Da Cajkovskij al balletto novecentesco Il punto di arrivo del balletto ottocentesco è certamente costituito dai balletti composti dal russo Cajkovskij (1840-1893), ovvero Il lago dei cigni (1875-1876), La bella addormentata (1890) e Lo schiaccianoci (1891-1892): si tratta di veri e propri drammi danzati, in più atti e di ampia durata, dotati di una trama dettagliata che viene ‘narrata’ attraverso la perfetta fusione di musica e movimento. Cajkovskij compose infatti la propria musica in stretta collaborazione con il coreografo, in modo che essa aderisse perfettamente ai movimenti dei danzatori generando una forma di espressività intensa ed efficace. Il genere del balletto subirà grandi novità nei primi decenni del Novecento, nel periodo delle cosiddette avanguardie: in particolare a Parigi (che intorno al 1910-1920 è il centro culturale d’Europa, dove accorrono letterati, artisti, musicisti, danzatori ecc. da ogni parte del mondo) c’è una grande volontà di rinnovamento e sperimentazione. Le scoperte tecniche e scientifiche producono un grande cambiamento nella società che si riflette anche nell’arte. Così come l’invenzione e l’evolversi della fotografia inducono l’arte pittorica a cercare nuove strade (serve a poco dipingere l’immagine esatta della realtà, visto che la fotografia può farlo meglio di qualsiasi dipinto), così fanno la musica e la danza, intraprendendo percorsi innovativi. La danzatrice americana Isadora Duncan (1877-1927) fu artefice di una radicale rottura nei confronti della danza accademica: abolì nei propri spettacoli le scarpette da punta, che considerava innaturali, e gli artificiosi costumi indossati dalle ballerine del XIX secolo, preferendo indossare abiti semplici e leggeri, che ricordavano il peplo dell’antica Grecia, e danzando a piedi nudi. Scelte che si coniugavano con l’esigenza di favorire la libertà e l’espressività dei movimenti. La Duncan desiderava fortemente creare la danza del futuro ispirandosi alla plasticità dell’arte greca, basandosi sul sentimento e sulla passione dettati dalla natura e dalla forza della musica. La sua importanza nella storia della danza è grande, sia per l’interesse che seppe suscitare nelle platee di tutto il mondo, sia perché le sue idee furono rivoluzionarie per la sua epoca e costituirono per i suoi successori l’impulso per la creazione di nuove tecniche diverse da quella accademica e per una nuova concezione della danza teatrale. Le idee di Isadora Duncan ebbero grande influenza sulla compagnia dei Balletti russi, diretta da Diaghilev (e il cui primo ballerino era Nijinsky), che proprio nei primi decenni del Novecento si stabilì a Parigi, coinvolgendo i migliori musicisti, pittori, danzatori dell’epoca nella creazione di balletti fortemente innovativi. È in questo clima che nacque Le sacre du printemps [‘La sagra della primavera’] di Igor Stravinsky. La sagra della primavera (1913) di Igor Stravinsky [Questi appunti integrano le pagine dedicate a La sagra della primavera presenti sul libro di testo, vol. 2, a pag. 270-273] Il balletto inscena un rito sacrificale pagano nella Russia antica all’inizio della primavera, nel quale un’adolescente veniva scelta per ballare fino alla morte con lo scopo di propiziare la benevolenza degli dei in vista della nuova stagione. → http://www.youtube.com/watch?v=4NPMYGZVoNw La prima rappresentazione ebbe luogo il 28 maggio 1913 al Théâtre des Champs Elisée a Parigi con un’orchestra fra le più colossali mai viste prima d’allora: 5 flauti, 4 oboi più 1 corno inglese, 5 clarinetti, 4 fagotti più 1 controfagotto, 8 corni, 5 trombre, 3 tromboni, 2 tube, 2 esecutori ai timpani, grande gruppo di