Verso una nuova politica criminale, però…Quale

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Verso una nuova politica criminale, però…Quale?*
* (traducción de Lorenzo Natali, en prensa en "Dignitas, Percorsi di carcere e giustizia", Italia, año
2006)
Carlos Alberto Elbert
Introduzione
L’attuale disarticolazione sociale, i cambiamenti tecnologici e nei sistemi produttivi,
ci hanno sommerso in una Verso una nuova politica criminale, però…Quale?
1. Introduzione
L’attuale disarticolazione sociale, i cambiamenti tecnologici e nei sistemi
produttivi, ci hanno sommerso in una comunità globale capitalistica con
caratteristiche inedite, che si espande con velocità ed efficacia fulminante. Le
interazioni umane dirette si indeboliscono, mentre vengono rimpiazzate da contatti
virtuali, che si estendono dalla sfera intellettuale fino a quella sessuale, con
conseguenze dis-umanizzanti.
Il processo in corso non si limita all'interscambio accelerato di informazioni
destinate a singoli individui, bensì provoca anche profondi effetti sociali. Uno dei più
distruttivi è la costituzione di sistemi di esclusione: in primo luogo nel lavoro, quindi
nei servizi sociali e infine nella stessa società. Gli organismi finanziari continuano a
imporre le proprie interpretazioni della realtà, specialmente a partire dalle grandi
catene di mezzi di comunicazione a loro disposizione, stabilendo valori e priorità
politiche, esercitando un'influenza che va dagli habitus culturali fino alle leggi; a
quest'ultimo aspetto dedicheremo parte di questo lavoro.
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I valori e le istituzioni che avevano legittimato gran parte delle pratiche sociali
del XX secolo stanno scomparendo, provocando effetti anomici e di frammentazione,
le cui conseguenze in un paese come l'America Latina equivalgono a una catastrofe.
In una maniera molto più fulminante che in Europa, nella nostra regione i
“Mercati” si sostituirono allo Stato, e hanno dimostrato chiaramente l'incompatibilità
delle loro motivazioni e obiettivi con quelli del sistema democratico.
Senza dubbio, questi cambiamenti modificarono anche la comprensione del
controllo sociale, delle sue tecniche, dei suoi fondamenti e dei suoi modelli operativi,
così come erano intesi nel modello precedente. Il Paradigma dell'Insicurezza
denuncia oggi pericoli intollerabili, richiedendo l'adozione di decisionismi
pragmatici. Queste “soluzioni pratiche” rimangono indifferenti alle garanzie, alle
strutture sistematiche o alle finalità utilitaristiche in materia penale, e ciò produce una
politica penale inedita, lontana dai sistemi precedenti. Come penalisti e come
criminologi intendiamo percepire la natura e i possibili sviluppi di queste nuove
politiche penali della post-modernità.
2. Le politiche penali, oggi
Tutto cospira nell'indicare che il controllo assume la forma che pretendono gli
inclusi e coloro che riescono, con grande difficoltà, a rimanere dentro il modello. In
tale schema gli esclusi contano solo per essere criminalizzati.
Quando un emarginato attacca un membro di una “famiglia tipo” o invade la
privacy di un quartiere chiuso di classi benestanti, si liberano isterie politico criminali
che lottano per la difesa urgente della legge e dell'ordine, proponendo numerose
modifiche legali, guardando con favore alle invenzioni dell'ingegneria politico
criminale statunitense (“tolleranza zero”, stigmatizzazione pubblica, carcerazioni
sproporzionate o pene fisse della durata di cento anni, esecuzioni itineranti, ecc.).
2
Da parte sua, l'indignazione dei meno favoriti si esprime con stati di assenza di
auto-controllo, che possono arrivare fino ai linciaggi nelle strade, dal momento che
non sperano più in una giustizia dalla quale si sentono alieni e ignorati. Il limite dei
loro diritti non è più segnato da una Costituzione o da leggi certe, bensì dall'intensità
della sofferenza che patiscono coloro che reclamano e dalla loro capacità di
esprimerlo come pressione, in occasioni concrete. La giustizia rivendicata dai ricchi e
dai dimenticati è centrata sempre più nella satisfattività retributiva, mediante la
presunzione di colpevolezza e la pretesa di una pena certa per gli autori.
3. La percezione del controllo sociale, in due casi di sicurezza pubblica in
Argentina: “Blumberg” e “Cromanon”
All'inizio del 2004, dopo un sequestro seguito da morte, il padre della vittima,
un ingegnere di nome Blumberg, promosse grandi riunioni pubblici a Buenos Aires,
(più di 100.000 persone nella prima) richiedendo maggiore sicurezza alle autorità. Il
governo, temendo che quest'iniziativa potesse procurargli conseguenze politiche
negative (così indicavano le inchieste), aprì le porte al signor Blumberg, come
interlocutore sociale legittimo, con un'ampiezza mai concessa prima ai familiari delle
vittime. Il Potere Esecutivo si dimostrò ricettivo a tal punto che, includendo molte
proposte di Blumberg, proclamò un piano di politica criminale clamorosa ed
eterogeneo, riproponendo formule note e già fallite, progettando riforme legali che, in
molti casi, erano difficili da conciliare con la Costituzione nazionale. Ovviamente, si
cercò di farlo senza studi adeguati, senza un progetto realista e senza preventivi
consensi tra lo Stato e le Province, con legislatori costretti a votare qualsiasi cosa,
contemplati severamente dal signor Blumberg, il quale, cronometro alla mano,
criticava quelli lenti e quelli titubanti, come se i deputati fossero suoi mandatari
privati, assunti a ore.
3
Quella “mandria impazzita” [del 2004], svanì poco dopo, con la rimozione del
ministro della giustizia, non senza essere riusciti a provocare numerosi disastri nella
legislazione penale e processuale.
Il risultato di questa tappa di rafforzamento penale fu la saturazione delle
carceri, che si riempirono fino a livelli estremi difficili da controllare.
Blumberg costruì il suo discorso secondo la visione ideale di una società
composta da cittadini onesti, lavoratori e disciplinati, ai quali non sarebbe permesso
vivere in pace dagli “altri”, ossia, da elementi senza valore, (nemici della società)
ingiustamente favoriti da una qualità di “cittadini” che non meritano.
Sarebbe ora, pertanto, che lo Stato si schierasse dalla parte di quelli buoni,
perseguendo i “nemici” senza considerazione alcuna.
