Indice
1
INDICE GENERALE
1. CHIMICA GENERALE E ORGANICA
CHIMICA GENERALE
STRUTTURA DELL’ATOMO
PAG. 1
TAVOLA PERIODICA
PAG. 7
PROPRIETÀ PERIODICHE
PAG. 9
LEGAMI CHIMICI
PAG. 11
MOLECOLE E CRISTALLI
PAG. 15
NOMENCLATURA
PAG. 20
TERMODINAMICA E CINETICA
PAG. 24
REAZIONI CHIMICHE
PAG. 27
CHIMICA ORGANICA
PAG.29
2. LAPIDEI
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 59
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 59
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 64
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 68
TIPI E UTILIZZI
PAG. 70
STORIA
PAG. 75
DEGRADO
PAG. 78
RESTAURO
PAG. 85
ESERCIZI
PAG. 94
BIBLIOGRAFIA
PAG. 103
3. LEGANTI INORGANICI
4. STUCCHI
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 105
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 105
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 113
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 117
TIPI E UTILIZZI
PAG. 119
STORIA
PAG. 124
DEGRADO E RESTAURO
PAG. 126
ESERCIZI
PAG. 129
BIBLIOGRAFIA
PAG. 134
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 135
COMPOSIZIONE E PROPRIETÀ
PAG. 135
Indice
2
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 136
TIPI E UTILIZZI
PAG. 138
STORIA
PAG. 139
DEGRADO E RESTAURO
PAG. 140
BIBLIOGRAFIA
PAG. 142
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 143
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 143
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 146
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 148
TIPI E UTILIZZI
PAG. 151
STORIA
PAG. 158
DEGRADO E RESTAURO
PAG. 159
ESERCIZI
PAG. 161
BIBLIOGRAFIA
PAG. 164
LAVORAZIONE
PAG. 165
STORIA
PAG. 167
DEGRADO E RESTAURO
PAG. 170
BIBLIOGRAFIA
PAG. 172
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 173
MATERIALI
PAG. 173
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 175
STORIA
PAG. 178
DEGRADO
PAG. 180
RESTAURO
PAG. 181
ESERCIZI
PAG. 184
BIBLIOGRAFIA
PAG. 187
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 189
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 189
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 192
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 193
TIPI E UTILIZZI
PAG. 201
STORIA
PAG. 214
DEGRADO
PAG. 218
RESTAURO
PAG. 223
5. VETRO
6. VETRATE
7. MOSAICO
8. METALLI
Indice
3
ESERCIZI
PAG. 226
BIBLIOGRAFIA
PAG. 233
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 235
COMPOSIZIONE E LAVORAZIONE
PAG. 235
TIPI E UTILIZZI
PAG. 236
STORIA
PAG. 238
DEGRADO E RESTAURO
PAG. 239
BIBLIOGRAFIA
PAG. 242
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 243
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 243
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 245
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 247
TIPI E UTILIZZI
PAG. 252
STORIA
PAG. 259
DEGRADO
PAG. 266
RESTAURO
PAG. 268
ESERCIZI
PAG. 273
BIBLIOGRAFIA
PAG. 277
9. SMALTI
10. CERAMICHE
11. TERRECOTTE INVETRIATE
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 279
COMPOSIZIONE E LAVORAZIONE
PAG. 279
STORIA
PAG. 281
DEGRADO
PAG. 281
RESTAURO
PAG. 282
BIBLIOGRAFIA
PAG. 284
12. MATERIALI ORGANICI
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 285
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 285
PROPRIETÀ E UTILIZZI
PAG. 291
TIPI
PAG. 301
DEGRADO
PAG. 311
RESTAURO
PAG. 314
ESERCIZI
PAG. 321
BIBLIOGRAFIA
PAG. 331
Indice
4
13. MATERIALI PLASTICI
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 333
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 333
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 337
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 339
TIPI E UTILIZZI
PAG. 341
ESERCIZI
PAG. 345
BIBLIOGRAFIA
PAG. 350
14. COLORI E PIGMENTI
15. CARTA
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 351
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 351
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 354
TIPI E UTILIZZI
PAG. 362
STORIA
PAG. 372
DEGRADO
PAG. 384
RESTAURO
PAG. 386
ESERCIZI
PAG. 392
TABELLE
PAG. 401
BIBLIOGRAFIA
PAG. 409
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 411
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 411
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 418
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 423
TIPI E UTILIZZI
PAG. 429
STORIA
PAG. 433
DEGRADO
PAG. 436
RESTAURO
PAG. 438
ESERCIZI
PAG. 442
BIBLIOGRAFIA
PAG. 450
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 451
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 451
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 451
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 452
TIPI E UTILIZZI
PAG. 453
STORIA
PAG. 456
16. PERGAMENA
Indice
5
DEGRADO
PAG. 457
RESTAURO
PAG. 458
BIBLIOGRAFIA
PAG. 460
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 461
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 461
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 464
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 466
TIPI E UTILIZZI
PAG. 467
STORIA
PAG. 469
DEGRADO E RESTAURO
PAG. 471
ESERCIZI
PAG. 472
BIBLIOGRAFIA
PAG. 476
17. INCHIOSTRI
18. TECNICHE DI STAMPA
19. LEGNO
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 477
XILOGRAFIA
PAG. 477
CALCOGRAFIA
PAG. 478
LITOGRAFIA
PAG. 480
ALTRE TECNICHE
PAG. 481
BIBLIOGRAFIA
PAG. 484
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 485
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 485
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 489
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 493
TIPI E UTILIZZI
PAG. 497
DEGRADO
PAG. 503
RESTAURO
PAG. 505
IL LEGNO NELL’ARCHITETTURA
PAG. 506
IL LEGNO NELL’ARREDAMENTO
PAG. 510
IL LEGNO NELLA PITTURA
PAG. 517
IL LEGNO NELLA SCULTURA
PAG. 526
ESERCIZI
PAG. 532
BIBLIOGRAFIA
PAG. 539
20. FIBRE TESSILI
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 541
Indice
6
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 541
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 544
LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE
PAG. 547
TIPI E UTILIZZI
PAG. 553
STORIA
PAG. 555
DEGRADO
PAG. 559
RESTAURO
PAG. 561
ESERCIZI
PAG. 567
BIBLIOGRAFIA
PAG. 573
21. TECNICHE ARTISTICHE
22. DEGRADO
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 575
COMPOSIZIONE E ORIGINE
PAG. 575
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
PAG. 581
LAVORAZIONE E TIPI
PAG. 584
STORIA
PAG. 591
DEGRADO
PAG. 597
RESTAURO
PAG. 600
ESERCIZI
PAG. 607
BIBLIOGRAFIA
PAG. 611
INTRODUZIONE E GENERALITÀ
PAG. 613
CAUSE DI DEGRADO
PAG. 613
MECCANISMI DI AZIONE
PAG. 623
EFFETTI DI DEGRADO
PAG. 624
ESERCIZI
PAG. 625
BIBLIOGRAFIA
PAG. 628
STORIA
PAG. 629
BASI TEORICHE DEL RESTAURO
MODERNO
PAG. 630
FASI DI UN INTERVENTO DI RESTAURO
PAG. 633
Indagini
PAG. 633
Pulitura
PAG. 650
Documentazione
PAG. 658
ESERCIZI
PAG. 661
BIBLIOGRAFIA
PAG. 669
23. RESTAURO
Lapidei
1
Lapidei
Introduzione e generalità
Le pietre sono fra i primi materiali usati dall’uomo, insieme al legno e all’osso. Non a
caso la prima forma di civiltà elaborata dall’uomo fu definita “della pietra”. La fortuna
di questo materiale è dovuta alla sua facile reperibilità (le rocce sono i costituenti della
crosta terrestre), alle caratteristiche di durezza e durabilità che possiede, alla lavorabilità e quindi adattabilità alle necessità che alcune qualità offrono.
La varietà di rocce è molto ampia, sia come caratteristiche tecniche che estetiche.
L’uomo primitivo cominciò ad usare la pietra per procurarsi un riparo, vista la resistenza
di questo materiale alle intemperie: prima nelle grotte, poi nelle prime strutture senza
malta, successivamente con la tecnica della muratura a secco. La pietra ha costituito
il materiale d’elezione per le costruzioni fino all’inizio del ‘900 e all’avvento del calcestruzzo e del cemento armato. Essa ha caratterizzato intere città nei secoli della storia
sia sotto il profilo statico che formale.
L’uomo preistorico ha utilizzato pietre particolari lavorabili con altre pietre per ottenere
utensili e armi. Le rocce più tenere, ocre e grafite, furono usate per decorare le pareti
delle caverne. Altre rocce come marmi (soprattutto), graniti o arenarie hanno soddisfatto le esigenze estetiche umane per abbellire e decorare spazi e architetture. Inoltre le
pietre hanno svolto la funzione di supporto scrittorio sia come tavolette incise sia come
grandi steli (Rosetta), o colonne e archi di trionfo che recano scolpiti episodi storici. Infine sono rocce i materiali che vengono trasformati in ceramiche e vetri e quelli da cui
si estraggono tutti i metalli.
1. Quali caratteristiche hanno fatto la fortuna dei materiali lapidei?
2. Quali sono i molteplici usi dei vari materiali lapidei?
Composizione e origine
I materiali lapidei naturali usati dall’uomo sono le rocce che costituiscono la crosta terrestre, soprattutto quelle che si trovano vicino o sulla superficie.
Le rocce sono costituite da minerali. Raramente i minerali sono costituiti da un solo tipo di elemento (come l’oro e l’argento); di solito sono costituiti da composti dei metalli,
soprattutto ossidi e poi solfati e alogenuri. Anche i diffusissimi silicati, carbonati, solfati
e fosfati possono essere descritti in termini di combinazione di ossidi.
Le strutture cristalline dei minerali sono molte e danno luogo a cristalli che riproducono macroscopicamente le disposizioni ordinate che gli atomi assumono nel reticolo cristallino. Tali disposizioni devono rispettare precise leggi di simmetria per cui esistono
“solo” 32 forme cristalline semplici che però possono combinarsi fra loro per generare
molto più numerose forme complesse.
I minerali si dividono in due grandi classi: silicatici e non silicatici.
I minerali silicatici sono costituiti da silicio e ossigeno e costituiscono da soli l’80% dei
materiali che affiorano sulla superficie della crosta terrestre.
Il motivo per cui sono così diffusi e così vari deriva dal particolare chimismo dell’atomo
di silicio rappresentato in figura.
Minerale = sostanza naturale solida caratterizzata da una composizione chimica
ben definita e da una struttura cristallina
cioè da una disposizione ordinata e regolare degli atomi che la costituiscono.
I controioni che si legano alle cariche
negative sono il sodio (Na+), il potassio (K+), il calcio (Ca2+), il magnesio
(Mg2+), il ferro (Fe2+, Fe3+) e l’alluminio (Al3+) che può tra l’altro sostituire il
silicio all’interno dei tetraedri.
1
Lapidei
2
Alcuni atomi di ossigeno possono fungere da ponte dividendo la loro carica negativa
con due atomi di silicio. In pratica si ha un processo di polimerizzazione in cui i tetraedri condividono i vertici e secondo le forme indicate in figura. FIG. 1
I minerali non silicatici più importanti sono i carbonati di calcio CaCO3 (calcari) e i carbonati doppi di calcio e magnesio CaMg(CO3)2 (dolomie). Frequenti anche il salgemma
(NaCl) e il gesso (CaSO4 . 2H2O).
I minerali si formano per cristallizzazione dei composti che li costituiscono. Tale cristallizzazione può avvenire attraverso vari meccanismi: per solidificazione di un fuso (lava o
magma) per raffreddamento, e questo dipende dal punto di fusione dei vari composti; per
precipitazione da soluzioni sature, e questo dipende dalla solubilità dei vari composti; per
sublimazione di vapori o evaporazione di soluzioni acquose; per attività biologiche cioè
elaborazione da parte di organismi viventi di composti inorganici per formare scheletri,
gusci ecc; per trasformazioni allo stato solido causate da alte pressioni e temperature che
modificano combinazioni e disposizioni degli atomi.
Le rocce sono definite come aggregati naturali di diversi minerali. Si originano e si evolvono in modo molto vario ma
si possono sintetizzare tre grandi processi litogenetici che
danno origine alle tre classi di rocce: ignee (o magmatiche),
sedimentarie e metamorfiche. FIG. 1 bis
FIG. 1
Le rocce ignee
Costituiscono il 35-40% della superficie della crosta terrestre. Si formano da materiale fuso che si chiama magma
se rimane nella profondità della crosta e lava se emerge
attraverso fessure o camini vulcanici. Posto che sono costituite prevalentemente da silicati, la varietà delle rocce
ignee dipende dalla loro composizione e dal modo in cui è
avvenuta la cristallizzazione.
In base alla composizione le rocce si suddividono come in tabella:
% in silicio
45
ultrabasiche
basiche
ricche in sodio
e potassio
65
52
neutre
FIG. 1 bis
acide
alcaline
Macroscopicamente la composizione delle rocce può essere intuita dal colore che è prevalentemente chiaro (bianco, rosa) nel caso di rocce acide e che diventa più scuro mano
a mano che l’acidità diminuisce. Le rocce ignee acide vengono anche dette sialiche per
la prevalenza di minerali contenenti silicio e alluminio, quelle basiche vengono chiamate anche femiche per l’elevata percentuale di ferro e magnesio.
I minerali che caratterizzano le rocce ignee sono riassunti nello schema seguente:
Quarzo (SiO2)
Acidità (% di silice)
Feldspati cioè tectosilicoalluminati di potassio (KAlSi3O8, detto ortoclasio),
di sodio (NaAlSi3O8, detto albite), di calcio (CaAl2Si2O8 detto anortite)
Miche cioè fillosilicati di ferro, alluminio, magnesio e potassio di
colore nero (biotite) o bianco (muscovite)
Pirosseni cioè inosilicati a catena semplice di ferro,
magnesio, alluminio, calcio e sodio
Anfiboli cioè inosilicati a catena doppia di calcio,
magnesio, ferro, alluminio e gruppi OH
Olivine cioè miscele di Mg2SiO4 e Fe2SiO4
Lapidei
3
La composizione mineralogica in diverse percentuali dei magmi dà luogo a rocce con
caratteristiche diverse. La composizione dei magmi dipende dalle condizioni della loro formazione: la temperatura, la pressione e l’ambiente in cui è avvenuta la fusione.
Considerando che di base i minerali sono composti da ossidi, bisogna sottolineare che
quelli degli elementi più pesanti fondono a temperature più alte rispetto a quelli più
leggeri. Quindi le rocce più acide, ricche in silicio e alluminio piuttosto leggeri, provengono da magmi che si sono formati nella crosta terrestre, tramite processi di anatessi, in
cui le temperature e le pressioni non sono altissime. Sono di solito magmi molto viscosi
perché contengono i prodotti di polimerizzazione del silicio, che possono subire processi
di rifusione e ricristallizzazione nella loro risalita verso la superficie (arricchendosi di
elementi più leggeri abbondanti nelle zone superficiali). Al contrario le rocce basiche
traggono origine da magmi formatisi nella zona al limite superiore del mantello, quindi con temperature e pressioni altissime che permettono la fusione di elementi pesanti
come il ferro. Il risultato è un materiale molto fluido, denso e scuro.
In base al modo in cui avviene la solidificazione del fuso, le rocce ignee si differenziano in intrusive ed effusive. La solidificazione porta alla formazione di cristalli la cui
grandezza dipende dal gradiente di temperatura e dalla sua variazione nel tempo. Se
il gradiente di temperatura fra l’ambiente di formazione e quello di solidificazione è
grande e il passaggio è brusco (come nel caso delle lave) la cristallizzazione è veloce e
si formano cristalli piccolissimi (a volte la struttura rimane addirittura amorfa o vetrosa), caratteristica delle rocce effusive. Altra struttura tipica delle rocce effusive è quella
porfirica creata dalla cristallizzazione frazionata dei componenti: quelli più altofondenti cristallizzano lentamente durante la risalita e formano fenocristalli (cioè cristalli
visibili ad occhio nudo), il resto cristallizza tutto insieme creando una matrice amorfa.
Al contrario, se le condizioni di cristallizzazione sono più blande, essa avviene lentamente e si formano i grandi cristalli tipici delle rocce intrusive.
Le rocce effusive si formano sopra la crosta terrestre, quelle intrusive dentro e vengono
portate in superficie sia dai processi di erosione sia dai movimenti tettonici.
Tenendo presente i due criteri di classificazione si possono distinguere varie classi di
rocce riassunte nella tabella seguente:
INTRUSIVE
EFFUSIVE
Acide
Graniti
Porfidi
Neutre
Dioriti
Andesiti
Basiche
Gabbri
Basalti
“Alcaline”
Sieniti
Trachiti
Ci sono particolari classi di rocce, tipo: le ossidiane, a struttura vetrosa o ialina; la pietra
pomice alla quale la brusca fuoriuscita dei componenti gassosi (dovute ai drammatici
cambiamenti di pressione e temperature esterne) ha conferito una struttura porosa; le
rocce ultrabasiche come le peridotiti.
Le rocce sedimentarie
Sono definite anche rocce secondarie perché formati da materiali preesistenti che hanno subito dei processi di trasformazione. I processi di trasformazione sono quattro:
1. Degradazione
2. Trasporto
3. Deposizione
4. Diagenesi o litificazione.
È un tipo di rocce molto diffuso, soprattutto in superficie ed estremamente eterogeneo
perché i materiali di partenza possono essere i più svariati e i processi di formazione
differenziati. Infatti non tutti quelli elencati sopra e descritti di seguito vengono applicati per tutte le tipologie di rocce.
1. La degradazione è alterazione di rocce preesistenti che subiscono l’azione fisica e
3
Lapidei
4
chimica degli elementi esogeni: aria, acqua e esseri viventi.
L’azione fisica o erosione è dovuta all’azione meccanica di venti, fiumi e ghiacciai e
all’azione dell’acqua. L’acqua può provocare la disgregazione delle rocce sia per le sue
proprietà gelive (cioè l’aumento di volume del ghiaccio rispetto all’acqua liquida) sia
per le sue proprietà solventi (i sali che può portare in soluzione possono poi cristallizzare in seguito a variazioni termoigrometriche): in seguito a questi fenomeni si creano
tensioni interne alla roccia che portano al distacco di piccoli frammenti. Infine si possono verificare degradazioni fisiche dovute agli esseri viventi: calpestii di animali o penetrazione di radici delle piante.
L’azione chimica o corrosione può essere causata dall’acqua che può sciogliere i minerali o può promuovere reazioni acido-base (con i gas che scioglie e che la rendono acida) e di complessazione (se contiene composti organici estratti dai suoli). Anche i gas
dell’atmosfera e gli acidi prodotti dai microrganismi sono in grado di corrodere le rocce.
2. Il trasporto dei prodotti di degradazione avviene ad opera dei venti, delle piogge
e dei corsi d’acqua. I frammenti più piccoli vengono trasportati in sospensione, quelli
più grandi per rotolamento. Più è lungo il “viaggio” più accentuato è il cambiamento di
forma (che tende a diventare tondeggiante) e di dimensione (che diminuisce).
3. La deposizione o sedimentazione avviene perché gli agenti trasportanti perdono la
loro energia e velocità, pensiamo per esempio ai bacini lacustri e marini.
Qualora i sali (soprattutto solfati e carbonati) siano disciolti nelle acque, la loro precipitazione è provocata da variazioni di temperatura che abbassano il prodotto di solubilità, da evaporazione del solvente per cui viene superato il punto di saturazione, da
brusche diminuzioni di pressione.
