SARDEGNA 2012
Istituto di Ricerca e Formazione nelle Scienze Sociali
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La spedizione
L'Istituto di Ricerca e Formazione nelle Scienze Sociali ha finanziato per l'anno 2012 un
progetto di ricerca etnografica sul campo in Sardegna, in collaborazione con i comuni e le Pro
Loco delle aree interessate, e cerca collaboratori capaci per partecipare attivamente alla
spedizione.
Associate alle attività di ricerca saranno tenute quotidianamente delle lezioni teoriche e delle
esercitazioni pratiche attraverso il Workshop di Antropologia Visuale e Ricerca sul Campo.
Il viaggio avrà inizio il 18 Febbraio 2012 e si concluderà il 26 Febbraio 2012 (le date potranno
essere soggette a lievi cambiamenti):
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partenza da Venezia Marco Polo il 18 Febbraio 2012 – arrivo a Cagliari Elmas.
-
ritorno da Cagliari Elmas il 26 Febbraio 2012 – arrivo a Venezia Marco Polo.
Il viaggio sarà suddiviso in due tappe principali, con numerosi spostamenti sul territorio:
1) Da Cagliari al Paese di Silius: Seminario al Centro Cinematografico Sardo, vita a Siliuis,
paese di pastori e minatori dove vivono le sacerdotesse sarde legate al culto dei morti,
impegnate in cerimoniali, benedizioni ed esorcismi a beneficio della comunità. Lezioni
al mattino, esercizi pratici ed interviste la sera tra le case in pietra tipiche dell’interno
dell’isola.
2) Barbagia: a Sud di Nuoro nell’interno della Sardegna si pernotterà ad Ovodda, il paese
del carnevale sardo meno turistico e maggiormente legato alle antichissime tradizioni
pre-cristiane (i sacrifici animali, il travestimento con gli scarti degli animali uccisi, la
caccia, l’ebbrezza alcolica). Da qui ci si sposterà nei vicini paesi di Mamoiada e Ottana
per altri carnevali (con alcuni elementi comuni, altri invece diversissimi). Visita
all’Istituto Superiore Etnografico della Sardegna a Nuoro, uno dei maggiori centri in
Europa per l’Antropologia Visuale.
Come accade in ogni ricerca sul campo il lavoro da fare sarà faticoso ma molto eterogeneo: si
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potranno sperimentare i vantaggi e i limiti della ricerca individuale o in gruppo, della raccolta
di dati quantitativi e qualitativi, delle differenti possibilità che il ricercatore possiede per
interagire con l’individuo indigeno (le interviste, i questionari, l’osservazione – spesso
partecipante, e l’acquisizione di materiale fotografico e audiovisivo).
Dati per scontati i presupposti di grande adattabilità e della voglia di impegnarsi verso il
raggiungimento di un comune obiettivo, non esistono altri requisiti per partecipare alla
ricerca: tutte le formazione o competenze saranno infatti considerate utili e preziose per il
progetto. Ogni lacuna da parte del candidato sarà appianata attraverso la formazione che
Irfoss si impegna ad offrire ai suoi studenti.
E’ fortemente consigliabile portare con sé una telecamera digitale per svolgere gli esercizi o, in
alternativa, una macchina fotografica digitale con il necessario per importare su computer le
fotografie scattate (non importa la definizione o la qualità).
Le figure a cui ci si rivolge preferenzialmente sono:
 Studenti formati alla mediazione culturale, provenienti dal mondo dell'Antropologia o
dalle Scienze Politiche.
 Sociologi, Psicologi o studenti di Statistica, persone pratiche di raccolta ed elaborazione
dati quantitativi, anche in riferimento alla Demografia.
 Operatori video o fotografi, per la raccolta di immagini fotografiche e la collaborazione
per le riprese del documentario.
 Studenti interessati al teatro e ad una lettura del carnevale e dei processi sociali
sottostanti in un’ottica teatrale.
Pur trattando di argomenti cari all'Antropologia, l'approccio teorico e metodologico della
ricerca è rivolto alla multidisciplinarietà, e quindi saranno considerate indispensabili per la
riuscita di un progetto tutte le abilità pregresse di ogni partecipante, linguistiche, pratiche o di
qualsiasi altra natura.
