualsiasi forma di costrizione o imposizione, fisica o psichica, ed è inviolabile. La libertà personale però non è assoluta perché una persona può essere sottoposta ad alcune misure restrittive per motivi di interesse generale. Per ridurre il rischio di abusi da parte del potere pubblico, le limitazioni della libertà di una persona sono ammesse solamente in seguito a un atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei casi previsti dalla legge. Soltanto in casi eccezionali di necessità e di urgenza, nei quali bisogna intervenire senza perdere tempo, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvisoriamente delle misure restrittive della libertà personale anche senza un ordine o mandato dell’autorità giudiziaria. In particolare, la legge consente espressamente l’ arresto in fragranza di una persona, che venga sorpresa nell’atto stesso di compiere un reato grave e, quando vi è un pericolo concreto di fuga, il fermo di polizia di una persona che sia indiziata di avere commesso un reato. In questo caso il provvedimento è sottoposto a un controllo successivo del giudice, diretto ad accertare l’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge: entro 48 ore dall’arresto o dal fermo, infatti, l’autorità di pubblica sicurezza deve dare comunicazione del provvedimento all’autorità giudiziaria la quale, entro 48 ore dalla comunicazione, deve dichiarare la sua convalida. In definitiva, un provvedimento restrittivo della libertà personale, emanato dall’autorità di pubblica sicurezza può durare al massimo 96 ore perché, se non viene convalidato entro questo termine dall’autorità giudiziaria, decade automaticamente. Costituisce una limitazione della libertà personale anche la carcerazione preventiva. La carcerazione preventiva, o custodia cautelare, può essere disposta nei confronti di una persona in attesa di giudizio, vale a dire di una persona che non è stata ancora condannata in un processo con una sentenza definitiva. La custodia cautelare è legittima soltanto in esecuzione di un provvedimento motivato dal giudice e nei casi indicati dalla legge, quando vi è il pericolo che l’imputato possa fuggire o “inquinare”, cioè alterare, le prove oppure che possa commettere altri reati. La Costituzione dispone che i termini massimi della custodia cautelare devono essere stabiliti dalla legge (art. 13 quinto comma). Al riguardo il codice di procedura penale prevede che: La carcerazione preventiva è ammessa soltanto per i reati, consumati o anche soltanto tentati, non lievi; La custodia cautelare non può durare, a seconda del tipo e della gravità del reato, più di due, quattro o sei anni. Una volta decorsi i termini massimi di custodia cautelare l’imputato in attesa di giudizio ha il diritto di essere rimesso in libertà e di seguire il processo a piede libero. La libertà di domicilio, di comunicazione e di circolazione L’ordinamento giuridico riconosce agli individui anche altri diritti di libertà, che costituiscono il completamento naturale della libertà personale. In primo luogo la Costituzione garantisce la libertà del domicilio (ART. 14 primo comma) La libertà del domicilio attribuisce a ogni persona il diritto di escludere indebite intromissioni, da parte di soggetti privati o pubblici, nella propria vita privata. L’inviolabilità del domicilio di una persona è tutelata, a livello costituzionale, con le stesse garanzie e con i medesimi limiti che abbiamo già visto a proposito della libertà personale, in quanto: 1. qualsiasi intromissione della pubblica autorità in un domicilio privato (sotto forma di ispezione, di perquisizione o di sequestro) può essere compiuta soltanto nei casi previsti tassativamente dalla legge e in esecuzione di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria; 2. l’autorità di pubblica sicurezza può intervenire di propria iniziativa all’interno di un domicilio privato in casi di necessità e urgenza, ma subito dopo deve chiedere la convalida del provvedimento all’autorità giudiziaria; L’inviolabilità del domicilio rappresenta una manifestazione particolare della tutela della riservatezza o della privacy: ogni persona ha il diritto di avere una propria vita privata, che non può essere violata né da altre persone né, dagli altri organi pubblici. Un altro aspetto della libertà individuale è costituito dalla libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 15 primo comma). Ogni persona ha il diritto di comunicare liberamente e segretamente con chi vuole, senza che altri soggetti possano impedire la comunicazione o prendere conoscenza del suo contenuto. Un individuo, quindi, è libero di trasmettere o di ricevere qualsiasi genere di messaggio e con qualunque mezzo di comunicazione. Analogamente agli altri diritti di libertà, anche il diritto di una persona di comunicare con altre persone è inviolabile ma può subire alcune limitazioni (consistenti principalmente nel sequestro della corrispondenze o nell’intercettazione delle comunicazioni telefoniche), che però devono avvenire con le garanzie stabilite dalla legge e in base a un atto motivato di un giudice. È da notare che, a differenza delle altre libertà che abbiamo studiato, in materia di libertà di comunicazione l’autorità di pubblica sicurezza può agire soltanto in conformità a un mandato dell’autorità giudiziaria e non può mai adottare di sua iniziativa dei provvedimenti di carattere provvisorio. La Costituzione infine riconosce a tutti i cittadini la libertà di circolazione e di soggiorno (ART. 16 primo comma). La libertà di circolazione e di soggiorno consiste nel diritto di muoversi e di risiedere liberamente, per qualsiasi motivo, in qualunque luogo all’interno del territorio dello Stato italiano. Diritto riconosciuto soltanto ai cittadini italiani, ai cittadini degli altri Paesi dell’Unione europea. La libertà di movimento di un cittadino comprende anche il diritto di espatriare e di rimpatriare, vale a dire di andare all’estero e di rientrare in Italia, con l’osservanza degli eventuali obblighi stabiliti dalla legge. La libertà di riunione e di associazione La nostra Costituzione riconosce espressamente alcune libertà collettive e, in particolare, la libertà di riunione e di associazione. Questa libertà è il risultato da un lato di una realizzazione al regime fascista, che aveva soppresso il diritto di riunirsi e di associarsi liberamente, e dall’altro dello sviluppo del socialismo e del movimento operaio, che hanno sempre basato la loro azione politica e sindacale sulla organizzazione e sulla lotta collettiva. La forma più elementare di libertà collettiva è la libertà di riunione (ART. 17), che è l’incontro volontario e temporaneo di più persone per uno scopo comune. La libertà di riunione consiste nel diritto di riunirsi liberamente per qualsiasi motivo (politico, sindacale, religioso), senza necessità di un’autorizzazione preventiva, purchè la riunione avvenga in modo pacifico e senza armi. La Costituzione riconosce la libertà in esame soltanto ai cittadini italiani e quindi anche ai cittadini degli altri Paesi dell’ Unione europea. La libertà di potersi riunire con altre persone, senza dover subire dei controlli preventivi da parte di organi pubblici, rappresenta una garanzia fondamentale della democrazia perché consente a tutti, e in particolare alle minoranza, di fare politica e di manifestare le proprie idee. Il diritto di riunirsi liberamente con altre persone è sottoposto, a tutela della tranquillità e dell’ordine pubblico, a un unico limite: le manifestazioni devono svolgersi in modo pacifico e senza armi. Se una riunione avviene in un luogo pubblico, inoltre, devono essere osservate alcune formalità: 1. gli organizzatori devono inviare un preavviso al questore almeno tre giorni prima (indicando la data, l’ora, il luogo e i motivi della riunione); 2. l’autorità di pubblica sicurezza può vietare o sciogliere la riunione soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Se la riunione si svolge in un luogo privato o aperto al pubblico non è necessario dare il preavviso e l’autorità di PS non può vietare o sciogliere la riunione. Un fenomeno più complesso di una semplice riunione è una associazione, che ricorre quando più persone si organizzano in modo stabile per realizzare uno scopo comune. La Costituzione riconosce a tutti i cittadini la libertà di associazione (ART 18). La libertà di associazione consiste nel diritto di associarsi liberamente, senza necessità di un’autorizzazione pubblica, per realizzare qualunque fine che non sia vietato ai singoli dalla legge penale. È possibile quindi costituire qualsiasi tipo di associazione e con qualsiasi scopo (politico, sindacale, religioso) senza ingerenze esterne da parte dello Stato, perché le associazioni possono fare tutto quello che è lecito per i singoli individui. Anche la libertà di associazione incontra alcuni limiti. In primo luogo sono proibite le associazioni criminali, costituite al solo scopo di compiere dei reati (furti, rapine) e la costituzione di una associazione diretta a commettere dei reati costituisce anche un reato (associazione per delinquere o di tipo mafioso. In secondo luogo sono