DAVID HABOBA
L’anima e il suo destino
Vito Mancuso
(italiano)
2006
[RIASSUNTO]
L’anima e il suo destino
Vito Mancuso
1 – Teologia di fronte alla coscienza laica
Teologia morale cattolica: “L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza”.
Le affermazioni specifiche della teologia non devono essere incompatibili con la scienza, perché il mondo è
uno solo com’è fatto lo sappiamo grazie alla scienza.
Credente o non credente, se ciascuno è onesto con se stesso, deve riconoscere che di fronte alla domanda
sulla vita dopo la morte gli compare solo un grande punto interrogativo. Ho detto mente, cioè pensiero
guidato dalla ragione, non immaginazione, cioè pensiero in balìa degli appetiti, la quale invece è
estremamente rapida nel produrre sentimenti rassicuranti per garantire che tutto, grosso modo,
continuerà come prima, come una corsa che, una volta cambiati i cavalli prosegue con la stessa carrozza,
sulla stressa strada, con gli stessi compagni. La realtà è un’altra, e se come sarà la vita futura è molto
difficile dirlo, una cosa è sicura: ammesso che ci sarà, sarà diversa, decisamente diversa: Per gli uomini che
sono morti sono pronte cose che essi non sperano né immaginano”, dice un frammento di Eraclito. A
motivo di tale inevitabile diversità, quando la mente pensa con rigore la morte e il suo oltre, si ritrova
davanti quasi solo domande.
Non c’è alcun dubbio che gli essere umani, per cercare di sopravvivere, si siano immaginati, e continuano a
immaginarsi, mondi e paradisi nell’aldilà.
Se all’origine della religione e della filosofia c’è il desiderio (o la necessità) di vincere la morte, il fatto di non
sapere nulla al riguardo attesta il fallimento della nostra religione e della nostra filosofia. Il pensiero
occidentale si ritrova come allo sbando, perché è evidente che, se non si conosce il destino che ci attende,
nulla si sa con sicurezza e tutto appare incerto, soggettivo, tutto sembra risolversi in una questione di gusti.
L’assenza della risposta sulla vita oltre la morte è il segno più evidente della crisi di occidente, perché
quando non si conosce il mistero della morte non si sa neppure perché vivere e che direzione dare alla vita.
La nostra civiltà cammina a tastoni. Chi non sa perché muore, non sa perché vive. Chi non sa che cosa è la
morte, non sa che cosa è la vita. Chi ha paura della morte, ha paura della vita.
Qualcuna tra i credenti ritiene che questa condizione di ignoranza sia un bene piuttosto che un male,
perché mette a nudo la condizione umana in quanto tale, definita dal non sapere e quindi chiamata a
risolversi nella fede e nell’ascolto della rivelazione divina depositata nella Bibbia.
Io invece ritengo che l’ignoranza sia sempre e solo un male, che la luminosità del sapere sia sempre molto
meglio dell’oscurità della fede, che la sicurezza e la fiducia nella vita siano l’atteggiamento sanno, maturo;
mentre il senso permanente di timore, disperazione, angoscia e cose del genere siano solo segno di una
coscienza acerba o malata. Per questo penso altresì che in teologia non vi possa essere nulla di stabile
senza un fondamento metafisico, e che la filosofia con la sua luce sia quanto mai necessaria alla vita
spirituale.
Ogni individuo ospita in se stesso la voce che gli parla della razionalità del cosmo e della sensatezza della
vita, e quella opposta che gli parla del nulla e dell’assurdo verso cui, più o meno stupidamente, tutti
camminiamo.
Per natura intendo il fondo primordiale dell’essere, ciò che fa nascere e apparire le cose, sia quelle inanime
come le pietre, sia quelle animate come la gattina dei miei figli o gli stessi miei figli, perché anch’essi sono
natura.
La natura è il luogo di nascita dell’essere, come indica già lo stesso termine latino natura, che viene dal
verbo nascere e che contiene un potente rimando a un’azione inesausta, mai completata.
E a questo mistero della nascita continua dell’essere che io intento rimandare mediante il concetto di
natura, del quale, per distinguerlo dall’estrinseca accezione comune che pensa la natura come qualcosa al
di fuori di noi, come ambiente, io parlerò come natura-physis.
Il termine natura designa l’energia in modo tale da portarci a concepirla come mai compiuta, e per questo
sempre al lavoro. Energia, infatti è un termine greco che significa precisamente “al lavoro”, in “azione”, “in
atto”. L’universo è sempre al lavoro. Il lavoro è il respiro del cosmo, e di noi in quanto coscienza di esso.
L’energia ha prodotto per prima cosa la materia, e la materia, il cui nome deriva proprio dal latino mater,
ha prodotto noi mediante un lunghissimo processo evolutivo. La materia è la madre degli elementi
primordiali alla base della vita, della nostra come di ogni cosa dotata di movimento proprio.
L’evoluzione è un fatto, l’evoluzionismo è una teoria che interpreta questo fatto.
L’astrofisica contemporanea insegna che l’universo da 13,7 miliardi di anni e dominato dalla spinta
all’espansione. Prima era un puntino dalle dimensioni così microscopiche da non poter essere pensato, poi
ha iniziato la sua espansione giungendo a una grandezza così macroscopica da non poter essere a sua volta
neppure pensata, per la quale non c’è neppure un numero da scrivere se non il simbolo di infinito, visto che
è costantemente in aumento. Tale espansione dell’universo, dicono le scoperte dell’astrofisica più recenti,
non dovrebbe fermarsi mai: l’ipotesi del Big Crunch sembra ormai tramontata. L’espansione costituisce
probabilmente la legge fondamentale della natura.
Le mutazioni avvengono, sono singoli fenomeni che si danno, e si danno per caso. Ricerche nel campo della
microbiologia avrebbero ormai rivelato che le dinamiche sottese all’evoluzione sono tre, e che di queste le
mutazioni casuali, cioè il motore del darwinismo, sono la meno importante.
Fin dall’antichità la mente umana ha visto questa legge superiore che opera nell’organizzazione del mondo
e l’ha chiamata in diversi modi: i Greci LOGOS, gli Ebrei HOHMA’, gli Egizi MAT, gli Indù DHAMMA, i Cinesi
TAO, i Giapponesi SHINTO. Questa legge cosmica fondamentale è ciò che raccoglie i fenomeni disparati,
facendoli vivere se sono conformi alla sua logica, morire (mediante la selezione naturale) se sono lo sono.
Essa governa il mondo e anche la nostra mente, la quale, non essendo altro che un pezzo di mondo,
riproduce la medesima logica tendente all’ordine.
La logica che muove la vita è la relazione ordinata.
Secondo la prospettiva evoluzionistica la mia vita non avrebbe alcuna direzione e finalità se non quella che
io le vorrò dare.
Le parole che l’umanità ha da sempre ritenuto più sacre, quali, ordine, legge, fedeltà, famiglia, onore,
giustizia, patria, pudore, ragione appaiono logore e vilipese. Come uscirne? Purtroppo, la verità è che ogni
popolo ha i politici, e le televisione, che si merita.
Oggi è la scienza a farci conoscere che noi esseri umani veniamo dalla natura-physis che ci ha generati
mediante un lungo e sempre più complesso processo evolutivo, a partire dall’esplosione delle stelle di terza
generazione da cui sono fuoriusciti gli elementi chimici, in primis il carbonio, alla base della vita. Noi siamo
figli dell’universo, il quale in noi ottiene il prodotto più raffinato del suo lavoro, giunge al pensiero, alla
coscienza di se stesso.
L’amore è sempre forza, ma forza più intelligente, più ordinata e quindi più stabile, per così dire, più forte.
L’amore è la forza più intensa che c’è.
Il bene è prima della bontà.
Da nostra madre alle madri degli animali appare la logica che presiede l’organizzazione della materia
vivente: l’essere come ordine. Ed è questa definizione del bene: ordine, relazione ordinata, per far sì che
tutto dentro e fuori di noi si muova di un movimento rotatorio, il movimento che dice l’armonia e che
produce la sfera, la figura perfetta.
Siccome nella sua danza alla ricerca dell’armonia la natura si muove secondo un movimento impersonale,
talora in essa avvengono degli errori, alcuni con effetti devastanti. Ma attenzione: lo stesso movimento
della natura alla ricerca di relazioni ordinate produce nella coscienza umana il desiderio, direi quasi il
bisogno, di aiutare le vittime di queste casualità. Il bene, la volontà di fare il bene, non nasce dalla nostra
buona volontà, ma molto più profondamente dal nostro essere natura-physis. Il fondamento dell’etica è
fisico.
Il destino di vita immortale della persona viene strappato alla religione e consegnato all’etica, la quale,
però, a sua volta non si fonda su se stessa ma rimanda all’ordine naturale, all’essere del mondo,
spiegandosi come traduzione libera e consapevole della medesima logica alla base del cammino dell’essere,
dagli informi gas primordiali alla nostra formazione nel corpo di nostra madre.
Benedetto XXVI: “solo se domandiamo o se con le nostre domande siamo radicali, così radicali come deve
essere radicale la teologia, possiamo sperare di ottenere delle risposte”.
