Discorsi inaugurali - Università del Salento

Città di Brindisi
Inaugurazione
anno accademico
2012
2013
Discorsi
inaugurali
Discorso del Magnifico Rettore
Prof. Ing. Domenico Laforgia
I NOSTRI FUTURI
Signor Ministro,
Magnifici Rettori,
Autorità religiose, civili e militari,
Colleghe e Colleghi,
Cari Studenti,
Vi ringrazio di essere intervenuti alla cerimonia di Inaugurazione dell’anno accademico
dell’Università del Salento, all’interno della quale abbiamo il piacere di conferire la laurea honoris
causa al prof. Jean-Robert Armogathe.
Ho voluto intitolare questo mio intervento I nostri futuri perché ritengo che mai come in questo
momento storico parlare di futuro sia importante, a patto che lo si faccia senza retorica e senza
disfattismi. E intenzionalmente ho voluto usare il plurale, I nostri futuri, perché ritengo che
guardare al futuro soltanto come dimensione temporale in divenire sia un’ottica parziale, che
inesorabilmente conduce a discutere soltanto della crisi che sta colpendo i nostri Atenei a causa
dei tagli ministeriali. Parlerò anche di questo, perché sono vitali per il nostro futuro.
Ma il nostro futuro è anche “altro”.
Parlare oggi di futuro, soprattutto ai nostri giovani, fa paura, perché alla parola “futuro” sono
collegate, quasi per obbligata associazione analogica, parole come “incertezza”, “ansia”,
“precarietà”, “instabilità”. In genere, reagiamo ai cambiamenti con grande diffidenza e tali
difficoltà che finiamo per spendere un mare di energie per tentare di stroncare sul nascere ogni
possibilità di cambiamento senza neanche preoccuparci di vedere se porterà benefici oppure no.
È, forse, nella natura umana ma anche nel persistere di un pensare assuefatto. Il “tutto cambia
affinché nulla cambi” di gattopardesca memoria, ha minato dalle fondamenta processi di crescita
del nostro Paese e di ogni istituzione che ha guardato al futuro con paura.
Questo non significa guardare al futuro con ottimismo. Non mi piace molto la parola “ottimismo”,
perché suona quasi ingiuriosa per chi vive grandi incertezze e non ha strumenti adeguati per
affrontare le incognite di ogni futuro. Non, dunque, la sindrome di Pollyanna, come la definiscono
gli psicologi cognitivi, un ottimismo ottuso che ignora le oggettive difficoltà, e neanche il cosiddetto
“pensiero positivo”, che in qualche misura gli somiglia nella ricerca della positività ad ogni costo.
Preferisco una parola dal sapore antico: “speranza”.
Guardare al futuro con speranza implica la volontà di raggiungere i propri obiettivi anche in
situazioni difficili, significa prendere un impegno verso una realistica possibilità di successo dei
propri percorsi, significa contare sulle proprie forze e le forze altrui per fare sistema, significa
avere il “coraggio della responsabilità”, così come l’ha definito il tedesco Hans Jonas. Questa
speranza deve viaggiare sottobraccio alla paura quando parliamo o immaginiamo il futuro. Perché
la paura è elemento utile per agire verso il cambiamento. Non la paura che paralizza, che blocca
l’agire, che atrofizza la crescita e confisca il futuro ma la paura che stimola l’agire, che trasforma
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la rigidità in plasticità. Noi dobbiamo tendere verso la plasticità perché nulla è garantito nel
nostro tempo e chi ci dice il contrario ci inganna. Se mi è consentito fare riferimento alle leggi
della fisica, un’istituzione rigida è un corpo destinato a rompersi, mentre un’istituzione plastica
si può plasmare, trasformare, potenziare, senza traumi, senza rotture irrimediabili. La storia
dell’umanità è una storia “plastica”, in divenire, all’interno della quale “non sopravvive il più
forte o il più intelligente, ma chi si adatta più velocemente al cambiamento”, per citare Darwin.
Eppure i cambiamenti, lo sappiamo bene, spaventano, ma forse spaventano più del necessario. Se
ci fermiamo a riflettere un momento, il nostro attuale presente era il futuro del nostro passato.
Quattro anni fa, tre anni fa, ma anche lo scorso anno, eravamo timorosi di affrontare un percorso
di rinnovamento per via delle incognite che portava con sé, eppure l’abbiamo intrapreso e oggi
quel futuro pieno di incertezze ai più è un presente già consolidato ma sempre e comunque in
divenire. Un presente che abbiamo costruito con l’impegno di tutti coloro i quali hanno creduto di
potersi aprire al “nuovo” con la mente sgombra da pregiudizi e con la fiducia nelle proprie capacità.
Le riforme che dal 2009 hanno interessato il sistema universitario italiano hanno riguardato tutti
gli aspetti della vita accademica, dalla sua sopravvivenza finanziaria ai sistemi di valutazione, e
sembrano animate (almeno sulla carta) a fortificare un’Etica che trascenda la contingenza delle
leggi. In qualità di servitori dello Stato ci siamo adeguati, magari non condividendone le modalità
o le condizioni e abbiamo progettato e realizzato il nuovo assetto dell’Università del Salento.
Siamo stati tra i primi in Italia a ottemperare alle disposizioni della Legge 240, pur disapprovando
la scarsità di autonomia che questa nuova riforma lascia ai singoli atenei.
Abbiamo riformulato, ottimizzandola ancora, l’offerta formativa, abbiamo ridefinito i nuovi
dipartimenti, che dai 17 sono passati a 8 e le nuove facoltà, che da 10 sono passate a 6, seguendo
il criterio dell’omogeneità scientifico-settoriale lasciando, tuttavia, spazi di autonoma scelta per il
singolo docente. Abbiamo costituito il presidio di Ateneo per la qualità dei corsi di studio e abbiamo
cercato di semplificare la quotidianità accademica dei nostri studenti con l’implementazione dei
sistemi di verbalizzazione digitale e prenotazione esami, ricostruzione della carriera etc. Sul piano
gestionale, abbiamo avviato la ristrutturazione dell’Amministrazione centrale, puntando alla
razionalizzazione dei processi e alla loro semplificazione e messo in esercizio il nuovo sistema di
contabilità. Sul piano della residenzialità abbiamo definito e cantierizzato diversi interventi per il
potenziamento e la riqualificazione delle nostre sedi. Sono solo alcuni esempi delle tante iniziative
portate a termine nell’ultimo anno, che troverete nel Rapporto di Ateneo 2012, disponibile online
sul nostro portale, a cui rimando per tenere fede all’impegno di essere sintetico per consentire lo
svolgimento del programma odierno.
Il nostro percorso verso la modernizzazione dell’Ateneo ha fatto passi importanti, non senza dibattiti
interni e ansie perché il nuovo inquieta, in quanto mette in discussione le nostre certezze. Ma noi
siamo uomini di scienza, ricercatori, che per definizione sono attratti dall’inesplorato, perché esso
diventi patrimonio di tutti, e siamo intellettualmente attrezzati per farlo. Dobbiamo risincronizzare
la capacità di immaginare, di sognare con la capacità di produrre e ridurre quel “dislivello
prometeico” che, secondo il filosofo tedesco Günther Anders, rendeva l’uomo antropologicamente
inadeguato ai cambiamenti. Personalmente non condivido la visione pessimistica di Anders. Io
penso che proprio l’Accademia abbia il compito di ristabilire il legame positivo tra la capacità di
“produrre futuro” e la “paura del futuro”, sfatando l’assunto di una inadeguatezza antropologica
dell’essere umano verso il nuovo.
Come? Quali sono gli strumenti che abbiamo, ancora, e quali sono le nostre pertinenze? Ma abbiamo
pertinenze? giurisdizioni? oppure la conoscenza, il pensiero libero, se volete, non possono essere
confinati alle aule universitarie e devono coinvolgere il sociale e la politica? Tutti interrogativi
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spinosi, imbarazzanti, che chiamano in causa responsabilità e patti disattesi, ma anche la possibilità
di incidere, di farsi ascoltare, di creare cambiamento, di dare una svolta alla Storia, promuovendo
una cultura nuova.
In questi ultimi mesi siamo assordati da proclami inneggianti la meritocrazia quale cura definitiva
non solo dei sintomi, ma soprattutto dei mali del Paese, che i più sintetizzano con inefficienza,
corruzione e clientelismo, soprattutto nella Pubblica amministrazione.
L’espressione “meritocrazia”, il “potere del merito”, fu utilizzata per la prima volta dal laburista
inglese Sir Michael Young nel 1954. Young inventò la nota “equazione del merito”: I+E=M, dove
- “I” è l’intelligenza intesa come intelligenza cognitiva ed emotiva, non solo come quoziente
intellettivo. La “I”, così intesa, porta ad azzerare i privilegi di ceto e di nascita e valorizza il
percorso di formazione del singolo individuo; la “I” è l’essenza di una parità di opportunità.
- “E” sta per “effort”, ovvero lo sforzo che ognuno di noi fa per migliorare.
Il merito risulta, dunque, dall’associazione di due fattori: l’intelligenza e l’impegno. Molti hanno
criticato l’equazione meritocratica di Young (persino il suo stesso autore), obiettando se fosse
moralmente accettabile che qualcuno traesse vantaggi da qualcosa, come il talento, che gli è stato
concesso dalla natura, e hanno paventato un rischioso scivolamento verso forme di tecnocrazia
oligarchica contrarie a un sistema che vogliamo definire democratico.
Dov’è l’inghippo?
Probabilmente nella confusione generata dalla sinonimia di “merito” e “talento”, che sono due
cose diverse. Il talento è una dote naturale sulla quale possiamo poco, mentre il merito è molto
più legato alla formazione e allo sforzo che l’individuo fa per rendersi adeguato a una determinata
situazione. Il denominatore è comunque l’equità delle opportunità. Dare a tutti l’opportunità di
crescita indipendentemente dal talento naturale perché ognuno possa costruire autonomamente il
suo “essere meritevole”. Questo è il punto.
