5.3 Generazione distribuita 5.3.1 Introduzione Definizioni La generazione distribuita può essere definita come la generazione di energia elettrica in impianti di piccola taglia, posti a ridosso delle utenze. In caso di località molto lontane dalle reti elettriche questi impianti possono alimentare singole utenze o microreti isolate, ma la soluzione più comune prevede l’interfacciamento con le reti elettriche di distribuzione, a media o bassa tensione (fig. 1). Gli impianti per la generazione distribuita possono essere suddivisi in due grandi categorie: gli impianti che utilizzano fonti di energia rinnovabili con processi che generalmente non prevedono l’utilizzazione di cicli termodinamici (per esempio, i sistemi fotovoltaici alimentati da energia solare, gli aeromotori alimentati da energia eolica, le piccole turbine idroelettriche) e quelli, assai centrale di generazione con funzione di riserva primaria e di riserva secondaria linee di trasporto primario o AT centrali a energia rinnovabile centrale di generazione di punta stazioni di trasformazione MT/BT stazioni di trasformazione AT/MT linee di distribuzione MT turbina a gas motore a combustione interna fotovoltaico microcogenerazione cabina di ricezione celle a combustibile utenze residenziali utenze industriali utenze terziario fig. 1. Generazione distribuita e interfacciamento con la rete. AT, Alta Tensione; MT, Media Tensione; BT, Bassa Tensione. VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ 435 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI più comuni e strategicamente significativi, che si basano sull’utilizzazione di combustibili (di origine fossile, o rifiuti, o biomasse) e coinvolgono processi termodinamici, che portano a generare oltre all’energia elettrica anche energia termica a bassa temperatura. Per questa seconda tipologia, è razionale utilizzare, oltre all’energia elettrica, anche il calore a bassa temperatura, traendo vantaggio dalla vicinanza fisica fra il punto in cui il calore è cogenerato e l’utenza termica. In questo caso, si parla di microcogenerazione o cogenerazione distribuita. Nel seguito, per questi impianti, si parlerà di rendimento elettrico (he) con riferimento al rapporto tra potenza elettrica utile e potenza termica fornita, di rendimento termico (ht) con riferimento al rapporto tra potenza termica utile e potenza termica fornita, di rendimento totale (htot) con riferimento al rapporto tra potenza totale utile e potenza termica fornita; ciò significa che htot⫽he⫹ht. In altre parole il rendimento elettrico rappresenta la percentuale di calore fornito dal combustibile che viene convertito in energia elettrica, mentre il rendimento termico rappresenta la percentuale di calore altrimenti utilizzato (il termine rendimento senza ulteriori specificazioni verrà invece usato, in particolare nel caso di motori termici, con riferimento al tradizionale rapporto lavoro meccanico/calore fornito). Quando alla generazione di energia elettrica e calore si aggiunge la produzione di freddo, il termine più corretto diviene microtrigenerazione. Vengono di seguito descritte le tecnologie, sia disponibili commercialmente, sia oggetto di ricerca e sviluppo di microcogenerazione e microtrigenerazione, alimentate da combustibili fossili (principalmente gas naturale). Campi di applicazione I settori applicativi in cui oggi è più diffusa la microcogenerazione sono il terziario, la piccola e media industria e il residenziale. In un’ottica di più lungo termine, spazi di mercato interessanti per le applicazioni di microcogenerazione potrebbero venire anche, su scala più ridotta, dalle applicazioni domestiche, dove l’esistenza di un numero molto elevato di potenziali clienti potrebbe dar luogo a potenze installabili di gran lunga superiori a quelle previste per il settore terziario. Se prendiamo l’esempio limite di microgenerazione, cioè l’applicazione monofamiliare domestica, la prospettiva affascinante è quella di sostituire gradualmente il mercato delle ‘caldaiette’ domestiche a gas naturale (un mercato che in molte nazioni vede ritmi annui di unità installate di svariati milioni di pezzi) con oggetti che abbiano le stesse caratteristiche di sicurezza, semplicità di uso e installazione, ma che siano in grado di coprodurre energia elettrica e calore, in modo ‘intelligente’, vale a dire recuperando sempre integralmente il calore e concentrando la produzione di energia elettrica nei periodi in cui è più pregiata. Questo consentirebbe di immettere in rete grandi quantità 436 di energia, che verrebbe generata con un rendimento totale all’incirca unitario (imbattibile, dal momento che anche le centrali di grande potenza per sola generazione di energia elettrica non arrivano al 60%), per di più concentrata in ore pregiate ed esente dalle perdite di rete. La fonte energetica più promettente per la microcogenerazione, sia per la sua capillarità di diffusione, sia per le sue caratteristiche di pulizia, sia infine per la sua compatibilità con le tecnologie più avanzate, è il gas naturale. È opinione diffusa che, soprattutto nella fase di decollo di queste tecnologie, serva un quadro normativo-tariffario agevolante, che dovrà trarre motivazione dai potenziali benefici energetici e ambientali: la microcogenerazione, se correttamente gestita, può infatti consentire importanti vantaggi in termini di risparmio di energia primaria, che si traducono in minori emissioni di gas inquinanti, rispetto alla generazione separata di energia elettrica, che è generalmente basata su un mix di combustibili (oltre al gas, olio combustibile e carbone) che hanno, anche a pari consumo di energia primaria, una maggiore emissione specifica di CO2. Inoltre, le emissioni specifiche di sostanze nocive, in particolare NOx, SOx, PTS (Particolato Totale Sottile) di un microcogeneratore a gas possono essere sensibilmente inferiori (quando non sostanzialmente nulle, come nel caso di SOx e PTS per alimentazione a gas naturale e di NOx per le celle a combustibile) rispetto a quelle delle centrali termoelettriche che immettono energia elettrica sulla rete. Una preoccupazione ricorrente, quando si parla di generazione distribuita, è il possibile aumento locale di inquinanti nelle aree metropolitane, causato dalla maggiore utilizzazione di combustibile rispetto alle caldaie tradizionali. Per evitare queste critiche, solo in parte fondate, visti i tempi di permanenza e le distanze di percorrenza degli inquinanti gassosi nell’atmosfera, è fondamentale – e la tecnologia oggi lo permette – che la microcogenerazione punti a motori caratterizzati da emissioni specifiche minori rispetto a quelle delle caldaie tradizionali (Macchi et al., 2005). Tecnologie energetiche e rendimenti Esiste una vasta tipologia di sistemi di generazione di energia elettrica da combustibili fossili. In generale, all’aumentare della taglia si assiste a un incremento dei rendimenti elettrici ottenibili, ma la situazione è in realtà assai complessa. In fig. 2 sono rappresentate, insieme alle tecnologie di generazione elettrica adottate nelle grandi centrali, le varie tecnologie che sono di seguito descritte; le diverse tecnologie sono infatti a diversi stadi di evoluzione tecnologica: alcune sono disponibili commercialmente, altre a livello di impianti dimostrativi, altre infine a livello di prototipi da laboratorio. Si va da rendimenti elettrici di bassa percentuale dei sistemi termofotovoltaici (TPV, ThermoPhotoVoltaic), a rendimenti superiori al 70% dei sistemi ibridi. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA 80 fig. 2. Rendimento elettrico 70 cicli combinati cicli ibridi con FC⫹turbina a gas 60 rendimento elettrico (%) in funzione della potenza, nei sistemi di produzione di energia elettrica. SOFC, Solide Oxide Fuel Cell; PEM, Polymer Electrolytic Membrane; PAFC, Phosphoric Acid Fuel Cell; MCFC, Molten Carbonate Fuel Cell; USC, Ultra Super Critical; IGCC, Integrated Gasification Combined Cycle; TGHD, Turbina a Gas Heavy Duty (per applicazioni industriali); TGAD, Turbina a Gas AeroDerivative (di derivazione aeronautica); TV, Turbina a Vapore. celle a combustibile 50 C MCF SOFC FC PA 40 PEM USC e IGCC 30 TGHD TGAD motori a combustione interna microturbine a gas motori Stirling 20 10 TV TPV 0 10⫺1 1 102 10 103 104 105 106 taglia impianto (kW) I rendimenti elettrici elevati sono certamente importanti, ma la pratica cogenerativa dà spazio, in termini di risparmi energetici, anche a tecnologie con rendimenti elettrici moderati, quando operano con recupero di calore totale (meglio se recuperano anche il calore di condensazione), come mostrato nella fig. 3, in cui le due rette identificano le prestazioni energetiche di un sistema basato sulla generazione ‘separata’ di energia elettrica e calore: la retta verde identifica i sistemi di generazione elettrica e termica attualmente presenti nelle maggiori nazioni industrializzate, quella rossa lo ‘stato dell’arte’ delle tecnologie; si nota come tutte le tecnologie di microcogenerazione si collochino in posizione 5.3.2 Tecnologie di microgenerazione Motori alternativi a combustione interna Principio di funzionamento, prospettive e applicazioni cogenerative I Motori a Combustione Interna (MCI) sono stati studiati e utilizzati a partire dalla seconda metà del 19° secolo cicli ibridi con celle a combustibile ⫹turbina a gas 100 IRE⫽0 scenario avanzato 90 IRE⫽0 scenario convenzionale celle a combustibile MCFC e SOFC 80 rendimento elettrico (%) fig. 3. Prestazioni energetiche di sistemi di microcogenerazione a recupero integrale del calore nel piano rendimento elettrico in funzione del rendimento termico. IRE, Indice di Risparmio Energetico. migliore rispetto alle due rette e abbiano quindi più ampi margini di risparmio energetico. 70 celle a combustibile PAFC e PEM 60 50 motori a combustione interna 40 microturbine a gas motori Stirling 30 20 sistemi TPV 10 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 rendimento termico (%) VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ 437 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI e hanno conosciuto uno sviluppo industriale grandissimo grazie alla loro diffusione nelle applicazioni di trazione (su autoveicoli e in campo ferroviario), di propulsione (su aerei e in ambito navale) e in molteplici applicazioni stazionarie (motopompe, gruppi elettrogeni, compressori aria, ecc.). Nell’ambito della generazione distribuita, si impiegano motori con taglia variabile da pochi kWe (usi residenziali) fino a circa 10 MWe. Tra le varie tecnologie disponibili per la microgenerazione, i MCI hanno l’indubbio vantaggio di costituire una tecnologia matura e ampiamente diffusa, caratterizzata da un’elevata affidabilità, con rendimenti elevati e costi relativamente contenuti. Elementi svantaggiosi sono invece il costo di manutenzione piuttosto elevato, una certa rumorosità di funzionamento, la presenza di vibrazioni e la necessità di impiegare sistemi di abbattimento degli inquinanti per raggiungere livelli di emissioni (NOx, CO) confrontabili con quelli delle tecnologie concorrenti, quali le turbine a gas. Da considerare con attenzione anche il tema della vita utile che, nel caso delle applicazioni cogenerazione, deve essere ben superiore a quella dei motori automobilistici. Si ricorda che i motori alternativi a combustione interna (v. cap. 8.1) vengono classificati, in base al ciclo termodinamico, in motori a ciclo Otto (motori ad accensione comandata) e motori a ciclo Diesel (motori ad accensione spontanea); in funzione della modalità con cui è realizzato il ciclo di lavoro, possono essere a due o quattro tempi. Nel seguito si farà riferimento ai soli motori a quattro tempi, di gran lunga i più diffusi nel campo della cogenerazione. Si ricorda ancora che il ciclo Otto ideale si compone di quattro trasformazioni (due isocore e due adiabatiche isoentropiche): compressione adiabatica dal PMI (Punto Morto Inferiore) al PMS (Punto Morto Superiore), combustione istantanea isocora, espansione adiabatica dal PMS al PMI, scarico naturale isocoro. Il rendimento del ciclo Otto ideale è dato da: T1 ⫺T4 1 h ⫽1⫺ 1121 ⫽1⫺ 23 T3⫺T2 r g⫺1 冢冣 ove g è il rapporto tra il calore specifico a pressione e a volume costante e r è il rapporto di compressione volumetrico (z⫽V1 / V2 ), cioè il rapporto tra i volumi disponibili al PMI e al PMS. Per realizzare il ciclo Otto reale si devono considerare le seguenti quattro fasi: • aspirazione o ammissione, necessaria per introdurre nel cilindro, in rapporto generalmente vicino al valore stechiometrico, la miscela aria-combustibile (benzina o gas naturale), attraverso l’apertura della valvola di aspirazione (dal PMS al PMI); • compressione della miscela (dal PMI al PMS), cui segue la combustione; la miscela è accesa mediante una