Indice 1 INDICE GENERALE 1. CHIMICA GENERALE E ORGANICA CHIMICA GENERALE STRUTTURA DELL’ATOMO PAG. 1 TAVOLA PERIODICA PAG. 7 PROPRIETÀ PERIODICHE PAG. 9 LEGAMI CHIMICI PAG. 11 MOLECOLE E CRISTALLI PAG. 15 NOMENCLATURA PAG. 20 TERMODINAMICA E CINETICA PAG. 24 REAZIONI CHIMICHE PAG. 27 CHIMICA ORGANICA PAG.29 2. LAPIDEI INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 59 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 59 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 64 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 68 TIPI E UTILIZZI PAG. 70 STORIA PAG. 75 DEGRADO PAG. 78 RESTAURO PAG. 85 ESERCIZI PAG. 94 BIBLIOGRAFIA PAG. 103 3. LEGANTI INORGANICI 4. STUCCHI INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 105 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 105 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 113 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 117 TIPI E UTILIZZI PAG. 119 STORIA PAG. 124 DEGRADO E RESTAURO PAG. 126 ESERCIZI PAG. 129 BIBLIOGRAFIA PAG. 134 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 135 COMPOSIZIONE E PROPRIETÀ PAG. 135 Indice 2 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 136 TIPI E UTILIZZI PAG. 138 STORIA PAG. 139 DEGRADO E RESTAURO PAG. 140 BIBLIOGRAFIA PAG. 142 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 143 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 143 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 146 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 148 TIPI E UTILIZZI PAG. 151 STORIA PAG. 158 DEGRADO E RESTAURO PAG. 159 ESERCIZI PAG. 161 BIBLIOGRAFIA PAG. 164 LAVORAZIONE PAG. 165 STORIA PAG. 167 DEGRADO E RESTAURO PAG. 170 BIBLIOGRAFIA PAG. 172 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 173 MATERIALI PAG. 173 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 175 STORIA PAG. 178 DEGRADO PAG. 180 RESTAURO PAG. 181 ESERCIZI PAG. 184 BIBLIOGRAFIA PAG. 187 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 189 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 189 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 192 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 193 TIPI E UTILIZZI PAG. 201 STORIA PAG. 214 DEGRADO PAG. 218 RESTAURO PAG. 223 5. VETRO 6. VETRATE 7. MOSAICO 8. METALLI Indice 3 ESERCIZI PAG. 226 BIBLIOGRAFIA PAG. 233 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 235 COMPOSIZIONE E LAVORAZIONE PAG. 235 TIPI E UTILIZZI PAG. 236 STORIA PAG. 238 DEGRADO E RESTAURO PAG. 239 BIBLIOGRAFIA PAG. 242 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 243 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 243 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 245 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 247 TIPI E UTILIZZI PAG. 252 STORIA PAG. 259 DEGRADO PAG. 266 RESTAURO PAG. 268 ESERCIZI PAG. 273 BIBLIOGRAFIA PAG. 277 9. SMALTI 10. CERAMICHE 11. TERRECOTTE INVETRIATE INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 279 COMPOSIZIONE E LAVORAZIONE PAG. 279 STORIA PAG. 281 DEGRADO PAG. 281 RESTAURO PAG. 282 BIBLIOGRAFIA PAG. 284 12. MATERIALI ORGANICI INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 285 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 285 PROPRIETÀ E UTILIZZI PAG. 291 TIPI PAG. 301 DEGRADO PAG. 311 RESTAURO PAG. 314 ESERCIZI PAG. 321 BIBLIOGRAFIA PAG. 331 Indice 4 13. MATERIALI PLASTICI INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 333 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 333 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 337 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 339 TIPI E UTILIZZI PAG. 341 ESERCIZI PAG. 345 BIBLIOGRAFIA PAG. 350 14. COLORI E PIGMENTI 15. CARTA INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 351 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 351 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 354 TIPI E UTILIZZI PAG. 362 STORIA PAG. 372 DEGRADO PAG. 384 RESTAURO PAG. 386 ESERCIZI PAG. 392 TABELLE PAG. 401 BIBLIOGRAFIA PAG. 409 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 411 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 411 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 418 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 423 TIPI E UTILIZZI PAG. 429 STORIA PAG. 433 DEGRADO PAG. 436 RESTAURO PAG. 438 ESERCIZI PAG. 442 BIBLIOGRAFIA PAG. 450 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 451 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 451 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 451 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 452 TIPI E UTILIZZI PAG. 453 STORIA PAG. 456 16. PERGAMENA Indice 5 DEGRADO PAG. 457 RESTAURO PAG. 458 BIBLIOGRAFIA PAG. 460 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 461 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 461 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 464 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 466 TIPI E UTILIZZI PAG. 467 STORIA PAG. 469 DEGRADO E RESTAURO PAG. 471 ESERCIZI PAG. 472 BIBLIOGRAFIA PAG. 476 17. INCHIOSTRI 18. TECNICHE DI STAMPA 19. LEGNO INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 477 XILOGRAFIA PAG. 477 CALCOGRAFIA PAG. 478 LITOGRAFIA PAG. 480 ALTRE TECNICHE PAG. 481 BIBLIOGRAFIA PAG. 484 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 485 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 485 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 489 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 493 TIPI E UTILIZZI PAG. 497 DEGRADO PAG. 503 RESTAURO PAG. 505 IL LEGNO NELL’ARCHITETTURA PAG. 506 IL LEGNO NELL’ARREDAMENTO PAG. 510 IL LEGNO NELLA PITTURA PAG. 517 IL LEGNO NELLA SCULTURA PAG. 526 ESERCIZI PAG. 532 BIBLIOGRAFIA PAG. 539 20. FIBRE TESSILI INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 541 Indice 6 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 541 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 544 LAVORAZIONE E FABBRICAZIONE PAG. 547 TIPI E UTILIZZI PAG. 553 STORIA PAG. 555 DEGRADO PAG. 559 RESTAURO PAG. 561 ESERCIZI PAG. 567 BIBLIOGRAFIA PAG. 573 21. TECNICHE ARTISTICHE 22. DEGRADO INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 575 COMPOSIZIONE E ORIGINE PAG. 575 PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE PAG. 581 LAVORAZIONE E TIPI PAG. 584 STORIA PAG. 591 DEGRADO PAG. 597 RESTAURO PAG. 600 ESERCIZI PAG. 607 BIBLIOGRAFIA PAG. 611 INTRODUZIONE E GENERALITÀ PAG. 613 CAUSE DI DEGRADO PAG. 613 MECCANISMI DI AZIONE PAG. 623 EFFETTI DI DEGRADO PAG. 624 ESERCIZI PAG. 625 BIBLIOGRAFIA PAG. 628 STORIA PAG. 629 BASI TEORICHE DEL RESTAURO MODERNO PAG. 630 FASI DI UN INTERVENTO DI RESTAURO PAG. 633 Indagini PAG. 633 Pulitura PAG. 650 Documentazione PAG. 658 ESERCIZI PAG. 661 BIBLIOGRAFIA PAG. 669 23. RESTAURO Lapidei 1 Lapidei Introduzione e generalità Le pietre sono fra i primi materiali usati dall’uomo, insieme al legno e all’osso. Non a caso la prima forma di civiltà elaborata dall’uomo fu definita “della pietra”. La fortuna di questo materiale è dovuta alla sua facile reperibilità (le rocce sono i costituenti della crosta terrestre), alle caratteristiche di durezza e durabilità che possiede, alla lavorabilità e quindi adattabilità alle necessità che alcune qualità offrono. La varietà di rocce è molto ampia, sia come caratteristiche tecniche che estetiche. L’uomo primitivo cominciò ad usare la pietra per procurarsi un riparo, vista la resistenza di questo materiale alle intemperie: prima nelle grotte, poi nelle prime strutture senza malta, successivamente con la tecnica della muratura a secco. La pietra ha costituito il materiale d’elezione per le costruzioni fino all’inizio del ‘900 e all’avvento del calcestruzzo e del cemento armato. Essa ha caratterizzato intere città nei secoli della storia sia sotto il profilo statico che formale. L’uomo preistorico ha utilizzato pietre particolari lavorabili con altre pietre per ottenere utensili e armi. Le rocce più tenere, ocre e grafite, furono usate per decorare le pareti delle caverne. Altre rocce come marmi (soprattutto), graniti o arenarie hanno soddisfatto le esigenze estetiche umane per abbellire e decorare spazi e architetture. Inoltre le pietre hanno svolto la funzione di supporto scrittorio sia come tavolette incise sia come grandi steli (Rosetta), o colonne e archi di trionfo che recano scolpiti episodi storici. Infine sono rocce i materiali che vengono trasformati in ceramiche e vetri e quelli da cui si estraggono tutti i metalli. 1. Quali caratteristiche hanno fatto la fortuna dei materiali lapidei? 2. Quali sono i molteplici usi dei vari materiali lapidei? Composizione e origine I materiali lapidei naturali usati dall’uomo sono le rocce che costituiscono la crosta terrestre, soprattutto quelle che si trovano vicino o sulla superficie. Le rocce sono costituite da minerali. Raramente i minerali sono costituiti da un solo tipo di elemento (come l’oro e l’argento); di solito sono costituiti da composti dei metalli, soprattutto ossidi e poi solfati e alogenuri. Anche i diffusissimi silicati, carbonati, solfati e fosfati possono essere descritti in termini di combinazione di ossidi. Le strutture cristalline dei minerali sono molte e danno luogo a cristalli che riproducono macroscopicamente le disposizioni ordinate che gli atomi assumono nel reticolo cristallino. Tali disposizioni devono rispettare precise leggi di simmetria per cui esistono “solo” 32 forme cristalline semplici che però possono combinarsi fra loro per generare molto più numerose forme complesse. I minerali si dividono in due grandi classi: silicatici e non silicatici. I minerali silicatici sono costituiti da silicio e ossigeno e costituiscono da soli l’80% dei materiali che affiorano sulla superficie della crosta terrestre. Il motivo per cui sono così diffusi e così vari deriva dal particolare chimismo dell’atomo di silicio rappresentato in figura. Minerale = sostanza naturale solida caratterizzata da una composizione chimica ben definita e da una struttura cristallina cioè da una disposizione ordinata e regolare degli atomi che la costituiscono. I controioni che si legano alle cariche negative sono il sodio (Na+), il potassio (K+), il calcio (Ca2+), il magnesio (Mg2+), il ferro (Fe2+, Fe3+) e l’alluminio (Al3+) che può tra l’altro sostituire il silicio all’interno dei tetraedri. 1 Lapidei 2 Alcuni atomi di ossigeno possono fungere da ponte dividendo la loro carica negativa con due atomi di silicio. In pratica si ha un processo di polimerizzazione in cui i tetraedri condividono i vertici e secondo le forme indicate in figura. FIG. 1 I minerali non silicatici più importanti sono i carbonati di calcio CaCO3 (calcari) e i carbonati doppi di calcio e magnesio CaMg(CO3)2 (dolomie). Frequenti anche il salgemma (NaCl) e il gesso (CaSO4 . 2H2O). I minerali si formano per cristallizzazione dei composti che li costituiscono. Tale cristallizzazione può avvenire attraverso vari meccanismi: per solidificazione di un fuso (lava o magma) per raffreddamento, e questo dipende dal punto di fusione dei vari composti; per precipitazione da soluzioni sature, e questo dipende dalla solubilità dei vari composti; per sublimazione di vapori o evaporazione di soluzioni acquose; per attività biologiche cioè elaborazione da parte di organismi viventi di composti inorganici per formare scheletri, gusci ecc; per trasformazioni allo stato solido causate da alte pressioni e temperature che modificano combinazioni e disposizioni degli atomi. Le rocce sono definite come aggregati naturali di diversi minerali. Si originano e si evolvono in modo molto vario ma si possono sintetizzare tre grandi processi litogenetici che danno origine alle tre classi di rocce: ignee (o magmatiche), sedimentarie e metamorfiche. FIG. 1 bis FIG. 1 Le rocce ignee Costituiscono il 35-40% della superficie della crosta terrestre. Si formano da materiale fuso che si chiama magma se rimane nella profondità della crosta e lava se emerge attraverso fessure o camini vulcanici. Posto che sono costituite prevalentemente da silicati, la varietà delle rocce ignee dipende dalla loro composizione e dal modo in cui è avvenuta la cristallizzazione. In base alla composizione le rocce si suddividono come in tabella: % in silicio 45 ultrabasiche basiche ricche in sodio e potassio 65 52 neutre FIG. 1 bis acide alcaline Macroscopicamente la composizione delle rocce può essere intuita dal colore che è prevalentemente chiaro (bianco, rosa) nel caso di rocce acide e che diventa più scuro mano a mano che l’acidità diminuisce. Le rocce ignee acide vengono anche dette sialiche per la prevalenza di minerali contenenti silicio e alluminio, quelle basiche vengono chiamate anche femiche per l’elevata percentuale di ferro e magnesio. I minerali che caratterizzano le rocce ignee sono riassunti nello schema seguente: Quarzo (SiO2) Acidità (% di silice) Feldspati cioè tectosilicoalluminati di potassio (KAlSi3O8, detto ortoclasio), di sodio (NaAlSi3O8, detto albite), di calcio (CaAl2Si2O8 detto anortite) Miche cioè fillosilicati di ferro, alluminio, magnesio e potassio di colore nero (biotite) o bianco (muscovite) Pirosseni cioè inosilicati a catena semplice di ferro, magnesio, alluminio, calcio e sodio Anfiboli cioè inosilicati a catena doppia di calcio, magnesio, ferro, alluminio e gruppi OH Olivine cioè miscele di Mg2SiO4 e Fe2SiO4 Lapidei 3 La composizione mineralogica in diverse percentuali dei magmi dà luogo a rocce con caratteristiche diverse. La composizione dei magmi dipende dalle condizioni della loro formazione: la temperatura, la pressione e l’ambiente in cui è avvenuta la fusione. Considerando che di base i minerali sono composti da ossidi, bisogna sottolineare che quelli degli elementi più pesanti fondono a temperature più alte rispetto a quelli più leggeri. Quindi le rocce più acide, ricche in silicio e alluminio piuttosto leggeri, provengono da magmi che si sono formati nella crosta terrestre, tramite processi di anatessi, in cui le temperature e le pressioni non sono altissime. Sono di solito magmi molto viscosi perché contengono i prodotti di polimerizzazione del silicio, che possono subire processi di rifusione e ricristallizzazione nella loro risalita verso la superficie (arricchendosi di elementi più leggeri abbondanti nelle zone superficiali). Al contrario le rocce basiche traggono origine da magmi formatisi nella zona al limite superiore del mantello, quindi con temperature e pressioni altissime che permettono la fusione di elementi pesanti come il ferro. Il risultato è un materiale molto fluido, denso e scuro. In base al modo in cui avviene la solidificazione del fuso, le rocce ignee si differenziano in intrusive ed effusive. La solidificazione porta alla formazione di cristalli la cui grandezza dipende dal gradiente di temperatura e dalla sua variazione nel tempo. Se il gradiente di temperatura fra l’ambiente di formazione e quello di solidificazione è grande e il passaggio è brusco (come nel caso delle lave) la cristallizzazione è veloce e si formano cristalli piccolissimi (a volte la struttura rimane addirittura amorfa o vetrosa), caratteristica delle rocce effusive. Altra struttura tipica delle rocce effusive è quella porfirica creata dalla cristallizzazione frazionata dei componenti: quelli più altofondenti cristallizzano lentamente durante la risalita e formano fenocristalli (cioè cristalli visibili ad occhio nudo), il resto cristallizza tutto insieme creando una matrice amorfa. Al contrario, se le condizioni di cristallizzazione sono più blande, essa avviene lentamente e si formano i grandi cristalli tipici delle rocce intrusive. Le rocce effusive si formano sopra la crosta terrestre, quelle intrusive dentro e vengono portate in superficie sia dai processi di erosione sia dai movimenti tettonici. Tenendo presente i due criteri di classificazione si possono distinguere varie classi di rocce riassunte nella tabella seguente: INTRUSIVE EFFUSIVE Acide Graniti Porfidi Neutre Dioriti Andesiti Basiche Gabbri Basalti “Alcaline” Sieniti Trachiti Ci sono particolari classi di rocce, tipo: le ossidiane, a struttura vetrosa o ialina; la pietra pomice alla quale la brusca fuoriuscita dei componenti gassosi (dovute ai drammatici cambiamenti di pressione e temperature esterne) ha conferito una struttura porosa; le rocce ultrabasiche come le peridotiti. Le rocce sedimentarie Sono definite anche rocce secondarie perché formati da materiali preesistenti che hanno subito dei processi di trasformazione. I processi di trasformazione sono quattro: 1. Degradazione 2. Trasporto 3. Deposizione 4. Diagenesi o litificazione. È un tipo di rocce molto diffuso, soprattutto in superficie ed estremamente eterogeneo perché i materiali di partenza possono essere i più svariati e i processi di formazione differenziati. Infatti non tutti quelli elencati sopra e descritti di seguito vengono applicati per tutte le tipologie di rocce. 1. La degradazione è alterazione di rocce preesistenti che subiscono l’azione fisica e 3 Lapidei 4 chimica degli elementi esogeni: aria, acqua e esseri viventi. L’azione fisica o erosione è dovuta all’azione meccanica di venti, fiumi e ghiacciai e all’azione dell’acqua. L’acqua può provocare la disgregazione delle rocce sia per le sue proprietà gelive (cioè l’aumento di volume del ghiaccio rispetto all’acqua liquida) sia per le sue proprietà solventi (i sali che può portare in soluzione possono poi cristallizzare in seguito a variazioni termoigrometriche): in seguito a questi fenomeni si creano tensioni interne alla roccia che portano al distacco di piccoli frammenti. Infine si possono verificare degradazioni fisiche dovute agli esseri viventi: calpestii di animali o penetrazione di radici delle piante. L’azione chimica o corrosione può essere causata dall’acqua che può sciogliere i minerali o può promuovere reazioni acido-base (con i gas che scioglie e che la rendono acida) e di complessazione (se contiene composti organici estratti dai suoli). Anche i gas dell’atmosfera e gli acidi prodotti dai microrganismi sono in grado di corrodere le rocce. 2. Il trasporto dei prodotti di degradazione avviene ad opera dei venti, delle piogge e dei corsi d’acqua. I frammenti più piccoli vengono trasportati in sospensione, quelli più grandi per rotolamento. Più è lungo il “viaggio” più accentuato è il cambiamento di forma (che tende a diventare tondeggiante) e di dimensione (che diminuisce). 3. La deposizione o sedimentazione avviene perché gli agenti trasportanti perdono la loro energia e velocità, pensiamo per esempio ai bacini lacustri e marini. Qualora i sali (soprattutto solfati e carbonati) siano disciolti nelle acque, la loro precipitazione è provocata da variazioni di temperatura che abbassano il prodotto di solubilità, da evaporazione del solvente per cui viene superato il punto di saturazione, da brusche diminuzioni di pressione. 