4. La diagenesi o litificazione è quella serie di processi chimici e fisici che porta alla
formazione della roccia compatta e coerente. Questi processi sono dovuti all’alta pressione causata dall’accumularsi di materiale e all’alta temperatura conseguente allo
sprofondamento della crosta terrestre (1 °C per ogni 33 metri di profondità). In un primo
momento si ha la compattazione per cui gli spazi fra i frammenti detritici si riducono
con espulsione sia dell’acqua interstiziale sia dei gas. Successivamente si ha la cementificazione dovuta alla circolazione di acque freatiche che depositano sali in esse contenuti andando a costituire la matrice che cementa i grani sedimentati. Tale matrice può
essere di natura carbonatica o silicatica.
Si possono poi verificare successive trasformazioni dei cristalli compattati: la ricristallizzazione che può portare alla formazione di macrocristalli e il metasomatismo che consiste nella sostituzione di un materiale con un altro (esempio la formazione di dolomite
da un calcare che sia stato in contatto con acqua di mare ricca di magnesio).
Le rocce sedimentarie si suddividono in:
a) clastiche
b) piroclastiche
c) organogene
d) chimiche
e) residuali
a) Rocce clastiche. Sono costituite da detriti (clasti) trasportati lontani dal luogo di
degradazione che si possono trovare in forma coerente o incoerente a seconda se abbiano subito o no il processo di diagenesi.
In base alla dimensione dei clasti si possono classificare secondo la tabella a fianco.
DIMENSIONI (mm)
INCOERENTI
COERENTI
16 - 2
Ghiaia
Brecce, Puddinghe
2 - 0.06
Sabbia
Arenarie
0.06 - 0.04
Silts
Siliti
<0.04
Argille, Marne
Argilliti
b) Rocce piroclastiche. Sono formate da materiali lanciati durante l’eruzione dei vulcani (lapilli, ceneri, polveri). Sono quindi di origine vulcanica e hanno subito il processo di
Lapidei
5
trasporto, sedimentazione e diagenesi. Fra queste rocce troviamo i tufi e le pozzolane.
c) Rocce organogene. Originate da resti animali (scheletri e gusci) o vegetali che si sono depositati in enormi quantità e hanno subito la diagenesi. Possono essere di natura
calcarea (calcari nummulitici, a lumachelle, corallini) o silicea (diatomee, radiolari). I
resti di organismi vegetali sono all’origine dei carboni fossili.
d) Rocce chimiche. Sono originate da fenomeni chimici: precipitazione, evaporazione
del solvente, corrosione di rocce preesistenti. Si distinguono: le rocce calcaree costituite
da carbonato di calcio precipitato da acque ad elevata durezza (travertino, alabastro
calcareo, calcari, dolomite, stalattiti e stalagmiti); le rocce silicee formate per flocculazione della silice colloidale (selci, opali ecc); rocce saline o evaporitiche, formate in
seguito all’evaporazione di acque salmastre in bacini chiusi (gesso, anidride, alabastro
gessoso tutti a base di solfato di calcio CaSO4, salgemma NaCl, silvite KCl).
e) Rocce residuali. I detriti che non hanno subito trasporto danno luogo a tali rocce
tra le quali ricordiamo la bauxite (minerali di alluminio), le lateriti (minerali di ferro),
il caolino (argilla pura).
Le rocce metamorfiche
Derivano dalla trasformazione che rocce ignee o sedimentarie subiscono all’interno
della crosta terrestre quando sono sottoposte ad alte temperature e alte pressioni. In
queste condizioni possono aversi sia cambiamenti di composizione che di struttura. Le
condizioni si creano nelle vicinanze di un magma in risalita (metamorfismo di contatto)
o quando sono coinvolti nei movimenti orogenetici fra le zolle tettoniche (metamorfismo regionale).
Il primo caso interessa le aree che si trovano nella zona circostante il magma definita
“aureola di metamorfismo” la cui azione dipende dalla temperatura e dalla dimensione
del magma e dalla natura delle rocce che si trovano a contatto con esso (le rocce calcaree sono più facilmente metamorfosate). Tale metamorfismo, dovuto essenzialmente
alle elevate temperature, porta a variazione di composizione e di struttura.
Il metamorfismo regionale interessa masse molto ampie: se avviene a profondità relativamente basse l’effetto è dovuto soprattutto alla pressione e si verificano cambiamenti
a livello della struttura che assume una forma lamellare conferendo scistosità alla roccia (capacità di essere separata a strati); se avviene a maggiori profondità si hanno le
condizioni anche per fusioni parziali (anatessi) con cambiamento anche della composizione e con strutture granulari.
L’entità delle trasformazioni metamorfiche dipende dalle condizioni di temperatura e
pressione raggiunte e le rocce che si originano possono essere a basso, medio e alto
grado di metamorfismo a seconda della differenza raggiunta rispetto alle rocce di partenza.
Fra le rocce metamorfiche quelle che rivestono un interesse maggiore per l’edilizia o
per le belle arti sono i marmi (derivano da calcari), i serpentini (da gabbri), i diabase
(da basalti), i gneiss (da graniti), le filladi (da argille) fra cui ricordiamo le ardesie e la
lavagna.
3. Da quali tipi di composti chimici sono costituiti i minerali?
4. Quante sono le forme cristalline semplici? Da che cosa derivano quelle complesse?
5. Da cosa posso dedurre la struttura cristallina microscopica?
6. Quali minerali costituiscono da soli l’80% dei materiali sulla superficie della crosta
terrestre?
7. In quali modi può avvenire la cristallizzazione?
8. Quali sono le tre grandi classi di rocce? In base a quale criterio vengono distinte?
9. Come possono essere classificate le rocce ignee in base al contenuto di silice? Come
possono essere distinti i vari tipi facendo osservazioni macroscopiche?
10. Indicare alcuni dei materiali che costituiscono le rocce ignee.
5
Lapidei
6
11. In che modo le condizioni di formazione dei magmi influenzano la composizione
delle rocce ignee che derivano dal loro raffreddamento?
12. In che modo le condizioni di raffreddamento dei materiali fusi influenzano la struttura delle rocce ignee?
13. Spiega la formazione della struttura porfirica e di quella vetrosa. Fare degli esempi
concreti.
14. Quali sono i processi di trasformazione che portano alla formazione di rocce sedimentarie? Si verificano sempre tutti? Fare degli esempi concreti.
15. Parlare della degradazione chimica.
16. In che modo l’acqua partecipa alla degradazione e al trasporto dei detriti?
17. Come si fa a capire la lunghezza del viaggio guardando i detriti?
18. Da quali fattori può essere provocata la deposizione chimica?
19. Cos’è la diagenesi? Da che cosa può essere formata la matrice?
20. In quali classi si suddividono le rocce sedimentarie? Fare almeno un esempio concreto per ogni tipo.
21. Quali sono i due tipi di metamorfismo? Descrivili.
22. A quali cambiamenti può portare il metamorfismo?
23. Qual è la più usata e famosa roccia metamorfica?
Proprietà e caratteristiche
Analizzando i diversi aspetti delle rocce, si possono suddividere le varie proprietà e caratteristiche in:
Mineralogiche
Fisiche
Meccaniche
Termiche
Chimiche e biologiche
Tecnologiche
Altre
Proprietà mineralogiche
Giacitura È il modo in cui la roccia viene trovata in natura: giacimenti, filoni, masse
isolate più o meno grandi.
Composizione Insieme dei minerali che la costituiscono. Essi possono essere essenziali, accessori e accidentali  in base alla loro quantità e all’uniformità della loro distribuzione.
Struttura È la forma e la dimensione dei cristalli. Può essere macrocristallina, microcristallina e amorfa o vetrosa.
Tessitura È la disposizione dei cristalli. Può essere caotica, a strati o in forme particolari
(esempio la struttura lenticolare dello gneiss occhialino).
 Per esempio sono componenti accidentali il diamante nella Kimberlite o le “lacrime di Carrara” di quarzo purissimo nelle cavità del marmo. Il granito è composto
“essenzialmente” di quarzo, feldspati e
miche, “accessoriamente” da apatite, zircone e magnetite, “accidentalmente” da
berillo, tormalina e ametista.
Lapidei
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Proprietà fisiche
Densità Essa può essere apparente o reale a seconda che consideri anche il volume dei
pori o no. La prima si misura su un blocco di roccia, la seconda sulla roccia polverizzata. Il rapporto fra questi due valori dà una misura del grado di compattezza della roccia. Il valore della densità è importante per i calcoli di stabilità (se la roccia è usata per
costruzioni) e per la determinazione del prezzo (se è acquistata a peso). Il valore della
densità dipende dal modo in cui la roccia si è formata e dalla composizione: i materiali sono più densi quando le geometrie sono più compatte e quando la distribuzione
degli atomi è più uniforme.
Porosità Dipende dalla quantità di gas che restano intrappolati nella roccia nel suo
processo di formazione (raffreddamento, litificazione, pressione). Ai fini delle proprietà
della roccia è più importante conoscere il valore della porosità accessibile, cioè quella
aperta verso l’esterno e che permette l’interazione con acqua e atmosfera. La porosità
è un indice di compattezza e si misura con il rapporto fra densità reale e apparente.
Densità = quantità di massa contenuta
in un determinato volume
Porosità = indica la percentuale in volume degli spazi non occupati dal solido.
Proprietà meccaniche
Descrivono le reazioni di un materiale quando viene sollecitato da forze in diverse
direzioni.
Elasticità. Il modulo di elasticità è definito come il rapporto tra il valore dello sforzo
di compressione normale al corpo e il valore della diminuzione della dimensione longitudinale del corpo. Conoscere questo valore è essenziale per il calcolo delle strutture.
Tenacità. Dipende dalla struttura, dalla tessitura, dalla natura della matrice (per rocce
sedimentarie), dalla porosità. La tenacità influenza anche la difficoltà di lavorazione
dei blocchi di pietra.
Resistenza a compressione. È una della principali caratteristiche che si richiede alle
pietre da costruzione. Dipende dalla struttura, dall’uniformità, dalla pesantezza, dalla
compattezza. In una classificazione grossolana partiamo dai basalti (i più resistenti) e
passiamo per i graniti, i porfidi, i marmi saccaroidi, gli gneiss, i calcari, le arenarie, i
travertini e i tufi.
Resistenza a trazione. Le pietre hanno una resistenza a trazione molto inferiore a
quella a compressione.
Resistenza al taglio. Di solito bassa, dipende dalla direzione della sollecitazione rispetto alla tessitura della roccia.
Resistenza a flessione. È richiesta se lastre di pietra vengono usate come gradini,
mensole, sedili ecc. Dipende dalla tessitura, dal modulo di elasticità, dal grado di umidità.
Durezza. Dipende dalla natura, struttura e tessitura della roccia. Permette una classificazione merceologica delle rocce in: dure (marmi e arenarie forti), semidure (calcari e
arenarie tenere) e tenere (tufi). Per la durezza ci si riferisce alla scala di Mohs dove ogni
componente scalfisce i precedenti ed è scalfito dai successivi. Dai valori di durezza dipende anche la resistenza all’usura o logoramento, caratteristica importante quando le
pietre vengono vengono usate per pavimentazioni e lastricati stradali.
Tenacità = capacità di resistere agli urti.
Resistenza e compressione = carico di
rottura che provoca lo schiacciamento.
Durezza = resistenza alle forze che incidono, scalfiscono o tagliano.
Proprietà termiche
Coefficiente di dilatazione. Per le pietre e le rocce è generalmente molto basso ma
bisogna tenerne conto quando, nelle costruzioni, questi materiali vengono associati ad
altri (esempio cemento) che hanno diversi coefficienti di dilatazione. Una buona tecnica costruttiva prevede l’uso di giunti di dilatazione per assecondare i vari movimenti.
Conducibilità termica. È una caratteristica molto variabile nelle rocce: si va dall’ottima coibenza del tufo, a quella media di calcari e basalti, a quella relativamente bassa
di porfidi e graniti. La conducibilità termica delle rocce dipende anche dalla loro porosità ed è una proprietà importante quando la roccia è usata come pietra da costruzione:
infatti determina l’entità della dispersione di calore anche se lo spessore dei muri di
pietra, di solito piuttosto rilevante, garantisce la coibenza.
Resistenza al fuoco. Una grossolana classificazione in base alla resistenza al fuoco
decrescente prevede di partire dai serpentini e dai talchi, passare per le arenarie e finire con i graniti (che si fondono) e con i calcari (che si calcinano).
Coefficiente di dilatazione = variazione dimensionale di un corpo in seguito
alle variazioni di temperatura.
Conducibilità termica = capacità di un
materiale di farsi attraversare dal calore e
quindi la sua bontà come isolante.
Resistenza al fuoco = capacità di mantenere la propria struttura, composizione,
caratteristiche anche ad altissima temperatura (esempio incendi, camini ecc.).
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Proprietà chimiche
Le proprietà chimiche di una roccia si definiscono come la possibilità che hanno i suoi
componenti di prendere parte a reazioni acido-base, redox, di complessazione e di
scambio ionico. Dipendono dalla composizione chimica cioè dal tipo di atomi e molecole che costituiscono la roccia. A grandi linee consideriamo il chimismo dei suoi elementi più importanti:
Gli ioni sodio Na+ e potassio K+ si possono scambiare (sono vicarianti) all’interno del
reticolo cristallino, così come gli ioni calcio Ca2+ e magnesio Mg2+.
Il carbonio C si trova puro, come grafite o come diamante in base alla diversa ibridazione dell’atomo o legato in tutti i carbonati CO32-.
Il silicio Si4+, e l’alluminio, Al3+, sono gli elementi più abbondanti e sono anch’essi vicarianti. Se uno ione alluminio sostituisce uno ione silicio si crea una mancanza di carica positiva che può essere colmata con la presenza di Na+ (e si formano gli ortoclasi), di
K+ (e si forma l’albite) o Ca2+ (si forma l’anortite). La combinazione di questi tre silicati
forma i feldspati, uno dei componenti dei graniti. Il silicio ha un leggero carattere acido
e riducente, l’alluminio ha caratteristiche anfotere ed è fortemente riducente.
Il fosforo P si trova principalmente nei suoli mentre lo zolfo S, sottoforma di solfato, si
trova nei gessi.
Gli elementi di transizione si trovano in forma ionica e hanno la funzione di impartire
colore oltre a poter dar luogo a reazioni di complessazione.
Fra le proprietà chimiche più importanti ci sono il colore e la durevolezza.
Colore. È un fattore importante quando le pietre sono usate a scopo decorativo. Le rocce
possono essere monocrome o policrome. Se prevalgono materiali chiari la roccia sarà
detta leucocrata, se il colore è intermedio mesocrata, se prevalgono i minerali scuri melanocrata. Le rocce sono monocrome se hanno una tinta uniforme o se essa appare uniforme a breve distanza. Il marmo statuario bianco è un’eccezione, un esempio di pietra
monocroma grigia è la pietra serena.
L’aspetto cromatico macroscopico dipende dalla presenza di vari minerali e dalla loro
distribuzione. A livello microscopico dipende soprattutto dalla presenza di ioni di metalli di transizione nei vari stati di ossidazione all’interno del reticolo cristallino o da
difetti del reticolo stesso.
Il colore di una roccia può subire alterazioni nel tempo dovute a variazioni del numero
di ossidazione dei metalli (con formazione di nuovi composti) in seguito a reazioni redox con componenti dell’atmosfera, specialmente se inquinata. Esempi di variazione si
riscontrano nei marmi verdi secondo la seguente reazione:
FeSiO3 + 3/2 O2 + 2 H2O
→ Fe2O3. H2O + 2 Fe2(SiO3)3
(Silicato ferroso)
(limonite)
Verde
gialla
giallo pallido
In climi aridi la limonite si disidrata a Fe2O3 di colore rosso, in ambiente con eccesso di
CO2 si formano carbonati di colore marrone scuro.
Un altro esempio è costituito dai marmi rosa per la presenza di sali di manganese nello
stato di idratazione 2+, secondo la seguente catena di reazioni:
2 MnCO3 + ½ O2 + H2O → 2 MnO(OH) → 2 MnO2
Rosa
- 2CO2
bruciato + ½O2
Durevolezza. La durevolezza di una pietra dipende dalla sua composizione chimica, Durevolezza = capacità delle pietre a
dalla sua struttura e anche dal grado di lavorazione.
resistere all’azione chimica fisica e bioloQuindi le pietre silicatiche sono più durevoli di quelle carbonatiche. Infatti la forma gica degli agenti esterni.
termodinamicamente più stabile del silicio è il suo ossido SiO2 ed è anche la forma più
diffusa. Diverso il discorso per il carbonio per il quale la forma più stabile è il diamante,
notoriamente molto rara. Lo ione carbonato, CO32-, è quindi una forma in cerca di equilibrio che subisce reazioni di bicarbonatazione e si solubilizza con una certa facilità.
Subisce anche reazioni di scambio anionico con formazione di solfato di calcio, gesso.
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Considerando l’aspetto strutturale una roccia porosa o poco compatta subisce maggiormente gli attacchi chimici e fisici e per gli stessi motivi per cui è meno durevole una
pietra con la superficie non lavorata (levigata e/o lucidata): espone una maggior superficie di attacco per unità di volume.
Una caratteristica specifica è la gelività, cioè la sensibilità alla formazione di ghiaccio.
Il ghiaccio ha un volume specifico maggiore dell’acqua e se si forma all’interno di pori,
fratture o scistosità può esercitare pressioni tali da portare alla frantumazione.
È quindi evidente la necessità di scegliere con oculatezza le pietre da costruzione o da
decorazione qualora siano destinate ad una collocazione esterna.
Proprietà tecnologiche
Lavorabilità. In base ai metodi di lavorazione una roccia può essere spaccabile (dipende anche dalla presenza di “peli” che sono piccole fratture naturali), segabile (dipende dalla durezza), scolpibile (dipende dalla finezza della trama, dall’omogeneità,
dalla tenacità, dalla coesione) e lucidabile. Ottenere superfici lucide speculari è più
difficile per pietre molto dure che però mantengono un aspetto molto lucido per molto
tempo. La lucidatura aumenta la vivacità del colore e la durevolezza della pietra.
Aderenza alla malta. Caratteristica importante per rocce che devono essere impiegate
per murature. Dipende dalla ruvidezza della superficie, dalla porosità, dal contenuto di
miche e minerali talcosi (che diminuiscono tale aderenza).
Omogeneità cioè uniformità di composizione e/o di struttura. Dipende dall’origine e
dal modo di formazione. Le rocce organogene e alcune di deposizione chimica sono
più uniformi rispetto a quelle ignee e quelle metamorfiche. L’omogeneità permette certi
utilizzi: per esempio il quarzo è usato per la fabbricazione di componenti ottici perché
è trasparente alle radiazioni ultraviolette. Un esempio particolare sono i marmi, rocce
apprezzate contemporaneamente per la loro uniformità di composizione e soprattutto di tessitura e per la presenza di inquinanti. Le prime caratteristiche giustificano la
estrema lavorabilità di queste rocce, gli inquinanti sono responsabili delle varietà di
tinte ed eleganza nei disegni.
Lavorabilità = «attitudine di una roccia
ad essere lavorata in modo da assumere
una forma determinata e determinati caratteri di superficie» (Artini).
Altre proprietà
Sono legate alla porosità e da esse dipende a resistenza di una roccia.
Imbibizione = capacità di una roccia, immersa in acqua, di impregnarsi.
Assorbimento o igroscopicità = capacità di una roccia, a contatto con acqua o materiali umidi, di assorbire acqua per capillarità.
Permeabilità = capacità di una roccia di impregnarsi di acqua o di lasciarsi attraversare da essa sotto un una certa pressione idrostatica. Questa è una caratteristica importante nella costruzione di dighe.
24. Qual è la differenza fra densità apparente e densità reale? Come si misurano e su
quali proprietà dà indicazioni il loro rapporto?
25. Da quali fattori dipende la resistenza a compressione?
26. Per quali usi delle pietre è fondamentale un buon valore di durezza? Perché?
27. Quali sono le proprietà termiche delle rocce?
28. Quali sono gli aspetti chimici e strutturali che diminuiscono la durevolezza di una
roccia?