scintilla provocata da una candela; è importante 438 che la miscela non si accenda spontaneamente per effetto delle elevate temperature che si instaurano durante la compressione (detonazione), e pertanto i rapporti di compressione volumetrici sono limitati da questa esigenza (all’incirca 10:1); • espansione dei gas combusti realizzando la fase utile (dal PMS al PMI); • scarico forzato, successivamente allo scarico naturale (dal PMI al PMS), con espulsione dei gas combusti residui attraverso la valvola di scarico aperta. Si ricorda infine che il ciclo Diesel si differenzia in modo sostanziale dal ciclo Otto, in quanto: • durante la fase di compressione viene compressa solamente aria, il che rende possibile realizzare rapporti di compressione volumetrici elevati (indicativamente intorno a 20:1) senza le problematiche di detonazione presenti nei motori Otto. Questa differenza si traduce in un importante vantaggio termodinamico, in quanto il rendimento del ciclo Diesel ideale risulterebbe inferiore a quello del ciclo Otto, a parità di rapporto di compressione; tuttavia nel caso reale i motori Diesel possono impiegare rapporti di compressione maggiori e quindi raggiungono rendimenti più elevati; • il combustibile è iniettato nel cilindro alla fine della compressione tramite un sofisticato sistema di iniezione ad alta pressione e la combustione inizia spontaneamente a causa dell’alta temperatura dell’aria. Al contrario di quanto avviene nei motori a ciclo Otto, il combustibile impiegato nei motori Diesel deve accendersi spontaneamente alle temperature di fine compressione e la combustione avviene in modo più graduale, idealmente a pressione costante; • il rapporto aria/combustibile è maggiore di quello stechiometrico nel funzionamento a piena potenza; ai carichi parziali viene ridotta la quantità di combustibile a parità di aria aspirata nel cilindro, dunque il rapporto aria/combustibile cresce ulteriormente; nei MCI a ciclo Otto invece il rapporto aria/combustibile rimane generalmente pressoché costante, mentre viene variata la quantità di miscela elaborata nel cilindro agendo su un’apposita valvola a farfalla che crea una perdita di carico nei condotti di aspirazione. Per questo motivo i motori Diesel hanno rendimenti ai carichi parziali superiori a quelli dei motori a ciclo Otto. Dal punto di vista degli sviluppi della tecnologia degli MCI, è da notare che le sperimentazioni e le ricerche stanno conducendo verso soluzioni termodinamiche innovative che tendono ad avvicinare sempre di più il ciclo Otto al ciclo Diesel, prospettando l’adozione di motori che coniughino i vantaggi termodinamici e ambientali dei due differenti tipi di ciclo: si pensa a motori a carica magra che raggiungono elevati rapporti di compressione (alti rendimenti), intermedi tra gli attuali motori ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA Otto e i Diesel, con presenza contemporanea di candela di accensione e di iniezione diretta di combustibile in camera di combustione. I motori a combustione interna sono caratterizzati da un’ampia flessibilità di utilizzazione. In particolare, possono funzionare a differenti regimi di rotazione e a frazioni del carico molto diverse, passando rapidamente da una condizione di funzionamento all’altra. Inoltre richiedono tempi relativamente brevi di avviamento e sono adatti a lavorare in condizioni ambientali molto variabili. A differenza di quanto accade nell’impiego automobilistico, nelle applicazioni cogenerative il motore è fatto funzionare a giri costanti, con una velocità di rotazione scelta in relazione alla frequenza di rete richiesta e alle caratteristiche dell’alternatore. La fig. 4 mostra le prestazioni in termini di rendimento elettrico per tre valori del carico richiesto (100%, 75% e 50%) per alcuni motori cogenerativi funzionanti a gas naturale, a pari condizioni ambientali. Combustibili rendimento elettrico (%) I motori a combustione interna possono utilizzare una grande varietà di combustibili. I motori Diesel per applicazioni stazionarie impiegano gasolio o per lo più gas naturale in miscela con il gasolio (motori dual fuel) e in casi sporadici, certamente non compatibili con gli obiettivi ecologici alla base della cogenerazione, possono anche utilizzare olio pesante (diesel lenti a due tempi). I motori a ciclo Otto utilizzano benzina, gas naturale, propano oppure anche gas con basso potere calorifico come il gas da discarica o il biogas. Nel caso di motori per cogenerazione, il combustibile di gran lunga più utilizzato è il gas naturale, per le sue caratteristiche di compatibilità ambientale, la disponibilità assicurata dalla rete di distribuzione e il vantaggio di assenza di serbatoi per il combustibile e dei necessari rifornimenti periodici. Il suo utilizzo riduce inoltre gli oneri di manutenzione e in generale prolunga la vita utile dei motori. 40 39 38 37 36 35 34 33 32 31 30 500 kWe 250 kWe 125 kWe 100% 75% 50% 10 100 potenza elettrica (kWe) fig. 4. Prestazioni di motori a combustione interna a gas naturale per tre valori del carico richiesto (100%, 75%, 50%). VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ 1.000 Caratteristiche tecnologiche Nei motori a gas naturale a ciclo Otto per cogenerazione, il combustibile è iniettato nei condotti di aspirazione e forma una miscela solitamente vicina al valore stechiometrico; il rapporto di compressione non supera normalmente valori compresi tra 9:1 e 12:1, per evitare la detonazione della carica, anche se nel caso del gas naturale ci si avvantaggia di un potere antidetonante maggiore rispetto alle benzine normalmente impiegate nei motori per autotrazione (numero di ottano prossimo a 120 contro 95-100 delle benzine). In alcuni casi, in cui si usano miscele magre (con rapporto aria/combustibile superiore al valore stechiometrico) per avere basse emissioni di NOx e alti rendimenti, si parla di motori di tipo lean burning. Tali motori vengono costruiti predisponendo una precamera posta in comunicazione con la camera di combustione nella quale avviene l’accensione di una miscela ricca, che poi entra nel cilindro e consente la combustione della rimanente carica che presenta invece un eccesso d’aria. Lo stesso effetto può essere ottenuto realizzando una ‘carica stratificata’, ossia facendo in modo che la miscela a contatto con la candela presenti bassi valori del rapporto aria/combustibile (vicini al valore stechiometrico), mentre il resto della carica è costituito da una miscela magra. Il rendimento elettrico dei motori a gas ad accensione comandata va dal 27% delle piccole unità (50 kWe) fino al 38% circa di quelli da 500 kWe, per raggiungere il 45% nei grandi motori che mettono a disposizione potenze elettriche dell’ordine dei MWe. Per le applicazioni di taglia più piccola (1-5 kWe), destinate a usi domestici, si impiegano generalmente motori a ciclo Otto monocilindrici a quattro tempi, funzionanti a gas naturale, dotati di catalizzatore a tre vie od ossidante (per i MCI a carica magra). Il rendimento elettrico dei MCI di questo tipo oscilla tra il 20 e il 25%, con rendimenti totali prossimi all’85-90%. Molti motori a gas ad accensione comandata per cogenerazione derivano costruttivamente da motori Diesel realizzati per altri scopi. La trasformazione a gas impone ovviamente l’aggiunta di una candela per l’accensione e la diminuzione della potenza nominale del motore (al 60-80%) per evitare il fenomeno della detonazione; come conseguenza, il costo unitario al kWe installato tende a crescere rispetto ai Diesel da cui derivano. I motori a gas naturale a ciclo Diesel (dual fuel ) per cogenerazione sono invece motori Diesel funzionanti prevalentemente a gas naturale, con l’aggiunta di una piccola percentuale di gasolio (1-10%) che ha la funzione di provocare l’autoaccensione della carica e di favorire la lubrificazione di alcuni componenti del motore. Il gas naturale può essere iniettato in due modalità sostanzialmente differenti: a bassa pressione nel collettore di aspirazione (mentre il gasolio è iniettato nel cilindro) o ad alta pressione direttamente in camera di combustione 439 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI Parametri energetici, economici e ambientali Il rendimento elettrico e il costo specifico dei MCI risentono di effetti di scala, come si può osservare dai diagrammi di fig. 5, in cui le potenze dei motori in ascissa sono riportate in scala logaritmica. Il motore a combustione interna si presta all’utilizzo in cogenerazione in quanto rende disponibile calore di scarto recuperabile da diverse fonti e il recupero termico è possibile senza modifiche al ciclo termodinamico. In tab. 1 è rappresentato il bilancio energetico in un tipico MCI di taglia media (500 kWe). È da notare che il calore è disponibile a diversi livelli termici: l’intercooler rende disponibile calore a 50-60 °C, l’olio del sistema di lubrificazione a temperature comprese tra 75-85 °C, mentre il circuito di raffreddamento è invece generalmente a una temperatura media di 90-95 °C. Complessivamente, il calore recuperabile da questi circuiti ammonta al 25% circa rispetto all’energia termica entrante con il combustibile. I gas combusti in uscita dal motore si trovano invece a una temperatura che oscilla tra 400 e 500 °C; il calore disponibile a questo livello di temperatura (idoneo, per esempio, per produrre vapore) è circa il 30% rispetto all’energia termica entrante con il combustibile. I MCI sono adatti a utilizzazioni cogenerative, soprattutto quando è richiesto calore a bassa temperatura (per esempio, per la produzione di acqua calda per riscaldamento), eventualmente affiancato da una moderata richiesta di calore a temperatura intermedia (per esempio, per la produzione di vapore per un processo industriale). In fig. 6 è rappresentato uno schema tipico di recupero termico per produzione di acqua calda, in cui il recupero dalle varie sorgenti termiche avviene disponendo le sorgenti stesse in serie, nel senso delle temperature crescenti. 440 42 rendimento elettrico (%) 40 38 36 34 32 30 28 26 10 A 100 1.000 potenza elettrica (kWe) 4.500 4.000 costo (euro/kWe) insieme all’iniezione di gasolio. Nel primo caso la potenza nominale deve esser ridotta all’80-95% per i motivi già esposti; nel secondo caso non si ha in pratica una riduzione della potenza sviluppata dal motore. I motori a combustione interna sono spesso dotati di sovralimentazione mediante turbocompressore, in particolare per le taglie superiori a qualche decina di kWe . Il sistema è solitamente abbinato a uno scambiatore di calore (intercooler) che effettua l’inter-refrigerazione dell’aria uscente dal compressore, al duplice scopo di aumentarne ulteriormente la densità e ridurre il lavoro di compressione del motore. La sovralimentazione con inter-refrigerazione aumenta la potenza del motore diminuendone i costi specifici; inoltre, nella maggior parte dei casi, migliora il rendimento e riduce le emissioni inquinanti (in particolar modo NOx). Il rapporto di compressione realizzato dal turbocompressore è normalmente dell’ordine di 1,5-2,5:1, ma esistono realizzazioni in cui si arriva a un rapporto 4:1. 