percussioni, archi. Da tale massa di strumenti scaturì una “granitica sonorità orchestrale” che, spazzando via le tante “Primavere” sdolcinate del passato, produsse un nuovo concetto di bellezza in cui armonie e sonorità incredibili s’abbattevano violentemente sull’ascoltatore con una musica brutale, selvaggia ed aggressiva al pari delle forze scatenate della natura. Vi è descritta una Primavera che nasce dall’interno della terra, dalla sue viscere, con forze primordiali “che si contorcono negli spasimi della riproduzione”. Stravinskij dichiarò: «Ho voluto rappresentare la nascita della primavera, il sublime avanzare della natura che si rinnova». Davanti a noi appare un mondo preistorico sbigottito di fronte ai misteri della natura in cui i barbari e crudeli riti della Russia pagana celebravano l’ avvento della Primavera e culminavano nel sacrificio di una vergine. L’azione del balletto, infatti, rifacendosi a tali riti, narra del sacrificio di una vergine fanciulla prescelta (l’Eletta) per essere immolata al dio della Primavera onde propiziarne i favori. L’opera si suddivide in due grandi parti: L’Adorazione della Terra e Il sacrificio. [→ Ascolto soltanto dell’Introduzione, de Gli àuguri della primavera-Danze delle adolescenti e della Danza sacrificale dell’Eletta conclusiva] I PARTE: L’adorazione della terra Introduzione L’introduzione è costituita da una melodia del fagotto nel registro acuto, l’unica melodia popolare presente nell’opera, tratta da un’antologia di musica folklorica che il compositore aveva trovato a Varsavia. Tale melodia, che sembra provenire da profondità ancestrali, è accompagnata da tremolii e trilli evocanti “ il fremito che pervade tutta la natura che sboccia e germoglia”. Il clima è magico e sospeso. Gli àuguri della primavera – Danze delle adolescenti Irrompe un suono martellante e sincopato formato da due accordi politonali sovrapposti (settima di mi bemolle e accordo perfetto di fa bemolle maggiore) che introducono “La danza degli adolescenti”. È come 2 una “deflagrazione, un corto circuito” da cui tutto scaturisce e prende vita tramite un ritmo ossessivo, implacabile, scatenando violente e massicce sonorità: è come se la Terra stessa si scuotesse in frenetiche convulsioni. [Seguono poi: Gioco del rapimento, Danze primaverili, Giochi delle tribù rivali, Corteo del saggio – Adorazione della terra – Il saggio, Danza della terra]. II PARTE: Il sacrificio La seconda parte – Il Sacrificio - inizia con un preludio in cui l’intensità della linea melodica evoca un’atmosfera triste e meditativa. Il Saggio e le fanciulle, immobili, guardano il fuoco davanti alla collina sacra: devono scegliere l’Eletta, colei che sarà sacrificata per propiziare la fertilità della Terra. [Seguono: Cerchi misteriosi delle adolescenti, Glorificazione dell’Eletta, Evocazione degli avi, Azione rituale degli avi] E, in conclusione, la Danza sacrificale dell’Eletta, ovvero della vittima prescelta destinata a danzare fino all’esaurimento e alla morte. La danza cresce paurosamente e vorticosamente, il ritmo diventa estremo, tutti gli uomini sono selvaggiamente eccitati, la musica esprime una barbara violenza riportandoci alle origini ancestrali dell’esistenza umana. *** Lo scatenarsi ritmico della Sagra della primavera è sempre regolato da un calcolo dei rapporti tra durate e accenti. La massa orchestrale viene a sottolineare gli accenti con tremenda energia e rende barbaramente massicce le asimmetrie. Nella Sagra, più che il principio della variazione, sembra dominare il principio della ripetizione ossessiva degli elementi. Il punto culminante di tale esasperazione è proprio l’ultimo brano, La danza