In questa ottica, il merito non può essere più inteso come principio che discrimina ed emargina, ma
come potenziale da coltivare in ognuno a seconda delle proprie capacità, siano esse intellettuali
che manuali. Il meritevole, chi “acquista merito” secondo l’etimologia del termine, deve trovare
spazi adeguati di affermazione proporzionali al suo essere meritevole.
Il modello socio-economico del mondo occidentale ha escluso l’etica dalla produzione della
ricchezza, che sarebbe governata dalla legge di mercato, ammettendo una netta separazione tra
la sfera economica e quella sociale, ovvero tra l’efficienza e la solidarietà come se non fossero
entrambe promotrici di un democratico progresso della collettività. Da qui la schizofrenia delle
azioni che si intraprendono: da un lato, azioni di estemporanea solidarietà per chi è ai margini o
fuori dall’efficientismo del sistema produttivo; dall’altro, un’etica che glorifica valori e stili di vita
strettamente dipendenti dalla capacità di produzione.
Un altro dei problemi sollevati nel dibattito tra efficienza ed equità è il venir meno del principio
della “reciprocità”, il cui fine è quello di tradurre la cultura della solidarietà. Non ha futuro –
e torniamo ai nostri futuri – una società che non conserva stretto il principio di solidarietà, di
gratuità; non ha futuro una società che non è capace di sostituire al “dare per avere” il “dare per
dovere”.
Che cosa c’entra tutto questo con l’Università?
L’Università entra pesantemente in questo discorso su due distinti piani: come oggetto di
valutazione “meritocratica” e come soggetto promotore di “meritocrazia”.
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L’appello all’etica meritocratica, nella sua accezione nobile, sta coinvolgendo il sistema
universitario sia grazie alle istanze provenienti dall’alto, che riguardano una comprensibile volontà
di valutazione delle performance di atenei e docenti, sia grazie alle istanze che provengono dal
basso e che rivendicano parametri equi di distribuzione delle risorse sulla base dell’approccio
meritocratico.
L’annosa questione del ridimensionamento dei fondi all’istruzione universitaria non è, come da
molti già evidenziato, solo un problema di denaro ma di futuro sostenibile. I vincoli imposti dalle
ultime Finanziarie stanno indebolendo le Università italiane di fronte alla sfida di un futuro che,
al contrario, impone una crescita complessiva del Paese che non può che partire dalla formazione
delle future generazioni (per le quali siamo molto al di sotto delle percentuali medie europee).
I tagli lineari e la cosiddetta “spesa storica”, da cui dipende il finanziamento ordinario, sono
oggettivamente ed eticamente scorretti perché fanno venire meno proprio i principi di merito,
di pari opportunità e di reciprocità. Perché lo studente di una università storicamente più antica
costa allo Stato due o tre volte il costo dello studente di un’Università più giovane? Lo studente
dell’Università del Salento costa allo Stato italiano circa la metà dello studente dell’Università
di Siena, giusto per fare un esempio, fermi restando i costi generali di gestione per entrambi gli
atenei. Questo principio non è meritocratico perché tiene conto degli sforzi compiuti dal singolo
Ateneo in termini di miglioramento dei servizi e delle performance solo per il 7%. Bisognerebbe
definire un contributo standard uguale per tutti gli studenti meritevoli, senza considerare la
dislocazione geografia dell’ateneo o il contributo “storico”, parametri iniqui, che non rispettano
il criterio dell’equazione di Young delle pari opportunità, in quanto favoriscono alcuni atenei e ne
penalizzano altri per il semplice fatto di essere di recente istituzione ma sottoposti, come dicevo,
agli stessi oneri fissi e spese di esercizio che sono definite a livello nazionale.
L’altra anomalia tutta italiana è la valutazione negativa del singolo docente, che attualmente risulta
in un danno economico per l’ateneo che, anche in questo caso, non ha gli strumenti normativi per
affrontare il problema. È giusta ed auspicabile una valutazione periodica dell’attività di ricerca del
singolo docente ma non è corretto risolvere le inefficienze degli improduttivi a danno di quelli che
producono e tengono alto il nome dell’ateneo. Anche su questa anomalia dovremmo riflettere con
serenità e con onestà intellettuale. Se abbiamo intrapreso questo cammino verso la meritocrazia,
valutata e premiata sia per i docenti che per gli studenti, dobbiamo avere l’audacia di proporre
anche misure per arginare i fenomeni di assenza di merito.
La carenza di risorse adeguate e l’invadente burocrazia, tuttavia, potrebbero portare all’implosione
del sistema a causa delle limitazioni imposte: l’impossibilità di rinnovare il corpo docente, la
contrazione dell’offerta formativa oltre la giusta razionalizzazione, l’introduzione pressoché
generalizzata del numero programmato, tra le più pericolose. Se indeboliamo il sistema educativo
fino alla sua implosione non dobbiamo meravigliarci se la nostra quotidianità sociale si trasforma
in una giungla dove si complotta con armi impari quanto sleali per briciole di potere, dove qualche
politico tradisce i suoi stessi ideali per un cono di luce e dove imporre un percorso meritocratico
diventa reato.
Ma l’Università è anche soggetto promotore di “meritocrazia”. Compito delle università è
incoraggiare e promuovere le capacità dei singoli. Dovremmo convincere gli attuali policy makers
che l’esasperazione dell’attuale modello porta a situazioni che poi diventano incontrollabili.
Brindisi è stata testimone di questa follia, che ha troncato la vita di una sedicenne di nome Melissa,
che tutti ricordiamo con un misto di emozione e di rabbia. Dovremmo far comprendere ai futuri
amministratori, che oggi siedono nelle nostre aule, che l’homo oeconomicus del XXI secolo ha ridotto
a forme di contratto mercantile i rapporti interpersonali e quelli sociali, ispirandoli a un esasperato
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individualismo, che ha inaridito le coscienze fino a forme di barbarie intellettuali inimmaginabili,
che spesso riempiono le prime pagine dei giornali. Dovremmo insegnare loro a coniugare il saper fare
con l’etica, anzi, mi correggo, a riconoscere comportamenti eticamente discutibili e combatterli
con tutte le loro forze, anche quando il sistema si ribella. La crisi economica globale che stiamo
vivendo nasce proprio da un problema etico, in quanto la centralità assegnata alle esigenze dell’io,
al bisogno di auto-affermazione, ha soffocato ogni principio di solidarietà ponendo il denaro e il
potere come obiettivo strategico. Principi come l’onestà, la lealtà, la solidarietà, la compassione,
la rettitudine sono diventati concetti arcaici come se facessero parte di un mondo definitivamente
archiviato. Non voglio dire con questo che comportamenti poco etici siano soltanto frutto del
nostro presente, anche nel passato ci sono stati i furbetti e i corrotti, ma quello che sconcerta
oggi è l’assoluta mancanza di pudore. Quel sentimento di vergogna, quel senso di rispetto per sé e
per gli altri che dovrebbe distogliere dall’agire in modo indecoroso sembra veramente prerogativa
di pochi sopravvissuti, che ancora tentano di vivere una radicale autenticità prima di tutto verso
sé stessi e anche verso l’altro. Se Stendhal diceva che “la pudicizia è la madre dell’anima”, il
manifestarsi di condotte pubbliche impudiche rivela un’assoluta mancanza di senso morale, un
oltrepassamento di quella soglia che garantisce e tutela l’essere civile di una comunità. Non posso,
tuttavia, rassegnarmi all’idea che questi valori inalienabili dell’Uomo possano essere liquidati
come elementi di un idealismo utopico, che non può avere dimora in una società assoggettata al
potere e al denaro che pretende di definirsi democratica e civile. E vorrei chiudere questo mio
breve intervento proprio con un appello ai giovani: “Se stiamo ricevendo un’eredità corrotta, noi
eredi abbiamo il dovere di agire per deviare il corso del degrado, solo il nostro impegno garantisce
la stabilità, nostra personale e sociale”1. Ecco, dunque, con questo appello ai nostri studenti, ai
giovani ricercatori, a tutti quelli che hanno il nostro futuro nelle loro mani
DICHIARO APERTO IL 58° ANNO ACCADEMICO
DELL’UNIVERSITÀ DEL SALENTO
NOTE
1
H. Jonas, Il principio di responsabilità, Einaudi, Torino, 1990.
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Discorso
del Direttore Generale Vicario
Avv. Claudia De Giorgi
Signor Ministro, Autorità, chiarissimi Professori, Colleghi Dirigenti e del personale tecnicoamministrativo, Cari Studenti, l’Inaugurazione dell’anno accademico 2012/2013, interviene in un
momento particolarmente delicato per il sistema universitario di cui anche l’Università del Salento
è stata e continua ad essere destinataria.
È questa, infatti, la prima inaugurazione di anno accademico dell’Università del Salento a Statuto
adottato secondo la Riforma della L. 240/2010 che ha riscritto l’organizzazione dei Dipartimenti e
delle Facoltà, ha ridefinito le attribuzioni del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione
ed ha, tra l’altro, sostituito la figura del Direttore Amministrativo con quella del Direttore Generale
la cui determinazione delle funzioni è demandata agli Statuti di Ateneo nell’ambito dei principi
sanciti dall’art.2 della stessa legge. Il Direttore generale, quindi, è stato pensato quale vero e
proprio manager dell’Ateneo nella cui figura far confluire la complessa gestione e organizzazione
dei servizi, delle risorse strumentali, del personale tecnico amministrativo. È il succitato contesto
che in questa prima inaugurazione dell’Anno Accademico della nostra Università, ridisegnata dal
nuovo Statuto di Ateneo, stimola l’intervento augurale anche del Direttore Generale con questa
Sua relazione. I recenti accadimenti, poi, di cui la nostra Università è stata, purtroppo, destinataria
hanno determinato l’intervento di chi vi parla incaricato del ruolo di Direttore Generale Reggente.