4. La diagenesi o litificazione è quella serie di processi chimici e fisici che porta alla formazione della roccia compatta e coerente. Questi processi sono dovuti all’alta pressione causata dall’accumularsi di materiale e all’alta temperatura conseguente allo sprofondamento della crosta terrestre (1 °C per ogni 33 metri di profondità). In un primo momento si ha la compattazione per cui gli spazi fra i frammenti detritici si riducono con espulsione sia dell’acqua interstiziale sia dei gas. Successivamente si ha la cementificazione dovuta alla circolazione di acque freatiche che depositano sali in esse contenuti andando a costituire la matrice che cementa i grani sedimentati. Tale matrice può essere di natura carbonatica o silicatica. Si possono poi verificare successive trasformazioni dei cristalli compattati: la ricristallizzazione che può portare alla formazione di macrocristalli e il metasomatismo che consiste nella sostituzione di un materiale con un altro (esempio la formazione di dolomite da un calcare che sia stato in contatto con acqua di mare ricca di magnesio). Le rocce sedimentarie si suddividono in: a) clastiche b) piroclastiche c) organogene d) chimiche e) residuali a) Rocce clastiche. Sono costituite da detriti (clasti) trasportati lontani dal luogo di degradazione che si possono trovare in forma coerente o incoerente a seconda se abbiano subito o no il processo di diagenesi. In base alla dimensione dei clasti si possono classificare secondo la tabella a fianco. DIMENSIONI (mm) INCOERENTI COERENTI 16 - 2 Ghiaia Brecce, Puddinghe 2 - 0.06 Sabbia Arenarie 0.06 - 0.04 Silts Siliti <0.04 Argille, Marne Argilliti b) Rocce piroclastiche. Sono formate da materiali lanciati durante l’eruzione dei vulcani (lapilli, ceneri, polveri). Sono quindi di origine vulcanica e hanno subito il processo di Lapidei 5 trasporto, sedimentazione e diagenesi. Fra queste rocce troviamo i tufi e le pozzolane. c) Rocce organogene. Originate da resti animali (scheletri e gusci) o vegetali che si sono depositati in enormi quantità e hanno subito la diagenesi. Possono essere di natura calcarea (calcari nummulitici, a lumachelle, corallini) o silicea (diatomee, radiolari). I resti di organismi vegetali sono all’origine dei carboni fossili. d) Rocce chimiche. Sono originate da fenomeni chimici: precipitazione, evaporazione del solvente, corrosione di rocce preesistenti. Si distinguono: le rocce calcaree costituite da carbonato di calcio precipitato da acque ad elevata durezza (travertino, alabastro calcareo, calcari, dolomite, stalattiti e stalagmiti); le rocce silicee formate per flocculazione della silice colloidale (selci, opali ecc); rocce saline o evaporitiche, formate in seguito all’evaporazione di acque salmastre in bacini chiusi (gesso, anidride, alabastro gessoso tutti a base di solfato di calcio CaSO4, salgemma NaCl, silvite KCl). e) Rocce residuali. I detriti che non hanno subito trasporto danno luogo a tali rocce tra le quali ricordiamo la bauxite (minerali di alluminio), le lateriti (minerali di ferro), il caolino (argilla pura). Le rocce metamorfiche Derivano dalla trasformazione che rocce ignee o sedimentarie subiscono all’interno della crosta terrestre quando sono sottoposte ad alte temperature e alte pressioni. In queste condizioni possono aversi sia cambiamenti di composizione che di struttura. Le condizioni si creano nelle vicinanze di un magma in risalita (metamorfismo di contatto) o quando sono coinvolti nei movimenti orogenetici fra le zolle tettoniche (metamorfismo regionale). Il primo caso interessa le aree che si trovano nella zona circostante il magma definita “aureola di metamorfismo” la cui azione dipende dalla temperatura e dalla dimensione del magma e dalla natura delle rocce che si trovano a contatto con esso (le rocce calcaree sono più facilmente metamorfosate). Tale metamorfismo, dovuto essenzialmente alle elevate temperature, porta a variazione di composizione e di struttura. Il metamorfismo regionale interessa masse molto ampie: se avviene a profondità relativamente basse l’effetto è dovuto soprattutto alla pressione e si verificano cambiamenti a livello della struttura che assume una forma lamellare conferendo scistosità alla roccia (capacità di essere separata a strati); se avviene a maggiori profondità si hanno le condizioni anche per fusioni parziali (anatessi) con cambiamento anche della composizione e con strutture granulari. L’entità delle trasformazioni metamorfiche dipende dalle condizioni di temperatura e pressione raggiunte e le rocce che si originano possono essere a basso, medio e alto grado di metamorfismo a seconda della differenza raggiunta rispetto alle rocce di partenza. Fra le rocce metamorfiche quelle che rivestono un interesse maggiore per l’edilizia o per le belle arti sono i marmi (derivano da calcari), i serpentini (da gabbri), i diabase (da basalti), i gneiss (da graniti), le filladi (da argille) fra cui ricordiamo le ardesie e la lavagna. 3. Da quali tipi di composti chimici sono costituiti i minerali? 4. Quante sono le forme cristalline semplici? Da che cosa derivano quelle complesse? 5. Da cosa posso dedurre la struttura cristallina microscopica? 6. Quali minerali costituiscono da soli l’80% dei materiali sulla superficie della crosta terrestre? 7. In quali modi può avvenire la cristallizzazione? 8. Quali sono le tre grandi classi di rocce? In base a quale criterio vengono distinte? 9. Come possono essere classificate le rocce ignee in base al contenuto di silice? Come possono essere distinti i vari tipi facendo osservazioni macroscopiche? 10. Indicare alcuni dei materiali che costituiscono le rocce ignee. 5 Lapidei 6 11. In che modo le condizioni di formazione dei magmi influenzano la composizione delle rocce ignee che derivano dal loro raffreddamento? 12. In che modo le condizioni di raffreddamento dei materiali fusi influenzano la struttura delle rocce ignee? 13. Spiega la formazione della struttura porfirica e di quella vetrosa. Fare degli esempi concreti. 14. Quali sono i processi di trasformazione che portano alla formazione di rocce sedimentarie? Si verificano sempre tutti? Fare degli esempi concreti. 15. Parlare della degradazione chimica. 16. In che modo l’acqua partecipa alla degradazione e al trasporto dei detriti? 17. Come si fa a capire la lunghezza del viaggio guardando i detriti? 18. Da quali fattori può essere provocata la deposizione chimica? 19. Cos’è la diagenesi? Da che cosa può essere formata la matrice? 20. In quali classi si suddividono le rocce sedimentarie? Fare almeno un esempio concreto per ogni tipo. 21. Quali sono i due tipi di metamorfismo? Descrivili. 22. A quali cambiamenti può portare il metamorfismo? 23. Qual è la più usata e famosa roccia metamorfica? Proprietà e caratteristiche Analizzando i diversi aspetti delle rocce, si possono suddividere le varie proprietà e caratteristiche in: Mineralogiche Fisiche Meccaniche Termiche Chimiche e biologiche Tecnologiche Altre Proprietà mineralogiche Giacitura È il modo in cui la roccia viene trovata in natura: giacimenti, filoni, masse isolate più o meno grandi. Composizione Insieme dei minerali che la costituiscono. Essi possono essere essenziali, accessori e accidentali in base alla loro quantità e all’uniformità della loro distribuzione. Struttura È la forma e la dimensione dei cristalli. Può essere macrocristallina, microcristallina e amorfa o vetrosa. Tessitura È la disposizione dei cristalli. Può essere caotica, a strati o in forme particolari (esempio la struttura lenticolare dello gneiss occhialino). Per esempio sono componenti accidentali il diamante nella Kimberlite o le “lacrime di Carrara” di quarzo purissimo nelle cavità del marmo. Il granito è composto “essenzialmente” di quarzo, feldspati e miche, “accessoriamente” da apatite, zircone e magnetite, “accidentalmente” da berillo, tormalina e ametista. Lapidei 7 Proprietà fisiche Densità Essa può essere apparente o reale a seconda che consideri anche il volume dei pori o no. La prima si misura su un blocco di roccia, la seconda sulla roccia polverizzata. Il rapporto fra questi due valori dà una misura del grado di compattezza della roccia. Il valore della densità è importante per i calcoli di stabilità (se la roccia è usata per costruzioni) e per la determinazione del prezzo (se è acquistata a peso). Il valore della densità dipende dal modo in cui la roccia si è formata e dalla composizione: i materiali sono più densi quando le geometrie sono più compatte e quando la distribuzione degli atomi è più uniforme. Porosità Dipende dalla quantità di gas che restano intrappolati nella roccia nel suo processo di formazione (raffreddamento, litificazione, pressione). Ai fini delle proprietà della roccia è più importante conoscere il valore della porosità accessibile, cioè quella aperta verso l’esterno e che permette l’interazione con acqua e atmosfera. La porosità è un indice di compattezza e si misura con il rapporto fra densità reale e apparente. Densità = quantità di massa contenuta in un determinato volume Porosità = indica la percentuale in volume degli spazi non occupati dal solido. Proprietà meccaniche Descrivono le reazioni di un materiale quando viene sollecitato da forze in diverse direzioni. Elasticità. Il modulo di elasticità è definito come il rapporto tra il valore dello sforzo di compressione normale al corpo e il valore della diminuzione della dimensione longitudinale del corpo. Conoscere questo valore è essenziale per il calcolo delle strutture. Tenacità. Dipende dalla struttura, dalla tessitura, dalla natura della matrice (per rocce sedimentarie), dalla porosità. La tenacità influenza anche la difficoltà di lavorazione dei blocchi di pietra. Resistenza a compressione. È una della principali caratteristiche che si richiede alle pietre da costruzione. Dipende dalla struttura, dall’uniformità, dalla pesantezza, dalla compattezza. In una classificazione grossolana partiamo dai basalti (i più resistenti) e passiamo per i graniti, i porfidi, i marmi saccaroidi, gli gneiss, i calcari, le arenarie, i travertini e i tufi. Resistenza a trazione. Le pietre hanno una resistenza a trazione molto inferiore a quella a compressione. Resistenza al taglio. Di solito bassa, dipende dalla direzione della sollecitazione rispetto alla tessitura della roccia. Resistenza a flessione. È richiesta se lastre di pietra vengono usate come gradini, mensole, sedili ecc. Dipende dalla tessitura, dal modulo di elasticità, dal grado di umidità. Durezza. Dipende dalla natura, struttura e tessitura della roccia. Permette una classificazione merceologica delle rocce in: dure (marmi e arenarie forti), semidure (calcari e arenarie tenere) e tenere (tufi). Per la durezza ci si riferisce alla scala di Mohs dove ogni componente scalfisce i precedenti ed è scalfito dai successivi. Dai valori di durezza dipende anche la resistenza all’usura o logoramento, caratteristica importante quando le pietre vengono vengono usate per pavimentazioni e lastricati stradali. Tenacità = capacità di resistere agli urti. Resistenza e compressione = carico di rottura che provoca lo schiacciamento. Durezza = resistenza alle forze che incidono, scalfiscono o tagliano. Proprietà termiche Coefficiente di dilatazione. Per le pietre e le rocce è generalmente molto basso ma bisogna tenerne conto quando, nelle costruzioni, questi materiali vengono associati ad altri (esempio cemento) che hanno diversi coefficienti di dilatazione. Una buona tecnica costruttiva prevede l’uso di giunti di dilatazione per assecondare i vari movimenti. Conducibilità termica. È una caratteristica molto variabile nelle rocce: si va dall’ottima coibenza del tufo, a quella media di calcari e basalti, a quella relativamente bassa di porfidi e graniti. La conducibilità termica delle rocce dipende anche dalla loro porosità ed è una proprietà importante quando la roccia è usata come pietra da costruzione: infatti determina l’entità della dispersione di calore anche se lo spessore dei muri di pietra, di solito piuttosto rilevante, garantisce la coibenza. Resistenza al fuoco. Una grossolana classificazione in base alla resistenza al fuoco decrescente prevede di partire dai serpentini e dai talchi, passare per le arenarie e finire con i graniti (che si fondono) e con i calcari (che si calcinano). Coefficiente di dilatazione = variazione dimensionale di un corpo in seguito alle variazioni di temperatura. Conducibilità termica = capacità di un materiale di farsi attraversare dal calore e quindi la sua bontà come isolante. Resistenza al fuoco = capacità di mantenere la propria struttura, composizione, caratteristiche anche ad altissima temperatura (esempio incendi, camini ecc.). 7 Lapidei 8 Proprietà chimiche Le proprietà chimiche di una roccia si definiscono come la possibilità che hanno i suoi componenti di prendere parte a reazioni acido-base, redox, di complessazione e di scambio ionico. Dipendono dalla composizione chimica cioè dal tipo di atomi e molecole che costituiscono la roccia. A grandi linee consideriamo il chimismo dei suoi elementi più importanti: Gli ioni sodio Na+ e potassio K+ si possono scambiare (sono vicarianti) all’interno del reticolo cristallino, così come gli ioni calcio Ca2+ e magnesio Mg2+. Il carbonio C si trova puro, come grafite o come diamante in base alla diversa ibridazione dell’atomo o legato in tutti i carbonati CO32-. Il silicio Si4+, e l’alluminio, Al3+, sono gli elementi più abbondanti e sono anch’essi vicarianti. Se uno ione alluminio sostituisce uno ione silicio si crea una mancanza di carica positiva che può essere colmata con la presenza di Na+ (e si formano gli ortoclasi), di K+ (e si forma l’albite) o Ca2+ (si forma l’anortite). La combinazione di questi tre silicati forma i feldspati, uno dei componenti dei graniti. Il silicio ha un leggero carattere acido e riducente, l’alluminio ha caratteristiche anfotere ed è fortemente riducente. Il fosforo P si trova principalmente nei suoli mentre lo zolfo S, sottoforma di solfato, si trova nei gessi. Gli elementi di transizione si trovano in forma ionica e hanno la funzione di impartire colore oltre a poter dar luogo a reazioni di complessazione. Fra le proprietà chimiche più importanti ci sono il colore e la durevolezza. Colore. È un fattore importante quando le pietre sono usate a scopo decorativo. Le rocce possono essere monocrome o policrome. Se prevalgono materiali chiari la roccia sarà detta leucocrata, se il colore è intermedio mesocrata, se prevalgono i minerali scuri melanocrata. Le rocce sono monocrome se hanno una tinta uniforme o se essa appare uniforme a breve distanza. Il marmo statuario bianco è un’eccezione, un esempio di pietra monocroma grigia è la pietra serena. L’aspetto cromatico macroscopico dipende dalla presenza di vari minerali e dalla loro distribuzione. A livello microscopico dipende soprattutto dalla presenza di ioni di metalli di transizione nei vari stati di ossidazione all’interno del reticolo cristallino o da difetti del reticolo stesso. Il colore di una roccia può subire alterazioni nel tempo dovute a variazioni del numero di ossidazione dei metalli (con formazione di nuovi composti) in seguito a reazioni redox con componenti dell’atmosfera, specialmente se inquinata. Esempi di variazione si riscontrano nei marmi verdi secondo la seguente reazione: FeSiO3 + 3/2 O2 + 2 H2O → Fe2O3. H2O + 2 Fe2(SiO3)3 (Silicato ferroso) (limonite) Verde gialla giallo pallido In climi aridi la limonite si disidrata a Fe2O3 di colore rosso, in ambiente con eccesso di CO2 si formano carbonati di colore marrone scuro. Un altro esempio è costituito dai marmi rosa per la presenza di sali di manganese nello stato di idratazione 2+, secondo la seguente catena di reazioni: 2 MnCO3 + ½ O2 + H2O → 2 MnO(OH) → 2 MnO2 Rosa - 2CO2 bruciato + ½O2 Durevolezza. La durevolezza di una pietra dipende dalla sua composizione chimica, Durevolezza = capacità delle pietre a dalla sua struttura e anche dal grado di lavorazione. resistere all’azione chimica fisica e bioloQuindi le pietre silicatiche sono più durevoli di quelle carbonatiche. Infatti la forma gica degli agenti esterni. termodinamicamente più stabile del silicio è il suo ossido SiO2 ed è anche la forma più diffusa. Diverso il discorso per il carbonio per il quale la forma più stabile è il diamante, notoriamente molto rara. Lo ione carbonato, CO32-, è quindi una forma in cerca di equilibrio che subisce reazioni di bicarbonatazione e si solubilizza con una certa facilità. Subisce anche reazioni di scambio anionico con formazione di solfato di calcio, gesso. Lapidei 9 Considerando l’aspetto strutturale una roccia porosa o poco compatta subisce maggiormente gli attacchi chimici e fisici e per gli stessi motivi per cui è meno durevole una pietra con la superficie non lavorata (levigata e/o lucidata): espone una maggior superficie di attacco per unità di volume. Una caratteristica specifica è la gelività, cioè la sensibilità alla formazione di ghiaccio. Il ghiaccio ha un volume specifico maggiore dell’acqua e se si forma all’interno di pori, fratture o scistosità può esercitare pressioni tali da portare alla frantumazione. È quindi evidente la necessità di scegliere con oculatezza le pietre da costruzione o da decorazione qualora siano destinate ad una collocazione esterna. Proprietà tecnologiche Lavorabilità. In base ai metodi di lavorazione una roccia può essere spaccabile (dipende anche dalla presenza di “peli” che sono piccole fratture naturali), segabile (dipende dalla durezza), scolpibile (dipende dalla finezza della trama, dall’omogeneità, dalla tenacità, dalla coesione) e lucidabile. Ottenere superfici lucide speculari è più difficile per pietre molto dure che però mantengono un aspetto molto lucido per molto tempo. La lucidatura aumenta la vivacità del colore e la durevolezza della pietra. Aderenza alla malta. Caratteristica importante per rocce che devono essere impiegate per murature. Dipende dalla ruvidezza della superficie, dalla porosità, dal contenuto di miche e minerali talcosi (che diminuiscono tale aderenza). Omogeneità cioè uniformità di composizione e/o di struttura. Dipende dall’origine e dal modo di formazione. Le rocce organogene e alcune di deposizione chimica sono più uniformi rispetto a quelle ignee e quelle metamorfiche. L’omogeneità permette certi utilizzi: per esempio il quarzo è usato per la fabbricazione di componenti ottici perché è trasparente alle radiazioni ultraviolette. Un esempio particolare sono i marmi, rocce apprezzate contemporaneamente per la loro uniformità di composizione e soprattutto di tessitura e per la presenza di inquinanti. Le prime caratteristiche giustificano la estrema lavorabilità di queste rocce, gli inquinanti sono responsabili delle varietà di tinte ed eleganza nei disegni. Lavorabilità = «attitudine di una roccia ad essere lavorata in modo da assumere una forma determinata e determinati caratteri di superficie» (Artini). Altre proprietà Sono legate alla porosità e da esse dipende a resistenza di una roccia. Imbibizione = capacità di una roccia, immersa in acqua, di impregnarsi. Assorbimento o igroscopicità = capacità di una roccia, a contatto con acqua o materiali umidi, di assorbire acqua per capillarità. Permeabilità = capacità di una roccia di impregnarsi di acqua o di lasciarsi attraversare da essa sotto un una certa pressione idrostatica. Questa è una caratteristica importante nella costruzione di dighe. 24. Qual è la differenza fra densità apparente e densità reale? Come si misurano e su quali proprietà dà indicazioni il loro rapporto? 25. Da quali fattori dipende la resistenza a compressione? 26. Per quali usi delle pietre è fondamentale un buon valore di durezza? Perché? 27. Quali sono le proprietà termiche delle rocce? 28. Quali sono gli aspetti chimici e strutturali che diminuiscono la durevolezza di una roccia? 