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Lapidei
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Lavorazione e fabbricazione
FIG. 2a
Le fasi della lavorazione dei materiali lapidei sono:
1. estrazione
2. trasporto
3. lavorazione vera e propria.
Estrazione
Il luogo di produzione è detto “cava”: di solito è a cielo aperto ma può essere in galleria
o sui letti dei fiumi e dei laghi.
Dalle cave a cielo aperto in zone collinari o montagnose si cavano pietre e marmi.
Per cominciare ad utilizzare una cava è necessario asportare lo strato superficiale (detto
“cappellaccio”) e creare un piazzale antistante per il movimento dei mezzi di trasporto
e per il deposito dei materiali estratti.
Poi si comincia ad ottenere massi di roccia dal “fronte” usando mezzi meccanici (martelli pneumatici, perforatrici) mentre per ottenere grandi blocchi si usa la dinamite. Si
creano profondi fori (della lunghezza del blocco che si vuole ottenere) che si riempiono
di cariche di dinamite. FIG. 2/a Il brillamento delle mine viene chiamato “volata”. Anticamente si praticavano fori per infilare dei pali di legno che venivano successivamente bagnati. Il loro conseguente aumento di volume creava una pressione sufficiente a
provocare il distacco del blocco. Per ottenere invece i blocchi squadrati, specialmente di
marmo, si usa un filo elicoidale che “sega” la pietra. FIG. 2/b Il cavo è teso in modo da
formare un circuito chiuso. Il continuo movimento, bagnato sempre da acqua e sabbia
o carburo di silicio, taglia la roccia secondo superfici lisce per cui la cava risulta come
una serie di immensi gradoni. 
Dalle gallerie si estraggono soprattutto certi tipi di tufo, che sono rocce relativamente
tenere e possono essere “staccate” più facilmente con mezzi meccanici e manuali.
Dal letto di fiumi si estraggono le rocce incoerenti quali ghiaie e sabbie. I macchinari
necessari sono una benna che per mezzo di cavi trasporta il materiale su un piazzale
di deposito. Il materiale viene prima lavato e poi fatto passare attraverso una serie di
vagli rotanti che lo separano per granulometria.
Trasporto
Data l’ubicazione delle cave, di solito in zone collinari e montuose, e la dimensione e la
pesantezza del materiale, il problema del trasporto non è secondario. Se si ha la possibilità di una strada si usano gru per caricare il materiale su autocarri, altrimenti si
ricorre alla lizzatura , un sistema antico in cui i pesanti blocchi di marmo, trattenuti da
funi di acciaio (governate da argani a motore), vengono fatti scivolare su rulli di legno
fino alla strada più vicina.
Lavorazione
Per tutte le fasi delle lavorazioni della pietra occorre una grande quantità d’acquasoprattutto per contrastare il surriscaldamento dei macchinari a causa dell’attrito provocato dall’interazione con materiali così compatti.
Alcune lavorazioni possono avvenire anche nel piazzale antistante la cava. Per esempio
la frantumazione della roccia per ottenere il pietrisco. Le rocce usate a questo scopo devono essere molto dure (basalti e calcari compatti) e per la loro frantumazione si usato
“frantoi” costituiti da cilindri rotanti muniti di martelli che riducono in pezzi il materiale
caricato. Il pietrisco ottenuto deve essere sottoposto ad una serie di lavaggi per eliminare lo strato di polvere depositato sui clasti e ad una serie di vagli per separarlo in base
alla granulometria.
Sempre in cava può essere eseguita la riduzione delle dimensioni dei blocchi e la loro
squadratura più o meno grossolana qualora si debbano ottenere conci per costruzioni
o restauri.
Nei cantieri specifici di lavorazione della pietra si eseguono la finitura delle superfici,
la riduzione in blocchi o lastre e l’esecuzione dei lavori complessi fino ad arrivare alle
opere di scultura.
FIG. 2b
 Si possono usare anche macchine ad
aria compressa che creano molti piccoli fori allineati che vengono riempiti con
piccole cariche di esplosivo. Più è dura la
roccia più piccolo è il diametro del foro. Il
brillamento delle cariche così disposte non
danneggia l’integrità del blocco.
Lapidei
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La finitura delle superfici lapidee può essere eseguita in vari modi in funzione degli strumenti utilizzati. Gli strumenti a disposizione FIG. 3 possono servire a incidere (1-subbia, 2-scalpello, 3-sgorbia, 4-scalcagnolo, 5-gradina) o a battere (6-mazza,
7-mazzuolo, 8-bocciarda, 9-martellina). Si possono avere quindi scalpellatura, bocciardatura, gradinatura, martellinatura ecc. e tutte possono essere grosse, medie e fini in
base al grado di finezza. FIG. 4
La riduzione in blocchi può essere effettuata con mezzi manuali o, come nel caso dei
tufi, con seghe a filo. In questo caso si ottengono blocchi squadrati e regolari di rocce
relativamente tenere e utilizzate molto per le costruzioni.
La riduzione in lastre è una fase molto importante visto anche che l’uso preminente dei
materiali lapidei è, oggigiorno, quello di rivestimento. I blocchi provenienti dalle cave
vengono “regolarizzati”, cioè viene loro data una forma approssimativamente squadrata per mezzo di seghe alternative a lama unica diamantata. Successivamente avviene
la riduzione in lastre con l’uso di dischi diamantati (per piccole dimensioni) o di seghe
a telaio. 
Infine si passa alla alla levigatura e la lucidatura delle parti in vista. La prima operazione permette di ottenere una superficie piana e semilucida con l’uso di frese. La lucidatura si effettua con moli abrasive a grana sempre più fina fino ad usare dei dischi di
feltro per ottenere una superficie quasi speculare. La lucidatura può essere effettuata
anche con la fiamma ossidrica ed è in ogni caso un trattamento che richiede tempo,
cura ed esperienza.
Per l’esecuzione di lavori complessi come arte sacra, funeraria o monumentale, la lavorazione è molto diversa ed è affidata a raffinati artigiani quando non ad artisti come
nel caso della scultura. Gli strumenti a disposizione dello scultore sono quelli indicati
per la finitura delle superfici. La tecnica prevede l’esecuzione di un modello in creta
dal quale viene ricavato un calco in gesso. Da questo vengono riportati tantissimi punti
sul blocco di marmo da scolpire con il metodo della crocetta (vedi STORIA). Questo è
un sistema che permette di “amplificare” o “gonfiare”
il modello fino alle dimensioni volute. I punti tracciati
guidano la mano dell’operatore sia nelle linee sia nelle
profondità e nei volumi. Questo modo di procedere può
anche assumere un carattere pre – industriale perché
apre alla possibilità di eseguire un numero infinito di
copie a partire da un modello artigianale. La “mano”
dell’artista si evidenzia nella elaborazione del modello,
nell’eventuale esecuzione finale di parti particolarmente delicate come i volti e le espressioni e nelle ultime finiture del modellato. Il resto è opera di maestranze specializzate. La finitura delle superfici scultoree si effettua
con panni umidi e una miscela di pomice polverizzata e
zolfo o con l’impiego di acido ossalico a seconda che si
voglia ottenere una superficie levigata e mezzo lucida o
levigata specchiante.
29. Come si possono ricavare i blocchi dalle cave? E se
vogliamo blocchi squadrati?
30. Quali tipi di rocce si ricavano dalle gallerie e dai letti
dei fiumi?
31. Quali lavorazioni possono essere effettuate sul piazzale antistante la cava?
32. Quali sono gli strumenti usati per finire le superfici
lapidee?’
33. Come si possono ottenere lastre? E se si vogliono levigare o addirittura lucidare?
FIG. 3
 Sono costituite da una serie di lame di
ferro senza denti che eseguono un movimento alternato sotto costante flusso
di acqua contenente sabbia silicea come
abrasivo. Penetrano nella pietra a velocità diverse a seconda della natura della roccia: 4-5 cm/h per le rocce tenere,
2 cm/h per i marmi, qualche mm/h per i
graniti.
FIG. 4. Superfici lavorate con scalpello (1, 2 e 6), bocciarda (3 e 4), gradina (5)
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Lapidei
Tipi e utilizzi
La pietra è stata usata fino agli inizi del ‘900 come principale materiale da costruzione
soprattutto perché pesante, dura e resistente al fuoco. Adesso si preferisce costruire le
strutture portanti in laterizio o cemento armato.
I settori di impiego della pietra sono dunque quattro:
a) murature per opere di sostegno FIG. 5/a
b) rivestimenti, pavimentazioni e coperture FIG. 5/b
c) opere artistiche scultoree o architettoniche o restauro delle stesse
d) opere di drenaggio, massicciate, conglomerati artificiali.
Per le murature si possono adoperare conci più o meno squadrati o blocchi
in tufo o pietra tenera segati. Quale che sia la pietra utilizzata essa deve presentare buona resistenza a compressione, aderenza alla malta, lavorabilità,
durevolezza, costo economico conveniente. In piccole realtà si usavano le
pietre locali anche se le caratteristiche tecniche potevano non essere soddisfacenti. In realtà economiche più grandi e sviluppate la possibilità di sostenere i costi del trasporto (soprattutto via fiumi o canali a volte appositamente
realizzati) permetteva l’uso di pietre più belle e migliori. Ricordiamo l’uso del
calcare d’Istria per le costruzioni di Venezia e delle città adriatiche (esempio
straordinario è il monolito da 11 tonnellate che costituisce la copertura del
Mausoleo di Teodorico a Ravenna) FIG. 6, del marmo rosa di Candoglia (Novara) per la costruzione del Duomo di Milano, del marmo di S. Giuliano (Pisa) per la realizzazione del complesso monumentale dei Piazza dei Miracoli a Pisa. Ottime pietre da
costruzione sono il travertino (usato a Roma, Perugia, Ascoli Piceno) e la pietra leccese
(usata a Lecce) che combinano buona lavorabilità a buona resistenza e durezza. Attualmente le murature in pietra sono limitate a piccole costruzioni in zone in cui il materiale
sia conveniente e per motivazioni sentimental-tradizionali. Vengono molto usati i tufi
che sono leggeri, lavorabili, facili da porre in opera, coibenti anche se la superficie non
può essere rifinita né intonacata subito perché il contatto con l’aria, per alcuni anni,
rende la roccia più dura e resistente.
Per rivestimenti e pavimentazioni si usano masselli (blocchi di spessore inferiore a
10 cm), lastre segate o naturali (spessore fra 2 e 4 cm) e cubetti. I masselli erano impiegati per opere monumentali antiche come il travertino usato per rivestire la struttura
portante in laterizio di Pantheon e Colosseo a Roma. Le lastre segate son invece oggi
molto usate, vengono ancorate alla muratura con degli elementi in acciaio chiamati
zanche e vengono scelte soprattutto in base al colore. Le lastre naturali soprattutto di
lavagna vengono utilizzate nelle zone limitrofe a quelle di produzione, per
le coperture dei tetti FIG. 7. Per le pavimentazioni si possono usare: lastre
regolari (spessore più di 2 cm) e naturali (spessore fra 3 e 5 cm); lastrame a
contorno irregolare (spessore 2 cm), scarto di lavorazioni più pregiate usato per pavimentazioni “alla palladiana”, graniglie di vari colori e pezzature
con le quali si confezionano mattonelle artificiali per la pavimentazione “alla
veneziana” FIG. 8 (vedi pagina 13), cubetti e bozze di pietra squadrate di
granito, arenarie dure o selci (spessore 20-25 cm) usate per pavimentazioni
di strade urbane e extraurbane, i cosiddetti selciati; ciottoli di fiume in varie
disposizioni.
Fra gli utilizzi delle pietre nel settore artistico: realizzazione di elementi
architettonici come lesene, cornicioni, balconi, colonne, fontane e panchine;
applicazioni nel campo dell’arredamento sia per piani di lavoro di cucine e
tavoli sia per oggetti di design costruiti interamente o solo in parte in marmo;
nella decorazione plastica per la realizzazione di sculture, alto e bassorilievi. Si possono
usare ardesie, calcari e graniti perché sono tutti materiali perfettamente lucidabili ma
FIG. 5/a
FIG. 5/b
FIG. 6
FIG. 7
Lapidei
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il materiale d’elezione in questo settore d’utilizzo è sicuramente il marmo che è molto
lavorabile anche è poco resistente agli acidi e agli agenti atmosferici.
Per le opere di drenaggio, le massicciate e la realizzazione di materiali artificiali si
usano le rocce incoerenti derivanti dall’alveo di fiumi e di laghi o dalla frantumazione
di massi più grandi. Si realizzano opere stradali a diversi strati e si usano per confezionare i conglomerati di cemento.
Dal punto di vista commerciale la classificazione delle pietre non avviene in base alla
natura geologica ma si articola in cinque classi:
a) marmi
b) graniti
c) pietre
d) travertini
e) rocce incoerenti
Si definiscono marmi le pietre calcaree e le pietre silicatiche basiche che hanno struttura cristallina, sono compatte, hanno durezza compresa fra 3 e 4 della scala Mohs e
possono essere ridotte in lastre lucidabili. I marmi sono mediamente meno densi e duri
dei graniti, più imbibenti e meno durevoli sia per la composizione chimica  che per
la loro struttura.
I marmi sono di origine metamorfica ma, se le condizioni di formazione sono state piuttosto blande, lo stato raggiunto dal sistema è di equilibrio instabile e quindi suscettibile
di cambiamenti per adattarsi alle mutate condizioni ambientali. Si possono realizzare
così vacuolizzazioni (per solubilizzazione), efflorescenze, cambiamenti di colore dovuti
alla variazione del numero di ossidazione dei cationi metallici responsabili delle tonalità cromatiche o a assestamenti strutturali. Inoltre i marmi sono relativamente poco
compatti e la porosità aumenta la superficie di interazione e di attacco degli inquinanti
esterni e li rende generalmente gelivi. D’altro canto sono più leggeri, più lavorabili e
hanno maggiore ricchezza e vivacità di tinte. Fra i marmi troviamo, oltre a quelli veri e
propri, calcare e brecce lucidabili, serpentino e alabastro calcareo.
FIG. 8/a
FIG. 8/b
 Infatti i carbonati risultano sensibili
all’azione degli acidi in seguito al processo descritto dalla seguente reazione:
CaCO3 + 2H + → Ca2+ + H2O + CO2
Si definiscono graniti rocce a struttura cristallina ben visibile, con tessitura compatta, Che porta alla disgregazione del tessuto.
durezza compresa fra 6 e 7 della scala Mohs, di composizione silicatica acida, riducibili
in lastre levigabili e lucidabili. Sono pietre che garantiscono maggiori resistenze chimiche e meccaniche rispetto ai marmi a causa della loro composizione, della loro origine
che ha dato luogo a strutture cristalline stabili, della loro compattezza. Sono quindi più
duri, meno imbibenti e più inerti nei confronti di composti chimici aggressivi. Di contro
risultano più rari, più costosi, più difficilmente lavorabili. La rarità è dovuta al fatto che,
essendo rocce antiche, hanno subito trasformazioni. Fra i graniti troviamo, oltre a quelli
veri e propri, anche porfidi, sieniti, dioriti, gabbri e gneiss.
Si definiscono pietre rocce di varia composizione in genere non lucidabili, tenere (tufi
e arenarie) o dure (quarziti, basalti, ardesie e trachiti).
Si definiscono travertini rocce di origine chimica, tenere, lavorabili, porose ma non
gelive e talvolta lucidabili.
Si definiscono incoerenti tutte quelle rocce non cementate o derivate da frantumazione, di varia natura.
Nell’ultima parte di questa sezione descriveremo brevemente alcuni tipi di rocce e le
loro applicazioni. FIG. 9
Fra le rocce ignee intrusive troviamo:
I graniti, formati da ortoclasio, quarzo, mica, anfiboli e pirosseni. L’ortoclasio è bianco
se è puro, assume colorazioni rosa, rosse, verdi o grigio azzurre a seconde delle impurezze contenute e determina il colore del granito. Il quarzo è di colore grigio vetroso.
FIG. 9
13
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Le miche possono essere nere (biotite) o bianche (muscovite). I graniti sono di natura
acida, hanno struttura microcristallina e a volte porfirica, presentano ottime caratteristiche tecniche (alto carico di rottura, compattezza, antimbibenza, resistenza chimica e
all’usura, omogeneità, bassa gelività). Sono usati per opere all’aperto: pavimentazioni,
rivestimenti, pilastri, colonne, basamenti. In Italia troviamo quelli di colore rosa-rosso
(Rosa di Baveno, Novara, Rosso Imperiale dell’Elba e del Giglio, Toscana), di colore
bianco (di Arbatax e della Maddalena, Sardegna, di Montorfano, Novara) di colore grigio (di Chiavenna, Lombardia).
Le sieniti sono costituiti da feldspati, ortoclasio e anfiboli. Il nome si riferisce alla roccia ricavata a Siene (l’odierna Assuan) in Egitto, come ci riferisce Plinio anche se quella
roccia è in realtà un granito rosa. Le sieniti hanno colore rosa, rosso o bruno violaceo.
Sono di natura meno acida del granito e hanno struttura cristallina. Hanno buona resistenza a compressione e al gelo e buone proprietà meccaniche in generale, anche se
inferiori al granito, possono essere lucidate. Sono usate in funzione portante e per la
produzione di pietrischi oltre che come pietra da decorazione. In Italia la più famosa è
la sienite di Balma (Vercelli).
I gabbri sono costituiti da plagioclasi e pirosseni. Sono di colore scuro (verdi, grigi o
neri), di natura basica, di struttura macrocristallina e piuttosto rari. Formati ad alte profondità emergono in seguito a movimenti orogenetici. Sono facilmente lucidabili, molto
duri e resistenti alle sollecitazioni meccaniche.
Fra le rocce ignee effusive troviamo:
L’ossidiana. Ha struttura vetrosa dovuta al raffreddamento rapidissimo. Ha un colore
nero venato di rosso, bruno scuro o grigio. Talvolta si trova anche verde chiaro. Sono lisce e scalfibili e furono usate come strumenti di taglio durante l’età della pietra.
Le pomici formate da quarzo e feldspati. Hanno tessitura a bolle perché si sono formate dal raffreddamento rapidissimo di magmi ricchi di gas che è rimasto intrappolato
all’interno del materiale. Sono di colore grigio chiaro e sono leggerissime. Se frantumate sono usate come abrasivi.
Il porfido, costituito da quarzo, ortoclasio e miche. Corrispondente, nella composizione, all’intrusivo granito ha però la caratteristica struttura “porfirica” con fenocristalli
immersi in un materiale vetroso o microcristallino. L’associazione stretta fra struttura
cristallina e vetrosa è alla base dell’eccezionale durezza e resistenza ad usura di queste rocce. Sono compatti, antimbibenti e con un alto peso specifico. Hanno colorazioni
variabili dal rosso mattone al verde scuro. Sono usate, in forma di cubetti, per la pavimentazione di grandi vie di scorrimento (pavimentazione alla romana).
Le trachiti, costituite da feldspati, quarzo e ortoclasio. Sono le corrispondenti effusive
delle sieniti. Sono di colore bianco, giallastro o rossastro, hanno struttura porfirica ma i
fenocristalli di ortoclasio si presentano allineati in modo parallelelo.
I basalti costituiti da plagioclasi, biotite e pirosseni. Sono di colore scuro, bruno, verde
o nero. Hanno natura basica e struttura porfirica. Sono i corrispondenti effusivi del gabbro e sono rocce estremamente diffuse (costituiscono il fondo di tutti gli oceani). Solidificano in caratteristiche strutture colonnari a sezione pentagonale o esagonale. Sono
antimbibenti e chimicamente assai resistenti. Sono usati per pavimentazioni stradali e
massicciate di strade e ferrovie.
Fra le rocce sedimentarie troviamo:
Le ghiaie di origine clastica, incoerenti. I frammenti sono arrotondati se di origine fluviale, piatti e schiacciati se di origine marina. Sono usate come inerti nei conglomerati
nelle costruzioni.