Il momento che stiamo vivendo è per vari motivi particolarmente significativo, ma anche ricco di
emozioni e stimoli che rendono più forte l’esigenza di guardare al futuro ed alle opportunità da
cogliere per continuare il percorso di crescita oltre che di trasformazione dell’assetto organizzativo
disposto dalla riforma “Gelmini” .
L’Università del Salento, per entità di processi gestionali ma anche per dimensioni sistemiche,
rappresenta un indiscutibile centro di imputazione di interessi, anche sociali, per il Salento:
più di 24.000 studenti, oltre 1200 dipendenti, circa 500 tra assegnisti, specializzandi e borsisti
e un bilancio complessivo di oltre 150 milioni di euro. Nonostante la grave situazione di sotto
finanziamento, il consuntivo dello scorso anno è stato chiuso in pareggio con grandi sacrifici ed
encomiabile impegno di tutte le strutture dell’Amministrazione Centrale e di quelle periferiche.
Si sta già lavorando per il preventivo 2013, ormai giunto a dimensioni incomprimibili secondo le
linee di indirizzo formulate dal Senato Accademico che non sono certo confortanti; dalle proiezioni
effettuate, il F.F.O. basterà a garantire gli stipendi mentre i servizi esistenti e quelli prospettabili
in una visione di “sviluppo” dovranno gravare esclusivamente sulle entrate studentesche.
Nei prossimi mesi si dovrà proseguire con la riprogettazione delle strutture e dei servizi
amministrativi, con la ottimizzazione dei processi lavorativi, con l’adozione di strategie gestionali
finalizzate al miglioramento dei livelli di efficienza organizzativa e di benessere lavorativo. Sarà
necessario governare la complessità dei processi con la coesione ed il coinvolgimento di tutti
gli attori del sistema universitario e, soprattutto, con la voglia di sentirsi tutti parte di un unico
progetto: il progetto di crescita della nostra Università.
Il nuovo Statuto dell’Università del Salento è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana n. 7 del 10/01/2012 ed ha attivato il processo di modifica e trasformazione
degli assetti organizzativi e strutturali dell’Ateneo nel perseguimento, tra l’altro, dell’obiettivo,
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tutto insito nella riforma Gelmini, di razionalizzazione delle strutture dedicate alla ricerca e alla
didattica.
Sono stati, infatti, costituiti otto Dipartimenti mentre il numero delle Facoltà si è ridotto da dieci
a sei con conseguente contrazione anche dei Corsi di studio.
DIPARTIMENTI….COME SIAMO (Legge 240/2010) - 8 Dipartimenti
Dipartimento di Beni Culturali - Dipartimento di Scienze dell’Economia - Dipartimento di
Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi” - Dipartimento di Scienze Giuridiche - Dipartimento di
Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali - Dipartimento di Studi Umanistici - Dipartimento di
Storia, Società e Studi sull’uomo - Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione
FACOLTà….COME SIAMO (Legge 240/2010) - 6 Facoltà
Facoltà di Economa - Facoltà di Ingegneria - Facoltà di Giurisprudenza - Facoltà di Scienze
matematiche, fisiche e naturali - Facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Beni Culturali - Facoltà di
Scienze della Formazione, Scienze Politiche e Sociali
È stata avviata e completata la fase di costituzione degli Organi di governo delle strutture decentrate
e, quindi, a seguire, degli Organi Accademici dell’Ateneo. Conseguentemente riteniamo di poter
affermare che il nuovo assetto organizzativo dell’Università del Salento è stato definito.
Nel prossimo imminente futuro dovremo dedicarci all’introduzione del nuovo sistema amministrativo
contabile, incentrato sulla contabilità economico-patrimoniale e sul bilancio unico. Il nostro
impegno sarà rivolto a coniugare, nel miglior modo possibile, l’ unicità del bilancio, l’autonomia
decisionale e l’efficienza nelle procedure di spesa.
Importante è stato anche il percorso di miglioramento perseguito dal nostro Ateneo dall’anno 2011
sia in termini di azioni positive e sia di risultati raggiunti, grazie al contribuito di tutto il personale
che è stato il protagonista di un sistema integrato di condivisione e partecipazione responsabile. In
un quadro d’insieme si ritiene di illustrare alcuni tra gli obiettivi strategici più significativi.
Trasparenza dell’azione amministrativa – Performance organizzativa e del personale
È stato adottato il “Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2011-2013” pubblicato
nella sezione “Trasparenza Valutazione e Merito” e, a seguire il primo Stato di attuazione; si è anche
intervenuti nella rivisitazione della regolamentazione in materia di diritto di accesso, definendo
standard procedimentali e termini di realizzazione in osservanza delle disposizioni legislative.
Nell’obiettivo di trasformare il principi di trasparenza in azioni concrete è stato, tra l’altro,
introdotto un sistema di valutazione della perfomance del personale, ispirato all’ incentivazione
e alla valorizzazione delle risorse meritevoli, nell’ottica di rafforzare il senso di appartenenza
al gruppo di lavoro e migliorare la performance organizzativa di tutta l’Università. Sono state
adottate le Linee guida per la misurazione e valutazione della performance – Anno 2012, ad
integrazione e aggiornamento delle “Linee guida” già assunte nell’anno 2010 e conseguentemente
è stato adottato il “Piano della Perfomance 2012”. Nel perseguimento dei predetti obiettivi è
stato, poi, adottato uno specifico Sistema Informativo finalizzato ad agevolare l’intero processo
di misurazione e valutazione della performance che è alla base del sistema premiale e che sarà
ulteriormente adeguato alle esigenze dell’Ateneo.
Valutazione della qualità della didattica e della Ricerca
Dall’anno 2011 è stato introdotto un percorso di miglioramento dell’offerta formativa, volto alla
creazione di un “Sistema di monitoraggio della didattica” attraverso il monitoraggio e l’analisi di alcuni
indicatori, tra i quali ricordiamo gli indicatori di efficienza ed efficacia previsti dal D.M. 17/2010,
gli indicatori di qualità della Didattica utilizzati per la ripartizione della quota del fondo premiale,
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gli indicatori della didattica per la valutazione del grado di attuazione dei programmi triennali
previsto dal D.M. 50/2010. L’obiettivo perseguito è stato quello di migliorare ed adeguare/orientare
l’offerta formativa rispetto alle “reali” esigenze in termini di sbocchi occupazionali del territorio.
Inoltre, in relazione al D.M. del 15 luglio 2011, n. 17 che fissa regole e procedure per la realizzazione
del processo di valutazione della ricerca per il periodo 2004-2010 sono state approntate le strategie
che hanno consentito, poi, nel mese di Luglio 2012, la redazione e l’invio all’ANVUR del primo
“Rapporto di Autovalutazione della qualità della Ricerca 2004/2010 dell’Università del Salento
(VQR 2004-2010)”.
Personale e Relazioni Sindacali
Nell’obiettivo di realizzare prospettive di sviluppo e di riconoscimento di diritti in favore del
personale tecnico-amministrativo sono stati sottoscritti i seguenti Accordi:
1) “Accordo per la determinazione delle risorse destinate al finanziamento dei criteri generali per
le progressioni economiche all’interno della categoria del personale tecnico-amministrativo per
l’anno 2010, sottoscritto in data 16/6/2011;
2) “Accordo collettivo integrativo per la regolazione del livello della retribuzione complessiva del
personale appartenente alle categorie B,C,D”, sottoscritto in data 16/06/2011;
3) “Accordo collettivo integrativo per la ripartizione del monte-ore per lavoro straordinario – anno
2011”, sottoscritto in data 16/06/2011;
Inoltre, nell’anno 2012 si è proceduto con :
-Corresponsione della retribuzione di posizione e di risultato al personale della categoria EP per
gli anni 2010 e 2011;
- Ricognizione e pesatura delle posizioni organizzative e funzioni specialistiche e di responsabilità
– anno 2010, ai sensi dell’art. 91 del CCNL 16/10/2008;
- Avvio del “Progetto TELELAB – Laboratorio di telelavoro e conciliazione”, finanziato dalla Regione
Puglia nell’ambito delle politiche dei patti di genere, finalizzato alla realizzazione di n. 30
postazioni di telelavoro a domicilio;
- Costituzione e/o rideterminazione della composizione di alcuni organismi di partecipazione
sindacale (Comitato Unico di Garanzia – Comitato di gestione delle attività socio-assistenziali –
Commissione Tecnica per la Formazione);
- Attuazione di varie iniziative di formazione e aggiornamento del personale tecnico/amministrativo
dell’Ateneo anche con l’organizzazione di corsi e seminari all’interno all’Ateneo che hanno consentito
una sensibile riduzione dei costi ed una massiva partecipazione del personale tecnico amministrativo.
È stato altresì riorganizzato il sistema di gestione e controllo delle presenze del personale.
Regolamenti di Ateneo
Nell’ambito del percorso attuativo della Riforma Gelmini è stato rivisto l’impianto regolamentare
dell’Università con l’adozione, e per la prima volta, del Regolamento Generale di Ateneo, che ha
definito il panorama organizzativo e procedurale per l’espletamento dei percorsi di costituzione
degli Organi di Ateneo, dei nuovi Regolamenti di funzionamento dei Dipartimenti, del il nuovo
Regolamento sulla privacy. È stato realizzato un “Manuale di Buone Prassi per avvio delle
procedure di gara e adempimenti connessi alla corretta redazione dei contratti di appalto” nella
prospettiva di razionalizzazione e omogeneizzazione dei relativi procedimenti amministrativi delle
varie strutture di Ateneo.
Ai sensi dell’art. 24 della legge 240 del 30.12.2010 è stato altresì modificato il Regolamento
disciplinante il reclutamento dei ricercatori a tempo determinato le cui innovazioni più
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significative hanno interessato il decentramento ai Dipartimenti della fase procedimentale relativa
alla proposta di attivazione della procedura di selezione, l’internazionalizzazione delle domande
di partecipazione al bando.