Fare davvero il teo-logo, cioè uno che pensa Dio in modo Logico, il theos nella luce del Logos.
Credo nella parresia, nella franchezza della comunicazione.
Lo devo fare, perché voglio servire la verità, Simone Weil diceva: “bisogna ripensare daccapo la nozione di
fede”.
Espongo alcune idee che sono in disaccordo con la dottrina cattolica ma che a mio avviso esprimono più
adeguatamente il senso ultimo del Cristianesimo:
1) La creazione dell’anima umana da parte di Dio senza nessun concorso dei genitori.
2) Il peccato originale.
3) La resurrezione della carne.
4) La dannazione eterna nell’inferno.
Queste quattro questioni dottrinali distanziano il mio pensiero dall’ortodossia cattolica. Insegna Platone
che “la confutazione è la più grande e la più potente delle purificazioni”.
Proprio l’esercizio onesto e disinteressato del Logos porta a constatare che ciò che stabilisce la chiesa,
anche ai più alti livelli, non è sempre la verità.
E il movimento dello Spirito che conduce verso la verità tutta intera.
L’amore per la verità deve essere superiore a ogni cosa, anche al rispetto formale per la dottrina
consolidata della chiesa.
Con il termine latino novissimi si intendono in teologia le realtà ultime cui non seguirà più nulla, il
compimento definitivo dell’essere.
I novissimi, infatti, non si sa di preciso neppure quanti siano. Il compendio del catechismo del 2005 dice che
sono quattro: morte, giudizio, inferno, paradiso. No si capisce, però, perché dall’elenco manchi il
purgatorio, che pure è un dogma di fede.
Io mi chiedo se non si debba aggiungere almeno in via ipotetica anche il limbo. Ne viene che, rispetto al
catechismo, i novissimi potrebbero risultare il triplo, configurati più o meno così: morte, giudizio
particolare, limbo, inferno, purgatorio, paradiso, comunità pellegrinante dei beati, parusia, risurrezione dei
morti, giudizio universale, fine del mondo, palingenesi (cieli e terra nuovi).
Tommaso d’Aquino dice: “gli angeli sono purissime sostanze spirituali, e le sostanze spirituali, com’è ovvio,
non mangiano e non devono.
La nostra situazione è caratterizzata dal fatto che non sappiamo nulla sulla vita oltre la morte,
semplicemente la crediamo o non la crediamo.
Il cielo è sempre stato una delle metafore privilegiate per parlare del divino. Oggi, però, si sa che quel cielo
composto di un quinto elemento speciale non esiste, si sa che non c’è nessun etere, e quindi nessun
firmamento, nessun luogo fermo dove poggiare con sicurezza i piedi del corpo umano risorto.
Il cardinale Camillo Ruini ha dichiarato che l’escatologia cristiana non può “rimanere agganciata a schemi
cosmologici ormai da gran tempo superati”.
Ci troviamo di fronte a una nebbia concettuale. Si legge nell’edizione della Torah: “non presente nella
Bibbia in sé, ma di centrale importanza nella tradizione successiva, è la visione greca che gli essere umani
sono un composto di due sostanze – un corpo materiale e un’anima spirituale – e che l’elemento che non
muore è l’anima. Essa lascia il corpo alla morte e gode di vita eterna con dio.
Tra le due dottrine gemelle della risurrezione corporea e dell’immortalità spirituale, la filosofia ebraica
medievale (particolarmente nel pensiero di Maimonide) e la mistica ebraica, chiaramente preferiscono la
seconda. La gran parte dei pensatori ebrei moderni concordano con questa predilezione”.
Che Gesù sia risorto, del resto, è un’affermazione su cui c’è ben poco da dire, solo prendere o lasciare.
Io mi chiedo, però, come sia possibile allora parlare di Dio come Logos, visto questa sua impenetrabilità:
non si può dire che una volta è Logos, e un’altra non lo è. Se poi aggiungiamo il fatto che oggi, su sei miliardi
di uomini, più di due terzi non sono cristiani e quindi non accettano la risurrezione di Gesù quale soluzione
al problema della morte, la necessità di un’altra via si impone.
L’obbiettivo di questo libro consiste nel mostrare che il legame di Dio con l’umanità è basato su una realtà
molto più solida che non singoli eventi storici, siano pure gli eventi della morte e della resurrezione di Gesù.
Si tratta di un legame ontologico, concernente sia il corpo sia l’anima, l’intero della nostra realtà, e che per
questo è qualcosa di semplicemente indistruttibile.
Il cielo vive dentro di noi, sono gli spazi limpidi della nostra anima.
Il cielo traduce il desiderio dell’anima umana di voler essere ordinata, pura, senza veli, così come i pitagorici
pensavano fossero gli astri. E se l’anima vuole essere così, è perché già, almeno in parte, lo è.
Ma, come ognuno si rende conto da sé, tutta la partita si gioca sul concetto dell’anima, in particolare di
anima spirituale.
La vita eterna è il tema principale della teologia. L’eternità non è dopo, è ora ed è qui. Se non fosse ora e
qui, l’eternità non sarebbe tale, sarebbe solo tempo prolungato.
La vita eterna è l’argomento più decisivo tra quelli che portano gli uomini a credere in Dio. E per questo che
avverto l’esigenza di un’impostazione nuova della teologia, che chiamo TEOLOGIA UNIVERSALE. Con
teologia universale intendo un discorso su Dio e la nostra reale relazione con lui quindi vera e propria
teologia, ma tale da essere condotta a partire dai dati della ragione. La ragione, ovviamente, non è da
intendersi nel senso ristretto del razionalismo positivista secondo cui è vero solo ciò che può
materialmente verificarsi, col risultato che appare vero solo ciò che afferma la scienza e la conseguente
riduzione del concetto di verità a quello, indispensabile ma più ristretto, di esattezza. Ragione è da
intendersi nel più ampio senso speculativo di intelletto + coscienza morale, ciò che Kant definiva “ragione
pratica”, secondo cui è vero anche ciò che non si può direttamente verificare ma che per la sua intrinseca
nobiltà, per la sua intrinseca bellezza morale, per la sua intrinseca capacità di produrre il bene, muove e
riempie le nostre vite, e di cui Hegel parlava col nome di “spirito”. Verità come esattezza + sapienza. Verità
alla quale si giunge con un lavoro con solo intellettuale, ma anche morale. E’ come saggio di teologia
universale che intendo costruire il mio discorso sull’anima e il suo destino.
2 – Esistenza dell’anima
Io penso che dietro al termine anima, la cui etimologia deriva da anemos cioè vento, vi sia la percezione
della particolare complessità del fenomeno umano, ciò che Plotino coglieva col dire che “certamente
l’uomo non è un essere semplice”. La categoria di anima esprime il pensiero della specifica differenza
dell’uomo rispetto al mondo, ovvero il pensiero della libertà, perché solo l’uomo, in tutto il mondo
conosciuto, può toccare la libertà.
Affermare l’anima significa sostenere che, per quanto legato al corpo, l’uomo è in grado, se lo vuole, di
trascendere le sue necessità e di vincerle. Noi siamo più del mondo, noi siamo liberi.
Uomo – Mondo = x. L’anima è il termine che più spesso è stato e viene ancora utilizzato per esprimere
questa x, l’incognita che scaturisce sottraendo all’uomo tutto quanto proviene dalla materia-mater.
Il lavoro della natura-physis non è riducibile alla sola materia, in quanto può produrre un livello superiore di
essere, lo spirito, definibile come la vita dell’energia a prescindere della materia, e quindi in grado di
sussistere anche dopo la dissoluzione della materia del nostro corpo.
Io ritengo che guardare all’anima come a una cosa, come a una sostanza separata dal resto del corpo, sia
insostenibile alla luce di una corretta visione dell’essere.
Io ritengo, come già alcuni teologi del passato tra cui Antonio Rosmini, che i genitori abbiano molto a che
fare con la generazione dell’anima spirituale dei loro figli. L’anima spirituale è da pensarsi non come una
sostanza separata che proviene dall’esterno ma come una peculiare configurazione dell’unica energia che ci
costituisce.
Antichi Egizi conoscevano cinque termini per parlare della dimensione interiore dell’uomo, il ba (anima), lo
akh (lo spirito), il ka (la potenza vitale), il nome, l’ombra.
L’essere è uno e unico per ogni fenomeno pensabile, per le stelle, il mare, gli alberi, le gazzelle, gli uomini, e
questo essere uno e unico si chiama energia. A questo livello non vi è nessuna differenza dell’uomo rispetto
al mondo. La differenza sorge quando si comincia a considerare la concreta configurazione con cui l’energia
si presenta come materia.
L’anima, si spiega come il surplus di energia rispetto alla configurazione materiale del corpo. Se qui sulla
Terra, e chissà in quale altra fucina cosmica nello spazio, è potuta scaturire la vita, lo si deve allo scarto tra
calore prodotto dal movimento atomico e la configurazione materiale a cui tale movimento dà origine.