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Prima e dopo il viaggio saranno organizzati dei seminari di preparazione (spiegando nel
dettaglio le attività che intraprenderemo, i compiti di ognuno e le prevenzioni necessarie per
un campo di lavoro tanto particolare). In occasione di questi incontri sarà distribuito tutto il
materiale necessario per la preparazione individuale.
In quanto Istituto di Ricerca e Formazione, Irfoss coprirà le spese riguardanti tutti gli aspetti
relativi all'organizzazione dello stage, dei corsi sul campo e delle varie tappe della ricerca: i
materiali didattici, i seminari introduttivi e le lezioni con i docenti locali, le apparecchiature
necessarie per la ricerca, il lavoro dei mediatori locali, le spese di organizzazione del viaggio,
tutti gli spostamenti all'interno dell’isola (con un pullman privato) e l'assicurazione medica
(stipulata con Europ Assistance, comprende tutte le spese mediche di emergenza e il ritorno
immediato in caso di malattia o infortunio). Al termine della ricerca verrà rilasciato un
certificato attestante le abilità e le competenze conseguite durante il periodo di studio, firmato
dai docenti responsabili del progetto. Chi fosse interessato potrà far riconoscere l'esperienza
di ricerca sul campo come tirocinio universitario, con la maturazione dei relativi crediti
formativi universitari.
Le spese, comprendenti l’alloggio in stanze doppie, il biglietto aereo di andata e ritorno, e i
pasti nell’area di Silius, sono in totale di 490,00 euro, per i quali sarà rilasciata ricevuta o
fattura.
Per l'invio della candidatura e per maggiori informazioni si prega di inviare il
Curriculum Vitae aggiornato, accompagnato da una lettera di auto-presentazione,
all'indirizzo:
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Workshop di Antropologia Visuale e
Ricerca sul Campo
Oltre agli incontri preliminari e ai seminari nei maggiori centri dedicati all’Antropologia
Visuale in Sardegna, Il Workshop si svilupperà attraverso attività giornaliere per l’intera
durata del viaggio. L’obiettivo finale sarà quello di permettere in breve tempo ai partecipanti,
alla conclusione del Wokshop, di essere già in grado di lavorare autonomamente utilizzando al
meglio tutte le metodologie e le apparecchiature legate all’Antropologia Visuale. Per questa
ragione l’esperienza proposta da Irfoss non sarà solo un corso teorico e pratico, ma una prima
reale esperienza sul campo, faccia a faccia con le difficoltà pratiche, i limiti e le grandi
opportunità derivanti dalle metodologie visuali.
-
La mattina si terranno delle lezioni teoriche con l’antropologo e documentarista Dott.
Riccardo Bononi e con la Dott.ssa Valentina Del Greco responsabile per la ricerca sui
Carnevali Barbaricini.
-
Le lezioni verteranno sulla storia dell’immagine etnografica, sull’uso della fotografia
come metodologia di ricerca sul campo e sul passaggio dall’immagine fissa
all’immagine in movimento con il supporto delle tecnologie audiovisive.
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Le lezioni avranno un carattere spiccatamente pratico, mirando ad insegnare anche a
chi non ha mai avuto esperienza in quel campo come sfruttare con intelligenza e con
risultati professionali le apparecchiature in proprio possesso. Il workshop si pone
come obiettivo quello di permettere al ricercatore sociale di essere autonomamente in
grado di utilizzare tutte le metodologie dell’Antropologia Visuale per le proprie attività
di ricerca sul campo future.
-
Il Workshop sarà una full immersion intensiva nel mondo dell’immagine orientato alla
pratica: la mattina saranno presentate delle tecniche di fotografia e di ripresa, il
pomeriggio queste potranno essere messe alla prova direttamente sul campo
attraverso una collaborazione attiva con la ricerca in atto.
-
A fianco ad un addestramento tecnico sull’uso delle apparecchiature, sarà dato spazio
anche al ragionamento sull’immagine etnografica: sapere come fotografare o filmare
qualcosa dovrà sempre essere accompagnato dal sapere “cosa” riprendere, da
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un’attenzione al soggetto della fotografia, alla sua scelta, alla scelta degli elementi da
includere nell’inquadratura e, nel caso di un soggetto umano, alle interazioni tra questo
e la persona che sta dietro alla macchina da presa.
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Ogni lezione avrà sempre e comunque come finalità un’applicazione pratica; ogni
consiglio, anche il più teorico, potrà essere subito ricondotto alla pratica durante le
esercitazioni previste.