Recupero crediti
È stata monitorata l’attività di ricognizione delle situazioni di debito e di credito dell’Ateneo con
contestuale avvio di una massiccia opera di azioni stragiudiziali per il recupero di crediti che hanno
determinato risultati significativi in termini di entrate di bilancio e di accertamenti contabili.
Edilizia
Di immediata evidenza sono anche i risultati della programmazione edilizia che hanno ridisegnato
e riqualificato l’organizzazione di importanti aree urbane. Sono stati acquisiti nel patrimonio
dell’Università gli immobili Istituto Sperimentale Tabacchi e Istituto Garibaldi, per il quale di
recente si è proceduto anche alla stipula del contratto di comodato per l’acquisizione in disponibilità
dell’immobile che sarà interessato dagli interventi di ristrutturazione oggetto di finanziamento
ministeriale.
Sono stati avviati numerosi interventi di ristrutturazione degli immobili facenti parte del patrimonio
dell’Università tra i quali si annoverano: il complesso immobiliare dell’ex Istituto Principe
Umberto, l’attività di rifunzionalizzazione dell’edificio Codacci-Pisanelli e dell’ex G.I.L., l’avvio
dei lavori per la costruzione degli edifici contrassegnati con i nn.3 e 5, a naturale completamento
della biblioteca sita nell’area dello Studium 2000, gli interventi sull’edificio per il Dipartimento
di Beni culturali, che è ormai in fase di consegna. È stata inoltre, avviata la costruzione del terzo
edificio per Giurisprudenza e pianificato un consistente programma edilizio per il quale sono state
reperite ingenti risorse.
Studenti
Gli interventi a favore degli studenti sono da sempre un tratto distintivo del nostro sistema
universitario. In tal senso annovero le seguenti iniziative:
Evento “Obiettivo Stage IO ...Lavorerò a Lecce”
L’evento è stato creato sulla base del protocollo d’intesa tra l’Università del Salento e la Lupiae
Servizi SPA presso Lecce Fiera. È stato predisposto uno stand all’interno del quale personale e
Tutors Universitari hanno svolto azioni di orientamento alla scelta Universitaria tramite colloqui
individuali, distribuzione di materiale informativo e somministrazione di questionari.
Protocollo d’intesa tra l’Università del Salento e la Direzione Generale dell’Ufficio Scolastico
Regionale per la Puglia atto alla realizzazione di attività di orientamento rivolte agli alunni degli
Istituti di Istruzione secondaria di II grado della Puglia. La mission dell’iniziativa è stata quella di
intensificare i rapporti con le Scuole Superiori di II grado per il potenziamento delle conoscenze
di base, con la possibilità, laddove previsti, di anticipare i test d’ingresso e fornire informazioni
personalizzate e aiuto alla scelta della Facoltà da parte degli studenti attraverso visite guidate presso
l’Università e organizzazione di giornate informative attraverso la fruibilità dei laboratori didattici.
Nell’intento di migliorare i servizi agli studenti l’Università del Salento ha adottato, ormai da alcuni
anni, molti dei servizi on line per gli studenti (VOL), previsti come obbligatori dal recente decreto
sulla semplificazione amministrativa garantendo, tra altro, la copertura rete wi-fi sulla quasi
totalità degli spazi dell’ateneo. A titolo esemplificativo è orami a regime il sistema informatico
per l’immatricolazione ed iscrizione ai corsi di laurea, per la prenotazione e verbalizzazione degli
esami, per il controllo diretto delle carriere, per il rilascio di certificati e per la contribuzione
studentesca.
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Concludendo è doveroso riconoscere che i Risultati ottenuti sono il frutto della responsabile
partecipazione di tutta la comunità accademica che in questi mesi ha contribuito al processo di
miglioramento del nostro Ateneo mettendo al centro della cooperazione il senso collettivo del
lavoro.
È quindi a tutti Voi che rivolgo a nome dell’Istituzione il più sentito ringraziamento perché, usando
le parole di Albert Einstein nel definire la crisi, «Non possiamo pretendere che le cose cambino, se
continuiamo a fare le stesse cose».
È con questo auspicio che auguro un Buon anno accademico a tutta la comunità dell’Università del
Salento, ai docenti, al personale, e soprattutto ai nostri studenti… vero motore di ricerca e di vita
del nostro ieri, del nostro oggi e del nostro… Domani!
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Discorso
del Presidente del Consiglio degli Studenti
Roberto Fuschi
Cari studenti, cari precari della conoscenza, dottorandi, personale tecnico amministrativo,
ricercatori, professori, Amplissimi Presidi, Magnifico Rettore, Ministro dell’Istruzione, Autorità
tutte presenti, gentili ospiti.
Siamo qui riuniti per inaugurare il nuovo Anno Accademico, e lo facciamo in un luogo, il Teatro
Verdi, estraneo rispetto agli spazi che noi siamo soliti vivere e lontano dai luoghi in cui si espleta
la vita accademica. Siamo qui per fermarci a riflettere, discutere ed inaugurare i lavori, di un
Ateneo, quello salentino, negli ultimi tempi fatto oggetto di discredito e svilito troppo spesso del
suo ruolo fondamentale di produzione dei saperi e di conoscenze. Un processo di delegittimazione
e svilimento che, indubbiamente, colpisce oggi l’intero mondo universitario italiano e tutta la
filiera della conoscenza. A tale processo è necessario costruire una concreta risposta alternativa,
che metta realmente al centro del dibattito politico gli studenti.
Noi studenti crediamo in una Università che guardi al modello contenuto nell’articolo 34 della
Costituzione: una Università Pubblica. Università Pubblica proprio perché possa essere democratica,
laica e libera dalle logiche di profitto, che veda i soggetti che la vivono partecipi dei processi di
gestione della stessa, aperta e funzionale all’obiettivo di trasmettere conoscenza a tutti senza
restrizioni e impedimenti di ogni sorta.
L’Università è diventata, invece, un luogo a cui può accedere un numero limitato di studenti. Lo si
vede dai dati secondo i quali in Italia la media dei laureati nella fascia tra i 30 e i 34 anni di età è
di 14 punti percentuali inferiore rispetto alla media europea; la tassazione universitaria italiana è
la terza più alta d’Europa e ben 33 atenei sforano i limiti imposti dalla legge. Il sistema di diritto
allo studio è il più povero della zona euro: una penuria di posti alloggio rispetto alle reali esigenze
degli studenti, che hanno portato ad un sempre maggior ricorso del mercato privato e l’insorgere
di situazioni irregolari di affitto; un numero di borse di studio erogate in continuo calo per effetto
dei tagli imposti dalla finanziaria del 2011.
Il sistema d’istruzione è sotto finanziato. Mentre gli altri Paesi, secondo l’analisi svolta dall’OCSE
nel 2011, assegnano alla voce di bilancio “istruzione” il 6,1% del loro PIL, in Italia il dato si ferma
al 4,8% guadagnandosi l’ultima posizione in classifica. In questo modo il sistema universitario si
dimostra anchilosato, la ricerca è abbandonata a se stessa e i settori in grado di innovare sono
sempre più di nicchia.
Come Presidente del Consiglio degli Studenti non posso esimermi dall’affermare come il governo
attuale, purtroppo, abbia intrapreso lo stesso percorso dell’ultimo ministero Gelmini, ponendosi
nel solco di quella tendenza verso la privatizzazione che ha coinvolto i processi di governance
universitaria e il sistema di diritto allo studio, marginalizzando la responsabilità del pubblico. Così
Il nostro ateneo, che qualche anno fa poteva vantare le tasse più basse d’Italia, anche a causa
dell’aumento della tassa regionale da 77,47 a 140 euro di quest’anno accademico, pone, dopo
l’introduzione del numero chiuso, nuove barriere, di natura economica, per il libero accesso ai
saperi. Con questi aumenti le famiglie non sono più in grado di sostenere le spese per lo studio dei
propri figli. Questo fenomeno ha portato, nel territorio salentino, molti studenti ad abbandonare
il percorso universitario. Infatti, la popolazione studentesca è scesa negli ultimi 3 anni da 28.000
11
a 24.000 studenti circa. Questi numeri e queste percentuali confermano il triste fenomeno
dell’abbandono del percorso universitario e l’incapacità da parte dei governi di fare serie riforme
che garantiscano a tutti il diritto allo studio e il libero accesso ai saperi.
Dal governo, non solo non vi sono intenzioni di migliorare il diritto allo studio, ma vengono portate
avanti politiche che tagliano fondi alla didattica e alla ricerca, pilastri portanti dell’Università,
senza i quali non ha senso l’esistenza della stessa.
Emblematica è la presa di posizione da parte del Senato Accademico dell’Università del Salento, che
ha giudicato negativamente quanto previsto dal testo della c.d. “Spending Review”. Ha sollevato
diverse criticità in merito a norme che impongono al sistema universitario uno stato di sofferenza
tale da condurlo alla paralisi, con il blocco del turn-over e la chiusura di Corsi di Laurea, se non
di intere sedi; norme che impongono ulteriori aumenti delle tasse, disincentivando ulteriormente
l’iscrizione alle Università e lo sviluppo di percorsi formativi da parte dei giovani.
Pensiamo che, davanti ad un contesto di crisi economica e sociale, sia indispensabile rivendicare,
in maniera univoca, un’idea di Università come strumento di emancipazione sociale. E non
solo. Si dovrà avere il coraggio di reagire uniti contro la massiccia campagna mediatica, che ha
delegittimato l’Istruzione, contribuendo a giustificare la rilevantissima decurtazione di fondi, sulla
tesi di come sia irrazionale spendere più denaro pubblico per investire sull’Istruzione. Dobbiamo
abbattere l’idea che ciò che è pubblico sia inefficiente e ciò che è privato sia efficiente. Dobbiamo
difendere l’Università.