vietate le associazioni segrete e quelle che perseguono fini politici. Un altro limite alla libertà di associarsi, giustificato dalle vicende del nostro Paese, è rappresentato dal divieto di ricostruire il partito nazionale fascista sotto qualsiasi forma che è stato sciolto per legge subito dopo la caduta della dittatura fascismo. La libertà religiosa L’articolo 19 della Costituzione riconosce a tutti la libertà religiosa, affermata in Europa nei secoli XVI e XVII. La libertà di religione comprende: il diritto di avere una fede, di professarla e di farne propaganda pubblicamente, vale a dire di dichiarare il proprio credo religioso e di cercare di convertire altre persone alla propria fede; il diritto di praticare il culto, in privato e anche il pubblico, purchè non si tratti di pratiche o di riti contrari al buon costume, cioè che offendano il comune senso del pudore delle persone o la morale sessuale corrente. Le manifestazioni religiose, pertanto, non possono essere sottoposte ad autorizzazioni o a controlli amministrativi e sono lecite, a meno che non siano contrarie al buon costume. La religione è sia un fenomeno individuale, riguardante la coscienza di ogni singola persona, sia un fenomeno collettivo, perché i fedeli fanno parte di confessioni religiose, che hanno una propria organizzazione e proprie regole distinte da quelle dello Stato. Il primo comma dell’articolo 8 della Costituzione proclama il principio generale che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Questa affermazione, che pone sullo stesso piano la confessione cattolica e le altre confessioni per quanto riguarda la libertà dio culto, non esclude che alla religione cattolica possa essere riservato in trattamento diverso, in considerazione della sua importanza e della sia diffusione nella società italiana. I credenti sono uguali nell’espressione e nella manifestazione della propria fede, mentre le confessioni religiose sono uguali soltanto nella libertà da qualsiasi intervento esterno da parte dello Stato e, quindi, possono essere trattate in modo diverso dalla legge: l legge dello Stato può prevedere l’insegnamento della religione cattolica, e non di altre religioni, nelle scuole pubbliche. Al riguardo la nostra Costituzione prevede un sistema diverso dei rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose. Nel nostro ordinamento giuridico i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono disciplinati dall’articolo 7 della Costituzione. Il primo comma dell’articolo 7 della Costituzione afferma che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani: costituiscono due ordinamenti giuridici del tutto autonomi. Alla Chiesa cattolica viene riconosciuta una posizione di parità rispetto allo Stato, perché la Chiesa non è soggetta alla sovranità dello Stato e i loro rapporti giuridici sono regolati con accordi bilaterali. In base al secondo comma dell’articolo 7 della Costituzione i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica sono disciplinati dai cosiddetti Patti Lateranensi. La Costituzione disciplina i rapporti dello Stato italiano con le altre confessioni religiose, che come tutti i soggetti pubblici o privati che operano al suo interno sono sottoposte alla sovranità dello Stato, in modo diverso dai rapporti con la Chiesa cattolica. In primo luogo alle confessioni diverse da quella cattolica viene riconosciuto il diritto di autoregolamentarsi, vale a dire di disciplinare autonomamente i loro rapporti interni, a condizione che i loro statuti o regolamenti non siano in contrasto con le leggi statali: lo Stato quindi si mantiene “neutrale” rispetto alle diverse confessioni religiose e non interferisce, se non violano le sue norme giuridiche, con le loro regole interne. In secondo luogo i rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni non cattoliche sono disciplinati con una legge ordinaria dello Stato, in base a una intesa preventiva con i rappresentanti delle comunità interessate. La libertà di manifestazione del pensiero Un’altra libertà fondamentale della persona è la libertà di espressione o di opinione che consiste nel diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. (art. 21 Cost.) Ogni persona, quindi, è libera di comunicare alle altre persone quello che pensa con qualsiasi mezzo, senza limitazioni o controlli preventivi da parte della pubblica autorità. Il diritto di manifestare liberamente le proprie opinioni si è affermato nello Stato moderno e rappresenta uno dei caratteri distintivi più importanti dei regimi democratici. Nei regimi autoritari o totalitari esiste un’unica verità ufficiale dello Stato , che si identifica con l’ideologia del “capo” e viene repressa in modo sistematico qualsiasi manifestazione di dissenso, cioè di opinioni diverse da quelle ammesse dal potere costituito; nei regimi democratici, come il nostro invece, non vi è un’unica verità, ma un’opinione pubblica che si forma e si modifica liberamente attraverso la discussione e il confronto delle diverse idee. La libertà di opinione quindi è una condizione necessaria ed è la principale garanzia del corretto funzionamento di un sistema democratico, perchè senza libertà di pensiero e di critica non esiste una reale democrazia. Anche la libertà di espressione, però, è soggetta ad alcuni limiti: Limite del buon costume: viene previsto esplicitamente dalla Costituzione e riguarda la pubblica decenza. E’ vietata qualsiasi manifestazione del pensiero contraria al buon costume (art. 21 comma 6 Cost.), vale a dire al cosiddetto “comune senso del pudore”. Il concetto di pudore sessuale e di “osceno” deve essere valutato caso per caso dal giudice ed è variabile nel tempo, in relazione alla sensibilità e ai valori (religiosi, morale ecc.) prevalenti all’interno di una società. Le opere cinematografiche sono soggette a una censura preventiva, che invece non è più prevista per le opere teatrali. Un film prima di essere proiettato in pubblico deve ottenere il “visto” dell’autorità amministrativa, che può vietarne la visione ai minori di 14 o 18 anni. L’autorità giudiziaria può disporre anche il sequestro di un film o il divieto di rappresentare un’opera teatrale su tutto il territorio nazionale per violazione del buon costume. Infine, per tutelare i bambini e gli adolescenti, la proiezione televisiva di film contenenti “immagini di sesso o di violenza tali da potere incidere negativamente sulla sensibilità dei minori” deve avvenire nella fascia dalle 23 alle 7. La dignità e la riservatezza delle persone: è vietato offendere l’onore o la reputazione di altre persone o diffondere notizie riservate relative alla loro vita privata (a meno che non si tratti di personaggi “pubblici” come uomini politici o attori) Il segreto di Stato e il segreto d’ufficio: ai dipendenti pubblici è vietato rivelare delle notizie riservate, relative alla loro attività o che hanno appreso nello svolgimento della loro attività, che devono rimanere segrete per non compromettere la sicurezza dello Stato o l’esercizio delle funzioni pubbliche. L’ordine pubblico: è vietato incitare altre persone a commettere un reato (istigazione a delinquere) o elogiare pubblicamente un comportamento illecito (apologia di reato). La forma più importante di manifestazione del pensiero è costituita dai mezzi di comunicazione di massa (come la stampa, la radio, la televisione ecc). E’ fondamentale quindi assicurare la libertà dell’informazione, che comprende sia il diritto DELLA informazione sia il diritto ALLA informazione. Se da un lato è vero che i mass media devono essere liberi di informare il pubblico senza controlli da parte del potere politico (diritto di informazione), dall’altro lato è anche vero che il pubblico ha il diritto di essere informato in modo imparziale e obiettivo, senza manipolazioni delle notizie da parte dei mezzi di informazione (diritto all’informazione). E’ escluso qualsiasi controllo preventivo sulla stampa, che non può essere sottoposta ad autorizzazioni o a censure (art. 21 comma 2 Cost.). Il sequestro della stampa è consentito soltanto se sono stati commessi alcuni reati di opinione (come la diffamazione, il vilipendio delle istituzioni ecc) oppure se si tratta di una pubblicazione clandestina od oscena. (art. 21 comma 3, 4 Cost.). I rapporti sociali ed economici I rapporti sociali Nella nostra Costituzione i rapporti sociali (artt. 29 ss.) riguardano: La famiglia La salute L’istruzione FAMIGLIA: La costituzione definisce la famiglia come una “società naturale”, vale a dire come una forma spontanea di aggregazione sociale. La Costituzione riconosce e tutela la famiglia legittima (fondata sul matrimonio), ma non ha ritenuto opportuno riconoscere la cosiddetta famiglia naturale (di fatto). La famiglia si basa sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, tra loro e nei confronti dei figli. (Art. 29 comma 2 Cost.). La parità dei coniugi è stata realizzata attraverso il riconoscimento al marito e alla moglie degli stessi diritti e doveri attraverso la riforma del diritto di famiglia (19 maggio 1975). Entrambi i genitori sono tenuti a mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.) sia