sacrificale dell’Eletta, in cui tutta l’orchestra in ff “strappa” accordi politonali. Le pause tra un accordo e l’altro acquistano un valore di inaudita concentrazione dell’energia; e la variazione ritmica si basa soprattutto sulla dilatazione o la contrazione di queste stesse pause. Il ritmo, quindi, non precipita verso la conclusione, non si scioglie in un tradizionale vortice o in un qualsiasi turbinio, il ritmo rimane, fino all’ultima battuta, raggrumato intorno a queste continue sospensioni: sta qui l’ossessività del pezzo, sta qui quell’impressione, che fu detta di “scosse elettriche”, che lo rendono esasperante. Su questa linea formale dominata da una simile costruzione ritmica, convergono elementi di strumentazione animati” degli archi. La Sagra della primavera è stato considerata un momento decisivo della storia della musica. Se certamente molti elementi di cui è costituito non nascono con esso, è altrettanto sicuro che con la Sagra fu a tutti evidente che il concetto di “bello” dell’epoca classico-romantica non aveva più ragion d’essere: non c’è più spazio né per l’ordine, né per il piacevole, né per il sentimento. L’oggetto sonoro si presentava cioè in modo troppo ingombrante e dinamico perché si possa perpetuare l’illusione che esso sia la “confessione dell’animo” dell’autore; si faceva strada piuttosto, anche con la Sagra, l’idea di un oggetto artistico, rispetto a cui il musicista si fa scatenatore di forze che in fondo non gli appartengono. 3 La prima esecuzione in quel lontano 29 maggio 1913 provocò una violentissima reazione del pubblico: la musica fu coperta dai fischi e dalle grida. Stravinskij fuggì dal teatro e errando la notte per Parigi fu inseguito, raggiunto e pestato. Sfinito e con una vertebra rotta, si ammalò a tal punto da essere ricoverato in Ospedale. Lo scrittore Jean Cocteau, che era tra il pubblico, racconta ancora: «Il pubblico si ribellò immediatamente. Rideva, scherniva, fischiava, miagolava... la gente nei palchi si insultava e si picchiava. Il tumulto finì in una zuffa generale». Presenti a teatro e parteggiando per Stravinskij c’erano Maurice Ravel, Debussy e altri. Ciò che Picasso aveva fatto con il suo quadro cubista Les Demoiselles d’Avignon, alla stessa maniera aveva operato Isadora Duncan e alla stessa maniera Stravinskj con La sagra della primavera: avevano tutti e tre disturbato l’assuefazione, l’ordine costituito, “le simmetrie”. Vien da notare che ai giorni nostri queste cose non succedono più: a teatro, ingessati nelle poltrone, si applaude sempre, qualsiasi cosa venga propinata, si ha paura di far la figura di chi non se ne intende o giù di lì. Dopo la sconvolgente Sagra della primavera di Stravinsky, nulla nella storia della musica sarebbe più stato come prima. Manuel De Falla (1876-1946) Biografia Nato a Cadice (Spagna) nel 1876 – Morto a Cordoba (Argentina) nel 1946. Rivelatosi precocemente, dopo i primi studi musicali compiuti sotto la guida della madre, a vent’anni si trasferì a Madrid. Il culmine della sua attività creativa di questo periodo è La vida breve (1905), opera verista (basata su temi della realtà quotidiana) che già indica, nell’uso ponderato del colore locale e del folklore spagnolo, quella che diverrà la poetica dominante del compositore. Nel 1907 De Falla si stabilì a Parigi (vi rimase sette anni), dove entrò in contatto con i musicisti spagnoli che già vi risiedevano (fra cui Albéniz) e con alcuni dei più celebrati maestri francesi (Debussy, Ravel). Proprio sotto l’influenza di Debussy e Ravel De Falla compose in questi anni uno dei suoi capolavori, Notti nei giardini di Spagna (1909-15) per piano e orchestra: una sorta di poema