Diritto Pubblico - Guzzetta Marini

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Capitolo 1° - Il fenomeno giuridico: ordinamenti, fonti e norme nella teoria generale
1. L'esperienza giuridica e i suoi caratteri fondamentali
Non è dato riscontrare nell'esperienza umana nessuna forma di associazione tra individui
che non sia in qualche modo regolata da norme. È tutt'oggi valido l'antico brocardo
secondo il quale ubi societas, ibi ius, quindi la norma giuridica appartiene alla categoria
delle norme sociali: ha ad oggetto, gruppi sociali e relazioni intersoggettive.
Funzione del diritto è, dunque, quella di disciplinare la convivenza, di propiziare
regolarità, rendere prevedibile e certo lo svolgersi delle relazioni umane e le soluzioni dei
conflitti.
Il valore sotteso al diritto è la giustizia e ne costituisce l'aspirazione. Poiché il concetto
del giusto è un concetto relativo ne consegue la relatività delle soluzioni o valutazioni
giuridiche.
Obiettivo del diritto è garantire l'equa coesistenza tra l'aspirazione alla libertà di
ciascuno di seguire i propri interessi e la propria idea di giustizia e quella di una ordinata
coesistenza.
2. La differenza tra il diritto e le altre scienze naturali e sociali
Definiamo:
1. essere della realtà: il regno della necessità o del caso
 norma naturale: un evento naturale (l'acqua che bolle a 100°)
 norma sociale: un evento sociale (nella interazione tra i bambini di un asilo nido
la differenza di sesso ha una diversa rilevanza seconda dell'età)
2. dover essere della realtà: regno delle scelte
 norma giuridica; la scelta consapevole di voler ordinare un aspetto della
convivenza umana
Mentre nelle regole naturali o sociali, l'ordine precede logicamente la formulazione delle
regole (prima si osserva un fenomeno e poi se ne dà la regola), nel caso del diritto sussiste
una priorità logica della norma rispetto al fatto giuridicamente ordinato o qualificato:
essa ha, cioè, carattere pre-scrittivo. Inoltre, il diritto ha bisogno di un riscontro nella
pratica, bisogna cioè che le sue regole in qualche misura si attuino (regole mai osservate
interessano poco il fenomeno giuridico e contraddicono la sua funzione ordinatrice). Il
diritto ha, pertanto bisogno di "effettività", cioè di una media osservanza delle norme da
parte dei loro destinatari.
3. L'ordinamento giuridico
Il fenomeno giuridico, in quanto esperienza della socialità dell'uomo, richiede la
sussistenza di due dimensioni:
1. dimensione deontologica: è quella più strettamente normativa ed attiene all'insieme
di regole che pretendono di ordinare le relazioni sociali
2. dimensione esistenziale o fattuale: attiene alla ricaduta empirica, in termini di
effettività della volontà normativa.
Si ha il fenomeno giuridico solo nel momento in cui il dato esistenziale può essere
ricondotto all'interno di schemi di valutazione stabiliti dall'uomo. È necessaria la
preesistenza di un sistema di regole che imprima un ordine deontologico (ossia un dover
essere) al gruppo sociale. Tale assetto ordinato e prestabilito di relazioni, in cui la
posizione di ciascuno rispetto agli altri è determinata normativamente prende il nome di
organizzazione (rapporto di coniugio o di parentele, associazione tra individui, le regole
implicite che disciplinano in una fila alla posta, l'ordine di accesso allo sportello). Si può
dunque definire l’ordinamento giuridico come l’insieme di una pluralità di persone
organizzata da un sistema di norme. Non vi può essere ordinamento senza organizzazione.
La manifestazione più evidente di un ordinamento giuridico si ha, per esempio, nel
momento in cui una collettività effimera si struttura più stabilmente attraverso un
processo di entificazione, quando cioè il gruppo diviene vero e proprio soggetto di diritto
al quale fanno capo rapporti distinti rispetto a quelli riconducibili ai singoli componenti.
Accanto ai rapporti "orizzontali" tra i membri, si sviluppa la coscienza di una soggettività
ulteriore, costituita dal gruppo in quanto tale, nasce così una relazione "verticale" tra i
singoli e l'entità complessivamente intesa. Sussiste, quindi, un’unità che vive di vita
propria al di là dei singoli destini individuali.
È tale gruppo-ente, innervato di legami unitari, che rappresenta un'istituzione.
L'espressione "ordinamento giuridico" può essere utilizzata per significare:
 "il tutto", ordinamento in senso lato (il gruppo sociale organizzato e le regole
che ne determinano l'organizzazione. Es: l’Italia è un ordinamento giuridico
sovrano)
 "la parte", ordinamento in senso stretto (il solo sistema di norme. Es:
l'ordinamento giuridico dello Stato italiano è completo e privo di lacune).
4. La pluralità degli ordinamenti giuridici e la relatività dei rispettivi valori
Esistono molteplici ordinamenti statuali (l'ordinamento italiano, francese, austriaco, ecc.),
esistono altresì molteplici ordinamenti non statuali (l'ordinamento della Chiesa cattolica,
le associazioni, cooperative, ecc.). Vi è dunque una pluralità di ordinamenti giuridici, in
particolare si parlerà di:


pluralismo monotipico degli ordinamenti: più ordinamenti dello stesso tipo: statali)
pluralismo politipico degli ordinamenti: (più ordinamenti di tipi diversi)
Ciò significa che si può parlare anche di relatività e convenzionalità delle valutazioni
giuridiche. Ogni sistema di regolazione riconducibile ad un gruppo sociale dotato di una
propria identità è, infatti, in grado di compiere opzioni valutative relative a quel gruppo
che possono o no essere condivise da altri gruppi e ciò perché il fenomeno giuridico
esprime valutazioni deontologiche non obbligate, ma convenzionali, capaci di sussistere
anche in presenza di valutazioni di segno opposto. È chiaro che possono crearsi dei
conflitti tra i vari ordinamenti che l'operatore giuridico positivo dovrà di volta in volta
risolvere collocandosi nella prospettiva di un singolo ordinamento e vedere come esso
considera i sistemi di norme esterni o interni ad esso.
Gli atteggiamenti possibili sono:
 ignorare del tutto l'altro ordinamento, disconoscendo integralmente il sistema di
norme ad esso sotteso e considerando i suoi componenti nella loro individualità e
non come parte di un gruppo sociale organizzato
 qualificazione negativa: l'ordinamento viene riconosciuto ma per essere
combattuto ed estirpato
 qualificazione positiva: l'ordinamento viene considerato lecito e si adottano misure
per proteggere la vita di tale aggregazione


considerare rilevante l'azione di quell’ordinamento al punto da offrire i propri
organi e mezzi per assicurarne l'osservanza ed il rispetto (società per azioni,
regolamento di condominio).
Si parlerà in questo caso di diritto "nello Stato"
valorizzare al massimo l'ordinamento preso in considerazione appropriandosi del
diritto da questo creato e riconoscendolo come diritto proprio (consuetudini
generali dell'ordinamento internazionale, diritto prodotto dai comuni o dalle
regioni).
Si parlerà in questo caso di diritto "dello Stato"
5. Prospettiva teoretica e prospettiva dogmatica
Altra conseguenza della relatività dei valori giuridici e della pluralità degli ordinamenti è
la differenza tra:
 prospettiva teoretica o teoria generale: studia il fenomeno giuridico, la sua intima
natura elaborando delle categorie (che cosa è una norma)
 prospettiva dogmatica o diritto positivo: attiene alle soluzioni che valgono per il
singolo ordinamento (le singole norme)
6. Le fonti del diritto in prospettiva teoretica
La prima esigenza di ogni fenomeno giuridico è determinare il modo in cui debba prodursi
il diritto, cioè individuare quelle regole che disciplinano gli atti giuridici idonei a creare
diritto.
Norme sulla produzione: sono quelle particolari norme di un ordinamento che sono dirette
a regolare i comportamenti umani produttivi di norme giuridiche ossia le fonti del diritto.
Esse dunque operano sul piano del possibile giuridico.
Le altre norme invece operano sul piano del lecito materiale, stabilendo quali
comportamenti sono da considerarsi leciti o illeciti. Tali norme, dette fonti legali (quelle
cioè formatesi in conformità alla volontà dell’ordinamento), formano il diritto positivo,
cioè il diritto effettivamente stabilito.
Nei confronti di tali fonti esiste una presunzione favorevole, la quale fa ritenere che
esse producano diritto vigente e vadano osservate e fatte osservare.
Esistono tuttavia anche quelle che sono chiamate fonti extra ordinem, ossia quei
comportamenti che producono diritto anche in assenza di una norma sulla produzione che
li abiliti in tal senso. Nei confronti di tali fonti si avrà una presunzione negativa,
concretizzata dalla refrattarietà alla loro osservanza fino a quando permarranno in uno
stato di precarietà prima della loro affermazione e conseguimento di vigenza.
Nel caso delle fonti legali l'esistenza di una presunzione positiva attribuirà un valore
confermativo all’effettività della pretesa creativa delle norme sulla produzione (condicio
sine qua non) a meno di constatare una condizione negativa.
Nel caso delle fonti extra ordinem invece l’effettività non avrà funzione confermativa ma
costitutiva (condicio per quam) in quanto sarà l'unico mezzo per il sorgere del diritto.
7. La distinzione tra le fonti-atto e le fonti-fatto
Le fonti di produzione del diritto sono comportamenti giuridicamente abilitati a creare
diritto. Si definiscono fatti giuridici tutti gli eventi naturali o umani ai quali il diritto
riconduce delle conseguenze giuridiche. Fra loro si distinguono:
 i fatti giuridici in senso stretto che sono tutti quegli eventi nei quali è assente
l’elemento volontaristico (la nascita, la morte)
 gli atti giuridici in senso stretto che sono quei comportamenti umani nei quali si
rileva solo la volontà del comportamento (l'omicidio, il riconoscimento di un figlio
naturale)
 i negozi giuridici in cui assume rilevanza la volontà dell’agente di produrre
determinati effetti giuridici (testamento, contratto)
Le fonti possono essere:
 fonti-fatto (fonte-atto giuridico in senso stretto) in cui è necessaria e sufficiente
la volontà del comportamento, essendo del tutto ininfluente quella di produrre
l'effetto normativo (consuetudine)
 fonti-atto (fonte-negozio) in cui c'è volontà di produrre un effetto normativo a cui
corrisponde un potere normativo (leggi ordinarie: attribuzione di potere nell'art.
70 Cost. e volontà dei parlamentari di produrre un effetto normativo)
8. Corollari della teoria delle fonti: La distinzione tra diritto "dello Stato" di diritto
"nello Stato"

Diritto dello Stato: sono le norme prodotte in base alle fonti legali stabilite
dall'ordinamento od alle fonti extra-ordinem impostesi e legittimatesi attraverso
l’effettività (diritto oggettivo). Possiamo annoverare la Costituzione, le leggi statali
e regionali, gli statuti comunali, i regolamenti europei, ecc.

Diritto nello Stato: norme prodotte da fonti di cui l'ordinamento statale non si
appropria ma riconosce ad altro titolo (per assicurarne l'osservanza e propiziarne
l’effettività) e sono: i provvedimenti amministrativi, i contratti, le sentenze, ecc.
8.1. La distinzione fra disposizione e norma
Molto spesso la volontà normativa si esprime tramite la scrittura e tale momento è
precedente alla nascita degli effetti della norma (pre-scrittura), essa è anzi momento
coessenziale e costitutivo della formazione della fonte, tali scritture prendono il nome di
disposizioni, che esprimono il voluto dell'atto. Tuttavia essendo il linguaggio
intrinsecamente ambiguo e può dare adito a fraintendimenti equivoci, le norme hanno
bisogno di una attività di interpretazione i cui esiti possono essere anche notevolmente
divergenti. Inoltre ciascuna norma desumibile da una disposizione si innesta in un contesto
giuridico in cui interagisce con le infinite altre norme, anche da tale interazione può
essere desunto il significato della disposizione e dunque della norma. Nell'ordinamento
italiano la Corte di Cassazione è l'organo cui spetta di assicurare "l'esatta osservanza
dell'uniforme interpretazione della legge", in quello europeo è la Corte di Giustizia e il
Tribunale di Primo Grado.
8.2. I principi
I principi sono di due tipi:
1. principi di prima generazione: (non scritti) si traggono per astrazione
generalizzatrice da una pluralità di norme e si distinguono da queste ultime per
l'eccedenza di contenuto deontologico che consiste nel fatto che le norme dalle
quali si induce il principio esprimono un "dover essere" relativo a determinate
fattispecie giuridiche, mentre attraverso il principio il loro ambito di applicazione
viene esteso. È possibile infatti, che per un combinato composto (confronto) di due
leggi se ne possa ricavare una terza in base al principio che lega le due precedenti
(e qui sta l'eccedenza).
2. principi di seconda generazione o principi espressi o principianti: (scritti)
formulati da una disposizione, non hanno eccedenza di contenuto deontologico.
Sono, pertanto, norme giuridiche caratterizzate da un maggio gado di generalità
(principio di giurisdizionalità dei giudici: i giudici sono soggetti solo alla legge
[Cost.])
8.3. I valori
I valori non hanno carattere deontologico e non esprimono un "dover essere", ma
rappresentano il presupposto assiologico delle singole manifestazioni normative. In genere
nella giurisprudenza, i valori vengono fatti coincidere con le norme costituzionali più
generali (o principi costituzionali espressi)
8.4 L’efficacia delle norme programmatiche
Le norme molto generali (o principi costituzionali) non sono, solitamente, autoapplicative,
nel senso che necessitano per produrre i propri effetti, di una normativa di attuazione.
Esse hanno, dunque, carattere programmatico, stabiliscono cioè un programma per gli
organi con potestà normativa.
Sono almeno tre le conseguenze giuridiche dell’adozione di siffatte norme, anche prima
che se ne completi il disposto con una normativa di attuazione:
1. vincolo giuridico posto a carico delle autorità pubbliche. Anche se manca la
sanzione esso non può considerarsi meramente morale o etico
2. invalidazione di norme con esse contrastanti provenienti da fonti subordinate
3. interpretazione delle altre norme dell’ordinamento alla luce dei nuovi principi
generali dell’ordinamento scaturiti dalle norme programmatiche
8.5. La distinzione tra diritto scritto e diritto non scritto
Le disposizioni costituiscono formulazioni linguistiche attraverso le quali si manifesta la
volontà normativa. Da ciò consegue che il diritto scritto è prodotto dalle fonti-atto.
Le fonti-fatto, invece, sono generalmente fonti di diritto non scritto, poiché in tal caso è
irrilevante la volontà di produrre norme. Esistono tuttavia delle eccezioni:
 diritto non scritto da fonti-atto: è quanto accade per i principi che si possono
indurre attraverso un procedimento di astrazione generalizzatrice alle disposizioni
("se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha
riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe") (ordine di
esecuzione per l'adattamento dell'ordinamento interno alle norme del diritto
internazionale)

diritto scritto da fonti-fatto: ciò avviene nelle ipotesi in cui, pur sussistendo una
volontà normativa, essa non è rivolta alla produzione di diritto “dello Stato"
(contratti collettivi, condomini)
Capitolo 2° - I criteri di risoluzione delle antinomie
Capitolo 2° - I criteri di risoluzione delle antinomie
1. I dispositivi per assicurare l'unità dell'ordinamento: i criteri di risoluzione delle
antinomie
Una delle caratteristiche delle fonti è la forza formale. Tale forza può essere:
1. attiva: capacità di innovare l'ordinamento giuridico
2. passiva: capacità di resistere alla pretesa delle altre fonti di modificare i suoi
contenuti
La parola ‘formale’ si riferisce al particolare procedimento e alla veste esteriore
caratterizzante il tipo di fonte.
Abrogazione: cessazione di efficacia di una norma.
Con riferimento al tempo si possono immaginare diversi tipi di norme:
 norme retroattive, che abbracciano fattispecie concrete ed esistenti al momento
in cui la fonte acquista efficacia
 norme ultrattive, che iniziano ad avere vigenza in concomitanza con l'entrata in
vigore della fonte
 norme ad efficacia differita, la cui efficacia decorre a partire da un momento
successivo all'entrata in vigore della fonte
 norme temporanee, delle quali è preventivamente definito sia il momento della
decorrenza di efficacia che quello di cessazione della stessa
Quando due norme entrano in contrasto fra di loro si ha una antinomia. Ogni ordinamento
ai fini della realizzazione dell'unità e della coerenza del sistema, predispone dei criteri di
risoluzione delle antinomie. Tali criteri incidono sulle norme e non sulle disposizioni. In
sede di teoria generale è possibile individuare tre criteri abitualmente utilizzati per
risolvere le antinomie:
1. criterio cronologico: (attiene al fattore tempo e incide sull'efficacia) quando due
norme di forza omogenea e di medesima competenza si scontrano, il sistema
privilegia, di regola, la norma più recente dotandola della capacità di abrogare la
precedente. L'effetto abrogativo opera solo con riferimento al periodo per il quale
il contrasto si verifica, restando la norma abrogata pienamente efficace rispetto
all'arco temporale che la norma abrogante non pretende di disciplinare.
2. criterio gerarchico: (attiene alla forza formale della fonte, presuppone un vizio
della norma incompetente incidendo sulla validità) poiché le fonti sono ordinate
gerarchicamente secondo una ipotetica scala verticale fondata sulla diversa forza
formale che ad esse viene riconosciuta, le norme antinomiche poste dalla fonte
subordinata vengono considerate illegittime o invalide e annullabili, solitamente da
organi giurisdizionali a ciò deputati (Corte Costituzionale per antinomie tra norme
costituzionali e leggi, Tribunale Amministrativo per antinomie tra leggi e
regolamenti)
3. criterio di competenza: (attiene alla competenza della fonte, cioè l'ambito nel
quale essa è abilitata ad intervenire; presuppone un vizio della norma incompetente
incidendo sulla validità) per trovare applicazione, si presuppone che un certo
oggetto di disciplina o una certa finalità o un certo tipo di norma, siano
integralmente o parzialmente riservati ad una fonte e sottratti all'altra, nei
confronti della quale sorge l’antinomia. Quando è possibile ordinare le norme in
base alla competenza delle relative fonti, è la fonte competente a prevalere sulla
fonte incompetente a prescindere dal rapporto gerarchico o cronologico.
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Capitolo 2° - I criteri di risoluzione delle antinomie
4. Efficacia e validità
Efficacia: capacità di produrre effetti
Validità: conformità alle norme sulla produzione
L'inefficacia e l'invalidità si possono combinare in modo differente:
 norme valide ma inefficaci: sono le norme abrogate o quelle ad efficacia differita
 norme invalide ma efficaci: norme che producono effetti giuridici prima
dell'accertamento dell'invalidità
L'accertamento dell'inefficacia viene devoluto a tutti gli operatori giuridici (giudici,
pubblica amministrazione, privati) ed ha effetto solo tra le parti ricorrenti (efficacia
inter partes)
L'accertamento dell'invalidità viene affidata a particolari organi (i giudici e talvolta solo
alcuni di essi) ed ha effetto sull'intero ordinamento vincolando tutti (efficacia erga
omnes)
5. Fonti atipiche e fonti rinforzate
Le fonti atipiche sono identiche alle corrispettive fonti tipiche ma hanno un regime o un
trattamento da parte dell'ordinamento sensibilmente diverso in ragione di una particolare
competenza (limite al potere di abrogazione popolare delle leggi: alcune leggi vengono
espressamente sottratte al referendum dalla costituzione).
Le fonti rinforzate si caratterizzano per il fatto di essere identificabili, oltre che per la
peculiare competenza, anche per le varianti rispetto alla fonte tipica previste per il loro
procedimento di approvazione. Varianti che alterano anche formalmente i caratteri
dell’atto.
6. Il criterio di specialità
Il principio di specialità si applica nel caso in cui le norme antinomiche poste da due fonti
equiordinate (di pari forza formale) differiscano tra di loro per l'ampiezza dello spettro
di disciplina. Ci si riferisce all'ipotesi in cui la prima sia meno generale della seconda e la
fattispecie di essa sia ricompresa in quella. Nel caso in cui la norma successiva sia più
generale e preveda una disciplina incompatibile con la precedente speciale, quest'ultima
dovrebbe travolgere la normazione precedente. In tali casi viceversa può trovare
applicazione la regola secondo cui lex generalis non derogat priori speciali, vale a dire
che la precedente continua a restare in vigore, rappresentando una deroga alla regola
generale successivamente affermata. Tale principio si applica solo tra norme omogenee.
7. Le norme suppletive
Il conflitto di competenza si fonda sulla distinzione logica tra fonte competente e fonte
incompetente e l'accertamento dell'invalidità della norma incompetente (assegnato ad
organi particolari) può subire delle eccezioni. Nel caso in cui l'ordinamento consenta alla
norma incompetente di operare validamente finché non intervenga quella formalmente
legittimata, tale norma viene chiamata suppletiva, in quanto supplisce alla carenza di
disciplina da parte della fonte competente e opera validamente finché il soggetto
abilitato non esercita la propria competenza intervenendo a disciplinare quel particolare
oggetto. Da questo momento in poi le norme suppletive perdono lo loro efficacia.
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Capitolo 3° - lo Stato, l'ordinamento internazionale e l'Unione Europea
1. Lo Stato
Lo Stato è uno tra gli ordinamenti giuridici. Suoi elementi sono: il popolo, il territorio e la
sovranità.
 Il popolo costituisce l'elemento personale dello Stato, i suoi appartenenti
intrattengono con lo Stato un legame giuridico specifico: il legame della cittadinanza:
somma di situazioni giuridiche soggettive, acquisite nei modi prestabiliti
dall’ordinamento e che denota una relazione essenziale di appartenenza all’ente
sovrano.
 il territorio: elemento indefettibile (non c’è Stato senza territorio) e qualificante
(occorre uno spazio fisico stabile su cui esercitare il potere) dello Stato.
 la sovranità: ha carattere di totalità, assolutezza, esclusività, effettività e
autofondazione dell’ordinamento.
o Assolutezza nel senso che lo Stato non rinuncia alla possibilità di esercitare il
proprio potere e di regolare qualsiasi settore della vita senza essere
condizionato da alcunché.
Tale sovranità comprende anche il monopolio della forza per assicurare alle proprie
norme una concreta effettività. La sovranità ha inoltre 3 attributi:
o originarietà: capacità dello Stato di trovare in sè stesso il proprio fondamento
normativo e la propria giustificazione, da cui scaturisce il principio di
esclusività dell’ordinamento statuale (disponibilità delle proprie fonti).
o indipendenza verso l’esterno
o supremazia verso l’interno
1.2. Altri significati del termine “Stato”
E’ possibile definire lo Stato come un ente territoriale sovrano (le Regioni: enti
territoriali non sovrani, la Chiesa Cattolica: ente sovrano non territoriale). Lo stesso
termine è utilizzato per indicare l’insieme delle norme giuridiche di uno Stato-istituzione
(diritto “dello Stato”). La personificazione dello Stato, cioè lo Stato-persona (giuridica)
comprende solo alcune delle autorità centrali della Repubblica (Governo, Parlamento,
Presidente della Repubblica) e le diramazioni periferiche del Governo centrale (i prefetti,
i questori, gli intendenti di finanza, ecc.).
2. La Costituzione dello Stato
La Costituzione, espressione di uno Stato liberale e garantistico, è un documento solenne,
scritto, contenente i fondamenti della organizzazione del potere posto al vertice
dell’ordinamento e materialmente ostensibile, con garanzia di certezza e di intangibilità.
2.1. La Costituzione in senso formale
La Costituzione è la legge fondamentale e la fonte suprema dell’ordinamento statale. E’ da
considerarsi come una fonte extra ordinem in quanto non ‘pre-costituita’, con essa si
realizza, infatti, un ‘nuovo inizio’ rispetto alla legalità precedente. Ciò significa che anche
le vecchie norme subiscono, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione, una
ricollocazione dogmatica, esse sono legittimate da una nuova fonte di legalità. Essa
costituisce una fonte-fatto di diritto scritto.
Le Costituzioni possono essere:
 rigide: se sono gerarchicamente differenziate rispetto alla legge ordinaria e sono
previste speciali procedure per la loro modifica. Il carattere rigido esprime
un'esigenza di carattere politico, in quanto si fonda sul presupposto che la carta
fondamentale non sia disponibile da parte delle maggioranze politiche ordinarie, ma
richieda il coinvolgimento delle minoranze o comunque di altri soggetti, come il
corpo elettorale nel caso della previsione di un referendum approvativo o gli Stati
membri, nel caso in cui, in uno stato federale, gli enti territoriali intermedi
debbano partecipare al procedimento di revisione.
 flessibili: non è formalmente previsto un procedimento di revisione della
costituzione, sì che se ne può sostenere sia la totale immodificabilità, sia la
ripetibilità da parte del legislatore ordinario secondo i normali procedimenti
legislativi.
2.2. La Costituzione in senso sostanziale
Il concetto riguarda l'individuazione di quelle norme che possono dirsi costitutive della
Costituzione stessa, quelle norme, cioè, che valgono a definirne la fisionomia essenziale
rispetto agli altri sistemi giuridici e consentono di distinguerne gli aspetti specifici e
peculiari. Tali norme sono quelle che disciplinano particolari profili della vita dello Stato:
 La spettanza del potere sovrano
 Le forme in cui sono regolati i rapporti tra governanti e governati
 La scelta politica fondamentale sulla forma di Stato e di governo
 i principi politici dell'organizzazione
 il modo d'essere del gruppo politico statale
 i rapporti di forza esistenti nella società civile che ne determinano l'assetto
normativo
Altri sostengono che apparterebbero dunque alla materia costituzionale le norme
fondamentali che sono alla base della disciplina di ciascun settore (diritto pubblico,
diritto civile, diritto penale, ecc.).
Secondo Hans Kelsen la Costituzione in senso sostanziale è l’insieme delle norme sulla
normazione (sulla produzione), quelle cioè che determinano come il diritto nasce in un
certo ordinamento e di esso possono dirsi dunque "costitutive".
3. Rapporti tra lo Stato e gli altri ordinamenti
Esiste una problematica dei rapporti tra lo stato degli altri ordinamenti quali gli altri
Stati, la Chiesa cattolica o il diritto internazionale. Lo Stato può ignorare o combattere
un altro coordinamento con cui viene a contatto e può anche tollerare che esso agisca nel
proprio ambito alla stregua di qualsiasi soggetto privato concorrendo a creare quello che
si è chiamato diritto “nello stato". Quando, tuttavia lo Stato riconosce l'altro
ordinamento è possibile che esso si accordi per far si che l'azione di entrambi ed i relativi
sistemi giuridici siano in qualche misura coordinati sul piano della produzione normativa. Si
introduce, cioè,1 collegamento tra le norme che nascono in un ordinamento e quelle che
vengono create nell'altro. La prima modalità è quello di un:
 coordinamento indiretto: in quanto compiuto attraverso dispositivi che mantengono
una separazione agli ordinamenti interessati. L'ordinamento che intende

coordinarsi non fa proprie le fonti e le norme dell'altro, ma ricorre a meccanismi di
produzione giuridica propria parallelamente a quanto si determina nell'altro,
mediante un dispositivo di rinvio ordinario o speciale, fisso o mobile, alle fonti e
alle norme di esso:
o si ha dispositivo ordinario, nel caso in cui la presenza della norma
dell'ordinamento richiamato costituisca la mera ragione storico-politica
della produzione giuridica dell'ordinamento, senza che risulti formalmente
l'origine estranea del contenuto normativo della disciplina posta.
o si ha dispositivo speciale in ogni ipotesi in cui l'ordinamento richiamante
colleghi formalmente la propria produzione interna all'esserci o al prodursi
di una norma dell'ordinamento richiamato
 si ha rinvio (speciale) fisso nel caso in cui lo Stato si limiti a
richiamare norme determinate, identificate in modo esaustivo con
riferimento ad una specifica manifestazione normativa. Viene
realizzato utilizzando l'arsenale di fonti interne già esistenti.
 si ha rinvio (speciale) mobile con la creazione di una fonte interna
specifica avente ad oggetto della propria fattispecie il fatto del
sorgere nell'ordinamento richiamato delle norme cui si vuol rinviare
creando così un automatismo. Risponde all'esigenza funzionale di
assicurare un coordinamento costante con l'altro ordinamento.
coordinamento di parziale o totale integrazione: in tal caso non s'esiste nessun
rinvio. I ordinamenti creano contestualmente delle fonti in comune, le quali sono
istituzionalmente e, nel caso di fonti-atto, consapevolmente volte ad individuare
entrambi gli ordinamenti.
4. L'ordinamento internazionale
Peculiarità del diritto internazionale è che esso consiste in un ordinamento i cui membri
sono in posizione di parità e non esiste alcuna istituzione autoritaria che li sovrasti. È
dunque un ordinamento composto da soggetti che si pretendono sovrani, superiorem non
recognoscentes.
I soggetti dell'ordinamento giuridico internazionale sono esclusivamente le persone
giuridiche rappresentate dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali, ossia le
associazioni di Stati che, limitatamente ad alcuni settori, perseguono interessi comuni.
Le fonti di tale ordinamento si distinguono in tre figure:
 la consuetudine:
 l'accordo o trattato internazionale:
 procedimenti di produzione giuridica di terzo grado: quelli cioè previsti da norme
sulla produzione giuridica internazionale contenute in trattati
Poiché le persone fisiche, gli individui non vengono mai presi direttamente in
considerazione come titolari di posizioni giuridiche riconosciute, ogni qualvolta
l'ordinamento nazionale voglia dare rilevanza interna alle norme del diritto internazionale,
occorrerà realizzare una trasformazione strutturale delle norme di quell’ordinamento, le
quali sono congegnate per regolare rapporti tra persone giuridiche, mentre
nell'ordinamento interno dovranno disciplinare relazioni anche tra persone fisiche. Si
parlerà pertanto di adattamento del diritto interno al diritto internazionale.
5. L'Unione europea
Con tale denominazione si fa riferimento ad una complessa organizzazione nata
nell'ambito del diritto internazionale, ma trasformatasi nel corso dei decenni in qualcosa
la cui natura appare del tutto originale rispetto alle comuni organizzazioni internazionali.
Quanto alla struttura, l'unione europea è articolata in una pluralità di nuclei ordinamenti
tali al loro distinti (pilastri), ma unificati dal fatto che al loro interno operano gli stessi
organi, seppure con competenze e poteri distinti. Tale complessità è dovuta ad una
ragione storica e ad una ragione politica. La prima è che l'unione europea rappresenta il
frutto di una stratificazione di trattati internazionali e di discipline normative
susseguentisi nel corso di un cinquantennio. La ragione politica consiste invece nel fatto
che, in alcuni settori di disciplina, gli Stati sono più restii a cedere competenze e, quindi,
ad aumentare il livello di integrazione.
5.1. L'evoluzione storico-politica del diritto europeo
Lo sviluppo dell'ordinamento europeo si può articolarlo in tre fasi:
1. fondazione delle Comunità (CECA, CEE, EURATOM) e dell'originaria elaborazione
sulla natura del diritto comunitario e sui rapporti con gli ordinamenti degli Stati
membri (periodo che va dalla fondazione della CECA nel 1951 all'approvazione del
trattato di Maastricht del 1992)
2. fondazione dell'Unione Europea (dal trattato di Maastricht del 1992 al trattato di
Nizza del 2000). Fase caratterizzata dall'estensione dell'area di competenze
comunitarie, orientate a coprire settori non economici di rilevante importanza
politica fino ad allora custoditi gelosamente dagli Stati nell'ambito della propri
sovranità con
3. costituzionalizzazione del diritto europeo (fase tuttora in corso) consistente
nell'impiego sempre più frequente di tecniche costituzionali nell'organizzazione e
nella disciplina del fenomeno comunitario. Obiettivo rilevante di tale fase è una
progressiva integrazione economica degli Stati membri.
Date:
 1974: costituzione del Consiglio Europeo, organo composto dai capi di Stato
di governo, finalizzato a coordinare lo sviluppo politico della comunità
 1979: l'introduzione di un sistema di elezione diretta del Parlamento
europeo
 1986: firma dell'Atto Unico Europeo che predispone una riforma delle
istituzioni e dei procedimenti comunitari volta a consentire la realizzazione
del mercato interno assicurando la libera circolazione delle merci, delle
persone, dei servizi e dei capitali
Unione Europea: complessa organizzazione nata nell’ambito del diritto internazionale, ma
trasformatasi nel corso dei decenni. Entità estremamente complessa, strutturata intorno
ad una serie di norme e istituzioni. L’Unione Europea è articolata in una pluralità di nuclei
ordinamentali tra loro distinti (pilastri), ma unificati dal fatto che al loro interno operano
gli stessi organi. I pilastri sono:
1. quello costituito dal diritto delle Comunità Europee (CE),
2. quello costituito dalle disposizioni relative alla Politica Estera e di Sicurezza
Comune (PESC)
3. quello relativo alle disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia
penale (Giustizia e Affari Interni GAI).
Idea di base: l’integrazione politica a livello europeo doveva essere perseguita attraverso
lo strumento di una progressiva integrazione economica.
CECA: Comunità economica del carbone e dell’acciaio. Il Trattato prevedeva la creazione
di un’Alta Autorità, composta da 9 membri designati dagli Stati, ma funzionalmente
vincolati al perseguimento dell’interesse sopranazionale, i cui atti potevano essere
adottati a maggioranza dei componenti. A tale organo si affiancava un Consiglio composto
da un rappresentante per ciascuno Stato membro, un’Assemblea di delegati parlamentari
nazionali ed una Corte di Giustizia.
Il fallimento del progetto di creare una Comunità europea di difesa rappresentò la
conferma dell’impossibilità di procedere ad un’integrazione più stretta, di tipo politico. Si
giunse così all’adozione dei due trattati istitutivi della CEE e dell’EURATOM. Tali trattati
allargavano ad ogni settore della vita economica gli obiettivi d’integrazione, perseguendo
la creazione di un mercato comune fondato sull’eliminazione delle barriere economico
interstatuali, la predisposizione di tariffe doganali verso gli Stati terzi e l’istituzione di 4
libertà fondamentali: di circolazione dei lavoratori, delle imprese, dei beni e dei servizi. I
Trattati prevedevano la creazione di politiche comuni per la disciplina di alcuni settori.
Parzialmente modificato il modello della CECA.
Compromesso di Lussemburgo: riconosceva il diritto di ogni Stato di opporsi alle decisioni
a maggioranza quando fossero in gioco importanti interessi nazionali.
Progressiva estensione delle competenze comunitarie  la Comunità poteva (e può) agire
anche al di fuori della attribuzioni nominativamente indicate nei Trattiti.
Ruolo centrale: Corte di Giustizia 
 ha riconosciuto all’ordinamento europeo uno statuto particolare;
 ha affermato la capacità di imporsi agli ordinamenti degli Stati membri;
 ha stabilito la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno incompatibile;
 ha definito le modalità di riconoscimento e risoluzione delle antinomie tra diritto
interno e diritto comunitario.
Dopo successivi passi in avanti (Atto Unico Europeo, Tribunale di Primo Grado), nel 1992,
con la stipula del Trattato di Maastricht, veniva fissata in tre fasi il processo di
creazione di una Unione economica e monetaria (UEM). Tale atto istituì anche l’Unione
Europea, un’organizzazione composta dalle Comunità cui furono affiancati altri due
pilastri: la politica estera e di sicurezza comune e la giustizia e affari interni. Mentre il
pilastro comunitario continuava a funzionare secondo il metodo comunitario, il secondo e
terzo pilastro venivano organizzati sulla base di dispositivi ed attraverso strumenti di
azione molto più vicini a quelli caratteristici delle relazioni intergovernative.
Accanto all’obiettivo del mercato interno, le finalità dell’Unione si sono connotate anche
per una maggiore rilevanza politica: moneta unica, principio di sussidiarietà, Comitato
delle Regioni, Banca centrale europea.
Trattato di Amsterdam:
 introduzione della procedura di cooperazione rafforzata;
 passaggio di alcuni oggetti dal terzo pilastro al primo)
Trattato di Nizza:
 scelta di rafforzare l’esplicita indicazione di alcuni principi tipici della tradizione
del costituzionalismo; clausola di omogeneità.
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) + Trattato-Costituzione per
l’Europa (2004), che in vigore abrogherebbe i Trattati vigenti  frutto della Convenzione
europea, costituito dai rappresentanti del Parlamento e Governo nazionali, del Parlamento
europeo e della Commissione. (Battuta d’arresto per l’entrata in vigore a causa della
mancata ratifica da parte di Francia e Olanda)
5.2 I connotati strutturali del processo di integrazione comunitaria
La creazione dell’ordinamento comunitario ha dato vita ad un sistema di governo
multilivello, nel quale alla tradizionale organizzazione degli Stati è sovrapposto un nuovo
livello organizzativo e decisionale. Riguardo al tema della ripartizione delle competenze,
dell’organizzazione e delle forme dell’azione europea si riscontra una tensione tra la
riluttanza degli Stati a spogliarsi di certe competenze e la spinta verso una sempre
maggiore integrazione. La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono
conferite e degli obiettivi che lo sono assegnati dal Trattato (principio di attribuzione).
Ma la teoria dei poteri impliciti e la caratterizzazione prevalentemente finalistica degli
ambiti di potestà normativa rendono flessibile e dinamica la linea di confine tra le
competenze nazionali ed europee.
Forme dell’azione europea:
 approccio intergovernativa: valorizza il ruolo e l’interesse degli Stati in quanto tali
nei processi decisionali e trova il proprio archetipo nel dritto internazionale
(ciascun oggetto è in posizione paritaria rispetto agli altri). Questa logica trova
espressione sia sul piano organizzativo, sia sul piano procedimentale, sia sul piano
degli effetti conseguenti alla deliberazione di taluni atti.
 approccio sopranazionale o comunitario: valorizza l’interesse generale del corpo
politico che costituisce la Comunità.
Riguardo all’eguaglianza politica dei cittadini, le scelte del governo sono ispirate al
principio democratico. Anche tale logica si esprime sui tre piani precedentemente
elencati.
5.3 Gli elementi di originalità del sistema normativo comunitario
Elementi di originalità:
 primo pilastro, cioè sistema costituito dalla Comunità europea e dall’EURATOM.
Tra gli atti normativi degli organi di tali Comunità, ve ne sono alcuni, i quali
dispiegano i propri effetti direttamente negli organi degli Stati membri  valutati
alla stregua del diritto nazionale come fonti-atto di diritto scritto.
 Corte
di
Giustizia: organo giurisdizionale competente a pronunciasi
sull’interpretazione del Trattato e sulla validità e l’interpretazione degli atti
compiuti dalle istituzioni della comunità. Adotta sentenze che si impongono omisso
medio ai giudici ed agli altri operatori nazionali ed i cui effetti modificano
direttamente l’interpretazione e la conformazione dell’ordinamento giuridico
nazionale. La Corte di Giustizia agisce come una sorta di Corte suprema.
 Norme passerella: permettono di comunitarizzare un settore appartenente al
secondo o terzo pilastro.
 Norme sulla cooperazione rafforzata: permettono anche solo ad alcuni degli Stati
membri di realizzare forme più avanzate di integrazione.
5.4 La natura del diritto europeo e i rapporti tra gli ordinamenti italiano e
comunitario
La Corte di giustizia ritiene che quelli nazionali siano ordinamenti ormai inseriti
nell’ordinamento sovranazionale. Vs. la nostra Corte costituzionale, che è dell’opinione che
permanga una distinzione di autonomia dogmatica fra di essi.
Per la Corte di giustizia, nelle materie di competenza comunitaria, non esisterebbero
limiti. Vs. La Corte costituzionale italiana, il diritto comunitario non è sempre e comunque
preferito alla disciplina nazionale.
5.5 Il problema della sovranità dell’Unione Europea
Sembra da escludere che l’Unione europea possa dirsi sovrana  l’ordinamento europeo
non può considerarsi originario.
5.6 L’ordinamento della Chiesa cattolica e i suoi rapporti con lo Stato
Chiesa cattolica: ordinamento regolato dal diritto canonico, il quale ne stabilisce i confini
soggettivi ed oggettivi. È un ente indipendente dagli Stati e dotato di una propria
personalità giuridica. È un ordinamento privo di un proprio territorio (infatti non si
identifica con la Città del Vaticano  vero e proprio Stato sovrano – Trattato
Lateranensi). Il governo centrale della Chiesa cattolica è costituito dalla Santa sede, con
il quale il diritto canonico identifica il Romano Pontefice e l’insieme degli uffici
(Segreteria di Stato e gli organi della Curia romana). Lo Stato della Città del Vaticano
mira ad assicurare la piena indipendenza grazie all’esistenza di un apparato governante
sovrano, connotato da un territorio. Patti Lateranensi (1929): tra lo Stato italiano e la
Santa sede; costituiti dal Trattato Lateranense, da quattro allegati, dal Concordato e
dalla Convenzione finanziaria. Si riscontra una prevalenza delle norme concordate su
quelle costituzionali, fatti salvi i diritti inviolabili e i principi supremi della Costituzione.
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
Sezione I – Le fonti dell’ordinamento nazionale
1. Il problema dell’individuazione delle fonti
L’ordinamento giuridico statale determina le proprie fonti di legge attraverso le norme
sulla produzione che hanno per oggetto i comportamenti abilitati a creare diritto. L’unico
elenco delle fonti è contenuto nelle Disposizioni sulla legge in generale (premesse al
Codice Civile del 1942), ed include in ordine gerarchico:
 la legge,
 i regolamenti del Governo e di altre autorità,
 le norme corporative e gli usi,
 gli atti del Governo aventi forza di legge
Tale elenco ha subito un rapido invecchiamento.
Nella vigente Costituzione solo la legge e gli atti con forza di legge sono previsti e
parzialmente disciplinati. Il sistema delle fonti a livello secondario costituisce un sistema
aperto in quanto tali fonti non sono menzionate sulla Carta.
1.1 I casi dubbi
Per stabilire se un comportamento umano sia in grado di produrre regole giuridiche che
entrano a comporre il diritto lo Stato, non possono ritenersi sufficienti gli elementi
formali. I casi dubbi riguardano soprattutto le fonti secondarie che non essendo
menzionate dalla carta costituzionale vengono disciplinate a seconda dei casi e in modo
diverso.
1.2 La rilevanza pratica dell’individuazione delle fonti dell’ordinamento dello Stato
1- Stabilire se un atto appartenga alla categoria delle fonti del diritto “dello Stato”
ovvero
2- sia produttivo di regole semplicemente esistenti e rilevanti “nello Stato”,
presenta rilevanti conseguenze pratiche: solo nel primo caso, infatti, si applica il Principio
jura novit curia: le parti non hanno l’onere di dimostrare l’esistenza ed il contenuto delle
norme invocate ed il giudice è vincolato a ricavare ed interpretare d’ufficio le norme da
applicare al caso concreto. I giudici sono soggetti soltanto alla legge; hanno l’obbligo di
procedere all’annullamento, alla disapplicazione od alla rimessione alla Corte
costituzionale per l’annullamento delle norme viziate. Ricorso alla Cassazione: inosservanza
o falsa applicazione di norme di diritto o di norme giuridiche. Violazione di legge: invalidità
degli atti amministrativi.
2. I criteri di interpretazione
Criteri di interpretazione:
 letterale o testuale, nel quale i termini utilizzati presentano un senso univoco;
 sistematica, le parole hanno una molteplicità di possibili significati quindi bisogna
esaminare il contesto;
 costituzionale e comunitaria, la connessione tra le parole si realizza coinvolgendo le
norme apicali del sistema (norme costituzionali e comunitarie).
18
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo


intenzione del legislatore, qualora persista l’incertezza, l’interprete deve tenerne
conto come ratio legis (detta interpretazione teleologica)
interpretazione a contrario, la volontà del legislatore può ricavarsi anche dal suo
silenzio
3. Le lacune
L’Ordinamento giuridico dello Stato si caratterizza per la sua pretesa di completezza o di
assenza di lacune: ciò significa che un giudice non può astenersi dal decidere motivando
che non si trova una regola applicabile alla fattispecie. Esistono delle norme di chiusura
che consentono di ricavare dal sistema una regola ad essa applicabile:
 analogia legis: se una controversia non può essere decisa con una precisa
disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie
analoghe.”
 analogia juris: se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali
dell'ordinamento giuridico dello Stato”
Tuttavia per le norme penali esiste il divieto di analogia che comporta l'esclusione
dell'esistenza del reato in caso di mancanza della specifica fattispecie penale
4. I criteri di risoluzione delle antinomie nel diritto positivo italiano
Risoluzione delle antinomie: eliminazione dei contrasti tra le diverse regole di condotta
presenti nello stesso ordinamento. I criteri adottati sono:
 criterio cronologico: disciplina il contrasto tra norme prodotte da fonti entrate in
vigore in momenti diversi ed aventi lo stesso grado gerarchico ed identica
competenza. In base a tale criterio prevale e deve essere applicata la norma
contenuta nell'atto più recente, mentre quello anteriore viene abrogata (lex
posterior abrogat priori).
L'abrogazione di una norma può essere:
 espressa:
 tacita:
o per incompatibilità
o per nuova disciplina dell'intera materia
quanto agli effetti, l'abrogazione non incide sulla validità (intesa come conformità
ad un parametro normativo), ma sull'efficacia della norme (ossia sulla loro capacità
di produrre effetti giuridici) circoscrivendola nel tempo, cioè, la norma abrogata
continua ad applicarsi alle fattispecie che si sono verificate prima dell'entrata in
vigore dell'atto abrogativo (ex nunc).
Il criterio cronologico non opera qualora la norma anteriore abbia il carattere della
specialità (lex posterior generalis non derogat priori speciali)
 criterio gerarchico: presuppone un rapporto gerarchico tra due soggetti due
organi, sostanziandosi nella prevalenza della volontà e degli atti dell'organo
superiore. Il contrasto tra le leggi e le norme costituzionali è sindacato in via
esclusiva dalla Corte Costituzionale e l'illegittimità dei regolamenti è dichiarata
soltanto dai giudici amministrativi (Tar e Consiglio di Stato). L’atto soccombente
viene annullato, il che produce effetti retroattivi (ex tunc)
 criterio della competenza: trova applicazione là dove le fonti vengono
differenziate per l’ambito di attività normativa spettante a ciascuna di esse.
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Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
5. Le singole fonti nazionali: la Costituzione formale e le leggi di revisione
costituzionale
La Costituzione italiana, in senso documentale e formale, è entrata in vigore il 1° gennaio
1948.
E’ fonte originaria, nasce e si impone come fonte extra ordinem e si colloca al primo posto
nella scala gerarchica delle fonti. Costituzione rigida e garantita: prevede un
procedimento di revisione aggravato rispetto a quello legislativo ordinario ed un controllo
di costituzionalità.
Procedimento di revisione: (art. 138 Cost) prevede una duplice approvazione da parte di
ciascuna Camera a distanza non inferiore di tre mesi. Riserva di Assemblea: divieto di
approvazione del progetto in Commissione deliberante o redigente. Dopo l’approvazione da
parte di entrambe le Camere, vi è una sospensione di almeno tre mesi, assicurando nel
procedimento una pausa di riflessione. Successivamente si procede alla seconda
approvazione nel quale il testo o viene approvato con le maggioranze oppure il
procedimento si interrompe. Se, nella seconda approvazione, si raggiunge la maggioranza
di almeno 2/3 degli aventi diritto al voto, le legge costituzionale viene promulgata dal
Presidente della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, ed entra in vigore il 15°
giorno successivo alla pubblicazione. Se, invece, si ottiene almeno la maggioranza assoluta
(maggioranza degli aventi diritto al voto) si procede ad una pubblicazione notiziole del
testo sulla Gazzetta e da quel momento decorre un termine dei tre mesi entro il quale 1/5
dei membri di una Camera, 500.000 elettori o 5 Consigli Regionali possono chiedere lo
svolgimento di un referendum. Si procede, poi, alla promulgazione da parte del presidente
della repubblica e ad una seconda pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, solo se spira il
termine senza che nessuno richieda il referendum o se il referendum è approvato dalla
maggioranza dei voti validi.
5.1 I limiti alla revisione costituzionale
Non tutte le norme costituzionali possono essere modificate attraverso il procedimento
precedente, alcune necessitano di procedimenti particolari (fonti rinforzate o
depotenziate) altre invece sono del tutto immodificabili. L’unico limite espresso è previsto
dall’art. 139 Cost. per il quale “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione
costituzionale” (in quanto tale forma è stata decisa dal referendum del 2 giugno 1946
sfuggendo così alla competenza dell’Assemblea Costituente). Tra i limiti impliciti sono
inquadrabili le norme che prevedono l'inviolabilità di alcuni diritti costituzionali (diritti
inalienabili della persona umana) e l'indivisibilità della Repubblica.
6. Le altre leggi costituzionali
Mentre le leggi di revisione costituzionale hanno ad oggetto il diritto formulato nella
Carta costituzionale, consistendo in uno stabile mutamento delle disposizioni
costituzionali, le altre leggi costituzionali comprenderebbero quelle in rottura o in deroga
alla Costituzione e quelle che disciplinano materie od oggetti coperti da riserva di legge
costituzionale.
Si ha una legge in rottura alla Costituzione allorché il contrasto abbia carattere
promissorio, temporaneo e puntuale.
La riserva può essere rafforzata nella forma o nel contenuto.
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Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
7. La legge come atto formale
Si intende per Legge:
o insieme delle norme dell’ordinamento giuridico dello Stato;
o qualsivoglia fonte di rango primario;
o una specifica fonte-atto deliberata dalla Camere o dai Consigli regionali o le norme
da essa prodotte.
La Costituzione ha introdotto dei limiti teleologici al potere legislativo, prevedendo che
alcune leggi abbiano l’obbligo o il divieto di perseguire determinati scopi.
Legge meramente formale: non ha carattere normativo solo nell’ipotesi in cui l’atto, pur
avendo seguito l’iter legislativo, sia costituito da enunciati linguistici impossibili,
incomprensibili o contradditori.
7.1 Le leggi personali e le leggi-provvedimento
Problema della costituzionalità delle leggi personali (riguardano soggetti determinati) e
delle leggi-provvedimento (stabiliscono le norme del caso singolo)  art. 97 e 113 in cui si
può rinvenire il divieto a queste leggi.
7.2 La riserva di legge
Riserva di legge: tutti quei casi in cui la Costituzione attribuisce la disciplina di una
determinata materia alla legge formale e agli atti aventi valore di legge, sottraendola alle
fonti ad essa subordinate. Le materie coperte da riserva di legge possono essere regolate
dagli atti con valore di legge, ma non mancano ipotesi in cui la riserva è circoscritta alla
legge parlamentare. Ciò accade laddove attraverso la legge venga svolta una funziona di
controllo da parte delle Camere sull’operato del Governo. La riserva di legge è strumentale
alla partecipazione delle minoranze alla formazione dell’atto regolativo della materia e alla
trasparenza e alla pubblicità che è costituzionalmente prevista per i lavori delle Camere.
Le Riserve di legge possono essere:
 assolute ricorrono allorché l’intera disciplina della materia è riservata alle fonti
primarie.
 relative nei casi in cui è sufficiente che la legge stabilisca i principi della disciplina.
Altra distinzione è tra Riserve:
 semplici: la Costituzione si limita a riservare la disciplina della materia alla legge
senza introdurre prescrizioni sostanziali.
 rinforzate: la Costituzione stabilisce non solo la forma ma anche una parte del
contenuto della fonte.
7.3 Procedimento legislativo
La legge come atto-fonte si caratterizza per la propria forma, ossia per il suo
procedimento di approvazione e per la veste esteriore. Esso è disciplinato dalla
Costituzione e dai regolamenti parlamentari. L’organo deliberante l’atto è il Parlamento;
alle Camere si attribuisce la funzione legislativa. Ma il procedimento coinvolge anche altri
organi e si articola in 4 fasi: l’iniziativa, l’istruttoria, la fase deliberativa e quella
perfettiva o integrativa dell’efficacia.
1. Iniziativa: presentazione alla presidenza di una delle assemblee di un progetto
redatto in articoli, spetta solo agli organi indicati nella Costituzione:
1. Governo: L’esercizio di tale potere è riservato al Consiglio dei Ministri e
deve essere autorizzato dal Presidente della Repubblica.
2. Ciascun membro delle Camere
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Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
3. 50.000 elettori
4. Consigli regionali
5. Consiglio nazionale dell’economoia e del lavoro CNEL.
2. Istruttoria o preparatoria: assegnazione del progetto ad una commissione.
3. Approvazione del progetto: può seguire sub-procedimenti diversi:
a. per commissione referente - la commissione, dopo una fase istruttoria,
riferisce all'assemblea sulla base di una o più relazioni. L'aula approva
secondo il sistema delle tre letture:
i. discussione generale
ii.
approvazione articolo per articolo
iii.
approvazione finale
b. per commissione deliberante - il progetto viene direttamente approvato
dalla commissione con il sistema delle tre letture e a maggioranza semplice
c. per commissione redigente - le commissione formula un testo definitivo,
discutendo e votando gli emendamenti. L’Assemblea si limita all'approvazione
dei singoli articoli e all'approvazione finale
d. per procedimento di urgenza.
il progetto, una volta che è stato approvato da un ramo del Parlamento, viene
trasmesso al Presidente dell’altra Camera. Qualora vengano introdotti uno più
emendamenti il progetto ritorna alla Camera di provenienza finché non si raggiunge
l'approvazione di un testo identico da parte di entrambe le Camere.
4. Perfettiva o integrativa dell’efficacia: approvato il testo da ambedue le Camere
inizia questa fase con l’invio al Presidente della Repubblica di un messaggio
attestante il procedimento svoltosi. Da quel momento decorre il termine di trenta
giorni entro il quale il capo dello Stato può chiedere una nuova deliberazione alle
Camere (rinvio). Dopo la promulgazione la legge acquista esecutorietà almeno per
due organi: il Presidente della Repubblica ed il Governo, divenendo obbligatoria per
tutti solo dopo 15 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
7.4 Le leggi rinforzate
Per alcune leggi la Costituzione prevede un procedimento diverso , solitamente aggravato
(o rinforzato) dalla previsione di una fase ulteriore del procedimento o di una maggioranza
diversa per l’approvazione dell’atto. Esempio di leggi rinforzate sono:
o Leggi che istituiscono nuovi Comuni o nuove Province che devono essere
precedute da una richiesta degli enti locali, da un parere dei Consigli interessati
e da un referendum delle popolazioni coinvolte
o Amnistia e indulto che prevedono la maggioranza qualificata nella votazione
articolo per articolo e finale
o forme e condizioni particolari di autonomia per le Regioni ordinarie, che devono
essere approvate dalle Camere a maggioranza assoluta
o leggi di esecuzione dei Patti lateranensi, necessitano di revisione
costituzionale o accordo tra le parti
o leggi sulla condizione giuridica dello straniero: devono essere in conformità ai
trattati internazionali
o rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose: necessitano intese con le
rappresentanze religiose
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Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
8. Il decreto legislativo e la legge di delega: natura e procedimento
Il sistema delle fonti primarie è un sistema chiuso; tutte le fonti di questo rango devono
essere espressamente previste dalla Costituzione. Nella categoria delle fonti primarie può
inquadrarsi il decreto legislativo (o legge delegata) definito nella Costituzione (art 76
Cost) come un decreto avente valore di legge ordinaria, è dunque, una fonte-atto di
rango primario. Il decreto presuppone una legge di delegazione da parte delle Camere al
Governo, con la quale queste ultime gli trasferiscono l’esercizio della funzione legislativa.
8.1 Il decreto legislativo e la legge di delega: i limiti
L’art. 76 prevede tre limiti di contenuto delle leggi di delegazione, consistenti:
1. nella fissazione di un termine. Il mancato rispetto del termine comporta
l'incostituzionalità del decreto legislativo
2. nell’indicazione di un oggetto definito e
3. nella determinazione dei principi e criteri direttivi (il grado di determinatezza è
rimesso alla discrezionalità delle Camere).
Ad essi si devono aggiungere i limiti logici, ossia quelli che scaturiscono dalla stessa
natura della delega. E’ suscettibile di delega tutto ciò che ricade nella competenza
legislativa ordinaria.
8.2 I testi unici
Uno dei possibili (e frequenti) contenuti del decreto legislativo è rappresentato dalla
raccolta, a carattere esaustivo, della legislazione vigente in un determinato settore: si
tratta dei cosiddetti testi unici che talvolta prendono il nome di codici i quali sono atti
tesi a raccogliere e riordinare in un unico testo la normativa vigente tenendo conto anche
delle eventuali abrogazioni implicite.
9 Il decreto-legge
Decreto-legge: adottato dal Consiglio dei Ministri ed emanato dal Presidente della
Repubblica, non è preceduto da una legge di delegazione; dopo la pubblicazione del
decreto legge, il Governo deve presentare, il giorno stesso, un disegno di legge di
conversione alle Camere, che si riuniscono entro 5 giorni. Se il decreto non è convertito
entro 60 giorni dalla pubblicazione, perde efficacia ex tunc (sin dall’inizio). Secondo
l’opinione prevalente il decreto-legge è considerato una fonte-atto di rango primario di
competenza del Governo, a carattere provvisorio e giustificata dall’esigenza di
disciplinare casi straordinari di necessità e d’urgenza.
Persuade, tuttavia, l’idea che esso sia una fonte-fatto nata extra ordinem (cioè senza
delega delle camere). Sembra essere configurabile come un atto compiuto in carenza di
potere e perciò invalido, ma efficace; certa è quantomeno l’esecutorietà, dubbia ne è
invece l’obbligatorietà di osservanza (giacchè i destinatari della morma potrebbero
“scommettere” sulla mancata conversione).
9.1 La legge di conversione
Ritenendo il decreto-legge una fonte-fatto di diritto scritto, la conversione in legge
dovrebbe configurarsi come una conversione della fonte aveva (da fonte-fatto a fonteatto). La legge di conversione ha l'effetto di stabilizzare gli effetti normativi prodotti
dal decreto-legge. In mancanza di conversione il decreto-legge non può essere ripetuto in
quanto la Corte ne ha sancito il divieto di reiterazione.
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Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
10. Il referendum abrogativo: la natura
Il Referendum abrogativo è un istituto di democrazia diretta ed è disciplinato nella
nostra costituzione dall’art. 75 il quale Attribuisce agli elettori il potere di deliberare
l’abrogazione di una legge o di un atto avente valore di legge. È inquadrabile nelle fonti del
diritto e nelle fonti-atto di rango primario. Tale atto modifica l’ordinamento.
10.1 Il procedimento referendario
Potere di iniziativa: attribuito a 500.000 elettori (comitato di promotori) o a 5 Consigli
regionali. Sul quesito vengono svolti i controlli di legittimità (competenza dell’Ufficio
centrale della Corte di Cassazione) e di ammissibilità (attribuito alla Corte
Costituzionale). Per la Corte, l’interruzione del procedimento referendario si verifica solo
nelle ipotesi di abrogazione sufficiente. Successivamente alla raccolta di firme, viene
indetto il referendum con un decreto del Presidente della Repubblica e per l'approvazione
del quesito sono necessari un
o quorum strutturale, consistente nella partecipazione al voto della maggioranza
degli aventi diritto al voto, ed un
o quorum funzionale, consistente nell'approvazione del quesito da parte della
maggioranza dei voti validamente espressi.
In tal caso, il presidente della Repubblica dichiara, con un proprio decreto, l’avvenuta
abrogazione che decorre dalla pubblicazione del decreto stesso nella Gazzetta Ufficiale.
10.2 I limiti all'ammissibilità del referendum
Il referendum abrogativo deve avere ad oggetto una legge o un atto avente valore di
legge. Esso non riguarda pertanto né le fonti costituzionali né le fonti secondarie né le
fonti regionali, né le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e quelli di
ratifica dei trattati internazionali. La formulazione delle richieste referendarie, la Corte
esige che siano chiare, omogenee e coerenti.
11. L’atto sostitutivo delle leggi regionali
Atto sostitutivo da parte del Governo: questo può sostituirsi ad organi delle Regioni,
delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni, nel caso di mancato rispetto di
norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave,
ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica.
12. I regolamenti parlamentari
I regolamenti parlamentari sono adottati da ciascuna Camera a maggioranza assoluta.
Possono essere classificati tra le fonti del diritto dello Stato, per via dell’esistenza di
norme di riconoscimento a livello costituzionale, il nomen juris e la pubblicazione dell’atto.
Sono da configurare come fonti-atto di rango primario ed a competenza riservata.
13. I regolamenti degli altri organi costituzionali
I regolamenti relativi all'organizzazione interna ed al funzionamento degli altri organi
costituzionali (presidenza della Repubblica, governo e corte costituzionale) non sono, a
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Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
differenza dei regolamenti parlamentari, espressamente previsti dalla costituzione.
Dunque, il regolamento interno al consiglio dei ministri e quelli della Presidenza della
Repubblica sembrerebbero configurabili come fonti di natura secondaria e subordinati
alla legge e agli atti con forza di legge, tuttavia le norme costituzionali a garanzia
dell'indipendenza e dell'autonomia degli organi costituzionali sembrano presupporre
un'autonomia normativa, in questa prospettiva, anche tali regolamenti dovrebbero
configurarsi come fonti-atto di rango primario e a competenza riservata.
14. I regolamenti governativi
Regolamenti governativi: fonti-atto di natura secondaria; prevalgono sui regolamenti
ministeriali o su quelli di altre autorità. I regolamenti possono essere annullabili da parte
dei giudici amministrativi, essendo atti soggettivamente amministrativi. I regolamenti
governativi sono approvati dal Consiglio dei Ministri e sono emanati con un decreto del
Presidente della Repubblica, mentre i regolamenti ministeriali ed interministeriali sono
adottati dal Ministro con un proprio decreto e previa comunicazione al Presidente del
Consiglio. I regolamenti governativi sono classificati in 5 categorie:
1. di esecuzione: servono a rendere più agevole l'applicazione delle leggi,
2. di attuazione ed integrazione: vengano adottati quando le fonti di rango primario
si limitino a porre una disciplina generale di principio,
3. indipendenti: regolano materie non coperte da riserva di legge e nelle quali non vi
sia una disciplina di rango primario,
4. di organizzazione: hanno per oggetto l'organizzazione ed il funzionamento delle
amministrazioni pubbliche che devono basarsi su una previa disposizioni di legge,
5. di delegificazione: rendono esecutiva l'abrogazione di norme previste da una
precedente legge.
15. I contratti collettivi
Tra le fonti del diritto sono da menzionare anche i contratti collettivi di diritto pubblico
stipulati dai sindacati registrati con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle
categorie alle quali il contratto si riferisce. Tuttavia, poiché la legge non ha attuato la
norma sulla registrazione dei sindacati ed essi non hanno acquisito pertanto personalità
giuridica conservando però natura di associazioni non riconosciute, il loro potere
contrattuale continua a produrre effetti solo per i rispettivi iscritti stipulando dei
contratti collettivi di diritto comune efficaci solo per i lavoratori appartenenti al
sindacato contraente.
Per quanto riguarda i contratti collettivi per la disciplina rapporto di pubblico impiego,
essi vincolano tutti i dipendenti pubblici.
16. La consuetudine
Consuetudine: fonte-fatto non scritta, ha efficacia solo se la legge o il regolamento
fanno ad essa rinvio; oppure qualora ci si trovi in una fattispecie non regolata da fonti
costituzionali.
Consuetudini costituzionali:
 confermano la vigenza delle regole nei periodi di crisi degli ordinamenti;
 confermano la vigenza delle regole sulla produzione del diritto;
 costituiscono e stabilizzano i principi dell’ordinamento;
 integrano le lacune del diritto costituzionale vigente.
25
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
Per il formarsi di una consuetudine devono ricorrere due elementi:
1. la diuturnitas (ripetizione costante di un determinato comportamento) e
2. l’opinio juris (elemento psicologico; può definirsi come il convincimento della
rispondenza del comportamento ad una norma giuridica).
Il venir meno di uno dei due provoca fenomeno della desuetudine (se viene meno
l'elemento oggettivo) o la trasformazione in prassi o convenzione (se viene meno
l'elemento psicologico)
17. Il rinvio a fonti di altri ordinamenti: le consuetudini internazionali
Le fonti dell'ordinamento internazionale (consuetudini internazionali e trattati) possono
produrre diritto "dello Stato" solo a condizione che siano da quest'ultimo richiamate,
attraverso la tecnica del rinvio (mobile e recettizio).
Rinvio mobile: appena nasce la norma nell'ordinamento internazionale, automaticamente si
introduce nell'ordinamento dello Stato una norma corrispondente.
17.1 Le norme di adattamento ai trattati internazionali
Le norme di adattamento ai trattati sono immesse nell’ordinamento “dello Stato”
attraverso un atto interno (e non automaticamente) che si limita a prevedere un ordine di
esecuzione dell’accordo, il quale, rinvia per relationem, al trattato.
Per alcuni trattati occorre una legge di autorizzazione alla ratifica da parte del
Presidente della Repubblica, con la quale lo Stato assume l’impegno internazionale.
L’autorizzazione delle Camere è richiesta:
 per gli accordi aventi natura politica,
 per quelli che prevedono arbitrati,
 che importino variazioni del territorio,
 oneri alle finanze o
 modificazioni di legge
Le norme di adattamento assumono il grado dell’atto contenente l’ordine di esecuzione
(costituzionale, primario o secondario).
Sezione II
Le fonti dell’Unione Europea
18. Il problema dell’individuazione delle fonti
Le fonti dell’Unione Europea: il problema dell’individuazione delle fonti dell’ordinamento
comunitario sembrerebbe molto agevole, perché se l’atto comunitario ha carattere
generale sarebbe inquadrabile tra le fonti, in caso contrario farebbe parte del “diritto
dell’Unione”.
Tuttavia, il criterio della generalità non può considerarsi sempre risolutivo, ma al più
sintomatico della natura dell’atto. Tale indagine deve tener conto piuttosto degli elementi
formali:
 Il nomen juris, in quanto atto denominato regolamento (che allude all’introduzione
di regole);
 il procedimento di formazione (il coinvolgimento degli organi apicali dell’Unione
Europea può già essere sintomo della natura normativa dell’atto);
26
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo

la pubblicazione dell’atto nella Gazzetta ufficiale della Comunità europea (devono
essere pubblicati: gli atti, i regolamenti del Consiglio e della Commissione e le
direttive delle stesse istituzioni rivolte a tutti gli Stati membri).
19.
Rilevanza
pratica
dell'individuazione
sull'interpretazione comunitaria
delle
fonti
comunitarie:
cenni
Il fatto che l’ordinamento italiano consideri alcuni atti prodotti dagli organi dell’Unione
Europea anche ccome fonti del proprio ordinamento, ne comporta un corrispondente
regime giuridico. Nel diritto italiano si applicano alle norme prodotte dalle fonti
comunitarie le stesse regole previste per il diritto nazionale.
La Corte di Giustizia ha individuato alcune regole di interpretazione all’interno del
proprio ordinamento:
 assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del
Trattato: la violazione del Trattato costituisce vizio degli atti e dei comportamenti
degli organi comunitari;
 obbligo di un’interpretazione conforme: si deve dare prevalenza a quella conforme
al Trattato o agli accordi internazionali;
 regola dell’uniforme interpretazione del diritto comunitario: è sempre da
preferire l’interpretazione che escluda disparità di trattamento tra i cittadini
dell’Unione.
 Solo le norme del diritto comunitario concorrono alla formazione dei principi
generali dell’ordinamento europeo.
20. Le singole fonti: i Trattati
Le fonti primarie dell’ordinamento europeo sono rappresentate dai Trattati delle
Comunità e dell’Unione europea.
Esiste un Procedimento di revisione dei Trattati: l’iniziativa spetta ad ogni Governo e alla
Commissione, i quali possono sottoporre un progetto di modifica al Consiglio. Quest’ultimo
può esprimere parere favorevole alla convocazione di una Conferenza intergovernativa. Le
modifiche apportate devono essere ratificate da tutti gli Stati membri.
20.1 Le fonti derivate
Il sistema della fonti europee presenta delle differenze basilari rispetto a quello degli
ordinamenti costituzionali. I nomi utilizzati per gli atti non individuano dei tipi cui
ricondurre uno specifico procedimento, una specifica efficacia e una determinata
competenza: l’ordinamento comunitario pullula di fonti atipiche, e difetta però di quelle
tipiche. La complessità dell’ordinamento è frutto di progressive stratificazioni normative
perseguite mediante i vari trattati.
Le fonti comunitarie derivate si distinguono per il contenuto e l’efficacia dell’atto:


I regolamenti sono atti abilitati a disciplinare interamente la materia assegnata
alla loro competenza,
le direttive, invece, debbono limitarsi a definire i fini da perseguire, lasciando al
legislatore nazionale il compito di completare la disciplina comunitaria di principio.
27
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
20.2 I regolamenti
Regolamenti: hanno portata generale (valgono per tutti gli Stati membri) , sono
obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati
membri. Sono classificabili in:
 regolamenti attuativi dei Trattati e
 regolamenti di esecuzione di altre fonti derivate.
20.3 Le direttive
Direttive: sono espressione di una competenza normativa più limitata rispetto a quella
regolamentare. Vincolano i propri destinatari solo “quanto agli obiettivi da raggiungere”.
I Trattati riservano agli Stati la competenza di attuazione delle direttive.
La disciplina delle direttive è idonea a rendere inapplicabili le norme interne con essa
incompatibili. Le direttive vincolano non solo lo Stato-persona, ma tutti i soggetti titolari
di potestà pubbliche e persino lo Stato quando agisce come datore di lavoro nei confronti
dei propri dipendenti. Quello di cui sono privi tali atti è l’efficacia orizzontale, ossia la
capacità di introdurre obblighi a carico dei privati. Allorché una direttiva riguardi
rapporti fra privati l’adempimento non è esigibile nei confronti del provato, ma il titolare
della situazione attiva può chiedere allo Stato il risarcimento dei danni.
20.4 Le decisioni
Decisione: obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Si
caratterizza per la portata individuale. Le decisioni rivolte ai singoli spettano alla
Commissione, quelle indirizzate agli Stati spettano al Consiglio.
20.5 I trattati conclusi dagli organi comunitari
I negoziati sono condotti dalla Commissione e l’accordo è deliberato dal Consiglio
eventualmente con il parere conforme del Parlamento europeo.
20.6 Gli altri atti
I trattati prevedono numerosi atti dei quali è dubbio l'appartenenza alle fonti del diritto
comunitario, tra essi ricordiamo le raccomandazioni e i pareri, ambedue atti non
vincolanti.
Tra gli atti atipici ricordiamo gli accordi interistituzionali: conclusi dagli organi apicali
dell’organizzazione comunitaria e servono a colmare le lacune dei Trattati.
21. Il procedimento di formazione degli atti normativi comunitari
I Trattati comunitari prevedono 5 modelli procedimentali, cui vanno aggiunte alcune
varianti (che dipendono sia dalla partecipazione di altri organi, sia dalla previsione di un
diverso quorum funzionale).
1. procedura di adozione di un atto da parte della Commissione europea;
2. procedura di approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, su iniziativa della
Commissione;
3. la procedura precedente con in più la competenza consultiva del Parlamento
europeo;
4. procedura di cooperazione: nella quale il Parlamento europeo ha il potere di
opporsi alla deliberazione assunta dal Consiglio, proponendo eventuali emendamenti;
28
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
5. procedure di codecisione e di assenso: l’atto non può venire adottato senza
l’assenso del Parlamento al quale è attribuito un potere di veto.
Il procedimento formativo è così idealmente articolabile in tre fasi:
1. iniziativa:
2. deliberazione (o costitutiva o di pronunzia):
3. integrazione dell'efficacia dell’atto (o perfettiva):
21.1 L'iniziativa
L’Iniziativa: configura una proposta in senso tecnico: atto attraverso il quale si avvia la
sequenza procedimentale. Tale potere è attribuito alla Commissione, la quale può essere
sollecitata dal Consiglio dei Ministri. L’iniziativa deve essere formulata secondo le
caratteristiche strutturali comuni agli atti di iniziativa legislativa.
21.2 l'approvazione
L’approvazione: la fase deliberativa degli atti normativi comunitari consiste in un’attività
consultiva e di proposta di emendamenti. Numerosi sono gli organi e le istituzioni che
possono essere coinvolti nella predisposizione dell’atto. Finché il Consiglio non ha
deliberato, può modificare la propria proposta in ogni fase delle procedure che portano
all’adozione dell’atto comunitario. La titolarità del potere deliberativo può essere definita
sulla base di una tripartizione degli atti:
a) quelli emanati dalla Commissione sulla base di una competenza ad essa attribuita;
b) quelli imputabili al solo Consiglio dei Ministri;
c) gli atti di codecisione e di assenso del Parlamento e del Consiglio.
Quanto agli atti del secondo tipo, è prevista la possibilità di intervento del Parlamento
europeo attraverso la:
Procedura di cooperazione: l’attività normativa viene svolta con un coinvolgimento
diretto del Parlamento, il quale ha il potere di pronunciarsi sulla deliberazione del
Consiglio. Nel caso in cui la respinga o proponga un emendamento, se il Consiglio vuole
comunque approvare l’atto senza uniformarsi alle richieste del Parlamento, deve
necessariamente pronunciarsi all’unanimità, a meno che gli emendamenti dnon siano stati
accolti dalla Commissione. Il tale procedura, anche se il Parlamento non può imporre al
Consiglio il contenuto della deliberazione, può comunque costringerlo a seguire un iter
decisionale aggravato.
Procedura di codecisione: il Parlamento europeo può intervenire sul contenuto
prescrittivo dell’atto, sia negoziando la formulazione della disciplina con il Consiglio, sia
impedendo la stesa adozione dell’atto. Il Parlamento esercita un potere di veto anche
nella procedura di assenso. Comunque il Parlamento non si trova mai sullo stesso piano del
Consiglio, in quanto è quest’ultimo a definire la posizione comune iniziale sulla quale il
Parlamento è chiamato pronunciarsi.
Procedura di assenso: è richiesto il parere conforme del Parlamento che può esercitare
un potere di veto. Il Parlamento non ha altro potere se non quello di approvare o
respingere l’atto.
21.3 I requisiti formali dell'atto e l'integrazione dell'efficacia
Integrazione dell’efficacia: il procedimento di formazione degli atti comunitari necessita
del riferimento alle proposte o ai pareri richiesti in esecuzione del Trattato (esigenza di
controllo della legalità) e la motivazione. Negli ordinamenti nazionali la motivazione viene
obbligatoriamente richiesta per gli atti amministrativi. Viceversa gli atti normativi primari
sono tradizionalmente privi di motivazione, poiché hanno natura politica. La motivazione
degli atti normativi comunitari può essere assai contenuta.
29
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
Anche gli atti normativi dell’UE sono soggetti ad una pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale dell’UE, ed alla vacatio (fase di integrazione di efficacia).
Per gli atti rivolti a singoli Stati, o a destinatari determinati, si prevede, inoltre l’istituto
della notificazione.
22. Il sistema europeo delle fonti tra gerarchia e competenza
Difficile risoluzione delle antinomie  criterio della gerarchia e della competenza ?
Nel sistema delle fonti del diritto europeo, gli atti (regolamenti, direttive, decisioni) sono
collocati secondo il duplice criterio della gerarchia e della competenza, infatti, sul piano
dell’articolazione gerarchica i regolamenti e le direttive sono generalmente subordinati
alla disciplina pattizia (detta anche primaria). La potestà normativa degli organi
comunitari si esplica, infatti, nell’ambito della competenza fissata dai trattati e nei limiti
– formali e sostanziali - stabiliti convenzionalmente (anche se vi sono alcune eccezioni).
In via preminente opera, dunque, il criterio della competenza, attraverso il quale le
singole materie e le diverse funzioni vengono distribuite tra gli atti comunitari derivati
(soprattutto regolamenti e direttive).
23.Le fonti comunitarie nella prospettiva del trattato costituzione per l'Europa
Trattato-Costituzione: non ancora entrato in vigore. La costituzione europea rimane un
trattato e si sostituirà ai Trattati dell’Unione e della Comunità. Prevede: che per alcune
modifiche sia sufficiente l’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio europeo; un
sistema delle fonti nel quale si introduce una gerarchia formale  al vertice della fonti
derivate vi saranno la legge europea e la legge-quadro europea  in posizione
subordinata a tali leggi si porranno i regolamenti di esecuzione e delegati. Gli organi con
competenza regolamentare saranno il Consiglio dell’Unione e la Commissione.
24. La collocazione degli atti comunitari
La competenza normativa comunitaria derivata sarebbe governata dal:
Principio di attribuzione: la determinazione di ciascuno dei singoli oggetti dell’attività
normativa sopranazionale dovrebbe risultare dall’espressa e puntale abilitazione da parte
del Trattato. Tuttavia la determinazione delle specifiche attribuzioni non proviene da una
precisa enumerazione delle materie, ma dalla sovrapposizione di più criteri, spesso
concorrenti. Il risultato è una disciplina delle potestà comunitarie lacunosa, spesso
incerta, e ancora in divenire. A ciò si aggiungano due fattori che hanno fortemente
accresciuto la tendenza espansiva delle competenze comunitarie:
 l’interpretazione evolutiva ed integrativa della Corte di Giustizia, sia nel senso
della dilatazione dell’efficacia precettiva delle norme patrizie, sia attraverso
l’estensione degli stessi contini delle competenze comunitarie
 il ricorso alle procedure di cui all’art 308 TUE secondo cui “quando un’azione della
Comunità risulti necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunità, senza
che il Trattato abbia previsto i poteri d’azione richiesti, il Consiglio prende le
disposizioni del caso”.
Principio di sussidiarietà: nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la
Comunità interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi previsti non possono
essere realizzati dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello
comunitario.
30
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
Ordinamento comunitario = sistema tendenzialmente aperto all’integrazione degli organi
comunitari.
Quali sono le norme nazionali poste a fondamento dell’effetto diretto delle norme
sopranazionali? Esse si trovano nel nostro diritto costituzionale. L’ordinamento italiano è
un sistema chiuso a livello di fonti primarie, così la Corte Costituzionale ha riconosciuto
nell’art.11 Cost. il fondamento positivo dell’adesione dell’Italia alle Comunità europee.
Tale disposizione giustificherebbe la scelta di operare nelle limitazioni di sovranità in
favore di ordinamenti sovranazionali.
Le norme comunitarie operano direttamente nell’ordinamento interno. Tali fonti sono fin
dall’origine indirizzate a regolare i rapporti infrastatuali. La Corte di Giustizia ha
affermato che le norme comunitarie sono indirizzate a regolare i rapporti sia tra i privati,
sia tra i privati e le amministrazioni statali.
Le norme comunitarie producono direttamente effetti interni. Ma come si determinano
tali effetti? Sono state proposte tesi diverse:
 tesi del rinvio mobile: esisterebbe un dispositivo di rinvio mobile tra diritto
interno e comunitario che permetterebbe al nostro stato di appropriarsi di norme
di un altro Stato. Tale ipotesi risulta inadeguata proprio per la peculiarità del
fenomeno comunitario. Infatti la norma dovrebbe pre-esistere ed essere operante
nell’altro ordinamento, cosa che evidentemente non avviene, non essendo l’Unione
Europea uno Stato, inoltre i destinatari delle norme europee non sono gli abitanti di
uno Stato in particolare ma sono tutti gli abitanti europei.
 tesi dell’irrilevanza dell’ordinamento interno (elaborata dalla nostra Corte
Costituzionale) secondo la quale i due sistemi sarebbero “autonomi e distinti,
ancorché coordinati”. La coordinazione si manifesterebbe nel fatto che, al sorgere
del diritto comunitario, le norme nazionali si “ritrarrebbero” lasciando uno spazio
libero alle norme europee. Anche tale tesi lascia perplessi in quanto i due
ordinamenti non sono impermeabili come il “ritrarsi” lascerebbe supporre: vi sono
numerosi casi in cui l’effetto dell’uno sull’altro incide reciprocamente sul rispettivo
modo di essere “interno”;
 tesi delle fonti comunitarie come fonti atto di diritto scritto per l’ordinamento
italiano: tale tesi è quella da preferire in quanto è da escludere qualsiasi
trasformazione sostanziale delle norme; trasformazione, invece, necessaria nel
caso del diritto internazionale. Le norme comunitarie sono strutturalmente
destinate ad esistere nei territori degli Stati membri. Un’interpretazione fedele
della disposizione dei Trattati sulla produzione normativa sovranazionale configura
quelle comunitarie come fonti-atto in quanto il diritto nazionale ha espressamente
attribuito un potere normativo agli organi comunitari.
25. La soluzione delle antinomie fonti europee e fonti nazionali
La soluzione delle antinomie deve tenere in considerazione in che rapporto vengono visti il
diritto comunitario e il diritto interno del singolo Stato da parte della Corte di Giustizia
Europea e dalla nostra Corte Costituzionale.
Per quanto riguarda la Corte Costituzionale italiana possiamo affermare che:
 il diritto comunitario e il diritto interno sono distinti ma coordinati
 il diritto comunitario prevale sul diritto interno a condizione che non vengano
violati principi supremi dell'ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della
persona umana
 Le norme interne contrastanti con quello comunitarie sono anche incostituzionali
31
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
mentre per la Corte di Giustizia:
 Il diritto europeo forma inseme a quello degli Stati membri un unico ordinamento
 Le norme del primo debbono prevalere su quelle del secondo
 Le norme nazionali non possono formarsi validamente qualora contrastino con il
diritto europeo, ove ciò avvenga sono illegittime
Sezione III
Le fonti di autonomia territoriale
26. Fonti regionali
L’art. 117 Cost. si occupa di definire la potestà normativa delle Regioni e riarticola
complessivamente tale funzione con riferimento sia allo Stato che agli altri enti
territoriali. La tecnica normativa utilizzata ruota intorno a due coordinate:
1. individuare gli ambiti di competenza dei vari enti attraverso l’identificazione
esplicita o implicita di materie di competenza assegnate a ciascun ente, in tutto o
in parte;
2. scelta di ripartire tra gli enti non solo i settori di competenza, ma anche i tipi di
funzione normativa.
27. Gli statuti regionali
Le Regioni ad autonomia speciale godono di un regime particolare, in quanto i relativi
Statuti sono approvati con legge costituzionale. Differente risulta essere anche il
procedimento per essere modificati.
La disciplina statutaria delle Regioni ordinarie è invece affidata ad atti che sono
approvati e modificati dal Consiglio regionale con leggi approvate a maggioranza assoluta
dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo di due mesi.
Sono, dunque, atti adottati con procedura aggravata. Le differenze fra i due tipi di
Statuto riguarda anche i limiti e la relativa competenza:
 Statuti speciali: incontrano il limite tipico di tutte le leggi costituzionali e di
revisione costituzionale e su di essi grava anche un vincolo particolare legato alla
delimitata competenza ad essi assegnata (disporre forme e condizioni particolari di
autonomia per le singole Regioni).
 Statuti ordinari: sono sottoposti a limiti più penetranti, soggiacciono alla disciplina
costituzionale e devono essere in armonia con la Costituzione. A differenza degli
Statuti speciali, la competenza degli Statuti ordinari è tassativamente definita
dalla Costituzione stessa e non coincide con l’intera materia dell’autonomia
regionale. La collocazione degli Statuti è definita gerarchicamente in termini di
subordinazione alle norme costituzionali, ma anche orizzontalmente, in termini di
competenza, rispetto alle altre fonti statali e regionale.
Gli Statuti speciali e Statuti ordinari differiscono per un diverso oggetto e una diversa
funzione:i primi contengono l’indicazione dei criteri di ripartizione delle competenze tra
Stato ed enti territoriali, attraverso l’uso delle coordinate, orizzontali (elenchi di
materie) e verticale (distribuzione di potestà all’interno della medesima materia).
Ripartizione che per le altre Regioni è fissata dall’art. 117 Cost.
Similitudini: attribuzione anche alle Regioni ordinarie di ulteriori forme e condizioni
particolari di autonomia con riferimento ad alcune materie; le competenze delle Regioni
32
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
speciali, non sono più ripartite solo in base a previsioni dei rispettivi Statuti, ma anche in
base alle disposizioni che definiscono le attribuzioni delle Regioni ordinarie.
29. Le leggi statutarie delle Regioni speciali
Le disposizioni di organizzazione dell’autonomia regionale prevede la facoltà, per le
Regioni speciali, di intervenire in materia di forma di governo regionale e di iniziativa
popolare delle leggi regionali e del referendum regionale abrogativo, propositivo e
consultivo.
Le leggi statutarie sono tenute ad essere in armonia con la Costituzione e i principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica ed a rispettare le norme inderogabili degli
Statuti in tema di forma di governo.
30. Gli ambiti di competenza regionale
Ambiti di competenza regionale: due elenchi di materie sulla distribuzione della potestà
legislativa: uno contenenti gli ambiti di legislazione esclusiva dello Stato e l’altro quelli di
legislazione concorrente. In quest’ultima la ripartizione non si ispira solo ad una
coordinata orizzontale, ma anche ad una verticale. Allo Stato spetta solo la fissazione con
leggi dei principi fondamentali, mentre alle Regioni è riservata la normativa di dettaglio.
Nelle materie, poi, la competenza spetta in via esclusiva alle Regioni. Nei nuovi elenchi,
oltre alla materie-oggetto, possono ravvisarsi: le materie-scopo (preminente il fattore
finalistico) e le materie-tipo di disciplina (ciò che rileva è la natura delle norme che si
intendono introdurre).
 Materie-oggetto: l’oggetto può essere un bene materiale o immateriale, ente, organo.
Altre volte l’oggetto non sembra costituire il fattore esclusivo ai fini dell’attribuzione
della competenza, differenziandosi le attività ad esso relative. Per evitare il rischio
della perdita di rango costituzionale degli elenchi, nell'interpretazione di tali materie
occorre avvalersi di tre criteri:
a) quello costituzionale: Nell’interpretazione delle materie occorre muovere dal
complesso delle disposizioni costituzionali. Possono riscontrarsi diverse ipotesi in
cui è identica o molto simile la terminologia adoperata negli elenchi statutari e
costituzionali,
b) quello comunitario: Se si confrontano gli elenchi costituzionali con i titoli
competenziali previsti nei Trattati europei possono riscontrarsi numerose
corrispondenze
c) quello storico-normativo: Il contenuto delle singole materie va ancorato al
significato che esse avevano nel contesto dell’ordinamento vigente al momento
della loro approvazione. Le voci costituzionali sono configurabili come nozioni
giuridiche presupposte.

Materie-scopo: hanno riguardo agli scopi che sono chiamate a perseguire. Allo Stato è
attribuita una competenza trasversale, attraverso la quale può incidere sulla disciplina
di qualsiasi ambito materiale. “L’impiego del criterio finalistico comporta che le
competenze attraverso esso individuate siano chiamate a definire se stesse”.

