CHOZA DA PA CREIR
COSE DA NON CREDERE
Presenze fantastiche nella cultura popolare in area occitana
CONVEGNO
Sabato 30 ottobre 2010
Salbertrand (TO)
Sala Conferenze
Parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand
PROGRAMMA
Ore 14.00 REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI
Ore 14.30 BENVENUTO
- Massimo Garavelli, Presidente del Parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand
- Piero Biolati, Sindaco di Salbertrand
- Roberto Micali, Presidente dell’Associazione ArTeMuDa
INTERVENTI
Le streghe tra magia e realtà: rituali di guarigione e credenze in Valle di Susa
Loredana Matonti
Un sabba in alta Val di Susa: presupposti di un mito vissuto
Monica Pignatelli
L’Uomo Selvaggio: viaggio intorno a un mito della montagna
Massimo Centini
ORE 16.30 BREAK CON PRODOTTI DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
ORE 17.00 RIPRESA DEI LAVORI
Il lago alpino nell’immaginario popolare del territorio che lo ospita. Alcuni riscontri in alta Val Susa
Diego Priolo
Sulle tracce di Pollicino nel ventre delle vacche. Dal Delfinato alle valli del Piemonte e dal microcosmo del pastorello al
macrocosmo degli astri
Matteo Rivoira - Christian Abry
Della fisica e d’altre visioni
Renato Sibille
ORE 18.30 CONSEGNA DEI RICONOSCIMENTI PATRIMOUANË DLA JAN ARTEMUDA 2010
ORE 19.00 CONCLUSIONE DEI LAVORI E DEGUSTAZIONE
Gli interventi saranno inframezzati dai racconti fantastici di Marisa Elleon
ORE 21.00 “ARANHA”, SPETTACOLO TEATRALE
Sala Polifunzionale, Salbertrand (TO)
Con il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand, regia di Renato Sibille
IL CONVEGNO
Come in un viaggio attraverso il mito, la storia e le leggende della cultura popolare alpina occitana, in
particolare dell'Alta Valle di Susa, il convegno intende analizzare le presenze fantastiche che affollano
l'immaginario popolare da diversi punti di vista: storico, culturale, linguistico, artistico, religioso.
Nella stessa giornata debutterà "ARANHA", il nuovo spettacolo del Laboratorio Permanente di Ricerca
Teatrale di Salbertrand, diretto da Renato Sibille. Questo nuovo lavoro del Laboratorio di Salbertrand
intreccia in una tela i fili della storia e della cultura della Valle di Susa con i fili dell'immaginario popolare e
delle sue creature fantastiche. L'aranha, il ragno, intreccia la sua tela e cattura storia e mito, svelandone il
lato segreto.
L’ASSOCIAZIONE ARTEMUDA
L’Associazione ArTeMuDa, affiliata ARCI dal 2006, nasce a Torino il 14 Febbraio 2003. È formata da
operatori culturali e ricercatori con competenze specifiche nei settori artistici del teatro, della musica e
della danza. L’Associazione ha come finalità la diffusione e la ricerca artistica, l’uso dell’espressione artistica
per favorire la creatività individuale e di gruppo, la creazione di un centro di aggregazione territoriale, la
formazione di operatori in ambito artistico e sociale e la divulgazione della conoscenza dell’espressione
artistica attraverso l’organizzazione di seminari, conferenze e laboratori. Le attività dell’Associazione si
rivolgono all’ambito culturale, sociale, educativo e lavorativo.
IL LABORATORIO PERMANENTE DI RICERCA TEATRALE DI SALBERTRAND
Nel gennaio 2004, ArTeMuDa crea il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale che si propone di
scavare nella cultura locale attraverso un approccio di tipo antropologico. Il laboratorio ha prodotto le
dimostrazioni di lavoro Santi Bestie Maniscalchi (2004), Bestië (2005),
L’angelo della peste (2005), Distillare è imitare il sole (2005), il
Carnavà dlu Gueini ‘d Sabaltran (2006), Barbarià (2006), Oltre l’eco
(2007) con il video del quale ha vinto la XII edizione del Valsusa
Filmfest 2008, sezione DOC - ANPI Memoria storica, e infine Ritorno
(2009).