sinfonico in tre parti pervaso da una struggente sensualità sonora. La stessa ricerca sapiente e raffinata di effetti strumentali, innestata su motivi di derivazione popolare e su ritmi tipicamente iberici, torna con risultati non meno vitali nei due balletti L’amore stregone (1915) e Il cappello a tre punte (1919), ai quali è largamente legata la fama che De Falla conquistò in tutto il mondo. Queste musiche misteriose e sensuali, insinuanti, trascinanti, talvolta esplosive, sono impostate su vorticosi giri di danza che ne fanno una sorta di distillato della più genuina musica spagnola e del temperamento latino; ma, nello stesso tempo, esse rivelano in De Falla un compositore aggiornatissimo, in linea con i movimenti più sperimentatori della musica del suo tempo.. Dopo il 1926 (anno del Concerto per clavicembalo) De Falla tornò soltanto raramente alla composizione. Per vent’anni, tuttavia, il musicista – che nel 1939, dopo l’affermazione del regime franchista, andò esule in 4 Argentina, lasciando per sempre la patria dove aveva fatto ritorno nel 1914 – coltivò un progetto ambizioso: l’opera Atlantida, una glorificazione della sua terra, che sarebbe però rimasta incompiuta. Lo stile musicale La grande importanza dell’elemento folklorico spagnolo all’interno dello stile di De Falla non è dovuto soltanto alle sue origini (egli era nato a Cadice, nel sud della Spagna, e aveva perfezionato i suoi studi a Madrid): De Falla infatti si inserisce in quel tentativo – che già altri compositori spagnoli ottocenteschi (ad esempio Felipe Pedrell) avevano intrapreso prima di lui – di opporsi all’egemonia del sinfonismo tedesco e dell’opera italiana sostenendo una rinascita della tradizione nazionale spagnola, valorizzando la tradizione del canto popolare e i capolavori musicali spagnoli del passato. Ancora più decisivo ai fini della maturazione artistica di De Falla si rivelò inoltre il suo soggiorno parigino avvenuto tra gli anni 1907 e il 1914, in cui entrò in contatto con la straordinaria ricchezza piena di fermenti innovatori e antiromantici della musica francese rappresentata principalmente da Debussy e Ravel, nonché con i maggiori esponenti dell’avanguardia artistica e culturale europea, che, come Diaghilev con i sui Balletti russi, avevano eletto la capitale francese a nuovo centro di sperimentazione artistica. Solo in tale proficuo contesto (egli ad esempio era Parigi quando, nel 1913, ci fu la rivoluzionaria prima esecuzione de La sagra della primavera di Stravinskij) De Falla poté raggiungere la piena consapevolezza della propria arte e maturare la propria identità di compositore. A partire dal suo ritorno in patria nel 1915, e proprio con i due balletti L’amore stregone e il Cappello a tre punte, il materiale folklorico spagnolo cessa di rappresentare l’elemento decorativo o nostalgicamente evocativo dalla sua scrittura, per divenirne quello strutturale, l’elemento cioè che «detta orgogliosamente le condizioni della composizione, esigendo un’asciutta precisione di rilievo a tutto tondo ed imponendo perfino all’armonia le alterazioni richieste dalla natura modale di alcuni canti». In tal modo il canto primitivo andaluso – il cante jondo, misto di elementi bizantini, arabi e gitani – con tutto il ricco formulario che lo compone, irrompe nel ritmo compositivo di De Falla riformulandone la sintassi pur all’interno di un profilo stilistico che rimane personalissimo e perfettamente in linea con il processo di rinnovamento linguistico che sta avvenendo in quegli anni sulla scena musicale europea. El amor brujo [‘L’amore stregone’] (1914-1915) La vicenda compositiva di El amor brujo (1914-1915) trae