E per far questo dobbiamo ripartire anzitutto dal territorio. Deve essere prerogativa della
rappresentanza studentesca, che vive in quegli organi fatti oggetto di discredito e bloccati in una
situazione di stallo dell’attività politica e decisionale, detenere ben forte e stretto il timone della
nave, e non smarrire la giusta direzione verso cui muoversi. Non possiamo permetterci di perdere
di vista il ruolo, che la nostra Università riveste all’interno del territorio, di perdere di vista la
tutela dei diritti, degli interessi degli studenti e di tutti i lavoratori della conoscenza. Dobbiamo
porre al centro del dibattito politico temi fondamentali quali la contribuzione studentesca e il
taglio del finanziamento dell’Università. La scure, quantificabile in 5,3 milioni di euro, si abbatte
sul bilancio dell’Ateneo e si manifesta con pesanti tagli alla Ricerca di Base ed ai finanziamenti ai
Dipartimenti.
L’aumento della tassazione studentesca, che negli ultimi anni ha colpito il nostro Ateneo e non solo,
viene giustificato come necessario a reperire risorse. I fuoricorso, secondo gli attuali parametri per
l’assegnazione dell’FFO, non vengono conteggiati dal ministero, e quindi non vengono computati
ai fini della ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario. Questo ha comportato un aumento
delle tasse soprattutto per i fuoricorso. Tuttavia dato che l’FFO viene ripartito per i 2/3 attraverso
parametri che valutano la ricerca, è necessario analizzare i deficit che caratterizzano l’Università
del Salento in quest’ambito. Se andiamo ad analizzare, infatti, gli indicatori sulla ricerca, nel
nostro Ateneo si raggiungono livelli molto bassi, soprattutto sulla progettazione. Da ciò si evince
come un aumento della quota di FFO indirizzata alla nostra Università, si possa ottenere andando
soprattutto ad agire sulla ricerca. Ad oggi gli unici che pagano le conseguenze della diminuzione
delle risorse erogate dal MIUR sono gli studenti, anche se dalle analisi ministeriali si evince come
sia la ricerca l’aspetto più importante da migliorare.
Noi vogliamo riappropriarci del nostro futuro, del nostro diritto al lavoro difeso dalla Costituzione
e crediamo ad una università che sia democratica, laica e aperta a tutte la classi sociali che
compongono la nostra società.
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Cerimonia di Laurea Honoris Causa
in “Filosofia e Scienze dell’Educazione
prof. Jean-Robert Armogathe
Lettura della motivazione
prof. Giovanni Invitto
Il 18 settembre 2007, il Consiglio di Facoltà di Scienze della Formazione discusse il punto n. 9
dell’ordine del giorno: “Lauree honoris causa”. Nella mia qualità di Preside, ricordai che il Ministro
dell’epoca aveva bloccato per un anno l’attribuzione di lauree di quella tipologia. Nonostante
questo, anche per la prevedibile lunghezza dell’iter amministrativo, proposi la formalizzazione
della proposta di Laurea honoris causa a favore del prof. Jean-Robert Armogathe, docente
dell’École des Hautes Études di Parigi.
Ai colleghi e agli studenti che facevano parte di quel Consiglio, fu delineata la figura culturale e
scientifica del prof Armogathe. Fu ricordato che lo stesso aveva studiato in Francia, Gran Bretagna
e Stati Uniti, che era stato invitato a tenere lezioni e Corsi in moltissime Università non francesi
(tra cui quelle di Los Angeles, Salamanca, Toronto, Belo Horizonte, Hanoi). In Italia aveva svolto
eguale attività presso Roma-La Sapienza, Università Cattolica di Milano, Istituto nazionale di Studi
filosofici di Napoli, Collegio «Ghislieri» di Pavia e così via.
Tra gli altri dati, aggiunsi che il prof. Armogathe aveva pubblicato trenta volumi e circa un migliaio
di articoli. Un elemento importante, ma non decisivo, segnalato era anche la forte e qualificata
collaborazione che da un ventennio lo studioso francese aveva offerto all’Ateneo del Salento,
partecipando a gran parte delle attività promosse dalla Facoltà di Scienze della Formazione, dal
Dipartimento di Filosofia e Scienze sociali e, in particolare, dal «Centro Interdipartimentale di studi su
Descartes e il Seicento», di cui era stato tra i membri fondatori. Nella relazione era anche detto che
l’attività di collaborazione con l’Università del Salento, si era notevolmente arricchita con l’attività
didattica e di supporto scientifico che il prof. Armogathe forniva agli iscritti del dottorato internazionale
Lecce-Paris IV Sorbonne, in «Forme e storia dei saperi filosofici». Fu ricordato, inoltre, l’articolazione
dell’iter che prevede il parere positivo di una Comitato d’Onore, costituito dagli ex-Rettori dell’Ateneo.
Alla fine della relazione, il Consiglio di Facoltà approvò, con voto unanime dei presenti, la proposta.
Dieci giorni dopo la Presidenza inviò all’allora Prorettore Vicario quella deliberazione con la
richiesta di procedere nell’iter. Per situazioni interne all’Ateneo, però, l’iter si fermò, tanto che il
13 maggio 2010, cioè due anni e mezzo, comunicai al Rettore in carica, prof. Domenico Laforgia,
la situazione di stallo. E il procedimento fu riavviato con esito finale positivo.
Infatti il 21 marzo 2011 il Senato Accademico, all’unanimità dei presenti, approvò la proposta. Il Rettore
comunicò che il «Comitato d’onore», nella seduta del 17 gennaio dello stesso anno, aveva sottolineato
l’opportunità «di riconoscere l’alto valore del prof. Armogathe» ed aveva espresso parere favorevole
al conferimento della laurea honoris causa. Il Senato, quindi, fece propria la proposta di conferire
honoris causa al prof. Armogathe la Laurea Magistrale interclasse in «Filosofia e Scienze dell’educazione»
(classe di afferenza M/78) per «la conclamata fama e i meriti scientifici e didattici, come illustrati
nel Consiglio di Facoltà di Scienze della Formazione del 18 marzo 2007 e reiterati il 13 maggio 2010».
Per quanto io non abbia più titolo istituzionale per farlo, ringrazio l’Università del Salento per aver
concluso felicemente questo percorso che arricchisce ulteriormente l’immagine di una istituzione
culturale, già di per sé più che positivamente e ampiamente qualificata, e conferisce al prof.
Armogathe un alto riconoscimento scientifico che arricchirà la serie di testimonianze concrete per
questa pluridecennale offerta di sapere e di valori che Egli esercita tra di noi e in altre qualificate
realtà culturali di importanti istituzioni operanti in varie parti del mondo.
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Laudatio
prof.ssa Giulia Belgioioso
Sarebbe inutile pretesa voler presentare qui Jean-Robert Armogathe, personalità di vastissimi
studi e di insaziabile curiosità intellettuale, non solo perché non è possibile ripercorrere sia pur
rapidamente l’itinerario della sua vita e attività scientifica, ma perché all’Università di Lecce
Jean-Robert Armogathe è di casa da decenni, presente ogni anno per seminari, tesi di dottorato,
incontri di lavoro.
Desidero solo ricordare, come apertura, che in lui – studioso anzitutto di Descartes e del secolo XVII
– in qualche modo si riflette e direi si realizza la figura ideale dell’uomo di cultura di quel secolo a
lui tanto caro, il Seicento. Vero cittadino della Respublica Litteraria che egli ha percorso nei suoi
studi e nella sua assidua peregrinatio erudita, fuori dai confini di confessioni religiose, di scuole,
di lingua: in quella Respublica – ove tutti sono figli di Apollo, dirà sul finire del secolo Pierre Bayle
– Jean-Robert Armogathe incarna e rivive quei valori e caratteri che erano indicati come costitutivi
dell’uomo di lettere, erudito, filologo, scienziato che fosse: benevolentia, benignitas, facilitas,
familiaritas, consuetudo, amicitia. Egli potrebbe scrivere – come un professore dell’Università di
Leida Petrus Cunaeus diceva in una lettera a Johannes Fredericus Gronovius l’8 agosto 1637 (anno
fatidico per la cultura moderna: l’8 giugno era stato pubblicato anonimo a Leida il Discours de la
méthode) – «omnium virtutum primam esse humanitatem autumno».
Sarebbe inutile pretesa, dicevo, presentare qui Jean-Robert Armogathe. Ma, d’altra parte, non
posso tacere, alcune significative tappe della sua brillante carriera, da allievo, prima, della
prestigiosa ENS della rue d’Ulm, ma soprattutto da docente, presso l’EPHE dove approda, poco
più che ventenne, invitato da Jean Orcibal in qualità di Chargé de conférences. «A Monsieur Jean
Orcibal, à qui je dois de savoir ce que j’enseigne et d’enseigner ce que je sais», riconoscerà più
tardi Armogathe dedicando a questo illustre studioso il suo L’Eglise catholique et la Révocation de
l’édit de Nantes (1985)
Presso questa istituzione sarà, ancora giovanissimo, Maître de conférences en Histoire du
catholicisme (1978), occupando poi la cattedra d’Histoire des idées religieuses et scientifiques
dans l’Europe moderne che era stata di Alexandre Koyré. Una continuità, se si vuole, sancita
dall’incontro con Pierre Costabel che del Centre Alexandre Koyré era allora ‘direttore aggiunto’
(Direttore è René Taton). Con Costabel, Jean-Robert Armogathe darà vita all’Équipe Descartes (oggi
Centre d’Etudes Cartésiennes) e poi al «Bulletin cartésien» che, concepito come uno strumento di
informazione bibliografica, diventa dal suo primo apparire (il cui primo numero esce nel 1970) un
punto di riferimento per gli studi su Descartes e l’età moderna. Una continuità che si prolungherà
anche nella impressionante carriera internazionale del giovane Professore, di cui a breve dirò,
segnata ancora, soprattutto all’inizio, dall’incontro con altri grandi maestri quali Yvon Belaval e il
grande romanista tedesco Werner Krauss.