Il Laboratorio si propone di raccogliere e rielaborare frammenti
di memoria, passi solitari lungo sentieri impervi, parole frantumate
sulle pietraie ai margini dei campi non più coltivati, immagini
racchiuse in piccole cose indimenticabili. Le tecniche mediante le
quali il Laboratorio conduce la ricerca trovano fondamento
nell’Antropologia Teatrale, una disciplina che studia l’arte dell’attore
e la sua presenza scenica nel suo aspetto di extraquotidianità.
Una parte fondamentale del lavoro è costituita dall’incontro con
gli abitanti del posto, considerati alla stregua dei grandi maestri poiché custodi del sapere di una terra e dei
suoi gesti. È proprio sul gesto che si concentra essenzialmente la ricerca; quel gesto del mondo contadino che
perdendosi porta con sé le parole che non hanno più ragione di essere dette perché narrano, descrivono,
chiamano quel gesto che produce un lavoro. Il lavoro duro della vita quotidiana ormai lasciata alle spalle, ma
ancora presente nella carne e nella memoria di persone eccezionali in grado di trasmettere l’essenza di
quella vita e di quel mondo.
ASSOCIAZIONE ARTEMUDA
Affiliata ARCI
Via Macerata 1 - 10144 Torino
Tel/Fax: 011-4371919
Cell: 335-7669611
Email: [email protected]
Internet: www.artemuda.it
ABSTRACT DEGLI INTERVENTI
LE STREGHE TRA MAGIA E REALTÀ: CREDENZE E RITUALI DI GUARIGIONE IN VALLE DI SUSA
Loredana Matonti
Le radici della magia affondano nella natura dell’uomo e nella condizione Umana. Ma chi era la strega? La strega era
innanzitutto donna (“La natura le fa streghe”) ma non una donna comune. Il confine tra la strega e la guaritrice è
sempre stato molto sottile e quest’ultima, specie se dedita a pratiche di guarigione rituali, è stata spesso demonizzata.
D’altronde un tempo le cause delle malattie venivano ricercate in elementi esterni che l'ammalato tendeva a
personificare, come la possessione, gli invasamenti,il malocchio e i sortilegi. Ritroviamo ancora nei manoscritti locali e
nella memoria orali di alcuni intervistati le tracce di tali credenze, che prevedevano lo scongiuro della negatività o il
propiziarsi la buona sorte con l’adozione di amuleti, erbe miracolose, parti di animali e altri elementi inusuali basati sul
concetto del “simile magico”. Tra le pratiche terapeutiche più curiose e interessanti documentate in Valle di Susa vi
sono i rituali magico-religiosi di cura, dove con l’ausilio di gesti, segni e preghiere, tramandati oralmente di generazione
in generazione, si curavano svariate patologie, dai vermi al fuoco di Sant’Antonio ai nervi doloranti. Un mondo suggestivo
e misterioso con diversi punti di contatto con analoghe pratiche in altre vallate alpine.
UN SABBA IN ALTA VALLE DI SUSA: PRESUPPOSTI DI UN MITO VISSUTO
Monica Pignatelli
Secondo Mircea Eliade il mito, come il racconto folclorico e la leggenda nelle cosidette società tradizionali, non è una
fantasia astratta, ma al contrario una pura e semplice realtà, una storia vera. In questo senso ho considerato la credenza
che ho registrato nel 1986 in Alta Valle di Susa, riportatami da due anziani valligiani. Intesi, infatti, nel mio studio
affermare il carattere di “esperienza realmente vissuta” della testimonianza; ciò che i miei interlocutori mi hanno
comunicato è per loro reale e si lega ad emozioni profonde che danno un senso alla loro vita: ed è già questo un motivo
per parlarne. Venni a conoscenza quasi per caso della credenza del ballo di Prasserins: un anziano amico di un paese
dell’Alta Val di Susa un giorno mi raccontò della sua partecipazione ad un magnifico ballo la notte della vigilia di San
Giovanni, la notte del solstizio d’estate. Solamente grazie alla mia familiarità con persone che erano il trait d’union tra la
nuova e la vecchia società ho potuto raccogliere le testimonianze. I limiti oggettivi su questo terreno d’indagine erano le
difficoltà riscontrate nel tentativo di una più approfondita conoscenza del gruppo sociale, legata anche dall’uso nella loro
conversazione di un patois locale a me incomprensibile. Notevoli mi sembrarono subito alcuni elementi del racconto del
mio testimone: la partecipazione in spiritu a questo incontro, il magico volo per raggiunger il luogo del ritrovo e i
misteriosi personaggi con i quali gli adepti si intrattengono. Ma col tempo e la nostra frequentazione, i miei due testimoni
arrivarono a non potermi più raccontare nulla. Sembravano, infatti, prendere coscienza della difficoltà di esprimere il
loro sapere, e dei pericoli che comportava una pubblicizzazione eccessiva. Sicuramente la secolare condanna sociale di
tale tipo di credenze ha portato a questo atteggiamento di difesa, di segretezza auto protettiva da parte di chi invece le
condivide. Del resto, come dice M. Eliade, con la decadenza del sacro nella nostra cultura, in cui la realtà è quasi
completamente secolarizzata, laica, il rapporto tra mito e realtà si è capovolto: agli occhi dei contemporanei è una
fantasia priva di realtà, ”una finzione, un’immaginazione”, nelle parole di A. Graf. Pur nella perdita di importanza, è,
però, forse possibile rintracciare un’eco lontanissima della struttura e della funzione originaria del mito nelle forme che
ha preso oggi, nelle sue estreme propaggini: nel racconto folclorico, nella favola, nella leggenda, che a ben vedere
portano ancora racchiuso in loro una scheggia di sacro, in un mondo che ormai lo disconosce.