Gran parte dei mezzi di comunicazione esasperarono l'illusione che la società
degli integrati è quella vera, che si trovava in estremo pericolo, e che la sua
preservazione dovesse esigere metodi convincenti, al di là della retorica razionalista
delle istituzioni e delle leggi. I reclami furono presentati, semplicemente, come una
incarnazione del “senso comune”. Senza dubbio questa linea di pensiero conduce
fluidamente verso quello che alcuni autori chiamano il “diritto penale del nemico”. È
noto che gli Stati Uniti lo stanno applicando ai sospettati di terrorismo, violando
qualsiasi tipo di legge e trattati, e negando persino i diritti più essenziali ai suoi
detenuti che arrivano alle carceri segrete dopo essere stati sequestrati in diversi Paesi.
L’irruzione del fenomeno Blumberg costituì, in Argentina (in particolare a
Buenos Aires) l'apoteosi di un processo che ha snaturato il sistema penale, processo
che si stava attuando, con diversa intensità, negli ultimi quindici anni.
Nell'anno 2005, si verificò, a Buenos Aires, un altro tragico fenomeno, che
aggravò il quadro della situazione precedente, perché generò non più solo un attacco
alla legge, bensì, ora, direttamente ai giudici e ai poteri politici. Si tratta del
cosiddetto “Caso Cromanon”, nome di una discoteca di Buenos Aires, che si incendiò
alla fine del 2004, causando la morte di quasi 200 giovani e ferite gravi ad altri 100. I
familiari e i mezzi di comunicazione parlarono di “assassinati” e in alcune licenze
4
interpretative, affermarono che gli autori dei crimini furono il padrone della
discoteca, i musicisti che davano il concerto, i giudici che li scarcerarono o il capo del
governo della città di Buenos Aires, individualmente o congiuntamente, senza
escludere altri vari responsabili ipotetici. Queste sovrapposizioni concettuali
contaminarono costantemente le loro opinioni, durante le loro dimostrazioni
pubbliche.
Alcuni familiari delle vittime di “Cromanon” manifestarono reazioni violente
contro la polizia e la giustizia, quando un tribunale mise in libertà il proprietario della
discoteca. Senza dubbio, le proteste di Blumberg avevano già criticato “i giudici
permissivi” e i loro criteri (in realtà, i giudici di questo tipo risultano essere minoritari
nella composizione complessiva della giustizia argentina). A partire dal caso
Cromanon, la protesta anti-giudiziale assunse caratteristiche esplicite.
I casi descritti mostrano l'incompatibilità tra alcune domande “popolari” di
giustizia e i principi basilari di garanzia del sistema penale. Le proteste possono
orientarsi, in modo crescente, verso forme di attivismo violento, estorsivo e
intollerante, che esercita una pressione politica sulle autorità al fine di imporre loro le
decisioni che rivendica.
Senza dubbio, questo stato di cose risulta predisposto per l'indebolimento della
fiducia sociale nei confronti degli apparati della giustizia. A tutt'oggi esiste un vero
abisso tra ciò che la maggioranza della popolazione interpreta come “atto di
giustizia” e i procedimenti e le forme che la legge prescrive ai giudici per risolvere i
casi.
Numerose associazioni di vittime offrono al governo “programmi”, che
includono la “messa in commissione” di tutto il potere giudiziario, la nomina per
elezione diretta dei giudici, dei pubblici ministeri e delle autorità di polizia, e alcuni
poteri di destituzione permanenti. Includono anche una proposta di “giurati” che in
realtà sarebbero giudici “laici”, ma con capacità di decisione extragiudiziale.
5
4. Una prima interpretazione
Le proteste di Blumberg e quelle per Cromanon dimostrano, ciascuna con le
proprie distinte sfumature, di essere state ideate e affrontate secondo logiche
differenti da parte dei funzionari e da parte dei cittadini. Desidero sottolineare che
nonostante questi fatti si siano verificati in Argentina, possono rappresentare un buon
esempio per analizzare fenomeni simili in Europa o in altre parti del mondo. Sembra
che queste situazioni si stiano generalizzando, conformemente ai modelli delle
“società del rischio”.
Le proteste di Blumberg e Cromanon contengono molti elementi per un'analisi.
In uno studio interdisciplinare su tali proteste, si sostiene che esse esprimono
fenomeni psico-sociali che generano manipolazioni, che Susana Murillo denomina
“La colonizzazione della sofferenza”. Secondo questa studiosa, ogni espressione di
dolore legittimo viene sfruttata prontamente dai gruppi di potere, al fine di ottenere
vantaggi estranei alle necessità reali di coloro che hanno sofferto le disgrazie,
ottenendo in forza di questa intermediazione obiettivi che difficilmente avrebbero
potuto raggiungere in altro modo. Il “successo” dei gruppi di protesta consiste
nell'ottenere da parte dei poteri pubblici risposte estremamente repressive contro certe
persone o certi gruppi di persone.
Le rivendicazioni dei settori coinvolti non si incentrano, quasi mai, nella
richiesta di misure reali per contenere la sofferenza delle vittime; orientano invece la
propria lotta nel senso del “neopunitivismo”. A questo processo si sono aggiunti
anche organismi per i diritti umani, che hanno appoggiato acriticamente le richieste
delle vittime, considerando che “il modo per riparare violazioni ai diritti umani si
ottiene in primo luogo con il castigo penale e che quest'ultimo è qualcosa di tanto
lodevole e vantaggioso che deve essere conseguito senza controlli e senza limiti, con
disprezzo per i diritti fondamentali”.
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Secondo questi movimenti, va rifiutata ogni decisione giuridica che non
comporti l'incarcerazione o la restrizione della libertà di personaggi odiosi per loro, in
nome di una specie di “giustizia sociale”.
Occorre segnalare che se Blumberg costrinse i funzionari politici ad associarsi
con lui, i familiari di Cromanon uscirono a farsi giustizia da sé, attaccando gli edifici,
i giudici e le autorità politiche del governo della città di Buenos Aires (tentativi di
incendio doloso, minacce di morte anonime, danni, stigmatizzazione, denunce
formali, diffamazione e minacce dai mezzi di comunicazione, pressione sui Tribunali
dei procedimenti politici, ecc.). Cercarono anche di “rendere la vita impossibile”
all'imputato Chaban, in qualsiasi luogo nel quale cercasse di disporre della sua
libertà. Di certo, bisogna ammettere che questo insieme eterogeneo di reclamanti,
raggiunse il risultato giudiziario di revoca della libertà dell'odiato imputato Chaban,
la sottoposizione a giudizio dei giudici che l'avevano scarcerato e la sospensione e la
successiva rimozione dal suo incarico del Presidente del Governo della città di
Buenos Aires, dopo un giudizio politico di dubbia legittimità.