9 Lapidei 10 Lavorazione e fabbricazione FIG. 2a Le fasi della lavorazione dei materiali lapidei sono: 1. estrazione 2. trasporto 3. lavorazione vera e propria. Estrazione Il luogo di produzione è detto “cava”: di solito è a cielo aperto ma può essere in galleria o sui letti dei fiumi e dei laghi. Dalle cave a cielo aperto in zone collinari o montagnose si cavano pietre e marmi. Per cominciare ad utilizzare una cava è necessario asportare lo strato superficiale (detto “cappellaccio”) e creare un piazzale antistante per il movimento dei mezzi di trasporto e per il deposito dei materiali estratti. Poi si comincia ad ottenere massi di roccia dal “fronte” usando mezzi meccanici (martelli pneumatici, perforatrici) mentre per ottenere grandi blocchi si usa la dinamite. Si creano profondi fori (della lunghezza del blocco che si vuole ottenere) che si riempiono di cariche di dinamite. FIG. 2/a Il brillamento delle mine viene chiamato “volata”. Anticamente si praticavano fori per infilare dei pali di legno che venivano successivamente bagnati. Il loro conseguente aumento di volume creava una pressione sufficiente a provocare il distacco del blocco. Per ottenere invece i blocchi squadrati, specialmente di marmo, si usa un filo elicoidale che “sega” la pietra. FIG. 2/b Il cavo è teso in modo da formare un circuito chiuso. Il continuo movimento, bagnato sempre da acqua e sabbia o carburo di silicio, taglia la roccia secondo superfici lisce per cui la cava risulta come una serie di immensi gradoni. Dalle gallerie si estraggono soprattutto certi tipi di tufo, che sono rocce relativamente tenere e possono essere “staccate” più facilmente con mezzi meccanici e manuali. Dal letto di fiumi si estraggono le rocce incoerenti quali ghiaie e sabbie. I macchinari necessari sono una benna che per mezzo di cavi trasporta il materiale su un piazzale di deposito. Il materiale viene prima lavato e poi fatto passare attraverso una serie di vagli rotanti che lo separano per granulometria. Trasporto Data l’ubicazione delle cave, di solito in zone collinari e montuose, e la dimensione e la pesantezza del materiale, il problema del trasporto non è secondario. Se si ha la possibilità di una strada si usano gru per caricare il materiale su autocarri, altrimenti si ricorre alla lizzatura , un sistema antico in cui i pesanti blocchi di marmo, trattenuti da funi di acciaio (governate da argani a motore), vengono fatti scivolare su rulli di legno fino alla strada più vicina. Lavorazione Per tutte le fasi delle lavorazioni della pietra occorre una grande quantità d’acquasoprattutto per contrastare il surriscaldamento dei macchinari a causa dell’attrito provocato dall’interazione con materiali così compatti. Alcune lavorazioni possono avvenire anche nel piazzale antistante la cava. Per esempio la frantumazione della roccia per ottenere il pietrisco. Le rocce usate a questo scopo devono essere molto dure (basalti e calcari compatti) e per la loro frantumazione si usato “frantoi” costituiti da cilindri rotanti muniti di martelli che riducono in pezzi il materiale caricato. Il pietrisco ottenuto deve essere sottoposto ad una serie di lavaggi per eliminare lo strato di polvere depositato sui clasti e ad una serie di vagli per separarlo in base alla granulometria. Sempre in cava può essere eseguita la riduzione delle dimensioni dei blocchi e la loro squadratura più o meno grossolana qualora si debbano ottenere conci per costruzioni o restauri. Nei cantieri specifici di lavorazione della pietra si eseguono la finitura delle superfici, la riduzione in blocchi o lastre e l’esecuzione dei lavori complessi fino ad arrivare alle opere di scultura. FIG. 2b Si possono usare anche macchine ad aria compressa che creano molti piccoli fori allineati che vengono riempiti con piccole cariche di esplosivo. Più è dura la roccia più piccolo è il diametro del foro. Il brillamento delle cariche così disposte non danneggia l’integrità del blocco. Lapidei 11 La finitura delle superfici lapidee può essere eseguita in vari modi in funzione degli strumenti utilizzati. Gli strumenti a disposizione FIG. 3 possono servire a incidere (1-subbia, 2-scalpello, 3-sgorbia, 4-scalcagnolo, 5-gradina) o a battere (6-mazza, 7-mazzuolo, 8-bocciarda, 9-martellina). Si possono avere quindi scalpellatura, bocciardatura, gradinatura, martellinatura ecc. e tutte possono essere grosse, medie e fini in base al grado di finezza. FIG. 4 La riduzione in blocchi può essere effettuata con mezzi manuali o, come nel caso dei tufi, con seghe a filo. In questo caso si ottengono blocchi squadrati e regolari di rocce relativamente tenere e utilizzate molto per le costruzioni. La riduzione in lastre è una fase molto importante visto anche che l’uso preminente dei materiali lapidei è, oggigiorno, quello di rivestimento. I blocchi provenienti dalle cave vengono “regolarizzati”, cioè viene loro data una forma approssimativamente squadrata per mezzo di seghe alternative a lama unica diamantata. Successivamente avviene la riduzione in lastre con l’uso di dischi diamantati (per piccole dimensioni) o di seghe a telaio. Infine si passa alla alla levigatura e la lucidatura delle parti in vista. La prima operazione permette di ottenere una superficie piana e semilucida con l’uso di frese. La lucidatura si effettua con moli abrasive a grana sempre più fina fino ad usare dei dischi di feltro per ottenere una superficie quasi speculare. La lucidatura può essere effettuata anche con la fiamma ossidrica ed è in ogni caso un trattamento che richiede tempo, cura ed esperienza. Per l’esecuzione di lavori complessi come arte sacra, funeraria o monumentale, la lavorazione è molto diversa ed è affidata a raffinati artigiani quando non ad artisti come nel caso della scultura. Gli strumenti a disposizione dello scultore sono quelli indicati per la finitura delle superfici. La tecnica prevede l’esecuzione di un modello in creta dal quale viene ricavato un calco in gesso. Da questo vengono riportati tantissimi punti sul blocco di marmo da scolpire con il metodo della crocetta (vedi STORIA). Questo è un sistema che permette di “amplificare” o “gonfiare” il modello fino alle dimensioni volute. I punti tracciati guidano la mano dell’operatore sia nelle linee sia nelle profondità e nei volumi. Questo modo di procedere può anche assumere un carattere pre – industriale perché apre alla possibilità di eseguire un numero infinito di copie a partire da un modello artigianale. La “mano” dell’artista si evidenzia nella elaborazione del modello, nell’eventuale esecuzione finale di parti particolarmente delicate come i volti e le espressioni e nelle ultime finiture del modellato. Il resto è opera di maestranze specializzate. La finitura delle superfici scultoree si effettua con panni umidi e una miscela di pomice polverizzata e zolfo o con l’impiego di acido ossalico a seconda che si voglia ottenere una superficie levigata e mezzo lucida o levigata specchiante. 29. Come si possono ricavare i blocchi dalle cave? E se vogliamo blocchi squadrati? 30. Quali tipi di rocce si ricavano dalle gallerie e dai letti dei fiumi? 31. Quali lavorazioni possono essere effettuate sul piazzale antistante la cava? 32. Quali sono gli strumenti usati per finire le superfici lapidee?’ 33. Come si possono ottenere lastre? E se si vogliono levigare o addirittura lucidare? FIG. 3 Sono costituite da una serie di lame di ferro senza denti che eseguono un movimento alternato sotto costante flusso di acqua contenente sabbia silicea come abrasivo. Penetrano nella pietra a velocità diverse a seconda della natura della roccia: 4-5 cm/h per le rocce tenere, 2 cm/h per i marmi, qualche mm/h per i graniti. FIG. 4. Superfici lavorate con scalpello (1, 2 e 6), bocciarda (3 e 4), gradina (5) 11 12 Lapidei Tipi e utilizzi La pietra è stata usata fino agli inizi del ‘900 come principale materiale da costruzione soprattutto perché pesante, dura e resistente al fuoco. Adesso si preferisce costruire le strutture portanti in laterizio o cemento armato. I settori di impiego della pietra sono dunque quattro: a) murature per opere di sostegno FIG. 5/a b) rivestimenti, pavimentazioni e coperture FIG. 5/b c) opere artistiche scultoree o architettoniche o restauro delle stesse d) opere di drenaggio, massicciate, conglomerati artificiali. Per le murature si possono adoperare conci più o meno squadrati o blocchi in tufo o pietra tenera segati. Quale che sia la pietra utilizzata essa deve presentare buona resistenza a compressione, aderenza alla malta, lavorabilità, durevolezza, costo economico conveniente. In piccole realtà si usavano le pietre locali anche se le caratteristiche tecniche potevano non essere soddisfacenti. In realtà economiche più grandi e sviluppate la possibilità di sostenere i costi del trasporto (soprattutto via fiumi o canali a volte appositamente realizzati) permetteva l’uso di pietre più belle e migliori. Ricordiamo l’uso del calcare d’Istria per le costruzioni di Venezia e delle città adriatiche (esempio straordinario è il monolito da 11 tonnellate che costituisce la copertura del Mausoleo di Teodorico a Ravenna) FIG. 6, del marmo rosa di Candoglia (Novara) per la costruzione del Duomo di Milano, del marmo di S. Giuliano (Pisa) per la realizzazione del complesso monumentale dei Piazza dei Miracoli a Pisa. Ottime pietre da costruzione sono il travertino (usato a Roma, Perugia, Ascoli Piceno) e la pietra leccese (usata a Lecce) che combinano buona lavorabilità a buona resistenza e durezza. Attualmente le murature in pietra sono limitate a piccole costruzioni in zone in cui il materiale sia conveniente e per motivazioni sentimental-tradizionali. Vengono molto usati i tufi che sono leggeri, lavorabili, facili da porre in opera, coibenti anche se la superficie non può essere rifinita né intonacata subito perché il contatto con l’aria, per alcuni anni, rende la roccia più dura e resistente. Per rivestimenti e pavimentazioni si usano masselli (blocchi di spessore inferiore a 10 cm), lastre segate o naturali (spessore fra 2 e 4 cm) e cubetti. I masselli erano impiegati per opere monumentali antiche come il travertino usato per rivestire la struttura portante in laterizio di Pantheon e Colosseo a Roma. Le lastre segate son invece oggi molto usate, vengono ancorate alla muratura con degli elementi in acciaio chiamati zanche e vengono scelte soprattutto in base al colore. Le lastre naturali soprattutto di lavagna vengono utilizzate nelle zone limitrofe a quelle di produzione, per le coperture dei tetti FIG. 7. Per le pavimentazioni si possono usare: lastre regolari (spessore più di 2 cm) e naturali (spessore fra 3 e 5 cm); lastrame a contorno irregolare (spessore 2 cm), scarto di lavorazioni più pregiate usato per pavimentazioni “alla palladiana”, graniglie di vari colori e pezzature con le quali si confezionano mattonelle artificiali per la pavimentazione “alla veneziana” FIG. 8 (vedi pagina 13), cubetti e bozze di pietra squadrate di granito, arenarie dure o selci (spessore 20-25 cm) usate per pavimentazioni di strade urbane e extraurbane, i cosiddetti selciati; ciottoli di fiume in varie disposizioni. Fra gli utilizzi delle pietre nel settore artistico: realizzazione di elementi architettonici come lesene, cornicioni, balconi, colonne, fontane e panchine; applicazioni nel campo dell’arredamento sia per piani di lavoro di cucine e tavoli sia per oggetti di design costruiti interamente o solo in parte in marmo; nella decorazione plastica per la realizzazione di sculture, alto e bassorilievi. Si possono usare ardesie, calcari e graniti perché sono tutti materiali perfettamente lucidabili ma FIG. 5/a FIG. 5/b FIG. 6 FIG. 7 Lapidei 13 il materiale d’elezione in questo settore d’utilizzo è sicuramente il marmo che è molto lavorabile anche è poco resistente agli acidi e agli agenti atmosferici. Per le opere di drenaggio, le massicciate e la realizzazione di materiali artificiali si usano le rocce incoerenti derivanti dall’alveo di fiumi e di laghi o dalla frantumazione di massi più grandi. Si realizzano opere stradali a diversi strati e si usano per confezionare i conglomerati di cemento. Dal punto di vista commerciale la classificazione delle pietre non avviene in base alla natura geologica ma si articola in cinque classi: a) marmi b) graniti c) pietre d) travertini e) rocce incoerenti Si definiscono marmi le pietre calcaree e le pietre silicatiche basiche che hanno struttura cristallina, sono compatte, hanno durezza compresa fra 3 e 4 della scala Mohs e possono essere ridotte in lastre lucidabili. I marmi sono mediamente meno densi e duri dei graniti, più imbibenti e meno durevoli sia per la composizione chimica che per la loro struttura. I marmi sono di origine metamorfica ma, se le condizioni di formazione sono state piuttosto blande, lo stato raggiunto dal sistema è di equilibrio instabile e quindi suscettibile di cambiamenti per adattarsi alle mutate condizioni ambientali. Si possono realizzare così vacuolizzazioni (per solubilizzazione), efflorescenze, cambiamenti di colore dovuti alla variazione del numero di ossidazione dei cationi metallici responsabili delle tonalità cromatiche o a assestamenti strutturali. Inoltre i marmi sono relativamente poco compatti e la porosità aumenta la superficie di interazione e di attacco degli inquinanti esterni e li rende generalmente gelivi. D’altro canto sono più leggeri, più lavorabili e hanno maggiore ricchezza e vivacità di tinte. Fra i marmi troviamo, oltre a quelli veri e propri, calcare e brecce lucidabili, serpentino e alabastro calcareo. FIG. 8/a FIG. 8/b Infatti i carbonati risultano sensibili all’azione degli acidi in seguito al processo descritto dalla seguente reazione: CaCO3 + 2H + → Ca2+ + H2O + CO2 Si definiscono graniti rocce a struttura cristallina ben visibile, con tessitura compatta, Che porta alla disgregazione del tessuto. durezza compresa fra 6 e 7 della scala Mohs, di composizione silicatica acida, riducibili in lastre levigabili e lucidabili. Sono pietre che garantiscono maggiori resistenze chimiche e meccaniche rispetto ai marmi a causa della loro composizione, della loro origine che ha dato luogo a strutture cristalline stabili, della loro compattezza. Sono quindi più duri, meno imbibenti e più inerti nei confronti di composti chimici aggressivi. Di contro risultano più rari, più costosi, più difficilmente lavorabili. La rarità è dovuta al fatto che, essendo rocce antiche, hanno subito trasformazioni. Fra i graniti troviamo, oltre a quelli veri e propri, anche porfidi, sieniti, dioriti, gabbri e gneiss. Si definiscono pietre rocce di varia composizione in genere non lucidabili, tenere (tufi e arenarie) o dure (quarziti, basalti, ardesie e trachiti). Si definiscono travertini rocce di origine chimica, tenere, lavorabili, porose ma non gelive e talvolta lucidabili. Si definiscono incoerenti tutte quelle rocce non cementate o derivate da frantumazione, di varia natura. Nell’ultima parte di questa sezione descriveremo brevemente alcuni tipi di rocce e le loro applicazioni. FIG. 9 Fra le rocce ignee intrusive troviamo: I graniti, formati da ortoclasio, quarzo, mica, anfiboli e pirosseni. L’ortoclasio è bianco se è puro, assume colorazioni rosa, rosse, verdi o grigio azzurre a seconde delle impurezze contenute e determina il colore del granito. Il quarzo è di colore grigio vetroso. FIG. 9 13 14 Le miche possono essere nere (biotite) o bianche (muscovite). I graniti sono di natura acida, hanno struttura microcristallina e a volte porfirica, presentano ottime caratteristiche tecniche (alto carico di rottura, compattezza, antimbibenza, resistenza chimica e all’usura, omogeneità, bassa gelività). Sono usati per opere all’aperto: pavimentazioni, rivestimenti, pilastri, colonne, basamenti. In Italia troviamo quelli di colore rosa-rosso (Rosa di Baveno, Novara, Rosso Imperiale dell’Elba e del Giglio, Toscana), di colore bianco (di Arbatax e della Maddalena, Sardegna, di Montorfano, Novara) di colore grigio (di Chiavenna, Lombardia). Le sieniti sono costituiti da feldspati, ortoclasio e anfiboli. Il nome si riferisce alla roccia ricavata a Siene (l’odierna Assuan) in Egitto, come ci riferisce Plinio anche se quella roccia è in realtà un granito rosa. Le sieniti hanno colore rosa, rosso o bruno violaceo. Sono di natura meno acida del granito e hanno struttura cristallina. Hanno buona resistenza a compressione e al gelo e buone proprietà meccaniche in generale, anche se inferiori al granito, possono essere lucidate. Sono usate in funzione portante e per la produzione di pietrischi oltre che come pietra da decorazione. In Italia la più famosa è la sienite di Balma (Vercelli). I gabbri sono costituiti da plagioclasi e pirosseni. Sono di colore scuro (verdi, grigi o neri), di natura basica, di struttura macrocristallina e piuttosto rari. Formati ad alte profondità emergono in seguito a movimenti orogenetici. Sono facilmente lucidabili, molto duri e resistenti alle sollecitazioni meccaniche. Fra le rocce ignee effusive troviamo: L’ossidiana. Ha struttura vetrosa dovuta al raffreddamento rapidissimo. Ha un colore nero venato di rosso, bruno scuro o grigio. Talvolta si trova anche verde chiaro. Sono lisce e scalfibili e furono usate come strumenti di taglio durante l’età della pietra. Le pomici formate da quarzo e feldspati. Hanno tessitura a bolle perché si sono formate dal raffreddamento rapidissimo di magmi ricchi di gas che è rimasto intrappolato all’interno del materiale. Sono di colore grigio chiaro e sono leggerissime. Se frantumate sono usate come abrasivi. Il porfido, costituito da quarzo, ortoclasio e miche. Corrispondente, nella composizione, all’intrusivo granito ha però la caratteristica struttura “porfirica” con fenocristalli immersi in un materiale vetroso o microcristallino. L’associazione stretta fra struttura cristallina e vetrosa è alla base dell’eccezionale durezza e resistenza ad usura di queste rocce. Sono compatti, antimbibenti e con un alto peso specifico. Hanno colorazioni variabili dal rosso mattone al verde scuro. Sono usate, in forma di cubetti, per la pavimentazione di grandi vie di scorrimento (pavimentazione alla romana). Le trachiti, costituite da feldspati, quarzo e ortoclasio. Sono le corrispondenti effusive delle sieniti. Sono di colore bianco, giallastro o rossastro, hanno struttura porfirica ma i fenocristalli di ortoclasio si presentano allineati in modo parallelelo. I basalti costituiti da plagioclasi, biotite e pirosseni. Sono di colore scuro, bruno, verde o nero. Hanno natura basica e struttura porfirica. Sono i corrispondenti effusivi del gabbro e sono rocce estremamente diffuse (costituiscono il fondo di tutti gli oceani). Solidificano in caratteristiche strutture colonnari a sezione pentagonale o esagonale. Sono antimbibenti e chimicamente assai resistenti. Sono usati per pavimentazioni stradali e massicciate di strade e ferrovie. Fra le rocce sedimentarie troviamo: Le ghiaie di origine clastica, incoerenti. I frammenti sono arrotondati se di origine fluviale, piatti e schiacciati se di origine marina. Sono usate come inerti nei conglomerati nelle costruzioni. Le sabbie di origine clastica, incoerenti. I frammenti possono essere di origine silicea, calcarea, argillosa e gessosa. Quella più utilizzata è quella silicea estratta da alvei di fiumi e di laghi. Le