-
Saranno forniti consigli riguardanti gli errori più frequenti commessi dai videomaker
alle prime armi. Si parlerà anche di consigli davvero molto pratici e materiali, ma non
scontati per chi non ha le spalle numerose ore di lavoro sul campo: come scegliere
l’attrezzatura giusta in base al campo e al budget, come proteggerla, come fare il
backup dei dati in assenza di elettricità, cosa è indispensabile avere e cosa invece
sarebbe solo di impiccio, come muoversi, ad esempio nel terzo mondo, tenendo in
mano apparecchiature pesanti, fragili e costose.
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I Carnevali Barbaricini in Sardegna
Il progetto di IRFOSS sui Carnevali sardi utilizza come base gli studi condotti nel 2005 dalla
Dott.ssa Valentina Del Greco e coordinati dal docente di Storia del Teatro e dello spettacolo
Giovanni Azzaroni dell’Università Alma Mater Studiorum Bologna. La ricerca è rivolta
all'analisi dei presupposti rituali dei Carnevali di una particolare zona della Sardegna, la
Barbagia.
L'interesse verso i carnevali ancora in uso in Barbagia è nato dalla constatazione che in questa
regione, caratterizzata da un certo isolamento geografico e culturale rispetto al resto dell'isola,
si possono riscontrare in maniera più evidente i legami dei fenomeni carnevaleschi con le loro
origini rituali e magico-religiose risalenti ad un'epoca pagana.
Lo studio di questi legami permette inoltre di portare in luce il rapporto dell'attuale società
barbaricina con la tradizione e con l’assetto socioculturale del passato.
Oltre alle letture socio-antropologiche, la particolarità dei travestimenti in uso nei Carnevali
barbaricini fornisce l'occasione per una riflessione approfondita sulla funzione rituale e
teatrale della maschera. Il Carnevale, in quanto evento pubblico, è una messa in scena in cui
ogni attore sociale inscena un ruolo preciso, e non solo mentre è mascherato: la lunga
preparazione, le processioni, i movimenti, i canti e l’attenta creazione di maschere e costumi
sono il frutto di un apprendimento implicito, di meccanismi di acculturazione di imitazione
dei bambini nei confronti degli adulti. Sapere cosa fare durante un Carnevale, e sapere quando
e come farlo, è un’arte che si tramanda oralmente da secoli, stratificando simbolismi e rituali
appartenenti ad epoche e tradizioni diverse.
Il gruppo di lavoro di IRFOSS attraverso la ricerca sul campo preceduta da interventi teorici
avrà modo di studiare le diverse simbologie e i vari significati dei carnevali a cui si assisterà,
con l'obiettivo da una parte di ricostruire le origini e la storia di ciascun carnevale e,
successivamente, cercare di capire il ruolo attuale dei carnevali nella società barbaricina, la
funzione che viene attribuita loro dalla popolazione che mantiene viva la tradizione.
Gli orizzonti di indagine saranno quindi:
–
lo studio delle fonti storiche dei carnevali e l'analisi delle loro evoluzioni;
–
la registrazione delle diverse fasi dei carnevali;
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–
l'analisi sociologica degli abitanti coinvolti (età, professione, ruolo all'interno della
comunità);
–
il loro rapporto con la cultura tradizionale,
–
la percezione di sé in relazione al proprio Carnevale e l'immagine di questo si vuole
trasmettere all'esterno;
–
il rapporto con il turista e i fruitori esterni.
Gli strumenti per la ricostruzione storica saranno le pochi fonti scritte a disposizione e
raccolte in una bibliografia che verrà fornita ai partecipanti prima del corso, mentre
fondamentale sarà il ruolo della documentazione audiovisiva e le interviste ai protagonisti dei
carnevali e alla popolazione locale.
L’omologazione culturale in Sardegna ha tardato a far sentire i suoi effetti: fino a pochi anni fa
infatti sopravvivevano qui contesti economici e sociali che potevano ancora esprimere la
particolare cultura sarda. La caratteristica di questa regione è infatti da millenni quella
dell’isolamento, che ha permesso ai suoi abitanti di conservare un forte legame con il proprio
passato e con la propria tradizione, nonostante la Sardegna dall’età dei Romani sia stata
continuamente sottoposta a dominazioni straniere.