3.500 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500 0 1 B 10 100 1.000 potenza elettrica (kWe) fig. 5. Rendimento elettrico (A) e costo (B) in funzione della taglia (potenza elettrica installata) per alcuni motori a combustione interna. Per quanto riguarda le emissioni inquinanti, nel caso di motori a ciclo Otto per cogenerazione a gas naturale, i livelli di emissione si avvantaggiano delle ottime caratteristiche del combustibile, che essendo più pulito di gasoli e benzine offre anche il vantaggio di contenere i tab. 1. Bilancio energetico in un MCI di taglia media (500 kWe) Energia elettrica 37% Intercooler 7,5% Olio di lubrificazione 6,4% Acqua di raffreddamento 10,6% Calore recuperato dai fumi 24,6% Perdite elettriche e ausiliari 1,5% Perdite termiche 6% Calore di scarto 6,4% Energia chimica associata al combustibile (PCI, Potere Calorifico Inferiore) ⫽100 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA fig. 6. Schema di impianto a recupero per produzione di acqua calda. utenza termica fumi motore caldaia a recupero scambiatore di calore ausiliario T riduttore raffreddamento olio acqua circuito raffreddamento motore costi di manutenzione del motore e di allungarne la vita utile. Anche nel caso dei motori Diesel si riducono quindi praticamente a zero le emissioni di particolato. Tuttavia, in un MCI i livelli di emissioni inquinanti sono comunque elevati se paragonati con altri impianti in cui la combustione è esterna o con le turbine a gas, che sono macchine a flusso continuo in cui il processo di combustione è regolare e più facilmente controllabile. Il motivo è da ricercare nella natura stessa dei motori, nei quali le reazioni di combustione avvengono all’interno del cilindro in tempi ridotti e con temperature molto variabili; a ciò si aggiunga che i gas sono messi in contatto con le pareti relativamente fredde del motore, per cui lo strato limite vicino alle pareti è sede di una cattiva combustione. Le principali emissioni inquinanti di un MCI sono: • monossido di carbonio (CO), che si forma ad alta temperatura per bassi valori del rapporto a aria/combustibile (miscele ricche); • idrocarburi incombusti (HC) che si formano nelle zone a bassa temperatura e per bassi valori del rapporto a; • ossidi di azoto (NOx) la cui formazione è favorita dalle alte temperature di combustione. Per rispettare le normative vigenti è sempre necessario prevedere interventi specifici per ridurre le emissioni, durante e/o a valle della combustione. Tra i rimedi durante il processo di combustione, è diffuso l’utilizzo, nel caso dei motori a ciclo Otto, dei motori a miscela magra (lean burning), che consentono di limitare le emissioni di CO e di contenere le temperature di fiamma e quindi la formazione di NOx e permettono rapporti di compressione più alti, con benefici in termini di rendimento. Un altro rimedio in sede di combustione, utilizzato prevalentemente nel caso dei motori Diesel, è l’utilizzo di una valvola che consente il ricircolo di una parte dei gas combusti all’interno della carica fresca aspirata dal motore (EGR, Exhaust Gas Recirculation). In questo modo si diluisce la carica fresca contenendo le temperature in fase di combustione (i fumi inoltre hanno un contenuto d’acqua che aumenta la capacità termica della carica) e ottenendo una VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ riduzione di NOx formati. Anche l’inter-refrigerazione apporta benefici sulle emissioni di NOx, in quanto limita le temperature al termine della fase di compressione e quindi anche quelle durante la combustione. Per quanto riguarda invece i rimedi a valle della combustione è possibile intervenire inserendo nel condotto di scarico dei catalizzatori. Per i motori a ciclo Otto si può utilizzare un catalizzatore a tre vie, in grado contemporaneamente di ossidare CO e HC e di ridurre gli NOx presenti nei gas di scarico, a condizione che il funzionamento avvenga con miscele aria/combustibile prossime al valore stechiometrico. Pertanto sono necessari una misura del tenore di ossigeno nei gas di scarico (sonda lambda, indice del rapporto di miscela) e un controllo in retroazione che agisce sul dosaggio del combustibile. Nel caso dei motori Diesel e per i motori a ciclo Otto funzionanti con miscela magra si utilizza invece un catalizzatore solo ossidante, attivo in particolare nei confronti di CO e HC. Pertanto in questi motori occorre contemporaneamente adottare altri accorgimenti per la riduzione degli NOx (EGR, camere di combustione ad alta turbolenza o a carica stratificata). Altri catalizzatori, usati solo in applicazioni di taglia medio-grande, sono quelli di tipo SCR (Selective Catalytic Reduction), che prevedono l’utilizzo di ammoniaca o di urea da iniettare a monte del catalizzatore per la riduzione degli NOx. Da ultimo, per il controllo del particolato nei motori Diesel, si possono adottare filtri antiparticolato (DPF, Diesel Particulate Filter), che trattengono le particelle e sono periodicamente rigenerati per autocombustione causata dall’adozione temporanea di miscele ricche nel motore o dall’iniezione di piccole quantità di combustibile a monte del filtro stesso. Motori a ciclo Stirling Principio di funzionamento Il motore a ciclo Stirling, la cui invenzione risale alla prima metà del 19° secolo, si basa su un ciclo chiuso che impiega un gas come fluido di lavoro. Essendo un sistema 441 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI a ciclo chiuso, il gas può essere qualsivoglia, in particolare azoto, aria, elio (quest’ultimo è il più usato per le sue migliori caratteristiche di scambio termico). Il gas si trova all’interno di un cilindro alle estremità del quale si trovano due stantuffi (pistoni), uno di compressione (stantuffo freddo) e uno di espansione (stantuffo caldo); all’interno del cilindro si hanno due zone (zona fredda e zona calda), separate da un rigeneratore, cioè da una matrice metallica (fili o nastri) in grado di immagazzinare o cedere calore; il rigeneratore può essere attraversato dal gas da cui riceve o a cui cede calore. I due stantuffi si muovono fra un punto morto esterno e un punto morto interno a contatto con il rigeneratore rispettivamente comprimendo il gas e facendolo espandere; due scambiatori di calore raffreddano il gas nella zona fredda e lo riscaldano nella zona calda (fig. 7 A). Il ciclo Stirling ideale è costituito da due isoterme e da due isocore (fig. 7 B); più in dettaglio si hanno le seguenti fasi: • la prima fase (tratto 1-2) consiste nella compressione del fluido, che avviene in condizioni idealmente isoterme, sottraendo al gas una quantità di calore Qout , equivalente al lavoro di compressione, e mantenendo il gas stesso alla temperatura minima Tmin ; • la seconda fase (tratto 2-3) consiste in un riscaldamento isocoro: prima che lo stantuffo freddo arrivi nel punto morto interno, inizia a muoversi il pistone di espansione; i due stantuffi si muovono simultaneamente e alla stessa velocità, realizzando così lo spostamento del fluido senza variare il volume complessivo interposto tra i due stantuffi; passando attraverso il rigeneratore, il gas subisce quindi il riscaldamento isocoro e la sua temperatura cresce fino a raggiungere il valore massimo Tmax della camera di espansione; l’incremento di temperatura a volume costante dovuto all’assorbimento del calore rigenerato QR da parte del gas ne causa un aumento di pressione; • la terza fase (tratto 3-4) consiste nell’espansione del fluido; mentre lo stantuffo di compressione rimane al punto morto interno, l’altro pistone continua la sua corsa verso il punto morto esterno, dando appunto la possibilità al fluido di espandersi e compiere lavoro; anche questa trasformazione è supposta isoterma, poiché il fluido attraverso le pareti assorbe una quantità di calore Qin equivalente al lavoro di espansione compiuto; • la quarta e ultima fase (tratto 4-1) consiste in un raffreddamento isocoro: entrambi i pistoni si muovono ancora simultaneamente, quello della camera di espansione verso il punto morto interno e quello di compressione verso quello esterno; il fluido di lavoro torna alle sue condizioni iniziali di temperatura e pressione minime del ciclo, cedendo al rigeneratore il calore QR assorbito nella fase 2-3. 442 zona di compressione zona di espansione rigeneratore 1-2 Qout pistone 2-3 4-1 2-3 4-1 Qin 3-4 A A T p⫽p3 espansione isoterma Qin 3 isocora (v⫽cost) p⫽p4 4 p⫽p2 Q rigenerato p⫽p1 isocora (v⫽cost) 2 1 Qout compressione isoterma S B fig. 7. Schema di funzionamento di un motore Stirling (A) e diagramma termodinamico ideale nel piano T, S (B). In sintesi, il fluido di lavoro viene trasferito avanti e indietro tra le due zone calda e fredda mediante il movimento dei pistoni del motore; il sistema scambia calore con l’esterno solo lungo le due isoterme, raccordate dalle due isocore rigenerative; il lavoro utile del ciclo è dato dalla differenza tra il lavoro durante la fase di espansione e quello durante la fase di compressione (entrambe le fasi sono isoterme). In tali condizioni ideali si può affermare che il sistema realizza il massimo rendimento possibile, ossia lo stesso che avrebbe un ciclo di Carnot operante tra le medesime temperature. Nel caso del ciclo reale, il rendimento si riduce a causa di varie perdite: a) trasformazioni non perfettamente isoterme; b) limitata conducibilità e capacità termica del rigeneratore (con tempi di residenza del fluido limitati); c) attrito tra componenti solidi in moto ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA rendimento totale 9 90 8 80 7 70 6 60 5 temperatura acqua 50 °C 50 4 temperatura acqua 65 °C 40 3 30 2 20 1 rendimento elettrico e totale (%) 100 10 potenza elettrica (kWe) fig. 8. Potenza elettrica, rendimento elettrico e rendimento totale di un motore Stirling cogenerativo da 9 kWe al variare del carico e delle temperature di mandata dell’acqua. 10 rendimento elettrico 0 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 potenza (% di nominale) relativo; d) attriti fluidodinamici (perdite di carico, fenomeni dissipativi legati alle inversioni del moto); e) scambi termici verso l’esterno (non adiabaticità); f ) scambi termici tra i componenti della macchina; g) fughe di fluido e trafilamenti; h) presenza di un volume morto. Caratteristiche tecnologiche Una caratteristica fondamentale dei motori Stirling è l’introduzione di calore dall’esterno tramite uno scambiatore di calore, alimentato per esempio da un sistema di combustione esterna: ciò consente di adattarne il funzionamento a qualsiasi tipo di combustibile (comprese biomasse e gas a ridotto potere calorifico), senza necessità di processi di gas clean up particolari, in quanto i prodotti di combustione non entrano a contatto con le parti meccaniche della macchina, o di sfruttare come fonte termica esterna una qualsivoglia sorgente di calore di scarto, purché a temperatura sufficientemente elevata. Ciò costituisce la differenza principale e vantaggiosa rispetto al motore a ciclo Otto a combustione interna. Il processo di combustione continua che deriva da questa caratteristica permette al motore di funzionare in modo estremamente regolare e silenzioso, esente da vibrazioni, producendo emissioni inferiori rispetto ai motori tradizionali e richiedendo interventi di manutenzione assai ridotti. Anche la vita utile è elevata, con valori caratteristici compresi tra 40.000 e 60.000 ore secondo il modello e il costruttore. Tutte queste caratteristiche rendono il motore Stirling un candidato promettente per il settore della generazione distribuita, soprattutto nel caso di applicazioni cogenerative di piccola scala. Il rendimento dei motori Stirling ha una variabilità assai ampia, dipendente dalla taglia e dal tipo di costruzione, con valori compresi fra circa l’8 e il 40%. Le ricadute applicative più importanti spaziano da modelli da pochi kWe , sviluppati per uso specificatamente domestico, a unità da qualche decina o centinaio VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ di kWe , per usi industriali. Nel caso delle macchine più piccole sono in fase di sviluppo soluzioni originali per modelli da circa 1 kWe che sfruttano cinematismi particolari quali la guida meccanica con piatti oscillanti (wobble yoke) per la conversione del moto alternato in rotativo o la tecnologia free-piston e l’accoppiamento del pistone con un alternatore lineare, che genera direttamente energia elettrica a corrente alternata (Lane e Beale, 1997). Parametri energetici, economici e ambientali La fig. 8 mostra un esempio di andamento della curva di rendimento elettrico e di rendimento totale per un’unità di ciclo Stirling da 9 kWe. Il bilancio presentato nella tab. 2 fa invece riferimento a un livello di rendimento elettrico del 20%, che si può ritenere rappresentativo per macchine da pochi kWe quali i modelli più interessanti per applicazioni di microcogenerazione residenziale (Harrison e Redford, 2001). Il più elevato rendimento totale si ottiene sfruttando la possibilità di recuperare il tab. 2. Bilancio energetico di un motore Stirling con rendimento elettrico del 20% con riferimento al PCI (circa il 18% con riferimento PCS) Energia elettrica 18% Calore recuperato 70% Perdite DC/AC 1,8% Ausiliari 1,5% Perdite termiche 1,5% Calore di scarto 7,2% Energia chimica associata al combustibile (PCS, Potere Calorifico Superiore) = 100 443 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI calore di condensazione dell’acqua contenuta nei fumi, adottando temperature di ritorno dell’acqua non superiori a 50-60 °C; la combustione avviene infatti esternamente al ciclo in un bruciatore con ridotto eccesso d’aria, consentendo di realizzare il recupero di parte del calore di condensazione. Il costo specifico di investimento dei motori Stirling presenta rilevanti variazioni con la scala. Per unità complete di recupero termico da qualche kWe di potenza (usi residenziali) si aggira intorno a 2.500-3.000 euro/kWe medi, un valore che viene indicato come riducibile al di sotto di 500 euro/kWe per produzioni di grande serie. Per unità da qualche decina di kWe il costo attuale parte da livelli prossimi a 1.200 euro/kWe (Kolin, 2001; Wood, 2003). Per quanto riguarda le emissioni, la possibilità di utilizzare processi di combustione esterna stazionari, con le modalità di controllo più moderne, rende i motori Stirling capaci di emissioni notevolmente inferiori rispetto ai motori a ciclo