Questo scarto, questo avanzo, questo surplus di energia, è il segreto della vita: è l’anima.
Di essa si sono distinti diversi livelli, di cui i primi due sono l’anima vegetativa e l’anima sensitiva.
Le piante, in quanto esseri viventi, sono per ciò stesso dotate di un’anima, l’anima vegetativa.
Anche gli animali hanno un’anima. Negare che abbiano un’anima significa negare che siano vivi. In loro
rispetto alle piante vi è un livello superiore dell’anima, l’anima sensitiva, che contiene in sé le proprietà
dell’anima vegetativa ma le supera. Le anime degli animali si dispongono gerarchicamente. Man mano che
si sale nella scala evolutiva gli animali presentano un’anima più raffinata, più ricca, più sensibile. Aumenta il
grado di indipendenza della materia.
La teoria oggi dominante tra i biologi sostiene che discendiamo tutti, tutti noi viventi, piante comprese, da
un progenitore comune, un “minuscolo microbio” vissuto quattro miliardi di anni fa.
L’anima vegetativa negli uomini appare mediante il controllo del sistema respiratorio, di quello dirigente e
di tutti gli altri meccanismi inconsapevoli che governano la nostra fisiologia.
L’anima sensitiva negli uomini si chiama carattere, temperamento, psiche.
Ma in noi c’è anche qualcosa di più, qualcosa di superiore rispetto a questi primi livelli dell’essere.
In noi vive la luce dell’intelletto. Noi rappresentiamo il livello superiore della struttura, il livello superiore
dell’essere che diviene consapevolezza, viene espressa col termine mente, dentro cui sono racchiusi altri
termini quali intelligenza, intelletto, coscienza, autoconoscenza, ragione. Livello espresso mediante il
termine di anima razionale.
L’anima razionale viene formata e modellata per lo più dalla famiglia d’origine, la quale, però a sua volta
risente della particolare cultura nella quale è inserita, della città e della nazione da cui viene. All’interno di
una nazione esistono poi differenti caratteri regionali, e questi sono a loro volta diversi da città a città.
Tutte le componenti constribuiscono a formare quel livello di energia consapevole che chiamiamo anima
razionale.
La mente produce a sua volta un grado superiore di ordine, caratterizzato da una sempre maggiore
informazione e libertà, che si manifesta come creatività in forma di scienza, arte, musica, pensiero. Lo
spirito è l’emozione dell’intelligenza che si trasferisce in suono e produce la musica immortale dei concerti
di Mozart; lo spirito è l’emozione dell’intelligenza che si trasferisce in colore e produce i cieli stellati e i
campi maturi di Van Gogh; lo spirito è l’emozione dell’intelligenza per l’ordine e la simmetria del mondo
che si trasferisce in ricerca scientifica e che fece parlare Einstein di “ammirazione estasiata delle leggi della
natura”; lo spirito è l’emozione dell’intelligenza per la nobiltà della legge morale che si trasferisce in
filosofia e produce la perfetta giustizia dell’imperativo categorico kantiano; lo spirito è l’emozione
dell’intelligenza per il senso di fratellanza e di unità del genere umano che si trasferisce nella ragione e dà la
formula universale della regola d’oro; lo spirito è l’emozione dell’intelligenza di fronte alla bellezza e
l’armonia dell’essere, l’emozione di vederla, di esserne parte e di poterla riprodurre mediante il proprio
lavoro.
Questo lavoro, che costituisce la differenza tra composizione del mondo (mente razionale) e creazione di
qualcosa che nel mondo prima non c’era, è stato visto dagli uomini già molti secoli fa ed espresso mediante
il termine spirito, la punta dell’anima.
Lo spirito richiede la salute fisica e il lavoro a pieno regime dell’intelligenza e della volontà, è intelligenza
che vuole ed è volontà che pensa, di questa totale consacrazione dell’uomo a qualcosa di più grande di sé,
la tradizione spirituale parla in termini di cuore. Cuore è il termine che esprime al meglio la totale
dedicazione di sé da parte dell’uomo alla dimensione dello spirito. E il cuore è l’organo spirituale per
eccellenza.
Proprio perché l’essere è relazione, è così importante l’amore. Tutto infatti si gioca sull’amore. L’uomo
legandosi a una donna, e la donna legandosi a un uomo, in dedizione totale e sfidando lo scorrere del
tempo col voler sussistere per sempre nel loro legame, creano qualcosa di nuovo, una molecola spirituale,
così come l’idrogeno e l’ossigeno creano qualcosa di nuovo, la molecola dell’acqua.
Le relazioni hanno prodotto legami, e i legami hanno prodotto sostanze.
Il grande insegnamento del giovane Agostino rivive nei secoli medievali con Ugo di San Vittore:”salire a Dio
significa entrare in se stesso, non solo per penetrarvi, ma per trascenderlo nel proprio intimo. Chi
intimamente penetra in se stesso e, attraversandosi, si eleva al di sopra di sé medesimo, costui veramente
sale a Dio”.
Il precetto delfico, “conosci te stesso”, è decisivo. Esso riguarda la conoscenza della sapienza che ci ha
creati e che abita dentro di noi come forma del nostro corpo e luce della nostra mente. Per il cristianesimo
il nostro compito consiste nel modellare la nostra libertà su di essa, compiendo, ognuno nel suo piccolo, il
senso dell’essere.
3 – Origine dell’anima
Dividendo le teorie secondo le quali l’anima viene dall’alto, cioè da Dio, da quelle secondo le quali viene dal
basso, cioè dal mondo; io mi colloco tra coloro che appartengono al secondo campo, sostenendo che
l’anima, anche nella sua dimensione spirituale, viene dal mondo, cioè solo indirettamente da Dio, e che
però conduce, se attuata in tutte le sue potenzialità, direttamente a Dio.
L’origine dell’anima spirituale direttamente da Dio è stata pensata in molti modi lungo la storia. Le anime
poi congiungono ai corpi ognuna nel tempo prefissato secondo un destino che a nessuno è dato conoscere,
come paracadutisti su un aereo ai quali verrà detto di buttarsi ma senza che sappiano quando, dove e
perché. E’ stata l’opinione di grandi pensatori.
Vi sono stati coloro che hanno pensato l’origine delle anime come emanazione della stessa sostanza divina,
ritenendo che Dio non crei le anime dal nulla come se fossero pietre, ma le tragga da se stesso, le modelli
con la stessa pasta di cui è fatto lui, sicché l’anima è un frammento di Dio.
Vi sono stati infine coloro che hanno pensato che l’anima venga creata direttamente da Dio a partire dal
nulla, o nell’istante stesso del concepimento del corpo (posizione odierna della chiesa cattolica) o poco
tempo dopo (posizione di Tommaso d’Aquino, dell’ebraismo ortodosso e dell’islam, che pongono la
creazione e l’infusione dell’anima spirituale quaranta giorni dopo il concepimento, seguendo una tradizione
che risale almeno a Pitagora, secondo cui “l’embrione prende forma in quaranta giorni”). Tale posizione,
detta tecnicamente creazionismo, è la tesi ufficialmente assunta dalla Chiesa cattolica fin dall’inizio del
quinto secolo.
Io condivido il punto di vista secondo cui l’anima nasce insieme al corpo con l’esclusione di ogni genere di
preesistenza. Non ritengo invece razionalmente sostenibile l’interpretazione della nascita dell’anima come
diretta creazione da parte di Dio senza alcun concorso dei genitori.
Non ho dubbi che tutti i tentativi di provare che è possibile ricordare qualcosa delle vite precedenti, che
basta concentrarsi per vedere affiorare la reminiscenza di quando eravamo qualcun altro, sono solo
illusioni. La realtà è che la storia della coscienza, con tutte le esperienze fatte e le persone amate, se si
rinasce nuovamente nel tempo, viene azzerata.
Questa prospettiva pensa il tempo come una ruota, come una giostra che eternamente ritorna, senza
costruire nulla di nuovo. La legge dell’universo, però, indica un’altra logica manifesta di essere indirizzata a
una crescita continua dell’informazione.
Scrive Tommaso d’Aquino “bisogna senza dubbio confessare che le anime non sonno create prima dei
corpi, ma vengono create nello stesso tempo in cui vengono infuse nei corpi”.
Ognuno si presenta nel mondo con la sua irrepetibile singolarità, non è funzionale a nulla, sta per se stesso,
non recita una parte scritta da altri.
Per esprimere questa singolarità assoluta la dottrina cattolica è giunta ad affermare che ogni anima che
viene al mondo nasce nello stesso momento in cui nasce il corpo, aggiungendo che la sua nascita avviene
tramite una diretta creazione da parte di Dio senza alcun concorso dei genitori. Come ho già scritto, penso
che sia assolutamente da sostenere la prima parte dell’affermazione.
Io sostengo che l’anima è creata da Dio, ma col concorso dei genitori, esattamente come il corpo, e questo
per il semplice motivo che l’anima e il corpo sono la medesima cosa, energia.
Io ritengo, esattamente come la musica o la pittura o il Buddismo sono altamente spirituali senza per
questo essere creati direttamente da Dio.