L’UOMO SELVAGGIO
Massimo Centini
Nelle tradizioni alpine, l'Uomo Selvaggio è una sorta di essere primordiale: vive quasi sempre ai limiti della civiltà e i suoi
atteggiamenti, rispetto all'“uomo civile”, sono caratterizzati da una notevole diffidenza. Strano incrocio tra un uomo e un
animale, è il protagonista di tante leggende delle Alpi, da occidente ad oriente; occupa una posizione importante nei
carnevali, dove spesso impersona l’inverno. Guardando all’interno della mitologia alpina, scopriamo che l’Uomo Selvaggio
viene indicato come “eroe culturale”, cioè colui che ha insegnato qualcosa di fondamentale alla genti montane: arte
casearia, agricoltura, attività mineraria, ecc. Poi, dopo aver trasferito quasi totalmente i propri segreti ai pastori e ai
contadini, fugge nella montagna o nel bosco (perché vittima degli scherzi e dell'incomprensione dell'uomo civile) da cui
non farà più ritorno. Contrassegnato da una serie di “motivi ricorrenti”, l’Uomo Selvaggio presenta comunque peculiarità
e localismi che danno forma a un’articolata struttura mitica di grande interesse scientifico, ma non priva di fascino.
Massimo Centini si occupa di questo mito da ormai tre decenni e all’argomento ha dedicato alcune ricerche sul campo,
tre libri, numerosi articoli, relazioni e un film, “La montagna incantata”, realizzato da Rai2, con la regia di Giovanni
Minoli e girato nelle Alpi, Montagne Rocciose e Himalaya.
IL LAGO ALPINO NELL’IMMAGINARIO POPOLARE DEL TERRITORIO CHE LO OSPITA. ALCUNI
RISCONTRI IN ALTA VAL SUSA
Diego Priolo
La rasserenante immagine del lago alpino che in genere ci si attende da questo soggetto e che venne probabilmente
coniata in epoca tardo romantica, all’interno della scoperta “turistica” del mondo delle Alpi da parte delle classi sociali
più abbienti, poche volte si ritrova nelle tradizioni e nell’immaginario delle comunità che vivono in questo ambiente.
Analizzando il loro folklore (folk:gente/popolo, lore: essenza) e quando queste testimonianze si sono mantenute genuine
e non rinforzate in un intento di rivalutazione della cultura popolare , non è raro infatti cogliere una simile sensazione,
per certi versi inaspettata, e questo nonostante l’invaso lacustre possa essere stato antropizzato da tempo. Il lago alpino
può apparire così come un “non luogo” ( adattamento dal termine concetto redatto da Marc Augè), una dimensione
fisica presente ma non accolta , posta sottoguardia ma ugualmente sfuggente nel silenzio e nella sua apparente
tranquillità. Un disagio derivato sostanzialmente dalla mancanza di conoscenze e di strumenti per poterlo affrontare e
conoscere. D’altra parte, sebbene esso potesse anche non essere necessariamente coinvolto in una simile relazione, era
comunque una realtà oggettiva presente sul territorio e con cui si poteva improvvisamente entrare in contatto, come nel
caso di esondazioni distruttive e con vittime, o di annegamenti di animali domestici. Bisognava dunque trovare una
mediazione e questo ruolo-funzione venne cercato nell’immaginario, la cui risposta, in genere redatta /elaborata sotto
forma di racconto, è risultata spesso la soluzione più soddisfacente per controllare questa difficoltà di accettazione. Il
contenuto fantastico in termini di protagonisti, azioni, contesti, avvenimenti, ha infatti permesso il superamento dei
limiti cognitivo-strumentali a monte e suggerito soluzioni rassicuranti. In ogni caso, questa peculiarità, per quanto
immaginativa possa essere, ad un’analisi attenta del contenuto, emerge chiaramente connessa in qualche modo al
vissuto (fatti,culture impostesi in loco e culture entrate in contatto) della comunità e/o del territorio che l’ha utilizzata.