origine da una precisa richiesta rivolta da Pastora Imperio (una delle più celebri ballerine-cantanti andaluse dell’epoca) a De Falla e al librettista Gregorio Martinez Sierra perché componessero per lei un’opera con canto e danze. A seguito di questa commissione, De Falla si incontrò con la madre di Pastora Imperio, Rosario La Mejorana, che era una profonda conoscitrice di un vastissimo repertorio di leggende e favole, ma anche di melodie e danze caratteristiche gitane. De Falla trovò in questo incontro l’occasione propizia per penetrare nella realtà più profonda della musica popolare andalusa. Ne emerse un lavoro composito, un balletto di circa mezz’ora intercalato da tre canzoni. 5 Il testo, suddiviso dal librettista Martinez Sierra in tredici sezioni, si basa su un tema che, solo apparentemente scherzoso, unisce in realtà piano soprannaturale e piano umano in un fitto e sinistro reticolo fatto di superstizione, passione e morte: Carmelo, giovane gitano, è innamorato di Candela che però è perseguitata da uno spettro, ovvero un suo vecchio amante geloso e dissoluto che la giovane donna aveva amato con passione e che ora, dopo morto, sembra ancora dominarla. Per disfarsi dell’ossessionante fantasma e dell’incantesimo che opprime Candela, Carmelo studia un ingegnoso stratagemma: fa sedurre lo spettro da un’altra giovane e attraente gitana, Lucia. Il piano va a segno: con lo spettro conquistato e quindi distratto da Lucia, l’incontro amoroso fra i due giovani innamorati può finalmente aver luogo e il bacio scambiato tra Carmelo e Candela fa dissolvere il sinistro incantesimo. La partitura de L’amore stregone, il cui tono cupo e drammatico sembra diradarsi solo in prossimità dello scioglimento finale della vicenda, ha quale suo fulcro e suo vertice qualitativo la famosissima Danza rituale del fuoco che posta quasi al centro della composizione sembra riassumerne la sua sconvolgente pulsione ritmica, e la sua più profonda e vitale essenza popolare. Si tratta della danza delle gitane intorno al fuoco, durante la quale Lucia riesce a sedurre lo spettro. → ASCOLTO: Danza rituale del fuoco: http://www.youtube.com/watch?v=uUir35l5y8U L’organico della Danza rituale del fuoco, contenuta nel balletto L’amore stregone [‘El amor brujo’] si compone di: 2 flauti, ottavino, oboe, 2 clarinetti, fagotto, 2 corni, 2 trombe, timpani, pianoforte, archi. Struttura della Danza rituale del fuoco: - Introduzione: con l’effetto delle fiamme del fuoco reso da un trillo delle viole (in crescendo e diminuendo), a cui all’apice dell’intensità si aggiunge anche il trillo del clarinetto. E, in sottofondo, pizzicati sempre più ravvicinati di violoncelli e contrabbassi. – Tema A (oboe, cui nella parte finale si aggiunge il clarinetto) – Tema A1 (violini e flauto, cui nella parte finale si aggiungono ottavino e oboe) – Tema B (corni e primi violini – poi flauti nel registro grave) – Coda [o tema C] (costituito da elementi di A e di B) → Tutto viene ripetuto dall’inizio; quindi segue la – Coda generale Sergej Prokof’ev (1891-1953) Biografia Sergej Sergeevič Prokof'ev nacque a Soncovka, cittadina russa, il 23 aprile 1891 da una famiglia relativamente benestante che lo introdusse fin da bambino allo studio della musica, in particolare del pianoforte. Sua madre era essa stessa pianista. 