Per avere una reale esperienza spirituale non è necessario superare la materia, uscire dal mondo, andare in
chiesa, isolarsi in un monastero. Può avvenire davanti a un dipinto, o ascoltando la musica, o camminando
la mattina presto sulla spiaggia del mare. Può avvenire leggendo la lettera di un amico, o sentendo sulla
pelle il calore del sole, guardando una foto dei figli lontani, o stringendo la mano mentre dorme alla donna
cui si è legata per sempre la vita. Può avvenire così, e in mille altri modi, questa commozione per lo Spirito
santo della vita che si chiama esperienza spirituale. L’unica cosa veramente indispensabile è il silenzio
interiore, la vittoria sull’immaginazione sempre confusamente al lavoro dentro di noi.
Certo che l’anima è creata da Dio, ma allo stesso modo del corpo e di ogni altro oggetto del mondo, cioè
indirettamente, con la mediazione dell’impersonale sapienza ordinatrice che nel suo caso si estrinseca
attraverso i corpi dei genitori.
La verità è che non c’è nessuna azione divina che prescinda dal mondo e dalle sue regole. Nessuna.
Dico comunque fin d’ora che ritengo razionalmente impossibile sostenere che l’anima sia immortale perché
viene direttamente da Dio, visto che nulla viene direttamente da Dio, ma tutto viene indirettamente da Dio
tramite la mediazione del mondo.
Io penso che è dal mondo e dalla sua sapienza che provengono sia la spiritualità dell’anima sia la sua
immortalità, senza alcun bisogno di chiamare in causa ulteriori e continui interventi diretti da parte di Dio,
non perché Dio non debba o non voglia intervenire, ma perché lo fa già, oggi come il primo giorno della
storia dell’universo, mediante il sempre rinnovato atto creativo.
Sarebbe meglio parlare di questa teoria come generazionismo, nel senso che l’anima è generata insieme al
corpo dal padre e dalla madre, dai genitori, che proprio per questo si chiamano così, perché generano. E la
cosa è evidente, perché anima e corpo all’inizio non si distinguono, sono la medesima energia primordiale,
materia mater, natura naturans.
Coloro che hanno sostenuto che l’anima dei figli viene generata dai genitori si dividono a loro volta tra chi
pensa la generazione dell’anima in termini corporei e chi in termini spirituali.
Il più insigne rappresentante della prima corrente è Tertulliano, il quale pensa l’anima come corpo
materiale concepito per mezzo del seme corporeo, come sua derivazione materiale:l’origine dell’anima è lo
sperma paterno.
L’altra posizione è quella alla quale aderisco. Essa afferma che la sostanza spirituale dell’anima deriva
dall’anima e dal corpo dei genitori nello stesso momento della generazione del corpo.
In che modo l’anima viene al mondo? Mediante la generazione umana, la stessa che dà origine al corpo.
Come sono all’origine del corpo, allo stesso modo i genitori sono all’origine dell’anima. La nostra
dimensione psichica dipende radicalmente, così come la dimensione fisica, da chi ci ha dato la vita.
Se l’anima spirituale viene dall’essere del mondo, il corpo e l’anima sono la medesima sostanza: il corpo è
energia sotto forma di materia, l’anima è energia allo stato libero. Educata rettamente, essa da sensibile
diviene razionale, poi spirituale, infine, attratta dalla grazia mediante il fascino dell’Idea del bene, diviene
spirituale in modo tale da volere sempre e solo il bene e la giustizia. Come Dio.
Dio non infonde direttamente l’anima. Chi pensa così, chi pensa che Dio infonda direttamente l’anima
spirituale e immortale al primo istante del concepimento umano, pensa l’anima come una sostanza
separata, e si fa sostenitore di una teoria concepibile solo al prezzo di ipotizzare un continuo via vai di
anime che ogni secondo scendono dal cielo.
Ma se non discende direttamente da Dio, non per questo l’anima spirituale non esiste. Esiste, e se ne può
pensare l’origine a partire dal basso, cioè dall’analisi dell’esistenza naturale nella sua concretezza.
Un essere umano nasce e nascendo, per il fatto stesso di essere vivo, ha l’anima come principio di vita,
l’anima vegetativa come le piante che controlla le funzioni vitali come per esempio, il battito del cuore, il
metabolismo, la respirazione. Dopo alcuni giorni si sviluppa in lui, in associazione alla nascita dei primi
elementi del sistema nervoso, la base biologica per l’anima sensitiva, la stessa degli animali che controlla
altre funzioni come l’appetito o a partire dell’adolescenza, l’impulso all’accoppiamento. Quando si entra in
contatto con la cultura mediante la famiglia, la scuola e la società, l’energia attinge il livello superiore della
razionalità e, solo a questo punto, si può parlare di anima razionale. Molti essere umani si trovano a questo
livello, più su della vita vegetale e animale, ma senza essere giunti al superiore livello della vita spirituale. La
loro ragione è al servizio delle passioni e degli istinti. Schiavi del proprio Io animale e dei suoi appetiti. C’è
anche una modalità di vivere la religione che si trova questo livello, senza alcun contatto con la dimensione
spirituale.
Ma esiste un livello superiore, quello dello spirito, della libertà creativa. Si attinge questo livello entrando
nella vita della cultura non più esteriormente, ma partecipandone interiormente. La cultura non è più
erudizione e prestigio, neppure estetismo, la cultura ora diviene bisogno intimo dell’anima, vive della
solitudine, del colloquio personale coi grandi. Si diventa contemporanei degli scrittori, dei filosofi, dei
pittori, dei musicisti, si incontrano ogni giorno le loro anime. Si vive con loro e di loro. I loro pensieri, ora
sotto forma di musica, ora di colore, ora di scrittura, sono anche i nostri, diventano la luce della nostra
energia vitale. Danno forma, ordine, armonia alla nostra vita di ogni giorno. Si entra nella comunione
eterna degli spiriti. Quando l’anima giunge a questo livello, conosce la vita spirituale, diviene anima
spirituale.
La grande musica, la grande pittura, la grande letteratura, la grande filosofia non passano mai, perché sono
una traccia reale dell’eterno, che i migliori di noi hanno saputo restituirci, mentre la cultura legata alla
moda e alla tendenza, nel giro di poco tempo è dimenticata per sempre. E per questo stesso motivo la vera
cultura è anche universale e parla a tutti, tocca il cuore di tutti. Diceva Mozart “ Tutto è già stato composto,
ma non ancora trascritto”.
Così può avvenire, anzi avviene di frequente, che un uomo semplice sia più ricco di spirito e di sapienza
rispetto a un dotto professore universitario. La sapienza spirituale è la coscienza acquistata e praticata della
vita come equilibrio e come relazioni buone, durevoli, affidabili, proprio come un paio di scarpe di ottima
qualità con quali puoi camminare per anni, sicuro che non ti tradiranno mai.
Più sale il grado di ordine dell’energia che si esprime come anima, più sale il livello raggiunto dell’anima.
L’ultimo livello è lo spirito. Il vertice dello spirito è il livello della spiritualità volta al bene, è la santità.
L’anima perfettamente ordinata e disciplinata entra nello spirito santo, è spirito santo. L’uomo divinizzato è
l’uomo perfettamente realizzato, che vive la pienezza del suo essere uomo.
Il filosofo confuciano Meng-Tzu (Mencio), vissuto nel III secolo a.c. scrive “Colui che va in fondo al proprio
cuore, conosce la sua natura, e conoscendo la sua natura, conosce il cielo”. Commento di Chu Hsi, un
pensatore neoconfuciano morto nel 1200: “Il cuore è l’intelligenza spirituale, con la quale l’uomo contiene
tutti i principi ed è in corrispondenza con tutte le cose. E’ per natura che il cuore contiene i principi ed il
Cielo la fonte dei principi”.
Metrodoro, discepolo e amico di Epicureo, contemporaneo di Mencio: “Ricordati che, benché tu sia
mortale e abbia una vita limitata, tuttavia ti sei elevato, con la contemplazione della natura, fino all’infinità
del tempo e dello spazio e hai visto tutto il passato e tutto il futuro.
E’ una tale festa raggiungere la pienezza dell’essere, della vita buona e bella (la vita, infatti, è bella solo se è
anche buona), che per poterla esprimere gli uomini hanno sentito il bisogno di una categoria ontologica
speciale e hanno parlato di divino.
Pienezza della vita = divino.
Il livello più alto, più informato, più complesso dell’energia, si chiama spirito.
In questa prospettiva l’origine dell’anima spirituale va posta in stretta unione con il corpo e quindi con i
genitori, sia nella generazione fisica sia nella generazione spirituale di cui essi sono chiamati a prendersi
ininterrottamente cura. L’anima diventa spirituale solo a contatto con lo spirito, vale a dire solo a contatto
con la piena umanità, perché è l’uomo lo strumento dello spirito, anche dello spirito santo.
Rapporto tra Dio e il mondo: io non ritengo diretto ma sempre mediato della Sapienza.