Nella lettura popolare del territorio valsusino, sono stati naturalmente coinvolti anche alcuni suoi laghi. Limitandoci
all’alta valle, possiamo annoverare: il lago della Vecchia, il lago del Moncensisio, il lago Colombier, i laghi delle
Monache, il lago di Saltbertrand, il lago di Bardonecchia ed il lago Nero. Si tratta di una campionatura scelta per il suo
variegato e specifico contenuto-risposta, ma chissà quanti altri invasi valligiani furono nel passato al centro di una simile
lettura, dimenticata poi o con l’abbandono della zona o con la sparizione di questo singolare palcoscenico acqueo.
SULLE TRACCE DI POLLICINO NEL VENTRE DELLE VACCHE. DAL DELFINATO ALLE VALLI
OCCITANE DEL PIEMONTE E DAL MICROCOSMO DEL PASTORELLO AL MACROCOSMO DEGLI ASTRI
Matteo Rivoira - Christian Abry
Nel corso delle sue ricerche sull’immaginario Alpino, Charles Joisten ebbe modo di repertoriare nelle Hautes-Alpes
numerose attestazioni del tipo narrativo conosciuto come Thumbling o Pouçot, da noi Pollicino (ATU700). La presenza, tra
le versioni raccolte da Joisten, di una fornita da un’informatrice di Abries in Queyras, ma originaria di Maniglia in Val
Germanasca, ha fornito lo spunto per iniziare una verifica della diffusione del racconto nelle vallate alpine di palata
occitana. È così emersa la diffusione abbastanza estesa di un racconto popolare per bambini (Val Susa, Val Chisone, Val
Germanasca, Val Varaita e Valle Stura) al quale Perrault diede fama — in una versione più complessa — con il nome di
Pollicino. Il nostro Jan Pëulhét, alias Chi Pouset, alias Trafoulhét, alias …. a pieno titolo può essere dunque considerato
un personaggio dell’immaginario anche delle nostre vallate alpine e, come nel caso di altri, seguendolo potremo
percorrere le vie dell’Europa e dell’Asia e giungere sino alle stelle. Le vicende del nostro ometto, infatti, in alcune
regioni si legano indissolubilmente con quelle che si sono proiettate sugli astri alla ricerca di un senso dell’universo. Lo
studio del nostro racconto minimo, per un personaggio minimo nelle misure, ci permette di misurare l’estensione, questa
invece assai grande, delle eco delle culture profonde che scavalcano senza rimorsi l’isolamento identitario tanto spesso
perseguito di questi tempi istericamente protesi alla costruzione di barriere e scontri di civiltà.
DELLA FISICA E D’ALTRE VISIONI
Renato Sibille
Un percorso attraverso le presenze fantastiche nell’immaginario popolare dell’alta Valle di Susa: mostri, orchi, fate,
folletti, animali fantastici e feroci che popolano il territorio da tempo immemorabile, già da prima della colonizzazione
umana; storie medievali di santi e di pellegrini legate alla presenza del monastero della Novalesa o della Prevostura di
Oulx; tesori favolosi nascosti nelle caverne o sotto le rocce, protetti dal diavolo e lasciati da soldataglie di passaggio tra
Cinquecento e Settecento; novelle streghe e maghi malvagi che nell’Ottocento riprendono i libri del sapere richiamando i
tempi dell’Inquisizione; ma, soprattutto, i più recenti “giochi di fisica”, con i quali alcuni preti burloni spaventano i
propri parrocchiani.