Materie-tipo di disciplina: atteso che tali materie hanno carattere trasversale e che
la trasversalità determina un contrasto tra norme, può rilevarsi che qui l’antinomia sia
risolvibile attraverso il criterio di specialità. Materie-tipo di disciplina conservano un
carattere residuale, nel senso che si applicano a tutte le fattispecie che non trovino
nella singola Regione una disciplina derogatoria a carattere settoriale. La trasversalità
33
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
delle materie-tipo di disciplina sembra avere un carattere recessivo, arretrando di
fronte alla disciplina speciale nel singolo settore riservato alla legislazione regionale.
30.8 I principi fondamentali
Per la fissazione dei principi fondamentali la Costituzione prevede una riserva di legge
assoluta. I principi fondamentali sono principi stabiliti da leggi dello Stato, ossia principi
espressi o disposizioni di principio. Però, se e fino a quando lo Stato rimane inerte e non
approva tali principi, le Regioni non sono impedite ad esercitare la propria funzione
legislativa nelle materie di competenza concorrente, ma devono ispirare la propria
legislazione ai principi impliciti desumibili dalla legislazione statale.
La potestà legislativa è distribuita tra Stato e Regioni; la potestà regolamentare è
assegnata ad ogni ente. Il procedimento ed il regime della legge regionale sono regolati, in
parte direttamente dalla Costituzione, in parte dagli Statuti regionali.
 La funzione legislativa è esercitata dal Cosniglio Regionale
 Il Presidente della Giunta ha il potere di emanare i regolamenti regionali;
 Le leggi della Regione sono sottoponibili al sindacato della Corte costituzionale
 alla competenza statutaria è affidata la pubblicazione dei regolamenti regionali;
 è di competenza agli Statuti l’attribuzione della potestà regolamentare regionale.
 Giunta: organo esecutivo della Regione.
Sembra preclusa agli Statuti la previsione di una riserva di regolamento, la possibilità,
cioè, di affidare la disciplina di una i più materie di competenza regionale alla fonte
regolamentare.
31.3 Le fonti degli altri enti territoriali
La disciplina delle fonti degli altri enti territoriali è interamente lasciata dalla
Costituzione alla legislazione ordinaria. La potestà statutaria delle Province, dei Comuni e
della Città metropolitane ha ad oggetto i principi fondamentali di organizzazione e di
funzionamento dell’ente, le forme di controllo, nonché le garanzie delle minoranze e le
forme di partecipazione popolare.
I regolamenti comunali e provinciali e della città metropolitane hanno ad oggetto le
materie di competenza di tali enti.
32. Le funzioni legislative nelle Regioni ad autonomia speciale
Regioni ad autonomia speciale: hanno un regime aggiuntivo rispetto a quello ordinario.
Godono di tre tipi di competenze legislative: primaria, concorrente ed integrativa, alle
quali corrispondono tre elenchi di materie nei rispettivi Statuti.
 Competenza primaria: limitata dalle norme di rango costituzionale e dagli obblighi
internazionali e comunitari, e dai principi generali dell’ordinamento. Le regioni sono
liberi di legiferare salvo i limiti che si desumono dai principi impliciti ricavabili per
astrazione generalizzatrice
 Competenza concorrente: è limitata dai principi fondamentali stabiliti dalle leggi
dello Stato che adotta una legge (legge-cornice) che può contenere solo norme
generali tese a limitare la potestà legislativa regionale
 Competenza integrativa: è limitata dalle norme poste dalle leggi dello Stato, il
quale può legiferare anche nel dettaglio degli lasciare uno spazio della normativa
delle Regioni speciali.
 Competenza esclusiva: nelle materie non elencate nell'articolo 117 commi 2 e 3
34
Capitolo 4° - le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
32.1 Le condizioni particolari di autonomia
Alle Regioni possono essere attribuite "ulteriori forme e condizioni particolari di
autonomia" in tutte le materie di competenza concorrente e in alcune materie di
competenza esclusiva: in particolare:
 l'organizzazione della giustizia di pace;
 le norme generali sull'istruzione;
 la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali
tale attribuzione deve avvenire con una legge statale approvata con un procedimento
aggravato richiedendo:
 l'iniziativa della regione interessata,
 il parere obbligatorio degli enti locali
 la conformità dell'atto
 un'intesa fra lo Stato e la Regione interessata
 l'approvazione delle Camere a maggioranza assoluta
35
Capitolo 5° -forme di Stato e forme di governo
1.Le forme di Stato e le forme di governo: premesse definitorie
Lo studio delle forme di Stato riguarda le modalità con cui gli elementi costitutivi dello
Stato (popolo, territorio, sovranità) tra loro si combinano e interagiscono. Esso fotografa
cioè, l'assetto complessivo della comunità statale.
Le forme di governo, invece, si concentrano solo sul modo in cui la comunità statale
distribuisce, nell'esercizio della proprio sovranità, i poteri di decisione pubblica (la
funzione di governo) al proprio interno. L'esame riguarda gli aspetti dell'organizzazione
statuale e le relazioni tra gli apparati governanti, al fine di identificare il modo in cui
viene elaborata e realizzatala direzione politica dello Stato, cioè l'indirizzo politico.
2. Le forme di Stato in prospettiva storica
La monarchia assoluta: costituisce la prima forma di Stato modernamente inteso. La sua
genesi può collocarsi nei secoli XV e XVI. La parabola della monarchia assoluta inizia
proprio definitivo declino con la rivoluzione americana (1776) e francese (1789).
Un'eccezione l'abbiamo nell'ordinamento inglese nel quale la trasformazione in senso
liberale si verificò un secolo prima con la Declaration of Rights del 1688 e poi con il Bill of
Rights del 1689. In questa forma di Stato il potere viene esercitato in termini assoluti in
quanto il suo titolare, il re, detiene il monopolio delle decisioni. La sua autorità trova una
legittimazione di carattere trascendentale nella presunta origine divina del potere
monarchico. Lo Stato assoluto si evolve in due fasi:
1. fase: Stato patrimoniale: fondato sull'idea che lo Stato costituisca un vero e
proprio patrimonio del re sia per quanto riguarda il territorio che per il popolo,
formato da sudditi per l'ordine naturale o per contratto sociale
2. fase: Stato di polizia: il monarca svolge una funzione pubblica generale
considerando l'assunzione e la tutela dei destini dei propri sudditi come sua
fondamentale missione. È questa la fase dell'assolutismo illuminato (Federico II
di Prussia, Maria Teresa d'Austria). Non vi sono delle propri diritti, ma una
tutela indiretta e notevolmente precaria qualora la situazione soggettiva dei
sottoposti coincida con l'interesse dello Stato. Il sovrano rimane l'unico
interprete del bene comune.
3. Lo Stato di diritto
Lo Stato di diritto o Stato liberale assegna un ruolo centrale alla legge, intesa sia come
atto normativo tipico che come norma di diritto cui tutte le autorità dello Stato, ivi
compreso il monarca, sono assoggettate. Al primato della legge consegue l'affermazione
del principio di legalità che comprende l'idea dell'assoggettamento del potere a dei limiti
e della necessità di garantire i sottoposti dagli arbìtri di quest'ultimo. Ciò è realizzato
con la dottrina della separazione dei poteri e con una visione secondo la quale i soggetti
dell'ordinamento giuridico non sono più dei sudditi alla mercé del sovrano ma veri e propri
cittadini. L'attribuzione, a ciascun titolare del diritto, del potere di agire in giudizio
anche contro la pubblica amministrazione, rappresenta il coronamento di questa
evoluzione verso lo Stato di diritto. Ovviamente il tipo di diritti riconosciuti presente
fortemente delle caratteristiche politiche ed economico-sociali dello Stato:
ideologicamente liberale, economicamente liberista, socialmente borghese. Lo Stato viene
così a trovarsi in posizione prevalentemente arbitrale nei confronti della società, in linea
di massima esso assicura la possibilità per ciascuno di svolgere la propria attività secondo
le capacità di cui dispone, non promuovendo, ma proteggendo, cioè impedendo turbative da
parte degli stessi organi dello Stato e di terzi. Viene affermata l'eguaglianza dei
cittadini davanti alla legge e l'assunzione della centralità del cittadino determina
l'adozione di regole organizzative che prevedono la partecipazione di questo alla vita
pubblica in condizioni di eguaglianza di tipo giuridico-formale ma non patrimoniale, in
effetti l'accesso alle cariche pubbliche e l'elettorato attivo vengono ristretti solo a
coloro che, in via di fatto, siano in condizioni di esprimere gli interessi sociali su cui lo
Stato liberale si fonda, cioè i cittadini economicamente attivi, valutati in base al censo. Il
suffragio dunque è ristretto alle classi più agiate.
4. Lo Stato sociale di diritto
Una possibile evoluzione dello Stato di diritto è quella che, in seguito alla nascita di
movimenti sociali volti ad estendere anche alle classi meno abbienti l'accesso la vita
pubblica, porta, in periodi diversi tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, allo Stato sociale
(in Italia il suffragio semi universale, limitato solo i cittadini maschi, venne introdotto nel
1912, mentre suffragio universale si ebbe nel 49). Accanto alla lotta per il voto è da
menzionare la lotta per la realizzazione di una giustizia sociale e della realizzazione di una
eguaglianza sostanziale, di redistribuzione delle ricchezze e di pari opprtunità di vita per
tutti cittadini. Con le costituzioni post-belliche, si raggiunse una situazione di maggiore
equilibrio, fondata su tentativi di reciproca integrazione, l'espressione più ricorrente per
definire lo Stato contemporaneo è infatti quello di Stato sociale di diritto.
5.La natura composita delle costituzioni contemporanee
Le costituzioni contemporanee si caratterizzano per la natura composita dei propri
principi ispiratori, riconducibili alla dicotomia che vede da una parte una matrice:
 liberal-garantistica: in cui l'ordinamento giuridico statale si propone l'obiettivo di
assicurare ai propri membri uno spazio di libertà nel quale svolgere le proprie
iniziative e sviluppare la propria personalità. Giuridicamente problema è quello di
proteggere tale ambito privato impedendo indebite intrusioni nella sfera dei singoli
ed evitare discriminazioni che altri fini in senso positivo o negativo le condizioni
della coesistenza tra i consociati. In questa prospettiva, la funzione principale
dell'ordinamento e quella di protezione.
e dall'altra una matrice
 social-interventistica. in cui gli sforzi dello Stato muovono nella direzione della
realizzazione di interventi da parte dei pubblici poteri finalizzati a ridurre le
disuguaglianze materiali dei cittadini, le quali impongono ai soggetti realmente più
svantaggiati minori opportunità di vita di sviluppo della personalità rispetto a quelle
di cui corone soggetti che abbienti. L'obiettivo dell'eguaglianza trasforma
funzionalmente ruolo dello Stato chiamato a perseguire finalità di promozione.
6. La liberaldemocrazia
Il modello che attualmente si impone in Occidente è quello della cosiddetta liberaldemocrazia, dove l'istanza liberale accentua l'esigenza di una tutela da assicurare ai
singoli individui mentre l'istanza promozional-interventistica accentua la necessità di
assunzione di decisioni pubbliche che realizzano le modificazioni della realtà necessarie
per perseguire il valore dell'eguaglianza politica tra i membri della collettività.
6.1 Democrazia diretta e democrazia rappresentativa
Democrazia diretta: le decisioni vincolanti vengono assunte direttamente dai cittadini o
meglio, da coloro tra di essi che posseggono il diritto di voto. Essa garantisce certamente
un maggiore ed immediato coinvolgimento dei titolari del potere, ma il tipo di decisioni cui
può condurre appare estremamente limitato. Essa si riduce, in definitiva, ad una scelta
binaria tra approvare e respingere la proposta mentre risulta necessariamente sacrificato
il momento fondamentale dell'attività deliberativa specialmente di fronte a problemi
particolarmente complessi o ad una pluralità di interessi da comporre o all'esigenza di
scelte rapide: il confronto dialettico. La democrazia diretta dunque, sopprime la
possibilità di ponderazione della soluzione attraverso la discussione nel confronto,
necessarie far emergere soluzioni più adeguato attraverso aggiustamenti progressivi.
Democrazia rappresentativa: le decisioni vengono assunte da rappresentanti del popolo,
scelti a tale scopo mediante procedimento elettorale. Essa presenta alcuni indubbi
vantaggi rispetto alla democrazia diretta, come
 la possibilità di assumere decisioni complesse attraverso confronto tra i
rappresentanti oppure
 la possibilità di cambiare indirizzo politico del governo qualora questo non soddisfi
l'elettorato senza contare
 l'esistenza di una responsabilità politica che consente agli elettori di valutare
l'attività svolta dai propri rappresentanti premiandoli o punendoli con l'elezione.
6.2. Le tecniche di decisione democratica: il principio maggioritario
Sul piano delle tecniche di decisione, corollario del principio democratico è il principio
maggioritario, in base al quale perché una decisione venga legittimamente assunta è
necessario che su di essa converga la maggior parte dei consensi. Possono distinguersi
differenti formule maggioritarie:
 maggioranza relativa: per la quale, dovendosi scegliere tra più proposte o persone,
si considera prevalente la proposta o la persona che ottiene, relativamente alle
altre, un maggior numero di consensi
 maggioranza assoluta in senso lato: affinché una proposta risulti approvata, non è
sufficiente che esso tende più consensi rispetto alle altre, ma deve raggiungere un
numero di voti favorevoli, determinato o determinabile come frazione maggioritaria
(almeno la metà più uno) di un intero. All'interno di questa categoria vanno
collocate:
o maggioranza semplice: per la quale le decisioni sono assunte con il consenso
di almeno 55% + 1 dei partecipanti al voto
o maggioranza qualificata: rappresentato da ogni maggioranza superiore a
quella semplice. E a sua volta distinta in:
 maggioranza assoluta in senso stretto: per la quale la decisione è
adottata solo se essa riceve numero di consensi pari ad almeno il 50%
più uno
 altre maggioranze: definite come frazione superiore al 50% più uno
degli aventi diritto al voto (ad esempio, maggioranza dei 2/3 o dei
3/5)
La maggioranza qualificata non costituisce un meccanismo maggioritario, ma è finalizzato
a dare soddisfazione anche ad una minoranza. Ed anzi può consentire sacrificio parziale
dell'opinione dei più perché gli interessi dei meno trovino una qualche soddisfazione.
Corollari del sistema maggioritario sono:
 La temporaneità delle cariche pubbliche: il che implica la possibilità di alternanza
al potere ed il ricambio della maggioranza stessa
 tutela delle minoranze politiche
6.3. Il principio liberale ed il suo contemperamento con quello democratico
Il principio democratico si fonda sull'idea di un primato della maggioranza.
Il principio liberale trova nella sua forma più pura, il proprio centro di riferimento nella
persona singola. La manifestazione tipica del modello liberale rappresentata dall'insieme
dei diritti costituzionali individualisticamente intesi, attribuiti al titolare per
"l'appagamento egoistico" dei suoi bisogni.
E’ chiaro che questi due principi sono strutturalmente in tensione, si tratterà quindi di
cercare il modo con il quale sia possibile stabilire un equilibrio che consenta di
preservarne la coesistenza.
Con riferimento al circuito in cui opera il principio democratico, la garanzia contro il
pericolo dell'arbitrio si realizza perseguendo l'obiettivo di spersonalizzare la decisione
che incide sulle situazioni individuali, rendendo, così, virtualmente indeterminati e
indeterminabili i potenziali destinatari della deliberazione stessa. Coloro che la assumono
debbono agire sapendo della decisione può incidere sulla loro stessa condizione (o quella
dei loro elettori). In tal modo i decisori sono incentivati ad evitare le limitazioni
ingiustificate ed arbitrarie dei diritti. Il principio di legalità rappresenta l'applicazione
di una versione aggiornata del principio della separazione dei poteri: una separazione
funzionale. Esso si fonda sulla distinzione tra due funzioni: quella di disporre in via
generale ed astratta e quella di provvedere concretamente.
La funzione del disporre è assegnata agli organi che strutturalmente sono in grado di
selezionare gli interessi pubblici: gli organi di estrazione politica.
La funzione del provvedere spetta ad organi tecnici che non appartengono al circuito
politico ma alla pubblica amministrazione o alla giurisdizione. E si sono scelti in base alla
capacità professionale attraverso procedimenti di selezione che consentono di valutare
tali capacità (concorso pubblico).
In conclusione, lo Stato liberal-democratico accoglie tendenzialmente l'idea di una
separazione funzionale, adottando meccanismi che tendono a spersonalizzare la decisione
politica, da un lato, e a spoliticizzare la decisione individuale dall'altro.
7. Forme di Stato sul piano territoriale
Qual è il formato più adeguato per assicurare un'amministrazione efficiente della cosa
pubblica? è meglio una struttura centralizzata o un governo molto decentrato?
7.1 Stato accentrato, federalismo e regionalismo

Confederazione: costituisce una particolare unione tra Stati che mantengono la
proprio sovranità e indipendenza e si muovono, pertanto, nell'ambito del diritto
internazionale. Nella confederazione le relazioni tra entità politiche non danno luogo
ad uno stato vero e proprio.



Lo Stato accentrato è caratterizzato dall'essere del tutto privo di decentramento
politico istituzionale. L'intero ordinamento di vendere un unico centro di selezione di
governo. Esso trova il proprio archetipo nelle monarchie nazionali e, in particolare, in
quella francese, nell'ambito della quale viene creata, con una costituzione del 1791, la
formula dell'unità ed indivisibilità dello Stato.
lo Stato composto (o Stato federale), si basa sul pluralismo dei centri di potere
politico, regolati dall'ordinamento giuridico complessivo e legittimati dalle differenti
comunità di riferimento, riconducibili alle circoscrizioni territoriali nelle quali il
territorio dello Stato è ripartito in tali sistemi, lo Stato è la risultante di una serie di
stratificazioni ordinamentali. La prima e più rilevante manifestazione di questa
tipologia è nella Costituzione Americana firmata a Philadelphia nel 1787, la cui forma
istituzionale esprime l'evoluzione della breve esperienza confederale realizzatasi tra
il 1777 e 1787 sotto la vigenza degli articoli di confederazione ed unione perpetua. In
Europa questa tipologia ha rappresentato la migliore soluzione per favorire processi di
aggregazione in contesti di pluralismo politico, culturale, socioeconomico, etnicoreligioso o linguistico (Svizzera, Germania).
Lo Stato regionale trova la propria origine in Spagna con la Costituzione Repubblicana
del 1931 dove si assicura una cornice legale alle pretese di forte autonomia avanzate
da alcune nazionalità presenti nel territorio (Paesi Baschi, Catalogna, Galizia). La
soluzione escogitata consistette nella creazione di Regioni ad autonomia differenziata
le una rispetto alle altre, la cui stessa istituzione veniva affidata alla volontaria
iniziativa delle popolazioni interessate. A tale modello regionale si sono poi affiancate
altre versioni, sorte in contesti diversi. Una di queste è proprio quella italiana, la quale
ha mescolato alcuni aspetti del regionalismo spagnolo (cinque regioni differenziate)
con altri propri del federalismo (definizione tendenzialmente paritaria delle
attribuzioni delle altre regioni)
7.2 L'evoluzione delle tecniche di decentramento politico
Il problema principale del decentramento politico è sempre stato quello della definizione
degli ambiti di competenza dei differenti livelli di governo. Lo sviluppo di differenti
tecniche per la realizzazione di tale obiettivo ha segnato l'evoluzione sia degli
ordinamenti regionali che di quelli federali.
Storicamente il primo modello di ripartizione delle attribuzioni è quello del cosiddetto:
 federalismo o regionalismo duale. Esso si fondava sull'idea che gli ambiti di
competenza potessero venir definiti una volta per tutte ed in modo netto. Lo Stato
composto, in questa prospettiva, avrebbe rappresentato un perfetto insieme di nuclei
ordinamentali rigidamente separati e non reciprocamente interferenti. Tali clausole si
rilevarono, però, insufficienti per la frequente sovrapposizione tra le fattispecie
materiali evocate dalle norme sulla competenza e anche per l'interpretazione di taluni
titoli competeenziali. In un siffatto contesto, le corti costituzionali hanno assunto un
ruolo di arbitraggio nell'articolazione delle competenze.
 Il federalismo (o regionalismo) cooperativo, si basa sul presupposto che le
competenze vadano garantite non solo con norme sugli ambiti di competenza ma a
anche mediante lo sviluppo di dispositivi di tipo organizzativo o procedurale volte
favorire la partecipazione e la collaborazione tra i livelli di governo interessati.
 Il federalismo di tipo competitivo cerca di contenere la spinta cooperativa per
favorire una concorrenza tra enti alla realizzazione della maggiore efficienza
funzionale, con in più rispetto dell'autonomia delle differenze politiche.
7.3 La Repubblica italiana e la sua articolazione territoriale
L’Italia è uno Stato composto. Se ne deduce ciò già dai primi articoli della Costituzione
laddove riconosce e promuove le autonomie locali e attua nei servizi che dipendono dallo
Stato il più ampio decentramento amministrativo, adeguando i principi i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. La norma contempera,
dunque, il principio di decentramento con quello di unità e indivisibilità della Repubblica.
7.4 L'articolazione territoriale dei poteri tra unione europea e Stati membri
L'Unione europea, definita come sistema di governo multilivello, pur non essendo
qualificabile come un ordinamento federale, presenta varie analogie con l'assetto degli
Stati composti. Il discorso vale, anzitutto, per le clausole definitorie delle competenze.
La tecnica utilizzata per individuare le competenze comunitarie e di tipo classicamente
federale e regionale consistendone l'identificazione di ambiti di intervento secondo la
distinzione tra competenze esclusive, competenze concorrenti e competenze parallele.
Queste ultime sono assegnate agli Stati, con la possibilità per l'Unione di promuovere e
sostenere l'azione statale finanziariamente.
8. Le forme di governo: classificazione
Un modo per classificare le forme di governo nelle liberale democrazie è quello di
analizzare le forme e i dispositivi organizzativi attraverso cui le istanze provenienti dalla
società e le scelte compiute dal corpo elettorale, si trasformano in indirizzo politico di
governo. Data la natura prevalentemente rappresentativa delle istituzioni governative,
l'attenzione si concentra soprattutto sulle modalità in cui tali istanze vengono
rappresentate cioè prodotte e filtrate dai soggetti coinvolti nella realizzazione della
direzione dello Stato. Le diverse forme di governo si possono ordinare all'interno di due
estremi, dall'estremo delle cosiddette democrazie consensuali o competitive
(caratterizzate dalla frammentazione delle legittimazioni istituzionali e forte mediazione
della rappresentanza) a quello delle democrazie maggioritarie (connotata da una maggiore
concentrazione dei poteri lungo l'asse maggioranza-Governo e da una competizione capace
di eliminare la mediazione nella legittimazione elettorale). Nelle democrazie che tendono
al modello consensuale, si riscontrano processi decisionali frammentati e le decisioni sono
frutto di negoziati compromessi tra i vari attori politici e istituzionali. E democrazie
orientate verso modello maggioritarie sono, invece, caratterizzate dall'esistenza di
un'istituzione, o di una componente politica che esercita un ruolo preminente nella
definizione dell'indirizzo politico. Semplificando, le democrazie consensuali accentuano
l'elemento della partecipazione tra istituzioni e soggetti politici; quelle maggioritarie
accentuano l'elemento dell'efficienza decisionale.
9. Le principali forme di governo: la monarchia costituzionale
La monarchia costituzionale si può ritenere come una evoluzione della monarchia assoluta
nel momento in cui le nuove classi emergenti della società prendano coscienza di sé e del
proprio potere potenziale (borghesia e ceto popolare). Da un lato abbiamo il monarca con i
suoi ministri a cui spettano i poteri di amministrazione, dall'altro il Parlamento composto
da una camera elettiva rappresentativa degli interessi popolari (o meglio, della borghesia)
e da una camera alta rappresentativa degli interessi tradizionali della nobiltà e dell'alto
clero i cui componenti erano di nomina regia o membri di diritto.
10. Il governo parlamentare
La progressiva e ineluttabile transizione del baricentro politico di proporre al Parlamento
e, in esso, alla rappresentanza popolare e all'origine delle attuali forme di governo.
Il governo parlamentare è fondato sul principio della responsabilità politica del Governo
di fronte al Parlamento che si manifesta attraverso il cosiddetto rapporto di fiducia tra i
due organi, ciò significa che il Governo è politicamente responsabile di fronte al
Parlamento il quale ne condiziona l'appoggio espresso o tacito. Il Governo, dunque,
promana dalla maggioranza parlamentare e ne è espressione. Accanto a questi due organi
vi è il Capo dello Stato, il quale non è politicamente responsabile di fronte alle camere ed
esercita un ruolo decisivo soprattutto nelle fasi in cui il sistema attraverso momenti di
crisi (scelta del capo del governo, scioglimento delle camere, soluzione delle crisi
ministeriali).
11. I modelli di parlamentarismo: il modello Westminster o premierato
Sulla base dei possibili assetti del sistema politico-partitico sono ipotizzabili due modelli
estremi di parlamentarismo, tra i quali si situano una serie di esperienze prossime all'uno
o all'altro di essi. Ad un estremo troviamo il modello Westminster o premierato.
Connotato di tale governo parlamentare è un sistema fondamentalmente bipartitico,
favorito dall'esistenza di una legge elettorale uninominale maggioritaria. Le elezioni
avvengono in collegi nei quali si assegna un solo seggio parlamentare, che viene conquistato
dal candidato che ha raggiunto la maggioranza relativa dei voti. La natura sostanzialmente
binaria della competizione politica ha determinato la circostanza che, in quel sistema, la
scelta della rappresentanza per la Camera dei Comuni costituisce di per sé anche una
scelta della maggioranza di governo. A ciò è da aggiungere anche la consuetudine in base
alla quale il leader del partito vincitore delle elezioni è nominato Capo del Governo. La
concentrazione nelle sue mani della direzione dell'esecutivo, della maggioranza
parlamentare e del partito rende il sistema estremamente stabile. Non è previsto, inoltre,
un voto espresso di fiducia iniziale, così come si ritiene spetti sostanzialmente al premier
decidere lo scioglimento della Camera dei Comuni.
Il modello Westminster offre l'esempio più riuscito di democrazia maggioritaria. La
stabilità governativa così realizzata si protrae per l'intera legislatura ed è solo con le
successive elezioni che l'indirizzo politico può essere modificato dagli elettori.
11.1 La forma di governo parlamentare a tendenza assembleare
All’estremo opposto si collocano quegli ordinamenti in cui la competizione politica
fortemente mediata dai partiti. Si tratta di sistemi notevolmente frammentati e
pluralistici (multipartitismo estremo), i quali non esistono rapporti politico-programmatici
stabili tra i vari gruppi rappresentati in Parlamento e le alleanze di governo (accordi di
coalizione) sono spesso occasionali ed instabili. In tali contesti, il governo risente delle
frequenti modificazioni dei rapporti interni alle assemblee rappresentative ed è,
pertanto, collocato in una posizione di forte dipendenza dal Parlamento. Nella sua forma
più spinta, tale versione del modello parlamentare è costituita dal Governo parlamentare
a tendenza assembleare o di parlamentarismo assoluto. In tale sistema il governo
costituisce un "comitato esecutivo" della occasionale maggioranza, mentre il Parlamento
esercita un forte controllo sulla legislazione e sull'amministrazione dei singoli apparati
ministeriali. Il rapporto tra governo e Parlamento non è disciplinato giuridicamente, il che
indebolisce ulteriormente il governo, tanto da essere sufficiente il voto contrario su un
qualsiasi provvedimento per metterlo in crisi determinarne le dimissioni.
11.2 Il cancellierato
Nel modello della Repubblica federale tedesca abbiamo un multipartitismo temperato. I
vari gruppi rappresentati in Parlamento si alleano in modo stabile e si comportano in modo
particolarmente disciplinato, così da evitare gli esiti tipici del parlamentarismo assoluto.
In tali sistemi, alla rappresentanza politica si struttura intorno due poli contrapposti.
Tuttavia ha ragione della stabilità del sistema di governo tedesco risiede
prevalentemente nelle convenzioni e consuetudini che regolano le relazioni tra i partiti
(lealtà di coalizione, suggellata da un dettagliatissimo accordo tra i partiti che sostengono
il governo, in cui vengono definiti minuziosamente gli obiettivi politici da perseguire
durante la legislatura).
12. La repubblica presidenziale
Al pari del regime parlamentare, anche la Repubblica Presidenziale trova il proprio
archetipo nella Monarchia Costituzionale e ne rappresenta un'evoluzione istituzionale. Il
modello di riferimento per tale forma di governo è la Costituzione Americana del 1787
tuttora vigente, seppur integrata da una trentina di emendamenti alcuni dei quali di
notevole rilevanza. C'è da premettere che gli Stati Uniti d'America sono uno Stato
Federale, nel quale, soprattutto all'origine, la creazione di un'autorità centrale fu
concepita come un “male necessario” per garantire la sopravvivenza dell'Unione nel
contesto economico e politico internazionale. Il modello americano nasce, così, segnato
dalla diffidenza verso il governo federale e dal timore di un eccessivo accentramento in
esso del potere. Il potere esecutivo viene attribuito al Presidente della Repubblica,
attorno al quale sono costituiti vari uffici amministrativi che da esso dipendono. Il
presidente riunisce in sé le funzioni di Capo dello Stato e di Governo. Il potere legislativo
è assegnato al Congresso, formato dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato.
Entrambe le Camere sono elette direttamente. I rapporti tra tali poteri sono
rigorosamente regolati dal principio di separazione, essendo escluso il rapporto di fiducia
e il potere di scioglimento dell'assemblea da parte del Capo dello Stato. Nello stesso
tempo, però, ad evitare che nel proprio ambito ciascun potere possa agire indisturbato,
sono previsti dei checks and balances (freni e contrappesi) i quali consentono ai vari
centri istituzionali il reciproco controllo.
13. Il semipresidenzialismo
La forma di governo semipresidenziale costituisce il tentativo di realizzare una
commistione di elementi parlamentari e presidenziali. Essa presenta un carattere
strutturalmente dualistico, nel senso che sono previsti due distinte catene di
legittimazione democratica che sfociano, l'una, nell'elezione (a suffragio universale
diretto) del Presidente della Repubblica, cui spettano importanti poteri propri, tra cui
quello di nomina del Primo Ministro e di scioglimento delle Camere, l'altra, in quella del
Parlamento, che intrattiene un
Presidente della Repubblica è
dell'appoggio del Parlamento. Il
governo, il presidente, con il
Parlamento.
rapporto di fiducia con il Governo il quale, insieme al
al vertice dell'esecutivo e al tempo stesso necessita
Parlamento, con la sfiducia, può condizionare la vita del
potere di scioglimento, può condizionare la vita del
14. Il governo direttoriale
La forma di governo direttoriale risulta attualmente vigente solo in Svizzera. Essa trova
il proprio archetipo storico nella Costituzione dell'anno III della rivoluzione del 1795,
detta anche Costituzione del Direttorio per via del nome dell'organo esecutivo in essa
previsto. L'assemblea federale e legge singolarmente i membri del governo e la funzione
di capo dello Stato è svolta a turno da uno dei membri del consiglio federale tra i quali
sono ripartite le responsabilità ministeriali. Il governo, una volta eletto, non è revocabile
mediante strumenti parlamentari e né il governo né il capo dello Stato possono esercitare
un potere di scioglimento delle Camere. Il multipartitismo estremo favorisce la
formazione di governi di ampia coalizione ed esclude lo sviluppo di una dialettica tra
maggioranza e opposizione.
15. Altri elementi che condizionano il funzionamento delle forme di governo
…..
16. Cenni sull'evoluzione della forma di governo in Italia
In Italia vige una forma di governo parlamentare. Dopo una lunga parentesi autoritaria del
periodo fascista si svilupparono pratiche parlamentari volte favorire la reciproca
collaborazione tra le forze politiche, da un lato per evitare i rischi di una “maggioranza di
schiacciamento”, che troppo da vicino avrebbe rievocato il fantasma dell'autoritarismo
appena sconfitto, e, dall'altro per impedire che nella giovane democrazia italiana
potessero svilupparsi conflitti talmente acuti da provocare fenomeni di fuga
extraparlamentare ed il sorgere di partiti antisistema. La conseguenza fu l'instaurarsi di
una democrazia consensuale, nella quale anche le minoranze venivano variamente coinvolte
nelle scelte parlamentari e potevano esercitare, o minacciare, un potere di blocco
decisionale in modo da indurre la maggioranza a ricercarne velocemente il consenso
attraverso forme di scambio politico, contribuendo, in questa maniera, a determinare
un'accentuata instabilità governativa. L'apice di questa tendenza fu raggiunta all'inizio
degli anni 70 e suggellata con l'approvazione dei regolamenti parlamentari del 1971. La
situazione cambiò ulteriormente con la trasformazione del sistema politico avvenuta
all'inizio degli anni 90 e dovuta, da un lato, alla trasformazione dei modelli di partito e dal
superamento delle condizioni di aspra conflittualità ideologica, dall'altra, al diverso
strutturarsi della competizione in forza del mutamento della legge elettorale in senso
maggioritario. La progressiva bipolarizzazione dello scontro ed il declino dei pericoli di
conflittualità extra istituzionale o dello sviluppo di forze antisistema, ha condotto alla
transizione dal modello di democrazia consensuale a quello di democrazia competitiva,
fondata cioè sulla concorrenza per il controllo dell'indirizzo politico di governo tra forze
reciprocamente alternative. Praticamente, dopo la riforma delle leggi elettorali, si è
passati da un parlamentarismo di tipo tendenzialmente assembleare consensuale, ad uno
improntato, sempre in via tendenziale, al modello Westminster nonché competitivo.
Capitolo 6° - Il Parlamento
Capitolo 6° - Il Parlamento
1.Origini e sviluppi. Il modello inglese
All'inizio l'espressione Parlamentum, Parliamentum o Parlement indicava semplicemente un
modo di riunione della Corte reale cui venivano invitati a partecipare prima i soli signori
feudali ed alti dignitari laici ed ecclesiastici poi a cominciare dall'Inghilterra del XIII°
secolo, anche i rappresentanti di Contee, Città e Borghi (i cosiddetti Commons, gli uomini
liberi che non appartenevano alla nobiltà o al clero). Tali assemblee erano semplicemente
delle riunioni nelle quali veniva data pubblicità solenne alle decisione del sovrano, venivano
esaminate le petizioni a lui rivolte, formulati pareri su questioni di particolare importanza
ed eventualmente richiesti contributi finanziari per imprese per le quali alla Corona
mancassero i necessari mezzi. Solo progressivamente tali pre-parlamenti si
trasformarono, nel corso dei secoli, in organi di tipo rappresentativo, inseriti
nell'organizzazione costituzionale e titolari di sempre più ampi poteri legislativi e di
controllo politico sul governo.
Fu intorno alla fine del quindicesimo secolo in cui si affermò una definita potestà
legislativa del Parlamento, consistente nell'adozione di atti dotati di efficacia abrogativa
o modificativa della normazione previgente. In realtà, però, gran parte della successiva
storia inglese è connotata dal conflitto tra sovrano e Parlamento per la reciproca
delimitazione di attribuzioni. Gli ambiti nei quali tale conflitto si rivelò particolarmente
aspro furono quelli dei diritti, e del potere di limitazione degli stessi, e quello del potere
di imposizione fiscale. Momenti decisivi della storia parlamentare inglese forno le
rivoluzioni del diciassettesimo secolo (la rivoluzione repubblicana conclusa si con la
decapitazione di Carlo I Stuart nel 1649, nonché la Glorious Revolution del 1688) e la
proclamazione del Bill of Rights del 1689 in cui si riconobbe la libertà di voto, nonché
quella di parola dell'esercizio dalla funzione parlamentare. Dal 1711 ed il 1832 si ebbe la
progressiva parlamentarizzazione del governo, il quale, formato originariamente
dall'insieme dei funzionari nominati dal Re, fu progressivamente attratto sotto il controllo
del Parlamento. Nel 1928 si ottenne il suffragio universale maschile e femminile.
2. L'organizzazione del Parlamento italiano: il principio bicamerale
L'organizzazione del Parlamento italiano è articolata intorno a tre principi:
1. principio bicamerale: la scelta bicamerale rispecchia la soluzione più diffusa nella
storia parlamentare e nella realtà contemporanea. Nasce in Inghilterra per
agevolare la funzione democratico rappresentativa del Parlamento ma si impone
anche come elemento di freno della spinta democratica con la funzione di
contenere i rischi insiti nella concentrazione dei poteri legislativi in una sola
Camera.
a. bicameralismo asimmetrico: quando nella prima Camera si persegue
l'obiettivo (democratico) di rappresentare gli orientamenti politicoideologici dei cittadini, nella Camera federale si persegue il diverso scopo di
rappresentare gli interessi territoriali, i quali non coincidono
necessariamente con le divisioni politico-partitiche nazionali
b. bicameralismo imperfetto o differenziato: quando la seconda Camera tende
a soddisfare interessi socio-economici o è rappresentativa di ceti diversi o
si fa portavoce dell'istanza regia
c. bicameralismo in senso proprio: in cui le due assemblee costituiscono l'una il
doppione dell'altra, ambedue legittimate democraticamente su base
nazionale, anche se possono differire per composizione o per funzioni. Al
46
Capitolo 6° - Il Parlamento
modello mostra con evidenza la funzione di contenimento della tirannia della
maggioranza
2. principio di autonomia: in base al quale ciascuna Camera autodetermina la propria
attività senza subire condizionamenti di altri organi. Essa gode, cioè, di garanzie
nei confronti di organi diversi ed esterni ad essa, nei confronti dell'altra Camera
e, nei confronti delle decisioni assunte dal precedente collegio.
3. principio di continuità: (art. 61 Cost.) afferma che "finché non sono riunite le
nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti". La riunione delle nuove
Camere, fissata dal Presidente della Repubblica "ha luogo non oltre il ventesimo
giorno dalle elezioni". È finalizzato, quindi, a garantire l'esistenza dall'assemblea
rappresentativa in ogni momento.
3. Le differenze tra le Camere in Italia
Il nostro ordinamento si avvicina al modello di bicameralismo puro, perfetto. Dal punto di
vista funzionale la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica condividono
esattamente le stesse competenze. L'unica differenza funzionale è connessa ai compiti
dei loro Presidenti: mentre, infatti, al Presidente del Senato è affidata la supplenza del
Capo dello Stato, al Presidente della Camera è assegnata la presidenza del Parlamento in
seduta comune.
S'intende per:
 elettorato attivo (o capacità elettorale): insieme dei requisiti richiesti affinché
gli elettori possano votare
 elettorato passivo: insieme dei requisiti richiesti affinché di elettori siano
eleggibili
Differenze:
 Camera dei Deputati:
o si può votare a 18 anni e si può essere eletti a 25
o numero dei deputati = 630 di cui 12 residenti all'estero
 Senato della Repubblica:
o si può votare a 25 anni e si può essere eletti a 40
o numero dei senatori = 315 di cui 6 residenti all'estero + 5 senatori a vita
scelti “dal capo dello Stato fra i cittadini che abbiano illustrato la patria
per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico o letterario”
3.1 I procedimenti elettorali
I sistemi di elezione delle Camere hanno subito vari cambiamenti nel corso degli anni. Ad
un impianto di tipo proporzionale è succeduto ai primi anni ‘90 un sistema misto di tipo
maggioritario uninominale per l'assegnazione del 75% dei seggi e proporzionale, con liste
bloccate, per il rimanente 25%. Un'ulteriore modifica si è realizzata, a seguito delle
riforme introdotte nel 2005.
Gli attuali sistemi elettorali sono ispirati alla stessa filosofia di fondo: una formula di
assegnazione proporzionale dei seggi, con due correttivi. Il primo consiste nella previsione
di alcune soglie di sbarramento, che escludono la rappresentanza per quei partiti politici
che raccolgono un numero di voti inferiore ad essi. Il secondo correttivo attiene alla
previsione di un premio di maggioranza, in base al quale il partito o la coalizione di partiti
che ottiene una maggioranza (relativa) di seggi in base al calcolo proporzionale, beneficia
di un numero di seggi aggiuntivo tale da consentire il raggiungimento di una maggioranza
assoluta di rappresentanti. Le candidature sono presentate nell'ambito di collegi
elettorali plurinominali (nei quali cioè si eleggono più parlamentari) sotto forma di liste
bloccate (all'interno delle quali, cioè, l'elettore non può esprimere una preferenza) il voto
47
Capitolo 6° - Il Parlamento
viene espresso in favore di un singolo partito, il quale può essere collegato ad altri partiti,
formando una coalizione.
Il sistema elettorale della Camera prevede un premio tale da assicurare alla lista o alla
coalizione maggioritaria, a livello nazionale, l'assegnazione del numero di seggi necessari
per raggiungere 340 Deputati. I rimanenti seggi vengono distribuiti proporzionalmente
tra le restanti liste.
Le soglie di sbarramento sono del 4% delle liste singole e del 2% per le liste collegate ad
una coalizione.
Il territorio nazionale è suddiviso in 26 circoscrizioni (della grandezza di una Regione
media) all'interno del quale vengono presentate le candidature articolate in liste bloccate
e distribuiti i seggi, a seguito del calcolo, effettuato come detto su base nazionale, del
totale spettante a ciascun partito.
Il riparto proporzionale dei seggi avviene utilizzando il sistema dei quozienti interi e dei
più alti resti. La somma dei voti ottenuti da tutti partiti e coalizioni che abbiano superato
le previste soglia di sbarramento è divisa per il numero dei seggi da assegnare; il risultato
costituisce il quoziente elettorale nazionale (il numero di voti necessari per ottenere un
seggio). Conseguentemente la cifra elettorale (l'insieme dei voti ottenuti) di ciascun
partito o coalizione viene divisa per tale quoziente in modo da ottenere il numero di seggi
per ciascuna singola lista o coalizione. Nel caso di seggi residui essi vengono assegnati ai
partiti o coalizioni che abbiano ottenuto i più alti resti.
Il sistema di elezione del Senato rispetta lo stesso impianto con la rilevante differenza
che tale organo è eletto su base regionale. In particolare, il premio consiste
nell'attribuzione del numero di seggi aggiuntivo a quanti ottenuti dalla lista coalizione di
liste maggioritaria, affinché quest'ultima possa raggiungere il 55% dei Senatori della
Regione.
4. Il Parlamento in seduta comune
Il bicameralismo si fonda su di una detta separazione tra i due rami del Parlamento. Tale
principio è, però, derogato nei casi previsti dall'art. 55 Cost. in base al quale il Parlamento
si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere. Questi casi sono:
 elezione del Presidente della Repubblica
 messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica
5. L'organizzazione del Parlamento italiano: il principio di continuità
principio di continuità: (art. 61 Cost.) afferma che "finché non sono riunite le nuove
Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti". La riunione delle nuove Camere, fissata
dal Presidente della Repubblica "ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni". È
finalizzato, quindi, a garantire l'esistenza dall'assemblea rappresentativa in ogni
momento.
5.1 La convocazione delle camere
Pur essendo organi permanenti le Camere non sono permanentemente in seduta. La
Costituzione prevede norme che ne garantiscano la riunione periodica:
 entro il ventesimo giorno successivo alle elezioni (obbligatoria)
 il primo giorno non festivo di febbraio ed ottobre (di diritto)
 successivamente ai cosiddetti aggiornamenti (temporanee sospensioni dei lavori)
 convocazioni straordinarie di ciascuna Camera da parte del Presidente di ciascuna
assemblea, di un terzo di essa o del Presidente della Repubblica
48
Capitolo 6° - Il Parlamento

convocazione di diritto dell'altra Camera nel caso di riunione di un ramo del
Parlamento
6. L'organizzazione del Parlamento italiano: il principio di autonomia
principio di autonomia: in base al quale ciascuna Camera autodetermina la propria attività
senza subire condizionamenti di altri organi. Essa gode, cioè, di garanzie nei confronti di
organi diversi ed esterni ad essa, nei confronti dell'altra Camera e, nei confronti delle
decisioni assunte dal precedente collegio.
6.1 Le immunità parlamentari
L’immunità parlamentare: (art. 68 Cost.) assicura l'autonomia dei componenti delle
camere nei confronti dell'autorità giudiziaria e di polizia al fine di consentirne
l'espletamento della funzione parlamentare al sicuro da condizionamenti e turbative. Si
articolata in due differenti prerogative:
 Irresponsabilità (o insindacabilità): tutela i parlamentari per le opinioni espresse
ed i voti dati nell'esercizio delle funzioni, non coprendo però l'intera attività
politica del parlamentare ma solo gli atti legati all'”esercizio delle funzioni”
 Inviolabilità (o immunità penale): condiziona l'esercizio di iniziative a carattere
giudiziario nei loro confronti, per garantire l'espletamento delle loro funzioni. È
prevista una necessaria autorizzazione a procedere della camera di appartenenza
per la sottoposizione parlamentari a limitazione della libertà personale
(perquisizione, arresto, ecc.) e domiciliare, salvo il caso di esecuzione di una
sentenza passata in giudicato ovvero se sia colto nell'atto di commettere un
delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza
6.3 Il divieto di mandato imperativo
Sempre a tutela della funzionalità e l'indipendenza dell'organo ed a garanzia del singolo
parlamentare è previsto il divieto di mandato imperativo (art. 67 Cost.). Il
rappresentante non va inteso come un mandatario del corpo elettorale, vincolato alle
"istruzioni" da questo dettate ma, poiché egli rappresenta la nazione, egli deve
interpretarne le aspirazioni ed i sentimenti cercando di individuare e perseguire
l'interesse generale. Pertanto, qualsiasi accordo negoziale tra deputato ed elettori è da
considerarsi invalido, così come inesigibile è qualsiasi prestazione cui il parlamentare si
fosse obbligato nell'esercizio delle sue funzioni.
6.4 L'autonomia organizzativa e regolamentare
Gli artt. 63 e 64 Cost. garantiscono il principio di autonomia dell'organo nel suo
complesso, in particolare garantiscono che gli organi di vertice di ciascuna Camera siano
scelti tra i componenti della medesima e assegnano a ciascuna delle due Assemblee il
potere di determinare le regole di funzionamento. Le Camere godono, inoltre, di autonomia
di gestione amministrativa del proprio personale e di autonomia contabile e di bilancio.
Infine, il mantenimento dell'ordine interno e la disciplina dell'accesso sono assicurati
mediante l'attribuzione di un immunità di sede e di poteri di polizia esercitati per
ciascuna Camera dal rispettivo Presidente.
6.5 L'indennità
Sempre con l'obiettivo di assicurare l'autonomia delle camere dei suoi membri, ma anche
con la finalità di realizzare concretamente il diritto di ciascun cittadino" ad accedere alle
49
Capitolo 6° - Il Parlamento
cariche elettive in condizione di eguaglianza", l'art. 69 Cost. prevede che "i membri del
Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge". L'indennità non può essere ceduta
e non può essere sequestrato più ignorata, né vi si può rinunciare. L'indennità è da
qualificarsi come una vera e propria retribuzione.
6.6 I titoli di ammissione
Ad integrazione della disciplina sulla capacità elettorale passiva (requisiti per essere
eletti), l’art. 65 Cost. determina le cause di ineleggibilità e incompatibilità con l'ufficio di
deputato o senatore:
 Le cause di ineleggibilità impediscono soggetto titolare di capacità elettorale
passiva il valido esercizio di tale diritto è ne precludono temporaneamente
l'elezione, inficiandone la legittimità. Sono ineleggibili:
o i giudici della corte costituzionale
o i presidenti della giunta provinciale
o i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti
o il capo e il vice capo della polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza
o gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiore delle forze armate
dello Stato, nella circoscrizione del loro comando territoriale
o i diplomatici tutti coloro che abbiano in piedi da governi stranieri
 Le cause di incompatibilità, impediscono il cumulo dalla carica di parlamentare con
altra di cui egli si è contemporaneamente titolare. Sono incompatibili:
o ufficio di parlamentare e quello di parlamentare europeo
o presidente o componente del C.N.E.L.
o componente di autorità amministrative indipendenti
o membro del consiglio superiore della magistratura
7. L'organizzazione delle Camere
Ciascuna Camera può essere definita come un organo collegiale in quanto è composta di
persone fisiche, e come complesso organico in quanto strutturato in organi o uffici, taluni
direttamente menzionati dalla Costituzione (Presidenza, ufficio di presidenza,
commissioni) altri, invece, previsti dai regolamenti o da leggi.
7.1 La presidenza dell’assemblea e l’ufficio o consiglio di presidenza
Gli organi collocati al vertice organizzaivo di ciascuna Camera sono:
 Presidente:
o al Senato esso è eletto a maggioranza assoluta dei componenti nei primi due
scrutini ed a maggioranza assoluta dei presenti nel terzo. Se nessuno risulti
eletto la votazione si restringe al ballottaggio tra i primi 2.
o Alla Camera è previsto un quorum dei 2/3 degli aventi diritto nel primo
scrutinio, dei 2/3dei presenti nel secondo e terzo scrutinio e della
maggioranza assoluta dei presenti dal quarto scrutinio in poi.
Ha la potestà di imporre l’osservanza e l’interpretazione del regolamento
parlamentare.
A lui compete la direzione dei lavori di ciascuna Camera e dell’amministrazione
dell’ufficio di presidenza e dei poteri di polizia e la rappresentanza esterna della
Camera che presiede
Prerogative previste dalla Costituzione:
50
Capitolo 6° - Il Parlamento

o Sono obbligatoriamente sentiti dal Capo dello Stato prima dello scioglimento
delle Camere e in occasione delle consultazioni per la formazione del
Governo
ufficio di presidenza (che al Senato prende il nome di Consiglio di presidenza):
composto da 4 vicepresidenti, 3 questori e 8 segretari eletti con voto limitato. La
composizione deve garantire la rappresentanza di ogni gruppo presente
nell’Assemblea, a tale scopo possono essere aggiunti ulteriori segretari in
soprannumero. L’ufficio di presidenza ha la competenza di approvare i regolamenti
minori e di assicurare il rispetto dei diritti dei gruppi parlamentari.
7.2 I gruppi parlamentari
I gruppi parlamentari consistono in associazioni che i deputati ed i senatori possono
liberamente costituire sulla base dell’affinità politica, ove riescano a raggiungere un
numero minimo di aderenti stabilito nei regolamenti di ciascuna Camera (20 deputati per
la Camera, 10 senatori per il Senato). Ogni parlamentare per svolgere la sua attività nella
Camera di appartenenza deve necessariamente aderire ad un gruppo; qualora non intenda
aderire a nessuno dei gruppi già costituiti o non si riesca a costituire uno ex-novo,
l’obbligo si risolve nell’iscrizione ad un gruppo misto. In sintesi i gruppi sono “associazioni
di parlamentari” alle quali il diritto attribuisce rilevanza giuridica nello svolgimento
delle funzioni delle Camere.
7.3 Giunte e Commissioni
Ragioni funzionali ed organizzative impongono che gran parte dell’attività venga
decentrata verso organi interni ai quali sono assegnate tanto competenze di tipo
preparatorio delle decisioni dell’assemblea, quanto attribuzioni a carattere definitivo,
sostitutive delle deliberazioni del plenum.
Tali organi sono le Giunte e le Commissioni:
 Giunte: spettano competenze collegate al funzionamento ed all’organizzazione delle
Camere di carattere tecnico-giuridico. Sono composte da parlamentari nominati
dal Presisdente. Esercitano competenze di carattere esclusivamente preparatorio
di decisioni del Presidente o dell’Assemblea.
Camera dei deputati: sono presenti 3 Giunte:
o per il regolamento: ha il compito di fornire pareri al Presidente per
l’interpretazione del regolamento medesimo e di proporne le relative
modifiche
o delle elezioni: ha il compito di applicare l’art. 66 Costi., in base al quale
“ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle
cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. Il controllo sui
titoli di ammissione, detto anche verifica dei poteri, riguarda l’esame della
regolarità delle operazioni elettorali e della sussistenza delle condizioni di
eleggibilità (giudizio di convalida)
o Per le autorizzazioni a procedere
Senato: sono presenti 2 Giunte:
o per il regolamento
o delle elezioni e delle immunità parlamentari