sabbie sono usate come materiale base di vetri e come componenti di impasti ceramici oltre che come inerti nella preparazione di malte leganti. Le argille di origine clastica, incoerenti, costituite fondamentalmente di silicoalluminati di metalli alcalini e alcalino-terrosi. Sono i componenti base di tutti gli impasti ceramici, compresi i laterizi. La dimensione delle particelle, inferiori agli 0,04 mm, conferisce a questi materiali proprietà colloidali. I conglomerati, di origine clastica coerente. Formati da frammenti cementati: con Lapidei Sienite Porfido Trachite Lapidei 15 frammenti arrotondati si parla di puddinghe, con frammenti a spigoli vivi di brecce. Possono essere usate a scopo ornamentale e monumentale. In Italia ricordiamo: il verrucano della Toscana, una puddinga estratta in provincia di Pisa, di colore rosso cupo, resistente ma di difficile lavorazione, la Breccia di Serravezza, il Paonazzo di Carrara e il verde di Levante fra le brecce. Le arenarie, di origine clastica coerente. Formate da argille cementate con materiali che possono essere di natura calcarea, silicea, argillosa o marnosa. Sono molto usate come rivestimenti perché belle e facilmente lavorabili anche se non sono molto resistenti, anzi sono porose e gelive. Le più conosciute sono la pietra serena e la pietraforte, entrambe usate a Firenze. La prima ha cementante argilloso, granulometria da media a grossa, colore da grigio a azzurro ed è stata molto usata per elementi architettonici (profili di finestre, cornicioni, archi, porte e colonne) a contrasto con i colori chiari degli intonaci a partire dal Rinascimento. La pietraforte ha cementante calcareo, grana fine, colore giallastro, usata per costruire Palazzo Pitti a Firenze. Meno porosa e più resistente della pietra serena è però ugualmente geliva. I tufi, rocce piroclastiche formate da ceneri e lapilli cementati o per la presenza di cementanti (calcarei o ferrosi) o per la forte pressione subita. Sono facilmente lavorabili ma non lucidabili: sono usati come materiale da costruzione o frantumati, come inerti per alleggerire il peso dei conglomerati leganti visto il loro relativamente basso peso specifico. In Italia si trovano di colore giallastro (tufo di Orvieto, di Napoli, del basso Lazio) o di colore biancastro (tufo di Mazaro in Puglia, di Matera e tufo di Mendicino, Cosenza). Un tufo particolare è il peperino, che si estrae nella zona di Viterbo, è di colore grigio chiaro ma ingloba cristalli neri. Le pozzolane, rocce piroclastiche incoerenti. Hanno natura acida, sono amorfe, usate fin dal tempo dei Romani per la loro capacità di conferire caratteristiche idrauliche ai leganti inorganici usati in edilizia. Hanno colori variabili: nella zona di Roma sono rosso vino, in Campania sono grigie. Il travertino, roccia chimica coerente. Ha natura calcarea (CaCO3), ha struttura porosa e colore biancastro con eventuali venature rossastre e verdastre. Ha basso peso specifico e durezza. In compenso ha un’ottima lavorabilità e, contrariamente a quel che farebbe pensare la sua struttura porosa, non è gelivo e ha buona resistenza a compressione e a usura. È usato per rivestimenti, davanzali, soglie e pavimentazioni. In Italia le cave più famose sono quelle di Tivoli, da cui i Romani hanno estratto nei secoli le pietre che rivestono il Colosseo, San Pietro e l’Altare della Patria. Ad Antignano, vicino a Livorno, si estrae un travertino particolare detto “panchina” che ha inglobato molte conchiglie e fossili nella sua formazione vicino alla riva del mare. L’alabastro, di origine chimica, può essere di natura calcarea o gessosa. Nel primo caso è calcite microcristallina con struttura fibrosa, raggiata con zone concentriche di vario colore, dal giallo al marrone, dal verde mela al nero. È una pietra facilmente lucidabile, che può essere ridotta in lastre sottili, è traslucido e infatti nella Basilica di San Vitale a Ravenna fu usato al posto dei vetri. In Italia se ne trovano cave a Montagnola Senese, ad Ascoli Piceno, nel Carso triestino. L’alabastro gessoso è solfato di calcio anidro (CaSO4), è traslucido, facilmente lavorabile, di colore bianco o giallastro, usato a scopi ornamentali. In Italia se ne trovano cave a Volterra, Castellina in Chianti, Chiusino. I calcari, di origine chimica o organogena, sono diffusissimi ed estremamente vari (esempio la pietra di Trani). Sono caratterizzati da un grado di durezza pari a 3 della scala Mohs, sono pertanto facilmente lavorabili ed economicamente convenienti, hanno però bassa resistenza all’usura e agli agenti chimici, soprattutto gli acidi. I calcari di origine chimica sono usati per ottenere leganti, come componenti degli impasti vetrosi e ceramici. La dolomite, roccia chimica costituita da carbonato doppio di calcio e magnesio (CaMg(CO3)2). Ha un colore biancastro, grigio o roseo. Rispetto ai calcari è più dura (grado 4 della scala Mohs), più compatta e più resistente agli acidi. Si trova in giacimenti tali da formare intere catene montuose: le Dolomiti. Le selci, rocce chimica di natura silicea costituite da quarzo microcristallino o amorfo. Facilmente scalfibili e con i bordi taglienti sono state modellate per essere usate come strumenti da taglio o armi dagli uomini primitivi. Sagomate a blocchi sono usate per 15 16 pavimentazioni stradali vista la loro resistenza ad usura (selciati). Le marne, rocce chimiche che contengono calcare (50-80%) e argilla (50-20%) sono fondamentali per la formulazione di leganti idraulici e impasti ceramici. Il gesso, roccia chimica costituita da solfato di calcio biidrato CaSO4. 2 H2O. E’ tenera, ha grado di durezza 2 della scala Mohs, ha una lucentezza vitrea e superficie di sfaldatura perlacea. Per le sue caratteristiche e usi si faccia riferimento al capitolo sui “leganti inorganici”. Fra le rocce metamorfiche troviamo: I serpentini, derivanti da gabbri e peridotiti. Hanno natura basica, struttura fibrosa, colore verde screziato di nero. Costituiscono il complesso di base dell’Appennino tosco – emiliano. In Italia si trovano il verde di Prato (Monteferrato, Firenze), della Valsesia, di Chiavari (insieme al rosso). Gli gneiss, derivanti dai graniti, hanno natura acida e struttura scistosa, colore grigio perlato. Possono essere venati o presentare macchie bianche più o meno grandi. Sono usati per pavimentazioni e rivestimenti in esterno. Le filladi, derivanti dalla argille. Hanno struttura scistosa. Le più famose sono le ardesie usate per coperture di tetti e come pietre da decorazione e la lavagna, della quale sono costituite appunto le lavagne scolastiche. Queste rocce hanno in comune il colore nero e la facilità di essere divise in lastre. Le cave sono in Liguria. I marmi, derivanti dai calcari. La ricristallizzazione ha dato luogo ad una caratteristica struttura microcristallina detta saccaroide. I marmi più diffusi in Italia distinti in base al colore dominante. Tra i marmi bianchi: bianco statuario (CaCO3 puro al 99%, privo di macchie e venature, tenero, il materiale scultoreo per eccellenza, si cava a Carrara), bianco di Carrara (meno puro, tendente all’azzurrognolo), di Condoglia (Novara, tendente al rosato), di Botticino (Brescia, color carnato), di Lasa (Bolzano), di Musso (Como, bianco puro e fondo azzurrognolo), marmi di Chiampo (Vicenza, tinta lattea). Tra i marmi gialli: di Siena (giallo ambrato, non traslucido, con l’aspetto di blocchi di cera d’api), marmo cipollino. Tra i marmi rossi: di Verona (broccato, broccatello e mandorlato, macchie rosse su fondo sanguigno), di Levanto (La Spezia, rosso scuro con venature bianche e verdi), di Carrara (fior di pesco, bianco con screziature rosse). Tra i marmi grigio azzurri: i bardigli apuani, bianchi con venature irregolari di colore grigio azzurrognolo, famoso quello di Serravezza. Tra i marmi verdi: i verdi piemontesi (di Cesana, di Varallo, di Susa, di Roja, più o meno screziati di venature bianche o scure), i cipollini della Garfagnana e delle Apuane (il fondo che va dal cinereo al verdognolo ha caratteristiche venature verdastre). Tra i marmi neri: il portoro (La Spezia, con vistose venature giallo oro), il nero di Varenna (Como, con striature bianche), di Galzaniga (Bergamo, nero uniforme). Tra i marmi policromi, costituiti da brecce di marmo ricementate da pasta calcarea troviamo il paonazzo di colore giallognolo con macchie nere. Un caso completamente diverso è il marmo denominato “bruno Baltico” che è definito di origine organogena vegetale: sono ben visibili le strutture lignee pietrificate. 34. Quali sono i settori di impiego della pietra? 35. Quali proprietà si richiedono alle pietre usate per costruzioni? 36. Indicare alcune pietre usate per costruzione. 37. Quali proprietà si richiedono alle pietre usate per rivestimenti e pavimentazione? 38. Quali possono essere gli utilizzi per lastre di roccia all’interno di una casa? 39. Quali pietre si usano per pavimentare le strade e le piazze? 40. Quali sono le categorie commerciali in cui sono classificate le rocce? 41. Descrivere composizione, usi e tipi (dove ci sono) di granito, porfido, basalto. 42. Qual è la differenza fra argille e arenarie? Descrivere i vari tipi di queste ultime. 43. Da dove si ricavano e per cosa vengono usati tufo e travertino? 44. Descrivere i vari tipi di marmo. Lapidei Fillade Marmo bianco di Carrara Marmo cipollino Marmo rosso di Verona Lapidei 17 Storia La pietra ha sempre fatto parte della storia dell’uomo essendo molto diffusa, facilmente lavorabile e presente in numerose varietà. Alcuni suoi usi come materiale per armi, attrezzi e supporto scrittorio sono poi venuti ad esaurirsi nel tempo. Ha avuto uno sviluppo senza soluzione di continuità l’uso della pietra come materiale da costruzione e come materiale scultoreo. Come materiale da costruzione l’uso risale alla preistoria quando l’uomo cominciò a costruire enormi strutture con significato per lo più religioso-simbolico. I macigni venivano squadrati grossolanamente e usati come menhir (pietre allungate infisse nel terreno) o dolmen (strutture a tre lati con copertura). Tra gli esempi più imponenti e suggestivi ricordiamo il complesso monumentale di Stonehenge in Inghilterra. FIG. 10 Quando furono disponibili i primi strumenti in metallo si cominciò a dare alle pietre forme prestabilite e combacianti che permettevano di erigere costruzioni dalle forme più articolate e complesse tipo i nuraghi sardi, le mura ciclopiche con la famosa “Porta dei Leoni” a Micene FIG. 11, le piramidi d’Egitto FIG. 12. La caratteristica che accomuna la tecnica costruttiva di quest’epoca è l’uso di pietre comunque molto grandi e molto pesanti, sbozzate più o meno finemente (i blocchi usati per le piramidi erano perfettamente squadrati), senza l’uso di malte e quindi basata sulla perfezione più o meno accentuata degli incastri. I Greci costruirono i loro più importanti monumenti con una speciale varietà di marmo, il pentelico (estratto dal monte Pentelico vicino ad Atene), le cui proprietà si prestavano sia per la costruzione che per la decorazione degli edifici. Per costruire, tra gli altri, i famosi monumenti dell’Acropoli di Atene (Propilei, Eretteo, Partenone) FIG. 13 i Greci usavano elementi molto più ridotti e finemente lavorati in modo che la commettitura era perfetta e semmai rinforzata da grappe in metallo (bronzo o ferro) di varie forme. Fra gli elementi in marmo sono molto indicativi i “rocchi” cioè elementi cilindrici modanati e rastremati che vengono impilati uno sull’altro a formare le colonne. I Greci, rispetto ai Romani, non usavano archi e preferivano le trabeazioni che erano rese possibili anche dalle qualità tecnologiche del materiale usato nelle costruzioni. Presso i Romani l’uso della pietra si diversificò nei secoli: all’inizio ha una funzione strutturale, poi viene usata come rivestimento delle strutture portanti in laterizio e infine, nel Tardo Impero, viene sfruttata soprattutto a scopo decorativo. Uno dei materiali lapidei più usato a Roma è stato il travertino, una pietra calcarea di cui esistono importanti cave presso Tivoli. Ha un colore biancastro, presenta numerose varietà, si presta ad essere ricoperta di stucco e a subire quindi le successive fasi di finitura: con essa fu rivestito il Colosseo FIG. 14. I marmi furono usati per statue, archi di trionfo e colonne celebrative (ricordiamo la Colonna di Traiano eretta in marmo pario greco): la buona lavorabilità e possibilità di finitura del materiale permettono la realizzazione di varie opere d’arte in bassorilievo (narrazione di imprese belliche soprattutto). In epoca bizantina le strutture portanti erano erette in laterizio e le pietre avevano una funzione decorativa soprattutto negli interni. Un particolare edificio ravennate da ricordare in questo contesto è il Mausoleo di Teodorico la cui copertura è costituite da un monolite lapideo da cui è stata ricavata la forma di una cupola ribassata, appoggiata sulle strutture sottostanti. In età romanica ma soprattutto gotica, le nuove concezioni architettoniche e le grandi abilità tecniche delle maestranze specializzate riuscirono ad ottenere risultati eccezionali, che si possono ammirare in tutte le grandi cattedrali erette in quel periodo: il Duomo di Siena, di Milano FIG. 15 (vedi pagina 18), le cattedrali di Burgos, Parigi, Colonia ecc. La pietra era usata per creare la struttura portante e questa sua funzione veniva esaltata anche dal punto di vista estetico. Gli elementi più caratterizzanti dell’architettura gotica sono i pilastri a fascio, l’arco acuto e il contrafforte ad arco rampante. L’e- FIG. 10 FIG. 11 FIG. 12 FIG. 13 FIG. 14 17 18 dificio gotico è il risultato di un perfetto studio delle forze di spinta e controspinta: la realizzazione di questi elementi in pietra conduce a una sintesi armoniosa fra esigenze statiche ed estetiche. Lo scheletro dell’edificio, posto in bella evidenza, è realizzato con pietre piccole, spesso trasportate da lontano, collegate con abbondante uso di malta. La diversa composizione delle rocce e soprattutto i loro vari colori vengono sfruttati con intenzionalità estetiche. I “vuoti” degli edifici gotici vengono riempiti con laterizi o, meglio ancora, con grandi vetrate colorate. L’epoca rinascimentale vede il grande sviluppo dell’edilizia pubblica e civile. Vengono eretti i grandi palazzi delle ricche famiglie borghesi per i quali la pietra è usata principalmente come rivestimento. Le pietre squadrate e variamente sagomate vengono accostate in modo da lasciare evidenti le connessioni in malta. Tale metodo di rivestimento è chiamato “bugnato” e lo si può ammirare in molti palazzi quattrocenteschi di Firenze (Palazzo Vecchio FIG. 16, Palazzo Pitti del Brunelleschi, Palazzo Medici di Michelozzo, palazzo Rucellai dell’Alberti) e nel Palazzo dei Diamanti di Ferrara del Rossetti FIG. 17. A Firenze, durante il Rinascimento e il periodo manierista, viene fatto largo uso anche della pietra serena il cui colore cinereo veniva messo a contrasto con il bianco degli intonaci. La pietra serena non è la più idonea alle costruzioni perché è geliva ma è usata soprattutto per sottolineare elementi architettonici come lesene, cornicioni, davanzali ecc. Nel ‘600 le pietre, soprattutto marmo e travertino, si piegano alle invenzioni fantastiche di architetti come Bernini e Borromini. Il travertino viene tratto soprattutto dagli antichi monumenti e la sua porosità lo rende adatto ad essere ricoperto di stucco (come dice il Vasari) ancora più modellabile. Dalle cave di Tivoli viene estratto il marmo che permette al Bernini di erigere il Colonnato di S. Pietro. FIG. 18 Nel ‘700 si preferisce comunque la muratura in laterizio intonacata colorata, e uno dei modi più caratteristici in cui viene usata è per le colonne che i Neoclassici, Palladio in testa, inseriscono nelle loro architetture. FIG. 19 (vedi pagina 19) Successivamente nell’’800 c’è una rinascita dell’uso della pietra in chiave ingegneristica per la costruzione di ponti, in Francia soprattutto, o in Spagna con Gaudì e le sue case Milà e Batlò o il suo Parco Guell a Barcellona. FIG. 20 (vedi pagina 19) Nel ‘900 l’uso della pietra non è disdegnato da grandi architetti che la usano come decorazione nel suo aspetto più naturale. Ricordiamo Le Corbusier (Padiglione Universitario svizzero), Van Der Rohe (Padiglione Tedesco a Barcellona del 1929), Scarpa (Biblioteca Querini-Stampalia a Venezia), Natalini ( Cassa Rurale e Artgiana dell’Alta Brianza ad Alzate Brianza), il gruppo toscano (la stazione di S. Maria Novella a Firenze). FIG. 21 (vedi pagina 19) Come materiale scultoreo, nel corso della storia, sono stati usati molti tipi di rocce: da rocce sedimentarie e metamorfiche più o meno tenere (alabastro, tufo, travertino, arenarie calcaree) a rocce ignee molto dure (tipo basalto, porfido, granito, diorite) passando per i marmi, di gran lunga i più usati che sono calcari metamorfosati di media durezza a struttura cristallina. In generale, nel campo della scultura, si definiscono pietre le rocce opache e colorate che mantengono, anche dopo la lavorazione, le loro caratteristiche naturali. Si definiscono marmi i materiali lapidei bianchi, traslucidi, che possono essere lavorati con estrema raffinatezza di levigatezza e lucidità. Le caratteristiche che devono possedere le rocce da scolpire sono la compattezza (cioè una resistenza uniforme senza direzioni privilegiate e insospettate di rottura) e uniformità di colore (affinché le variazioni cromatiche non si sovrappongano all’immagine scolpita). Nel mondo antico pre – classico, presso le civiltà extra europee e i popoli primitivi veniva usato qualunque tipo di pietra a disposizione, di solito opache, granulose e colorate. Le poche esigenze erano dovute al fatto che le sculture dovevano adattarsi ai materiali delle architetture che andavano ad abbellire, alla facile reperibilità e al fatto che erano spesso ricoperte da policromie cui era affidato il messaggio artistico. Nell’antico medio Oriente e in Egitto erano preferiti i basalti, i graniti e i porfidi per la loro durezza, struttura cristallina e durabilità. Dall’età classica greca e romana fino ai nostri giorni il materiale scultore d’elezione è stato il marmo bianco statuario (pario, nassio o pentelico in Grecia, quello di Carrara a Lapidei FIG. 15 FIG. 16 FIG. 17 FIG. 18 Lapidei 19 Roma e nella cultura occidentale) FIG. 22 - FIG. 23. Il giusto grado di durezza ne facilita la lavorabilità, il colore bianco valorizza i giochi di luce e ombra, la struttura cristallina permette vari gradi e tipi di finitura con il raggiungimento di una molteplicità di effetti. I marmi colorati non sono adatti alla statuaria a meno che non vengano usati in unione con il marmo bianco, per rappresentare stoffe o altri dettagli come avviene nella scultura ellenistica, romana (Demetra di Cnido, Fanciulla di Anzio, Apollo di Capodimonte, Augusto di via Labicana) e, più tardi, barocca. Sia gli strumenti usati sia la tecnica di realizzazione sia il tipo di finitura cambiano nella storia. Per esempio gli Egiziani usavano scalpelli in bronzo appuntiti per le rocce dure e scalpelli a taglio per i calcari; i Greci nel periodo arcaico usavano scalpelli a punta per la sbozzatura e la modellatura e scalpelli a taglio e pomice per la rifinitura e levigatura; nel periodo classico si usano scalpelli a punta, a testa piatta e a testa curva e si rifiniva con le lime; i