In sintesi, questi casi provano che l'azione diretta risulta vittoriosa, che
raggiunge rapidi e drastici effetti istituzionali, forzando le autorità a promulgare le
leggi, ad adottare modelli di politica penale, a dettare sentenze giudiziarie “su
misura”, e a destituire funzionari politici eletti dal voto popolare. Quasi una piccola
rivoluzione.
Occorre inoltre sottolineare che durante lo sviluppo di questi eventi, i massmedia mantennero un protagonismo decisivo, contribuendo, in grande misura, a
generare quel caos discorsivo che rese impossibile qualsiasi analisi logica
minimamente oggettiva dei problemi. Qualsiasi funzionario che non avesse ceduto
alle pressioni sarebbe stato denunciato pubblicamente come “corrotto”, “complice” o
“indifferente”.
Da parte sua, il potere esecutivo convalidò le reazioni di fatto dei familiari,
delegittimando i giudici che “non avevano tenuto in conto il dolore delle vittime” o
che “non avevano risposto con il senso comune a eventi tanto drammatici”.
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Il presidente della Repubblica e i suoi ministri agirono proponendo che
l’“abilità politica” si sostituisse ai principi giuridici quando il problema consisteva nel
“consolare coloro che soffrono”.
Tali fatti costituiscono, intenzionalmente, un requiem per il diritto penale
liberale, e provano che si è instaurata la nozione interpretativa di “senso comune” (di
per sé, di complessa definizione) identificandola con i “sentimenti legittimi del
popolo” per risolvere temi di sicurezza pubblica. In questo stato di cose ci sono
elementi di politica demagogica, ma possono anche esistere fenomeni più gravi sotto
la superficie. Il mio intento sarà di scoprire tali fenomeni, analizzando tre aspetti della
situazione all'interno della quale si produssero i fatti:
a) le nuove circostanze sociali
b) le conseguenze dei cambiamenti, nelle teorie sociali
c) l'individuo senza cultura né contratto sociale
a) La nuova realtà sociale
Credo che gli effetti della nuova realtà globale giungono in tutti gli angoli del
pianeta, però queste conseguenze risultano distinte a seconda della rete sociale e delle
strutture di ciascuna regione, prima e dopo il processo di privatizzazione. In poche
parole: tutti i paesi dell'America Latina vengono colpiti dalla povertà e dalla
disuguaglianza, come parte di un processo aumentato vertiginosamente negli ultimi
20 anni, però partendo da antiche radici strutturali, che risalgono fino all’epoca della
Conquista.
A tutt'oggi, la massa degli esclusi non ha possibilità di ritornare a inserirsi in
uno schema produttivo come quello di 20 anni fa. Le nostre statistiche sulla
disoccupazione, sull'analfabetismo e sulla salute riportano indicatori degli ami 50 o
anche anteriori.
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b) Gli effetti del cambiamento sulle teorie sociali
I gruppi di protesta affermano di “non avere un’ideologia”, di “essere apolitici”
e la loro filosofia sembrerebbe esigere il magico recupero di certi beni andati perduti,
o una vittoria immediata della “virtù” sulla corruzione. Di certo, questi gruppi si
considerano l'incarnazione delle virtù carenti, mentre attribuiscono i vizi ai funzionari
dello Stato, democraticamente eletti. Le dicotomie che vengono impostate sono di
tipo binario (bianco – nero) e totalmente inconciliabili con le mezze misure o con
discorsi che contemplino tutti gli aspetti di uno stesso problema. L'espressione
abituale “vogliamo giustizia” andrebbe tradotta come “esigiamo che ci diano ragione
immediatamente”, con una fanatica convinzione di possederla. Sono soliti dire: “solo
noi siamo in grado di comprendere questo problema, perché lo stiamo patendo in
prima persona; pertanto, rifiutiamo qualsiasi argomento che non coincida con il
nostro”.
L'individuo senza cultura né contratto sociale
Sebbene sia importante promuovere iniziative per una maggiore partecipazione
dei cittadini, che generino nuovi interlocutori per la gestione della politica criminale,
se ci si presentano problemi diversi, causati da fattori che meritano un'analisi
accurata. È così riconoscibile, in primo luogo, il deterioramento culturale che
colpisce la maggior parte della società, e la gestazione di un immaginario attraversato
da fattori irrazionali, che stravolgono la memoria storica, mescolano dati differenti, e
gli combinano in un discorso erratico, contraddittorio e perfino anti-democratico. Per
quale ragione sta accadendo tutto ciò?
Accade che ci troviamo di fronte all'uomo globale, che ha cessato di essere
cittadino e che ora ha rilevanza solo mediante il proprio potere acquisitivo, mediante
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la sua capacità di consumo e, eventualmente, mediante il suo protagonismo pubblico.
Il contesto che circonda l'uomo globale ha, necessariamente, un divenire caotico,
senza valori generali, senza cultura né risorse affettive che lo orientino. I suoi
precedenti saperi gli risultano obsoleti o inapplicabili per pensare alla crisi.
Ciò indica che la nostra logica razionalista non serve per rispondere alle
esigenze di questa realtà. Come segnalano alcuni autori, un dato chiave è
rappresentato dallo svuotamento dello Stato come istituzione “che dona senso” ai fatti
sociali, alle soggettività che quelle istituzioni stabilivano. Detto il linguaggio
giuridico, gli individui non si sentono più parte delle operazioni istituzionali che
prima li contenevano e li relazionavano.
La crisi sociale che stiamo attraversando è di un nuovo tipo, perché non
consiste nel passaggio da un modello esaurito a un altro che lo supera. Al contrario,
la crisi globale offre un divenire erratico, senza regole fisse né modelli sostitutivi;
troviamo una totalità scomposta, ma non si ricerca nessuna forma di ricomposizione.
Il mercato non opera come operava lo Stato, per mezzo di una sistematica e con piani
prevedibili. Non c'è più un argine capace di donare un senso generale, e il mercato è
tanto poco controllabile come sono controllabili le tempeste tropicali.
Il primo problema che abbiamo davanti consiste nientemeno che nell'inventare
una logica capace di attribuire senso a queste manifestazioni sociali. L'idea del
contratto sociale, va sostituita da qualcosa molto più flessibile e amorfo, o se si vuole
“liquido”, in grado di contenerci nella diversità di oggi.
5. Le dualità sociali nel paradigma dell'insicurezza.
Può affermarsi che la dovuta descrizione della società del controllo dovrebbe
essere intesa nella sua dualità di inclusi ed esclusi, programmando politiche per
ciascun settore, così come spazi di dialogo globale o multiplo, che permettano di
accettare l'esistenza di ciò che è differente e facilitino la negoziazione reciproca.