Commissioni permanenti: svolgono attività legate al ruolo più propriamente politico
del Parlamento (funzioni legislative e di controllo). In taluni casi possono
addirittura sostituire le Assemblee e manifestare all’esterno la volontà delle
Camere. Esse sono organi permanenti, ininterrottamente operativi per tutta la
durata della legislatura. La loro composizione risulta sempre ispirata ad un criterio
51
Capitolo 6° - Il Parlamento
di proporzionalità e rappresentatività rispetto ai gruppi parlamentari. L e varie
Commissioni (attualmente sono 14) sono istituite secondo il criterio della
competenza per materia. Far parte di una Commissione costituisce un obbligo per
ciascun parlamentare e la designazione dei membri spetta ad ogni gruppo
parlamentare. Quando la Commissione opera in sede referente, può essere
individuato al suo interno un comitato ristretto per l’istruttoria dei progetti di
legge e per la redazione dell’articolato.
7.6 Altri organi parlamentari
Gli altri organi parlamentari sono:
 Commissioni bicamerali: sono istituite con legge o con delibera delle due Camere e
composte da un numero eguale di componenti di entrambi i rami del Palamento,
secondo il criterio di rappresentatività dei gruppi.
o Commissione bicamerale per gli affari regionali: chiamata ad esprimere un
previo parere nel caso di adozione del decreto del Presidente della
Repubblica di scioglimento di un Consiglio regionale e di rimozione del
Presidente della Giunta.
o Commissione parlamentare per le questioni regionali: ha il potere di
esprimere pareri in materia di autonomia finanziaria regionale
o Commissione bicamerale per le riforme istituzionali
o Commissione bicamerale per le riforme costituzionali
o Commissione di inchiesta bicamerali
 Comitato per i procedimenti di accusa
 Giurì d’onore: consiste in una commissione nominata dal Presidente dell’Assemblea
qualora un membro di quest’ultima sia accusato, nel corso di una discussione
parlamentare, di fatti che ledano la sua onorabilità, senza che, peraltro, sulle
conclusioni del giurì l’aula possa svolgere un dibattito o assumere provvedimenti
 Comitato per la legislazione: suo obiettivo è migliorare la redazione dei testi
legislativi
8. Organizzazione dei lavori
I presidenti dei gruppi si riuniscono nella conferenza dei presidenti di gruppo o
conferenza dei capigruppo. Tale organo svolge la funzione di assicurare un’ordinata
organizzazione dei lavori e soprattutto la programmazione degli stessi (programma,
contenente l’ordine degli argomenti da esaminare e calendario regolante le modalità ed i
tempi di attuazione del programma). Sulla base del programma e del calendario si forma
l’ordine del giorno di ciascuna seduta che non può venire modificato dall’Assemblea se
non a maggioranza qualificata.
9. La validità delle deliberazioni
L’art. 64 Cost. dispone che “le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono
valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a
maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale”.
Per la validità delle deliberazioni occorre dunque un quorum strutturale (altrimenti detto
numero legale che definisce il tasso di partecipazione necessario per assumere decisioni
legittime) e un quorum funzionale (necessario ai fini dell’approvazione della proposta in
votazione). L’assenza del numero legale comporta la sospensione della seduta. Il calcolo
dei due quorum differisce tra Camera e Senato:
 Camera:
52
Capitolo 6° - Il Parlamento

o numero legale: sono considerati presente anche i deputati impegnati per
incarico avuto dalla Camera, fuori della sede o se membri del Governo, per
ragioni del loro ufficio e gli astenuti
o quorum funzionale: sono considerati presenti sono coloro che abbiano
espresso voto favorevole o contrario (gli astenuti non entrano nel computo)
Senato:
o numero legale: sono considerati presenti solo quelli fisicamente presenti in
aula
o quorum funzionale: nel calcolo vengono considerati solo i senatori che
partecipano alla votazione (compresi gli astenuti)
9.1 Le procedure di votazione
Le procedure di voto possono distinguersi in 3 categorie:
1. voto tacito o indiretto: in assenza di obiezioni, si presume l’assenso del collegio
anche senza una votazione
2. voto palese: manifestato per alzata di mano, per divisione in aula (schierandosi
fisicamente da una parte o dall’altra), per alzata e seduta. In tale ipotesi non si
compie la conta dei voti né si registrano i votanti. Per appello nominale, consistente
nella chiamata di ciascun parlamentare, il uale esprime ad alta voce la propria
volontà.
3. voto segreto: attraverso il deposito in un’urna di una pallina bianca o nera o
mediante una scheda
Tali modalità di voto possono essere sostituite da votazioni mediante procedimento
elettronico, il quale assicura un’assoluta certezza nel calcolo dei voti.
10 Le funzioni del Parlamento
Il Parlamento è un organo politico ed è collocato nel cuore del circuito democraticorappresentativo. La ragion d’essere di tale organo è quella di determinare gli obiettivi
dell’azione pubblica, selezionando i molteplici interessi che provengono dalla società e che
sono veicolati attraverso la rappresentanza. Rappresentando interessi compositi, il
Parlamento costituisce la principale arena di confronto e dibattito tra le concorrenti
visioni dell’interesse generale. Oltre ad essere un’arena di discussione è anche un luogo di
decisione il che comporta la presenza di procedimenti di vario genere per giungere a
deliberare sulle materie di pubblico interesse. Le funzioni del Parlamento possono
riassumersi in:
 funzioni informative e conoscitive
 funzioni ispettive o di controllo
 funzioni di determinazione dell’indirizzo politico
11. Particolari procedimenti legislativi: l’approvazione del bilancio dello Stato
Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
Si tratta di documenti a carattere contabile sullo stato della finanza pubblica e che
stabiliscono e certificano l’andamento delle spese e delle entrate. In particolare, il
bilancio di previsione individua le spese e le entrate per l’anno successivo (in termini di
bilancio di competenza e di cassa); la sua approvazione ha come conseguenza di
autorizzare il Governo a riscuotere le entrate ed erogare le spese. Il rendiconto
consuntivo, viceversa, è rivolto, retrospettivamente, alla verifica della corrispondenza tra
il bilancio precedente e gli andamenti contabili reali riscontrati nell’anno di riferimento. La
sua presentazione è preceduta dal c.d. giudizio di parificazione della Corte dei Conti.
53
Capitolo 6° - Il Parlamento
Per il bilancio preventivo si tratta di assicurare il rispetto del principio di legalità nella
materia finanziaria, dando fondamento all’attività amministrativa di spesa e riscossione. Il
Parlamento definisce solo le c.d. unità revisionali di base (i macroaggregati contabili in
cui sono ripartite spese e entrate).
Per il rendiconto, invece, si opera il raffronto tra bilancio preventivo e flussi effettivi di
entrata e spesa realizzatisi nell’anno e nel far ciò il Parlamento solleva il Governo dalla
responsabilità per eventuali illegittimità contabili da esso compiute e sana gli eventuali
vizi.
L’approvazione del bilancio ha una funzione autorizzatoria, quella del rendiconto una
funzione di controllo e di esonero di responsabilità.
Entro il 30 giugno di ogni anno il Governo presenta il DPEF (Documento di
Programmazione Economica e Finanziaria), atto con il quale viene presentato il contenuto
della strategia economica del Governo.
Altro documento rilevante nella programmazione è il bilancio pluriennale, il quale indica le
previsioni di entrata e di spesa (almeno 3 anni).
I maggiori effetti sull’ordinamento sono però dovuti alla legge finanziaria, la cui funzione
è quella di realizzare le modifiche sostanziali, legislative e finanziarie, cha al bilancio sono
precluse dall’art. 81 Cost. e che definisce nuove entrate e nuove spese, il livello massimo
del ricorso al mercato finanziario, l’importo complessivo massimo destinato al rinnovo dei
contratti del pubblico impiego, individua fondi speciali per la copertura delle leggi che
potranno venire approvate nell’anno successivo.
Mentre alla legge finanziaria è fatto divieto di contenere “norme di delega o di carattere
ordinamentale ovvero organizzativo”, tale obiettivo viene generalmente realizzato da leggi
collegate alla manovra di finanza pubblica, i cui relativi disegni di legge devono essere
presentati entro il 15 novembre di ogni anno.
L’esame del disegno di legge finanziaria e del disegno di legge di approvazione dei bilanci
di previsione, annuale e pluriennale, dello Stato avviene nella c.d. sessione di bilancio.
11.1 Procedimenti relativi ai rapporti con l’Unione europea
Fase ascendente: momento di elaborazione degli atti comunitari. Obbligo della
Commissione di comunicare alle Assemblee nazionali tutti i documenti di consultazione
(“libri verdi”, “libri bianchi” e comunicazioni) redatti dalla Commissione, nonché obbligo di
comunicare ai Governi le proprie iniziative legislative, introducendo altresì un termine di 6
settimane prima che possano essere messe all’ordine del giorno del Consiglio dell’Unione,
al fine di consentire ai Governi di far conoscere tempestivamente le proposte ai propri
Parlamenti nazionali. In conseguenza di tali comunicazioni è previsto che il Parlamento
formuli osservazioni ed adotti ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. Il Governo deve
presentare varie informative periodiche, quali:
 la relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo
comunitario
 l’informativa sull’azione del Governo rispetto alle politiche comunitarie
 l’informativa sullo stato di conformità dell’ordinamento interno al diritto
comunitario e sullo stato delle eventuali procedure d’infrazione dando conto, della
giurisprudenza della Corte di Giustizia relativa alle eventuali inadempienze e
violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana
Fase discendente: momento di attuazione interna degli atti comunitari. La legge La
Pergola ha istituito la sessione comunitaria introdotta con la presentazione , entro il 31
gennaio di ogni anno, di un disegno di legge comunitaria da parte del Ministro competente
per il coordinamento delle politiche comunitarie.
11.2 Il repechage e le procedure conseguenti al rinvio presidenziale
54
Capitolo 6° - Il Parlamento
Vi sono alcuni procedimenti che costituiscono una forma di riesame di deliberazioni già
assunte da una o da entrambe le Camere. Si tratta della procedura di repechage di
progetti di legge già esaminati o approvati nella precedente legislatura. Per tali progetti è
possibile richiedere la procedura d’urgenza con conseguente procedura abbreviata.
12. I procedimenti non legislativi. Le attività relative al rapporto di fiducia
Il Governo entro 10 giorni dalla sua formazione deve presentarsi alle Camere per
ottenerne la fiducia. Queste l’accordano mediante mozione motivata votata per appello
nominale. Viene applicata la regola che prevede il quorum funzionale della maggioranza dei
presenti (maggioranza semplice). L’obbligo di motivazione è conseguenza della funzione
della fiducia. Con essa Governo e Parlamento si accordano sull’obiettivo di perseguire un
certo indirizzo politico. La motivazione, recando le linee-guida di tale “accordo”, serve ad
esplicitarne formalmente gli obiettivi, ad assicurare la corresponsabilità dei parlamentari
che la votano rispetto al programma di governo, a favorire l’omogeneità della stessa e ad
impedire che un Governo possa godere di una fiducia che sia frutto di una convergenza
opportunistica ed occasionale tra forze politiche programmaticamente inconciliabili. Essa
è, pertanto, uno strumento di stabilizzazione e razionalizzazione della forma di governo.
Procedura di conferimento della fiducia: il Governo si presenta dapprima davanti alla
Camera. Tale presentazione consiste nella lettura delle dichiarazioni programmatiche da
parte del Presidente del Consiglio. Dopodiché si apre il dibattito, al termine del quale ha
luogo la replica, che costituisce l’occasione per fornire specificazioni e chiarimenti. La
mozione di fiducia è presentata dai Presidenti dei gruppi che sostengono il Governo.
L’eventuale mozione di sfiducia (è sufficiente che una sola Camera revochi la fiducia
perché il Governo sia costretto alle dimissioni) deve essere firmata da almeno un decimo
dei componenti di una Camera e può essere messa in discussione solo dopo tre giorni dalla
sua presentazione. Anche questa mozione deve essere motivata.
La questione di fiducia, invece, consiste in una dichiarazione mediante la quale il Governo
condiziona la propria permanenza in carica all’esito positivo di una determinata
deliberazione parlamentare che può essere un disegno di legge, una risoluzione, un ordine
del giorno a una mozione. Della questione di fiducia si è fatto e si fa largo uso per
superare l’ostruzionismo della minoranza o il fenomeno dei franchi tiratori della
maggioranza.
12.1 Conseguenze della mancanza di fiducia
Nel caso di mancato ottenimento della fiducia iniziale o nel caso di approvazione di una
mozione di sfiducia o di rigetto della questione di fiducia, il Governo ha l’obbligo giuridico
di rassegnare le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica che può “accettarle
con riserva” (sciolta con la nomina del nuovo Governo) o respingerle.
13 Atti non legislativi rivolti all’esercizio di un’attività di direzione
Sono principalmente 3 gli atti non legislativi mediante i quali il Parlamento manifesta la
propria volontà direttiva in modo vincolante:
1. la mozione: è volta a provocare un dibattito su un certo argomento ed ottenre su
di esso una deliberazione di indirizzo.
2. la risoluzione: ha la funzione di concludere un dibattito e di dettare le conseguenti
direttive politiche
3. l’ordine del giorno: ha lo scopo di esprimere incidentalmente la volontà del
Parlamento su di un certo profilo. Nell’ambito del procedimento legislativo si
utilizzano i c.d. ordini del giorno di istruzione al Governo, mediante i quali si
55
Capitolo 6° - Il Parlamento
indicano criteri interpretativi delle disposizioni in corso di approvazione o
provvedimenti da adottare.
14. Il sindacato ispettivo
Gli atti parlamentari indirizzati al controllo del Governo rientrano nel sindacato ispettivo.
Suoi strumenti sono le interrogazioni e le interpellanze.
L’interrogazione “consiste nella semplice domanda se un fatto sia vero, se alcuna
informazione sia giunta al Governo, o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla
Camera documenti o notizie o abbia preso o stia per prendere alcun provvedimento su un
oggetto determinato”.
L’interpellanza, invece, “consiste nella domanda, rivolta per iscritto, circa i motivi o gli
intendimenti della condotta del Governo in questioni che riguardino determinati aspetti
della sua politica”
Il Governo può rispondere alle interrogazioni ed alle interpellanze attraverso un Ministro,
un vice-ministro o un sottosegretario di Stato. Il dibattito orale su tali strumenti si
distingue in 3 fasi: illustrazione del proponente, risposta del Governo, replica del
proponente, che dichiara di essere o meno soddisfatto della risposta.
14.1 Le Commissioni di inchiesta
Le Commissioni di inchiesta: possono essere disposte da ciascuna Camera su materie di
pubblico interesse e a tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata
in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. Quanto ai poteri, il Costituente ha
previsto che “la Commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi
poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”. Le commissioni possono essere
monocamerali o bicamerali.
Per quanto attiene alle finalità dell’istituzione, si distingue, tradizionalmente, tra:
 inchieste legislative: rivolte all’esame di una questione di interesse pubblico in vista
della realizzazione di un intervento legislativo
 inchieste politiche: presentano una più spiccata natura inquirente o ispettiva in
quanto mirano a ricostruire vicende relative ad un certo evento o ad una cera
problematica, anche al fine di individuare eventuali responsabilità di soggetti
pubblici.
L’attività della Commissione si conclude con una o più relazioni.
15 Atti non legislativi rivolti all’esercizio di un’attività informativa e conoscitiva.
Altri strumenti conoscitivi e informativi sono:
 udienze legislative: che interessano il procedimento legislativo
 rilevazioni, studi ed elaborazioni statistiche: richieste all’Istituto centrale di
Statistica (ISTAT)
 pareri, studi, indagini: richiesti al CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del
Lavoro) su questioni che importino indirizzi di politica economica, finanziaria e
sociale
 audizioni: per l’approfondimento di questioni tecnico-amministrative, richiedendo ai
Ministri che dalle rispettive amministrazioni ed enti sottoposti al loro controllo
siano forniti notizie ed elementi di carattere amministrativo o tecnico occorrenti
per integrare l’informazione sulle questioni in esame.
 indagini conoscitive: deliberate dalle commissioni nella materie di propria
competenza
con
l’assenso
del
Presidente
dell’Assemblea
56
Capitolo 7° - Il Presidente della Repubblica
Capitolo 7° - Il Presidente della Repubblica
1.Il Presidente della Repubblica come Capo dello Stato
L’art.87 Cost. nell’elencare i poteri del Presidente della Repubblica, precede anzitutto
che questi è il Capo dello Stato i cui poteri e prerogative sono:
 tutti i poteri statali non attribuiti ad altri orgnai
 capacità di mettere in moto lo Stato la cui inattività ne determinerebbe una
paralisi
 organo supremo in posizione (preminenza in onori e dignità) e anche in guida
(rettitudine, autorità e autorevolezza) e in comando (potere di coercizione e di
imposizione)
 rappresenta un potere neutro, imparziale e supra partes
2. Elezione e durata in carica del Presidente della Repubblica
Il Presidente della Repubblica è eletto indirettamente dal popolo, cioè dai suoi
rappresentanti in Parlamento in seduta comune in composizione allargata ai delegati
regionali (tre per Regione) e a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi nelle
prime tre votazioni e quella assoluta nelle votazioni successive. Il mandato dura sette
anni.
I requisiti di eleggibilità consistono nella cittadinanza, nel compimento del cinquantesimo
anno di età e nel godimento dei diritti civili e politici. Per garantire l’indipendenza
dell’organo si prevede l’incompatibilità con qualsiasi altra carica, un assegno ed una
dotazione fissati dalla legge, la carica di senatore di diritto e a vita una volta cessato il
mandato e l’irresponsabilità per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni.
2.1 La continuità dell’organo
La continuità dell’organo è assicurata da 3 istituti:
1. l’elezione pre-scadenza: trenta giorni prima della fine del mandato, il Presidente
della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati
regionali per procedere all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica
2. la prorogatio: se le Camere sono sciolte o mancano meno di 3 mesi alla fine della
legislatura, l’elezione spetta alle nuove Camere e nel frattempo sono prorogati i
poteri del Capo dello Stato in carica
3. la supplenza: le funzioni del Presidente della Repubblica sono esercitate dal
Presidente del Senato in tutte le ipotesi di impedimento, tanto temporaneo quanto
permanente.
3. Gli atti del Presidente della Repubblica e la controfirma ministeriale
L’art. 98 Cost. dispone che “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è
controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”. Di fatto, la
controfirma rappresenta una sottoscrizione posta a suggello del contenuto di un atto ed
ha la funzione di attestare la partecipazione del soggetto controfirmatane alla sua
formazione. In altri termini il Ministro che controfirma, così come il Presidente che
firma, si dichiara autore dell’atto.
58
Capitolo 7° - Il Presidente della Repubblica
3.1 la tesi dell’atto complesso
In ragione della controfirma, l’atto presidenziale sarebbe configurabile come un atto
complesso (derivante dalla fusione di atti distinti di due organi) ed a complessità
diseguale (nel senso che la volontà manifestata in uno dei due atti prevale su quella
espressa nell’altro). Gli atti possono essere ripartiti in:
 atti sostanzialmente ministeriali: (di iniziativa ministeriale) l’atto è controfirmato
da un ministro proponente. Il Presidente della Repubblica si limiterebbe ad una
funzione di controllo
 atti dovuti: non vi sarebbe una vera e propria proposta, ma sono atti che non si
possono non fare (promulgazione delle leggi riapprovate dalle Camere dopo un rinvio
presidenziale)
 atti sostanzialmente presidenziali: (di iniziativa presidenziale) il Ministro sarebbe
uno spettatore o un controllore (ratifica dei trattati internazionali, l’emanazione di
decreti-legge, dei decreti legislativi, dei regolamenti governativi).
 atti paritari: sono quelli nei quali le due volontà si equivalgono, tanto che in
mancaza dell’accordo l’atto non potrebbe essere adottato. Vi rientrerebbero la
nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri e lo scioglimento delle Camere.
3.2 L’atto monocratico su proposta ministeriale
…..
3.3 Lo scioglimento delle Camere
Lo scioglimento delle Camere è un potere attribuito al Presidente della Repubblica,
previa consultazione con i Presidenti delle Camere che esprimono un parere non
vincolante seppur obbligatorio. I motivi che possono giustificare uno scioglimento delle
Camere sono da ricercarsi in:
 grave inadempienza del Parlamento rispetto ai propri doveri costituzionali
(scioglimento-sanzione)
 accordo sostanziale tra i partiti della maggioranza o anche della minoranza
 mutamento delle leggi elettorali
 Governo sfiduciato e forze politiche non in grado di costituire una maggioranza
 Ecc.
3.4 Gli atti esenti da controfirma
L’art.89 Cost. afferma che “tutti” gli atti del Presidente della Repubblica debbano essere
controfirmati, tuttavia, per motivi logici, si ritiene che alcuni di essi non debbano essere
controfirmati, come:
 Gli atti privati o della persona fisica: (acquisto di una automobile per uso privato)
 Le omissioni (prodott dall’inattività del Presidente)
 Gli atti orali come le esternazioni o l’incarico
 Gli atti compiuti quale Presidente di un organo collegiale (CSM o il Consiglio
Supremo di Difesa)
 Il giuramento
 i regolamenti della Presidenza
 le dimissioni (o le dichiarazioni di impedimento)
 i conflitti di attribuzione sollevati dal Presidente della Repubblica contro un
Ministro
59
Capitolo 7° - Il Presidente della Repubblica
4. La responsabilità del Presidente della Repubblica
Rispetto alla responsabilità giuridica, l’esenzione del Capo dello Stato non è assoluta, ma
incontra due limiti. Essa non copre:
 gli atti compiuti fuori dall’esercizio delle funzioni presidenziali
 i reati di alto tradimento ed attentato alla Costituzione. In tal caso il Presidente
viene messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza
assoluta ed a scrutinio segreto. Sulle accuse decide poi la Corte Costituzionale in
una composizione integrata.
60
Capitolo 8° - Il Governo
Capitolo 8° - Il Governo
1.Premessa
Il Governo è un organo chiamato a svolgere attività provvedimentali e concrete in
esecuzione di scelte politiche generali e di indirizzo compiute dal Parlamento. Esso ha un
duplice ruolo:
1. esecutivo: in quanto organo posto al vertice dell’amministrazione
2. politico: in quanto concorre a determinare con le Camere l’indirizzo politico dello
Stato.
2. Il Governo come comitato esecutivo: cenni storici
Il Governo nasce e si consolida come organo del potere esecutivo. In particolare:
 durante la monarchia assoluta, l’espressione “Governo” stava ad indicare l’insieme
dei fiduciari o funzionari nominati e revocati dal Re, incaricati di consigliare il
sovrano e di portare a compimento la sua volontà,
 durante la monarchia costituzionale, esso gode di una doppia legittimazione:
monarchica e parlamentare.
Il Governo, pur continuando a dipendere
organizzativamente dal Re, costituisce l’organo “esecutivo” della volontà politica
trasfusa nella legge approvata dal parlamento e dalla corona,
 con l’avvento del governo parlamentare, alla subordinazione funzionale del Governo
alla legge si aggiunge la strutturale dipendenza dalla legittimazione politica delle
Camere. Il Governo, per svolgere le proprie funzioni e rimanere in carica, deve
godere della fiducia del Parlamento.
3. Il Governo come comitato direttivo della maggioranza parlamentare.
Negli ultimi anni, e non soltanto in Italia, il Governo, oltre al suo ruolo esecutivo, acquisito
anche un ruolo politicamente direttivo. Le ragioni di una siffatta evoluzione possono
riassumersi in:
 maggior capacità decisionale e speditezza dell'azione governativa rispetto a
quella parlamentare, in ragione di evidenti differenze strutturali.
 Una più accentuata competenza tecnica del Governo. Ciò è dovuta al fatto che i
ministri, essendo poste al vertice di un apparato amministrativo, sono in grado di
attingere ad una maggiore quantità di informazioni e di valutare di aspetti
problematici che si manifestano al momento dell'esecuzione della legge
 col affermarsi dello Stato sociale, l'attività statale si è tradotta atti normativi
rivolti spesso ad amministrare prestazioni pubbliche
 avvento e diffusione dei partiti di massa che assicurano una base parlamentare più
solida ai Governi
 introduzione di sistemi elettorali tendenzialmente maggioritari
 tendenza a spostare parte della sovranità o del potere normativo dallo Stato
all'Unione Europea o ad enti territoriali interni (Regioni)
Pertanto, il Governo, più che un mero organo esecutivo della volontà delle camere
rappresenta piuttosto il comitato direttivo di una maggioranza, unificata dei partiti che
condividono il medesimo indirizzo politico.
62
Capitolo 8° - Il Governo
4. Il Governo in Italia: le fonti
La disciplina costituzionale del governo appare alquanto scarna e lacunosa. Quanto
all'organizzazione, la Costituzione si limita ad elencare solo le componenti apicali. Anche i
rapporti tra i diversi organi che compongono il Governo non sono definiti salvo un accenno
ai poteri del Presidente del Consiglio. Anche le funzioni sono considerate incidentalmente
e in relazione a quelle degli altri organi costituzionali, così + per il:
 potere di iniziativa legislativa
 diritto dei singoli ministri di assistere alle sedute delle Camere e di essere sentiti
dalle stesse ogni volta che lo richiedono
 potere di rimettere in progetti di legge dalla Commissione deliberante all'Aula
 conferimento da parte delle Camere al Governo dei poteri necessari in caso di
guerra
 presentazione alle Camere del progetto di legge di approvazione del bilancio e del
rendiconto consuntivo
 controfirma ministeriale degli atti del Presidente della Repubblica
 impugnazione davanti alla Corte Costituzionale degli statuti e delle leggi regionali
Solo le vicende parlamentari del rapporto di fiducia trovano ampia disciplina nella
Costituzione.
5. Gli organi necessari: premessa
Il Governo è un organo complesso organico, costituito da un organo collegiale, il Consiglio
dei Ministri, ed organi monocratici, il Presidente del Consiglio ed i singoli Ministri. Tali
organi pur essendo tutti necessari e godendo di pari dignità formale, non sono dal punto di
vista competenziale indifferenziati.
Fino al 1993, le leggi elettorali, essenzialmente proporzionali, hanno favorito il
multipartitismo estremo non polarizzato e la conseguente formazione di governi di
coalizione e di governi che nascevano dall'accordo post-elettorale, solitamente, di 4 o 5
partiti. Gli incarichi di governo erano, dunque, distribuiti secondo criteri proporzionali, tra
i partiti della coalizione, i quali rivendicavano un'autonomia politica rispetto ai Ministeri
loro attribuiti, con la conseguenza che i Ministri rispondevano ai propri partiti piuttosto
che alle direttive del Presidente del Consiglio e che tra i diversi partner della coalizione si
veniva ad instaurare una ripartizione abbastanza netta per aree di influenza sui diversi
settori dell'amministrazione statale. In tale situazione, il Presidente del Consiglio era
chiamato a svolgere un ruolo di mediatore tra i partiti della coalizione o, al più, di primus
inter pares, piuttosto che quello di Capo del Governo e di leader della maggioranza
parlamentare.
Negli ultimi anni, tuttavia, si sono registrati alcuni significativi cambiamenti nel ruolo del
Governo e nel rapporto tra le diverse componenti dello stesso. Ciò è imputabile in parte
alla polarizzazione del sistema politico prodotta dall'introduzione di leggi elettorali
tendenzialmente maggioritari, in parte all'avvio di un processo riformatore teso ad
assicurare stabilità ed efficienza all'azione del governo, il quale, si è trasformato da
comitato esecutivo ha comitato direttivo della maggioranza parlamentare che lo sostiene.
5.1 Il Presidente del Consiglio
La Costituzione disciplina le funzioni del Presidente del Consiglio in tre articoli:
1. art. 89: per il quale gli atti del Capo dello Stato che hanno valore legislativo e gli
altri indicati dalla legge, sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio
2. art. 92: riserva al Presidente del Consiglio il potere di proporre al capo dello Stato
la nomina dei Ministri
63
Capitolo 8° - Il Governo
3. art. 95: attribuisce al Presidente del Consiglio il potere di dirigere la politica
generale del Governo e di mantenere l'unità di indirizzo politico e amministrativo,
promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri
Il Presidente del Consiglio ha, anzitutto, una funzione di rappresentanza esterna e
generale della volontà del Consiglio. Egli può:
 comunicare alle camere una composizione del governo ed ogni mutamento in
nessun intervenuto
 porre la questione di fiducia
 chiedere al presidente della Repubblica l'autorizzazione alla presentazione
di un disegno di legge o l'emanazione di un atto normativo del governo
 presentare alle camere disegni di legge di iniziativa governativa e chiedere il
trasferimento di sede nel corso dei procedimenti legislativi
La funzione rappresentativa del governo è esercitata dal Presidente anche nei confronti
degli organi dell'Unione Europea, degli enti territoriali e delle confessioni religiose.
Il Presidente, inoltre, dirige i lavori del Consiglio dei Ministri, nel senso che convoca le
riunioni, fissa l'ordine del giorno, apre e chiude le sedute, può rinviare la discussione su
singoli punti, pone ai voti le varie proposte e dichiara l'esito delle votazioni.
Al Presidente del Consiglio spettano, inoltre, i poteri di chiedere ai ministri relazioni e
verifiche amministrative, di istituire comitati interministeriali o gruppi di studio e di
concordare con i Ministri le loro pubbliche dichiarazioni che impegnino la politica generale
del governo.
È inoltre in capo al Presidente del Consiglio l'alta direzione, la responsabilità politica
generale e il coordinamento della politica informativa di sicurezza svolta dai cosiddetti
servizi segreti. Gli è riconosciuto il potere esclusivo di opporre il segreto di Stato
all'autorità giudiziaria.
Per sostenere e coadiuvare il presidente nell'esercizio delle sue funzioni vi è una
struttura, piuttosto articolata, che prende il nome di Presidenza del Consiglio, ha sede in
Palazzo Chigi e gode di rilevanti poteri di conoscenza e di stimolo sull'intera
amministrazione statale oltre che di autonomia organizzativa, contabile e di bilancio.
5.2 il Consiglio dei Ministri
Il Consiglio dei Ministri è un organo collegiale composto dal Presidente del Consiglio, che
lo presiede e dei Ministri. Ad esso assiste, inoltre, il Sottosegretario di Stato alla
Presidenza che svolge funzioni di Segretario del Consiglio. Le modalità di funzionamento
dell'organo sono disciplinate da un regolamento interno. Le funzioni sono:
 iniziativa legislativa
 trasferimento dalla commissione deliberante all'assemblea dei disegni di legge
 esercizio dei poteri conferiti dalle camere in caso di guerra
 Le disposizione dei bilanci rendiconti consuntivi
 presentazione alle camere per ottenere la fiducia
 potere di sollevare questioni di costituzionalità
 determinazione della politica generale del governo e dell'indirizzo dell'azione
amministrativa
Il Consiglio incide, inoltre, sulla composizione del Governo e sulle competenze dei singoli
Ministri.
Il Consiglio delibera, altresì, gli atti relativi alle confessioni religiose ed esercita funzioni
in materia di politica internazionale. Rilevanti infine sono i poteri di nomina del consiglio:
sono nominati dall'organo collegiale del Governo:
 i presidenti di enti e istituti ed aziende di carattere nazionale,
 i segretari generali dei ministeri,
 i dirigenti generali,
 una quota dei componenti della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato
64
Capitolo 8° - Il Governo
5.3 I Ministri
I Ministri svolgono, di regola, una duplice funzione: come componenti del Consiglio dei
Ministri e come organi di vertice di un apparato amministrativo, denominato Dicastero o
Ministero, relativo a un determinato ambito materiale (salute, beni e attività culturali,
giustizia, ecc.) ed organizzato gerarchicamente. Attualmente il numero dei Ministeri è di
14 e tale numero può non corrispondere a quello delle persone fisiche dei Ministri, sia per
eccesso che per difetto. Infatti il Presidente del Consiglio o un Ministro possono essere
preposti ad interim a più Dicasteri, come è possibile che il numero dei Ministeri sia
inferiore a quello dei Ministri per la presenza dei Ministri senza portafoglio, ossia i
titolari che non sono al vertice di un apparato amministrativo apposito e che, perciò, non
gestiscono alcuno stato di previsione, in cui il bilancio pubblico è articolato, per la parte
relativa alle uscite. Questi organi svolgono le funzioni delegate dal Presidente del
Consiglio e si avvalgono, nell'espletamento delle loro funzioni, di strutture amministrative
della Presidenza del Consiglio e di uffici di diretta collaborazione. Ovviamente, in qualità
di Ministri sono membri, al pari degli altri, del Consiglio dei Ministri.
Il Presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei Ministri, ha il potere di conferire ad un
Ministro incarichi speciali di governo per un tempo determinato.
Ai Ministri spetta l'esercizio della funzione di indirizzo politico-amministrativo,
definendo gli obiettivi, le priorità, i piani e programmi da provare e verificando la
rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi
impartiti. In pratica, il Ministro può incidere sulla funzioni amministrative solo attraverso
la definizione degli indirizzi generali, che possono consistere:
 nell'adozione di atti normativi dello Stato (i regolamenti ministeriali),
 interni alla pubbliche amministrazioni (le direttive) o
 interpretativi di norme (le circolari)
 il potere di proposta al Consiglio dei Ministri o al Presidente del Consiglio delle
nomine dei segretari generali o dei dirigenti
 nel potere di ripartire le risorse umane, materiali ed economico finanziaria tre
diversi uffici di livello dirigenziale generale
Il Ministro non può sostituirsi al dirigente generale nell'adozione di un atto di sua
competenza, né può revocarne o riformarne i provvedimenti, ed anche in caso di inerzia,
ritardo o gravi inosservanza delle direttive generali, il Ministro può solo nominare un
commissario ad acta dopo aver fissato un termine per l’adempimento e aver dato
comunicazione del procedimento al Presidente del Consiglio.
5.4 Gli organi non necessari
Accanto agli organi costituzionalmente necessari (Consiglio dei Ministri, presidente del
consiglio e ministri) ne sono altri non previsti e disciplinati dalla costituzione. Tali organi
sono stati di regola, introdotti da convenzioni o consuetudini costituzionali e
successivamente disciplinati da fonti primarie. Essi possono suddividersi in:
 organi collegiali:
o consiglio di gabinetto: è un organo costituito dai ministri designati dal
presidente del consiglio ed ha la funzione di coadiuvare il presidente nello
svolgimento delle sue funzioni,
o comitati di ministri: sono istituiti dal presidente del consiglio o con legge e
sono composti solo da ministri (o da sottosegretari) e svolgono solidamente
funzioni istruttorie e preparatorie
o comitati interministeriali: sono istituiti dalla legge, possono essere composti
anche da funzionari ed esperti è solitamente adottano atti aventi rilevanza
esterna
65
Capitolo 8° - Il Governo

organi individuali:
o vicepresidenti del consiglio: (art. 8.) Le funzioni di vicepresidente del
consiglio sono attribuiti dal presidente del consiglio ad uno o più Ministri,
che ha la funzione di supplenza del Presidente solo in caso di assenza o
impedimento temporaneo ,
o sottosegretario di Stato: non godono di funzioni proprie ma solo delle
funzioni delegate dal Ministro che essi coadiuvano. La nomina e la revoca
avvengono con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del
Presidente del Consiglio. Tra i sottosegretari una posizione particolare viene
riconosciuta al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio il quale svolge
la funzione di Segretario del Consiglio dei Ministri (cura la verbalizzazione e
la conservazione del registro delle deliberazioni consiliari e sovrintende
l'Ufficio di Segreteria del Consiglio dei Ministri),
o viceministri: nomina attribuita ad alcuni sottosegretari (non più di 10). La
delega delle funzioni deve riguardare aree o progetti di competenza di una o
più strutture dipartimentali ovvero di più direzioni generali esistenti
all'interno del relativo Ministero
o commissari straordinari: assimilabili alle figure degli Alti Commissari, sono
nominati con decreto del Presidente della Repubblica il quale ne determina i
compiti e la dotazione di mezzi e di personale. Tali organi sono istituiti al
fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione ai programmi o
indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei Ministri.
6. Il procedimento di formazione del Governo
Del procedimento di formazione del governo la costituzione regola solo la fase della
nomina del successivo giuramento, mentre le fasi preparatorie sono rimesse alle
consuetudini ed alle prassi costituzionali.
Fase delle consultazioni: consiste in un'attività istruttorie che si realizza acquisendo il
parere di vari soggetti (presidenti delle camere, ex presidente della Repubblica,
rappresentanti dei gruppi parlamentari) al fine di verificare l'esistenza di una
maggioranza parlamentare e di individuare un soggetto idoneo a formare un governo che
possa ottenere la fiducia delle camere. Le consultazioni possono produrre esiti opposti:
 se il Presidente si convince l'assoluta impossibilità di trovare una maggioranza
parlamentare disposta a sostenere un Governo, procede allo scioglimento delle
Camere
 se le consultazioni danno esito positivo il Capo di Stato procede all'incarico. In
questa fase il Presidente del Consiglio incaricato cerca di raggiungere un accordo
sul programma di governo e sulla compagine ministeriale con i gruppi parlamentari
intenzionati a sostenerlo contro si procede alla nomina che consiste nell'adozione
da parte del presidente della Repubblica di tre decreti:
o di accettazione delle dimissioni del precedente governo
o di nomina del presidente del consiglio
o di nomina dei ministri, di solito scelti fra i parlamentari
Le incompatibilità con la titolarità di cariche nel Governo sono:
 svolgimento di funzioni in enti di diritto pubblico, anche economici
 svolgimento di funzioni o l'esercizio di compiti di gestione in società aventi fini di
lucro o in attività di rilievo imprenditoriale
 esercizio di attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la
carica nel governo
 esercizio di qualunque tipo di impiego, pubblico privato
66
Capitolo 8° - Il Governo
Prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri prestano giuramento
nelle mani del Presidente della Repubblica dopo di che il Governo ha l'obbligo di
presentarsi alle Camere entro 10 giorni per ottenere la fiducia.
7. La crisi di Governo
La Costituzione non prevede per il Governo un termine di durata né sono espressamente
individuate cause legali di revoca, destituzione o scioglimento, ma si limita a prevedere
l'obbligo di dimissioni nel caso in cui al Governo non venga accordata la fiducia (anche
da parte di una sola Camera) o venga approvata una mozione di sfiducia. Il Governo,
dunque, viene rimosso dalla carica attraverso un suo atto volontario (le dimissioni) che
determina così una crisi di governo parlamentare. Per sollecitare la coesione della
propria maggioranza, lo strumento utilizzato dal governo è rappresentato dalla questione
di fiducia, la quale comporta, in caso di pronuncia sfavorevole, le dimissioni del Governo.
Come il Governo, anche il Ministro o dimettersi volontariamente oppure essere obbligato
le dimissioni, in conseguenza dell'approvazione di una mozione di sfiducia.
8. La responsabilità giuridica
I ministri sono responsabili anche giuridicamente. Anzi la responsabilità è duplice:
 collegiale: per gli atti del Consiglio
 individuale: per gli atti del loro Dicastero. Tale responsabilità è imputabile solo al
suo titolare e non si estende all'intero governo
L’art. 95 Cost. afferma che i ministri sono responsabili degli atti compiuti nell'esercizio
delle proprie funzioni, a condizione, però, che sia riscontrabile una qualche colpa, sia pure
solo in eligendo o in vigilando.
L’art. 96 Cost. affida il giudizio sui reati ministeriali alla magistratura ordinaria previa
autorizzazione da parte della camera a cui appartiene il ministro.
L'autorizzazione può essere negata allorché le camere ritengono che l'inquisito abbia
agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il
perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di
governo.
9. Gli organi ausiliari:
Gli organi ausiliari sono:
 il Consiglio di Stato: la sua istituzione risale al periodo napoleonico. È composto da
un presidente, 15 presidenti di sezione e 72 consiglieri ed è articolato in 7 sezioni
(4 con funzioni consultive e 3 con funzioni giurisdizionali). Può riunirsi in adunanza
generale (formata da tutti i consiglieri ed opera in sede consultiva) e in adunanza
plenaria (alla quale partecipano il presidente e 12 consiglieri ed opera in sede
giurisdizionale). Tale organo esercita 2 funzioni:
o esprime pareri in materia giuridico amministrativa, relativi all'attività delle
pubbliche amministrazioni sotto il profilo della legittimità e del merito
o ha competenza giurisdizionale amministrativa di secondo grado (giudica,
cioè, sui ricorsi contro le sentenze di tribunali amministrativi regionali) e, in
alcuni casi esclusiva in unico grado
 La Corte dei conti: la costituzione le attribuisce due funzioni:
o di controllo:
67
Capitolo 8° - Il Governo
esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo
(ha la forma del visto e della successiva registrazione che può essere
anche con riserva)
 quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato
 quello sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce
in via ordinaria
o giurisdizionale: nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate
dalla legge
il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL): è costituito da esperti
rappresentanti delle categorie produttive, titolare del potere di iniziativa
legislativa e di poteri consultivi. Attualmente l'organo è composto da 111 membri in
coda di autonomia funzionale contabile


68
Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
Sezione I – I profili costituzionali
1. La pubblica amministrazione nella Costituzione: premessa
Per pubblica amministrazione si intende quell’insieme di organi e di enti che svolgono una
funzione amministrativa, ossia che esercitano un potere di supremazia finalizzato alla
realizzazione dei fini pubblici individuati dagli organi ai quali spetta il potere di indirizzo
politico. Anche se la costituzione dedica espressamente alla pubblica amministrazione solo
due articoli, il 97 e il 98, in ogni parte di essa possono rinvenirsi disposizioni riguardanti
direttamente o indirettamente l'amministrazione.
2. La democraticità della pubblica amministrazione
Il principio democratico non sembra debba essere applicato all'amministrazione. In
effetti è prevista una responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti pubblici e
nei servizi che dipendono dallo Stato deve attuarsi il più ampio decentramento
amministrativo. Inoltre si accede per concorso, il che depone a favore di una
organizzazione
verticistica.
Il
carattere
essenzialmente
non
democratico
dell’organizzazione della pubblica amministrazione trova, del resto, conferma tanto nel
principio di legalità, quanto nel principio di imparzialità.
3. Il principio di legalità
Il principio di legalità dell’amministrazione trova fondamento in una pluralità di norme
costituzionali per le quali:
 i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge
 attribuiscono alla Corte dei Conti il controllo preventivo di legittimità sugli atti di
Governo
 che prevedono l’istituzione in ogni Regione di organi di giustizia amministrativa di
primo grado
 assicurano il diritto di difesa per la tutela degli interessi legittimi contro gli atti
della pubblica amministrazione
 prevedono la responsabilità diretta dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli
enti pubblici
Praticamente, gli atti dell’amministrazione devono trovare il proprio fondamento in una
previa norma, la quale può essere posta da una qualsiasi fonte del diritto dello Stato. La
legalità dell’atto non dovrà essere solo formale (esistenza di una norma = legalità
formale), ma anche sostanziale, dovendo le norme prefigurare il contenuto della decisione,
fissando i parametri generali cui questa deve ispirarsi (legalità sostanziale).
4. L’imparzialità
In materia di organizzazione amministrativa la Costituzione prevede una riserva di legge.
Tale riserva è unanimemente considerata:
70
Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
relativa (vedi appendice) in quanto la flessibilità ed elasticità delle regole
organizzative sarebbero strumentali al buon andamento e l'imparzialità della
stessa amministrazione, e
 rinforzata in quanto l’at. 97 impone alle fonti primarie di organizzare i pubblici
uffici in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità
dell'amministrazione.
L'attività amministrativa è, dunque, un'attività organizzata e tra l'organizzazione indica
non soltanto i centri di provenienza e di imputazione dell'attività amministrativa ma, il
modo stesso di svolgimento di questa attività definendone finanche la struttura.
Imparzialità: per alcuni essa sarebbe strumentale al buon andamento, per altri le due
nozioni sarebbero in tensione. L'imparzialità si lega alla discrezionalità amministrativa:
tra la norma e il provvedimento amministrativo sussiste uno stacco che va colmato dalle
valutazioni dei titolari degli uffici pubblici. È proprio del burocrate la scelta dei tempi, dei
mezzi e dei modi con il quale perseguire il fine pubblico quale emerge dagli atti normativi e
di autoregolamentazione (circolari, direttive, regolamenti interni). Nell'effettuare questa
scelta, l'imparzialità impone ai titolari degli organi amministrativi non solo di evitare
favoritismi o favoritismi (imparzialità negativa), ma di identificare e valutare tutti gli
interessi coinvolti, pubblici e privati (imparzialità positiva). In altri termini l'imparzialità
consiste nel potere-dovere di non privilegiare pregiudizialmente nessun interesse ma di
individuare e ponderare i diversi interessi.
Vari istituti sono diretti ad assicurare l'imparzialità dell'amministrazione:
 il concorso,
 il decentramento amministrativo
come pure varie leggi:
 quelle sulle incompatibilità dei dipendenti pubblici e sull'obbligo di astensione,
 quelle che regolano il procedimento amministrativo prevedendo la partecipazione
dei privati
 quelle sulla trasparenza dell'attività amministrativa e della pubblicità dei
procedimenti amministrativi
 quelle che prevedono l'obbligo di motivazione degli atti amministrativi