Mentre le zone costiere, investite dall’ondata di un turismo prima elitario e diventato con gli
anni di massa, hanno subito già da tempo una radicale trasformazione degli assetti culturali ed
economici tradizionali, la Barbagia ha mantenuto intatti modi di vita e usanze ereditate dal
passato più a lungo rispetto al resto della Sardegna. La zona è infatti caratterizzata da rilievi
aspri coperti di boschi; le comunicazioni tra i diversi paesi sono disagevoli tanto che ogni
agglomerato è a sua volta un’isola, separata dalle altre da vasti spazi in cui non c’è traccia
dell’intervento umano. Le attività su cui si reggeva l’economia barbaricina erano
essenzialmente l’agricoltura e la pastorizia, che hanno dato vita a un sistema economico e
sociale rimasto a lungo immutato.
La morfologia del territorio aiuta a comprendere le dinamiche storiche e culturali della
Barbagia e della Sardegna in generale; inoltre, gli avvenimenti storici che ha vissuto l’isola
sono fondamentali nello studio del suo folklore, per cogliere il modo con cui le diverse
influenze hanno agito sulla cultura sarda.
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In numerosi aspetti della cultura sarda è possibile riscontrare gli esiti prodotti dalle influenze
delle diverse culture con cui la Sardegna è progressivamente venuta a contatto. La base della
particolare continuità del popolo sardo con la propria tradizione è stato il processo con cui i
fattori culturali acquistavano diversi significati e funzioni nel corso della storia. I vari aspetti
della cultura sarda si sono sedimentati nel tempo, trovando delle nuove collocazioni ed
esprimendo di volta in volta nuovi significati; quindi la sopravvivenza di elementi originari di
un’epoca arcaica è stata possibile grazie alla rifunzionalizzazione attuata dalla popolazione.
Nella storia della Sardegna sono individuabili diversi esempi di questo processo: possiamo
infatti riscontrare tracce della religione pagana riassorbita dal cristianesimo, come, ad
esempio, l’immagine degli dei pagani che viene riadattata al ruolo di demoni; oppure le
processioni per propiziare la pioggia, condotte ora in onore dei Santi cristiani, o, ancora,
pratiche pagane riconvertite in credenze magiche e superstiziose. Allo stesso modo sono
sopravvissuti elementi risalenti alla religione bizantina nel culto popolare, mentre le feste
stagionali di propiziazione agricola hanno trovato un nuovo contesto di elaborazione nel
Cristianesimo, coincidendo con le festività cristiane.
Nel panorama del folklore sardo, il Carnevale della Barbagia è attualmente la manifestazione
più evidente di questo processo, rivelando palesi legami con la tradizione pagana:
caratterizzati soprattutto dall’utilizzo di pelli e altre parti di animali come forma di
mascheramento, I Carnevali Barbaricini mettono in scena principalmente la rappresentazione
del rapporto uomo-animale. In una società dedita principalmente alla pastorizia e alla caccia,
non è difficile immaginare che questo rapporto si riduca spesso a quello tra preda e predatore.
Tuttavia in Sardegna sembra attuarsi una commistione più profonda, in cui uomini e animali, e
i loro rispettivi ruoli, scompaiono perdendosi in ibridi umanoidi capaci di riassumere le
caratteristiche originarie di entrambi: uomini che cacciano animali e che per farlo devono essi
stessi diventare animali da preda; gli animali, predati e uccisi, con il loro sacrificio permettono
questa trasformazione.
Queste caratteristiche permettono di collegare i Carnevali della Barbagia ad un’età
precristiana in cui venivano celebrate cerimonie magico-propiziatorie, durante le quali
venivano sacrificati animali per propiziare una buona annata agricola e il rinnovo delle forze
della natura dopo l’inverno. Con l’introduzione del Cristianesimo questi rituali hanno perso
parte del loro significato religioso originario, ma sono rimasti vivi nella cultura barbaricina,
continuando ad esprimere l’esigenza del pastore e del contadino di superare la crisi
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rappresentata dal momento di transizione della fine del ciclo riproduttivo. La
rappresentazione del rapporto uomo-animale rifletteva la realtà concreta della vita in
Barbagia, dove le attività economiche costringevano l’uomo a trovarsi costantemente a
contatto con le bestie; questo rapporto dialettico tra uomo –animale scatenava delle paure
inconsce, quali il rischio di una metamorfosi e simbiosi con l’animale o che questo, da
mansueto e sottomesso, si trasformi in un essere pericoloso. Ciò veniva rappresentato ogni
anno nel Carnevale; la società pagana che aveva dato vita a queste forme rituali era tramontata,
ma esse trovavano un nuovo senso e una nuova collocazione nella cultura cristiana.