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Occorre sforzarsi affinché nella società si torni a tollerare “l’altro” accettandolo con
le sue differenze.
Fino ad ora, come studiosi di criminologia di formazione giuridica e come
penalisti, abbiamo cercato di sistemare il mondo attraverso la manipolazione dei testi
legali. Oggi, è noto che anche la più bella delle legislazioni senza condizioni reali di
effettività risulta una soluzione simbolica, alla cui adorazione si consacrano poi
nuove burocrazie, che si sommano a quelle precedenti.
In qualche momento sostenni che era giunto il momento di trasferire le
aspettative di elaborazione democratica del controllo ai suoi protagonisti, vittime e
carnefici, in un senso simile alle gestioni del terzo settore (ong).
Nonostante ciò, gli eventi che si sono scatenati a partire dai casi “Blumberg” e
“Cromanon” mi fecero rivedere quel punto di vista. La nascita di nuclei di protesta
produce anche la nascita di interessati e gruppi ideologici che provano (e riescono) a
manipolare le richieste dei gruppi, dimostrando che, alla fine, tutto l'attivismo era
stato politico. La mancanza di coerenza ideologica (e anche logica) all'interno dei
discorsi tumultuosi che cercano di chiedere in modo diretto ai funzionari di rendere
conto delle loro responsabilità, permette di cogliere i rischi impliciti in tale classe di
fenomeni. Nonostante ciò, credo che sia necessario che i frammenti sociali elaborino
consensi parziali, partecipino ad attività di prevenzione comunitaria, di mediazione
tra la parte che ha aggredito e quella aggredita e altri ponti di inter-comunicazione. Al
tempo stesso, una politica culturale programmatica e consensuale sul tema della
violenza e sulle possibilità di controllarla in situazioni quotidiane, appoggiata da
parte dello Stato (o di quello che ne rimane) attraverso gli istituti d'insegnamento e
tutti i mezzi di diffusione, potrebbero rappresentare validi cammini per ridurre la
violenza sociale delittuosa.
Logicamente, questi processi di ricostruzione culturale non possono essere
repentini né magici, e dovrebbero conseguire da un lavoro coerente, con obiettivi
chiari, accompagnato da politiche efficaci nella neutralizzazione dei fattori di rischio,
come potrebbe essere, per esempio, esercitare un controllo severo sulla produzione e
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sul traffico di armi, la de-penalizzazione del possesso di stupefacenti per consumo
personale, (con una regolazione ufficiale del consumo alternativo di droghe previste
da parte dello Stato), l'organizzazione di centri di riabilitazione per dipendenti di
qualsiasi tipo, case sostitutive di rifugio provvisorio per i bambini che vivono in
strada, lo smantellamento dei centri di vendita dei beni rubati, ecc., accompagnando
queste misure, ovviamente, con una politica sociale che assicuri, almeno,
l'alimentazione e un servizio sanitario ed esclusi. Nemmeno si misconosce che la
realizzazione di molte di queste misure richiede molto denaro. Ad ogni modo, se si
continua con le attuali improvvisazioni repressive, inflazionando quotidianamente il
codice penale, ci troveremo ad avanzare verso società di atomizzazione
irreconciliabile. Comprendere ciò, è un requisito per evitarlo.
6. Qualche conclusione.
I programmi di politica criminale per l'Argentina di oggi si stanno allontanando
in maniera sostenuta dall'ideale dell'Illuminismo e dalle evoluzioni teoriche del XX
secolo, come minimalismo, garantismo, de-criminalizzazione, ecc. In questa
relazione sono state analizzate alcune ragioni che spiegano questo fenomeno globale.
È indubitabile che tali società dell'insicurezza e della paura verso l'altro richiedono
modelli di controllo distinti. L'ingegneria della sicurezza degli Stati Uniti e il
cosiddetto “diritto penale del nemico” provano a realizzare questa di differenza,
mediante un diritto discriminatorio, applicabile in difesa di certi settori inclusi.
Le idee basilari che ho suggerito in precedenza dovrebbero essere promosse
con le riserve (anche queste esposte) su questa nuova logica sociale senza regole fisse
e con l'enorme influenza dei mezzi di comunicazione nella formazione di questa
coscienza sociale diffusa, combinando dati separati con emozioni che giustificano
qualsiasi tipo di reazione. In precedenti interventi ho già sostenuto la necessità di
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creare spazi pubblici alternativi che possono neutralizzare l'influenza dei mezzi più
poderosi, nella costruzione sociale della realtà.
Bisogna ammettere che le politiche di oggi non sono in grado di resistere a
nessun bilancio che possa sancire la loro “efficacia”. Però, d'altra parte, la costruzione
di più carceri e i nuovi aumenti di pena come rimedio, rappresentano un cammino
esaurito e sterile.
La sfida attuale consiste nel fare in modo che il controllo sociale “possa essere
controllato” da qualche schema razionale, orientato da idee sociali più solidali, nel
segno di una democrazia che concili le maggioranze con le minoranze, che fornisca ai
cittadini accessi
alle istituzioni, affinché queste ultime possono, in tal modo,
recuperare credibilità.
Per quanto riguarda la società attuale, è inevitabile intenderla come parte del
processo di globalizzazione, considerando che non possiamo evitarlo, e per adesso,
nemmeno limitarlo. L’Illuminismo, anche se ci costa ammetterlo, consacrò istituzioni
per società che non esistono più.
Dovremo domandarci, forse, se il processo di globalizzazione rappresenti un
male assoluto. Sicuramente non lo è, però non è nemmeno un bene assoluto, come si
vuole far credere. Ben presto il mondo periferico esploderà in conflitti orribili, che si
sommeranno alla catastrofe ecologica in corso. New Orleans ha dimostrato che anche
il concetto di sicurezza contro le catastrofi naturali si dimentica della protezione dei
poveri. Il mondo che riesca a sopravvivere a questi avvenimenti non sarà ideale. È
possibile, persino, che si riveli molto peggiore di quello già conosciuto dall'umanità.
Il problema quindi si radica nello sviluppo di strategie di qualsiasi tipo tendenti a
neutralizzare gli aspetti più distruttivi di un capitalismo cannibale che distrugge senza
remora parte di umanità, identità e conoscenze morali.
È difficile che l'uomo ritorni ad essere al centro dell'ordine giuridico, però il
capitale dovrà comprendere, perlomeno, che l'umanità non è equiparabile a un
insieme di merci di scarto.