4.1 Il buon andamento
Il principio del buon andamento è ravvisabile nella sintesi delle seguenti qualità:
efficacia, efficienza ed economicità:
 l'efficacia dell'azione amministrativa riguarda il rapporto tra gli obiettivi
prestabiliti e i risultati ottenuti
 l'efficienza riguarda il rapporto tra le risorse impiegate e i risultati conseguiti
 l'economicità concerne il rapporto tra i mezzi economici impiegati e le risorse da
acquisire per il soddisfacimento dell'interesse pubblico
Dunque, il buon andamento è valutabile mettendo in relazione la spesa pubblica, le risorse,
gli obiettivi e i risultati.
Altro fattore rilevante è il tempo richiesto per l'adozione dell'atto. Al riguardo la
l.241/1990 ha stabilito l'obbligo per l'amministrazione di fissare il termine per la
conclusione del procedimento.
Il principio del buon andamento ha, inoltre, ispirato le modifiche al sistema dei controlli.
Ad una riduzione dei controlli di legittimità sugli atti ha corrisposto un incremento di
quelli sull'attività, articolati nei controlli di gestione, in relazione al rapporto tra costi e
risultati, e nei controlli strategici, atti a verificare la congruenza tra risultati conseguiti
gli obiettivi predefiniti. Controlli che, peraltro, rilevano ai fini dell'attribuzione degli
incarichi dirigenziali, poiché una valutazione negativa può comportare l'esclusione da
ulteriori incarichi dirigenziali o la revoca dell'incarico.
71
Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
5. Il principio del decentramento: rinvio
L’art. 5 Cost.impone il più ampio decentramento amministrativo nei servizi che dipendono
dallo Stato. Lo stesso principio comporta il trasferimento delle funzioni
dall'amministrazione statale alle amministrazioni regionali e locali. Il decentramento può
avere carattere funzionale, nel senso che è imposto per la natura della funzione o la
peculiarità degli interessi coinvolti (es. l’Università, la cui autonomia è strumentale alle
libertà costituzionali di ricerca e di insegnamento).
Sezione II – L’organizzazione amministrativa
6. L’amministrazione centrale: i Ministeri
I Ministeri rappresentano degli apparati burocratici tendenzialmente gerarchici ed al cui
vertice vi è un Ministro che fa parte del Consiglio dei Ministri e concorre a determinare
l’indirizzo politico. Il Ministero è strutturato con uno schema ad alveare, nel quale vi sono,
come le
 Ministero, suddiviso in:
o le sezioni, uffici costituenti unità elementari
o le divisioni, uffici raggruppati in unità più complesse:
 unità di primo livello:
 dipartimenti: operano in grandi aree di materie omogenee,
godendo di tutti i poteri strumentali al raggiungimento dei
propri fini; le
 direzioni generali, operano, invece, in specifici settori
materiali o comunque in ambiti più ridotti ovvero nelle diverse
attività strumentali (personale, contabilità, ecc.). Il
coordinamento delle diverse direzioni è assicurato da un
segretario generale, posto alle dirette dipendenze di un
Ministro. Il Ministro può nominare o revocare i dirigenti.
Accanto a questi uffici strutturati secondo uno schema gerarchico, ve ne sono altri
collocati in una posizione collaterale rispetto al vertice politico (o di staff), che
collaborano direttamente col Ministro, al quale sono legati da un rapporto sostanzialmente
fiduciario: l’ufficio legislativo e il gabinetto.
Nell’ambito dell’organizzazione ministeriale vanno, poi, menzionate le:
 Aziende (o amministrazioni autonome), come l’ANAS, che svolgono la propria
attività nelle forme del diritto privato, traendo così i propri finanziamenti. Esse
hanno un proprio consiglio di amministrazione (presieduto dal Ministro), un proprio
patrimonio, ecc.
 Agenzie, come l’Agenzia per la proprietà industriale, l’Agenzia delle Entrate,
l’ARAN, l’Agenzia delle dogane, ecc., le quali hanno personalità giuridica, con un
proprio statuto e un particolare regime di autonomia.
Alcuni Ministeri hanno, infine, accanto ad un apparato centrale, un apparato periferico,
con al vertice un ufficio parzialmente dotato di personalità giuridica. Si tratta, ad
esempio, dell’Intendenza di Finanza, del Provveditorato agli Studi e degli Uffici
territoriali di Governo (ex-Prefetture) con compiti anche di coordinamento dei diversi
uffici periferici.
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Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
7. Le autorità amministrative indipendenti
Le autorità amministrative indipendenti sono enti od organi pubblici dotati di sostanziale
indipendenza nei confronti del Governo e rivolte a garantire il funzionamento delle
regole del mercato o tutelare interessi costituzionale in campi socialmente rilevanti.
Alcune autorità hanno personalità giuridica (CONSOB, ISVAP) mentre altre ne sono prive.
Esse sono:
 Banca d’Italia: in precedenza svolgeva una duplice funzione: monetaria (batteva
moneta) e vigilanza sul sistema bancario e sugli intermediari finanziari. Con il
trattato di Maastricht è rimasta solo la funzione di vigilanza.
 Autorità garante della concorrenza e del mercato: (c.d. Autorità Antitrust) ha la
funzione di garantire la libera concorrenza ed il corretto funzionamento del
mercato, esercitando a tal fine poteri di indagine e poteri di denunzia al
corrispondente organismo comunitario.
 Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB): ha la funzione di
regolamentare e controllare il mercato dei valori mobiliari, allo scopo di tutelare il
risparmio diretto all’investimento azionario. A questo fine definisce e accerta i
requisiti per la quotazione di una società in borsa, stabilisce il calendario delle
contrattazioni, determina i sistemi di quotazione ed individua i tipi di contratti
ammessi.
 Istituto superiore per la vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP): controlla
le imprese assicurative e vigila sul relativo mercato, sempre a tutela degli
investitori.
 Autorità per l’energia elettrica ed il gas: promuove la concorrenza e l’efficienza
nei due settori energetici, garantisce adeguati livelli di qualità nei settori medesimi
i condizioni di economicità e di redditività, assicura la fruibilità e la diffusione
sull’intero territorio nazionale e armonizza gli interessi economico-finanziari con gli
obiettivi di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse.
 Garante per la protezione dei dati personali
 Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici
8. Gli enti pubblici
Per ente pubblico si intende un’organizzazione dotata di personalità giuridica e di
un’espressa o implicita qualificazione pubblicistica da parte della legge istitutiva.
Essendo quella degli enti pubblici una categoria eterogenea in quanto a criteri di
qualificazione, dei poteri, delle finalità, dell’organizzazione e dei controlli, possiamo
definire enti pubblici in senso stretto gli enti parastatali. La l. 70/1975 dispone che
“nessun ente pubblico può eessere istituito o riconosciuto se non per legge”. In tale atto
se determinano le potestà pubblicistiche dell’ente.
La struttura organizzativa dell’ente pubblico risponde ad un molteplicità di modelli,
possiamo tuttavia individuare gli elementi comuni a tutti che sono:
 Consiglio di amministrazione:
 Presidente: nominato con un decreto del Presidente della Repubblica
controfirmato dal Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei
Ministri
 Collegio dei revisori dei conti
Il controllo è affidato soprattutto alla Corte dei conti.
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Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
8.1 Gli enti pubblici economici, l’azionariato di Stato e gli organismi di diritto
pubblico
Qualora l’ente pubblico abbia per oggetto esclusivo o principale una attività economica,
viene denominato ente pubblico economico. Sue caratteristiche:
 esso agisce in modo non autoritativo, mediante atti di diritto privato,
 è soggetto all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese ed
 instaura con i propri dipendenti rapporti di lavoro di diritto privato
 persegue un fine di lucro o se lo fanno è un lucro da devolvere a fini pubblici.
 pur esercitando imprese commerciali, non può fallire, ma è solo soggetto alla
liquidazione coatta amministrativa.
 i suoi amministratori sono considerati pubblici funzionari e sono, dunque, tenuti ad
operare nel rispetto del principio di imparzialità.
In seguito a normative europee e al divieto degli aiuti di Stato, si è deciso di privatizzare
molti enti pubblici economici attraverso la loro trasformazione in società per azioni a
capitale pubblico con vendita del pacchetto azionario ai privati.
Non sono da confondere con gli enti pubblici gli organismi di diritto pubblico che sono
previsti dalle direttive europee in materia di appalti di pubblici servizi e che possono
essere anche altri organismi di diritto pubblico.
9. Il rapporto di pubblico impiego
La normativa che disciplina il rapporto di pubblico impiego è contenuta nel d.lgs. 165/2001
che lo equipara a quello privato. L’assunzione del personale avviene con un contratto
individuale di lavoro, sempre con un atto privatistico il lavoratore è trasferito, destinato
ad altre mansioni o promosso; conseguentemente il giudice competente alle controversie
in materia di pubblico impiego diviene il giudice ordinario. I diritti e i doveri dlle parti
trovano la loro fonte nei contratti collettivi, i quali sono stipulati, per singoli comparti
(ministeri, regioni, enti locali, ecc.) tra l’Agenzia per rappresentanza negoziale delle
pubbliche amministrazioni (ARAN), posta sotto la sorveglianza della Presidenza del
Consiglio, e l organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, e sono sottoposti ad
un controllo da parte della Corte dei conti, la quale certifica la compatibilità dei costi
contrattuali con gli atti di programmazione della spesa pubblica.
La natura pubblicistica del rapporto residua in alcuni aspetti:
 esercizio di potestà autoritativa riconosciuta agli atti organizzativi con cui la
pubblica amministrazione fissa le linee fondamentali di organizzazione degli uffici
e, in particolare, le dotazioni organiche complessive,
 il personale viene assunto, di regola, con procedure selettive, i cui atti di indizione
e di espletamento sono da considerarsi atti amministrativie sottoposti alla
giurisdizione del giudice amministrativo
 diversa è anche la disciplina della responsabilità , delle incompatibilità e
dell’assegnazione del dipendente a mansioni superiori. A questo proposito, mentre
per il lavoratore privato l’assegnazione diviene definitiva trascorsi tre mesi, per il
pubblico impiegato i presupposti sono tassativamente fissati dalla legge ed il limite
temporale è di 6 mesi e, soprattutto, il lavoratore ha diritto solo al trattamento
economico corrispondente alla mansione, ma non all’inquadramento automatico nella
qualifica superiore.
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Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
10. I beni pubblici
I beni pubblici sono:
 i beni demaniali: sono i beni immobili (il lido del mare) e universalità di mobili (i
musei) appartenenti allo Stato o ad altri enti territoriali, indicati
tassativamente dalla legge. L’appartenenza può essere:
o necessaria: i beni fanno parte necessariamente del demanio e non possono
appartenere a nessun altro soggetto:
 demanio marittimo: lido del mare, la spiaggia, i porti, le rade, le
lagune, ecc
 demanio idrico: i fiumi, i laghi, i torrenti, ecc.
 demanio militare: tutte le opere permanenti destinate alla difesa
nazionale
o accidentale: i beni che possono appartenere anche ad altri soggetti ma
divengono demaniali qualora vengano acquistati o comunque appartengano allo
Stato od altro ente territoriale:
 demanio stradale
 demanio ferroviario
 demanio aeronautico
 demanio storico-artistico
 acquedotti
I beni demaniali sono inalienabili. Tuttavia, solo per i beni del demanio storicoartistico, esiste una deroga: è possibile l’alienazione previa un’autorizzazione
ministeriale, purché nell’atto di autorizzazione si specifichino le destinazioni d’uso
e l’alienazione del bene non ne pregiudichi la tutela, la valorizzazione e il godimento
pubblico.
L’uso dei beni demaniali è generale, nel senso che il bene può essere utilizzato da
chiunque, salvo usi esclusivi da parte della pubblica amministrazione (le caserme) o
usi riservati a determinati soggetti, pubblici o privati, dalla legge o da un
provvedimento amministrativo (atto di concessione).
A tutela de beni demaniali, la pubblica amministrazione, oltre ad avvalersi dei mazzi
ordinai a difesa della proprietà e del possesso (ricorrendo ad un giudice), può
procedere in via amministrativa tramite l’autotutela, che può essere:
o decisoria: tramite decisioni amministrative (revoca della concessione, atti di
diffida, irrogazione di sanzioni amministrative)
o esecutiva: tramite attività di esecuzione delle decisioni (sgombero di ufficio
ad opera di mezzi della pubblica amministrazione)
 i beni del patrimonio indisponibile: non possono essere sottratti alla loro
destinazione, se non per legge (le caserme, le foreste).
 i beni del patrimonio disponibile: sotto tutti i beni non demaniali e che non
appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato (il denaro). Tra questi beni vi
sono le entrate tributarie che sono suddivise in:
o imposte: da versare in quanto ci si trova in una situazione che la legge
considera rilevatrice di capacità contributiva
o tasse: pagate dai soggetti in ragione di un collegamento con l’emanazione di
atti o provvedimenti amministrativi o con l’espletamento di un servizio
pubblico
o contributi: pagati da soggetti che traggono un arricchimento dall’esecuzione
di un’opera pubblica
Sezione III – L’attività e la responsabilità amministrativa
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Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
11. Il potere amministrativo e la discrezionalità
L’attività amministrativa è quell’attività mediante la quale gli organi dello Stato e degli
enti pubblici provvedono alla cura concreta degli interessi pubblici loro affidati.
Atto normativo: detta regole generali ed astratte
Provvedimento amministrativo: è l’esecuzione ed applicazione dell’atto normativo.
Potere amministrativo: è una funzione (potere-dovere) tesa al raggiungimento di una
finalità pubblica previamente fissata da atti normativi. È un potere discrezionale, in
quanto, esiste uno scarto tra il disporre in generale ed astratto e il concreto provvedere
che viene realizzato scegliendo tra più soluzioni possibili ed è limitato solo dal
perseguimento del fine pubblico.
Discrezionalità: facoltà di scelta fra più comportamenti giuridicamente leciti per il
soddisfacimento dell’interesse pubblico. Nell’effettuare tali scelte, la pubblica
amministrazione ha l’obbligo di individuare i diversi interessi coinvolti e di ponderare gli
interessi secondari (dei privati o di altre pubbliche amministrazioni) con l’interesse
primario (il perseguimento dell’atto). La fase discrezionale della pubblica amministrazione
si sostanzia in due momenti:
 fase del giudizio: in cui si fanno emergere e si analizzano i diversi interessi,
talvolta attraverso l’utilizzazione di cognizioni tecniche e scientifiche, anche di
carattere specialistico. A questo proposito si fa una distinzione tra “accertamento
tecnico” e “discrezionalità tecnica”:
o accertamento tecnico: l’esito dell’applicazione di scienze esatte
o discrezionalità tecnica: che caratterizza quei provvedimenti nei quali
vengono in rilievo conoscenze specialistiche relative a concetti opinabili
(scienze sociali, estetiche, morali, ecc.)
 fase della volontà: nella quale si scelgono le soluzioni con il minor sacrificio
possibile degli interessi secondari
La facoltà di scelta implica vari aspetti:
 an : scelta se adottare o meno l’atto
 quando: la scelta del momento per l’adozione dell’atto
 quid: la scelta sull’oggetto
 quomodo: la scelta sul tipo di atto
tali scelte sono sottoposte ad una serie di regole elaborate dalla giurisprudenza o poste
da atti normativi, che hanno ridotto l’ampiezza della discrezionalità amministrativa.
12. Il procedimento amministrativo
L’attività amministrativa si svolge attraverso procedimenti, ossia una serie di atti
eterogenei conseguenti e preordinati ad un unico fine. Gli atti interni al procedimento
(o procedimentali), sono conseguenti, nel senso che, data la loro concatenazione, il vizio di
un atto rende invalidi anche gli atti successivi. Gli atti procedimentali svolgono una
funzione propulsiva (le istanze, le richieste, i ricorsi) o preparatoria (i pareri, gli accordi
preliminari) rispetto al provvedimento e possono essere impugnati solo unitamente a
quest’ultimo.
Il procedimento si articola in diverse fasi:
 iniziativa: con la quale si dà avvio al procedimento ed è diretta a predisporre e ad
accertare i presupposti. Può essere:
o privata:allorché il privato presenta un’istanza o un ricorso
o pubblica: se spetta ad un organo pubblico differente da quello che emetterà
il provvedimento finale
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Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
o d’ufficio: quando spetta alla stessa autorità competente all’adozione
dell’atto conclusivo
Dell’avvio del procedimento l’amministrazione procedente ha l’obbligo di dare
comunicazione ai destinatari del provvedimento finale, a tutti coloro che comunque
potrebbero ricevere un pregiudizio dal provvedimento e a coloro che per legge
debbono intervenire nel procedimento. La comunicazione deve indicare
l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento, l’ufficio in cui è possibile
prendere visione degli atti e il nome del responsabile del procedimento.
 istruttoria: nella quale si accertano le condizioni di ammissibilità, i requisiti di
legittimazione, i presupposti e i fatti rilevanti ai fini dell’adozione del
provvedimento finale. In questa fase si applica il principio inquisitorio, nel senso
che l’amministrazione compie d’ufficio gli atti istruttori, con il divieto di non
“aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte
dallo svolgimento dell’istruttoria”. Può pertanto acquisire dichiarazioni e documenti,
sollecitare rettifiche, esperire accertamenti tecnici, disporre ispezioni, ordinare
l’esibizione di documenti, acquisire parei di altri organi amministrativi dotati di
particolari competenze tecnico-scientifiche. I pareri possono essere:
o facoltativi: quando è l’amministrazione procedente che valuta l’opportunità
di acquisirli
o obbligatori: se l’amministrazione procedente deve necessariamente acquisirli
ma può discostarsene
o vincolanti: se l’amministrazione non può discostarsene anche se conserva il
potere di non adottare l’atto.
In questa fase è anche previsto l’intervento del privato interessato, il quale può
prendere visione degli atti del procedimento (diritto di accesso ai documenti
amministrativi) e presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione
ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento
 deliberativa: nella quale si effettua la scelta discrezionale e si determina il
contenuto dell’atto. Il procedimento deve concludersi entro un termine stabilita da
una legge, da un regolamento o dalla stessa pubblica amministrazione, con l’adozione
di un provvedimento espresso e motivato. In alcuni casi la legge attribuisce al
silenzio della pubblica amministrazione gli stessi effetti di un atto amministrativo
espresso (silenzio-significativo):
o silenzio-assenso: comporta l’accoglimento di una istanza diretta ad ottenere
un provvedimento autorizzatorio
o silenzio-rigetto: ha il significato opposto ed è previsto in ipotesi specifiche,
ad esempio in relazione alla richiesta di accesso ai documenti amministrativi.
La fase deliberativa può essere attribuita ad un organo monocratico o ad uno
collegiale o ad una pluralità di organi. In quest’ultima evenienza si tratta di un atto
complesso.
Anche in questa fase è prevista la partecipazione del privato, attraverso gli
accordi con la pubblica amministrazione. Essi possono essere rivolti alla
determinazione del contenuto discrezionale del provvedimento finale (accordi
integrativi)
possono essere sostitutivi dello stesso provvedimento (accordi
sostitutivi)
L’atto è perfetto con la fase deliberativa, ma potrebbe ancora non essere efficace, nel
senso che non produce effetti giuridici nei confronti dei destinatari. Talvolta si prevede
una fase ulteriore, che è appunto integrativa dell’efficacia, nella quale si valuta la
 legittimità o il merito del provvedimento adottato: tramite i controlli preventivi di
legittimità e di merito (visto, controllo per approvazione, l’autorizzazione o
l’omologazione)
ovvero se ne assicura la
77
Capitolo 9° - La pubblica amministrazione

conoscibilità: l’efficacia può essere subordinata all’avvenuta comunicazione
all’interessato o alla pubblicazione dell’atto in un foglio legale (bando di concorso)
13. I provvedimenti amministrativi: premessa
I provvedimenti amministrativi sono degli atti giuridici, consistenti in manifestazioni di
volontà, di conoscenza o di giudizio aventi rilevanza esterna, con cui la pubblica
amministrazione persegue in concreto la realizzazione di un interesse pubblico ad essa
affidato, esercitando una potestà amministrativa ed in grado di apportare delle
modificazioni alle situazioni giuridiche soggettive dei privati. Essi si caratterizzano per la
loro:
 imperatività (o autoritarietà). Ciò significa che essi sono idonei a costituire,
modificare estinguere la sfera giuridica del destinatario senza la necessità del suo
consenso ed anche contro la sua volontà (dopo un decreto di esproprio, il diritto di
proprietà sul bene degrada a mero interesse legittimo),
 esecutorietà: quando essi comportano obblighi per i destinatari, la pubblica
amministrazione ha il potere di dare immediata e diretta esecuzione all’atto contro
la volontà del destinatario senza una previa pronuncia giurisdizionale (abbattimento
di un edificio pericolante, scioglimento di una riunione pericolosa per l’ordine
pubblico)
Decorsi i termini per l’impugnazione dei provvedimenti, essi divengono inoppugnabili e non
sono più suscettibili di annullamento o revoca su ricorso dell’interessato.
13.1 Gli elementi essenziali dei provvedimenti
Il provvedimento amministrativo, come ogni atto amministrativo, è costituito da:
 elementi essenziali: necessari all’esistenza giuridica dell’atto:
o agente: è l’organo titolare del potere amministrativo che viene esercitato
nell’adozione del provvedimento. Questi deve essere competente per
materia, per territorio e per grado,
o destinatario: è il soggetto nei confronti del quale l’atto è destinato a
produrre effetti diretti,
o volontà oggettiva: da riferire al titolare dell’organo agente e riguarda tanto
l’adozione dell’atto quanto il suo contenuto,
o causa (o finalità oggettiva) da non confondere con il fine che si intende
perseguire, ne rappresenta la funzione economico-sociale tipizzata
(nell’espropriazione il fine è la costruzione di una strada, la causa è il
trasferimento coattivo di un bene dietro pagamento di un indennizzo)
o oggetto: è il bene giuridico su cui l’atto incide e può consistere in una cosa,
un comportamento o in una situazione giuridica.,
o forma: affinché l’atto venga ad esistenza è necessario che venga esternato
o emesso, in giurisprudenza è solitamente richiesta la forma scritta ad
substantiam. Ciascun atto amministrativo presenta una struttura formale
composta da:
 intestazione: dove è indicata l’autorità procedente
 preambolo: nel quale sono indicati le norme e gli atti di riferimento
 motivazione:
 dispositivo:
 indicazione del luogo di emanazione
 data:
 sottoscrizione.
 elementi accidentali: ampliano o restringono il contenuto tipico dell’atto (il
termine, la condizione, l’onere, la riserva)
78
Capitolo 9° - La pubblica amministrazione

elementi naturali: si
espressamente previsti
considerano
inseriti
nell’atto
anche
se
non
sono
13.2 Tipi di provvedimento
I provvedimenti amministrativi sono tipici, ossia, in ossequio al principio di legalità essi
sono normativamente definiti negli interessi pubblici da realizzare e negli schemi di azione
adottati.
Essi possono essere:
 ampliativi: che producono un ampliamento della sfera giuridica dei destinatari. E
sono:
o autorizzazioni: che tendono alla rimozione di un limite legale nell’esercizio di
un diritto o di un potere. Figure analoghe sono: l’abilitazione, il nulla-osta, la
licenza, il permesso e la registrazione,
o dispense: (dette anche rinunce, esoneri, esenzioni o deroghe) con le quali si
esonera un soggetto da un obbligo previsto dalla legge (dispensa dal servizio
militare, esenzione fiscale)
o concessione: con la quale si attribuisce un diritto ex novo. Essa può essere:
 traslativa: se trasferisce in capo al destinatario un proprio potere o
un proprio diritto. Può riguardare pubblici servizi (servizi di
telefonia) o diritti sui beni pubblici (arenile per costruirvi uno
stabilimento balneare)
 costitutiva: se costituisce una nuova posizione giuridica soggettiva.
Possono riguardare l’esercizio di professioni riservate ad un certo
numero di esercenti, o relative ad attività economiche che lo Stato si
è riservato (le piazze notarili).
In alcuni casi il rapporto tra concedente e concessionario è regolato da un
capitolato, cioè da un atto negoziale, nel quale sono stabiliti i diritti e i
doveri di questi ultimi e i relativi controlli e responsabilità.
Analoghi alle concessioni sono i provvedimenti di sovvenzione, consistenti
nell’attribuzione di una somma di denaro o di beni (borsa di studio), e di
ammissione, consistenti nel conferimento di un particolare status giuridico
(ammissione ad un concorso)
 restrittivi: che producono una restrizione della sfera giuridica dei destinatari. E
sono:
o ordini ( o comandi) e divieti: che impongono un determinato comportamento
consistente in un dare o in un facere (negli ordini) o non facere o un non
dare (nei divieti).
Tali provvedimenti possono avere carattere sanzionatorio o, laddove violati,
possono dare luogo a provvedimenti sanzionatori. Le sanzioni amministrative
hanno natura pecuniaria, ma possono anche produrre modificazioni negative
dello status professionale o nel rapporto di servizio (sanzioni disciplinari)
ovvero la decadenza o la revoca di precedenti provvedimenti amministrativi
favorevoli (revoca della concessione per inosservanza del capitolato)
o atti ablativi: con i quali si priva il titolare di un determinato diritto reale,
estinguendolo,o trasferendolo coattivamente ad altro soggetto, ovvero ne
limita la portata:
 espropriazioni: con le quali si trasferisce la proprietà o altro diritto
reale dietro indennizzo
 occupazioni:
 requisizioni:
 confisca: che ha natura sanzionatoria
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Capitolo 9° - La pubblica amministrazione

vincoli: cui corrispondono limitazioni al potere di godimento e di
disposizione di un bene
13.3 I vizi dell’atto amministrativo
L’invalidità di un atto giuridico consiste nella difformità ad un parametro normativo,
mentre per inefficacia si intende l’incapacità di produrre effetti giuridici.
Anche l’atto amministrativo è invalido quando è difforme dalla norma che lo disciplina, a
seconda poi, della gravità dei vizi che presenta, esso può essere nullo o annullabile.
La nullità di un provvedimento può definirsi come l’inesistenza giuridica dello stesso.
L’atto nullo è anche inefficace, non produce effetti nemmeno prima della dichiarazione di
nullità (quod nullum est, nullum effectum producit). Si riscontra quando manca o è
gravemente viziato uno degli elementi essenziali del provvedimento. Casi di nullità:
 organo agente non qualificabile come organo della pubblica amministrazione o è
assolutamente incompetente per territorio o per materia
 se manca la volontà dell’autore dell’atto perché viziata da violenza fisica
 se l’oggetto è inesistente, impossibile, illecito o indeterminata o indeterminabile
 se il destinatario è inesistente o indeterminabile
 se manca una forma essenziale richiesta dalla legge ad substantiam
 se la causa è inesistente o illecita
L’annullabilità di un atto, invece, è disciplinata dalla legge e l’atto annullabile
(contrariamente all’atto nullo), può essere sanato o convalidato o convertito, ha efficacia
giuridica ed è esecutorio, cioè può essere eseguito coattivamente e direttamente da
parte della pubblica amministrazione. L’atto di annullamento, tuttavia, ha efficacia
retroattiva, travolgendo gli effetti nel frattempo prodotti dall’atto. L’annullamento
compete all’autorità amministrativa, in sede di autotutela, ovvero al giudice
amministrativo.
I vizi che causano l’annullabilità dell’atto amministrativo (vizi di legittimità) sono:
 l’incompetenza: definibile come la violazione di quelle norme che stabiliscono la
ripartizione delle competenze fra i vari enti ed organi (materia, valore, territorio,
ecc).
 l’eccesso di potere: è il vizio di legittimità di più difficile individuazione. Si
verifica quando il potere amministrativo viene esercitato per una finalità diversa
da quella normativamente stabilita. (sviamento di potere). Tale finalità può essere
di natura:
o privata (ordine di demolizione che il sindaco pone in essere solo per godere
di una vista migliore dalla propria abitazione)
o pubblica (trasferimento di un impiegato alla stregua di un’impropria sanzione
disciplinare)
14. I contratti della pubblica amministrazione
La pubblica amministrazione ha il potere di stipulare contratti adottando un procedimento
“di evidenza pubblica”, regolato da norme del codice civile, di contabilità dello Stato e da
quelle sui singoli contratti della pubblica amministrazione e dalla normativa comunitaria
per i contratti superiori ad una certa cifra (soglia comunitaria). La conclusione di un
negozio da parte di una pubblica amministrazione è preceduta dalla
1. deliberazione a contrarre che consiste in un provvedimento amministrativo con cui si
dichiara lo scopo e il modo con il quale si intende perseguirlo. In questa fase
l’amministrazione fissa il contenuto del futuro contratto, fissando i capitolati, generali
e speciali, i quali stabiliscono le forme, le condizioni e le clausole fondamentali dei
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Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
diversi tipi di contratti della pubblica amministrazione. Anche nella scelta del
contraente gli enti e gli organi pubblici non sono liberi, ma sono condizionati dal
principio del concorso, vale a dire che sono obbligati a preferire il contraente che, a
parità di professionalità, offra condizioni più vantaggiose. Tutti i contratti dai quali
derivino un’entrata e una spesa dello Stato debbono essere preceduti dai:
 pubblici incanti (o asta pubblica): si procede alla pubblicazione di un bando (o
avviso di gara), contenente tutte le indicazioni relative all’asta a cui possono
partecipare tutti coloro che vi hanno interesse e che possiedono i requisiti
individuati dalla pubblica amministrazione:
o requisiti morali:
 inesistenza di condanne penali
 regolarità contributiva
 rispetto della normativa antimafia
o requisiti oggettivi:
 idoneità tecnica
 idoneità finanziaria
 idoneità economica
ovvero dalla:
 licitazione privata: consente la partecipazione soltanto alle persone o ditte
ritenute idonee dall’amministrazione e pertanto, invitate con un’apposita lettera.
In tal caso la licitazione si articola in varie fasi:
o avviso pubblico:
o domanda di partecipazione
o preselezione
o invio e valutazione dell’offerta
secondo una valutazione della pubblica amministrazione. In entrambi i casi, per
2. l’aggiudicazione si possono seguire differenti metodi (candela vergine, offerta
segreta) e criteri (prezzo più basso sopra la soglia di anomalia, prezzo medio, prezzo
che più si avvicina alla scheda segreta predisposta dall’amministrazione, ecc.).
Per i contratti di appalto di lavoro o servizi o di fornitura è previsto anche il metodo
dell’appalto-concorso, che rappresenta una forma di gara attivabile nei soli casi
“speciali”, in cui l’amministrazione ritenga conveniente avvalersi di imprese
particolarmente idonee a predisporre progetti caratterizzati da obiettiva complessità
tecnica. In questo caso i soggetti invitati presentano i progetti tecnici, sicchè la scelta
non è effettuata solo sulla base del prezzo, ma anche sulle caratteristiche e condizioni
del progetto (come il valore tecnico ed estetico delle opere, i costi i utilizzazione e
manutenzione, i tempi di esecuzione, ecc.). Solo eccezionalmente e in casi tassativi la
pubblica amministrazione può concludere un contratto a trattativa privata, nella quale
essa agisce come un qualsiasi privato. In tale eventualità le amministrazioni consultano
le imprese che ritengono idonee e negoziano i termini del contratto con una o più di
esse. Ciò accade allorché siano:
 risultate infruttuose le procedure concorsuali
 nelle ipotesi di urgenza,
 per l’acquisto di cose la cui produzione è garantita da privativa industriale o di
macchine, strumenti ed oggetti di precisione che una sola ditta può fornire con i
requisiti tecnici necessari
Esiste una analoga normativa europea in materia di appalti che distingue tra:
 procedura aperta: asta pubblica
 procedura ristretta: licitazione privata e appalto-concorso
 procedura negoziata: trattativa privata
Successivamente all’aggiudicazione segue la fase di:
3. approvazione: nella quale l’autorità competente approva la graduatoria e la
conseguente aggiudicazione. Segue infine la:
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Capitolo 9° - La pubblica amministrazione
4. stipulazione del contratto: da parte della pubblica amministrazione.
15. La responsabilità della pubblica amministrazione
L’art. 28 Cost. dispone che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici
sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti
compiuti in violazione di diritti” e stabilisce, altresì che “in tali casi la responsabilità civile
si estende allo Stato e agli enti pubblici”. Lo Stato e gli enti pubblici rispondono, dunque,
civilmente per gli illeciti compiuti dai propri dipendenti, anche quelli che non impegnano la
volontà dell’ente, ossia non sono organi. Vi è pertanto un rapporto di immedesimazione tra
il titolare dell’organo, l’organo e l’ente. Affinché ricorra tale forma di responsabilità dei
pubblici dipendenti e funzionari è necessario non solo che vi sia un atto lesivo di un diritto
(o interesse) altrui, ma che esso sia compiuto con l’intenzione cosciente di provocare la
lesione. Possono individuarsi quattro ipotesi:
1. illecito compiuto da un dipendente o funzionario pubblico, all’infuori
dell’organizzazione e dell’esercizio delle proprie funzioni: di esso risponderà
personalmente e direttamente la persona fisica;
2. illecito compiuto colpevolmente e nell’esercizio delle proprie funzioni, da un
dipendente pubblico che non è titolare di un organo e non ha, quindi, la capacità di
impegnare la volontà dell’ente a cui appartiene: in questo caso risponderà
direttamente il dipendente e la responsabilità civile si estenderà allo Stato
3. illecito compiuto, senza la volontà di ledere, dal titolare di un organo pubblico
nell’esercizion delle sue funzioni: in tale evenienza vi sarà responsabilità diretta
dell’ente
4. illecito compiuto, con la volontà di ledere, dal titolare di un organo pubblico,
nell’esercizio delle sue funzioni: in questo caso, il danneggiato potrà scegliere se
avvalersi sull’ente o sul funzionario.
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Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea
Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea
1. Le istituzioni
Gli organi dell’Unione Europea possono distinguersi in:
 istituzioni comunitarie, che sono:
1. Parlamento:
2. Consiglio:
3. Commissione:
4. Corte di Giustizia:
5. Corte dei Conti:
 altri organi:
o Consiglio Europeo
o Comitato economico e sociale
o Comitato delle Regioni
o Banca centrale europea
o Banca europea degli investimenti
o Mediatore europeo
o ecc.
2. I principi di organizzazione
Sul piano europeo non sembra operare il principio della separazione dei poteri. Il sistema
comunitario, più che perseguire una netta separazione tra organi in relazione ai diversi
tipi di funzione (in particolare legislativa ed esecutiva), si ispira al principio dell’equilibrio
istituzionale (checks and balances). In base ad esso ciascuna istituzione e ciascun organo
devono esercitare le competenze loro specificamente attribuite in modo da evitare di
pregiudicare il buon funzionamento degli altri organi e l’esercizio, da parte di questi, delle
rispettive competenze.
3. La Commissione: profili organizzativi
La formazione della Commissione avviene in 2 fasi:
1. nomina del Presidente: che è designato dal Consiglio dei Ministri dell’Unione,
“riunito al livello di Capi di Stato e di Governo”, a maggioranza qualificata. Tale
designazione è approvata dal Parlamento europeo.
2. nomina dei Commissari: il Consiglio, nella stessa composizione, con la stessa
procedura e di comune accordo con il Presidente designato, adotta l’elenco degli
altri componenti della Commissione, redatto conformemente alle proposte
formulate da ciascuno Stato membro.
Il Presidente e i Commissari sono, poi, collettivamente sottoposti ad un voto di
approvazione da parte del Parlamento europeo e successivamente nominati dal Consiglio
che delibera a maggioranza assoluta.
La cessazione anticipata della Commissione o dei suoi membri prevede tre possibilità:
1. dimissioni d’ufficio (o destituzione): sono individuali e dichiarate dalla Corte di
Giustizia a seguito del venir meno dei requisiti di eleggibilità o per colpa grave
nell’esercizio delle funzioni. Esse hanno come effetto l’immediata cessazione del
membro destituito, mentre i nuovi nominati durano solo fino alla scadenza della
Commissione,
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Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea
2. dimissioni da voto di sfiducia del Parlamento: sono collettive e comportano un
affievolimento dei poteri della Commissione fino alla nomina della successiva. La
Commissione subentrante dura in carica solo per il periodo rimanete del mandato di
quella sfiduciata.
3. dimissioni volontarie (impedimento permanente e morte): possono concernere il
Presidente o i singoli Commissari. I sostituti rimangono in carica fino alla fine del
mandato.
L’obiettivo della Commissione è il perseguimento dell’interesse generale della Comunità
Europea, sganciato dal circuito intergovernativo. I Commissari devono essere personalità
di provata competenza ed esercitare le proprie funzioni in piena indipendenza,
sottraendosi ad ogni sollecitazione o istruzione da parte di qualsiasi organo o Governo
nazionale. Il mandato della Commissione è quinquennale e può essere rinnovato.
Attualmente il numero dei Commissari è di 27, uno per ogni Stato dell’Unione, ma ulteriori
ingressi nella Comunità faranno scattare un sistema di rotazione secondo una disciplina
stabilita all’uopo dal Consiglio.
La Commissione agisce nel quadro degli orientamenti politici del suo Presidente, che ne
decide l’organizzazione interna per garantire la coerenza, l’efficacia e la collegialità della
sua azione.
La Commissione assume le proprie decisioni a maggioranza. Per ragioni di economi
procedimentale essa adotta, sulle questioni non controverse, procedure semplificate e
decentrate, dedicando le riunioni collegiali solo agli affari più complessi e discussi.
L’organizzazione amministrativa interna della Commissione è alquanto complessa. Le
riunioni del collegio sono organizzate da un Segretario generale e precedute da incontri
dei capi di gabinetto dei Commissari medesimi. Ogni Commissario, che dispone di un
proprio staff di fiducia, è responsabile di una direzione generale competente per gli
affari relativi ad uno degli ambiti più rilevanti dell’azione comunitaria (affari economici e
finanziari, agricoltura, concorrenza, giustizia e affari interni). Attualmente le direzioni
generali sono 14. Un direttore generale è collocato al vertice di ognuna di tali strutture,
le quali sono, a loro volta, suddivise in direzioni, divisioni ed unità.
3.1 Le competenze della Commissione
Le competenze della Commissione sono:
 funzione di vigilanza nell’attuazione della normativa primaria e derivata
 emanazione di raccomandazioni e pareri
 partecipazione all’attività decisionale degli altri organi comunitari
 esercizio di poteri normativi propri o delegati dal Consiglio per l’attuazione
regolamentare di disposizioni normative
Come si evince, la Commissione si trova ad esercitare funzioni che hanno riflesso sulla
legislazione:
 diritto esclusivo di iniziativa legislativa
 potere di definire annualmente il piano di azione della Comunità
 elaborazione di strategie di sviluppo delle politiche comunitarie
 attività normativa propri o delegata
e sull’indirizzo politico generale e sull’amministrazione:
 esercizio di poteri di supervisione delle attività amministrative degli Stati membri
Inoltre il carattere spesso estremamente tecnico e specialistico delle regole e dei
provvedimenti adottati al livello comunitario ha reso inevitabile un incremento delle
attribuzioni delegate alla Commissione, in grado di acquisire e concentrare in sé le
competenze tecnico-amministrative necessarie al perseguimento stabile di tali scopi.
Cosicché oggi agli atti delegati alla Commissione (comprese le Direttive) costituiscono di
gran lunga la maggioranza di quelli adottati dall’Unione.
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Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea
I Comitati di rappresentanti dei Governi nazionali che affiancano i Commissari hanno
sviluppato tutta un’attività consultiva, di supervisione e di controllo tale da generare una
fitta seri di regole sorte per disciplinare le varie forme di azione chiamata comitologia,
che prevede ben quattro diverse procedure di intervento previsto per i Comitati
(consultiva, di gestione, di regolamentazione e di salvaguardia)
4. L’organizzazione e il funzionamento del Consiglio dell’Unione
Il Consiglio dell’Unione, è l’organo di rappresentanza istituzionale degli Stati membri
dell’Unione. Esso è composto da un rappresentante per ciascun Stato membro “a livello
ministeriale”. Il Consiglio vota a maggioranza semplice, salvo particolari casi che
richiedono la maggioranza qualificata (metà + 1 degli Stati con almeno 232 voti su 321
pari al 72%) o l’unanimità.
Il Consiglio si riunisce su convocazione del suo Presidente, di uno dei suoi membri o della
Commissione. Si può riunire di volta in volta in “formazioni” diverse, a seconda degli
oggetti da trattare. Le principali formazioni sono quella del:
 Consiglio degli affari generali (composto dai Ministri degli esteri) competente in
materia di politica estera e sugli affari dell’Unione,
 dell’ECOFIN (Consiglio dei Ministri dell’economia e della finanze) competente in
materia di mercato interno e Unione Monetaria
La Presidenza è semestrale e assegnata a rotazione assegnata ad ogni stato. Il
Presidente stabilisce il programma semestrale del Consiglio, definisce l’agenda degli
incontri, esercita la rappresentanza dell’organo nei rapporti con le altre istituzioni e
presiede anche il Consiglio Europeo in quanto Presidente dell’Unione Europea (Portogallo
- Anibal Cavaco Silva II semestre 2007). È coadiuvato da un Segretario Generale che
rivesta anche il ruolo di alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza (Javier
Solana). Tale organo assicura il raccordo tra il Consiglio e l’apparato amministrativo
sottostante: il Coreper (comitato dei rappresentanti permanenti presso il Consiglio)
costituito da personale con rango di ambasciatore (Coreper II) che si occupano delle
questioni di maggiore rilevanza , e da rappresentanti nazionali aggiunti (Coreper I) cui
spetta trattare le questioni minori. I dossier preparati dal Coreper relativi ad argomenti
su cui ci si è già accordati, arrivano al Consiglio al punto A dell’ordine del giorno, gli altri
al punto B.
4.1 Le competenze del Consiglio dell’Unione
Il Consiglio si confronta con la Commissione in ogni fase del processo legislativo secondo
una dinamica di collaborazione e confronto dialettico. In questo senso va inteso l’art 208
TUE che recita: “il Consiglio può chiedere alla Commissione di procedere a tutti gli studi
che esso ritiene opportuni ai fini del raggiungimento degli obiettivi comuni e di sottoporgli
tutte le proposte del caso”. Il Consiglio è in stretta collaborazione anche con il Parlamento
Europeo con il quale, assieme alla Commissione, intercorrono accordi interistituzionali.
5. Il Consiglio Europeo
Nato come riunione informale dei Capi di Stato e di Governo, il Consiglio Europeo ha
acquistato un ruolo centrale nella vita dell’Unione ed è stato riconosciuto con l’Atto Unico
Europeo ed ulteriormente disciplinato dai trattati successivi. Esso è formato dai Capi di
Stato e di Governo, dal Presidente della Commissione, dai Ministri degli esteri e da un
membro della Commissione e si riunisce almeno 2 volte l’anno (ora diventate almeno tre). Il
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Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea
Consiglio Europeo dà all’Unione l’impulso necessario al suo sviluppo e ne definisce gli
orientamenti politici generali. Spettano a questo organo:
 funzioni di definizione dell’indirizzo politico generale dell’Unione
 la risoluzione dei conflitti sulle materie più controverse
 decisioni in merito alla modifica del diritto primario
 convoca la Conferenza Inter Governativa (CIG) incaricata di predisporre le
modifiche ai Trattati e ne approva il testo finale da sottoporre alla ratifica degli
Stati membri
Competenze specifiche sono attribuite al Consiglio Europeo in relazione al II (Politica
Estera e Sicurezza Comune) e III pilastro (Giustizia e Affari Interni).
6. L’organizzazione e il funzionamento del Parlamento Europeo
Il Parlamento europeo assicura la rappresentanza democratica mediante suffragio diretto
all’interno dell’Unione: dal 1979 è eletto a suffragio universale e diretto. La procedura
elettorale è rimessa agli Stati. Il nostro sistema elettorale prevede l’assegnazione dei
seggi tra le liste concorrenti con metodo proporzionale: il territorio nazionale è diviso i 5
grandi circoscrizioni, nella quali vengono presentate liste di candidati. L’elettore
manifesta fino a 3 preferenze. Il numero dei parlamentari europei è pari a 732. La
distribuzione dei seggi non è proporzionale alla consistenza demografica dei vari Paesi, ma
subisce una correzione per attenuare l’escursione tra Stati più e meno popolosi, i quali
sono pertanto sovra-rappresentati (Malta ha 5 seggi i quali “pesano” di più dei 99 della
Germania).
L’Ufficio di Presidenza è formato da un Presidente e 14 vicepresidenti eletti per metà
legislatura, i quali presiedono all’organizzazione amministrativa e finanziaria dell’organo,
coadiuvati da 5 questori. Il Parlamento è, poi, supportato dal Segretariato diretto da un
Segretario generale. I Parlamentari sono suddivisi in Gruppi parlamentari ognuno dei quali
ha un suo Presidente che assieme al Presidente del Parlamento partecipa alla Conferenza
dei Presidenti con lo scopo di determinare lo svolgimento dell’attività parlamentare
(agenda dei lavori, rapporti tra l’Assemblea e le Commissioni).
L’organizzazione interna prevede 17 commissioni permanenti, oltre a sub-commissioni e
commissioni temporanee. Il loro lavoro è coordinato da una Conferenza dei Presidenti di
Commissione.
Vi sono poi le Delegazioni interparlamentari (con relativa Conferenza dei Presidenti di
delegazione) che intrattengono rapporti con i Parlamenti dei Paesi terzi e dei Paesi che
non sono candidati all’adesione.
La legislatura europea ha durata quinquennale. Il Parlamento ha sede a Bruxelles dove si
riunisce almeno una volta all’anno, tuttavia l’Assemblea si riunisce una volta al mese a
Strasburgo.
Il Parlamento europeo delibera a maggioranza con quorum fissato dal regolamento
interno.
6.1 Le competenze del Parlamento Europeo
Il Parlamento europeo esercita funzioni:
 normative: potere di chiedere alla Commissione di presentare adeguate proposte
sulle questioni reputate interessanti. Potere di opposizione alle delibere dei
Comitati. Interviene nel procedimento della codecisione assieme alla Commissione e
al Consiglio.
 ispettive: potere di revoca della Commissione con relativa mozione di censura.
Poteri di interrogazione nei confronti del Consiglio, della Commissione e della Banca
centrale europea. Potere di istituire commissioni di inchiesta per infrazione o
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Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea
cattiva amministrazione. Nomina del Mediatore europeo incaricato di svolgere
indagini relative ai “casi di cattiva amministrazione” da parte delle istituzioni e
degli organi comunitari.
 controllo: nei confronti della Commissione che agisce in veste di “legislatore
delegato” dal Consiglio. Approvazione della nomina del Presidente della Commissione
e dei Commissari. Controllo del bilancio e sulla sua attuazione da parte della
Commissione. Controllo sull’attività della Commissione, del Consiglio dell’Unione e
del Consiglio Europeo. Controllo sulle nomine da parte del Consiglio dell’Unione (dei
membri della Corte dei Conti, del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea,
dell’Alto rappresentante per la politica estera e sicurezza comune.
Il Parlamento può:
 rivolgere interrogazioni o formulare raccomandazioni al Consiglio
Il Parlamento deve:
 essere consultato sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica
estera e di sicurezza comune
6.2 Il Parlamento Europeo ed il problema della legittimazione democratica dell’Unione
Rispetto all’esigenza di legittimazione democratica dell’Unione, si deve riconoscere che il
PE svolge un ruolo importante ma non esclusivo e che, ancora oggi, l’esigenza
rappresentativa è complessivamente assicurata da una pluralità di istanze.
7. Gli altri organi comunitari
La Corte dei Conti europea assicura il controllo dei conti nell’ambito dell’Unione. Essa, in
particolare:
 esamina tutte le entrate e le spese della Comunità e di ogni organismo creato dalla
Comunità e presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una dichiarazione in cui
attesta l’affidabilità dei conti e la legittimità e la regolarità delle relative
operazioni, inoltre
 controlla la legittimità e la regolarità delle entrate e delle spese ed
 accerta la sana gestione finanziaria.
Essa è composta da un cittadino per Stato membro, ed il procedimento di nomina è
finalizzato ad assicurare la capacità tecnica e l’assoluta indipendenza, sia rispetto agli
organismi controllati che rispetto ai singoli Stati membri. I membri sono nominati per 6
anni dal Consiglio, il quale delibera a maggioranza qualificata previa consultazione del
Parlamento europeo. I membri della Corte dei conti possono essere destituiti dalle loro
funzioni con provvedimento della Corte di giustizia qualora essi non siano più in possesso
dei requisiti necessari o non soddisfino più gli obblighi derivanti dalla loro carica.
Il Comitato economico e sociale ha una funzione essenzialmente consultiva ed ha il
compito di rappresentare interessi settoriali, economici e sociali, ed è costituito da
rappresentanti delle varie componenti di carattere economico e sociale della società civile
organizzata, in particolare dei produttori, agricoltori, vettori, lavoratori, commercianti e
artigiani, nonché delle libere professioni, dei consumatori e dell’interesse generale. I
membri del Comitato non possono eccedere i 350 e sono nominati per 4 anni su proposta
degli Stati membri, dal Consiglio a maggioranza qualificata.
La Banca Centrale Europea gode di importanti poteri e di notevole autonomia. Istituita
nel quadro di un Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) di cui fanno parte le
banche centrali nazionali la BCE, che ha personalità giuridica, ne governa gli organi
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Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea
decisionali (consiglio direttivo e comitato esecutivo). Sul piano funzionale la BCE, per
l’assolvimento dei compiti attribuiti al SEBC, può stabilire regolamenti, prendere decisioni
e formulare raccomandazioni o pareri.
La Banca centrale ha il compito:
 di definire ed attuare la politica monetaria della Comunità,
 di svolgere operazioni sui cambi e
 di contribuire ad una buona conduzione delle politiche riguardanti la vigilanza
prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
 ha una funzione consultiva nei confronti di organi comunitari e delle autorità
nazionali nelle materie di propria competenza
 ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della
Comunità
8. Cenni sulla forma di governo comunitaria
La legittimazione politica dell’indirizzo di governo non segue una sola via: accanto al cale
cittadini-Parlamento esiste quello Governi nazionali-Consiglio europeo/Consiglio
dell’Unione, con la Commissione in posizione di raccordo tra l’uno e l’altro. Diversamente
dagli ordinamenti statali contemporanei, le decisioni fondamentali sull’organizzazione e
sull’indirizzo politico non sono tutte riconducibili all’organo direttamente rappresentativo
dei cittadini (il Parlamento non esercita una competenza generale di questo tipo). È
semmai il circuito di legittimazione democratica interno agli Stati ad esercitare il ruolo
centrale. Nessuna decisione sulla quale si fonda l’indirizzo politico europeo, può essere
infatti assunta senza il consenso degli organi rappresentativi degli Stati (Consiglio
dell’Unione e Consiglio Europeo). Così come sono sempre gli Stati, attraverso le procedure
internazionalistiche, a dettare le norme primarie del diritto europeo.
Accanto ad un bicefalismo degli orgnai legislativi (attività normativa condivisa tra
Consiglio dell’Unione e Parlamento) assimilabile al bicameralismo degli Stati Federali,
possiamo riscontrare un bicefalismo degli organi di Governo (Consiglio europeo e
Commissione), attraverso cui le due istanze di legittimazione (democratica e
intergovernativa) trovano espressione.
9. L’attività amministrativa nell’Unione Europea
L’attività amministrativa europea è ispirata al modello accolto in alcuni ordinamenti
composti e noto come federalismo di esecuzione, in cui l’esecuzione ed attuazione del
diritto europeo viene principalmente rimessa all’azione degli Stati membri. I settori nei
quali l’Unione svolge un’attività di amministrazione diretta sono in numero limitato:
 la disciplina della concorrenza
 i controlli sulle fusioni
 in materia di antidumping
 in materia di aiuti di Stato
 il diritto dei marchi
 il pubblico impiego comunitario
 la produzione e commercializzazione dei prodotti geneticamente modificati OGM
 la fase pre-contenziosa delle procedure di infrazione
in tutte le altre materie, si verificano ipotesi nelle quali il provvedimento amministrativo è
l’esito di un’attività coamministrata dalle autorità nazionali e comunitarie. Possiamo
pertanto definire l’amministrazione europea come una amministrazione indiretta, non
avvalendosi, dunque, di un’amministrazione propria ma di quella degli Stati membri. Ciò non
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Capitolo 10° - Gli organi dell’Unione Europea
significa che il diritto europeo non eserciti un’influenza sulle attività degli organi
amministrativi statali. Questi, infatti, nell’esercitare le proprie funzioni, devono attuare,
anche e primariamente, le norme comunitarie, perseguendo gli obiettivi da esse fissate
e adeguandosi alle regole organizzative o procedimentali introdotte in ambito europeo.
10. La finanza dell’Unione Europea
Le modalità di reperimento delle risorse finanziarie necessarie al funzionamento
dell’organizzazione comunitaria hanno subito nel corso dei decenni una evoluzione nella
direzione di una sempre maggiore autonomia di questa rispetto agli Stati membri.
All’origine, infatti, il bilancio comunitario era intermante finanziato mediante contributi
degli Stati secondo un criterio di ripartizione che tenesse conto della capacità
contributiva di ciascuno di essi. Tale sistema presentava l’inconveniente di rimettere a
negoziati internazionali le scelte relative all’ammontare del finanziamento ed alla relativa
ripartizione. Per questa ragione si è pensato di dotare le Comunità europee di risorse
proprie non più dipendenti dai contributi degli Stati, ma definitivamente spettanti ad esse
senza necessità di alcuna decisione da parte delle autorità nazionali. Il bilancio
comunitario è così finanziato integralmente tramite risorse proprie. Esse sono così
costituite:
 dai dazi doganali sulle importazioni da paesi terzi
 dalle risorse di origine agricola (tasse e contributi gravanti sui produttori)
 da una quota delle risorse provenienti dall’Iva
 dalla quarta risorsa, costituita dalle entrate corrispondenti ad una certa aliquota
del Reddito Nazionale Lordo RNL dell’Unione europea
Sul versante delle spese, esse si dividono in:
 spese obbligatorie: derivanti obbligatoriamente dal Trattato o dagli atti adottati a
sua norma
 spese non obbligatorie: sono fissate annualmente, nell’ambito di un tasso massimo
di aumento rispetto alle spese della stessa natura dell’esercizio in corso
L’esercizio finanziario ha inizio il 1° gennaio e si chiude al 31 dicembre. La procedura di
approvazione del bilancio attribuisce al Parlamento europeo un ruolo decisivo, in quanto ha
l’ultima parola nella determinazione delle spese non obbligatorie, può proporre al Consiglio
modificazioni riguardanti le spese obbligatorie e può, inoltre, rigettare il progetto di
bilancio chiedendo che gli venga presentato un nuovo progetto (da parte della
Commissione).
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Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario
Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario
1. La giurisdizione
La giurisdizione (funzione giudiziale) è tesa ad assicurare la corretta osservanza ed
applicazione del diritto ed è disciplinata da norme sull’organizzazione e sull’esercizio delle
funzioni. A tal fine si prevede un circuito organizzativo funzionale ispirato ai principi
dello Stato di diritto e rigidamente assoggettato al principio di legalità.
Il valore cardinale della giurisdizione è l’indipendenza e terzietà dei giudici: chi esercita
la giurisdizione è soggetto esclusivamente alla legge e non deve soggiacere a nessun tipo
di condizionamento esterno. L’esercizio dell’attività giurisdizionale ha un carattere
vincolato (il giudice non gode di un potere “discrezionale”), egli deve, pertanto, decidere
sono in base al proprio libero convincimento, scevro da qualsiasi condizionamento.
2. Principi di natura processuale
Al fine di assicurare l’esercizio indipendente della giurisdizione, la Costituzione stabilisce
una serie di norme a carattere processuale:
 sul diritto di azione e difesa in giudizio (art. 24 Cost) che assicura l’accesso e la
difesa davanti ad un giudice di chiunque vanti un diritto o un interesse legittimo
(principio di tutela effettiva)
 sul principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost) in base al quale il
pubblico ministero di fronte ad una notizia di reato, qualora non ritenga di
archiviare il caso, deve esercitare l’azione penale, formulando un’imputazione e la
richiesta di rinvio a giudizio
 sul divieto di non liquet che consiste nell’obbligo del giudice di pronunziarsi sulla
questione pendente davanti a lui
 sul principio del contraddittorio (artt 24 e 111 Cost), in base al quale non solo a
ciascuno è consentito difendersi dagli addebiti ma anche di contestare
dialetticamente gli accertamenti e l’acquisizione delle prove nell’ambito del
processo
 sul principio del giudice naturale precostituito per legge, in base al quale il giudice
che dovrà esaminare il caso da giudicare dovrà essere nominato in forza di criteri
precostituiti (come la ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, la designazione
dei magistrati componenti i singoli uffici, le tabelle degli uffici giudiziari, ecc.)
 sull’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali, che impone al
giudice di giustificare l’applicazione del diritto compiuta dando la possibilità di
contestare la sentenza e poter ricorrere ad ulteriore giudizio (appello)
 sul principio di ragionevole durata dei processi (art 111 Cost) che dovrebbe
assicurare la certezza e la tempestività delle decisioni ed evitare che il giudice
finisca per sottrarsi all’obbligo di emettere un provvedimento, pregiudicando
l’interesse all’applicazione della legge
 sul principio del riesame di legittimità di tutte le sentenze e di tutti i
provvedimenti sulla libertà personale, affidato alla Corte di Cassazione
 sul principio di nomofilachia, che dovrebbe assicurare l’unità dell’ordinamento sul
piano interpretativo, evitando che ogni giudice si faccia la “sua” insindacabile
interpretazione e si determini un proliferare incondizionato di orientamenti
giurisprudenziali.
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Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario
3. L’organizzazione giudiziaria: il principio di unità della giurisdizione
L’organizzazione della giurisdizione è unica ed i soggetti che esercitano la funzione
giurisdizionale devono appartenere alla magistratura ordinaria, la quale è formata da
magistrati giudicanti e requirenti. La Costituzione prescrive che il regime giuridico di
tutti i magistrati ordinari sia disciplinato dalla legge introducendo una riserva assoluta di
legge (art 108) tale da far ritenere che la disciplina della materia debba essere affidata
ad un corpus normativo unitario ed inoltre afferma solennemente nell0art, 104 che “la
magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.
4. Articolazione dell’organizzazione giudiziaria
La Costituzione consente che possano istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni
specializzate per determinate materie (giudice di pace, giudice penale, del lavoro, ecc.),
pur vietando l’istituzione di giudici straordinari o giudici speciali. Inoltre si fa distinzione
tra le:
 funzioni giudicanti (esercitate dai giudici) rivolte all’applicazione del diritto
 funzioni requirenti (esercitate dai pubblici ministeri) rivolte alla promozione delle
attività giurisdizionale da parte dello Stato laddove si ravvisi un interesse pubblico
5. Norme organizzative sull’indipendenza dei singoli giudici
Una pluralità di norme sono rivolte ad assicurare l’indipendenza dei singoli giudici:
 i magistrati sono scelti sulla base di selezioni meritocratiche nella forma del
concorso pubblico, per garantire la natura “tecnica” della giurisdizione
 è consentito alla legge di limitare il diritto dei magistrati di iscriversi a partiti
politici come pure di prevedere ulteriori casi di incompatibilità con la funzione
 esiste una responsabilità giuridica dei magistrati, i quali soggiacciono alle regole
generali di cui all’art. 28 Cost, applicabili ai funzionari ed ai dipendenti dello Stato.
6. Le forme di garanzia per i singoli giudici
Accanto a norme relative ad obblighi ed oneri della funzione giurisdizionale, ve ne sono
altre che prescrivono determinate garanzie per i magistrati che dovrebbero assicurare la
sottrazione di questi a possibili condizionamenti provenienti da altri organi pubblici:
 i magistrati sono inamovibili e non possono essere dispensati o sospesi dal servizio
né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del CSM
 i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Ciò serve ad
evitare che si instaurino rapporti di tipo gerarchico tra i diversi organi
giurisdizionali realizzando così anche una indipendenza interna oltre che esterna
(salvo per il pubblico ministero che può essere organizzato gerarchicamente)
7. Garanzie del potere giudiziario nel suo complesso e nelle singole articolazioni: il
CSM
Tutte le decisioni relative all’amministrazione della carriera dei magistrati ordinari
(assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari sono
riservate al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), organo di autogoverno della
magistratura. Esso è composto da:
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Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario
3 membri di diritto: Presidente della Repubblica, il primo presidente e il
procuratore generale della Corte di Cassazione
 altri membri:
o 16 togati: eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie
categorie,
o 8 laici: eletti dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di
Università in materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio
I membri elettivi rimangono in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non
possono, inoltre, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di
un Consiglio regionale.
Il Consiglio è articolato, al proprio interno, in vari organi:
 vice presidente: designato tra i componenti eletti dal Parlamento
 comitato di presidenza: che promuove e attua le deliberazioni del Consiglio
 diverse commissioni: tra cui quella competente a formulare, ci concerto con il
Ministro della Giustizia, le proposte per il conferimento degli uffici direttivi
 una sezione disciplinare: alla quale è attribuita la cognizione dei relativi
procedimenti che opera in qualità di organo giurisdizionale
Tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati con decreto del Presidente
della Repubblica controfirmato dal Ministro, ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con
decreto del Ministro della giustizia. Contro tali atti è ammesso ricorso in primo grado al
Tribunale amministrativo regionale del Lazio per motivi di legittimità e in secondo grado al
Consiglio di Stato.