legittimi che naturali (cioè nati al di fuori del matrimonio) (art. 30 comma 3 Cost.). Lo stato potrà intervenire al posto dei genitori soltanto se non sono in grado di assolvere i loro compiti nei confronti dei figli (art. 30 comma 2 Cost.). SALUTE: La salute viene tutelata dalla costituzione come “diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Dalla costituzione risulta che la salute non è soltanto un fatto privato di ogni individuo ma anche un fatto sociale, perchè solo chi è sano può concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4 Cost.). La legge non consente agli individui di disporre liberamente della propria vita e del proprio corpo, in particolare sono vietati l’omicidio di una persona consenziente e gli atti di disposizione del proprio corpo che causino una diminuzione permanente dell’integrità fisica di una persona. I principi costituzionali relativi alla salute riguardano: La garanzie di cure gratuite per le persone indigenti, cioè per coloro che non hanno mezzi economici per curarsi Trattamenti obbligatori solo nei casi previsti dalla legge e nel rispetto della dignità umana ISTRUZIONE: La nostra costituzione afferma espressamente il principio della libertà dell’arte, della scienza e del loro insegnamento. La libertà della cultura è collegata alla libertà di manifestazione del pensiero. Per quanto riguarda l’istruzione la Costituzione stabilisce che lo Stato deve istituire scuole statali di ogni ordine e grado e che la scuola è aperta a tutti senza alcuna discriminazione. Il sistema scolastico in Italia è formato da scuole pubbliche e scuole private. L’istruzione scolastica è insieme un diritto e un dovere, in quanto la Costituzione stabilisce l’obbligo per tutti di frequentare un corso minimo di studi di otto anni, durante i quali la scuola è obbligatoria, gratuita e uguale per tutti; è evidente che un corso minimo di studi uguale per tutti è utile sia ai singoli individui, perché consente loro di acquisire delle conoscenze e di sviluppare delle capacità, sia alla collettività, perché l’eliminazione di conseguenze negative, tipo l’analfabetismo, costituiscono un vantaggio per la società. Poiché il periodo della cosiddetta scuola dell’obbligo è fissato dalla Costituzione in almeno otto anni, la legge ordinaria può prevedere un livello minimo di istruzione più elevato: secondo la riforma Moratti si stabilisce che venga assicurata a tutti il diritto alla istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, sino al raggiungimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. La Costituzione prevede espressamente il diritto delle persone capaci e meritevoli di continuare gli studi oltre la scuola dell’obbligo, anche se non hanno i mezzi economici sufficienti per proseguire gli studi, allo scopo di rendere effettivo questo diritto lo Stato deve prevedere degli aiuti economici. I rapporti economici I rapporti economici sono disciplinari nel titolo III della parte prima della Costituzione e riguardano principalmente la disciplina del lavoro: il lavoro è considerato dalla Costituzione come un valore fondamentale dell’intera società (cosiddetto principio lavorista art. 1); della proprietà privata: è riconosciuta e garantita dalla Costituzione che, afferma anche che la legge deve stabilire i limiti per assicurarne la funzione sociale e l’accessibilità a tutti e che la proprietà può essere soggetta a espropriazione per motivi di pubblico interesse; dell’iniziativa economica privata: la nostra Costituzione traccia le linee di un sistema a economia mista, nel quale la proprietà dei mezzi di produzione può essere pubblica o privata e l’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o con altri valori ritenuti fondamentali (sicurezza, libertà). I Doveri costituzionali Come risulta chiaramente dalla lettura dell’articolo 2 della Costituzione, essa disciplina i doveri fondamentali dei cittadini. In proposito la Costituzione pone una riserva di legge stabilendo che una prestazione personale o patrimoniale, consistente nel fare o nel dare qualcosa può essere imposta soltanto in base alla legge. Il principio di legalità costituisce una garanzia fondamentale per i cittadini, perché soltanto il Parlamento, che è l’organo che rappresenta il popolo, può imporre dei nuovi doveri. La riserva di legge tuttavia è una riserva soltanto relativa, perché un dovere deve essere previsto in modo generale e astratto da una disposizione legislativa ma può essere specificato in concreto, nei limiti stabiliti dalla legge, con un atto amministrativo. La carta costituzionale sancisce espressamente i seguenti doveri fondamentali nei confronti dello Stato: la difesa della Patria (art. 52 cost); il concorso alle spese pubbliche (art. 53 cost); la fedeltà alla Repubblica e l’osservanza della Costituzione e delle leggi (art. 54 cost). Il primo dovere imposto ai cittadini, che è definito <<sacro>> per mettere in evidenza l’importanza, consiste nel dovere di difendere la Patria. La difesa del proprio Paese, che è un dovere per tutti i cittadini, si manifesta nello svolgimento del servizio militare che in passato era un servizio obbligatorio; mentre dal 1 gennaio 2005 è diventato un servizio militare professionale, cioè riservato a volontari. La Costituzione impone il dovere di concorrenza alle spese pubbliche, cioè di pagare i tributi (imposte, tasse e contributi) per finanziare i servizi pubblici. Questo dovere trova il proprio fondamento nel dovere di solidarietà economica, previsto dall’art. 2 della Costituzione e qualificato espressamente come inderogabile. Il dovere di contribuire alle spese pubbliche non riguarda soltanto i cittadini, ma tutti coloro che vivono o lavorano in Italia e che producono un reddito. Per quanto riguarda le modalità del concorso alle spese pubbliche, la Costituzione fissa due criteri: da un lato dichiara che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in base alla loro capacità contributiva; dall’altro afferma che il sistema tributario deve basarsi nel suo complesso su un criterio di progressività, in quanto il carico fiscale complessivo deve crescere in modo più che proporzionale rispetto all’aumento della ricchezza dei contribuenti. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. In particolare, i funzionari pubblici e le persone incaricate di svolgere delle funzioni pubbliche hanno il dovere di adempiere le funzioni con disciplina e onere. La violazione di questo dovere può dare luogo all’applicazione di sanzioni amministrative o sanzioni penali. La Corte Costituzionale La giustizia costituzionale L’introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, di un sistema cioè diretto ad assicurare il rispetto della Costituzione da parte delle altre fonti normative è strettamente legato alla natura rigida o flessibile della Costituzione. Anzi, la garanzia giuridica della rigidità della Costituzione è rappresentata soprattutto dalla introduzione di un sistema di giustizia costituzionale. La nostra Costituzione è rigida e perciò si richiede la necessità di introdurre nel sistema istituzionale un meccanismo di verifica della conformità delle leggi della Costituzione. Quest’organo è chiamato Corte Costituzionale. Si può dire che solo dopo il secondo conflitto mondiale, la giustizia costituzionale è divenuto, in Europa, un principio generalmente accolto: oltre che in Italia, è avvenuto così, ad es. in Germania, con la Costituzione del 1949; in Francia con la Costituzione del 1958; in Portogallo, con la Costituzione del 1976; in Spagna con la Costituzione del 1978. Il modello di giustizia costituzionale voluto dai Costituenti Quando in Assemblea costituente matura la scelta a favore di una Costituzione rigida e si affronta il problema di assicurare il rispetto di questo principio attraverso l’introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, sono due i modelli a cui si fa riferimento: quello “diffuso”, proprio della tradizione americana; e quello accentrato, proprio dell’esperienza austriaca. Il risultato finale del dibattito che si svolse su questo tema fu l’introduzione di un modello di giustizia costituzionale che, in qualche modo, tenta una fusione tra elementi appartenenti ad entrambi quei modelli di riferimento. Così del modello “accentrato” il Costituente accolse il principio di affidare ad un apposito organo costituzionale il compito di garantire il rispetto della rigidità della Costituzione; del modello “diffuso” esso accolse il principio dell’estensione del sindacato della Corte costituzionale anche ai profili di legittimità sostanziale della legge e del coinvolgimento nel processo di costituzionalità dei giudici comuni, attraverso il cosiddetto procedimento in via incidentale. Quella che viene designata dal Costituente è un’alta magistratura che riflette nella sua composizione la natura peculiare dell’attività che essa è chiamata a svolgere (giurisdizionale e politica insieme) e alla quale possono rivolgersi tanto organi dello Stato o delle Regioni, in relazione all’insorgere di conflitti la cui soluzione sia legata all’interpretazione di specifiche disposizioni costituzionali, quanto ai singoli