Otto con catalizzatore. gas al camino 50 Hz AC recupero termico AC DC invertitore recuperatore gas di scarico 6 raddrizzatore 3 5 combustibile 2 combustore 4 compressore albero 1 turbina filtro aria A A generatore ad alta frequenza Microturbine a gas Principio di funzionamento Il termine microturbina a gas (MTG, MicroTurbine Generator), anche se non formalmente definito da parametri standardizzati, indica un sistema di generazione di potenza di piccola taglia (⬍500 kWe), basato su di un ciclo rigenerativo o recuperativo a gas che comprende un compressore, una turbina, un recuperatore di calore che preriscalda l’aria uscente dal compressore con il calore dei gas di scarico della turbina e un turboalternatore interfacciato alla rete elettrica. Le prime applicazioni di un generatore di potenza costituito da una microturbina a gas risalgono agli anni Sessanta del 20° secolo, quando negli Stati Uniti vengono sviluppati alcuni modelli per uso in campo militare e automobilistico. Successivamente, la tecnologia delle microturbine si evolve, in particolare nell’ambito dei turbocompressori per autovetture, delle unità di potenza ausiliarie per aeromobili e per applicazioni militari e dei piccoli motori a reazione per propulsione aeronautica. L’impiego delle turbine a gas per la generazione di potenza elettrica su piccola scala è invece una realtà più recente e innovativa. Infatti, se le turbine a gas da pochi MWe non sono che uno scale-down delle unità più grandi (operando sempre in ciclo semplice e con compressore e turbina assiali), le microturbine si basano sull’impiego di un ciclo recuperativo e di turbomacchine radiali, assai più economiche e operanti a numero di giri elevatissimo. Il ciclo recuperativo (fig. 9) prevede pertanto che l’aria compressa (punto 2) venga preriscaldata nel recuperatore (fino al punto 3) prima di essere utilizzata nel combustore per raggiungere le massime temperature del ciclo 444 T 4 Qin espansione introduzione calore 5 3 Q recuperato 6 p6⬵patm 2 compressione 1 p1⬵patm S B fig. 9. Schema di funzionamento di una microturbina a gas (A) e ciclo termodinamico nel piano T, S (B). (punto 4) e generare i gas poi espansi in turbina (punto 5) e sfruttati per il recupero di calore (punto 6). L’adozione di turbomacchine radiali monostadio comporta, ai fini del ciclo termodinamico, rapporti di compressione sensibilmente inferiori rispetto a quelli comunemente usati nei cicli di turbina a gas (per esempio, 3-4 contro 10-15 per turbine industriali). Nel caso di un ciclo semplice, un basso rapporto di compressione comporterebbe una temperatura di scarico dei gas molto elevata e una temperatura di ingresso nel combustore assai ridotta, due condizioni incompatibili con un buon rendimento; sarebbero pertanto necessari rapporti di compressione di ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA almeno 12-15 per ottenere rendimenti ragionevoli ma ancora limitati (per esempio, circa il 20% alle temperature di ingresso in turbina tipiche delle MTG), che comunque richiederebbero l’adozione di turbomacchine multistadio. L’adozione di un ciclo recuperativo, con uno scambiatore che sfrutta il calore disponibile nei gas uscenti dalla turbina per riscaldare l’aria comburente, consente di ovviare a tali inconvenienti e rende possibile un netto miglioramento dell’efficienza termodinamica del ciclo. La fig. 10 (Campanari e Macchi, 2002) dimostra peraltro come l’adozione del recuperatore di calore renda svantaggioso il ricorso a rapporti di compressione più elevati: per ogni valore della temperatura di ingresso in turbina (TIT, Turbine Input Temperature), esiste un rapporto di compressione che consente di ottenere il massimo rendimento (per esempio, circa 4 a 900 °C). Tale valore è quindi caratteristico dei cicli recuperativi e consente l’adozione di macchine monostadio. È evidente l’effetto benefico di un aumento della TIT: il rendimento ottimo cresce di circa il 10% passando da 800 a 1.200 °C. La figura indica comunque come, con una TIT relativamente contenuta (per esempio, 900 °C), sia possibile, grazie all’adozione del ciclo recuperativo, arrivare a un rendimento attorno al 30%, valore tipico delle macchine industriali (a ciclo semplice) di alcuni MWe di potenza. Caratteristiche tecnologiche Gli elementi costruttivi fondamentali delle microturbine a gas sono: • il turbocompressore, costituito da un compressore centrifugo e da una turbina radiale centripeta (fig. 11), calettati su di un albero operante a velocità dell’ordine di 50.000-120.000 giri/min, sostenuto da cuscinetti in alcuni casi privi di lubrificante (cuscinetti magnetici o ad aria); • il recuperatore, necessario per conseguire rendimenti di ciclo accettabili con i limitati rapporti di compressione (valori intorno a 4) consentiti dalla tipologia delle turbomacchine impiegate; tale scambiatore sfrutta superfici compatte, con geometrie di scambio termico adatte a favorire la convezione forzata, capaci di elevata durata nel tempo, con efficacia di scambio termico elevata (per esempio, 85-90%) e perdite di carico contenute (per esempio, Dp/p⫽3-5%); si ricorda che l’efficacia di scambio termico è il rapporto tra la quantità reale di calore scambiato e quella massima trasferibile nell’ipotesi di una superficie di scambio infinita; il conseguimento di valori di efficacia superiori all’80% è fondamentale per raggiungere rendimenti totali della MTG soddisfacenti; • la camera di combustione (combustore), che sfrutta generalmente la tecnologia della combustione premiscelata ottenendo per ampi intervalli di carico emissioni molto basse (per esempio, NOx inferiori Le microturbine presentano vantaggi in termini di semplicità impiantistica e di affidabilità. Alcuni modelli sfruttano cuscinetti ad aria e sono totalmente privi di sistemi ausiliari quali circuiti di raffreddamento, pompe, circuiti di lubrificazione. Possono impiegare diversi combustibili (per esempio, gas a ridotto potere calorifico, quali gas da discariche e depuratori) con adattamenti minimi e presentano masse e ingombri bassi, facilità di installazione, rumore e vibrazioni ridotti. 40 38 rendimento (%) 36 34 32 30 28 TIT⫽1.200 °C TIT⫽1.000 °C TIT⫽900 °C TIT⫽800 °C 26 24 22 20 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 rapporto di compressione fig. 10. Rendimento di cicli di turbina a gas con recuperatore di calore al variare del rapporto di compressione. VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ fig. 11. Rotore turbina per unità da 200 kWe (in alto) e complesso generatore, compressore e turbina (in basso). 445 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI a 10 ppmvd – parts per million volumetric dry –, al 15% O2); • il sistema di recupero termico, spesso integrato nell’assemblaggio ( package) della MTG e costituito da uno scambiatore di calore che recupera energia termica dai gas di scarico, producendo, per esempio, acqua calda o vapore a bassa pressione; i gas caldi allo scarico della microturbina si trovano infatti a temperature generalmente superiori a 250 °C, e possono essere utilmente sfruttati in una caldaia a recupero per la produzione di calore utile per applicazioni cogenerative; • il sistema di conversione (power conditioning); nella maggior parte dei modelli, per evitare l’impiego di riduttori, un generatore a magneti permanenti (generalmente a due o quattro poli, con magneti trattenuti da una matrice in fibra di carbonio) ruota solidale all’albero della turbina, generando energia elettrica ad alta frequenza; in fase di avviamento il generatore funge anche da motore di lancio, trascinando l’albero del turbocompressore fino al raggiungimento del regime di rotazione necessario per l’accensione del combustore; il sistema di power conditioning è composto poi da un sistema a raddrizzatore e inverter per passare dall’alta frequenza (per esempio, 3.000 Hz in alternata, nel caso di un generatore magnetico a 4 poli e 90.000 giri/min) a 500-600 V in corrente continua e infine a 480 V trifase in alternata alla frequenza di rete (50 o 60 Hz). Grazie all’adozione del sistema di conversione della frequenza, il turbogeneratore può funzionare a qualsiasi velocità angolare, variando la velocità ai carichi parziali. Il grado di libertà consentito dalla velocità di rotazione variabile può permettere di limitare notevolmente il marcato decadimento delle prestazioni ai carichi parziali tipico delle turbine a gas; tale possibilità riveste notevole importanza, visto che nel funzionamento cogenerativo può essere necessario un adeguamento ai carichi imposti dall’utenza. Le microturbine sono caratterizzate da potenza elettrica compresa tra qualche decina e alcune centinaia di kWe e da prestazioni significativamente influenzate dalla taglia. La tab. 3 mostra alcuni parametri caratteristici di modelli commerciali, di potenza compresa tra 30 e 250 kWe. Con la tecnologia più consolidata, i rendimenti elettrici attualmente ottenibili sono dell’ordine del 30%, valori sostanzialmente concorrenziali con quelli offerti dai motori alternativi a gas naturale della stessa classe di potenza. L’evoluzione in atto dei modelli prevede l’introduzione di nuove macchine con potenze maggiori, collocabili nella fascia 200-400 kWe, e rendimento prossimo al 33% (Day, 2002; Haught, 2005; Willis, 2005). Tutti i modelli sopra indicati fanno uso di materiali metallici (non ceramici). I valori di temperatura massima 446 tab. 3. Prestazioni e caratteristiche di microturbine a gas al variare della potenza Potenza (kW) Rendimento Portata gas Velocità elettrico di scarico di rotazione netto (kg/s) (giri/min) (% PCI) 30 25 0,31 96.000 60 28 0,49 96.000 100 30 0,81 70.000 200 33 1,28 n.d. 250 30 2,0 45.000 di ciclo considerati sono infatti prossimi a 900-950 °C, sostenibili in assenza di raffreddamento della turbina con materiali metallici appartenenti alle leghe a base nichel (per esempio, Inconel 713). Per la realizzazione del rigeneratore sono invece usati acciai inossidabili con elevata resistenza alle alte temperature (per esempio, AISI 347), caratterizzati da temperature massime ammissibili di 650-700 °C (Maziasz et al., 2003, 2005). Rendimenti più elevati potrebbero essere perseguiti innalzando ulteriormente le temperature massime del ciclo; valori di molto superiori, dell’ordine di 1.100 °C e oltre, cui conseguirebbero rendimenti nella fascia 35-40%, sarebbero in particolare ottenibili con l’impiego di materiali ceramici per la costruzione della girante della turbina (per esempio, a base di nitruro di silicio, Si3N4), mantenendo invece la struttura metallica per il rigeneratore, il cui utilizzo è in fase di sperimentazione nell’ambito di vari programmi di ricerca ma non ha ancora raggiunto livelli di affidabilità adeguati a un’effettiva disponibilità commerciale (Kobayashi et al.,1998; Kesseli, 2002; Kesseli et al., 2003; Watts, 2005). Parametri energetici, economici e ambientali Come già ricordato, i rendimenti elettrici delle MTG sono attualmente prossimi al 30% per potenze vicine ai 100 kWe , con prospettiva di aumentare con l’avanzamento tecnologico. L’ampia disponibilità di calore di scarto sotto forma di gas di scarico a temperature piuttosto elevate rende interessante l’impiego delle microturbine, quando esiste la possibilità di recuperare una parte di questo calore per fini cogenerativi, ottenendo bilanci energetici quali quelli indicati in tab. 4. I costi delle MTG risentono di richieste di mercato ancora piuttosto ridotte; la stima del costo di un package cogenerativo con microturbina a gas (completo di microturbina, sistema di power conditioning e sistema di controllo, compressore del gas, unità di recupero termico, ecc.) si colloca intorno a 1.100-1.200 euro/kWe . In una prospettiva di medio periodo, nell’ipotesi di creazione ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA tab. 4. Bilancio energetico per una MTG da 100 kWe e per una macchina di potenza maggiore in un’ipotesi di sviluppo di medio periodo MTG di taglia 100 kWe (%) MTG di taglia 200-400 kWe (%) Energia elettrica 30 35 Calore recuperato 48 45 Perdite DC/AC 3 2,5 Ausiliari 4 3,5 Perdite termiche 6 6 Calore di scarto 9 8 Energia chimica associata al combustibile (PCI) = 100 di un mercato consistente, si può invece pensare che le MTG possano conseguire significative riduzioni di costo, fino al livello di 600 euro/kWe fissato come obiettivo dai maggiori costruttori. Per quanto riguarda le emissioni, nel caso di microturbine alimentate a gas naturale, si hanno ridottissime emissioni di CO (poche ppm) ed emissioni di ossidi di azoto. Questi ultimi, grazie alla tecnologia della combustione premiscelata, sono peraltro mantenuti entro limiti molto contenuti (spesso inferiori a 10 ppmvd al 15% O2), circa un ordine di grandezza in meno dei motori alternativi