Romani, soprattutto a partire dagli Antonimi, cominciano a far uso del trapano che crea contrasti chiaroscurali più acuti. Nell’antico Egitto ma anche nella Grecia arcaica è certo che gli scultori realizzassero dei bozzetti grafici sia per i bassorilievi sia per le quattro vedute (frontale, laterali, posteriore) delle statue a tutto tondo. Tali bozzetti servivano da progetto o da modello. Sotto l’influenza della tecnica per la scultura in bronzo si cominciò, a partire dal V secolo a.C., in Grecia ad utilizzare un modello preparatorio in creta. A parte il fatto che nell’’800 si comincia a usare come riferimento un calco in gesso, la tecnica è rimasta la stessa. Dal modello, di dimensioni ridotte, si riportano i punti di riferimento sul blocco da scolpire. Il modo di riportare i punti cambia: i Greci usavano il filo a piombo partendo dai punti più sporgenti; nel ‘400 L.B.Alberti descrive l’uso del “definitor” uno strumento semplice ma che permette di riportare i punti in modo preciso con la “lettura” del modello secondo un sistema di coordinate polari e cartesiane. Successivamente è descritto l’uso di squadre regolabili e di telai quadrati o addirittura gabbie lignee su cui erano fatti scorrere i fili a piombo per rilevare e riportare i punti caratteristici. A partire dall’’800 si comincia a usare il metodo della “crocetta” che permette di riportare un numero grande di punti per una riproduzione più fedele. Da questo tipo di procedimento si escludono un periodo e un personaggio storici: il Medioevo e Michelangelo FIG. 24. In questi casi non si fa uso di modelli o di bozzetti ma si disegnavano o incidevano le vedute sui lati del parallelepipedo marmoreo o si cominciava a lavorare direttamente il blocco. Il tipo di lavorazione a bozzetto pone il problema della distinzione fra momento creativo (bozzetto, finitura o modellazione delle parti più espressive come i volti) e momento esecutivo. A seconda del periodo storico e delle abilità delle maestranze, la produzione scultorea arrivò ad assumere un carattere “pre-industriale” con la produzione quasi in serie di sculture o parti di esse poi successivamente assemblate. Nel mondo antico, anche presso le civiltà primitive extra europee, si usava ricoprire le sculture con policromie sia direttamente sulla pietra sia su preparazione gessosa. Anche i marmi del Partendone erano rivestiti di intonaco e colorati. Nel V secolo a.C., in Grecia, si comincia a levigare e lucidare la superficie bianca delle statue di marmo che affidano il messaggio artistico alle loro proprietà plastiche. La scultura acquista un linguaggio formale autonomo, libero da compromessi con la pittura, enfatizzata nella pratica dalla “ganosis” elaborata nella bottega di Prassitele. La “ganosis” era una patinatura della superficie a base di cera che accentua la trasparenza del marmo pario, aumenta la morbidezza e il calore delle sfumature dell’opera. Successivamente il marmo bianco è sempre stato sottoposto a levigatura e lucidatura FIG. 25, a parte il Medioevo dove si torna ad usare intonacature colorate. FIG. 19 FIG. 20 FIG. 21 FIG. 22 FIG. 23 FIG. 25 FIG. 24 19 20 Lapidei Degrado Cause di degrado Le caratteristiche stesse della roccia originaria che rendono la pietra più o meno esposta agli attacchi degradativi sono: la composizione chimica, la struttura e la tessitura. Per quanto riguarda la composizione chimica è noto che la componente carbonatica è assai più “debole” di quella silicatica perché più solubile e più sensibile agli attacchi acidi. Per quanto riguarda la struttura i fattori più importanti sono la porosità e, in generale, la superficie specifica. Maggiore è la superficie specifica più esteso è l’attacco degli agenti degradanti. Per quanto riguarda la tessitura è importante l’eventuale presenza di piani di discontinuità come scistosità o noduli che possono rappresentare zone di attacco preferenziale o linee di forza lungo cui si concentrano sforzi di carico o di compressione. Le cause di degrado possono essere classificate in naturali e antropiche. Gli aspetti generali sono trattati nel capitolo sul DEGRADO. Le naturali possono essere definite fisiche, biologiche o chimiche. Le antropiche possono essere distinte in quelle in relazione con la lavorazione, con l’inquinamento o con interventi conservativi attuati in precedenza. FIG. 26 Cause naturali Cause fisiche Tutte le cause fisiche possono essere ricondotte all’energia elettromagnetica che giunge alla superficie lapidea tramite l’esposizione ai raggi solari. Molto significativa è la frazione termica della componente infrarossa L’insolazione (durata, intensità, esposizione) determina la temperatura e questa, a sua volta, i valori di umidità relativa, gli altri due fattori alla base delle cause naturali fisiche di degrado. Bisogna sottolineare come il degrado sia accentuato da brusche variazioni o periodiche oscillazioni di questi parametri. FIG. 26 Dalla temperatura dipendono direttamente due fenomeni fisici: la dilatazione termica dei materiali e i cicli di gelo – disgelo dell’acqua. Materiali lapidei diversi accostati fra loro, minerali diversi all’interno della stessa roccia, cristalli anisotropi sono vari esempi di come si possono avere diversi coefficienti di dilatazione termica messi a contrasto. Nel ciclo gelo – disgelo dell’acqua che si muove libera nella rete di porosità e canali presenti nella pietra, l’aumento di volume del ghiaccio è del 9% in più rispetto all’acqua liquida. Queste situazioni si verificano in particolari stagioni dell’anno e in definite regioni geografiche. Considerando che la costante solare è 1,1 cal/min e che l’accumulo di calore è facilitato anche dal colore scuro delle pietre si può arrivare, in assenza di vento, anche ad un innalzamento della temperatura pari a 50-60 °C di giorno. Di notte poi si possono raggiungere anche temperature inferiori allo 0 °C. Ricordiamo inoltre che le pietre sono cattive conduttrici di calore per cui lo stress termico subito dagli strati superficiali è molto maggiore e può dar luogo a sforzi di taglio interni. Le oscillazioni termiche più importanti si hanno ovviamente nelle zone desertiche ma le conseguenze sono determinanti a qualunque latitudine. Cause biologiche. I microrganismi che possono dar luogo a biodeterioramento dei materiali lapidei sono in grado di ricavare l’energia necessaria utilizzando l’energia solare (fotoautotrofi) o ossidando molecole inorganiche (chemiolitotrofi). Queste specie vengono anche definite I coefficienti di dilatazione termica primiere perché colonizzano per prime le superfici lapidee e fra questi troviamo i batteri espressi in m/m °C . 10-6 sono pari a 11 per arenarie e quarziti, 5 per basalti e porfidi che fanno parte del ciclo dell’azoto e del ciclo dello zolfo. e 4-8 per i calcari. Nei cristalli di calcite Sulle pietre sono molto diffuse le alghe che preferiscono i substrati carbonatici degli af- questo coefficiente lungo l’asse cristallofreschi, di resti archeologici e di monumenti, hanno un’azione soprattutto superficiale grafico Z è pari a 25,1 e perpendicolare ad esso pari a -4,9 di tipo chimico e estetico. Troviamo sia alghe verdi – azzurre o Cyanophite o cianobatteri che alghe verdi o Chlorophite. I ciano batteri si colorano di verde nelle zone d’ombra, di azzurro in piena luce e formano depositi nerastri con i loro resti sulle rocce e sui materiali da costruzione. Un tipo di organismo vegetale che ricopre superfici lapidee sia di natura calcarea che silicea sono i licheni. La popolazione lichenica sui monumenti è molto stabile a meno di cambiamenti ambientali che provocano la morte degli individui presenti e la comparsa di nuove specie: per esempio sulla Basilica di Notre-Dame de l’Epine in Francia (Marna) alla vecchia popolazione grigio-bianca se ne è sostituita una verdastra. Da al- Lapidei 21 cuni anni è stata attribuita alle formazioni licheniche una certa funzione protettiva sia perché la loro diffusione e compattezza assicura una barriera contro gli inquinanti, sia perché i loro talli potrebbero ridurre la porosità sia perché l’acido ossalico prodotto può formare una patina molto efficiente. Anche gli Attinomiceti (microrganismi a metà strada fra batteri e funghi) e i funghi possono ritrovarsi sulle superfici lapidee. I primi sono stati isolati in ambienti sotterranei molto umidi come tombe e cripte e contribuiscono con il loro metabolismo al degrado delle pietre. I funghi sono specie strettamente eterotrofe e quindi si sviluppano in aree già precedentemente colonizzate. I muschi causano un danno solo estetico. Le piante superiori, ruderali e infestanti, rappresentano un grave problema soprattutto per i siti archeologici, ma in generale per le strutture architettoniche. Nei nostri climi temperati si trovano piante di tipo erbaceo o cespuglioso con habitus calciofiflo, xerofilo e nitrofilo tipico degli ambienti ruderali. Ricordiamo che nei Paesi tropicali il clima rende la micro e la macroflora così invadente da rappresentare un grave problema per la conservazione dei monumenti. Per quanto riguarda i danni provocati dalla fauna possiamo considerare quelli provocati da insetti quale l’ape muratrice che asporta materiale argilloso per costruire il nido e le mosche che accumulano compatti depositi scuri. Ma sono soprattutto gli uccelli, cioè storni e piccioni, ad essere dannosi per i nostri monumenti. BIODETERIOGENO DANNO DI TIPO Estetico Chimico Fisico Batteri Sconosciuto Trascurabile Trascurabile Alghe Notevole Trascurabile Trascurabile fogliosi Notevole Trascurabile Trascurabile crostosi Notevole Importante Importante Notevole Trascurabile Trascurabile erbacee Importante Trascurabile Importante legnose Notevole Trascurabile Notevole Licheni Muschi Piante Da P. Tiano “Problemi biologici nella conservazione delle opere in marmo esposte all’aperto” OPD “Speciale marmo” pg 47 – 53. Cause chimiche Le reazioni chimiche che possono portare alla disgregazione di una pietra sono fondamentalmente quelle di solubilizzazione di componenti dei minerali e quelle di scambio (semplice e doppio) che portano alla formazione di nuovi minerali. In entrambe queste tipologie di reazioni gioca un ruolo fondamentale l’acqua o per il suo potere solvente o per la sua acidità o come veicolo di reattivi chimici. L’acqua liquida presente nell’atmosfera è leggermente acida perché scioglie CO2. Gli ioni H+ sono in grado di alterare anche le rocce silicatiche perché si introducono nella struttura cristallina con formazione di gel di silice e liberazione di cationi Na+ e K+. Successivamente la solubilizzazione di queste sostanze porta alla formazione di prodotti voluminosi e di nuovi minerali. Il potere solvente dell’acqua è dovuto alla sua natura dipolare e si esplica nei confronti di acidi e sali. Molti dei fattori inquinanti sono veicolati e concentrati dall’acqua. L’acqua inoltre è un liquido bagnante per tutte le pietre perché si instaurano deboli interazioni di natura elettrostatica fra i dipoli dell’acqua e quelli dei costituenti minerali. 21 22 Questo fa sì che l’acqua si muova con libertà fra l’esterno e l’interno nella fitta rete di canalicoli, porosità e capillari. Quindi qualunque variazione termoigrometrica e di composizione viene “trasmessa” all’interno del materiale. Dalla temperatura dipende l’umidità relativa e quindi la disponibilità di acqua liquida, anche all’interno dei materiali. Da questa dipende la solubilità dei sali (e quindi la loro eventuale precipitazione con formazione di efflorescenze o subflorescenze) e la loro sfera di idratazione Il potere solvente dell’acqua si può anche esplicare su componenti stessi della pietra (il carbonato di calcio ha comunque una sua pur bassa solubilità 0,2 gr/l), su altri sali o su sali di neoformazione in seguito a reazioni di scambio con gli acidi disciolti. Cause antropiche Lavorazione. Il degrado della pietra comincia nella cava, fin dalla sua escavazione. Qualsiasi forza esterna può creare delle microfessurazioni che indeboliscono l’equilibrio della struttura e influenzano il comportamento successivo. Sia i metodi più antichi, come leve e cunei, sia i più moderni, quali i fili elicoidali e soprattutto le cariche di esplosivo, creano sollecitazioni meccaniche dalle conseguenze pericolose. Gli attrezzi usati poi per la lavorazione superficiale, soprattutto la subbia e la bocciarda, provocano una rete di microfratture che si dirama dal punto di impatto, con un aumento localizzato di porosità e di superficie specifica di esposizione. Anche se le lavorazioni di finitura hanno proprio lo scopo di eliminare queste discontinuità superficiali, le microfratture profonde si conservano. Il trasporto può assoggettare il materiale a vibrazioni, causa di micro e anche macro fratture se le vibrazioni entrano in risonanza con quelle dei piani cristallini. La posa in opera poi può esser fonte di altri problemi quando si fanno scelte sbagliate di materiali o di orientamento o di accoppiamento con altre rocce o materiali diversi. Tanto per fare qualche esempio non si dovrebbero usare pietre troppo gelive in aree geografiche a forte escursione termica o pietre a natura o matrice carbonatica in zone ad elevata inquinamento di SO2. L’orientamento della posa in opera dovrebbe essere scelto in base alla tessitura della roccia in modo che gli sforzi di compressione cui può essere sottoposta (in primis il suo proprio peso) siano perpendicolari ai piani di cristallizzazione. Altrimenti si creano dei piani di fessurazioni preferenziale da carico dove si accelera il degrado. L’accoppiamento imprudente di rocce diverse o anche di lastre di una stessa roccia che non tenga conto dei coefficienti di dilatazione termica può creare delle tensioni anche forti che provocano rigonfiamenti e fratture. Si deve porre attenzione a non creare rigidità e vincoli sbagliati che provocano tensioni differenziali dannose e prevedere sempre dei giunti di espansione opportunamente dimensionati. L’accoppiamento può avvenire con materiali diversi soprattutto il ferro e il bronzo. Il primo è il costituente di perni usati per ancorare lastre lapidee alle strutture portanti o per costruire dei sostegni per sculture sia in fase di realizzazione che di restauro. Il bronzo è invece usato per la realizzazione di elementi scultorei decorativi. Gli elementi metallici subiscono degli specifici processi di corrosione ad opera di agenti atmosferici e inquinanti che danno luogo a ossidi e sali di colore rosso (ferro) o verde (rame del bronzo) che possono essere solubilizzati e trasportati dalle acque nelle porosità della pietra dove si fissano in modo irreversibile. I prodotti di corrosione del ferro (la ruggine) hanno inoltre un volume specifico molto più grande di quello del ferro metallico, quindi provocano grandi tensioni e distacchi di materiali lapidei. Ricordiamo infine che la sconnessione e la discontinuità delle malte usate per far aderire gli elementi lapidei possono essere zone di innesco di processi degradativi. Inquinamento. Gli inquinanti che influiscono sul degrado dei materiali lapidei sono quelli dell’atmosfera e possono essere così elencati: ossidi di carbonio (CO e CO2), di azoto (NOx) e zolfo (SO2, SO3), alogenuri, idrocarburi. Essi possono entrare in contatto con le superfici lapidee direttamente, veicolati o dopo reazione con acqua sia come piogge acide che come nebbie o condensa, come aerosol o come smog. Nelle mutate condizioni ambientali di un’atmosfera non solo antropizzata ma anche industrializzata, i monumenti e le costru- Lapidei Lapidei 23 zioni mostrano tutta la loro fragilità di fronte all’aggressività chimica di questi composti e alla sinergia, talvolta, della loro azione. Qui si vogliono approfondire i componenti di uno dei prodotti di degrado più deturpanti per le superfici lapidee di monumenti e architetture: le croste nere, costitutite da gesso e particolato. Il solfato di calcio biidrato è il gesso, il prodotto di degrado più diffuso sulle superfici lapidee. Su quelle di natura calcarea deriva dalla trasformazione del carbonato mentre su lapidei silicatici deriva da deposizione diretta di particelle gessose presenti nell’aria. Le caratteristiche del gesso sono: q Rispetto al carbonato una solubilità maggiore (2,4 gr/litro rispetto a 0,1 gr/litro) e un volume specifico superiore del 20% e con queste proprietà partecipa sia al processo di dissoluzione (in zone dilavate) sia ai processi di solubilizzazione/cristallizzazione con formazione di efflorescenze, subflorescenze e tensioni interne. q Un coefficiente di dilatazione termica 5 volte superiore a quello del carbonato con tutte le conseguenze che derivano da eventuali stress termici. q Una capacità legante dovuta alla formazione di cristalli acicolari che formano un fitto intreccio molto aderente al substrato che intrappola le altre particelle. Il particolato che si deposita è costituito da residui incombusti di carbone (porosi se provenienti dal petrolio, compatti dal carbone), composti bituminosi, quarzo, silicati e feldspati di apporto eolico, ossidi di ferro (soprattutto ematite di origine industriale o dalla corrosione di elementi architettonici quali grondaie, inferriate, infissi), di rame (corrosione del bronzo), metalli pesanti (di origine industriale), da cloruri di sodio, potassio, piombo e magnesio (da aerosols marini o carburanti), da fosfati (se presente guano), da calcite di cristallizzazione, da ossalati. L’adesione di questo particolato alla superficie lapidea è dovuta alla creazione di legami deboli intermolecolari. Interventi diretti dell’uomo sul manufatto. L’uomo può intervenire sui materiali lapidei accelerandone direttamente il degrado in modo volontario e involontario. Sono volontari tutti gli atti di vandalismo che portano a deturpare con scritte, vernici o incisioni le facciate dei palazzi o a distruggere i manufatti. Ricordiamo le martellate di cui sono state oggetto alcune statue di Michelangelo (il David a Firenze e la Pietà a Roma), gli atti di guerra (bombardamenti, incendi, segni di pallottole o punte di lance) e le spoliazioni. Pensiamo a come sono stati saccheggiati nel Medioevo tutti i monumenti romani che erano diventati ormai delle squallide cave da cui ricavare materiale da utilizzare tal quale (pensiamo ai rivestimenti del Colosseo o ai pavimenti di basiliche, residenze e terme) o come materia prima. In quel periodo teste di imperatori, statue di dei, capitelli e fregi finirono nelle fornaci da calce o frantumati a formar proiettili. Si sviluppò un lucroso commercio di pezzi architettonici da Roma a Firenze (Battistero), Pisa (Duomo), Lucca, Montecassino, Orvieto fino a Westminster Abbey a Londra. I danni involontari o per lo meno inferti in buona fede dall’uomo sono quelli relativi alle conseguenze negative di trattamenti conservativi applicati in precedenza in fase di pulitura ma soprattutto di consolidamento e protezione. Portiamo ad esempio l’esteso uso che si è fatto nel passato dei fluosilicati. Le reazioni dei fluosilicati portano alla lenta formazione di prodotti inorganici insolubili che si depositano nelle porosità dove giungono perché i reagenti sono applicati in soluzione liquida. Con il tempo si formano delle patine biancastre o grigiastre e la porosità viene ridotta troppo. Tra gli esempi degli effetti negativi ricordiamo la facciata di Palazzo Rucellai di Firenze dominata da un colore grigiastro, la facciata di San Michele a Pavia e il grande altare scolpito all’interno delle Scuola Grande di San Rocco a Venezia ridotti in condizioni disastrose dalla chiusura troppo spinta delle porosità. FIG 32 Effetti di degrado Gli effetti sui materiali possono essere superficiali e allora si parla di alterazioni o deturpazioni o possono coinvolgere la struttura degli strati più interni più o meno profondamente e in questo caso è più appropriato parlare di degradazione (distacchi, decoesione ecc.). 