I RELATORI
Loredana Matonti
Laureata in Scienze Naturali, con una tesi di ricerca etnobotanica sulle piante per la demenza senile. E’ impiegata presso
il settore Pianificazione e Gestione Aree Protette della Regione Piemonte e lavora nella redazione della rivista Piemonte
Parchi. Studiosa di medicine tradizionali e naturopatia, ricercatrice nell’ambito dell’etnobotanica e dell’etnomedicina
delle valli piemontesi, ha partecipato a molti congressi scientifici di etnobotanica e fitoterapia e pubblicato diversi
lavori. Attualmente sta conducendo ricerche sulla medicina popolare della Val di Susa e di altre valli. Tra le sue
pubblicazioni “Piante e rimedi popolari a Salbertrand e in alta Valle di Susa”.
Monica Pignatelli
Si laurea all’Universitá degli Studi di Torino presso la Facoltá di Lettere Moderne con una tesi di laurea in Antropologia
Culturale e Sociale dal titolo “Ipotesi su un mito vissuto: un sabba in Alta Val di Susa”. Frequenta la Scuola di
Specializzazione in Antropologia Sociale e Culturale presso l’Universitá degli Studi di Padova, dove consegue il Diploma di
Specializzazione in Antropologia Sociale e Culturale. Attualmente é funzionario con il ruolo di coordinamento di Progetti
Internazionali e Iniziative Comunitarie presso SKILLAB, il centro di formazione dell’Unione Industriale di Torino. In
particolare, segue attività di progettazione, organizzazione e coordinamento di progetti rivolti sia a giovani e fasce deboli
con problemi di inserimento/reinserimento nel M.d.L., sia rivolti a personale occupato.
Massimo Centini
Laureato in Antropologia Culturale, con tesi in Antropologia Criminale, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Torino. Si è dedicato allo studio delle attività legate alla religione nelle varie espressioni culturali; ha
rivolto particolare attenzione alle problematiche connesse al sincretismo e alla convivenza tra religioni diverse; studia
anche le relazioni tra l’attività creativa e quella rituale-religiosa. Si dedica da tanti anni allo studio del folklore
occidentale, collaborando con il Centro Studi Tradizioni Popolari dell’Associazione Piemontese di Torino, in cui è stato
responsabile coordinatore delle ricerche sul campo e il Centro Studi Valle Imagna. Ha lavorato a contratto nella sezione
etnografica del Museo di Scienze Naturali di Bergamo, occupandosi del riordino di alcune collezioni e tenendo corsi per gli
insegnanti. Ha insegnato Antropologia culturale all’Istituto di design di Bolzano. Ha collaborato con il Centro Studi di
Archeologia Africana di Milano, il Cesmeo di Torino e altri Enti pubblici e privati. Attualmente collabora con l’Università
Popolare di Torino dove insegna Antropologia Culturale; è tra i docenti del master di Criminologia organizzato dal “Santo
Spirito” di Roma, dove insegna “Storia dell’Antropologia Criminale”. Ha tenuto numerose conferenze in vari Istituti,
Associazioni e centri di Ricerca italiani. Ha presentato relazioni e comunicazioni in congressi nazionali e internazionali.
Collabora con TuttoScienze de La Stampa, L’Eco di Bergamo, Avvenire, Storia in rete e Radio Rai. Tra le sue
pubblicazioni: “L'Uomo Selvatico” (Mondadori), “I Sacri Monti dell'arco alpino” (Priuli & Verlucca), “Le vie della fede e
dell'eresia sulle Alpi” (Priuli & Verlucca), “Sulle tracce dei Salassi. Origine, storia e genocidio di una cultura
alpina” (Priuli & Verlucca), “I Saraceni nelle Alpi. Storia, miti e tradizioni di una invasione medievale” (Priuli & Verlucca),
“Le bestie del diavolo. Gli animali e la stregoneria tra fonti storiche e folklore” (Rusconi 1998), “L’Uomo Selvaggio.
Antropologia di un mito della montagna” (Priuli & Verlucca), “Ad fontes. Incursioni letterarie tra storia e
antropologia” (Noctua), “La sapienza dei popoli. La ricchezza nascosta della cultura popolare” (Il Cerchio), “La
wilderness” (Xenia), “Spiriti di pietra. Culti e divinità delle Alpi italiane e svizzere” (Macchione Editore), “Magia
primitiva” (Xenia), “L’animismo” (Xenia), “La metamorfosi” (Xenia), “Il Grande libro delle religioni nel mondo” (Xenia),
“La montagna dei segni. I mondi simboli dell’arte alpina” (Priuli & Verlucca), “La medicina popolare” (Xenia), “La peste
in Piemonte” (Priuli & Verlucca), “La stregoneria in Valle di Susa” (Susa Libri), “La spada e il ballo. Rito, tradizione e
simbolismo delle danze armate” (Susa Libri), “Tradizioni alpine. Viaggio nel folklore delle Alpi” (Edizioni Servizi
Editoriali), “Magia e medicina popolare in Piemonte” (Edizioni Servizi Editoriali).