Tutto ciò che vive è animato, ha un’anima: le piante hanno il primo livello, gli animali il primo e il secondo,
gli essere umani una varietà che soddisfa tutti i gusti. I molteplici livelli dipendono sia dalla quantità sia
dall’ordine dell’energia. Un elefante ha una quantità maggiore di energia rispetto all’uomo, ma l’energia
dell’uomo è superiore, cioè produce più lavoro, grazie al suo essere più ordinata. La capacità di produrre
lavoro, come è noto, è la definizione di energia.
Ho affermato che Dio non infonde l’anima, ciò che Dio crea, e crea da sempre, è l’energia e le leggi che ne
regolano il dinamismo. Dio vuole una vita cosciente e libera di fronte a sé.
Il perfetto ordine che la sua energia ha assunto fa aderire l’uomo alla pienezza dell’essere, l’essere della
libertà compiuta come bene e come giustizia.
Più c’è ordine, più sale la qualità dell’anima. La quantità e la qualità di energia ordinata produce diversi
livelli ontologici dell’anima. Ho mostrato che se ne possano dare cinque: anima vegetativa, anima sensitiva,
anima razionale, anima spirituale, anima spirituale unificata dal volere sempre e solo il bene e la giustizia.
Essendo un essere vivente, è evidente che l’embrione ha l’anima. Non esiste nulla di vivo che non abbia
l’anima, essendo l’anima esattamente ciò che dice la presenza della vita, ma si tratta del primo elementare
livello dell’anima, l’anima vegetativa: non si tratta ancora né dell’anima sensitiva, che invece si deve
supporre nel feto per l’avvenuto sviluppo del sistema nervoso, né dell’anima razionale, che matura come
tale solo dopo la nascita e con l’educazione.
Occorre precisare che non ci sono diverse anime, ma diversi stadi della medesima anima, della medesima
energia che trascende l’espressione corporea.
E’ per questo che sia l’aborto sia la soppressione di embrioni umani precedentemente creati sono
eticamente condannabili.
4 – Immortalità dell’anima
L’immortalità di cui vado alla ricerca non è metaforica, concerne il mio Io e scaturisce dal mio stesso essere.
Dal punto di vista teoretico, mi chiedo se il pensiero dell’immortalità dell’anima sia degno di un intelletto
consapevole del mondo e delle leggi che in esso regolano la vita. Dal punto di vista morale, mi chiedo se sia
degno di un uomo maturo o non sia un trucco dell’immaginazione per superare in qualche maniera la paura
del nulla e della morte. Dal punto di vista spirituale mi chiedo se sia degno di una coscienza che abbia
un’adeguata percezione della sua pochezza di fronte all’immensità divina.
Io penso che la legittimità di affermare una vita oltre la morte sia data dalle quattro discontinuità che
definiscono il cammino compiuto dall’essere-energia a partire dal momento dell’inizio della sua
espansione:
- il passaggio dal minuscolo puntino cosmico all’origine del big bang alla vastità dell’essere;
- il passaggio dalla materia inerte alla vita;
- il passaggio dalla vita naturale all’intelligenza;
- il passaggio dall’intelligenza autoreferenziale alla morale e alla spirituale.
La mentalità del miracolo (e dello straordinario) fa molto male all’autentica spiritualità. C’è bisogno, al
contrario, di guardare al mondo per quello che è, alla sua struttura stupefacente che la scienza
contemporanea ci aiuta sempre meglio a conoscere.
Tra le quattro discontinuità mi soffermo dapprima sul secondo passaggio, la comparsa della vita. La realtà è
quella che onestamente riconosce Daniel Altschuler, che pure pone ancora il caso alla base dell’evoluzione:
“con ogni probabilità, c’è qualcosa che ancora ci sfugge e che quando lo scopriremo, ci mostrerà chela vita
non è il prodotto di eventi casuali, ma il risultato di leggi naturali”.
Soffermiamoci sul terzo passaggio, la comparsa della vita intelligente. Io vedo solo tre possibili risposte: il
caso, il miracolo, la necessità intrinseca. Io sostengo che vi è una finalità intrinseca nella natura. E’ questo
telos intrinseco all’essere del mondo che rende la natura orientata a un ordine e a un’informazione sempre
maggiori.
Prendo atto che siamo su un pianeta che vaga in una zona periferica di una qualunque galassia tra i cento
miliardi di altre galassie dell’universo: prendo atto che all’interno di questa galassia il nostro sistema solare
è microscopico; che il nostro pianeta rispetto al sistema solare è a sua volta microscopico; che la nostra
specie è l’ultimo brevissimo episodio della lunga storia della vita sulla Terra.
Se usciamo dalla logica quantitativa, ed entriamo in quella qualitativa, possiamo comprendere di valere
molto di più, ontologicamente parlando, di centinaia di sterminate galassie là in alto. Consideriamo le
meraviglie dell’anatomia umana, la complessità incredibile della mano o dell’orecchio, la forza degli organi
sessuali, la potenza del cervello generatore della mente, e più ancora come questi organi e molti altri
lavorino insieme a costituire l’ordine stupefacente dell’organismo. Ora pensiamo ai gas primordiali
dell’idrogeno e dell’elio scaturiti inizialmente dal big bang, e consideriamo che il nostro corpo, la
complessità che lo abita e lo fa vivere sono venuti da lì.
Se invece si pensa che il mondo abbia una sua logica intrinseca di tipo impersonale (che io definisco
Principio Ordinatore) la quale procede in avanti senza curarsi dei singoli, e che il motivo di ciò sta nel fatto
che il Dio personale ha voluto così, quale unica condizione indispensabile per la nascita della libertà, allora
la coscienza, per lo meno la mia, diviene in grado di accettare il mondo e la sua logica, una logica
impersonale, cieca, ma comunque positiva e finalizzata alla vita, e alla vita personale. E’ grazie a essa che
noi siamo qui.
Se l’anima sopravvivrà è solo così che va concepita, come puro pensiero.
Ancora oggi l’enigma dell’origine della vita e quello dell’intelligenza restano intatti. Forse un giorno li si
svelerà, e sarà un giorno di festa per ogni uomo che ama la verità.
Spinosa: “la mente umana non può essere assolutamente distrutta insieme al corpo, ma di essa rimane
qualcosa che è eterno”.
Io penso che non sia irragionevole ipotizzare che dalla logica ordinatrice alla base del processo cosmico si
possa produrre (anzi, si sia già prodotto) un ulteriore livello di vita, una quinta discontinuità. Il logos che è
all’inizio di tutto è anche alla fine di tutto.
Vedere Dio continuamente all’opera è segno di immaturità, così come i primitivi, molti millenni fa,
credevano che gli spiriti fossero sotto ogni sasso.
Che Dio esiste, infatti, è del tutto evidente, ammesso che si comprenda che cosa è in gioco quando si parla
di Dio. Dire Dio equivale a dire “signore”, “sovrano”, oggi si usa “presidente”.
La vita di ogni uomo dipende da una serie di cose a lui esterne, a partire dalla data e dal luogo di nascita,
dal corpo e dal carattere che si è ritrovato. Da mille coincidenze e imprevisti che non si saprà mai se sono
solo casi o destini fissati da sempre. Anche la fine della sua vita perlopiù non dipende da lui: come e quando
morirà viene deciso altrove.
C’è una signoria sopra ogni uomo, che egli lo voglia o no, che ne sia consapevole oppure non.
Il problema vero non è se esista o non esista, il problema vero è la sua identità, cioè quale sia il volto di
questa realtà ultima da cui la mia vita comunque dipende e verso la quale cammina.
Che quindi vi sia un principio alla cui logica il mondo risponde, la ragione lo può vedere da sé. E chiamo
questo principio Dio, cioè signore, in quanto esso è la necessità che stabilisce la signoria alla quale siamo
stati assoggettati nascendo. Io ritengo più ragionevole ammettere l’esistenza di un unico principio
ordinatore, immanente a questo cosmo e quindi distinto dal Dio personale trascendente, che coincide con
l’armonia di cui parlava Pitagora, col Logos di Eraclito, con l’Hokmà della letteratura sapienziale biblica e le
dieci sefirot della Qabbalah, con ciò che gli antichi Egizi chiamavano Maat, i saggi della Cina Tao, i saggi del
Giappone Shinto, l’Induismo e il Buddismo Dramma. C’è un principio ordinatore immanente all’essere, è il
volto con cui l’eterno si rende presente nel tempo.
Secondo Einstein possiamo esprimere la situazione con un’immagine: la scienza senza la religione è zoppa,
la religione senza la fede è cieca.
Ritengo sia ragionevole sostenere che la quinta discontinuità all’interno del processo evolutivo dell’energia
cosmica possa condurre a una vita oltre la morte di tipo personale.
Ho detto che l’anima accede al livello della spiritualità e diviene anima spirituale se e quando entra in
contatto con la dimensione spirituale, il che può avvenire sia tramite la dimensione sociologica del mondo
naturale, sia tramite la dimensione culturale del mondo spirituale, si tramite entrambe.
Ho aggiunto che è razionalmente sostenibile l’ipotesi che l’anima che ha raggiunto il livello dello spirito non
muoia col venire meno del corpo ma prosegua la sua esistenza personale.