23 24 Le deturpazioni. Le deturpazioni possono essere definite come strati più o meno spessi di materiale estraneo alla natura originaria del lapideo che ne alterano l’aspetto estetico fino ad ostacolarne la corretta fruizione visiva. Esse possono essere di origine biologica, chimica o antropica. Le deturpazioni di origine biologica sono quelle dovute all’estendersi di popolazioni algali (verdi), licheniche (colori vivaci), fungine (nere) o di microrganismi (alcuni provocano colorazioni rossastre). Anche la crescita di specie vegetali erbacee, cespugliose o arbustive può creare disturbo visivo. Infine è impossibile non ricordare l’effetto che potremo definire lordante del guano dei piccioni così invadenti in molte delle nostre città e così pervasivi nelle zone più alte e meno raggiungibili dei nostri monumenti. FIG. 27 Le deturpazioni di origine chimica possono essere patine e croste: le prime hanno uno spessore minore (qualche mm), più uniforme e sono più compatte. Le croste possono raggiungere spessori dell’ordine del cm, hanno un andamento irregolare, un aspetto disomogeneo e possono raggiungere anche un peso rilevante. La composizione è molto più complessa. La presenza dell’una o dell’altra formazione dipende dall’origine, dalla composizione ma soprattutto dall’esposizione alle acque meteoriche: nelle zone dilavate i fenomeni di accumulo sono limitati e si formano di preferenza patine. Tra le patine ci sono le efflorescenze che di solito si presentano biancastre. Se per efflorescenza si intende deposito superficiale di sali ricristallizzati, un tipo degno di particolare attenzione è quello della calcite. La calcite di ricristallizzazione FIG. 28 sulle superfici dei materiali lapidei calcarei ha stessa composizione chimica ma non la forma cristallina di quella che costituisce la struttura degli stessi. Quindi offre una superficie specifica maggiore agli ulteriori processi di degrado. Inoltre nel precipitare può inglobare particolato colorato (di origine organica o inorganica, tipo i prodotti di corrosione di ferro o bronzo) e formare patine con varie intonazioni cromatiche. Come esempio di questi problemi è interessante riportare gli studi fatti sui marmi e travertini che costituiscono la Fontana di Trevi a Roma FIG. 29. Questo monumento è stato alimentato per secoli con l’acqua dell’Acquedotto Vergine (costruito da Agrippa nel 19 a.C.) che, come tutte le acque romane, è “dura” cioè ha un alto contenuto di sali di calcio disciolti. Questo ha portato al deposito sulle superfici lapidee di stratificazioni calcaree. Tali stratificazioni erano di aspetto e consistenza diverse a seconda delle caratteristiche di impatto dell’acqua sulle superfici: quantità, velocità e traiettoria. Si sono potute classificare: le incrostazioni da scorrimento, laddove l’acqua fluisce a velocità costante sfiorando appena la superficie; le incrostazioni da “ristagno” sulla superficie delle vasche di raccolta dove l’acqua entra e esce garantendo il “sempre pieno” ma restando tranquilla; le incrostazioni da “schizzo” laddove l’impatto dell’acqua è angolare ma estremamente variabile nella forma (scroscio, cascata, getto, velo), nell’intensità e nella direzione; le incrostazione da “stillicidio” che si verificano in zone in origine non bagnate ma che hanno visto cominciare a sgocciolare l’acqua infiltratasi attraverso le malte di connessione. Le varie caratteristiche dei diversi depositi possono essere così distinte: le incrostazioni da scorrimento sono spesse meno di 1 mm, sono compatte, di colore bianco arancio (ossidi di ferro delle tubature); quelle da ristagno sono depositi compatti e molto adesi, lo spessore non supera i 2 mm e il colore è bianco-grigio; quelle da schizzo sono le più irregolari, lo spessore varia da 1 mm a 2 cm, l’aspetto superficiale corrugato con creste tondeggianti o levigatissimo, la durezza disomogenea nello spessore perché può essere formata a strati, il colore grigio-nero per il vario particolato che può aver inglobato; quelle da stillicidio hanno spessori considerevoli tanto che possono alterare i rapporti volumetrici con grave danno estetico, hanno però una struttura spugnosa con una consistenza tenera e friabile. Le diverse caratteristiche porteranno anche a diversi metodi di pulitura. Le croste di origine artificiale sono le cosiddette “croste nere” FIG. 30 (vedi pagina 25) perché assumono un colore scuro a causa del particellato atmosferico inglobato durante la loro formazione. Si formano preferenzialmente nelle zone più riparate dal dilavamento meteorico assumendo forme irregolari, spesse fino a 2 cm, di aspetto dendritico o di grumi, dotate di forte coesione e adesione. Si possono formare anche su pareti esposte in corrispondenza di zone di “ombra termica” cioè pareti che si mantengo- Lapidei FIG. 27/a FIG. 27/b FIG. 27/c FIG. 28 FIG. 29 Lapidei no fredde o si raffreddano di più e più velocemente di quelle circostanti. Le croste nere sono costituite da particolato cementato, come abbiamo visto. La composizione delle croste nere è stata studiata anche con le analisi termiche: gravimetrica e differenziale ed è stato possibile quantificare la quantità di acqua, di gesso (30 - 60% in peso), di calcite e di materiale organico e carbonioso (20 - 38%). Le croste nere si accrescono per strati (visibili nelle cross-section) di successivi depositi, perché fungono da superfici catalitiche per la formazione continua di acido solforico che emigra verso l’interno della pietra corrodendo il carbonato di calcio e formando nuovo gesso. Esse costituiscono anche un formidabile deposito di inquinanti con effetti degradanti che possono penetrare nella pietra fino a 5-10 cm portando il loro “carico” deleterio fino in profondità. Queste formazione hanno un elevato coefficiente di dilatazione termica, un’elevata superficie specifica ma soprattutto una natura organica e idrofobica che le differenzia drammaticamente dalle caratteristiche della superficie su cui si accrescono. L’effetto più deleterio è quello di creare una barriera impermeabile che ostacola il normale equilibrio idrometrico fra l’interno e l’esterno della pietra. Inoltre essendo nera assorbe più le radiazioni solari e si riscalda e si dilata di più. Le deturpazioni di origine antropica sono soprattutto quelle legate all’uso sbagliato di consolidanti e protettivi negli interventi conservativi del passato. Nell’antichità si suppone venissero usate sostanze proteiche (latte, uova, sangue) con o senza calce e inerti (pozzolana) oppure, soprattutto per le statue, venissero applicati strati idrorepellenti di cera fusa (encausto) o in emulsione (ganosis). Dalle sostanze proteiche si sarebbero formati quegli strati di ossalato di calcio che hanno una importante funzione protettiva e di cui parleremo più avanti. Nel Medioevo e nel Rinascimento si diffonde l’uso degli oli siccativi, soprattutto olio di lino che corrisponderebbe al temine “tartaro” con cui si indicava il colore giallognolo che assumevano le statue ( di arenaria, calcare e marmo) trattate. Le fonti riportano anche altre formulazioni con cere e resine naturali (sandracca e incenso) sciolte in oli siccativi e applicate sulle superfici lapidee. All’inizio del XIX secolo, con lo sviluppo della chimica, si scoprono o mettono a punto prodotti nuovi che ogni volta sembrano la soluzione di tutti i problemi e che invece presentano, con il tempo, effetti collaterali non previsti e più o meno dannosi. Consideriamo tutti i composti a base silicea. I silicati alcalini che permettono il consolidamento grazie alla loro idrolisi che produce acido silicico (silice idrata che è il consolidante che può però essere idrolizzato con il tempo e perdere la sua efficacia) e idrossidi di sodio e potassio; i fluosilicati di cui si è già parlato; gli esteri silicici, soprattutto il silicato di etile, la cui reazione di idrolisi produce il solito acido silicico e l’etanolo che evapora; i siliconi e i silani, polimeri più o meno lunghi formati da uno scheletro di ossigeno e silicio (di natura e caratteristiche inorganiche che ne assicurano l’adesione alla pietra) derivatizzati da gruppi organici non polari e quindi idrorepellenti, usati come protettivi ma che perdono le loro proprietà per esposizione alla luce solare e all’ossigeno. Altri materiali sintetici introdotti come antidegradanti sono le resine. Quelle acriliche, la cui prima applicazione sulle architetture risale alla fine degli anni ’60, presentano resistenza all’invecchiamento, reversibilità ma poca aderenza; quelle epossidiche che sono inerti chimicamente, impermeabili e molto elastiche ma ingialliscono con il tempo e sono molto più adatte ad essere usate come adesivi. 25 FIG. 30/a FIG. 30/b - Cross section al microscopio ottico FIG. 30/c - Crosta nera al microscopio elettronico MECCANISMI DI DEGRADO La degradazione può essere suddivisa in due fasi: nella prima fase aumenta la porosità e si forma una rete di microfratture che si accentueranno nella seconda fase fino a provocare scagliature, fratture, alveolizzazioni FIG. 31, pitting, polverizzazioni e disgregazioni. I fenomeni che si verificano nella prima fase provocano in pratica un aumento delle possibilità di penetrazione dell’acqua e delle soluzioni saline e un aumento della superficie specifica per l’interazione fra il materiale lapideo e i fattori causa di degrado. La decoesione che si verifica in questa prima fase è causata dalle sollecitazioni meccaniche , dall’aumento della pressione interna e dalla corrosione. Le sollecitazioni meccaniche sono quelle che si possono far risalire alle fasi di estrazione, trasporto e lavorazione o collegare alle vibrazioni del traffico veicolare o del pas- FIG. 31 25 26 saggio di animali. L’aumento della pressione interna ai canali e alle cavità ha molteplici origini. q Dilatazioni termiche a contrasto. Ricordiamo ad esempio il caso del cosiddetto “marmo cotto” in cui i grani di calcite si scollano l’uno dall’altro e presenta una fatturazione di tipo poligonale e uno spolvero superficiale. q Cicli ripetuti di gelo – disgelo dell’acqua interna. Non è però il semplice aumento di volume a spiegare il danno prodotto dal gelo. Si sono ipotizzati vari meccanismi legati al passaggio di stato: secondo uno di questi si formerebbero cristalli di ghiaccio nei pori più grandi che poi si ingrosserebbero risucchiando acqua dai pori vicini e aumentando la pressione sulle pareti dei capillari. Un altro meccanismo ipotizza la formazione di “sacche” d’acqua liquida intrappolate tra due zone ghiacciate. Tali fronti ghiacciati tenderebbero ad avanzare con l’abbassarsi della temperatura e ad esercitare una forte pressione idraulica sull’acqua liquida e quindi sulle pareti dei capillari. Un terzo meccanismo suppone l’esistenza di una “isoterma zero” cioè di un piano all’interno della pietra dove si raggiunge la temperatura di equilibrio fra gelo e disgelo. La posizione di questo piano oscilla in funzione della temperatura esterna intorno ad una determinata posizione che risulta particolarmente stressata. Questo meccanismo porta a scagliature parallele alla superficie della pietra come sull’arenaria delle pareti del Duomo di Ratisbona in Germania. q Cristallizzazione e ricristallizzazione di sali all’interno delle porosità della struttura con formazione di subflorescenze. I sali che troviamo possono essere estranei alla composizione della pietra se ci sono state reazioni di scambio con acidi veicolati dall’acqua o con cationi metallici quali sodio, potassio, rame o ferro. Oppure possono essere i componenti stessi delle pietre soprattutto i carbonati che possono subire processi di solubilizzazione e ricristallizzazione in seguito ad oscillazioni delle condizioni termoigrometriche. Tanto più i sali sono solubili tanto più profondamente possono penetrare prima di precipitare (il gesso penetra fino a 10 cm). I sali che cristallizzano hanno comunque un proprio volume specifico, che può essere aumentato dalla sfera di idratazione (pensiamo al cloruro, al carbonato o al solfato di sodio che cristallizzano con 10 molecole d’acqua) e una struttura più disordinata di quella dei minerali circostanti: sono queste le cause della pressione da loro esercitata sulle pareti dei capillari in cui vengono a trovarsi. Quella che si definisce corrosione è la trasformazione dei composti minerali in sali più solubili: è il classico caso della gessificazione dei carbonati. In generale però il carbonato reagisce con tutti gli acidi veicolati dall’acqua: HNO3 e HCl formano nitrati e cloruri che sono molto solubili. L’H2SO4, che dà il gesso, è solo il più comune. La seconda fase del degrado, quella che porta a fenomeni vari di distacco, è caratterizzata dalla deadesione delle parti della pietra più degradate da quelle ancora sane. Questi distacchi non fanno altro che offrire una nuova superficie su cui si possono innescare di nuovo tutti i processi di degrado descritti. Questa fase del degrado è praticamente dovuta all’accentuarsi, al ripetersi, all’accumularsi di tutti i fenomeni descritti precedentemente anche se magari vanno evidenziati alcuni casi particolari. Per esempio, affinché si verifichi alveolizzazione devono essere concomitanti la porosità della pietra, un elevato contenuto di sali solubili e igroscopici e una forte turbolenza dell’aria in contatto con le superfici lapidee che esercita anche un’azione abrasiva. Il pitting è causato dalla caduta dei talli dei licheni crostosi che nella loro crescita hanno inglobato particelle minerali del substrato lapideo sul quale sono cresciuti. I vegetali arbustosi o arborei, con la crescita continua del loro apparato radicale, sono in grado di creare pressioni molto alte che allargano fratture preesistenti e ne creano di nuove arrivando a mettere in pericolo l’equilibrio statico stesso di monumenti e costruzioni. Lapidei Lapidei 27 Restauro INDAGINI. Per i materiali lapidei (e anche ceramici e lignei) è importante ricordare che nel 1977 il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’Istituto Centrale del Restauro istituirono la Commissione NORMAL (ufficialmente riconosciuta dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali) con lo scopo di stabilire metodi unificati per lo studio delle alterazioni di tali materiali e per il controllo dell’efficacia dei trattamenti conservativi nonché di mettere a punto un linguaggio tecnico preciso e definito che metta gli operatori in grado di comunicare fra loro. La campagna diagnostica riguarda sia il manufatto sia l’ambiente in cui esso si trova. Le indagini che è opportuno programmare per lo studio dell’ambiente variano a seconda se abbiamo di fronte una statua, un monumento o una costruzione e a seconda se il manufatto è conservato all’aperto o al chiuso. Nel caso di un monumento o di una costruzione è opportuno fare ricerche di tipo geotecnico, strutturale e tecnologico per avere informazioni su: natura del terreno su cui poggia il manufatto, esposizione dello stesso alle caratteristiche ambientali circostanti (sole, vento, precipitazioni), statica del manufatto, tecnologia edilizia, falde idriche sotterranee e sistemi di convogliamento delle acque (coperture, tetti, scarichi). Per qualunque manufatto all’aperto è necessario conoscere temperatura e umidità relativa dell’aria e a contatto della superficie lapidea, precipitazioni (quantità, frequenza, intensità), radiazioni solari, intensità e direzione del vento, fenomeni particolari (giorni di nebbia, di gelo ecc.), inquinanti atmosferici. Per una statua in ambiente confinato i parametri ambientali sono determinati non solo dall’atmosfera della stanza ma anche dalla presenza di visitatori, se si tratta di un museo. Una quantità rilevante di visitatori cambia i valori di temperatura, di umidità relativa, di CO2 e di particolato. A queste informazioni, per tutti i monumenti devono accompagnarsi accurati rilievi grafici e/o fotografici e appropriate ricerche d’archivio, di carattere storico-artistico, che testimoniano della costruzione, della tecnica e di eventuali interventi successivi (ampliamenti, rifacimenti, cambiamenti d’uso, spostamenti ecc.). Le indagini non invasive che si possono compiere su manufatti lapidei sono: q Analisi termografiche per evidenziare disomogeneità dei materiali: fessurazioni, presenza di contaminanti, di materiali di restauro (cemento, perni in metallo), di strutture nascoste. q Rilievo della rugosità superficiale per testimoniare eventi subiti dal manufatto. q Misura del colore in termini di tinte e luminosità mediante la definizione di coordinate cromatiche (CIEL*a*b*) per monitorarne la variazione naturale nel tempo o in seguito a interventi di restauro. Grazie alla realizzazione di molti strumenti di analisi portatili è possibile realizzare in situ misure di: q Fluorescenza a raggi X. Si possono ricavare informazioni fino a 20 micron di profondità. Pensiamo quindi alla possibilità di conoscere il livello di penetrazione del gesso all’interno del marmo mappando la presenza dello zolfo che, in questo contesto, può essere ascritto solo al gesso. q Analisi a infrarosso. Questa tecnica è particolarmente adatta allo studio di materiali organici e quindi può dare informazioni su trattamenti protettivi o di restauro passati, ma permette di caratterizzare anche alcuni anioni come solfati, nitrati e carbonati. q Fluorescenza UV per via fotografica. Lo spettro di fluorescenza permette di individuare la natura chimica delle sostanze organiche superficiali e la misura dell’intensità della fluorescenza è un indice quantitativo. Le indagini invasive prevedono il prelievo di un campione e possono essere di tipo distruttivo e non distruttivo. 