Sono gli anni in cui, il giovanissimo Armogathe pubblica testi che, tutti, si tratti di articoli,
recensioni, libri, segnano altrettante tappe negli studi: movimenti religiosi quali il quietismo (il
suo Le Quiétisme esce nel 1973) o il giansenismo (voce stilata con M. Dupuy per il Dictionnaire de
Spiritualité); figure quali quelle di Dom Desgabets, Meslier, Le Maistre de Sacy; problemi insieme
teologici e di filosofia naturale, ad esempio quelli posti dalla transustanziazione, sono altrettanti
capitoli della storia del pensiero moderno visto nelle tappe di un cammino di cui Armogathe,
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libero da preconcette ideologie, rende in tutto il tortuoso procedere tra contraddizioni, cadute e
progressive conquiste.
Sono i temi che nel 1977 trovano una loro prima sistemazione e unificazione nel celebre Theologia
cartesiana. L’explication physique de l’Eucharistie chez Descartes et dom Desgabets. Sono i temi
attorno ai quali JRA continua ad interrogarsi e che nel 2007 saranno rielaborati in in un altro libro,
La nature du monde. Science nouvelle et exégèse au XVIIè siècle, una vera e propria summa dei
suoi studi. Ma sono anche i grandi temi di Le Grand Siècle et la Bible (1989) e dell’Histoire générale
du christianisme (2010), che non è una storia della Chiesa o delle Chiese cristiane, ma una storia
non confessionale che integra il cristianesimo nelle società che ha generato, che ha nutrito e che
lo hanno, in taluni casi, rifiutato; storia culturale prima ancora che fattuale, dottrinale prima
ancora che istituzionale.
Sempre e comunque attento alle fonti, Armogathe si misura anche come editore di grandi classici
del pensiero moderno, i Pensées di Pascal sull’esemplare di Port-Royal o le lettere di Descartes.
Del grande impegno del maestro rimangono due documenti: la Bibliographia Armogathensis
approntata dai suoi allievi dell’ENS per i suoi quarant’anni che documenta della sua grande
produzione scientifica: una trentina di opere e più di cinquecento articoli scientifici, senza contare
‘prefazioni’, traduzioni, ecc. Una bibliografia che, se e quando si aggiornerà, dovrà comprendere
i riconoscimenti che Armogathe ha ottenuto e tra i quali mi limito a ricordare, accanto al Grand
Prix catholique de littérature (1980) e al Prix du chanoine Delpeuch dell’Académie des sciences
morale et politiques (1990), il Premio letterario della Basilicata (2001) e l’elenco delle Istituzioni
scientifiche di cui fa parte. Il secondo documento è il volume Quarante ans d’enseignement à
l’École des Hautes Études, fresco di stampa e dono dei suoi colleghi.
Se Descartes si lamentava che il mondo fosse troppo grande in rapporto alle poche persone honnêtes
che vi si trovavano, e auspicava di riunirle tutte in una città per godere della loro ‘conversazione’,
Armogathe non ha atteso il prodursi di questo felice evento, ma con infaticabile sollecitudine ha
viaggiato nella Respublica Litteraria per nutrirsi della ‘conversazione’ con persone e istituzioni di
diversi paesi. Troppo estesa la geografia dei luoghi, in Europa, nei paesi asiatici e nelle Americhe,
in cui ha tenuto corsi, lezioni, conferenze, con il gusto di promuovere nuove ricerche e suscitando
mille curiosità. Impossibile darne anche solo un elenco. Conviene allora soffermarsi su quelli che
sono stati i suoi luoghi di elezione: la Germania, l’Inghilterra, l’Italia e il Salento.
Negli anni Settanta, nella Germania dell’Est, è lettore presso l’Università Humboldt di Berlino; tiene
corsi presso la cattedra dell’Università Martin-Luther di Halle-Wittenberg intitolata Linguistique
et littérature des Lumières européennes. Possiamo dire che si tratta, grosso modo, di dieci anni
nel corso dei quali le ricerche di Armogathe sono volte alla lessicografia filosofica e ad alcune,
emblematiche figure di filosofi dei Lumi (dal curato Meslier a d’Holbach e La Mettrie).
Negli anni Ottanta la Gran Bretagna e, più precisamente, Oxford. Il grande storico della scienza, Alistair
C. Crombie, gli affida la sua cattedra al Trinity College; ma Jean-Robert Armogathe tiene i suoi corsi
presso il prestigioso collegio All Souls. Di questi anni inglesi rimangono due grandi amicizie, quella
con Crombie e quella con il grande specialista della letteratura del Cinquecento, Michael Screech.
Nel 1973 l’Italia: su invito di Tullio Gregory, tiene in Sapienza un primo seminario dedicato ai filosofi
dei Lumi. Nasce una solida relazione scientifica che si tradurrà, a partire dal 1976, in partecipazione
costante ai congressi che con cadenza triennale sono organizzati dal Lessico Intellettuale Europeo.
Saranno gli studi cartesiani, avviati sotto la guida di Pierre Costabel, a favorire l’incontro con
l’Università del Salento a partire da un memorabile Congresso del 1987 per il 350o anniversario
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del Discours de la méthode e degli Essais. Decisivo, quell’evento, per quel che ne seguirà: la
sottoscrizione di un accordo scientifico tra la nostra università l’EPHE, la Sorbonne, l’ENS; la
costituzione di un Dottorato europeo italo-francese, di un ‘centro di studi cartesiani’ gemello di
quello francese; la nascita di collane scientifiche che sono ormai accreditate in tutto il mondo
nell’ambito degli studi su Descartes e il Seicento. Ecco, a dare impulso a questo insieme di iniziative
scientifiche che hanno aperto Lecce al mondo, dal 1987, vi è sempre e comunque, il sorriso sereno
e la compiaciuta tranquillità di Jean-Robert Armogathe. A rendere tutto ciò possibile, all’inizio, il
compianto Rettore Angelo Rizzo.
Molto altro potrebbe essere aggiunto, ma conviene fermarsi esprimendo un auspicio: vorremmo
che Jean-Robert Armogathe, parlando di questa nostra università e di questa cerimonia, possa
dire quello che Gronovius – grande studioso al quale certo Armogathe non disdegnerà di essere
accostato – scriveva del modo con cui era stato ricevuto alla biblioteca e Academia Puteana: a
singulis ingenti humanitate exceptus; e forse anche potesse proseguire con le parole dello stesso
Gronovius non per descrivere una felice realtà trovata qui a Lecce, ma per indicare piuttosto
un comune ideale: «certus sum hodie nullum esse sub caelo locum in quo tantum eruditionis et
humanitatis congestum sit».
È la sua humanitas che si intendeva qui sottolineare, come valore centrale che non si esprime
solo nell’amore per le bonae litterae, ma nell’apertura mentale, rispetto, interesse per gli altri,
nell’impegno per la promozione delle humanae litterae e dei buoni studi.
LAUDATIO
Quam ob rem ab humanitate tua rogo atque etiam oro, magnifice Rector, ut aditum in amplissimum
doctorum ordinem huius almae Universitatis Ioanni Roberto Armogathe, nationis gallicae, doctori
philosophiae apud Scholam Maiorum Studiorum Lutetiae, honoris causa concedas, ad nomen eius
augendum quo pariter cum Universitate nostra in omne tempus praeclarius vivat, crescat, floreat.
Dixi.
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Lectio Magistralis
prof. Jean-Robert Armogathe
La distinzione che mi conferite, e che molto mi onora, se è motivata dai lunghi anni di ricerca e
di insegnamento in numerose istituzioni accademiche, è anche un attestato come hanno ricordato
Giovanni Invitto e Giulia Belgioioso, del mio particolare impegno presso l’Università del Salento.
Il vostro Ateneo ha tenuto un posto tutto speciale sul piano della didattica (per le tante lezioni da
me tenute nei corsi dottorali) sia su quello della ricerca per la collaborazione, tuttora attiva, con
il Centro Interdipartimentale di Studi su Descartes e il Seicento. In altre parole, cari Colleghi e
amici, ci sono voluti cinque lustri per ottenere questa laurea ! Grazie, dunque, e, prima di tutto,
per la vostra lunghissima (e longanime) tolleranza verso uno studente da tanti anni ormai fuori
corso. Ma di questa pazienza, anzi, approfitto subito e ad essa mi appello per proporvi alcune
riflessioni, riflessioni eretiche, sulla Storia della Filosofia.
Come per tanti campi del sapere, tutto inizia con i Greci...: un modello compiuto di storia della
filosofia è quello fornito, nel III secolo della nostra era, da Diogene Laerzio (probabilmente
originario di Laerte, in Cilicia, l’odierna Alanya che si trova nel Sud-Est dell’attuale Turchia) nei
dieci libri delle sue Vite dei filosofia. E, se si guarda a quelle che vengono chiamate oggidì Storia
della filosofia — e ve ne sono di eccellenti, specialmente in Italia e in Germania — si vede che si
tratta, per l’appunto, di dossografie, una parola brutta che significa che vi si trovano enumerate,
in ordine cronologico, ‘vite e dottrine dei più illustri filosofia’. L’illustrazione segue, d’altronde,
un canone accademico che va dai Presocratici fino ai filosofia contemporanei, un canone che è
strettamente occidentale, prima di tutto mediterraneo, e universitario. Questa è la Storia della
Filosofia dei nostri programmi curriculari.