a gas, con il vantaggio che non vi è la necessità di impiegare sistemi di abbattimento dedicati allo scarico. Queste basse emissioni specifiche, unite alle possibilità offerte dalle applicazioni cogenerative, rendono le microturbine a gas molto attraenti da un punto di vista ambientale. Celle a combustibile La tecnologia delle celle a combustibile (Fuel Cell, FC), o generatori chimico-elettrici a combustibile, le cui origini si collocano nel 19° secolo, negli ultimi anni ha notevolmente accelerato il suo sviluppo. Ricerche sempre più diffuse (basate sullo sviluppo di nuovi materiali, nuove geometrie, nuovi tipi di cella, nuovi ambiti di impiego) hanno determinato la sperimentazione di numerosi prototipi e impianti dimostrativi o precommerciali, destinati sia al settore dei trasporti (con l’applicazione alla trazione di autoveicoli e alla propulsione di imbarcazioni), sia al settore della generazione di energia elettrica, in particolare di tipo distribuito. Principio di funzionamento Il contenuto di energia chimica del combustibile viene sfruttato nelle fuel cells in modo diverso da quanto accade nelle macchine tradizionali. In particolare, l’energia VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ chimica è direttamente trasformata in energia elettrica tramite reazioni elettrochimiche, similmente a quanto accade nelle comuni batterie, mediante reazioni idealmente isoterme e isobare. Il processo non necessita di una combustione e quindi non richiede la trasformazione dell’energia chimica in calore e del calore in lavoro meccanico. Sebbene la trasformazione diretta chimico-elettrica presenti delle perdite, queste sono generalmente assai inferiori a quelle della più complessa catena di trasformazioni termodinamiche effettuate nei processi tradizionali. In particolare, la fuel cell non deve sottostare alle limitazioni imposte dal II principio della termodinamica alla trasformazione calore-lavoro; l’unico limite che le leggi della termodinamica impongono a priori alla conversione energia chimica-energia elettrica è rappresentato dalla quantità massima di lavoro estraibile dal combustibile utilizzato (lavoro massimo o lavoro reversibile). Poiché inoltre le macchine e i processi utilizzati non sono ideali, ma reali, il lavoro estraibile è decurtato da vari tipi di perdite sia nelle macchine tradizionali (perdite per scambi termici con salti finiti di temperatura, trasformazioni termofluidodinamiche non reversibili, perdite meccaniche ecc.) sia nelle fuel cells, dove tuttavia la semplicità del processo gioca a favore della riduzione di tali fonti di dissipazione. Risultato di tutto questo è che i rendimenti elettrici ottenibili con impianti a fuel cells, anche di piccola o media taglia, avvicinano e in alcuni casi superano i rendimenti delle più efficienti e più grandi centrali termoelettriche tradizionali. In una tipica cella a combustibile, il combustibile gassoso (generalmente ricco in idrogeno) è alimentato con continuità al comparto anodico (elettrodo negativo, dove avvengono l’ossidazione del combustibile e la produzione di elettroni), mentre il comburente (per esempio, aria) può essere rifornito al catodo (elettrodo positivo, dove avviene la riduzione dell’ossigeno con gli elettroni provenienti dal circuito esterno collegato con l’anodo): la reazione chimica avviene mediante scambio di ioni attraverso l’elettrolita e dà luogo a passaggio di corrente elettrica, chiudendo il circuito tra gli elettrodi. Una cella a combustibile differisce da una tipica batteria per diversi aspetti. La batteria è un sistema di accumulo di energia, ovvero la massima energia disponibile è determinata dall’ammontare dei reagenti chimici immagazzinati nella batteria stessa: per questo motivo la batteria cesserà di produrre energia elettrica, cioè si scaricherà, quando i reagenti chimici saranno consumati. In una batteria di accumulatori ricaricabile i reagenti possono essere rigenerati nella ricarica, che avviene a spese di una sorgente esterna, per cui il funzionamento, anche se ripetibile, è discontinuo. La cella a combustibile, invece, è un sistema statico di conversione dell’energia che può, almeno teoricamente, produrre energia elettrica finché gli elettrodi sono alimentati da combustibile e comburente. 447 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI Solo una progressiva degradazione (o un malfunzionamento) dei componenti pone un limite alla vita utile delle celle a combustibile. La struttura costruttiva delle fuel cells prevede la deposizione degli strati attivi della cella (anodo, elettrolita, catodo) secondo pareti a film sottili. Le singole celle possono poi essere accatastate l’una sull’altra a formare una ‘pila’, separate da strati di interconnessione che comprendono le canalizzazioni dei gas (combustibile e comburente) alimentati dall’esterno. Alla luce delle considerazioni fin qui viste, si riassumono di seguito alcune delle più importanti caratteristiche delle FC: • il principale combustibile utilizzato dalle celle è l’idrogeno, che non è in generale direttamente disponibile; si rende allora necessario adottare un impianto di trattamento del combustibile per convertire il combustibile in un gas con un contenuto elevato di idrogeno, mediante reazioni di reforming, e per ridurre la concentrazione di impurità o di elementi dannosi a livelli accettabili per la cella (alcune sostanze, per esempio lo zolfo in tutti i suoi composti, possono avvelenare i materiali di cui sono costituiti gli elettrodi degradandone le prestazioni anche in modo irreversibile); • la densità di potenza non è molto elevata tranne che per le tipologie a membrana polimerica; impianti a cella a combustibile di grande potenza (ordine di vari MWe) risultano piuttosto ingombranti, sia in termini di volume (da 0,1 a 0,5 m3/kWe) e di superfice occupati, sia in termini di massa (da 100 a 500 kg/kWe); a titolo di confronto, tecnologie concorrenti quali le microturbine a gas o i motori a combustione interna, presentano ingombri e masse inferiori di oltre un ordine di grandezza; • viene prodotta energia elettrica in corrente continua; è quindi necessario, in generale, un sistema di conversione DC/AC a inverter ( power conditioner), per l’allacciamento alle reti elettriche di trasporto, con rendimenti di conversione non unitari (al massimo 94-96%); • è più elevato il rendimento ai carichi parziali; il rendimento si mantiene praticamente costante dal 30 al 100% del carico nominale, con un massimo poco accentuato ai carichi intermedi; • è possibile adeguarsi alle variazioni dei carichi con rapidità; • viene prodotto calore utilizzabile per cogenerazione o, nei tipi a più alta temperatura, in cicli termodinamici per la produzione ulteriore di energia elettrica; • la produzione di ossidi di azoto all’interno delle celle è nulla e, grazie ai sistemi di abbattimento dello zolfo nel combustibile, è virtualmente nulla anche la produzione di composti dello zolfo; • il funzionamento è statico e quindi non soggetto a rumore e vibrazioni; 448 • • la costruzione è modulare, con conseguente realizzazione di impianti di taglia crescente riunendo elementi di piccola potenza (la singola cella può avere potenze variabili dal centinaio di W al kWe); i rendimenti degli impianti a fuel cells non risultano pertanto molto influenzati dalla taglia, se non per gli effetti di scala su tutti i componenti ausiliari (compressori e pompe dei circuiti di alimentazione e raffreddamento, parti elettriche); la capacità di convertire l’energia chimica in elettrica con rendimenti molto elevati (40-60%) è largamente indipendente dalla taglia della cella e, come detto, dal carico. Classificazione La classificazione più utilizzata per le celle a combustibile si basa sul tipo di elettrolita utilizzato: le proprietà dell’elettrolita condizionano infatti le principali caratteristiche delle celle, come le specie chimiche coinvolte nelle reazioni elettrochimiche, le temperature di funzionamento, la tolleranza a impurità e gas diversi. Gli elettroliti possono in generale essere definiti conduttori ionici in contrapposizione sia ai conduttori elettronici come i metalli (per esempio, Fe, Cu) e ai semiconduttori, sia ai conduttori misti. Essi possono presentarsi: a) sotto forma di sostanze liquide a temperatura ambiente; b) sotto forma di soluzioni elettrolitiche (sostanze dissociate ionicamente in un solvente); c) sotto forma di sali fusi, puri o in miscela (cloruri e carbonati di Li, Ca, Na, K); d ) sotto forma di solidi ionici (alogenuri d’argento, zirconia (ZrO2), alluminato di sodio), nei quali variano lo ione trasportato (Ag⫹, O2⫺, Na⫹) e l’intervallo di temperatura nel quale si ha conduzione, che ha luogo in questo caso a seguito di una struttura reticolare capace di consentire (grazie a drogaggi e vacanze o difetti locali indotti nel reticolo) la mobilità di certi ioni. La conducibilità di tutti i conduttori ionici considerati aumenta con la temperatura, a seguito di una maggiore mobilità degli ioni, contrariamente a quello che avviene nei conduttori elettronici come i metalli. Questa differenza influenza le caratteristiche dei diversi tipi di fuel cells, a seguito del ruolo prevalente dell’elettrolita nel determinare le perdite resistive della cella. Il tipo di elettrolita determina il campo di temperature di funzionamento della FC e questo si riflette sul tipo di reazioni chimiche che possono avvenire, sulla loro cinetica e sui loro equilibri. Ciò comporta, per esempio, che nelle celle a bassa temperatura alcune reazioni possono svolgersi in modo veloce ed efficace solo con l’ausilio di costosi catalizzatori (Pt, Au, Ag), mentre a temperature più elevate possono essere sufficienti materiali meno nobili (per esempio, Ni) o addirittura non è richiesto alcun catalizzatore poiché le reazioni possono attivarsi spontaneamente. Inoltre, la presenza di alcune specie chimiche come CO e CO2 nei gas combustibili o nell’aria può ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA Il legame tra DG e l’entalpia di reazione è: DGr⫽ ⫽DHr⫺TDSr , dove come detto DGr è il massimo lavoro estraibile e DHr il massimo calore estraibile; il termine TDSr è generalmente positivo e per una cella a combustibile operante reversibilmente rappresenta il calore prodotto. Per una qualsiasi reazione della forma aA⫹dB⫺cC⫹ ⫹dD, la variazione di energia libera di Gibbs (negativa) può essere espressa dall’equazione: essere dannosa nelle celle a bassa temperatura, poiché questi composti si legano con i materiali catalizzatori avvelenandone le proprietà catalizzanti, oppure perché si legano con l’elettrolita stesso, bloccandone il funzionamento. In generale pertanto il CO potrà essere accettato senza problemi solo dalle celle ad alta temperatura (ove anzi potrà essere efficacemente consumato), mentre costituirà veleno per le tipologie più fredde. Similmente, la presenza di CO2 potrà essere problematica in alcuni casi e indifferente o addirittura necessaria in altri. Poiché la reazione dominante nelle FC è l’ossidazione di idrogeno, l’elettrolita in uso dovrà sempre trasportare una specie ionica contenente atomi di idrogeno o di ossigeno, funzionando a seconda dei tipi di FC mediante trasporto di ioni contenenti idrogeno dal lato combustibile al lato aria, o mediante trasporto di ioni contenenti ossigeno dal lato aria al lato combustibile. In tab. 5 sono riportate la denominazione e le caratteristiche fondamentali (elettrolita, ione trasportato e campo di temperatura di funzionamento) delle principali celle a combustibile. 