Il caso esiste, e può fare male. Il mondo però, non è in balìa del caso. Il mondo non è governato da una
provvidenza personale, ma è governato.
Che ne sarà di tutti gli esseri umani che non hanno potuto raggiungere, a causa della cecità della naturaphysis, il livello di anima spirituale? Pretendo che anche per loro, sopratutto per loro, vi sia un futuro di vita
personale. Ma esiste un argomento su cui basare la mia pretesa? Io ne ho trovate due. Si tratta di un tema
talmente complesso.
Ci sono genitori(ma anche nonni fratelli amici) che prendono la loro anima, la spezzano e nutrono i figli. Io
penso che questo movimento spirituale possa generare lo spirito in chi lo riceve.
Io mi chiedo se non sia possibile ipotizzare una simbiogenesi anche riguardo all’anima spirituale. Si tratta
della capacità umana di generare lo spirito.
L’amore degli uomini ha la capacità di generare lo spirito.
Mente il primo argomento è di tipo dinamico, questo secondo è di tipo statico.
Ogni uomo, per il fatto stesso di essere Uomo, è destinato all’immortalità. Ognuno, a prescindere dalle sue
qualità.
Il lavoro dell’anima, come ogni altro lavoro, attende di essere pagato. Se l’anima spirituale compie il
medesimo lavoro del Principio Ordinatore il cui prodotto è la vita, vivrà. E’ ciò che le religioni, ciascuna a
suo modo, chiamano vita eterna o Paradiso. Se l’anima spirituale volutamente non compie il medesimo
lavoro del Principio Ordinatore, avrà un destino opposto all’ordine che essa ha rifiutato. E’ ciò che le
religioni, ciascuna a su o modo, chiamano Inferno e che si può pensare come punizione eterna (dannazione)
o come punizione temporanea (apocatastasi) o come distruzione definitiva dell’anima personale
(annichilazione). Se l’anima spirituale compie solo in maniera imperfetta e saltuaria il lavoro del Principio
Ordinatore, necessiterà di un’ulteriore purificazione. E’ il purgatorio, l’esigenza concettuale del quale viene
soddisfatta da molte religioni e sistemi filosofici mediante la dottrina della reincarnazione.
Se voglio pensare l’eterno correttamente, devo pensare che il tempo sia già ora contenuto nell’eterno.
L’eterno non è una cosa che viene dopo, alla fine; ma è la realtà che è da sempre, anche adesso. Anzi, è
solo adesso. L’eternità è la radice del tempo, ciò da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna. Noi diciamo che
il tempo passa: in realtà, ciò che passa siamo noi, perché si consumano i legami che tengono insieme
l’energia di cui siamo fatti. Il tempo misura questo nostro passare, questo nostro divenire, e in questo
senso non è una grandezza assoluta che esiste in sé da sempre, ma è una grandezza relativa, relativa alle
cose di cui misura lo scorrere, e infatti per la misurazione del tempo è sempre necessario un punto di
riferimento che viene arbitrariamente posto come tempo zero, proprio come nella misurazione dello spazio
abbiamo bisogno di un sistema di riferimento, solidale con un qualche corpo, per esempio la Terra, o il Sole,
ecc.
Per giungere alla vera gioia, alla permanente e indistruttibile gioia di vivere, si deve superare se stessi. Per
questo gli autentici maestri dello spirito sono nella gioia e nella pace, e il loro volto esprime quiete e dà
serenità. E questo è ciò di cui gli uomini hanno bisogno: gioia, pace, quiete, serenità.
Lo scopo della vita è la nascita alla gioia dell’essere, che è la porta dell’eternità, perché chi la vive entra
nell’eternità, dove, una volta entrati, non si esce più. L’anima è giunta a casa.
5 – Salvezza dell’anima
Il discorso sull’anima e il suo destino ha condotto al risultato che l’energia costitutiva di ogni uomo può
configurarsi fino a raggiungere lo stadio di anima spirituale.
Dobbiamo essere salvati dal peccato.
Le religioni per le quali la salvezza si dà come adesione alla logica che guida il mondo, l’Induismo e il
Confucianesimo, il Giainismo e il Taoismo, individuano il loro senso nel far conoscere il mondo nella sua
verità; la religione è conoscenza. Le religioni per le quali la salvezza si dà come obbedienza alla legge divina,
Ebraismo e Islam, pensano l’uomo come capace di adempiere da sé quella legge; la religione è osservanza.
Le religioni per le quali la salvezza si dà come redenzione operata da Dio e ricevuta dall’uomo senza alcun
merito, Cristianesimo, pensano il mondo come qualcosa da cui essere strappati e ritengono l’uomo
incapace di liberarsi da sé: la religione è grazia.
Nel primo caso, la figura teologica decisiva sarà un maestro (Buddha, Confucio), nel secondo, un legislatore
e un profeta (Mosè, Muhammad), nel terzo un redentore (Cristo). Più diminuisce il valore salvifico del
mondo, più sale il carattere divino del mediatore della salvezza: Buddha e Confucio sono solo uomini e la
loro sapienza è del tutto umana; Mosè e Muhammad sono solo uomini ma parlano in nome di Dio; Cristo è
egli stesso Dio.
Il fatto è che sulla questione fondamentale della vita umana, cioè il suo destino eterno, nella dottrina
cristiana non c’è la chiarezza auspicabile.
Quando si pensa veramente la vita, appare necessariamente la contraddizione.
Il peccato originale è un’offesa alla creazione, un insulto alla vita, uno sfregio all’innocenza e alla bontà
della natura, alla sua origine divina.
Ciò che la teologia chiama peccato originale è lo scacco dentro cui e racchiusa la condizione umana, è
l’amarezza della condizione umana, le sue sete inappagata di giustizia, il compimento che essa postula e la
necessità di essere salvata, perché senza una forza più grande che l’attrae come dall’alto l’uomo non esce
da questo labirinto contraddittorio che è la vita. Questa forza che attrae verso l’alto è il fascino che l’Idea
del bene genera dentro di noi, e se lo genera è perché noi veniamo da lì essendo il bene nient’altro che
ordine, ed essendo anche noi nient’altro che ordine,un insieme ordinato di miliardi di relazioni, e per
questo sentiamo che aderire al bene che è ordine significa tornare a casa, che aderire al Principio
Ordinatore significa pienamente noi stessi.
L’errore della concezione teologica tradizionale sul peccato originale sta nel chiamarlo peccato. Non vi è
nessun peccato, non abbiamo nessuna colpa che preesiste sulle nostre vite indipendentemente da noi. E’ la
vita che è fatta così, la biologia ce lo mostra nel modo più chiaro. Non c’è alcun peccato, c’è la condizione
umana, che vive di una libertà necessitata, imperfetta, corrotta, e che per questo ha bisogno di essere
disciplinata, educata, salvata, perché se non viene disciplinata questa nostra libertà può avere un’oscura
forza distruttiva e farci precipitare nei vortici del nulla.
Né il sabato né la domenica, né il Tempio di Gerusalemme, né la Basilica di San Pietro, né la circoncisione né
il battesimo, né l’appartenenza a Israele né quella alla Chiesa “nuovo Israele”, né il Talmud né il Messale
salvano gli uomini. Ciò che li salva è l’ingresso nella dimensione dello spirito e della verità.
La Bibbia Ebraica dice “lo spirito dell’uomo è una fiaccola del Signore”, nell’attuale catechismo dice “la
salvezza si trova nella verità”.
Ciò che salva è il bene, la giustizia interiore, la purezza del cuore, che sono la realizzazione pratica ed
esistenziale dello spirito e della verità. L’uomo giusto è colui chi compie il bene per amore del bene, anzi
colui che, ancora prima di compierlo, vive nel bene. Il bene non è qualcosa da fare, ma è una modalità di
essere. E’ ordine, in quanto adeguazione di sé alla verità.
Ciò che salva è la coscienza pura e la vita buona che ne consegue, è l’adesione incondizionata dell’anima al
bene, alla verità, alla giustizia.
Il vero scontro fu, anzi è, tra due spiritualità: tra quella che lega la salvezza all’osservanza religiosa e quella
che invece la lega alla vita concreta.
L’equazione teologica fondamentale è la seguente: creazione = redenzione, nel senso che già la creazione
dell’uomo contiene la possibilità che la sua anima divenga immortale se aderisce all’ordine fondamentale
del mondo che è simmetria e giustizia.
Il bene non viene creato dal nulla da chi lo pone; ma, trovandosi già iscritto nella logica dell’essere, consiste
nell’adeguazione del soggetto alla logica oggettiva dell’essere. Si compie un atto di bene nella misura in cui
serve la logica oggettiva dell’essere. Il bene per una pianta è la luce e l’acqua, e se io voglio farle del bene
devo esporla alla luce e versarle dell’acqua esattamente nella misura da essa richiesta, né di più né di
meno. Non devo inventare nulla, devo capire e obbedire. Lo stesso vale con gli animali. Lo stesso vale con
gli esseri umani con cui vengo a contatto. Lo stesso vale con la mia famiglia. Lo stesso vale con Dio. C’è una
logica delle cose che a me compete solo capire e servire. Attenzione e umiltà: due concetti dal valore
spirituale immenso.