cittadini, attraverso l’intermediazione del giudice, sempre nell’ipotesi che specifiche posizioni soggettive, loro riconosciute dalla Costituzione, siano state lese dal legislatore ordinario. Un’alta magistratura cui viene attribuito in esclusiva il potere di pronunciarsi su questo tipo di controversie e con decisioni inappellabili. Struttura e funzionamento della Corte. L’art. 135 Cost. fissa a 15 il numero dei membri dell’organo di giustizia costituzionale, attribuendo la nomina di 5 giudici rispettivamente al Parlamento, al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature ordinarie e amministrative (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti). Le nomine parlamentari avvengono a Camere riunite; esiste una regola convenzionale che stabilisce che la designazione di questi cinque giudici venga riservata ai partiti che siedono in Parlamento, secondo i rapporti di forza che le rispettive rappresentanze esprimono. Una regola in larga misura analoga ha finora guidato anche l’esercizio del potere di nomina assegnato al Capo dello Stato, nel senso che, anche in questo caso, si tratta di nomine che spesso vengono ispirate prevalentemente da criteri di equilibrio della rappresentanza delle diverse aree politiche. La Costituzione non si occupa direttamente di disciplinare le modalità che devono essere seguite per la nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. Tale disciplina prevede che tre dei cinque giudici vengano nominati dalla Corte di Cassazione, e gli altri due dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti. Per essere eletti è richiesta, al primo scrutinio la maggioranza assoluta; ove questa non venga raggiunta, si procede al ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero dei voti e tra questi viene eletto chi ottiene la maggioranza relativa. In caso di parità, risulta eletto il più anziano. Il ruolo di Presidente della Corte è svolto da uno dei membri eletto a maggioranza dai componente dell’organo. Il Presidente dura in carica tre anni ed è rieleggibile, sempre ovviamente entro i limiti del suo mandato novennale. Al Presidente sono conferiti numerosi e rilevanti poteri non solo in ordine allo svolgimento della discussione del collegio ma anche in ordine alla definizione del calendario della cause da decidere. Oltre ai poteri che gli spettano sul piano interno, esiste una funzione di rappresentanza esterna della Corte, che viene svolta dal Presidente e che egli esercita in numerosi modi, tra cui quello di un conferenza stampa annuale, con cui viene fatto il punto sugli sviluppi della giurisprudenza della Corte. Non appena eletti, i giudici della Corte Costituzionale sono tenuti a prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione davanti al Presidente della Repubblica. Allo scadere del termine dei nove anni, i giudici costituzionali cessano dalla carica e dall’esercizio delle loro funzioni. La composizione ordinaria della Corte muta nel caso in cui l’organo di giustizia costituzionale sia chiamato ad esercitare la sua competenza penale, in ordine ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione del Presidente della Repubblica; la composizione della Corte viene in questo caso integrata da 16 giudici non togati, estratti a sorte dalla lista predisposta dal Parlamento in seduta comune. Come ogni altro organo costituzionale, la Corte e i suoi membri godono di particolari guarentigie volte a garantirne l’autonomia e l’indipendenza. Le garanzie disposte a favore dell’organo sono: - potere di procedere alla verifica dei poteri dei propri membri, ossia alla verifica del possesso dei requisiti richiesti per rivestire la carica di giudice costituzionale; - potere di decidere ogni questione relativa ad eventuali cause di incompatibilità; - potere di decidere la rimozione dalla carica dei propri membri, con una maggioranza pari ad almeno i due terzi dei presenti, qualora si determinino situazioni di incapacità fisica o civile o si verifichino gravi mancanze nell’adempimento dello loro funzioni; - autonomia finanziaria, da esercitarsi nei limiti del fondo stanziato da una legge del Parlamento per il funzionamento dell’organo di giustizia costituzionale; - autonomia amministrativa, che consente alla Corte, nei limiti delle disponibilità, non solo di determinare il proprio fabbisogno di personale di supporto, ma anche di decidere ogni questione connessa a questi rapporti di impiego; - autonomia regolamentare, attraverso la quale la Corte può dettare una disciplina integrativa della propria organizzazione, nonché dei procedimenti relativi all’esercizio delle sue funzioni; - potere di polizia interna assegnato al Presidente della Corte; - “giustizia domestica”, ossia potere di decidere le controversie in materia di impiego relative ai suoi dipendenti, le quali sono dunque sottratte al giudice amministrativo. Le garanzie assicurate ai giudici costituzionali sono: - l’inamovibilità; - l’insindacabilità e non perseguibilità per le opinioni e i voti espressi nell’esercizio delle proprie funzioni; - la non sottoponibilità a limitazioni della libertà personale, salva l’autorizzazione della stessa Corte; - una retribuzione. I principi generali su cui si basa il suo funzionamento sono quello della - pubblicità: le sedute della Corte sono pubbliche, salvi i casi, per motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, all’ordine pubblico o alla orale, o per turbative provenienti dal pubblico all’udienza, il Presiedente non decida che quest’ultima debba avvenire a porte chiuse; sentenze e ordinanze della Corte Costituzionale sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale; - collegialità: stabilisce che la Corte operi alla presenza di almeno undici giudici e che le decisioni siano prese in camera di consiglio, alla presenza di tutti i giudici che hanno partecipato alle varie fasi di trattazione della causa, a maggioranza assoluta dei votanti. Il controllo di legittimità costituzionale: l’oggetto La prima e fondamentale funzione della Corte costituzionale è quella di esercitare il controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi. Oggetto di tale controllo non sono solo le leggi approvate dal Parlamento, ma anche gli atti aventi forza di legge dello Stato (decreti legislativi, decreti legge, norme di attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, gli statuti delle Regioni di diritto comune) e delle Regioni (le leggi regionali e le leggi di Trento e Bolzano). Non sono stati compresi, invece nella categoria degli atti sottoponibili al giudizio della Corte i regolamenti, nella convinzione che essendo questi, in quanto fonti secondarie, subordinati alla legge, non potessero direttamente apportare alcuna violazione alla Costituzione (ma questo non vale per i regolamenti indipendenti, il cui contenuto è slegato da una normativa precedente). Non rientrano tra gli atti sottoponibili al giudizio della Corte neppure i regolamenti parlamentari e degli altri organi costituzionali. Vi rientrano, invece, sia le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sia gli atti normativi comunitari per il tramite della legge di attuazione dei Trattati. Per ciò che attiene al referendum abrogativo esistono dei dubbi che riguardano non tanto la natura dell’atto, quanto i vizi che la Corte sarebbe chiamata a sindacare, posto che la stessa Corte interviene in via preventiva, in sede di giudizio di ammissibilità. Si tratterebbe qui, allora di vizi diversi e connessi o all’eventuale violazione delle regole procedimentali che disciplinano il ricorso al referendum o alla situazione normativa che si determina a seguito dell’effetto abrogante dell’istituto, la quale potrebbe presentare dei profili di illegittimità costituzionale. Nel primo caso, tuttavia, va ricordato che l’Ufficio centrale per il referendum ed il Presidente della Repubblica hanno già il compito di accertare l’avvenuto rispetto delle regole procedimentali, mentre nel secondo caso, risulta assai problematica l’individuazione puntuale dei profili di illegittimità dei quali la Corte si vedrebbe investita e, soprattutto, non è chiaro se, in questa ipotesi, ad essere sottoposto alla Corte dovrebbe essere l’atto conclusivo del procedimento referendario o non piuttosto la disciplina normativa di quella determinata materia, così come risultata amputata dall’effetto abrogante del referendum stesso. Per ciò che attiene alle leggi di esecuzione dei trattati internazionali , il problema nasce dal fatto che si ritiene che esse dono dotate di una particolare forza di resistenza passiva, nel senso che si ritiene che esse non possano essere abrogate da un’altra legge successiva, proprio per la connessione che le lega al trattato internazionali, i cui effetti nell’ordinamento interno potrebbero esser fatti cessare, in tutto o in parte, solo attraverso un’azione internazionale dello Stato diretta alla denuncia del trattato stesso. Di qui l’interrogativo circa la loro sottoponibilità o meno al controllo di legittimità della Corte, che potrebbe provocarne la caducazione totale o parziale, qualora il contenuto del trattato, cui la legge dà esecuzione, risultasse