䉴 [C]c[D]d DG ⫽DG 0 ⫹RT ln 11331 [A]a[B]b dove tra parentesi quadre sono indicate le attività delle specie chimiche coinvolte, che nel caso di una miscela di gas ideali coincidono con le concentrazioni in moli, ovvero con le pressioni parziali (esprimendo le pressioni parziali come rapporti pparz /prif con prif =1 bar e mantenendo l’adimensionalità dell’argomento del logaritmo). Sostituendo la relazione fra DG ed E si ha l’equazione di Nernst, dove E 0 (da DG 0) è una costante dipendente dalla temperatura, pari al valore di Erev (da DG) in condizioni standard: Richiami teorici RT P( pparz. reagenti)ni Erev ⫽E 0 ⫹ 12 ln 1111111 nF P( pparz. prodotti)ni Di seguito si considera il principio di funzionamento delle celle a combustibile da un punto di vista teorico. Le equazioni termodinamiche via via utilizzate sono generalmente estensibili a tutte le tipologie di FC secondo i tipi di reazione che in esse intervengono. Si parta dall’ipotesi di funzionamento reversibile (condizioni ideali). Il lavoro massimo unitario ottenibile in una cella a combustibile operante a temperatura e pressione costanti è dato dalla variazione dell’energia libera di Gibbs per la reazione elettrochimica che avviene nella cella: dove si considera una miscela di gas ideali e sono indicati con ni i coefficienti stechiometrici della reazione. Il rendimento di una FC in condizioni ideali è allora espresso, con riferimento al PCI (Potere Calorifico Inferiore) del combustibile, da: W We /nF E h ⫽ 1334e 42 ⫽ 11313 ⫽ 13332 PCI PCI/nF EPCI ed è quindi proporzionale alla tensione di cella; il termine EPCI è semplicemente un equivalente elettrico del potere calorifico del combustibile. Le celle a combustibile producono energia elettrica in corrente continua; per un fissato flusso di reagenti e una data corrente di cella, anche la potenza prodotta dalla cella P⫽VI è proporzionale alla tensione. Per questi motivi la tensione di una We ⫽DG ⫽⫺nFErev dove n è il numero di elettroni che partecipa alla reazione (n⫽2 per l’ossidazione di idrogeno), F è la costante di Faraday (96.485 C/mol di elettroni) ed Erev è il potenziale reversibile di cella (assunto qui con segno positivo). tab. 5. Classificazione delle celle a combustibile Elettrolita Ione trasportato Temperatura di funzionamento (°C) Campi applicativi prevalenti AFC Soluzione alcalina di KOH (liquido) OH⫺ 70-120 uso spaziale PEM Membrana polimerica (solido) H⫹ 60-80 trasporti, generazione PAFC Acido fosforico H3PO4 (liquido) H⫹ 200 MCFC Carbonati fusi di K o Na (liquido) CO2⫺ 3 600-700 SOFC Ossido metallico solido O2⫺ 600-1.000 Nome VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ generazione elettrica e cogenerazione 449 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI FC è il parametro di merito più comunemente usato per quantificarne le prestazioni. Il punto di partenza, per il caso dell’idrogeno, è il potenziale reversibile standard E 0⫽1,229 V a 25 °C con produzione di acqua liquida, o E 0⫽1,18 V con produzione di acqua allo stato gassoso (la differenza tra i due valori è dovuta al contributo del calore latente di evaporazione). Al variare della temperatura, il valore di E 0 (e quindi di Erev, poiché le variazioni del termine logaritmico – generalmente di segno negativo – hanno peso inferiore; per esempio, RT/nF⫽0,055 V a 1.273 K per l’ossidazione di idrogeno) subisce delle variazioni che dipendono dal tipo di reazione in gioco; per le reazioni tipiche delle FC si ha l’andamento indicato in fig. 12. Dalla figura (SAIC/EG&G Technical Services, 2002), si nota che il potenziale reversibile per l’ossidazione di H2 e CO diminuisce velocemente con la temperatura, mentre resta all’incirca costante quello del CH4. Ciò significa che dal punto di vista delle prestazioni ideali, le celle ad alta temperatura sono sfavorite rispetto a quelle a bassa temperatura. Il vantaggio teorico è dell’ordine di 0,15 V per le celle tipo PAFC (Phosphoric Acid Fuel Cell) rispetto a quelle tipo MCFC (Molten Carbonate Fuel Cell) e di ulteriori 0,1 V per le MCFC rispetto alle SOFC (Solid Oxide Fuel Cells). Poiché però, come si vedrà nel seguito, una serie di perdite rende la tensione effettiva di cella minore del potenziale reversibile, queste differenze si ridimensionano sensibilmente. Attraverso l’equazione di Nernst si può anche valutare l’effetto di variazioni della composizione dei reagenti sul potenziale teorico di cella: gas combustibili più ricchi in idrogeno, o l’utilizzo di ossigeno puro come ossidante in luogo di aria, permettono di ottenere tensioni di cella più elevate. Lo stesso accade in generale nel caso di funzionamento pressurizzato, grazie all’aumento delle pressioni parziali dei reagenti considerate (in relazione ai coefficienti stechiometrici). La composizione dei reagenti in una FC varia tra l’ingresso e l’uscita, al procedere del consumo da parte delle potenziale reversibile (V) 1,4 CO⫹1/2O2 1,3 CO2 H2⫹1/2O2 1,2 H2O 1,1 1,0 CH4⫹2O2 2H2O⫹CO2 0,9 0,8 300 500 700 900 1.100 temperatura (K) fig. 12. Potenziale reversibile di diverse reazioni di ossidazione in funzione della temperatura. 450 1.300 reazioni elettrochimiche, e questo comporta una riduzione del potenziale di cella: la tensione di cella si equilibra al più basso potenziale elettrodico dato dall’equazione di Nernst per la composizione dei gas nei vari punti dei comparti anodico e catodico. Poiché infatti gli elettrodi sono generalmente buoni conduttori elettronici e rappresentano delle superfici isopotenziali, il potenziale di cella non può superare il valore minimo locale del potenziale di Nernst. Si consideri ora il funzionamento irreversibile (condizioni reali). Le condizioni di reversibilità si potrebbero applicare solo se il sistema operasse a vuoto: una cella a combustibile con reagenti e prodotti le cui velocità di reazione su appropriate superfici catalitiche fossero sufficientemente alte da prevenire l’interferenza di qualsiasi processo elettrochimico competitore darebbe a circuito aperto la tensione reversibile Erev sopra ricavata (Larminie e Dicks, 2000). In condizioni di corrente erogata diversa da zero si verificano perdite ohmiche, di diffusione e di tipo cinetico; in queste condizioni i valori misurati del potenziale di cella sono sempre inferiori a quelli reversibili, ovvero una parte dell’energia libera di Gibbs è convertita in calore TDS irreversibilmente. Le perdite principali (originate per polarizzazioni) comprendono: • la polarizzazione ohmica; le perdite ohmiche sono causate dalla resistenza al flusso degli ioni nell’elettrolita e al flusso degli elettroni nei materiali che costituiscono l’elettrodo; • la polarizzazione per concentrazione; alla rapidità nel consumo dei reagenti nei siti attivi della cella da parte delle reazioni elettrochimiche corrisponde lo stabilirsi di gradienti di concentrazione; • la polarizzazione per attivazione; le reazioni elettrochimiche avvengono nel momento in cui i reagenti superano una barriera di attivazione (DVact), analogamente a quanto accade per le reazioni chimiche. Complessivamente, l’effetto delle perdite riduce quindi la tensione di cella (ovvero il rendimento della FC) di una quantità crescente al crescere della corrente. Questo significa che le FC godono, rispetto ad altre tecnologie di conversione dell’energia, di un importante beneficio: la FC aumenta il suo rendimento se il funzionamento avviene a carichi parziali, cioè a correnti inferiori a quelle del pieno carico. La frazione di reagenti che viene impiegata nelle reazioni elettrochimiche rispetto alla totalità dei flussi entranti agli elettrodi di una FC non è ovviamente in generale unitaria, né troppo vicina a uno, pena l’insorgere di perdite per scarsa concentrazione dei reagenti. Si deve allora innanzitutto definire il fattore di utilizzazione Uf del combustibile: per le celle a bassa temperatura, l’idrogeno H2 è l’unico combustibile e si ha: mH2, in ⫺mH2, out mH2, consumato 42 ⫽ 114113 Uf ⫽ 1111314 m m H2, in H2, in ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA Uno dei vantaggi delle celle ad alta temperatura, come le MCFC e le SOFC, è la loro capacità di utilizzare anche CH4 e CO come combustibili, tramite le reazioni di reforming interno e di shift. Il fattore di utilizzazione per una cella con reforming interno diventa allora: mH2, consumato 1113 Uf ⫽ 11111114 mH2, in ⫹mCOin ⫹4 ⭈mCH4, in dove ogni molecola di metano dà luogo a 3 molecole di idrogeno più una di CO a sua volta convertita in H2 dalla reazione di shift. Il funzionamento a tassi di utilizzo del combustibile Uf ⬍1 non consente di ottenere una tensione di cella pari al potenziale teorico neppure operando in condizioni di reversibilità. Poiché infatti una FC converte solo una parte del combustibile nei prodotti di reazione ossidati, il massimo lavoro estraibile dall’ossidazione risulta inferiore rispetto al caso di una conversione completa. Spingere la conversione del combustibile oltre il 90-95% non è d’altronde in generale praticabile a causa, come è stato detto, dell’intervento di perdite dovute alla scarsa concentrazione dei reagenti. Tenendo conto del fattore di utilizzazione del combustibile, il rendimento reale di una cella a combustibile risulta complessivamente: Vcell Uf hreale, DC ⫽ 1131 EPCI facendo riferimento all’energia elettrica prodotta in corrente continua (DC) ai morsetti della fuel cell. Oltre al fattore di utilizzazione del combustibile, si definisce analogamente un fattore di utilizzazione dell’aria o dell’ossidante, secondo: mO2, in ⫺mO2, out mO2, consumato 42 ⫽ 114113 Ua ⫽ 1111314 m m O2, in O2, in che risulta proporzionale alla quantità di ossigeno prelevata dall’aria per ossidare il combustibile e generalmente non unitario (per esempio, pari a 0,2-0,5) per evitare l’insorgere di perdite elevate e per permettere un efficace raffreddamento della cella sfruttando il flusso d’aria in eccesso. Infine, il modulo cella a combustibile produce energia elettrica in corrente continua che, per la maggior parte delle applicazioni, va convertita in corrente alternata. Generalmente ciò avviene attraverso dispositivi a inverter in un power conditioner, nel quale la forma d’onda in uscita è ottimizzata con neutralizzazione delle armoniche indesiderate. In conclusione, il rendimento complessivo di una Fuel Cell destinata alla produzione di energia elettrica in corrente alternata è dato da: Vcell Uf hreale, DC ⫽ 1131 ⭈hDC ⲐAC EPCI VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ Celle a combustibile a matrice polimerica Le celle a combustibile di questa tipologia si basano sull’utilizzazione di un elettrolita costituito da una membrana polimerica umidificata, conduttiva di ioni tipo H⫹. Le sigle che possono essere usate per contraddistinguere questa tipologia sono PEM ovvero PEMFC o anche PEFC a seconda degli autori e delle fonti (Polymer Electrolyte Membrane, ovvero Proton Exchange Membrane Fuel Cell, o anche Proton Exchange Fuel Cell). Il rendimento elettrico delle celle tipo PEM, se alimentate direttamente a idrogeno, supera facilmente il 50-55% netto. Di tale elevata efficienza potrebbero giovarsi future applicazioni di generazione distribuita qualora l’idrogeno fosse distribuito su larga scala come avviene oggi per il gas naturale. Nell’ambito dell’impiego per applicazioni stazionarie di produzione di potenza, prevalentemente su scala medio-piccola, diversi costruttori propongono in particolare moduli di potenza variabile da qualche kWe a qualche centinaio di kWe , inclusivi di un impianto di reforming e gas clean-up, alimentabili a gas naturale. Per tali sistemi si raggiungono rendimenti elettrici variabili tra il 30 e il 40% a seconda della taglia, con rendimenti totali prossimi all’80%. La tab. 6 riporta i bilanci energetici di riferimento per un modulo PEM alimentato a gas naturale di piccola taglia, in linea con le prestazioni attese per i primi impianti commerciali. Presentando rendimenti elettrici elevati, i moduli PEM hanno la possibilità di recuperare calore utile in quantità generalmente piccola rispetto al carico termico tipico di applicazioni residenziali. Per questo motivo le unità PEM sono generalmente accoppiate a una caldaia di integrazione per la copertura dei picchi di carico termico. Celle a combustibile ad acido fosforico Questa tipologia, contraddistinta dalla sigla PAFC (Phosphoric Acid Fuel Cell), è stata sviluppata a partire dagli anni Sessanta ed è l’unica che abbia già raggiunto un certo grado di maturità tecnologica. L’elettrolita impiegato è una soluzione concentrata di acido fosforico che tab. 6. Celle a combustibile: bilancio energetico per moduli PEM di piccola taglia (1-10 kWe) alimentati a gas naturale Energia elettrica 30% Calore recuperato 50% Perdite DC/AC 2,5% Ausiliari Calore di scarto e perdite termiche 5% 12,5% Energia chimica associata al combustibile (PCI) ⫽100 451 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI agisce da conduttore ionico tramite ioni H⫹ (provenienti dalla dissociazione H⫹/OH⫺ promossa dall’acido), per temperature di funzionamento di 150-220 °C, permettendo nel contempo una sufficiente stabilità termica. Questo tipo di cella a combustibile è l’unico ad aver raggiunto uno stadio di sviluppo commerciale: esistono nel mondo circa 300 impianti di potenza elettrica dell’ordine dei 100-200 kWe , per un totale di oltre 85 MWe , e diversi impianti dimostrativi nella taglia dei MWe. Le caratteristiche di questa cella hanno condotto i costruttori presenti sul mercato a proporre unicamente unità di potenza superiore a qualche centinaio di kWe, tali da consentire il migliore compromesso tra economicità, in termini di costo specifico di impianto, e rendimento. I rendimenti elettrici ottenibili variano tra il 40 e il 45% del PCI, a seconda della pressurizzazione e della taglia, lavorando con fattori di utilizzazione del combustibile prossimi all’85% e fattori di utilizzazione dell’aria del 50-70%. I parametri di disponibilità (⬇95%) e vita utile (fino a oltre 40.000 h) hanno raggiunto livelli soddisfacenti. Come indicato