Analizzando i Carnevali che si festeggiano oggi in Barbagia ci si rende conto che il contesto
culturale sta radicalmente cambiando; l’economia agro-pastorale ha subito importanti
trasformazioni, e le esigenze della popolazione barbaricina si uniformano a quelle del
“continente”. L’introduzione dell’industria e del turismo in Sardegna sta avendo i suoi effetti
anche in Barbagia; quindi, studiando i Carnevali di questa regione, non ci si può più riferire al
solo contesto tradizionale, ma ad uno nuovo, in costante evoluzione, in cui convivono ancora
arcaico e moderno. Partendo dal presupposto che nella cultura popolare sopravvivano
soprattutto quegli elementi capaci di esprimere un particolare bisogno o funzione, è
necessario domandarsi il motivo per il quale i Carnevali barbaricini stiano sopravvivendo e
sotto quali forme.
Il progetto di IRFOSS prenderà in esame tre Carnevali barbaricini ritenuti maggiormente
significativi per un’analisi comparativa tra zone a differente grado di sviluppo turistico: il
Carnevale di Mamoiada, di Ottana e Ovodda.
I primi due, i più famosi anche fuori dai confini dell'isola, sono accomunati dalla presenza di
costumi e travestimenti zoomorfi (maschere rappresentanti il muso di un animale più o meno
stilizzate, pelli di animale e campanacci). E’ infatti possibile ricondurre le maschere dei due
paesi agli stessi archetipi figurativi.
Il carnevale di Ovodda si differenzia da questi in quanto non è caratterizzato da nessuna
maschera particolare, o costume tipico. Questo aspetto, che allontana il carnevale di Ovodda
da ogni forma di omologazione o tentativo di istituzionalizzazione, risulta molto interessante
per i tratti di spontaneità dionisiaca e trasgressione iconoclasta che lo contraddistinguono.
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OVODDA
Il carnevale di Ovodda si distingue dagli altri della zona per la completa spontaneità e per la
violenza dei suoi festeggiamenti. Si celebra il mercoledì delle ceneri e ha come momento
fondamentale l'eliminazione del fantoccio di Don Conte: un grande fantoccio trainato da asini
che tiene in mano il suo enorme fallo, personificazione secondo la tradizione di un feudatario
realmente esistito, che viene fatto sfilare tutto il giorno per le vie della città e successivamente
sottoposto a processo e gettato in una scarpata al confine del paese.
Non esiste una maschera specifica nel carnevale ovoddese, ma ogni partecipante si tinge il viso
con la fuliggine della cenere, parodia del gesto liturgico cattolico che si celebra il mercoledì
delle ceneri.
A parte questa usanza, il resto dei travestimenti è affidato alla fantasia di ognuno, e spesso si
ritrovano esibizioni di capretti sgozzati, pelli di pecora e orecchie di maiale ancora grondanti
di sangue. La caratteristica che colpisce maggiormente nel carnevale ovoddese è la violenza e
la libertà dei festeggiamenti: è infatti uno degli unici carnevali in cui è mantenuta l'originale e
anarchica sovversione dell'ordine stabilito.
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MAMOIADA
Le maschere dei mamuthones e degli issohadores del paese di Mamoiada sono quelle che
godono di maggiore notorietà anche a livello internazionale.
Le due tipologie di maschere sfilano insieme durante il carnevale seguendo uno schema
rituale estremamente codificato che lo accomuna a una rappresentazione mimica di tipo
teatrale.
I protagonisti di questa sorta di processione danzata sono i Mamuthones che, pur indossando
una nera e “diabolica” maschera antropomorfa, rivestono il ruolo della “bestia”, tramite la loro
mimica e il travestimento composto da pelli di pecora e campanacci. Nella pantomima il loro
ruolo è quello dei vinti e sottomessi, ruolo opposto e complementare all'altra maschera
mamoiadina, gli issohadores. Queste figure indossano un abito elegante di influenza spagnola,
la berritta sarda, una fune e in alcuni casi una maschera bianca.