Diego Priolo
Laureato in Lingue e Letterature Straniere, è docente di Inglese al Liceo Classico G..F. Porporato di Pinerolo. Da anni si
interessa di folklore ed in particolar modo della sua dimensione narrativa elaborata/redatta sotto forma di leggenda.
Raccoglitore di queste testimonianze sul territorio, ha proposto il frutto della sua ricerca in libri, conferenze ed in
convegni. Alcune sue ricerche sono comparse su giornali canadesi e tradotte per i paesi sudamericani. Partecipa come
relatore a diversi convegni, tra cui: quello del Comitato Scientifico del CAI (Oropa, 2000), con una relazione sugli animali
nell'Immaginario Zoologico Alpino, quello Internazionale di Archeologia (Pinerolo, 2003), con una relazione sulla Tavola
del Re, singolare lavagna litica con una sessantina di nomi di pastori incisi, quello Nazionale sul Carsismo (Bossea,
2003), con una relazione sulla dimensione ipogea dell’alta Val Po nella tradizione e nella cultura popolare locale, quello
delle Guide Alpine del CAI (Rif.Jervis, Bobbio Pellice, 2009), con una relazione su “La montagna nella leggenda. Lettura
di un percorso di accettazione di questa realtà fisica:da primo rifugio dell'uomo a luogo del rifiuto - da luogo dei rifiutati
a luogo della sfida umana”. Tra le pubblicazioni: “Gli animali nelle leggende delle Valli Pinerolesi”, opuscolo edito dal
Parco Regionale della Val Troncea, con disegni di Sergio Bonino (1991), “Leggende e Tradizioni del Pinerolese” (C.D.A.
Torino 1998, coautore con G.V.Avondo), “Il Lupo tra Scienza e Cultura Popolare” (Regione Piemonte, Parco Naturale Val
Troncea, Quaderni del Parco n. 3, 2004, coautore), “Laghi Lac Lau. I laghi del Viso, della Val Po, delle valli Pinerolesi,
della Val Sangone e della Valle Susa tra natura, storia, tradizioni e leggende” (Alzani Editore, Pinerolo 2010).
Matteo Rivoira
Nato a Luserna San Giovanni il 24 settembre 1975, cresce a Rorà in Val Pellice. Frequenta il corso di laurea di Lingue e
letterature straniere a Torino e, dopo aver incontrato Arturo Genre, intraprende un percorso di studi dedicato alla
toponomastica e alla dialettologia. Nel 2000 discute una tesi di laurea sulla toponomastica di Rorà, è chiamato a far parte
della Redazione dell'ATPM. Nel 2006, dopo aver superato il corso concorso, è assunto dall'Università di Torino, dove lavora
all'ALI (e ATPM). In questi ultimi anni è stato consulente della comunità montana Val Pellice per il progetto di tutela
linguistica (occitano e francese), si è addottorato in Romanistica con una tesi sul lessico toponimico in Val Pellice. E'
membro del Seggio della Società di Studi Valdesi.
Christian Abry
Redattore della collana Le Monde alpin et rhodanien, Musée Dauphinois; già Professore all’Université de Grenoble.
Renato Sibille
Nato in Perù nel 1959, ma originario dell’alta Valle di Susa dove vive e lavora. Laureato in Teatro presso il DAMS
dell’Università di Torino con il quale collabora e dove ha conseguito il dottorato in Discipline del Cinema e del Teatro. Dal
febbraio 2004 dirige il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand per il quale ha firmato le regie di tutti
gli spettacoli e dei film prodotti. Compie studi in campo antropologico, storico, etno-linguistico e teatrale, campi nei
quali ha scritto diversi saggi in lingua italiana, occitana e inglese. Ha collaborato e collabora con diverse amministrazioni
pubbliche per conto delle quali dirige e coordina progetti sulla cultura locale e sulle lingue minoritarie. Insegna presso il
FORMONT Valle Susa e presso l’Istituto Scolastico des Ambrois di Oulx.