CHOZA DA PA CREIR COSE DA NON CREDERE Presenze fantastiche nella cultura popolare in area occitana CONVEGNO Sabato 30 ottobre 2010 Salbertrand (TO) Sala Conferenze Parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand PROGRAMMA Ore 14.00 REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI Ore 14.30 BENVENUTO - Massimo Garavelli, Presidente del Parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand - Piero Biolati, Sindaco di Salbertrand - Roberto Micali, Presidente dell’Associazione ArTeMuDa INTERVENTI Le streghe tra magia e realtà: rituali di guarigione e credenze in Valle di Susa Loredana Matonti Un sabba in alta Val di Susa: presupposti di un mito vissuto Monica Pignatelli L’Uomo Selvaggio: viaggio intorno a un mito della montagna Massimo Centini ORE 16.30 BREAK CON PRODOTTI DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE ORE 17.00 RIPRESA DEI LAVORI Il lago alpino nell’immaginario popolare del territorio che lo ospita. Alcuni riscontri in alta Val Susa Diego Priolo Sulle tracce di Pollicino nel ventre delle vacche. Dal Delfinato alle valli del Piemonte e dal microcosmo del pastorello al macrocosmo degli astri Matteo Rivoira - Christian Abry Della fisica e d’altre visioni Renato Sibille ORE 18.30 CONSEGNA DEI RICONOSCIMENTI PATRIMOUANË DLA JAN ARTEMUDA 2010 ORE 19.00 CONCLUSIONE DEI LAVORI E DEGUSTAZIONE Gli interventi saranno inframezzati dai racconti fantastici di Marisa Elleon ORE 21.00 “ARANHA”, SPETTACOLO TEATRALE Sala Polifunzionale, Salbertrand (TO) Con il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand, regia di Renato Sibille IL CONVEGNO Come in un viaggio attraverso il mito, la storia e le leggende della cultura popolare alpina occitana, in particolare dell'Alta Valle di Susa, il convegno intende analizzare le presenze fantastiche che affollano l'immaginario popolare da diversi punti di vista: storico, culturale, linguistico, artistico, religioso. Nella stessa giornata debutterà "ARANHA", il nuovo spettacolo del Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand, diretto da Renato Sibille. Questo nuovo lavoro del Laboratorio di Salbertrand intreccia in una tela i fili della storia e della cultura della Valle di Susa con i fili dell'immaginario popolare e delle sue creature fantastiche. L'aranha, il ragno, intreccia la sua tela e cattura storia e mito, svelandone il lato segreto. L’ASSOCIAZIONE ARTEMUDA L’Associazione ArTeMuDa, affiliata ARCI dal 2006, nasce a Torino il 14 Febbraio 2003. È formata da operatori culturali e ricercatori con competenze specifiche nei settori artistici del teatro, della musica e della danza. L’Associazione ha come finalità la diffusione e la ricerca artistica, l’uso dell’espressione artistica per favorire la creatività individuale e di gruppo, la creazione di un centro di aggregazione territoriale, la formazione di operatori in ambito artistico e sociale e la divulgazione della conoscenza dell’espressione artistica attraverso l’organizzazione di seminari, conferenze e laboratori. Le attività dell’Associazione si rivolgono all’ambito culturale, sociale, educativo e lavorativo. IL LABORATORIO PERMANENTE DI RICERCA TEATRALE DI SALBERTRAND Nel gennaio 2004, ArTeMuDa crea il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale che si propone di scavare nella cultura locale attraverso un approccio di tipo antropologico. Il laboratorio ha prodotto le dimostrazioni di lavoro Santi Bestie Maniscalchi (2004), Bestië (2005), L’angelo della peste (2005), Distillare è imitare il sole (2005), il Carnavà dlu Gueini ‘d Sabaltran (2006), Barbarià (2006), Oltre l’eco (2007) con il video del quale ha vinto la XII edizione del Valsusa Filmfest 2008, sezione DOC - ANPI Memoria storica, e infine Ritorno (2009). Il Laboratorio si propone di raccogliere e rielaborare frammenti di memoria, passi solitari lungo sentieri impervi, parole frantumate sulle pietraie ai margini dei campi non più coltivati, immagini racchiuse in piccole cose indimenticabili. Le tecniche