La figura dell'issohadore rappresenta la legge del pastore che cattura e lega la bestia
trasformandola in animale mansueto. Durante la processione i mamuthones avanzano in
corteo a passi brevi, pesanti e cadenzati, con salti perfettamente sincronici e cadenzati. Gli
issohadores si mantengono a lato e davanti e scortano il corteo, e ogni tanto coinvolgono il
pubblico catturando una o più persone con il loro laccio, la soha.
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OTTANA
Le maschere tipiche del Carnevale di Ottana sono quelle che in maniera più esplicita
rappresentano la dialettica uomo-animale.
Anche in questo caso, esistono due figure principali: i merdules e i boes.
I merdules (l'etimologia sarda del termine è mere=padrone e ule= buoi) sono le maschere
antropomorfe caratterizzate da una maschera lignea dai tratti duri, grezzi, spesso grottesche e
deformi. Il loro travestimento è inoltre composto da grandi pelli di pecora bianche, fune di
cuoio, dei bastoni con cui domare l'animale e spesso anche un tamburello utilizzato in
campagna per spaventare gli animali.
L'altra figura del carnevale di Ottana è quella zoomorfa del boe, costituite da raffinate
maschere dal muso taurino e lunghe corna. I boes indossano inoltre delle pelli di pecora bianca
e campanacci.
La pantomima dei boes e merdules si basa sull'azione complementare delle due maschere: i
merdules seguono i boes tentando di domarli e assoggettarli attraverso il bastone o la fune.
I boes procedono con saltelli cadenzati al suono dei campanacci; ogni tanto si agitano creando
scompiglio tra la gente o inscenando tentativi di ribellione verso il merdule rifiutandosi di
camminare o gettandosi a terra. Il merdule quindi interviene colpendoli con la frusta o il
bastone.
Un'altra figura tipica del carnevale i Ottana è sa filonzana, l'unica figura femminile dei
carnevali della zona (impersonata comunque da un uomo).
Sa filonzana è una figura lugubre di vecchia gobba vestita di nero, che indossa una maschera
lignea nera simile a quella del merdule. La sua unica azione è quella di tessere il filo del fuso
che tiene tra le mani, filo che secondo la tradizione rappresenta la vita che la filonzana può
recidere con le forbici che tiene in mano. Anche in questo caso la simbologia è di origine
antichissima, si pensi alle Parche nella mitologia classica, vecchie che tessevano il destino
umano e, al momento della morte, recidevano il filo della vita.
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Le Vestali di Sardegna
Progetto Documentaristico
Durante gli ultimi due anni l’Istituto di Ricerca e Formazione nelle Scienze Sociali di Padova ha
avuto la fortuna di poter collaborare con la Dott.ssa Leila Oppo e di venire a conoscenza della sua
interessante e innovativa ricerca sul campo in Sardegna sul fenomeno delle “Priorisse”. Da questa
collaborazione, e dalla fiducia che Irfoss ripone nella validità e nell’interesse rappresentato da tale
ricerca, è nata l’idea di finanziare un ulteriore periodo di raccolta di dati sul campo con l’intento di
trascrivere la ricerca con i termini e le metodologie dell’Antropologia Visuale, producendo con la
collaborazione delle autorità locali un documentario etnografico. Di seguito sarà presentato in modo
essenziale uno scorcio sul panorama della Sardegna rurale in cui questo affascinante fenomeno si è
sviluppato.
Ancora ignorato dai più, esiste oggi in Sardegna un fenomeno sociale saldamente radicato
all’antichissima tradizione locale e, allo stesso tempo, ai moderni equilibri delle piccole comunità in
cui si manifesta: il fenomeno delle Priorisse. Queste donne possono essere incontrate in quasi tutta
l’isola, a seconda del paese in cui ci si trova cambia però il nome con cui vengono chiamate. Che
siano “Priorisse”, “Prioresse”, “Priorisseddas” o che addirittura non abbiano un nome specifico,
queste donne sono tutte accomunate, nella loro pur spiccata diversità, da un ruolo preciso all’interno
della comunità di appartenenza, legato alle attività della Chiesa ufficiale, ma non a questa
subordinato, simbolo di una spiritualità che ha trovato nei secoli una forma di espressione popolare
indipendente dalle istituzioni nazionali. Per quanto la storia sembri essersi fino ad oggi dimenticata
di loro, così come la maggior parte dei sardi ne ignori l’origine e l’importanza, oggi come nel
passato queste donne sono sempre state ritratte in prima fila in ogni rituale della comunità, ad ogni
processione, al fianco di ogni morto e dietro ad ogni statua o icona della cristianità. Allo stesso
tempo sono dedite a pratiche tradizionali più intime, nascoste dallo sguardo della comunità ed in
particolare dalla Chiesa ufficiale: sono pratiche legate all’intercessione con il mondo dei morti, da
cui traggono il potere di benedire i viventi, di scacciare il male in ogni sua forma, di praticare
lunghe e complesse forme di esorcismo.