in tab. 7, un tipico modulo PAFC da 200 kWe può produrre energia elettrica con il 40% di rendimento elettrico e, in aggiunta, vapore a 140 °C per cogenerazione, con un rendimento totale che può raggiungere l’85-90%. Nonostante i risultati ottenuti, il decollo commerciale di questa tipologia è rallentato dalle aspettative di maggiore riduzione dei costi e/o di maggiore efficienza riposte sia nelle PEM sia nelle MCFC e nelle SOFC. Celle a combustibile a carbonati fusi In questa tipologia, contraddistinta dalla sigla MCFC (Molten Carbonate Fuel Cell), l’elettrolita è usualmente una miscela di carbonati alcalini (Li, Na, K) trattenuta da una matrice ceramica di LiAlO2. La cella opera a 600-700 °C, temperatura alla quale i carbonati formano un sale fuso molto conduttivo, con ioni carbonato CO32⫺ che permettono la conduzione ionica. A temperature di questo livello non sono necessari metalli nobili per svolgere la funzione di elettrocatalizzatori; la tab. 7. Celle a combustibile: bilancio energetico per moduli PAFC di media taglia (100-300 kWe) Energia elettrica 40% Calore recuperato 47% Perdite DC/AC 2,5% Ausiliari 3,5% Perdite termiche 1% Calore di scarto 6% Energia chimica associata al combustibile (PCI) ⫽100 452 tab. 8. Celle a combustibile: bilancio energetico per moduli MCFC della taglia di qualche centinaio di kWe (senza condensazione del vapor d’acqua nei fumi) Energia elettrica 48% Calore recuperato 32% Perdite DC/AC 3% Ausiliari 4% Perdite termiche 6% Calore di scarto 7% Energia chimica associata al combustibile (PCI) ⫽100 cinetica delle reazioni è favorita dalle condizioni termiche e sono sufficienti elettrodi porosi a base nichel per promuovere le reazioni. L’anodo è costituito da una lega di Ni al 10% di Cr o da leghe Ni-Al, mentre il catodo è realizzato da un ossido di Ni e Li, con spessori degli strati prossimi a 1 mm. Le alte temperature di esercizio permettono alle MCFC di raggiungere elevati rendimenti e maggiore flessibilità nell’utilizzo dei combustibili disponibili rispetto alle PAFC. Sono state sviluppate configurazioni che possono essere alimentate a gas naturale effettuando il reforming del combustibile all’interno della cella (Farooque et al., 1998), con produzione di idrogeno, e configurazioni che prevedono l’adozione di un reformer esterno. Il punto più critico per lo sviluppo di questa tipologia consiste nel raggiungimento di vite utili adeguatamente lunghe senza eccessive diminuzioni di prestazioni, in relazione ai problemi di corrosione dei materiali della cella in contatto con i sali fusi. Contrariamente a quanto accade per altri tipi di Fuel Cell, non è prevedibile nel campo MCFC lo sviluppo di unità commerciali di potenza inferiore a qualche centinaio di kWe. Dal punto di vista dei bilanci termici globali, come mostrato in tab. 8, circa il 30% del calore entrante con il combustibile può essere recuperato per cogenerazione a partire da temperature prossime a 300 °C. Prestazioni più elevate sono attese da impianti di taglia prossima a 1-2 MWe. Celle a combustibile a ossidi solidi In questa tipologia di celle, contraddistinta dalla sigla SOFC (Solid Oxide Fuel Cell), l’elettrolita è un ossido solido metallico non poroso, generalmente un materiale ceramico quale l’ossido di zirconio drogato con ittrio o calcio. La cella opera a temperature comprese tra 650 e 1.000 °C, tra le quali ha luogo una sufficiente conduzione ionica di ioni ossigeno O2– nel reticolo cristallino dell’elettrolita. Gli elettrodi sono costituiti da materiali ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA quali ossidi di zirconio al cobalto o al nichel (anodo) e composti manganese-lantanio (catodo); elettrodo, elettrolita e interconnessione sono depositati in strati successivi con particolari tecniche costruttive (per esempio, plasma spray), uno sull’altro, e sinterizzati a formare la struttura della cella. I principali vantaggi di questa tipologia, che ne sostengono lo sviluppo nonostante le notevoli difficoltà derivanti dalle alte temperature in gioco e dalle delicate tecnologie di fabbricazione, sono: • l’elettrolita solido elimina tutti i problemi di gestione delle tre fasi gas-liquido-solido caratteristici delle altre tipologie (equilibrio dell’elettrolita liquido, allagamento degli elettrodi, trafilamento di gas); • l’elettrolita solido consente di realizzare le celle con vari tipi di geometria; sono a tutt’oggi sviluppate celle tubolari e planari, con varie forme realizzative; • grazie alle elevate temperature di funzionamento, la cinetica delle reazioni è veloce e il CO è direttamente utilizzabile come combustibile; nelle celle che lavorano a 1.000 °C è possibile utilizzare direttamente il gas naturale senza bisogno di catalizzatori addizionali per il reforming, che può avvenire in buona parte all’interno della cella; • rispetto alle MCFC non c’è esigenza di riciclare o fornire CO2 all’anodo e la tolleranza ad alcune impurezze tra cui lo zolfo è maggiore; il funzionamento pressurizzato non pone problematiche particolari; • le temperature di funzionamento elevate consentono di realizzare un consistente recupero termico, nonché l’integrazione con cicli termodinamici gas-vapore avanzati; si prevede di poter raggiungere rendimenti elettrici superiori al 60% in impianti ibridi basati su cicli di turbina a gas rigenerativi, anche su taglie minime dell’ordine di qualche centinaio di kWe. Dal punto di vista dello stato di sviluppo, gli impianti dimostrativi SOFC più grandi hanno una potenza di 100-250 kWe . Il rendimento elettrico di queste celle varia dal 30-35% delle unità da pochi kWe al 45-50% delle unità da qualche centinaio di kWe operanti a pressione atmosferica, mentre si prevede di raggiungere il 58-60% per unità pressurizzate a ciclo ibrido da 500 kWe⫺1 MWe. Il rendimento totale è prossimo all’80-85% (tab. 9): a seconda delle diverse tecnologie costruttive, la temperatura dei gas scaricati è compresa tra 400 e 500 °C e permette di recuperare circa il 30% del calore entrante. Le SOFC si trovano in una fase di sviluppo preliminare caratterizzata da sperimentazione di prototipi e frequenti aggiornamenti tecnologici; sulla base delle previsioni di costo disponibili e delle caratteristiche dei prototipi esistenti e tenendo conto degli obiettivi dei costruttori, nel medio termine si prevedono costi di impianto inferiori a 1.000 euro/kWe (meno di un quinto degli attuali), uniti a vite utili dell’ordine di 60.000 ore con costi di manutenzione confrontabili con quelli delle VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ tab. 9. Celle a combustibile: bilancio energetico per moduli SOFC da pochi kWe o della taglia di qualche centinaio di kWe SOFC di taglia 1-10 kWe (%) SOFC di taglia 100-300 kWe (%) Energia elettrica 33 50 Calore recuperato 47 32 Perdite DC/AC 3 3 Ausiliari 5 4 Perdite termiche 4 4 Calore di scarto 8 7 Energia chimica associata al combustibile (PCI) ⫽100 tecnologie concorrenti. I livelli di emissione previsti sono bassissimi, indicativamente inferiori a 2 ppm in volume di CO e NOx con riferimento al 15% di O2. Cicli ibridi Sono denominati ibridi gli impianti che, per la produzione di energia elettrica, integrano le tecnologie delle celle a combustibile (in particolare dei tipi ad alta temperatura come MCFC e SOFC), con cicli termodinamici a gas e/o a vapore. Il termine ciclo ibrido è di uso corrente, anche se sarebbero preferibili termini più appropriati (per esempio, ciclo integrato). La tecnologia dei cicli ibridi è considerata la più promettente per ottenere i rendimenti massimi nella produzione di energia elettrica a partire da combustibili, in particolare se applicata allo sfruttamento del gas naturale (Dennis et al., 2003). Negli ultimi anni, diversi studi hanno infatti indicato come l’impiego delle celle a combustibile ad alta temperatura in cicli con turbine a gas possa condurre a sistemi capaci di raggiungere rendimenti elettrici elevatissimi, con valori netti, per un ipotetico impianto di grande taglia (⬎10-100 MWe), anche superiori al 65-70% contro il 55-60% delle più grandi e avanzate centrali a ciclo combinato. In questi impianti la cella a combustibile lavora generalmente in condizioni pressurizzate e sostituisce la camera di combustione della turbina a gas nel ruolo di ossidatore del combustibile, generando energia elettrica e gas caldi che vengono avviati all’espansione in turbina. I rendimenti più elevati si ottengono senza utilizzare combustioni supplementari e quindi con valori di temperature di ingresso in turbina relativamente bassi, dell’ordine di 850-900 °C, con circa tre quarti della potenza elettrica prodotta dalla FC. Più recentemente è stato ipotizzato di ridurre drasticamente la scala di tali impianti fino a taglie del centinaio di kWe , integrando un modulo a celle a combustibile 453 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI di potenza dell’ordine di quella dei più efficienti prototipi, con un ciclo rigenerativo basato su una piccola turbina a gas: i primi impianti a ciclo ibrido nascono quindi dall’integrazione delle celle a combustibile ad alta temperatura (tipo SOFC o MCFC) con le microturbine a gas. Per semplicità si considera di seguito il caso di cicli ibridi basati su celle tipo SOFC che per primi sono giunti a una sperimentazione prototipica. Nello schema di impianto di fig. 13 (Veyo et al., 2000), il più frequentemente preso in considerazione, il ciclo ibrido è un ciclo di turbina a gas con recuperatore, con camera di combustione sostituita dalla fuel cell, alimentata con aria compressa dal compressore e preriscaldata dal recuperatore, e con un combustibile quale gas naturale, a sua volta preriscaldato, desolforato e compresso; dalla cella a combustibile escono gas di scarico caldi e in pressione, che vengono fatti espandere nella turbina. La varietà delle tecnologie attualmente proposte e in fase di sviluppo non consente di proporre una sintesi univoca dei vari schemi di impianto; in ogni caso è possibile notare come le varie proposte di ciclo ibrido presentino, nella fascia di potenze inferiori a 500 kWe, obiettivi a medio termine di rendimento elettrico del 55-60%. L’elevato rendimento elettrico di questi impianti dà luogo inevitabilmente a un rapporto energia elettrica/calore cogenerato anche superiore a 2,5-3:1; nelle applicazioni cogenerative ciò comporterebbe la necessità di affiancare al sistema una caldaia integrativa o altre macchine quali pompe di calore che sfruttino una parte dell’energia elettrica eventualmente eccedente. Le temperature dei gas di scarico sui quali è possibile recuperare calore per usi cogenerativi sono limitate alla fascia 150-250 °C, con i valori più bassi negli impianti basati su MCFC. Per realizzare un efficace recupero termico risulta quindi importante poter utilizzare calore a temperature piuttosto basse. Il rendimento totale (energia elettrica ⫹ calore) fig. 13. Ciclo ibrido con turbina a gas con recuperatore. tab. 10. Bilancio energetico per un ciclo ibrido con rendimento elettrico del 60% Energia elettrica 60% Calore recuperato 20% Perdite DC/AC 3% Ausiliari 5% Perdite termiche 5% Calore di scarto 7% Energia chimica associata al combustibile (PCI) ⫽100 di un impianto ibrido può raggiungere infatti l’80-85% (tab. 10) solo nell’ipotesi di recuperare calore raffreddando i gas di scarico fino a temperature abbastanza ridotte (70-80 °C). Se dal punto di vista del rendimento e del contenimento delle emissioni (ridotte agli stessi livelli degli impianti a sola MCFC o SOFC) nessuna tecnologia convenzionale (motori alternativi, piccole turbine a gas) appare in grado di concorrere con i cicli ibridi, ben diversa è la prospettiva economica, che risulta strettamente dipendente dal costo di impianto del sistema. A questo proposito i risultati di un’analisi dettagliata portano a concludere che un sistema ibrido per cogenerazione potrebbe conseguire una maggiore economicità rispetto a un sistema concorrente convenzionale solo se il suo costo di installazione risultasse inferiore a circa 1.2001.500 euro/kWe (Campanari e Macchi, 2002; Rastler e Leman, 2002). Sistemi termofotovoltaici Alla base della tecnologia termofotovoltaica (TPV) vi è la possibilità di trasformare direttamente in energia recuperatore camino gas naturale combustore ausiliario AC DC combustore della turbina a gas sistema FC desolforatore filtro aria 454 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA fig. 14. Schema di sistema termofotovoltaico. emettitore cella fotovoltaica P N ⫹ ⫺ calore bruciatore ⫺ ⫹ combustibile gas di scarico filtro gas di combustione aria distribuzione recuperatore combustibile/aria aria calda elettrica, per mezzo di celle fotovoltaiche, l’energia irraggiata (prevalentemente nel campo di frequenze dell’infrarosso) da una superficie a