8. Garanzie delle giurisdizioni speciali
Onde assicurare l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico
ministero presso di esse e degli estranei che partecipano all’amministrazione della
giustizia, è stato esteso ad altri apparati giurisdizionali il modello di organizzazione e
funzionamento del CSM. Sono stati coeì, progressivamente istituiti:
 Consiglio di presidenza della giurisdizione amministrativa: competenze più
limitate del CSM, delibera sullo stato giuridico, sulle sanzioni disciplinari, sul
conferimento degli incarichi esterni
 Consiglio di presidenza della Corte dei conti:
 Consiglio della magistratura militare: gode delle stesse attribuzioni previste per il
CSM, compresi i procedimenti disciplinari
 Consiglio di presidenza della giustizia tributaria:
9. Le attribuzioni del Ministro della Giustizia nell’amministrazione giudiziaria
Il Ministro della Giustizia è l’organo tecnicamente qualificato e politicamente idoneo a
presiedere alle relazioni tra il Governo e gli apparati amministrativi relativi alla giustizia.
Ferme restando le competenze del CSM:
 spettano al Ministero della Giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi
relativi alla giustizia,
 il Ministro, ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare,
 può richiedere parei al CSM sui disegni di legge concernenti l’ordinamento
giudiziario, e l’amministrazione della giustizia,
 può presentare osservazione sulla formulazione delle tabelle degli uffici giudiziari
 può formulare osservazioni e richieste in ordine ai provvedimenti del CSM sullo
status dei magistrati
In sintesi il Ministro svolge fondamentalmente due compiti:
94
Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario


organizzazione ed amministrazione degli apparati serventi degli organi
giurisdizionali
vigilanza, nell’interesse pubblico, sull’attività giurisdizionale al solo fine di
provocare l’attivazione del CSM
10. Il riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali e la rispettiva
organizzazione
….
11. L’organizzazione della giurisdizione ordinaria
L’ordine giudiziario è costituito da:
 gli uditori: vincitori di concorso nella fase di tirocinio prima dell’assegnaione ad una
sede ed in parte presso la Scuola superiore della magistratura
 i giudici di ogni grado dei Tribunali e delle Corti:
 i magistrati del Pubblico Ministero:
 i magistrati onorari:
 il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie:
Il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa può essere solo dopo
accertamento della sussistenza di attitudini alla nuova funzione.
Le funzioni giudicanti sono esercitate da:
 Giudice di pace:
 Tribunale ordinario: è diretto dal Presidente del Tribunale e ad esso sono addetti
più giudici. Può essere costituito in più sezioni. Il Tribunale ordinario esercita la
giurisdizione in primo grado e in appello. Uno dei giudici è annualmente incaricato
delle funzioni di sorveglianza sull’esecuzione delle pene detentive e sulla
applicazione ed esecuzione delle misure amministrative di sicurezza (giudice di
sorveglianza)
 Corte di Appello: ha sede nel capoluogo dei distretti stabilii dalla legge. Ciascun
distretto raggruppa più Tribunali. Ogni Carte d’Appello può essere costituita in più
sezioni. Esercita la giurisdizione nelle cause di appello delle sentenze pronunciate in
primo grado dai Tribunali in materia civile e penale. In ogni distretto di Corte di
Appello sono costituite una o più
 Corti di Assise (competente per alcuni reati) che esercitano le proprie attribuzioni
nell’ambito del “circolo” loro assegnato. La Corte di Assise è composta da: un
magistrato con funzioni di appello (il Presidente), un magistrato con funzioni di
magistrato di Tribunale, sei giudici popolari
 Corte suprema di Cassazione: ha sede in Roma ed ha giurisdizione su tutto il
territorio dello Stato. È costituita in sezioni e composta da un primo presidente, da
presidenti di sezione e da consiglieri. La Corte giudica col numero invariabile di 5
votanti, a sezioni unite con numero di 9 votanti.
 Tribunale per i minorenni: costituito in ogni sede di Corte di Appello di cui ne
condivide la giurisdizione
 Giudici di sorveglianza:
Le funzioni requirenti sono esercitate da:
 Pubblico Ministero presso la:
o Corte di Cassazione
o Le Corti di Appello
o Tribunali ordinari
o Tribunali per i minorenni
95
Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario
Ogni ufficio giudicante ha una cancelleria ed ogni ufficio del Pubblico Ministero ha una
segreteria.
Alle Corti e ai Tribunali sono addetti ufficiali giudiziari, aiutanti ufficiali giudiziari e
coadiutori degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti.
12. Gli uffici del Pubblico Ministero
Il Pubblico Ministero:
 vigila sull’osservanza delle leggi, sulla pronta e regolare amministrazione della
giustizia, sulla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli
incapaci, richiedendo, nei casi di urgenza, i provvedimenti cautelari che ritiene
necessari.
 promuove la repressione dei reati e l’applicazione delle misure di sicurezza,
 fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice.
 interviene nei procedimenti civili in cui sono coinvolti interessi pubblici e diritti
indisponibili,
 promuove l’esecuzione delle sentenze e degli altri provvedimenti del giudice penale
e civile
Le funzioni di Pubblico Ministero sono esercitate da:
 Procuratore generale presso la Corte di Cassazione
 Procuratori generali della Repubblica presso le Corti di Appello
 Procuratori della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni
 Procuratori della Repubblica presso i Tribunali ordinari
 Sostituti Procuratori
 Procuratori aggiunti
Il Procuratore della Repubblica è titolare esclusivo dell’azione penale e la esercita sotto
la propria responsabilità nei modi e termini stabiliti dalla legge personalmente ovvero
delegando uno o più magistrati addetti all’ufficio.
Nel corso delle udienze penali, il magistrato designato svolge le funzioni del Pubblico
Ministero con piena autonomia e può essere sostituito solo nei casi previsti dal codice di
procedura penale. Le indagini preliminari possono essere avocate, dal Procuratore
nazionale antimafia o dal Procuratore generale presso la Corte di Appello.
Per la trattazione dei procedimenti relativi a taluni reati particolarmente gravi
(associazione mafiosa, tratta di persone, riduzione in schiavitù, ecc) è costituita,
nell’ambito dell’ufficio del Pubblico Ministero presso il Tribunale sede di Corte d’Appello,
una Direzione distrettuale antimafia, diretta da un Procuratore distrettuale mentre
nell’ambito della Procura generale presso la Corte di Cassazione è istituita la Direzione
nazionale antimafia, cui è preposto un magistrato di Cassazione, scelto tra coloro che
hanno svolto anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a 10 anni, funzioni
di Pubblico Ministero o giudice istruttore, sulla base di specifiche attitudini, capacità
organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità
organizzata.
13. La giustizia amministrativa
Per giustizia amministrativa si intende l’insieme degli istituti volti ad assicurare una
tutela nei confronti della pubblica amministrazione avverso lesioni da essa causate
nell’esercizio del proprio dovere. A tal proposito si distingue tra:
 ricorsi amministrativi: nel caso in cui la controversia è decisa da un organo
amministrativo con un provvedimento amministrativo (funzione giustiziale)
96
Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario
ricorsi giurisdizionali: nel caso in cui la controversia è decisa da un organo
giudiziario con una pronunzia giurisdizionale (funzione giurisdizionale).
Il dettato costituzionale assicura che nei confronti di tutti gli atti della pubblica
amministrazione è sempre prevista una tutela giurisdizionale (art 113 Cost). La tutela
giurisdizionale è assicurata si dai giudici ordinari che da giudici speciali, tra cui il giudice
amministrativo, le cui competenze sono tassativamente stabilite. Il giudizio di legittimità
sugli atti e sui provvedimenti amministrativi è riservato al giudice amministrativo il quale
può caducarli per vizio di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge.
Il potere di annullamento dell’atto amministrativo è prerogativa esclusiva del giudice
speciale.

14. I limiti interni alla giurisdizione nei confronti dell’attività della P.A.
Affermato il principio della generale tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della
pubblica amministrazione, la stessa Costituzione ammette che la legge possa graduare
l’intensità di tale tutela, delimitando i poteri esercitabili dal giudice ordinario e dal
giudice amministrativo:
 al giudice amministrativo: è preclusa la possibilità di eccedere i limiti
dell’annullamento degli atti amministrativi. Rimane, infatti, solo in capo
all’Amministrazione il potere e l’obbligo di conformarsi al giudicato, di compiere
cioè tutte le attività volta a sanare gli effetti negativi dell’attività censurata (se,
ad esempio, il giudice amministrativo accerti l’illegittimità del diniego di un
provvedimento favorevole al privato, esso non potrà contestualmente sostituirsi
alla pubblica amministrazione ed adottare il provvedimento stesso). Solo in caso di
giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo può anche “riformare l’atto e
sostituirlo”, nel caso, cioè di inadempimento della PA agli obblighi discendenti da
una precedente pronunzia giurisdizionale.
I limiti interni alla giurisdizione, cioè i vincoli al giudizio ordinario, si riflettono
soprattutto sui tipi di sentenze che possono venire adottate nei confronti della pubblica
amministrazione. Mentre, infatti, è pacificamente ammesso che il giudice ordinario adotti
sentenze di mero accertamento o di condanna al pagamento di somme di denaro, si
esclude che esso possa pronunciare altri tipi di sentenze di condanna o sentenze a
carattere sostitutivo. A seguito della sentenza del giudice ordinario, è offerta una tutela
risarcitoria per equivalente e non in forma specifica.
15. I ricorsi amministrativi
Avverso gli atti della pubblica amministrazione è ammissibile anche una tutela non
giurisdizionale, secondo il sistema dei ricorsi amministrativi. Essi sono rimedi diretti nei
confronti di un’autorità amministrativa volti ad ottenere l’annullamento, la revoca o la
riforma di un provvedimento.
I ricorsi si distinguono in:
 ricorsi ordinari: possono essere esperiti nei confronti dei provvedimenti non
definitivi
o ricorso gerarchico: nei confronti di un organo gerarchicamente
sovraordinato a quello che ha adottato l’atto
o ricorso gerarchico improprio: nei confronti di organi non gerarchicamente
sovraordinati
o ricorso in opposizione: rivolto allo stesso organo che ha adottato l’atto
 ricorso straordinari: ammesso solo nei confronti di provvedimenti definitivi
97
Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario
o
al Capo dello Stato: la decisione del ricorso straordinario è adottata con
decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero
competente, il quale, ove intenda proporre una decisione difforme dal parere
del Consiglio di Stato, deve sottoporre l’affare alla deliberazione del
Consiglio dei Ministri. Esso può essere esperito solo per la contestazione di
vizi di legittimità del provvedimento ed ha effetti cassatori ed è
alternativo al ricorso giurisdizionale.
16. L’organizzazione della giustizia amministrativa
I Tribunali amministrativi regionali (TAR) sono organi di giustizia amministrativa
di primo grado con competenza territoriale regionale ed hanno sede nei capoluoghi
di Regione. Sono composti da magistrati amministrativi e da Presidenti di
Tribunale, consiglieri, primi referendari e referendari. L’accesso alla magistratura
dei TAR avviene nel ruolo di referendario, mediante un concorso di secondo grado
(è necessario già appartenere all’ordine giudiziario e ad una pubblica
amministrazione). I TAR pronunciano con l’intervento del presidente e di due
componenti.
 Il Consiglio di Stato è composto dal presidente del Consiglio di Stato, da
presidenti di sezione e da consiglieri di Stato. Esso si divide in 7 sezioni: quattro
con funzioni consultive e tre con funzioni giurisdizionali. L’adunanza plenaria è
presieduta dal Presidente del Consiglio di Stato ed è composta da 12 magistrati del
Consiglio di Stato scelti dal consiglio di presidenza in ragione di quattro per
ciascuna delle sezioni giurisdizionali. La nomina a Consigliere di Stato avviene
secondo diversi criteri: la metà dei componenti è tratta dal corpo dei consiglieri
dei TAR con quattro anni di anzianità che ne facciano richiesta e con giudizio
favorevole del Consiglio di Presidenza; un quarto è nominato con d.P.R. su
deliberazione del Consiglio dei Ministri e previo parere del Consiglio di Presidenza,
tra soggetti esterni alla magistratura ammninistrativa con una particolare
qualificazione; un quarto, mediante concorso pubblico per titoli ed esami
teoricoòpratici, al quale possono partecipare magistrati dei tribunali amministrativi
regionali con almeno un anno di anzianità e magistrati di altre giurisdizioni con varia
anzianità, funzionari della carriera direttiva del Senato della Repubblica e della
Camera dei Deputati, ecc. il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati
amministrativi è promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Presidente
del Consiglio di Stato e su di esso decide il Consiglio di Presidenza.
Il Consiglio di Stato ed il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana
in sede giurisdizionale esercitano le funzioni di giudice di appello avverso le pronunzie dei
Tribunali amministrativi regionali.
Avverso le decisioni del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministrativa è
ammesso ricorso alle Sezioni unite della Corte di Cassazione solo per motivi inerenti la
giurisdizione.

17. Altre giurisdizioni speciali: la Corte dei Conti e gli organi della giurisdizione
tributaria
La Corte dei Conti ha sede in Roma ed è organizzata in sezioni giurisdizionali regionali
presenti in ogni Regione e con sede nel capoluogo. Ha giurisdizione:
 in materia pensionistica, sia che si tratti di pensioni pubbliche ordinarie che di
pensioni di guerra
98
Capitolo 11° - L’ordinamento giudiziario
per i casi di responsabilità contabile dei soggetti che, a vario titolo, abbiano
detenuto e maneggiato denaro ed altri valori pubblici e non abbiano adempiuto
all’obbligo di restituzione alla pubblica amministrazione
 in materia di responsabilità amministrativa a contenuto patrimoniale di
amministratori o dipendenti pubblici per i danni causati all’ente di appartenenza
nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio. L’accertamento di siffatta
responsabilità comporta la condanna al risarcimento del danno a favore
dell’amministrazione danneggiata.
 in materia tributaria esercitata da commissioni tributarie provinciali e regionali
suddivise in sezioni.
È composta da un Presidente, da presidenti di sezione, consiglieri, da un procuratore
generale, da vice procuratori generali, da primi referendari e referendari. Il Pubblico
Ministero è rappresentato da un procuratore generale, vice procuratori generali e anche
dai primi referendari e dai referendari.
Il presidente della Corte presiede le sezioni riunite che sono convocate nei casi
determinati da leggi o da regolamenti e quando il presidente lo reputi opportuno. L’accesso
nei ruoli della Corte dei Conti avviene per concorso a referendario e successivamente
l’accesso ad altri ruoli per promozione interna o per nomina governativa.
Il Presidente della Corte di conti è nominato tra i magistrati della stessa Corte con
decreto del Presidente della Repubblica.

18. L’ordinamento giudiziario militare
La Costituzione ha limitato la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace soltanto
ai soli casi di “reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate”. È ammesso il
ricorso in Cassazione avverso i provvedimenti dei magistrati militari.
I magistrati militari si distinguono in
 uditori giudiziari militari:
 magistrati militari di Tribunale:
 magistrati militari di Appello:
 magistrati militari di Cassazione:
Lo stato giuridico, le garanzie d’indipendenza e l’avanzamento dei magistrati militari sono
regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari.
Il Tribunale militare giudica con l’intervento di tre giudici:
 il presidente del Tribunale militare con funzioni di presidente
 un magistrato militare di tribunale o di appello, con funzioni di giudice
 un militare di una delle FF.AA e della Guardia di Finanza, di grado pari a quello
dell’imputato e comunque non inferiore al grado di ufficiale, estratto a sorte, con
funzioni di giudice.
Sull’appello proposto avverso i provvedimenti emessi dai Tribunali militari giudica la Corte
militare di Appello, formata da un magistrato militare di Cassazione e da magistrati di
Cassazione e di Appello.
19. La natura promiscua del Tribunale superiore delle acque pubbliche
In materia di controversie relative alle acque pubbliche è prevista la giurisdizione dei
Tribunali regionali delle acque pubbliche. Si tratta di organi della giurisdizione ordinaria,
costituiti
come
sezioni
di
Corte
di
Appello.
99
Capitolo 12° - Le Regioni
1. Il regionalismo italiano: il modello costituzionale
L’esperienza regionalistica ha avuto avvio in Italia solo con la Costituzione nel 1948. già
alcuni mesi prima dell’entrata in vigore della Carta costituzionale si era provveduto a
concedere alla Sicilia uno Statuto speciale, mentre gli Statuti speciali di Sardegna, Valle
d’Aosta e Trentino-Alto Adige vennero approvati dall’Assemblea Costituente nel periodo
di proroga dei suoi lavori.
Il modello accolto dai Costituenti fu il risultato della combinazione di istituti provenienti
dall’esperienza sia federale che regionale. Le Regioni furono identificate sulla base della
meccanica riproduzione delle circoscrizioni statistiche nei quali era stato diviso il
territorio della Repubblica. Le Regioni oltre a vedere la propria competenza disciplinata
uniformemente a livello nazionale, si trovarono assai limitate anche rispetto agli atti di
autonomia: sia gli Statuti delle Regioni speciali che le leggi regionali si trovavano ad
essere di fatto subordinate alla volontà politica della maggioranza parlamentare di volte
in volta esistente. Il risultato era una eccessiva pervasività del controllo statale relativo
agli atti ed agli organi delle Regioni.
2. La crisi del regionalismo
L’assenza di una tradizione di autonomia regionale e l’esistenza di disposizioni assegnanti
un ruolo “tutorio” allo Stato rispetto all’universo delle autonomie, aveva presto
determinato l’erosione dei pochi argini posti dalla Costituzione a garanzia dell’autonomia
territoriale. Innanzitutto le “voci” indicanti le materie
di competenza regionale
(urbanistica, caccia, polizia locale, ecc.) sono state oggetto di una ridefinizione mediante
legge ordinaria (decostituzionalizzazione delle materie). Lo stato ha assunto, inoltre,
l’abitudine di indirizzare l’azione regionale non solo mediante "leggi-cornice”, ma anche
mediante atti e strumenti non previsti dalla Costituzione, come le norme regolamentari e
gli atti di indirizzo e coordinamento. In conclusione il modello regionale (ordinario e
speciale) è stato progressivamente decostituzionalizzato nei fatti e gli enti territoriali,
piuttosto che essere in una posizione di autonomia, si sono spesso ritrovati in uno stato
di subordinazione rispetto al potere centrale.
3. La riforma del titolo V e degli Statuti speciali
Le riforme introdotte alla fine degli anni Novanta del secolo scorso hanno rappresentato
un tentativo di rilanciare il regionalismo:
 è stata rafforzata l’autonomia costituzionale o organizzativa delle Regioni
ordinarie e speciali mediante la modifica della disciplina e del procedimento di
formazione degli Statuti ordinari e l’introduzione delle leggi statutarie nelle
Regioni speciali. Tali atti sono adesso subordinati solo alle norme di rango
costituzionale.
 è stato notevolmente ridotto il ruolo tutorio dello Stato:
o sono stati aboliti pressoché tutti i tipi di controllo,
o è stata introdotta una tecnica di enumerazione delle competenze ricalcata
sul modello federale con contestuale ridimensionamento delle competenze
concorrenti,
o è stato riaffermato il principio per il quale gli interventi limitativi e
condizionanti la vita delle Regioni sono sottoposti ad una riserva di legge,
o è stato sciolto il nodo dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
4. L’organizzazione regionale: i principi
La Costituzione e le leggi costituzionali si occupano dell’organizzazione regionale cercando
di trovare un equilibrio tra principi vincolanti e non disponibili da parte delle Regioni e
soluzioni che valorizzano l’autonomia degli enti, lasciandoli liberi di assumere gli assetti ad
essi più congeniali.
Intanto gli organi necessari delle Regioni sono:
 il Consiglio Regionale (Assemblea in Sicilia e Consigli della Valle in Valle d’Aosta)
 la Giunta e il suo Presidente
 il Consiglio delle autonomie locali
Spettano all’autonomia regionale tutte le scelte organizzative che non siano
costituzionalmente condizionate o che non siano rimesse al legislatore nazionale.
Vi sono norme che consentono delle “varianti predefinite”, cioè, la possibilità di scegliere
fra diverse soluzioni che il legislatore riconosce come paritetiche (es. le disposizioni che
vincolano l’applicazione di un certo regime organizzativo alla scelta statutaria per
l’elezione popolare diretta del Presidente della Giunta).
Vi sono, altresì, norme “preferenziali” (soprattutto in tema di governo) con possibilità di
deroga da parte delle Regioni nell’esercizio della propria autonomia statutaria o legislativa
(es: il Presidente della Giunta viene eletto a suffragio universale diretto salvo che lo
Statuto regionale disponga diversamente)
5. La forma di governo regionale
La determinazione della forma di governo delle Regioni è espressamente rimessa
all’autonomia degli enti, salvo alcune competenze, sottratte agli Statuti ed attribuite alla
competenza regionale concorrente, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con
legge della Repubblica (es: il sistema di elezione degli organi). A parte la questione del
rapporto tra competenze statutarie e legislative, altri limiti alla forma di governo
regionale derivano da vincoli e condizionamenti costituzionali, il che significa che le
opzioni organizzative regionali devono mantenersi sempre nell’ambito delle varianti
della forma di governo parlamentare, restando esclusa sia l’opzione presidenzialista che
quella direttoriale.
La concreta attuazione di tali principi spetta alle leggi statutarie regionali e delle Regioni
speciali.
6. Le soluzioni adottate dagli Statuti ordinari
È possibile fare un primo bilancio delle soluzioni adottate dalle varie Regioni. Il modello
dell’elezione diretta del Presidente della Regione e della Giunta, con la conseguente
applicazione del regime del simul stabunt ed simul cadent (se cade un organo, l’altro lo
segue), è quello che ha goduto dei maggiori favori: tutte le Regioni ordinarie e speciali
hanno scelto tale forma di organizzazione degli organi politici regionali (tranne la Valle
d’Aosta). In effetti, l’automatismo dello scioglimento del Consiglio e della decadenza del
Presidente della Giunta con la Giunta stessa costituisce infatti un deterrente fortissimo
all’instabilità di governo.
7. I singoli organi regionali: il Consiglio
Il Consiglio Regionale costituisce l’assemblea politico-rappresentativa della comunità
regionale. Esso esercita, in via esclusiva, le potestà legislative attribuite alla Regione e le
altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. La sua rilevanza come organo di
rappresentanza generale del gruppo politico territoriale giustifica anche l’attribuzione ad
esso del potere di fare proposte di legge (ordinaria e costituzionale) alle Camere.
I Consigli Regionali sono eletti a suffragio universale e diretto (ad eccezione del
Trentino). I consiglieri regionali esercitano le funzioni “senza vincoli di mandato” (vedi il
divieto di mandato imperativo), e godono altresì di alcune garanzie quali:
 non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati
nell’esercizio delle funzioni (c.d. insindacabilità) quando espletano funzioni
legislative e statutarie
Spetta alle leggi regionali stabilire l’indennità spettante ai consiglieri regionali per
l’esercizio delle relative funzioni.
Il sistema di elezione è rimesso alla disciplina legislativa statale di principio (che richiede
che il sistema elettorale regionale agevoli la formazione di stabili maggioranze e assicuri
la rappresentanza delle minoranze) e a quella regionale di dettaglio.
La legge stabilisce che il Consiglio sia eletto contestualmente al Presidente nel caso in cui
si opti per l’elezione popolare diretta di quest’ultimo e che, invece, negli atri casi, il
Consiglio elegga il Presidente o la Giunta entro 90 giorni.
L’indizione delle elezioni spetta al Prefetto nella sua qualità di “rappresentante dello
Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie”, spetta poi alle Regioni la definizione
della propria legislazione elettorale.
Per le Regioni speciali, la riforma del 2001 ha previsto che il sistema di elezione sia
determinato con legge regionale, approvata secondo il procedimento ordinario o con quello
previsto per le leggi statutarie sulla forma di governo. In tali Regioni l’indizione delle
elezioni spetta al Presidente della Giunta.
Le condizioni per l’esercizio dell’elettorato attivo restano uniformemente disciplinate
sull’intero territorio nazionale come pure quelle relative alle limitazioni del diritto di voto.
Sulle cause di ineleggibilità ed incompatibilità, la Costituzione vieta che si possa
appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle
Camere del Parlamento o ad un altro Consiglio a ad altra Giunta regionale o al Parlamento
europeo o al CSM.
La determinazione del numero dei consiglieri è rimessa alla competenza degli Statuti ed è
in genere stabilita in un numero fisso.
Quanto alla durata delle Assemblee regionali ordinarie, essa è espressamente riservata
dalla Costituzione alla legge statale mentre per le Regioni speciali è fissata dalla
Costituzione. In entrambe le categorie di Regioni la durata è stabilita in 5 anni a
decorrere dalla data delle elezioni.
7.1 L’organizzazione del Consiglio: i regolamenti interni
Per quanto riguarda i regolamenti interni, non essendoci una riserva di regolamento nella
Costituzione, spetta agli Statuti determinare:
 le norme sulla produzione e
il quorum di approvazione (2/3 nel Lazio, maggioranza assoluta in Emilia,
maggioranza semplice in Puglia),
 le forme di governo,
 i principi dell’organizzazione,
 l’ambito ed il regime dei regolamenti consiliari.
Quanto al regime giuridico, sembra da escludere che i regolamenti consiliari producano
norme di rango primario.