27 28 Fra quelle non distruttive ci sono: q Osservazione allo stereomicroscopio dei microframmenti per descrivere in modo particolareggiato il materiale nel suo stato attuale (alterazioni superficiali, patine, pellicole, pittino, croste). q Cross-section, Con le varie osservazioni al microscopio ottico forniscono informazioni su sfaldature, fratture, strati superficiali di degrado, presenza di materiali organici. Osservate al SEM – EDS permettono identificazione e localizzazione di atomi. Il test colorimetrico con il rodizonato di sodio che evidenzia e localizza il gesso. FIG. 32 q Ulteriori conferme possono essere ottenute con l’analisi micro-Raman. q Le sezioni sottili invece si osservano in trasparenza e con il microscopio mineralogico, e permettono di definire la composizione mineralogica e consentendone la qualificazione petrografia del materiale, tenuto conto anche delle caratteristiche strutturali e tessiturali. Fra quelle distruttive ci sono: q Su frammenti polverizzati possono essere effettuate analisi di microdiffrazione a raggi X che definiscono la composizione mineralogica delle fasi cristalline Con le tecniche di spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS) si possono fare analisi qualitative e quantitative molto precise degli elementi presenti sulla superficie e del loro stato di ossidazione. q Analisi isotopiche che studiano i rapporti di concentrazione degli isotopi stabili di carbonio e ossigeno. Questo permette di caratterizzare con estrema precisione l’origine di una roccia e di individuare, in casi fortunati, addirittura la cava di estrazione. L’individuazione della cave permette una preziosa comparazione fra l’evoluzione naturale della pietra e quella in ambienti antropizzati. q Analisi dei sali solubili presenti all’interno del materiale lapideo. Una volta estratti (con impacchi di cellulosa impregnata di acqua deionizzata) si può misurare la conducibilità della soluzione per un dosaggio della quantità totale di ioni presenti, si può fare uno spettro UV/VIS per un’analisi qualitativa e quantitativa degli anioni di cui si conosce l’assorbanza specifica, si può fare una spettrofotometria di assorbimento atomico per individuare la quantità di alcuni ioni metallici presenti (calcio, potassio, magnesio, sodio e ferro). q Cromatografia che permette di caratterizzare i composti presenti, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. q Valutazione della porosità del materiale q Analisi termiche: la temodifferenziale (DTA) e la termogravimetrica (TGA). Con queste analisi si è studiata soprattutto la composizione delle croste nere e degli strati sovrapposti alla pietra. Per quanto riguarda gli inquinanti biologici è necessaria una valutazione quantitativa della presenza di microrganismi perché una contaminazione microbica naturale è sempre presente ma non sempre rappresenta un problema. Anche l’identificazione di alghe, muschi, licheni e piante superiori è materia per specialisti e va fatta sul luogo o per mezzo di prelievi. Un importante strumento a disposizione dello studioso dei comportamenti dei materiali lapidei sono le camere climatiche cioè ambienti in atmosfera controllata in cui si eseguono test con inquinanti o con variazioni di umidità e temperatura. A conclusione della descrizione delle possibili indagini da compiere su un manufatto lapideo è interessante riportare quanto è stato fatto per il David di Michelangelo. FIG. 33 È stato realizzato un rilievo tridimensionale della statua in formato digitale. Questo è un ottimo modo di visualizzare i dati, le misurazioni, le immagini in UV: il modello in 3D è un naturale supporto per creare e consultare la banca dati completa, puntuale e aggiornata della situazione del David. È un precedente autorevole e la validità di questo modo di raccogliere ed esporre le informazioni è evidente a tutti. Lapidei FIG. 32 FIG. 33 Lapidei 29 PULITURA Le informazioni guidano la scelta della metodologia più opportuna per rimuovere le formazioni deturpanti e/o degradanti. La pulitura accurata e profonda assicura l’assenza di qualunque sostanza in grado di proseguire o innescare processi di degrado senza intaccare la struttura sana del materiale. Saranno descritti prima i metodi per asportare biodeteriogeni e poi quelli per rimuovere le formazioni di origine chimica. Metodi di intervento per biodeteriogeni La scelta è funzione del tipo di biodeteriogeno presente, della consistenza del suo sviluppo, dello stato di conservazione del materiale lapideo e delle dimensioni del manufatto. Per quanto riguarda i danni provocati dai volatili si cerca di tenerli lontani dai monumenti rendendo le superfici su cui essi si poggiano poco “accoglienti”: applicando delle punte metalliche, della sostanze appiccicose o un sistema di fili conduttori che producono elettricità a bassa tensione quando gli uccelli vi si appoggiano. Si possono usare anche sistemi di altoparlanti a radiofrequenze che diffondono la registrazione del verso di uccelli predatori. Per quanto riguarda l’eliminazione di biodeteriogeni vegetali è un processo meccanico e manuale che può essere portato avanti con mani, spazzole rigide, bisturi, spatole o microsabbiatrici come riportato nella tabella. BIODETERIOGENO PRETRATTAMENTO STERILIZZANTE PULITURA MEDIANTE Batteri No Acqua nebulizzata, microsabbiatura, impacchi assorbenti Alghe Si Spazzola rigida, spatola fogliosi No Spazzola rigida, spatola crostosi Si Spazzola rigida, microsabbiatura No Diserbo manuale erbacee Si/No Diserbo manuale legnose Si Diserbo manuale, taglio alla radice Licheni Muschi Piante Da P. Tiano “Problemi biologici nella conservazione delle opere in marmo esposte all’aperto” OPD “Speciale marmo” pg 47 – 53. Mentre l’eliminazione dei muschi non presenta alcun problema perché non si ancorano né penetrano nel substrato litoico, l’asportazione delle altre specie può presentare qualche complicazione: la rimozione di alghe o licheni con spatole o spazzole rigide può provocare la rottura delle cellule e la fuoriuscita di clorofilla o di pigmenti colorati che si adsorbono sulla superficie lapidea. L’asportazione del tallo di licheni crostosi provoca la formazione di un’impronta negativa, il cosiddetto pitting; per piante di tipo arbustivo o arboreo, con ampio e profondo apparato radicale, il diserbo manuale oltre che difficoltoso può risultare pericoloso per la stabilità del manufatto. Risulta quindi conveniente provocare la morte dell’organismo prima di procedere alla rimozione cosicché questa risulterà più semplice e definitiva. Si possono Se il manufatto è di dimensione tale usare metodi diretti (eliminando acqua o luce) o indiretti (raggi UV o erbicidi). da poter essere trasportato in un ambiente confinato e controllabile, l’applicazione Metodi di intervento per formazioni di origina chimica. Si tratta di rimuovere patine e croste variamente adese e coese sulla superficie e di di questo metodo è facile. Su scala media asportare i sali presenti all’interno della struttura portando i materiali di degrado alla si possono impiegare impacchi di argille assorbenti, spessi 2 o 3 cm che ricoprono disgregazione e /o alla solubilizzazione. completamente le patine vegetali o teli di Nel primo caso i metodi si definiscono fisici, nel secondo chimici. I metodi fisici usati su grandi superfici prevedono l’abrasione, la scalpellatura o la plastica, impermeabili alla luce che avvolsabbiatura non controllata sia a secco che a umido. Su superfici più piccole o comun- gono il manufatto. que di pregio i metodi sono gli stessi ma condotti con strumenti di dimensioni ridotte in mano ad esperti che siano in grado di controllare perfettamente gli effetti prodotti. 29 Lapidei 30 In questi casi le operazioni possono richiedere tempi lunghi. Come esempi ricordiamo: q L’uso di microsabbiatrici di precisione nella pulitura di croste nere (per esempio sui Capitelli Teodoriciani del Palazzetto Veneziano a Ravenna e sui fregi della facciata di Palazzo Rucellai a Firenze); q L’uso di piccoli scalpelli a percussione di applicazione odontotecnica, azionati ad aria compressa per rimuovere le patine di calcare di cristallizzazione dalla Fontana di Trevi. q L’uso del laser, specialmente per opere particolarmente preziose: i fregi della facciata di Palazzo Rucellai a Firenze e il gruppo marmoreo dei Quattro Santi Incoronati di Nanni di Banco in Orsanmichele a Firenze. Grazie all’uso del laser è stato possibile tornare a mettere in evidenza quello che è rimasto delle antiche dorature delle chiome, delle barbe e delle decorazioni dei bordi delle vesti, dei libri e dei calzari della cui esistenza avevano dato consapevolezza conoscenze documentarie. I metodi fisici si limitano comunque a rimuovere gli strati sovrapposti alla superficie esterna del manufatto. I metodi chimici, oltre a solubilizzare questi stessi strati, possono essere impiegati anche in modo da asportare i sali depositati nei primi strati interni del materiale. La solubilizzazione dei sali può avvenire in acqua semplice o deionizzata o in soluzioni di acidi, di basi, di tensioattivi o di complessanti. Su grandi superfici l’acqua viene utilizzata mediante spray o getti di vapore ad alta pressione in modo da rafforzare il suo potere solvente con l’azione meccanica e/o termica. q Gli acidi si usano con molta cautela perché nonostante il trattamento preveda accurati lavaggi e neutralizzazione dei prodotti formati e dei reagenti in eccesso, non è possibile proteggere completamente la pietra sana dall’aggressività dell’attacco acido. Anche i componenti ferrosi dei minerali presenti possono essere ossidati dagli acidi con formazione di macchie rugginose difficilmente rimovibili. Inoltre la neutralizzazione porta alla formazione di sali più o meno solubili con le conseguenze che sono già state descritte. q Le sostanze basiche (soda, NaOH o ammoniaca NH3) hanno lo scopo di saponificare le sostanze grasse eventualmente presenti nelle croste nere. q I tensioattivi più usati sono quelli neutri perché i cationici, gli anionici e gli zwitterionici sono troppo aggressivi. I tensioattivi presentano però lo svantaggio di essere difficilmente rimovibili e igroscopici per cui favoriscono il ristagno di umidità. Per opere di pregio l’acqua si può usare in modo più sofisticato. Si può nebulizzare aumentando così esponenzialmente la superficie di contatto. Si può usare acqua deionizzata che ha un potere solvente più elevato (tanto che può risultare aggressiva) perché la sua bassa forza ionica fa aumentare la solubilità di tutti i sali. Si può usare acqua sotto pressione così si sfrutta anche l’azione meccanica. Ma l’uso di impacchi con materiali assorbenti (tipo attapulgite o cellulosa derivatizzata) è il metodo che sfrutta meglio il potere solvente dell’acqua pura o contenente complessanti o desolfatanti q I complessanti agiscono soprattutto nei confronti dello ione calcio anche se sono attivi con tutti i cationi bivalenti. Deve quindi essere usata cautela per la lroo applicazione su superfici policrome: i pigmenti sono sali e i loro cationi possono essere complessati. Il complessante più usato è l’EDTA, cioè l’acido etilendiamminotetracetico nella forma di sale bisodico. q I desolfatanti servono ad eliminare il gesso che è solfato di calcio. Sono state provate molte sostanze che attraverso le reazioni di scambio o doppio scambio portano a prodotti solubili o volatili o con caratteristiche chimico-fisiche più simili a quelle del substrato di partenza. Ricordiamo i composti e le reazioni con il gesso: 1) ammonio carbonato al 20% (pH 9,2) CaSO4. 2 H2O + (NH4)2CO3 Gesso carbonato d’ammonio → (NH4)2SO4 + CaCO3 solfato d’ammonio (solubile) carbonato di calcio Tensioattivi = molecole costituite da una lunga catena idrocarburica a carattere non polare e una testa polare (di varia natura). Questa doppia natura fa sì che queste molecole possano efficacemente interagire sia con le sostanze idrofile che con quelle idrofobe. La formula è: (HOOCH2C)2N-CH2-CH2-N(CH2COO-) 2Na2+ L’EDTA forma complessi ottaedrici con tutti i cationi metallici bivalenti legandoli con i due atomi di azoto e i quattro di ossigeno. La reazione deve avvenire in ambiente tamponato per controllare l’abbassamento del pH. Lapidei 31 2) idrossido di bario soluzione satura CaSO4. 2 H2O + Ba(OH)2 → Idrossido di bario Ba(OH)2 + CO2 → BaSO4 + Ca(OH)2 + 2 H2O solfato di bario BaCO3 + H2O 3) ammonio carbonato e idrossido di bario CaSO4. 2 H2O + (NH4)2CO3 (NH4)2SO4 + Ba(OH)2 Ba(OH)2 + CO2 → → → (NH4)2SO4 + CaCO3 BaSO4 + NH3 + 2 H2O volatile BaCO3 + H2O 4) ossalato di ammonio al 5% CaSO4. 2 H2O + (NH4)2C2O4 → (NH4)2SO4 + CaC2O4 Prima di commentare l’efficacia e l’azione di ognuno di questi trattamenti è necessario far notare come essi possano avere anche valenze consolidanti e/o protettive. Infatti i sali che si formano oltre a eliminare il solfato possono avere potere legante o passivante cioè essere in grado di ricreare la coesione che era venuta a mancare o di formare una patina protettiva che impedisce il contatto fra la pietra sana e l’ambiente inquinato. Passiamo adesso a descrivere gli effetti di ogni trattamento. 1) L’ammonio carbonato si è rivelato un ottimo desolfatante: se lasciato in contatto il tempo necessario, la reazione è praticamente quantitativa perché il carbonato di calcio che si forma non ha una funzione passivante e permette il procedere delle reazioni di trasformazione. Il carbonato ha però minori proprietà coesive del gesso e un maggior potere coprente per cui si può avere una perdita di coesione e di saturazione così da richiedere un successivo adeguato trattamento consolidante. 2) L’idrossido di bario permette una desolfatazione solo parziale perché il solfato di bario che si forma ha un’azione passivante sulla parte residua del cristallo di gesso impedendone la completa trasformazione. Quindi ad una scarsa efficacia desolfatante corrisponde un’ottima azione protettiva che però si potrebbe esercitare anche su croste e patine se non vengono eliminate in altro modo. 3) La combinazione di ammonio carbonato seguito da idrossido di bario dà risultati eccellenti in termini di risanamento: si elimina il gesso in maniera quantitativa e i composti di bario che si formano sono caratterizzati da inerzia chimica, volume specifico e indice di rifrazione simili al carbonato di calcio sano, insolubilità (BaSO4) e da una nota azione consolidante (BaCO3). 4) L’ammonio ossalato ha un comportamento molto simile all’idrossido di bario dato che l’ossalato di calcio che si forma ha la stessa azione passivante del BaSO4. Quindi, previa rimozione del gesso per altre vie, il trattamento a ossalato ha una grande valenza protettiva soprattutto in quei casi che non tollererebbero il pH alcalino (pH circa 13) della soluzione di idrossido di bario. L’ammonio ossalato lavora a pH neutro. L’ossalato di calcio che si forma è praticamente insolubile, per questo è protettivo, ma può formare patine biancastre che alterano l’equilibrio cromatico. Per eliminare ed estrarre il gesso si è provato anche ad applicare impacchi di resine a scambio anionico per sequestrare lo ione solfato. Esse agiscono in presenza di acqua ma la loro efficacia desolfatante è solo parziale e non è compensata da un’azione passivante a meno che non ci sia un successivo trattamento con idrossido di bario o con ammonio ossalato. Qualunque sia il trattamento scelto è necessario un lavaggio finale prolungato e accu Ricordiamo l’uso della resine per la pulitura delle parti lapidee della Tomba di Piero e Giovanni de’ Medici di Andrea del Verrocchio nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze. 31 32 rato per eliminare gli eccessi di reattivo, i prodotti solubili o poco solubili che in una successiva cristallizzazione potrebbero creare patine biancastre. Ricordiamo qui che gli impacchi di materiali assorbenti possono contenere anche biocidi o solventi organici tipo acetone per eliminare alcuni tipi di patine biologiche. CONSOLIDAMENTO Il consolidamento è un trattamento che si effettua sul manufatto per ripristinare la caratteristiche strutturali del materiale. Si tratta di migliorare la coesione del materiale degradato e la sua adesione al substrato sano. Esiste una scala di interventi calibrati sui problemi da risolvere: a) consolidamento strutturale b) consolidamento in profondità C) fissaggio Il consolidamento strutturale si impone quando dovesse essere in pericolo l’integrità stessa o l’equilibrio statico del manufatto. Si passa da interventi edilizi veri e propri (contrafforti, fondamenta ecc), all’uso di perni metallici per fissare blocchi o parti essenziali fino al riempimento di fessure. L’uso di perni, oltre richiedere la foratura dell’opera, crea i problemi connessi all’accoppiamento di materiali diversi e ai prodotti di corrosione dei metalli. Attualmente si usano acciai speciali o leghe a base di titanio. Nel caso in cui si debbano riempire fessure o “incollare” frammenti si ricorre a materiali che devono avere caratteristiche adesive e tridimensionali: gli stucchi cioè impasti di inerti e leganti plastici. Tra le formulazioni che sono state usate e provate ricordiamo: malta a base di polvere di marmo, grassello, resina acrilica e pigmenti per il marmo; polvere di pietra, grassello e pigmenti per la pietra serena; cera colorata e polvere di marmo mescolate a caldo per il porfido e la serpentina. Questi interventi sono stati effettuati sulle parti lapidee della Tomba di Piero e Giovanni de’ Medici di Andrea del Verrocchio nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze. Per le microfessurazioni sono state eseguite iniezioni di resine epossidiche molto fluide (Capitelli Teodoriciani del Palazzetto Veneziano a Ravenna). Le resine epossidiche sono più adatte per interventi di “incollaggio” che per interventi consolidanti veri e propri. Il consolidamento in profondità e il fissaggio sono due trattamenti molto simili sia concettualmente sia per i prodotti utilizzati. Si tratta di ricostruire quell’impalcatura strutturale microscopica che garantisca il ripristino delle proprietà meccaniche del materiale. Nel consolidamento questo deve avvenire per spessori più grandi, nel fissaggio si limita agli strati superficiali. L’uno o l’altro intervento dipendono dalla profondità raggiunta dagli effetti del degrado e, indirettamente, dalla porosità naturale della pietra. In pratica si tratta di trovare dei prodotti che penetrino nei pori e poi diano luogo a reazioni che diminuiscano o rendano uniforme la porosità generale. Quindi le differenze saranno nelle formulazioni dei prodotti: più fluide, più penetranti, meno concentrate, con solventi meno volatili e con tempi di reazione più lenti i consolidanti, con caratteristiche opposte i fissativi. I consolidanti si distinguono in tre grandi categorie: composti inorganici, a base di silicio e organici. I composti inorganici hanno il vantaggio di poter penetrare facilmente in soluzione acquosa, di avere una natura chimica simile a quella del materiale che li circonda mentre hanno gli svantaggi di essere rigidi, comunque solubili e idrofili. Materiali che hanno questa funzione sono la calce (Ca(OH)2) e il bicarbonato di calcio (Ca(HCO3)2) che per carbonatazione e decarbossilazione, rispettivamente, danno carbonato di calcio cioè calcite di ricristallizzazione meno cristallina (quindi più reattiva) e più ingombrante rispetto all’originaria. Un altro materiale è l’idrossido di bario che produce carbonato di bario con notevole capacità consolidante come già visto. I composti a base di silicio sono molto numerosi e sono stati molto usati (vedi la trattazione sulle cause di degrado in questo stesso capitolo). Fra i consolidanti organici ricordiamo le resine epossidiche che abbiamo già descritto, Lapidei Lapidei 33 le resine acriliche e i perfluoropolieteri, corte molecole fluorurate di grande inerzia chimica. I trattamenti consolidanti hanno una loro vita utile più o meno lunga e con il tempo, il contatto con l’ossigeno e con l’umidità, l’esposizione ai raggi solari perdono le loro caratteristiche. Possono perdere l’aderenza alla pietra (resine acriliche, perfluoropolieteri), l’idrorepellenza (silani e siliconi), la trasparenza (le resine epossidiche ingialliscono, i fluosilicati formano una patina biancastra), i legami con la pietra interna (silicati organici). Bisogna quindi essere pronti a monitorare l’evoluzione per intervenire di nuovo quando si presentano segni di indebolimento. Un’altra caratteristica dei trattamenti consolidanti è la loro irreversibilità; per questo bisogna prestare molta attenzione alle caratteristiche chimiche dei prodotti e alle loro conseguenze. Occorre