Nonostante il loro nome, le Priorisse non sono come si potrebbe credere le mogli del Priore, ma
sono state chiamate così per enfatizzare l’importanza e il prestigio legato alla proprie attività rituali.
Queste, radicalmente diverse a seconda della zona in cui ci si trova, sono in quasi tutti i casi legate
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alla devozione della Madonna, alla cura ed alla compassione verso chi ha perso qualcuno di caro,
all’intercessione rituale tra il regno dei vivi e quello dei morti. Nella pratica quotidiana le Priorisse,
la cui carica si tramanda annualmente di donna in donna, sono persone moderne, lavorano, hanno
una famiglia e degli interessi anche al di fuori del proprio ruolo rituale. Spesso sono invisibili, di
loro non si parla quasi mai nelle cronache ufficiali della Chiesa (se non talvolta denunciandone
l’eccessivo potere e indipendenza), e quella parte della popolazione a conoscenza della loro
presenza sul territorio ne ignora quasi sempre la storia e le esatte mansioni svolte.
L’analisi di questa figura della tradizione sarda, condotta dalla Dott.ssa Oppo in collaborazione con
Irfoss, ha portato a rintracciarne le origini nei documenti almeno dalla fine del XVIII secolo, anche
se gli aspetti simbolici dei rituali, delle preghiere e delle modalità di trasmissione dei poteri e delle
conoscenze sembrano mettere in luce le analogie con altre sacerdotesse dedite ad un culto esclusivamente femminile come le antiche Vestali romane. Queste avevano anticamente il compito di offrire gratuitamente un servizio pubblico per la città sia di natura spirituale che pratica, preparando e
presiedendo a tutti i rituali sacri della vita comunitaria. Lo stesso ruolo, altrove non considerato più
essenziale, che oggi ha in Sardegna la Priorissa.
Le origini antichissime non sono tuttavia il solo elemento che accomuna il fenomeno in tutta la
Sardegna. Procederemo ora ad elencare brevemente i motivi per cui queste donne rappresentano un
caso unico e rappresentativo della cultura e della tradizione sarda nel suo complesso:
-
Si tratta di un potere esclusivamente femminile, tramandato da secoli da donna a donna solo
sulla base di un bagaglio di conoscenze orali. Prerequisito è l’essere sposate, possibilmente
di avere figli e un lavoro (per le Assistenti è invece richiesta la verginità o, più
modernamente, il nubilato). E’ una carica rivolta quindi a donne non solo forti
spiritualmente, ma anche economicamente e socialmente. Attraverso la struttura dietro a
questo incarico di grande prestigio, viene affermato un potere assolutamente femminile non
antagonista di quello maschile: non è un tentativo di “imitare” o eguagliare il potere degli
uomini, ma di creare un potere parallelo totalmente al femminile; non viene rivendicata né
l’uguaglianza né la parità tra sessi, ma è invece affermata la differenza e, all’interno di
questa, la presenza di un grande potere sociale che non potrebbe mai essere spartito con gli
uomini. Si tratta di un’evoluzione secolare di una forma di femminismo inedita e parallela a
quella occidentale, dove non si rifiuta la maternità o il matrimonio, non si nega la morte e la
vecchiaia attraverso trucchi e chirurgie plastiche, ma si riconosce il potere che può derivare
da queste realtà.
-
L’assegnazione del ruolo è molto ambita e difficile da ottenere, in alcuni paesi sono
necessari anni di preparazione e la lista di donne candidate è davvero lunga.
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Le Priorisse sono custodi del tesoro della Vergine, a cui da secoli aggiungono offerte in oro,
argento e pietre preziose (il tesoro è custodito in una cassetta di sicurezza in banca registrato
sotto il nome della Madonna).