7.2 L’articolazione interna del Consiglio
Gli Statuti ed i regolamenti consiliari prevedono un’organizzazione interna piuttosto
articolata a garanzia della funzionalità ed autonomia. L’organigramma:
 Presidente del Consiglio regionale: eletto in seno all’Assemblea
 Ufficio di Presidenza:
 Gruppi consiliari: costituiti in base all’affinità politico-ideologica tra gli eletti
 Gruppi linguistici: solo (Trentino Alto Adige)
 Conferenza dei Presidenti: attività connesse alla programmazione dei lavori
 Commissioni permanenti: partecipano al procedimento legislativo e svolgono attività
di tipo conoscitivo, ispettivo e di controllo.
 Giunte: (per il regolamento e per le elezioni)
I Consigli godono di autonomia contabile e di bilancio.
7.3 Le funzioni del Consiglio ed il rapporto fiduciario
Il Consiglio regionale:
 esercita le potestà legislative (art. 121 Cost)
 approvazione del bilancio regionale,
 approvazione degli Statuti ordinari (o leggi statutarie per le Regioni speciali)
 approvazione dei regolamenti regionali
 partecipazione alla definizione dell’indirizzo politico regionale.
 può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta medianti
mozione motivata, sottoscritta da almeno 1/5 dei componenti e approvata a
maggioranza assoluta
 alcuni Statuti conferiscono al Consiglio regionale il potere di approvare, all’inizio
della legislatura, il programma del Presidente della Regione eletto
 alcuni Statuti prevedono mozioni di sfiducia dei singoli assessori
 ha il potere di fare proposte di legge alle Camere (iniziativa legislativa)
 può promuovere referendum abrogativi (insieme ad altri 4 Consigli regionali)
 esprime parer nel procedimento di fusione o creazione di Regioni, di distacco di un
Comune o di una Provincia dalla Regione o di mutamento o istituzione di nuove
Province
 elegge i delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica
 può rimuovere il Presidente della della Regione e la Giunta che abbiano compiuto
atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge
7.4 La durata del Consiglio e le ipotesi di scioglimento anticipato
La durata della legislatura regionale e dei suoi organi è quinquennale.
La cessazione può essere anticipata per:
 scioglimento funzionale:

o cause di natura politico-istituzionale a seguito di una mozione di sfiducia nei
confronti del Presidente delle Giunta o nelle ipotesi di sua rimozione,
impedimento permanente, morte o dimissioni volontarie,
o dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti dell’organo
In tali eventualità, in forza del principio simul stabunt, simul cadent, si
determinano anche le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio.
scioglimento sanzionatorio (art.126 Cost): tramite decreto del Presidente della
Repubblica può essere disposto lo scioglimento del Consiglio Regionale e la
rimozione del Presidente della Giunta:
o che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di
legge.
o per ragioni di sicurezza nazionale
8. Il Presidente regionale
La nomina del Presidente della Regione e della Giunta regionale è rimessa all’autonomia
degli enti territoriali i quali possono optare per:
o l’elezione a suffragio universale e diretto: allo scadere del secondo mandato
consecutivo, il Presidente della Giunta regionale non può essere rieletto.
o l’elezione consiliare:
Dalla scelta del modello discendono conseguenze diverse anche in ordine al margine di
discrezionalità di cui dispongono le Regioni nel regolare i vari aspetti relativi alla
permanenza in carica ed alla cessazione dall’ufficio di tale organo.
Il vertice dell’Esecutivo regionale cumula in sé le funzioni di Presidente della Giunta e
della Regione, avendo la rappresentanza generale dell’ente. Assume, inoltre, la vesti di
ufficiale del Governo, allorché esercita le funzioni delegate dalla Stato.
Il Presidente della Giunta (o della Regione):
 rappresenta la Regione:
o partecipando alla Conferenza Stato-Regioni ed alla Conferenza unificata
o partecipando alla riunione del Consiglio dei Ministri nel caso dell’esercizio, da
parte del Governo, di poteri sostitutivi nei confronti della Regione
o promuovendo le questioni di legittimità costituzionale ed i conflitti di
attribuzione
o quando esterna i più importanti atti della Regine, come la promulgazione
delle leggi, l’emanazione dei regolamenti o l’indizione dei referndum
 dirige la politica della Giunta e ne è responsabile
 promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali
 dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi
alle istruzioni del Governo della Repubblica
 ha il potere di nominare e revocare i singoli assessori
 è il solo destinatario della sfiducia del Consiglio
8.1 Il Presidente negli Statuti speciali
Le funzioni del Presidente regionale negli Statuti speciali sono analoghe a quelle delle
Regioni ordinarie. Attualmente solo la Val d’Aosta ha mantenuto l’elezione consiliare del
Presidente. Tutti gli Statuti prevedono che il Presidente della Giunta partecipi alle
riunioni del Consiglio dei Ministri in presenza di interessi regionali specifici. Lo Statuto
siciliano dispone, altresì, che tale partecipazione consista anche nel potere di voto
deliberativo.
In Sicilia spetta al Presidente (congiuntamente al Governo) il mantenimento dell’ordine
pubblico a mezzo della Polizia di Stato.
In Val d’Aosta e Sardegna tale attribuzione è esercitata su delega e nel rispetto delle
direttive del Governo
Ai Presidenti delle Province di Trento e di Bolzano sono attribuiti i poteri dell’autorità di
pubblica sicurezza in talune materie.
Al Presidente regionale e provinciale spetta (nelle Regioni speciali) l’indizione delle
elezioni del Consiglio regionale o provinciale nonché la competenza ad adottare i
provvedimenti con tingibili ed urgenti in materia di sicurezza ed igiene pubblica.
9. Il procedimento di formazione della Giunta regionale
In caso di elezione diretta del Presidente:
 la formazione della Giunta dipende direttamente dal Presidente, il quale nomina e
revoca gli assessori (art 122 Cost)
In caso di elezione consiliare del Presidente:
 la Giunta può essere eletta con o senza voto di fiducia alla proposta del Presidente
o si può procedere alla votazione dei singoli assessori da parte dello stesso
Consiglio
La composizione della Giunta può prevedere assessori esterni al Consiglio.
Per le Regioni a Statuto speciale la disciplina della formazione della Giunta è rimessa alle
leggi regionali statutarie.
9.1 Le funzioni della Giunta
La Giunta regionale è l’organo esecutivo della Regione (art 121 Cost). Dal momento che
il Consiglio Regionale ha potestà legislative, la Costituzione ribadisce il principio di legalità
anche a livello regionale subordinando formalmente l’azione “esecutiva” alla previa
determinazione legislativa dell’organo rappresentativo.
Essa, insieme al suo Presidente, svolge un ruolo direttivo dell’indirizzo politico regionale e
può introdurre istituti (come la questione di fiducia) per il controllo della maggioranza
consiliare o un procedimento “privilegiato” per l’approvazione delle leggi che siano
espressione dell’indirizzo politico di Giunta e maggioranza.
Ha la potestà di agire e resistere in giudizio nelle questioni di legittimità costituzionale di
una legge dello Stato o di altre Regioni o nei conflitti di attribuzione avverso lo Stato o
altre Regioni.
Ha inoltre competenze normative (regolamenti a carattere esecutivo), potere di
disposizione del bilancio e del consuntivo e funzioni di natura amministrativa. Ha, inoltre,
il potere di adottare, in caso di necessità ed urgenza e sotto la propria responsabilità,
provvedimenti a carattere amministrativo di competenza del Consiglio regionale ,
sottoponendoli, poi, ad esso per la ratifica.
10. Altri organi regionali
Altri organi regionali costituzionalmente previsti o “necessari” sono:
 Consiglio delle autonomie locali: è un organo di consultazione tra la Regione e gli
enti locali. Tali organi hanno il potere di emettere pareri nel procedimento di
revisione dello Statuto, in quello legislativo e nei procedimenti amministrativi
regionali relativi a materie che interessino gli enti locali, nonché di conferimento di
funzioni a questi ultimi. Hanno anche potere di iniziativa legislativa regionale o di
proporre modifiche statutarie.
Altri organi regionali costituzionalmente non previsti o “non necessari” che trovano la loro
fonte istitutiva negli Statuti ordinari sono:
 Consulte o Commissioni di garanzia statutaria: il cui compito è quello di esprimere
pareri tecnici sulla conformità dell’azione regionale alle norme statutarie
 Consigli regionali dell’economia e del lavoro:
 Consulte o Commissioni per le pari opportunità:
 Difensori civici regionali:
11. Istituti di partecipazione; referendum; petizioni; consultazioni popolari. Il
difensore civico
Istituti di democarazia diretta:


Referendum: la disciplina dei quali è rimessa agli Statuti ed alle leggi statutarie
delle Regioni e Province autonome. Oggetto del referendum può essere una legge o
un provvedimento amministrativo della Regione. Sono previsti referendum
abrogativi, consultivi, confermativi e propositivi. I singoli Statuti stabiliscono i
limiti di ammissibilità e procedurali.
Difensore civico: si occupa della tutela dei diritti soggettivi, degli interessi
legittimi e degli interessi collettivi o diffusi dei cittadini e degli enti , cui sono
connesso poteri di intervento in caso di ritardo, irregolarità ed omissione
nell’attività e nei comportamenti dei pubblici uffici, al fine di garantire l’effettivo
rispetto dei principi di legalità, trasparenza, buon andamento e imparzialità
dell’azione amministrativa.
12. Le funzioni amministrative tra Regioni ed altri
decostituzionalizzazione delle regole sulla relativa allocazione
enti
territoriali.
La
Nella riforma costituzionale, il legislatore è sembrato ispirarsi al c.d. federalismo
d’esecuzione, radicando la competenza legislativa negli enti territoriali maggiori ed
affermando, nell’articolazione del potere amministrativo, una preferenza per l’ente
minore, ciò per alleviare il cumulo delle funzioni presso lo stesso ente ed avere una
maggiore efficacia e dinamicità. È rimessa alla legge la determinazione delle funzioni da
“trasferire” ai Comuni e quelle da “conferire” ad altri enti.
Per quanto concerne le funzioni regolamentari e quelle amministrative: allo Stato
spettano le funzioni regolamentari nelle materie di propria legislazione esclusiva, mentre
alle Regioni sono attribuite le funzioni regolamentari in tutte le altre materie.
12.1 La sopravvivenza delle leggi sulla ripartizione delle competenze amministrative
Nel nuovo art 118 Cost. si prevede che tutte le funzioni amministrative siano attribuite in
via di principio ai Comuni, ma per assicurarne l’esercizio unitario, possono essere
conferite alle Città metropolitane, alle Province, alle Regioni ed allo Stato sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Interpretando tale disposizione in senso letterale sembrerebbe che dall’entrata in vigore
della riforma, tutte le funzioni amministrative spettino in via esclusiva ai Comuni, il che
comporterebbe l’immediata illegittimità di tutte le norme statali e regionali che
attribuiscono funzioni amministrative ad enti diversi dal Comune. Tale obiezione non ha
ragione di esistere in quanto l’ente titolare di una funzione amministrativa non può
esercitarla se tale funzione non è coperta da un atto che assicuri il previo trasferimento
degli uffici, del personale e delle risorse nell’ente trasferente.
12.2 La riserva di legge sul conferimento delle funzioni amministrative
La forma dell’atto di allocazione delle funzioni amministrative è di natura legislativa (e non
regolamentare). È riservata alla legge statale stabilire le forme di coordinamento e di
intesa nelle funzioni amministrative fra Stato e Regioni.
12.3 Lo Stato e la Regione nell’allocazione delle competenze amministrative
Per quanto attiene al soggetto competente ad allocare le funzioni amministrative, la
Costituzione distingue le funzioni amministrative degli enti infra-regionali da quelle
conferite allo Stato o alle Regioni.
 Comuni, Province e Città metropolitane: la competenza legislativa in ordine alle
funzioni fondamentali di tali enti è attribuita allo Stato. Le Regioni, peraltro,
hanno piena facoltà di conferire agli enti territoriali infraregionali ulteriori
funzioni amministrative.
 Stato: alla legislazione statale è riservata l’ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali e cioè:
o in materia di tutela dei beni culturali
o in materia di valorizzazione dei beni culturali
 Regioni: il potere di conferimento delle funzioni amministrative spetta alle Regioni:
o in materia di turismo:
o in materia di legislazione esclusiva delle Regioni:
Tale suddivisione non trova d’accordo la Corte Costituzionale per la quale la concreta
allocazione delle funzioni amministrative non può prescindere da un intervento
legislativo, il che vuol dire che la garanzia per i vari enti interessati, non sarebbe
assicurata da una precisa individuazione dei campi materiali di intervento o
dall’attribuzione di una competenza normativa riservata a conferire le funzioni, ma dalla
necessità di procedere mediante forme collaborative (intese) che coinvolgano tutti i
soggetti interessati.
12.4 Il trasferimento delle funzioni tra Stato, Regioni ed enti locali
L’esercizio delle attribuzioni degli enti territoriali di tipo amministrativo è condizionato al
compimento di alcuni adempimenti: il passaggio delle funzioni amministrative attribuite
alle Regioni ed il trasferimento dei funzionari e dei dipendenti statali alle amministrazioni
regionali è disciplinato da una legge statale e principi analoghi si applicano agli enti locali.
Il passaggio cruciale nell’implementazione del decentramento è costituito dalle procedure
di assegnazione delle funzioni amministrative ai vari enti territoriali. Il processo di
assegnazione si distingue in due fasi:
1. il conferimento: consiste nell’individuazione delle singole attribuzioni e nella scelta
del livello di governo al quale allocarle (Stato, Regioni, Province, Città
metropolitane) sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza. I Comuni sono titolari di tutte le funzioni amministrative non
diversamente attribuite da atti di natura legislativa dello Stato o delle Regioni. Per
ciò che riguarda il conferimento ed il trasferimento delle funzioni alle Regioni
speciali, i procedimenti sono regolati dai reltivi Statuti.
2. il trasferimento: è il secondo passo e si sostanzia nella concreta individuazione di
beni, risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da assegnare ai vari
enti cui sono state conferite le relative attribuzioni. Il trasferimento delle
funzioni statali è avviato con la presentazione del disegno di legge collegato alla
manovra finanziaria che recepisce accordi raggiunti con gli enti territoriali in sede
di Conferenza unificata. Lo Stato può effettuare i trasferimenti medianto
l’adozione di decreti del Presidente del Consiglio e previo parere delle Commissioni
parlamentari competenti per materia.
13. I controlli sulle Regioni
A parte il controllo sugli organi regionali (Consigli regionali e Presidente = scioglimento
funzionale e sanzionatorio) e l’esercizio del potere sostitutivo (cap. 12 par. 20), l’unico
sindacato sulle Regioni espressamente previsto è esercitato dalla Corte costituzionale,
dagli organi giurisdizionali e dalla Corte dei Conti.
14. Il potere estero regionale
Nelle materie di sua competenza la regione può concludere accordi con Stati ed intese
con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da legge
dello Stato (gemellaggi).
Gli accordi con gli Stati, possono essere solo “esecutivi ed applicativi di accordi
internazionali regolarmente entrai in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o
accordi di natura programmatica nel rispetto dei vincoli derivanti (…) dalle linee e dagli
indirizzi di politica estera italiana”
15. Il ruolo delle Regioni nella formazione e nell’attuazione del diritto comunitario






Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro
competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti comunitari e
all’esecuzione degli atti dell’Unione Europea (art. 117 Cost).
Le Regioni possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio o al Ministro
per le politiche comunitarie.
Qualora il progetto di un atto normativo comunitario riguardi materie di competenza
legislativa delle Regioni, il Governo convoca, su richiesta di esse, la Conferenza StatoRegioni nell’ambito della quale si dovrà, entro 20 gg., raggiungere un’intesa.
Le Regioni concorrono direttamente, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle
attività del Consiglio e della Commissione europea.
Il Governo può ricorrere alla Corte di Giustizia avverso gli atti comunitari ritenuti
illegittimi anche su richiesta di una Regione o di una Provincia autonoma, qualora l’atto
comunitario in questione riguardi materie di competenza esclusiva regionale.
Le Regioni e le Province autonome possono dare attuazione legislativa alle Direttive
comunitarie anche in mancanza di una previa legge statale di recepimento.

L’esercizio del potere sostitutivo del Governo si applica solo per sopperire
all’eventuale inerzia regionale e solo fintantoché tale inerzia permanga.
16. L’autonomia finanziaria degli enti territoriali
La Costituzione afferma che gli enti territoriali stabiliscono e applicano tributi ed
entrate propri, purché in armonia con la Costituzione e secondo i principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la cui disciplina è assegnata
alla legislazione concorrente di Stato e Regioni (art. 117 Cost). accanto a tali strumenti,
sono previste ulteriori fonti di entrata consistenti in:
1. compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio
2. un fondo perequativo istituito con legge statale per i territori con minore capacità
ficale per abitante
3. risorse aggiuntive ed interventi speciali, stabiliti dallo Stato “per promuovere lo
sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri
economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni”
Tali entrate si distinguono in due categorie:
1. trasferimenti ordinari: (compartecipazione al gettito dei tributi erariali) sono
proporzionali alla capacità di produzione del reddito nella singola Regione e
dovrebbero, quindi, stimolare la stessa a perseguire politiche economiche virtuose
che ne rafforzino l’economia.
2. trasferimenti speciali: (risorse aggiuntive e interventi speciali) sono rivolti a
realizzare una politica redistributiva delle risorse di tipo eccezionale. Essi sono
strumentali a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni degli enti.
(necessità conseguenti ad una calamità naturale, organizzazione di un’olimpiade)
Nell’ambito della normativa di “coordinamento della finanza pubblica”, un capitolo
particolare spetta al perseguimento del coordinamento della finanza degli enti territoriali
con la finanza statale, il c.d. patto di stabilità interno, consistente in alcune misure che
limitano i poteri di gestione del bilancio e di spesa degli enti territoriali: la legge statale
può porre soltanto un “limite complessivo che lascia agli enti stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa”.
17. Il pluralismo degli enti locali
L’articolazione organizzativa della Repubblica a livello locale presenta una notevole varietà
di enti e organismi, caratterizzati da un legame con il territorio o con le comunità locali
(Consorzi, Unioni di Comuni, Comunità Montane, Comunità isolane, ecc.). Si tratta di
aggregazioni di secondo grado rispetto a quelle previste dalla Costituzione (Comuni,
Province, Regioni) tuttavia rappresentano comunque uno svolgimento coerente dei principi
costituzionali di collaborazione (art 5 Costi) e decentramento amministrativo (artt 5 e
118)
18. Le funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane
La disciplina delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è
contenuta in una pluralità di atti normativi adottati a cavallo della riforma costituzionale
del 2001.
T.U.E.L. = Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18-8-2000 n.
267)
Il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e n
promuove lo sviluppo, mentre la Provincia è l’ente locale intermedio tra il Comune e la
Regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina
lo sviluppo.
Le Aree metropolitane sono identificate nelle zone comprendenti i Comuni di Torino,
Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri Comuni i cui
insediamenti abbianocon essi rapporti di stretta integrazione territoriale, economica e
sociale. L’istituzione di tali enti può essere compiuta su proposta degli enti locali
interessati, i cui rappresentanti, riuniti in assemblea, adottano uno Statuto
preventivamente sottoposto a referendum presso ciascun Comune interessato ed
approvato con legge dello Stato. La Città metropolitana acquisisce le funzioni della
Provincia e attua il decentramento previsto dallo Stato, salvaguardando l’identità delle
originarie collettività locali.
18.1 L’organizzazione di Comuni, Province e Città metropolitane
Il sistema elettorale, l’organizzazione e la forma di governo di Comuni, Province e Città
metropolitane sono disciplinate dal TUEL.
Sono organi de governo del Comune e della Provincia: il Consiglio, la Giunta, il Sindaco ed
il Presidente della Provincia.
Il Consiglio costituisce l0assemblea rappresentativa dell’ente, è l’organo di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo ed è organizzato secondo i principi tipici di tale
categoria di organi (previsione di un regolamento interno, istituzione di gruppi consiliari,
commissioni, autonomia funzionale e organizzativa, tutela delle minoranze e delle
opposizioni, ecc).
Il Sindaco e il Presidente della Provincia sono eletti direttamente dai cittadini, nominano
e revocano i membri della Giunta (assessori) e danno comunicazione al Consiglio delle linee
programmatiche relative alle azioni ed ai progetti da realizzare neo corso del mandato.
Essi, come i Consigli, hanno durata quinquennale e sono rieleggibili una sola volta.
La sfiducia del Consiglio, l’impedimento permanente del Sindaco o del presidente della
Provincia, la loro rimozione, decadenza o decesso, nonché le dimissioni della metà più uno
dei consiglieri, determinano lo scioglimento del Consiglio ed il ricorso a nuove elezioni. La
cessazione degli organi può avvenire anche a seguito di scioglimento e rimozione
nell’ambito dell’attività di controllo sugli organi operata dal Governo.
Disciplina delle elezioni
Sono previsti tre dispositivi elettorali a seconda che si tratti di Comuni fino a 15.000
abitanti, oltre tale numero e delle Province:
 Comuni fino a 15.000 abitanti: l’elezione dei consiglieri è contestuale a quella del
Sindaco, il quale deve collegarsi con una delle liste per l’assemblea. L’elettore
esprime un voto unico e può esprimere un voto di preferenza. Risulta eletto
Sindaco colui che ha ottenuto il maggior numero di voti e alla lista ad esso collegata
vengono attribuiti 2/3 dei seggi. Un seggio è riservato a ciascun candidato
sconfitto alla carica di sindaco a condizione che il raggruppamento abbia ottenuto
almeno un seggio.
 Comuni con più di 15.000 abitanti: il Sindaco può collegarsi a più di una lista.
L’elettore esprime due voti e può anche scegliere di separare il voto al candidato

Sindaco da quello per il Consiglio, attribuendolo ad una lista che non è collegata al
primo. È eletto Sindaco colui che raggiunga la maggioranza assoluta dei voti validi.
Nel caso ciò non avvenga si ricorre al ballottaggio tra i due candidati più votati, i
quali possono, nel frattempo, collegarsi con altre liste che abbiano partecipato al
primo turno elettorale. Per l’attribuzione di seggi in Consiglio è prevista una soglia
di sbarramento del 3%. L’assegnazione avviene con metodo proporzionale, ma è
previsto un premio di maggioranza per le liste collegate al Sindaco vincente,
qualora i seggi ottenuti da queste non siano superiori al 60%. Il premio non scatta
se l’opposizione ottiene almeno il 50% dei seggi.
Provincia: il Presidente della Provincia è eletto a suffragio universale e diretto
contestualmente al Consiglio provinciale. Ciascun candidato deve collegarsi con
almeno una lista per il Consiglio. È eletto il candidato che abbia ottenuto la
maggioranza assoluta dei voti validi, salvo un secondo turno di ballottaggio.
L’elezione per il Consiglio avviene sulla base di collegi uninominali. L’assegnazione
dei seggi è stabilita con metodo proporzionale. Il voto nel collegio uninominale
serve per definire il consenso percentuale di ciascun candidato (cifra individuale)
rispetto agli altri candidati del proprio raggruppamento. Un premio di maggioranza
è attribuito secondo criteri simili a quelli previsti per il comuni con più di 15.000
abitanti.
19. Il principio di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali
L’azione amministrativa degli enti locali territoriali, deve essere animata da un principio di
leale collaborazione con lo Stato al fine di evitare conflitti di interessi di varia natura
(casi di illegittimità costituzionale della legislazione regionale, conformità dell’azione
amministrativa regionale alla normativa statale).
19.1 La collaborazione procedimentale e organizzativa
La collaborazione si realizza attraverso:
 soluzioni procedimentali: partecipazione dell’organo di un Ente a un procedimento
amministrativo di competenza di un altro ente. Partecipazione che consiste,
solitamente, in una proposta, in un parere o in un’intesa (codecisione). Tali forme
di collaborazione procedimentale sono solitamente previste e disciplinate a livello
legislativo, ma non mancano ipotesi che trovano un espresso fondamento
costituzionale (potere di iniziativa legislativa attribuito ai Consigli regionali,
procedimento per aggregazione di una Provincia o di un Comune ad una diversa
Regione)
 soluzioni organizzative: realizzata tramite l’introduzione di organi misti, ossia di
organi ai quali partecipano rappresentanti di enti territoriali diversi, come il:
o sistema delle Conferenze: es:
 la Conferenza Stato-Regioni è composta dal Presidente del Consiglio
dei Ministri e altri rappresentanti dell’amministrazione statale e dai
Presidenti di ciascuna Regione
 la Conferenza Stato-città e autonomie locali
 la Conferenza unificata
20. Il potere sostitutivo nei confronti di Regioni ed enti locali
La Costituzione prevede il potere sostitutivo dello Stato nei confronti di Regioni ed enti
locali. La ratio dell’istituto è quella di garantire la possibilità di un intervento unitario nel
caso in cui l’ente titolare della competenza sia inadempiente ovvero in altre circostanze di
carattere eccezionale che rendano la sua azione insufficiente. Il potere sostitutivo si
esercita mediante il compimento di atti ovvero la nomina di organi straordinari dell’ente
“sostituito” per il compimento degli stessi atti (art 117 e 120 Cost).
Il potere di sostituzione è in capo al Governo, che può esercitarlo nei confronti di organi
delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni. Le condizioni per il
suo esercizio sono varie:
 mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria
 pericolo grave per l’incolumità e sicurezza pubblica
 tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica
 tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia,
anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all’ente interessato un congruo
terminie per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale
termine, il Consiglio dei ministri adotta i provvedimenti necessari, anche normativi ovvero
nomina un apposito commissario.
21. Le variazioni territoriali degli enti locali
Gli artt 132 e 133 Cost. prevedono una dettagliata disciplina per la modifica delle
circoscrizioni territoriali di Regioni e altri enti locali.
È possibile disporre la fusione di Regioni esistenti o crearne di nuove con un minimo di un
milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino
almeno un terzo delle popolazioni interessate e la con approvazione per referendum delle
stesse. Analogamente è possibile staccare dei Comuni da una Regione per aggregarli ad
un’altra come pure istituire nuove Province o nuovi Comuni o modificare circoscrizioni e
denominazioni.
Cap. 13-15
I diritti inviolabili dell’uomo e il principio di uguaglianza
I primi dodici articoli della Costituzione Italiana enunciano i principi fondamentali, sui quali si basa l’intera costituzione della
nostra Carta Costituzionale. I diritti inviolabili dell’uomo sono diritti fondamentali o essenziali, che spettano a ogni persona
in quanto tale. Art. 2 (La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità).
In primo luogo i diritti dell’ uomo sono naturali, perché spettano a ogni persona per il fatto stesso della sua esistenza in vita: lo
Stato non concede questi diritti agli individui, ma si limita a prendere atto del fatto che esistono e a tutelarli. In secondo luogo i
diritti dell’uomo sono ineliminabili, in quanto non possono essere aboliti neppure ricorrendo alla procedura di revisione
costituzionale. Un altro principio fondamentale che dobbiamo esaminare è il principio di uguaglianza. La Costituzione afferma
l’uguaglianza dei cittadini in due significati diversi, ma tra loro complementari:
1.
L’uguaglianza in senso formale: riconoscere che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Art 3 primo comma
(tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche). Dal principio di uguaglianza in senso formale derivano due conseguenze:

La soggezione alla legge, in quanto di regola la legge si applica a tutti, senza alcuna eccezione o esenzione;

Il divieto di discriminazione, perché la legge deve riconoscere a tutti i cittadini uguali diritti e uguali doveri.
2. L’uguaglianza in senso sostanziale: consiste nel garantire pari opportunità o uguali condizioni di partenza a tutti i
cittadini e, in particolare, a coloro che sono più svantaggiati sotto l’aspetto economico o sociale. Art. 3 secondo
comma (è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…..)
A differenza di quella formale, l’uguaglianze sostanziale è contenuta in una norma costituzionale di carattere programmatico, che
non è immediatamente efficace ma impegna lo Stato a svolgere una determinata attività. Per concludere osserviamo che, in base
al principio di uguaglianza formale, la legge deve trattare tutti in modo uguale mentre, in base al principio di uguaglianza
sostanziale, la legge può, e anzi in alcuni casi deve, trattare in modo diverso alcuni soggetti rispetto ad altri, per favorire dal
punto di vista giuridico coloro che sono più svantaggiati dal punto di vista economico e sociale.
La libertà personale
Gli articoli 13 e seguenti della Costituzione riconosco espressamente alcune libertà individuali. Di regola la Costituzione riconosce
i diritti di libertà indistintamente a tutti gli individui, ma alcune libertà civili sono garantite soltanto ai cittadini italiani e non
estese anche agli stranieri e agli apolidi.
Il primo diritto di libertà disciplinato dalla Costituzione è la libertà personale (art. 13). La libertà personale o individuale
consiste nella libertà di un individuo da qualsiasi forma di costrizione o imposizione, fisica o psichica, ed è inviolabile. La
libertà personale però non è assoluta perché una persona può essere sottoposta ad alcune misure restrittive per motivi di
interesse generale. Per ridurre il rischio di abusi da parte del potere pubblico, le limitazioni della libertà di una persona sono
ammesse solamente in seguito a un atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei casi previsti dalla legge.
Soltanto in casi eccezionali di necessità e di urgenza, nei quali bisogna intervenire senza perdere tempo, l’autorità di pubblica
sicurezza può adottare provvisoriamente delle misure restrittive della libertà personale anche senza un ordine o mandato
dell’autorità giudiziaria. In particolare, la legge consente espressamente l’ arresto in fragranza di una persona, che venga
sorpresa nell’atto stesso di compiere un reato grave e, quando vi è un pericolo concreto di fuga, il fermo di polizia di una persona
che sia indiziata di avere commesso un reato. In questo caso il provvedimento è sottoposto a un controllo successivo del giudice,
diretto ad accertare l’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge: entro 48 ore dall’arresto o dal fermo, infatti, l’autorità di
pubblica sicurezza deve dare comunicazione del provvedimento all’autorità giudiziaria la quale, entro 48 ore dalla comunicazione,
deve dichiarare la sua convalida. In definitiva, un provvedimento restrittivo della libertà personale, emanato dall’autorità di
pubblica sicurezza può durare al massimo 96 ore perché, se non viene convalidato entro questo termine dall’autorità giudiziaria,
decade automaticamente.
Costituisce una limitazione della libertà personale anche la carcerazione preventiva. La carcerazione preventiva, o custodia
cautelare, può essere disposta nei confronti di una persona in attesa di giudizio, vale a dire di una persona che non è
stata ancora condannata in un processo con una sentenza definitiva. La custodia cautelare è legittima soltanto in esecuzione
di un provvedimento motivato dal giudice e nei casi indicati dalla legge, quando vi è il pericolo che l’imputato possa fuggire o
“inquinare”, cioè alterare, le prove oppure che possa commettere altri reati.
La Costituzione dispone che i termini massimi della custodia cautelare devono essere stabiliti dalla legge (art. 13 quinto comma).
Al riguardo il codice di procedura penale prevede che:

La carcerazione preventiva è ammessa soltanto per i reati, consumati o anche soltanto tentati, non lievi;

La custodia cautelare non può durare, a seconda del tipo e della gravità del reato, più di due, quattro o sei anni.
Una volta decorsi i termini massimi di custodia cautelare l’imputato in attesa di giudizio ha il diritto di essere rimesso in libertà e
di seguire il processo a piede libero.
La libertà di domicilio, di comunicazione e di circolazione
L’ordinamento giuridico riconosce agli individui anche altri diritti di libertà, che costituiscono il completamento naturale della
libertà personale. In primo luogo la Costituzione garantisce la libertà del domicilio (ART. 14 primo comma)
La libertà del domicilio attribuisce a ogni persona il diritto di escludere indebite intromissioni, da parte di soggetti privati
o pubblici, nella propria vita privata. L’inviolabilità del domicilio di una persona è tutelata, a livello costituzionale, con le stesse
garanzie e con i medesimi limiti che abbiamo già visto a proposito della libertà personale, in quanto:
1.
qualsiasi intromissione della pubblica autorità in un domicilio privato (sotto forma di ispezione, di perquisizione o di
sequestro) può essere compiuta soltanto nei casi previsti tassativamente dalla legge e in esecuzione di un
provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria;
2. l’autorità di pubblica sicurezza può intervenire di propria iniziativa all’interno di un domicilio privato in casi di necessità
e urgenza, ma subito dopo deve chiedere la convalida del provvedimento all’autorità giudiziaria;
L’inviolabilità del domicilio rappresenta una manifestazione particolare della tutela della riservatezza o della privacy: ogni persona
ha il diritto di avere una propria vita privata, che non può essere violata né da altre persone né, dagli altri organi pubblici.
Un altro aspetto della libertà individuale è costituito dalla libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 15 primo comma). Ogni
persona ha il diritto di comunicare liberamente e segretamente con chi vuole, senza che altri soggetti possano impedire la
comunicazione o prendere conoscenza del suo contenuto. Un individuo, quindi, è libero di trasmettere o di ricevere qualsiasi
genere di messaggio e con qualunque mezzo di comunicazione. Analogamente agli altri diritti di libertà, anche il diritto di una
persona di comunicare con altre persone è inviolabile ma può subire alcune limitazioni (consistenti principalmente nel sequestro
della corrispondenze o nell’intercettazione delle comunicazioni telefoniche), che però devono avvenire con le garanzie stabilite
dalla legge e in base a un atto motivato di un giudice. È da notare che, a differenza delle altre libertà che abbiamo studiato, in
materia di libertà di comunicazione l’autorità di pubblica sicurezza può agire soltanto in conformità a un mandato dell’autorità
giudiziaria e non può mai adottare di sua iniziativa dei provvedimenti di carattere provvisorio.
La Costituzione infine riconosce a tutti i cittadini la libertà di circolazione e di soggiorno (ART. 16 primo comma). La libertà di
circolazione e di soggiorno consiste nel diritto di muoversi e di risiedere liberamente, per qualsiasi motivo, in qualunque
luogo all’interno del territorio dello Stato italiano. Diritto riconosciuto soltanto ai cittadini italiani, ai cittadini degli altri Paesi
dell’Unione europea. La libertà di movimento di un cittadino comprende anche il diritto di espatriare e di rimpatriare, vale a dire
di andare all’estero e di rientrare in Italia, con l’osservanza degli eventuali obblighi stabiliti dalla legge.
La libertà di riunione e di associazione
La nostra Costituzione riconosce espressamente alcune libertà collettive e, in particolare, la libertà di riunione e di associazione.
Questa libertà è il risultato da un lato di una realizzazione al regime fascista, che aveva soppresso il diritto di riunirsi e di
associarsi liberamente, e dall’altro dello sviluppo del socialismo e del movimento operaio, che hanno sempre basato la loro azione
politica e sindacale sulla organizzazione e sulla lotta collettiva. La forma più elementare di libertà collettiva è la libertà di
riunione (ART. 17), che è l’incontro volontario e temporaneo di più persone per uno scopo comune. La libertà di riunione consiste
nel diritto di riunirsi liberamente per qualsiasi motivo (politico, sindacale, religioso), senza necessità di un’autorizzazione
preventiva, purchè la riunione avvenga in modo pacifico e senza armi.
La Costituzione riconosce la libertà in esame soltanto ai cittadini italiani e quindi anche ai cittadini degli altri Paesi dell’ Unione
europea. La libertà di potersi riunire con altre persone, senza dover subire dei controlli preventivi da parte di organi pubblici,
rappresenta una garanzia fondamentale della democrazia perché consente a tutti, e in particolare alle minoranza, di fare politica
e di manifestare le proprie idee. Il diritto di riunirsi liberamente con altre persone è sottoposto, a tutela della tranquillità e
dell’ordine pubblico, a un unico limite: le manifestazioni devono svolgersi in modo pacifico e senza armi. Se una riunione avviene in
un luogo pubblico, inoltre, devono essere osservate alcune formalità:
1.
gli organizzatori devono inviare un preavviso al questore almeno tre giorni prima (indicando la data, l’ora, il luogo e i
motivi della riunione);
2. l’autorità di pubblica sicurezza può vietare o sciogliere la riunione soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di
incolumità pubblica.
Se la riunione si svolge in un luogo privato o aperto al pubblico non è necessario dare il preavviso e l’autorità di PS non può vietare
o sciogliere la riunione.
Un fenomeno più complesso di una semplice riunione è una associazione, che ricorre quando più persone si organizzano in modo
stabile per realizzare uno scopo comune. La Costituzione riconosce a tutti i cittadini la libertà di associazione (ART 18). La
libertà di associazione consiste nel diritto di associarsi liberamente, senza necessità di un’autorizzazione pubblica, per
realizzare qualunque fine che non sia vietato ai singoli dalla legge penale. È possibile quindi costituire qualsiasi tipo di
associazione e con qualsiasi scopo (politico, sindacale, religioso) senza ingerenze esterne da parte dello Stato, perché le
associazioni possono fare tutto quello che è lecito per i singoli individui. Anche la libertà di associazione incontra alcuni limiti. In
primo luogo sono proibite le associazioni criminali, costituite al solo scopo di compiere dei reati (furti, rapine) e la costituzione di
una associazione diretta a commettere dei reati costituisce anche un reato (associazione per delinquere o di tipo mafioso. In
secondo luogo sono vietate le associazioni segrete e quelle che perseguono fini politici. Un altro limite alla libertà di associarsi,
giustificato dalle vicende del nostro Paese, è rappresentato dal divieto di ricostruire il partito nazionale fascista sotto qualsiasi
forma che è stato sciolto per legge subito dopo la caduta della dittatura fascismo.
La libertà religiosa
L’articolo 19 della Costituzione riconosce a tutti la libertà religiosa, affermata in Europa nei secoli XVI e XVII. La libertà di
religione comprende:

il diritto di avere una fede, di professarla e di farne propaganda pubblicamente, vale a dire di dichiarare il proprio
credo religioso e di cercare di convertire altre persone alla propria fede;

il diritto di praticare il culto, in privato e anche il pubblico, purchè non si tratti di pratiche o di riti contrari al buon
costume, cioè che offendano il comune senso del pudore delle persone o la morale sessuale corrente.
Le manifestazioni religiose, pertanto, non possono essere sottoposte ad autorizzazioni o a controlli amministrativi e sono lecite, a
meno che non siano contrarie al buon costume. La religione è sia un fenomeno individuale, riguardante la coscienza di ogni singola
persona, sia un fenomeno collettivo, perché i fedeli fanno parte di confessioni religiose, che hanno una propria organizzazione e
proprie regole distinte da quelle dello Stato.
Il primo comma dell’articolo 8 della Costituzione proclama il principio generale che tutte le confessioni religiose sono egualmente
libere davanti alla legge. Questa affermazione, che pone sullo stesso piano la confessione cattolica e le altre confessioni per
quanto riguarda la libertà dio culto, non esclude che alla religione cattolica possa essere riservato in trattamento diverso, in
considerazione della sua importanza e della sia diffusione nella società italiana.
I credenti sono uguali nell’espressione e nella manifestazione della propria fede, mentre le confessioni religiose sono uguali
soltanto nella libertà da qualsiasi intervento esterno da parte dello Stato e, quindi, possono essere trattate in modo diverso dalla
legge: l legge dello Stato può prevedere l’insegnamento della religione cattolica, e non di altre religioni, nelle scuole pubbliche.
Al riguardo la nostra Costituzione prevede un sistema diverso dei rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica e con le altre
confessioni religiose.
Nel nostro ordinamento giuridico i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono disciplinati dall’articolo 7 della Costituzione. Il
primo comma dell’articolo 7 della Costituzione afferma che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani: costituiscono due ordinamenti giuridici del tutto autonomi. Alla Chiesa cattolica viene riconosciuta una
posizione di parità rispetto allo Stato, perché la Chiesa non è soggetta alla sovranità dello Stato e i loro rapporti giuridici sono
regolati con accordi bilaterali.
In base al secondo comma dell’articolo 7 della Costituzione i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica sono disciplinati
dai cosiddetti Patti Lateranensi.
La Costituzione disciplina i rapporti dello Stato italiano con le altre confessioni religiose, che come tutti i soggetti pubblici o
privati che operano al suo interno sono sottoposte alla sovranità dello Stato, in modo diverso dai rapporti con la Chiesa cattolica.
In primo luogo alle confessioni diverse da quella cattolica viene riconosciuto il diritto di autoregolamentarsi, vale a dire di
disciplinare autonomamente i loro rapporti interni, a condizione che i loro statuti o regolamenti non siano in contrasto con le leggi
statali: lo Stato quindi si mantiene “neutrale” rispetto alle diverse confessioni religiose e non interferisce, se non violano le sue
norme giuridiche, con le loro regole interne.
In secondo luogo i rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni non cattoliche sono disciplinati con una legge ordinaria dello
Stato, in base a una intesa preventiva con i rappresentanti delle comunità interessate.
La libertà di manifestazione del pensiero
Un’altra libertà fondamentale della persona è la libertà di espressione o di opinione che consiste nel diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero. (art. 21 Cost.)
Ogni persona, quindi, è libera di comunicare alle altre persone quello che pensa con qualsiasi mezzo, senza limitazioni o controlli
preventivi da parte della pubblica autorità.
Il diritto di manifestare liberamente le proprie opinioni si è affermato nello Stato moderno e rappresenta uno dei caratteri
distintivi più importanti dei regimi democratici.
Nei regimi autoritari o totalitari esiste un’unica verità ufficiale dello Stato , che si identifica con l’ideologia del “capo” e viene
repressa in modo sistematico qualsiasi manifestazione di dissenso, cioè di opinioni diverse da quelle ammesse dal potere
costituito; nei regimi democratici, come il nostro invece, non vi è un’unica verità, ma un’opinione pubblica che si forma e si
modifica liberamente attraverso la discussione e il confronto delle diverse idee. La libertà di opinione quindi è una condizione
necessaria ed è la principale garanzia del corretto funzionamento di un sistema democratico, perchè senza libertà di pensiero e
di critica non esiste una reale democrazia.
Anche la libertà di espressione, però, è soggetta ad alcuni limiti:

Limite del buon costume: viene previsto esplicitamente dalla Costituzione e riguarda la pubblica decenza. E’ vietata
qualsiasi manifestazione del pensiero contraria al buon costume (art. 21 comma 6 Cost.), vale a dire al cosiddetto
“comune senso del pudore”. Il concetto di pudore sessuale e di “osceno” deve essere valutato caso per caso dal giudice
ed è variabile nel tempo, in relazione alla sensibilità e ai valori (religiosi, morale ecc.) prevalenti all’interno di una
società. Le opere cinematografiche sono soggette a una censura preventiva, che invece non è più prevista per le opere
teatrali. Un film prima di essere proiettato in pubblico deve ottenere il “visto” dell’autorità amministrativa, che può
vietarne la visione ai minori di 14 o 18 anni. L’autorità giudiziaria può disporre anche il sequestro di un film o il divieto di
rappresentare un’opera teatrale su tutto il territorio nazionale per violazione del buon costume. Infine, per tutelare i
bambini e gli adolescenti, la proiezione televisiva di film contenenti “immagini di sesso o di violenza tali da potere
incidere negativamente sulla sensibilità dei minori” deve avvenire nella fascia dalle 23 alle 7.

La dignità e la riservatezza delle persone: è vietato offendere l’onore o la reputazione di altre persone o diffondere
notizie riservate relative alla loro vita privata (a meno che non si tratti di personaggi “pubblici” come uomini politici o
attori)

Il segreto di Stato e il segreto d’ufficio: ai dipendenti pubblici è vietato rivelare delle notizie riservate, relative alla
loro attività o che hanno appreso nello svolgimento della loro attività, che devono rimanere segrete per non
compromettere la sicurezza dello Stato o l’esercizio delle funzioni pubbliche.

L’ordine pubblico: è vietato incitare altre persone a commettere un reato (istigazione a delinquere) o elogiare
pubblicamente un comportamento illecito (apologia di reato).
La forma più importante di manifestazione del pensiero è costituita dai mezzi di comunicazione di massa (come la stampa, la
radio, la televisione ecc). E’ fondamentale quindi assicurare la libertà dell’informazione, che comprende sia il diritto DELLA
informazione sia il diritto ALLA informazione.
Se da un lato è vero che i mass media devono essere liberi di informare il pubblico senza controlli da parte del potere politico
(diritto di informazione), dall’altro lato è anche vero che il pubblico ha il diritto di essere informato in modo imparziale e
obiettivo, senza manipolazioni delle notizie da parte dei mezzi di informazione (diritto all’informazione).
E’ escluso qualsiasi controllo preventivo sulla stampa, che non può essere sottoposta ad autorizzazioni o a censure (art. 21 comma
2 Cost.).
Il sequestro della stampa è consentito soltanto se sono stati commessi alcuni reati di opinione (come la diffamazione, il vilipendio
delle istituzioni ecc) oppure se si tratta di una pubblicazione clandestina od oscena. (art. 21 comma 3, 4 Cost.).
I rapporti sociali ed economici
I rapporti sociali
Nella nostra Costituzione i rapporti sociali (artt. 29 ss.) riguardano:

La famiglia

La salute

L’istruzione
FAMIGLIA:
La costituzione definisce la famiglia come una “società naturale”, vale a dire come una forma spontanea di aggregazione
sociale.
La Costituzione riconosce e tutela la famiglia legittima (fondata sul matrimonio), ma non ha ritenuto opportuno riconoscere la
cosiddetta famiglia naturale (di fatto).
La famiglia si basa sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, tra loro e nei confronti dei figli. (Art. 29 comma 2 Cost.). La
parità dei coniugi è stata realizzata attraverso il riconoscimento al marito e alla moglie degli stessi diritti e doveri attraverso la
riforma del diritto di famiglia (19 maggio 1975).
Entrambi i genitori sono tenuti a mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.) sia legittimi che naturali (cioè nati al di
fuori del matrimonio) (art. 30 comma 3 Cost.).
Lo stato potrà intervenire al posto dei genitori soltanto se non sono in grado di assolvere i loro compiti nei confronti dei figli
(art. 30 comma 2 Cost.).
SALUTE:
La salute viene tutelata dalla costituzione come “diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Dalla costituzione risulta che la salute non è soltanto un fatto privato di ogni individuo ma anche un fatto sociale, perchè solo chi
è sano può concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4 Cost.). La legge non consente agli individui di
disporre liberamente della propria vita e del proprio corpo, in particolare sono vietati l’omicidio di una persona consenziente e gli
atti di disposizione del proprio corpo che causino una diminuzione permanente dell’integrità fisica di una persona.
I principi costituzionali relativi alla salute riguardano:

La garanzie di cure gratuite per le persone indigenti, cioè per coloro che non hanno mezzi economici per curarsi