Le sabbie di origine clastica, incoerenti. I frammenti possono essere di origine silicea,
calcarea, argillosa e gessosa. Quella più utilizzata è quella silicea estratta da alvei di
fiumi e di laghi. Le sabbie sono usate come materiale base di vetri e come componenti
di impasti ceramici oltre che come inerti nella preparazione di malte leganti.
Le argille di origine clastica, incoerenti, costituite fondamentalmente di silicoalluminati di metalli alcalini e alcalino-terrosi. Sono i componenti base di tutti gli impasti ceramici, compresi i laterizi. La dimensione delle particelle, inferiori agli 0,04 mm, conferisce a questi materiali proprietà colloidali.
I conglomerati, di origine clastica coerente. Formati da frammenti cementati: con
Lapidei
Sienite
Porfido
Trachite
Lapidei
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frammenti arrotondati si parla di puddinghe, con frammenti a spigoli vivi di brecce.
Possono essere usate a scopo ornamentale e monumentale. In Italia ricordiamo: il verrucano della Toscana, una puddinga estratta in provincia di Pisa, di colore rosso cupo,
resistente ma di difficile lavorazione, la Breccia di Serravezza, il Paonazzo di Carrara e
il verde di Levante fra le brecce.
Le arenarie, di origine clastica coerente. Formate da argille cementate con materiali
che possono essere di natura calcarea, silicea, argillosa o marnosa. Sono molto usate
come rivestimenti perché belle e facilmente lavorabili anche se non sono molto resistenti, anzi sono porose e gelive. Le più conosciute sono la pietra serena e la pietraforte,
entrambe usate a Firenze. La prima ha cementante argilloso, granulometria da media
a grossa, colore da grigio a azzurro ed è stata molto usata per elementi architettonici
(profili di finestre, cornicioni, archi, porte e colonne) a contrasto con i colori chiari degli
intonaci a partire dal Rinascimento. La pietraforte ha cementante calcareo, grana fine,
colore giallastro, usata per costruire Palazzo Pitti a Firenze. Meno porosa e più resistente
della pietra serena è però ugualmente geliva.
I tufi, rocce piroclastiche formate da ceneri e lapilli cementati o per la presenza di cementanti (calcarei o ferrosi) o per la forte pressione subita. Sono facilmente lavorabili
ma non lucidabili: sono usati come materiale da costruzione o frantumati, come inerti
per alleggerire il peso dei conglomerati leganti visto il loro relativamente basso peso
specifico. In Italia si trovano di colore giallastro (tufo di Orvieto, di Napoli, del basso
Lazio) o di colore biancastro (tufo di Mazaro in Puglia, di Matera e tufo di Mendicino,
Cosenza). Un tufo particolare è il peperino, che si estrae nella zona di Viterbo, è di colore
grigio chiaro ma ingloba cristalli neri.
Le pozzolane, rocce piroclastiche incoerenti. Hanno natura acida, sono amorfe, usate
fin dal tempo dei Romani per la loro capacità di conferire caratteristiche idrauliche ai
leganti inorganici usati in edilizia. Hanno colori variabili: nella zona di Roma sono rosso
vino, in Campania sono grigie.
Il travertino, roccia chimica coerente. Ha natura calcarea (CaCO3), ha struttura porosa
e colore biancastro con eventuali venature rossastre e verdastre. Ha basso peso specifico e durezza. In compenso ha un’ottima lavorabilità e, contrariamente a quel che farebbe pensare la sua struttura porosa, non è gelivo e ha buona resistenza a compressione
e a usura. È usato per rivestimenti, davanzali, soglie e pavimentazioni. In Italia le cave
più famose sono quelle di Tivoli, da cui i Romani hanno estratto nei secoli le pietre che
rivestono il Colosseo, San Pietro e l’Altare della Patria. Ad Antignano, vicino a Livorno,
si estrae un travertino particolare detto “panchina” che ha inglobato molte conchiglie e
fossili nella sua formazione vicino alla riva del mare.
L’alabastro, di origine chimica, può essere di natura calcarea o gessosa. Nel primo caso
è calcite microcristallina con struttura fibrosa, raggiata con zone concentriche di vario
colore, dal giallo al marrone, dal verde mela al nero. È una pietra facilmente lucidabile,
che può essere ridotta in lastre sottili, è traslucido e infatti nella Basilica di San Vitale a
Ravenna fu usato al posto dei vetri. In Italia se ne trovano cave a Montagnola Senese,
ad Ascoli Piceno, nel Carso triestino. L’alabastro gessoso è solfato di calcio anidro (CaSO4), è traslucido, facilmente lavorabile, di colore bianco o giallastro, usato a scopi ornamentali. In Italia se ne trovano cave a Volterra, Castellina in Chianti, Chiusino.
I calcari, di origine chimica o organogena, sono diffusissimi ed estremamente vari
(esempio la pietra di Trani). Sono caratterizzati da un grado di durezza pari a 3 della
scala Mohs, sono pertanto facilmente lavorabili ed economicamente convenienti, hanno
però bassa resistenza all’usura e agli agenti chimici, soprattutto gli acidi. I calcari di
origine chimica sono usati per ottenere leganti, come componenti degli impasti vetrosi
e ceramici.
La dolomite, roccia chimica costituita da carbonato doppio di calcio e magnesio
(CaMg(CO3)2). Ha un colore biancastro, grigio o roseo. Rispetto ai calcari è più dura
(grado 4 della scala Mohs), più compatta e più resistente agli acidi. Si trova in giacimenti tali da formare intere catene montuose: le Dolomiti.
Le selci, rocce chimica di natura silicea costituite da quarzo microcristallino o amorfo.
Facilmente scalfibili e con i bordi taglienti sono state modellate per essere usate come
strumenti da taglio o armi dagli uomini primitivi. Sagomate a blocchi sono usate per
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pavimentazioni stradali vista la loro resistenza ad usura (selciati).
Le marne, rocce chimiche che contengono calcare (50-80%) e argilla (50-20%) sono fondamentali per la formulazione di leganti idraulici e impasti ceramici.
Il gesso, roccia chimica costituita da solfato di calcio biidrato CaSO4. 2 H2O. E’ tenera,
ha grado di durezza 2 della scala Mohs, ha una lucentezza vitrea e superficie di sfaldatura perlacea. Per le sue caratteristiche e usi si faccia riferimento al capitolo sui “leganti inorganici”.
Fra le rocce metamorfiche troviamo:
I serpentini, derivanti da gabbri e peridotiti. Hanno natura basica, struttura fibrosa,
colore verde screziato di nero. Costituiscono il complesso di base dell’Appennino tosco
– emiliano. In Italia si trovano il verde di Prato (Monteferrato, Firenze), della Valsesia,
di Chiavari (insieme al rosso).
Gli gneiss, derivanti dai graniti, hanno natura acida e struttura scistosa, colore grigio
perlato. Possono essere venati o presentare macchie bianche più o meno grandi. Sono
usati per pavimentazioni e rivestimenti in esterno.
Le filladi, derivanti dalla argille. Hanno struttura scistosa. Le più famose sono le ardesie usate per coperture di tetti e come pietre da decorazione e la lavagna, della quale
sono costituite appunto le lavagne scolastiche. Queste rocce hanno in comune il colore
nero e la facilità di essere divise in lastre. Le cave sono in Liguria.
I marmi, derivanti dai calcari. La ricristallizzazione ha dato luogo ad una caratteristica
struttura microcristallina detta saccaroide. I marmi più diffusi in Italia distinti in base
al colore dominante.
Tra i marmi bianchi: bianco statuario (CaCO3 puro al 99%, privo di macchie e venature,
tenero, il materiale scultoreo per eccellenza, si cava a Carrara), bianco di Carrara (meno
puro, tendente all’azzurrognolo), di Condoglia (Novara, tendente al rosato), di Botticino
(Brescia, color carnato), di Lasa (Bolzano), di Musso (Como, bianco puro e fondo azzurrognolo), marmi di Chiampo (Vicenza, tinta lattea).
Tra i marmi gialli: di Siena (giallo ambrato, non traslucido, con l’aspetto di blocchi di
cera d’api), marmo cipollino.
Tra i marmi rossi: di Verona (broccato, broccatello e mandorlato, macchie rosse su fondo
sanguigno), di Levanto (La Spezia, rosso scuro con venature bianche e verdi), di Carrara
(fior di pesco, bianco con screziature rosse).
Tra i marmi grigio azzurri: i bardigli apuani, bianchi con venature irregolari di colore
grigio azzurrognolo, famoso quello di Serravezza.
Tra i marmi verdi: i verdi piemontesi (di Cesana, di Varallo, di Susa, di Roja, più o meno
screziati di venature bianche o scure), i cipollini della Garfagnana e delle Apuane (il
fondo che va dal cinereo al verdognolo ha caratteristiche venature verdastre).
Tra i marmi neri: il portoro (La Spezia, con vistose venature giallo oro), il nero di Varenna (Como, con striature bianche), di Galzaniga (Bergamo, nero uniforme).
Tra i marmi policromi, costituiti da brecce di marmo ricementate da pasta calcarea troviamo il paonazzo di colore giallognolo con macchie nere.
Un caso completamente diverso è il marmo denominato “bruno Baltico” che è definito
di origine organogena vegetale: sono ben visibili le strutture lignee pietrificate.
34. Quali sono i settori di impiego della pietra?
35. Quali proprietà si richiedono alle pietre usate per costruzioni?
36. Indicare alcune pietre usate per costruzione.
37. Quali proprietà si richiedono alle pietre usate per rivestimenti e pavimentazione?
38. Quali possono essere gli utilizzi per lastre di roccia all’interno di una casa?
39. Quali pietre si usano per pavimentare le strade e le piazze?
40. Quali sono le categorie commerciali in cui sono classificate le rocce?
41. Descrivere composizione, usi e tipi (dove ci sono) di granito, porfido, basalto.
42. Qual è la differenza fra argille e arenarie? Descrivere i vari tipi di queste ultime.
43. Da dove si ricavano e per cosa vengono usati tufo e travertino?
44. Descrivere i vari tipi di marmo.
Lapidei
Fillade
Marmo bianco di Carrara
Marmo cipollino
Marmo rosso di Verona
Lapidei
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Storia
La pietra ha sempre fatto parte della storia dell’uomo essendo molto diffusa, facilmente lavorabile e presente in numerose varietà. Alcuni suoi usi come materiale per armi,
attrezzi e supporto scrittorio sono poi venuti ad esaurirsi nel tempo. Ha avuto uno sviluppo senza soluzione di continuità l’uso della pietra come materiale da costruzione e
come materiale scultoreo.
Come materiale da costruzione l’uso risale alla preistoria quando l’uomo cominciò a costruire enormi strutture con significato per lo più religioso-simbolico. I
macigni venivano squadrati grossolanamente e usati come menhir (pietre allungate infisse nel terreno) o dolmen (strutture a tre lati con copertura). Tra gli
esempi più imponenti e suggestivi ricordiamo il complesso monumentale di Stonehenge in Inghilterra. FIG. 10
Quando furono disponibili i primi strumenti in metallo si cominciò a dare alle
pietre forme prestabilite e combacianti che permettevano di erigere costruzioni
dalle forme più articolate e complesse tipo i nuraghi sardi, le mura ciclopiche
con la famosa “Porta dei Leoni” a Micene FIG. 11, le piramidi d’Egitto FIG. 12.
La caratteristica che accomuna la tecnica costruttiva di quest’epoca è l’uso di
pietre comunque molto grandi e molto pesanti, sbozzate più o meno finemente (i
blocchi usati per le piramidi erano perfettamente squadrati), senza l’uso di malte
e quindi basata sulla perfezione più o meno accentuata degli incastri.
I Greci costruirono i loro più importanti monumenti con una speciale varietà di
marmo, il pentelico (estratto dal monte Pentelico vicino ad Atene), le cui proprietà si prestavano sia per la costruzione che per la decorazione degli edifici. Per
costruire, tra gli altri, i famosi monumenti dell’Acropoli di Atene (Propilei, Eretteo, Partenone) FIG. 13 i Greci usavano elementi molto più ridotti e finemente
lavorati in modo che la commettitura era perfetta e semmai rinforzata da grappe
in metallo (bronzo o ferro) di varie forme. Fra gli elementi in marmo sono molto
indicativi i “rocchi” cioè elementi cilindrici modanati e rastremati che vengono
impilati uno sull’altro a formare le colonne. I Greci, rispetto ai Romani, non usavano archi e preferivano le trabeazioni che erano rese possibili anche dalle qualità tecnologiche del materiale usato nelle costruzioni.
Presso i Romani l’uso della pietra si diversificò nei secoli: all’inizio ha una funzione strutturale, poi viene usata come rivestimento delle strutture portanti in laterizio e infine, nel Tardo Impero, viene sfruttata soprattutto a scopo decorativo. Uno
dei materiali lapidei più usato a Roma è stato il travertino, una pietra calcarea
di cui esistono importanti cave presso Tivoli. Ha un colore biancastro, presenta
numerose varietà, si presta ad essere ricoperta di stucco e a subire quindi le successive fasi di finitura: con essa fu rivestito il Colosseo FIG. 14. I marmi furono
usati per statue, archi di trionfo e colonne celebrative (ricordiamo la Colonna di
Traiano eretta in marmo pario greco): la buona lavorabilità e possibilità di finitura del
materiale permettono la realizzazione di varie opere d’arte in bassorilievo (narrazione
di imprese belliche soprattutto).
In epoca bizantina le strutture portanti erano erette in laterizio e le pietre avevano una
funzione decorativa soprattutto negli interni. Un particolare edificio ravennate da ricordare in questo contesto è il Mausoleo di Teodorico la cui copertura è costituite da un
monolite lapideo da cui è stata ricavata la forma di una cupola ribassata, appoggiata
sulle strutture sottostanti.
In età romanica ma soprattutto gotica, le nuove concezioni architettoniche e le grandi
abilità tecniche delle maestranze specializzate riuscirono ad ottenere risultati eccezionali, che si possono ammirare in tutte le grandi cattedrali erette in quel periodo: il Duomo di Siena, di Milano FIG. 15 (vedi pagina 18), le cattedrali di Burgos, Parigi, Colonia ecc. La pietra era usata per creare la struttura portante e questa sua funzione veniva
esaltata anche dal punto di vista estetico. Gli elementi più caratterizzanti dell’architettura gotica sono i pilastri a fascio, l’arco acuto e il contrafforte ad arco rampante. L’e-
FIG. 10
FIG. 11
FIG. 12
FIG. 13
FIG. 14
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18
dificio gotico è il risultato di un perfetto studio delle forze di spinta e controspinta: la
realizzazione di questi elementi in pietra conduce a una sintesi armoniosa fra esigenze
statiche ed estetiche. Lo scheletro dell’edificio, posto in bella evidenza, è realizzato con
pietre piccole, spesso trasportate da lontano, collegate con abbondante uso di malta.
La diversa composizione delle rocce e soprattutto i loro vari colori vengono sfruttati con
intenzionalità estetiche. I “vuoti” degli edifici gotici vengono riempiti con laterizi o, meglio ancora, con grandi vetrate colorate.
L’epoca rinascimentale vede il grande sviluppo dell’edilizia pubblica e civile. Vengono
eretti i grandi palazzi delle ricche famiglie borghesi per i quali la pietra è usata principalmente come rivestimento. Le pietre squadrate e variamente sagomate vengono
accostate in modo da lasciare evidenti le connessioni in malta. Tale metodo di rivestimento è chiamato “bugnato” e lo si può ammirare in molti palazzi quattrocenteschi di
Firenze (Palazzo Vecchio FIG. 16, Palazzo Pitti del Brunelleschi, Palazzo Medici di Michelozzo, palazzo Rucellai dell’Alberti) e nel Palazzo dei Diamanti di Ferrara del Rossetti FIG. 17. A Firenze, durante il Rinascimento e il periodo manierista, viene fatto largo
uso anche della pietra serena il cui colore cinereo veniva messo a contrasto con il bianco degli intonaci. La pietra serena non è la più idonea alle costruzioni perché è geliva
ma è usata soprattutto per sottolineare elementi architettonici come lesene, cornicioni,
davanzali ecc.
Nel ‘600 le pietre, soprattutto marmo e travertino, si piegano alle invenzioni fantastiche
di architetti come Bernini e Borromini. Il travertino viene tratto soprattutto dagli antichi
monumenti e la sua porosità lo rende adatto ad essere ricoperto di stucco (come dice il
Vasari) ancora più modellabile. Dalle cave di Tivoli viene estratto il marmo che permette al Bernini di erigere il Colonnato di S. Pietro. FIG. 18
Nel ‘700 si preferisce comunque la muratura in laterizio intonacata colorata, e uno dei
modi più caratteristici in cui viene usata è per le colonne che i Neoclassici, Palladio in
testa, inseriscono nelle loro architetture. FIG. 19 (vedi pagina 19)
Successivamente nell’’800 c’è una rinascita dell’uso della pietra in chiave ingegneristica per la costruzione di ponti, in Francia soprattutto, o in Spagna con Gaudì e le sue
case Milà e Batlò o il suo Parco Guell a Barcellona. FIG. 20 (vedi pagina 19)
Nel ‘900 l’uso della pietra non è disdegnato da grandi architetti che la usano come decorazione nel suo aspetto più naturale. Ricordiamo Le Corbusier (Padiglione Universitario svizzero), Van Der Rohe (Padiglione Tedesco a Barcellona del 1929), Scarpa (Biblioteca Querini-Stampalia a Venezia), Natalini ( Cassa Rurale e Artgiana dell’Alta Brianza
ad Alzate Brianza), il gruppo toscano (la stazione di S. Maria Novella a Firenze). FIG.
21 (vedi pagina 19)
Come materiale scultoreo, nel corso della storia, sono stati usati molti tipi di rocce: da
rocce sedimentarie e metamorfiche più o meno tenere (alabastro, tufo, travertino, arenarie calcaree) a rocce ignee molto dure (tipo basalto, porfido, granito, diorite) passando per i marmi, di gran lunga i più usati che sono calcari metamorfosati di media
durezza a struttura cristallina. In generale, nel campo della scultura, si definiscono
pietre le rocce opache e colorate che mantengono, anche dopo la lavorazione, le loro
caratteristiche naturali. Si definiscono marmi i materiali lapidei bianchi, traslucidi, che
possono essere lavorati con estrema raffinatezza di levigatezza e lucidità. Le caratteristiche che devono possedere le rocce da scolpire sono la compattezza (cioè una resistenza uniforme senza direzioni privilegiate e insospettate di rottura) e uniformità di
colore (affinché le variazioni cromatiche non si sovrappongano all’immagine scolpita).
Nel mondo antico pre – classico, presso le civiltà extra europee e i popoli primitivi veniva usato qualunque tipo di pietra a disposizione, di solito opache, granulose e colorate.
Le poche esigenze erano dovute al fatto che le sculture dovevano adattarsi ai materiali
delle architetture che andavano ad abbellire, alla facile reperibilità e al fatto che erano
spesso ricoperte da policromie cui era affidato il messaggio artistico.
Nell’antico medio Oriente e in Egitto erano preferiti i basalti, i graniti e i porfidi per la
loro durezza, struttura cristallina e durabilità.
Dall’età classica greca e romana fino ai nostri giorni il materiale scultore d’elezione è
stato il marmo bianco statuario (pario, nassio o pentelico in Grecia, quello di Carrara a
Lapidei
FIG. 15
FIG. 16
FIG. 17
FIG. 18
Lapidei
19
Roma e nella cultura occidentale) FIG. 22 - FIG. 23. Il giusto grado di durezza ne facilita la lavorabilità, il colore bianco valorizza i giochi di luce e ombra, la struttura cristallina permette vari gradi e tipi di finitura con il raggiungimento di una molteplicità
di effetti. I marmi colorati non sono adatti alla statuaria a meno che non vengano usati
in unione con il marmo bianco, per rappresentare stoffe o altri dettagli come avviene
nella scultura ellenistica, romana (Demetra di Cnido, Fanciulla di Anzio, Apollo di Capodimonte, Augusto di via Labicana) e, più tardi, barocca.