6 Sergej mostrò un precoce talento per la musica già a cinque anni ed a sette anni aveva imparato a giocare agli scacchi. Questi - più che la musica - diventeranno la sua passione per la vita, coltivata al punto da riuscire a confrontarsi con diversi campioni del suo tempo. Benché la famiglia non fosse propensa ad avviarlo alla carriera musicale in così giovane età, nel 1904 Prokofiev si iscrisse al Conservatorio di San Pietroburgo, superando i test di ammissione e iscrivendosi alla classe di composizione pur essendo di diversi anni più giovane dei suoi compagni di corso. Fu visto come eccentrico e arrogante, fu spesso insofferente verso l'istituzione scolastica, ritenuta noiosa. Al conservatorio studiò sotto la guida, tra gli altri, del maestro Nikolaj Rimskij-Korsakov, guadagnandosi la fama di enfant terrible e diplomandosi in composizione nel 1909. Studiò anche il pianoforte, gettando le basi per la messa in pratica del suo stile aggressivo e opposto alla tradizione. In questo periodo, prima del celebre Primo concerto per Pianoforte e Orchestra Op. 10, scrisse importanti pagine per pianoforte come la Toccata Op. 11, Quattro pezzi Op. 3 e 4 oltre alla Sinfonia in Mi minore. Nel 1910 muore suo padre e viene meno il suo sostegno economico; fortunatamente il giovane compositore è già noto ed apprezzato a sufficienza per potersi mantenere con la propria arte. I suoi primi due concerti per pianoforte vengono composti in questo periodo: il primo nel 1912 (che suonerà due anni dopo per il Premio Rubinstein) e il difficilissimo e virtuosistico secondo nel 1913, con il quale intendeva affermarsi come pianista-compositore. Nel 1914 Prokof’ev lascia il conservatorio con i migliori voti della propria classe e vince il premio Anton Rubinstein come miglior studente di pianoforte. Poco dopo parte per un viaggio a Londra, dove incontra Claude Debussy, Maurice Ravel, Richard Strauss, Sergej Diagilev e Igor Stravinskij. Fu proprio con Diagilev che a Londra iniziò a comporre il suo primo balletto (Ala e Lollij) poi rielaborato nel 1916 nella Suite Scitica, composizione carica di ritmi selvaggi con forti punti di contatto con Stravinskij. Durante gli anni della prima guerra mondiale Prokof'ev ritorna al conservatorio per studiare organo. Scrive un'opera basata sul romanzo Il giocatore di Fëdor Dostoevskij, ma le prove sono funestate da continui problemi e la prima, nel 1917, viene cancellata per il verificarsi degli avvenimenti della Rivoluzione di febbraio, che fu salutata con gioia dal compositore. Nell'estate dello stesso anno compone la sua prima sinfonia, detta "la Classica", composta in uno stile ispirato al neoclassicismo e a Joseph Haydn. Prokof'ev disse che se Haydn fosse stato ancora vivo l'avrebbe composta nello stesso modo, con poche variazioni al suo stile. Dopo un breve soggiorno con sua madre a Kislovodsk, nelle montagne del Caucaso e un'esecuzione del 1915 a Roma al Teatro Augusteo del suo Secondo concerto per pianoforte e orchestra, torna nel 1918 a San Pietroburgo, ribattezzata Pietrogrado dopo lo scoppio della guerra, deciso a lasciare almeno temporaneamente la Russia. Nel 1918, all'età di 27 anni, lascia quindi la sua terra natale e comincia a viaggiare in Europa e in America. Parigi, Londra e gli Stati Uniti sono state per lui tappe fondamentali, che hanno fortemente influenzato la sua maturazione artistica. Dopo una tournée di concerti negli Stati Uniti, nell'aprile del 1920 Prokof’ev rientra in Europa e si reca a Parigi. Lì riannoda i contatti con la compagnia dei Balletti russi di Diagilev e con Stravinskij, oltre a riprendere alcuni lavori incompiuti come il suo Terzo concerto per pianoforte e orchestra, che tra i cinque è considerato il suo vertice creativo. 