L’amore è autentico solo se serve l’essere, altrimenti è un’illusione soggettiva, un capriccio, una forma di
egoismo, come l’amore di certi genitori che proiettano se stessi nella vita dei figli.
Io penso che la resurrezione della carne del corpo umano di Gesù possa essere vista, in quanto perfezione
del microcosmo, come simbolo reale di un destino di eternità che riguarda anche il mondo. E’ come una
prefigurazione della salvezza del mondo materiale, non nella sua materia spaziale che nell’eternità senza
tempo e senza spazio non potrà sussistere, ma nelle sue idee. In che modo, Dio solo lo sa.
Lo spirito è fuori del tempo e dello spazio.
Per la mentalità comune le idee sono invenzioni della mente. Se però si riflette adeguatamente sul concetto
di eternità, si comprende che l’Idea è l’unico vero essere. L’Idea non è da nessuna parte nel nostro mondo
materiale, ma senza di essa il mondo materiale non sarebbe mai sorto. L’Idea è l’ordine che ha portato
all’esistenza, e ancora mantiene all’esistenza, il mondo materiale. Se il mondo materiale è energia, l’Idea la
si deve pensare come ciò che dà forma a tale energia, secondo una predisposizione sempre più ordinata.
Tale forma è la logica (è il Logos) che lega insieme le onde particelle subnucleari e le fa diventare atomi: che
lega insieme gli atomi e li fa diventare molecole, e così via, sempre più su, verso livelli sempre più ordinati
di essere, fino allo splendore della mente e ancor più dello spirito, il quale, in quanto energia attualizzata
come forma sussistente a prescindere dalla materia, costituisce il vertice del cammino dell’essere.
L’Idea è l’essere più concreto e reale che esiste, ciò che ci ha condotto all’esistenza e che ci mantiene in
essa. Ed è in questa dimensione ontologica fondamentale, origine e fine dell’energia, che in questo
momento, un momento che dura sempre, c’è il Cristo risorto, cioè l’Idea sussistente di Uomo in cui il Primo
Principio ci ha pensati e ci penserà sempre.
6 – Morte e Giudizio
La fine della vita rimane un evento naturale, conforme alla logica dell’essere del mondo che si esprime
come divenire. Di questa logica la morte non è una corruzione o un tradimento, ma una normale
espressione. Della fine della vita naturale non si può parlare come male.
La morte terrena gioca un ruolo tanto essenziale nello sviluppo della vita che non può non provenire
necessariamente dall’ordine dell’essere, cioè da Dio, e quindi risultare funzionale al bene.
Oggi è noto che la vita nell’Universo è arrivata ben prima della comparsa dell’uomo, esiste da circa 4.000
milioni mentre l’inizio della specie Homo sapiens, alla quale presumibilmente Adamo apparteneva, risale a
160.000 anni fa. Da 4.000 milioni di anni c’è la vita, ma non c’è mai stata senza morte, essendo fin dall’inizio
la morte di alcuni la condizione per la vita di altri (la catena alimentare). La morte, quindi, c’è ben prima di
Adamo e del suo presunto peccato. La morte ha iniziato a esistere nel momento stesso in cui è esistita la
vita. Accettare la vita significa, perciò, accettare che sia intrinsecamente mortale.
Di chi la morte è l’ultimo nemico? Lo è dell’uomo non educato spiritualmente. La morte è sentita come
nemico dall’uomo fermo allo stadio di anima sensitiva, per il quale è così connaturato questo sentimento di
orrore verso la morte da essere quasi impossibile strapparlo.
Quando un uomo vince la morte in sé, quando vive dentro di sé con riconoscenza e gratitudine verso la vita
anche la sua morte e quella dei propri cari, allora è divino.
La soluzione sta nell’imparare a morire.
La Katha Upanishad fa dire a Yama, il Dio della morte, che l’uomo “quando ha percepito ciò che è senza
suono, senza tatto, senza forma, imperituro, senza sapore, eterno, senza odore, senza principio né fine, che
sta l di là del grande Atman, che è duraturo, è liberato dalle fauci della morte”: il timore della morte è vinto
dalla coscienza del vero essere.
Così si legge nel Tao Tè Ching, attribuito tradizionalmente a Lao-tzu: “Gli esseri fioriscono e ognuno torna
alla propria radice. Tornare alla propria radice si chiama la tranquillità; ciò vuol dire deporre il proprio
compito. Colui che conosce questa legge costante si chiama illuminato”. Per Platone lo scopo di tutta la
filosofia è imparare a morire.
Per Epicureo “la morte è senza rischio”
Lo stoico Marco Aurelio raccomandava a se stesso di non disprezzare la morte, ma abbila cara perché
anch’essa è una delle cose volute dalla natura.
Montagne scrive che “la meditazione della morte è meditazione della libertà”.
Spinosa: “L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte: e la sua saggezza è una meditazione
della vita, non della morte”.
Hegel: “L’immane potenza del negativo è l’energia del pensare … anzi lo spirito è questa forza solo perché
sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui”.
Wittgenstein: “Il timore della morte è il miglior segno di una vita falsa, cioè cattiva”.
Le più insigne dottrine spirituali dell’umanità, sia religiose sia filosofiche, insegnano ad accettare la morte.
Non si tratta di amare la morte più della vita, ma si tratta di comprenderla, e quindi di rispettarla, come
parte fondamentale della vita, come matura accettazione della vita in tutte le sue dimensioni, fine
compresa. Accettare la morte significa accettare la vita fino in fondo, dire di sì al mondo e alla sua logica,
conciliarsi totalmente con la realtà. La realtà è unitaria, non c’è la vita da una parte e la morte dall’altra.
Nella morte il tempo si spegne nell’eterno e l’eterno prende possesso del morente. Imparare a morire e
l’unico momento in cui si incontra veramente Dio, in cui lo si vede e lo si sente, è la morte.
Imparare a morire non è una cosa riservata all’ultimo giorno, è esercizio quotidiano. Imparare a morire
significa spegnere l’immaginazione che in noi sempre si muove, producendo rappresentazioni, desideri,
false speranze, anche di tipo religioso. Questo equivale alla più alta purificazione del desiderio, ed è la più
totale adesione all’essere.
L’unica possibilità data all’uomo di uscire dallo spazio e dal tempo è di scendere nella profondità di se
stesso, attingendovi l’autentica dimensione spirituale. Questa è la sede della vita felice. E se è vero, come è
vero, che “il pensiero fa la grandezza dell’uomo”, appare decisivo giungere ad avere saldi principi, veri e
propri dogmi, in ordine al bene, e rimanervi fedeli. Questo è il criterio in base al quale la nostra anima verrà
pesata e sottoposta a giudizio. Ci fa il bene genera il bene, anzitutto dentro di sé. La vita eterna spetta a chi
la possiede già adesso. L’eterno non è il futuro, ma è il presente, la dimensione più vera del tempo. Chi, nel
tempo che gli è stato dato, ha raggiunto la forma sovra naturale dell’essere, quando muore nel corpo vi
permane con l’anima. La sua anima spirituale continua a vivere nella dimensione beata della vita
dell’intelligenza del cuore già dove era entrata, in quella dimensione che Aristotele dice “immortale ed
eterno” solitamente tradotto con “intelletto attivo”.
7 – Paradiso
Che cosa succede a un uomo giusto quando muore? Succede che la sua vita fisica termina, la sua avita
spirituale no. Se in uomo che muore non c’è nulla di autenticamente spirituale, nulla potrà rimanere di lui.
Se in un uomo che muore esiste un’autentica dimensione spirituale (e non c’è nulla di più spirituale della
giustizia, nel senso forte, morale e prima ancora ontologico, di ordine) questa dimensione proseguirà la sua
esistenza. Esattamente nella medesima dimensione dell’essere in cui già si trova, lo spirito. Occorre saper
pensare l’essere come spirito per pensare adeguatamente il Paradiso.
Noi viviamo in base alle idee che abbiamo, tutto ciò che un uomo fa nella vita dipende dalle idee che ha.
Ogni uomo è la traduzione concreta di un’idea.. Se penserà principalmente a viaggiare, la sua idea-guida
sarà l’avventura. Se penserà principalmente ad arricchirsi, la sua idea-guida sarà la ricchezza. E così per il
sesso, il potere, la sapienza, la famiglia, il lavoro, l’onore, tutte idee ognuna delle quali è un grado di
dominare una vita. Se, come avviene spesso, un essere umano oggi vive per un’idea, domani per un’altra,
siamo in presenza di un essere umano senza centro, senza intima consistenza, senza un sapore definito
dell’Io. Quando non c’è più nessuna idea-guida per la quale vivere l’essere umani diviene preda della
depressione, la sua energia implode tristemente dentro di lui e la vita risulta una prigione, un buio labirinto.