Sia gli strumenti usati sia la tecnica di realizzazione sia il tipo di finitura cambiano nella
storia. Per esempio gli Egiziani usavano scalpelli in bronzo appuntiti per le rocce dure
e scalpelli a taglio per i calcari; i Greci nel periodo arcaico usavano scalpelli a punta
per la sbozzatura e la modellatura e scalpelli a taglio e pomice per la rifinitura e levigatura; nel periodo classico si usano scalpelli a punta, a testa piatta e a testa curva e si
rifiniva con le lime; i Romani, soprattutto a partire dagli Antonimi, cominciano a far uso
del trapano che crea contrasti chiaroscurali più acuti.
Nell’antico Egitto ma anche nella Grecia arcaica è certo che gli scultori realizzassero dei
bozzetti grafici sia per i bassorilievi sia per le quattro vedute (frontale, laterali, posteriore) delle statue a tutto tondo. Tali bozzetti servivano da progetto o da modello. Sotto
l’influenza della tecnica per la scultura in bronzo si cominciò, a partire dal V secolo a.C.,
in Grecia ad utilizzare un modello preparatorio in creta. A parte il fatto che nell’’800 si
comincia a usare come riferimento un calco in gesso, la tecnica è rimasta la stessa. Dal
modello, di dimensioni ridotte, si riportano i punti di riferimento sul blocco da scolpire.
Il modo di riportare i punti cambia: i Greci usavano il filo a piombo partendo dai punti
più sporgenti; nel ‘400 L.B.Alberti descrive l’uso del “definitor” uno strumento semplice
ma che permette di riportare i punti in modo preciso con la “lettura” del modello secondo un sistema di coordinate polari e cartesiane. Successivamente è descritto l’uso
di squadre regolabili e di telai quadrati o addirittura gabbie lignee su cui erano fatti
scorrere i fili a piombo per rilevare e riportare i punti caratteristici. A partire dall’’800 si
comincia a usare il metodo della “crocetta” che permette di riportare un numero grande
di punti per una riproduzione più fedele.
Da questo tipo di procedimento si escludono un periodo e un personaggio storici: il Medioevo e Michelangelo FIG. 24. In questi casi non si fa uso di modelli o di bozzetti ma si
disegnavano o incidevano le vedute sui lati del parallelepipedo marmoreo o si cominciava a lavorare direttamente il blocco.
Il tipo di lavorazione a bozzetto pone il problema della distinzione fra momento creativo (bozzetto, finitura o modellazione delle parti più espressive come i volti) e momento
esecutivo. A seconda del periodo storico e delle abilità delle maestranze, la produzione
scultorea arrivò ad assumere un carattere “pre-industriale” con la produzione quasi in
serie di sculture o parti di esse poi successivamente assemblate.
Nel mondo antico, anche presso le civiltà primitive extra
europee, si usava ricoprire le sculture con policromie sia
direttamente sulla pietra sia su preparazione gessosa.
Anche i marmi del Partendone erano rivestiti di intonaco e colorati. Nel V secolo a.C., in Grecia, si comincia
a levigare e lucidare la superficie bianca delle statue
di marmo che affidano il messaggio artistico alle loro
proprietà plastiche. La scultura acquista un linguaggio
formale autonomo, libero da compromessi con la pittura, enfatizzata nella pratica dalla “ganosis” elaborata
nella bottega di Prassitele. La “ganosis” era una patinatura della superficie a base di cera che accentua la
trasparenza del marmo pario, aumenta la morbidezza e
il calore delle sfumature dell’opera. Successivamente il
marmo bianco è sempre stato sottoposto a levigatura e
lucidatura FIG. 25, a parte il Medioevo dove si torna ad
usare intonacature colorate.
FIG. 19
FIG. 20
FIG. 21
FIG. 22
FIG. 23
FIG. 25
FIG. 24
19
20
Lapidei
Degrado
Cause di degrado
Le caratteristiche stesse della roccia originaria che rendono la pietra più o meno esposta agli attacchi degradativi sono: la composizione chimica, la struttura e la tessitura.
Per quanto riguarda la composizione chimica è noto che la componente carbonatica è
assai più “debole” di quella silicatica perché più solubile e più sensibile agli attacchi
acidi. Per quanto riguarda la struttura i fattori più importanti sono la porosità e, in generale, la superficie specifica. Maggiore è la superficie specifica più esteso è l’attacco
degli agenti degradanti. Per quanto riguarda la tessitura è importante l’eventuale presenza di piani di discontinuità come scistosità o noduli che possono rappresentare zone di attacco preferenziale o linee di forza lungo cui si concentrano sforzi di carico o di
compressione.
Le cause di degrado possono essere classificate in naturali e antropiche.
Gli aspetti generali sono trattati nel capitolo sul DEGRADO.
Le naturali possono essere definite fisiche, biologiche o chimiche.
Le antropiche possono essere distinte in quelle in relazione con la lavorazione, con l’inquinamento o con interventi conservativi attuati in precedenza.
FIG. 26
Cause naturali
Cause fisiche
Tutte le cause fisiche possono essere ricondotte all’energia elettromagnetica che giunge alla superficie lapidea tramite l’esposizione ai raggi solari. Molto significativa è la
frazione termica della componente infrarossa L’insolazione (durata, intensità, esposizione) determina la temperatura e questa, a sua volta, i valori di umidità relativa, gli altri
due fattori alla base delle cause naturali fisiche di degrado. Bisogna sottolineare come
il degrado sia accentuato da brusche variazioni o periodiche oscillazioni  di questi
parametri. FIG. 26
Dalla temperatura dipendono direttamente due fenomeni fisici: la dilatazione termica
dei materiali e i cicli di gelo – disgelo dell’acqua. Materiali lapidei diversi accostati
fra loro, minerali diversi all’interno della stessa roccia, cristalli anisotropi  sono vari esempi di come si possono avere diversi coefficienti di dilatazione termica messi a
contrasto. Nel ciclo gelo – disgelo dell’acqua che si muove libera nella rete di porosità
e canali presenti nella pietra, l’aumento di volume del ghiaccio è del 9% in più rispetto
all’acqua liquida.
 Queste situazioni si verificano in particolari stagioni dell’anno e in definite regioni geografiche. Considerando che la
costante solare è 1,1 cal/min e che l’accumulo di calore è facilitato anche dal colore scuro delle pietre si può arrivare, in assenza di vento, anche ad un innalzamento
della temperatura pari a 50-60 °C di giorno. Di notte poi si possono raggiungere
anche temperature inferiori allo 0 °C. Ricordiamo inoltre che le pietre sono cattive
conduttrici di calore per cui lo stress termico subito dagli strati superficiali è molto
maggiore e può dar luogo a sforzi di taglio
interni. Le oscillazioni termiche più importanti si hanno ovviamente nelle zone desertiche ma le conseguenze sono determinanti a qualunque latitudine.
Cause biologiche.
I microrganismi che possono dar luogo a biodeterioramento dei materiali lapidei sono
in grado di ricavare l’energia necessaria utilizzando l’energia solare (fotoautotrofi) o ossidando molecole inorganiche (chemiolitotrofi). Queste specie vengono anche definite  I coefficienti di dilatazione termica
primiere perché colonizzano per prime le superfici lapidee e fra questi troviamo i batteri espressi in m/m °C . 10-6 sono pari a 11 per
arenarie e quarziti, 5 per basalti e porfidi
che fanno parte del ciclo dell’azoto e del ciclo dello zolfo.
e 4-8 per i calcari. Nei cristalli di calcite
Sulle pietre sono molto diffuse le alghe che preferiscono i substrati carbonatici degli af- questo coefficiente lungo l’asse cristallofreschi, di resti archeologici e di monumenti, hanno un’azione soprattutto superficiale grafico Z è pari a 25,1 e perpendicolare ad
esso pari a -4,9
di tipo chimico e estetico.
Troviamo sia alghe verdi – azzurre o Cyanophite o cianobatteri che alghe verdi o Chlorophite. I ciano batteri si colorano di verde nelle zone d’ombra, di azzurro in piena luce e formano depositi nerastri con i loro resti sulle rocce e sui materiali da costruzione.
Un tipo di organismo vegetale che ricopre superfici lapidee sia di natura calcarea che
silicea sono i licheni. La popolazione lichenica sui monumenti è molto stabile a meno
di cambiamenti ambientali che provocano la morte degli individui presenti e la comparsa di nuove specie: per esempio sulla Basilica di Notre-Dame de l’Epine in Francia
(Marna) alla vecchia popolazione grigio-bianca se ne è sostituita una verdastra. Da al-
Lapidei
21
cuni anni è stata attribuita alle formazioni licheniche una certa funzione protettiva sia
perché la loro diffusione e compattezza assicura una barriera contro gli inquinanti, sia
perché i loro talli potrebbero ridurre la porosità sia perché l’acido ossalico prodotto può
formare una patina molto efficiente.
Anche gli Attinomiceti (microrganismi a metà strada fra batteri e funghi) e i funghi possono ritrovarsi sulle superfici lapidee. I primi sono stati isolati in ambienti sotterranei
molto umidi come tombe e cripte e contribuiscono con il loro metabolismo al degrado
delle pietre. I funghi sono specie strettamente eterotrofe e quindi si sviluppano in aree
già precedentemente colonizzate.
I muschi causano un danno solo estetico.
Le piante superiori, ruderali e infestanti, rappresentano un grave problema soprattutto
per i siti archeologici, ma in generale per le strutture architettoniche. Nei nostri climi
temperati si trovano piante di tipo erbaceo o cespuglioso con habitus calciofiflo, xerofilo e nitrofilo tipico degli ambienti ruderali. Ricordiamo che nei Paesi tropicali il clima
rende la micro e la macroflora così invadente da rappresentare un grave problema per
la conservazione dei monumenti.
Per quanto riguarda i danni provocati dalla fauna possiamo considerare quelli provocati da insetti quale l’ape muratrice che asporta materiale argilloso per costruire il nido e
le mosche che accumulano compatti depositi scuri. Ma sono soprattutto gli uccelli, cioè
storni e piccioni, ad essere dannosi per i nostri monumenti.
BIODETERIOGENO
DANNO DI TIPO
Estetico
Chimico
Fisico
Batteri
Sconosciuto
Trascurabile
Trascurabile
Alghe
Notevole
Trascurabile
Trascurabile
fogliosi
Notevole
Trascurabile
Trascurabile
crostosi
Notevole
Importante
Importante
Notevole
Trascurabile
Trascurabile
erbacee
Importante
Trascurabile
Importante
legnose
Notevole
Trascurabile
Notevole
Licheni
Muschi
Piante
Da P. Tiano “Problemi biologici nella conservazione delle opere in marmo esposte all’aperto” OPD “Speciale marmo” pg 47 – 53.
Cause chimiche
Le reazioni chimiche che possono portare alla disgregazione di una pietra sono fondamentalmente quelle di solubilizzazione di componenti dei minerali e quelle di scambio
(semplice e doppio) che portano alla formazione di nuovi minerali. In entrambe queste
tipologie di reazioni gioca un ruolo fondamentale l’acqua o per il suo potere solvente
o per la sua acidità o come veicolo di reattivi chimici. L’acqua liquida presente nell’atmosfera è leggermente acida perché scioglie CO2. Gli ioni H+ sono in grado di alterare
anche le rocce silicatiche perché si introducono nella struttura cristallina con formazione di gel di silice e liberazione di cationi Na+ e K+. Successivamente la solubilizzazione di queste sostanze porta alla formazione di prodotti voluminosi e di nuovi minerali.
Il potere solvente dell’acqua è dovuto alla sua natura dipolare e si esplica nei confronti
di acidi e sali. Molti dei fattori inquinanti sono veicolati e concentrati dall’acqua. L’acqua inoltre è un liquido bagnante per tutte le pietre perché si instaurano deboli interazioni di natura elettrostatica fra i dipoli dell’acqua e quelli dei costituenti minerali.
21
22
Questo fa sì che l’acqua si muova con libertà fra l’esterno e l’interno nella fitta rete di
canalicoli, porosità e capillari. Quindi qualunque variazione termoigrometrica e di composizione viene “trasmessa” all’interno del materiale. Dalla temperatura dipende l’umidità relativa e quindi la disponibilità di acqua liquida, anche all’interno dei materiali.
Da questa dipende la solubilità dei sali (e quindi la loro eventuale precipitazione con
formazione di efflorescenze o subflorescenze) e la loro sfera di idratazione
Il potere solvente dell’acqua si può anche esplicare su componenti stessi della pietra (il
carbonato di calcio ha comunque una sua pur bassa solubilità 0,2 gr/l), su altri sali o su
sali di neoformazione in seguito a reazioni di scambio con gli acidi disciolti.
Cause antropiche
Lavorazione.
Il degrado della pietra comincia nella cava, fin dalla sua escavazione. Qualsiasi forza
esterna può creare delle microfessurazioni che indeboliscono l’equilibrio della struttura
e influenzano il comportamento successivo. Sia i metodi più antichi, come leve e cunei,
sia i più moderni, quali i fili elicoidali e soprattutto le cariche di esplosivo, creano sollecitazioni meccaniche dalle conseguenze pericolose.
Gli attrezzi usati poi per la lavorazione superficiale, soprattutto la subbia e la bocciarda,
provocano una rete di microfratture che si dirama dal punto di impatto, con un aumento localizzato di porosità e di superficie specifica di esposizione. Anche se le lavorazioni
di finitura hanno proprio lo scopo di eliminare queste discontinuità superficiali, le microfratture profonde si conservano.
Il trasporto può assoggettare il materiale a vibrazioni, causa di micro e anche macro
fratture se le vibrazioni entrano in risonanza con quelle dei piani cristallini.
La posa in opera poi può esser fonte di altri problemi quando si fanno scelte sbagliate
di materiali o di orientamento o di accoppiamento con altre rocce o materiali diversi.
Tanto per fare qualche esempio non si dovrebbero usare pietre troppo gelive in aree geografiche a forte escursione termica o pietre a natura o matrice carbonatica in zone ad
elevata inquinamento di SO2. L’orientamento della posa in opera dovrebbe essere scelto
in base alla tessitura della roccia in modo che gli sforzi di compressione cui può essere
sottoposta (in primis il suo proprio peso) siano perpendicolari ai piani di cristallizzazione. Altrimenti si creano dei piani di fessurazioni preferenziale da carico dove si accelera
il degrado. L’accoppiamento imprudente di rocce diverse o anche di lastre di una stessa
roccia che non tenga conto dei coefficienti di dilatazione termica può creare delle tensioni anche forti che provocano rigonfiamenti e fratture. Si deve porre attenzione a non
creare rigidità e vincoli sbagliati che provocano tensioni differenziali dannose e prevedere sempre dei giunti di espansione opportunamente dimensionati. L’accoppiamento
può avvenire con materiali diversi soprattutto il ferro e il bronzo. Il primo è il costituente
di perni usati per ancorare lastre lapidee alle strutture portanti o per costruire dei sostegni per sculture sia in fase di realizzazione che di restauro. Il bronzo è invece usato per
la realizzazione di elementi scultorei decorativi. Gli elementi metallici subiscono degli
specifici processi di corrosione ad opera di agenti atmosferici e inquinanti che danno
luogo a ossidi e sali di colore rosso (ferro) o verde (rame del bronzo) che possono essere
solubilizzati e trasportati dalle acque nelle porosità della pietra dove si fissano in modo
irreversibile. I prodotti di corrosione del ferro (la ruggine) hanno inoltre un volume specifico molto più grande di quello del ferro metallico, quindi provocano grandi tensioni
e distacchi di materiali lapidei.
Ricordiamo infine che la sconnessione e la discontinuità delle malte usate per far aderire gli elementi lapidei possono essere zone di innesco di processi degradativi.
Inquinamento.
Gli inquinanti che influiscono sul degrado dei materiali lapidei sono quelli dell’atmosfera e possono essere così elencati: ossidi di carbonio (CO e CO2), di azoto (NOx) e zolfo
(SO2, SO3), alogenuri, idrocarburi. Essi possono entrare in contatto con le superfici lapidee direttamente, veicolati o dopo reazione con acqua sia come piogge acide che come
nebbie o condensa, come aerosol o come smog. Nelle mutate condizioni ambientali di
un’atmosfera non solo antropizzata ma anche industrializzata, i monumenti e le costru-
Lapidei
Lapidei
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zioni mostrano tutta la loro fragilità di fronte all’aggressività chimica di questi composti
e alla sinergia, talvolta, della loro azione. Qui si vogliono approfondire i componenti di
uno dei prodotti di degrado più deturpanti per le superfici lapidee di monumenti e architetture: le croste nere, costitutite da gesso e particolato.
Il solfato di calcio biidrato è il gesso, il prodotto di degrado più diffuso sulle superfici
lapidee. Su quelle di natura calcarea deriva dalla trasformazione del carbonato mentre
su lapidei silicatici deriva da deposizione diretta di particelle gessose presenti nell’aria.
Le caratteristiche del gesso sono:
q Rispetto al carbonato una solubilità maggiore (2,4 gr/litro rispetto a 0,1 gr/litro) e un
volume specifico superiore del 20% e con queste proprietà partecipa sia al processo di
dissoluzione (in zone dilavate) sia ai processi di solubilizzazione/cristallizzazione con
formazione di efflorescenze, subflorescenze e tensioni interne.
q Un coefficiente di dilatazione termica 5 volte superiore a quello del carbonato con
tutte le conseguenze che derivano da eventuali stress termici.
q Una capacità legante dovuta alla formazione di cristalli acicolari che formano un fitto intreccio molto aderente al substrato che intrappola le altre particelle.
Il particolato che si deposita è costituito da residui incombusti di carbone (porosi se provenienti dal petrolio, compatti dal carbone), composti bituminosi, quarzo, silicati e feldspati di apporto eolico, ossidi di ferro (soprattutto ematite di origine industriale o dalla
corrosione di elementi architettonici quali grondaie, inferriate, infissi), di rame (corrosione del bronzo), metalli pesanti (di origine industriale), da cloruri di sodio, potassio,
piombo e magnesio (da aerosols marini o carburanti), da fosfati (se presente guano), da
calcite di cristallizzazione, da ossalati. L’adesione di questo particolato alla superficie
lapidea è dovuta alla creazione di legami deboli intermolecolari.
Interventi diretti dell’uomo sul manufatto.
L’uomo può intervenire sui materiali lapidei accelerandone direttamente il degrado in
modo volontario e involontario.
Sono volontari tutti gli atti di vandalismo che portano a deturpare con scritte, vernici o
incisioni le facciate dei palazzi o a distruggere i manufatti. Ricordiamo le martellate di
cui sono state oggetto alcune statue di Michelangelo (il David a Firenze e la Pietà a Roma), gli atti di guerra (bombardamenti, incendi, segni di pallottole o punte di lance) e
le spoliazioni. Pensiamo a come sono stati saccheggiati nel Medioevo tutti i monumenti romani che erano diventati ormai delle squallide cave da cui ricavare materiale da
utilizzare tal quale (pensiamo ai rivestimenti del Colosseo o ai pavimenti di basiliche,
residenze e terme) o come materia prima. In quel periodo teste di imperatori, statue di
dei, capitelli e fregi finirono nelle fornaci da calce o frantumati a formar proiettili. Si sviluppò un lucroso commercio di pezzi architettonici da Roma a Firenze (Battistero), Pisa
(Duomo), Lucca, Montecassino, Orvieto fino a Westminster Abbey a Londra.
I danni involontari o per lo meno inferti in buona fede dall’uomo sono quelli relativi alle conseguenze negative di trattamenti conservativi applicati in precedenza in fase di
pulitura ma soprattutto di consolidamento e protezione. Portiamo ad esempio l’esteso
uso che si è fatto nel passato dei fluosilicati.