7 Nel 1936 Prokof'ev e famiglia tornano definitivamente in Russia. In quel periodo la politica ufficiale dell'Unione Sovietica verso la musica era regolamentata dall’”Unione dei compositori”, che stabiliva quali fossero i generi di musica accettabili. L'esclusione delle influenze straniere porterà nei decenni all'isolamento della comunità artistica sovietica dal resto del mondo. In questo clima Prokof'ev si dedica alla composizione di musica per bambini (tra cui Pierino e il lupo). La seconda guerra mondiale ispirò a Prokof'ev l’opera Guerra e pace, a cui lavorerà per due anni, alternandolo alle musiche per i film di Sergej Ėjzenštejn (Ivan il Terribile, Aleksandr Nevskij, di cui raccoglierà i brani nell'omonima cantata, e Il tenente Kije). L'opera tuttavia subì numerose revisioni imposte dall'"Unione dei compositori" e non debuttò mai. Nel 1944 si trasferisce in una tenuta fuori Mosca e compone la sua quinta sinfonia Op. 100, che risulterà essere la sua opera più apprezzata dal pubblico. Poco dopo, subisce una brutta caduta, dai cui postumi non si riprenderà mai completamente e che ridurrà drasticamente la sua produttività negli ultimi anni. Il periodo della guerra è segnato anche dalla composizione delle tre "sonate di guerra", per pianoforte, la 6, la 7 e la 8, in cui appaiono ruggire gli echi di un nuovo corso storico che lascia attonita e ammutolita un'intera generazione. Specialmente la settima sonata, nel suo celebre e travolgente finale in tempo irregolare (7/8) e la lunga, tormentata e complessa ottava sono i cavalli di battaglia delle nuove generazioni di virtuosi interpreti. Pierino e il lupo (1936) Il compositore russo Sergej Prokof’ev scrisse Pierino e il lupo nel 1936 dopo il suo ritorno nell’Unione Sovietica. È una storia per l’infanzia, costituita da musica e testo di Prokof’ev: per l’esecuzione occorrono la voce di un narratore e l’accompagnamento di una normale orchestra. → http://www.youtube.com/watch?v=-iiIq8_t-qo Origine della composizione Nel 1936 il Teatro Centrale dei Bambini di Mosca commissionò a Prokof’ev la stesura di una nuova opera musicale per bambini, che avvicinasse alla musica anche i più giovani. Il compositore accettò, incuriosito dal particolare incarico e in soli quattro giorni completò il lavoro. Il debutto avvenne il 2 maggio 1936, dall’esito infelice: scarso pubblico e poca attenzione. Prokof’ev non poteva prevedere l’enorme successo che avrebbe riscontrato in seguito la sua opera, diventata un classico apprezzatissimo da adulti e bambini. La vicenda narrata è considerata semplice ma al tempo stesso coinvolgente, grazie anche alla presenza di personaggi comprimari quali il nonno, l’anatra ed il gatto. Storia Pierino è un bambino coraggioso e molto vivace che conosce tre animali: un uccellino, un'anatra ed un gatto. Un giorno decide di cacciare un lupo malvagio e affamato che si aggira nei boschi, ma il suo severo 8 nonno gli impedisce di svolgere tale impresa perché la considera troppo pericolosa. Poiché Pierino non gli dà ascolto, il nonno lo trascina nel giardino e chiude il cancello per impedirgli di uscire. Da lì, Pierino vede il gatto che cerca di cacciare il povero, vivace uccellino che si rifugia sui rami di un grande albero mentre l’anatra si fa una nuotatina. In quel momento arriva il lupo, ed il gatto, impaurito, raggiunge l'uccellino sull'albero senza essere animato dalle precedenti intenzioni. L'anatra, presa dal panico, corre sulla riva del lago, ma viene mangiata dal lupo. Pierino assiste alla scena, mentre l'uccellino svolazza davanti al muso del lupo per distrarlo. Successivamente l'uccellino va ad avvertire dei cacciatori, dicendo loro che Pierino sta rischiando di venire mangiato dal lupo. Ma il bambino nel frattempo prende una robusta corda che lega alla coda del lupo, e annoda l’altro capo ad un ramo dell’albero. In quel momento arrivano i cacciatori a suon di spari. Pierino però fa notare loro che il lupo