Feuerbach disse che l’uomo è ciò che mangia, e disse qualcosa di vero. Più radicalmente ancora però,
l’uomo è ciò che pensa. La verità dell’essere è l’dea, ogni uomo è la sua idea.
C’è una sola idea sussistente in sé e per sé, eterna, assoluta; è l’idea del bene. Il bene è essere ordinato.
Concetti che appaiono distinti a un livello inferiore del pensiero risultano unificati: essere, bene, verità,
unità, bellezza risultano la stessa cosa. La coscienza umana ha intuito questa unificazione superiore e non
ha saputo fare di meglio per esprimerla che coniare il termine Dio. Chi crede in Dio sostiene che la
dimensione ultima dell’essere è questa dimensione profonda della realtà.
Dio non ha una faccia, sì da poterlo vedere “faccia a faccia”, perché, come insegna San Tommaso d’Aquino,
Deus non est corpus. Riportando la citazione di San Paolo sul vedere Dio faccia a faccia, Tommaso dice che
si tratta di “parole che non è lecito intendere materialmente così da immaginare una faccia corporea della
divinità, avendo noi dimostrato che Dio è incorporeo” . Non c’è nulla in Dio e nella sua dimensione da
potersi vedere in senso fisico. Quando si tratta di Dio, occorre sempre pensare spiritualmente, perché “Dio
è spirito”. E come di fronte alla musica, che si conosce veramente solo se la si ascolta con la pienezza
dell’intelligenza e della volontà, fino a che essa prenda possesso di noi.
La Luce è la sostanza divina, la musica il linguaggio della sua personalità. Così le anime in Paradiso sono
come delle luminose note musicali, coscienti e felici di sé. L’inferno è solitudine, il paradiso è comunione,
Dio stesso è comunione, è unione nella distinzione.
Pavel Florenskij, sacerdote ortodosso, matematico e filosofo, ebbe modo di scrivere ripetutamente sul
tema del rapporto tra il tempo e l’eternità. Tutto passa, ma tutto rimane. Questa è la mia sensazione più
profonda: che niente si perde completamente, niente svanisce, ma si conserva in qualche modo e da
qualche parte. Al passato non abbiamo detto addio per sempre, ma solo per breve tempo. Se uno guarda a
sé dall’esterno, come a un elemento della vita del mondo, questa convinzione che niente si perde gli
permette di lavorare tranquillamente. Il passato e il futuro, la creazione e il Paradiso, sono qui.
Ciò che realmente guida la lettura della Bibbia è la teologia che sta nella testa dell’interprete.
Gesù ha insegnato a perdonare, fino a quando non si perdona, il male subito agisce in noi provocando
malessere, desiderio di vendetta, collera, disarmonia. La nostra energia interiore ne viene risucchiata,
sporcata. Occorre perdonare anzitutto per il bene di se stessi, un perdono primariamente come oblio, come
cessazione del rapporto, per evitare che il ricordo del male perpetuamente alimenti altro male.
La posizione dell’eternità di qualcosa come l’Inferno, cioè dell’esatto contrario dell’ordine, è
semplicemente impossibile, è contraddittoria. Nella dimensione dell’eternità, che è ordine e perfetta
armonia, l’inferno, che è il massimo del disordine e della disarmonia, non può sussistere. Non può. Si tratta
di una contraddizione assoluta, come il ritenere che le tenebre esistano nella luce o il freddo nel caldo.
Grazie a Von Balthasar ho scoperto con gioia che lo stesso Tommaso D’Aquino, quando riflette sull’eternità
di Dio, esclude l’eternità dal concetto di Inferno: “Nell’Inferno non c’è vera eternità, ma piuttosto tempo”.
Tommaso è uno dei più profondi pensatori della storia dell’umanità. Le sue pagine contengono molta Luce.
C’è una sola vera realtà ultima, un solo novissimo, ed è la vita eterna nella dimensione di Dio, la vita
divinizzata.
Florenskij segnala di essere entrati in stretto contatto con la verità, visto che la verità (che è l’intero della
vita) si manifesta agli esseri umani in modo necessariamente antinomico.
Ci si prepara alla morte ogni giorno, nella misura in cui ci si prepara a ospitare l’eterno, liberandosi dalle
false suggestioni del tempo.
Quando un uomo prega, compie l’atto più alto per il quale è venuto al mondo, perché il suo pensiero si
unisce al Logos che l’ha pensato e formato mediante l’evoluzione cosmica.
La letteratura sapienziale della Bibbia ebraica a mio avviso rappresenta il punto più alto di tutta la Bibbia in
termini di maturità spirituale nel rapporto col mondo.
Solo quando si comprende che Dio va pensato nella sua autentica dimensione, che è l’eternità, l’eterno
presente, si avrà finalmente un rapporto maturo con il mondo e con la storia, e li si vedrà per quello che
sono, non il regno di Dio realizzato, non il Paradiso in Terra, non l’assenza del male, ma la creazione
innocente, ordinata e bellissima, per quanto sempre imperfetta, dove la libertà umana è chiamata a
maturare. E si ringrazierà la vita, e si loderà Dio, per questa terra, per questo mondo, per questa storia,
dove c’è un’unica elezione divina, quella dell’umanità nel suo insieme, senza distinzione alcuna di razza,
sesso o religione.
Conclusioni
L’energia informe a livello umano si chiama libertà, e il Principio Ordinatore si chiama sapienza: l’intera
vicenda umana consiste nell’ordinamento della libertà informe secondo la forma disciplinata e stabile della
sapienza. Questo vale tanto per l’umanità nel suo insieme quanto per il singolo.
In questo senso il Principio Ordinatore opera nella totalità della natura-physis, nell’intero della realtà: ogni
realtà, nella misura in cui è ordinata, lo è alla luce e nello spirito del Logos.
L’azione divina coincide con ciò che la Bibbia nei suoi libri spiritualmente più maturi chiama “sapienza”, la
quale, ben prima di essere una proprietà della mente umana, è la proprietà de la natura-physis.
Il Principio Ordinatore agisce in favore di tutte le cose. Esso è lo spirito che ordina il mondo.
Se il quantum di energia supplementare che chiamiamo anima viene ordinato, genera gioia, quiete,
serenità; se cade in balìa del disordine, genera nausea, rabbia, violenza, disperazione.
Non penso che il senso della libertà si risolva nell’essere a servizio della sola vita naturale, non penso che si
viva solo per vivere e per generare a nostra volta altra vita. Io penso che il quantum di energia
supplementare che si è stato dato, e in cui noi propriamente consistiamo, vada lavorato e ordinato secondo
la medesima logica di incremento della complessità e dell’informazione all’opera nel cosmo.
La differenza tra il totale dell’energia e l’energia che si dispone come corpo, questo surplus che viene
indicato col termine anima, richiede di essere lavorato. Lavorandolo introducendovi sempre più ordine,
diventa spirito. L’uomo spirituale è l’uomo giunto a padroneggiare veramente se stesso. L’uomo che ha
trasformato la sua informe energia interiore dandole forma ordinata e razionale è venuto a capo di se
stesso, è giunto a compiere l’antico comandamento delfico: “Conosci te stesso”. Un uomo così è l’uomo
perfetto; l’uomo che il linguaggio religioso chiama santo, l’antica filosofia greca sapiente, il pensiero indù
guru.
La legge fondamentale consegnatrice dal Principio Ordinatore espressa così: riproduci dentro e attorno a te
la legge che ti ha condotto a che ti mantiene all’esistenza. Questo è l’imperativo categorico della vita
spirituale, da sempre presente all’umanità.
Il mondo non è un disegno concluso, ma è un processo che si va ogni minuto costruendo.
La condizionale stessa dell’esserci del mondo è il suo ininterrotto lavorare, per il semplice motivo che il
mondo non è altro che energia, capacità di produrre lavoro, lavoro ininterrotto, senza alcuna cessazione.
Il nostro mondo è evoluzione. Il mondo si va costruendo, e lo fa secondo una logica che non si prende cura
dei singoli e che giunge anche a modificare la natura. E’ la stessa natura che modifica se stessa. La logica
naturale alla guida del mondo ha come fine la libertà, ma come strumento la necessità.
Penso che l’esercizio della ragione sia l’unica condizione perché il discorso su Dio oggi possa sussistere
legittimamente come discorso sulla verità.
E’ la verità la luce: e se noi siamo qui, se ha un senso il nostro essere qui sulla Terra, è per consegnarci alla
verità, per servirla, ospitarla in noi e permettere di purificare la nostra interiorità.
Amore significa ordine, e ordine significa forza. L’amore vero è forte, non teme, resiste. E’forte come la
morte: ancora più forte della morte.
Amare la vita. Alla fine tutto sta qui. Occorre mantenere in vita lo spirito dell’infanzia, la forza primigenia
con cui la natura ci ha generato. Il messaggio da questo libro è che la vita non tradisce, e a chi, a sua volta,
non la tradisce, essa dà in premio se stessa. Dice la sapienza di Israele: “Chi pratica la giustizia si procura la
vita”. Basta solo essere giusti. Tutto qui, qualcosa di molto semplice, che ogni uomo vede da sé. Simplex
sigillum veri.