mediante le quali il Laboratorio conduce la ricerca trovano fondamento nell’Antropologia Teatrale, una disciplina che studia l’arte dell’attore e la sua presenza scenica nel suo aspetto di extraquotidianità. Una parte fondamentale del lavoro è costituita dall’incontro con gli abitanti del posto, considerati alla stregua dei grandi maestri poiché custodi del sapere di una terra e dei suoi gesti. È proprio sul gesto che si concentra essenzialmente la ricerca; quel gesto del mondo contadino che perdendosi porta con sé le parole che non hanno più ragione di essere dette perché narrano, descrivono, chiamano quel gesto che produce un lavoro. Il lavoro duro della vita quotidiana ormai lasciata alle spalle, ma ancora presente nella carne e nella memoria di persone eccezionali in grado di trasmettere l’essenza di quella vita e di quel mondo. ASSOCIAZIONE ARTEMUDA Affiliata ARCI Via Macerata 1 - 10144 Torino Tel/Fax: 011-4371919 Cell: 335-7669611 Email: [email protected] Internet: www.artemuda.it ABSTRACT DEGLI INTERVENTI LE STREGHE TRA MAGIA E REALTÀ: CREDENZE E RITUALI DI GUARIGIONE IN VALLE DI SUSA Loredana Matonti Le radici della magia affondano nella natura dell’uomo e nella condizione Umana. Ma chi era la strega? La strega era innanzitutto donna (“La natura le fa streghe”) ma non una donna comune. Il confine tra la strega e la guaritrice è sempre stato molto sottile e quest’ultima, specie se dedita a pratiche di guarigione rituali, è stata spesso demonizzata. D’altronde un tempo le cause delle malattie venivano ricercate in elementi esterni che l'ammalato tendeva a personificare, come la possessione, gli invasamenti,il malocchio e i sortilegi. Ritroviamo ancora nei manoscritti locali e nella memoria orali di alcuni intervistati le tracce di tali credenze, che prevedevano lo scongiuro della negatività o il propiziarsi la buona sorte con l’adozione di amuleti, erbe miracolose, parti di animali e altri elementi inusuali basati sul concetto del “simile magico”. Tra le pratiche terapeutiche più curiose e interessanti documentate in Valle di Susa vi sono i rituali magico-religiosi di cura, dove con l’ausilio di gesti, segni e preghiere, tramandati oralmente di generazione in generazione, si curavano svariate patologie, dai vermi al fuoco di Sant’Antonio ai nervi doloranti. Un mondo suggestivo e misterioso con diversi punti di contatto con analoghe pratiche in altre vallate alpine. UN SABBA IN ALTA VALLE DI SUSA: PRESUPPOSTI DI UN MITO VISSUTO Monica Pignatelli Secondo Mircea Eliade il mito, come il racconto folclorico e la leggenda nelle cosidette società tradizionali, non è una fantasia astratta, ma al contrario una pura e semplice realtà, una storia vera. In questo senso ho considerato la credenza che ho registrato nel 1986 in Alta Valle di Susa, riportatami da due anziani valligiani. Intesi, infatti, nel mio studio affermare il carattere di “esperienza realmente vissuta” della testimonianza; ciò che i miei interlocutori mi hanno comunicato è per loro reale e si lega ad emozioni profonde che danno un senso alla loro vita: ed è già questo un motivo per parlarne. Venni a conoscenza quasi per caso della credenza del ballo di Prasserins: un anziano amico di un paese dell’Alta Val di Susa un giorno mi raccontò della sua partecipazione ad un magnifico ballo la notte della vigilia di San Giovanni, la notte del solstizio d’estate. Solamente grazie alla mia familiarità con persone che erano il trait d’union tra la nuova e la vecchia società ho potuto raccogliere le testimonianze. I limiti oggettivi su questo terreno d’indagine erano le difficoltà riscontrate nel tentativo di una più approfondita conoscenza del gruppo sociale, legata anche dall’uso nella loro conversazione di un patois locale a me incomprensibile. Notevoli mi sembrarono subito alcuni elementi del racconto del mio testimone: la partecipazione in spiritu a questo incontro, il magico volo per raggiunger il luogo del ritrovo e i misteriosi personaggi con i quali gli adepti si