Questa storia è spesso una forma debole, indebolita, di storia: i professionisti della storia, gli
storici, sono scettici a riguardo del lavoro storico svolto dai filosofia, che práticano spesso una
storia intellettuale ormai desueta. Gli storici della Filosofia leggono malvolentieri le fonti originali
e, soprattutto, faticano a contestualizzare le filosofia che insegnano all’interno dei più ampi
fenomeni culturali in cui sono nate. Coloro che, per primi, hanno insegnato come si fa una Storia
della Filosofia sono stati gli antichisti, che hanno letto i testi e li hanno collocati nel loro contesto
storico; un lungo cammino resta, invece, da percorrere in filosofia moderna che, in quattro secoli,
si è chiusa nell’angolino di una quindicina di «grandi autori», che tiene a vile la filosofia coltivata
nelle pubbliche istituzioni, ‘studii’, università e accademie; che la isola separandola dalla teologia,
dalla letteratura e – ahimè! – dalla filologia, che disprezza la storia materiale dei testi e, spesso, si
accontenta di una critica testuale che avrebbe lasciato stupefatto uno studente tedesco dell’inizio
dello scorso secolo! E, ancora oggi, in Europa, la storia della filosofia si insegna nei dipartimenti
di filosofia; per i dipartimenti di storia, essa, semplicemente, non esiste. Come non vedere che,
al contrario, in molte Università degli Stati Uniti e del Canada sono gli storici, nei dipartimenti di
storia, che portano avanti eccellenti ricerche di Storia della Filosofia?
La storia non può essere scritta se non per mezzo di scienze a lei ausiliari che, al contrario,
altezzosamente, la Storia della Filosofia nel suo insieme in gran parte ignora.
La storia della filosofia si appoggia quindi su una storia debole che, pure, ha per oggetto nientemeno
che: la filosofia! La storia economica, la storia diplomatica, la storia delle scienze, che sono delle
discipline storiche, hanno un oggetto preciso. La storia della filosofia, al contrario, presuppone
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che esista una cosa che viene chiamata filosofia, cui guarda come un continuum di cui deve «fare
la storia» – dove fare la storia significa, esattamente, creare l’oggetto del proprio racconto ....
Scrivere o insegnare la Storia della Filosofia si basa, dunque, sul presupposto che esista un oggetto,
ad esempio una filosofia perennis, di cui è possibile percorrere le successive tappe, dai presocratici
fino ad Husserl, Heidegger, Croce, Vattimo, Derrida o Marion .... È questo, comunque, l’angolo
visuale dal quale si pone, in generale, il professore di filosofia, ed è vero che i filosofia più recenti
(dall’Ottocento in poi) sono stati professori di filosofia, la cui formazione consisteva nel leggere e
commentare i filosofia precedenti... La filosofia è autofaga e la sua storia sembra essere votata ad
una semplice reiterazione.
Ma cos’è che ‘permane’ in filosofia? Esiste un cielo delle idee filosofia, eterne, che a turno
brandiscono, come testimoni di una corsa a staffetta, dei «filosofia»? È una spiegazione possibile
che è già un’interpretazione filosofia. Si tratta, in questo caso, di scrivere la storia delle idee,
secondo un’espressione oggi molto screditata, un’espressione che compare nella titolazione della
mia cattedra presso le Hautes Études – titolazione voluta da Alexandre Koyré – rispetto alla quale
mantengo più di una riserva. È noto che Nils Johan Nordström a Uppsala (1891-1967) e Arthur
Lovejoy (1873-1962) alla Johns Hopkins University hanno sostenuto che esistesse un’unit ideas
intemporali, mentre l’Ideengeschichte di Jacob Burckhardt (1818-1897) e Wilhelm Dilthey (18331911) ha dovuto subire dure prove nel corso del ventesimo secolo.
Un primo punto debole nella storia della filosofia è stato credere che una stessa parola potesse
designare una stessa cosa, che vi sia una perennità semantica di ousia o di spatium. Ma, in verità,
una Storia della Filosofia attenta alla terminologia permette di descrivere le variazioni semantiche,
di tracciare la semantica di un termine. Questo è un dato acquisito nel dominio dei saperi in
cui le definizioni hanno un peso maggiore, cioè nel diritto – intendo il diritto romano! – in cui il
trattato De terminorum significatione viene considerato come basilare: e lì si vede che la stessa
parola, in effetti, non ha sempre designato la stessa cosa. L’innovazione passa talvolta attraverso
neologismi morfologici, ma, più spesso, attraverso neologismi semantici. In filosofia, la peculiarità
di Descartes è stata dare un senso nuovo a termini scolastici – ed è proprio questo che i suoi critici
hanno chiamato confusione dei termini e difficoltà del suo linguaggio. La Storia della Filosofia si fa a
partire dai testi, letti in lingua originale, e non può prescindere da una grande attenzione ai lessici.
La seconda debolezza è legata alla presunzione dell’Ideengeschichte che sulla base di un falso
concetto di modernità (è il suo ‘peccato’!), ha condiviso con i suoi critici il pregiudizio di una
perennità in un progresso lineare, raggiunta per successiva accumulazione. È facile considerare il
passato insufficiente o superato. Si può, ad esempio, constatare che si sono prodotte in Occidente,
Rinascite successive, nel IX, XI e XII, XIII, XV secolo... generalmente dovute all’apporto,
all’invenzione, di nuovi documenti. Le Rinascite non sono state, tuttavia, necessariamente
prodotte da innovazioni progressive; molto spesso, da innovazioni, per così dire regressive, di
‘reazione’, di ‘ritorno’ ad epoche passate. Il pensiero utopico, motore della storia, è più spesso
quello che fa appello ad un’età d’oro perduta che quello che guarda ad un avvenire da costruire.
Non bisogna temére il reditus ad priscos, soprattutto, se non puoi attenderti che delle stupidaggini
dai tuoi contemporanei («quoniam a praesentibus praeter meras nugas nihil est quod speres ...»
De remediis ... II 1172), come già notava nel Trecento quello che per Renan è il primo moderno,
ossia Petrarca...
Terza debolezza (il terzo scoglio) è rappresentata dalla storiografia: la Storia della storiografia
filosofia conosce una rara fortuna in Italia e ha raggiunto notevoli risultati. Eppure, essa comporta
il rischio reale di insegnare non tanto la storia delle idee, quanto piuttosto la storia dei suoi storici.
In realtà, la storia della filosofia deve assicurare due funzioni: quella del ricordo e quella della
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scoperta; essa ha, per dire le cose in maniera più tecnica, una funzione mnemonica e una funzione
euristica.
Non si può sospettare Platone di indulgenza nei riguardi degli storici – il mito di Thot, nel Fedro,
denuncia la scrittura come intralcio alla conoscenza. Tuttavia, lo stesso Platone accettava che
i suoi Dialoghi venissero ricopiati – e mandati a memoria – dai suoi allievi. Sembrerebbe che gli
ultimi Dialoghi abbiano persino assolto la funzione ipomnematica che Platone descrive nel Fedro
con qualche compiacenza:
«I giardini di scrittura li seminerà e li scriverà per gioco, quando li scriverà, accumulando materiale
per richiamare alla memoria, a se medesimo, per quando giunga, se mai giunga, alla vecchiaia
che porta all’oblio, e per chiunque segua la medesima traccia e gioirà di vederli crescere freschi»
(Fedro 276d).
La Storia della Filosofia conserva dunque la memoria: memoria di cosa? Degli sforzi compiuti nel
corso dei secoli per dare una spiegazione del mondo, del destino e della morte.
Dire che una storia è un esercizio di memoria può sembrare una banalità; ma la Storia della
Filosofia non è storia delle res gestae ma, piuttosto, storia delle res gerendae. In altre parole, è
storia dei princípi che avrebbero potuto governare le azioni – o che, talvolta, le hanno governate.
Una storia delle domande che sono state poste – e delle risposte che avrebbero potuto essere date.
Questa definizione può far pensare che si tratti di un museo di pensieri morti, però ciascuno di
questi pensieri può rivelarsi ancora vivo – come quei virus che si riattivano nuovamente a contatto
con il vivente – a una condizione: accettare di afferrarlo così com’era quand’è nato. In altre
parole, si tratta di non accontentarsi di leggerlo nelle risposte che ha via via dato, ma tentare
di comprendere e di restituire le domande alle quali esso intendeva rispondere quand’è stato
pensato e formulato. Mortali sono le risposte, non le domande, che, esse sì, sono eterne.
Un esempio eccellente è rappresentato dalle ricerche dei medievisti, in particolare di quelli che
lavorano sulla logica e sulla linguistica: gli autori che essi studiano hanno posto delle domande
che ancora oggi, riformulate secondo le tecniche più raffinate in logica e in linguistica, stímolano
risposte nuove. Faremo un solo esempio: la questione della scienza di Adamo. Nato adulto, Adamo
possedeva, secondo la Genesi, un bagaglio di conoscenze grazie al quale ha potuto dare un nome
a tutte le creature. Da qui gli infiniti commenti, in particolare sulla sua conoscenza della logica
(tanto più che, come Malebranche ebbe occasione di ricordare, Adamo non poteva minimamente
conoscere né la storia né la grammatica!).
I filosofia del Cinquecento e del Seicento, Ramo e Keckermann, avevano creduto di poter
affermare, in tutta semplicità, che Adamo ed Eva possedevano la Logica e l’avevano insegnata ai
loro discendenti. Ma la Logica ha fatto grandi progressi dopo Adamo e dopo Aristotele! Leibniz non
nasconde, a più riprese, la sua stima per la grande opera di Joachim Jungius (1587-1657), la Logica
Hamburgensis (1638), forse perché si tratta di un tedesco ma, soprattutto, per la strabiliante
novità del suo pensiero. Jungius era convinto che se la logica classica era sufficiente alla scienza
classificatoria degli Antichi, la resolutio moderna richiedeva altri strumenti, una «logica obliqua»,
la sostituzione di una logica di relazioni alla logica delle proposizioni. È questa logica noua che, in
tutta evidenza, Adamo ed Eva ignoravano: altrimenti, come avrebbero potuto lasciarsi ingannare
dal Serpente?
È stato Jacob Friedrich Reimmann a prospettare una diversa e nuova spiegazione. Nel suo
Critisirenden Geschichtscalender von der Logica (1699), Reimmann è ancora fedele alla tesi
classica dell’onniscienza di Adamo, ma nel 1709 pubblica una retractatio: non è Dio ad insegnare la
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logica ad Adamo, ma il Maestro sofista, Satana stesso! I nostri progenitori avevano sì una sapientia
massima, ma possedevano una eruditio minima. In tal modo si spiega perché essi abbiano potuto
essere ingannati dal Maestro menzognero.