in contrasto con la Costituzione. Sempre in ordine all’oggetto del giudizio della Corte, resta da chiarire il problema se esso debba svolgersi solo sulle disposizioni legislative che le vengono sottoposte o anche sulle norme che, in via interpretativa, se ne possono desumere. Oggi nessuno mette in discussione che il controllo di legittimità delle leggi investa tanto le disposizioni, quanto le norme da esse comunque desumibili. I vizi sindacabili e le norme parametro Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è innanzitutto un controllo formale: la Corte può cioè sindacare il rispetto o meno delle regole che disciplinano il procedimento che porta all’approvazione e all’entrata in vigore di una legge o di un atto avente forza di legge. Ma il controllo della Corte può essere anche sostanziale, può cioè investire, oltre ai profili formali della legge impugnata, quelli relativi al suo contenuto, al fine di vagliarne al conformità o meno rispetto alla Costituzione. Sotto il profilo sostanziale, i vizi della legge sindacabili della Corte sono di tre ordini: - violazione della Costituzione, individua il contrasto tra una legge ed una specifica norma costituzionale; - incompetenza, riguarda gli atti legislativi adottati da soggetti diversi da quelli cui, per Costituzione, sarebbe spettato adottarli - eccesso di potere legislativo: in relazione agli atti amministrativi, indica l’adozione di un atto per conseguire finalità diverse da quelle previste dalla legge; in relazione alla legge, indica l’adozione di una legge che, per il suo contenuto, non risponde a certe finalità, previste dalla Costituzione, al cui raggiungimento essa è vincolata. Qui, si tratta di trovare volta per volta, quale si il limite costituzionale alla discrezionalità del legislatore che la Corte è tenuta a far rispettare in sede di sindacato sull’eccesso di potere legislativo: problema di non facile soluzione e che spesso ha dato adito a decisioni fortemente contestate dell’organo di giustizia costituzionale. La stessa Corte ha messo a punto, in via giurisprudenziale, alcuni criteri guida per orientare il suo sindacato su questo possibile vizio della legge: in concreto, esso potrà investire la palese contraddittorietà del contenuto della legge rispetto ai suoi presupposti, l’incongruità dei mezzi predisposti, rispetto al raggiungimento delle finalità e le ragionevolezza del contenuto della legge, sempre misurata alla luce delle sue finalità. I parametri di controllo di costituzionalità della legge sono le norme espressamente prevista dalla Costituzione e i principi desumibili anche implicitamente dal dettato costituzionale. Vengono utilizzate come parametro anche le norme “interposte”, cioè quelle norme che si interpongono tra la norma costituzionale, di cui rappresentano una specifica attuazione e la norma di legge impugnata davanti alla Corte: - leggi di delegazione, le quali devono necessariamente contenere, secondo quanto disposto dall’art. 76 Cost., tutta una serie di limiti cui il Governo deve attenersi nell’adottare i conseguenti decreti delegati: ove quest’ultimi non rispettino le indicazioni contenute nella legge di delegazione, possono essere impugnati davanti alla Corte e dichiarati incostituzionali per violazione della norma interposta, in quanto violazione indiretta dei limiti alla delegazione legislativa; - norme internazionali generalmente riconosciute: la loro violazione da parte del legislatore nazionale si tradurrebbe in una violazione indiretta del principio affermato dall’art. 10, il quale, come abbiamo visto, consente una diretta operatività di tali norme nell’ambito dell’ordinamento interno, con conseguente obbligo di rispetto del loro contenuto da parte della legge nazionale; - “legge cornice”, quelle destinate, secondo l’art. 117 Cost. a dettare i principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza legislativa concorrente delle Regioni e nel rispetto dei quali tale competenza deve essere esercitata: anche in questa ipotesi, dunque, l’eventuale violazione da parte della legge regionale dei principi fondamentali contenuti nella legge cornice è soggetta al sindacato della Corte, in quanto violazione indiretta dell’art. 117 Cost. - norme comunitarie, il cui ingresso nell’ordinamento interno come norme direttamente applicabili, e quindi, non modificabili dal legislatore nazionale, è garantita dall’art. 11 Cost., sì che la loro eventuale violazione si tradurrebbe in una violazione indiretta della citata norma costituzionale. L’accesso alla Corte in via incidentale e principale Il giudice dal quale deriva la controversia di legittimità costituzionale viene chiamato giudice a quo. Può essere una delle parti del processo a quo a sollevare la questione, sostenendo che una norma che dovrebbe essere applicata in suo sfavore contrasta con la Costituzione; oppure lo stesso giudice chiamato a risolvere la controversia può essere in dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme legislative da applicare. Per conoscere le regole procedimentali che consentono di sottoporre una legge, o un atto avente forza di legge, al sindacato di legittimità dell’organo di giustizia costituzionale bisogna fare riferimento alla legge cost. 1/1948. Tali regole danno vita a distinti procedimenti: a. un procedimento in via incidentale. Nasce da una iniziativa di un giudice comune, la quale si lega strettamente alla soluzione di un caso concreto che quel giudice si trovi a dover decidere: nel corso del giudizio può avvenire, infatti, che il giudice si convinca che una certa disposizione legislativa, che dovrebbe applicare per decidere quel processo, presenti dubbi di legittimità costituzionale. In questo caso egli sospende il processo e solleva la questione di legittimità costituzionale di quella disposizione legislativa davanti alla Corte costituzionale (ordinanza motivata di rinvio: atto che sospende il processo in corso e apre quello che si svolge davanti alla Corte Costituzionale, che deve contenere: l’indicazione della disposizione in considerazione; l’indicazioni delle disposizioni costituzionali che si ritengono violate; i motivi cha hanno indotto il giudice a ritenere la questioni di legittimità costituzionale sottoposte alla Corte rilevante ai fini della decisione del processo, giudizio di rilevanza; i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere che la questione di legittimità non sia manifestamente infondata, ossia ritenere che esistano davvero i dubbi circa la conformità a Costituzione di quella disposizione, giudizio di non manifestata infondatezza). Si tratta, dunque, di un procedimento che coinvolge anche i giudici comuni nel controllo di legittimità costituzionale delle leggi, con un ruolo non decisionale, ma di iniziativa e di filtro delle diverse questioni che possono nascere in sede di applicazione della legge nelle singole specifiche controversie. b. un procedimento in via principale (o diretta). L’unica ipotesi in cui è consentito un accesso diretto alla Corte, attiene ai rapporti tra legge statale e legge regionale: qualora lo Stato o una Regione ritengano, rispettivamente, o una legge regionale o una legge statale in contrasto con la Costituzione, e, più in particolare, in contrasto con i criteri costituzionalmente fissati per il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, essi possono direttamente sollevare la relativa questione davanti alla Corte. L’impugnazione da parte dello Stato di una legge regionale è una questione che può essere promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso, entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione dell’avvenuta riapprovazione della legge da parte del Consiglio regionale, in sede di riesame del testo già approvato, ma rinviato dal Governo alla Regione, nel corso della prima fase di controllo. I motivi che possono determinare questa situazione sono legati al mancato rispetto da parte del legislatore regionale dei limiti che la Costituzione pone alla potestà legislativa delle Regioni. Questa è una forma di controllo di legittimità di tipo preventivi: esso precede, cioè, la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale. Oltre che dallo Stato una legge regionale può essere impugnata da un’altra Regione, la quale ritenga tale legge invasiva della propria competenza costituzionale garantita; l’impugnazione va promossa, previa deliberazione della Giunta, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge e dà luogo, pertanto ad un controllo successivo. Sul versante regionale, legittimato a promuovere l’impugnazione di una legge dello Stato è il Presidente della Regione, sulla base di un’apposita deliberazione adottata dalla Giunta entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge. L’impugnazione da parte delle Regioni di una legge statale si basa sull’invasione della propria sfera di competenza costituzionalmente garantita. L’esame della questione da parte della Corte Una volta scaduto il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rinvio sulla Gazzetta Ufficiale per la Costituzione per la costituzione delle parti e indipendentemente dal fatto che tale