intrattengono. Ma col tempo e la nostra frequentazione, i miei due testimoni arrivarono a non potermi più raccontare nulla. Sembravano, infatti, prendere coscienza della difficoltà di esprimere il loro sapere, e dei pericoli che comportava una pubblicizzazione eccessiva. Sicuramente la secolare condanna sociale di tale tipo di credenze ha portato a questo atteggiamento di difesa, di segretezza auto protettiva da parte di chi invece le condivide. Del resto, come dice M. Eliade, con la decadenza del sacro nella nostra cultura, in cui la realtà è quasi completamente secolarizzata, laica, il rapporto tra mito e realtà si è capovolto: agli occhi dei contemporanei è una fantasia priva di realtà, ”una finzione, un’immaginazione”, nelle parole di A. Graf. Pur nella perdita di importanza, è, però, forse possibile rintracciare un’eco lontanissima della struttura e della funzione originaria del mito nelle forme che ha preso oggi, nelle sue estreme propaggini: nel racconto folclorico, nella favola, nella leggenda, che a ben vedere portano ancora racchiuso in loro una scheggia di sacro, in un mondo che ormai lo disconosce. L’UOMO SELVAGGIO Massimo Centini Nelle tradizioni alpine, l'Uomo Selvaggio è una sorta di essere primordiale: vive quasi sempre ai limiti della civiltà e i suoi atteggiamenti, rispetto all'“uomo civile”, sono caratterizzati da una notevole diffidenza. Strano incrocio tra un uomo e un animale, è il protagonista di tante leggende delle Alpi, da occidente ad oriente; occupa una posizione importante nei carnevali, dove spesso impersona l’inverno. Guardando all’interno della mitologia alpina, scopriamo che l’Uomo Selvaggio viene indicato come “eroe culturale”, cioè colui che ha insegnato qualcosa di fondamentale alla genti montane: arte casearia, agricoltura, attività mineraria, ecc. Poi, dopo aver trasferito quasi totalmente i propri segreti ai pastori e ai contadini, fugge nella montagna o nel bosco (perché vittima degli scherzi e dell'incomprensione dell'uomo civile) da cui non farà più ritorno. Contrassegnato da una serie di “motivi ricorrenti”, l’Uomo Selvaggio presenta comunque peculiarità e localismi che danno forma a un’articolata struttura mitica di grande interesse scientifico, ma non priva di fascino. Massimo Centini si occupa di questo mito da ormai tre decenni e all’argomento ha dedicato alcune ricerche sul campo, tre libri, numerosi articoli, relazioni e un film, “La montagna incantata”, realizzato da Rai2, con la regia di Giovanni Minoli e girato nelle Alpi, Montagne Rocciose e Himalaya. IL LAGO ALPINO NELL’IMMAGINARIO POPOLARE DEL TERRITORIO CHE LO OSPITA. ALCUNI RISCONTRI IN ALTA VAL SUSA Diego Priolo La rasserenante immagine del lago alpino che in genere ci si attende da questo soggetto e che venne probabilmente coniata in epoca tardo romantica, all’interno della scoperta “turistica” del mondo delle Alpi da parte delle classi sociali più abbienti, poche volte si ritrova nelle tradizioni e nell’immaginario delle comunità che vivono in questo ambiente. Analizzando il loro folklore (folk:gente/popolo, lore: essenza) e quando queste testimonianze si sono mantenute genuine e non rinforzate in un intento di rivalutazione della cultura popolare , non è raro infatti cogliere una simile sensazione, per certi versi inaspettata, e questo nonostante l’invaso lacustre possa essere stato antropizzato da tempo. Il lago alpino può apparire così come un “non luogo” ( adattamento dal termine concetto redatto da Marc Augè), una dimensione fisica presente ma non accolta , posta sottoguardia ma ugualmente sfuggente nel silenzio e nella sua apparente tranquillità. Un disagio derivato sostanzialmente dalla mancanza di conoscenze e di strumenti per poterlo affrontare e conoscere. D’altra parte, sebbene esso potesse anche non essere necessariamente coinvolto in una simile relazione, era comunque una realtà oggettiva presente sul territorio e con cui si poteva improvvisamente entrare in contatto, come nel caso di esondazioni distruttive