inoltre che siano “bagnanti” per la pietra, cioè siano in grado di stabilire dei legami ma non devono chiudere i pori altrimenti la naturale circolazione del vapore acqueo viene ostacolata e si possono creare o aggravare fenomeni di subflorescenze. Queste sostanze si possono applicare a pennello, a spruzzo o con impacchi come quelli già visti per la pulitura. È ovvio che il consolidamento deve seguire un’accurata pulitura altrimenti si “consolida” anche lo sporco. PROTEZIONE. La protezione può essere strutturale o superficiale. Quella strutturale prevede la costruzione di vere e proprie barriere fisiche che proteggano la struttura dall’acqua piovana, battente, corrente, di risalita capillare o infiltrazione. Pensiamo a tetti, pensiline, grondaie e sistemi di convogliamento dell’acqua piovana o di scarichi sotterranei idrici; “tagli” di mura per isolare dall’umidità di infiltrazione o risalita, eliminazione di zone fredde per evitare la formazione di condensa. Il trattamento superficiale consiste nel costituire una barriera fra il materiale lapideo e l’ambiente che lo circonda. Quale che sia il prodotto scelto esso deve avere precise caratteristiche: inerzia chimica e fisica nei confronti del materiale lapideo e dell’atmosfera (ossigeno, umidità, radiazione ultraviolette), trasparenza e assenza di colore, idrorepellenza, insolubilità in acqua e in solventi organici (se si vogliono successivamente eliminare vernici, scritte ecc), bassa volatilità, permeabilità ai gas (aria e vapor d’acqua), adeguato coefficiente di dilatazione termica e di elasticità, adesività, scarsa penetrazione per garantire la reversibilità quando comincia a perdere le caratteristiche che ne assicurano l’efficacia. Lo scopo principale è comunque quello di limitare il più possibile la penetrazione dell’acqua. I protettivi possono essere di natura organica e inorganica. Storicamente su statue e opere di pregio sono state usate sostanze organiche come la cera applicata sia a freddo che a caldo (encausticatura) in solvente o in emulsione e gli oli siccativi, soprattutto di lino. Tutto sommato, a parte l’ingiallimento degli oli, hanno sufficientemente assolto al loro compito consegnandoci dei capolavori in buono stato generale. Su superfici di grande estensione o poco pregio si creava uno strato di “sacrifico” a base di calce: un intonaco o una scialbatura. Fra i materiali inorganici assumono un’importanza sempre crescente le patine minerali di ossalato. Esse si ritrovano su tantissime tipologie di manufatti antiche: sculture in marmo e altri materiali lapidei, sculture in bronzo, pitture su tavole e tele e sculture policrome, mosaici, vetrate, stucchi decorativi, manufatti lignei, affreschi. Possono essere loro le “patine del tempo” perché hanno quel colore miele che fa subito percepire lo scorrere del tempo sull’oggetto osservato. Gli ossalati si trovano a diretto contatto con la superficie del materiale e formano patine molto sottili (poche decine di micron), fortemente aderenti al supporto, notevolmente compatte, con una struttura a volte stratificata. Le caratteristiche chimiche dell’ossalato di calcio, il più presente (in misura minore, sulle statue bronzee, troviamo anche ossalato di rame), sono una elevata stabilità chimica e una bassa solubilità in un ampio intervallo di pH (2,5-13). Questo le rende resistenti 33 Lapidei 34 all’aggressivo attacco acido delle atmosfere delle nostre città. E’ presente in due forme cristalline a differente stato di idratazione: il monoidrato CaC2O4. H2O (whevellite a cella monoclina prismatica) e il biidrato CaC2O4. 2 H2O (weddellite a cella tetragonale dipiramidale). Dal punto di vista ottico, la sfumatura che caratterizza queste formazioni, è dovuta all’inclusione di particellato talvolta di natura silicatica. La stabilità chimico – fisica e strutturale dell’ossalato biidrato, la sua collocazione prevalentemente a stretto contatto con la superficie del manufatto (le croste nere sono ben distinguibili al di sopra di queste patine) determinano una schermatura naturale di eccezionali proprietà protettive. I controlli effettuati sulle superfici di materiali analoghi esposti in ambienti non antropici (nelle cave) hanno rivelato l’assenza di patine protettive di simile composizione. Questo ha posto il problema di avanzare delle ipotesi sulla formazione di questo composto. Il calcio ossalato è un composto inorganico che proviene dalla “mineralizzazione” dell’acido ossalico, organico (HOOC-COOH). Tale mineralizzazione può essere prettamente chimica o mediata da organismi biologici. Detto questo la genesi di questo composto può avere quattro spiegazioni. q Deposito di calcio – ossalato o acido ossalico presente nel particellato atmosferico. Un tale processo non può dar luogo a patine sottili, uniformi e compatte e non può essere ipotizzato in ambiente preindustriale. Infatti questa ipotesi servirebbe a interpretare la presenza di ossalato nelle croste nere. q Trasformazione per ossidazione e mineralizzazione delle sostanze organiche usate come protettivi nel passato: film protettivi di uovo, colle, oli, patinature intenzionali effettuate con leganti pigmentati ecc. Questi trattamenti erano applicati ai più disparati tipi di manufatti. A sostegno di questa ipotesi c’è la presenza ubiquitaria di patine di ossalato, il ritrovamento di tracce di film proteici o oleosi, la struttura a volte stratificata delle patine riconducibile a stesure sovrapposte. q Uso saltuario di acido ossalico in alcuni trattamenti superficiali di marmo e bronzo (lucidatura, pulitura, patinatura). Sebbene supportato da riferimenti letterari e da consuetudini conservative questa ipotesi non giustifica né la struttura compatta né la presenza di ossalato su altri tipi di manufatti per i quali non è previsto il trattamento sopra indicato: affreschi, mosaici, vetrate ecc. q Metabolismo biologico. Alcuni microrganismi sviluppano acido ossalico come regolatore del calcio solubile. In questo caso i filmogeni protettivi organici avrebbero la funzione di nutrimento per lo sviluppo di questi organismi. Quale che sia la loro origine è indubbio che su manufatti lasciati per lungo tempo indisturbati si sono formate queste patine dalle eccezionali proprietà protettive. Questo ha spinto a considerare la possibilità di creare delle patine artificiali di ossalato di calcio a protezione delle superfici lapidee che avessero subito trattamenti conservativi di pulitura e consolidamento. Tali patine rispetterebbero le caratteristiche necessario di un buon protettivo: oltre all’inerzia chimica avrebbero un indubbia compatibilità con il substrato vista la comune natura minerale, non altererebbero le caratteristiche ottiche perché gli ossalato artificiali sono incolori e la sottigliezza delle stesure le rende traslucide, permetterebbero la circolazione di liquidi e vapor d’acqua. Il trattamento prevede l’applicazione per 5-24 ore di impacchi (argille o cellulose) di ossalato d’ammonio saturo (al 5-6%) per avere la seguente reazione di doppio scambio: CaCO3 + (NH4)2C2O4 → CaC2O4 + NH3 + H2O + CO2 L’ossalato è insolubile mentre gli altri tre prodotti sono volatili. La reazione ha un effetto passivante nel senso che ricopre tutti i microgranuli calcarei di uno strato inerte di ossalato difendendone l’integrità senza far avvenire una trasformazione della massa. La soluzione di ossalato di ammonio non ha carattere corrosivo perché ha pH 7 ma il trattamento deve essere seguito da lavaggio accurato per eliminare residui di reagente in eccesso. Possiamo concludere con alcune osservazioni sul problema della protezione che confluisce in quello della manutenzione e conservazione. Questo rientra nelle abitudini e nei comportamenti antichi quando la manutenzione Un trattamento del genere è stato eseguito a conclusione dell’intervento di pulitura sull’”EternoPadre” di Baccio Bandinelli conservato nel Chiostro di Santa Croce a Firenze. Lapidei 35 ordinaria era un normale modus operandi: la semplice spolveratura, il diserbo manuale di piante appena cresciute fino al periodico rinnovamento degli strati protettivi (oli e cere). Quando i manufatti si trovano all’aperto o sono di grandi dimensioni è praticamente impossibile cambiare le condizioni ambientali o tenerle sotto controllo per evitare che si riproducano gli stessi problemi appena eliminati con il restauro. In alcuni casi è stato costruito intorno un ambiente che confinava così l’atmosfera in cui il manufatto si trovava per poter tenere sotto controllo i parametri termoigrometrici e compositivi: pensiamo all’Ara Pacis di Roma. In altri casi si è deciso di portare al chiuso dei manufatti originali o troppo esposti all’aggressione chimica o biologica: pensiamo alla statua del Marcaurelio a Roma o alle strutture della Fonte Gaia a Siena. In questo casi si pone il problema di fare delle copie da esporre per non perdere la fruibilità e il significato storico – artistico contestuale dell’opera e nello stesso tempo da sacrificare agli agenti degradanti. Accenniamo solo a due dei problemi che si possono presentare: come fare i calchi e quali materiali utilizzare. Per fare i calchi da cui ricavare le copie si usano composti siliconici che però non devono penetrare troppo nel materiale, non devono creare un ambiente troppo acido durante la polimerizzazione e devono dar luogo ad un calco che si stacchi facilmente. Fra i materiali da usare per fare delle copie o per integrare il manufatto qualora ci fossero delle parti mancanti si può cercare la stessa pietra dell’originale (quando se ne è individuata la provenienza con precisione e qualora la cava sia ancora fruibile), si può scegliere una pietra simile per le caratteristiche ottiche ma facilmente distinguibile ad un esame più attento (per il principio della riconoscibilità di un intervento di restauro), si può usare un litotipo artificiale. Questi sono aggregati di pietre, uguali o simili all’originale, polverizzate per dare l’intonazione cromatica e resine organiche le cui caratteristiche di plasticità, resistenza chimica e idrorepellenza possono essere interessanti. 61. Quali fattori ambientali potrebbero influire sul benessere di una statua all’aperto? E di una in ambiente mussale? 62. Quali indagini ci permettono di caratterizzare struttura, composizione e penetrazione dei componenti delle croste nere? 63. Come si possono tenere lontani i volatili? 64. Quali sono i metodi per eliminare i vari tipi di vegetali? 65. Con quali metodi fisici si possono ripulire dalle croste e/o dalle patine superfici lapidee di pregio? 66. Quali sono i modi definiti “sofisticati” di usare l’acqua? 67. In quale situazione diventa pericoloso usare l’EDTA? 68. Quali sono i desolfatanti usati? Qual è lo scopo comune e generale di tutti loro? 69. In che cosa invece differiscono? Quale alla fine di tutte le considerazioni risulta il più efficace? Perché? 70. Come si può effettuare un consolidamento strutturale? 71. Qual è la differenza fra consolidamento e fissaggio? 72. Quali caratteristiche generali devono avere le sostanze usate come consolidanti? 73. Spiegare quali sono le caratteristiche chimiche dell’ossalato che ne fanno un ottimo protettore. 74. Perché patine di ossalato si ritrovano praticamente su manufatti antichi di ogni tipo ma non sui materiali originari (es. cave) coevi? 75. Come si risolve il problema di proteggere da condizioni ambientali sfavorevoli monumenti e statue che si trovano all’aperto. 35 Lapidei 36 Esercizi 1. Le rocce sono formate da .................................................................................. che hanno ben definite Che può essere In base alla quale si dividono in ............... es. cubica (l’80%) Complessa es............... E cioè Solfati e solfuri Es. Es. Es. 2. Completare la seguente tabella sulla cristallizzazione dei minerali MECCANISMI 1 2 3 4 5 CAUSE Solidificazione di un fuso Solubilità dei composti Es. Lapidei 37 3. Completare il seguente schema di classificazione delle rocce Rocce In base alla composizione In base al raffreddamento Attraverso le fasi di Attraverso processi detti Si può cambiare 37 Lapidei 38 4. I minerali che costituiscono le rocce ignee sono tutti silicati: in che cosa però differiscono? 5. Dal colore di una roccia posso sapere dove si è formato il fuso. Completa la frase seguente. Se una roccia è chiara/scura significa che è acida/basica cioè contiene una alta/bassa percentuale di silice/carbonato: infatti viene detta anche femica/sialica. Gli ossidi che la compongono sono quindi di ……………………..e di………………….. : elementi piuttosto leggeri/acidi. Gli ossidi quindi fondono a temperature piuttosto alte/basse, quindi i magmi si sono formati nella crosta terrestre/all’inizio del mantello dove le condizioni sono/non sono così drastiche. Il processo di formazione del magma è detto di………………………cioè di fusione totale/parziale. Il magma risulta fluido/viscoso per la presenza di……………………………… 6. Fare i giusti collegamenti. RAFFREDDAMENTO FUORI/DENTRO LA CROSTA TERRESTRE STRUTTURA ESEMPI Veloce Dentro Porfirica Lento Fuori Vetrosa Granito Fuori/dentro Macrocristallina Basalto Fuori Microcristallina Porfido Molto veloce Frazionato Ossidiana 7. Completare la frase seguente: Nella disgregazione delle rocce l’acqua può avere sia un’azione………………… o di erosione che ……………………………… o……………………………….. Nel primo caso si hanno fenomeni di: a. b. Nel secondo caso si hanno reazioni di: a. b. c. 8. A che cosa è dovuta la deposizione dei detriti? 9. Descrivere le due fasi della diagenesi o litificazione. 10. Fra le rocce sedimentarie indicarne una che non ha subito trasporto disgregazione diagenesi Lapidei 39 11. Segna le risposte giuste: di struttura di composizione Il metamorfismo provoca variazioni solo di struttura ma mentre quello di contatto provoca variazioni solo solo di composizione di entrambe quello regionale a basse profondità solo di struttura solo di composizione di entrambe e quello regionale a profondità maggiori solo di struttura solo di composizione di entrambe attraverso processi di ricristallizzazione di anatessi di cambiamenti di fase 12 Riempi le seguenti tabelle inserendo le rocce nelle opportune caselle. ROCCE MAGMATICHE ACIDE EFFUSIVE BASICHE ACIDE INTRUSIVE BASICHE VETROSE ROCCE SEDIMENTARIE CLASTICHE COERENTI INCOERENTI PIROCLASTICHE CALCAREE ORGANOGENE SILICICHE ORGANICHE CALCAREE CHIMICHE SILICICHE SALINE RESIDUALI ROCCE METAMORFICHE METAMORFISMO DI CONTATTO METAMORFISMO REGIONALE A BASSA PROFONDITÀ METAMORFISMO REGIONALE A ALTA PROFONDITÀ 39 Lapidei 40 13. Indicare accanto ad ognuna di quelle sotto elencate se si tratta di proprietà mineralogiche (M), fisiche (F), meccaniche (Me), termiche (T), chimiche (C), tecnologiche (Tc), altre (A). Lavorabilità Coefficiente di dilatazione Resistenza all’azione degli agenti esterni a compressione al fuoco agli urti al taglio Colore Tessitura Durezza Densità Composizione Aderenza alle malte Permeabilità Durevolezza Giacitura 14. Da cosa dipende il colore di una roccia? Perché può cambiare? Fare degli esempi concreti. 15. Associare ad ogni tipo di cava il tipo di roccia estratto. CAVE ROCCE a cielo aperto collinari/montuose sabbie e ghiaie in galleria tufo letto di fiumi/laghi pietre e marmi 16. Cos’è il “cappellaccio”? 17. Descrivere i due diversi modi in cui si può usare la dinamite in una cava. Che cosa se ne ottiene? Lapidei 41 18. Per tagliare la pietra si usano vari tipi di sega: che cosa si ottiene da ognuno? Filo elicoidale Seghe a telaio Seghe alternative 19. Fare i giusti collegamenti fra gli attrezzi usati e le lavorazioni eseguite. Frese Bocciarda Incisione Feltri Scalcagnolo Mazzuolo Lucidatura Sgorbia Martellina Moli abrasive Levigatura Subbia Gradina Fiamma ossidrica Battitura Scalpello 20. Riempi la seguente tabella: ROCCIA COMPOSIZIONE e/o STRUTTURA ORIGINE PROPRIETÀ / CARATTERISTICHE USI e VARIETÀ GRANITI OSSIDIANA POMICI PORFIDI BASALTI GHIAIE CONGLOMERATI SABBIE ARENARIE TUFO TRAVERTINO ALABASTRO GNEISS FILLADI MARMI 41 Lapidei 42 21. In quali modi l’energia termica che arriva dal sole provoca degrado, sia direttamente che nelle sue interazioni con l’acqua. 22. La natura dipolare dell’acqua insieme alla porosità della pietra spiega molti dei problemi degradativi di natura chimica delle pietre. Spiegare. 23. Esponendo tutte le considerazioni necessarie individuare l’organismo vegetale più pericoloso per il degrado dei manufatti lapidei. 24. Quali conseguenze hanno sullo stato di coesione e adesione dei materiali lapidei gli inquinanti presenti nell’aria? 25. In che senso i processi di lavorazione possono indebolire la struttura di una pietra? 26. Spiegare tutti i meccanismi con cui l’acqua (con le sue proprietà e i vari stati di aggregazione) può provocare il degrado. 27. Indicare i vari modi (volontari e involontari) con cui l’uomo può provocare il degrado dei materiali lapidei. 28. Completare il seguente schema. Gli effetti del degrado possono essere: e allora si parla di degradazione di origine chimica 29. Perché le croste nere sono così pericolose e così difficili da togliere? 30. In che senso i problemi di decoesione si possono trasformare in problemi di deadesione? 31. Quali informazioni utili ad un intervento di restauro apportano gli studi ambientali e d’archivio? Lapidei 43 32. Descrivere il modo in cui le informazioni ricavate sul Davide di Michelangelo sono state esposte. Spiegarne la novità e l’efficacia. 33. Spiegare le procedure e le analisi da compiere per definire la composizione, la penetrazione e la struttura delle croste nere. 34. Come si applicano i biocidi nei diversi casi per eliminare i vari tipi di vegetali? 35. Completare la seguente frase: La pulitura consiste nel disgregare/solubilizzare i prodotti di degrado con metodi chimici/fisici o nel ........………………………… con metodi ..…………………………. 36. Riempi il seguente schema. su grandi superfici su piccole superfici ACQUA microscalpelli dentistici nebulizzata con es. EDTA 43 Lapidei 44 37. Fare i giusti collegamenti. DESOLFATANTI PRODOTTI PRECIPITATI PRODOTTI evaporati o solubili CARATTERISTICHE del trattamento (NH4)2CO3 BaSO4 + BaCO3 NH3 Ottimo desolfatante ma non consolidante Ba(OH)2 BaSO4 + BaCO3 (NH4)2SO4 Mediocre solfatante, ottimo protettivo (NH4)2CO3 + Ba(OH)2 CaC2O4 (NH4)2SO4 Ottimo desolfatante, consolidante e protettivo (NH4)2C2O4 CaCO3 (NH4)2SO4 Ottimo protettivo a pH più basso 38. Perché l’aggiunta di ammonio carbonato migliora l’azione desolfatante? 39. Perché sono necessari accurati lavaggi dopo ogni trattamento di pulitura? 40. Quali effetti di degrado si vogliono evitare usando perni di acciaio o di leghe al titanio? 41. Descrivere i difetti dei vari trattamenti di consolidamento con i composti a base di silicio. 42. Perché si è cercato di mettere a punto un metodo che rivestisse di un velo di ossalato la superficie dei manufatti lapidei da proteggere? Lapidei 45 BIBLIOGRAFIA GENERALE DI RIFERIMENTO Autori vari. PROBLEMI DI RESTAURO. Riflessioni e ricerche. EDIFIR. G. Perusini. IL RESTAURO DEI DIPINTI E DELLE SCULTURE LIGNEE. Storia, teorie e tecniche. Del Bianco Editore. C. Bucari, P. Casali, A. Lanari. CHIMICA PER L’ARTE. Calderini. C. Quaglierini, L. Amoroso. CHIMICA E TECNOLOGIA DEI MATERIALI PER L’ARTE. Zanichelli. M. Matteini, A. Moles. LA CHIMICA NEL RESTAURO. I materiali dell’arte pittorica. Nardini Editore. M. Matteini, A. Moles. 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