-
È un fenomeno non istituzionale, non regolato o subordinato dagli organi ufficiali della
Chiesa Cattolica. Il rapporto con questa, anche se per lo più di reciproca tolleranza e collaborazione, ha creato e continua a creare accesi scontri e dibattiti tra le due realtà che si contendono il ruolo di guide spirituali dei fedeli. Sono numerose le testimonianze raccolte di sacerdoti cristiani che condannano il fenomeno, altri che fanno di tutto per arginarlo, altri ancora che invece lo accettano senza troppo sospetto. Tentativi di regolamentare la figura della
Priorissa in modi ufficiali sono stati effettuati anche dalle più alte cariche ecclesiastiche,
come testimonia il documento sulle confraternite emanato dall’Arcidiocesi di Oristano nel
1873 in cui si fa preciso riferimento al caso delle Priorisse.
-
Quella delle Priorisse è una tradizione unica, con radici antichissime (legate anche ai fenomeni di inversione unici dei carnevali sardi, in cui uomini e donne si scambiano per un giorno i ruoli, imitando e parodiando il genere opposto), ma sopravvive anche in zone molto turistiche, non notate dal gran numero di visitatori.
-
Il fenomeno dimostra che proprio in Sardegna si erano evolute delle dinamiche sociali davvero innovative per l’epoca, al punto che in Italia e in Europa si sarebbero raggiunte solo
molti anni più tardi: le prime forme di democrazia (in alcuni paesi la Priorissa era eletta dal
popolo con votazione segreta estesa a tuti gli abitanti senza distinzioni) e di estensione alla
donna di cariche e ruoli con valenze politiche e religiose.
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Note Storiche sulla Cultura Sarda
La cultura sarda fissò i tratti della sua civiltà nell'era nuragica le cui tracce sono riscontrabili in
qualche tratto recesso della cultura popolare.
Le civiltà protosarde, ossia antecedenti all'invasione romana, risalgono all'età paleolitica –
l’età prenuragica- e si estendono fino all'apice dell’era nuragica. Con l'età nuragica la società
sarda si struttura in tribù e si dedica prevalentemente all'attività della pastorizia, attività che
ha caratterizzato l'economia dell'isola fino a tempi molto recenti. Le tribù si organizzano
intorno al nuraghe, torre di pietra con la funzione di fortificazione e difesa a pianta circolare,
visibili ancora ai nostri giorni. La religione dell'epoca nuragica si basava su un animismo
incentrato sul culto della Dea Madre, principio generatore di vita, a cui era complementare la
figura di una divinità maschile, rappresentata da un toro o da un simbolo fallico. I Sardi
assorbirono le influenze delle dominazioni stratificandole e riadattandole al nucleo culturale
originale, quello nuragico. Tracce d culti nuragici si trovano in molti aspetti della cultura
tradizionale sarda, ad esempio il culto delle acque e delle pietre.
La particolare collocazione della Sardegna all'interno del Mediterraneo, una posizione
tatticamente essenziale per la supremazia marittima sul Tirreno, l'ha resa particolarmente
esposta alle invasioni esterne, la prima delle quali è riconducibile ai Fenici, che si insidiarono
lungo le coste meridionali e, con l'aiuto di Cartagine, riuscirono a spingersi verso l'interno ai
confini della Barbagia (che tuttavia restò inespugnata). Successivamente alle guerre puniche, il
controllo dell'isola passò ai Romani, che dominarono l'isola fino all'epoca cristiana. Furono
proprio i Romani a cristianizzare l'isola, a partire dal I secolo. L'impatto decisivo con la nuova
religione si ebbe però soltanto attraverso la diffusione dell'elaborazione bizantina del
Cristianesimo. I sardi reagirono all'instaurarsi della nuova religione non cancellando i culti
precedenti, ma conservando le matrici pagane e rimodellandole su moduli cristiani (e questo
avvenne soprattutto a livello popolare, mentre i ceti più abbienti appoggiavano e diffondevano
la cultura dei nuovi dominatori).
Dopo il XI secolo, sull'isola si alternarono le dominazioni delle Repubbliche di Pisa e Genova e,
a partire dalla fine del XIII secolo, quella degli Aragonesi. La Sardegna rimase sotto il dominio
spagnolo fino alla metà del XVIII secolo, quando, dopo una parentesi di dominazione francese,
passò sotto i Savoia prima e il Regno d'Italia dopo il 1861.
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