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Per il momento, ritengo che il compromesso delle scienze sociali debba
concentrarsi in una moltitudine di analisi che aprono cammini di sperimentazione per
le nuove istituzioni, prima che la violenza dei segni crociati diventi l'unico strumento
disponibile per dirimere le differenze nelle nostre società, nel bel mezzo della crisi
più profonda della storia umana.
Buenos Aires, febbraio 2006
comunità globale capitalistica con caratteristiche inedite, che si espande con
velocità ed efficacia fulminante. Le interazioni umane dirette si indeboliscono,
mentre vengono rimpiazzate da contatti virtuali, che si estendono dalla sfera
intellettuale fino a quella sessuale, con conseguenze dis-umanizzanti.
Il processo in corso non si limita all'interscambio accelerato di informazioni
destinate a singoli individui, bensì provoca anche profondi effetti sociali. Uno dei più
distruttivi è la costituzione di sistemi di esclusione: in primo luogo nel lavoro, quindi
nei servizi sociali e infine nella stessa società. Gli organismi finanziari continuano a
imporre le proprie interpretazioni della realtà, specialmente a partire dalle grandi
catene di mezzi di comunicazione a loro disposizione, stabilendo valori e priorità
politiche, esercitando un'influenza che va dagli habitus culturali fino alle leggi; a
quest'ultimo aspetto dedicheremo parte di questo lavoro.
I valori e le istituzioni che avevano legittimato gran parte delle pratiche sociali
del XX secolo stanno scomparendo, provocando effetti anomici e di frammentazione,
le cui conseguenze in un paese come l'America Latina equivalgono a una catastrofe.
In una maniera molto più fulminante che in Europa, nella nostra regione i
“Mercati” si sostituirono allo Stato, e hanno dimostrato chiaramente l'incompatibilità
delle loro motivazioni e obiettivi con quelli del sistema democratico.
Senza dubbio, questi cambiamenti modificarono anche la comprensione del
controllo sociale, delle sue tecniche, dei suoi fondamenti e dei suoi modelli operativi,
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così come erano intesi nel modello precedente. Il Paradigma dell'Insicurezza
denuncia oggi pericoli intollerabili, richiedendo l'adozione di decisionismi
pragmatici. Queste “soluzioni pratiche” rimangono indifferenti alle garanzie, alle
strutture sistematiche o alle finalità utilitaristiche in materia penale, e ciò produce una
politica penale inedita, lontana dai sistemi precedenti. Come penalisti e come
criminologi intendiamo percepire la natura e i possibili sviluppi di queste nuove
politiche penali della post-modernità.
2. Le politiche penali, oggi
Tutto cospira nell'indicare che il controllo assume la forma che pretendono gli
inclusi e coloro che riescono, con grande difficoltà, a rimanere dentro il modello. In
tale schema gli esclusi contano solo per essere criminalizzati.
Quando un emarginato attacca un membro di una “famiglia tipo” o invade la
privacy di un quartiere chiuso di classi benestanti, si liberano isterie politico criminali
che lottano per la difesa urgente della legge e dell'ordine, proponendo numerose
modifiche legali, guardando con favore alle invenzioni dell'ingegneria politico
criminale statunitense (“tolleranza zero”, stigmatizzazione pubblica, carcerazioni
sproporzionate o pene fisse della durata di cento anni, esecuzioni itineranti, ecc.).
Da parte sua, l'indignazione dei meno favoriti si esprime con stati di assenza di
auto-controllo, che possono arrivare fino ai linciaggi nelle strade, dal momento che
non sperano più in una giustizia dalla quale si sentono alieni e ignorati. Il limite dei
loro diritti non è più segnato da una Costituzione o da leggi certe, bensì dall'intensità
della sofferenza che patiscono coloro che reclamano e dalla loro capacità di
esprimerlo come pressione, in occasioni concrete. La giustizia rivendicata dai ricchi e
dai dimenticati è centrata sempre più nella satisfattività retributiva, mediante la
presunzione di colpevolezza e la pretesa di una pena certa per gli autori.
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3. La percezione del controllo sociale, in due casi di sicurezza pubblica in
Argentina: “Blumberg” e “Cromanon”
All'inizio del 2004, dopo un sequestro seguito da morte, il padre della vittima,
un ingegnere di nome Blumberg, promosse grandi riunioni pubblici a Buenos Aires,
(più di 100.000 persone nella prima) richiedendo maggiore sicurezza alle autorità. Il
governo, temendo che quest'iniziativa potesse procurargli conseguenze politiche
negative (così indicavano le inchieste), aprì le porte al signor Blumberg, come
interlocutore sociale legittimo, con un'ampiezza mai concessa prima ai familiari delle
vittime. Il Potere Esecutivo si dimostrò ricettivo a tal punto che, includendo molte
proposte di Blumberg, proclamò un piano di politica criminale clamorosa ed
eterogeneo, riproponendo formule note e già fallite, progettando riforme legali che, in
molti casi, erano difficili da conciliare con la Costituzione nazionale. Ovviamente, si
cercò di farlo senza studi adeguati, senza un progetto realista e senza preventivi
consensi tra lo Stato e le Province, con legislatori costretti a votare qualsiasi cosa,
contemplati severamente dal signor Blumberg, il quale, cronometro alla mano,
criticava quelli lenti e quelli titubanti, come se i deputati fossero suoi mandatari
privati, assunti a ore.
Quella “mandria impazzita” [del 2004], svanì poco dopo, con la rimozione del
ministro della giustizia, non senza essere riusciti a provocare numerosi disastri nella
legislazione penale e processuale.
Il risultato di questa tappa di rafforzamento penale fu la saturazione delle
carceri, che si riempirono fino a livelli estremi difficili da controllare.
Blumberg costruì il suo discorso secondo la visione ideale di una società
composta da cittadini onesti, lavoratori e disciplinati, ai quali non sarebbe permesso
vivere in pace dagli “altri”, ossia, da elementi senza valore, (nemici della società)
ingiustamente favoriti da una qualità di “cittadini” che non meritano.
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Sarebbe ora, pertanto, che lo Stato si schierasse dalla parte di quelli buoni,
perseguendo i “nemici” senza considerazione alcuna.
Gran parte dei mezzi di comunicazione esasperarono l'illusione che la società
degli integrati è quella vera, che si trovava in estremo pericolo, e che la sua
preservazione dovesse esigere metodi convincenti, al di là della retorica razionalista
delle istituzioni e delle leggi. I reclami furono presentati, semplicemente, come una
incarnazione del “senso comune”. Senza dubbio questa linea di pensiero conduce
fluidamente verso quello che alcuni autori chiamano il “diritto penale del nemico”. È
noto che gli Stati Uniti lo stanno applicando ai sospettati di terrorismo, violando
qualsiasi tipo di legge e trattati, e negando persino i diritti più essenziali ai suoi
detenuti che arrivano alle carceri segrete dopo essere stati sequestrati in diversi Paesi.