costituzione sia o meno avvenuta, ha inizio il processo di costituzionalità davanti alla Corte. L’esame della questione deve attenersi trattamento ai termini ei quali essa è stata posta dall’ordinanza di rinvio. Tale esame inizia con una valutazione della rilevanza della questione per la decisione del processo “a quo”. Il giudizio di rilevanza, come si è visto, è riservato al giudice comune, sì che l’intervento della Corte deve limitarsi ad accertare l’esistenza di una motivazione. In caso di esito negativo di questo primo tipo di valutazione operato dalla Corte, essa adotterà una pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza e, senza entrare nel merito della questione di legittimità costituzionale, rinvierà gli atti al giudice “a quo” (ordinanza di inammissibilità). Sempre con ordinanza, la Corte rinvia gli atti al giudice “a quo”, nel caso on cui ritenga la questione di legittimità costituzionale manifestatamene infondata (ordinanza di manifesta infondatezza): siamo anche in questo caso, di fronte ad una valutazione preliminare. Nell’ipotesi opposta, viceversa, la Corte dovrà valutare se i dubbi di legittimità costituzionale espressi nell’ordinanza di rinvio, e non ritenuti manifestatamene infondati, siano tali da portare o meno ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata.La decisione della questione avviene in Camera di Consiglio, ma può essere preceduta da un’udienza pubblica. La Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre tutti gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza. Le modalità di conclusione del processo costituzionale: a) in via incidentale Le sentenze della Corte si compongono di tre parti: 1. in fatto, vengono riassunti i termini della questione, ed esposte le posizioni espresse nalla parti che si eventualmente costituite 2. in diritto, la Corte prende posizione sia in ordine alla rilevanza della questione prposta, sia in ordine alla sua fondatezza o meno 3. dispositivo, la Corte sintetizza il contenuto della sua decisione e possono essere: - sentenze di accoglimento, che recano nel dispositivo la dichiarazione di incostituzionalità della norme impugnate. Producono l’annullamento delle norme dichiarate incostituzionale. La dichiarazione di incostituzionalità ha effetti “erga omnes”. La portata di tali effetti riguarda i rapporti giuridici successivi alla sentenza di accoglimento che non siano giuridicamente esauriti, (tale retroattività incontra tuttavia un limite, dunque, nei cosiddetti rapporti giuridici esauriti). Un altro limite “mobile” alla retroattività delle sentenze di accoglimento è venuto affermandosi in una recente giurisprudenza della Corte, là dove essa ha deciso di disporre in ordine agli effetti temporali delle sue pronunce, stabilendo direttamente il momento da cui dovessero prodursi (sentenze di incostituzionalità sopravvenuta). Come per gli effetti retroattivi, così anche per quelli futuri la Corte ha messo a punto una serie di meccanismi decisori che consentono di differire nel tempo le conseguenze connesse all’accertamento dell’incostituzionalità della legge impugnata. Si pensi alle sentenze di rigetto precario o di incostituzionalità provvisoria, con le quali la Corte accerta l’incostituzionalità della legge, ma, in virtù della transitorietà della disciplina normativa sottoposta a giudizio, rinvia ad un momento successivo la declaratoria di incostituzionalità della medesima. Si pensi, ancora, alle cosiddette, sentenze di incostituzionalità differita, che sono invece delle sentenze di accoglimento, con le quali la Corte dichiara l’incostituzionalità della legge, me, contestualmente, decide di rinviarne gli effetti ad un “dies a quo”, futuro, che, in certi casi, viene lasciato indeterminato, in latri viene puntualmente determinato dalla stessa Corte. - sentenze di rigetto, che recano nel dispositivo la dichiarazione dell’infondatezza dei dubbi di costituzionalità espressi nell’ordinanza di rinvio. Gli effetti si riverberano essenzialmente nei confronti del processo “a quo”: il giudice di quel processo dovrà adottare la sua decisione applicando le norme di legge in relazione alle quali la Corte ha dichiarato infondatezza. Ed ovviamente le stesse norme potranno continuare ad essere applicare da latri giudici comuni, nonché dagli organi amministrativi. Il rigetto di una questione di legittimità costituzionale non esclude che la stessa possa essere riproposta alla Corte, accompagnata da diverse motivazioni e, che possa andare incontro ad un esito diverso. Entrambe vengono depositate presso la cancelleria della stessa Corte, e il dispositivo delle sentenze di accoglimento viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Sentenze di accoglimento e di rigetto non esauriscono la tipologia delle decisioni della Corte Costituzionale. Quest’ultima ha, infatti, messo a punto una apparato di strumenti decisori assai più articolato e complesso, che le ha permesso di impostare un rapporto con i soggetti istituzionali destinatati delle sue pronunce meno schematico di quello che il solo ricorso ai tipi di sentenze sin qui esaminati le avrebbero consentito: - introduzione delle sentenze interpretative, con esse la Corte valuta la conformità delle norme desumibili rispetto alla Costituzione, sì che su queste e non sulle disposizioni scritte operano gli effetti della pronuncia adottata. Esistono sentenze interpretative di accoglimento con cui ad essere dichiarata incostituzionale è una certa interpretazione delle disposizione; sentenze interpretative di rigetto, che consente la sopravvivenza della disposizione impugnata, ma anche alla sua apllicazione dell’interpretazione datane dalla Corte; - sentenze additive, ablative e sostitutive. Le sentenze di accoglimento possono essere: additive, con cui la Corte dichiara la incostituzionalità della disposizione impugnata “nella parte in cui non prevede” un qualche cosa che invece dovrebbe prevedere; l’effetto sarà quello di estendere la portata normativa della disposizione impugnata, cioè aggiungono qualcosa a ciò che è scritto, ablative, con cui la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa che non dovrebbe prevedere; l’effetto sarà quello di eliminare dalla disposizione impugnata la parte ritenuta incostituzionale dalla Corte,lasciandone in vita la parte restante, cioè riducono l’ambito di applicazione della disposizione legislativa; sostitutive, con cui la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa anziché un’alta; L’effetto sarà quello di imporre al giudice comune l’applicazione della norma individuata dalla Corte in sostituzione di quella dichiarata illegittima, cioè si giunge a sostituire taluno dei suoi termini normativi. - sentenze-delega e sentenze di incostituzionalità differita. Con le sentenzedelega, infatti, la Corte nel motivare la propria decisione, si preoccupa di indicare al legislatore quali dovrebbero essere, le linee generali della normativa della materia in oggetto. Con le sentenze di incostituzionalità,la Corte, nel riconoscere l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ne fa salva tuttavia, la applicazione, in attesa di un intervento riformatore del legislatore, chiamato ad intervenire in attuazione di precise indicazioni, direttamente fornite dall’organo di giustizia costituzionale. b. la conclusione del processo in via principale Assai più semplice, sotto il profilo dei possibili strumenti utilizzabili, risulta la conclusione del processo in via principale. Esso può portare o ad una sentenza di rigetto o ad una dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale, o della legge statale impugnata. Nel caso in cui la Corte adotti una sentenza di accoglimento, l’effetto sarà quello di impedire la promulgazione e quindi l’entrata in vigore della legge regionale o provinciale, o quello di determinare l’annullamento della legge statale impugnata. Nel caso in cui la Corte adotti, invece, una sentenza di rigetto, l’effetto sarà quello di consentire la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale, o quello di consentire l’ulteriore applicazione della legge statale. Un altro effetto delle pronunce della Corte, in sede di decisione del processo in via principale, è quello di definire implicitamente l’ambito materiale delle competenze normative tra Stato e Regioni in ordine alle singole questioni chele vengono prospettate, sempre ovviamente alla luce dei criteri generali fissati dalla Costituzione. Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato La seconda funzione che l’art. 134 Cost. attribuisce alla Corte Costituzionale, attiene alla risoluzione dei conflitti di attribuzione che possono verificarsi tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni e Regioni. Il conflitto di attribuzione è una controversia con la quale si rivendica come proprio un compito che altri rivendicano come proprio. Con riferimento al conflitto tra i poteri dello Stato, l’art. 137 della legge 87/1953 pone due principi fondamentali: essi possono sorgere solo tra “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono” ed hanno ad oggetto “ la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”. Da questo derivano alcuni problemi: - individuazione dei soggetti legittimati a sollevare il conflitto davanti alla Corte. Non vi è mai stato dubbio sul fatto che legittimati ad adire la Corte fossero non solo gli organi che impersonano i tre tradizionali poteri dello Stato (Parlamento, Governo e giudici), ma anche gli organi che abbiamo ricompreso nella categoria degli organi costituzionali (Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale stessa). A questi la Corte ha successivamente assimilato quegli organi che, pur non appartenendo allo Stato-apparato, ma essendo esterni ad esso, sono tuttavia titolari di “funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite, concorrenti con quelle attribuite a poteri ed organi statali in senso proprio” (in particolare la questione riguardava il comitato promotore del referendum). L’art. 134 Cost. e l’art 137 della legge 87/1953 escludono che il conflitto tra organi appartenenti allo stesso potere non può essere portato davanti alla Corte. Nella sentenza 7/1996, la Corte ha riconosciuto la legittimazione dei singoli Ministri a sollevare il conflitto di attribuzione nell’ipotesi di contestazione di una mozione di sfiducia individuale. In questa ipotesi, infatti, è l’atto contestato, secondo la Corte, che distingue ed isola la responsabilità individuale del Ministro, sì che non gioca più l’argomento relativo alla collegialità governativa, né l’argomento della necessaria attribuzione di specifiche competenze da parte della Costituzione al soggetto ricorrente (argomento che aveva già consentito alla Corte di riconoscere la legittimazione individuale del Ministro di Grazia e Giustizia) Con ordinanza 226/1995, la stessa Corte ha. Invece, negato la stessa legittimazione al Garante per la radiodiffusione e l’editoria, sulla base di un duplice ordine di motivazioni (la natura ordinaria e non costituzionale della fonte attributiva dei poteri al Garante e l’impossibilità di poter riferire in via definitiva la volontà di uno dei poteri dello Stato. - Interpretazione di ciò che dovesse intendersi per organi “competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono”. Col tempo ha finito per prevalere un’interpretazione estensiva e non formalistica dell’inciso, sulla base della quale l’individuazione degli organi abilitati a sollevare il conflitto va fatta caso per caso, alla luce delle norme costituzionali che disciplinano le caratteristiche organizzative del potere cui essi appartengono. Così la Corte ha riconosciuto, in alcuni casi, la legittimazione al ricorso per conflitto di attribuzione a ciascuna Camera del Parlamento, alle commissioni d’inchiesta parlamentari; così la stessa legittimazione è stata riconosciuta ad ogni singolo organo giurisdizionale. - Definizione dei comportamenti suscettibili di dare origine al conflitto. Anche a questo problema si è data una soluzione non restrittiva: si ritengono ammissibili non solo i conflitti determinati da atti invasivi della altrui sfera di attribuzioni, ma anche quelli determinati dall’esercizio o dal mancato esercizio di determinate competenze, da cui derivi un impedimento o un pregiudizio all’esercizio di competenza spettanti a un altro organo. La Corte prima di esaminare il ricorso con il quale il conflitto è sollevato, decide con ordinanza circa l’ammissibilità del medesimo (decide, cioè, se esso può farsi rientrare nell’ambito dei conflitti presentabili davanti alla Corte). Solo successivamente procede a notificarlo ai soggetti controinteressati. La sentenza che risolve il conflitto ha un duplice effetto: innanzitutto essa determina a quale dei poteri in conflitto spettino le attribuzioni in contestazione e, in secondo luogo, essa può determinare l’annullamento dell’atto adottato in violazione dei criteri costituzionali di riparto delle competenze. Nel caso, invece, di conflitti aventi ad oggetto comportamenti omissivi,la pronuncia della Corte comporterà l’accertamento della illegittimità del comportamento contestato, con la conseguenza di imporre una diversa linea di azione all’organo chiamato a risponderne. Il giudizio sui conflitti tra Stato e Regioni I conflitti di cui qui ci occupiamo nascono da interferenze dovute ad atti non legislativi: ad atti amministrativi, normativi o giurisdizionali. Vengono ritenuti ammissibili non solo i conflitti nascenti da un atto specifico di esercizio di un’altrui competenza, ma anche quelli nascenti da un uso (o non uso) illegittimo delle proprie competenze, con conseguenze negative in ordine al corretto esercizio di altre competenze, costituzionalmente assegnate rispettivamente allo Stato o alla Regione. Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica Alla Corte spetta anche di giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione in relazione ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. In questo caso opera come giudice penale e assume una composizione dei 15 membri più altri 16, tratti a sorte da 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni 9 anni. Quanto al procedimento, una volta esaurita la fase preliminare delle indagini e la fase dibattimentale, diretta alla contestazione delle accuse, esso si conclude con una decisione presa in camera di consiglio. Nella votazione finale, non è ammessa l’astensione e, in caso si parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all’imputato. La sentenza che conclude il giudizio d’accusa è soggetta alla pubblicazione sulla gazzetta Ufficiale, è irrevocabile ma può essere sottoposta a revisione da parte della stessa Corte, con ordinanza, nell’ipotesi in cui successivamente alla condanna, emergano fatti o elementi nuovi che provino l’estraneità dell’imputato ai fatti a lui addebitati. La revisione può essere chiesta dal comitato parlamentare perle accuse. Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo La Costituzione ha attribuito alla Corte anche il giudizio sulla ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo. Il giudizio che porta al giudizio di ammissibilità o inammissibilità del referendum abrogativo è l’unica ipotesi in cui la Corte decide in assenza di parti . La Corte decide in camera di Consiglio e la sua sentenza ha effetti limitati al caso deciso e non pregiudica la riproposizione di una richiesta referendaria avente lo stesso oggetto. 134 Appendice Riserva di legge La riserva di legge, inserita nella Costituzione, prevede che la disciplina di una determinata materia sia regolata soltanto dalla legge primaria e non da fonti di tipo secondario. La riserva di legge ha una funzione di garanzia in quanto vuole assicurare che in materie particolarmente delicate, come nel caso dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese dall'organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal Parlamento come previsto dall'articolo 70. Si distinguono, comunque, vari tipi di riserva di legge: riserva di legge ordinaria: la materia può essere disciplinata dalla legge e da atti aventi forza di legge. o assoluta: la materia deve essere regolata integralmente dalla legge. Ad esempio l'art. 13.2 ammette restrizioni della libertà personale nei soli casi e modi previsti dalla legge. o relativa: i regolamenti amministrativi possono contribuire a regolare la materia, ma i principi devono essere stabiliti dalla legge (art. 97.1) o rinforzata: la materia è disciplinata dalla legge secondo un contenuto o procedimento ben preciso. (art. 16) riserva di legge formale: nella materia può intervenire la legge del Parlamento mentre non possono farlo atti aventi forza di legge, come decreti legge o decreti legislativi, del governo (art. 80, art. 81). Di fatto, poi, le materie disciplinate da riserva di legge formale sono quelle coperte da riserva di assemblea (art. 72 comma IV). Esistono anche riserve non a favore della legge ordinaria: riserva di legge costituzionale (artt. 116, 132.1, 137, 138 Cost.), anch'essa tipica dello Stato costituzionale di diritto riserva a favore dei regolamenti parlamentari (art. 64) riserva di giurisdizione: il già citato art. 13.2 non ammette alcuna "restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria (...)"; similmente l'art. 15 ammette limitazioni alla libertà e alla segretezza della corrispondenza "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria". riserva di regolamento amministrativo: non esiste in Italia, come invece accade in altri paesi Legge costituzionale Con il termine di legge costituzionale si indica una particolare fonte del diritto, che si colloca nella stessa posizione gerarchica della costituzione, potendo quindi - entro certi limiti - derogarla o modificarla (si parlerà, allora, più propriamente di legge di revisione della Costituzione). Questo atto-fonte viene assegnato alla competenza del Parlamento e, in virtù della rigidità della costituzione, il legislatore costituzionale opera in forme diverse rispetto a quelle del legislatore ordinario, prevedendosi un procedimento aggravato (art. 138 della costituzione italiana: il disegno di legge costituzionale deve essere approvato da ciascun ramo del Parlamento con due distinte deliberazioni, tra le quali devono intercorrere almeno