e con vittime, o di annegamenti di animali domestici. Bisognava dunque trovare una mediazione e questo ruolo-funzione venne cercato nell’immaginario, la cui risposta, in genere redatta /elaborata sotto forma di racconto, è risultata spesso la soluzione più soddisfacente per controllare questa difficoltà di accettazione. Il contenuto fantastico in termini di protagonisti, azioni, contesti, avvenimenti, ha infatti permesso il superamento dei limiti cognitivo-strumentali a monte e suggerito soluzioni rassicuranti. In ogni caso, questa peculiarità, per quanto immaginativa possa essere, ad un’analisi attenta del contenuto, emerge chiaramente connessa in qualche modo al vissuto (fatti,culture impostesi in loco e culture entrate in contatto) della comunità e/o del territorio che l’ha utilizzata. Nella lettura popolare del territorio valsusino, sono stati naturalmente coinvolti anche alcuni suoi laghi. Limitandoci all’alta valle, possiamo annoverare: il lago della Vecchia, il lago del Moncensisio, il lago Colombier, i laghi delle Monache, il lago di Saltbertrand, il lago di Bardonecchia ed il lago Nero. Si tratta di una campionatura scelta per il suo variegato e specifico contenuto-risposta, ma chissà quanti altri invasi valligiani furono nel passato al centro di una simile lettura, dimenticata poi o con l’abbandono della zona o con la sparizione di questo singolare palcoscenico acqueo. SULLE TRACCE DI POLLICINO NEL VENTRE DELLE VACCHE. DAL DELFINATO ALLE VALLI OCCITANE DEL PIEMONTE E DAL MICROCOSMO DEL PASTORELLO AL MACROCOSMO DEGLI ASTRI Matteo Rivoira - Christian Abry Nel corso delle sue ricerche sull’immaginario Alpino, Charles Joisten ebbe modo di repertoriare nelle Hautes-Alpes numerose attestazioni del tipo narrativo conosciuto come Thumbling o Pouçot, da noi Pollicino (ATU700). La presenza, tra le versioni raccolte da Joisten, di una fornita da un’informatrice di Abries in Queyras, ma originaria di Maniglia in Val Germanasca, ha fornito lo spunto per iniziare una verifica della diffusione del racconto nelle vallate alpine di palata occitana. È così emersa la diffusione abbastanza estesa di un racconto popolare per bambini (Val Susa, Val Chisone, Val Germanasca, Val Varaita e Valle Stura) al quale Perrault diede fama — in una versione più complessa — con il nome di Pollicino. Il nostro Jan Pëulhét, alias Chi Pouset, alias Trafoulhét, alias …. a pieno titolo può essere dunque considerato un personaggio dell’immaginario anche delle nostre vallate alpine e, come nel caso di altri, seguendolo potremo percorrere le vie dell’Europa e dell’Asia e giungere sino alle stelle. Le vicende del nostro ometto, infatti, in alcune regioni si legano indissolubilmente con quelle che si sono proiettate sugli astri alla ricerca di un senso dell’universo. Lo studio del nostro racconto minimo, per un personaggio minimo nelle misure, ci permette di misurare l’estensione, questa invece assai grande, delle eco delle culture profonde che scavalcano senza rimorsi l’isolamento identitario tanto spesso perseguito di questi tempi istericamente protesi alla costruzione di barriere e scontri di civiltà. DELLA FISICA E D’ALTRE VISIONI Renato Sibille Un percorso attraverso le presenze fantastiche nell’immaginario popolare dell’alta Valle di Susa: mostri, orchi, fate, folletti, animali fantastici e feroci che popolano il territorio da tempo immemorabile, già da prima della colonizzazione umana; storie medievali di santi e di pellegrini legate alla presenza del monastero della Novalesa o della Prevostura di Oulx; tesori favolosi nascosti nelle caverne o sotto le rocce, protetti dal diavolo e lasciati da soldataglie di passaggio tra Cinquecento e Settecento; novelle streghe e maghi malvagi che nell’Ottocento riprendono i libri del sapere richiamando i tempi dell’Inquisizione; ma, soprattutto, i più recenti “giochi di fisica”, con i quali alcuni preti burloni spaventano i propri parrocchiani. I RELATORI Loredana Matonti Laureata in Scienze Naturali, con una