L’irruzione del fenomeno Blumberg costituì, in Argentina (in particolare a
Buenos Aires) l'apoteosi di un processo che ha snaturato il sistema penale, processo
che si stava attuando, con diversa intensità, negli ultimi quindici anni.
Nell'anno 2005, si verificò, a Buenos Aires, un altro tragico fenomeno, che
aggravò il quadro della situazione precedente, perché generò non più solo un attacco
alla legge, bensì, ora, direttamente ai giudici e ai poteri politici. Si tratta del
cosiddetto “Caso Cromanon”, nome di una discoteca di Buenos Aires, che si incendiò
alla fine del 2004, causando la morte di quasi 200 giovani e ferite gravi ad altri 100. I
familiari e i mezzi di comunicazione parlarono di “assassinati” e in alcune licenze
interpretative, affermarono che gli autori dei crimini furono il padrone della
discoteca, i musicisti che davano il concerto, i giudici che li scarcerarono o il capo del
governo della città di Buenos Aires, individualmente o congiuntamente, senza
escludere altri vari responsabili ipotetici. Queste sovrapposizioni concettuali
contaminarono costantemente le loro opinioni, durante le loro dimostrazioni
pubbliche.
Alcuni familiari delle vittime di “Cromanon” manifestarono reazioni violente
contro la polizia e la giustizia, quando un tribunale mise in libertà il proprietario della
discoteca. Senza dubbio, le proteste di Blumberg avevano già criticato “i giudici
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permissivi” e i loro criteri (in realtà, i giudici di questo tipo risultano essere minoritari
nella composizione complessiva della giustizia argentina). A partire dal caso
Cromanon, la protesta anti-giudiziale assunse caratteristiche esplicite.
I casi descritti mostrano l'incompatibilità tra alcune domande “popolari” di
giustizia e i principi basilari di garanzia del sistema penale. Le proteste possono
orientarsi, in modo crescente, verso forme di attivismo violento, estorsivo e
intollerante, che esercita una pressione politica sulle autorità al fine di imporre loro le
decisioni che rivendica.
Senza dubbio, questo stato di cose risulta predisposto per l'indebolimento della
fiducia sociale nei confronti degli apparati della giustizia. A tutt'oggi esiste un vero
abisso tra ciò che la maggioranza della popolazione interpreta come “atto di
giustizia” e i procedimenti e le forme che la legge prescrive ai giudici per risolvere i
casi.
Numerose associazioni di vittime offrono al governo “programmi”, che
includono la “messa in commissione” di tutto il potere giudiziario, la nomina per
elezione diretta dei giudici, dei pubblici ministeri e delle autorità di polizia, e alcuni
poteri di destituzione permanenti. Includono anche una proposta di “giurati” che in
realtà sarebbero giudici “laici”, ma con capacità di decisione extragiudiziale.
4. Una prima interpretazione
Le proteste di Blumberg e quelle per Cromanon dimostrano, ciascuna con le
proprie distinte sfumature, di essere state ideate e affrontate secondo logiche
differenti da parte dei funzionari e da parte dei cittadini. Desidero sottolineare che
nonostante questi fatti si siano verificati in Argentina, possono rappresentare un buon
esempio per analizzare fenomeni simili in Europa o in altre parti del mondo. Sembra
che queste situazioni si stiano generalizzando, conformemente ai modelli delle
“società del rischio”.
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Le proteste di Blumberg e Cromanon contengono molti elementi per un'analisi.
In uno studio interdisciplinare su tali proteste, si sostiene che esse esprimono
fenomeni psico-sociali che generano manipolazioni, che Susana Murillo denomina
“La colonizzazione della sofferenza”. Secondo questa studiosa, ogni espressione di
dolore legittimo viene sfruttata prontamente dai gruppi di potere, al fine di ottenere
vantaggi estranei alle necessità reali di coloro che hanno sofferto le disgrazie,
ottenendo in forza di questa intermediazione obiettivi che difficilmente avrebbero
potuto raggiungere in altro modo. Il “successo” dei gruppi di protesta consiste
nell'ottenere da parte dei poteri pubblici risposte estremamente repressive contro certe
persone o certi gruppi di persone.
Le rivendicazioni dei settori coinvolti non si incentrano, quasi mai, nella
richiesta di misure reali per contenere la sofferenza delle vittime; orientano invece la
propria lotta nel senso del “neopunitivismo”. A questo processo si sono aggiunti
anche organismi per i diritti umani, che hanno appoggiato acriticamente le richieste
delle vittime, considerando che “il modo per riparare violazioni ai diritti umani si
ottiene in primo luogo con il castigo penale e che quest'ultimo è qualcosa di tanto
lodevole e vantaggioso che deve essere conseguito senza controlli e senza limiti, con
disprezzo per i diritti fondamentali”.
Secondo questi movimenti, va rifiutata ogni decisione giuridica che non
comporti l'incarcerazione o la restrizione della libertà di personaggi odiosi per loro, in
nome di una specie di “giustizia sociale”.
Occorre segnalare che se Blumberg costrinse i funzionari politici ad associarsi
con lui, i familiari di Cromanon uscirono a farsi giustizia da sé, attaccando gli edifici,
i giudici e le autorità politiche del governo della città di Buenos Aires (tentativi di
incendio doloso, minacce di morte anonime, danni, stigmatizzazione, denunce
formali, diffamazione e minacce dai mezzi di comunicazione, pressione sui Tribunali
dei procedimenti politici, ecc.). Cercarono anche di “rendere la vita impossibile”
all'imputato Chaban, in qualsiasi luogo nel quale cercasse di disporre della sua
libertà. Di certo, bisogna ammettere che questo insieme eterogeneo di reclamanti,
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raggiunse il risultato giudiziario di revoca della libertà dell'odiato imputato Chaban,
la sottoposizione a giudizio dei giudici che l'avevano scarcerato e la sospensione e la
successiva rimozione dal suo incarico del Presidente del Governo della città di
Buenos Aires, dopo un giudizio politico di dubbia legittimità.
In sintesi, questi casi provano che l'azione diretta risulta vittoriosa, che
raggiunge rapidi e drastici effetti istituzionali, forzando le autorità a promulgare le
leggi, ad adottare modelli di politica penale, a dettare sentenze giudiziarie “su
misura”, e a destituire funzionari politici eletti dal voto popolare. Quasi una piccola
rivoluzione.