Trattamenti obbligatori solo nei casi previsti dalla legge e nel rispetto della dignità umana
ISTRUZIONE:
La nostra costituzione afferma espressamente il principio della libertà dell’arte, della scienza e del loro insegnamento. La
libertà della cultura è collegata alla libertà di manifestazione del pensiero. Per quanto riguarda l’istruzione la Costituzione
stabilisce che lo Stato deve istituire scuole statali di ogni ordine e grado e che la scuola è aperta a tutti senza alcuna
discriminazione. Il sistema scolastico in Italia è formato da scuole pubbliche e scuole private. L’istruzione scolastica è insieme un
diritto e un dovere, in quanto la Costituzione stabilisce l’obbligo per tutti di frequentare un corso minimo di studi di otto anni,
durante i quali la scuola è obbligatoria, gratuita e uguale per tutti; è evidente che un corso minimo di studi uguale per tutti è utile
sia ai singoli individui, perché consente loro di acquisire delle conoscenze e di sviluppare delle capacità, sia alla collettività,
perché l’eliminazione di conseguenze negative, tipo l’analfabetismo, costituiscono un vantaggio per la società.
Poiché il periodo della cosiddetta scuola dell’obbligo è fissato dalla Costituzione in almeno otto anni, la legge ordinaria può
prevedere un livello minimo di istruzione più elevato: secondo la riforma Moratti si stabilisce che venga assicurata a tutti il
diritto alla istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, sino al raggiungimento di una qualifica entro il diciottesimo anno
di età. La Costituzione prevede espressamente il diritto delle persone capaci e meritevoli di continuare gli studi oltre la scuola
dell’obbligo, anche se non hanno i mezzi economici sufficienti per proseguire gli studi, allo scopo di rendere effettivo questo
diritto lo Stato deve prevedere degli aiuti economici.
I rapporti economici
I rapporti economici sono disciplinari nel titolo III della parte prima della Costituzione e riguardano principalmente

la disciplina del lavoro: il lavoro è considerato dalla Costituzione come un valore fondamentale dell’intera società
(cosiddetto principio lavorista art. 1);

della proprietà privata: è riconosciuta e garantita dalla Costituzione che, afferma anche che la legge deve stabilire i
limiti per assicurarne la funzione sociale e l’accessibilità a tutti e che la proprietà può essere soggetta a espropriazione
per motivi di pubblico interesse;

dell’iniziativa economica privata: la nostra Costituzione traccia le linee di un sistema a economia mista, nel quale la
proprietà dei mezzi di produzione può essere pubblica o privata e l’iniziativa economica privata è libera, ma non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o con altri valori ritenuti fondamentali (sicurezza, libertà).
I Doveri costituzionali
Come risulta chiaramente dalla lettura dell’articolo 2 della Costituzione, essa disciplina i doveri fondamentali dei cittadini. In
proposito la Costituzione pone una riserva di legge stabilendo che una prestazione personale o patrimoniale, consistente nel fare
o nel dare qualcosa può essere imposta soltanto in base alla legge. Il principio di legalità costituisce una garanzia fondamentale
per i cittadini, perché soltanto il Parlamento, che è l’organo che rappresenta il popolo, può imporre dei nuovi doveri. La riserva di
legge tuttavia è una riserva soltanto relativa, perché un dovere deve essere previsto in modo generale e astratto da una
disposizione legislativa ma può essere specificato in concreto, nei limiti stabiliti dalla legge, con un atto amministrativo.
La carta costituzionale sancisce espressamente i seguenti doveri fondamentali nei confronti dello Stato:

la difesa della Patria (art. 52 cost);

il concorso alle spese pubbliche (art. 53 cost);

la fedeltà alla Repubblica e l’osservanza della Costituzione e delle leggi (art. 54 cost).
Il primo dovere imposto ai cittadini, che è definito <<sacro>> per mettere in evidenza l’importanza, consiste nel dovere di
difendere la Patria. La difesa del proprio Paese, che è un dovere per tutti i cittadini, si manifesta nello svolgimento del servizio
militare che in passato era un servizio obbligatorio; mentre dal 1 gennaio 2005 è diventato un servizio militare professionale, cioè
riservato a volontari.
La Costituzione impone il dovere di concorrenza alle spese pubbliche, cioè di pagare i tributi (imposte, tasse e contributi)
per finanziare i servizi pubblici. Questo dovere trova il proprio fondamento nel dovere di solidarietà economica, previsto
dall’art. 2 della Costituzione e qualificato espressamente come inderogabile.
Il dovere di contribuire alle spese pubbliche non riguarda soltanto i cittadini, ma tutti coloro che vivono o lavorano in Italia e che
producono un reddito. Per quanto riguarda le modalità del concorso alle spese pubbliche, la Costituzione fissa due criteri:

da un lato dichiara che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in base alla loro capacità contributiva;

dall’altro afferma che il sistema tributario deve basarsi nel suo complesso su un criterio di progressività, in quanto il
carico fiscale complessivo deve crescere in modo più che proporzionale rispetto all’aumento della ricchezza dei
contribuenti.
Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. In particolare, i
funzionari pubblici e le persone incaricate di svolgere delle funzioni pubbliche hanno il dovere di adempiere le funzioni con
disciplina e onere. La violazione di questo dovere può dare luogo all’applicazione di sanzioni amministrative o sanzioni penali.
La Corte Costituzionale
La giustizia costituzionale
L’introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, di un sistema cioè diretto ad
assicurare il rispetto della Costituzione da parte delle altre fonti normative è strettamente
legato alla natura rigida o flessibile della Costituzione. Anzi, la garanzia giuridica della
rigidità della Costituzione è rappresentata soprattutto dalla introduzione di un sistema di
giustizia costituzionale.
La nostra Costituzione è rigida e perciò si richiede la necessità di introdurre nel
sistema istituzionale un meccanismo di verifica della conformità delle leggi della
Costituzione. Quest’organo è chiamato Corte Costituzionale.
Si può dire che solo dopo il secondo conflitto mondiale, la giustizia costituzionale è
divenuto, in Europa, un principio generalmente accolto: oltre che in Italia, è avvenuto così,
ad es. in Germania, con la Costituzione del 1949; in Francia con la Costituzione del 1958;
in Portogallo, con la Costituzione del 1976; in Spagna con la Costituzione del 1978.
Il modello di giustizia costituzionale voluto dai Costituenti
Quando in Assemblea costituente matura la scelta a favore di una Costituzione rigida e si
affronta il problema di assicurare il rispetto di questo principio attraverso l’introduzione di
un sistema di giustizia costituzionale, sono due i modelli a cui si fa riferimento: quello
“diffuso”, proprio della tradizione americana; e quello accentrato, proprio dell’esperienza
austriaca. Il risultato finale del dibattito che si svolse su questo tema fu l’introduzione di un
modello di giustizia costituzionale che, in qualche modo, tenta una fusione tra elementi
appartenenti ad entrambi quei modelli di riferimento. Così del modello “accentrato” il
Costituente accolse il principio di affidare ad un apposito organo costituzionale il compito
di garantire il rispetto della rigidità della Costituzione; del modello “diffuso” esso accolse il
principio dell’estensione del sindacato della Corte costituzionale anche ai profili di
legittimità sostanziale della legge e del coinvolgimento nel processo di costituzionalità dei
giudici comuni, attraverso il cosiddetto procedimento in via incidentale.
Quella che viene designata dal Costituente è un’alta magistratura che riflette nella
sua composizione la natura peculiare dell’attività che essa è chiamata a svolgere
(giurisdizionale e politica insieme) e alla quale possono rivolgersi tanto organi dello
Stato o delle Regioni, in relazione all’insorgere di conflitti la cui soluzione sia legata
all’interpretazione di specifiche disposizioni costituzionali, quanto ai singoli
cittadini, attraverso l’intermediazione del giudice, sempre nell’ipotesi che specifiche
posizioni soggettive, loro riconosciute dalla Costituzione, siano state lese dal
legislatore ordinario. Un’alta magistratura cui viene attribuito in esclusiva il potere
di pronunciarsi su questo tipo di controversie e con decisioni inappellabili.
Struttura e funzionamento della Corte.
L’art. 135 Cost. fissa a 15 il numero dei membri dell’organo di giustizia costituzionale,
attribuendo la nomina di 5 giudici rispettivamente al Parlamento, al Presidente della
Repubblica e alle supreme magistrature ordinarie e amministrative (Corte di Cassazione,
Consiglio di Stato e Corte dei Conti).
Le nomine parlamentari avvengono a Camere riunite; esiste una regola convenzionale
che stabilisce che la designazione di questi cinque giudici venga riservata ai partiti che
siedono in Parlamento, secondo i rapporti di forza che le rispettive rappresentanze
esprimono.
Una regola in larga misura analoga ha finora guidato anche l’esercizio del potere di
nomina assegnato al Capo dello Stato, nel senso che, anche in questo caso, si tratta di
nomine che spesso vengono ispirate prevalentemente da criteri di equilibrio della
rappresentanza delle diverse aree politiche.
La Costituzione non si occupa direttamente di disciplinare le modalità che devono essere
seguite per la nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature.
Tale disciplina prevede che tre dei cinque giudici vengano nominati dalla Corte di
Cassazione, e gli altri due dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti. Per essere eletti è
richiesta, al primo scrutinio la maggioranza assoluta; ove questa non venga raggiunta, si
procede al ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero dei voti e tra
questi viene eletto chi ottiene la maggioranza relativa. In caso di parità, risulta eletto il più
anziano.
Il ruolo di Presidente della Corte è svolto da uno dei membri eletto a maggioranza dai
componente dell’organo. Il Presidente dura in carica tre anni ed è rieleggibile, sempre
ovviamente entro i limiti del suo mandato novennale.
Al Presidente sono conferiti numerosi e rilevanti poteri non solo in ordine allo
svolgimento della discussione del collegio ma anche in ordine alla definizione del
calendario della cause da decidere. Oltre ai poteri che gli spettano sul piano interno,
esiste una funzione di rappresentanza esterna della Corte, che viene svolta dal
Presidente e che egli esercita in numerosi modi, tra cui quello di un conferenza stampa
annuale, con cui viene fatto il punto sugli sviluppi della giurisprudenza della Corte.
Non appena eletti, i giudici della Corte Costituzionale sono tenuti a prestare giuramento di
fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione davanti al Presidente della
Repubblica. Allo scadere del termine dei nove anni, i giudici costituzionali cessano dalla
carica e dall’esercizio delle loro funzioni.
La composizione ordinaria della Corte muta nel caso in cui l’organo di giustizia
costituzionale sia chiamato ad esercitare la sua competenza penale, in ordine ai reati di
alto tradimento e attentato alla Costituzione del Presidente della Repubblica; la
composizione della Corte viene in questo caso integrata da 16 giudici non togati, estratti
a sorte dalla lista predisposta dal Parlamento in seduta comune.
Come ogni altro organo costituzionale, la Corte e i suoi membri godono di particolari
guarentigie volte a garantirne l’autonomia e l’indipendenza.
Le garanzie disposte a favore dell’organo sono:
-
potere di procedere alla verifica dei poteri dei propri membri, ossia alla verifica del
possesso dei requisiti richiesti per rivestire la carica di giudice costituzionale;
-
potere di decidere ogni questione relativa ad eventuali cause di incompatibilità;
-
potere di decidere la rimozione dalla carica dei propri membri, con una
maggioranza pari ad almeno i due terzi dei presenti, qualora si determinino
situazioni
di
incapacità
fisica
o
civile
o
si
verifichino
gravi
mancanze
nell’adempimento dello loro funzioni;
-
autonomia finanziaria, da esercitarsi nei limiti del fondo stanziato da una legge del
Parlamento per il funzionamento dell’organo di giustizia costituzionale;
-
autonomia amministrativa, che consente alla Corte, nei limiti delle disponibilità, non
solo di determinare il proprio fabbisogno di personale di supporto, ma anche di
decidere ogni questione connessa a questi rapporti di impiego;
-
autonomia regolamentare, attraverso la quale la Corte può dettare una disciplina
integrativa
della
propria
organizzazione,
nonché
dei
procedimenti
relativi
all’esercizio delle sue funzioni;
-
potere di polizia interna assegnato al Presidente della Corte;
-
“giustizia domestica”, ossia potere di decidere le controversie in materia di
impiego relative ai suoi dipendenti, le quali sono dunque sottratte al giudice
amministrativo.
Le garanzie assicurate ai giudici costituzionali sono:
-
l’inamovibilità;
-
l’insindacabilità e non perseguibilità per le opinioni e i voti espressi nell’esercizio
delle proprie funzioni;
-
la non sottoponibilità a limitazioni della libertà personale, salva l’autorizzazione della
stessa Corte;
-
una retribuzione.
I principi generali su cui si basa il suo funzionamento sono quello della
-
pubblicità: le sedute della Corte sono pubbliche, salvi i casi, per motivi attinenti alla
sicurezza dello Stato, all’ordine pubblico o alla orale, o per turbative provenienti dal
pubblico all’udienza, il Presiedente non decida che quest’ultima debba avvenire a
porte chiuse; sentenze e ordinanze della Corte Costituzionale sono pubblicate sulla
Gazzetta Ufficiale;
-
collegialità: stabilisce che la Corte operi alla presenza di almeno undici giudici e
che le decisioni siano prese in camera di consiglio, alla presenza di tutti i giudici che
hanno partecipato alle varie fasi di trattazione della causa, a maggioranza assoluta
dei votanti.
Il controllo di legittimità costituzionale: l’oggetto
La prima e fondamentale funzione della Corte costituzionale è quella di esercitare il
controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi.
Oggetto di tale controllo non sono solo le leggi approvate dal Parlamento, ma anche gli
atti aventi forza di legge dello Stato (decreti legislativi, decreti legge, norme di
attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, gli statuti delle Regioni di
diritto comune) e delle Regioni (le leggi regionali e le leggi di Trento e Bolzano).
Non sono stati compresi, invece nella categoria degli atti sottoponibili al giudizio della
Corte i regolamenti, nella convinzione che essendo questi, in quanto fonti secondarie,
subordinati alla legge, non potessero direttamente apportare alcuna violazione alla
Costituzione (ma questo non vale per i regolamenti indipendenti, il cui contenuto è slegato
da una normativa precedente). Non rientrano tra gli atti sottoponibili al giudizio della Corte
neppure i regolamenti parlamentari e degli altri organi costituzionali.
Vi rientrano, invece, sia le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sia gli atti
normativi comunitari per il tramite della legge di attuazione dei Trattati.
Per ciò che attiene al referendum abrogativo esistono dei dubbi che riguardano non tanto
la natura dell’atto, quanto i vizi che la Corte sarebbe chiamata a sindacare, posto che la
stessa Corte interviene in via preventiva, in sede di giudizio di ammissibilità. Si tratterebbe
qui, allora di vizi diversi e connessi o all’eventuale violazione delle regole procedimentali
che disciplinano il ricorso al referendum o alla situazione normativa che si determina a
seguito dell’effetto abrogante dell’istituto, la quale potrebbe presentare dei profili di
illegittimità costituzionale. Nel primo caso, tuttavia, va ricordato che l’Ufficio centrale per il
referendum ed il Presidente della Repubblica hanno già il compito di accertare l’avvenuto
rispetto delle regole procedimentali, mentre nel secondo caso, risulta assai problematica
l’individuazione puntuale dei profili di illegittimità dei quali la Corte si vedrebbe investita e,
soprattutto, non è chiaro se, in questa ipotesi, ad essere sottoposto alla Corte dovrebbe
essere l’atto conclusivo del procedimento referendario o non piuttosto la disciplina
normativa di quella determinata materia, così come risultata amputata dall’effetto
abrogante del referendum stesso.
Per ciò che attiene alle leggi di esecuzione dei trattati internazionali , il problema nasce dal
fatto che si ritiene che esse dono dotate di una particolare forza di resistenza passiva, nel
senso che si ritiene che esse non possano essere abrogate da un’altra legge successiva,
proprio per la connessione che le lega al trattato internazionali, i cui effetti
nell’ordinamento interno potrebbero esser fatti cessare, in tutto o in parte, solo attraverso
un’azione internazionale dello Stato diretta alla denuncia del trattato stesso. Di qui
l’interrogativo circa la loro sottoponibilità o meno al controllo di legittimità della Corte, che
potrebbe provocarne la caducazione totale o parziale, qualora il contenuto del trattato, cui
la legge dà esecuzione, risultasse in contrasto con la Costituzione.
Sempre in ordine all’oggetto del giudizio della Corte, resta da chiarire il problema se esso
debba svolgersi solo sulle disposizioni legislative che le vengono sottoposte o anche sulle
norme che, in via interpretativa, se ne possono desumere. Oggi nessuno mette in
discussione che il controllo di legittimità delle leggi investa tanto le disposizioni,
quanto le norme da esse comunque desumibili.
I vizi sindacabili e le norme parametro
Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è innanzitutto un controllo formale: la
Corte può cioè sindacare il rispetto o meno delle regole che disciplinano il procedimento
che porta all’approvazione e all’entrata in vigore di una legge o di un atto avente forza di
legge.
Ma il controllo della Corte può essere anche sostanziale, può cioè investire, oltre ai profili
formali della legge impugnata, quelli relativi al suo contenuto, al fine di vagliarne al
conformità o meno rispetto alla Costituzione.
Sotto il profilo sostanziale, i vizi della legge sindacabili della Corte sono di tre
ordini:
-
violazione della Costituzione, individua il contrasto tra una legge ed una specifica
norma costituzionale;
-
incompetenza, riguarda gli atti legislativi adottati da soggetti diversi da quelli cui,
per Costituzione, sarebbe spettato adottarli
-
eccesso di potere legislativo: in relazione agli atti amministrativi, indica l’adozione
di un atto per conseguire finalità diverse da quelle previste dalla legge; in relazione
alla legge, indica l’adozione di una legge che, per il suo contenuto, non risponde a
certe finalità, previste dalla Costituzione, al cui raggiungimento essa è vincolata.
Qui, si tratta di trovare volta per volta, quale si il limite costituzionale alla
discrezionalità del legislatore che la Corte è tenuta a far rispettare in sede di
sindacato sull’eccesso di potere legislativo: problema di non facile soluzione e che
spesso ha dato adito a decisioni fortemente contestate dell’organo di giustizia
costituzionale. La stessa Corte ha messo a punto, in via giurisprudenziale, alcuni
criteri guida per orientare il suo sindacato su questo possibile vizio della legge: in
concreto, esso potrà investire la palese contraddittorietà del contenuto della legge
rispetto ai suoi presupposti, l’incongruità dei mezzi predisposti, rispetto al
raggiungimento delle finalità e le ragionevolezza del contenuto della legge, sempre
misurata alla luce delle sue finalità.
I parametri di controllo di costituzionalità della legge sono le norme espressamente
prevista dalla Costituzione e i principi desumibili anche implicitamente dal dettato
costituzionale. Vengono utilizzate come parametro anche le norme “interposte”,
cioè quelle norme che si interpongono tra la norma costituzionale, di cui rappresentano
una specifica attuazione e la norma di legge impugnata davanti alla Corte:
-
leggi di delegazione, le quali devono necessariamente contenere, secondo quanto
disposto dall’art. 76 Cost., tutta una serie di limiti cui il Governo deve attenersi
nell’adottare i conseguenti decreti delegati: ove quest’ultimi non rispettino le
indicazioni contenute nella legge di delegazione, possono essere impugnati davanti
alla Corte e dichiarati incostituzionali per violazione della norma interposta, in
quanto violazione indiretta dei limiti alla delegazione legislativa;
-
norme internazionali generalmente riconosciute: la loro violazione da parte del
legislatore nazionale si tradurrebbe in una violazione indiretta del principio
affermato dall’art. 10, il quale, come abbiamo visto, consente una diretta operatività
di tali norme nell’ambito dell’ordinamento interno, con conseguente obbligo di
rispetto del loro contenuto da parte della legge nazionale;
-
“legge cornice”, quelle destinate, secondo l’art. 117 Cost. a dettare i principi
fondamentali nelle materie affidate alla competenza legislativa concorrente delle
Regioni e nel rispetto dei quali tale competenza deve essere esercitata: anche in
questa ipotesi, dunque, l’eventuale violazione da parte della legge regionale dei
principi fondamentali contenuti nella legge cornice è soggetta al sindacato della
Corte, in quanto violazione indiretta dell’art. 117 Cost.
-
norme comunitarie, il cui ingresso nell’ordinamento interno come norme
direttamente applicabili, e quindi, non modificabili dal legislatore nazionale, è
garantita dall’art. 11 Cost., sì che la loro eventuale violazione si tradurrebbe in una
violazione indiretta della citata norma costituzionale.
L’accesso alla Corte in via incidentale e principale
Il giudice dal quale deriva la controversia di legittimità costituzionale viene chiamato
giudice a quo. Può essere una delle parti del processo a quo a sollevare la questione,
sostenendo che una norma che dovrebbe essere applicata in suo sfavore contrasta con la
Costituzione; oppure lo stesso giudice chiamato a risolvere la controversia può essere in
dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme legislative da applicare.
Per conoscere le regole procedimentali che consentono di sottoporre una legge, o un atto
avente forza di legge, al sindacato di legittimità dell’organo di giustizia costituzionale
bisogna fare riferimento alla legge cost. 1/1948. Tali regole danno vita a distinti
procedimenti:
a. un procedimento in via incidentale. Nasce da una iniziativa di un giudice
comune, la quale si lega strettamente alla soluzione di un caso concreto che quel
giudice si trovi a dover decidere: nel corso del giudizio può avvenire, infatti, che il
giudice si convinca che una certa disposizione legislativa, che dovrebbe applicare
per decidere quel processo, presenti dubbi di legittimità costituzionale. In questo
caso egli sospende il processo e solleva la questione di legittimità costituzionale di
quella disposizione legislativa davanti alla Corte costituzionale (ordinanza
motivata di rinvio: atto che sospende il processo in corso e apre quello che si
svolge davanti alla Corte Costituzionale, che deve contenere: l’indicazione della
disposizione in considerazione; l’indicazioni delle disposizioni costituzionali che si
ritengono violate; i motivi cha hanno indotto il giudice a ritenere la questioni di
legittimità costituzionale sottoposte alla Corte rilevante ai fini della decisione del
processo, giudizio di rilevanza; i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere che
la questione di legittimità non sia manifestamente infondata, ossia ritenere che
esistano davvero i dubbi circa la conformità a Costituzione di quella disposizione,
giudizio di non manifestata infondatezza). Si tratta, dunque, di un procedimento
che coinvolge anche i giudici comuni nel controllo di legittimità costituzionale delle
leggi, con un ruolo non decisionale, ma di iniziativa e di filtro delle diverse questioni
che possono nascere in sede di applicazione della legge nelle singole specifiche
controversie.
b. un procedimento in via principale (o diretta). L’unica ipotesi in cui è consentito
un accesso diretto alla Corte, attiene ai rapporti tra legge statale e legge regionale:
qualora lo Stato o una Regione ritengano, rispettivamente, o una legge regionale o
una legge statale in contrasto con la Costituzione, e, più in particolare, in contrasto
con i criteri costituzionalmente fissati per il riparto della competenza legislativa tra
Stato e Regioni, essi possono direttamente sollevare la relativa questione davanti
alla Corte.

L’impugnazione da parte dello Stato di una legge regionale è
una questione che può essere promossa dal Presidente del
Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso,
entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione
dell’avvenuta riapprovazione della legge da parte del Consiglio
regionale, in sede di riesame del testo già approvato, ma
rinviato dal Governo alla Regione, nel corso della prima fase di
controllo. I motivi che possono determinare questa situazione
sono
legati al mancato rispetto da parte del legislatore
regionale dei limiti che la Costituzione pone alla potestà
legislativa delle Regioni. Questa è una forma di controllo di
legittimità
di
tipo
preventivi:
esso
precede,
cioè,
la
promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale.
Oltre che dallo Stato una legge regionale può essere impugnata
da un’altra Regione, la quale ritenga tale legge invasiva della
propria competenza costituzionale garantita; l’impugnazione va
promossa, previa deliberazione della Giunta, entro sessanta
giorni dalla pubblicazione della legge e dà luogo, pertanto ad un
controllo successivo.

Sul
versante
regionale,
legittimato
a
promuovere
l’impugnazione di una legge dello Stato è il Presidente della
Regione, sulla base di un’apposita deliberazione adottata dalla
Giunta entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge.
L’impugnazione da parte delle Regioni di una legge statale si
basa
sull’invasione
della
propria
sfera
di
competenza
costituzionalmente garantita.
L’esame della questione da parte della Corte
Una volta scaduto il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rinvio sulla
Gazzetta Ufficiale per la Costituzione per la costituzione delle parti e indipendentemente
dal fatto che tale costituzione sia o meno avvenuta, ha inizio il processo di costituzionalità
davanti alla Corte.
L’esame della questione deve attenersi trattamento ai termini ei quali essa è stata posta
dall’ordinanza di rinvio.
Tale esame inizia con una valutazione della rilevanza della questione per la decisione
del processo “a quo”. Il giudizio di rilevanza, come si è visto, è riservato al giudice
comune, sì che l’intervento della Corte deve limitarsi ad accertare l’esistenza di una
motivazione. In caso di esito negativo di questo primo tipo di valutazione operato dalla
Corte, essa adotterà una pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di
rilevanza e, senza entrare nel merito della questione di legittimità costituzionale, rinvierà
gli atti al giudice “a quo” (ordinanza di inammissibilità). Sempre con ordinanza, la Corte
rinvia gli atti al giudice “a quo”, nel caso on cui ritenga la questione di legittimità
costituzionale manifestatamene infondata (ordinanza di manifesta infondatezza): siamo
anche in questo caso, di fronte ad una valutazione preliminare.
Nell’ipotesi opposta, viceversa, la Corte dovrà valutare se i dubbi di legittimità
costituzionale espressi nell’ordinanza di rinvio, e non ritenuti manifestatamene infondati,
siano tali da portare o meno ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma
impugnata.La decisione della questione avviene in Camera di Consiglio, ma può essere
preceduta da un’udienza pubblica.
La Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre tutti gli altri provvedimenti di sua
competenza sono adottati con ordinanza.
Le modalità di conclusione del processo costituzionale:
a) in via incidentale
Le sentenze della Corte si compongono di tre parti:
1. in fatto, vengono riassunti i termini della questione, ed esposte le posizioni
espresse nalla parti che si eventualmente costituite
2. in diritto, la Corte prende posizione sia in ordine alla rilevanza della questione
prposta, sia in ordine alla sua fondatezza o meno
3. dispositivo, la Corte sintetizza il contenuto della sua decisione
e possono essere:
-
sentenze di accoglimento, che recano nel dispositivo la dichiarazione di
incostituzionalità della norme impugnate. Producono l’annullamento delle norme
dichiarate incostituzionale. La dichiarazione di incostituzionalità ha effetti “erga
omnes”. La portata di tali effetti riguarda i rapporti giuridici successivi alla sentenza
di accoglimento che non siano giuridicamente esauriti, (tale retroattività incontra
tuttavia un limite, dunque, nei cosiddetti rapporti giuridici esauriti). Un altro limite
“mobile” alla retroattività delle sentenze di accoglimento è venuto affermandosi in
una recente giurisprudenza della Corte, là dove essa ha deciso di disporre in ordine
agli effetti temporali delle sue pronunce, stabilendo direttamente il momento da cui
dovessero prodursi (sentenze di incostituzionalità sopravvenuta). Come per gli
effetti retroattivi, così anche per quelli futuri la Corte ha messo a punto una serie di
meccanismi decisori che consentono di differire nel tempo le conseguenze
connesse all’accertamento dell’incostituzionalità della legge impugnata. Si pensi
alle sentenze di rigetto precario o di incostituzionalità provvisoria, con le quali la
Corte accerta l’incostituzionalità della legge, ma, in virtù della transitorietà della
disciplina normativa sottoposta a giudizio, rinvia ad un momento successivo la
declaratoria di incostituzionalità della medesima. Si pensi, ancora, alle cosiddette,
sentenze di incostituzionalità differita, che sono invece delle sentenze di
accoglimento, con le quali la Corte dichiara l’incostituzionalità della legge, me,
contestualmente, decide di rinviarne gli effetti ad un “dies a quo”, futuro, che, in certi
casi, viene lasciato indeterminato, in latri viene puntualmente determinato dalla
stessa Corte.
-
sentenze di rigetto, che recano nel dispositivo la dichiarazione dell’infondatezza
dei dubbi di costituzionalità espressi nell’ordinanza di rinvio. Gli effetti si riverberano
essenzialmente nei confronti del processo “a quo”: il giudice di quel processo dovrà
adottare la sua decisione applicando le norme di legge in relazione alle quali la
Corte ha dichiarato infondatezza. Ed ovviamente le stesse norme potranno
continuare ad essere applicare da latri giudici comuni, nonché dagli organi
amministrativi. Il rigetto di una questione di legittimità costituzionale non esclude
che la stessa possa essere riproposta alla Corte, accompagnata da diverse
motivazioni e, che possa andare incontro ad un esito diverso.
Entrambe vengono depositate presso la cancelleria della stessa Corte, e il dispositivo
delle sentenze di accoglimento viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
Sentenze di accoglimento e di rigetto non esauriscono la tipologia delle decisioni della
Corte Costituzionale. Quest’ultima ha, infatti, messo a punto una apparato di strumenti
decisori assai più articolato e complesso, che le ha permesso di impostare un rapporto
con i soggetti istituzionali destinatati delle sue pronunce meno schematico di quello che il
solo ricorso ai tipi di sentenze sin qui esaminati le avrebbero consentito:
-
introduzione delle sentenze interpretative, con esse la Corte valuta la conformità
delle norme desumibili rispetto alla Costituzione, sì che su queste e non sulle
disposizioni scritte operano gli effetti della pronuncia adottata. Esistono sentenze
interpretative di accoglimento con cui ad essere dichiarata incostituzionale è una
certa interpretazione delle disposizione; sentenze interpretative di rigetto, che
consente la sopravvivenza della disposizione impugnata, ma anche alla sua
apllicazione dell’interpretazione datane dalla Corte;
-
sentenze additive, ablative e sostitutive. Le sentenze di accoglimento possono
essere:

additive, con cui la Corte dichiara la incostituzionalità della disposizione
impugnata “nella parte in cui non prevede” un qualche cosa che invece
dovrebbe prevedere; l’effetto sarà quello di estendere la portata normativa
della disposizione impugnata, cioè aggiungono qualcosa a ciò che è scritto,

ablative, con cui la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione
impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa che non dovrebbe
prevedere; l’effetto sarà quello di eliminare dalla disposizione impugnata la
parte ritenuta incostituzionale dalla Corte,lasciandone in vita la parte
restante, cioè riducono l’ambito di applicazione della disposizione legislativa;

sostitutive, con cui la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione
impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa anziché un’alta;
L’effetto sarà quello di imporre al giudice comune l’applicazione della norma
individuata dalla Corte in sostituzione di quella dichiarata illegittima, cioè si
giunge a sostituire taluno dei suoi termini normativi.
-
sentenze-delega e sentenze di incostituzionalità differita. Con le sentenzedelega, infatti, la Corte nel motivare la propria decisione, si preoccupa di indicare al
legislatore quali dovrebbero essere, le linee generali della normativa della materia
in oggetto. Con le sentenze di incostituzionalità,la Corte, nel riconoscere
l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ne fa salva tuttavia, la
applicazione, in attesa di un intervento riformatore del legislatore, chiamato ad
intervenire in attuazione di precise indicazioni, direttamente fornite dall’organo di
giustizia costituzionale.
b. la conclusione del processo in via principale
Assai più semplice, sotto il profilo dei possibili strumenti utilizzabili, risulta la conclusione
del processo in via principale. Esso può portare o ad una sentenza di rigetto o ad una
dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale, o della legge statale
impugnata.
Nel caso in cui la Corte adotti una sentenza di accoglimento, l’effetto sarà quello di
impedire la promulgazione e quindi l’entrata in vigore della legge regionale o provinciale, o
quello di determinare l’annullamento della legge statale impugnata.
Nel caso in cui la Corte adotti, invece, una sentenza di rigetto, l’effetto sarà quello di
consentire la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale, o quello di
consentire l’ulteriore applicazione della legge statale.
Un altro effetto delle pronunce della Corte, in sede di decisione del processo in via
principale, è quello di definire implicitamente l’ambito materiale delle competenze
normative tra Stato e Regioni in ordine alle singole questioni chele vengono prospettate,
sempre ovviamente alla luce dei criteri generali fissati dalla Costituzione.
Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato
La seconda funzione che l’art. 134 Cost. attribuisce alla Corte Costituzionale, attiene
alla risoluzione dei conflitti di attribuzione che possono verificarsi tra i poteri dello
Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni e Regioni. Il conflitto di attribuzione è una
controversia con la quale si rivendica come proprio un compito che altri rivendicano come
proprio.
Con riferimento al conflitto tra i poteri dello Stato, l’art. 137 della legge 87/1953 pone due
principi fondamentali: essi possono sorgere solo tra “organi competenti a dichiarare
definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono” ed hanno ad oggetto “ la
delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme
costituzionali”. Da questo derivano alcuni problemi:
-
individuazione dei soggetti legittimati a sollevare il conflitto davanti alla Corte.
Non vi è mai stato dubbio sul fatto che legittimati ad adire la Corte fossero non solo
gli organi che impersonano i tre tradizionali poteri dello Stato (Parlamento,
Governo e giudici), ma anche gli organi che abbiamo ricompreso nella categoria
degli organi costituzionali (Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale
stessa). A questi la Corte ha successivamente assimilato quegli organi che,
pur non appartenendo allo Stato-apparato, ma essendo esterni ad esso, sono
tuttavia titolari di “funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite,
concorrenti con quelle attribuite a poteri ed organi statali in senso proprio”
(in particolare la questione riguardava il comitato promotore del referendum).
L’art. 134 Cost. e l’art 137 della legge 87/1953 escludono che il conflitto tra organi
appartenenti allo stesso potere non può essere portato davanti alla Corte.
Nella sentenza 7/1996, la Corte ha riconosciuto la legittimazione dei singoli
Ministri a sollevare il conflitto di attribuzione nell’ipotesi di contestazione di
una mozione di sfiducia individuale. In questa ipotesi, infatti, è l’atto contestato,
secondo la Corte, che distingue ed isola la responsabilità individuale del Ministro, sì
che non gioca più l’argomento relativo alla collegialità governativa, né l’argomento
della necessaria attribuzione di specifiche competenze da parte della Costituzione
al soggetto ricorrente (argomento che aveva già consentito alla Corte di riconoscere
la legittimazione individuale del Ministro di Grazia e Giustizia)
Con ordinanza 226/1995, la stessa Corte ha. Invece, negato la stessa
legittimazione al Garante per la radiodiffusione e l’editoria, sulla base di un duplice
ordine di motivazioni (la natura ordinaria e non costituzionale della fonte attributiva
dei poteri al Garante e l’impossibilità di poter riferire in via definitiva la volontà di uno
dei poteri dello Stato.
-
Interpretazione di ciò che dovesse intendersi per organi “competenti a dichiarare
definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono”. Col tempo ha finito per
prevalere un’interpretazione estensiva e non formalistica dell’inciso, sulla base della
quale l’individuazione degli organi abilitati a sollevare il conflitto va fatta caso
per
caso,
alla
luce
delle
norme
costituzionali
che
disciplinano
le
caratteristiche organizzative del potere cui essi appartengono. Così la Corte
ha riconosciuto, in alcuni casi, la legittimazione al ricorso per conflitto di attribuzione
a ciascuna Camera del Parlamento, alle commissioni d’inchiesta parlamentari; così
la stessa legittimazione è stata riconosciuta ad ogni singolo organo giurisdizionale.
-
Definizione dei comportamenti suscettibili di dare origine al conflitto. Anche a
questo problema si è data una soluzione non restrittiva: si ritengono ammissibili
non solo i conflitti determinati da atti invasivi della altrui sfera di attribuzioni,
ma anche quelli determinati dall’esercizio o dal mancato esercizio di
determinate competenze, da cui derivi un impedimento o un pregiudizio
all’esercizio di competenza spettanti a un altro organo.
La Corte prima di esaminare il ricorso con il quale il conflitto è sollevato, decide con
ordinanza circa l’ammissibilità del medesimo (decide, cioè, se esso può farsi rientrare
nell’ambito dei conflitti presentabili davanti alla Corte). Solo successivamente procede a
notificarlo ai soggetti controinteressati. La sentenza che risolve il conflitto ha un duplice
effetto: innanzitutto essa determina a quale dei poteri in conflitto spettino le attribuzioni in
contestazione e, in secondo luogo, essa può determinare l’annullamento dell’atto adottato
in violazione dei criteri costituzionali di riparto delle competenze. Nel caso, invece, di
conflitti aventi ad oggetto comportamenti omissivi,la pronuncia della Corte comporterà
l’accertamento della illegittimità del comportamento contestato, con la conseguenza di
imporre una diversa linea di azione all’organo chiamato a risponderne.
Il giudizio sui conflitti tra Stato e Regioni
I conflitti di cui qui ci occupiamo nascono da interferenze dovute ad atti non legislativi:
ad atti amministrativi, normativi o giurisdizionali. Vengono ritenuti ammissibili non solo i
conflitti nascenti da un atto specifico di esercizio di un’altrui competenza, ma anche quelli
nascenti da un uso (o non uso) illegittimo delle proprie competenze, con conseguenze
negative in ordine al corretto esercizio di altre competenze, costituzionalmente assegnate
rispettivamente allo Stato o alla Regione.
Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica
Alla Corte spetta anche di giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della
Repubblica a norma della Costituzione in relazione ai reati di alto tradimento e attentato
alla Costituzione.
In questo caso opera come giudice penale e assume una composizione dei 15 membri
più altri 16, tratti a sorte da 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il
Parlamento compila ogni 9 anni.
Quanto al procedimento, una volta esaurita la fase preliminare delle indagini e la fase
dibattimentale, diretta alla contestazione delle accuse, esso si conclude con una decisione
presa in camera di consiglio. Nella votazione finale, non è ammessa l’astensione e, in
caso si parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all’imputato.
La sentenza che conclude il giudizio d’accusa è soggetta alla pubblicazione sulla gazzetta
Ufficiale, è irrevocabile ma può essere sottoposta a revisione da parte della stessa Corte,
con ordinanza, nell’ipotesi in cui successivamente alla condanna, emergano fatti o
elementi nuovi che provino l’estraneità dell’imputato ai fatti a lui addebitati. La revisione
può essere chiesta dal comitato parlamentare perle accuse.
Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo
La Costituzione ha attribuito alla Corte anche il giudizio sulla ammissibilità delle richieste
di referendum abrogativo.
Il giudizio che porta al giudizio di ammissibilità o inammissibilità del referendum abrogativo
è l’unica ipotesi in cui la Corte decide in assenza di parti . La Corte decide in camera di
Consiglio e la sua sentenza ha effetti limitati al caso deciso e non pregiudica la
riproposizione di una richiesta referendaria avente lo stesso oggetto.
134
Appendice
Riserva di legge
La riserva di legge, inserita nella Costituzione, prevede che la disciplina di una
determinata materia sia regolata soltanto dalla legge primaria e non da fonti di tipo
secondario. La riserva di legge ha una funzione di garanzia in quanto vuole assicurare che
in materie particolarmente delicate, come nel caso dei diritti fondamentali del cittadino,
le decisioni vengano prese dall'organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal
Parlamento come previsto dall'articolo 70.
Si distinguono, comunque, vari tipi di riserva di legge:
 riserva di legge ordinaria: la materia può essere disciplinata dalla legge e da atti
aventi forza di legge.
o assoluta: la materia deve essere regolata integralmente dalla legge. Ad
esempio l'art. 13.2 ammette restrizioni della libertà personale nei soli casi e
modi previsti dalla legge.
o relativa: i regolamenti amministrativi possono contribuire a regolare la
materia, ma i principi devono essere stabiliti dalla legge (art. 97.1)
o rinforzata: la materia è disciplinata dalla legge secondo un contenuto o
procedimento ben preciso. (art. 16)
 riserva di legge formale: nella materia può intervenire la legge del Parlamento
mentre non possono farlo atti aventi forza di legge, come decreti legge o decreti
legislativi, del governo (art. 80, art. 81). Di fatto, poi, le materie disciplinate da
riserva di legge formale sono quelle coperte da riserva di assemblea (art. 72
comma IV).
Esistono anche riserve non a favore della legge ordinaria:
 riserva di legge costituzionale (artt. 116, 132.1, 137, 138 Cost.), anch'essa tipica
dello Stato costituzionale di diritto
 riserva a favore dei regolamenti parlamentari (art. 64)
 riserva di giurisdizione: il già citato art. 13.2 non ammette alcuna "restrizione della
libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria (...)";
similmente l'art. 15 ammette limitazioni alla libertà e alla segretezza della
corrispondenza "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria".
 riserva di regolamento amministrativo: non esiste in Italia, come invece accade in
altri paesi
Legge costituzionale
Con il termine di legge costituzionale si indica una particolare fonte del diritto, che si
colloca nella stessa posizione gerarchica della costituzione, potendo quindi - entro certi
limiti - derogarla o modificarla (si parlerà, allora, più propriamente di legge di revisione
della Costituzione). Questo atto-fonte viene assegnato alla competenza del Parlamento e,
in virtù della rigidità della costituzione, il legislatore costituzionale opera in forme
diverse rispetto a quelle del legislatore ordinario, prevedendosi un procedimento
aggravato (art. 138 della costituzione italiana: il disegno di legge costituzionale deve
essere approvato da ciascun ramo del Parlamento con due distinte deliberazioni, tra le
quali devono intercorrere almeno tre mesi. Nel caso in cui la deliberazione, nella seconda
135
votazione di ciascuna delle Camere, non sia avvenuta a maggioranza di due terzi dei loro
componenti ma sia avvenuta a semplice maggioranza assoluta, può essere richiesto, da un
quinto dei membri di una Camera, da cinque Consigli regionali o da cinquecentomila
elettori, un referendum confermativo).
Tuttavia, é in dottrina che nessuna legge costituzionale né riforma costituzionale possa
modificare la costituzione nel suo "spirito", nel nucleo delle libertà fondamentali e della
forma di Stato; in tal caso la Corte Costituzionale può intervenire dichiarando
incostituzionale l'eventuale riforma, anche se per ora un caso simile appare improbabile.
Differenza tra legge di revisione costituzionale e legge costituzionale
Una delle controversie che più ha coinvolto gli studiosi di diritto è stata la possibilità o
meno di poter differenziare, oltre che su un piano sostanziale, anche su un piano formale
(soprattutto per competenza) le leggi di revisione costituzionale dalle altre leggi
costituzionali, laddove per le prime si intendono le leggi che vanno a modificare il testo
preesistente della costituzione, mentre per le seconde quelle che si inseriscono fra gli
articoli già presenti senza modificarli. Le prime sono soggette ai limiti espliciti ed impliciti
che circoscrivono la capacità innovativa/precettiva della loro funzione di revisione
costituzionale, le seconde sono soggette ai limiti aggiuntivi derivanti dal fatto che sono
fonti a competenza determinata e speciale, chiamate cioè a disciplinare specifici istituti
previsti dalla Costituzione (si veda la sentenza della Corte Costituzionale 134/2002) .
Principio di adeguatezza
Il principio di adeguadetezza, nel campo del diritto amministrativo, stabilisce che
l'entità organizzativa che è potenzialemente titolare di una potestà amministrativa, deve
avere un'organizzazione adatta a garantire l'effettivo esercizio di tali potestà;
l'adeguatezza va considerata sia rispetto al singolo ente, sia rispetto all'ente associato
con altri enti, per l'esercizio delle funzioni amministrative.
Il principio di adeguatezza è citato nell'ordinamento italiano all'art. 118 della
Costituzione, unitariamente al sussidiarietà e al principio di differenziazione.
Dal combinato di questo principio con il principio di sussidiarietà, si ricava che se l'ente
territoriale a cui è affidata una funzione amministrativa, che per il principio della
sussidiarietà dovrebbe essere quello più vicino al cittadino amministrato, non ha la
struttura organizzativa per rendere il servizio, questa funzione deve essere attribuita
all'entità amministrativa territoriale superiore.
Principio di sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà è, prima ancora che un principio organizzativo del potere, un
principio antropologico che esprime una concezione globale dell'uomo e della società, in
virtù del quale fulcro dell'ordinamento giuridico è la persona umana, intesa sia come
individuo che come legame relazionale.
In ambito civilistico la sussidiarietà indica l'ordine con il quale, in caso di concorso di
soggetti debitori con patrimoni separati, vari soggetti debbano adempiere ad una
136
prestazione.
Se un patrimonio "A" deve essere escusso in via sussidiaria rispetto ad un altro "B",
significa che il creditore si dovrà rifare prima sul patrimonio "B" e solo in caso di
insolvenza e insufficienza di questo anche sul patrimonio "A".
Si tratta di un concetto affine ma diverso da quello di solidarietà che rappresenta sempre
una situazione di garanzia per il creditore, ma in base al quale i debitori vengono
considerati sullo stesso piano e sono tutti tenuti ad effettuare la prestazione per
l'intero.
In ambito amministrativo viene indicato con principio di sussidiarietà quel principio sociale
e giuridico amministrativo che stabilisce che l'intervento degli organi dello Stato (Stato,
Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni), sia nei confronti dei cittadini sia degli
enti e suddivisioni amministrative ad esso sottostanti (ovvero l'intervento di organismi
sovranazionali nei confronti degli stati membri), debba essere attuato esclusivamente
come sussidio (ovvero come aiuto, dal latino subsidium) nel caso in cui il cittadino o
l'entità sottostante sia impossibilitata ad agire per conto proprio.
Detto in altri termini il principio di sussidiarietà stabilisce che le attività amministrative
dovrebbero essere svolte dall'entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini (i
comuni), e che può essere delegata ai livelli amministrativi territoriali superiori (province,
città metropolitane, regioni, stato) solo se questi possono rendere il servizio in maniera
più efficace ed efficiente.
Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti
dall'azione degli enti amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali
bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o volontaristica.
Il principio di sussidiarietà è stato recepito nell'ordinamento italiano con l'art. 118 della
Costituzione.
Tale principio implica che:
 le diverse istituzioni, nazionali come sovranazionali, debbano tendere a creare le
condizioni che permettono alla persona e alle aggregazioni sociali (i cosiddetti corpi
intermedi: famiglia, associazioni, partiti) di agire liberamente senza sostituirsi ad
essi nello svolgimento delle loro attività: un entità di livello superiore non deve
agire in situazioni nelle quali l'entità di livello inferiore (e, da ultimo, il cittadino) è
in grado di agire per proprio conto;
 l'intervento dell'entità di livello superiore debba essere temporaneo e teso a
restituire l'autonomia d'azione all'entità di livello inferiore;
 l'intervento pubblico sia attuato quanto più vicino possibile al cittadino: prossimità
del livello decisionale a quello di attuazione.
 esistono tuttavia un nucleo di funzioni inderogabili che i poteri pubblici non possono
alienare (coordinamento, controllo, garanzia dei livelli minimi di diritti sociali,
equità, ecc.).
Il principio di sussidiarietà può quindi essere visto sotto un duplice aspetto:
 in senso verticale: la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere
spostata verso gli enti più prossimi al cittadino e, pertanto, più vicini ai bisogni del
territorio;
 in senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi,
137
deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi
che incidano sulle realtà sociali a lui più prossime.
Precedentemente all'introduzione nella Costituzione (art. 118) di tale principio vigeva il
cosiddetto principio del parallelismo, in virtù del quale spettavano allo Stato e alle regioni
le potestà amministrative per quelle materie per le quali esercitivano la potestà
legislativa; questo principio non è più in vigore, in quanto sostituito dai nuovi principi
introdotti nell'art. 118 della Costituzione nel 2001
Principio di differenziazione
Il principio di differenziazione, nel campo del diritto amministrativo, stabilisce che
nell'assegnare una potestà amministrativa, si devono considerare le caratteristiche degli
enti amministrativi riceventi; queste sono caratteristiche demografiche, territoriali,
associative, strutturali che possono variare anche in misura notevole nella realtà del
paese.
Il principio di differenziazione è citato nell'ordinamento italiano all'art. 118 della
Costituzione, unitariamente al sussidiarietà e al principio di adeguatezza.
Enti locali: Ineleggibilità, Incandidabilità, Incompatibilità
Incandidabilità: per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti
sono state applicate misure di prevenzione.
Ineleggibilità: qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a
peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera
decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche
elettive rispetto agli altri candidati. Attribuzione ai Consigli regionali della competenza a
decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta
eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità giudiziaria
a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito
fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi;
Eventuale differenziazione della disciplina dell’ineleggibilità nei confronti del Presidente
della Giunta regionale e dei consiglieri regionali;
Previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo
del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base
della normativa regionale adottata in materia
Incompatibilità: in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri
componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche,
comprese quelle elettive, suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle
regioni, di compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione ovvero il
libero espletamento della carica elettiva. attribuzione ai Consigli regionali della
competenza a decidere sulle cause di incompatibilità dei propri componenti e del
Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza
dell’autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni
è comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi.
Promulgazione
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La promulgazione è l'atto formale con il quale il Presidente della Repubblica dichiara
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valido e operante un atto normativo.
La promulgazione viene effettuata con una formula prevista dall'art.1 del T.U. 28
dicembre 1985 suddivisa dalla dottrina in tre parti:
1. riconoscimento dell'approvazione parlamentare,
2. dichiarazione di promulgazione da parte del Presidente e
3. ordine per chiunque di rispettare la legge appena entrata in vigore.
Compito di questa fase dell'iter legis è l'attestazione dell'esistenza di una legge, venuta
ad essere con procedimento corretto e necessario, oltre che una funzione intimatoria nei
confronti dei soggetti cui la legge stessa è rivolta.
Legge quadro, o legge cornice
La legge quadro, o legge cornice, dello Stato è una legge contenente i principi
fondamentali che devono regolare una singola materia e ai quali i soggetti cui è conferito il
potere di regolare quella stessa materia devono attenersi.
La legge cornice è molto utilizzata nell’ambito delle competenze legislative concorrenti
tra Stato e Regioni a statuto ordinario.
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