tesi di ricerca etnobotanica sulle piante per la demenza senile. E’ impiegata presso il settore Pianificazione e Gestione Aree Protette della Regione Piemonte e lavora nella redazione della rivista Piemonte Parchi. Studiosa di medicine tradizionali e naturopatia, ricercatrice nell’ambito dell’etnobotanica e dell’etnomedicina delle valli piemontesi, ha partecipato a molti congressi scientifici di etnobotanica e fitoterapia e pubblicato diversi lavori. Attualmente sta conducendo ricerche sulla medicina popolare della Val di Susa e di altre valli. Tra le sue pubblicazioni “Piante e rimedi popolari a Salbertrand e in alta Valle di Susa”. Monica Pignatelli Si laurea all’Universitá degli Studi di Torino presso la Facoltá di Lettere Moderne con una tesi di laurea in Antropologia Culturale e Sociale dal titolo “Ipotesi su un mito vissuto: un sabba in Alta Val di Susa”. Frequenta la Scuola di Specializzazione in Antropologia Sociale e Culturale presso l’Universitá degli Studi di Padova, dove consegue il Diploma di Specializzazione in Antropologia Sociale e Culturale. Attualmente é funzionario con il ruolo di coordinamento di Progetti Internazionali e Iniziative Comunitarie presso SKILLAB, il centro di formazione dell’Unione Industriale di Torino. In particolare, segue attività di progettazione, organizzazione e coordinamento di progetti rivolti sia a giovani e fasce deboli con problemi di inserimento/reinserimento nel M.d.L., sia rivolti a personale occupato. Massimo Centini Laureato in Antropologia Culturale, con tesi in Antropologia Criminale, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Si è dedicato allo studio delle attività legate alla religione nelle varie espressioni culturali; ha rivolto particolare attenzione alle problematiche connesse al sincretismo e alla convivenza tra religioni diverse; studia anche le relazioni tra l’attività creativa e quella rituale-religiosa. Si dedica da tanti anni allo studio del folklore occidentale, collaborando con il Centro Studi Tradizioni Popolari dell’Associazione Piemontese di Torino, in cui è stato responsabile coordinatore delle ricerche sul campo e il Centro Studi Valle Imagna. Ha lavorato a contratto nella sezione etnografica del Museo di Scienze Naturali di Bergamo, occupandosi del riordino di alcune collezioni e tenendo corsi per gli insegnanti. Ha insegnato Antropologia culturale all’Istituto di design di Bolzano. Ha collaborato con il Centro Studi di Archeologia Africana di Milano, il Cesmeo di Torino e altri Enti pubblici e privati. Attualmente collabora con l’Università Popolare di Torino dove insegna Antropologia Culturale; è tra i docenti del master di Criminologia organizzato dal “Santo Spirito” di Roma, dove insegna “Storia dell’Antropologia Criminale”. Ha tenuto numerose conferenze in vari Istituti, Associazioni e centri di Ricerca italiani. Ha presentato relazioni e comunicazioni in congressi nazionali e internazionali. Collabora con TuttoScienze de La Stampa, L’Eco di Bergamo, Avvenire, Storia in rete e Radio Rai. Tra le sue pubblicazioni: “L'Uomo Selvatico” (Mondadori), “I Sacri Monti dell'arco alpino” (Priuli & Verlucca), “Le vie della fede e dell'eresia sulle Alpi” (Priuli & Verlucca), “Sulle tracce dei Salassi. Origine, storia e genocidio di una cultura alpina” (Priuli & Verlucca), “I Saraceni nelle Alpi. Storia, miti e tradizioni di una invasione medievale” (Priuli & Verlucca), “Le bestie del diavolo. Gli animali e la stregoneria tra fonti storiche e folklore” (Rusconi 1998), “L’Uomo Selvaggio. Antropologia di un mito della montagna” (Priuli & Verlucca), “Ad fontes. Incursioni letterarie tra storia e antropologia” (Noctua), “La sapienza dei popoli. La ricchezza nascosta della cultura popolare” (Il Cerchio), “La wilderness” (Xenia), “Spiriti di pietra. Culti e divinità delle Alpi italiane e svizzere” (Macchione Editore), “Magia primitiva” (Xenia), “L’animismo” (Xenia), “La metamorfosi” (Xenia), “Il Grande libro delle religioni nel mondo” (Xenia), “La montagna