Le reazioni dei fluosilicati portano alla lenta formazione di prodotti inorganici insolubili
che si depositano nelle porosità dove giungono perché i reagenti sono applicati in soluzione liquida. Con il tempo si formano delle patine biancastre o grigiastre e la porosità
viene ridotta troppo. Tra gli esempi degli effetti negativi ricordiamo la facciata di Palazzo Rucellai di Firenze dominata da un colore grigiastro, la facciata di San Michele a
Pavia e il grande altare scolpito all’interno delle Scuola Grande di San Rocco a Venezia
ridotti in condizioni disastrose dalla chiusura troppo spinta delle porosità. FIG 32
Effetti di degrado
Gli effetti sui materiali possono essere superficiali e allora si parla di alterazioni o deturpazioni o possono coinvolgere la struttura degli strati più interni più o meno profondamente e in questo caso è più appropriato parlare di degradazione (distacchi, decoesione ecc.).
23
24
Le deturpazioni.
Le deturpazioni possono essere definite come strati più o meno spessi di materiale
estraneo alla natura originaria del lapideo che ne alterano l’aspetto estetico fino ad
ostacolarne la corretta fruizione visiva.
Esse possono essere di origine biologica, chimica o antropica.
Le deturpazioni di origine biologica sono quelle dovute all’estendersi di popolazioni algali (verdi), licheniche (colori vivaci), fungine (nere) o di microrganismi (alcuni provocano colorazioni rossastre). Anche la crescita di specie vegetali erbacee, cespugliose o
arbustive può creare disturbo visivo. Infine è impossibile non ricordare l’effetto che potremo definire lordante del guano dei piccioni così invadenti in molte delle nostre città
e così pervasivi nelle zone più alte e meno raggiungibili dei nostri monumenti. FIG. 27
Le deturpazioni di origine chimica possono essere patine e croste: le prime hanno uno
spessore minore (qualche mm), più uniforme e sono più compatte. Le croste possono
raggiungere spessori dell’ordine del cm, hanno un andamento irregolare, un aspetto
disomogeneo e possono raggiungere anche un peso rilevante. La composizione è molto
più complessa. La presenza dell’una o dell’altra formazione dipende dall’origine, dalla
composizione ma soprattutto dall’esposizione alle acque meteoriche: nelle zone dilavate i fenomeni di accumulo sono limitati e si formano di preferenza patine.
Tra le patine ci sono le efflorescenze che di solito si presentano biancastre. Se per efflorescenza si intende deposito superficiale di sali ricristallizzati, un tipo degno di particolare attenzione è quello della calcite. La calcite di ricristallizzazione FIG. 28 sulle
superfici dei materiali lapidei calcarei ha stessa composizione chimica ma non la forma
cristallina di quella che costituisce la struttura degli stessi. Quindi offre una superficie
specifica maggiore agli ulteriori processi di degrado. Inoltre nel precipitare può inglobare particolato colorato (di origine organica o inorganica, tipo i prodotti di corrosione
di ferro o bronzo) e formare patine con varie intonazioni cromatiche. Come esempio
di questi problemi è interessante riportare gli studi fatti sui marmi e travertini che costituiscono la Fontana di Trevi a Roma FIG. 29. Questo monumento è stato alimentato
per secoli con l’acqua dell’Acquedotto Vergine (costruito da Agrippa nel 19 a.C.) che,
come tutte le acque romane, è “dura” cioè ha un alto contenuto di sali di calcio disciolti. Questo ha portato al deposito sulle superfici lapidee di stratificazioni calcaree. Tali
stratificazioni erano di aspetto e consistenza diverse a seconda delle caratteristiche di
impatto dell’acqua sulle superfici: quantità, velocità e traiettoria. Si sono potute classificare: le incrostazioni da scorrimento, laddove l’acqua fluisce a velocità costante sfiorando appena la superficie; le incrostazioni da “ristagno” sulla superficie delle vasche
di raccolta dove l’acqua entra e esce garantendo il “sempre pieno” ma restando tranquilla; le incrostazioni da “schizzo” laddove l’impatto dell’acqua è angolare ma estremamente variabile nella forma (scroscio, cascata, getto, velo), nell’intensità e nella direzione; le incrostazione da “stillicidio” che si verificano in zone in origine non bagnate
ma che hanno visto cominciare a sgocciolare l’acqua infiltratasi attraverso le malte di
connessione. Le varie caratteristiche dei diversi depositi possono essere così distinte: le
incrostazioni da scorrimento sono spesse meno di 1 mm, sono compatte, di colore bianco arancio (ossidi di ferro delle tubature); quelle da ristagno sono depositi compatti e
molto adesi, lo spessore non supera i 2 mm e il colore è bianco-grigio; quelle da schizzo
sono le più irregolari, lo spessore varia da 1 mm a 2 cm, l’aspetto superficiale corrugato
con creste tondeggianti o levigatissimo, la durezza disomogenea nello spessore perché
può essere formata a strati, il colore grigio-nero per il vario particolato che può aver
inglobato; quelle da stillicidio hanno spessori considerevoli tanto che possono alterare i
rapporti volumetrici con grave danno estetico, hanno però una struttura spugnosa con
una consistenza tenera e friabile. Le diverse caratteristiche porteranno anche a diversi
metodi di pulitura.
Le croste di origine artificiale sono le cosiddette “croste nere” FIG. 30 (vedi pagina
25) perché assumono un colore scuro a causa del particellato atmosferico inglobato
durante la loro formazione. Si formano preferenzialmente nelle zone più riparate dal
dilavamento meteorico assumendo forme irregolari, spesse fino a 2 cm, di aspetto dendritico o di grumi, dotate di forte coesione e adesione. Si possono formare anche su pareti esposte in corrispondenza di zone di “ombra termica” cioè pareti che si mantengo-
Lapidei
FIG. 27/a
FIG. 27/b
FIG. 27/c
FIG. 28
FIG. 29
Lapidei
no fredde o si raffreddano di più e più velocemente di quelle circostanti. Le croste nere
sono costituite da particolato cementato, come abbiamo visto. La composizione delle
croste nere è stata studiata anche con le analisi termiche: gravimetrica e differenziale
ed è stato possibile quantificare la quantità di acqua, di gesso (30 - 60% in peso), di
calcite e di materiale organico e carbonioso (20 - 38%). Le croste nere si accrescono per
strati (visibili nelle cross-section) di successivi depositi, perché fungono da superfici catalitiche per la formazione continua di acido solforico che emigra verso l’interno della
pietra corrodendo il carbonato di calcio e formando nuovo gesso. Esse costituiscono anche un formidabile deposito di inquinanti con effetti degradanti che possono penetrare
nella pietra fino a 5-10 cm portando il loro “carico” deleterio fino in profondità. Queste
formazione hanno un elevato coefficiente di dilatazione termica, un’elevata superficie
specifica ma soprattutto una natura organica e idrofobica che le differenzia drammaticamente dalle caratteristiche della superficie su cui si accrescono. L’effetto più deleterio
è quello di creare una barriera impermeabile che ostacola il normale equilibrio idrometrico fra l’interno e l’esterno della pietra. Inoltre essendo nera assorbe più le radiazioni
solari e si riscalda e si dilata di più.
Le deturpazioni di origine antropica sono soprattutto quelle legate all’uso sbagliato di
consolidanti e protettivi negli interventi conservativi del passato. Nell’antichità si suppone venissero usate sostanze proteiche (latte, uova, sangue) con o senza calce e inerti
(pozzolana) oppure, soprattutto per le statue, venissero applicati strati idrorepellenti
di cera fusa (encausto) o in emulsione (ganosis). Dalle sostanze proteiche si sarebbero
formati quegli strati di ossalato di calcio che hanno una importante funzione protettiva
e di cui parleremo più avanti. Nel Medioevo e nel Rinascimento si diffonde l’uso degli
oli siccativi, soprattutto olio di lino che corrisponderebbe al temine “tartaro” con cui si
indicava il colore giallognolo che assumevano le statue ( di arenaria, calcare e marmo)
trattate. Le fonti riportano anche altre formulazioni con cere e resine naturali (sandracca e incenso) sciolte in oli siccativi e applicate sulle superfici lapidee. All’inizio del XIX
secolo, con lo sviluppo della chimica, si scoprono o mettono a punto prodotti nuovi che
ogni volta sembrano la soluzione di tutti i problemi e che invece presentano, con il tempo, effetti collaterali non previsti e più o meno dannosi. Consideriamo tutti i composti a
base silicea. I silicati alcalini che permettono il consolidamento grazie alla loro idrolisi
che produce acido silicico (silice idrata che è il consolidante che può però essere idrolizzato con il tempo e perdere la sua efficacia) e idrossidi di sodio e potassio; i fluosilicati
di cui si è già parlato; gli esteri silicici, soprattutto il silicato di etile, la cui reazione di
idrolisi produce il solito acido silicico e l’etanolo che evapora; i siliconi e i silani, polimeri più o meno lunghi formati da uno scheletro di ossigeno e silicio (di natura e caratteristiche inorganiche che ne assicurano l’adesione alla pietra) derivatizzati da gruppi
organici non polari e quindi idrorepellenti, usati come protettivi ma che perdono le loro
proprietà per esposizione alla luce solare e all’ossigeno. Altri materiali sintetici introdotti come antidegradanti sono le resine. Quelle acriliche, la cui prima applicazione sulle
architetture risale alla fine degli anni ’60, presentano resistenza all’invecchiamento,
reversibilità ma poca aderenza; quelle epossidiche che sono inerti chimicamente, impermeabili e molto elastiche ma ingialliscono con il tempo e sono molto più adatte ad
essere usate come adesivi.
25
FIG. 30/a
FIG. 30/b - Cross section al microscopio ottico
FIG. 30/c - Crosta nera al microscopio elettronico
MECCANISMI DI DEGRADO
La degradazione può essere suddivisa in due fasi: nella prima fase aumenta la porosità e si forma una rete di microfratture che si accentueranno nella seconda fase fino
a provocare scagliature, fratture, alveolizzazioni FIG. 31, pitting, polverizzazioni e disgregazioni.
I fenomeni che si verificano nella prima fase provocano in pratica un aumento delle
possibilità di penetrazione dell’acqua e delle soluzioni saline e un aumento della superficie specifica per l’interazione fra il materiale lapideo e i fattori causa di degrado.
La decoesione che si verifica in questa prima fase è causata dalle sollecitazioni meccaniche , dall’aumento della pressione interna e dalla corrosione.
Le sollecitazioni meccaniche sono quelle che si possono far risalire alle fasi di estrazione, trasporto e lavorazione o collegare alle vibrazioni del traffico veicolare o del pas-
FIG. 31
25
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saggio di animali.
L’aumento della pressione interna ai canali e alle cavità ha molteplici origini.
q Dilatazioni termiche a contrasto. Ricordiamo ad esempio il caso del cosiddetto “marmo cotto” in cui i grani di calcite si scollano l’uno dall’altro e presenta una fatturazione
di tipo poligonale e uno spolvero superficiale.
q Cicli ripetuti di gelo – disgelo dell’acqua interna. Non è però il semplice aumento di
volume a spiegare il danno prodotto dal gelo. Si sono ipotizzati vari meccanismi legati
al passaggio di stato: secondo uno di questi si formerebbero cristalli di ghiaccio nei pori
più grandi che poi si ingrosserebbero risucchiando acqua dai pori vicini e aumentando la pressione sulle pareti dei capillari. Un altro meccanismo ipotizza la formazione
di “sacche” d’acqua liquida intrappolate tra due zone ghiacciate. Tali fronti ghiacciati
tenderebbero ad avanzare con l’abbassarsi della temperatura e ad esercitare una forte
pressione idraulica sull’acqua liquida e quindi sulle pareti dei capillari. Un terzo meccanismo suppone l’esistenza di una “isoterma zero” cioè di un piano all’interno della
pietra dove si raggiunge la temperatura di equilibrio fra gelo e disgelo. La posizione di
questo piano oscilla in funzione della temperatura esterna intorno ad una determinata
posizione che risulta particolarmente stressata. Questo meccanismo porta a scagliature
parallele alla superficie della pietra come sull’arenaria delle pareti del Duomo di Ratisbona in Germania.
q Cristallizzazione e ricristallizzazione di sali all’interno delle porosità della struttura
con formazione di subflorescenze.
I sali che troviamo possono essere estranei alla composizione della pietra se ci sono state reazioni di scambio con acidi veicolati dall’acqua o con cationi metallici quali sodio,
potassio, rame o ferro. Oppure possono essere i componenti stessi delle pietre soprattutto i carbonati che possono subire processi di solubilizzazione e ricristallizzazione in
seguito ad oscillazioni delle condizioni termoigrometriche. Tanto più i sali sono solubili
tanto più profondamente possono penetrare prima di precipitare (il gesso penetra fino a
10 cm). I sali che cristallizzano hanno comunque un proprio volume specifico, che può
essere aumentato dalla sfera di idratazione (pensiamo al cloruro, al carbonato o al solfato di sodio che cristallizzano con 10 molecole d’acqua) e una struttura più disordinata
di quella dei minerali circostanti: sono queste le cause della pressione da loro esercitata
sulle pareti dei capillari in cui vengono a trovarsi.
Quella che si definisce corrosione è la trasformazione dei composti minerali in sali più
solubili: è il classico caso della gessificazione dei carbonati. In generale però il carbonato reagisce con tutti gli acidi veicolati dall’acqua: HNO3 e HCl formano nitrati e cloruri
che sono molto solubili. L’H2SO4, che dà il gesso, è solo il più comune.
La seconda fase del degrado, quella che porta a fenomeni vari di distacco, è
caratterizzata dalla deadesione delle parti della pietra più degradate da quelle ancora
sane. Questi distacchi non fanno altro che offrire una nuova superficie su cui si possono
innescare di nuovo tutti i processi di degrado descritti. Questa fase del degrado è praticamente dovuta all’accentuarsi, al ripetersi, all’accumularsi di tutti i fenomeni descritti
precedentemente anche se magari vanno evidenziati alcuni casi particolari.
Per esempio, affinché si verifichi alveolizzazione devono essere concomitanti la porosità della pietra, un elevato contenuto di sali solubili e igroscopici e una forte turbolenza dell’aria in contatto con le superfici lapidee che esercita anche un’azione abrasiva.
Il pitting è causato dalla caduta dei talli dei licheni crostosi che nella loro crescita hanno
inglobato particelle minerali del substrato lapideo sul quale sono cresciuti.
I vegetali arbustosi o arborei, con la crescita continua del loro apparato radicale, sono
in grado di creare pressioni molto alte che allargano fratture preesistenti e ne creano
di nuove arrivando a mettere in pericolo l’equilibrio statico stesso di monumenti e costruzioni.
Lapidei
Lapidei
27
Restauro
INDAGINI.
Per i materiali lapidei (e anche ceramici e lignei) è importante ricordare che nel 1977 il
Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’Istituto Centrale del Restauro istituirono la Commissione NORMAL (ufficialmente riconosciuta dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali) con lo scopo di stabilire metodi unificati per lo studio delle alterazioni di tali
materiali e per il controllo dell’efficacia dei trattamenti conservativi nonché di mettere
a punto un linguaggio tecnico preciso e definito che metta gli operatori in grado di comunicare fra loro.
La campagna diagnostica riguarda sia il manufatto sia l’ambiente in cui esso si trova.
Le indagini che è opportuno programmare per lo studio dell’ambiente variano a seconda se abbiamo di fronte una statua, un monumento o una costruzione e a seconda se il
manufatto è conservato all’aperto o al chiuso.
Nel caso di un monumento o di una costruzione è opportuno fare ricerche di tipo geotecnico, strutturale e tecnologico per avere informazioni su: natura del terreno su cui
poggia il manufatto, esposizione dello stesso alle caratteristiche ambientali circostanti
(sole, vento, precipitazioni), statica del manufatto, tecnologia edilizia, falde idriche sotterranee e sistemi di convogliamento delle acque (coperture, tetti, scarichi).
Per qualunque manufatto all’aperto è necessario conoscere temperatura e umidità relativa dell’aria e a contatto della superficie lapidea, precipitazioni (quantità, frequenza,
intensità), radiazioni solari, intensità e direzione del vento, fenomeni particolari (giorni
di nebbia, di gelo ecc.), inquinanti atmosferici.
Per una statua in ambiente confinato i parametri ambientali sono determinati non solo dall’atmosfera della stanza ma anche dalla presenza di visitatori, se si tratta di un
museo. Una quantità rilevante di visitatori cambia i valori di temperatura, di umidità
relativa, di CO2 e di particolato.
A queste informazioni, per tutti i monumenti devono accompagnarsi accurati rilievi
grafici e/o fotografici e appropriate ricerche d’archivio, di carattere storico-artistico, che testimoniano della costruzione, della tecnica e di eventuali interventi successivi
(ampliamenti, rifacimenti, cambiamenti d’uso, spostamenti ecc.).
Le indagini non invasive che si possono compiere su manufatti lapidei sono:
q Analisi termografiche per evidenziare disomogeneità dei materiali: fessurazioni,
presenza di contaminanti, di materiali di restauro (cemento, perni in metallo), di strutture nascoste.
q Rilievo della rugosità superficiale per testimoniare eventi subiti dal manufatto.
q Misura del colore in termini di tinte e luminosità mediante la definizione di coordinate cromatiche (CIEL*a*b*) per monitorarne la variazione naturale nel tempo o in
seguito a interventi di restauro.
Grazie alla realizzazione di molti strumenti di analisi portatili è possibile realizzare in
situ misure di:
q Fluorescenza a raggi X. Si possono ricavare informazioni fino a 20 micron di profondità. Pensiamo quindi alla possibilità di conoscere il livello di penetrazione del gesso
all’interno del marmo mappando la presenza dello zolfo che, in questo contesto, può
essere ascritto solo al gesso.
q Analisi a infrarosso. Questa tecnica è particolarmente adatta allo studio di materiali organici e quindi può dare informazioni su trattamenti protettivi o di restauro passati, ma permette di caratterizzare anche alcuni anioni come solfati, nitrati e carbonati.
q Fluorescenza UV per via fotografica. Lo spettro di fluorescenza permette di individuare la natura chimica delle sostanze organiche superficiali e la misura dell’intensità
della fluorescenza è un indice quantitativo.
Le indagini invasive prevedono il prelievo di un campione e possono essere di tipo
distruttivo e non distruttivo.
27
28
Fra quelle non distruttive ci sono:
q Osservazione allo stereomicroscopio dei microframmenti per descrivere in modo
particolareggiato il materiale nel suo stato attuale (alterazioni superficiali, patine, pellicole, pittino, croste).
q Cross-section, Con le varie osservazioni al microscopio ottico forniscono informazioni su sfaldature, fratture, strati superficiali di degrado, presenza di materiali organici.
Osservate al SEM – EDS permettono identificazione e localizzazione di atomi. Il test
colorimetrico con il rodizonato di sodio che evidenzia e localizza il gesso. FIG. 32
q Ulteriori conferme possono essere ottenute con l’analisi micro-Raman.
q Le sezioni sottili invece si osservano in trasparenza e con il microscopio mineralogico, e permettono di definire la composizione mineralogica e consentendone la qualificazione petrografia del materiale, tenuto conto anche delle caratteristiche strutturali
e tessiturali.