Occorre inoltre sottolineare che durante lo sviluppo di questi eventi, i massmedia mantennero un protagonismo decisivo, contribuendo, in grande misura, a
generare quel caos discorsivo che rese impossibile qualsiasi analisi logica
minimamente oggettiva dei problemi. Qualsiasi funzionario che non avesse ceduto
alle pressioni sarebbe stato denunciato pubblicamente come “corrotto”, “complice” o
“indifferente”.
Da parte sua, il potere esecutivo convalidò le reazioni di fatto dei familiari,
delegittimando i giudici che “non avevano tenuto in conto il dolore delle vittime” o
che “non avevano risposto con il senso comune a eventi tanto drammatici”.
Il presidente della Repubblica e i suoi ministri agirono proponendo che
l’“abilità politica” si sostituisse ai principi giuridici quando il problema consisteva nel
“consolare coloro che soffrono”.
Tali fatti costituiscono, intenzionalmente, un requiem per il diritto penale
liberale, e provano che si è instaurata la nozione interpretativa di “senso comune” (di
per sé, di complessa definizione) identificandola con i “sentimenti legittimi del
popolo” per risolvere temi di sicurezza pubblica. In questo stato di cose ci sono
elementi di politica demagogica, ma possono anche esistere fenomeni più gravi sotto
la superficie. Il mio intento sarà di scoprire tali fenomeni, analizzando tre aspetti della
situazione all'interno della quale si produssero i fatti:
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d) le nuove circostanze sociali
e) le conseguenze dei cambiamenti, nelle teorie sociali
f) l'individuo senza cultura né contratto sociale
a) La nuova realtà sociale
Credo che gli effetti della nuova realtà globale giungono in tutti gli angoli del
pianeta, però queste conseguenze risultano distinte a seconda della rete sociale e delle
strutture di ciascuna regione, prima e dopo il processo di privatizzazione. In poche
parole: tutti i paesi dell'America Latina vengono colpiti dalla povertà e dalla
disuguaglianza, come parte di un processo aumentato vertiginosamente negli ultimi
20 anni, però partendo da antiche radici strutturali, che risalgono fino all’epoca della
Conquista.
A tutt'oggi, la massa degli esclusi non ha possibilità di ritornare a inserirsi in
uno schema produttivo come quello di 20 anni fa. Le nostre statistiche sulla
disoccupazione, sull'analfabetismo e sulla salute riportano indicatori degli ami 50 o
anche anteriori.
b) Gli effetti del cambiamento sulle teorie sociali
I gruppi di protesta affermano di “non avere un’ideologia”, di “essere apolitici”
e la loro filosofia sembrerebbe esigere il magico recupero di certi beni andati perduti,
o una vittoria immediata della “virtù” sulla corruzione. Di certo, questi gruppi si
considerano l'incarnazione delle virtù carenti, mentre attribuiscono i vizi ai funzionari
dello Stato, democraticamente eletti. Le dicotomie che vengono impostate sono di
tipo binario (bianco – nero) e totalmente inconciliabili con le mezze misure o con
discorsi che contemplino tutti gli aspetti di uno stesso problema. L'espressione
abituale “vogliamo giustizia” andrebbe tradotta come “esigiamo che ci diano ragione
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immediatamente”, con una fanatica convinzione di possederla. Sono soliti dire: “solo
noi siamo in grado di comprendere questo problema, perché lo stiamo patendo in
prima persona; pertanto, rifiutiamo qualsiasi argomento che non coincida con il
nostro”.
L'individuo senza cultura né contratto sociale
Sebbene sia importante promuovere iniziative per una maggiore partecipazione
dei cittadini, che generino nuovi interlocutori per la gestione della politica criminale,
se ci si presentano problemi diversi, causati da fattori che meritano un'analisi
accurata. È così riconoscibile, in primo luogo, il deterioramento culturale che
colpisce la maggior parte della società, e la gestazione di un immaginario attraversato
da fattori irrazionali, che stravolgono la memoria storica, mescolano dati differenti, e
gli combinano in un discorso erratico, contraddittorio e perfino anti-democratico. Per
quale ragione sta accadendo tutto ciò?
Accade che ci troviamo di fronte all'uomo globale, che ha cessato di essere
cittadino e che ora ha rilevanza solo mediante il proprio potere acquisitivo, mediante
la sua capacità di consumo e, eventualmente, mediante il suo protagonismo pubblico.
Il contesto che circonda l'uomo globale ha, necessariamente, un divenire caotico,
senza valori generali, senza cultura né risorse affettive che lo orientino. I suoi
precedenti saperi gli risultano obsoleti o inapplicabili per pensare alla crisi.
Ciò indica che la nostra logica razionalista non serve per rispondere alle
esigenze di questa realtà. Come segnalano alcuni autori, un dato chiave è
rappresentato dallo svuotamento dello Stato come istituzione “che dona senso” ai fatti
sociali, alle soggettività che quelle istituzioni stabilivano. Detto il linguaggio
giuridico, gli individui non si sentono più parte delle operazioni istituzionali che
prima li contenevano e li relazionavano.
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La crisi sociale che stiamo attraversando è di un nuovo tipo, perché non
consiste nel passaggio da un modello esaurito a un altro che lo supera. Al contrario,
la crisi globale offre un divenire erratico, senza regole fisse né modelli sostitutivi;
troviamo una totalità scomposta, ma non si ricerca nessuna forma di ricomposizione.
Il mercato non opera come operava lo Stato, per mezzo di una sistematica e con piani
prevedibili. Non c'è più un argine capace di donare un senso generale, e il mercato è
tanto poco controllabile come sono controllabili le tempeste tropicali.
Il primo problema che abbiamo davanti consiste nientemeno che nell'inventare
una logica capace di attribuire senso a queste manifestazioni sociali. L'idea del
contratto sociale, va sostituita da qualcosa molto più flessibile e amorfo, o se si vuole
“liquido”, in grado di contenerci nella diversità di oggi.
5. Le dualità sociali nel paradigma dell'insicurezza.
Può affermarsi che la dovuta descrizione della società del controllo dovrebbe
essere intesa nella sua dualità di inclusi ed esclusi, programmando politiche per
ciascun settore, così come spazi di dialogo globale o multiplo, che permettano di
accettare l'esistenza di ciò che è differente e facilitino la negoziazione reciproca.
Occorre sforzarsi affinché nella società si torni a tollerare “l’altro” accettandolo con
le sue differenze.