ormai è sconfitto e tutti insieme rientrano in paese in un corteo trionfale. Anche l’anatra partecipa alla festa perche il lupo l’aveva ingoiata senza masticarla Organico La partitura di Pierino e il Lupo prevede: flauto, oboe, clarinetto, fagotto, tre corni, tromba, trombone, timpani, percussioni e archi. Ogni personaggio della storia è rappresentato da uno di questi strumenti, che intervengono nella vicenda con un motivo caratteristico: • Pierino: l’intera famiglia di archi • L’uccellino: il flauto traverso • L’anatra: l’oboe • Il gatto: il clarinetto • Il nonno: il fagotto • Il lupo: i tre corni • I cacciatori: l’intera famiglia dei legni • Lo sparo dei fucili: i timpani Romeo e Giulietta (1935) Romeo e Giulietta (Op. 64) è un balletto in tre atti di Sergej Sergeevič Prokof’ev tratto dall’omonima tragedia di William Shakespeare, in cui si narra l’amore contrastato di due giovani, a cui si oppongono le reciproche famiglie tra loro nemiche. Alcune musiche del balletto sono state raccolte dall’autore in tre suite per orchestra, da eseguire quindi in forma di concerto. Basato su una sinossi creata dal drammaturgo Adrian Piotrovsky (che suggerì il soggetto a Prokof’ev) e Sergey Radlov, il balletto fu completato nella sua forma originale da Prokof’ev nel settembre del 1935, su commissione del Mariinsky Ballet. 9 Strumentazione Nella grande orchestra sinfonica prevista da Prokof’ev è inserito anche il saxofono tenore, che aggiunge un colore inusuale e unico all’organico, sia quando è usato da solista sia nella parte d’insieme. Prokof’ev utilizza anche la cornetta, la viola d’amore e dei mandolini, così da conferire alla musica un sapore italiano e nello stesso tempo antico. La strumentazione completa è la seguente: • Legni: tre flauti (due flauti e un ottavino), tre oboe (due oboe - secondo raddoppio su corno inglese - e un corno inglese), tre clarinetti (due clarinetti - secondo raddoppio sul clarinetto piccolo - e un clarinetto basso), tre fagotti (due fagotti e un controfagotto), sassofono tenore. • Ottoni: sei corni, quattro trombe (tre trombe e una cornetta), tre tromboni, una tuba. • Due mandolini, una viola d’amore (o viola). • Percussioni (per un timpanista e cinque suonatori): timpani, tamburo, xilofono, triangolo, woodblock, maracas, glockenspiel, tamburello basco, campane tubolari, piatto, grancassa. • Arpa, pianoforte, celesta, organo, violini. Struttura → Ascolto del brano intitolato Capuleti e Montecchi (tratto dal balletto Romeo e Giulietta): http://www.youtube.com/watch?v=p1_JUTAO0SA Questa brano ha sostanzialmente una struttura tripartita: – Introduzione con note tenute che si sovrappongono creando accordi fortemente dissonanti. – Tema A: dal carattere puntato, marziale e aggressivo, su accompagnamento implacabile e violento degli ottoni gravi (tromboni e tuba) e clarinetto basso. Talora irrompono squilli di trombe o il tamburo rullante che conferiscono un violento carattere militare. Il tema viene ripetuto più volte, variandone la strumentazione; – Tema B: sezione cantabile affidato principalmente al flauto (raddoppiato dai violini), accompagnato dal pizzicato degli altri archi e dal tamburello basco; – Tema B1: nuova strumentazione (tra gli altri si aggiunge la celesta); – Tema A1 con nuova orchestrazione (affidato, inizialmente, al saxofono tenore, poi ai due clarinetti, poi all’intera orchestra). * Si tratta di un brano che esprime l’odio e la guerra che intercorre tra la famiglia di Romeo e quella di Giulietta. Nel pannello centrale (Tema B), un episodio più tenero e delicato allude ai sentimenti dei due giovani, però subito soffocati dal ritorno del tema aggressivo iniziale. 10