Fra quelle distruttive ci sono:
q Su frammenti polverizzati possono essere effettuate analisi di microdiffrazione a
raggi X che definiscono la composizione mineralogica delle fasi cristalline
Con le tecniche di spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS) si possono fare analisi
qualitative e quantitative molto precise degli elementi presenti sulla superficie e del
loro stato di ossidazione.
q Analisi isotopiche che studiano i rapporti di concentrazione degli isotopi stabili di
carbonio e ossigeno. Questo permette di caratterizzare con estrema precisione l’origine
di una roccia e di individuare, in casi fortunati, addirittura la cava di estrazione. L’individuazione della cave permette una preziosa comparazione fra l’evoluzione naturale
della pietra e quella in ambienti antropizzati.
q Analisi dei sali solubili presenti all’interno del materiale lapideo. Una volta estratti
(con impacchi di cellulosa impregnata di acqua deionizzata) si può misurare la conducibilità della soluzione per un dosaggio della quantità totale di ioni presenti, si può fare
uno spettro UV/VIS per un’analisi qualitativa e quantitativa degli anioni di cui si conosce l’assorbanza specifica, si può fare una spettrofotometria di assorbimento atomico
per individuare la quantità di alcuni ioni metallici presenti (calcio, potassio, magnesio,
sodio e ferro).
q Cromatografia che permette di caratterizzare i composti presenti, sia dal punto di
vista qualitativo che quantitativo.
q Valutazione della porosità del materiale
q Analisi termiche: la temodifferenziale (DTA) e la termogravimetrica (TGA). Con queste analisi si è studiata soprattutto la composizione delle croste nere e degli strati sovrapposti alla pietra.
Per quanto riguarda gli inquinanti biologici è necessaria una valutazione quantitativa della presenza di microrganismi perché una contaminazione microbica naturale è
sempre presente ma non sempre rappresenta un problema. Anche l’identificazione di
alghe, muschi, licheni e piante superiori è materia per specialisti e va fatta sul luogo o
per mezzo di prelievi.
Un importante strumento a disposizione dello studioso dei comportamenti dei materiali
lapidei sono le camere climatiche cioè ambienti in atmosfera controllata in cui si eseguono test con inquinanti o con variazioni di umidità e temperatura.
A conclusione della descrizione delle possibili indagini da compiere su un manufatto
lapideo è interessante riportare quanto è stato fatto per il David di Michelangelo. FIG.
33 È stato realizzato un rilievo tridimensionale della statua in formato digitale. Questo
è un ottimo modo di visualizzare i dati, le misurazioni, le immagini in UV: il modello in
3D è un naturale supporto per creare e consultare la banca dati completa, puntuale e
aggiornata della situazione del David. È un precedente autorevole e la validità di questo modo di raccogliere ed esporre le informazioni è evidente a tutti.
Lapidei
FIG. 32
FIG. 33
Lapidei
29
PULITURA
Le informazioni guidano la scelta della metodologia più opportuna per rimuovere le
formazioni deturpanti e/o degradanti. La pulitura accurata e profonda assicura l’assenza di qualunque sostanza in grado di proseguire o innescare processi di degrado senza
intaccare la struttura sana del materiale. Saranno descritti prima i metodi per asportare
biodeteriogeni e poi quelli per rimuovere le formazioni di origine chimica.
Metodi di intervento per biodeteriogeni
La scelta è funzione del tipo di biodeteriogeno presente, della consistenza del suo sviluppo, dello stato di conservazione del materiale lapideo e delle dimensioni del manufatto.
Per quanto riguarda i danni provocati dai volatili si cerca di tenerli lontani dai monumenti rendendo le superfici su cui essi si poggiano poco “accoglienti”: applicando delle
punte metalliche, della sostanze appiccicose o un sistema di fili conduttori che producono elettricità a bassa tensione quando gli uccelli vi si appoggiano. Si possono usare
anche sistemi di altoparlanti a radiofrequenze che diffondono la registrazione del verso
di uccelli predatori.
Per quanto riguarda l’eliminazione di biodeteriogeni vegetali è un processo meccanico
e manuale che può essere portato avanti con mani, spazzole rigide, bisturi, spatole o
microsabbiatrici come riportato nella tabella.
BIODETERIOGENO
PRETRATTAMENTO
STERILIZZANTE
PULITURA MEDIANTE
Batteri
No
Acqua nebulizzata, microsabbiatura,
impacchi assorbenti
Alghe
Si
Spazzola rigida, spatola
fogliosi
No
Spazzola rigida, spatola
crostosi
Si
Spazzola rigida, microsabbiatura
No
Diserbo manuale
erbacee
Si/No
Diserbo manuale
legnose
Si
Diserbo manuale, taglio alla radice
Licheni
Muschi
Piante
Da P. Tiano “Problemi biologici nella conservazione delle opere in marmo esposte all’aperto” OPD “Speciale marmo” pg 47 – 53.
Mentre l’eliminazione dei muschi non presenta alcun problema perché non si ancorano né penetrano nel substrato litoico, l’asportazione delle altre specie può presentare qualche complicazione: la rimozione di alghe o licheni con spatole o spazzole
rigide può provocare la rottura delle cellule e la fuoriuscita di clorofilla o di pigmenti colorati che si adsorbono sulla superficie lapidea. L’asportazione del tallo di licheni crostosi provoca la formazione di un’impronta negativa, il cosiddetto pitting; per
piante di tipo arbustivo o arboreo, con ampio e profondo apparato radicale, il diserbo manuale oltre che difficoltoso può risultare pericoloso per la stabilità del manufatto. Risulta quindi conveniente provocare la morte dell’organismo prima di procedere alla rimozione cosicché questa risulterà più semplice e definitiva. Si possono
 Se il manufatto è di dimensione tale
usare metodi diretti (eliminando acqua o luce)  o indiretti (raggi UV o erbicidi).
da poter essere trasportato in un ambiente confinato e controllabile, l’applicazione
Metodi di intervento per formazioni di origina chimica.
Si tratta di rimuovere patine e croste variamente adese e coese sulla superficie e di di questo metodo è facile. Su scala media
asportare i sali presenti all’interno della struttura portando i materiali di degrado alla si possono impiegare impacchi di argille
assorbenti, spessi 2 o 3 cm che ricoprono
disgregazione e /o alla solubilizzazione.
completamente le patine vegetali o teli di
Nel primo caso i metodi si definiscono fisici, nel secondo chimici.
I metodi fisici usati su grandi superfici prevedono l’abrasione, la scalpellatura o la plastica, impermeabili alla luce che avvolsabbiatura non controllata sia a secco che a umido. Su superfici più piccole o comun- gono il manufatto.
que di pregio i metodi sono gli stessi ma condotti con strumenti di dimensioni ridotte
in mano ad esperti che siano in grado di controllare perfettamente gli effetti prodotti.
29
Lapidei
30
In questi casi le operazioni possono richiedere tempi lunghi. Come esempi ricordiamo:
q L’uso di microsabbiatrici di precisione nella pulitura di croste nere (per esempio sui
Capitelli Teodoriciani del Palazzetto Veneziano a Ravenna e sui fregi della facciata di
Palazzo Rucellai a Firenze);
q L’uso di piccoli scalpelli a percussione di applicazione odontotecnica, azionati ad aria
compressa per rimuovere le patine di calcare di cristallizzazione dalla Fontana di Trevi.
q L’uso del laser, specialmente per opere particolarmente preziose: i fregi della facciata
di Palazzo Rucellai a Firenze e il gruppo marmoreo dei Quattro Santi Incoronati di Nanni di Banco in Orsanmichele a Firenze. Grazie all’uso del laser è stato possibile tornare
a mettere in evidenza quello che è rimasto delle antiche dorature delle chiome, delle
barbe e delle decorazioni dei bordi delle vesti, dei libri e dei calzari della cui esistenza
avevano dato consapevolezza conoscenze documentarie.
I metodi fisici si limitano comunque a rimuovere gli strati sovrapposti alla superficie
esterna del manufatto.
I metodi chimici, oltre a solubilizzare questi stessi strati, possono essere impiegati anche in modo da asportare i sali depositati nei primi strati interni del materiale. La solubilizzazione dei sali può avvenire in acqua semplice o deionizzata o in soluzioni di acidi, di basi, di tensioattivi o di complessanti. Su grandi superfici l’acqua viene utilizzata
mediante spray o getti di vapore ad alta pressione in modo da rafforzare il suo potere
solvente con l’azione meccanica e/o termica.
q Gli acidi si usano con molta cautela perché nonostante il trattamento preveda accurati lavaggi e neutralizzazione dei prodotti formati e dei reagenti in eccesso, non è
possibile proteggere completamente la pietra sana dall’aggressività dell’attacco acido.
Anche i componenti ferrosi dei minerali presenti possono essere ossidati dagli acidi con
formazione di macchie rugginose difficilmente rimovibili. Inoltre la neutralizzazione
porta alla formazione di sali più o meno solubili con le conseguenze che sono già state
descritte.
q Le sostanze basiche (soda, NaOH o ammoniaca NH3) hanno lo scopo di saponificare
le sostanze grasse eventualmente presenti nelle croste nere.
q I tensioattivi più usati sono quelli neutri perché i cationici, gli anionici e gli zwitterionici sono troppo aggressivi. I tensioattivi presentano però lo svantaggio di essere difficilmente rimovibili e igroscopici per cui favoriscono il ristagno di umidità.
Per opere di pregio l’acqua si può usare in modo più sofisticato. Si può nebulizzare aumentando così esponenzialmente la superficie di contatto. Si può usare acqua deionizzata che ha un potere solvente più elevato (tanto che può risultare aggressiva) perché la
sua bassa forza ionica fa aumentare la solubilità di tutti i sali. Si può usare acqua sotto
pressione così si sfrutta anche l’azione meccanica. Ma l’uso di impacchi con materiali
assorbenti (tipo attapulgite o cellulosa derivatizzata) è il metodo che sfrutta meglio il
potere solvente dell’acqua pura o contenente complessanti o desolfatanti
q I complessanti agiscono soprattutto nei confronti dello ione calcio anche se sono attivi con tutti i cationi bivalenti. Deve quindi essere usata cautela per la lroo applicazione
su superfici policrome: i pigmenti sono sali e i loro cationi possono essere complessati.
Il complessante più usato è l’EDTA, cioè l’acido etilendiamminotetracetico nella forma
di sale bisodico. 
q I desolfatanti servono ad eliminare il gesso che è solfato di calcio. Sono state provate
molte sostanze che attraverso le reazioni di scambio o doppio scambio portano a prodotti solubili o volatili o con caratteristiche chimico-fisiche più simili a quelle del substrato di partenza.
Ricordiamo i composti e le reazioni con il gesso:
1) ammonio carbonato al 20% (pH 9,2)
CaSO4. 2 H2O + (NH4)2CO3
Gesso
carbonato
d’ammonio
→ (NH4)2SO4 + CaCO3
solfato
d’ammonio
(solubile)
carbonato
di calcio
Tensioattivi = molecole costituite da
una lunga catena idrocarburica a carattere non polare e una testa polare (di varia
natura). Questa doppia natura fa sì che
queste molecole possano efficacemente
interagire sia con le sostanze idrofile che
con quelle idrofobe.
 La formula è:
(HOOCH2C)2N-CH2-CH2-N(CH2COO-) 2Na2+
L’EDTA forma complessi ottaedrici con tutti
i cationi metallici bivalenti legandoli con
i due atomi di azoto e i quattro di ossigeno. La reazione deve avvenire in ambiente
tamponato per controllare l’abbassamento del pH.
Lapidei
31
2) idrossido di bario soluzione satura
CaSO4. 2 H2O + Ba(OH)2 →
Idrossido
di bario
Ba(OH)2 + CO2
→
BaSO4 + Ca(OH)2 + 2 H2O
solfato
di bario
BaCO3 + H2O
3) ammonio carbonato e idrossido di bario
CaSO4. 2 H2O + (NH4)2CO3
(NH4)2SO4 + Ba(OH)2
Ba(OH)2 + CO2
→
→
→
(NH4)2SO4 + CaCO3
BaSO4
+ NH3 + 2 H2O
volatile
BaCO3 + H2O
4) ossalato di ammonio al 5%
CaSO4. 2 H2O + (NH4)2C2O4
→
(NH4)2SO4 + CaC2O4
Prima di commentare l’efficacia e l’azione di ognuno di questi trattamenti è necessario
far notare come essi possano avere anche valenze consolidanti e/o protettive. Infatti i
sali che si formano oltre a eliminare il solfato possono avere potere legante o passivante
cioè essere in grado di ricreare la coesione che era venuta a mancare o di formare una
patina protettiva che impedisce il contatto fra la pietra sana e l’ambiente inquinato.
Passiamo adesso a descrivere gli effetti di ogni trattamento.
1) L’ammonio carbonato si è rivelato un ottimo desolfatante: se lasciato in contatto il
tempo necessario, la reazione è praticamente quantitativa perché il carbonato di calcio
che si forma non ha una funzione passivante e permette il procedere delle reazioni di
trasformazione. Il carbonato ha però minori proprietà coesive del gesso e un maggior
potere coprente per cui si può avere una perdita di coesione e di saturazione così da
richiedere un successivo adeguato trattamento consolidante.
2) L’idrossido di bario permette una desolfatazione solo parziale perché il solfato di
bario che si forma ha un’azione passivante sulla parte residua del cristallo di gesso
impedendone la completa trasformazione. Quindi ad una scarsa efficacia desolfatante
corrisponde un’ottima azione protettiva che però si potrebbe esercitare anche su croste
e patine se non vengono eliminate in altro modo.
3) La combinazione di ammonio carbonato seguito da idrossido di bario dà risultati eccellenti in termini di risanamento: si elimina il gesso in maniera quantitativa e i composti di bario che si formano sono caratterizzati da inerzia chimica, volume specifico e
indice di rifrazione simili al carbonato di calcio sano, insolubilità (BaSO4) e da una nota
azione consolidante (BaCO3).
4) L’ammonio ossalato ha un comportamento molto simile all’idrossido di bario dato
che l’ossalato di calcio che si forma ha la stessa azione passivante del BaSO4. Quindi,
previa rimozione del gesso per altre vie, il trattamento a ossalato ha una grande valenza protettiva soprattutto in quei casi che non tollererebbero il pH alcalino (pH circa 13)
della soluzione di idrossido di bario. L’ammonio ossalato lavora a pH neutro. L’ossalato
di calcio che si forma è praticamente insolubile, per questo è protettivo, ma può formare patine biancastre che alterano l’equilibrio cromatico.
Per eliminare ed estrarre il gesso si è provato anche ad applicare impacchi di resine a
scambio anionico per sequestrare lo ione solfato. Esse agiscono in presenza di acqua
ma la loro efficacia desolfatante è solo parziale e non è compensata da un’azione passivante a meno che non ci sia un successivo trattamento con idrossido di bario o con
ammonio ossalato. 
Qualunque sia il trattamento scelto è necessario un lavaggio finale prolungato e accu
 Ricordiamo l’uso della resine per la pulitura delle parti lapidee della Tomba di
Piero e Giovanni de’ Medici di Andrea del
Verrocchio nella Sagrestia Vecchia di San
Lorenzo a Firenze.
31
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rato per eliminare gli eccessi di reattivo, i prodotti solubili o poco solubili che in una
successiva cristallizzazione potrebbero creare patine biancastre.
Ricordiamo qui che gli impacchi di materiali assorbenti possono contenere anche biocidi o solventi organici tipo acetone per eliminare alcuni tipi di patine biologiche.
CONSOLIDAMENTO
Il consolidamento è un trattamento che si effettua sul manufatto per ripristinare la caratteristiche strutturali del materiale. Si tratta di migliorare la coesione del materiale
degradato e la sua adesione al substrato sano.
Esiste una scala di interventi calibrati sui problemi da risolvere:
a) consolidamento strutturale
b) consolidamento in profondità
C) fissaggio
Il consolidamento strutturale si impone quando dovesse essere in pericolo l’integrità stessa o l’equilibrio statico del manufatto. Si passa da interventi edilizi veri e propri
(contrafforti, fondamenta ecc), all’uso di perni metallici per fissare blocchi o parti essenziali fino al riempimento di fessure. L’uso di perni, oltre richiedere la foratura dell’opera, crea i problemi connessi all’accoppiamento di materiali diversi e ai prodotti di
corrosione dei metalli. Attualmente si usano acciai speciali o leghe a base di titanio. Nel
caso in cui si debbano riempire fessure o “incollare” frammenti si ricorre a materiali che
devono avere caratteristiche adesive e tridimensionali: gli stucchi cioè impasti di inerti
e leganti plastici. Tra le formulazioni che sono state usate e provate ricordiamo: malta a
base di polvere di marmo, grassello, resina acrilica e pigmenti per il marmo; polvere di
pietra, grassello e pigmenti per la pietra serena; cera colorata e polvere di marmo mescolate a caldo per il porfido e la serpentina. Questi interventi sono stati effettuati sulle
parti lapidee della Tomba di Piero e Giovanni de’ Medici di Andrea del Verrocchio nella
Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze. Per le microfessurazioni sono state eseguite
iniezioni di resine epossidiche molto fluide (Capitelli Teodoriciani del Palazzetto Veneziano a Ravenna). Le resine epossidiche sono più adatte per interventi di “incollaggio”
che per interventi consolidanti veri e propri.
Il consolidamento in profondità e il fissaggio sono due trattamenti molto simili sia
concettualmente sia per i prodotti utilizzati. Si tratta di ricostruire quell’impalcatura
strutturale microscopica che garantisca il ripristino delle proprietà meccaniche del materiale. Nel consolidamento questo deve avvenire per spessori più grandi, nel fissaggio
si limita agli strati superficiali. L’uno o l’altro intervento dipendono dalla profondità raggiunta dagli effetti del degrado e, indirettamente, dalla porosità naturale della pietra.
In pratica si tratta di trovare dei prodotti che penetrino nei pori e poi diano luogo a reazioni che diminuiscano o rendano uniforme la porosità generale. Quindi le differenze
saranno nelle formulazioni dei prodotti: più fluide, più penetranti, meno concentrate,
con solventi meno volatili e con tempi di reazione più lenti i consolidanti, con caratteristiche opposte i fissativi.
I consolidanti si distinguono in tre grandi categorie: composti inorganici, a base di silicio e organici.
I composti inorganici hanno il vantaggio di poter penetrare facilmente in soluzione acquosa, di avere una natura chimica simile a quella del materiale che li circonda mentre
hanno gli svantaggi di essere rigidi, comunque solubili e idrofili. Materiali che hanno
questa funzione sono la calce (Ca(OH)2) e il bicarbonato di calcio (Ca(HCO3)2) che per
carbonatazione e decarbossilazione, rispettivamente, danno carbonato di calcio cioè
calcite di ricristallizzazione meno cristallina (quindi più reattiva) e più ingombrante
rispetto all’originaria. Un altro materiale è l’idrossido di bario che produce carbonato di
bario con notevole capacità consolidante come già visto.
I composti a base di silicio sono molto numerosi e sono stati molto usati (vedi la trattazione sulle cause di degrado in questo stesso capitolo).
Fra i consolidanti organici ricordiamo le resine epossidiche che abbiamo già descritto,
Lapidei
Lapidei
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le resine acriliche e i perfluoropolieteri, corte molecole fluorurate di grande inerzia chimica.
I trattamenti consolidanti hanno una loro vita utile più o meno lunga e con il tempo, il
contatto con l’ossigeno e con l’umidità, l’esposizione ai raggi solari perdono le loro caratteristiche. Possono perdere l’aderenza alla pietra (resine acriliche, perfluoropolieteri), l’idrorepellenza (silani e siliconi), la trasparenza (le resine epossidiche ingialliscono,
i fluosilicati formano una patina biancastra), i legami con la pietra interna (silicati organici). Bisogna quindi essere pronti a monitorare l’evoluzione per intervenire di nuovo
quando si presentano segni di indebolimento.
Un’altra caratteristica dei trattamenti consolidanti è la loro irreversibilità; per questo
bisogna prestare molta attenzione alle caratteristiche chimiche dei prodotti e alle loro
conseguenze. Occorre inoltre che siano “bagnanti” per la pietra, cioè siano in grado di
stabilire dei legami ma non devono chiudere i pori altrimenti la naturale circolazione
del vapore acqueo viene ostacolata e si possono creare o aggravare fenomeni di subflorescenze.