Fino ad ora, come studiosi di criminologia di formazione giuridica e come
penalisti, abbiamo cercato di sistemare il mondo attraverso la manipolazione dei testi
legali. Oggi, è noto che anche la più bella delle legislazioni senza condizioni reali di
effettività risulta una soluzione simbolica, alla cui adorazione si consacrano poi
nuove burocrazie, che si sommano a quelle precedenti.
In qualche momento sostenni che era giunto il momento di trasferire le
aspettative di elaborazione democratica del controllo ai suoi protagonisti, vittime e
carnefici, in un senso simile alle gestioni del terzo settore (ong).
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Nonostante ciò, gli eventi che si sono scatenati a partire dai casi “Blumberg” e
“Cromanon” mi fecero rivedere quel punto di vista. La nascita di nuclei di protesta
produce anche la nascita di interessati e gruppi ideologici che provano (e riescono) a
manipolare le richieste dei gruppi, dimostrando che, alla fine, tutto l'attivismo era
stato politico. La mancanza di coerenza ideologica (e anche logica) all'interno dei
discorsi tumultuosi che cercano di chiedere in modo diretto ai funzionari di rendere
conto delle loro responsabilità, permette di cogliere i rischi impliciti in tale classe di
fenomeni. Nonostante ciò, credo che sia necessario che i frammenti sociali elaborino
consensi parziali, partecipino ad attività di prevenzione comunitaria, di mediazione
tra la parte che ha aggredito e quella aggredita e altri ponti di inter-comunicazione. Al
tempo stesso, una politica culturale programmatica e consensuale sul tema della
violenza e sulle possibilità di controllarla in situazioni quotidiane, appoggiata da
parte dello Stato (o di quello che ne rimane) attraverso gli istituti d'insegnamento e
tutti i mezzi di diffusione, potrebbero rappresentare validi cammini per ridurre la
violenza sociale delittuosa.
Logicamente, questi processi di ricostruzione culturale non possono essere
repentini né magici, e dovrebbero conseguire da un lavoro coerente, con obiettivi
chiari, accompagnato da politiche efficaci nella neutralizzazione dei fattori di rischio,
come potrebbe essere, per esempio, esercitare un controllo severo sulla produzione e
sul traffico di armi, la de-penalizzazione del possesso di stupefacenti per consumo
personale, (con una regolazione ufficiale del consumo alternativo di droghe previste
da parte dello Stato), l'organizzazione di centri di riabilitazione per dipendenti di
qualsiasi tipo, case sostitutive di rifugio provvisorio per i bambini che vivono in
strada, lo smantellamento dei centri di vendita dei beni rubati, ecc., accompagnando
queste misure, ovviamente, con una politica sociale che assicuri, almeno,
l'alimentazione e un servizio sanitario ed esclusi. Nemmeno si misconosce che la
realizzazione di molte di queste misure richiede molto denaro. Ad ogni modo, se si
continua con le attuali improvvisazioni repressive, inflazionando quotidianamente il
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codice penale, ci troveremo ad avanzare verso società di atomizzazione
irreconciliabile. Comprendere ciò, è un requisito per evitarlo.
6. Qualche conclusione.
I programmi di politica criminale per l'Argentina di oggi si stanno allontanando
in maniera sostenuta dall'ideale dell'Illuminismo e dalle evoluzioni teoriche del XX
secolo, come minimalismo, garantismo, de-criminalizzazione, ecc. In questa
relazione sono state analizzate alcune ragioni che spiegano questo fenomeno globale.
È indubitabile che tali società dell'insicurezza e della paura verso l'altro richiedono
modelli di controllo distinti. L'ingegneria della sicurezza degli Stati Uniti e il
cosiddetto “diritto penale del nemico” provano a realizzare questa di differenza,
mediante un diritto discriminatorio, applicabile in difesa di certi settori inclusi.
Le idee basilari che ho suggerito in precedenza dovrebbero essere promosse
con le riserve (anche queste esposte) su questa nuova logica sociale senza regole fisse
e con l'enorme influenza dei mezzi di comunicazione nella formazione di questa
coscienza sociale diffusa, combinando dati separati con emozioni che giustificano
qualsiasi tipo di reazione. In precedenti interventi ho già sostenuto la necessità di
creare spazi pubblici alternativi che possono neutralizzare l'influenza dei mezzi più
poderosi, nella costruzione sociale della realtà.
Bisogna ammettere che le politiche di oggi non sono in grado di resistere a
nessun bilancio che possa sancire la loro “efficacia”. Però, d'altra parte, la costruzione
di più carceri e i nuovi aumenti di pena come rimedio, rappresentano un cammino
esaurito e sterile.
La sfida attuale consiste nel fare in modo che il controllo sociale “possa essere
controllato” da qualche schema razionale, orientato da idee sociali più solidali, nel
segno di una democrazia che concili le maggioranze con le minoranze, che fornisca ai
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cittadini accessi
alle istituzioni, affinché queste ultime possono, in tal modo,
recuperare credibilità.
Per quanto riguarda la società attuale, è inevitabile intenderla come parte del
processo di globalizzazione, considerando che non possiamo evitarlo, e per adesso,
nemmeno limitarlo. L’Illuminismo, anche se ci costa ammetterlo, consacrò istituzioni
per società che non esistono più.
Dovremo domandarci, forse, se il processo di globalizzazione rappresenti un
male assoluto. Sicuramente non lo è, però non è nemmeno un bene assoluto, come si
vuole far credere. Ben presto il mondo periferico esploderà in conflitti orribili, che si
sommeranno alla catastrofe ecologica in corso. New Orleans ha dimostrato che anche
il concetto di sicurezza contro le catastrofi naturali si dimentica della protezione dei
poveri. Il mondo che riesca a sopravvivere a questi avvenimenti non sarà ideale. È
possibile, persino, che si riveli molto peggiore di quello già conosciuto dall'umanità.
Il problema quindi si radica nello sviluppo di strategie di qualsiasi tipo tendenti a
neutralizzare gli aspetti più distruttivi di un capitalismo cannibale che distrugge senza
remora parte di umanità, identità e conoscenze morali.
È difficile che l'uomo ritorni ad essere al centro dell'ordine giuridico, però il
capitale dovrà comprendere, perlomeno, che l'umanità non è equiparabile a un
insieme di merci di scarto.
Per il momento, ritengo che il compromesso delle scienze sociali debba
concentrarsi in una moltitudine di analisi che aprono cammini di sperimentazione per
le nuove istituzioni, prima che la violenza dei segni crociati diventi l'unico strumento
disponibile per dirimere le differenze nelle nostre società, nel bel mezzo della crisi
più profonda della storia umana.
Buenos Aires, febbraio 2006
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