tre mesi. Nel caso in cui la deliberazione, nella seconda 135 votazione di ciascuna delle Camere, non sia avvenuta a maggioranza di due terzi dei loro componenti ma sia avvenuta a semplice maggioranza assoluta, può essere richiesto, da un quinto dei membri di una Camera, da cinque Consigli regionali o da cinquecentomila elettori, un referendum confermativo). Tuttavia, é in dottrina che nessuna legge costituzionale né riforma costituzionale possa modificare la costituzione nel suo "spirito", nel nucleo delle libertà fondamentali e della forma di Stato; in tal caso la Corte Costituzionale può intervenire dichiarando incostituzionale l'eventuale riforma, anche se per ora un caso simile appare improbabile. Differenza tra legge di revisione costituzionale e legge costituzionale Una delle controversie che più ha coinvolto gli studiosi di diritto è stata la possibilità o meno di poter differenziare, oltre che su un piano sostanziale, anche su un piano formale (soprattutto per competenza) le leggi di revisione costituzionale dalle altre leggi costituzionali, laddove per le prime si intendono le leggi che vanno a modificare il testo preesistente della costituzione, mentre per le seconde quelle che si inseriscono fra gli articoli già presenti senza modificarli. Le prime sono soggette ai limiti espliciti ed impliciti che circoscrivono la capacità innovativa/precettiva della loro funzione di revisione costituzionale, le seconde sono soggette ai limiti aggiuntivi derivanti dal fatto che sono fonti a competenza determinata e speciale, chiamate cioè a disciplinare specifici istituti previsti dalla Costituzione (si veda la sentenza della Corte Costituzionale 134/2002) . Principio di adeguatezza Il principio di adeguadetezza, nel campo del diritto amministrativo, stabilisce che l'entità organizzativa che è potenzialemente titolare di una potestà amministrativa, deve avere un'organizzazione adatta a garantire l'effettivo esercizio di tali potestà; l'adeguatezza va considerata sia rispetto al singolo ente, sia rispetto all'ente associato con altri enti, per l'esercizio delle funzioni amministrative. Il principio di adeguatezza è citato nell'ordinamento italiano all'art. 118 della Costituzione, unitariamente al sussidiarietà e al principio di differenziazione. Dal combinato di questo principio con il principio di sussidiarietà, si ricava che se l'ente territoriale a cui è affidata una funzione amministrativa, che per il principio della sussidiarietà dovrebbe essere quello più vicino al cittadino amministrato, non ha la struttura organizzativa per rendere il servizio, questa funzione deve essere attribuita all'entità amministrativa territoriale superiore. Principio di sussidiarietà Il principio di sussidiarietà è, prima ancora che un principio organizzativo del potere, un principio antropologico che esprime una concezione globale dell'uomo e della società, in virtù del quale fulcro dell'ordinamento giuridico è la persona umana, intesa sia come individuo che come legame relazionale. In ambito civilistico la sussidiarietà indica l'ordine con il quale, in caso di concorso di soggetti debitori con patrimoni separati, vari soggetti debbano adempiere ad una 136 prestazione. Se un patrimonio "A" deve essere escusso in via sussidiaria rispetto ad un altro "B", significa che il creditore si dovrà rifare prima sul patrimonio "B" e solo in caso di insolvenza e insufficienza di questo anche sul patrimonio "A". Si tratta di un concetto affine ma diverso da quello di solidarietà che rappresenta sempre una situazione di garanzia per il creditore, ma in base al quale i debitori vengono considerati sullo stesso piano e sono tutti tenuti ad effettuare la prestazione per l'intero. In ambito amministrativo viene indicato con principio di sussidiarietà quel principio sociale e giuridico amministrativo che stabilisce che l'intervento degli organi dello Stato (Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni), sia nei confronti dei cittadini sia degli enti e suddivisioni amministrative ad esso sottostanti (ovvero l'intervento di organismi sovranazionali nei confronti degli stati membri), debba essere attuato esclusivamente come sussidio (ovvero come aiuto, dal latino subsidium) nel caso in cui il cittadino o l'entità sottostante sia impossibilitata ad agire per conto proprio. Detto in altri termini il principio di sussidiarietà stabilisce che le attività amministrative dovrebbero essere svolte dall'entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini (i comuni), e che può essere delegata ai livelli amministrativi territoriali superiori (province, città metropolitane, regioni, stato) solo se questi possono rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente. Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o volontaristica. Il principio di sussidiarietà è stato recepito nell'ordinamento italiano con l'art. 118 della Costituzione. Tale principio implica che: le diverse istituzioni, nazionali come sovranazionali, debbano tendere a creare le condizioni che permettono alla persona e alle aggregazioni sociali (i cosiddetti corpi intermedi: famiglia, associazioni, partiti) di agire liberamente senza sostituirsi ad essi nello svolgimento delle loro attività: un entità di livello superiore non deve agire in situazioni nelle quali l'entità di livello inferiore (e, da ultimo, il cittadino) è in grado di agire per proprio conto; l'intervento dell'entità di livello superiore debba essere temporaneo e teso a restituire l'autonomia d'azione all'entità di livello inferiore; l'intervento pubblico sia attuato quanto più vicino possibile al cittadino: prossimità del livello decisionale a quello di attuazione. esistono tuttavia un nucleo di funzioni inderogabili che i poteri pubblici non possono alienare (coordinamento, controllo, garanzia dei livelli minimi di diritti sociali, equità, ecc.). Il principio di sussidiarietà può quindi essere visto sotto un duplice aspetto: in senso verticale: la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più prossimi al cittadino e, pertanto, più vicini ai bisogni del territorio; in senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi, 137 deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più prossime. Precedentemente all'introduzione nella Costituzione (art. 118) di tale principio vigeva il cosiddetto principio del parallelismo, in virtù del quale spettavano allo Stato e alle regioni le potestà amministrative per quelle materie per le quali esercitivano la potestà legislativa; questo principio non è più in vigore, in quanto sostituito dai nuovi principi introdotti nell'art. 118 della Costituzione nel 2001 Principio di differenziazione Il principio di differenziazione, nel campo del diritto amministrativo, stabilisce che nell'assegnare una potestà amministrativa, si devono considerare le caratteristiche degli enti amministrativi riceventi; queste sono caratteristiche demografiche, territoriali, associative, strutturali che possono variare anche in misura notevole nella realtà del paese. Il principio di differenziazione è citato nell'ordinamento italiano all'art. 118 della Costituzione, unitariamente al sussidiarietà e al principio di adeguatezza. Enti locali: Ineleggibilità, Incandidabilità, Incompatibilità Incandidabilità: per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione. Ineleggibilità: qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati. Attribuzione ai Consigli regionali della competenza a decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi; Eventuale differenziazione della disciplina dell’ineleggibilità nei confronti del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali; Previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia Incompatibilità: in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle regioni, di compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva. attribuzione ai Consigli regionali della competenza a decidere sulle cause di incompatibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi. Promulgazione Navigazionecerca La promulgazione è l'atto formale con il quale il Presidente della Repubblica dichiara 138 valido e operante un atto normativo. La promulgazione viene effettuata con una formula prevista dall'art.1 del T.U. 28 dicembre 1985 suddivisa dalla dottrina in tre parti: 1. riconoscimento dell'approvazione parlamentare, 2. dichiarazione di promulgazione da parte del Presidente e 3. ordine per chiunque di rispettare la legge appena entrata in vigore. Compito di questa fase dell'iter legis è l'attestazione dell'esistenza di una legge, venuta ad essere con procedimento corretto e necessario, oltre che una funzione intimatoria nei confronti dei soggetti cui la legge stessa è rivolta. Legge quadro, o legge cornice La legge quadro, o legge cornice, dello Stato è una legge contenente i principi fondamentali che devono regolare una singola materia e ai quali i soggetti cui è conferito il potere di regolare quella stessa materia devono attenersi. La legge cornice è molto utilizzata nell’ambito delle competenze legislative concorrenti tra Stato e Regioni a statuto ordinario. +++ Fine +++ 139