Queste sostanze si possono applicare a pennello, a spruzzo o con impacchi come quelli
già visti per la pulitura. È ovvio che il consolidamento deve seguire un’accurata pulitura altrimenti si “consolida” anche lo sporco.
PROTEZIONE.
La protezione può essere strutturale o superficiale.
Quella strutturale prevede la costruzione di vere e proprie barriere fisiche che proteggano la struttura dall’acqua piovana, battente, corrente, di risalita capillare o infiltrazione. Pensiamo a tetti, pensiline, grondaie e sistemi di convogliamento dell’acqua
piovana o di scarichi sotterranei idrici; “tagli” di mura per isolare dall’umidità di infiltrazione o risalita, eliminazione di zone fredde per evitare la formazione di condensa.
Il trattamento superficiale consiste nel costituire una barriera fra il materiale lapideo
e l’ambiente che lo circonda. Quale che sia il prodotto scelto esso deve avere precise
caratteristiche: inerzia chimica e fisica nei confronti del materiale lapideo e dell’atmosfera (ossigeno, umidità, radiazione ultraviolette), trasparenza e assenza di colore,
idrorepellenza, insolubilità in acqua e in solventi organici (se si vogliono successivamente eliminare vernici, scritte ecc), bassa volatilità, permeabilità ai gas (aria e vapor
d’acqua), adeguato coefficiente di dilatazione termica e di elasticità, adesività, scarsa
penetrazione per garantire la reversibilità quando comincia a perdere le caratteristiche
che ne assicurano l’efficacia.
Lo scopo principale è comunque quello di limitare il più possibile la penetrazione
dell’acqua.
I protettivi possono essere di natura organica e inorganica.
Storicamente su statue e opere di pregio sono state usate sostanze organiche come la
cera applicata sia a freddo che a caldo (encausticatura) in solvente o in emulsione e gli
oli siccativi, soprattutto di lino. Tutto sommato, a parte l’ingiallimento degli oli, hanno
sufficientemente assolto al loro compito consegnandoci dei capolavori in buono stato
generale.
Su superfici di grande estensione o poco pregio si creava uno strato di “sacrifico” a base
di calce: un intonaco o una scialbatura.
Fra i materiali inorganici assumono un’importanza sempre crescente le patine minerali di ossalato. Esse si ritrovano su tantissime tipologie di manufatti antiche: sculture in
marmo e altri materiali lapidei, sculture in bronzo, pitture su tavole e tele e sculture policrome, mosaici, vetrate, stucchi decorativi, manufatti lignei, affreschi. Possono essere
loro le “patine del tempo” perché hanno quel colore miele che fa subito percepire lo
scorrere del tempo sull’oggetto osservato.
Gli ossalati si trovano a diretto contatto con la superficie del materiale e formano patine
molto sottili (poche decine di micron), fortemente aderenti al supporto, notevolmente
compatte, con una struttura a volte stratificata.
Le caratteristiche chimiche dell’ossalato di calcio, il più presente (in misura minore, sulle statue bronzee, troviamo anche ossalato di rame), sono una elevata stabilità chimica
e una bassa solubilità in un ampio intervallo di pH (2,5-13). Questo le rende resistenti
33
Lapidei
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all’aggressivo attacco acido delle atmosfere delle nostre città. E’ presente in due forme
cristalline a differente stato di idratazione: il monoidrato CaC2O4. H2O (whevellite a
cella monoclina prismatica) e il biidrato CaC2O4. 2 H2O (weddellite a cella tetragonale
dipiramidale).
Dal punto di vista ottico, la sfumatura che caratterizza queste formazioni, è dovuta
all’inclusione di particellato talvolta di natura silicatica.
La stabilità chimico – fisica e strutturale dell’ossalato biidrato, la sua collocazione prevalentemente a stretto contatto con la superficie del manufatto (le croste nere sono ben
distinguibili al di sopra di queste patine) determinano una schermatura naturale di eccezionali proprietà protettive.
I controlli effettuati sulle superfici di materiali analoghi esposti in ambienti non antropici (nelle cave) hanno rivelato l’assenza di patine protettive di simile composizione.
Questo ha posto il problema di avanzare delle ipotesi sulla formazione di questo composto. Il calcio ossalato è un composto inorganico che proviene dalla “mineralizzazione” dell’acido ossalico, organico (HOOC-COOH). Tale mineralizzazione può essere prettamente chimica o mediata da organismi biologici.
Detto questo la genesi di questo composto può avere quattro spiegazioni.
q Deposito di calcio – ossalato o acido ossalico presente nel particellato atmosferico.
Un tale processo non può dar luogo a patine sottili, uniformi e compatte e non può essere ipotizzato in ambiente preindustriale. Infatti questa ipotesi servirebbe a interpretare
la presenza di ossalato nelle croste nere.
q Trasformazione per ossidazione e mineralizzazione delle sostanze organiche usate
come protettivi nel passato: film protettivi di uovo, colle, oli, patinature intenzionali effettuate con leganti pigmentati ecc. Questi trattamenti erano applicati ai più disparati
tipi di manufatti. A sostegno di questa ipotesi c’è la presenza ubiquitaria di patine di
ossalato, il ritrovamento di tracce di film proteici o oleosi, la struttura a volte stratificata
delle patine riconducibile a stesure sovrapposte.
q Uso saltuario di acido ossalico in alcuni trattamenti superficiali di marmo e bronzo
(lucidatura, pulitura, patinatura). Sebbene supportato da riferimenti letterari e da consuetudini conservative questa ipotesi non giustifica né la struttura compatta né la presenza di ossalato su altri tipi di manufatti per i quali non è previsto il trattamento sopra
indicato: affreschi, mosaici, vetrate ecc.
q Metabolismo biologico. Alcuni microrganismi sviluppano acido ossalico come regolatore del calcio solubile. In questo caso i filmogeni protettivi organici avrebbero la funzione di nutrimento per lo sviluppo di questi organismi.
Quale che sia la loro origine è indubbio che su manufatti lasciati per lungo tempo indisturbati si sono formate queste patine dalle eccezionali proprietà protettive. Questo ha
spinto a considerare la possibilità di creare delle patine artificiali di ossalato di calcio a
protezione delle superfici lapidee che avessero subito trattamenti conservativi di pulitura e consolidamento. Tali patine rispetterebbero le caratteristiche necessario di un buon
protettivo: oltre all’inerzia chimica avrebbero un indubbia compatibilità con il substrato
vista la comune natura minerale, non altererebbero le caratteristiche ottiche perché gli
ossalato artificiali sono incolori e la sottigliezza delle stesure le rende traslucide, permetterebbero la circolazione di liquidi e vapor d’acqua. Il trattamento prevede l’applicazione per 5-24 ore di impacchi (argille o cellulose) di ossalato d’ammonio saturo (al
5-6%) per avere la seguente reazione di doppio scambio:
CaCO3 + (NH4)2C2O4
→
CaC2O4 + NH3 + H2O + CO2
L’ossalato è insolubile mentre gli altri tre prodotti sono volatili.
La reazione ha un effetto passivante nel senso che ricopre tutti i microgranuli calcarei
di uno strato inerte di ossalato difendendone l’integrità senza far avvenire una trasformazione della massa. La soluzione di ossalato di ammonio non ha carattere corrosivo
perché ha pH 7 ma il trattamento deve essere seguito da lavaggio accurato per eliminare residui di reagente in eccesso.  Possiamo concludere con alcune osservazioni sul
problema della protezione che confluisce in quello della manutenzione e conservazione. Questo rientra nelle abitudini e nei comportamenti antichi quando la manutenzione
 Un trattamento del genere è stato eseguito a conclusione dell’intervento di pulitura sull’”EternoPadre” di Baccio Bandinelli conservato nel Chiostro di Santa
Croce a Firenze.
Lapidei
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ordinaria era un normale modus operandi: la semplice spolveratura, il diserbo manuale
di piante appena cresciute fino al periodico rinnovamento degli strati protettivi (oli e
cere).
Quando i manufatti si trovano all’aperto o sono di grandi dimensioni è praticamente
impossibile cambiare le condizioni ambientali o tenerle sotto controllo per evitare che
si riproducano gli stessi problemi appena eliminati con il restauro.
In alcuni casi è stato costruito intorno un ambiente che confinava così l’atmosfera in cui
il manufatto si trovava per poter tenere sotto controllo i parametri termoigrometrici e
compositivi: pensiamo all’Ara Pacis di Roma.
In altri casi si è deciso di portare al chiuso dei manufatti originali o troppo esposti
all’aggressione chimica o biologica: pensiamo alla statua del Marcaurelio a Roma o alle strutture della Fonte Gaia a Siena. In questo casi si pone il problema di fare delle copie da esporre per non perdere la fruibilità e il significato storico – artistico contestuale
dell’opera e nello stesso tempo da sacrificare agli agenti degradanti. Accenniamo solo
a due dei problemi che si possono presentare: come fare i calchi e quali materiali utilizzare.
Per fare i calchi da cui ricavare le copie si usano composti siliconici che però non devono penetrare troppo nel materiale, non devono creare un ambiente troppo acido durante la polimerizzazione e devono dar luogo ad un calco che si stacchi facilmente.
Fra i materiali da usare per fare delle copie o per integrare il manufatto qualora ci fossero delle parti mancanti si può cercare la stessa pietra dell’originale (quando se ne è
individuata la provenienza con precisione e qualora la cava sia ancora fruibile), si può
scegliere una pietra simile per le caratteristiche ottiche ma facilmente distinguibile ad
un esame più attento (per il principio della riconoscibilità di un intervento di restauro),
si può usare un litotipo artificiale. Questi sono aggregati di pietre, uguali o simili all’originale, polverizzate per dare l’intonazione cromatica e resine organiche le cui caratteristiche di plasticità, resistenza chimica e idrorepellenza possono essere interessanti.
61. Quali fattori ambientali potrebbero influire sul benessere di una statua all’aperto?
E di una in ambiente mussale?
62. Quali indagini ci permettono di caratterizzare struttura, composizione e penetrazione dei componenti delle croste nere?
63. Come si possono tenere lontani i volatili?
64. Quali sono i metodi per eliminare i vari tipi di vegetali?
65. Con quali metodi fisici si possono ripulire dalle croste e/o dalle patine superfici lapidee di pregio?
66. Quali sono i modi definiti “sofisticati” di usare l’acqua?
67. In quale situazione diventa pericoloso usare l’EDTA?
68. Quali sono i desolfatanti usati? Qual è lo scopo comune e generale di tutti loro?
69. In che cosa invece differiscono? Quale alla fine di tutte le considerazioni risulta il
più efficace? Perché?
70. Come si può effettuare un consolidamento strutturale?
71. Qual è la differenza fra consolidamento e fissaggio?
72. Quali caratteristiche generali devono avere le sostanze usate come consolidanti?
73. Spiegare quali sono le caratteristiche chimiche dell’ossalato che ne fanno un ottimo
protettore.
74. Perché patine di ossalato si ritrovano praticamente su manufatti antichi di ogni tipo
ma non sui materiali originari (es. cave) coevi?
75. Come si risolve il problema di proteggere da condizioni ambientali sfavorevoli monumenti e statue che si trovano all’aperto.
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Lapidei
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Esercizi
1. Le rocce sono formate da .................................................................................. che hanno ben definite
Che può essere
In base alla quale si dividono in
............... es. cubica
(l’80%)
Complessa es...............
E cioè
Solfati e
solfuri
Es.
Es.
Es.
2. Completare la seguente tabella sulla cristallizzazione dei minerali
MECCANISMI
1
2
3
4
5
CAUSE
Solidificazione di un fuso
Solubilità dei composti
Es.
Lapidei
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3. Completare il seguente schema di classificazione delle rocce
Rocce
In base alla
composizione
In base al
raffreddamento
Attraverso le fasi di
Attraverso processi detti
Si può cambiare
37
Lapidei
38
4. I minerali che costituiscono le rocce ignee sono tutti silicati: in che cosa però differiscono?
5. Dal colore di una roccia posso sapere dove si è formato il fuso. Completa la frase seguente.
Se una roccia è chiara/scura significa che è acida/basica cioè contiene una alta/bassa percentuale di silice/carbonato: infatti viene detta anche femica/sialica. Gli ossidi che la compongono sono quindi di ……………………..e di…………………..
: elementi piuttosto leggeri/acidi. Gli ossidi quindi fondono a temperature piuttosto alte/basse, quindi i magmi si sono formati nella crosta terrestre/all’inizio del mantello dove le condizioni sono/non sono così drastiche. Il processo di formazione del magma è detto di………………………cioè di fusione totale/parziale. Il magma risulta fluido/viscoso per la presenza
di………………………………
6. Fare i giusti collegamenti.
RAFFREDDAMENTO
FUORI/DENTRO LA CROSTA TERRESTRE
STRUTTURA
ESEMPI
Veloce
Dentro
Porfirica
Lento
Fuori
Vetrosa
Granito
Fuori/dentro
Macrocristallina
Basalto
Fuori Microcristallina Porfido
Molto veloce
Frazionato Ossidiana
7. Completare la frase seguente:
Nella disgregazione delle rocce l’acqua può avere sia un’azione………………… o di erosione che ………………………………
o………………………………..
Nel primo caso si hanno fenomeni di:
a.
b.
Nel secondo caso si hanno reazioni di:
a.
b.
c.
8. A che cosa è dovuta la deposizione dei detriti?
9. Descrivere le due fasi della diagenesi o litificazione.
10. Fra le rocce sedimentarie indicarne una che non ha subito
trasporto
disgregazione
diagenesi
Lapidei
39
11. Segna le risposte giuste:
 di struttura
 di composizione
Il metamorfismo provoca variazioni
 solo di struttura
ma mentre quello di contatto provoca variazioni solo  solo di composizione
 di entrambe
quello regionale a basse profondità
 solo di struttura
 solo di composizione
 di entrambe
e quello regionale a profondità maggiori
 solo di struttura
 solo di composizione
 di entrambe
attraverso processi
 di ricristallizzazione
 di anatessi
 di cambiamenti di fase
12 Riempi le seguenti tabelle inserendo le rocce nelle opportune caselle.
ROCCE MAGMATICHE
ACIDE
EFFUSIVE
BASICHE
ACIDE
INTRUSIVE
BASICHE
VETROSE
ROCCE SEDIMENTARIE
CLASTICHE
COERENTI
INCOERENTI
PIROCLASTICHE
CALCAREE
ORGANOGENE
SILICICHE
ORGANICHE
CALCAREE
CHIMICHE
SILICICHE
SALINE
RESIDUALI
ROCCE METAMORFICHE
METAMORFISMO DI CONTATTO
METAMORFISMO REGIONALE A BASSA PROFONDITÀ
METAMORFISMO REGIONALE A ALTA PROFONDITÀ
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Lapidei
40
13. Indicare accanto ad ognuna di quelle sotto elencate se si tratta di proprietà mineralogiche (M), fisiche (F), meccaniche (Me), termiche (T), chimiche (C), tecnologiche (Tc), altre (A).
Lavorabilità
Coefficiente di dilatazione
Resistenza
all’azione degli agenti esterni
a compressione
al fuoco
agli urti
al taglio
Colore
Tessitura
Durezza
Densità
Composizione
Aderenza alle malte
Permeabilità
Durevolezza
Giacitura
14. Da cosa dipende il colore di una roccia? Perché può cambiare? Fare degli esempi concreti.
15. Associare ad ogni tipo di cava il tipo di roccia estratto.
CAVE
ROCCE
a cielo aperto
collinari/montuose
sabbie e ghiaie
in galleria
tufo
letto di fiumi/laghi
pietre e marmi
16. Cos’è il “cappellaccio”?
17. Descrivere i due diversi modi in cui si può usare la dinamite in una cava. Che cosa se ne ottiene?
Lapidei
41
18. Per tagliare la pietra si usano vari tipi di sega: che cosa si ottiene da ognuno?
Filo elicoidale
Seghe a telaio
Seghe alternative
19. Fare i giusti collegamenti fra gli attrezzi usati e le lavorazioni eseguite.
Frese
Bocciarda
Incisione
Feltri
Scalcagnolo
Mazzuolo
Lucidatura
Sgorbia
Martellina
Moli abrasive
Levigatura
Subbia
Gradina
Fiamma ossidrica
Battitura
Scalpello
20. Riempi la seguente tabella:
ROCCIA
COMPOSIZIONE e/o
STRUTTURA
ORIGINE
PROPRIETÀ /
CARATTERISTICHE
USI e VARIETÀ
GRANITI
OSSIDIANA
POMICI
PORFIDI
BASALTI
GHIAIE
CONGLOMERATI
SABBIE
ARENARIE
TUFO
TRAVERTINO
ALABASTRO
GNEISS
FILLADI
MARMI
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Lapidei
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21. In quali modi l’energia termica che arriva dal sole provoca degrado, sia direttamente che nelle sue interazioni con
l’acqua.
22. La natura dipolare dell’acqua insieme alla porosità della pietra spiega molti dei problemi degradativi di natura chimica delle pietre. Spiegare.
23. Esponendo tutte le considerazioni necessarie individuare l’organismo vegetale più pericoloso per il degrado dei
manufatti lapidei.
24. Quali conseguenze hanno sullo stato di coesione e adesione dei materiali lapidei gli inquinanti presenti nell’aria?
25. In che senso i processi di lavorazione possono indebolire la struttura di una pietra?
26. Spiegare tutti i meccanismi con cui l’acqua (con le sue proprietà e i vari stati di aggregazione) può provocare il degrado.
27. Indicare i vari modi (volontari e involontari) con cui l’uomo può provocare il degrado dei materiali lapidei.
28. Completare il seguente schema. Gli effetti del degrado possono essere:
e allora si parla di
degradazione
di origine
chimica
29. Perché le croste nere sono così pericolose e così difficili da togliere?
30. In che senso i problemi di decoesione si possono trasformare in problemi di deadesione?
31. Quali informazioni utili ad un intervento di restauro apportano gli studi ambientali e d’archivio?
Lapidei
43
32. Descrivere il modo in cui le informazioni ricavate sul Davide di Michelangelo sono state esposte. Spiegarne la novità e l’efficacia.
33. Spiegare le procedure e le analisi da compiere per definire la composizione, la penetrazione e la struttura delle croste nere.
34. Come si applicano i biocidi nei diversi casi per eliminare i vari tipi di vegetali?
35. Completare la seguente frase:
La pulitura consiste nel disgregare/solubilizzare i prodotti di degrado con metodi chimici/fisici o nel ........…………………………
con metodi ..………………………….
36. Riempi il seguente schema.
su grandi superfici
su piccole superfici
ACQUA
microscalpelli dentistici
nebulizzata
con
es. EDTA
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37. Fare i giusti collegamenti.
DESOLFATANTI
PRODOTTI PRECIPITATI
PRODOTTI
evaporati o solubili
CARATTERISTICHE
del trattamento
(NH4)2CO3
BaSO4 + BaCO3
NH3
Ottimo desolfatante
ma non consolidante
Ba(OH)2
BaSO4 + BaCO3
(NH4)2SO4
Mediocre solfatante,
ottimo protettivo
(NH4)2CO3 + Ba(OH)2
CaC2O4
(NH4)2SO4
Ottimo desolfatante,
consolidante e protettivo
(NH4)2C2O4
CaCO3
(NH4)2SO4
Ottimo protettivo
a pH più basso
38. Perché l’aggiunta di ammonio carbonato migliora l’azione desolfatante?
39. Perché sono necessari accurati lavaggi dopo ogni trattamento di pulitura?
40. Quali effetti di degrado si vogliono evitare usando perni di acciaio o di leghe al titanio?
41. Descrivere i difetti dei vari trattamenti di consolidamento con i composti a base di silicio.
42. Perché si è cercato di mettere a punto un metodo che rivestisse di un velo di ossalato la superficie dei manufatti lapidei da proteggere?
Lapidei
45
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DIZIONARIO ENCICLOPEDICO
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