elevata temperatura. La tecnologia TPV richiede lo sviluppo di materiali semiconduttori particolari quali l’antimoniuro di gallio (GaSb) e l’arseniuro d’indio e gallio (InGaAs), in grado di realizzare la conversione fotovoltaica alle lunghezze d’onda tipiche dell’infrarosso, nonché la disponibilità di materiali resistenti a elevate temperature, quali il carburo di silicio (SiC; Coutts et al., 1999; Rohr et al., 1999). Nei sistemi TPV (fig. 14), l’energia chimica del combustibile è convertita in energia termica all’interno della camera di combustione; una parte di quest’energia è trasformata in energia raggiante dall’emettitore, una parte è utilizzata per preriscaldare l’aria comburente, un’altra parte è infine rilasciata come calore sensibile dei fumi uscenti. Parte dell’energia irraggiata è trasformata a sua volta in energia elettrica in corrente continua dalle celle fotovoltaiche, mentre la restante parte è asportata tramite un sistema di raffreddamento (ad aria o ad acqua). Il principio di funzionamento della parte elettrica è quindi il medesimo delle celle fotovoltaiche a energia solare, con fondamentali differenze nelle lunghezze d’onda dell’energia elettromagnetica ricevuta e nelle temperature di funzionamento richieste, oltre che nella densità di potenza specifica (potenza per unità di superficie delle celle), circa 100 volte superiore a quella delle celle al silicio per sfruttamento dell’energia solare. Il funzionamento ottimale del sistema si ottiene interponendo tra emettitore e cella un filtro capace di concentrare sulla cella la quota di radiazione elettromagnetica composta dalle frequenze più adatte al suo funzionamento. Il sistema TPV presenta caratteristiche attraenti per applicazioni cogenerative residenziali, quali: • assenza di parti in movimento, salvo componenti ausiliari, che consente di contenere i livelli di rumorosità favorendone l’impiego all’interno di abitazioni e aree di salvaguardia ambientale; VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ ⫺ corrente elettrica ⫹ continua • possibilità di utilizzare sistemi di combustione con ridotte emissioni inquinanti per unità di energia prodotta in assetto cogenerativo; • semplicità di funzionamento e manutenzione, che rende la gestione di tali sistemi cogenerativi potenzialmente assimilabile a quella delle attuali caldaie domestiche. Il costo specifico dei sistemi TPV fa riferimento a valori di prospettiva più che a valori reali degli attuali prototipi. Il costo per produzioni di grande serie è indicato prossimo a 3.500 euro per un’unità completa da 1,5 kWe con rendimento elettrico prossimo al 12% e produzione di calore fino a circa 12 kWt . Per il solo generatore elettrico TPV i costi di obiettivo sono prossimi a 500 euro/kWe (Palfinger et al., 2003). La tab. 11 mostra un esempio di bilancio energetico per unità TPV per uso cogenerativo; la maggior parte del calore proviene dall’acqua di raffreddamento delle celle, che può raggiungere in uscita temperature massime comprese tra 30 e 50 °C, al di sopra delle quali si manifestano un marcato decadimento del rendimento elettrico (che è massimo per celle mantenute a temperatura ambiente) ed, eventualmente, il danneggiamento delle celle stesse; la tab. 11. Bilancio energetico di un sistema TPV con rendimento elettrico del 10% con riferimento al PCI (circa il 9,1% con riferimento al PCS) Energia elettrica 9,1% Calore recuperato 81,8% Perdite DC/AC 1% Ausiliari 1,5% Perdite termiche 2% Calore di scarto 4,6% Energia chimica associata al combustibile (PCS) ⫽100 455 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI temperatura dell’acqua di ritorno dall’utenza non può quindi superare i 30-40 °C per consentire il buon funzionamento delle celle. All’uscita del sistema, la temperatura dell’acqua può essere ulteriormente elevata tramite uno scambiatore aria-acqua che sfrutta il calore recuperato dai fumi che lasciano il sistema a temperature piuttosto elevate (per esempio, 450 °C). In configurazione cogenerativa, il rendimento totale (energia elettrica più calore) può essere prossimo al 100% se le temperature dell’acqua di ritorno dall’utenza consentono di sfruttare il calore di condensazione dei fumi; la combustione avviene infatti con un eccesso di aria ridotto e il tenore di ossigeno nei fumi è prossimo a quello delle normali caldaie, consentendo di realizzare il recupero di parte del calore di condensazione. gas naturale a motore primo calore recuperato utenza termica 5.3.3 Trigenerazione Un impianto di trigenerazione, cioè un impianto utilizzato per la produzione di energia elettrica, calore e freddo, è generalmente composto dai seguenti elementi: • un motore primo (per esempio, un motore alternativo a combustione interna, una turbina a gas, una fuel cell); 456 calore al frigorifero ad assorbimento perdite elettriche, meccaniche, termiche e al camino calore all’ambiente utenza elettrica Altre tecnologie La microcogenerazione non si esaurisce nelle tecnologie sopra descritte. Tra le ulteriori proposte tecnologiche (Butcher, 2003; Slowe, 2004; Wurtz, 2005), si ricordano la tecnologia dei sistemi termoelettrici a effetto Peltier-Seebeck e la tecnologia dei microcicli Rankine, il cui sviluppo potrebbe rivelarsi promettente negli anni a venire. Nel primo caso si considerano unità basate sull’effetto termoelettrico (Peltier), per il quale un circuito bimetallico percorso da corrente continua dà luogo a una differenza di temperatura in corrispondenza dell’interfaccia tra i due metalli stessi. Similmente i dispositivi termoelettrici possono essere utilizzati anche per convertire energia termica in energia elettrica, sfruttando una differenza di temperatura alle due estremità del circuito; in questo caso viene sfruttato l’effetto Seebeck e il dispositivo termoelettrico si comporta come generatore elettrico. I microcicli Rankine sono invece cicli termodinamici basati sulla combustione esterna e sull’introduzione del calore nel ciclo tramite uno scambiatore di calore; come fluido di lavoro vengono utilizzati vapor d’acqua o fluidi refrigeranti; l’espansione ha luogo in apparecchiature di tipo volumetrico o a tecnologia scroll. In entrambi i casi il fluido di lavoro resta isolato rispetto ai prodotti di combustione, consentendo in prospettiva di ridurre al minimo le problematiche di manutenzione dell’impianto. I sistemi di questi tipi vengono sviluppati su taglie da pochi kWe , con rendimenti elettrici limitati e rapporti (calore utile)/(energia elettrica) molto elevati. Il mercato di destinazione è quello delle utenze residenziali. gas naturale a caldaia integrativa utenza frigorifera fig. 15. Diagramma di Sankey esemplificativo di un impianto di trigenerazione con motore primo e frigorifero ad assorbimento. • un sistema di recupero di calore dai gas di scarico e/o dal circuito di raffreddamento del motore primo; • un sistema di produzione di freddo, che può essere costituito da un impianto frigorifero basato su macchine a ciclo inverso a compressione, eventualmente funzionanti anche come pompa di calore, oppure da un impianto frigorifero con macchine ad assorbimento, alimentate dal calore recuperato dal motore. I primi due elementi (motore primo e sistema di recupero termico) sono presenti anche in un impianto di semplice cogenerazione, mentre l’aggiunta di una o più macchine frigorifere caratterizza il caso degli impianti trigenerativi. La trigenerazione trova pertanto applicazione quando devono essere soddisfatte utenze caratterizzate dalla presenza delle tre richieste energetiche (energia elettrica, calore, freddo); tali richieste possono presentarsi sia separatamente, per esempio in relazione a cicli stagionali inverno/estate, con richiesta di energia elettrica e calore in inverno e richiesta di energia elettrica e freddo in estate, sia contemporaneamente. Esempi di utenze di questo tipo spaziano dal settore civile e terziario (utenze residenziali, palazzi per uffici, centri commerciali, ospedali, aeroporti, centri sportivi), al settore industriale (settore alimentare, produzioni climatizzate). In tali casi, la possibilità di aggiungere un effetto utile alla generazione di calore ed energia elettrica può consentire di migliorare considerevolmente la redditività e il ritorno economico dell’impianto (Campanari e Macchi, 2004). In presenza di differenti andamenti stagionali dei singoli carichi, la copertura dei carichi frigoriferi può consentire di sfruttare a fondo il sistema anche nella ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI GENERAZIONE DISTRIBUITA stagione estiva, quando i carichi termici legati al riscaldamento vengono meno. Può anche verificarsi una significativa contemporaneità delle tre richieste durante le mezze stagioni; il sistema trigenerativo aumenta in tal caso notevolmente il numero di ore equivalenti di funzionamento annuale e migliora i risparmi energetici annuali. Schemi di impianto L’integrazione nell’impianto di un sistema frigorifero può avvenire secondo schemi diversi, secondo il tipo di motore primo impiegato e secondo la presenza di un frigorifero del tipo a compressione, ad assorbimento o, eventualmente, di entrambe le tipologie di impianto. La logica di funzionamento del sistema dipende dal tipo di macchine utilizzate: per esempio, nel caso motore e frigorifero ad assorbimento, il calore recuperato dal motore primo può andare all’utenza o al frigorifero ad assorbimento (AC, Absorption Chiller), nel quale è utilizzato per generare freddo e quindi coprire la richiesta frigorifera. Il bilancio termico complessivo del sistema è presentato in questo caso nel diagramma di Sankey nella fig. 15; la configurazione trigenerativa rappresentata è la più semplice ed è stata sperimentata con successo in numerose applicazioni, per esempio nella combinazione con microturbine a gas nel settore delle utenze di ambito terziario (Malrup, 2002; Rosfjord et al., 2004; Haught, 2005; Willis, 2005). caldaia ausiliaria camino mandata acqua calda riscaldamento recupero termico Nel caso di motore primo con recupero termico e sistema frigorifero a compressione funzionante anche come pompa di calore e caldaie integrative (fig. 16), l’energia elettrica prodotta dal motore primo può andare all’utenza o all’impianto frigorifero, mentre il carico termico è coperto dal sistema di recupero del calore integrato dalla pompa di calore o dalle caldaie. Si osservi come l’unità frigorifera possa generare calore o freddo nella configurazione estiva o da mezza stagione, e solo calore nella configurazione invernale. Rispetto al caso precedente, la presenza di un componente con duplice ruolo di generatore di freddo e di calore, quale l’impianto a compressione, rende meno immediata la scelta della più opportuna modalità di funzionamento; in alcune situazioni si dovrà stabilire, per esempio in base a un criterio di convenienza economica o di risparmio energetico, se convenga utilizzare l’energia elettrica prodotta dal motore per la sola utenza o, in parte, per il sistema a pompa di calore (in sostituzione della caldaia per l’integrazione della produzione termica), eventualmente con contemporaneità di richiesta frigorifera. Un caso ancora più complesso, giustificato in presenza di utenze caratterizzate da significativa sovrapposizione e alternanza delle richieste termiche e frigorifere, è rappresentato dalla combinazione dei due tipi di macchine frigorifere (ad assorbimento e a compressione), integrate con il motore primo. In questo caso la logica configurazione invernale acqua calda ritorno acqua aria ambiente gas di scarico pompa di calore/ frigorifero configurazione estiva e mezze stagioni acqua calda aria ambiente utenza elettrica, rete aria ambiente motore primo motore primo e frigorifero/pompa di calore 12 °C 7 °C acqua fredda per raffreddamento utenza fig. 16. Schema di impianto di trigenerazione con motore primo e gruppo pompa di calore/frigorifero a compressione. VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ 457 GENERAZIONE ELETTRICA DA FONTI FOSSILI di gestione diventa più complessa e richiede un’analisi caso per caso della più opportuna modalità operativa (Campanari e Macchi, 2004; Campanari et al., 2004). Bibliografia generale Appleby A.J., Foulkes F.R. (1993) Fuel cell handbook, New York, Van Nostrand Reinhold. Bitnar B. et al. (2003) Record electricity-to-gas power efficiency of a silicon solar cell based TPV system, in: Proceedings of the American Institute of Physics 5th conference on thermophotovoltaic generation of electricity, Rome (Italy), 16-19 September, 18-28. De Biasi V. (2001) DOE developing technology base for advanced microturbine designs, «Gas Turbine World», 31. DOE (US Department of Energy) (2002) Developing power systems for the 21st century. 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