La situazione moderna, dopo il peccato, è capovolta: senza dubbio noi non siamo saggi, ma, al
contrario di Adamo ed Eva, disponiamo di una formidabile eruditio, di mezzi potenti ed efficaci.
Ed è per questo che noi possiamo eccellere nella «logica artificiale». Il ragionamento di Reimmann
è stato, dopo il 1717, portato alle sue ultime conseguenze da un certo Regenfuß che, in una
dissertazione dedicata alla Logica Adami, rifiuta ogni conoscenza logica ad Adamo. Sottolíneo
che, dietro siffatta tesi, si intravvede tutta una nuova filosofia del linguaggio, di tipo sensista, che
annuncia Condillac.
Un altro esempio, che mi limiterò solo ad evocare, viene dalla filosofia politica: si sa che per
comprendere le teorie politiche di Platone o di Hobbes bisogna contestualizzarle. Ciò è
indispensabile per evitare controsensi o anacronismi. Ma, ciò detto, il ventunesimo secolo ritrova
le domande che quei filosofia hanno posto, e, spesso, il modo stesso in cui le hanno formulate,
taluni aspetti sui quali si è volta la loro indagine si rivelano dei punti sensibili della nostra cultura;
quei filosofia aiutano a formulare le domande oggi necessarie al lavoro del filosofia che consiste più
nel porre domande che nel dare risposte.
Mi sia qui permesso di ricordare, fra i tanti esempi, come il mio maestro Werner Krauss, analizzando
nelle Marburger Beiträge zur romanischen Philologie del 1936 la filosofia politica del drammaturgo
francese Pierre Corneille, ha potuto denunciare l’autoritarismo totalitario del partito nazista: ci
sono voluti parecchi mesi – e qualche denuncia – prima che i censori nazisti si rendessero conto
del carattere sovversivo di uno studio in apparenza innocentemente erudito ed innocuo. Il primo
compito della filosofia non è forse quello di insegnare come l’uom s’eterna?
La storia della filosofia è, dunque, una disciplina molto sovversiva in quanto solleva delle questioni
laddove le istituzioni, i poteri politici e religiosi vorrebbero vedere nient’altro che dei luoghi
comuni da lungo tempo acquisiti ed appianati. I governi totalitari, negli ultimi due secoli, hanno
voluto sopprimere, o almeno controllare, l’insegnamento della Storia della filosofia.
Per il fatto di essere eristica, per il fatto di porre delle questioni, la Storia della Filosofia è una
componente necessaria della libertà di pensare – ed è come tale che deve essere insegnata sin dai
primi anni, nei licei. Ma essa non è solamente eristica, è anche euristica.
Che cosa si può scoprire in filosofia? Per secoli, si è creduto che l’enciclopedia peripatetica, gli
scritti di Aristotele e dei suoi commentatori, contenessero tutto ciò che si poteva sperare di sapere
in filosofia, essenzialmente in filosofia naturale, quella che verrà chiamata fisica. In matematica
si faceva riferimento agli specialisti greci – e a Tolomeo per la cosmologia. I principi biologici di
Aristotele, completati dagli scritti medici, erano ancora recepiti, applicati ed estesi alle scoperte
di nuove specie o ad una migliore osservazione delle specie esistenti. La Storia naturale di Plinio
il Vecchio è rimasta, per secoli, il riferimento obbligato e necessario: sant’Agostino lo chiamava
doctissimus homo, miraculorum naturalium scriptor... (De civitate Dei XV, 9).
Resta la metafisica: per più di mille anni il cristianesimo ha potuto fare a meno di quella di
Aristotele ed è stato dunque costretto a organizzare, a mettere insieme alla bell’e meglio un
discorso filosofia utilizzando fonti diverse, essenzialmente platoniche, la cui sintesi ha potuto
mantenere e proporre nella filosofia cristiana, in Agostino, Boezio o Scoto Eriugena. È stato Pietro
Lombardo a proporne il testo di insegnamento nel suo Libro delle Sentenze.
La grande crisi causata nella teologia cristiana dall’arrivo dei testi metafisici dello Stagirita poté
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essere superata dall’abile sintesi di Tommaso d’Aquino (un Salernitano professore a Parigi!) che non
si accontentò di commentare le Sentenze del Lombardo, ma osò proporre una Summa theologica
per insegnare la dottrina cristiana e un’altra, non meno importante, ad uso dei «Gentili». Al
Maestro greco con il suo cortegio di commentatori succedette il Dottor Angelico con il proprio
cortegio di commentatori. Alla tradizione del Liceo succedette quella della Scuola, che, molto,
gli deve. Ma la diversità, che non aveva mancato di esistere nella tradizione pagana, si mantenne
nella tradizione cristiana: accanto ai Domenicani fedeli al loro Dottore, le altre famiglie religiose
affermarono la loro indipendenza: francescani, agostiniani, carmelitani, benedettini, cistercensi,
premostratensi proposero altrettante varianti, talvolta molto originali, di filosofia christiana.
Nel Cinquecento, ultimi arrivati sulla scena accademica, i gesuiti, novatores, recentiores,
proposero a loro volta una dottrina compósita ed un nuovo stile d’insegnamento, gallico more,
fortemente marcato dall’esperienza parigina del loro fondatore. La Concordia di Molina (1588) è
uno straordinario tentativo di sintesi tra la tradizione biblica e medievale della potenza divina e
le nuove correnti del pensiero umanista, ad esempio la devozione «moderna». È questo lo sfondo
indispensabile di quella che viene chiamata «filosofia moderna», che non ha potuto affermarsi
e svilupparsi se non in contrapposizione ad una filosofia della Scuola della quale, pure, si era
nutrita. Il sopravvenire del soggetto che dice: «io», si accompagna ad una riscoperta dell’anima
come subjectum, reintegrata nell’insegnamento della fisica. L’opera del gesuita Francisco Toledo
(1532-1596) è capitale, specialmente nelle questioni introduttive (quaestiones proemiales) dei
suoi Commentari ai tre libri del de Anima di Aristotele.
La critica della Scuola si insinua in maniera naturale nel fiume antiaristotelico, nutrito di affluenti
molto diversi, platonizzanti, stoici, epicurei, ermetici, dagli sbocchi talvolta contraddittori ma
tutti ugualmente persuasi di poter fare a meno degli insegnamenti dello Stagirita. Questo fiume
è scorso lungo le rive del naturalismo italiano che possiede una reale e forte posterità in tutta
Europa (mi piace qui storia Giulio Cesare Vanini (1585-1619), nativo di Taurisano, del quale i
ricercatori salentini hanno mostrato l’importanza della diffusione clandestina).
Lo storico della filosofia non ha solamente una gerla di domande da porre: dispone di risposte,
risposte che si situano in un contesto storico preciso, ma il cui contenuto rimane valido anche oggi.
Nessuno meglio di Leibniz ha analizzato questa funzione euristica della storia della filosofia:
«ad artem inveniendi pertinet nosse formare quaestiones vel, quod eodem redit, nosse instituere
observationes, nosse sumere experimenta»3.
Formare quaestiones: è proprio questo che deve insegnare la filosofia. La sua storia è necessaria
per conoscere le domande formulate in altri secoli e in altre circostanze – e per constatare che si
tratta sempre delle medesime domande: i ‘corsi’ e ‘ricorsi’ della storia. Queste domande trovano
espressione nei linguaggi e tutto un versante dell’indagine filosofia si è interrogato sulle relazioni
tra linguaggio e realtà: nessun dubbio sul fatto che Achílle supera la tartaruga, ma il paradosso
mostra che con le parole è difficile darne una dimostrazione e, dunque, che vi è una distorsione
tra le parole e le cose. E, tuttavia, come sottolinea Spinoza, vi è fra le idee e le parole una
concatenazione che è quella stessa degli avvenimenti: la storia della filosofia è una storia del
pensiero e il pensiero non può essere afferrato, studiato, analizzato se non nella sua storia. È per
questo che la storia della filosofia è, in maniera eminente, una disciplina filosofia, il fondamento
stesso di ogni avventura filosofia.
Con vostro grande sollievo mi avvío a concludere questa lezione troppo lunga, ormai sarà più corta
mia favella... I miei lavori a Lecce hanno avuto come oggetto principale René Descartes: nato in
Francia, Descartes ha viaggiato per tutta l’Europa come soldato, come curioso o come pellegrino.
Ha vissuto più a lungo nei Paesi Bassi che in Francia ed è stato invitato in Gran Bretagna. Il suo
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ultimo viaggio, in Svezia, gli è stato fatale. Come altri curiosi del suo tempo, ha attraversato
l’Europa, l’Europa delle Università, l’Europa degli eruditi, la respublica litterarum. Conferendomi
questa insigne distinzione, è quell’Europa che l’Università del Salento ha voluto onorare, è
quell’Europa, quella degli studenti e dei dotti, quella degli scambi culturali e dei contatti personali,
è quell’Europa nella quale vivo da mezzo secolo e che noi tutti ci sforziamo di costruire.
Mi ci sono voluti venticinque anni per ottenere questa laurea. Ma il neolaureato non considera
questo traguardo la conclusione dei suoi studi: con questo riconoscimento di un’opera portata a
termine, mi incoraggiate a proseguire la strada, con voi tutti e particolarmente con i nostri studenti!
Il vero scopo del filosofia, tra storia e utopía, è sapere discernere le risposte che l’avvenire fornirà
alle domande che sono state poste ieri.
Dixi.
NOTE
1
La compilation de l’empereur Justinien, qui comportait à la fin des Digesta un titre consacré à la signification des mots
(de terminorum significatione).
2
Éd. C. Carraud, Grenoble, 2002, t. 1, p. 1052.
3
Initia scientiae generalis..., Gerh., Phil. Schr. VII, 126.
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