dei segni. I mondi simboli dell’arte alpina” (Priuli & Verlucca), “La medicina popolare” (Xenia), “La peste in Piemonte” (Priuli & Verlucca), “La stregoneria in Valle di Susa” (Susa Libri), “La spada e il ballo. Rito, tradizione e simbolismo delle danze armate” (Susa Libri), “Tradizioni alpine. Viaggio nel folklore delle Alpi” (Edizioni Servizi Editoriali), “Magia e medicina popolare in Piemonte” (Edizioni Servizi Editoriali). Diego Priolo Laureato in Lingue e Letterature Straniere, è docente di Inglese al Liceo Classico G..F. Porporato di Pinerolo. Da anni si interessa di folklore ed in particolar modo della sua dimensione narrativa elaborata/redatta sotto forma di leggenda. Raccoglitore di queste testimonianze sul territorio, ha proposto il frutto della sua ricerca in libri, conferenze ed in convegni. Alcune sue ricerche sono comparse su giornali canadesi e tradotte per i paesi sudamericani. Partecipa come relatore a diversi convegni, tra cui: quello del Comitato Scientifico del CAI (Oropa, 2000), con una relazione sugli animali nell'Immaginario Zoologico Alpino, quello Internazionale di Archeologia (Pinerolo, 2003), con una relazione sulla Tavola del Re, singolare lavagna litica con una sessantina di nomi di pastori incisi, quello Nazionale sul Carsismo (Bossea, 2003), con una relazione sulla dimensione ipogea dell’alta Val Po nella tradizione e nella cultura popolare locale, quello delle Guide Alpine del CAI (Rif.Jervis, Bobbio Pellice, 2009), con una relazione su “La montagna nella leggenda. Lettura di un percorso di accettazione di questa realtà fisica:da primo rifugio dell'uomo a luogo del rifiuto - da luogo dei rifiutati a luogo della sfida umana”. Tra le pubblicazioni: “Gli animali nelle leggende delle Valli Pinerolesi”, opuscolo edito dal Parco Regionale della Val Troncea, con disegni di Sergio Bonino (1991), “Leggende e Tradizioni del Pinerolese” (C.D.A. Torino 1998, coautore con G.V.Avondo), “Il Lupo tra Scienza e Cultura Popolare” (Regione Piemonte, Parco Naturale Val Troncea, Quaderni del Parco n. 3, 2004, coautore), “Laghi Lac Lau. I laghi del Viso, della Val Po, delle valli Pinerolesi, della Val Sangone e della Valle Susa tra natura, storia, tradizioni e leggende” (Alzani Editore, Pinerolo 2010). Matteo Rivoira Nato a Luserna San Giovanni il 24 settembre 1975, cresce a Rorà in Val Pellice. Frequenta il corso di laurea di Lingue e letterature straniere a Torino e, dopo aver incontrato Arturo Genre, intraprende un percorso di studi dedicato alla toponomastica e alla dialettologia. Nel 2000 discute una tesi di laurea sulla toponomastica di Rorà, è chiamato a far parte della Redazione dell'ATPM. Nel 2006, dopo aver superato il corso concorso, è assunto dall'Università di Torino, dove lavora all'ALI (e ATPM). In questi ultimi anni è stato consulente della comunità montana Val Pellice per il progetto di tutela linguistica (occitano e francese), si è addottorato in Romanistica con una tesi sul lessico toponimico in Val Pellice. E' membro del Seggio della Società di Studi Valdesi. Christian Abry Redattore della collana Le Monde alpin et rhodanien, Musée Dauphinois; già Professore all’Université de Grenoble. Renato Sibille Nato in Perù nel 1959, ma originario dell’alta Valle di Susa dove vive e lavora. Laureato in Teatro presso il DAMS dell’Università di Torino con il quale collabora e dove ha conseguito il dottorato in Discipline del Cinema e del Teatro. Dal febbraio 2004 dirige il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand per il quale ha firmato le regie di tutti gli spettacoli e dei film prodotti. Compie studi in campo antropologico, storico, etno-linguistico e teatrale, campi nei quali ha scritto diversi saggi in lingua italiana, occitana e inglese. Ha collaborato e collabora con diverse amministrazioni pubbliche per conto delle quali dirige e coordina progetti sulla cultura locale e sulle lingue minoritarie. Insegna presso il FORMONT Valle Susa e presso l’Istituto Scolastico des Ambrois di Oulx.